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PASOLINI E LA TRADIZIONE DEL TEATRO DI POESIA<br />
La straripante paro<strong>la</strong> teatrale di Pasol<strong>in</strong>i è una sfida al<strong>la</strong> ricezione sup<strong>in</strong>a dello spettatore, <strong>in</strong> accordo con<br />
<strong>la</strong> dimensione pedagogica dei dialoghi di P<strong>la</strong>tone a cui, non a caso, lo stesso Pasol<strong>in</strong>i fa riferimento<br />
quando cerca di spiegare il suo nuovo impegno drammaturgico degli anni 1966/68. Lontano, ma non<br />
arbitrario, riferimento del<strong>la</strong> scrittura di Pasol<strong>in</strong>i è il teatro di Rac<strong>in</strong>e, per <strong>la</strong> cui “stupenda, delirante musica<br />
dell’alessandr<strong>in</strong>o” aveva già dichiarato il suo amore venti anni prima, e che torna <strong>in</strong> maniera carsica nelle<br />
sue opere. Del resto, Rac<strong>in</strong>e è una poco analizzata chiave di volta del teatro <strong>in</strong> versi contemporaneo. Mi<br />
riferisco, per esempio, a Yukio Mishima (che per molti versi compie percorsi analoghi a quelli di Pasol<strong>in</strong>i<br />
negli stessi anni), che dichiara, mentre compone Madame de Sade e Il mio amico Hitler: “il mio ideale<br />
drammaturgico è una tragedia politica come il Britannicus di Rac<strong>in</strong>e, <strong>in</strong> cui il sangue viene <strong>la</strong>vato con il<br />
sangue, <strong>in</strong> eleganti versi alessandr<strong>in</strong>i”. Meno corretto è <strong>in</strong>vece il riferimento talvolta avanzato riguardo a<br />
D’Annunzio. In realtà, se <strong>la</strong> tragedia dannunziana ha i toni del<strong>la</strong> pura dec<strong>la</strong>mazione oratoria, confondendo<br />
<strong>la</strong> teatralità con <strong>la</strong> recitazione aulica e sostenuta, quel<strong>la</strong> pasol<strong>in</strong>iana è impastata di una straord<strong>in</strong>aria<br />
modernità che <strong>la</strong> ca<strong>la</strong> nel pieno del r<strong>in</strong>novamento drammaturgico del<strong>la</strong> seconda metà del ’900. Proprio a<br />
com<strong>in</strong>ciare dall’uso del verso teatrale, che mesco<strong>la</strong> sensibilità verso uno strumento <strong>in</strong>attuale e organicità<br />
con forme radicali di r<strong>in</strong>novamento drammaturgico <strong>in</strong> Europa.<br />
George Ste<strong>in</strong>er sottol<strong>in</strong>eava nel 1965 (l’anno prima dell’<strong>in</strong>izio del<strong>la</strong> scrittura delle sue sei tragedie da<br />
parte di Pasol<strong>in</strong>i) l’<strong>in</strong>attualità del verso nel teatro ricordando che “il verso non è più al centro del discorso<br />
espressivo”. Per Ste<strong>in</strong>er ben due motivi ostaco<strong>la</strong>no un uso efficace del verso nel dramma contemporaneo<br />
successivo al<strong>la</strong> scomparsa del genere tragedia: da una parte <strong>la</strong> poesia non è più mezzo espressivo<br />
condiviso come era <strong>in</strong> passato ma mezzo <strong>in</strong>dividuale, dall’altra parte questa trasformazione <strong>in</strong> senso<br />
em<strong>in</strong>entemente lirico ed elitario comporta un’<strong>in</strong>adeguatezza all’<strong>in</strong>terno di un genere che è <strong>in</strong>vece per sua<br />
natura drammatico e popo<strong>la</strong>re, cioè rappresentativo del<strong>la</strong> realtà. In attesa che <strong>la</strong> canzone riporti il verso,<br />
proprio a com<strong>in</strong>ciare da questi anni ’<strong>60</strong> di nascente cultura pop, a una dimensione nuovamente condivisa<br />
a livello universale e legata al<strong>la</strong> rappresentazione del reale, il suo uso <strong>in</strong> questo momento appare<br />
improprio per chi voglia rappresentare <strong>la</strong> realtà (<strong>qui</strong>ndi sfuggire al<strong>la</strong> gabbia del<strong>la</strong> poesia lirica o comunque<br />
soggettiva), tanto più nell’agorà scenico. E proprio su questo paradosso Pasol<strong>in</strong>i <strong>in</strong>terviene non solo<br />
riesumando il genere tragico, ma addirittura il suo strumento d’elezione, il verso.<br />
Al contrario dell’esperienza italiana di D’Annunzio, dove <strong>la</strong> scrittura teatrale poetica si proietta verso una<br />
retorica magniloquente che dovrebbe dare lustro metastorico ad azioni esemp<strong>la</strong>ri, magari cercando di<br />
recuperare archeologicamente <strong>la</strong> prosodia arcaica, il verso tragico di Pasol<strong>in</strong>i ricerca al proprio <strong>in</strong>terno le<br />
ragioni di una struttura drammaturgica da rifondare nell’unità di concezione dell’opera, nel solco del<br />
grande teatro <strong>in</strong> versi del ’900 europeo <strong>in</strong>iziato da Yeats. È <strong>in</strong>fatti con il drammaturgo ir<strong>la</strong>ndese che <strong>la</strong><br />
paro<strong>la</strong> poetica si colloca al centro del<strong>la</strong> scena <strong>in</strong> senso moderno, non come esercizio di stile o come<br />
dom<strong>in</strong>ante letteraria, ma per <strong>la</strong> sua carica evocativa. Il teatro <strong>in</strong> versi di Yeats, come egli stesso scrive<br />
nel 1903 <strong>in</strong> Riforma del teatro, rifugge il realismo e ricerca il simbolismo e l’allusione, imponendo <strong>la</strong><br />
massima concentrazione all’attore, sottraendogli un’eccessiva mimica e movimento e richiedendogli<br />
un’attenzione al fluire ritmico del verso che sottol<strong>in</strong>ea con <strong>la</strong> metrica il proprio essere verso, e dunque<br />
fraseggio artificiale.<br />
D’altro canto Thomas Stearns Eliot ribadisce <strong>la</strong> necessità di una scrittura poetica a teatro <strong>in</strong> quanto il<br />
verso consente di sve<strong>la</strong>re le profondità dell’animo umano. Interessante è il fatto che, al contrario di<br />
Yeats, Eliot persegua una sorta di mimetizzazione del verso che si trova a dover assumere, anche nel<strong>la</strong><br />
recitazione, un ritmo prosastico. E tuttavia, al di sotto dell’apparenza del<strong>la</strong> prosa, è il verso nascosto<br />
come un fantasma <strong>in</strong>sidioso a <strong>in</strong><strong>qui</strong>etare l’ascoltatore che così può <strong>in</strong>tuire un senso alto e altro rispetto a<br />
ciò a cui assiste, sostenuto <strong>in</strong> questo dall’evidente e diretta ispirazione delle opere eliotiane dalle grandi<br />
tragedie greche. La grande tradizione <strong>in</strong>glese del<strong>la</strong> dec<strong>la</strong>mazione del verso nei secoli precedenti, dal b<strong>la</strong>nk<br />
verse di Shakespeare <strong>in</strong> poi, ha consentito a Yeats e Eliot di presentare le proprie sperimentazioni<br />
drammaturgiche a una tipologia di attori e di spettatori con una competenza di alto livello, cosa che ha<br />
reso le loro opere ‘facilmente’ assimi<strong>la</strong>bili dai contemporanei. Analogamente è accaduto nel<strong>la</strong> tradizione<br />
francofona, dove l’alessandr<strong>in</strong>o di Rac<strong>in</strong>e e di Molière ha costituito una buona base per un altro riuscito<br />
tentativo di versificazione teatrale nel secolo scorso, quello di Paul C<strong>la</strong>udel, che sempre nel<strong>la</strong> prima metà<br />
del ’900 come Eliot, mette a punto una versificazione fluente, dal ritmo ampio e complesso, costruita sul<br />
ritmo organico del<strong>la</strong> respirazione. Anche per questo il verso di C<strong>la</strong>udel, pur <strong>in</strong> una dissimu<strong>la</strong>zione <strong>in</strong><br />
direzione del<strong>la</strong> prosa come nel teatro eliotiano, impone all’attore uno studio attento del<strong>la</strong> tecnica per una<br />
sua corretta recitazione. Perf<strong>in</strong>o <strong>in</strong> ambito tedesco, negli stessi anni di scrittura teatrale di Pasol<strong>in</strong>i,<br />
possono trovare piena cittad<strong>in</strong>anza gli esperimenti di teatro <strong>in</strong> versi di Peter Weiss, che aggancia <strong>la</strong><br />
versificazione alle nuove tensioni sociali e politiche, a com<strong>in</strong>ciare da Marat-Sade e L’istruttoria, o di<br />
He<strong>in</strong>er Müller che muove i primi passi nel<strong>la</strong> direzione del teatro <strong>in</strong> versi per il recupero dei miti c<strong>la</strong>ssici.<br />
Dunque <strong>la</strong> scelta del verso compiuta da Pasol<strong>in</strong>i è <strong>in</strong>serita all’<strong>in</strong>terno di un’ampia e ricca tradizione<br />
europea di r<strong>in</strong>novamento del teatro e non di vagheggiamento antiquario. E tuttavia <strong>la</strong> forza <strong>in</strong>novativa e<br />
di respiro <strong>in</strong>ternazionale di questa concezione viene misconosciuta nel momento <strong>in</strong> cui si <strong>in</strong>nesta su una<br />
tradizione nostrana tutt’altro che esemp<strong>la</strong>re. Infatti gli esempi più importanti nel<strong>la</strong> storia del teatro<br />
italiano, devoto al<strong>la</strong> prosa di autori come Machiavelli, Goldoni o Pirandello, si limitano sostanzialmente<br />
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