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IN AUTO. - Circolo del Cinema di Bellinzona

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Auto_LIBRICC<strong>IN</strong>O_08.08.08.qxp 18/08/2008 16.34 Pagina 34<br />

THE GODDESS OF 1967. La dea <strong>del</strong> 1967<br />

<strong>di</strong> Clara Law, Australia 2000<br />

35mm, colore, v.o. st. f/t, 118’<br />

Sceneggiatura: Clara Law, Ed<strong>di</strong>e Fong; fotografia: Dion Beebe; montaggio: Kate<br />

Williams; musica: Jen Anderson; interpreti: Rose Byrne, Rikiya Kurokawa, Nicholas<br />

Hope, Elise McCre<strong>di</strong>e; produzione: Ed<strong>di</strong>e Fong, Peter Sainsbury per Still Life Picture.<br />

Un collezionista d’auto giapponese vola in Australia per comprarsi la mitica<br />

DS (“Déesse”, in francese, cioè la “Dea” <strong>del</strong> titolo). Ma trova i corpi massacrati<br />

dei proprietari e inizia un viaggio on the road con una misteriosa ragazza<br />

cieca, che sconta traumi fanatico-religiosi e pedofilo-incestuosi (mostrati in<br />

flashback) e ritroverà il padre-padrone in una simbolica grotta.<br />

Giunta ormai al suo decimo film, Clara Law è una regista che ha affinato, in<br />

quin<strong>di</strong>ci anni <strong>di</strong> carriera, non solo la tecnica e lo stile, ma anche una profonda<br />

sensibilità personale nei confronti <strong>di</strong> certi temi e certi luoghi particolarmente<br />

congeniali alla sua modalità <strong>di</strong> racconto. Nata a Macao, cresciuta a Hong<br />

Kong, educata a Londra, vissuta a New York, la regista è emigrata a Melbourne<br />

e là vive dal 1995. Dopo aver realizzato film cinesi, hongkonghesi e <strong>di</strong><br />

produzione mista, dopo essersi de<strong>di</strong>cata a film minimalisti e realistici e a filmoni<br />

in costume ambientati durante antiche <strong>di</strong>nastie, Law sembra aver trovato<br />

ora un terreno favorevole in un percorso <strong>di</strong> ricerca nei territori <strong>del</strong>l’alienazione,<br />

<strong>del</strong>la <strong>di</strong>stanza, <strong>del</strong>l’isolamento (…) Qui l’alienazione è percepita<br />

come un’esperienza a doppio senso: si parte già da una con<strong>di</strong>zione altra per<br />

raggiungere un’ulteriore alterità. In questo scenario la Citroën DS, la Dea, rappresenta<br />

un tramite in<strong>di</strong>spensabile, è la navicella per poter esplorare questa<br />

nuova realtà (…), è un “mito d’oggi” e nello stesso tempo partecipa <strong>del</strong>la<br />

con<strong>di</strong>zione eterna <strong>del</strong>la <strong>di</strong>vinità. (Mereghetti e “Cineforum”, 403, aprile 2001)<br />

REBEL WITHOUT A CAUSE Gioventù bruciata<br />

<strong>di</strong> Nicholas Ray, USA 1955<br />

35mm, colore, v.o. st. f/t, 111’<br />

Sceneggiatura: Stewart Stern, Irving Shulman, da una storia originale <strong>di</strong> Nicholas Ray;<br />

fotografia: Ernest Haller; montaggio: William Ziegler; musica: Leonard Rosenman; interpreti:<br />

James Dean, Natalie Wood, Sal Mineo, Jim Backus; Ann Doran, Corey Allen,<br />

Dennis Hopper, Edward Platt, Staffi Sidney, Marietta Canty, Virginia Brissac, Beverly<br />

Long, Ian Wolfe, Frank Mazzola, Robert Foulk, Jack Simmons, Tom Bernard, Nick Adams,<br />

Jack Grinnage, Clifford Morris; produzione: David Weisbart per Warner Bros.<br />

Figlio unico <strong>di</strong> buona famiglia, Jim Stark non avrebbe alcun motivo, agli occhi<br />

<strong>del</strong>l’America calvinista degli anni Cinquanta, per ribellarsi al mondo degli<br />

adulti. Bisognoso <strong>di</strong> autenticità, trova un amico nel tormentato e forse troppo<br />

affezionato Plato, e conquista il cuore <strong>di</strong> Judy, la ragazza <strong>del</strong> capo <strong>di</strong> una<br />

banda rivale. Dopo avere sfidato quest’ultimo nella “corsa <strong>del</strong> coniglio”<br />

(perde chi salta fuori per primo da una macchina lanciata verso uno strapiombo),<br />

si ritrova inseguito dai suoi compari e dalla polizia. E vedrà sfasciarsi<br />

anche la famiglia alternativa che ha costruito.<br />

Il film che, dopo La valle <strong>del</strong>l’Eden, impose definitivamente Dean come mito<br />

<strong>di</strong> una generazione, è anche un saggio <strong>di</strong> regia, sempre funzionale alla messa<br />

in scena drammatica: ve<strong>di</strong> l’uso espressionista <strong>del</strong> colore, la funzionalità <strong>del</strong><br />

formato panoramico (<strong>Cinema</strong>Scope), il taglio obliquo <strong>di</strong> certe inquadrature, il<br />

montaggio frenetico e l’audacia <strong>di</strong> certe soggettive. Sequenze come il <strong>di</strong>alogo<br />

iniziale <strong>di</strong> Dean ubriaco col fiore, la “corsa <strong>del</strong> coniglio” o il finale tragico<br />

sono entrate nella memoria <strong>del</strong> cinema. Un classico, allora in anticipo sui<br />

tempi, che non ha smesso <strong>di</strong> emozionare. Battezzò una generazione <strong>di</strong> attori<br />

che, Wood a parte, si bruciò in fretta: Dean morì il 30 settembre <strong>di</strong> quello<br />

stesso anno e Mineo non si levò più <strong>di</strong> dosso il clichè <strong>del</strong> ribelle triste. Dennis<br />

Hopper, nella parte <strong>di</strong> Goon, è al suo primo ruolo <strong>di</strong> qualche spicco. Ray compare<br />

nell’ultima inquadratura. (Mereghetti)<br />

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