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varie scene del crimine. Glielo dissi, e lui mi rispose che avevo ragione: le macchie erano proprio<br />
quelle. Bisogna prenderla con filosofia. Abituarsi questo tipo di lavoro è difficile, e ognuno fa<br />
quello che può per metabolizzare ciò che è costretto a vedere quotidianamente».<br />
Parliamo di Florian. In primo luogo, cos’è che spinge una madre ad abbandonare il proprio<br />
figlio fra i cassonetti?<br />
«In ogni società consumista, la spazzatura rappresenta sempre il nulla, o meglio l’inutile e il<br />
rimosso, l’indesiderato. Oppure il superfluo. C’è stato bisogno, in alcuni comuni italiani, di<br />
affiggere un cartello sui bidoni: si chiede alle madri di lasciare i loro bambini nelle strutture<br />
adeguate, piuttosto che per la strada, garantendogli che potranno usufruire dell’anonimato.».<br />
E dopo, che destino hanno questi bambini?<br />
«Prima di tutto, gli si da quasi sempre il nome di chi lo ha trovato. Io ho scelto di chiamare il mio<br />
personaggio Florian: pensavo a “Via del Campo” di De André, quando dice “dai diamanti non nasce<br />
niente, dal letame nascono i fior”. Poi, c’è il lungo percorso dell’affidamento. Ci sono anche<br />
colleghi che si affezionano al bambino che hanno trovato, e ne seguono a distanza la crescita e i<br />
progressi. Comunque, quasi sempre la forza di questi ragazzi è la forza della vita stessa:<br />
inevitabilmente, anche nella segregazione del campo nomadi in cui cresce, Florian viene attratto dal<br />
mondo esterno. In particolare, dalla scuola e dalla lettura».<br />
Quindi è dall’educazione scolastica che nasce l’integrazione?<br />
«Certo, dall’istruzione e sopratutto dai libri. È un percorso difficile, che pone degli ostacoli in primo<br />
luogo burocratici. L’accesso alla scuola per questi bambini è sempre molto complicato, ma è<br />
proprio attraverso la forza dei libri che Florian prova a rompere lo schema di una vita che altri<br />
hanno già tracciato per lui».<br />
15 aprile <strong>2015</strong> | 16:02<br />
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