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In un famoso poemetto in prosa di Baudelaire intitolato ... - LietoColle

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Maurice Piquè<br />

Fieno per conigli Roma, Il Filo, 2007 pp. 72 € 12.00<br />

<strong>In</strong> <strong>un</strong> noto passo dei suoi Quaderni del carcere Granisci scrive: «Ogni volta che affiora, <strong>in</strong> <strong>un</strong> modo o<br />

nell’altro, la questione della l<strong>in</strong>gua, significa che si sta imponendo <strong>un</strong>a serie <strong>di</strong> altri problemi: la<br />

formazione e l’allargamento della classe <strong>di</strong>rigente, la necessità <strong>di</strong> stabilire rapporti più <strong>in</strong>timi e sicuri tra i<br />

gruppi <strong>di</strong>rigenti e la massa popolare-nazionale, cioè <strong>di</strong> riorganizzare l’egemonia culturale».* È f<strong>in</strong> troppo<br />

chiaro che con questo libro <strong>di</strong> esor<strong>di</strong>o Fieno per conigli, l’autore Maurice Piquè non ha affatto <strong>in</strong>teso<br />

porre «la questione della l<strong>in</strong>gua», per la “nuova poesia” essa non è più il problema centrale da cui<br />

ripartire, e qu<strong>in</strong><strong>di</strong> non c’è più <strong>un</strong> “problema” politico o politico-estetico <strong>in</strong> questione, né tantomeno vi<br />

si trova la questione del ricambio dei «gruppi <strong>di</strong>rigenti» o quella della «egemonia culturale». Oggi si può<br />

affermare, con alto <strong>in</strong><strong>di</strong>ce <strong>di</strong> gra<strong>di</strong>mento, che tutta questa problematica è uscita fuori del quadro teorico<br />

<strong>di</strong> riferimento della “nuova poesia”, fuori delle problematiche che costituiscono il paesaggio<br />

dell’orizzonte <strong>di</strong> attesa dei nuovi poeti, anzi, se vogliamo essere più precisi, il sistema strutturale <strong>di</strong><br />

riferimento della “nuova poesia” non ricomprende più alc<strong>un</strong> orizzonte <strong>di</strong> attesa, la poesia non si dà<br />

come attività “eversiva” o “contrastava” o, come andava <strong>di</strong> moda asserire negli anni Settanta, come<br />

“pratica antagonistica”; ma l’aspetto più significativo è che la “nuova poesia” resta sostanzialmente<br />

estranea anche alle credenziali neo-orfiche, neo-metriche e neo-materiche che <strong>di</strong>r si voglia. <strong>In</strong>sieme alla<br />

Tra<strong>di</strong>zione è franata, <strong>in</strong> questi ultimi anni, ancor <strong>di</strong> più anche l’Anti-tra<strong>di</strong>zione, nella contrapposizione<br />

tutta novecentesca, che <strong>in</strong> realtà serviva a p<strong>un</strong>tellare la legittimità politico-estetica <strong>di</strong> entrambe <strong>in</strong> <strong>un</strong>a<br />

sorta <strong>di</strong> scontro politico-istituzionale che <strong>di</strong>ssimulava a malapena la questione sottostante: la questione<br />

<strong>di</strong> <strong>un</strong> mero ricambio <strong>di</strong> «gruppi <strong>di</strong>rigenti» all’<strong>in</strong>terno della legittimità del <strong>di</strong>scorso poetico: <strong>in</strong> <strong>un</strong>a parola, del<br />

canone novecentesco. E qui veniamo al d<strong>un</strong>que. Maurice Piquè fa <strong>un</strong> passo <strong>in</strong><strong>di</strong>etro, ritorna al genere della<br />

“poesia confessione”, ritorna alla posizione <strong>di</strong> <strong>un</strong>a poesia monologante rigorosamente <strong>in</strong>centrata sulle<br />

<strong>in</strong>termittenze del cuore, per poi fare <strong>un</strong> passo ulteriore: paradossalmente, sempre all’<strong>in</strong><strong>di</strong>etro, verso <strong>un</strong><br />

tipo <strong>di</strong> poesia che adotta <strong>un</strong> metro ricalcato sulla flessione narrativa, sul “parlato” (narratologicamente<br />

parlando) e sul “quasi parlato”, sul piano preli-nguistico del “quasi pensato”, ovvero, quei s<strong>in</strong>tagmi <strong>di</strong><br />

pensiero che ciasc<strong>un</strong>o produce, o crede <strong>di</strong> produrre, su quei pensieri che ciasc<strong>un</strong>o pensa <strong>di</strong> aver detto<br />

senza che mai li abbia veramente profferiti, <strong>in</strong> quella entità limbale della coscienza che la coscienza abita<br />

nello sdoppiamento della vita quoti<strong>di</strong>ana. E poi Maurice Piquè “fonda” il quoti<strong>di</strong>ano, lo rimette <strong>in</strong> pie<strong>di</strong><br />

da dove quel “quoti<strong>di</strong>ano” era stato fatto ruzzolare dalle scaffalature impolverate dei “quoti<strong>di</strong>anisti”, <strong>di</strong><br />

coloro che hanno <strong>in</strong> questi ultimi anni perimetrato il demanio ed il lessico del quoti<strong>di</strong>ano <strong>in</strong> poesia, e<br />

f<strong>in</strong>anche la sua grammatica, arrivando a ipotizzare <strong>un</strong>a “scuola del quoti<strong>di</strong>ano” con tanto <strong>di</strong> maestr<strong>in</strong>e e<br />

maestr<strong>in</strong>i e al<strong>un</strong>ni ossequiosi. Ora, sta <strong>di</strong> fatto che il “quoti<strong>di</strong>ano” <strong>di</strong> Maurice Piquè è cosa ben <strong>di</strong>versa,<br />

è tutto ciò che produce <strong>un</strong>a “<strong>in</strong>termittenza” del cuore e della mente, che produce <strong>un</strong>a devastazione, <strong>un</strong>a<br />

<strong>di</strong>struzione, <strong>un</strong>a zona limbale <strong>in</strong>terme<strong>di</strong>a tra l’alienazione del piano quoti<strong>di</strong>ano e la feticizzazione delle<br />

merci l<strong>in</strong>guistiche, tra l’<strong>in</strong>attualismo del quoti<strong>di</strong>ano-esistenziale e la <strong>in</strong>attualità del quoti<strong>di</strong>ano-stilistico.<br />

Pur con delle <strong>di</strong>scronie e pause nei “<strong>di</strong>m<strong>in</strong>uen<strong>di</strong>”, che <strong>in</strong> alc<strong>un</strong>i luoghi cadono nello pseudopatetico, il<br />

libro resta compatto nell’alternanza <strong>di</strong> accelerazioni e brusche frenate, nei <strong>di</strong>m<strong>in</strong>uendo e negli andanti,<br />

nei larghi e negli improvvisi raccourci, compattamente aderente alla centralità <strong>di</strong> <strong>un</strong> “io” decarnevalizzato,<br />

dove il piano lirico è stato violentemente deiettato sul versante narrativo con<br />

ripercussioni stilistiche senz’altro positive per la carica anti-letteraria che conserva. Colpisce la<br />

chiaroveggenza della situazione <strong>di</strong> poetica dell’autore: <strong>un</strong>a lontananza dal canone imposto (“Ho visto <strong>un</strong><br />

poeta,/ <strong>un</strong>o dei più gran<strong>di</strong> e mi è bastato”), <strong>un</strong>a cru<strong>di</strong>ssima consapevolezza della situazione del poeta nel<br />

mondo delle merci (“Certo, i poeti sono carne da macello,/ e come se avessero tra i versi il segno rosso della<br />

schiavitù”), <strong>un</strong>a cru<strong>di</strong>ssima consapevolezza <strong>di</strong> come andrà a f<strong>in</strong>ire (“F<strong>in</strong>irò per essere cibo per topi,/ o meglio,/<br />

come <strong>un</strong> gabbiano a cui strapperanno le ali./ Il gabbiano/ è quello <strong>di</strong>p<strong>in</strong>to dal pittore umbro,/che si spacciava grande<br />

amico mio”). Personalmente, preferisco i luoghi <strong>in</strong> cui Maurice Piquè si ricorda della lezione <strong>di</strong> <strong>un</strong> Villon<br />

e <strong>di</strong> <strong>un</strong> Cecco Angiolieri a quelli <strong>in</strong> cui si rammenta dei “<strong>di</strong>m<strong>in</strong>uendo” alla Corazz<strong>in</strong>o, ma tant’è, il<br />

risultato è straord<strong>in</strong>ariamente positivo e ricco <strong>di</strong> positivi sviluppi per il futuro. Leggiamo l’<strong>in</strong>izio della<br />

poesia “L’aria <strong>di</strong> maggio”:<br />

L’aria <strong>di</strong> maggio coi suoi primi scirocchi,

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