27.05.2013 Views

In un famoso poemetto in prosa di Baudelaire intitolato ... - LietoColle

In un famoso poemetto in prosa di Baudelaire intitolato ... - LietoColle

In un famoso poemetto in prosa di Baudelaire intitolato ... - LietoColle

SHOW MORE
SHOW LESS

Create successful ePaper yourself

Turn your PDF publications into a flip-book with our unique Google optimized e-Paper software.

Novembre 2007<br />

Giorgio L<strong>in</strong>guaglossa<br />

APPUNTI SULLA NUOVISSIMA POESIA CONTEMPORANEA<br />

Autori:<br />

Elena Ribet<br />

Alessandra N<strong>in</strong>a Maroccolo<br />

Luca Benassi<br />

Daniele Santoro<br />

Maurice Piquè<br />

Gabriele Pepe<br />

Enrico Pietrangeli<br />

Faraòn Meteosès<br />

Mart<strong>in</strong>a Ippolito<br />

Daniel C<strong>un</strong>dari<br />

1


la presentificazione del quoti<strong>di</strong>ano e la l<strong>in</strong>guisticità dell’oggetto<br />

Elena Ribet<br />

Diario dei quattro nomi Novi Ligure, Joker 2005 pp. 80 € 12.00<br />

Elena Ribet è <strong>un</strong>a poetessa della nuova generazione (è nata nel 1973), che si è formata <strong>in</strong>teramente nel<br />

nuovo mondo della rivoluzione me<strong>di</strong>atica dei l<strong>in</strong>guaggi, <strong>in</strong> cui la vera e <strong>un</strong>ica rivoluzione è stata quella<br />

portata avanti dall’<strong>in</strong>duzione che il secolo della rivoluzione tecnologica ha avuto sul l<strong>in</strong>guaggio della<br />

poesia. <strong>In</strong> <strong>un</strong> certo senso, le sono qu<strong>in</strong><strong>di</strong> estranee le problematiche posticce sulla teoria del silenzio <strong>in</strong><br />

poesia e sul rapporto tra silenzio e parola fonata, tipiche del post-ermetismo, le problematiche della f<strong>in</strong>ta<br />

avanguar<strong>di</strong>a, fondate sul concetto <strong>di</strong> manipolazione dei l<strong>in</strong>guaggi, le problematiche <strong>di</strong> <strong>un</strong> certo<br />

hillmanismo e <strong>di</strong> <strong>un</strong> certo heideggerismo <strong>di</strong> ritorno, <strong>di</strong> alc<strong>un</strong>e poetiche del post-moderno; le sono<br />

completamente estranee le <strong>di</strong>ramazioni conclusive <strong>di</strong> quel fenomeno tutto novecentesco e italiano dei<br />

l<strong>in</strong>guaggi post-sperimentali e dei l<strong>in</strong>guaggi lavorati <strong>in</strong> offic<strong>in</strong>a, fagocitata la stessa offic<strong>in</strong>a nel mare<br />

magnum dei l<strong>in</strong>guaggi esornativi e pubblicitari dell’<strong>un</strong>iverso me<strong>di</strong>atico che, per <strong>un</strong> tiro manc<strong>in</strong>o del<br />

dest<strong>in</strong>o, oggi costituisce la vera e <strong>un</strong>ica “avanguar<strong>di</strong>a” nella costruzione dei l<strong>in</strong>guaggi me<strong>di</strong>atici. Una<br />

poesia qu<strong>in</strong><strong>di</strong> che è gi<strong>un</strong>ta dopo il <strong>di</strong>luvio degli «oggetti l<strong>in</strong>guistici», dopo la <strong>di</strong>ssoluzione del traliccio della<br />

poesia post-pascoliana, dopo la problematizzazione della stessa l<strong>in</strong>guisticità e dopo la def<strong>in</strong>itiva crisi della<br />

poesia della nom<strong>in</strong>azione del «quoti<strong>di</strong>ano», precipitata nel m<strong>in</strong>imalismo attuale. Da <strong>un</strong> certo versante,<br />

Elena Ribet prende atto della impossibilità <strong>di</strong> costruire <strong>un</strong>a poesia degli oggetti o del ricordo degli oggetti,<br />

e qu<strong>in</strong><strong>di</strong> dell’estrema <strong>di</strong>fficoltà <strong>di</strong> riproporre <strong>un</strong>a poesia della rammemorazione, o del passato, a<br />

presc<strong>in</strong>dere dal pericolo <strong>di</strong> <strong>un</strong>a caduta nell’elegia, che sarebbe a questo p<strong>un</strong>to <strong>un</strong> male m<strong>in</strong>ore, quanto per<br />

la consapevolezza che la “nuova poesia” sembra pre<strong>di</strong>ligere il Presente per via <strong>di</strong> quel fenomeno che<br />

chiamerei la presentificazione del quoti<strong>di</strong>ano, che è cosa ben <strong>di</strong>versa dal quoti<strong>di</strong>ano tout court <strong>di</strong> chi milita per<br />

l’ass<strong>un</strong>zione acritica del quoti<strong>di</strong>ano reificato e massificato dei mass me<strong>di</strong>a. Già dal titolo dell’<strong>un</strong>ico libro<br />

della poetessa, Diario dei quattro nomi (Novi Ligure, Joker 2005), abbiamo la declaratoria della def<strong>in</strong>itiva<br />

<strong>di</strong>ssoluzione della mona<strong>di</strong>cità dell’io e del canto mono<strong>di</strong>co: i quattro «nomi» della poesia <strong>di</strong> Elena Ribet<br />

sono i quattro «nomi» del soggetto che si sdoppia e si duplica e si quadruplica <strong>in</strong> quattro entità soggettive<br />

per almeno altrettante possibilità <strong>di</strong> percezione <strong>di</strong> <strong>un</strong> medesimo oggetto.<br />

Già George Ste<strong>in</strong>er nel 1958, scriveva: «la tecnologia mo<strong>di</strong>ficherà ra<strong>di</strong>calmente l’ambiente delle<br />

percezioni umane, le coord<strong>in</strong>ate della realtà nel cui ambito appren<strong>di</strong>amo e ord<strong>in</strong>iamo i dati sensibili.<br />

L’esperienza non si presenterà <strong>in</strong> maniera seriale, <strong>in</strong> schemi atomizzati o l<strong>in</strong>eari <strong>di</strong> sequenza causale, ma<br />

<strong>in</strong> “campi” o <strong>in</strong>terazioni simultanee. Per fare <strong>un</strong>’analogia molto rozza (e il processo stesso dell’analogia<br />

può essere forse <strong>un</strong>a traccia <strong>di</strong> <strong>un</strong>a logica anteriore), le nostre categorie della percezione imme<strong>di</strong>ata si<br />

sposteranno da quelle operanti <strong>in</strong> <strong>un</strong> <strong>di</strong>segno <strong>di</strong> <strong>In</strong>gres a quelle che sperimentiamo <strong>in</strong> <strong>un</strong> Jackson<br />

Pollock».* <strong>In</strong> questo quadro problematico Elena Ribet ha saputo metabolizzare le conseguenze che<br />

questa grande rivoluzione l<strong>in</strong>guistica ha comportato sul piano della l<strong>in</strong>guisticità dell’oggetto e della stessa<br />

“assenza” dell’oggetto. Direi che l’aspetto che fonda la superiorità <strong>di</strong> questo libro rispetto alla produzione<br />

della nuova generazione risiede app<strong>un</strong>to nella consapevolezza <strong>di</strong> questo nodo problematico e nella<br />

consapevolezza della soluzione stilistica offerta.<br />

La Ribet parte da <strong>un</strong>a poesia a metà strada tra Georgia Stecher e Maria Marchesi ma compie <strong>un</strong> passo<br />

ulteriore («Tutto scorre quieto, l<strong>in</strong>eare. Guar<strong>di</strong>amo le foto della l<strong>un</strong>a <strong>di</strong> miele. Ma io mi sento brutta, non so perché. E<br />

cont<strong>in</strong>uo a fare brutti sogni. Questa notte ho sognato <strong>un</strong>a stalla dove due uom<strong>in</strong>i deformi mi violentavano. Poi ho sognato<br />

qualcosa <strong>di</strong> <strong>di</strong>vertente sul matrimonio, ma non ricordo bene: <strong>un</strong> album <strong>di</strong> foto buffe, <strong>un</strong>o scherzo, la zia che <strong>di</strong>ceva qualcosa<br />

sul camm<strong>in</strong>are a pie<strong>di</strong> nu<strong>di</strong>. Tanti frammenti <strong>di</strong> sogni, elenchi <strong>di</strong> cose fatte, <strong>di</strong> cose da fare»), riprende da <strong>un</strong> ricordo<br />

della Achmatova («Un quadernetto con delle rose/ chiuso con <strong>un</strong> elastico rosso/ cercate quello»), f<strong>in</strong>o alla propria<br />

orig<strong>in</strong>alissima pron<strong>un</strong>cia:<br />

<strong>di</strong>vento sensibile al respiro e al corpo<br />

[so farmi male <strong>in</strong> molti mo<strong>di</strong>]<br />

ora<br />

è meglio che io spenga la luce<br />

2


Il meccanismo dell’autocoscienza dell’io è visto come <strong>un</strong> meccano <strong>di</strong> matrioske; l’<strong>un</strong>a sarcofago<br />

dell’altra, dove la presentificazione dell’evento abolisce la coniugazione dei tempi al passato, perché tutto<br />

ciò che è accaduto è soltanto ciò che accade, il presente si rivela attraverso tutta <strong>un</strong>a fenomenologia <strong>di</strong><br />

metafore del “quoti<strong>di</strong>ano”, il “quoti<strong>di</strong>ano” è muto, è altro, è l’impresentabile e l’impre<strong>di</strong>ttibile. La<br />

presentificazione del quoti<strong>di</strong>ano si rivela attraverso le metafore che lo illum<strong>in</strong>ano:<br />

Una elena dentro l’altra<br />

tutta figura e superficie.<br />

Una matrioska<br />

sarcofago delle elene <strong>di</strong> ieri<br />

<strong>un</strong>a scatola dove nascondersi.<br />

non ci sono vittorie del tempo<br />

c’è quel che rimane<br />

ci sono luoghi<br />

ci sono attimi e persone<br />

ci sono memorie e cellule<br />

tutte <strong>di</strong>verse tra loro<br />

c’ò tempo per ogni cosa sotto il sole<br />

c’è spazio per ogni cosa<br />

* G. Ste<strong>in</strong>er L<strong>in</strong>guaggio e silenzio Milano, Rizzoli 1972 p. 269<br />

il grado zero della f<strong>un</strong>zione poetica<br />

Alessandra N<strong>in</strong>a Maroccolo<br />

Annelies Marie Frank Roma, Empiria 2004 pp. 70 € 10.00<br />

Alessandra N<strong>in</strong>a Maroccolo è nata a Firenze nel 1966 ed attualmente vive a Roma. Dopo l’esor<strong>di</strong>o con<br />

Il Carro <strong>di</strong> Sonagli del 1999 e varie apparizioni <strong>in</strong> antologia, il libro veramente significativo che ha attirato<br />

l’attenzione degli osservatori più <strong>di</strong>ligenti è Annelies Marie Frank pubblicato a Roma nel 2004 per i tipi <strong>di</strong><br />

Empiria. Il libro è fondato su <strong>un</strong>a suggestiva ipotesi: il ritrovamento <strong>di</strong> alc<strong>un</strong>i app<strong>un</strong>ti <strong>di</strong> Anna Frank nel<br />

lager <strong>di</strong> Berger Belsen dove l’autrice immag<strong>in</strong>a che Anne e la sorella Margot siano state trasferite da<br />

Auschwitz dall’ottobre del 1944 alla primavera del 1945. L’autrice dà voce ad <strong>un</strong>a bamb<strong>in</strong>a che è<br />

<strong>di</strong>ventata, improvvisamente, adulta, che ha bruciato le tappe <strong>di</strong> <strong>un</strong>a precocissima maturità. Un viaggio<br />

dentro l’orrore, d<strong>un</strong>que, perché la voce, e qu<strong>in</strong><strong>di</strong> la parola, sono le sole testimoni che possano travalicare il<br />

tempo. Ma qui si pone <strong>un</strong> problema: come può la parola poetica assumersi questo compito talmente arduo<br />

da far tremare i polsi? Come può la parola poetica rappresentare l’irrappresentabile? Come può immag<strong>in</strong>are<br />

l’<strong>in</strong>immag<strong>in</strong>abile? Alessandra N<strong>in</strong>a Maroccolo va <strong>di</strong>rettamente al sodo, <strong>di</strong>rettamente al centro <strong>di</strong> quella<br />

gigantesca problematica tracciata da Adorno: se dopo Auschwitz si possa ancora scrivere <strong>un</strong>a poesia, e se<br />

sia possibile, dal <strong>di</strong>sastro della cultura, adoperare la parola poetica che <strong>di</strong> quella cultura è pur sempre figlia<br />

primogenita?<br />

È f<strong>in</strong> troppo chiaro che <strong>un</strong>a così drastica scelta la poteva compiere soltanto <strong>un</strong> giovane poeta, nel<br />

tentativo <strong>di</strong> <strong>di</strong>chiarare ciò che non può essere taciuto. Poesia algidamente <strong>di</strong>chiarativa, stile neutrale <strong>di</strong><br />

impianto narrativo che assimila al <strong>di</strong>alogo ogni altro vestito formale, che tende alla forma <strong>di</strong>alogica quale<br />

segnale del logos, perché il silenzio sarebbe il nostro peggior nemico e il peggiore nemico della poesia e la<br />

parola poetica va posta nel suo cofanetto, chiusa a chiave, dentro il sarcofago che la cultura del<br />

Novecento ha pre<strong>di</strong>sposto per la poesia: la parola scritta dentro la pag<strong>in</strong>a <strong>di</strong> <strong>un</strong> libro. Si comprende allora<br />

come la parola poetica della Maroccolo si riveli nuda e impura, quasi ritorni <strong>in</strong>nocente, abbia perduto<br />

ogni connotazione <strong>di</strong> “poetico” come lo abbiamo frequentato nel Novecento; la stessa campitura<br />

metrica, il verso “libero”, l’a capo, la rima e tutti gli strumenti della retorica e della stilistica tra<strong>di</strong>zionale<br />

sono stati lasciati cadere nel <strong>di</strong>menticatoio, quello che rimane è la frase nuda e impura nella sua<br />

belligerante neutrale aseità (“Apri la bocca e guardami mentre t’<strong>in</strong>filo la canna”); dove affiorano gli <strong>in</strong>cipit che<br />

rispondono alla normatività della s<strong>in</strong>tassi narrativa (“La sirena. Il suo urlo preann<strong>un</strong>cia l’arrivo delle milizie”);<br />

3


oppure è la normatività dello stile protocollare che <strong>in</strong>vade la pag<strong>in</strong>a (“I prigionieri catturati vengono torturati<br />

s<strong>in</strong>o alla morte, i più fort<strong>un</strong>ati muoiono con p<strong>un</strong>ture <strong>di</strong> benz<strong>in</strong>a o <strong>di</strong> cianuro, altri vengono tagliati aff<strong>in</strong>ché le ferite<br />

s’<strong>in</strong>cancreniscano, altri ancora sono immersi nell’acqua gelida e lasciati morire, alc<strong>un</strong>i f<strong>in</strong>iscono nelle camere da<br />

decompressione”). E la pag<strong>in</strong>a è il vuoto che la colata gelida del narratum riempie. È l’assurdo che sconfessa il<br />

quoti<strong>di</strong>ano. Che cos’è il quoti<strong>di</strong>ano? è ciò che è <strong>di</strong>ventato «normale», la prassi quoti<strong>di</strong>ana del<br />

“quoti<strong>di</strong>ano” normativizzato ascritto a Legge e Logos <strong>in</strong><strong>di</strong>scussi. E il <strong>di</strong>scorso poetico non può che<br />

riflettere su <strong>di</strong> sé la normatività <strong>di</strong> <strong>un</strong>a cultura che ha prodotto lo sterm<strong>in</strong>io, la sua implicita, <strong>in</strong>vereconda<br />

razionalità. La scrittura poetica della Maroccolo, con il suo semplice atto <strong>di</strong> nascita, è la sconfessione più<br />

ra<strong>di</strong>cale del “poetico” e dei “generi” poetici, <strong>in</strong>tesi come posticci, <strong>in</strong>autentici, opere <strong>di</strong> letteratura che<br />

com<strong>un</strong>icano con altra letteratura, con le avanguar<strong>di</strong>e vere o pres<strong>un</strong>te, con gli sperimentalismi e i<br />

decorativismi, tutti equivalenti <strong>in</strong> quanto refrattari ad essere abitati dalla parola poetica. È la parola<br />

poetica che sceglie il suo veicolo e la sua <strong>di</strong>mora, sembra <strong>di</strong>rci l’autrice, quella parola poetica che non ama<br />

frequentare i luoghi della poesia cattedratica o quelli delle “confessioni” spurie e artefatte. <strong>In</strong> <strong>un</strong> certo<br />

senso, lo stile del “<strong>di</strong>ario” era quello più confacente alle esigenze espressive dell’autrice, il più vic<strong>in</strong>o al<br />

bisogno <strong>di</strong> autenticità, all’esemplarità <strong>di</strong> <strong>un</strong> «quoti<strong>di</strong>ano» dentro <strong>un</strong> <strong>un</strong>iverso concentrazionario, dove il<br />

<strong>di</strong>scorso del quoti<strong>di</strong>ano è parametrato al logos assuefatto del potere concentrazionario. Sorprende e quasi<br />

meraviglia che l’autrice abbia avuto il coraggio <strong>di</strong> affrontare <strong>un</strong> “argomento” così impron<strong>un</strong>ciabile,<br />

davvero temerario ma sorprende ancora <strong>di</strong> più la “felicità” dello stile, che sembra <strong>in</strong>contrato quasi per<br />

caso ma <strong>in</strong> realtà voluto e perseguito, con tutto il suo legato testamentario <strong>di</strong> def<strong>un</strong>ti: gli orpelli dello stile<br />

e della retorica. Uno stile gi<strong>un</strong>to al grado zero della f<strong>un</strong>zione poetica, dopo il quale forse non ci potrà<br />

essere ritorno, dove la derisoria celebrazione della rima è gi<strong>un</strong>to al limen dell’autosarcasmo e<br />

dell’autoparo<strong>di</strong>a. Così dolorosamente il Novecento si allontana dalla “nuova poesia” con il suo cumulo <strong>di</strong><br />

orrori e <strong>di</strong> feretri.<br />

-<strong>in</strong>tendere il consenso plenario<br />

come plebiscito lapidario<br />

fenomeno gregario cons<strong>un</strong>tivo totalitario<br />

equalizzato all’eresia <strong>di</strong> Arioconfessare<br />

il carattere ere<strong>di</strong>tario<br />

fe<strong>di</strong>ele <strong>di</strong>ario orig<strong>in</strong>ario<br />

è sillabario obbligazionario<br />

controllo antiparassitario del bestiarioquartiere<br />

reliquiario-lebbrosario legalitario<br />

costretto al precetto dottr<strong>in</strong>ario al calvario<br />

it<strong>in</strong>erario saponario<br />

Ossario-<br />

gli <strong>in</strong>terni senza <strong>in</strong>teriorità nella poesia deterritorializzata<br />

Luca Benassi<br />

I fasti del grigio Roma, Lepisma, 2005 pp. 70 € 10.00<br />

<strong>In</strong> <strong>un</strong> mondo dom<strong>in</strong>ato dalla ideologia del progresso, <strong>in</strong> cui il passato viene rimosso e <strong>di</strong>menticato,<br />

calpestato e ignorato, la poesia del Novecento ha replicato con l’ass<strong>un</strong>zione <strong>di</strong> <strong>un</strong> particolare<br />

abbigliamento stilistico, <strong>un</strong>a sorta <strong>di</strong> «spazio poetico» e con la teorizzazione della cosiddetta «f<strong>un</strong>zione<br />

poetica», ovvero, con la scelta dell’Opposizione e <strong>di</strong> <strong>un</strong>o sperimentalismo consapevole come opzione<br />

sostanzialmente antiprogressista e, paradossalmente, oltranzistica. L’avvento e l’<strong>in</strong>vasione delle poetiche<br />

epigoniche, <strong>in</strong>tendendo con tale term<strong>in</strong>e le poetiche che non criticavano le fondamenta della <strong>di</strong>visione<br />

istituzionale dei l<strong>in</strong>guaggi e delle rispettive competenze scientifiche e gnoseologiche, contribuiva a creare<br />

<strong>un</strong>’oggettiva <strong>di</strong>fficoltà da parte della nuova poesia a percepire e <strong>in</strong>tuire i no<strong>di</strong> problematici entro i quali si<br />

era venuta ad <strong>in</strong>castrare la poesia <strong>di</strong> f<strong>in</strong>e Novecento. Appariva così pienamente visibile, anche agli occhi<br />

dei critici più attenti e sensibili, quel fenomeno che è stato com<strong>un</strong>emente designato come esaurimento<br />

del canone novecentesco. La “nuova” poesia era così costretta a vestire i panni dell’orfana, <strong>di</strong> chi non ha<br />

4


più <strong>di</strong>etro <strong>di</strong> sé la sicurezza <strong>di</strong> <strong>un</strong> sistema consolidato <strong>di</strong> certezze che per convenzione con<strong>di</strong>visa<br />

designiamo con il term<strong>in</strong>e <strong>di</strong> Tra<strong>di</strong>zione o <strong>di</strong> canone novecentesco.<br />

È ovvio che <strong>in</strong> <strong>un</strong> tale contesto culturale la risposta della “nuova poesia” non può essere che la<br />

simulazione della povertà, o meglio, l’adozione <strong>di</strong> <strong>un</strong>a appena <strong>di</strong>ssimulata povertà stilistica e lessicale.<br />

Ness<strong>un</strong>a lucidatura dei mobili <strong>di</strong> arredo, <strong>un</strong>a apparente trascuratezza e trasandatezza del mobilio e delle<br />

suppellettili è <strong>un</strong>o degli aspetti caratteristici <strong>di</strong> questo “nuovo” dandysmo dell’<strong>in</strong>visibilità,<br />

L’autocancellazione della Tra<strong>di</strong>zione dalla poesia <strong>di</strong> <strong>un</strong> Luca Benassi (nato a Roma nel 1976), <strong>in</strong>tende<br />

simulare la non-progettabilità della costruzione poetica a fronte della progettabilità del Progresso, <strong>in</strong>tende<br />

anche <strong>di</strong>mostrare la propria sostanziale refrattarietà stilistica alla «stilizzazione» della Tra<strong>di</strong>zione e<br />

dell’anti-tra<strong>di</strong>zione, guardate come espressioni <strong>di</strong> quella ideologia del Progresso che ancora consentiva<br />

alla poesia <strong>un</strong> pres<strong>un</strong>to angolo <strong>di</strong> «autenticità», <strong>un</strong>a nicchia <strong>di</strong> «riconoscibilità» purchessia e obtorto collo.<br />

La nuova poesia <strong>di</strong> Luca Benassi prende atto, implicitamente, del processo <strong>di</strong> denegazione e <strong>di</strong><br />

deterritorializzazione che ha colpito la poesia nelle nuove con<strong>di</strong>zioni poste dalla società della circolazione<br />

delle merci, e reagisce, a suo modo e nell’ambito delle sue possibilità, alla caduta dell’estetico con<br />

l’adozione <strong>di</strong> <strong>un</strong>o stile sostanzialmente refrattario alla catalogazione dell’estetica, e con il trattamento <strong>di</strong><br />

<strong>un</strong>a tematica e <strong>di</strong> <strong>un</strong>’oggettistica prive <strong>di</strong> “<strong>in</strong>terni”, o meglio, con <strong>un</strong>a poesia che pre<strong>di</strong>lige la<br />

rappresentazione <strong>di</strong> “<strong>in</strong>terni” senza “<strong>in</strong>teriorità”, <strong>di</strong> “<strong>in</strong>terni” atopici. Non a caso il libro <strong>di</strong> esor<strong>di</strong>o <strong>di</strong><br />

Luca Benassi si <strong>in</strong>titola Nei Marg<strong>in</strong>i della Storia (Novi Ligure, Joker, 2000), dove il trattamento stilistico,<br />

pur all’<strong>in</strong>terno <strong>di</strong> ambivalenze ed <strong>in</strong>certezze <strong>di</strong> alc<strong>un</strong>i sp<strong>un</strong>ti stilistici, rivela <strong>un</strong>a ricerca <strong>di</strong><br />

depauperamento e <strong>di</strong> essenzialità lessicale già avviata ed <strong>in</strong> fase avanzata. <strong>In</strong> particolare, l’ultima sezione<br />

contiene due poesie emblematiche della nuova consapevolezza stilistica:<br />

Le rosse buche delle lettere<br />

hanno due entrate:<br />

per la città e per tutte le altre dest<strong>in</strong>azioni<br />

ma dentro ness<strong>un</strong>a parete, ness<strong>un</strong>a <strong>di</strong>visione<br />

e alla f<strong>in</strong>e nella mescolanza<br />

ness<strong>un</strong>o potrà <strong>di</strong>st<strong>in</strong>guere<br />

e a dar <strong>di</strong>rezione<br />

sarà passo a passo lettura attenta.<br />

*<br />

Un televisore grigio<br />

è chiuso nel cemento.<br />

L’hanno buttato cadavere<br />

e muto<br />

<strong>In</strong> <strong>un</strong> pilone delle fondamenta<br />

<strong>In</strong> costruzione.<br />

Era <strong>un</strong> ronzio <strong>di</strong>stratto<br />

nella cuc<strong>in</strong>a d’<strong>un</strong> palazzo<br />

comprato tre per due<br />

<strong>in</strong> <strong>un</strong> grande supermercato.<br />

da Nei Marg<strong>in</strong>i della Storia<br />

5


Con il successivo libro I fasti del grigio (Roma, Lepisma, 2005) la poesia <strong>di</strong> Luca Benassi compie <strong>un</strong><br />

decisivo passo <strong>in</strong> avanti e <strong>un</strong> decisivo salto <strong>di</strong> qualità nella consapevolezza della propria <strong>di</strong>rezione <strong>di</strong><br />

ricerca ma al tempo stesso vi si r<strong>in</strong>traccia anche <strong>un</strong>a esitazione o <strong>un</strong>’<strong>in</strong>certezza gnoseologica d<strong>in</strong>anzi alla<br />

<strong>di</strong>mensione della problematica che si profila; ecco spiegata quella riflessione esistenzialistica che<br />

contrad<strong>di</strong>st<strong>in</strong>gue il suo ultimo stile: il contrapp<strong>un</strong>to <strong>di</strong>venta il leit motiv dom<strong>in</strong>ante, <strong>un</strong>a sorta <strong>di</strong><br />

scandaglio <strong>di</strong>alettico, <strong>un</strong>a sorta <strong>di</strong> pendolo <strong>di</strong> Foucault del pensiero poetante, <strong>un</strong>a sorta <strong>di</strong><br />

corrispondenza tra l’io esperiente e l’io poetante:<br />

C’è <strong>un</strong> tappo che non chiude<br />

le ho provate tutte credo, forse è<br />

<strong>un</strong>a questione<br />

<strong>di</strong> filettatura<br />

ma ogni giorno c’è quel tappo<br />

che non tappa…<br />

da I fasti del grigio<br />

Non siamo più nei marg<strong>in</strong>i della storia ma dentro il trionfo dei fasti del grigio, <strong>un</strong>a zona grigia<br />

dell’<strong>in</strong><strong>di</strong>fferenziato e dell’<strong>in</strong><strong>di</strong>st<strong>in</strong>to che richiede <strong>un</strong>o stile plebeo e protocollare ad <strong>un</strong> tempo, <strong>un</strong>a sorta<br />

<strong>di</strong> gergo burocratico e alto-plebeo, <strong>un</strong>o stile “grigio” app<strong>un</strong>to. Un certo grigiore stilistico e lessicale che<br />

costituisce la strategia <strong>di</strong> accerchiamento dell’io mono<strong>di</strong>co; il tema dell’asse<strong>di</strong>o affiora qui come <strong>un</strong><br />

chiaro proclama <strong>di</strong> poetica e <strong>di</strong> impegno per <strong>un</strong>a poesia militante, <strong>un</strong>o zoccolo duro sotto il quale non è<br />

più lecito retrocedere.<br />

il logos poetico e il <strong>di</strong>scorso sulla menzogna<br />

Daniele Santoro<br />

Diario del <strong>di</strong>sertore alle Termopili Salerno, Nuova Frontiera, 2007 pp. 50 € 8,00<br />

Approccio davvero orig<strong>in</strong>ale questo libro <strong>di</strong> esor<strong>di</strong>o <strong>di</strong> Daniele Santoro Diario del <strong>di</strong>sertore alle Termopili<br />

(Salerno, Nuova Frontiera, 2007), poeta dell’ultima generazione, che suggerisce nuovi scenari possibili.<br />

Sono soltanto quattor<strong>di</strong>ci composizioni dal p<strong>un</strong>to <strong>di</strong> vista <strong>di</strong> <strong>un</strong> <strong>di</strong>sertore dell’armata capeggiata dallo<br />

spartano Leonida. “Leonida ha sessant’anni, se ne fotte/ <strong>di</strong> quanti manda a morte, vuole farsi onore,/ ligio più alla<br />

sua gloria che alla polis”. Il campo <strong>di</strong> battaglia sono le Termopili, «valico della Grecia centrale, tra il golfo<br />

<strong>di</strong> Lamia e le propagg<strong>in</strong>i del monte Kallidromo, nodo strategico <strong>di</strong> collegamento tra la Grecia<br />

settentrionale e meri<strong>di</strong>onale, dove nel 480 a.C. si compì il sacrificio <strong>di</strong> trecento spartani, quattrocento<br />

tebani e settecento <strong>di</strong> Tespe, guidati da Leonida, nel vano tentativo <strong>di</strong> arrestare l’avanzata dell’esercito<br />

persiano», come recita <strong>un</strong>a <strong>di</strong>dascalia posta <strong>in</strong> calce alla plaquette.<br />

Quattor<strong>di</strong>ci composizioni stilate con <strong>un</strong> lessico sobrio e rapido, quasi <strong>un</strong>a sorta <strong>di</strong> sbrigativi app<strong>un</strong>ti<br />

presi da <strong>un</strong> soldato <strong>di</strong>sertore che sa già come andrà a f<strong>in</strong>ire e che non ha alc<strong>un</strong>a voglia <strong>di</strong> farsi<br />

ammazzare per la gloria, rectius, per la gloria <strong>di</strong> Leonida. Mentre Leonida si erge a <strong>di</strong>fensore della civiltà<br />

e della polis, il <strong>di</strong>sertore sa già che si tratta <strong>di</strong> retorica, <strong>di</strong> parole buone per gabbare il consenso dei<br />

soldati, che per quei soldati non ci sarà scampo, dal momento che <strong>un</strong> tra<strong>di</strong>tore, “<strong>un</strong> tale della zona”, ha<br />

venduto ai persiani la notizia del passo <strong>di</strong> anopòia, <strong>un</strong> sentiero che, passando attraverso il monte<br />

Kallidromo, guidava alle Termopili permettendone l’aggiramento. I mille opliti della Focile che si erano<br />

offerti per la sorveglianza del passo, si sono fatti sorprendere e abbandonano il campo. Ora, il teatro<br />

della strage è tracciato. Non c’è dubbio che la battaglia delle Termopili sia la metafora <strong>di</strong> <strong>un</strong>a con<strong>di</strong>zione<br />

storica, metafora sulla quale viene costruita per secoli il logos della menzogna, l’ideologia <strong>di</strong> pochi eroi<br />

che si oppongono ad <strong>un</strong> esercito sterm<strong>in</strong>ato che avanza. È chiaro che man mano che l’autore si<br />

addentra all’<strong>in</strong>terno della metafora ideologica raccontata e tramandata dagli ideologi e dagli apologeti<br />

che, nel corso dei secoli, l’hanno presa per buona e l’hanno propugnata, viene progressivamente <strong>in</strong> luce<br />

il nocciolo della verità storica, ricoperta da pesanti coltri <strong>di</strong> menzogna. Le poesie che ci <strong>in</strong>troducono<br />

dentro questo complesso problematico costituiscono d<strong>un</strong>que <strong>un</strong> vero e proprio <strong>di</strong>scorso sulla verità.


Viene qui capovolta brillantemente la tesi secondo cui l’accesso alla verità percorre soltanto le vie nobili<br />

ed austere della virtù. Le Termopili rappresentano ad <strong>un</strong> tempo la con<strong>di</strong>zione esistenziale della nostra<br />

civiltà, <strong>di</strong> coloro che sono <strong>in</strong>trappolati dentro <strong>un</strong>a gola <strong>di</strong> montagna e non hanno scampo. Possono solo<br />

combattere per l’onore e la gloria, parole piene <strong>di</strong> vuoto e <strong>di</strong> menzogna. Eccoli i soldati mandati allo<br />

sbaraglio da politici e condottieri senza scrupoli:<br />

eccoli i popoli del terzo mondo, i barbari,<br />

quelli che ignorano le nostre leggi,<br />

accampano <strong>di</strong> là del valico che siamo qui<br />

venuti (anzi ci hanno mandati) a presi<strong>di</strong>are,<br />

sono a migliaia quelli del re serse<br />

noi appena quattro gatti che aspettiamo<br />

<strong>in</strong> massa r<strong>in</strong>forzi <strong>di</strong> alleati.<br />

Così, <strong>un</strong> evento accaduto duemilac<strong>in</strong>quecento anni fa, assume per noi <strong>un</strong>a importanza tutta<br />

particolare, viene rivitalizzato e restituito ad <strong>un</strong>a nuova e più vera significazione. Per Daniele<br />

Santoro la poesia è nient’altro che scoperta <strong>di</strong> significati, <strong>un</strong>a sorta <strong>di</strong> sistema <strong>di</strong> <strong>in</strong>dag<strong>in</strong>e che<br />

consente il <strong>di</strong>svelamento <strong>di</strong> <strong>un</strong> nucleo significativo, <strong>un</strong>a sorta <strong>di</strong> <strong>di</strong>scorso sulla verità, occulta e<br />

occultata. Il p<strong>un</strong>to <strong>di</strong> vista del “<strong>di</strong>sertore” conferisce ai testi <strong>un</strong>a sorprendente orientabilità <strong>di</strong><br />

stilizzazione; il metodo <strong>di</strong> <strong>in</strong>dag<strong>in</strong>e apofantico consente <strong>un</strong>o stile mimetico e plastico <strong>di</strong> notevole<br />

forza che rivela le doti <strong>di</strong> <strong>un</strong> poeta certamente fra i più dotati dell’ultima generazione per<br />

<strong>un</strong>’operazione culturale che si <strong>di</strong>stacca notevolmente dai l<strong>in</strong>guaggi parnassiani nutriti <strong>di</strong><br />

eudemonismo ed eurofilia degli impervi monologisti, che badano al sodo e ai ren<strong>di</strong>menti dei propri<br />

titoli <strong>di</strong> borsa, ovvero, alla logica delle posizioni <strong>di</strong> potere e alle dotazioni <strong>di</strong> ren<strong>di</strong>ta parassitaria.<br />

tra l’<strong>in</strong>attualismo del quoti<strong>di</strong>ano-esistenziale e la <strong>in</strong>attualità del quoti<strong>di</strong>ano-stilistico


Maurice Piquè<br />

Fieno per conigli Roma, Il Filo, 2007 pp. 72 € 12.00<br />

<strong>In</strong> <strong>un</strong> noto passo dei suoi Quaderni del carcere Granisci scrive: «Ogni volta che affiora, <strong>in</strong> <strong>un</strong> modo o<br />

nell’altro, la questione della l<strong>in</strong>gua, significa che si sta imponendo <strong>un</strong>a serie <strong>di</strong> altri problemi: la<br />

formazione e l’allargamento della classe <strong>di</strong>rigente, la necessità <strong>di</strong> stabilire rapporti più <strong>in</strong>timi e sicuri tra i<br />

gruppi <strong>di</strong>rigenti e la massa popolare-nazionale, cioè <strong>di</strong> riorganizzare l’egemonia culturale».* È f<strong>in</strong> troppo<br />

chiaro che con questo libro <strong>di</strong> esor<strong>di</strong>o Fieno per conigli, l’autore Maurice Piquè non ha affatto <strong>in</strong>teso<br />

porre «la questione della l<strong>in</strong>gua», per la “nuova poesia” essa non è più il problema centrale da cui<br />

ripartire, e qu<strong>in</strong><strong>di</strong> non c’è più <strong>un</strong> “problema” politico o politico-estetico <strong>in</strong> questione, né tantomeno vi<br />

si trova la questione del ricambio dei «gruppi <strong>di</strong>rigenti» o quella della «egemonia culturale». Oggi si può<br />

affermare, con alto <strong>in</strong><strong>di</strong>ce <strong>di</strong> gra<strong>di</strong>mento, che tutta questa problematica è uscita fuori del quadro teorico<br />

<strong>di</strong> riferimento della “nuova poesia”, fuori delle problematiche che costituiscono il paesaggio<br />

dell’orizzonte <strong>di</strong> attesa dei nuovi poeti, anzi, se vogliamo essere più precisi, il sistema strutturale <strong>di</strong><br />

riferimento della “nuova poesia” non ricomprende più alc<strong>un</strong> orizzonte <strong>di</strong> attesa, la poesia non si dà<br />

come attività “eversiva” o “contrastava” o, come andava <strong>di</strong> moda asserire negli anni Settanta, come<br />

“pratica antagonistica”; ma l’aspetto più significativo è che la “nuova poesia” resta sostanzialmente<br />

estranea anche alle credenziali neo-orfiche, neo-metriche e neo-materiche che <strong>di</strong>r si voglia. <strong>In</strong>sieme alla<br />

Tra<strong>di</strong>zione è franata, <strong>in</strong> questi ultimi anni, ancor <strong>di</strong> più anche l’Anti-tra<strong>di</strong>zione, nella contrapposizione<br />

tutta novecentesca, che <strong>in</strong> realtà serviva a p<strong>un</strong>tellare la legittimità politico-estetica <strong>di</strong> entrambe <strong>in</strong> <strong>un</strong>a<br />

sorta <strong>di</strong> scontro politico-istituzionale che <strong>di</strong>ssimulava a malapena la questione sottostante: la questione<br />

<strong>di</strong> <strong>un</strong> mero ricambio <strong>di</strong> «gruppi <strong>di</strong>rigenti» all’<strong>in</strong>terno della legittimità del <strong>di</strong>scorso poetico: <strong>in</strong> <strong>un</strong>a parola, del<br />

canone novecentesco. E qui veniamo al d<strong>un</strong>que. Maurice Piquè fa <strong>un</strong> passo <strong>in</strong><strong>di</strong>etro, ritorna al genere della<br />

“poesia confessione”, ritorna alla posizione <strong>di</strong> <strong>un</strong>a poesia monologante rigorosamente <strong>in</strong>centrata sulle<br />

<strong>in</strong>termittenze del cuore, per poi fare <strong>un</strong> passo ulteriore: paradossalmente, sempre all’<strong>in</strong><strong>di</strong>etro, verso <strong>un</strong><br />

tipo <strong>di</strong> poesia che adotta <strong>un</strong> metro ricalcato sulla flessione narrativa, sul “parlato” (narratologicamente<br />

parlando) e sul “quasi parlato”, sul piano preli-nguistico del “quasi pensato”, ovvero, quei s<strong>in</strong>tagmi <strong>di</strong><br />

pensiero che ciasc<strong>un</strong>o produce, o crede <strong>di</strong> produrre, su quei pensieri che ciasc<strong>un</strong>o pensa <strong>di</strong> aver detto<br />

senza che mai li abbia veramente profferiti, <strong>in</strong> quella entità limbale della coscienza che la coscienza abita<br />

nello sdoppiamento della vita quoti<strong>di</strong>ana. E poi Maurice Piquè “fonda” il quoti<strong>di</strong>ano, lo rimette <strong>in</strong> pie<strong>di</strong><br />

da dove quel “quoti<strong>di</strong>ano” era stato fatto ruzzolare dalle scaffalature impolverate dei “quoti<strong>di</strong>anisti”, <strong>di</strong><br />

coloro che hanno <strong>in</strong> questi ultimi anni perimetrato il demanio ed il lessico del quoti<strong>di</strong>ano <strong>in</strong> poesia, e<br />

f<strong>in</strong>anche la sua grammatica, arrivando a ipotizzare <strong>un</strong>a “scuola del quoti<strong>di</strong>ano” con tanto <strong>di</strong> maestr<strong>in</strong>e e<br />

maestr<strong>in</strong>i e al<strong>un</strong>ni ossequiosi. Ora, sta <strong>di</strong> fatto che il “quoti<strong>di</strong>ano” <strong>di</strong> Maurice Piquè è cosa ben <strong>di</strong>versa,<br />

è tutto ciò che produce <strong>un</strong>a “<strong>in</strong>termittenza” del cuore e della mente, che produce <strong>un</strong>a devastazione, <strong>un</strong>a<br />

<strong>di</strong>struzione, <strong>un</strong>a zona limbale <strong>in</strong>terme<strong>di</strong>a tra l’alienazione del piano quoti<strong>di</strong>ano e la feticizzazione delle<br />

merci l<strong>in</strong>guistiche, tra l’<strong>in</strong>attualismo del quoti<strong>di</strong>ano-esistenziale e la <strong>in</strong>attualità del quoti<strong>di</strong>ano-stilistico.<br />

Pur con delle <strong>di</strong>scronie e pause nei “<strong>di</strong>m<strong>in</strong>uen<strong>di</strong>”, che <strong>in</strong> alc<strong>un</strong>i luoghi cadono nello pseudopatetico, il<br />

libro resta compatto nell’alternanza <strong>di</strong> accelerazioni e brusche frenate, nei <strong>di</strong>m<strong>in</strong>uendo e negli andanti,<br />

nei larghi e negli improvvisi raccourci, compattamente aderente alla centralità <strong>di</strong> <strong>un</strong> “io” decarnevalizzato,<br />

dove il piano lirico è stato violentemente deiettato sul versante narrativo con<br />

ripercussioni stilistiche senz’altro positive per la carica anti-letteraria che conserva. Colpisce la<br />

chiaroveggenza della situazione <strong>di</strong> poetica dell’autore: <strong>un</strong>a lontananza dal canone imposto (“Ho visto <strong>un</strong><br />

poeta,/ <strong>un</strong>o dei più gran<strong>di</strong> e mi è bastato”), <strong>un</strong>a cru<strong>di</strong>ssima consapevolezza della situazione del poeta nel<br />

mondo delle merci (“Certo, i poeti sono carne da macello,/ e come se avessero tra i versi il segno rosso della<br />

schiavitù”), <strong>un</strong>a cru<strong>di</strong>ssima consapevolezza <strong>di</strong> come andrà a f<strong>in</strong>ire (“F<strong>in</strong>irò per essere cibo per topi,/ o meglio,/<br />

come <strong>un</strong> gabbiano a cui strapperanno le ali./ Il gabbiano/ è quello <strong>di</strong>p<strong>in</strong>to dal pittore umbro,/che si spacciava grande<br />

amico mio”). Personalmente, preferisco i luoghi <strong>in</strong> cui Maurice Piquè si ricorda della lezione <strong>di</strong> <strong>un</strong> Villon<br />

e <strong>di</strong> <strong>un</strong> Cecco Angiolieri a quelli <strong>in</strong> cui si rammenta dei “<strong>di</strong>m<strong>in</strong>uendo” alla Corazz<strong>in</strong>o, ma tant’è, il<br />

risultato è straord<strong>in</strong>ariamente positivo e ricco <strong>di</strong> positivi sviluppi per il futuro. Leggiamo l’<strong>in</strong>izio della<br />

poesia “L’aria <strong>di</strong> maggio”:<br />

L’aria <strong>di</strong> maggio coi suoi primi scirocchi,


che sia maledetta!<br />

Il nauseabondo profumo dei fiori <strong>in</strong> fiore<br />

e l’erba tagliata da strad<strong>in</strong>i <strong>di</strong> arancione vestiti,<br />

mica loro lo sanno del poll<strong>in</strong>e,<br />

<strong>di</strong>abolica mistura per gli allergici.<br />

L’aria <strong>di</strong> maggio che sia maledetta!<br />

Portatrice <strong>di</strong> orticarie dei pensieri,<br />

altro che Manzoni ed il C<strong>in</strong>que Maggio<br />

che ti spacciano a scuola.<br />

Altro che il Primo Maggio dei lavoratori con i cortei<br />

e le scampagnate.<br />

Qui ci vuole qualcos’altro.<br />

* A. Gramsci Quaderni del carcere, vol. III, Tor<strong>in</strong>o, E<strong>in</strong>au<strong>di</strong>, 1975 p. 2346<br />

le eccedenze stilistiche del materiale <strong>di</strong> risulta<br />

Gabriele Pepe<br />

L’ord<strong>in</strong>e bisbetico del caos Faloppio, <strong>LietoColle</strong>, 2007 pp. 70 € 10,00<br />

Un certo tipo <strong>di</strong> cultura che ha attraversato <strong>in</strong> <strong>di</strong>agonale il Novecento ha sostenuto la vali<strong>di</strong>tà estetica ed<br />

epistemologica del «caos» <strong>in</strong>teso come <strong>un</strong>a nuova e <strong>di</strong>versa modalità dell’ «ord<strong>in</strong>e». Il <strong>di</strong>avolo fa le<br />

pentole ma non i coperchi: quell’Opposizione permanente che è <strong>di</strong>ventata <strong>un</strong>’<strong>in</strong>dustria, per <strong>un</strong>a beffa<br />

da coccodrillo, si è rivelata <strong>un</strong>a vera e propria fabbrica del consenso. D<strong>un</strong>que, «caos» come<br />

opposizione al «ritorno all’ord<strong>in</strong>e», «caos» come “nuovo” modello estetico ed esperiente che si<br />

contrappone al modello recipiente e conservativo delle forme estetiche pregresse. Quella medesima<br />

cultura qu<strong>in</strong><strong>di</strong> che ha proclamato la politicizzazione e la scientificizzazione del «caos» quale vettore<br />

produttivo <strong>di</strong> <strong>un</strong>a nuova e <strong>di</strong>versa legislazione del <strong>di</strong>sord<strong>in</strong>e, è quella medesima cultura che ha prodotto<br />

la contro-lirica da hilarotragoe<strong>di</strong>a della anti-poesia <strong>di</strong> Gabriele Pepe, s<strong>in</strong> dal suo primo apparire con<br />

Park<strong>in</strong>g L<strong>un</strong>a (ARPAnet, 2002) e Di corpi franti e scampoli d’amore (<strong>LietoColle</strong>, 2004), f<strong>in</strong>o a quest’ultima<br />

opera: L’ord<strong>in</strong>e bisbetico del caos.<br />

È term<strong>in</strong>ato così il ciclo della trilogia della poesia <strong>di</strong> Gabriele Pepe, dopo la quale il poeta romano<br />

appare orientato verso <strong>un</strong>a “nuova” poesia che non considera più centrale il significante e il piano<br />

semantico rispetto al significato e il semantico rispetto all’iconico-simbolico L’ord<strong>in</strong>e bisbetico del caos può<br />

essere considerato il tipico prodotto artistico <strong>di</strong> <strong>un</strong> poeta gi<strong>un</strong>to alla completa maturità stilistica entro<br />

l’orizzonte <strong>di</strong> attesa della cultura cosiddetta post-modernistica che, paro<strong>di</strong>sticamente, fa capo<br />

all’australopiteco Afarensis, «che <strong>di</strong>venta, <strong>in</strong> Pepe, la “madonna delle ossa”, la “genitrice oscura”, “l’esigua<br />

patriarca della specie/ <strong>di</strong> pelle e muscoli scimmieschi”» (dalla prefazione <strong>di</strong> Stefano Guglielm<strong>in</strong>).<br />

<strong>In</strong> <strong>un</strong>a certa accezione, L’ord<strong>in</strong>e bisbetico del caos rappresenta il prodotto tipico <strong>di</strong> <strong>un</strong>a cultura gi<strong>un</strong>ta alle<br />

soglie della sua estrema belligeranza, <strong>in</strong> quel cr<strong>in</strong>ale che <strong>di</strong>vide il «vecchio» dal «nuovo», <strong>in</strong> quel vuoto<br />

d’aria che separa due atmosfere. L’<strong>in</strong>stabilità, il moto desultorio e sussultorio, la friabilità semantica <strong>di</strong><br />

questa poesia rammenta e richiama l’imponderabilità, la rarefazione, il <strong>di</strong>s-orientamento semantico e<br />

significazionista del mondo delle merci l<strong>in</strong>guistiche. Poesia che si muove all’<strong>in</strong>terno <strong>di</strong> <strong>un</strong>a zona franca<br />

delimitata dalla crisi della cultura del post-sperimentalismo e territorio che si estende verso l’ignoto<br />

stilistico <strong>di</strong> ciò che è l<strong>in</strong>guisticamente possibile all’<strong>in</strong>terno della cultura del post-sperimentalismo. Da <strong>un</strong><br />

lato, Gabriele Pepe tenta la strutturazione <strong>in</strong> <strong>un</strong> rigoroso or<strong>di</strong>to metrico delle materiche escrescenze del<br />

«caos», dall’altro tenta astutamente <strong>di</strong> sobillare l’ord<strong>in</strong>e con <strong>un</strong> materiale <strong>di</strong> risulta sempre eccedente<br />

rispetto al “recipiente” metrico, con il risultato <strong>di</strong> <strong>un</strong>a eccedenza del materico sul metrico, <strong>un</strong> procedere<br />

attento a due fuochi, facendo <strong>un</strong> passo avanti ed <strong>un</strong>o <strong>in</strong><strong>di</strong>etro, con il risultato <strong>di</strong> <strong>un</strong> movimento “f<strong>in</strong>to”,<br />

che non conduce né avanti né <strong>in</strong><strong>di</strong>etro, né a destra né a s<strong>in</strong>istra, né <strong>in</strong> <strong>un</strong> luogo né <strong>in</strong> <strong>un</strong> non-luogo. Un<br />

movimento d<strong>un</strong>que “f<strong>in</strong>to”, <strong>in</strong> <strong>un</strong>a sorta <strong>di</strong> specularità degli specchi <strong>in</strong> quella sezione denom<strong>in</strong>ata<br />

Referto degli specchi, che costituisce il momento centrale del volume, ed anche il momento “curiale” del<br />

volume, per quel sentore <strong>di</strong> “curia” che traspare dalla or<strong>di</strong>tura ipersemantizzata dei testi. Resta il fatto<br />

<strong>in</strong>concusso che <strong>un</strong> elevato gra<strong>di</strong>ente <strong>di</strong> olismo stilistico non può sottacere la “barbarie” <strong>di</strong> <strong>un</strong>a cultura


che ha “fatto” la democrazia <strong>di</strong> massa dei nostri giorni. <strong>In</strong> soldoni, l’olismo stilistico <strong>di</strong> opere come<br />

questa <strong>di</strong> Gabriele Pepe, è il prodotto <strong>di</strong> <strong>un</strong>o «sperimentalismo privato» e <strong>di</strong> <strong>un</strong> impulso mimetico<br />

verso l’<strong>in</strong><strong>di</strong>vidualismo stilistico esasperato. Tanto più esasperato quanto più «privato». E viceversa.<br />

il carattere a-norganico della nuova poesia<br />

Enrico Pietrangeli<br />

Ad Istanbul, tra pubbliche <strong>in</strong>timità Piomb<strong>in</strong>o, Il Foglio, 2007 pp. 70 € 10,00<br />

<strong>In</strong> <strong>un</strong> <strong>famoso</strong> <strong>poemetto</strong> <strong>in</strong> <strong>prosa</strong> <strong>di</strong> <strong>Baudelaire</strong> <strong>in</strong>titolato Per<strong>di</strong>ta d’aureola tratto dallo Spleen <strong>di</strong><br />

Parigi, due amici si <strong>in</strong>contrano sulla soglia <strong>di</strong> <strong>un</strong> bordello: sono <strong>un</strong> anonimo cittad<strong>in</strong>o e <strong>un</strong> poeta<br />

che ha perso la propria aureola nel fango della strada, che ha perso il simbolo che lo<br />

contrad<strong>di</strong>st<strong>in</strong>gueva dagli altri uom<strong>in</strong>i. Che cosa significa questo apologo? Che il poeta della<br />

modernità è <strong>in</strong>nanzi tutto <strong>un</strong> uomo <strong>di</strong> tutti i giorni, costretto a confrontarsi con la realtà (leggi il<br />

mercato). La situazione non è mutata <strong>di</strong> <strong>un</strong>a ette per quanto riguarda la con<strong>di</strong>zione del poeta del<br />

tardo moderno, anzi, si è perf<strong>in</strong>o aggravata per due ord<strong>in</strong>i <strong>di</strong> ragioni: a) per la crisi irreversibile<br />

della cultura delle avanguar<strong>di</strong>e <strong>in</strong>tervenuta nella seconda metà del Novecento; b) per la mancanza <strong>di</strong><br />

<strong>un</strong> referente sociale (leggi la borghesia f<strong>in</strong>anziaria). Nella situazione del tardo moderno il poeta<br />

deve fare i conti con la tra<strong>di</strong>zione e con l’anti-tra<strong>di</strong>zione, con <strong>un</strong>a cultura che esprime <strong>un</strong><br />

l<strong>in</strong>guaggio poetico “normalizzato”, <strong>in</strong> altre parole, con la cultura ufficiale, e con <strong>un</strong>a cultura che<br />

esprime <strong>un</strong> l<strong>in</strong>guaggio problematico, che tenta la ricezione e la traduzione <strong>di</strong> esperienze<br />

significative. Questa doppia “solitud<strong>in</strong>e” del poeta è la con<strong>di</strong>zione <strong>di</strong> svantaggio nella quale si trova<br />

<strong>un</strong> <strong>in</strong>tero genere artistico, il quale è irriconoscibile dalla cultura ufficiale, oppure è riconoscibile, e<br />

allora sarà operazione <strong>di</strong> conformismo e <strong>di</strong> trasformismo, ricezione acritica del suo contenuto <strong>di</strong><br />

verità. <strong>In</strong> <strong>un</strong>a parola, c’è <strong>in</strong> atto <strong>un</strong>a frattura e <strong>un</strong>a iattura e <strong>un</strong>o iato tra la cultura ufficiale dei paesi<br />

occidentali e la poesia, il nesso <strong>di</strong> irriconoscibilità che le <strong>un</strong>isce è il prodotto <strong>di</strong> <strong>un</strong>a reciproca<br />

estraneità. Così la cultura ufficiale alleva e accu<strong>di</strong>sce la poesia che e<strong>di</strong>fica a propria immag<strong>in</strong>e e<br />

somiglianza, <strong>un</strong>a sorta <strong>di</strong> controfigura con segno rivoltato, <strong>un</strong>’arte “signorile”, addomesticata e<br />

frigidamente composta secondo lo sviluppo del canone prescelto.<br />

Il libro <strong>di</strong> Enrico Pietrangeli Ad Istanbul tra pubbliche <strong>in</strong>timità (2007), ci rivela <strong>un</strong> autore che ha<br />

attraversato questa problematica come <strong>un</strong> nomade attraversa il deserto. Come <strong>un</strong> nomade che ha<br />

attraversato sia la Tra<strong>di</strong>zione che l’Anti-tra<strong>di</strong>zione. La solitud<strong>in</strong>e stilistica della poesia <strong>di</strong> Enrico<br />

Pietrangeli non è altro che il personale attraversamento della destrutturazione che ha colpito il <strong>di</strong>scorso<br />

poetico del Novecento. Il carattere a-norganico deriva app<strong>un</strong>to dalla irriflessa presa <strong>di</strong> <strong>di</strong>stanza da tutto<br />

ciò che <strong>di</strong> “organico” compone il panorama delle merci del mercato globale e dalla <strong>di</strong>stanza dalla<br />

quantità <strong>di</strong> stilizzazione portata dalla tra<strong>di</strong>zione novecentesca. Pietrangeli vede <strong>un</strong> <strong>di</strong>scorso ideologico<br />

nella tra<strong>di</strong>zione che tenta a tutti i costi <strong>di</strong> evitare. La stessa ossessione per l’onanismo e il puttanesimo<br />

formano la religione del suo tempo, <strong>un</strong>a sorta <strong>di</strong> dan<strong>di</strong>smo della suburra. L’omaggio “Alle africane<br />

t<strong>un</strong>is<strong>in</strong>e” segna l’equ<strong>in</strong>ozio con i paesaggi dell’anima: (“A Trieste, dannata frontiera,/ galleggiano fluttuanti nel<br />

porto/ profilattici con sembianze <strong>di</strong> meduse…”), la medesima impossibilità <strong>di</strong> descrivere <strong>un</strong> paesaggio che non<br />

sia marchiato dalla presenza <strong>di</strong> “ord<strong>in</strong>ari orrori”, tutto ciò ci conferma nella nostra ipotesi che ci<br />

troviamo al cospetto <strong>di</strong> <strong>un</strong>a poesia a metà strada tra l’esposizione dell’<strong>in</strong>teriorità e la conseguente<br />

pulsione all’<strong>in</strong>ibizione <strong>di</strong> quella pulsione. L’esposizione della poesia sarebbe <strong>un</strong> po’ come la mostra delle<br />

“pubbliche <strong>in</strong>timità”, qualche cosa dal sapore <strong>di</strong> clandest<strong>in</strong>o e <strong>di</strong> ord<strong>in</strong>ario, <strong>di</strong> <strong>in</strong>decoroso e <strong>di</strong> impu<strong>di</strong>co.<br />

Ecco perché <strong>un</strong>a esperienza significativa è data da episo<strong>di</strong> assolutamente ord<strong>in</strong>ari come quella dei<br />

“tergicristalli nella pioggia”, dal titolo <strong>di</strong> <strong>un</strong>a poesia, dove il verso <strong>di</strong> azione è decl<strong>in</strong>ato all’<strong>in</strong>f<strong>in</strong>ito<br />

proprio per rimarcare quell’impermanenza:<br />

Tergicristalli nella pioggia<br />

recidono<br />

per poi nitida devolvere<br />

sublime tempesta<br />

<strong>di</strong> nuovo padrona<br />

su meccanico, alterno tempo


che mi scorre sul parabrezza<br />

Oppure, ricorrono esperienze rigorosamente neutrali e neutralizzate, naturalizzate nel l<strong>in</strong>dore delle<br />

buone abitud<strong>in</strong>i piccolo-borghesi (“Ti desidero così,/ dentro <strong>un</strong> tailleur sp<strong>in</strong>ato,/ gonna al g<strong>in</strong>occhio e collant…”;<br />

“Hai preferito <strong>un</strong> bigotto, codardo cane addestrato/ che ti abbaiava festoso…”); le problematiche esistenziali sono<br />

rigorosamente ridotte alla <strong>di</strong>mensione della cloaca: (“Di questo sperma/ gi<strong>un</strong>to nello spasmo/ <strong>di</strong> <strong>un</strong>a<br />

preghiera…”; “Sc<strong>in</strong>tille multicolori/ tornano al mio cielo:/ spermatozoi morenti/ nell’ancestrale amplesso”).<br />

Enrico Pietrangeli utilizza anche la strategia della serializzazione: la poesia non può che replicare,<br />

all’<strong>in</strong>f<strong>in</strong>ito, con variazioni o senza alc<strong>un</strong>a variazione, la medesima poesia ormai ridotta alla a-significanza<br />

(ve<strong>di</strong> le 14 versioni della medesima composizione titolata “Il Pazzo [Pr<strong>in</strong>t re mix]”). Serializzazione<br />

dell’a-significante, con quel tranquillo <strong>in</strong>cipit, pacificato e pacificatore nel mercato globale delle merci<br />

l<strong>in</strong>guistiche della belligeranza <strong>un</strong>iversale: “È <strong>un</strong> lago fondo e chiaro”.<br />

È certo <strong>un</strong> fatto: la poesia dei “nuovi autori” si trova così <strong>in</strong> <strong>un</strong>a situazione non <strong>in</strong>vi<strong>di</strong>abile, nella<br />

situazione <strong>di</strong> <strong>un</strong> soldato che davanti a sé ha il campo m<strong>in</strong>ato dell’assenza <strong>di</strong> <strong>un</strong>o “stile” e, <strong>di</strong>etro <strong>di</strong> sé,<br />

ha <strong>un</strong> territorio bombardato che è stato lo “stile” del Novecento, ovvero la storia delle parentele e delle<br />

co<strong>in</strong>teressenze tra la quantità <strong>di</strong> stilizzazione applicata ai l<strong>in</strong>guaggi poetici e gli <strong>in</strong>teressi politico-letterari<br />

delle deputazioni letterarie. Una situazione non <strong>in</strong>vi<strong>di</strong>abile e non emendabile.<br />

la hilarotrage<strong>di</strong>a dell’io post-lirico tra carnevalizzazione e conservazione dell’io<br />

Faraòn Meteosès<br />

Psicofantaossessioni Faloppio, <strong>LietoColle</strong>, 2007 pp. 56 € 10,00<br />

Il pr<strong>in</strong>cipio estetico centrale <strong>di</strong> Hegel, il bello come apparire sensibile dell’idea, presuppone il concetto<br />

<strong>di</strong> idea come spirito assoluto. Il pr<strong>in</strong>cipio estetico <strong>di</strong> Faraòn Meteosès (pseudonimo <strong>di</strong> Stefano<br />

Amorese) è il bello come apparire sensibile della fogna, presuppone la fogna come abito dello spirito<br />

assoluto della moderna società delle merci. La società delle merci è <strong>un</strong>a gigantomachia che rappresenta<br />

se stessa, <strong>un</strong>a rappresentazione dove c’è tutto e il contrario <strong>di</strong> tutto. Una rappresentazione che è anche<br />

<strong>un</strong>a carnevalizzazione del reale, che a sua volta è <strong>un</strong>a carnevalizzazione <strong>di</strong> se stessa. Faraòn Meteosès è<br />

<strong>un</strong> poeta della generazione dei quarantenni, è nato a Roma nel 1965, e Psicofantaossessioni è il suo libro <strong>di</strong><br />

esor<strong>di</strong>o. La latitud<strong>in</strong>e è importante perché soltanto <strong>in</strong> <strong>un</strong>a metropoli sporcacciona e me<strong>di</strong>ocre come la<br />

capitale, immersa nei suoi riti politici bizant<strong>in</strong>i e sede della f<strong>in</strong>ta cattolicità della controriforma, <strong>di</strong> <strong>un</strong>a<br />

piccola borghesia m<strong>in</strong>isterialborghese <strong>in</strong>f<strong>in</strong>garda, poteva nascere <strong>un</strong> f<strong>un</strong>go letterario come Faraòn<br />

Meteosès, il cui nome già altisonante, ha qualcosa <strong>di</strong> arcaico-egizio e <strong>di</strong> onirico-derisorio, che già<br />

preann<strong>un</strong>cia nel nome l’imm<strong>in</strong>ente prolasso della fogna delle merci, con le parole <strong>di</strong> chiusura della<br />

raccolta: “Qui… nel supermarket”.<br />

Sappiamo che Bacht<strong>in</strong> nel suo libro su Dostoevskij accenna alla categoria dell’«eccentrico» che<br />

pron<strong>un</strong>cia la «parola <strong>in</strong>opport<strong>un</strong>a». Sta <strong>di</strong> fatto, che la «parola <strong>in</strong>opport<strong>un</strong>a» <strong>di</strong> Faraòn Meteosès si trova<br />

davanti alla problematica <strong>di</strong> dover operare <strong>un</strong>a «carnevalizzazione» <strong>di</strong> <strong>un</strong> reale che è già<br />

carnevalizzazione <strong>di</strong> se stesso, <strong>di</strong> <strong>un</strong> reale che ha già abolito la Tra<strong>di</strong>zione, <strong>di</strong> <strong>un</strong> «reale» per cui non c’è<br />

più luogo né modo <strong>di</strong> operare alc<strong>un</strong>a violazione della norma tra<strong>di</strong>zionale per il semplice fatto che il<br />

tardo Moderno ha abolito il concetto <strong>di</strong> norma e la società delle merci l<strong>in</strong>guistiche non è <strong>di</strong>st<strong>in</strong>guibile <strong>in</strong><br />

alc<strong>un</strong>a guisa dalla società delle merci <strong>di</strong> quel supermarket permanente che caratterizza il Moderno. Il<br />

poeta romano, con <strong>un</strong>a fulm<strong>in</strong>ea s<strong>in</strong>tesi poetico-estetica, ha compreso imme<strong>di</strong>atamente tutto ciò, e la<br />

sua «carnevalizzazione» è al contempo <strong>un</strong>a anti-carnevalizzazione, e la «<strong>di</strong>scesa culturale» <strong>di</strong> cui parla<br />

Bacht<strong>in</strong> è resa qui impossibile dall’oggettivo stato delle cose <strong>in</strong> sede filosofica ed estetica: la<br />

«carnevalizzazione» <strong>di</strong> Faraòn Meteosès non può operare alc<strong>un</strong>a «<strong>di</strong>scesa culturale» né lessicale, né<br />

s<strong>in</strong>tattica, né metrica, né sul piano dell’organizzazione del testo. Come il carnevale segna la sospensione<br />

delle norme che regolano il consorzio civile e <strong>in</strong>augura, per usare le parole <strong>di</strong> Bacht<strong>in</strong>, <strong>un</strong>a «vita<br />

all’<strong>in</strong>contrario», così la anti-carnevalizzazione <strong>di</strong> Faraòn Meteosès si riduce ad essere nient’altro che la<br />

lotta per la autoconservazione dell’io pura e semplice, autoconservazione che si esprime nella<br />

hilarotragoe<strong>di</strong>a dell’io sballottato nel ribobolo, nei rigagnoli dei rottami e del lerciume lucidato che<br />

galleggia <strong>in</strong> quel supermarket permanente che è la situazione-base del tardo Moderno. Psicofantaossessioni<br />

costituisce, a mio avviso, il più drastico e spregiu<strong>di</strong>cato attacco <strong>di</strong> <strong>un</strong> poeta alla modernità del


conformismo carnevalizzato che costituisce la base, la trama e la filigrana della tarda modernità<br />

letteraria, dove la «parola <strong>in</strong>opport<strong>un</strong>a» <strong>di</strong> bacht<strong>in</strong>iana memoria si rivela essere <strong>un</strong>a altezzosa attività <strong>di</strong><br />

fiancheggiamento del conformismo delle classi <strong>in</strong>tellettuali <strong>di</strong>rigenti. La parola <strong>di</strong> Faraòn Meteosès è<br />

<strong>in</strong>vece quanto mai opport<strong>un</strong>a <strong>in</strong> <strong>un</strong> contesto letterario come quello italiano dove la quantità <strong>di</strong><br />

conformismo e <strong>di</strong> arroganza delle élites <strong>in</strong>tellettuali ha raggi<strong>un</strong>to livelli <strong>di</strong> <strong>in</strong>qu<strong>in</strong>amento davvero<br />

<strong>in</strong>quietanti e <strong>in</strong>tollerabili. Il poeta romano imbastisce così <strong>un</strong>a batteria <strong>di</strong> armi leggere, <strong>di</strong> mitragliamenti<br />

e <strong>di</strong> fuochi <strong>di</strong> sbarramento da lasciare impressionati e <strong>in</strong>terdetti: la più alta dose <strong>di</strong> micro-armi <strong>di</strong><br />

<strong>di</strong>struzione <strong>in</strong> mano ad <strong>un</strong> <strong>in</strong>cen<strong>di</strong>ario della tempra <strong>di</strong> Faraòn Meteosès, a metà tra “Arconte e<br />

Rodomonte/ priapeo e clitorideo”, è cosa che fa ben sperare per poter rompere quel guscio <strong>di</strong> conformismo<br />

letterario soli<strong>di</strong>ficatosi nel nostro paese e che detta da sempre le gerarchie e le primazie letterarie:<br />

Adesso depotenziare il POTERE<br />

sfiancarne i fianchi <strong>in</strong> liposuzione dei lacché<br />

ago-aspirarne i sottomenti <strong>in</strong> lift<strong>in</strong>g dei Visir<br />

nei double-face dei Conformisti-Trasformisti”;<br />

non <strong>di</strong>co mai la Verità, <strong>in</strong> dettatura, se non sotto tortura,<br />

perché il mio congi<strong>un</strong>tivo è congi<strong>un</strong>tivite, il mio <strong>in</strong><strong>di</strong>cativo è <strong>un</strong> <strong>in</strong><strong>di</strong>zio au<strong>di</strong>tivo,<br />

è <strong>un</strong> congegno l<strong>in</strong>guistico <strong>in</strong> <strong>un</strong>o… Yabadaba-duzzie<br />

delle mie balbuzie…<br />

Se il Novecento si era aperto con la carnevalizzazione de i Cavalli bianchi (1905) <strong>di</strong> Palazzeschi, si<br />

può affermare che si chiude con la meta-carnevalizzazione <strong>di</strong> Psicofantaossessioni <strong>di</strong> Faraòn<br />

Meteosès.<br />

la poesia tra parlato “rettificato” e contam<strong>in</strong>azione dell’io<br />

Mart<strong>in</strong>a Ippolito<br />

Readymate rettificato Roma, Lepisma 2007 pp. 78 € 12,00<br />

Mart<strong>in</strong>a Ippolito è nata nel 1984 mentre chi scrive appartiene alla generazione del C<strong>in</strong>quanta: ci<br />

<strong>di</strong>vidono due generazioni, durante le quali la quaestio poesia ha vissuto <strong>un</strong>a crisi <strong>di</strong> identità come mai era<br />

avvenuto nel corso del Novecento. Per questo motivo la lettura <strong>di</strong> <strong>un</strong>a giovane poetessa dell’ultima<br />

generazione è <strong>un</strong> compito altamente stimolante per spiare dentro il “laboratorio” poetico <strong>di</strong> <strong>un</strong> autore<br />

“nuovo”. La domanda che pongo è molto semplice: dove va la “nuova poesia”?<br />

Ci sono poeti che appartengono ad <strong>un</strong>a generazione e poeti che appartengono ad <strong>un</strong>a età. Credo che<br />

Mart<strong>in</strong>a Ippolito sia <strong>un</strong>a poetessa nella seconda accezione, nella sua produzione si possono r<strong>in</strong>tracciare,<br />

<strong>in</strong> nuce, tutti i problemi che stanno sul tappeto del fare poesia oggi. Esauritasi la possibilità <strong>di</strong><br />

pron<strong>un</strong>ciare <strong>un</strong>a “parola politica” dopo la caduta dell’Utopia, esauritesi le potenzialità delle poetiche<br />

post-sperimentali, <strong>di</strong>ssoltesi le illusioni <strong>di</strong> poter produrre <strong>un</strong> l<strong>in</strong>guaggio poetico sulle rov<strong>in</strong>e dell’età del<br />

nichilismo, Mart<strong>in</strong>a Ippolito si è trovata <strong>di</strong> fronte alla necessità <strong>di</strong> ricom<strong>in</strong>ciare daccapo, app<strong>un</strong>to da <strong>un</strong>a<br />

sorta <strong>di</strong> “readymade” opport<strong>un</strong>amente “rettificato” per usare le sue parole. Come si sa il ready made era<br />

quell’oggetto che i surrealisti avevano preso dalla “realtà” per trasporlo sul piano dei l<strong>in</strong>guaggi artistici<br />

senza alc<strong>un</strong>a me<strong>di</strong>azione, per il semplice dato <strong>di</strong> fatto della sua esistenza come forma-merce nell’ambito<br />

della società <strong>di</strong> massa. Ora, Mart<strong>in</strong>a Ippolito si rende subito conto che imboccare <strong>un</strong>a qualsiasi<br />

<strong>di</strong>rezione <strong>di</strong> ricerca significherebbe implicitamente sacrificare tutte le altre, e tenta la strada esattamente<br />

opposta: la strada della contam<strong>in</strong>azione e della “rettificazione” <strong>di</strong> tutte le forme-<strong>in</strong>terne ere<strong>di</strong>tate dalla<br />

tra<strong>di</strong>zione e <strong>di</strong> tutti gli oggetti l<strong>in</strong>guistici: ovvero, la poesia confessione (“Postmatura resto/ feto nella fossa/<br />

dell’anima amniotica…”), la procedura sperimentale degli <strong>in</strong>croci lessicali e semantici (“quando m’alieno,<br />

m’all<strong>un</strong>o e t’annullo…”), l’adozione del “parlato” letterario (“Parlami, Musa, <strong>di</strong> mura e conf<strong>in</strong>i,/ spazi <strong>di</strong> pelle,<br />

giard<strong>in</strong>i <strong>di</strong> serre,/ <strong>di</strong> terre battute, zolle riemerse…”), l’adozione <strong>di</strong> espressioni iperrealistiche (“Come <strong>un</strong>a/<br />

mosca batto il vetro del barattolo”). Il risultato f<strong>in</strong>ale è <strong>un</strong> tipo <strong>di</strong> poesia a-norganica, costruita con i materiali<br />

<strong>di</strong> risulta, materiali emotivi e affettivi, materiali esp<strong>un</strong>ti dal processo <strong>di</strong> produzione e <strong>di</strong><br />

sovrapproduzione delle merci l<strong>in</strong>guistiche, <strong>un</strong>a poesia che <strong>in</strong>tende com<strong>un</strong>icare le frizioni, gli attriti, le


vischiosità, le densità del l<strong>in</strong>guaggio, non più musicale, come se avesse perduto, durante il tragitto<br />

temporale-esistenziale, ogni sublimazione musicale ed ogni desublimazione de-musicale; <strong>un</strong>a poesia che<br />

tende ad andare al <strong>di</strong> là del qui e ora, pur tentando <strong>di</strong> restare agganciata alla realtà del qui e ora, così<br />

come non è <strong>in</strong>ten<strong>di</strong>mento <strong>di</strong> questa poesia condurre il lettore verso <strong>un</strong>o spiraglio dell’Altrove, l’altrove<br />

è ristabilito nel qui e ora, nelle s<strong>in</strong>gole scelte l<strong>in</strong>guistiche e metaforiche. Tutta materialistica e materiata<br />

<strong>di</strong> materiali fisicamente convessi e frugali, la poesia della Ippolito <strong>in</strong>tende prol<strong>un</strong>gare, da <strong>un</strong> lato, la<br />

traccia degli dèi smarriti e <strong>di</strong>ssolti, dall’altro, <strong>in</strong>tende <strong>in</strong>cidere nella ferita l<strong>in</strong>guistica del ready made,<br />

all’<strong>in</strong>terno del l<strong>in</strong>guaggio poetico post-novecentesco con tutto il suo carico <strong>di</strong> ant<strong>in</strong>omie e <strong>di</strong> no<strong>di</strong><br />

estetici irrisolti. Una poesia come questa della Ippolito che si <strong>di</strong>rige verso i no<strong>di</strong> estetici irrisolti come <strong>un</strong><br />

sommergibile contro <strong>un</strong>a portaerei, è senz’altro degna della massima considerazione, se non altro per il<br />

coraggio <strong>di</strong>mostrato. Ma, ovviamente, la deflagrazione che doveva aprire la via verso <strong>un</strong>a soluzione<br />

estetica, <strong>in</strong> realtà non fa altro che aggravare la situazione della crisi della poesia post-novecentesca. La<br />

poesia della Ippolito la si può qu<strong>in</strong><strong>di</strong> <strong>in</strong>serire all’<strong>in</strong>terno <strong>di</strong> quelle fenomenologie estetiche che si<br />

muovono a ridosso delle poetiche della <strong>di</strong>ssem<strong>in</strong>azione, tipiche dell’età del nichilismo <strong>di</strong>spiegato della fase<br />

attuale della nostra civiltà. All’<strong>in</strong>terno della gigantesca gigantomachia della produzione <strong>di</strong> merci<br />

“ottiche” e l<strong>in</strong>guistiche della società globale, la <strong>di</strong>ssem<strong>in</strong>azione opererebbe a ritroso, a rimorchio della<br />

produzione <strong>di</strong> ciò che è uscito dalla produzione. Questo fenomeno credo sia r<strong>in</strong>venibile nello stile<br />

“rettificato” della poesia della Ippolito, che procede a cont<strong>in</strong>ui aggiustamenti e correzioni man mano<br />

che attua il proprio sviluppo. Direi che questo l<strong>in</strong>guaggio poetico resiste con tutte le sue forze alla<br />

<strong>in</strong>si<strong>di</strong>a dello “stile” e alla <strong>in</strong>sistenza del “reale” che preme da tutte le parti, restando come dentro <strong>un</strong><br />

accerchiamento: dentro il sortilegio delle merci l<strong>in</strong>guistiche per crivellarle e farle esplodere.<br />

il l<strong>in</strong>guaggio <strong>di</strong> nicchia come bisogno <strong>di</strong> autenticità<br />

Daniel C<strong>un</strong>dari<br />

Cacagliùsi (Balbuzienti) Roma, Lepisma 2007 pp. 64 € 10,00<br />

Ci chie<strong>di</strong>amo il perché <strong>un</strong> poeta nato a Rogliano <strong>in</strong> Calabria nel 1983 abbia sentito il bisogno <strong>di</strong> tradurre<br />

nel <strong>di</strong>aletto <strong>di</strong> Rogliano alc<strong>un</strong>i canti dell’<strong>In</strong>ferno della Div<strong>in</strong>a Comme<strong>di</strong>a e poesie <strong>di</strong> Hikmet, Kavafis, Celan,<br />

Mandel’stam, Alberti e Catullo (presenti <strong>in</strong> appen<strong>di</strong>ce al libro) e abbia pubblicato poesie nel <strong>di</strong>aletto <strong>di</strong><br />

Rogliano <strong>di</strong> Calabria pur sapendo che, necessariamente, la circolazione del suo libro sarebbe stata<br />

limitata ad <strong>un</strong> ristretto pubblico <strong>di</strong> cultori e <strong>di</strong> specialisti <strong>in</strong> <strong>un</strong> momento storico <strong>in</strong> cui la poesia è<br />

costretta a <strong>di</strong>morare <strong>in</strong> <strong>un</strong>a sorta <strong>di</strong> nicchia o <strong>di</strong> limbo a causa della rarefazione del pubblico dei lettori.<br />

Oso formulare <strong>un</strong>a spiegazione. <strong>In</strong>nanzitutto, la necessità <strong>di</strong> ritrovare <strong>un</strong> ancoraggio solido al <strong>di</strong> fuori<br />

della tra<strong>di</strong>zione letteraria, vista con sospetto dagli autori della nuova generazione e, <strong>in</strong> seconda istanza,<br />

per il bisogno <strong>di</strong> “trovare” <strong>un</strong> referente imme<strong>di</strong>ato, per ritrovare l’oggetto non contam<strong>in</strong>ato dagli<br />

approcci novecenteschi. <strong>In</strong>somma, Daniel C<strong>un</strong>dari si è cimentato <strong>in</strong> <strong>un</strong>a <strong>di</strong>rezione sicuramente<br />

impervia e irta <strong>di</strong> <strong>di</strong>fficoltà. Ma si sa che la fort<strong>un</strong>a aiuta gli audaci e, a volte, la scelta più <strong>di</strong>fficile si<br />

rivela essere <strong>un</strong>a strada maestra. Il tentativo del poeta <strong>di</strong> Rogliano è particolarmente significativo se<br />

consideriamo che la l<strong>in</strong>gua adoperata è come <strong>un</strong> muro <strong>di</strong> sicurezza che delimita le esperienze<br />

significative che si possono esperire all’<strong>in</strong>terno <strong>di</strong> quell’i<strong>di</strong>oma, ma al tempo stesso C<strong>un</strong>dari opera <strong>un</strong><br />

raccordo e <strong>un</strong> “ricongi<strong>un</strong>gimento con la letteratura nazionale”, come chiosa acutamente Pasqu<strong>in</strong>o<br />

Crupi nella nota <strong>di</strong> lettura <strong>in</strong> calce al libro, nella misura <strong>in</strong> cui le esperienze significative nella l<strong>in</strong>gua <strong>di</strong><br />

Rogliano sono <strong>in</strong>fatti imme<strong>di</strong>atamente traducibili nella l<strong>in</strong>gua nazionale senza perdere alc<strong>un</strong>ché della<br />

loro forza orig<strong>in</strong>aria. È come se all’<strong>in</strong>terno del suo i<strong>di</strong>oma C<strong>un</strong>dari avesse trovato il modo <strong>di</strong> sfuggire al<br />

sortilegio <strong>di</strong> <strong>un</strong>a l<strong>in</strong>guisticità esasperata e convenzionale che oggi affligge la poesia italiana “maggiore”,<br />

ed è anche, credo, <strong>un</strong>a strategia per sfuggire all’appiattimento narrativo della post-poesia <strong>in</strong> italiano<br />

erede piuttosto <strong>di</strong> <strong>un</strong>a crisi, con tutte le conseguenze <strong>di</strong> genericità e <strong>di</strong> arbitrarietà che la<br />

contrad<strong>di</strong>st<strong>in</strong>guono. C’era <strong>in</strong> C<strong>un</strong>dari il bisogno <strong>di</strong> ritornare <strong>in</strong><strong>di</strong>etro, alle esperienze <strong>in</strong><strong>di</strong>viduali, c’era il<br />

bisogno <strong>di</strong> ritrovare <strong>un</strong> l<strong>in</strong>guaggio poetico s<strong>in</strong>tetico ed ellittico, che facesse perno sulla metafora e<br />

sull’immag<strong>in</strong>e, escludendo ogni ricorso ad <strong>un</strong>a ambientazione <strong>di</strong> orig<strong>in</strong>e “narrativa”. <strong>In</strong>somma, Daniel


C<strong>un</strong>dari opta per <strong>un</strong> registro onirico-surreale, <strong>in</strong> consonanza con la cultura popolare della sua terra,<br />

senza alc<strong>un</strong> riguardo per alc<strong>un</strong> tipo <strong>di</strong> populismo o <strong>di</strong> folklorismo a buon mercato, senza neanche<br />

cadere nella facile trappola del bozzetto e del bozzettismo ma rivalutando la cultura popolare e<br />

consentendo il suo travaso nella cultura ufficiale. C<strong>un</strong>dari <strong>in</strong>serisce la cultura dell’esistenzialismo<br />

nell’ambito del suo i<strong>di</strong>oma e delle sue tematiche, ottenendo <strong>un</strong> risultato <strong>di</strong> grande <strong>in</strong>teresse e rivelando<br />

<strong>un</strong> <strong>in</strong>dubbio talento compositivo. Vorrei citare <strong>in</strong> proposito <strong>un</strong>a poesia nella traduzione <strong>in</strong> italiano:<br />

“’Vattene’/ <strong>di</strong>ceva il merlo al re./ ‘Gli uom<strong>in</strong>i sono liberi/ sono fischi <strong>di</strong> vento’.// <strong>In</strong>tanto <strong>un</strong>a troppa/ piegava la<br />

querce/ e <strong>un</strong>a lepre fuggiva al buio./ Zia Seraf<strong>in</strong>a battezzava il bamb<strong>in</strong>o,/ i cani l<strong>un</strong>go la strada si confessavano,/ il<br />

me<strong>di</strong>co cambiava cera.// Mi riprendo dal sogno./ Gli uom<strong>in</strong>i sono carcerati/ il sole non ha lati/ per<br />

illum<strong>in</strong>arli./ L’erba è fresca nel pollaio/ e non ci sono falci per il pen<strong>di</strong>o”. <strong>In</strong>f<strong>in</strong>e, <strong>un</strong> altro pregio <strong>di</strong> questa scelta<br />

l<strong>in</strong>guistica è la possibilità per il poeta <strong>di</strong> evitare il cosiddetto “pluril<strong>in</strong>guismo” e la “ambiguità” del segno<br />

l<strong>in</strong>guistico della poesia italiana novecentesca, ciò che gli consente <strong>di</strong> fare tutte le scelte tematiche e<br />

metaforiche possibili senza pagare alc<strong>un</strong> dazio <strong>in</strong> sede estetica. Così, possiamo affermare che la l<strong>in</strong>gua<br />

dei “balbuzienti” appare straord<strong>in</strong>ariamente severa e impervia, risulta ben più eloquente <strong>di</strong> molta poesia<br />

contemporanea azzimata e bene educata ma, app<strong>un</strong>to per questo, conformista. È la spregiu<strong>di</strong>cata<br />

“s<strong>in</strong>cerità” (leggi autenticità) delle metafore <strong>di</strong> questa poesia che ci raggi<strong>un</strong>ge, anche nella traduzione <strong>in</strong><br />

italiano, come <strong>di</strong> <strong>un</strong> <strong>un</strong>iverso più “vero” e più “<strong>in</strong>tenso” del nostro (<strong>in</strong>tendo della l<strong>in</strong>gua maggiore) che<br />

abbiamo <strong>di</strong>menticato e rimosso per via <strong>di</strong> <strong>un</strong>a falsa cultura che abbiamo <strong>in</strong>cautamente e acriticamente<br />

assimilato.

Hooray! Your file is uploaded and ready to be published.

Saved successfully!

Ooh no, something went wrong!