Standard italiani per la cura del diabete mellito - AMD
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22 STANDARD ITALIANI PER LA CURA DEL DIABETE MELLITO<br />
(Diabetes Prevention Program) (5) prevedevano, come base<br />
<strong>del</strong>l’intervento multifattoriale sullo stile di vita, una riduzione<br />
<strong>del</strong> consumo di grassi saturi e un aumento <strong>del</strong>le fibre<br />
vegetali oltre al<strong>la</strong> riduzione ponderale e all’aumento <strong>del</strong>l’attività<br />
fisica. È verosimile che <strong>la</strong> riduzione <strong>del</strong>l’incidenza<br />
di <strong>diabete</strong> tipo 2 ottenuta in questi studi sia dovuta in parte<br />
anche alle modifiche <strong>del</strong><strong>la</strong> dieta (9); tuttavia, non è<br />
possibile definire quanto dei risultati ottenuti derivi dall’attuazione<br />
dei singoli interventi. Recenti analisi <strong>del</strong> DPS<br />
dimostrano che, indipendentemente dal<strong>la</strong> pratica <strong>del</strong>l’esercizio<br />
fisico e dai valori iniziali di glicemia, i soggetti che<br />
seguivano una dieta povera in grassi e con elevato contenuto<br />
di fibre mostravano una maggiore riduzione ponderale e una<br />
minore incidenza di <strong>diabete</strong> in confronto ai soggetti che seguivano<br />
una dieta ricca in grassi e povera di fibre.<br />
Intervento con farmaci ipoglicemizzanti<br />
Il DPP (Diabetes Prevention Program) è uno studio che ha<br />
raccolto 2155 soggetti con IGT, il cui obiettivo primario era<br />
quello di valutare le variazioni <strong>del</strong><strong>la</strong> tolleranza glucidica<br />
mediante OGTT ripetuto annualmente e attraverso <strong>la</strong> misurazione<br />
semestrale <strong>del</strong><strong>la</strong> glicemia a digiuno. Dopo un<br />
<strong>per</strong>iodo di follow-up <strong>del</strong><strong>la</strong> durata media di 2,8 anni, l’incidenza<br />
<strong>del</strong> <strong>diabete</strong> è risultata <strong>del</strong> 7,8% nei pazienti trattati<br />
con p<strong>la</strong>cebo e <strong>del</strong> 4,8% nei pazienti trattati con metformina,<br />
con una riduzione <strong>del</strong> rischio re<strong>la</strong>tivo di sviluppare<br />
<strong>la</strong> ma<strong>la</strong>ttia pari al 31% (5). Più recentemente, l’uso <strong>del</strong><strong>la</strong><br />
metformina è stato valutato anche in uno studio indiano con<br />
risultati qualitativamente simili a quelli ottenuti nel DPP<br />
(6). È interessante sottolineare che in questo studio <strong>la</strong> combinazione<br />
metformina + modifiche <strong>del</strong>lo stile di vita non<br />
era più efficace dei due interventi praticati iso<strong>la</strong>tamente.<br />
Per quanto riguarda altri farmaci insulino-sensibilizzanti,<br />
tre studi hanno esaminato l’effetto dei glitazonici nel<strong>la</strong><br />
prevenzione <strong>del</strong> <strong>diabete</strong> tipo 2: il DPP, che includeva anche<br />
un braccio con troglitazone, lo studio TRIPOD<br />
(Troglitazone in Prevention of Diabetes) (10), condotto in<br />
donne con pregresso <strong>diabete</strong> gestazionale, e lo studio<br />
DREAM (Diabetes REduction Assessment with ramipril<br />
and rosiglitazone Medication) (11), di cui sono stati riportati<br />
recentemente i risultati.<br />
Sia il DPP (braccio con troglitazone) che il TRIPOD<br />
sono stati terminati precocemente dopo <strong>la</strong> nota segna<strong>la</strong>zione<br />
di casi di tossicità epatica fatale da troglitazone; il TRIPOD<br />
è continuato in a<strong>per</strong>to sostituendo il troglitazone con il pioglitazone<br />
(10). Tuttavia, l’analisi prospettica dei soggetti trattati<br />
prima <strong>del</strong><strong>la</strong> chiusura degli studi suggerisce una elevata<br />
efficacia <strong>del</strong> farmaco nel prevenire <strong>la</strong> progressione verso<br />
il <strong>diabete</strong>.<br />
Infine, il recentissimo studio DREAM ha valutato in soggetti<br />
a rischio <strong>la</strong> capacità <strong>del</strong> rosiglitazone di ridurre dopo<br />
tre anni <strong>la</strong> comparsa di <strong>diabete</strong>. Nello studio DREAM sono<br />
stati arruo<strong>la</strong>ti 5269 soggetti (età >30 anni) senza ma<strong>la</strong>ttia<br />
cardiovasco<strong>la</strong>re ma con ridotta tolleranza al glucosio (IGT)<br />
oppure con alterata glicemia a digiuno (IFG). I soggetti sono<br />
stati assegnati al gruppo p<strong>la</strong>cebo o al gruppo rosiglitazone<br />
(4 mg/die <strong>per</strong> i primi 4 mesi e in seguito 8 mg/die). Il rosiglitazone<br />
ha ridotto il rischio di sviluppare il <strong>diabete</strong> <strong>del</strong><br />
60%, in maniera statisticamente significativa rispetto al p<strong>la</strong>cebo.<br />
Non si è invece evidenziata alcuna riduzione dei decessi<br />
né degli eventi cardiovasco<strong>la</strong>ri totali, mentre è stato<br />
rilevato un aumento <strong>del</strong> rischio di scompenso cardiaco<br />
che passava da 0,1% <strong>del</strong> gruppo p<strong>la</strong>cebo a 0,5% <strong>del</strong> gruppo<br />
rosiglitazone. Non si conoscono ancora gli effetti a<br />
lungo termine dopo <strong>la</strong> sospensione <strong>del</strong> rosiglitazone (11).<br />
La possibilità di prevenire l’insorgenza <strong>del</strong> <strong>diabete</strong> tipo<br />
2 mediante terapia con acarbosio è stata verificata nello studio<br />
STOP-NIDDM (Study TO Prevent Non-Insulin-<br />
Dependent Diabetes Mellitus). In questo trial sono stati randomizzati<br />
1429 soggetti con IGT, di cui 715 trattati con<br />
acarbosio (100 mg <strong>per</strong> 3 volte al giorno) e 714 con p<strong>la</strong>cebo.<br />
La durata <strong>del</strong>lo studio è stata di 3,3 anni. L’incidenza<br />
<strong>del</strong> <strong>diabete</strong> durante i 39 mesi di osservazione è stata <strong>del</strong> 32%<br />
nel gruppo cui era stato somministrato acarbosio e <strong>del</strong><br />
42% nel gruppo p<strong>la</strong>cebo, con una riduzione <strong>del</strong> rischio re<strong>la</strong>tivo<br />
pari al 25%. Al<strong>la</strong> fine <strong>del</strong>lo studio, i pazienti sono stati<br />
valutati dopo un <strong>per</strong>iodo di sospensione <strong>del</strong> trattamento<br />
(farmaco o p<strong>la</strong>cebo) di circa 3 mesi, durante i quali il 15%<br />
dei pazienti trattati con acarbosio ha sviluppato <strong>diabete</strong> rispetto<br />
al 10,5% dei pazienti di controllo. Questi risultati<br />
hanno dimostrato che l’intervento farmacologico con l’acarbosio<br />
nei pazienti con IGT può ritardare <strong>la</strong> progressione<br />
verso il <strong>diabete</strong> <strong>mellito</strong>. Questo effetto, <strong>per</strong>ò, scompare<br />
al<strong>la</strong> sospensione <strong>del</strong> trattamento. Va segna<strong>la</strong>to, inoltre,<br />
che una <strong>per</strong>centuale significativa di pazienti (circa il 25%)<br />
ha abbandonato lo studio prima <strong>del</strong> termine a causa degli<br />
effetti col<strong>la</strong>terali <strong>del</strong>l’acarbosio a livello gastrointestinale (12).<br />
Intervento farmacologico con altri farmaci<br />
Un importante studio di intervento con orlistat è lo XEN-<br />
DOS (XENical in the prevention of Diabetes in Obese<br />
Subjects), in cui si è evidenziata, dopo 4 anni di terapia, una<br />
riduzione complessiva <strong>del</strong> 37% <strong>del</strong> rischio di <strong>diabete</strong>, che<br />
nei soggetti con IGT ha raggiunto il 45% (13).<br />
Gli effetti positivi di orlistat sul<strong>la</strong> glicemia sono stati confermati<br />
successivamente anche dallo studio XXL (Xenical<br />
ExtraLarge study), condotto in oltre 15.000 pazienti obesi<br />
con e senza <strong>diabete</strong> tipo 2, da cui è emersa una riduzione<br />
complessiva <strong>del</strong><strong>la</strong> glicemia a digiuno <strong>del</strong> 7,5%, in partico<strong>la</strong>re<br />
<strong>del</strong> 5,1% nel gruppo dei non diabetici e <strong>del</strong> 15,0%<br />
nel gruppo dei diabetici (14).<br />
L’efficacia <strong>del</strong><strong>la</strong> terapia con statine nel prevenire l’insorgenza<br />
<strong>del</strong> <strong>diabete</strong> tipo 2 nei soggetti a rischio è da dimostrare.<br />
La pravastatina nello studio WOSCOPS (West<br />
Of Scot<strong>la</strong>nd Coronary Prevention Study) (15) ha dimostrato<br />
di ridurre l’incidenza di <strong>diabete</strong> tipo 2 <strong>del</strong> 30%, sug-