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UN ALBO DI ROVINE (CON ALCESTI), SOGNANDO UN'ALTRA STORIA<br />
… quando il mondo<br />
era pieno di luce…<br />
e da tutte le parti, nel<strong>la</strong> fossa<br />
di chi rammenta, nelle <strong>qui</strong>nte <strong>in</strong>gombre<br />
di macerie, nei cessi, nel foyer<br />
annerito dagli <strong>in</strong>cendi ferveva<br />
l’<strong>in</strong>cauta vita…<br />
[Quare tristis]<br />
O forse <strong>la</strong> felicità<br />
è solo degli altri, d’un altro tempo,<br />
d’un’altra vita e a noi non è possibile<br />
che recitar<strong>la</strong> come viene viene,<br />
a soggetto, ost<strong>in</strong>andoci a <strong>in</strong>seguire<br />
<strong>la</strong> parte di noi stessi<br />
<strong>in</strong> un vecchio, bizzarro canovaccio<br />
senza capo né coda…<br />
[Barlumi di storia]<br />
Nel Novecento quello di Alcesti è il luogo <strong>in</strong> cui s’<strong>in</strong>tersecano <strong>in</strong><strong>qui</strong>etud<strong>in</strong>e privata, famigliare, e dramma<br />
collettivo, storico. Tra spietata bufera dei tempi e affannosa ricerca d’un luogo franco. Basti pensare ai<br />
tempi <strong>in</strong> cui vennero composte le due pr<strong>in</strong>cipali riscritture precedenti, Il mistero di Alcesti di Marguerite<br />
Yourcenar e Alcesti di Samuele di Alberto Sav<strong>in</strong>io: 1942 e 1948. La cornice storica è esplicita, nello<br />
smisurato e srego<strong>la</strong>to dramma di Sav<strong>in</strong>io, s<strong>in</strong> dall’antefatto: che fa risalire le sue orig<strong>in</strong>i proprio al ’42,<br />
quando l’autore <strong>in</strong>travede, alle prove di un Wozzeck all’Opera di Roma, <strong>la</strong> figura “tragica” del dottor<br />
Alfred Schlee, direttore delle Edizioni Universali di Vienna <strong>la</strong> cui consorte, ebrea, per salvarlo dalle<br />
persecuzioni naziste aveva compiuto <strong>la</strong> stessa scelta del<strong>la</strong> remota reg<strong>in</strong>a dei Tèssali.<br />
L’<strong>in</strong>treccio che le vicende collettive compongono con <strong>la</strong> biografia personale è il luogo dal quale ci par<strong>la</strong><br />
Giovanni Raboni. Nel<strong>la</strong> sua Alcesti non figurano riferimenti espliciti al contesto storico; si può dire che le<br />
allusioni ai «tempi che corrono», al «rischio mortale / che <strong>in</strong>combe sulle nostre teste», al «potere» che<br />
«sta ammassando / i presunti avversari del nuovo ord<strong>in</strong>e» negli «stadi» e nei «velodromi» – <strong>in</strong>somma a<br />
quanto fa sì che «il nostro mondo stia cadendo a pezzi» –, tutto questo disegni una condizione, nell’aere<br />
perso del totalitarismo, generale e universale. Anni Trenta e Quaranta – potremmo dire – ideali eterni.<br />
Dice del resto Simone, con amara ironia, che «i mali imprecisi sono i peggiori».<br />
Questo anche se l’onomastica dei personaggi, e certe battute di Sara (<strong>la</strong> quale def<strong>in</strong>isce per esempio<br />
«esodo» <strong>la</strong> sua fuga), potrebbero localizzare più precisamente l’azione nello spazio e nel tempo. Il<br />
persecutorio «nuovo ord<strong>in</strong>e», <strong>in</strong>fatti, è colpevole soprattutto <strong>in</strong> quanto «mira a toglierci l’anima / prima<br />
ancora di toglierci <strong>la</strong> vita»: altrimenti e manzonianamente detto, dunque, perché mette le sue vittime –<br />
come Stefano e Simone che vergognosamente battibeccano su chi abbia più diritto a sopravvivere – nelle<br />
condizioni di «far torto o subirlo». È stato nei Sommersi e i salvati che un altro grande manzoniano del<br />
nostro tempo, Primo Levi, ha citato I Promessi Sposi per ricordare che «tutti coloro che […] fanno torto<br />
altrui, sono rei, non solo del male che commettono, ma del pervertimento ancora a cui portano l’animo<br />
degli offesi».<br />
A precisare meglio i contorni “esterni”, si ponga mente al<strong>la</strong> fotografia che illustra l’edizione garzantiana<br />
dell’Alcesti (uscita nel settembre del 2002): due figure m<strong>in</strong>uscole si aggirano nel<strong>la</strong> p<strong>la</strong>tea di un grande<br />
teatro <strong>in</strong> rov<strong>in</strong>a, si fanno <strong>la</strong>rgo tra le macerie, rivolgono lo sguardo ansiosamente verso l’alto, verso lo<br />
squarcio – ai nostri occhi <strong>in</strong>visibile – attraverso il quale <strong>la</strong> bufera ha prodotto il suo catastrofico varco. La<br />
didascalia recita: «Il teatro al<strong>la</strong> Sca<strong>la</strong>, Mi<strong>la</strong>no 1943». E se l’Eracle euripideo (quello che <strong>in</strong> Sav<strong>in</strong>io era un<br />
enfatico Presidente Roosevelt…) diviene <strong>qui</strong> un <strong>la</strong>conico ed enigmatico «Custode» – detto anche<br />
«spedizioniere» – si può pensare al<strong>la</strong> figura di «Caronte» che appare <strong>in</strong> Quare tristis: il libro di versi, di<br />
Raboni, che <strong>in</strong>sieme all’ultimo Barlumi di storia meno dissimu<strong>la</strong> il tremare del<strong>la</strong> vita di fronte<br />
all’agghiacciare del<strong>la</strong> storia. «Fra l’Anschluss e <strong>la</strong> notte dei cristalli, / fra Monaco e Danzica», un «Caronte<br />
// di se stesso», <strong>in</strong> «decappottabile», s’impegna <strong>in</strong> una «gita / fuori porta, fuori dazio». Viaggio ambiguo,<br />
di salvezza e perdizione. Una lotta muta e senza nome, come quel<strong>la</strong> di Eracle con Thanatos. (Ci si ricorda<br />
pure che gli unici versi residui del<strong>la</strong> mai completata Alcesti di Rac<strong>in</strong>e – per Yourcenar «<strong>la</strong> più perfetta<br />
delle Alcesti», quel<strong>la</strong> che «da qualche parte fluttua, nel regno delle Idee» – ritraggono proprio il<br />
traghettatore ìnfero: «Je vois déjà <strong>la</strong> rame et <strong>la</strong> barque fatale; / J’entends le vieux nocher de <strong>la</strong> rive<br />
<strong>in</strong>fernale. / Impatient, il crie: “On t’attend ici-bas; / Tout est prêt, descends, viens, ne me retard pas”»;<br />
ed ecco il Custode del Teatro di Raboni: «Ma su, adesso sbrigatevi, o c’è il rischio / che il camion non vi<br />
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