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GiurisprudenzaMinorificio, questa Corte non è in grado di stabilire: di certo, iltema della condizione patologica del minore, unicamenteriferibile alla condotta della madre “alienante”, rappresental’ubi consistam non solo del citato elaborato, madell’intero giudizio di secondo grado. Tale lacuna, per altro,è meramente apparente, dovendosi applicare il principioin base al quale la motivazione della sentenza “perrelationem” è ammissibile, dovendosi giudicare la suacompletezza e logicità sulla base degli elementi contenutinell’atto al quale si opera il rinvio e che, proprio in ragionedello stesso, diviene parte integrante dell’atto rinviante,fermo restando, tuttavia, secondo un principiogenerale dell’ordinamento, desumibile dalla L. n. 241 del1990, art. 3, e L. n. 212 del 2000, art. 7, comma 1, per gliatti amministrativi (e valido, a maggior ragione, in forzadell’art. 111 Cost., per l’attività del giudice), che il rinviova operato in modo tale da rendere possibile ed agevole ilcontrollo della motivazione “per relationem” (Cfr. Cass.29 maggio 2002, n. 13937; Cass. 8 luglio 2005, n. 14390;Cass. 16 gennaio 2009, n. 979; Cass. 11 febbraio 2011, n.3367, e, con riferimento alla consulenza tecnica d’ufficio,Cass. 4 maggio 2009, n. 10222).4.2 Dalla lettura della relazione depositata dal medicopsichiatra al quale la Corte di appello aveva affidato ilcompito di accertare “le condizioni psicofisiche attualidel minore, per verificare se la prosecuzione delle condizionidi vita e delle modalità dei rapporti parentali in esserepossa compromettere ulteriormente la sua salute equale sarebbe, sotto lo stesso profilo, l’eventuale pregiudizioche gli conseguirebbe dall’inserimento in diversoambiente, endofamiliare o comunitario/educativo (che ilgenitore non decaduto dalla potestà può ricercare - fraquelli più adeguati alle necessità educative e allo stile divita che intende assicurare al figlio - e proporre ai CTU,per opportuna valutazione) con indicazione delle più opportunemodalità di attuazione”, emerge una chiara confermadella diagnosi di PAS (già in precedenza formulata,del resto, dallo stesso consulente).Nell’elaborato in questione si legge, infatti, che “L., seppureinvischiato nel cosiddetto conflitto di fedeltà, pilastroportante di PAS, ha lasciato presagire, imminente epossibile, la ripresa della frequentazione dell’ambientepaterno, secondo schema comportamentale connotatoda coazione a ripetere, condizione che se da un lato permetteràil superamento del rifiuto e della situazione ostativa,dall’altro non garantirà in termini certi ed irreversibililo scioglimento di quel legame patogeno esistente tramadre e figlio, legame alla base del rilevato conflitto difedeltà, che sul piano tecnico urge risolvere”.Illustrato il pericolo dello sviluppo, in età post-adolescenziale,di un quadro patologico attinente a grave “Disturbodi Personalità, o a Disturbo Dissociativo di tipo disaffettivo,ovvero a Psiconevrosi Depressiva”, si concludenei seguenti termini:“L’attento accertamento commissionato dalla Corte diappello di Venezia, Sezione per i Minorenni porta inequivocabilmentea confermare, nella vicenda in attenzionedi causa, la sussistenza di PAS, disfunzione ad intensaconnotazione psicopatologica, che deve essere al più prestodelimitata e interrotta al fine di tutelare il processoevolutivo del minore in attenzione, oggi già compromessoe prodromico, sic stantibus rebus, di futuro sviluppo psicopatologico”.4.3 Il decreto in esame, richiamando le valutazioni delconsulente tecnico d’ufficio, e ritenendo che non si trattidi “assecondare le propensioni affettive (o meglio distruttive)del minore, già unilateralmente indirizzate”,bensì di “individuare le condizioni più rispondenti al suopreminente interesse all’accesso alle figure genitoriali diriferimento”, afferma, citando la consulenza tecnica d’ufficio,che il mantenimento dell’attuale collocamento diL. “non garantirà in termini certi ed irreversibili lo scioglimentodi quel legame patogeno esistente fra madre efiglio, legame alla base del rilevato conflitto di fedeltàche sul piano tecnico urge risolvere”. Ben si vede come ilprovvedimento adottato assume, proprio nell’ottica dellateoria incentrata sulla PAS, una valenza clinica e giuridicaassieme, nel senso che l’interesse del minore vieneperseguito, al di là dei principi della bigenitorialità e dellanecessità dell’ascolto del minore (inteso non solo comemero recepimento delle sue istanze, anche affettive, macome necessità di motivare adeguatamente provvedimentiadottati in difformità alle sue esternazioni), attraversouna serie di misure intese a prevenire, in funzioneterapeutica, l’aggravamento di una patologia in atto.Di certo non può ritenersi, in contrasto con la motivazionedel provvedimento impugnato (la quale, come già evidenziato,pur non utilizzando la terminologia adottatanella consulenza, ad essa rinvia espressamente ed integralmente,facendola propria), che la decisione di sottrarreun bambino all’ambiente materno, con il quale il rapporto- indipendentemente dalla ritenuta condotta “alienante”- non presenta altre controindicazioni, per collocarlo,non potendo stabilire un immediato inserimentonell’ambiente familiare paterno, a causa della forte avversionemanifestata al riguardo dal minore, in una strutturaeducativa, possa attribuirsi a una valutazione cheprescinda dalle suindicate - ancorché innominate - esigenzeterapeutiche. Ciò vale a dire che né il tenore delprovvedimento, né la sequenza degli atti procedimentaliantecedenti, autorizzano soltanto a ipotizzare che la consulenzasia stata utilizzata soltanto nella parte “percipiente”,come tale dotata di una indiscutibile valenza oggettiva(Cass. 13 marzo 2009, n. 6155). Sotto tale profilo vasottolineato che a un certo punto, richiamandosi le osservazionidel consulente, si afferma che “allorché la signoraè stata posta nelle condizioni di collaborare proficuamenteed ha, con sufficiente convincimento personale,aderito al progetto comune proposto dal CTU, i mutamenticomportamentali di L., come già avvenuto nelcorso della prima CTU, hanno assunto caratteri menooppositivi nel processo di riavvicinamento al padre”, precisandosiche nella prima relazione si evidenziava che “afronte della possibile involuzione svantaggiosa per la madre,L. riprese, quasi d’incanto e con la massima naturalezza,a frequentare il padre, ma lo fece per un tempo irrisorioe risibile, finché non fu scongiurato lo scampato pericolo”.Tale costatazione di una dato fattuale, per il veroFamiglia e diritto 8-9/2013 747


GiurisprudenzaMinorinon priva di intrinseci aspetti valutativi, appare per certiversi, ancorché ancorata ad aspetti di natura oggettiva,distonica rispetto alla complessiva diagnosi di PAS, inquanto non è dato comprendere come una vera e propripatologia psichica, indotta da elementi che evidentementesfuggono - obbedendo a meccanismi interiori eprofondi - a qualsiasi consapevolezza, soprattutto da partedi un bambino, possa essere compatibile con la descrittamutevolezza di comportamenti verso il genitore “alienato”,evidentemente frutto - come si sostiene in manieraabbastanza esplicita - di suggerimenti, induzioni o suggestioni,provenienti da situazioni di carattere esterno econtingente.5. Deve quindi ritenersi che, come si afferma nel ricorso,il provvedimento impugnato sia intimamente correlatoalla diagnosi di PAS formulata dal consulente tecnicod’ufficio, e che, essendo la statuizione adottata dalla Cortedi appello rispondente a pretese esigenze terapeutiche,la sua validità, sotto il profilo non della scelta di merito,bensì del percorso motivazionale che la sorregge, dipendaesclusivamente da quella della valutazione clinica, postoche da una diagnosi in tesi errata non può derivare unaterapia corretta.5.1 Passando all’esame delle censure dedotte, deve rilevarsiche la loro fondatezza discende dall’intreccio di dueprincipi, parimenti disattesi, costantemente affermati daquesta Corte in presenza di elaborati peritali che, interamenterecepiti dal giudice del merito, siano stati sottopostia specifiche censure, soprattutto quando, come nel casoin esame, venga in considerazione una teoria non ancoraconsolidata sul piano scientifico, ed anzi, come si vedrà,molto controversa.5.2 Deve invero evidenziarsi che la ricorrente, nel pienorispetto del principio di autosufficienza, ha richiamato lecritiche mosse alla relazione depositata dal consulentetecnico d’ufficio, alla diagnosi dallo stesso formulata e,soprattutto, alla validità, sul piano scientifico, della PAS.Basterà qui ricordare che sono state richiamate le perplessitàdel mondo accademico internazionale, al puntoche il Manuale diagnostico e statistico dei disturbi mentali(DSM) non la riconosce come sindrome o malattia;che si è evidenziato che vari autori spagnoli, all’esito diuna ricerca compiuta nel 2008, hanno sottolineato lamancanza di rigore scientifico del concetto di PAS e che,nel 2009, le psicologhe B.C. e V.S., la prima spagnola e laseconda argentina, hanno sostenuto, in una pubblicazionedel 2009, che la PAS sarebbe un “costrutto pseudoscientifico”. Nell’anno 2010, inoltre, la Asociacion Espanolade Neuropsiquiatria ha posto in evidenza i rischidell’applicazione, in ambito forense, della PAS, non diversamenteda quanto già manifestato nel 2003, in USA,dalla National District Attorneys Association, che in notainformativa sosteneva l’assenza di fondamento dellateoria, “in grado di minacciare l’integrità del sistema penalee la sicurezza dei bambini vittima di abusi”.Sono stati altresì richiamati i rilievi in base ai quali, anchevolendo accedere alla validità scientifica della PAS,molti dei suoi caratteri, come definiti dal suo sostenitoreprincipale, Richard Gardner (nei cui confronti non sonomancati accenni poco lusinghieri, quale l’essersi presentatoquale Professore di psichiatria infantile presso la ColumbiaUniversity, essendo un mero “volontario non retribuito”,e persino l’aver giustificato la pedofilia), nonsarebbero riscontrabili nel caso di specie.6. Le esposte critiche non sono state esaminate nel provvedimentoimpugnato, così violandosi il principio secondocui il giudice del merito non è tenuto ad esporre inmodo puntuale le ragioni della propria adesione alle conclusionidel consulente tecnico d’ufficio, potendo limitarsiad un mero richiamo di esse, soltanto nel caso in cuinon siano mosse alla consulenza precise censure, allequali, pertanto, è tenuto a rispondere per non incorrerenel vizio di motivazione (Cass. 6 settembre 2007, n.18688; Cass. 1 marzo 2007, n. 4797; Cass. 13 dicembre2006, n. 28694).Tale vizio è correttamente denunciato - come nel caso dispecie - in sede di legittimità, attraverso una indicazionespecifica delle censure non esaminate dal medesimo giudice(e non già tramite una critica diretta della consulenzastessa), censure che, a loro volta, devono essere integralmentetrascritte nel ricorso per cassazione al fine diconsentire, su di esse, la valutazione di decisività (Cass.28 marzo 2006, n. 7078).6.1 L’altro principio, parimenti disatteso e non meno importante,riguarda la necessità che il giudice del merito,ricorrendo alle proprie cognizioni scientifiche (Cass. n.14759 del 2007; Cass. 18 novembre 1997, n. 11440), ovveroavvalendosi di idonei esperti, verifichi il fondamento,sul piano scientifico, di una consulenza che presentidevianze dalla scienza medica ufficiale (Cass. 3 febbraio2012, n. 1652; Cass. 25 agosto 2005, n. 17324).Il rilevo secondo cui in materia psicologica, anche a causadella variabilità dei casi e della natura induttiva delleipotesi diagnostiche, il processo di validazione delle teorie,in senso popperiano, può non risultare agevole, nondeve indurre a una rassegnata rinuncia, potendosi ben ricorrerealla comparazione statistica dei casi clinici.Di certo non può ritenersi che, soprattutto in ambito giudiziario,possano adottarsi delle soluzioni prive del necessarioconforto scientifico, come tali potenzialmente produttivedi danni ancor più gravi di quelli che le teorie adesse sottese, non prudentemente e rigorosamente verificate,pretendono di scongiurare.7. Per le ragioni indicate il ricorso deve essere accolto e ildecreto impugnato va cassato. Il giudice del rinvio, che siindividua nella Corte di appello di Brescia, esaminerà ilreclamo senza incorrere nell’evidenziato vizio motivazionale,provvedendo, altresì, alla liquidazione delle speserelative al presente giudizio di legittimità.omissis748Famiglia e diritto 8-9/2013


GiurisprudenzaMinoriCorte d’appello di Brescia, sez. per i minorenni, 17 maggio 2013, decr. - Pres. e Rel. CampanatoFiliazione - Affidamento minori - Consulenza tecnica contestata - Motivazione insufficiente - Giudizio di rinvio - Fattispeciein tema di sindrome di alienazione parentale - Disturbi relazionali del minore - Provvedimenti in meritoL’oggettivo riscontro di disturbi della personalità del minore manifestatisi in forme anomale d’avversione neiconfronti del padre, quando sia provato che sono causati dal comportamento alienante e possessivo dellamadre, giustifica gli opportuni provvedimenti giudiziali nell’interesse del minore e ciò anche indipendentementedalla loro qualificazione in termini di sindrome di alienazione parentale essendo sufficiente ricondurli aproblemi relazionali molto frequenti nelle famiglie in crisi.OmissisG.O., madre del minore L., con ricorso depositato il9.4.2013 ha riassunto avanti a questa corte il procedimentoconclusosi innanzi la Corte d’Appello di Veneziain data 13 luglio/2 agosto 2012 ed impugnato davanti allaCorte di Cassazione, annullato dalla stessa in data 20marzo 2013 con rinvio alla Corte d’appello di Brescia.OmissisII provvedimento della Corte territoriale veneziana è statocassato per vizio di motivazione su di un punto decisivo econtroverso della causa, vale a dire per non avere affrontatoil tema dell’attendibilità scientifica della teoria posta allabase della diagnosi di sindrome da alienazione parentale,pur avendo posto la consulenza di cui richiama ampibrani nella sua motivazione a fondamento della decisione.La corte di legittimità, nel rinviare alla corte territoriale bresciana,il procedimento richiama le critiche avanzate dalmondo scientifico e dalla stessa difesa della madre e prescrivedi verificare il fondamento della teoria richiamata dalla Ctu.La difesa della ricorrente sostiene che la teoria della PASrisalente a Gardner e seguita in <strong>Italia</strong> da alcuni autori comeil prof. Gulotta e le dott. Cavedon e Liberatore richiamaotto elementi significativi per l’individuazionedella ritenuta psicopatologia, dei quali la Ctu De Nicolane individua sei in L. pervenendo alla infausta diagnosisulla quale si fonda il provvedimento cassato.Dal riscontro di questi sigma l’esperto dimostra la manipolazionematerna in danno del minore, senza alcun riferimentoal comportamento della madre.Inoltre dalla rilevazione di una malattia che viene contestatasarebbe scaturito un atteggiamento salvifico paternoche avrebbe indotto il padre ad un atteggiamentoconnotato da aggressività ed ossessività al punto da presentareoltre venti denunce penali nei confronti dellamoglie. Pertanto sarebbe stata la errata diagnosi di PAS,stato patologico inesistente, a scatenare il conflitto tra igenitori e a diventare essa stessa causa del conflitto, moltiplicandola drammaticità della situazione in cui vi sarebbe,senza alcuna prova, un genitore vittima (genitorebersaglio) di un genitore criminale (genitore alienante)ed un figlio affetto da psicopatologia.Di conseguenza anche la terapia proposta, vale a dire l’interruzionein maniera radicale di ogni rapporto del genitorealienante con il minore sarebbe del tutto priva difondamento scientifico e nel caso in esame avrebbe prodottogrande frustrazione nel bambino.Secondo la parte resistente, la comunità scientifica riconoscein modo pressoché unanime questo disturbo relazionalepsicopatogenico.Invero vi sono psicologi e psichiatri importanti che hannosottoscritto alcuni documenti in cui si dà atto dell’esistenzadi tale forma di alienazione, come risulta dalla documentazioneprodotta dal convenuto. La SINPIA, Societàitaliana di Neuro psichiatria Infantile la riconoscesin dal 2007; essa risulta essere inserita nel DSM IV nellasezione problemi relazionali genitore-bambino; moltesono le pubblicazioni che riguardano 1’alienazione genitoriale(doc. 8). Si deve aggiungere che anche la Corte dicassazione con la sentenza n. 5847/12 pubblicata l’8.3.13non ha posto in discussione la diagnosi di PAS posta afondamento del provvedimento impugnato.II fatto che altri esperti neghino il fondamento scientificodi tale sindrome non significa che essa non possa essereutilizzata quanto meno per individuare un problemarelazionale molto frequente in situazione di separazionedei genitori, se non come una propria e vera malattia.Più volte è stato ritenuto in decisioni giurisprudenzialiche l’atteggiamento del bambino che rifiuta l’altro genitore,per un patto di lealtà con il genitore ritenuto più debole,può condurlo ad una forma di “invischiamento” capacedi produrre nella sua crescita non solo una situazionedi sofferenza, ma anche una serie di problemi psicologicialienanti.II problema è verificare se i disturbi certamente rilevati dalCtu a carico del minore, riconosciuti dalla stessa madre, sianoriconducibili alla responsabilità della madre in quantogenerati dal suo comportamento nei confronti del padre.Questi, la cui personalità è parimenti stata posta in discussionedal consulente per la sua rigidità, ha riconosciuto all’attodella separazione l’importanza che il bambino crescessecon la madre, accettando l’affidamento esclusivo allamedesima, come all’epoca era prassi, non essendo ancorastata attuata la modifica dell’art. 155 c.c. che presupponedi regola l’affidamento condiviso, ma riservando a sestesso la frequentazione con il figlio da attuarsi in terminimaggiormente ampi con la crescita del medesimo.Nessuna colpa può ravvisarsi, né gli è stata addebitata dacontroparte per il comportamento del figlio che ad un certopunto ha manifestato un atteggiamento straordinariamenterepulsivo e pervicace, giungendo al punto da nonvolere nemmeno scendere dall’autovettura con la quale lamadre lo portava agli appuntamenti programmati con il padre,né voler entrare nella stanza dove questi si trovava edal punto anche di rivolgergli epiteti ingiuriosi e manifestazionigravi di avversione, come prenderlo a calci e pugni.L’uso degli epiteti utilizzati per offendere il padre inoltrenon è quello tipico di un bambino, ma sembra veramentesuggerito dalle espressione degli adulti.Famiglia e diritto 8-9/2013 749


GiurisprudenzaMinoriLa lettura delle relazioni dei servizi sociali, oltre che degliesami del Ctu (dati obiettivamente rilevati che non sonostati posti in discussione) lasciano veramente sbigottitiper la forza, la tenacia dell’aggressività e del rifiuto difronte ad un padre che aveva sempre cercato di svolgereil proprio ruolo.Con il ricorso presentato dal padre in data 6.2.08, volto adottenere la decadenza dalla potestà della madre, questi lamentavadi non vedere il figlio da dieci mesi e che la madre,nonostante fosse stato previsto il pernotto del bambinopresso il padre, consentiva che questi lo vedesse primadell’interruzione definitiva solo nel garage della sua abitazione.Nel corso dell’audizione dei genitori la madre delminore ammetteva di avere rifiutato al padre il pernottopresso di lui e di conseguenza anche il trascorrere della vacanzeperché il bambino non l’aveva mai chiesto.II tribunale dava atto che l’atteggiamento della madrenon aveva in alcun modo favorito il rapporto del figliocon il padre, ma lo aveva ostacolato al punto che, dispostodallo stesso ufficio giudiziario una specifica disciplinadi visite, la madre aveva violato tale programma portandocon sé il bambino per le vacanze estive alla fine dellequali si veniva a verificare una regressione nei rapportipadre-figlio, nonostante vi fosse stato un iniziale miglioramentodovuto alla calendarizzazione degli incontri.OmissisDalla relazione dei Servizi Sociali di omissis del 19 giugno2010 si apprende che il programma di incontri predispostosulle indicazione del tribunale veniva accettato daigenitori, ma che l’atteggiamento del bambino si rivelavaquanto mai preoccupante tanto che questi nel rifiutareogni forma di comunicazione con il padre giungeva alpunto di scagliarli contro un libro che questi gli avevaportato in dono; altra volta mimava una sberla nei confrontidello stesso e gli dava un calcio senza che la madre,presente, desse segni di disapprovazione.Lo psicologo dott. De Rocco sottolineava il fatto che L. sipresentava come un bambino normalissimo nelle relazionicon gli altri, salvo cambiare improvvisamente al soloparlargli del padre che definiva come “persona cattiva,un diavolo, persona sgradevole” e perdere il controllo edil rispetto delle più elementari relazioni con ricorso ad aggressivitàverbale ed agita, senza alcuna provocazione.Dal punto di vista clinico lo psicologo segnalava cherisultava capace di controllare e tenere in scacco gli adultie manifestava una strutturazione in un’area in cui sisentiva onnipotente, con il rischio di estensione di talimodalità disfunzionali ad altre aree di funzionamento.Non migliore è stato il risultato ottenuto dal Servizio Socialedi omissis sostituito a quello di omissis, nonostante ilpercorso di sostegno a cura della dott. Zulian, psicologa,l’avvio di un percorso di sostegno alla genitorialità a curadel Consultorio Familiare iniziato nel mese di marzo2011, il sostegno dell’educatore De Palo. L’equipe ha riscontratoin L. una sindrome o disturbo emozionale inquadratanei criteri diagnostici dell’ICD 10.II bambino non veniva portato dalla madre agli incontricon il padre nello spazio neutro individuato dai servizi,fissati nel mese di giugno e di luglio, assenze giustificatedalla madre con uno stato di malessere del figlio; per lestesse ragioni non sono state effettuate le sedute fissatedal servizio di Neuropsichiatria infantile mentre sonostati effettuati gli incontri con la psicologa Zulian. Né siè potuta realizzare la frequentazione del minore al centroestivo in quanto la madre non lo ha condotto, portandoin vacanza il figlio senza tenere conto del progetto delServizio Sociale. In sostanza da tutte le relazioni, informazionie non solo dalle due CTU del dott. De Nicolaemerge lo stato di grave disagio del minore ed il suo invischiamentoin un conflitto coniugale in cui la madre haavuto la possibilità di qualificare in modo negativo il marito,tanto da acquisire l’alleanza del figlio. Il rifiuto delpredetto non ha altra origine perché non sono state nemmenoipotizzate attività del padre che possano avere distoltoil figlio da qualsiasi forma di rapporto con lui.La madre in molte circostanze si è manifestata come unsoggetto apparentemente collaborativo con gli espertiche hanno seguito la vicenda, ma nella sostanza non haaccompagnato psicologicamente il figlio alla ripresa deirapporti con il padre, predisponendo il suo comportamentoquanto meno ad una accettazione formale del genitore;lo ha lasciato solo nella sue difficoltà, non ha ripresoil suo eloquio sconveniente, né gli agiti violenti.Inoltre ha sacrificato il programma di sostegno predispostodai servizi sociali alle vacanze.Solo nel corso della prima consulenza tecnica il bambinoha ripreso il contatto con il padre, regalandogli nel verosenso della parola alcune giornate normali in cui si sonoritrovati per proseguire successivamente nel rifiuto.Questo atteggiamento è molto sintomatico e strumentalead ottenere una disamina favorevole da parte dell’espertoincaricato dal giudice tenuto ad esprimere un giudizio importanteal fine di conseguire un provvedimento favorevolee poiché questo atteggiamento non può essere fruttodella determinazione di un bambino di sette-otto anni,non può che essere stato dettato dalla madre. Fortunatamentele cose sono radicalmente cambiate: il provvedimentodella corte territoriale che è stato cassato, comportantel’allontanamento del minore dalla madre e dall’ambientematerno ha consentito al bambino di liberarsi dallasua condizione di avversione nei confronti del padre.Ne ha accettato la compagnia e finanche di trascorrere lanotte con lui attraverso un graduale riavvicinamento.Questo cambiamento di comportamento sta a dimostrareche i soggetti in età evolutiva sono dotati di un alto gradodi resilenzia, vale a dire sanno resistere alle condizionidella vita che li pone in difficoltà ed all’azione degli adultiche attraverso il loro conflitto li possono spingere adallearsi con uno di loro e a rifiutare l’altro.La madre, subito dopo la sentenza della Corte di cassazione,ha prelevato il figlio dalla casa paterna, gli ha impeditodi frequentare la scuola in cui era iscritto, ha tentatodi ottenere l’iscrizione presso la scuola di omissis ha disattesoil programma del servizio sociale affidatario, ha impeditoal figlio di trascorrere parte dei giorni festivi pasqualicon il padre portandolo con sé da alcuni parenti.In questa situazione i comportamenti che emergono dafatti obiettivi ed inconfutabili consentono di corroborare750Famiglia e diritto 8-9/2013


GiurisprudenzaMinorila prova del suo comportamento alienante e possessivo,nonostante i limiti imposti dal provvedimento del tribunaleper i minorenni che ha rigettato la sua reintegra nellapotestà ed ha confermato l’affidamento del bambino alservizio sociale.Dalle sue dichiarazioni orali rese in udienza la G.O. risultadesiderosa di restituire al figlio “tutta la sua vita” e nonsolo la metà che è costituita nel suo rientro nella casa materna.L’altra metà a suo dire è costituita dall’ambientescolastico ed amicale di L.Nessuno spazio nel suo concetto di vita del figlio è riservatoal rapporto con il padre, nonostante le preoccupazioniche asserisce di avere avuto per il rifiuto nei confrontidello stesso.Di fronte a tale pervicacia nel comportamento maternonon si ravvisano le garanzie che la predetta sappia far proseguireil figlio nel rapporto con il padre e non ponga nuovamentein atto ostacoli alla normalità del medesimo, facendoregredire il minore e ponendolo in posizione di graverischio di disturbi della personalità, siano essi quelli chein campo scientifico vengono da parte degli esperti qualificaticome PAS, siano gli agiti aggressivi che derivano dallostato d’ansia rilevati dagli esperti dei Servizi Sociali. Indipendentementedalla loro qualificazione dal punto di vistamedico, la descrizione dei comportamenti del bambinosulla quale tutti hanno concordato consente di ritenereche i suoi agiti, se non ricomposti, porterebbero a disturbiche impedirebbero al minore di crescere e sviluppare tuttele sue notevoli capacita intellettuali ed espressive.Non si tratta solo di conservare al bambino la bigenitorialitàda intendersi come un patrimonio prezioso di cui ifigli debbono poter disporre, ma di evitare che attraversoil rifiuto si vada strutturando una personalità deviante. Sitratta anche di preservare il bambino dal dolore perché legravi manifestazioni di rifiuto emerse nel passato sonoanche espressione di sofferenza.Per tale ragione va confermato l’affidamento al serviziosociale per la predisposizione di un progetto di sostegnopsicologico del bambino e di aiuto alla genitorialità inquanto solo attraverso l’abbassamento del conflitto dellacoppia si può sperare che il bambino acquisisca sicurezzae serenità.Poiché la madre non lo ha garantito in questo percorso,ma al contrario lo ha ostacolato, la predetta non può ritenersiessere il genitore più idoneo a favorire la crescita delbambino, per cui il collocamento principale dello stessova disposto presso il padre che ne esercita la potestà.Va tuttavia garantito al bambino anche la frequentazionedell’ambiente materno che certamente ha costituito peranni il centro dei suoi affetti; affetti che non gli possonoessere negati, salvo il rischio di porlo in situazione di gravesofferenza.Pertanto va disposto un calendario di “visite” maternemolto nutrito che consenta di conservargli l’ambiente dellaprima infanzia: L. trascorrerà con la madre otto settimaneall’anno di vacanze, ivi compreso una settimana a Nataleo a Capodanno ed alcuni giorni a Pasqua; starà pressol’abitazione materna dal venerdì pomeriggio all’uscita dascuola sino al lunedì mattina per due volte al mese e per lealtre due settimane dal martedì all’uscita della scuola sinoal venerdì mattina. Frequenterà la scuola a omissis salvo diversadecisione da parte del padre ed in ogni caso potrà frequentareun’attività sportiva, culturale o ludica scelta dallamadre anche eventualmente in omissis.La madre non ha la potestà sul figlio, né questa corte puòesaminare la sua domanda di reintegra dal momento cheessa non è stata respinta, ma rinviata nella decisione daparte della corte veneziana (in questo senso è stato intesoanche dalla corte di cassazione che per altro nonavrebbe potuto prendere in esame la questione non soggettaa ricorso per cassazione), per cui il giudice di rinvionon può considerarsi investito della questione. Tuttaviasi ritiene equo consentire che la madre possa assumere informazionianche dirette dalla scuola in ordine al profittoed al comportamento del figlio e parimenti possa avereinformazioni dirette sulla sua salute. Tutte le altre decisioni(gite scolastiche, attività all’interno della scuola,decisioni importanti sulla salute del figlio ecc.) debbonoavere l’avallo del padre.II servizio sociale disporrà il calendario dei periodi di vacanzache il bambino potrà trascorrere presso la madre,sentiti previamente i genitori; potrà regolare ogni minutaesigenza del bambino che non risultasse dal provvedimento,come stabilire quale dei due genitori debba portareo prendere da scuola il figlio, dividendo equamente icompiti; dovrà monitorare la situazione e riferire alla Procuradella Repubblica presso il tribunale per i minorenninel caso si verificasse qualche grave problema che rendanon praticabile il progetto di vita che questa corte haprevisto per il minore.P.Q.M.Definitivamente decidendo nel procedimento di cui inepigrafe conferma l’affidamento del minore L. al ServizioSociale di omissis che continuerà nel sostegno alla genitorialitànei confronti dei genitori e nel sostegno psicologicodel minore, effettuerà il monitoraggio e darà attuazioneai provvedimenti del giudice attraverso la calendarizzazionedei periodi di vacanza e per ogni disposizionenecessaria non prevista nel presente decreto; colloca ilminore presso il padre; consente che il bambino stia pressola madre per otto settimane complessive nei periodi divacanza, ivi compreso il Natale, il Capodanno e la Pasqua,nonché per due settimane al mese dal martedì pomeriggioal venerdì mattina e per altre due settimane almese dal venerdì pomeriggio (all’uscita della scuola) sinoal lunedì mattina (rientro a scuola), disponendo che i genitoridividano equamente gli oneri del viaggio.Dispone che il bambino frequenti la scuola a omissis se ilpadre lo consentirà; che la madre anche se non esercentela potestà possa avere informazioni dirette dalla scuola edai medici del figlio e possa scegliere con lo stesso un’attivitàsportiva, ludica o culturale gradita al figlio da svolgersinei giorni a sua disposizione.Pone a carico dei genitori le spese di mantenimento e di abbigliamentonecessari nei tempi di frequentazione del figlioe le spese straordinarie in ragione del 50 % per ciascuno.OmissisFamiglia e diritto 8-9/2013 751


GiurisprudenzaMinoriAFFIDAMENTO D’UN MINORE, CONSULENZA TECNICAD’UFFICIO E RICORSO IN CASSAZIONEPER VIZI DELLA MOTIVAZIONEdi Ferruccio TommaseoUna controversia sull’affidamento d’un minore viene decisa dal giudice di merito recependo i risultati di unac.t.u. che ravvisa nei problemi relazionali del minore con il padre i sintomi patologici della c.d. sindrome dialienazione parentale, una diagnosi contestata in giudizio poiché ritenuta priva di fondamento scientifico senzache il giudice abbia preso atto di tali contestazioni e dato adeguata motivazione della sua adesione alla relazionedel c.t.u. La Cassazione accoglie il ricorso proposto dalla madre del minore rilevando che il giudice dimerito ha omesso di motivare su un fatto decisivo oggetto di discussione fra le parti, ma il giudice del rinviodecide nel merito senza prendere una precisa posizione sulla questione della validità scientifica della controversaconsulenza tecnica.1. Il lacerante conflitto sorto fra coniugi separati chesi contendono l’affidamento del proprio unico figlioha trovato per ora soluzione in questo decreto dellasezione per i minorenni della Corte d’appello brescianainvestita, in sede di rinvio, dalla sentenza dellaSuprema Corte - essa pure qui riportata - che avevacassato un decreto pronunciato dalla Corte d’appellodi Venezia, sezione minori, censurato per vizidi motivazione in merito a un fatto decisivo e controversoper il giudizio oggetto di discussione tra leparti, a norma di quanto dispone il nuovo testo dell’art.360, n. 5, cod. proc. civ. (1).La complessa vicenda è di sicuro interesse per i lettoridella Rivista sotto due concorrenti profili: infatti,si possono trovare nel testo dei due provvedimentinon soltanto profili giuridici di notevole rilievoper quanto riguarda, in particolare, i rapporti fra ilrisultato d’una contestata consulenza tecnica d’ufficioe il corretto adempimento dell’obbligo di motivazione,ma anche valutazioni più specifiche suiconflitti che spesso sorgono nelle relazioni fra unminore e i propri genitori.In particolare, i giudici di merito hanno ritenuto,accogliendo sul punto le conclusioni peritali, di ravvisarenell’atteggiamento ostile del minore nei confrontidel padre, i sintomi d’una patologia innescatadall’esistenza d’un conflitto genitoriale che, nota comesindrome di alienazione parentale (PAS), ricevetuttavia valutazioni contrastanti in àmbito scientifico.Emerge così nella vicenda giudiziale un profilocon valenza clinica che, per quanto sia stato determinanteper formare il convincimento del giudice,ha un fondamento scientifico molto controverso comeviene illustrato nel commento a questi provvedimentiopportunamente affidato in queste stesse paginea uno specialista, lo psicologo Marco Casonato,docente nella Università Milano-Bicocca (2).2. La vicenda posta al centro degli annotati provvedimentiprende l’avvio dagli accordi fra i coniugiomologati nel 2005 in sede di separazione consensuale,con i quali veniva stabilito l’affidamentoesclusivo alla madre del figlio minore (3) e data alpadre la possibilità d’avere con quest’ultimo rappor-Note:(1) La Cassazione, anche senza farne espressa menzione, ha applicatoquanto dispone sui vizi di motivazione l’art. 360, 1° comma,n. 5, nel testo modificato dall’art. 4, d. l. 22 giugno 2012, n.83 (c.d. “decreto di sviluppo”) e dalla legge di conversione 7agosto 2012, n. 134, applicabile alle sentenze pubblicate dall’11settembre 2012. La nuova norma, simile a quanto prevedeva iltesto originario del codice del 1942, non fa più riferimento alla“omessa, insufficiente o contraddittoria motivazione circa unfatto controverso e decisivo per il giudizio” bensì soltanto all’“omessoesame circa un fatto decisivo per il giudizio che è statooggetto di discussione tra le parti”. Sulle implicazioni sottesea questa nuova formulazione dei vizi di motivazione e sulla possibilitàdi far valere quelli non più contemplati dal nuovo testodell’art. 360, n. 5, sotto l’assorbente profilo della nullità dellasentenza di cui al n. 4 dello stesso articolo, Consolo, Nuovi e indesiderabiliesercizi normativi sul processo civile: le impugnazionia rischio di svaporamento, in Corr. giur., 2012, 1139 s., maanche Piccininni, I motivi di ricorso per cassazione dopo la modificadell’art. 360, n. 5, cod. proc. civ., in Riv. dir. proc., 2013,407 ss. e ivi altri riferimenti.(2) Per un primo commento a questi provvedimenti, Casaburi,Sull’affidamento d’un bambino e sindrome da alienazione parentale(PAS), in Foro it., 2013, I, 1495 ss..(3) Si tratta di accordi possibili in separazioni consensuali anterioriall’entrata in vigore della legge sull’affidamento condivisoche ha novellato il codice civile con i nuovi artt. 155 - 155 sexies.Oggi molti ritengono che l’affidamento esclusivo non possa piùavere titolo in una separazione consensuale ostandovi quantodispone l’art. 155 bis per cui l’affidamento esclusivo può esseredeliberato solo quando il giudice “con provvedimento motivato”ritenga l’affidamento condiviso contrario all’interesse del minore.In questo senso, Sesta, La nuova disciplina dell’affidamento,in AA.VV. L’affidamento dei figli nella crisi della famiglia, Torino,2012, 18 s. ma vedi anche le riserve manifestate sul punto dallaArceri, Affidamento dei figli e autonomia delle parti, ivi, 89 ss.condivise anche dalla giurisprudenza per cui spetta comunque algiudice dell’omologazione valutare se l’accordo per l’affidamentoesclusivo risponda effettivamente all’interesse del minore.752Famiglia e diritto 8-9/2013


GiurisprudenzaMinoriti significativi da sviluppare e intensificare nel tempo.L’attuazione di questi accordi si rivela presto difficoltosaper gli ostacoli frapposti dalla madre, mentrei rapporti tra il minore e suo padre sono soggetti“ad ingravescente involuzione”, per ripetere le paroleche leggiamo nella sentenza della Cassazione:un’involuzione attribuita all’ostile influenza dellamadre al punto che il tribunale per i minorenni giànel 2009 l’aveva dichiarata decaduta dalla potestàgenitoriale e, pur affidando il minore ai servizi sociali,aveva anche disposto continuasse ad abitare conla madre.Si tratta d’una collocazione che il padre non tarda acontestare chiedendo, con un nuovo ricorso propostonel luglio 2010 al tribunale minorile che avvia ilprocedimento oggetto di queste note, l’allontanamentodel figlio dalla madre. Secondo il ricorrente,infatti, la condotta di quest’ultima era tale da crearenel minore una crescente ostilità nei suoi confronti,al punto da assumere notazioni così gravi da farla ricondurrea una precisa patologia, la c.d. sindrome daalienazione parentale; ancora, egli chiede che il figliosia affidato ad altri servizi sociali per l’inefficienzae l’inidoneità ad averne cura mostrata daquelli in precedenza individuati dal giudice. Tutte ledomande vengono contestate dalla controparte chene chiede il rigetto e domanda altresì d’essere reintegratanell’esercizio della potestà.Il tribunale minorile, nel respingere le domandeproposte dalle parti, conferma il collocamento delminore presso sua madre, limitandosi ad affidarlo aun nuovo servizio sociale per favorirne il riavvicinamentoal padre. Contro questo decreto, entrambe leparti propongono reclamo: la corte d’appello minorileadita, ritenendo sussistere nel figlio, sulla scortadelle risultanze peritali di cui peraltro viene contestatoil fondamento scientifico, la sindrome di alienazioneparentale (PAS) in lui causata dalla condottadella madre (4), decide d’affidare al padre ilminore e di collocarlo, in via transitoria, in unastruttura residenziale educativa (5), dando a entrambii genitori la possibilità di incontrarlo periodicamente.3. Contro il decreto della corte d’appello, la madredel minore propone ricorso per cassazione deducendoviolazione di legge e vizio di motivazione per nonaver il giudice del provvedimento impugnato sorrettocon adeguata motivazione la propria scelta di recepirele conclusioni del consulente tecnico d’ufficioa proposito della sindrome di alienazione parentale,una consulenza di cui, come si è detto, la ricorrenteaveva contestato il fondamento scientifico.Per quest’ultima, il giudice del reclamo avrebbe dovutoprendere espressamente in considerazione lecritiche da lei mosse nei confronti del fondamentoscientifico della relazione presentata dal consulente(6). Non avendolo fatto, l’iter logico che ha condottoal giudizio sarebbe viziato e, per tale ragione, ildecreto pronunciato dalla corte d’appello impugnabilein Cassazione a’ sensi dell’art. 360, n. 5, cod.proc. civ., per aver omesso l’esame d’un fatto decisivooggetto di discussione tra le parti (7): si trattad’un motivo di ricorso che può dare fondamentonon soltanto al ricorso ordinario ma anche al ricorsostraordinario proposto, nel caso di specie, a normadell’art. 111, 7° comma, Cost. (8).Nell’accogliere il ricorso, la Cassazione respinge inprimo luogo l’eccezione di improcedibilità sollevatadal controricorrente sul presupposto che il decretopronunciato in sede di reclamo dalla Corte d’appelloriguarderebbe la volontaria giurisdizione e, per taleragione, sarebbe privo del carattere della decisorietà,presupposto necessario per l’ammissibilità delricorso straordinario per cassazione, rimedio garantitodalla nostra Costituzione.Ritiene la Corte che l’impugnato decreto cameraleNote:(4) Su questa particolare patologia rinvio al commento curato quidi séguito da Casonato. Mi limito ad osservare come tale patologiapossa essere provocata proprio a causa del perpetuarsi dell’affidamentoprovvisorio a uno di genitori: lo rileva già Danovi,Note sulla consulenza psicologica nel processo civile, in Riv. dir.proc., 2000, 830 e ivi il richiamo al contributo di Buzzi, La sindromedi alienazione genitoriale, in Cigoli, Gullotta, Santi, Separazionedivorzio e affidamento dei figli, Milano, 1980, 177 ss.(5) L’attuazione di questo provvedimento, avvenuto in un climadi forte tensione che ha visto il bambino - di appena dieci anni -prelevato dalla forza pubblica all’uscita dalla sua scuola di Cittadella,ha suscitato vasto clamore e attirato l’attenzione dellastampa quotidiana,(6) La parte, nella specie la madre del minore, ripresenta con formulazionepiù articolata, le osservazioni critiche già proposte neiconfronti della consulenza tecnica d’ufficio effettuata nell’àmbitodel giudizio di primo grado. È singolare che la consulenza siastata affidata dal giudice del reclamo al medesimo consulenteche, per tale ragione, ben poteva essere ricusato dalla parte anorma dell’art. 192 cod. proc. civ.: sull’argomento, vedi Cass.,sez. un., 31 marzo 2009, n. 7770.(7) Come vuole il nuovo testo dell’art. 360, n. 5, cod. proc. civ.:sul punto, supra a nota 1.(8) I dubbi ricorrenti che esistevano sui rapporti tra ricorso ordinarioe ricorso straordinario “per violazione di legge” sotto ilprofilo dei motivi esperibili - sul punto, Tiscini, Il ricorso straordinarioper cassazione, Torino, 2005, 292 ss. - sono stati superati,per quanto qui rileva e per effetto del d.lgs. 2 febbraio 2006, n.40, dal testo modificato dell’art. 360, ultimo comma, per cui tuttii motivi che possono fondare un ricorso ordinario sono invocabilianche nel ricorso straordinario previsto dall’art. 111, 7°comma, Cost.: cfr. ancora Tiscini, Gli effetti della riforma del giudiziodi cassazione sul ricorso straordinario, in Riv. dir. proc.,2008, 1599 ss.Famiglia e diritto 8-9/2013 753


GiurisprudenzaMinorinon sia riconducibile, come vorrebbe il controricorrente,fra i provvedimenti di giurisdizione volontariaprevisti dagli artt. 330 ss. cod. civ., in materia dicontroversie de potestate che, privi del caratteredella decisorietà e della definitività, non sono sentenzein senso sostanziale e, pertanto, non possonofruire della garanzia del ricorso per cassazione (9),anche se è verosimile che la giurisprudenza modifichipresto, sul punto, il proprio orientamento (10).Nella sua sentenza la Corte è esplicita nell’affermareche le parti avrebbero in realtà discusso davanti algiudice minorile non già una domanda de potestatebensì un ricorso per la revisione del regime dell’affidamentostabilito in sede di separazione consensuale:una domanda riservata alla competenza del tribunaleordinario, come vogliono gli artt. 710 e 711cod. proc. civ., e non a quella del tribunale per i minorenni.In questo modo, sarebbero state violate regoledi competenza ma - come precisa ulteriormentela Cassazione - la relativa questione è da consideraredefinitivamente preclusa poiché il giudice di meritoavrebbe dovuto sollevarla non oltre la primaudienza del giudizio di primo grado, come dispone iltesto novellato dell’art. 38 cod. proc. civ., norma applicabileanche ai procedimenti in camera di consiglio(11).Questa osservazione consente peraltro alla Corte diriportare la controversia nell’alveo dei procedimentidi revisione delle statuizioni contenute nelle sentenzedi separazione o degli accordi omologati in sededi separazione consensuale (12). Si tratta di procedimentiche la legge riveste delle forme camerali,nei quali la giurisprudenza ravvisa da tempo la strutturadi procedimenti cameral-contenziosi culminantiin decreti con il crisma della decisorietà e quindicon natura sostanziale di sentenza nei cui confrontiè sicuramente ammesso il ricorso straordinario (13):un orientamento del diritto vivente giurisprudenzialeche consente alla Corte di dichiarare ammissibileanche il ricorso davanti a lei proposto nel caso dispecie.4. Affermata, nei termini ora ricordati, l’ammissibilitàdel ricorso, la Suprema Corte ne prende in esamei motivi proposti e centrati essenzialmente sulvizio di motivazione per avere la corte d’appelloomesso di prendere in considerazione, nel decretopronunciato in sede di reclamo, un fatto decisivo delgiudizio che, per ripetere quanto dispone il nuovotesto dell’art. 360, n. 5, “è stato oggetto di discussionetra le parti”.In particolare, la Cassazione individua il vizio dimotivazione nell’aver il giudice del reclamo fondatola propria decisione sulla totale condivisione dei risultatidella disposta consulenza tecnica d’ufficiosenza tener conto delle contestazioni e delle censureproposte sulla sua validità scientifica.Note:(9) La Corte rimane fedele al proprio costante orientamento, ribaditoanche in sue recenti pronunce: Cass. 13 settembre 2012,n. 15341, in questa Rivista, 2013, 586 ss., con nota di Ressani,Ricorso straordinario per cassazione e provvedimenti di decadenzadalla potestà genitoriale; Cass. 31 maggio 2012, n. 8778,in questa Rivista, 2012, 1056; Cass. 24 maggio 2012, n. 8225, inForo it., 2012, I, 3115 ss., tutte sulla scia di diverse pronuncedelle Sezioni Unite, fra cui Cass., sez. un., 25 gennaio 2002, n.911, in questa Rivista, 2002, 367 ss., con nota di Porcari, Provvedimentide potestate e inammissibilità del ricorso per cassazione;Cass., sez. un., 15 luglio 2003, n. 11026, in questa Rivista,2004, 165 ss., con nota di Donzelli, La tutela dei diritti processualiviolati nei procedimenti ablativi e limitativi della potestà parentale.(10) Conviene osservare che l’applicazione della nuova legge sullafiliazione dello scorso dicembre può modificare questo consolidatoindirizzo giurisprudenziale: infatti, i provvedimenti de potestate,per effetto della legge n. 219, possono ora essere contenutiin capi delle sentenze di separazione o di divorzio pronunciatedai tribunali ordinari e quindi impugnati nei modi ordinari eanche per cassazione. In tal modo è dato accesso a uno strumentodi garanzia che diventerebbe irragionevole precludere ulteriormentesoltanto ai provvedimenti de potestate pronunciatidai tribunali minorili. Questo può essere il germe per innescareun’evoluzione giurisprudenziale - da tempo auspicata da unasensibile dottrina - vòlta a fare possibile oggetto del ricorso percassazione anche i decreti de potestate pronunciati ex art. 336dalla corte d’appello minorile in sede di reclamo, un’impugnazionefinora preclusa dalla natura cameral-volontaria loro attribuita:sull’argomento, Proto Pisani, Garanzia del giusto processo e tuteladegli interessi dei minori, ora in Le tutele giurisdizionali deidiritti, Napoli, 2003, 639 ss. e vedi anche Lai, Procedimenti “depotestate” e ricorso straordinario per cassazione: un’esclusionegiustificata? in questa Rivista, 2008, 465 ss. e vedi anche il mioscritto, I procedimenti de potestate e la nuova legge sulla filiazione,in Riv. dir. proc., 2013, 558 ss.(11) Così Cass. 22 maggio 2003, n. 8115 e vedi Arieta, Trattatodi diritto processuale civile, X, Milano, 2010, 519 s. Con l’art. 38,novellato dall’art. 45, l. 18 giugno 2009, n. 69, e applicabile ai giudiziiniziati dopo la sua entrata in vigore avvenuta il 4 luglio 2009,il legislatore, nel considerare “deboli” i vari criteri di competenza,ha posto il principio per cui le questioni di competenza devonotutte essere introdotte nel processo solo con eccezione diparte o con rilievo ufficioso del giudice in tempi rigorosamentestabiliti.(12) Beninteso quando si tratta di regolare i rapporti fra i coniugiseparati consensualmente con un provvedimento giurisdizionalereso necessario o dal loro disaccordo o dal carattere indisponibiledei diritti in ragione di quanto prevede l’art. 160 cod. civ. Sulpunto, Vullo, Procedimenti in materia di famiglia e di stato dellepersone, nel Commentario del cod. proc. civ., diretto da Chiarloni,Bologna, 2011, 446 ss.(13) Conclusione questa assolutamente pacifica: Cass., sez. un.,21 ottobre 2009, n. 22238, in questa Rivista, 2010, 1110 e, da ultimo,Cass. 17 maggio 2012, n. 7770, ma vedi anche Vullo, Procedimentiin materia di famiglia, cit., 376 ss.; Nascosi, I procedimentidi modifica delle condizioni di separazione e divorzio, in Iprocessi di separazione e divorzio, II ed., a cura di Graziosi, Torino,2011, 375 s.; Bianchi, Il giudizio di modificazione delle condizionidi separazione dei coniugi di cui all’art. 710 cod. proc. civ.,Napoli, 2012, 300 ss.754Famiglia e diritto 8-9/2013


GiurisprudenzaMinoriInfatti, se è pacifico in giurisprudenza che il giudicepossa aderire alle risultanze d’una consulenza tecnicada lui stesso disposta senza doverne motivare leragioni (14), è altrettanto pacifico che egli non possaformare legittimamente il proprio convincimentolimitandosi a recepire le risultanze d’una consulenzad’ufficio nei cui confronti una delle parti abbia mossocritiche puntuali: in tal caso, è tenuto a risponderea queste critiche se non vuole incorrere nel viziod’omessa motivazione (15).A questo punto, conviene esaminare con qualcheattenzione la formazione del convincimento del giudicee, in particolare, del giudice del reclamo per valutarein qual modo abbia motivato il proprio provvedimentoe se il vizio di motivazione rilevato dallasentenza in commento della Cassazione possa esserefatto valere come motivo di ricorso ai sensi di quantodispone il testo, recentemente modificato, dell’art.360, n. 5, cod. proc. civ.La nuova formulazione della norma citata prevedeche il vizio di motivazione, oggi rilevante come motivodi ricorso, sussiste quando il giudice abbia omessod’esaminare “un fatto decisivo” che sia stato “oggettodi discussione” tra le parti. Nel caso di specie, aifini della revoca del collocamento del minore pressosua madre, il fatto decisivo è certamente il contegnodi quest’ultima che viola il diritto del minore “dimantenere un rapporto equilibrato e continuativo”anche quando, come prescrive l’art. 155 cod. civ.,l’unità familiare è entrata in crisi o si è dissolta (16).In quest’ottica, il giudice minorile avrebbe potutoaccertare la condotta della madre muovendo, conun ragionamento presuntivo, dai fatti non controversiriguardanti l’anomalo comportamento del minore:una valutazione da compiere anche avvalendosid’un consulente tecnico per dare sicuro fondamentoal nesso di causalità fra l’atteggiamento ostiledel minore nei confronti del padre e il contegno dellamadre convivente col figlio (17). In tal caso, ilgiudice avrebbe dato alla propria decisione i consueticontenuti vòlti a modificare il comportamento delminore e a risolvere i problemi relazionali nei rapporticol padre, dando nuove disposizioni sul suocollocamento con il corollario di prescrizioni sul dirittodi visita e sull’intervento dei servizi per ricostruirei rapporti del figlio con i propri genitori.In realtà, non è stato possibile seguire questo percorsopoiché il consulente tecnico, designato dal giudiceminorile, ha individuato nel comportamento del minorenon soltanto fatti che la comune esperienza suggerisceessere stati indotti dal comportamento dellamadre, bensì i sintomi di una precisa patologia, la sindromedi alienazione parentale dovuta, nella specie,al contegno della madre qualificato come fatto patogeno.Si tratterebbe d’una patologia che richiede, peressere rimossa, non soltanto i consueti provvedimentisull’affidamento del minore, ma anche complessiinterventi in funzione terapeutica da attuare predisponendoarticolati progetti di sostegno psicologicosia del bambino sia della coppia genitoriale (18).Note:(14) È ricorrente, in giurisprudenza, l’affermazione che il giudicenon ha l’obbligo di motivare le ragioni della propria adesione ai risultatidella disposta consulenza tecnica d’ufficio: in tal caso, infatti,l’obbligo di motivazione sarebbe soddisfatto dalla circostanzache il giudice utilizza per relationem il contenuto della relazionedel consulente tecnico d’ufficio. Vedi, in senso conforme,Cass. 21 settembre 2012, n. 16056, anche se, come è statoosservato, l’adesione alla consulenza tecnica non dovrebbemai essere acritica: vi è anzi la tendenza ad affermare che il giudice“avrebbe comunque il dovere di fornire un’adeguata motivazioneal suo apprezzamento” e questo per dare coerente attuazioneal dovere di motivare sancito dall’art. 111 Cost.: Comoglio,Le prove civili, III ed., Milano, 2010, 890 s.(15) In questo senso, la giurisprudenza citata in motivazione a cuiadde Cass. 21 marzo 2011, n. 6399, in Nuova giur. civ. comm.,2011, 991 ss., con nota di Russo, Sull’obbligo del giudice di motivarele ragioni che lo hanno indotto ad aderire alle conclusionidel consulente tecnico d’ufficio; Cass. 9 giugno 2011, n. 12686,per cui il giudice ha l’obbligo d’indicare nella motivazione dellapropria pronuncia le ragioni che l’hanno indotto a disattendere lecritiche, puntuali e specifiche, mosse dal consulente di parte avversola consulenza tecnica d’ufficio; sull’argomento, Comoglio,Le prove civili, cit., 892 s. È stato anche deciso che l’obbligo giudizialedi motivazione non sussiste quando lo stesso consulentenella propria relazione o in atti aggiuntivi abbia risposto alle critichemosse dalle parti: Cass. 21 settembre 2012, n. 16056.(16) È appena il caso d’avvertire che la norma di cui all’art. 155cod. civ.. trova applicazione anche in caso di divorzio, di nullitàdel matrimonio o nella dissoluzione della famiglia di fatto: così infatti,l’art. 4, 2° comma, della legge 8 febbraio 2006, n. 54, sull’affidamentocondiviso.(17) Sulle presunzioni semplici come tecnica di formazione delconvincimento del giudice, vedi Patti, Presunzioni e prova testimoniale,nel Commentario del codice civile Scialoja-Branca a curadi Galgano, Bologna-Roma, 2001, 77 ss. e ivi 93 il giusto rilievoche nel ragionamento presuntivo, modellato su quanto prescrivel’art. 2727 cod. civ., la spiegazione dello svolgimento deifatti si ottiene secondo le indicazioni provenienti dall’esperienza:si fa qui riferimento alle c.d. massime d’esperienza da utilizzarecome “base di presunzioni semplici quando il fatto da provareappare evidente alla luce dell’esperienza” (ibidem, 92 s.) e sullequali vedi anche Comoglio, Le prove civili, cit., 154 ss.(18) Già si è detto che il fatto principale - o “decisivo” nel lessicoutilizzato dall’art. 360, n. 5 - posto al centro della decisione delgiudice di merito è proprio il comportamento della madre nellaqualificazione, datagli dal consulente tecnico d’ufficio, di fattopatogeno in cui individuare la causa dei gravi problemi relazionalidel minore con il padre. Gli esiti della consulenza tecnica nonhanno, con tutta evidenza, soltanto un valore lato sensu testimoniale:invero proprio nell’àmbito delle consulenze tecnichepsicologiche, l’apporto del consulente non è soltanto quello direlazionare sulla constatazione di fatti da lui compiuta, ma anche- e soprattutto - di dare al giudice indicazioni sul possibile contenutodella sua decisione: si parla in tal caso di consulenza “deducente”e la consulenza psicologica ne è un tipico esempio. Sulpunto, le osservazioni puntuali di Danovi, Note sulla consulenzapsicologica, cit., 812 s., nonché, per i parametri utilizzati più fre-(segue)Famiglia e diritto 8-9/2013 755


GiurisprudenzaMinoriNel giudizio di merito davanti alla corte d’appellominorile, la relazione del consulente d’ufficio vienetuttavia contestata dalla madre del minore. Questainfatti osserva come le valutazioni del perito si fondanosulla recezione d’una teoria priva d’ogni fondamentoscientifico, ma la corte d’appello fa proprie leconclusioni del consulente tecnico, senza prenderein considerazione le critiche formulate dalla parte:in talo modo espone il proprio provvedimento allacensura di vizio della motivazione fatta poi valeredavanti alla Cassazione.Come si è detto, il codice di rito ora prevede che, aifini del ricorso per cassazione, il vizio della motivazionesussiste quando il giudicante abbia “omessol’esame” di un fatto decisivo per il giudizio che siastato “oggetto di discussione tra le parti”. Un’ interpretazioneletterale del nuovo testo dell’art. 360, n.5, potrebbe far credere che il vizio sussista solo quandoil giudicante abbia nella propria motivazioneomesso ogni riferimento al fatto decisivo e quindiche l’omesso esame dipenda da una valutazione meramentegrafica del testo della motivazione. Se cosìfosse, ben difficilmente questo vizio della motivazionepotrebbe essere utilmente fatto valere (19) ed èpalese che, per dare effettivo significato alla nuovanorma e concreta tutela alla parte, occorre interpretarela norma tota lege perspecta come ammoniscel’antica sapienza (20).Non è questa la sede per stabilire se i vizi logici dellasentenza dovuti alla insufficiente o contraddittoriamotivazione siano ancora, anche se per implicito,ricompresi nella nuova formulazione del n. 5 dell’art.360 o se, incidendo sulla validità della sentenza,possano essere fatti valere come motivi di nullitàa norma di quanto dispone il n. 4 del medesimo articolo(21). La sentenza della Cassazione ha buon gioconell’accogliere il ricorso per vizio della motivazionesul presupposto che l’omissione in cui è incorsoil giudice di merito riguarda non già il fatto delcomportamento della madre considerato come patogeno,bensì la circostanza che fosse oggetto di discussionefra le parti e quindi delle rispettive difese:si tratta dunque di dare necessaria attuazione alprincipio del contraddittorio che ha assunto rilievocostituzionale a norma di quanto oggi dispone l’art.111, 2° comma, Cost.In sintesi, il giudice di merito ha mostrato di ignorarele contestazioni, serrate e precise, sollevate da unadelle parti sia nei confronti del fondamento scientificodella consulenza tecnica d’ufficio, accolta inmodo acritico dalla corte d’appello minorile veneziana,sia per quanto riguarda il suo reale riscontronel minore. Contestazioni che, facendo oggetto didiscussione gli effetti del comportamento della madresulla personalità del minore e sui rapporti con ilpadre, il giudice avrebbe dovuto prendere in considerazionenel motivare la propria adesione alla consulenzatecnica d’ufficio e alla diagnosi che ha ravvisatonel difficile rapporto tra il minore e il padre isintomi della c.d. sindrome di alienazione parentale.L’adesione acritica del giudice alle indicazioni delconsulente ha influito in modo determinante sulcontenuto del dispositivo del provvedimento fortementeorientato, anche qui accogliendo le conclusionidel consulente, a dare prescrizioni con valenzamarcatamente terapeutica. Il vizio di motivazione èqui rilevante anche per il nesso di causalità che sussistefra gli elementi trascurati dal giudice e la soluzionedata alla controversia poiché, se fossero statipresi in considerazione, avrebbero potuto condurre auna diversa decisione della causa (22).Ci si può chiedere quali siano gli strumenti di cui ilgiudice dispone per motivare in modo adeguato ilproprio atteggiamento nei confronti d’una consulenzatecnica contestata nel suo fondamento scientifico.Sotto questo profilo, lascia perplessi l’affermazionedella Corte per cui il giudice del merito dovrebbericorrere “alle proprie cognizioni scientifiche”,cognizioni che ben difficilmente può avere comedimostra la scelta da lui stesso compiuta nel nominareun consulente tecnico (23). Non rimane algiudicante, come suggerisce la Corte, che “avvalersidi idonei esperti” e quindi di disporre una nuovaNote:(continua nota 18)quentemente nelle consulenze psicologiche, Rosa, La consulenzatecnica in materia di separazione e divorzio, in AA.VV. L’affidamentodei figli nella crisi della famiglia, cit., 853 ss.(19) In questo senso, Consolo, Nuovi e indesiderabili esercizi sulprocesso civile, cit., 1140; Piccininni, Ricorso in cassazione dopola modifica dell’art. 360, n. 5, cit., 421.(20) Mi riferisco alla massima, sempre attuale, formulata da Celsoin D. I, 3, 24.(21) Su questo tema, accanto agli autori citati nella nota 19, vediBove, Giudizio di fatto e sindacato della Corte di cassazione, inGiusto proc. civ., 2012, 682 s. e Impagnatiello, Pessime nuove intema di appello e ricorso per cassazione, ivi, 2012, 756 s., il qualenota, a mio avviso giustamente, che la riformulazione data allarilevanza del vizio di motivazione dev’essere intesa con riferimentoalle ipotesi nelle quali “il fatto non sia stato esaminato intutte le articolazioni con le quali è emerso in sede istruttoria”.(22) In questi termini, Comoglio, Le prove civili, cit., nota 253,890 e ivi il richiamo alla conforme Cass. 28 febbraio 1992, n.2476, in Foro it., 1992, I, 3314 ss.(23) È ricorrente l’auspicio che, specialmente nei processi riguardantiminori e, più in generale, i rapporti familiari il giudiceabbia una specifica preparazione sulle tematiche e sulle questioniche sorgono nel contenzioso familiare: su questo punto, Danovi,Note sulla consulenza psicologica, cit., 826 s. ma ancheMoro, Manuale di diritto minorile, IV ed., Bologna, 2008, 111 ss.756Famiglia e diritto 8-9/2013


GiurisprudenzaMinoriconsulenza tecnica a cui affidare le risposte da darealle contestazioni sulla validità scientifica di quellaacquisita in precedenza (24), ovvero “ricorrere allacomparazione statistica dei casi clinici”, formula dicolore oscuro che forse vuol affidare al giudice ilcòmpito di optare per la soluzione che riceve il maggiornumero di adesioni (25).Nel lasciare a uno specialista, il prof. Casonato, ognivalutazione sul fondamento scientifico della sindromeche ha acquistato una centrale rilevanza in questavicenda processuale ma, prima ancora, nei rapportiinterpersonali di una famiglia lacerata da unaprofonda crisi (26), mi limito ad osservare, per restarenel tema, l’approccio prammatico che è agevolecogliere nel decreto dei giudici bresciani chiamati adecidere in sede di rinvio. Infatti, essi non mancanodi osservare come far riferimento alla sindrome dialienazione parentale può certo evocare una specificapatologia, ma può essere anche soltanto unoschermo verbale per fare riferimento “se non proprioa una vera malattia” a un “problema relazionalemolto frequente in situazione di separazione dei genitori”.La Corte bresciana, a cui la Cassazione ha demandatoil còmpito di esaminare il reclamo “senza incorrerenell’evidenziato vizio motivazionale”, ha sostanzialmenteconfermato la decisione della Corte venezianaevitando di prendere una precisa posizione sullaquestione della validità scientifica della sindromedi alienazione parentale. Infatti, secondo il giudicedel rinvio dagli atti processuali emerge “la descrizionedi comportamenti del bambino che, se non ricomposti,porterebbero a disturbi tali da impedirglidi crescere e di sviluppare tutte le sue notevoli capacitàintellettuali ed espressive” e questo, si noti, “indipendentementedalla loro qualificazione dal puntodi vista medico”. In sintesi, la decisione può esserepresa, nell’interesse del minore, guardando alla situazionedi disagio in cui si trova a causa del comportamentodella madre che “non può ritenersi essereil genitore più idoneo a favorire la crescita delbambino”, una conclusione questa a cui il giudiceperviene valutando con il suo prudente apprezzamentoi fatti e le prove acquisite”.In conclusione, conviene sottolineare come l’annotatasentenza della Suprema Corte ci abbia dato,seppure in modo indiretto, un’indicazione moltoutile per quanto riguarda la rilevanza dei vizi dellamotivazione ai fini del ricorso per cassazione. Invero,la nuova formulazione data alla norma di cui all’art.360, n. 5, cod. proc. civ., non impedisce affattoalla Corte di confermare il proprio costante orientamento,almeno per quanto riguarda i rapporti trauna contestata consulenza tecnica d’ufficio el’adempimento dell’obbligo di motivare.Con questa sentenza, la Corte ribadisce la necessitàche il giudice di merito, nel recepire le conclusionid’una consulenza tecnica d’ufficio oggetto di puntualicritiche mosse dalle parti, abbia il dovere dimotivare le ragioni per le quali ha ritenuto di disattenderlee quindi di non accogliere le specifiche difeseche, sul punto, sono state avanzate nel corso delgiudizio di merito da una delle parti. Non adempierea tale dovere, come è avvenuto nel caso di specie,si risolve nell’omesso esame di un fatto decisivo oggettodi discussione tra le parti e quindi in un’omissioneche può ancora essere posta a fondamentod’un ricorso per cassazione per vizio della motivazionedel provvedimento impugnato.Note:(24) Ma una nuova consulenza non è necessaria quando il consulentetecnico nella propria relazione o in atti aggiuntivi, eventualmentechiesti dal giudice di merito, abbia risposto alle osservazionicritiche formulate dalle parti: sopra a nota 15.(25) Il caso di specie ripropone il problema cruciale costituito dalrapporto fra la valutazione del giudice e quella del perito nell’accertamentodel fatto: quale possibilità ha il giudice di controllareil giudizio del perito posto che le regole scientifiche da questi utilizzatevanno oltre le conoscenze dell’uomo medio e quindi dellostesso giudicante? Sul punto, il fondamentale saggio di Denti,Scientificità della prova e libera valutazione del giudice, in Riv.dir. proc., 1972, 429 ss., per il quale “la risposta non può che essereche una: il giudice svolge lo stesso controllo che può esercitarela collettività, della quale il giudice è l’esponente e l’interprete”e, aggiunge Denti, “tre sono i modi di controllo che lapubblica opinione possiede nei confronti dell’opera di un esperto:a) la valutazione della sua autorità scientifica; b) l’acquisizioneal patrimonio scientifico comunemente accettato dei metodi diindagine da lui seguiti; c) la coerenza logica delle sue argomentazioni”(ibidem, 434).(26) Per alcuni interessanti provvedimenti in cui i giudici di meritohanno fondato la propria decisione sulla validità scientifica dellaPAS, vedi Casaburi, Sull’affidamento di un bambino, cit., 1499s., che, ricordando come il riferimento alla sindrome di alienazionegenitoriale fosse contemplato in un disegno di legge del2009, poi decaduto per fine legislatura, osserva che la PAS “èpassata rapidamente dalla soglia della sanzione legislativa allascomunica giurisprudenziale da parte della Cassazione”. L’Autorecitato ricorda ancora come la giurisprudenza di merito siagiunta al punto di condannare la madre al risarcimento dei dannia favore del figlio minore nel quale aveva, con il proprio comportamento,provocato l’insorgere della sindrome di alienazione parentale,considerata dai giudicanti una patologia psichiatrica: cosìTrib. Messina 5 aprile 2007, in Foro it., 2008, I, 1689 ss. Pocosignificativo, invece, richiamare quanto disposto dalla recentesentenza della Corte di legittimità che, incidentalmente, ha fattoriferimento alla PAS senza prendere però posizione sulla sua validitàscientifica, rimanendo la questione estranea alla materiadel contendere: Cass. 8 marzo 2013, n. 5847.Famiglia e diritto 8-9/2013 757


GiurisprudenzaMinoriCONFLITTI FAMILIARI E SINDROME DA ALIENAZIONEPARENTALE: NOTE SU UNA DISCUSSA PATOLOGIAdi Marco CasonatoViene qui pubblicato il contributo richiesto al prof. Casonato, psicologo dell’Università Milano-Bicocca, perdare ai lettori chiarimenti sul fondamento scientifico della Sindrome d’alienazione parentale, una patologiacomportamentale che può colpire un bambino in un vissuto familiare particolarmente conflittuale, una patologiaalla quale hanno fatto ampio riferimento i provvedimenti qui annotati della Cassazione e della Corte bresciananell’àmbito di una controversia sull’affidamento di un minore.1. L’Alienazione parentaleLa PAS o Parental Alienation Syndrome (tradotta comeSindrome di alienazione genitoriale o parentale) è -nella definizione di Gardner (1) - un disturbo dell’etàevolutiva, rilevato dapprima nella realtà statunitensee definito fin dagli anni ottanta. Infatti, nelcorso degli ultimi trent’anni, man mano che la percentualedei divorzi aumentava, si sono osservatisempre più spesso quadri clinici di alienazione parentalecorrelati alla frequentazione di un genitoredivorziato non affidatario.Nell’esperienza clinica era già nota una configurazionerelazionale tipica delle famiglie con genitoriin conflitto denominata “triangolazione”, definitacome una coalizione instabile in cui ogni genitoredesidera che il figlio parteggi per lui contro l’altro(2); questa configurazione relazionale notata nellefamiglie integre, ma patologiche, è stata rilevataanche nelle famiglie disgregate dal divorzio. Quandola separazione dà luogo ad aspri conflitti, ognunodegli ex coniugi, convinto d’avere ragione, puòcoinvolgere i figli in una sorta di “gara di lealtà”(3), disorientandoli e costringendoli a una sceltainnaturale. I genitori trattano i figli come propriconfidenti e sovente attuano comportamenti miratia separarli dall’altro genitore e di cementarli a sé(4). Il comportamento materno finalizzato alla distruzionedel rapporto tra padre e figli nei conflittifamiliari è stato definito da Jacobs Complesso di Medea(5): le madri, anziché uccidere i figli per vendettacontro i mariti, come accade nella tragedia diEuripide, tentano di distruggere il legame padre-figlio(6).L’Alienazione parentale è una dinamica psicologicadisadattiva che, secondo Gardner, si attiva in alcunesituazioni di separazione e divorzio conflittualied è collegata a due fattori concomitanti: 1) la programmazioneo indottrinamento da parte di un genitore,preda di odio patologico ai danni dell’altro,definito comportamento alienante; 2) l’allineamentodel minore che si coinvolge attivamente in unacampagna di denigrazione, priva di giustificazioni enon sostenuta da elementi realistici, nei confrontidell’altro genitore che viene platealmente “odiato”e denigrato, c.d. fenomeno del pensatore indipendente.È fondamentale qui il ruolo di amplificazione svoltoda tutti coloro, familiari e no, che si schierano“senza se e senza ma” dalla parte del genitore alienante.L’Alienazione parentale viene qualificata anche comeuna forma di “abuso emotivo” (emotional abuse)originato dall’esposizione continuata del figlio al genitoreindottrinante (in genere affetto da Disturbo dipersonalità del cluster B e talora da un Disturbo bipolareo da un Disturbo delirante nei casi più gravi), ilquale trasmette un vissuto di presunta incombenteminaccia per l’avvicinarsi dell’altro genitore, nonchéil suo odio patologico nei suoi confronti (7).Note:(1) Gardner (1985), Recent trends in divorce and custody litigation,«Academy Forum», 29 (2), 3-7.(2) Minuchin S. (1974), Famiglie e terapia della famiglia, Roma1976.(3) Byrne K. (1989), Brainwashing in custody cases: The ParentalAlienation Syndrome, «Australian Family Lawyer», 4 (3), pp. 1-4.(4) Wallerstein J.S., Kelly J.B. (1980), Surviving the break-up:How children and parents cope with divorce, Basic Books, NewYork, descrissero tale fenomeno, da loro rilevato in soggetti dietà tra i nove e i dodici anni, anche in presenza di buoni rapportigenitore-figlio prima della separazione, come “allineamento delminore con un genitore”.(5) Jacobs J.W. (1988), Euripides’ Medea: A psychodynamicmodel of severe divorce pathology, «American Journal of Psychotherapy»,XLII (2), 308-319.(6) In <strong>Italia</strong> si è fatto anche riferimento a un Mobbing genitorialeda parte di Giordano (http://mobbing-genitoriale.blogspot.it/2013/05/iudex-vs-pater-ipotesi-socio.html) secondo modalitàche abbiamo in parte criticato (http://www.alienazione.genitoriale.com/la-zuffa-concettuale-sulla-pas-storia-prossimadi-furiosi-equivoci-marco-casonato).(7) Gardner R.A., (1998), The Parental Alienation Syndrome,CreativeTherapeutics, Cresskill, NJ.; Id., (1999a), Differentiating betweenthe Parental Alienation Syndrome and bona fide(segue)758Famiglia e diritto 8-9/2013


GiurisprudenzaMinoriAnche il genitore alienato subisce una violenzaemotiva: l’odio del suo ex partner si materializza comevendetta compiuta per mano dei figli e Gardnerdescrive questa terribile sofferenza paragonandola auno “stato di morte vivente” (state of living death): unattacco al Sé del genitore alienato. L’Alienazioneparentale è capace di produrre significative e pericolosepsicopatologie sia nel presente sia nella vita futuradei bambini coinvolti e degli adulti. Tra questeconseguenze, l’autore include gravi processi psicopatologiciquali esame di realtà alterato, spunti paranoidi,psicopatologie legate all’identità di genere,indebolimento della capacità di essere empatici,mancanza di rispetto per l’autorità, estesa poi anchea figure non genitoriali (8).Quella descritta pare tra l’altro una sindrome inquadrabilecome sottotipo dei disturbi d’ansia da separazioneche palesa, sia pure in diverso contesto, lemedesime dinamiche evidenziate da Bowlby (9) inquelle paure che inducono un genitore a non mandareil bambino a scuola o il bambino a rifiutarsid’andare a scuola. La fobia della scuola tipicamentepuò associarsi ad ansia di separazione quando ilbambino (e la madre) appaiono costantemente preoccupatiche possa succedere qualcosa di gravequando sono tra loro lontani anche per breve tempo:in caso di forzature emergono disturbi somatoformicome mal di pancia, nausea, o attacchi d’ansialibera. È esattamente la medesima dinamica e glistessi sintomi che si riscontrano in casi ove il bambinonon vuole recarsi o rimanere con il genitorenon affidatario.Numerosi casi di rifiuto della scuola possono dunqueessere considerati come il prodotto di uno o più deiquattro modelli d’interazione familiare tipici; altrettantovale nell’Alienazione parentale quando alla scuolasi sostituisce il genitore non affidatario: a) la madre,o più raramente il padre, soffre di angoscia cronicacirca le proprie figure di attaccamento e tiene ilfiglio a casa perché le faccia compagnia (può anchenon essere consapevole di quel che sta facendo, nédel perché) impedendogli con scuse, paure, pericoliimmaginari di recarsi dal padre; b) il bambino temeche mentre lui è dal padre, qualcosa di male possaaccadere alla madre e rimane a casa per impedireche ciò accada assumendo un ruolo adultizzato diprotettore del genitore percepito come estremamentevulnerabile; c) il bambino teme che qualcosa dimale possa accadere a se stesso quando è via da casa,e pertanto resta a casa per impedire che accada; d) lamadre teme che qualcosa di male possa accadere albambino mentre è dal padre (abuso), quindi lo tienea casa (10).La PAS, secondo Gardner, deriva da una programmazione(anche, ma non sempre, inconsapevole)dei figli da parte di un genitore patologico (genitorealienante) che porta i figli a perdere il contatto conla realtà degli affetti, e ad esibire astio e disprezzo ingiustificatoe continuo verso l’altro genitore (genitorealienato). Le modalità di programmazione delgenitore alienante comprendono l’uso di espressionidenigratorie o sottilmente denigratorie riferite all’altrogenitore; false accuse di trascuratezza, violenzao abuso (nei casi peggiori, anche abuso sessuale)basate sulla erronea percezione soggettiva dell’intrinsecapericolosità per il bambino di essere lontanodalla madre.Questa dinamica comprende, a volte, la costruzionedi una realtà immaginaria e, in certe circostanze,quasi delirante di terrore e vessazione (non suffragataoggettivamente) che nel figlio genera sentimentidi paura, diffidenza e odio verso il genitore alienatoNote:(continua nota 7)abuse/neglect, «The American Journal of Family Therapy», 27(2), 97-107; Id., (1999b), Family therapy of the moderate type ofParental Alienation Syndrome, «The American Journal of FamilyTherapy», 27, 195-212; Id., (1991), L’isteria dell’abuso sessuale,Urbino, QuattroVenti.(8) Gardner R.A., (2002), The empowerment of children in thedevelopment of parental alienationsyndrome, «The AmericanJournal of Forensic Psychology», 20 (2), 5-29. Sottolineiamo cheGardner segue le ricerche sulla separazione di Bowlby e sullateoria dell’attaccamento da questi elaborata (1973), delle qualitiene debitamente conto nella sua opera. Secondo l’originariaformulazione della teoria dell’attaccamento il bambino mostraun legame particolare nei confronti della propria madre (non necessariamentela madre biologica, ma la persona che si prendecura del bambino) attraverso diversi schemi comportamentali dibase, quali la suzione (per scopi non alimentari), il pianto, il sorriso,l’aggrapparsi, il seguire. Il presupposto su cui è basata la teoriadi John Bowlby è che il bambino abbia bisogno di rapporti maternisicuri e continui per uno sviluppo sano. L’assenza o la perditadi questa sicurezza è considerata dall’autore un fattore eziologicoprimario. Il legame madre-bambino costituirebbe il prototipodelle successive relazioni che il bambino stabilirà; eventualidisturbi o interferenze nello sviluppo del legame di attaccamentosono considerati potenziali cause di disturbo per l’equilibriopsichico del bambino. Cfr. Bowlby J., (1969), L’attaccamento allamadre, in Attaccamento e perdita, Torino 1972; Id., (1973), Laseparazione dalla madre, in Attaccamento e perdita, Torino1975; Id., Una base sicura. Applicazioni cliniche della teoria dell’attaccamento,Milano, 1989.(9) Bowlby, (1973), La separazione dalla madre, in Attaccamentoe perdita, cit.(10) È importante riconoscere nella Alienazione parentale la presenzadegli stessi segni di disagio o sofferenza riscontrabili nell’ansiada separazione associata, ad esempio, alla fobia dellascuola. Nella maggior parte dei casi la sintomatologia può comprendere:tristezza, tendenza all’isolamento, apatia, difficoltà diconcentrazione. Nei bambini più sensibili possono manifestarsianche problemi psicosomatici come vertigini, nausea o tachicardia.Appare molto comune anche l’insorgere di incubi e terrorenotturno.Famiglia e diritto 8-9/2013 759


GiurisprudenzaMinorie la credenza in “fatti” che, viceversa, sono semplicementele fantasie patologiche (paure) o deliroididella madre. Il figlio, quindi, si alleerebbe con il genitore“sofferente” come protettore dello stesso assumendoun ruolo adultizzato e, stimolato da questasofferenza e dal ruolo di adulto impropriamente attribuitoglidalla madre, inizierebbe ad appoggiare econdividere la visione patologica del genitore alienante,esprimendo, successivamente anche in modoautonomo, astio, disprezzo e denigrazione contro ilgenitore alienato per supportare il genitore alienantepercepito come debole e bisognoso. La dinamicaarriva, secondo Gardner, a distruggere la relazionetra figli e genitore alienato, perché il figlio giunge arifiutare qualunque contatto, anche solo telefonico,con il genitore alienato (11).2. Forme e sintomi dell’AlienazioneparentaleGardner distingue tre tipi di PAS (12): una formalieve in cui l’avversione è relativamente superficialee i figli collaborano alle visite con il genitore denigrato,ma sono a tratti ipercritici e di cattivo umore:in questi casi non è necessario alcun intervento psicologico,ma basta rassicurare il genitore alienanteche manterrà l’affidamento. Una forma moderata:qui l’alienazione è più profonda e i figli sono più aggressivi,irrispettosi e la campagna di denigrazionepuò essere quasi continua. Una forma grave: le visiteal genitore alienato possono essere impedite da intensemanifestazioni di persecuzione/ostilità da partedei figli, che possono spingerli a commettere azionidirette a provocare dispiaceri al genitore odiato(anche con false accuse di abusi). Per l’autore il giudicedeve stabilire un sistema di sanzioni efficaci chenon deve esitare a infliggere al genitore alienante,qualora tenti di sabotare il programma terapeuticoconcordato con gli operatori sociali: sanzioni pecuniariemodeste, ma ripetute o il fermo macchina sonorisultati efficaci. Per Gardner, può essere opportunotrasferire l’affidamento e la collocazione del figlionella casa del genitore alienato: in sostanza invertireil regime di affidamento per interrompere ilcircuito patologico e patogeno di rinforzo dell’alienazione.Infatti è proprio questa combinazione difattori che legittima una diagnosi di PAS: il disturbodei singoli si sostiene grazie all’interazione con il disturbodell’altro e con il contesto della separazioneconflittuale: se la situazione viene ristrutturata il disturbotende a scomparire.Sintomi primari d’una PAS ravvisabili nel bambinosarebbero, sempre secondo Gardner, la campagna didenigrazione, nella quale il bambino mima e scimmiottai messaggi di disprezzo del genitore alienanteverso l’altro genitore. Mentre in una situazione normale,ciascun genitore non permette che il bambinoesibisca mancanza di rispetto e diffami l’altro genitore,anche se nutre dell’astio nei suoi confronti,proprio per proteggere lo sviluppo del minore, nell’Alienazioneparentale, invece, il genitore alienantenon reprime questa mancanza di rispetto, ma puòaddirittura arrivare a favorirla silentemente o incoraggiarlapalesemente. Le razionalizzazioni deboli, superficialie assurde per giustificare il biasimo nei confrontidel genitore alienato, per cui il bambino spiegale ragioni del proprio atteggiamento con motivazioniillogiche, insensate o anche soltanto superficiali.Un esempio presentato da Gardner: “non vogliovedere mio padre perché mi manda a letto troppopresto”, oppure “perché una volta ha detto cazzo”.Un ulteriore elemento sintomatico è la mancanza diambivalenza, per cui il genitore rifiutato è costantementedescritto dal bambino come “tutto negativo”,mentre l’altro genitore è visto come “tutto positivo”e sfocia nell’appoggio automatico al genitore alienanteche si manifesta in prese di posizione del bambinosempre e solo a favore del genitore alienante, qualunquegenere di conflitto si venga a creare. Ancora,il c.d. “fenomeno del pensatore indipendente” vede ilbambino inventarsi in modo autonomo nuove edoriginali accuse verso il genitore alienato: moltospesso abusi, utilizzando un “sapere” acquisito, adesempio, frequentando a scuola un corso di prevenzione(13); in questo modo il bambino palesa la propriadeterminazione d’essere una persona che sapensare in modo indipendente, con la propria testa,e d’aver elaborato da solo i termini della campagnadi denigrazione senza influenza del genitore programmante.L’assenza di senso di colpa significa chetutte le espressioni di disprezzo, nei confronti del genitoreescluso, avvengono senza sentimenti di colpanel bambino e gli scenari presi a prestito sono affermazionidel bambino che non possono ragionevolmentevenire direttamente da lui, come l’uso di paroleo situazioni normalmente non conosciute da unNote:(11) Perché si possa parlare di PAS, però, è necessario chel’astio, il disprezzo, il rifiuto non siano giustificati (o giustificabili)da reali mancanze, trascuratezze o addirittura violenze del genitorealienato che però debbono avere un oggettivo supporto fattuale.(12) Gardner R.A. (1998), The Parental Alienation Syndrome,Creative Therapeutics, Cresskill, NJ.(13) Casonato M., Ricca F., (2012), Prevenire l’abuso sessuale,Milano.760Famiglia e diritto 8-9/2013


GiurisprudenzaMinoribambino di quell’età per descrivere le colpe del genitoreescluso. L’estensione delle ostilità alla famiglia allargatadel genitore rifiutato, coinvolge nell’alienazionei nonni, gli zii, gli amici e le nuove relazioni affettive(una compagna o un compagno) del genitorerifiutato. La difficoltà di transizione nel momento incui il figlio si separa dal genitore alienante per trascorrereil periodo di visita con il genitore alienato.Il comportamento antagonistico o distruttivo durante levisite presso il genitore alienato. Un legame patologicoo paranoide con il genitore alienante di stamposimbiotico. Un legame forte e sano con il genitorealienato prima che intervenisse il processo di alienazioneinstaurato dal genitore patologico.3. Critiche alla nozione di PAS e suoi attualisviluppiNon è possibile, in questa sede, redigere esaustivoriferimento a tutti gli sviluppi e ai diversi approccinell’applicazione delle ricerche di Gardner. Bastaqui ricordare come la PAS sia vista da alcuni autoricome reazione a situazioni che mutano (separazionee divorzio) e diventano insostenibili da gestire,e questo, aggrava una situazione di transizionegià delicata per la vita e l’equilibrio psico-fisico deifigli (14).La PAS è oggetto di dibattito e ricerca, in ambitoscientifico e giuridico, da quando è stata originariamenteproposta da Gardner nel 1985; nel panoramadella letteratura sul tema, si trovano pochi lavori dichiaratamentecontro la PAS, forse una decina o pocopiù, in buona parte scritti da femministe spagnole(citate come principale fonte dalla ricorrente nelprocedimento di cui alla sentenza qui pubblicata)oltre a quello principale della Dallam, un’infermieralesbo-femminista americana che gestisce un centroantiviolenza, mentre vi sarebbero oltre novecentopubblicazioni di un certo livello che riconoscono laPAS nel panorama di 35 paesi, soprattutto di linguainglese, puntualmente elencate da Bernet (15).Da un punto di vista psicopatologico la PAS è ritenutaun disturbo che insorge quasi esclusivamente nelcontesto delle controversie per la custodia in corsodi divorzio conflittuale quando un genitore (l’alienante)attua una sistematica denigrazione control’altro (genitore alienato). In una fase successiva ilbambino si associa e anzi fornisce il suo personalecontributo alla denigrazione inventandosi autonomamente‘colpe’ del genitore tra cui falsi abusi. Èproprio questa combinazione di fattori che legittimauna diagnosi di PAS mentre in presenza di reali abusio trascuratezza, la diagnosi di PAS non è applicabile.Si tratta dunque di una condizione in cui un genitoresovente affetto da un Disturbo di personalità delcluster B (borderline, istrionico, narcisistico, antisociale)o da un Disturbo bipolare o talora da una Psicosi,mosso da una reazione patologica nei confrontidell’ex coniuge induce un’alienazione genitoriale inun bambino che a determinate condizioni (fase evolutiva,presenza di determinati fattori di rischio e/oassenza di determinati fattori protettivi) si evolve esi stabilizza in un disturbo psichiatrico dell’infanziaconsistente in una relazione patologica col genitorealienato ed in una relazione patologica del bambinocol genitore alienante.In sintesi, la PAS si presenta nell’intersezione di diversifattori: genitore disturbato, bambino ansioso especificamente vulnerabile, evento di separazionecon l’interferenza di un fattore sociale pregnante comeun procedimento legale per separazione-divorzio;ma anche quando si verifica la c.d. successione equindi un mutamento dello scenario familiare in séguitoalla morte prematura di un coniuge che vieneimputata al genitore superstite dai parenti del defunto:un sottotipo finora del tutto sottovalutatonella letteratura internazionale (16).L’intersezione di questi macrofattori e l’attenzioneposta sugli stessi sia da Gardner sia da Kelly e Johnston(17) si radica su attuali concezioni riguardantila psicologia dello sviluppo, la psichiatria e la psicopatologiadella personalità che potremmo definire“ecologica” (18) oppure “bio-psico-sociale”, conce-Note:(14) Waldron K.H., Joanis D.E., (1996), Understanding and collaborativelytreating Parental Alienation Syndrome, «AmericanJournal of Family Law», 10, 121-133.(15) Bernet W., von Boch-Galhau W., Aaker A.J.L., MorrisonS.L., (2010), Parental Alienation, DSM-5, and ICD-11, «TheAmerican Journal of Family Therapy», 38 (2), 76-187; il lavoro diBernet et al. è corredato da un’estesa bibliografia.(16) Abbiamo osservato tre casi in cui alla scomparsa per malattia,e in un caso per suicidio, della madre i nonni materni hannoportato avanti una campagna di accuse nei confronti del padresia per poter avere il nipote affidato a loro sia per evitare che l’exmarito ereditasse i beni provenienti dalla linea ereditaria dei nonnimaterni. In un caso negli ultimi mesi di vita la madre ha pianificatoaccuse per far decadere dalla potestà il padre, fargli perdereil diritti ereditari, anche reperendo una coppia disposta aprendere in affidamento i bambini dopo la sua morte a completamentodella cancellazione delle tracce del suo matrimonio. Lepene accessorie oggi previste per coloro che commettono abusisono in tal modo divenute un apprezzato strumento per attuareforme di alienazione parentale post mortem. La PAS ha infattia che fare con la separazione in senso lato ed anche la morte loè oltre al divorzio.(17) Kelly J.B., Johnston J.R. (2001), The alienated child: A reformulationof Parental Alienation Syndrome, «Family Court Review»,39 (3), 249-266.(18) Bronfenbrenner U. (1979), Ecologia dello sviluppo umano, IlMulino, Bologna 1986.Famiglia e diritto 8-9/2013 761


GiurisprudenzaMinorizioni che trovano nell’opera di Millon e di Paris leproprie radici più autorevoli (19).Da un punto di vista nosografico la PAS nel DSM-IVTR (Manuale diagnostico e statistico dei disturbimentali dell’American Psychological Association,APA) rientrava, oltre che nei Disturbi d’ansia di separazione,anche nei Codici Diagnostici V: V61.20Problema relazionale genitore-bambino. Questi codicidiagnostici dovrebbero essere presi in considerazionequando, al centro dell’attenzione clinica, vi siaun problema relazionale tra genitore e bambino (ades.: comunicazione difettosa, iperprotezione) o anchefra due o più membri di una famiglia, un problemaassociato a significative limitazioni del funzionamentoindividuale o della famiglia o allo sviluppo disintomi degni di nota in un genitore o nel bambino.Nell’attuale DSM-5 la condizione che Gardner rubricavacome PAS ricade sempre sia nei Disturbid’ansia da separazione: “Separation Anxiety Disorder”[309.21 (F 93.0)]; (come sottotipo almeno in parte“iurigeno” cioè causato dal coinvolgimento nel procedimentogiudiziario in senso lato) sia, nei “CodiciV”, tra i Problemi legati all’Educazione Genitoriale especificamente come V61.29 Bambino affetto da Distressda Relazione Genitoriale. Questa categoria dovrebbeessere usata quando nel focus dell’attenzioneclinica vi siano gli effetti negativi della discordianella relazione tra i genitori (per esempio alti livellidi conflittualità, di stress, o di denigrazione) su di unbambino della famiglia come osserva Camerini(20), e vi sono inclusi anche gli effetti secondari peril bambino sui disturbi mentali o su altre condizionimediche (es. asma). La prospettiva introdotta dalnuovo DSM-5 riconosce infatti la “patologia dellerelazioni” cioè le patologie-che-non-stanno-nella-testadi-un-singolo-individuoproprio come nei casi in cuiin corso di divorzio si creano relazioni abnormi traex coniugi e tra bambino e singoli genitori (21).Una critica frequente - ripresa dalla ricorrente nellasentenza sopra esaminata - considera l’alienazioneparentale un fenomeno inesistente che non troverebberiscontro nella realtà giudiziaria e clinica e si èanche detto che nessun dato sarebbe stato fornito daGardner a supporto dell’esistenza della sindrome edelle sue dinamiche (22). Bruch afferma che la PAS,come sviluppata e descritta da Gardner, non avrebbefondamenti logici e scientifici; per l’autore, anchenei pochi casi nei quali viene probabilmente riscontratala PAS, potrebbe trattarsi di un lieve disturbotransitorio (23). Alcuni sostengono che la relazionedi un perito che faccia riferimento alla PASnon dovrebbe essere ammessa in un procedimentolegale perché mancherebbe di sufficienti credenzialidi scientificità, validità e attendibilità (24), la teoriadi Gardner non sarebbe per alcuni in grado di fornireuna prova scientifica del fatto che il rifiuto di unminore di avere contatti con un genitore sia stato effettivamentecausato da un’azione di indottrinamentodell’altro genitore (25).Note:(19) Millon T., Davis R., 2000 Personality disorder in modern life,Wiley, New York; Paris J. (1999), Nature and nurture in psychiatry:A predisposition stress model of mental disorders, AmericanPsychiatric Press, Washington, DC.(20) Camerini G., (2013) Gli ostacoli alla bigenitorialità Coercizionediretta e indiretta, Relazione presentata al Convegno Accertamenti,relazioni e cure richieste dal Tribunale dei minori e dalGiudice del divorzio, 14 giugno 2013.(21) I codici V del DSM sono peraltro importanti per il pagamentodelle prestazioni sanitarie: per ‘quel qualcosa’ elencato con uncodice V infatti le Assicurazioni sanitarie hanno accettato di pagareprestazioni e questo fatto è la miglior fonte di certezza chel’Alienazione parentale esista. Tra l’altro la lettura comparata delmanuale della ValueOptions, un’importante società di assicurazionistatunitense, permette di trovare il pagamento di 10 seduteprevisto per “ il Conflitto genitoriale irrisolto (es. svalutazionecostante di un genitore da parte dell’altro) in famiglie divorziate oseparate che da luogo ad una Parental alienation syndrome”(22) Faller K.C. (1998), The Parental Alienation Syndrome: What isit and what data support it?, «Child Maltreatment», 3 (2), 100-115(23) Bruch C.S. (2001), Parental Alienation Syndrome andParental Alienation: Getting it wrong in child custody cases,«Family Law Quarterly», 35 (3), 527-552(24) Hoult J.A. (2006), The evidentiary admissibility of ParentalAlienation Syndrome: Science, Law, and Policy, «Children’s LegalRights Journal», 26 (1), 1-61. In verità la PAS risulta ammissibilesotto la Daubert rule, come riferisce la Baker (vedi:http://www.alienazione.genitoriale.com/usa-pas-supera-testfrye-daubert/)che ha testimoniato, nel 2011 presso una Cortedel Massachusetts, come consulente tecnico ed è stata sottopostaalla procedura Daubert da avvocati di controparte. Nel2012 una Corte superiore del Connecticut ha preso la medesimadecisione. Anche Gardner e Warshak avevano superato nel2000 il Frye test presso la 13a Corte della Florida. Il test Frye(1923) e il test Daubert (1993) sono i due strumenti processualiche negli USA servono per decidere se una teoria scientifica puòessere ammessa in giudizio con valore di prova. Quando unaparte chiede la testimonianza di un esperto su una certa tematica,la controparte può opporsi e chiedere al giudice di verificarese il tipo di testimonianza richiesta soddisfa lo standard Frye oDaubert. Quindi, negli USA la nozione di PAS era ed è ammissibilein giudizio. Altrettanto vale per il Canada infatti nell’agosto2002 la Corte penale di Durham County nell’Ontario, Canada, hastabilito che la PAS supera i requisiti Mohan (la Frye canadese) diammissibilità (Central East Region. Court File No. 9520/01, Aug.9, 2002) anche nei paesi dell’Unione europea viene comunementeammessa la PAS. Inoltre la Corte EDU ha fatto ripetutamenteriferimento alla PAS nel condannare diversi paesi membri.Per l’<strong>Italia</strong> di particolare rilievo: Piazzi c. <strong>Italia</strong> (Ricorso n.36168/09) 2 novembre 2010 e Lombardo c. <strong>Italia</strong> (Ricorso n.25704/11) Strasburgo 29 gennaio 2013.(25) Emery R.E., (2005), Parental Alienation Syndrome: Proponentsbear the burden of proof, «Family Court Review», 43 (1),8-13 A differenza dei critici della Sindrome da alienazione parentalesopra citati e aventi una formazione giuridica, Emery possiedeuna formazione in psicologia come mediatore familiare, e sostieneche la PAS necessita di studi scientifici obiettivi, pubblicie indipendenti, così come di ricerche basate su dati replicabili enon studi di casi clinici.762Famiglia e diritto 8-9/2013


GiurisprudenzaMinoriDopo questo breve excursus sugli autori (non molti esenza molti argomenti) che hanno criticato la Sindromeda alienazione parentale sviluppata da Gardner,ed ignorando scientemente gli attacchi personalidai toni diffamatori e del tutto infondati allapersona di Gardner portati dai suoi detrattori e soprattuttodalle autrici lesbo-femministe, preme sottolineareche diversi autori nell’ultimo decenniohanno ritenuto necessario sviluppare una teoria piùavanzata dell’alienazione parentale. Così la Gottlieb(26) ha mostrato come una teoria dell’alienazionegenitoriale sia indispensabile non soltanto per riconoscerlaquando è effettivamente presente, ma ancheper escluderla quando fosse usata come strategiadifensiva da parte di genitori che avessero effettivamentecommesso abusi sui figli.In <strong>Italia</strong> il documento redatto dalla SINPIA (Società<strong>Italia</strong>na di Neuropsichiatria dell’Infanzia e dell’Adolescenza)- maggio 2013 - permette di fissareutilmente alcuni punti fermi in merito alla qualificazionedella condizione qui discussa dal punto divista neuropsichiatrico ed è significativo notare comevi si legga che “la comunità scientifica è concordenel ritenere che l’alienazione di un genitore nonrappresenti di per sé un disturbo individuale a caricodel figlio, ma piuttosto un grave fattore di rischio evolutivoper lo sviluppo psicoaffettivo del minore stesso”.Uno studio recente esplora le caratteristiche dellefamiglie separate in <strong>Italia</strong> ove è stata diagnosticatala PAS (27). La ricerca è stata effettuata all’internodella provincia di Roma, su di un campione di 12 casinei quali gli esperti nominati dal Tribunale hannodiagnosticato la PAS. I genitori alienanti sono suddivisitra padri e madri, e tutti avevano la custodia(legale o fisica) dei figli al momento in cui la PAS èstata riconosciuta. Mediante il confronto con uncampione di controllo in cui non vi è presenza diPAS, i genitori alienanti sono risultati più conformisti,rigidi e moralisti e meno capaci di prevedere leconseguenze della proprie azioni. I bambini vittimadi PAS sono risultati avere maggiori problemi diidentità e del falso Sé, conformismo, ansia di separazione,comportamenti manipolatori, distorsione dellarealtà, maggiori difficoltà nel relazionarsi con glialtri. Riguardo all’intervento legale, emerge chequando il genitore alienante è il padre è più probabileche il suo agire sui figli venga riconosciuto comeserio e pericoloso, e che venga rifiutato l’affido.Analogamente, ai padri non viene comunque concessala custodia quando sono il genitore alienato.Le madri (anche riconosciute alienanti) ricevonol’affido con maggiore frequenza dei padri perché, secondostereotipo, sono considerate il genitore miglioreanche quando presentano gravi disfunzioni.Nei casi di alienazione di grado grave, in cui il genitorealienante è mentalmente disturbato o viola lesentenze e rifiuta le terapie, può essere opportuno uncambio di custodia, purché il genitore alienato risultiavere sufficienti capacità genitoriali.4. Programmi di recuperoPer i casi di PAS più gravi già Gardner riteneva chel’unica soluzione fosse l’inversione dell’affido. Questaconclusione è stata confermata da recenti studi(28), ove si evidenzia come la psicoterapia tradizionalesui minori alienati sia persino controproducenteoltre che lunga e costosa, mentre l’inversione dell’affidorisolve quasi sempre il problema in tempisorprendentemente brevi, come peraltro avvenutonel caso di cui alla sentenza esaminata sopra, in cuila sera stessa dell’allontanamento forzoso rappresentatoclamorosamente in TV il minore cenava tranquillamentecol padre. Tuttavia, poiché può esseredifficile convincere il minore ad andare a vivere conil genitore che egli rifiuta, può essere talora opportunauna collocazione breve del minore in un luogoneutro che in primo luogo andrebbe ricercato tra leamicizie e i parenti non schierati.Sono stati elaborati nuovi programmi che cercanodi aiutare a cambiare atteggiamento dopo aver constatatola scarsa efficacia delle terapie familiari. Iprogrammi di recupero noti e sperimentati negliStati Uniti rappresentano un tentativo di validazionesul campo di alcune teorie sul meccanismo di instaurazionedella PAS. Ricordiamo in particolare, ilFamily Bridges (29), un programma di formazioneche si propone di aiutare bambini e adolescenti gravementealienati ad accettare la decisione del tribunaleche li colloca presso il genitore rifiutato. Il minoretrascorre un periodo della durata di circa tre oquattro giorni con il genitore rifiutato in un villaggiovacanze o in un’altra struttura idonea come al-Note:(26) Gottlieb L., (2012), The Parental Alienation Syndrome: Afamily therapy and collaborative systems approach to amelioration,Charles C. Thomas Publishers, Springfield, IL.(27) Lavadera A.L., Ferracuti S., Malagoli Togliatti M., (2012),Parental Alienation Syndrome in <strong>Italia</strong>n legal judgments: An exploratorystudy, «International Journal of Law and Psychiatry»,35 (4), 334-342.(28) Rand D.C., Rand R., Kopetski L.M., (2005), The spectrum ofParental Alienation Syndrome: Part III: The Kopetski follow-upstudy, «American Journal of Forensic Psychology», 23, 15-43.(29) Warshak R.A., (2010), Family Bridges: Using insights fromsocial science to reconnect parents and alienated children,«Family Court Review», 48 (1), 48-80.Famiglia e diritto 8-9/2013 763


GiurisprudenzaMinoriternativa alla collocazione in spazio neutro. Nel corsodella vacanza il minore e il genitore partecipanoinsieme a varie iniziative formative. Nella prima fasesi discutono i temi inerenti alle relazioni genitorifiglio;altre fasi del programma prevedono di affrontarela tematica del divorzio e della risoluzione deiconflitti. Secondo i ricercatori, l’efficacia del corso èstata verificata in ventidue minori su ventitré, cheavevano riallacciato una relazione positiva con ilgenitore rifiutato. Warshak riferisce casi di grave rifiuto(con minore trasferito a forza) che si risolvonoin 2 giorni. Può sembrare incredibile, ma lo si è vistoanche nel caso italiano discusso sopra.Purtroppo non è raro che professionisti italiani sostenganoche ci vogliono anni di psicoterapia per ristabiliregradualmente la relazione col genitore rifiutato,e che bisogna necessariamente ricorrere al soggiornoin casa famiglia per gestire la transizione; inveceè vero il contrario, non è necessaria alcuna gradualità,se nell’anamnesi esisteva un buon rapportola sospensione del contatto col genitore alienanteed il ripristino anche manu militari del contatto colgenitore rifiutato ha effetti immediati e positivi.Una attività che facciamo difficoltà ad immaginarein <strong>Italia</strong> ove tutto pare ingiustificatamente traumaticoè l’intervento diretto del giudice con la sua autoritànei confronti del bambino utilizzando opportunamentel’apparato scenico dell’aula di giustizia infunzione dell’immaginario infantile (30).È interessante fare riferimento anche all’OvercomingBarriers Family Camp (31), un programma essopure basato sulla formula della vacanza e la principaledifferenza rispetto al Family Bridges è che essoprevede la partecipazione di ambedue i genitoriunitamente al minore. Questo comporta che il programmasi possa applicare solo ai casi nei quali il genitorealienante collabori e quindi, di solito, l’alienazionedel minore è di grado lieve o al più medio.Ancora, Edward M. Stephens (32) ha messo a puntoun trattamento che porta il suo nome per i minorivittime di alienazione genitoriale di grado graveche viene effettuato presso il Rye Hospital, unastruttura accreditata nello Stato di New York. Dopoche un’accurata diagnosi ha accertato la vera naturadei problemi del minore, lo staff del centro prendein carico il caso che viene trattato soffermandosiin particolare sui sentimenti del minore nei confrontidel genitore rifiutato e nei confronti del genitorealienante. Il minore viene aiutato a superare ladistorsione indotta dall’alienazione. Quando possibilevengono effettuate sedute di gruppo con altriminori alienati. Il trattamento viene progettato sumisura in modo da adattarsi ai singoli casi, che vengonoseguiti anche dopo il rientro del minore in famiglia.5. Riflessioni conclusiveLa Sindrome di alienazione parentale e più in generalel’Alienazione genitoriale sono un fenomeno osservatonelle cause di separazione conflittuale e affidocontroverso di minori che consiste in un’azionedi screditamento più o meno consapevole da partedi un genitore dell’altro sino a indurre un vissuto attivodi alienazione, di distacco emotivo, di straniamentodel minore verso l’adulto vessato.Vi sono i detrattori della teoria della PAS prevalentementeprovenienti dall’universo femminista militantedei Gender studies che ritengono infondatauna diagnosi siffatta, ma viceversa un’ampia letteraturapsicologica e neuropsichiatrica reca consistentesupporto al concetto di Alienazione parentale (33).Indipendentemente dai differenti fattori che possonoentrare in gioco in ogni singolo caso, e al di là deiNote:(30) Non stupiamoci dunque se dovendosi attuare l’allontanamentodal genitore alienante, il giudice - come scrive Warshak -“ha ordinato che i minori fossero portati in tribunale ed ha personalmentee in via autoritativa informato i minori della decisione,precisando che non era negoziabile. Non è raro che i minorireagiscano gridando, rifiutandosi di andare e minacciando discappare singhiozzando istericamente, e, in un caso, manifestandosintomi di iperventilazione. I tribunali e i genitori gestisconola resistenza dei minori in modi diversi. Per minimizzare ilrischio di azioni violente alcuni giudici tengono bene in vista poliziottiin divisa per enfatizzare l’autorità Alcuni giudici mettono inchiaro con il minore che la corte si aspetta che essi collaborino arisanare la loro relazione con il genitore rifiutato e che il fallimentonon è un’opzione da tenere in considerazione, che il rifiuto dicooperare non servirà a garantire l’affido al genitore favorito eche prima la relazione sarà recuperata, prima potranno riprenderei contatti con il genitore favorito. Non avendo diretta esperienzadell’efficacia di questi ordini della corte (e immaginando didover fronteggiare la veemente protesta di un adolescente testardo)psicoterapisti, educatori, avvocati, giudici e spesso anchei genitori sottovalutano il potere della corte di ottenere l’obbedienzadi un minore recalcitrante. Più volte abbiamo visto minori(quelli che avevano perso i contatti con un genitore per anni)recedere dalle loro minacce e nel giro di 24 ore comportarsi inmodo sollevato, rilassato comunicativo con il genitore rifiutato”:Warshak R., (2010), Family bridges: using insights from socialscience to reconnect parents and alienated children. Familycourt review, 48, 1, January 2010 48-80.(31)Sullivan M.J., Ward P.A., Deutsch R.M., (2010), OvercomingBarriers Family Camp: A program for high-conflict divorced familieswhere a child is resisting contact with a parent, «FamilyCourt Review», 48, 115-134.(32) Stephens E.M., (2013), Rye Hospital program for treatingchildren affected by Parental Alienation Syndrome (PAS). Edizioneonline: http://responsibledivorce.com/parenting/pas-rye.htm(33) È interessante ricordare come anche la Cassazione, nel farriferimento ai criteri per riconoscere il carattere scientifico di unadeterminata teoria, ha espressamente menzionato quello dellasua “generale accettazione” da parte della comunità di esperti:Cass. pen. 17 settembre 2010, n. 43786.764Famiglia e diritto 8-9/2013


GiurisprudenzaMinorilimiti e delle polemiche che la teorizzazione dellaPAS prima e dell’Alienazione parentale (34) dopoha suscitato, occorre riconoscere che il fenomenoesiste. Qualunque ne sia la causa (e in psichiatria abbiamosempre etiologie multifattoriali e svariateconcause secondo il lessico giuridico), è un problemacon il quale dovremo confrontarci nei casi di figlicontesi a seguito di separazioni conflittuali.Con uno sguardo al futuro l’Alienazione parentaledovrebbe essere valutata sia nelle dinamiche intrafamiliari,sia in quello che viene chiamato Esosistema(rapporti tra l’individuo e l’ordinamento) sia, inun’ottica più vasta, con riguardo al c.d. Macrosistema(religione, storia, leggi e cultura) e al Cronosistema(il ruolo del passare del tempo anche nelle decisionie nei loro effetti pratici). Il compito dei professionistioperanti negli àmbiti psicologico e giudiziario dovrebbedunque essere quello di riuscire a collaborare,allo scopo di tutelare i diritti di ognuno tentandodi offrire progettualità alle famiglie separate.Nota:(34) Con il DSM-5 si è stabilizzata nell’uso la locuzione “Alienazioneparentale” che ha soppiantato quella di PAS.Famiglia e diritto 8-9/2013 765


GiurisprudenzaIdentità personaleEtimologia del nomeCASSAZIONE CIVILE, sez. I, 20 novembre 2012, n. 20385 - Pres. Luccioli - Rel. AciernoPersona fisica e diritti della personalità - Potestà genitoriale - imposizione del nome - scelta dei genitori esercenti la potestà- parametri normativi - Imposizione del prenome “Andrea” a persona di sesso femminile - Legittimità(D.P.R. 3 novembre 2000, n. 396, artt. 34, 35, 95, 96; c.c. art. 6)L’imposizione del prenome “Andrea” ad una neonata non viola il disposto dell’art. 34 D.P.R. 3 novembre 2000,n. 396, che vieta l’uso di nomi ridicoli o vergognosi, non potendo, detto prenome, per la sua peculiarità lessicale,così ritenersi ove attribuito ad una persona di sesso femminile ed essendo, altresì, rispettoso del dettatodell’art. 35 del D.P.R. richiamato, che impone la corrispondenza del nome al sesso, posto che il prenome‘Andrea’ ha natura sessualmente neutra, essendo utilizzato, nella maggior parte dei paesi europei ed extraeuropei,per soggetti femminili e maschili indifferentemente, e, pertanto, non è produttivo di alcuna ambiguità.Conforme Trib. Torino 9 aprile 2008ORIENTAMENTI GIURISPRUDENZIALIDifforme Trib. Milano 20 febbraio 2003; Trib. Catanzaro 14 aprile 2009; Trib. Varese 23 luglio 2010Svolgimento del processoIn accoglimento del ricorso del pubblico ministero, il Tribunaledi Pistoia aveva disposto la rettificazione dell’attodello stato civile nel quale risultava imposto alla figlia deisignori M.G. e Z.P. il prenome “A.”, ordinandone la sostituzionecon “G.A.”, in modo che il nome completofosse Z.G.A.. Avverso tale provvedimento hanno propostoreclamo i genitori della minore, deducendo che il nome“ A.”, contrariamente a quanto sostenuto dal giudicedi primo grado, avrebbe assunto, anche in <strong>Italia</strong>, una valenzaanche femminile, oltre che maschile, con la conseguenzache nessun impedimento si sarebbe dovuto frapporreall’imposizione del nome stesso ad una persona disesso femminile. La Corte d’Appello di Firenze ha rigettatoil proposto reclamo affermando che il nome “ A.” hanella tradizione culturale italiana una valenza esclusivamentemaschile, con la conseguenza che, nella situazioneattuale e salvo modifiche future, l’imposizione di questonome in via esclusiva viola il D.P.R. n. 396 del 2000, art.35, ai sensi del quale il nome imposto al bambino devecorrispondere al sesso.Avverso tale decreto hanno proposto ricorso per cassazioneM. G. e Z.P. affidandosi a due motivi.Motivi della decisioneNel primo motivo viene censurata, ai sensi dell’art. 360c.p.c., comma 1, n. 5, l’omessa motivazione del provvedimentoimpugnato sotto diversi profili.In primo luogo viene lamentato che il rigetto del reclamosia stato fondato esclusivamente sull’origine etimologicae la tradizione culturale formatasi in <strong>Italia</strong> in ordine all’elementoonomastico del nome A. In secondo luogo,viene censurato che non si sia tenuto conto dell’intervenutacircolare interpretativa n. 27 del 2007 del Ministerodegli Interni nella quale, per chiarire la portata del divietodi assegnare alla prole nomi non corrispondenti alsesso, è stata utilizzata come ipotesi esplicativa propriol’imposizione del nome A., a comprova del carattereesclusivamente maschile del nome usato come esempio.Questa necessità, secondo la parte ricorrente dimostra, alcontrario, che numerose sono state le istanze di questotenore a conferma di un nuovo maturato sentire collettivo,che si palesa diametralmente opposto a quello posto afondamento del provvedimento impugnato. In terzo luogoviene censurato che si sia omesso di motivare in ordinealle deduzioni difensive relative all’interpretazione coordinatadell’art. 34, commi 4 e 2, citato D.P.R.. Il comma4, a tenore del quale l’Ufficiale di stato civile chiamatoa registrare una femmina di nome A. deve informare igenitori della possibilità che da questa loro scelta discendaa loro carico un procedimento di rettifica davanti adun Tribunale su istanza della competente Procura dellaRepubblica, ingenera nei destinatari dell’avviso un timorereverenziale tale da produrre nella maggior parte deicasi una desistenza dall’istanza. Il comma 2, consentendol’attribuzione di nomi stranieri ai bambini aventi la cittadinanzaitaliana, con espressa possibilità di estensione allelettere J, K, Y, X, W, anche con facoltà d’impiegare i segnidiacritici propri dell’alfabeto della lingua di originedel nome prescelto, introduce un principio pregevole econdivisibile perché tiene nel debito conto le trasformazionidel contesto linguistico prodottesi nel tempo dietrole spinte delle ingerenze straniere. Il nome A., proprio invirtù della valenza assunta in molti paesi europei, dovrebbeessere ritenuto sessualmente neutro, secondo lalingua italiana, e conseguentemente attribuibile anchead una persona di sesso femminile, come dimostra l’attualediffusione di questo prenome tra le donne straniereche vivono nel nostro paese. Peraltro, il giudice di secondogrado trascura di considerare che si determinerebbeun’ingiustificata discriminazione a carico dei cittadiniitaliani anche di nascita, rispetto agli stranieri, naturaliz-766Famiglia e diritto 8-9/2013


GiurisprudenzaIdentità personalezati italiani, che possono preservare il loro nome originario.Nel secondo motivo viene dedotta la violazione e falsaapplicazione del D.P.R. n. 396 del 2000, art. 35 in relazioneall’art. 3 Cost. e art. 34, medesimo decreto. Unalettura costituzionalmente orientata del predetto art. 35dovrebbe condurre alla legittimità dell’imposizione delnome A. ad una persona di sesso femminile, se non si voglionoignorare i significativi cambiamenti nel sentire socialee le nuove tendenze linguistiche dovute al processod’integrazione in atto nel nostro paese. L’art. 34, comma2, consente la scelta di nomi stranieri mutuati da vocabolarionomastici del tutto estranei alla nostra tradizioneche presentano una formulazione letterale tale da nonconsentire un’agevole collocazione nel genere maschile ofemminile o da avere un carattere sessualmente neutro. Ilnome A. è usato al femminile in molti Stati membri dell’Unione(Slovacchia, Inghilterra, Spagna, Germania,Olanda, Danimarca ed Ungheria), così da doverlo annoveraresenz’altro tra gli elementi onomastici di cui al citatoart. 34. In conclusione, negare il diritto all’attribuzionedel nome A. al femminile significa vanificare laportata effettiva della norma che facoltizza l’attribuzionedi nomi stranieri, con conseguente insanabile contrastocon il successivo art. 35. La valenza sessuale neutra delnome lo rende assimilabile alla maggioranza dei nomistranieri che l’ordinamento dello stato civile autorizza adassegnare. Ne consegue che l’unica lettura corretta e costituzionalmenteorientata degli art. 34 e 35 induce a ritenerelegittima l’imposizione del nome A. a una personadi sesso femminile, anche perché assimilabile ai nomistranieri ex art. 34.I due motivi di ricorso possono essere trattati congiuntamentein quanto intrinsecamente connessi.II diritto al nome costituisce una componente essenzialedei diritti fondamentali della persona umana perché rappresentaun elemento costitutivo dell’identità individuale,consentendo un’identificazione immediata e riconoscibiledel soggetto che lo porta, da ritenersi un attributonecessario ed ineludibile per lo sviluppo soggettivo e relazionaledella personalità (art. 2 Cost., art. 8 CEDU, art.7 Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea). Ildiritto alla scelta del nome (inteso come comprensivo delprenome e del cognome) diversamente dagli altri dirittifondamentali, caratterizzati dal minimo comune denominatoredell’autodeterminazione, non viene esercitato dalsoggetto cui il nome è imposto al momento della nascitao nella sua immediatezza, ma dal genitore o dai genitoriche lo riconoscono. In tutti gli ordinamenti si pone, conseguentemente,il problema di un adeguato bilanciamentodel diritto dei genitori alla scelta del nome secondopreferenze, modelli o tradizioni costituenti il bagaglioculturale familiare di riferimento, ed il rispetto della dignitàpersonale che costituisce il criterio conformativoimmanente ad ogni diritto fondamentale dell’individuo.Proprio in virtù della primaria rilevanza dell’elemento distintivocostituito dal nome nel catalogo dei diritti fondamentalidella persona umana, esso è oggetto di protezionenei più significativi strumenti internazionali convenzionalidei diritti della persona, oltre ad essere costituzionalmentegarantito attraverso l’art. 2 e, attraversoun’interpretazione sistematica e coordinata della norma,anche dall’art. 30 Cost.. L’art. 24 del Patto internazionalesui diritti civili e politici del 16/12/1966, entrato in vigoreil 23/3/1976, prescrive che tutti i bambini debbanoportare un nome, mentre la Convenzione di New Yorksui diritti del fanciullo del 20/11/1989, ratificata con la L.25 luglio 1991, n. 176, con gli artt. 7 ed 8 impegna gliStati membri a rispettare il diritto del fanciullo a preservarela propria identità, compreso il suo nome, senza ingerenzeillegali. Già dall’esame delle fonti convenzionalisopra evidenziate, costituenti parte integrante dello statutocostituzionale dei diritti umani della persona, ormainon più declinabile soltanto alla luce del sistema costituzionaleinterno dei singoli ordinamenti (S.U. n. 19393del 2009), emerge la dimensione relazionale del diritto,in quanto strumento di collegamento con il gruppo familiareod il singolo genitore cui spetta concretamente lascelta. Il riconoscimento di questa peculiarità, in strettaconnessione con la funzione di definizione dell’identitàpersonale, ha determinato nella giurisprudenza dellaCorte Europea dei diritti umani l’inclusione del diritto alnome nell’alveo del diritto alla vita privata e familiare(art. 8 CEDU). Pur in mancanza di un’espressa previsionecontenuta nella Convenzione (al pari della Costituzionee della Carta dei diritti fondamentali dell’UnioneEuropea), la Corte Edu ha riconosciuto che il nome ed ilprenome sono “strumenti d’identificazione personale e dicollegamento alla famiglia” (Sentenza 22/2/1994, n.16213/90, caso Burghartz contro Svizzera). La scelta delprenome rientra nella sfera della vita privata dei genitori(Sentenza 24/10/96, n. 22500/93, caso Guillot controFrancia e sentenza 6/9/97, n. 10163/95, Salonen controFinlandia). La Corte, peraltro, nelle medesime pronunce,non ritiene che tale diritto conferisca ai genitori una libertàassoluta di scelta del nome e del prenome, riconoscendoun interesse pubblico e sociale alla regolamentazionedel suo uso che può realizzarsi mediante il rifiutodelle Autorità nazionali a consentire l’imposizione di nomi“inusitati”. La sfera della vita privata dei genitori incontrail limite della tutela della dignità del minore.Il bilanciamento d’interessi tra il diritto alla non ingerenzanelle scelte personali e familiari e l’intervento delleautorità nazionali dei singoli Stati deve avvenire mediantel’assunzione del criterio della proporzionalità edella adeguatezza rispetto al fine (il diritto del minore anon subire conseguenze negative nella sfera della dignitàpersonale a causa di un nome inusitato) che s’intenderealizzare. Nella più recente sentenza Johansoon controFinlandia (n. 10163/02 del 6/9/2007), la Corte EDU, inapplicazione dei principi sopraesposti, ha ravvisato laviolazione dell’art. 8 nel rifiuto delle autorità finlandesid’imporre un nome solo perché non di origine finlandese.Il nome scelto, in quanto non eccentrico né ridicolo, nonpone, secondo la Corte, il problema della tutela degli interessidel minore, con la conseguenza che il rifiuto integraun’illegittima ingerenza nella sfera della vita privata efamiliare di esso e dei suoi genitori. Peraltro, il cambia-Famiglia e diritto 8-9/2013 767


GiurisprudenzaIdentità personalemento del prenome o del cognome da parte delle autoritànazionali determina di per sé un’illegittima ingerenza,dovendo l’intervento statuale, quando giustificato dallalesione della dignità del minore, sotto il profilo dell’identitàpersonale, limitarsi al rifiuto.Il quadro normativo interno che regola l’ambito dellascelta dei genitori nell’imposizione del prenome al propriofiglio minore deve, conseguentemente, essere interpretatoalla luce della qualificazione del diritto al nomecome diritto fondamentale della persona umana e dell’inclusioneda parte della giurisprudenza EDU della sua tutela,nell’ambito del diritto alla vita privata e familiare. IlD.P.R. n. 396 del 2000, artt. 34 e 35 dettano una disciplinadel diritto alla scelta del nome del tutto coerente conl’accertata collocazione ed ampiezza del diritto. L’interventocorrettivo dell’autorità statuale è correlato esclusivamentealla tutela effettiva della dignità personale, inquanto direttamente e continuativamente condizionatadall’elemento dell’identità personale costituito dal nome.L’art. 34 vieta l’imposizione di nomi ridicoli o vergognosi,del tutto coerentemente con il limite della Corte EDUdei nomi “inusitati”.L’art. 35 introduce un ulteriore limite all’esercizio dellascelta, costituito dalla corrispondenza del nome al sesso,al fine di escludere che un profilo d’indubbio rilievo dellapropria identità come il genere possa essere posto indubbio o ingenerare ambiguità incidenti sul rispetto delladignità personale.In questa cornice che delimita i confini della libertà discelta del nome, il legislatore, nell’art. 34, comma 2, riconosceil diritto di imporre ai minori, cittadini italiani,nomi stranieri “ espressi in lettere dell’alfabeto italiano,con la estensione alle lettere J, K, X, Y, W, e, dove possibileanche con i segni diacritici propri dell’alfabeto dellalingua di origine del nome”. Da questa previsione riemergela duplice dimensione, individuale e relazionale,della funzione identificativa e distintiva del nome, attraversoil riconoscimento dell’importanza, nella definizionedell’identità personale, del collegamento con il proprionucleo familiare e il bagaglio culturale, nazionale egeografico che lo determinano. Il legislatore italiano,anche in considerazione del crescente fenomeno di contaminazioneed integrazione di culture, determinato dallalibera circolazione nei paesi UE e dall’intensità del fenomenomigratorio, ha escluso di poter limitare il dirittoalla scelta del nome mediante parametri di natura nazionalistica,peraltro censurati dalla Corte EDU, ed haaperto la possibilità di scelta a tutti i nomi di originestraniera, salvi i limiti, strumentali al rispetto della dignitàpersonale, costituiti dai divieti contenuti nell’art.34, comma 1 e nell’art. 35. Pertanto, alla luce della letturacoordinata delle due disposizioni sopra citate, risultaagevole la soluzione dei quesiti posti dai due motividel ricorso. Il nome A., in numerosi contesti nazionalistranieri europei (Slovacchia, Inghilterra, Spagna, Germania,Olanda, Danimarca ed Ungheria) ed extraeuropei(in particolare gli Stati Uniti) ha una valenza biunivoca,potendo essere indifferentemente utilizzato persoggetti femminili e maschili. Anche nel nostro paesenon è infrequente imbattersi in persone di sesso femminile,di nazionalità o provenienza estera, che abbianoquesto prenome. Il provvedimento impugnato, ritenendoriferibile il prenome “ A.” esclusivamente ad una personadi sesso maschile, ha, invece, collocato la valutazionedella legittimità della scelta operata dai ricorrenti,esclusivamente nel solco della tradizione italiana, senzatenere conto dell’attuale incidenza di fattori d’interferenza,provenienti da culture straniere, cui viene riconosciutadiretta dignità e tutela dalla disciplina normativaitaliana, mediante il citato art. 34, comma 2, favorita,nella specie, dalla formulazione letterale del nome stesso.In questa accezione rigidamente nazionalistica, ilprenome “A.” è stato anche considerato nella circolareesplicativa n. 27 del 1/6/2007 del Ministero degli Interni,ma deve essere precisato che tale atto non ha efficacianormativa ma esclusivamente esemplificativa, nondeterminando alcun vincolo in sede di accertamentogiurisdizionale.Pertanto, la natura sessualmente neutra del nome A.,nella maggior parte dei paesi europei, nonché in moltipaesi extraeuropei, tra i quali gli Stati Uniti, per limitarsiad un ambiente culturale non privo d’influenze nel nostropaese, unita al riconoscimento del diritto d’imporreun nome di provenienza straniera al proprio figlio minorenei limiti del rispetto della dignità personale, così comedefinita nel D.P.R. n. 396 del 2000, art. 34, comma 1e art. 35, non può che condurre ad una soluzione oppostaa quella fornita dalla sentenza di secondo grado. Ilnome A., anche per la sua peculiarità lessicale, non puòdefinirsi né ridicolo né vergognoso se attribuito ad unapersona di sesso femminile, né potenzialmente produttivodi un’ambiguità nel riconoscimento del genere dellapersona cui sia stato imposto, non essendo più riconducibile,in un contesto culturale ormai non più rigidamentenazionalistico, esclusivamente al genere maschile.La ratio del divieto di attribuire un nome non corrispondenteal sesso del minore è sempre quella fondatasul massimo rispetto della dignità personale. Un segnodistintivo così rilevante come il nome non può avere uncontenuto di evidente confusione su un carattere, qualeil genere, di primario rilievo. Ma quando la caratterizzazionedi genere, come nel caso del nome A., ha perso lasua valenza distintiva esclusiva a causa dell’uso indifferenziatoper entrambi i generi, in molti paesi stranieri,del nome in questione, la scelta dei genitori, alla lucedell’art. 34, comma 2, è del tutto legittima perché nondetermina alcuno sconfinamento nella lesione della dignitàpersonale.Il ricorso deve, in conclusione, essere accolto. Il provvedimentodella Corte d’Appello di Firenze deve essere cassatoe, non essendo necessari ulteriori accertamenti difatto, la causa può essere decisa nel merito ai sensi dell’art.384 c.p.c., comma 2. Ne consegue il rigetto del ricorsoproposto dal pubblico ministero avverso l’imposizionedel prenome “A.” alla figlia minore dei ricorrenti ela cancellazione della rettifica dell’atto dello stato civiledisposta all’esito del giudizio di primo grado con la qualeil prenome della minore è stato sostituito con “G.A.”.Non vi è luogo ad una statuizione sulle spese in ragionedella qualità della parte soccombente.768Famiglia e diritto 8-9/2013


GiurisprudenzaIdentità personaleP.Q.M.La Corte accoglie il ricorso. Cassa il provvedimento impugnatoe, decidendo nel merito, rigetta il ricorso delpubblico ministero disponendo la cancellazione della rettificadell’atto dello stato civile con la quale il prenome“A.” della figlia minore dei ricorrenti M.G. e Z.P., era statosostituito con “G.A.”. Nulla per le spese.LA SVOLTA DELLA CASSAZIONE:IL NOME ANDREA È AMBIGENEREdi Luca Bardaro (*)La decisione offre l’occasione per ritornare a riflettere su un dibattito che negli ultimi tempi è stato alquantovivace e riguarda le implicazioni fra il prenome e il genere sessuale. I giudici di legittimità, chiamati per laprima volta a sindacare la valenza del nome Andrea, pur riconoscendo che l’appellativo è ambigenere erranocirca il suo inquadramento fra i nomi stranieri, l’assegnazione dei quali è consentita ai genitori dall’art. 34,comma 2, D.P.R. n. 396 del 2000.1. La vicendaUn Ufficiale di Stato civile chiamato a redigere l’attodi nascita di una bambina comunicava al dichiaranteche il nome scelto, Andrea, risultava onomasticomaschile e che la sua attribuzione ad una bambinasi poneva in contrasto con l’art. 35, comma 1del D.P.R. 3 novembre 2000, n. 396, il quale prescriveche «Il nome imposto al bambino deve corrispondereal sesso e può essere costituito da un solonome o da più nomi, anche separati, non superiori atre». La ferma decisione dei genitori di attribuire allafiglia l’identificativo prescelto indusse il PubblicoUfficiale a procedere, come da consuetudine, allaregistrazione dell’atto di nascita (1), previa informativache tale soluzione avrebbe comportato a lorocarico un procedimento di rettifica davanti al tribunale,su istanza della competente Procura della Repubblica.Così fu. Il Procuratore della Repubblicadifatti, una volta ricevuto il rapporto, presentò ricorsoper la rettifica del nominativo assegnato. Inprimo grado, il Tribunale di Pistoia rettificò il nomeAndrea in G. Andrea, sul presupposto che l’onomastico(Andrea) non fosse a valenza e connotazionefemminile in <strong>Italia</strong>.Contro il provvedimento fu proposto reclamo daigenitori del minore che sostenevano la valenza ambigeneredell’appellativo. Rigettato il reclamo, i genitoriricorrevano in Cassazione. In questa sede, igiudici hanno riformato la decisione impugnata,propendendo per l’ambivalenza di genere dell’onomastico(per essere più precisi, utilizzano impropriamentel’espressione “neutro” v. infra). Gli ermellinihanno avvertito che la diffusione del nome Andrea,anche al femminile, deriva dal fenomeno dell’immigrazionedi soggetti stranieri in <strong>Italia</strong> e ritenuto nonesservi motivo per ostacolarne l’attribuzione sullabase del dato normativo che accorda ai genitori lafacoltà di attribuire ai figli nomi stranieri (art. 34D.P.R. 396 del 2000). Una soluzione differente,spiegano i giudici, determinerebbe una ingiustificatadisparità di trattamento fra i cittadini italiani di nascitae quelli stranieri naturalizzati italiani.2. Il dato normativoLa decisione verte dunque sul tema del diritto al nome,fulcro dell’identità personale ed oggetto di tutelada parte dell’ordinamento interno e sovranazionale(2). Ogni persona ha anzitutto diritto al nome,costituito da prenome e cognome, che per legge le èNote:(*) Il contributo è stato sottoposto, in forma anonima, alla valutazionedi un referee.(1) È utile ricordare che, nel contesto normativo delineato dall’abrogatoart. 72 del R.D. 9 luglio 1939, n. 1238, l’Ufficiale delloStato civile, nell’ipotesi di persistente volontà del dichiarante diattribuire al neonato un nome espressamente vietato, assegnavaegli stesso un prenome al bambino, di tal ché veniva esclusaa monte la possibilità di registrare nomi vietati dalla legge. Conl’entrata in vigore del novellato Ordinamento dello Stato civile(D.P.R. 3 novembre 2000, n. 396), l’Ufficiale dello Stato civile hainvece l’obbligo di assicurare la formazione dell’atto di nascita,non potendosi rifiutare di adempiervi né di intervenire a modificarel’indicazione del nome stesso.(2) S. Stefanelli, Il nome delle persone tra padri, madri, Corti eStati, in Diritti principi garanzie sotto la lente dei giudici di Strasburgo,a cura di L. Cassetti, Napoli, 2012, 151, evidenzia condivisibilmenteche la scelta del nome non «è ascrivibile alla medesimatutela» del diritto al nome, «poiché precede, anchetemporalmente, la formazione dell’identità, e costituisce eserciziodella potestà - meglio responsabilità - genitoriale [omissis]».Famiglia e diritto 8-9/2013 769


GiurisprudenzaIdentità personaleattribuito (art. 6, comma 1, c.c.) (3). Sul piano sistematicotale norma va letta in armonia con la fonteinternazionale che l’<strong>Italia</strong> ha recepito con l. 27maggio 1991 (legge di ratifica ed esecuzione dellaConvenzione di New York sui diritti del fanciullo),la quale prescrive che il minore è titolare, sin dalmomento della nascita, del diritto al nome (art. 7)(4). Da una rapida lettura sistematica (art. 6, comma3, c.c.) e assiologica (artt. 2 e 22 Cost.) delle regolerelative al nome si evince che lo stesso è dirittosoggettivo insopprimibile della persona. Non essendoil neonato nella condizione di scegliersi autonomamenteil prenome, l’attribuzione (5) viene traslatasui suoi genitori, salvo il caso in cui vi suppliscal’Ufficiale dello stato civile (6): la scelta spetta congiuntamenteal padre e alla madre, in ossequio allaregola secondo la quale la potestà è esercitata «dicomune accordo da entrambi i genitori» (art. 316,comma 2, c.c.). Il riconoscimento di questa peculiaritàha indotto la Corte Cedu ad includere il dirittopiù volte menzionato nella sfera del diritto alla vitaprivata dei genitori (art. 8 CEDU) (7), argomentandoche il nome ed il prenome sono «strumentid’identificazione personale e di collegamento allafamiglia» (8).In ipotesi di contrasto fra i genitori sulla scelta delnome, il partner interessato potrebbe ricorrere algiudice (art. 316, comma 3, c.c.) (9), riassumendosila fattispecie fra le questioni di particolare importanzaex art. 316, comma 3, c.c. (10). Si tratta evidentementedi un potere-dovere sottoposto al controllostatuale (11), rendendo il fanciullo destinatariodella tutela apprestata nel suo interesse. Se nededuce che i genitori non sono titolari di un dirittosoggettivo, agendo piuttosto gli stessi in virtù di unpotere-dovere nell’orbita di un ufficio di diritto privato.2.1 I nomi vietatiNel passaggio da quelle che sono le prerogative aquelli che sono, invece, i limiti di attribuzione delprenome, viene in rilievo la recente riforma sulla filiazioneattuata con l. 10 dicembre 2012, n. 219(12). Più esattamente, il provvedimento appena richiamatosostituisce (art. 5, comma 2) l’art. 35 delD.P.R. 3 novembre 2000, n. 396, laddove prevedein continuità con le regole consolidate in materia,che «Il nome imposto al bambino deve corrispondereal sesso e può essere costituito da un solo nomeo da più nomi, anche separati, non superiori a tre.Nel caso siano imposti due o più nomi separati davirgola, negli estratti e nei certificati rilasciati dall’ufficialedello stato civile e dall’ufficiale di anagra-Note:(3) Sul tema, in particolare, A. De Cupis, I diritti della personalità,in Trattato Cicu Messineo, Milano, 1982, in part. p. 458 e ss.; L.Balestra, sub art. 6, in Costituzione, Carte dei diritti, Quattro Codici,I, Codice della famiglia a cura di M. Sesta, Milano, 2009, 300ss. Più di recente, M. A. Livi, sub Art. 6 - Il diritto al nome, inCommentario del codice civile diretto da E. Gabrielli, Delle persone,I, a cura di A. Barba e S. Pagliantini, Torino, 2012, 553; M.R. Mottola, Il diritto al nome, Milano, 2012, 5 ss.(4) Ai sensi dell’art. 7 della l. 27 maggio 1991 «il fanciullo è registratoimmediatamente al momento della sua nascita e da allora hadiritto ad un nome, ad acquisire una cittadinanza e, nella misura delpossibile, a conoscere i suoi genitori e ad essere allevato da essi».(5) Varie sono le norme che richiamano il tema dell’attribuzionedel nome: art. 6, comma 1, c.c., art. art. 29 del D.P.R. 3 novembre2000, n. 396. Il Santoro Passarelli, Dottrine generali del dirittocivile, Napoli, 1989, p. 28 sottolinea che il nome è sempre dativo;in senso conforme la De Sanctis Ricciardone, Nome civile,in Enc. Giur., Roma, 1990, 3, evidenzia che il nome è “dato”, ovverodeve essere imposto al neonato da parte del dichiarante.(6) Il caso è regolato dall’art. 29, comma 4, D.P.R. 3 novembre2000, n. 396, che facultizza l’Ufficiale di Stato ad assegnare unnome al neonato.(7) Corte Edu 24 ottobre 1996, n. 22500/93, caso Guillot controFrancia; Corte Edu 6 settembre 1997, n. 10163/95, Salonen controFinlandia. Su tali questioni v. anche S. Stefanelli, Il nome dellepersone tra padri, madri, Corti e Stati, cit., 147 ss.(8) Corte Edu 24 ottobre 1996, n. 22500/93, caso Burghartz controSvizzera.(9) C. M. Bianca, La famiglia, Estratto per i corsi universitari dallaquarta edizione del Diritto Civile, 2, Milano, 2005, 331 premetteanzitutto la distinzione fra titolarità della potestà, spettante adentrambi i genitori ed esercizio della medesima che di regola ècongiunta ed aggiunge che nell’ipotesi di contrasto su questionidi particolare importanza «ciascuno dei genitori può ricorreresenza formalità al tribunale per i minorenni con l’onere di indicarela soluzione più conveniente per il figlio».(10) In ordine al potere di scelta del prenome, v. Ziino, Diritto dellapersona e diritto al (pre)nome. Riferimenti Storico-letterali econsiderazioni giuridiche, in Giust. civ., 2004, 7-8, 374. L’Autoreprecisa (373) che il segno identificativo è idoneo a distinguere unsoggetto dagli altri componenti il gruppo familiare aventi lo stessocognome, di tal ché sarà necessaria «una scelta (causa), allaquale fa seguito un conferimento (effetto)»; per la giurisprudenzasi legga Cass. n. 3060/1981, in Dir Fam., 1981, 754.(11) Il potere-dovere genitoriale di attribuzione dell’onomastico èsottoposto al controllo dello Stato. In tal senso si è espresso ilTrib. Catanzaro 14 aprile 2009, in Civilista, 2009, 6, con note criticadi B. Saccà, C’era una volta una bambina di nome (…) Andreae adesiva di G. Buffone, Se la favola di Andrea diventa unincubo, laddove ha posto in evidenza che tale meccanismo scatta«non perché si tratti di ridimensionare il diritto al nome maperché, essendo un diritto altrui, chi lo esercita deve farlo, perl’appunto, in modo funzionale al miglior soddisfacimento dell’interessed’altri». Si pensi, oltre alla fattispecie in esame, all’ipotesidi rettifica del nome Venerdì perché ridicolo o vergognoso, sulquale si rinvia alle decisioni di cui alla nota n. 26.(12) Per un commento al testo del DDL licenziato dalla Cameradei Deputati e alla legge poi approvata, cfr. V. Carbone, Le nuoveproposte sulla filiazione e rapporti di parentela, in Corr. giur.,2011, 9, 1314 ss.; M. Sesta, I disegni di legge in materia di filiazione:dalla diseguaglianza all’unicità dello status, in questa Rivista,10, 2012, 962 ss.; Id., L’unicità dello stato di filiazione e inuovi assetti delle relazioni familiari, in questa Rivista, 2013, 3,231 ss.; G. Ferrando e G. Laurini (a cura di), Genitori e figli: qualiriforme per le nuove famiglie. Atti del Convegno tenutosi a Genovail 4 maggio 2012, Milano, 2013, 1 ss.770Famiglia e diritto 8-9/2013


GiurisprudenzaIdentità personalefe deve essere riportato solo il primo dei nomi»(13). La nuova disposizione supera, in questa maniera,le difficoltà interpretative legate al testo previgente,in cui si dubitava dell’obbligatorietà di riportaretutti i nomi negli estratti e nei certificati,nell’ipotesi di prenome composto da più elementionomastici (14).Va chiarito che la disposizione di cui all’art. 35 delD.P.R. n. 396 del 2000 disciplina una fattispecie nonregolata nell’abrogato ordinamento dello stato civile(R.D. n. 1238/1939) e scandisce il principio dicorrispondenza fra prenome e genere sessuale. Senzapretesa di esaustività, giova richiamare ancora l’articoloche lo precede topograficamente, nel quale,sotto la rubrica «Limiti all’attribuzione del nome»,si vieta «l’attribuzione al neonato dello stesso nomedel padre vivente, di un fratello o di una sorella viventi,di un cognome come nome, di nomi ridicoli overgognosi» (art. 34, comma 1 del d.P.R. 3 novembre2000, n. 396) (15).La scelta legislativa dei limiti di attribuzione del prenomeal neonato è frutto di un ragionevole balancingcostituzionale (16), giacché la libertà dei genitorinon viene compressa, ma condizionata nell’interessedella prole.Sotto altro aspetto, il fatto che il nome identifichi ilsoggetto titolare nei suoi tratti essenziali e rappresentiun segno verbale, simbolo per eccellenza dell’identitàpersonale (17), è utile per comprendere laratio dei richiamati divieti: l’esigenza di evitareeventuali perturbamenti nell’identità personale delfanciullo nonché lo scherno e le vessazioni da partedei terzi (18) che l’appellativo potrebbe ingenerare.3. La stretta interrelazione fra i divietiLe argomentazioni da ultimo richiamate, poste allabase dei limiti legali all’attribuzione del nome, sonostate valorizzate dalla giurisprudenza più recente chesi è trovata a sindacare la scelta da parte di alcunigenitori di assegnare il nome Andrea alle bambine.Tali richieste sono state in un primo momento accolteda non pochi Ufficiali di stato, confortati ancheda una indirizzo ministeriale che accordava lorotale facoltà (19). Non sono mancati i casi in cui,contrariamente, gli stessi inoltravano rapporto allaProcura della repubblica competente per ogni opportunoadempimento. La casistica testimonia chel’applicazione delle norme più volte citate (rectiusartt. 34 e 35 del D.P.R. n. 396 del 2000) è anche immediataconseguenza dell’attribuzioni di nomi cheora sarebbero quelli oggetto della disciplina previstaper quelli ridicoli o vergognosi (art. 34 del D.P.R.396 del 2000). Va precisato, in tale prospettiva, chel’eventuale violazione della norma che impone aigenitori di attribuire nomi corrispondenti al generesessuale (art. 35, D.P.R. n. 396 del 2000) non è finea se stessa, ma determina la violazione dell’art. 34dello stesso reticolato normativo (20), atteso che,anche in tale ipotesi, «l’identità della persona verrebbeesposta alla derisione altrui» (21). Sono a tuttinote, con specifico riferimento a tali questioni eper la risonanza mediatica assunta, i casi di VarenneNote:(13) Si discute sugli effetti intertemporali della norma. Sul punto,la circolare del Ministero dell’Interno del 27 dicembre 2012, n.33 ha chiarito che la novità legislativa non opera retroattivamente,ma solo a partire dal 1° gennaio 2013. In altri termini, la sostituzionenormativa non può determinare la modifica retroattivadel nome, come attribuito alla persona negli atti di stato civileformati in epoca antecedente alla data di entrata in vigore dellalegge: ciò all’evidente fine di salvaguardare l’identità personaleacquisita dal soggetto interessato. Ai medesimi fini di salvaguardia,anche i certificati e gli estratti rilasciati dopo l’entrata in vigoredella legge, se relativi ad atti formati antecedentemente,dovranno essere ancora emessi secondo i criteri vigenti primadella riforma.(14) In senso favorevole, Angelozzi, Stato civile, in Leggi collegate,II, Codice della famiglia, 2009, 35 che ripercorre anche l’excursusstorico che ha visto coinvolta la storia del prenome compostoda più onomastici.(15) Sui limiti di attribuzione del nome, v. in generale M. A. Livi,sub Art. 6 - Il diritto al nome, in Commentario del codice civile direttoda E. Gabrielli, cit., 555 ss.(16) L. Bardaro, Andrea o non Andrea? Questo è il dilemma, inquesta Rivista, 2011, 2, 166.(17) Lenti, Nome e cognome, in Dig. Disc. giur. (Sez. Civ.), XII,Torino, 1995, rist. 2008, 139); Nuzzo, Nome, (dir. vig.), in Enc.Dir., XXVIII, Milano, 1978, 306, laddove l’Autore discorre del valoresimbolico del nome «come espressione della personalità individualedel portatore».(18) Al riguardo, App. Torino 26 giugno 2008, con nota R. Calvignoni,Ancora sul nome Andrea: una recente sentenza della Cortedi Appello di Torino, in www.anusca.it, ravvisa la ratio dellanorma, di cui all’art. 35 del D.P.R. 3 novembre 2000, n. 396, nell’esigenzadi tutelare il neonato, «affinché questi non debba subireil pregiudizio che, secondo il comune sentire, gli deriverebbedurante la vita dall’aver un nome che, dissonante rispetto alsesso di appartenenza, lo porrebbe in una situazione di disagioparagonabile a quella in cui si troverebbe nel caso di attribuzionedi un nome ridicolo o vergognoso, del pari vietato dal medesimotesto normativo».(19) L’organo di vertice amministrativo, nel rispondere ad unquesito del 20 maggio 2004, puntualizzava che il nome Andreapotesse essere attribuito anche ai neonati di sesso femminile dicittadinanza italiana. Va evidenziato che tale presa di posizioneinterveniva a distanza di quattro anni dall’entrata in vigore dellanorma di cui all’art. 35 del D.P.R. 3 novembre 2000, n. 396 ed èrimasta inalterata fino al giugno 2007, allorquando veniva diramatala circolare n. 27 del 1 giugno 2007. Il testo del quesito daltitolo Prenomi che possono trarre in equivoco sul sesso del nato,è rinvenibile in http://www.servizidemografici.interno.it/sitoCNSD/faqRicerca.do?metodo=quesito&servizio=faq&FAQ_ID_QUESITO=1028&codiceFunzione=FQ&codiceSettore=SC.(20) Trib. Catanzaro 14 aprile 2009, cit.; App. Torino 26 giugno2008, cit.; Trib. Varese 23 luglio 2010, cit.(21) Trib. Varese 23 luglio 2010, cit., 164.Famiglia e diritto 8-9/2013 771


GiurisprudenzaIdentità personale(22), di Venerdì (23) e di Andrea (24) (v. infra §3.1).3.1 I contrasti giurisprudenzialiDi tale ultima vicenda la giurisprudenza si è occupata- come accennato - in più occasioni, dandoluogo ad un vivace contrasto. Al riguardo si possonodelineare prima facie due orientamenti: l’unoche potrebbe definirsi “minoritario”, per il qualeAndrea è da considerarsi sia di genere maschile chedi genere femminile; l’altro “maggioritario”, orientatopiuttosto per la valenza esclusivamente maschiledel nome. Quest’ultimo indirizzo presentaevidenti ricadute sulla rettifica dell’appellativo,nell’ipotesi in cui venga attribuito ad una bambina.Nell’ambito del primo, invece, si riscontra la presenzadi una ulteriore linea di pensiero tesa alla rettificadel prenome. Si pensi alla decisione dellaCorte d’appello di Torino (25) che ha rettificato ilnome Andrea in Andrea Emma, o ancora a quelladel Tribunale di Milano (26) che ha rettificatol’appellativo originariamente attribuito in AndreaAlessia. In una prospettiva diametralmente opposta,meritano di essere citate le decisioni del Tribunaledi Catanzaro (27), che ha disposto la rettificadel nome Andrea in Giulia Andrea e del Tribunaledi Varese (28) che ha rettificato il nome AndreaSara in Sara Andrea. Tali decisioni si pongono aben vedere su un piano concettuale differente rispettoa quello delle prime decisioni richiamate:per il primo indirizzo (I sub-maggioritario) il nomeAndrea è di genere maschile anche se, al fine dievitare il fenomeno di risibilità dell’onomastico odi porre a repentaglio la certezza dei rapporti giuridici,si sia aggiunto un secondo elemento onomasticodisambiguante nella catena onimica. Per il secondoorientamento (II sub maggioritario) si rendeinvece necessario posporre il nome Andrea ad unaltro onomastico del genere sessuale corrispondentealla fanciulla. Ecco che allora la prima posizioneermeneutica (I sub maggioritario) si allinea, sebbeneattraverso lo strumento della rettifica, all’orientamentominoritario, poiché evidenzia che l’appellativoAndrea può attribuirsi ad una neonata, purchéseguito da altro onomastico corrispondente alsesso. Ciò sta a significare che, se per avventura igenitori si fossero determinati in tal senso sin dall’inizio,non vi sarebbero stati i presupposti per larettifica giudiziale del nome. L’argomentazione inparola, peraltro, trova conforto in un precedenteaffrontato dalla Corte d’Appello di Catanzaro (29)e relativo all’attribuzione del prenome Andrea Mariaad una persona di sesso femminile, allorché sievidenziava che non poteva trovare accoglimentol’istanza di rettifica in Maria Andrea e, per l’effetto,si revocava il decreto reso dal giudice di primecure. A prescindere dalla questione specifica, la richiamataambivalenza di genere dell’appellativoAndrea nel panorama onomastico mondiale, lapresenza di stranieri in <strong>Italia</strong> che risultano portatoridell’identificativo in argomento, l’attribuzionedel prenome Andrea ai neonati cittadini italianisecondo i dati statistici che vedremo nel § 4, risultanopresupposti idonei a scongiurare la violazionedella regola della corrispondenza del nome al generesessuale (art. 35 del D.P.R. n. 396 del 2000).Note:(22) Il richiamo è tratto in D. Ziino, Diritto della persona e dirittoal (pre)nome. Riferimenti Storico-letterali e considerazioni giuridiche,cit., 386. Nello specifico, un padre aveva attribuito, in sededi dichiarazione di nascita, il nome Varenne - in altri termini, ilnome del trottatore noto in tutto il mondo - al proprio figlio, dandosfogo al proprio desiderio di scegliere un nome “vincente”.Per l’A. si tratta chiaramente di un «singolare caso di cronaca indicedei segni dei tempi».(23) Si tratta dell’ipotesi di rettifica del nome Venerdì perché ridicoloo vergognoso, sul quale sono stati impegnati tre gradi digiudizio. Cfr. App. Genova 10 novembre 2007, decr., in Giur. Merito,2009, 2, con nota di Casaburi, Sabato, Domenico ma nonVenerdì. La scelta del prenome tra tradizione, innovazione, limitazionilegislative, in Giur. Merito, 2009, 2, 357 ss. e Cass. 20 ottobre2008, n. 25452, in Dir. Fam. pers., 2, 2009, con nota di Bardaro,Si può dichiarare il proprio figlio con il nome “Venerdì”? Igiudici di merito lo negano, la Suprema Corte si lava le mani, nelquale l’A. evidenziava che «”ridicolo e “vergognoso” non sonoconcetti qualificabili giuridicamente, ma esclusivamente sul pianosocio-culturale, accertabili attraverso la sensibilità e la culturadel giudicante». Ancora in Fam. pers. Succ., 2009, 101 ss., connota G. Di Rosa, Attribuzione del prenome e dignità della persona,in Nuova giur. civ. comm., 2009, 2, 166 ss., con nota di G.Guerra, Scelta genitoriale e tutela dell’identità della persona. Sultema, v. anche Trib. Novara, 12 novembre 2009, con nota di P.Virgadamo, in L’«Interpretazione secondo costituzione» nellagiurisprudenza. Crestomazia di decisioni giuridiche, I, a cura di G.Perlingieri e G. G. Carapezza Figlia, Napoli, 2012, 139 ss. laddovesi evidenzia che il concetto di “ridicolo, quale limite alla sceltadel nome da parte dei genitori, deve essere interpretato inchiave costituzionale, essendo rivolto alla tutela della personalitàdell’individuo. In tal guisa l’aggettivo «ridicolo», spiega il giudice,va inteso restrittivamente, in un’accezione esclusivamente negativacioè come suscettibile di scherno, «tale da rendere il soggettozimbello del gruppo».(24) Fra i contributi più recenti, si segnala G. Viggiani, Il generedei nomi nel nuovo ordinamento dello stato civile: il caso «Andrea»,in Nuova giur. civ., 2013, 1, 9 ss.(25) App. Torino 26 giugno 2008, decr., cit.(26) Trib. Milano, sez. IX, 20 febbraio 2003, decr., in Giur. milanese,2003, 393.(27) Trib. Catanzaro 14 aprile 2009, cit.(28) Trib. Varese 23 luglio 2010, cit.(29) Appello Catanzaro 15 gennaio 2008, decr., in Foro it. Rep.,2008, nome [4440], n. 9 e in Fam. e min., 2008, 66, con nota Negro.772Famiglia e diritto 8-9/2013


GiurisprudenzaIdentità personale3.2 La diffusione del nome Andreanelle tradizioni onomastiche mondialiLa decisione in rassegna si pone, a ben vedere, inuna posizione differente rispetto a quelle appena richiamate,pur appiattendosi, nel risvolto applicativo,all’indirizzo minoritario. La pronuncia è anzituttocondivisibile nel risultato e si lascia apprezzareper le tante deduzioni pregne di spessore, posto chel’ambivalenza di genere del nome Andrea è un approdoal quale si era giunti, sulla scorta di considerazionigià altrove svolte (30). Il metodo con cui i giudicipervengono alla soluzione è, tuttavia, singolareed opinabile, avendo valutato l’appellativo comestraniero (31) ai sensi dell’art. 34, comma 2, delD.P.R. n. 396 del 2000: norma che trova applicazionequando il nome assegnato al bambino non rientranella rosa onomastica di quelli in uso nel nostroPaese. Non è certo il caso del nome Andrea, postoche, secondo la relazione Istat dell’1 luglio 2008, risultail 3° nome più diffuso tra gli uomini (32).Alla base del ragionamento dei giudici ha influitoprobabilmente la consapevolezza che in una societàsempre più multietnica si assiste sovente alla diffusionedi nomi di derivazione straniera: dai fenomenidell’immigrazione e della correlata presenza di stranierisul territorio italiano (33), alla celebrazione dimatrimoni misti (34) e, non ultimo, per l’eventualitàche alcuni soggetti acquistino la cittadinanza delPaese di provenienza (35). Da una rapida indaginetelematica sul portale Focus (36), si trae altresì cheAndrea è il prenome più diffuso al mondo, proprioperché è ambigenere ed in uso in molte tradizionionomastiche mondiali. In effetti l’uso del nome Andreaal femminile, tranne nei Paesi che adottanoversioni amorfe dell’onomastico indicato (37), si registranella lingua Ceca, Slovacca, Slovena, Inglese,Spagnola, Tedesca, Olandese, Danese, Ungherese, adifferenza dell’<strong>Italia</strong> e dell’Albania nelle quali l’usoè per lo più maschile (38). Dalle considerazioni cheprecedono si desume che il nome Andrea (39) è conosciutoanche come qualificante il genere femminile(40). Basti pensare, ancora, che perfino unacantautrice italiana ha scelto Andrea come pseudonimo(41), per rendersi conto delle dimensioni delfenomeno.La Corte di cassazione ha così fatto leva sulla normache consente ai genitori la facoltà di attribuire nomistranieri anche ai bambini aventi la cittadinanzaitaliana, prescrivendo l’utilizzo delle lettere dell’alfabetoitaliano con le sole estensioni alle lettere J, K,X, Y, W, e ai segni diacritici propri dell’alfabeto dellalingua di origine del nome (art. 34, comma 2,Note:(30) L. Bardaro, Andrea o non Andrea? Questo è il dilemma, cit.,164.(31) Sul punto anche G. Casaburi, Una bambina di nome Andrea(e con due cognomi), in Giur. Merito, 4, 2013, nota a App. Brescia,sez. I, 2 aprile 2012, 772. L’A. richiama la decisione in rassegnaed evidenzia che la «Cassazione [omissis] avrebbe dovutocassare con rinvio la decisione di merito» e l’esito sarebbestato «comunque scontato», giacché «nella realtà onomasticadel nostro Paese Andrea - come prenome francamente italiano,senza necessità di spacciarlo per straniero, è divenuto ambivalente».Il fatto che la diffusione dei nomi stranieri potesse crearedifficoltà interpretative «circa l’identificazione di taluni prenomicome maschili o femminili», era stato messo in evidenza daM. A. Livi, sub Art. 6 - Il diritto al nome, in Commentario del codicecivile diretto da E. Gabrielli, 556.(32) Il riferimento si trae nel documento “Natalità e fecondità dellapopolazione residente: caratteristiche e tendenze recenti”, reperibilesu http://www.istat.it/salastampa/comunicati/non_calendario/20100318_00/testointegrale20100318.pdf.(33) Dall’esame dei dati forniti dall’Istat - si veda il documento informato pdf dal titolo Natalità e fecondità della popolazione residente:caratteristiche e tendenze recenti, in http://www.istat.it/salastampa/comunicati/non_calendario/20100318_00/testointegrale20100318.pdf - si rinviene che, negli ultimi diecianni, l’incidenza dei nati stranieri sul totale dei nati residenti in<strong>Italia</strong> è più che triplicata, passando dal 4,0% del 1999 al 12,6%del 2008.(34) L’aumento dei matrimoni misti è segnalato nel rapporto dell’Istatrichiamato nella nota precedente (33) dal titolo Natalità efecondità della popolazione residente: caratteristiche e tendenzerecenti, cit., laddove emerge che i nati nell’anno 2008 generatida coppie con almeno un genitore straniero risultano circa il16,7% del totale.(35) L’impianto normativo ospitato nella legge di diritto internazionaleprivato (l. 218/1995) prevede, come criterio di collegamento,la Legge del Paese di nascita. In effetti, l’art. 24 della leggecitata dispone che i diritti della personalità, tra i quali rientra ildiritto al nome, sono regolati dalla legge nazionale del soggetto.Sulla correlazione fra il nome e relazioni familiari le quali potrebberoessere disciplinate da una legge differente da quella di cittadinanza,si rinvia a T. Ballarino, Manuale breve di diritto internazionaleprivato, Padova, 2008, 118 s.(36) Il riferimento va all’articolo Qual’è il nome più diffuso nelmondo?,inhttp://focus.it/Mondo/domanda/Qual_e_il_nome_piùdiffuso_nel_mondo.aspx, nel quale si trae che nemmeno nei territori più popolatial mondo (area cina-giapponese) esiste un nome che possaraggiungere il primato di diffusione mondiale, poiché nessunappellativo riesce ad imporsi per frequenza sugli altri.(37) Si pensi alla Francia ove al maschile esiste André e al femminileAndrée.(38) Il dato è rinvenibile nei decreti del Trib. Catanzaro 14 aprile2009, decr., cit. e del Trib. Varese del 23 luglio 2010, cit.(39) Trib. Catanzaro 14 aprile 2009, decr., cit.(40) Dall’esame delle tradizioni onomastiche d’Oltralpe si traeche il prenome Andrea è nome straniero di genere femminile.Su tale circostanza, v. B. Saccà, Una bimba in <strong>Italia</strong> può chiamarsiAndrea?, cit., 41 la quale precisa che il fatto che Andrea è vocabolodella lingua italiana utilizzato prevalentemente nell’accezionemaschile, non esclude che lo stesso onomastico possa essereambigenere, posto che «anche nelle esperienze straniereabbiamo esempi di nomi ambivalenti, ad esempio: Anah, Alex,Berrnie; ad esempio il nome Fiore, utilizzato sia per uomini cheper donne».(41) Lo ricorda B. Saccà, Una bimba in <strong>Italia</strong> può chiamarsi Andrea,cit., 43.Famiglia e diritto 8-9/2013 773


GiurisprudenzaIdentità personaleD.P.R. 3 novembre 2000, n. 396). Non può trascurarsiche se si avallasse la tesi del rinvio tout court ainomi stranieri per consentirne l’ingresso in <strong>Italia</strong>, siassisterebbe ad un automatismo che metterebbe arepentaglio la certezza dei rapporti giuridici, poichési consentirebbe per questa via ai genitori di attribuireincondizionatamente un nome straniero, per ilnostro Paese, ad un neonato. D’altra parte, il meccanismopotrebbe tradursi in un espediente in grado dibypassare il divieto dei nomi che non identificano lasessualità del titolare in modo chiaro. Il principiodella corrispondenza del nome al genere rappresenta,piuttosto, una regola che non deve essere aggirata«facendo affidamento sulla diversa valenza, maschileo femminile, che un determinato nome ha inalcuni paesi stranieri, quando lo stesso nome in <strong>Italia</strong>ha una chiara connotazione maschile o femminile»(42). Si ricadrebbe peraltro in un circolo viziosoper il corollario che «ad un minore italiano non puòessere attribuito un nome straniero che, in <strong>Italia</strong>,non ne identifichi la sessualità in modo corretto»,sulla base del rilievo che la valenza del nome «va valutatacon riferimento alla tradizione italiana e nelsuo rispetto» (43). Approdo quest’ultimo che meritacondivisione perché frutto di una corretta valutazionedel dato normativo. Se da un lato è vero che ilLegislatore (art. 34, D.P.R. 2 novembre 2000, n.396) ha conferito ai genitori, abrogando l’atavicodivieto rispondente a scelte ideologiche nazionaliste,la possibilità di attribuire nomi stranieri, dall’altrol’Ordinamento non accorda libero arbitrio ai dichiaranti,dovendo l’attribuzione essere sempre conformeal dato normativo che da un lato vieta l’assegnazionedi onomastici ridicoli o vergognosi, di nomicorrispondenti a quello del padre, del fratello, etc(art. 34, comma 1, D.P.R. 3 novembre 2000) e dall’altroobbliga al rispetto del sesso del neonato (art.35, comma 1, 3 novembre 2000, n. 396). Rilievi,questi ultimi, sui quali i giudici della Cassazione inveroconcordano, ancorché poi aggancino la fattispecienell’alveo dei nomi stranieri, senza curarsi (senon astrattamente) se l’uso del nome Andrea in <strong>Italia</strong>è esclusivamente maschile - nel qual caso risulterebberoviolate le norme da ultimo richiamate - opiuttosto ambivalente nel genere.4. La diffusione del nome Andreasulla base dei rilievi statisticiLe considerazioni che precedono dimostrano quantosia importante stabilire i confini tra l’art. 34, comma2, del D.P.R. 3 novembre 2000, n. 396 e gli artt. 34,comma 1 e 35 dello stesso reticolato normativo e comesia ancora imprescindibile il ricorso ad uno strumentosul quale far leva per giustificare la ricorrenzadelle norme richiamate all’interno del nostro sistemaonomastico. Al riguardo, è lecito inferire che talestrumento è costituito dall’esame dei dati istat, gliunici in grado di certificare la diffusione di un nomenel nostro Paese e, nel caso specifico, nei riguardidelle donne. Solo la valorizzazione di questi principirisulta decisiva per dissipare ogni ragionevole timoreche il portare il nome Andrea possa rappresentareper una bambina un problema o «possa inquinarecon una componente “ridicola” la cifra della suaidentità» (44). Per essere più precisi, il diritto al nomeva contemperato e bilanciato tenendo contodelle finalità di ordine pubblico al cui perseguimentoil nome proprio è deputato: quella di identificarela persona nei rapporti con lo Stato (piano verticale)e nei rapporti sociali (piano orizzontale). Deponein questo senso l’art. 35 del D.P.R. n. 396/2000 nell’imporreai genitori di attribuire al figlio un nomecorrispondente al sesso. In un precedente scritto, siriportarono alcuni dati che l’Istat (45) aveva corte-Note:(42) Ministero Interno circolare 1 giugno 2007, n. 27, in De Jurebanca dati.(43) Trib. Varese 23 luglio 2010, cit.(44) Lo rimarca G. Martini, in Recensione a L. Bardaro, Andrea onon Andrea? Questo è il dilemma, in Riol, 2011, XVII, 1, 201.(45) Nel ringraziare la dott.ssa Prati per la cortesia mostrata nelfornire il preziosissimo dato, si riportano qui di seguito i numeridelle neonate Andrea iscritte in anagrafe per nascita, distinguendola diffusione in relazione dell’anno e della cittadinanza italianao straniera della bambina. Nel 2004, il nome Andrea come esclusivoè stato attribuito a 163 fanciulle cittadine italiane e a 16 straniereper un totale di 179 attribuzioni, mentre l’identificativo Andreacome nome composto e seguito da altro elemento onomastico,è stato attribuito a 269 fanciulle di cittadinanza italiana e a54 straniere per un totale di 323, casi che se cumulati al numerodei chiamati con il solo nome Andrea, ammontano nell’anno2004 a 502; nel 2005 il nome Andrea come esclusivo è stato assegnatoa 154 fanciulle cittadine italiane e a 10 straniere per untotale di 164 casi, mentre il nome Andrea seguito da altro elementoonomastico femminile è stato attribuito a 264 fanciullecittadine italiane e a 55 straniere, per un totale di 319 casi, checumulati alle ipotesi dei chiamati con il solo nome Andrea, ammontanoa 483; nel 2006 il nome Andrea, come esclusivo, è statoattribuito a 172 fanciulle cittadine italiane e 11 straniere per untotale di 183 casi, mentre il nome Andrea, composto e seguitoda altro onomastico, risulta assegnato a ben 229 fanciulle cittadineitaliane e a 46 straniere per un totale di 275 casi, che se cumulatialle ipotesi dei chia-mati con il nome prenome Andrea,ammontano a 458; nel 2007 l’identificativo Andrea risulta conferitoa 113 fanciulle italiane e a 12 straniere per un totale di 125casi, mentre il nome Andrea, composto e seguito da altro elementoonomastico, risulta attribuito a 249 fanciulle cittadine italianee a 91 straniere per un totale di 340 casi i quali, se cumulatialle ipotesi dei chiamati con il solo prenome Andrea, ammontanoa 465; nel 2008 il nome in parola è stato attribuito, comeesclusivo, a 97 neonate cittadine italiane e a 14 straniere per untotale di 111 casi, mentre come composto e seguito da altro elementoonomastico, risulta assegnato a 200 fanciulle cittadineitaliane e a 137 straniere per un totale di 337 casi che, se cumulatialle ipotesi del dato precedente, ammontano a 448.774Famiglia e diritto 8-9/2013


GiurisprudenzaIdentità personalesemente trasmessi. Si tratta di riferimenti in grado dirilevare il valore dell’attribuzione dell’onomasticoAndrea, nel periodo intercorrente 2004-2008, alleneonate cittadine italiane e straniere iscritte all’anagrafe:valori questi dai quali emergeva chiaramentel’attribuzione esponenziale dell’appellativoin parola. Ma vi è più. Seguendo le risultanze anagrafichefornite da alcuni Comuni <strong>Italia</strong>ni ad altadensità di popolazione (46) e seguendo, ancora, leindagini compiute dagli esperti di onomastica (47),si sono tratti molteplici casi di assegnazione dell’onomasticoAndrea alle neonate italiane.Ne deriva che solo la valorizzazione dei dati statisticiconferma il progressivo consolidarsi di una nuovaprassi e la contestuale evoluzione della tradizioneonomastica italiana. La lingua e l’onomastica sonofrutto dell’uso, delle convenzioni e della prassi piùche delle normative e delle politiche linguistiche ingenerale, di tal ché il prenome Andrea deve considerarsiambivalente nel genere.5. Considerazioni conclusiveUna soluzione differente rispetto a quella profilatain sentenza non avrebbe comportato l’adesione aduna visione nazionalistica. Era necessario piuttostovalorizzare i presupposti argomentativi a base delladecisione (rectius, la diffusione del nome Andreanelle onomastiche mondiali, il fenomeno dell’immigrazionecon la conseguente diffusione in <strong>Italia</strong> inmodo ambivalente) e calarli nel ragionamento conclusivo,previa verifica - stavolta concreta - se nelnostro Paese l’appellativo assuma valenza biunivoca.I giudici avrebbero dovuto valorizzare l’uso dell’onomasticonel nostro Paese, aderendo allo scopoavuto di mira dal Legislatore che risiede nell’esigenzadi evitare eventuali perturbamenti nell’identitàpersonale del titolare del nome. Va tenuto in considerazione,al riguardo, l’effetto che l’appellativo puògenerare nel portatore, potendo lo stesso divenirefonte di scherno e di vessazioni da parte dei terzi. Ilnome, giova evidenziarlo, non è in astratto ambiguoo ridicolo di per sé (salvo chiaramente i casi emblematici)ma può essere percepito come tale in un determinatocontesto sociale (48).Era necessario effettuare, evidentemente, un giudizioprognostico ex ante sull’effetto che l’identificativoassegnato avrebbe determinato sul titolare.Il portatore del nome può essere oggetto di schernoin considerazione del contesto nel quale vive e si relaziona,sicché l’indagine va calibrata in tale ambitosocio culturale, magari - ma questo è un dato utileper confermare il ragionamento - con effetti retrospettivialla diffusione dell’appellativo in altri contestiterritoriali. Era necessario, pertanto, volgerel’attenzione ai dati statistici Istat (v. retro), onde valutarel’eventuale diffusione del nome Andrea neiriguardi delle donne. Va precisato che il Giudice èrecettore delle trasformazioni sociali con un ruoloche non è deputato a modificare o a cambiare le tradizioni,bensì quello di recepirle e di riconoscerle unvolta in atto. La decisione giudiziale, unitamente allaproduzione legislativa, realizza in tal guisa «il bilanciamentotra la conservazione di valori legalicontenuti nella legge e la dirompente realtà fattuale»(49) la quale, proprio perché portatrice di valori,risulta assiologicamente valutabile (50). La tradizionedi una collettività è in continua evoluzione e,come ha detto la giurisprudenza, un nome, sorto convalenza maschile, può acquisire «nel tempo, anchevalenza femminile. Ma trattasi di dato che deveemergere e che non può soltanto essere ipotizzato odichiarato» (51). In un’altra decisione, il Tribunaledi Milano (52) evidenziava che ormai, in molti ambititerritoriali, esistono diversi casi nei quali l’identificativoAndrea designa il sesso femminile, con ilcorollario che «anche nella nostra attuale società,sempre più multietnica, sia come conosciuto anchecome qualificante persona femminile».Di certo un punto sul quale si è concordi con la decisioneè che il nome Andrea è ambivalente nel genere.Pur tuttavia, i giudici lo qualificano impropriamentecome “neutro”, determinando la distonia trala ratio decidendi e la qualificazione della fattispecie.L’aggettivo neutro, di chiara derivazione latina (neuter-tra-um),sta a significare “né uno né l’altro”, diNote:(46) Nel Comune di Milano si registrano, dal 1990 ad 2011, 167casi di attribuzioni del nome Andrea, come esclusivo o comecomposto e seguito da elemento onomastico femminile, allefanciulle; nel Comune di Bologna - settore informativi sezioneanagrafe servizi demografici - si computano, dal 1990 al 2011, 37casi di assegnazione del nome Andrea, come esclusivo o compostoe seguito da elemento onomastico femminile, alle neonatefemmine.(47) E. Caffarelli, in http://primadinoi.it/DOCUMENTI_LINK/nomi_abruzzo.pdf, riferisce il rapporto percentuale fra i nomi femminilicon più alta concentrazione in Abruzzo nell’anno 2004 e il totaledei nati in <strong>Italia</strong> nello stesso anno. Da tale dato si evince cheil nome Andrea alle fanciulle si impone con un rapporto percentualedel 5,56%.(48) In senso analogo la G. Nencini, La disciplina del nome e delcognome, Minerbio, 2011, 28, chiarisce che il nome che può «risultareridicolo in un determinato contesto potrebbe non esserloin un altro».(49) P. Perlingieri, Il diritto civile nella legalità costituzionale secondoil sistema italo-comunitario delle fonti, Napoli, 2006, 188(50) Perlingieri, o.u.c., 188.(51) Trib. Catanzaro 14 aprile 2009, decr., cit.(52) Trib. Milano, sez. IX, 20 febbraio 2003, decr., cit., 293.Famiglia e diritto 8-9/2013 775


GiurisprudenzaIdentità personalecerto non entrambi i generi sessuali, come i giudicipure sostenevano e come altresì si trae dalla radicesemantica. L’onomastico deriva infatti dal grecoἀνήρ (anēr), genitivo ἀνδρός (andrós), che indical’uomo con riferimento alla sua mascolinità. Oltretutto potrebbe essere anche considerato un derivatodi ἀνδρεία (andrèia), termine che in lingua greca significavalore, coraggio, virilità. Senza tralasciare ladifferenza di significato fra ánthropos-anthrópou - termineche indica l’uomo indifferenziato - e anēr - andrós- uomo di valore -, si ricorda che le medesimedifferenze si riscontrano anche in latino tra homohominise vir-viri corrispondenti ai sinonimi greci.La decisione si segnala, ad ogni modo, per aver postofine al tormentato dibattito sul genere del nomeAndrea, al punto che è intervenuta una circolareministeriale (53) la quale, in esecuzione della richiamatasentenza della Cassazione e al fine di arginare idilemmi degli operatori, impone agli Uffici competentidi tener conto della soluzione giudiziale perogni eventuale adempimento.Nota:(53) Si tratta della circolare n. 31 del 2012 del Ministero dell’Interno,Dipartimento degli Affari Interni e Territoriali Area III - StatoCivile.776Famiglia e diritto 8-9/2013


GiurisprudenzaMatrimonioSeparazioneCASSAZIONE CIVILE, sez. I, 11 agosto 2011, n. 17193 - Pres. Luccioli - Est. Dogliotti - P.M. Russo- S.L. c. SA.ER.Doveri tra coniugi - Obbligo di fedeltà - Nozione - Impegno globale di devozione - Fedeltà sessuale - SpecificazioneSeparazione personale - Addebito - Obbligo di fedeltà - Violazione - Intollerabilità della convivenza - Nesso di causalità -Necessità - Insussistenza(C.c. art. 151)Secondo le linee generali della riforma del diritto di famiglia del 1975, che esalta l’elemento affettivo al di làdei vincoli formali e coercitivi, va individuato il dovere di fedeltà nella c.d. “affectio maritalis”, vale a dire in unimpegno globale di devozione, che presuppone una comunione spirituale e materiale, di cui la fedeltà sessualeè evidentemente soltanto un aspetto.Ai fini della pronuncia di addebito nella separazione personale tra coniugi deve sussistere nesso di causalitàtra violazione dell’obbligo di fedeltà (come per ogni altro obbligo) e intollerabilità della convivenza: in mancanzadi prova di tale elementi, va rigettata la pronuncia di addebito.ORIENTAMENTI GIURISPRUDENZIALIConforme Cass. 21 settembre 2012, n. 16089; Cass. 2 ottobre 2012, n. 16767Svolgimento del processoIl Tribunale di Parma, con sentenza del 7/12/2005, dichiaravala separazione personale dei coniugi Sa. Er. e S.L., con addebito al Sa. per violazione dell’obbligo di fedeltà,e condannava quest’ultimo al pagamento di un assegnomensile di Euro 1.000,00 alla moglie.Proponeva appello avverso tale sentenza il Sa., chiedendopronunciarsi la separazione per intollerabilità dellaconvivenza, con esclusione dell’addebito, e revocarsi l’assegnoa carico della moglie, economicamente autosufficiente.Costituitosi regolarmente il contraddittorio, la S. chiedevarigettarsi l’appello e proponeva appello incidentaleper l’elevazione dell’assegno.La Corte d’appello di Bologna, con sentenza 30/3-16/4/2007, accoglieva l’appello del Sa., e rigettava quelloincidentale della moglie.Ricorre per cassazione la S., sulla base di due motivi.Resiste, con controricorso, il Sa.Entrambe le parti hanno depositato memorie perl’udienza.Motivi della decisioneNon ha pregio l’eccezione proposta dal resistente circa ildifetto di procura alle liti relativa al presente ricorso, nonessendo stati indicati gli estremi della pronuncia impugnata.Per giurisprudenza consolidata (per tutte Cass. n.9360 del 2006), trattandosi di procura a margine del ricorso(tra l’altro, con indicazione espressa del giudizio “inCassazione”), appare irrilevante l’assenza del riferimentoalla pronuncia impugnata, dovendosi presumere che laprocura si riferisca appunto al giudizio relativo all’atto,cui la procura stessa è unita.Va ancora preliminarmente osservato che il secondo motivodel ricorso, relativo a vizio di motivazione va dichiaratoinammissibile, perché privo della sintesi (omologa alquesito di diritto), (fra le altre, Cass. n. 2694 del 2008),inerente al fatto controverso e alla sua rilevanza ai finidecisori, ai sensi dell’art. 366 bis c.p.c., abrogato, ma ancoraoperante per i rapporti pregressi. Anche se si volesseconsiderare tale l’ultima parte del motivo, in carattere tipograficodifferente, essa sarebbe del tutto inadeguata, inquanto priva di riferimento alla fattispecie concreta. Ci silimita ad un generico richiamo alla mancata valutazionedi elementi di prova scritta e orale (senza indicare quali)e all’assenza di coerenza tra le ragioni della decisione (ancorauna volta, senza indicazioni specifiche al riguardo).Con il primo motivo, il ricorrente lamenta violazione degliartt. 143 e 151 c.c. nonché art. 154 c.c., artt. 345, 346c.p.c., in punto addebito della separazione ed assegno peril coniuge. Il motivo va rigettato, con riferimento all’addebito.La violazione dell’obbligo di fedeltà di cui all’art. 143c.c., sotto il vigore della normativa previgente, era soprattuttoricollegata all’“adulterio”. Veniva in passatoconsiderato esclusivamente il dovere di fedeltà. sessuale(e l’“adulterio” presupponeva appunto la congiunzionecarnale ovvero “qualsiasi abnorme equivalente di essa”).Alla luce delle linee di riforma del 1975, che esaltanol’elemento affettivo al di là dei vincoli formali e coercitivi,si individua nel dovere di fedeltà un impegno globaledi devozione, che presuppone una comunione spirituale emateriale (e di esso la fedeltà sessuale è evidentementesoltanto un aspetto).In passato si riteneva che il dovere di fedeltà fosse direttosoprattutto a tutelare l’onore, il decoro del coniuge, e intal senso rilevava soprattutto l’adulterio “ostentato e conosciutodai terzi”;Famiglia e diritto 8-9/2013 777


GiurisprudenzaMatrimonioesso costituiva offesa in re ipsa, in quanto palese lesioneappunto dell’onorabilità del soggetto. Oggi si ritiene piùcorrettamente che l’obbligo di fedeltà sia volto a garantiree consolidare la comunione di vita tra i coniugi, l’armoniainterna, l’affectio maritalis. Si è parlato a tal propositodi violazione di tale dovere, come rottura del rapportodi fiducia tra i coniugi, come deterioramento dell’accordoe della stima reciproci.È indubbio che il richiamo all’addebito, di cui all’art. 151c.c., secondo comma (e, per esso, all’indagine sulle causedell’intollerabilità della convivenza e sulla violazione degliobblighi derivanti dal matrimonio), sembra in variomodo contrastare con le linee generali della riforma del1975: soprattutto con il principio del consenso, già ricordato,che regola ogni rapporto della vita coniugale; ove ilconsenso venisse meno, si giustificherebbe la separazioneper intollerabilità della convivenza, senza un’indaginesempre difficile ed incerta sulle cause della separazione esui comportamenti dei coniugi.In ogni caso, anche ad un esame sommario della norma,si evidenzia il carattere di eccezionalità dell’addebito.Questo è soltanto eventuale, laddove l’antica colpa dellanormativa previdente era essenziale per la pronuncia diseparazione. Rilevano comportamenti sicuramente coscientie volontari, e non potrebbe darsi addebitabilitàsenza imputabilità: comportamenti contrari ai doveri derivantidal matrimonio, per una classificazione dei qualinon si potrebbe che partire dall’analisi di tali doveri, diprofondamente modificato dalla riforma del 1975. Il riferimentoulteriore contenuto nella norma: “ove ne ricorranole circostanze”, talora definito come una “misteriosacondizione”, fa comunque ritenere che vadano considerateviolazioni particolarmente gravi e ripetute o comunqueinquadrate in una valutazione complessiva di tutta lavicenda coniugale (al riguardo, Cass. n. 2740 del 2008; n.961 del 1992). Né si deve dimenticare che la violazionedegli obblighi matrimoniali non rileva ai fini dell’addebitose non abbia dato causa (se non vi sia cui all’art. 143c.c., il cui contenuto è stato quindi uno stretto rapportodi causa ad effetto) alla intollerabilità della convivenza.Afferma il ricorrente che la giurisprudenza della Cassazione,considerando particolarmente grave la violazionedell’obbligo di fedeltà, non richiederebbe la prova delrapporto di causa ad effetto con l’intollerabilità dellaconvivenza. Al contrario le pronunce di questa Corte(per tutte, Cass. n. 16873 del 2010), pur dando frequentementeatto della “gravita” della violazione dell’obbligodi fedeltà, tra l’altro nell’accezione più ampia sopra indicata,non esclude certo la necessità di una prova del rapportodi causalità con l’intollerabilità della convivenza,evidentemente escludendo che l’addebito si configuri inre ipsa.Va quindi precisato che la dichiarazione di addebito nellaseparazione, anche in ordine alla violazione dell’obbligodi fedeltà, richiede la prova che l’irreversibile crisi coniugalesia ricollegabile al comportamento consapevole evolontario del coniuge, e che sussista un preciso nesso dicausalità tra tale comportamento e l’intollerabilità dellaconvivenza: il mancato raggiungimento della prova chetale comportamento sia causa efficiente di tale intollerabilitàesclude dunque la pronuncia di addebito (al riguardo,Cass. n. 14042 del 2008). Nella specie, il giudice aquo ha fatto buon uso di tale principio: la pronuncia impugnatachiarisce che il nesso di causalità riconosciutodal primo giudice si pone in aperto contrasto con le risultanzedi causa: la S. ha infatti insistentemente affermato- così la sentenza impugnata - di essere venuta a conoscenzadella relazione intrattenuta dal marito con altradonna dopo che questi aveva abbandonato la casa coniugalee che la frattura era ormai irreversibile; la relazionepredetta non ha dunque inciso sulla crisi coniugale, e dallastessa pronuncia di primo grado - aggiunge il giudice aquo era emerso che la difesa della S. aveva sottolineatoparticolarmente, quale causa di intollerabilità, la “condottaviolenta” del marito, che non aveva peraltro trovatoadeguata dimostrazione probatoria.Va invece accolto il primo motivo, in punto assegno peril coniuge.Per giurisprudenza costante (tra le altre, Cass. n. 6698 del2009), ai fini della determinazione e quantificazione dell’assegnodi mantenimento per il coniuge, occorre la ricostruzionecompiuta e concreta delle condizioni patrimonialidei coniugi stessi, al fine di accertare se i mezzieconomici a disposizione del richiedente siano tali dapermettergli di conservare il medesimo tenore di vita godutoin costanza di matrimonio.Nella specie, la Corte di merito non ha fatto buon uso ditale principio: essa afferma correttamente che le denuncedei redditi non sono decisive, ove emergano ulteriori elementipatrimoniali; afferma però che le attività commercialidel Sa. sono “quasi interamente” speculari a quelledella S., ma poi contraddittoriamente aggiunge che inuna società, la MI-PRIX S.r.L. il Sa. è titolare di una quotadel 70% e la S. del 30% e che di altre società (Tavernadel Falconiere S.n. c, Sacco S.a.s.) è titolare di quota ilsolo Sa.. Al riguardo dunque la sentenza va cassata, conrinvio alla Corte d’Appello di Bologna, in diversa composizione,che si atterrà a quanto sopra indicato, e pure sipronuncerà sulle spese del presente giudizio di legittimità.P.Q.M.La Corte accoglie il primo motivo del ricorso in punto assegnorigetta per il resto, dichiara inammissibile il secondo;cassa la sentenza impugnata e rinvia, anche per lespese del presente giudizio, alla Corte d’appello di Bolognain diversa composizione.778Famiglia e diritto 8-9/2013


GiurisprudenzaMatrimonioOBBLIGO DI FEDELTA’ E PRONUNCIA DI ADDEBITOdi Donatella Morello Di Giovanni (*)Nel commento alla sentenza, l’Autrice evidenzia che l’intollerabilità della prosecuzione della convivenza puòcostituire causa di separazione personale con addebito al coniuge responsabile, sempre che non venga constatatala mancanza di un nesso di causalità tra la crisi coniugale e l’infedeltà, attraverso un’attenta valutazionedel comportamento dei coniugi stessi, da cui possa risultare la preesistenza di un rapporto ormai irrimediabilmentecompromesso.Un marito aveva intrattenuto una relazione considerataextraconiugale dalla moglie e per la quale essachiedeva l’addebito di separazione per violazionedell’obbligo di fedeltà coniugale. Era emerso, in seguito,che tale relazione era stata conosciuta dallamoglie, dopo che il marito aveva lasciato la casa coniugalee, cosa importante, era ormai venuta a mancaretra i coniugi quella comunione spirituale e materialecaratterizzante la funzione principe dell’istitutodel matrimonio.La Suprema Corte, rilevava che, nel caso di specie,non vi era un nesso di causalità fra la violazione dell’obbligodi fedeltà e la conseguente intollerabilitàdella convivenza, proprio in virtù del fatto che la relazionedel marito era iniziata quando già era venutameno la comunione spirituale tra i coniugi. Conseguentementea ciò, la Suprema Corte ha confermatola reiezione della richiesta di addebito della separazionetra i coniugi.Il concetto di fedeltà coniugaleLa Suprema Corte, nella sentenza in commento, affrontail concetto di fedeltà coniugale, partendo dauna disamina storica dell’evoluzione che si è manmano sviluppata nel tempo.Rileva la Suprema Corte che la violazione dell’obbligodi fedeltà di cui all’art. 143 c.c. era, vigente lanormativa ante la riforma del 1975, ricollegata soprattuttoall’adulterio, vale a dire che la fedeltà eraconcentrata innanzi tutto sulla c.d. congiunzionecarnale, senza tenere in considerazione più di tantoaltri comportamenti, che la riforma del 1975esalta, come ad esempio, “l’elemento affettivo al dilà dei vincoli coercitivi” e dove per fedeltà si intendeun impegno ricollegabile al dovere di devozione,di assistenza, di reciproca comprensione, dicomunione sia spirituale che materiale, e di cui “lafedeltà sessuale è evidentemente soltanto un aspetto”(1).Fa presente, la Suprema Corte, che in passato il doveredi fedeltà atteneva soprattutto alla salvaguardiadell’onore e del decoro del coniuge; insomma,l’adulterio costituiva un’offesa in sé, “in quanto paleselesione (…) dell’onorabilità del soggetto” (2).Oggi, per fortuna, il concetto di fedeltà coniugale siè evoluto, dove per il relativo obbligo si intende,appunto, la consolidazione della comunione di vitatra i coniugi, l’armonia fra essi, l’affetto di coppia.Si può dunque parlare di violazione di tale dovere,come rottura del rapporto di fiducia tra i coniugi edi deterioramento dell’accordo e della stima reciproca(3).Addebito nella separazioneQuanto all’addebito, come è noto, con la riforma deldiritto di famiglia del 1975 è stata eliminata la separazioneper colpa ed è stato modificato l’art. 151 c.c.,che prevede ora, quale presupposto per la separazionedei coniugi, il verificarsi di fatti, anche indipen-Note:(*) Il contributo è stato sottoposto, in forma anonima, alla valutazionedi un referee.(1) Così dottrina e giurisprudenza tradizionali anteriormente allariforma del 1975: fra gli altri, Degni, Il diritto di famiglia, Padova,1943, 226; Gangi, Il matrimonio, Milano, 257; Barbero, Sistemadel diritto privato italiano, Torino, 1962, I, 605. In giurisprudenza,in particolare, Cass. 6 marzo 1962, n. 446, in Giur. it., 1963, I, 1,515.(2) Si può anche sottolineare che la fedeltà coniugale era, in unpassato non poi così remoto, considerata anche come una salvaguardiadella specie; pertanto la fedeltà coniugale doveva, inqualche modo, garantire la continuità della stirpe nell’ambito diuna stessa famiglia, con la conseguenza che l’adulterio era consideratomolto più grave se commesso da una donna, anzichéda un uomo; non dimentichiamo che per la donna era reato giàla semplice congiunzione carnale, mentre per un uomo occorrevauna vera e propria convivenza al di fuori del matrimonio, previsioneche fu eliminata da una celebre sentenza della Corte Costituzionaledel 19 dicembre 1968, n. 126.(3) Al riguardo, cfr. M. Dogliotti, Separazione e divorzio, Torino,1995, 41; F. Busnelli, Il dovere di fedeltà coniugale oggi, in Giur.it., 1975, IV, 131; M. Bessone, Commento agli artt. 29, 30, 31, inComm. alla Costituzione, diretto da Branca, Bologna, - Roma,1976, 62 ss.; Zatti, I diritti e i doveri che nascono dal matrimonioe la separazione dei coniugi, in Trattato Rescigno, III, Torino,1997, 54; Costiero, I doveri coniugali e la loro violazione, Milano,2005, 10 ss.; G. Ferrando, Diritto di Famiglia, Bologna, 2013, 83.In giurisprudenza, tra le prime pronunce che manifestano al riguardoi valori della riforma, cfr. Cass. 11 maggio 1977, n. 1814.Famiglia e diritto 8-9/2013 779


GiurisprudenzaMatrimoniodentemente dalla volontà dei coniugi, tali da comportarel’intollerabilità della prosecuzione della convivenzao da recare grave pregiudizio all’educazionedei figli. Solo su espressa richiesta di uno o di entrambii coniugi, è possibile ottenere che la responsabilitàdella separazione sia addebitata all’uno o all’altroconiuge, ovvero ad entrambi. Il Giudice, pronunciandola separazione, dichiara a quale dei coniugisia addebitabile la separazione, in considerazionedel suo comportamento contrario ai doveri derivantidal matrimonio.Sono richiesti dunque, per tale domanda, presuppostie circostanze particolari; si tratta, in primo luogo,della violazione di doveri derivanti dal matrimonio,ma il Legislatore aggiunge l’espressione “ove ne ricorranole circostanze”. Si tratta di una condizionenon chiara e di non facile interpretazione, che potrebbeessere letta, come necessità di violazioni continuatee non isolate o sporadiche, imponendosi conmodalità tali da ridurre la convivenza coniugale aqualcosa di vuoto, arido, insignificante (4).Tuttavia, la costituzione di una nuova famiglia, dopoun periodo di separazione di fatto, non sembrapotersi configurare come violazione dell’obbligo difedeltà, così come la violazione di tale dovere verificatasidopo la presentazione del ricorso: tutt’al piùepisodi significativi che potrebbero considerarsi comeconferma di una situazione già sorta precedentemente.Va infatti precisato che, altro rilevantissimopresupposto per la dichiarazione di addebito, è costituitodal nesso di causalità tra violazione dell’obbligomatrimoniale e l’intollerabilità della convivenza.In assenza di tale nesso, non potrebbe essere dichiaratoin alcun modo l’addebito (5).La pronuncia in esame richiama, con notevole approfondimento,seppure in un contesto necessariamentesintetico, l’evoluzione giurisprudenziale edottrinale che si è finora evidenziata. Si precisa infattiche, come già si è osservato, anteriormente al1975, l’obbligo di fedeltà era strettamente collegatoalla “congiunzione carnale” e costituiva offesa in reipsa, in quanto palese lesione dell’onorabilità delsoggetto. Si sottolinea la notevole distanza rispettoalla concezione attuale dell’obbligo di fedeltà, voltoa garantire e consolidare la comunione di vita tra iconiugi, mentre la relativa violazione di tale dovereè visto come rottura del rapporto di fiducia tra essi.La sentenza in esame, procede analizzando l’addebitoche sembra in vario modo contrastare con le lineedi riforma del 1975 e, soprattutto, con il principiodel consenso che regola ogni rapporto della vita coniugale(6).Fornisce la sentenza un’interpretazione accurata edel tutto condivisibile della disciplina dell’addebito,ritenendo che le violazioni degli obblighi matrimoniali“necessariamente gravi e ripetute o comunqueinquadrate in un valutazione complessiva ditutta la vicenda coniugale”, non rilevano in se stesse,ma devono dar causa all’intollerabilità dellaconvivenza (7) .Occorre considerare che la giurisprudenza, segnatamentequella della Suprema Corte, da alcuni anni,ha privilegiato un orientamento, ampiamente consolidato,che lascia notevolmente perplessi. Si afferma,infatti, che l’obbligo di fedeltà sarebbe in qualchemodo … differente rispetto agli altri obblighimatrimoniali; la violazione di tale obbligo vieneconsiderata “particolarmente grave” (più grave delleviolenze di un coniuge nei confronti dell’altro??!!) edunque giustificherebbe, di per sé, l’addebito nellaseparazione (8). Si tratta, all’evidenza, di uno stravolgimentodella disciplina di cui all’art. 151 c.c.,che non pone alcuna distinzione tra le violazioni degliobblighi matrimoniali.Per la violazione dell’obbligo di fedeltà è dunque necessario,alla pari di ogni altra violazione, la sussistenzadi un preciso rapporto di causalità con l’intollerabilitàdella convivenza: solo in tal caso, si puòpronunciare l’addebito.ConclusioniCome già si è osservato, nel caso esaminato dalla sentenzain commento, era pacifico che il marito avesseintrattenuto una relazione con altra donna, ma questaera intervenuta dopo che il marito aveva lasciatola casa coniugale e, comunque, tra i coniugi era venutameno la comunione materiale e spirituale.Sostiene con chiarezza la Suprema Corte, richiamandoanche qualche precedente conforme, seppur isolato(9), rispetto all’orientamento maggioritario sopraNote:(4) Cfr. ancora, M. Dogliotti, cit., 42. In giurisprudenza, cfr. Cass.12 marzo 2004, n. 5090, in Dir. Giust., 2004, 16, 44.(5) Si pensi ad esempio ad una violazione dell’obbligo di fedeltà,anche grave e ripetuta, ma conclusa da tempo; dopo alcuni annie un eventuale “perdono” dell’altro coniuge, il ricorso per separazionenon potrebbe richiamarsi a quella pregressa violazione,in quanto l’intollerabilità della convivenza nasce evidentementeda elementi successivi.(6) Sul punto, cfr. Zatti, op. cit., 84.(7) Al riguardo, in giurisprudenza, cfr. Cass. 5 febbraio 2008, n.2740 e Cass. 30 gennaio 1992, n. 961.(8) Tra le altre, cfr. Cass. 12 giugno 2006, n. 13592, in Il civilista,2008, 11, 6; Cass. 7 dicembre 2007, n. 25618; Cass. 14 ottobre2010, n. 21245, in Il civilista, 2010, 12, 17.(9) In particolare, cfr. Cass. 28 maggio 2008, n. 14042; Cass. 19luglio 2010, n. 16873.780Famiglia e diritto 8-9/2013


GiurisprudenzaMatrimonioindicato, che non può escludersi in alcun modo la necessitàdi una prova del rapporto di causalità con l’intollerabilitàdella convivenza, affermando decisamenteche l’addebito non si può configurare in re ipsa.Il principio di diritto indicato con precisione dallasentenza in esame è dunque che la dichiarazione diaddebito, anche in ordine alla violazione dell’obbligodi fedeltà, richiede la prova che l’irreversibile crisiconiugale sia ricollegabile al comportamento consapevolee volontario del coniuge e che, come già siè precisato, sussista un sicuro nesso di causalità tratale comportamento e l’intollerabilità della convivenza:il mancato raggiungimento della prova chetale comportamento sia causa efficiente di tale intollerabilitàesclude dunque e in ogni caso la pronunciadi addebito.La sentenza in commento, come si diceva, dopoun’analisi completa e approfondita della nozione diaddebito, di cui evidenzia la necessaria eccezionalità,nonché l’evidente contrasto di essa con le lineegenerali della riforma del 1975, e soprattutto con ilprincipio del consenso, si pone in evidente e consapevolecontrasto con l’orientamento maggioritarioprecedente, in ordine alla violazione dell’obbligo difedeltà, e ha inciso sugli orientamenti giurisprudenzialisuccessivi che non hanno potuto prescindere datali argomentazioni della presente sentenza: si è cosìformato un orientamento avverso a quello precedente,ove si afferma la necessità per ogni violazionedi obblighi tra coniugi, il nesso di causalità con l’intollerabilitàdella convivenza (10).Nota:(10) Tra le altre, Cass. 14 febbraio 2012, n. 2059; Cass. 21 settembre2012, n. 16089; Cass. 2 ottobre 2012, n. 16767; in GuidaDir. 2012, 49-50, 39.Famiglia e diritto 8-9/2013 781


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GiurisprudenzaSuccessioniTestamentoTribunale di Roma 18 maggio 2013 - Pres. Santamaria - Rel. RossiTestamento pubblico - Vincolo di destinazione - Forma - Mancanza di causa(C.c. art. 2645 ter)È inefficace il vincolo di destinazione ex art. 2645 ter c.c. istituito mediante testamento pubblico.Esso è altresì inefficace per assenza di causa quando la destinazione sia prevista a favore dei beneficiari dellaproprietà gravata.ORIENTAMENTI GIURISPRUDENZIALIConformeDifformeNon si rinvengono precedenti conformiNon si rinvengono precedenti difformiFatto e dirittoLa signora I. A. (omissis) ha disposto delle sue sostanzecon testamento pubblico del 4 aprile 2007 con il quale hanominato eredi le sue figlie As. e Jo. M. R. M. e ha lasciatoal coniuge R. R. M. la sola quota a lui spettantequale legittimario. Ha poi disposto, con specifica previsione,del palazzo di sua proprietà sito in Firenze (omissis)lasciando il bene, in caso di premorienza del coniuge, incomunione alle due figlie. Per il caso di sopravvivenza delconiuge “in considerazione di varie perplessità emerse inordine alla sua capacita di amministrare e della conseguentesussistenza delle finalità di tutela e di protezionedei bisogni della famiglia”, ha lasciato alle due figlie il50% ciascuna della quota pari al 75% dei diritti sul cespitee il residuo 25% al coniuge superstite. Inoltre, ha disposto“che sul Palazzo sia costituito un vincolo di destinazioneai sensi e per gli effetti degli artt. 2645-ter e 1322c.c. “ e ne ha dettato la relativa disciplina, “al fine di garantireil mantenimento, l’istruzione e l’educazione dellefiglie, nonché, ricorrendone le condizioni, il mantenimentodel coniuge”. Ha inoltre stabilito l’inalienabilitàdel Palazzo, “per effetto di atti inter vivos di qualsiasi natura“ per tutta la durata del vincolo stesso (previsto finoal 31 dicembre 2035) e il divieto di scioglimento dellacomunione anche ai sensi dell’art. 1112 c.c. La testatrice,infine, ha demandato ad un “Comitato di amministrazione”,nominandone i componenti, tutti “i poteri e i diritti”necessari per il raggiungimento dello scopo, l’amministrazione,la gestione sia del Palazzo che delle rendite e laloro distribuzione tra i beneficiari.II presente giudizio e stato introdotto dal coniuge superstite,in proprio e nella qualità di genitore esercente lapotestà sulle figlie minori, per sentir pronunciare la nullità/annullabilità/inefficaciadella disposizione testamentariacostitutiva del vincolo sulla base dei seguenti motivi:a) l’apposizione del vincolo viola la disposizione dell’art.549 c.c. che fa divieto al testatore di imporre pesi o condizionisulla quota spettante ai legittimari; b) il divietoperpetuo di divisione e illegittimo; c) difetta, nella specie,il requisito di meritevolezza degli interessi di cui all’art.2645-ter c.c.; d) non sussiste il requisito dell’altruitàdell’interesse meritevole di tutela pure previsto da quest’ultimadisposizione.I convenuti hanno chiesto il rigetto di ogni domanda dell’attore.Preliminarmente, vanno disattese le eccezioni formulatedall’attore in relazione alla costituzione dei convenutiche si sono costituiti in giudizio in proprio e non nellaqualità di legali rappresentanti del “comitato di amministrazione”del vincolo. Deve, infatti, osservarsi che il “comitatodi amministrazione” non ha un rappresentanteper legge, non è un soggetto giuridico dotato di personalitàgiuridica, né può assimilarsi ad un ente di gestione,quale il condominio (rappresentato dall’amministratorein virtù del mandato che i comunisti gli conferiscono inrelazione alle parti comuni dell’edificio). D’altronde, lostesso attore ha convenuto in giudizio il comitato “in personadi ciascuno dei suoi componenti”. Correttamente,pertanto, i convenuti si sono costituiti in proprio; la procuraconferita al difensore a margine della comparsa dicostituzione e risposta e dunque valida ed efficace; il Tribunalee tenuto ad esaminare le eccezioni e difese svoltenegli atti difensivi dei convenuti.Nel merito, ritiene il Tribunale che la questione centrale,e dirimente, da esaminare consiste nel verificare l’efficaciadella costituzione del vincolo di destinazione su benimediante testamento.A tal fine, va premessa una sintetica ricostruzione dellafattispecie prevista dall’art. 2645-ter c.c.Inserito nel libro VI del codice civile - della tutela dei diritti- nel titolo I - della trascrizione - al capo I - della trascrizionedegli atti relativi ai beni immobili - l’art. 2645-ter prevede la trascrivibilità, ai fini della opponibilità aiterzi, degli atti in forma pubblica con cui beni immobili obeni mobili registrati sono destinati, per un periodo nonsuperiore a novanta anni, o per la durata della vita dellapersona fisica beneficiaria, alla realizzazione di interessimeritevoli di tutela riferibili a persone con disabilità, aFamiglia e diritto 8-9/2013 783


GiurisprudenzaSuccessionipubbliche amministrazioni, o ad altri enti o persone fisicheai sensi dell’art. 1322, 2° comma. La norma prevedeinoltre che i beni conferiti e i frutti da questi prodottipossono essere impiegati solo per la realizzazione del finedi destinazione e possono costituire oggetto di esecuzione,salvo quanto previsto dall’art. 2915, 1° comma, soloper debiti contratti per tale scopo.Ampio e stato il dibattito dottrinale seguito alla novitàlegislativa, dibattito che si è via via sopito, fors’anche peril limitato ricorso alla “destinazione” da parte dei notai.L’incompletezza della disciplina, l’incertezza sulla individuazionedel soggetto al quale è rimesso il controllo dimeritevolezza degli interessi, il possibile utilizzo fraudolentone hanno, in qualche modo, ostacolato una maggiorediffusione nella pratica.Incertezza vi è pure sul piano degli effetti sostanziali, cheuna parte degli interpreti, peraltro, ritiene insussistenti,assumendo che al vincolo consegua esclusivamente l’effettodella separazione patrimoniale. La gran parte deicommentatori ritiene che l’atto di destinazione sia idoneoa costituire sul bene un vincolo di natura reale. Autorevolivoci, ne affermano, in contrario, muovendo dalprincipio della tipicità dei diritti reali, il carattere meramenteobbligatorio.Nell’unico precedente giurisprudenziale, dove peraltrol’argomento è affrontato solo in via incidente, il Tribunaledi Trieste, nell’escludere che la norma dell’art. 2645-terabbia introdotto nell’ordinamento “un nuovo tipo di attoad effetti reali, un atto innominato, che diventerebbeil varco per l’ingresso del tanto discusso negozio traslativoatipico”, afferma che la norma “non costituisce la giustificazionelegislativa di un nuovo negozio la cui causasarebbe quella finalistica della destinazione del bene allarealizzazione di interessi meritevoli di tutela. Non c’e infattialcun indizio da cui desumere che sia stata coniatauna nuova figura negoziale, di cui non si sa neanche se siaunilaterale o bilaterale, a titolo oneroso o gratuito, ad effettitraslativi od obbligatori” (Trib. Trieste 7 aprile 2006,decr.).Le problematiche connesse alla efficacia dell’atto sonoancora aperte e, in particolare, ancora poco esplorata è laquestione relativa alla ammissibilità della costituzionedel vincolo mediante testamento.Sul punto, si confrontano due posizioni contrastanti.Ritiene il Collegio che siano maggiormente convincentile ragioni che militano a favore della tesi negativa.Le ragioni sostenute da coloro che affermano l’ammissibilitàdella costituzione per testamento poggiano, inestrema sintesi, sui seguenti argomenti: l’esclusione deltestamento produrrebbe un’ingiustificabile disparità ditrattamento tra atti inter vivos e mortis causa, tenuto conto,tra l’altro, che la Convenzione dell’Aja ammette entrambele fattispecie costitutive in relazione al trust; il testamentopubblico è riconducibile nel genus atto pubblico;la norma tratteggia una figura di carattere generale,non limitata agli atti inter vivos.L’opposta tesi argomenta, innanzitutto, dal dato di caratteretestuale: il legislatore non indica il testamento qualetitolo costitutivo della destinazione, mentre, per istitutiaffini quali le fondazioni e il fondo patrimoniale, haespressamente previsto la costituzione sia per atto pubblicoche per testamento. Rafforza il convincimento in talsenso, la specifica previsione contenuta nell’art. 2 dellalegge n. 364 del 1989 (Ratifica ed esecuzione della convenzionesulla legge applicabile ai trusts e sul loro riconoscimento,adottata a L’Aja il 1° luglio 1985), per cui il costituentepuò adottare l’uno o l’altro strumento negoziale(atto tra vivi o mortis causa). Ed ancora, argomentando expost, può richiamarsi anche l’art. 2645-quater c.c., introdottodal d.l. 2 marzo 2012, n. 16 convertito nella leggen. 44/’12 che, nel porre l’obbligo di trascrizione degli atticostitutivi di vincoli di natura pubblicistica su beni immobili,fa riferimento ai contratti e agli altri atti di dirittoprivato “anche unilaterali”. Non può ritenersi rilevante,poi, l’uso, da parte del legislatore, del termine “atto”anziché contratto, dal momento che la scelta della collocazionesistematica della norma (posta dopo la disposizionesulla trascrizione dei contratti e prima della disciplinadella trascrizione della divisione) e il carattere “essenziale”dell’intervento normativo, appaiono significativi diuna volontà legislativa volta a risolvere, innanzitutto, ilproblema della opponibilità della limitazione della responsabilità.L’argomento letterale che fa leva sulla riconducibilitàdel testamento pubblico alla categoria degliatti pubblici prova troppo.Va pure sottolineato che attraverso l’atto di destinazioneex art. 2645-ter si deroga al principio della responsabilitàpatrimoniale ex art. 2740 c.c. e, dunque, non appare consentitaun’interpretazione estensiva, oltre i limiti tracciatidalla norma.Va ancora osservato che l’articolo in commento rimanda,quanto alla meritevolezza degli interessi, alla norma dell’art.1322, 2° comma, c.c. Ora, la disciplina sulla successionetestamentaria fissa già i limiti alla volontà del testatore:rispetto dei diritti riservati ai legittimari, divietodei patti successori, liceità dei motivi. La successionemortis causa è organicamente ed autonomamente regolata;è lo stesso legislatore ad indicare gli strumenti per la“circolazione” dei diritti ed è, pertanto, superfluo il controllodi meritevolezza che è posto, dal 2° co. dell’art.1322 c.c., allo scopo precipuo di valutare la conclusionedi contratti “che non appartengano ai tipi aventi una disciplinaparticolare”.Laddove, poi, si voglia ritenere che il giudizio di meritevolezzadegli interessi sottostanti la costituzione del vincolodebba essere espresso non già in relazione all’atto insé, bensì allo scopo esterno all’atto, deve osservarsi chequello che la testatrice aveva in animo di realizzare (garantireil mantenimento, l’istruzione e l’educazione dellefiglie minori) non solo non appare assimilabile agli interessiprevisti dalla norma dell’art. 2645-ter (che devonoconnotarsi in senso etico e solidaristico, anche quando riferitia singole persone fisiche), ma perseguibile per (mero)effetto della successione mortis causa e già oggetto dispecifica tutela da parte dell’ordinamento che sottoponeogni atto di disposizione dei beni dei minori al rigorosocontrollo dell’autorità giudiziaria.Va pure detto, peraltro, che, sotto questo profilo, la dura-784Famiglia e diritto 8-9/2013


GiurisprudenzaSuccessionita del vincolo si risolve in una “tutela” che oltrepassa dinon poco il limite della maggiore età, considerato che, alladata del 31 dicembre 2035, le figlie della de cuiusavranno entrambe raggiunto, e superato, i trenta anni dietà.Deve, ancora, rilevarsi che, nell’ipotesi in cui con la destinazioneil testatore attribuisca contestualmente la proprietàdel bene al beneficiario del vincolo (come nel casodi specie), in quanto erede o legatario (o legittimario),prescindendo dal considerare che la pienezza del godimentoda parte del proprietario si pone come “insiememaggiore” rispetto al beneficio derivante dalla destinazionee che, dunque, di questo non si scorge la causa giustificatrice,appare evidente l’anomalia derivante dallacoincidenza tra l’obbligato alla prestazione derivante dalvincolo e il titolare del diritto di credito alla prestazionestessa (ove si ritenga che la destinazione produca effettiobbligatori), ovvero tra il soggetto che “subisce” il vincoloe il beneficiario della destinazione, nell’ipotesi di adesionealla tesi della realità.Quando, come nel caso di specie, proprietario e beneficiariodel bene sul quale il vincolo è costituito coincidono,si verifica un’evidente anomalia: una sostanzialeespropriazione delle facoltà che costituiscono il contenutodel diritto del proprietario che resta, per altro verso,beneficiario di alcune delle utilità prodotte dalla cosa.Questa “anomalia” consente di escludere che si possa riteneresussistente la disparità di trattamento tra l’atto didestinazione e la disciplina del trust (istituto non disciplinatodalla legge italiana ma efficace, in determinate condizioni,anche nel nostro ordinamento per effetto dellaratifica della Convenzione dell’Aja del luglio 1985), attesoche con la costituzione del trust, il disponente trasferiscead un altro soggetto (trustee) beni o diritti con l’obbligodi amministrarli nell’interesse del disponente o dialtro soggetto (beneficiario) oppure per il perseguimentodi uno scopo determinato, sotto l’eventuale vigilanza diun terzo (protector o guardiano), secondo le regole dettatedal disponente nell’atto istitutivo e dalla legge regolatricedello stesso. La proprietà dei beni o diritti oggettodel trust spetta, dunque, al trustee, gravato dall’obbligo diamministrarli nell’interesse altrui, e non direttamente albeneficiario.Nel caso di specie, si impongono, poi, ulteriori considerazioniche inducono a ritenere sussistente un “uso improprio”dell’atto di destinazione.Ed invero, come emerge dalla lettura del testamento (edalle ragioni che si evincono anche dal parere richiestodalla de cuius al prof. F., reso il 29 dicembre 2006 ed acquisitoagli atti), il reale motivo sottostante la manifestazionedi volontà della testatrice appare essere quello nonsolo di limitare, fino sostanzialmente ad annullare, l’esercizio,da parte del coniuge superstite, delle facoltà connessealla qualità di genitore delle minori, ma anche diescludere, sostanzialmente, l’attore dalla successione(salva la quota di riserva).Ciò si deduce, oltre che dallo stato dei rapporti personalifra i coniugi (in via di separazione personale) all’epocadella redazione del testamento, dalla previsione della costituzionedel vincolo solo “ove il predetto coniuge siamio erede necessario”, dalle “perplessità “espresse dallatestatrice sulla capacità di amministrare dell’attore, dalladurata del vincolo, la cui scadenza è fissata al 31 dicembre2035 (data nella quale l’attore avrà già compiuto isettanta anni di età), dalla esclusione di costui dal comitatodi amministrazione, dalla previsione di un vincolo diinalienabilità, anche parziale, e di indivisibilità dell’immobile.In tale prospettiva possono valutarsi anche gli atti di disposizionepatrimoniale posti in essere dalla de cuius nelperiodo 2006/2007 con i quali ella provvide ad alienareuna parte cospicua del suo patrimonio del quale, dunque,il cespite di maggior valore è rappresentato proprio dalpalazzo di Firenze.Le considerazioni che precedono inducono il Collegio aritenere la inidoneità del testamento a produrre gli effettiprevisti dall’art. 2645-ter c.c.L’attore ha chiesto di accertare e dichiarare la nullità/annullabilità/inefficaciae comunque la invalidità delledisposizioni testamentarie anche nella parte in cui estabilito il vincolo perpetuo ed assoluto di inalienabilitàed indivisibilità.Orbene, la declaratoria di inefficacia del vincolo di destinazionefa venir meno ogni disposizione ad esso collegatae conseguente (inalienabilità, indivisibilità, costituzionee compiti del comitato di gestione), in ragione della connessioneinscindibile, logica e strutturale, esistente tra ledisposizioni. In particolare, la previsione dei vincoli diinalienabilità ed indivisibilità risulta inserita nella minuziosae dettagliata “disciplina” del vincolo di destinazionee ritenuta dalla testatrice una delle modalità di attuazionedello scopo [“in conseguenza del vincolo e per il raggiungimentodegli scopi del presente atto di destinazione:il Palazzo dovrà intendersi inalienabile anche parzialmenteper effetto di atti inter vivos (...) la comunione frale figlie e, se del caso, il coniuge in relazione alla proprietàdel Palazzo non potrà costituire oggetto di divisioneanche ai sensi dell’art. 1112 cc (...)”].Quanto precede rende superfluo l’esame degli ulterioriprofili di invalidità prospettati dalla difesa dell’attore.In conseguenza della declaratoria di inefficacia del vincolo,i frutti prodotti dal Palazzo (omissis) dovranno essererestituiti agli eredi di I.A., in ragione delle quote stabilitenel testamento, detratte le spese occorse per la gestionedel cespite.In conclusione, alla signora I. A., nata a Roma il 27 marzo1966 e deceduta a Le Mesnil Amelot il 1 ottobre 2007,sono succeduti, per successione testamentaria, le figlieAs. e Jo. M. R. M. ed il coniuge R. R. M. A quest’ultimospetta la quota del 25% del relictum; alle figlie è attribuitala restante quota del 75%, ciascuna per la metà.In ragione della novità delle questioni giuridiche oggettodel procedimento, le spese di lite possono essere interamentecompensate.P.Q.M.Dichiara inefficace il vincolo di destinazione sull’immobilesito in Firenze (omissis).Famiglia e diritto 8-9/2013 785


GiurisprudenzaSuccessioniCondanna P. B. P., S. A., E. E. A., G. F. A. B., G. F., in solido,quali componenti del comitato di amministrazionedel vincolo apposto, per testamento pubblicato il 6 dicembre2007 dal notaio Gisolfi, sull’immobile sito in Firenze(omissis) a restituire a R. R. M., in proprio e nellaqualità di esercente la potestà sulle minori As. e Jo. M. R.M., i frutti prodotti dal compendio immobiliare sopra descritto,a far data dall’apertura delta successione di I.A.nella misura del 25% all’attore in proprio e del 75% nellaqualità, detratte le spese occorse per la gestione ed amministrazionedel cespite;compensa per intero fra le parti le spese di lite.VINCOLO TESTAMENTARIO DI DESTINAZIONE:IL PRIMO PRECEDENTE DEI TRIBUNALI ITALIANIdi Roberto CalvoLo scritto ha ad oggetto il commento alla prima sentenza pronunciata da un giudice italiano in tema di vincolitestamentari di destinazione. Tale precedente ha accertato l’inefficacia (recte nullità) del suddetto vincoloove sia racchiuso in un atto di ultima volontà. L’Autore critica il dictum perché parrebbe urtare controlettera e ratio dell’art. 2645 ter c.c. Ci si sofferma inoltre sul tema della nullità cagionata dalla c.d. autodestinazionee sui consequenziali nessi con l’istituto della conversione ex art. 1424 c.c.FattoTizia con testamento pubblico dell’aprile 2007 ha,tra l’altro, assegnato i tre quarti dell’immobile nobiliaredi sua proprietà alle figlie Caia e Sempronia e larestante quota al coniuge Mevio. Ha inoltre costituitosul medesimo stabile un vincolo di destinazione,che si sarebbe estinto il 31 dicembre 2035, alloscopo di garantire il mantenimento, l’istruzione el’educazione delle figlie nonché, ricorrendone il bisogno,il mantenimento del coniuge. Nello stessorogito ha istituito il divieto sia di alienazione (anchemortis causa) sia di scioglimento della comunioneincidentale. L’amministrazione del suddetto immobileè stata demandata ad un «comitato» i cui componentisono stati designati dalla testatrice.Apertasi la successione di Tizia, il marito Mevio -anche nella veste di genitore esercente la potestàsulle figlie minorenni - ha impugnato il succitatonegozio nella parte in cui istituisce il vincolo ex art.2645 ter c.c. in quanto ritenuto immeritevole di tutela.Nello stesso tempo ha lamentato la nullità delleclausole che limitano la disponibilità dell’immobile.Le rationes decidendiIl Tribunale ha accolto la domanda di nullità perchéè persuaso che il vincolo reale di destinazione nonpossa essere costituito mediante negozio a titolo dimorte.A sostegno di quest’interpretazione evoca la letteradella legge: essa, là dove non enumera espressamentel’atto di ultima volontà fra le fattispecie istitutivedel vincolo, lascerebbe intendere che possa nascereesclusivamente dall’atto tra vivi.L’autorità giudicante si fa ammaliare dalla suggestione,di matrice eminentemente formalista, compendiatadalla seguente massima: «ubi lex voluit dixit,ubi tacuit noluit».L’argomento a contrario sotteso da questa tecnicadimostrativa, sensibile all’illusione - già svelata daicultori della moderna scienza della legislazione (1) -che nell’area del diritto civile le assemblee parlamentarisiano esaustive in quanto dicono tutto ciòche intendono effettivamente dire, dischiude le porteall’interpretazione restrittiva (o formalistica) dellaregola scritta, escludendo che essa possa essereestesa al di fuori delle ipotesi esplicitamente enunciatedalla proposizione normativa, a cagione dellapresunzione assoluta ruotante attorno alla graniticasimmetria tra l’intenzione del legislatore ed il testo.Insomma, se il legislatore avesse inteso riconoscereai privati il potere d’imprimere una destinazionequalificata al patrimonio ereditario avrebbe espressamenteenumerato il negozio di ultima volontà tragli atti istitutivi del vincolo. Assodato invece che lalegge non novera il testamento tra le fattispecie istitutive,occorre logicamente trarre l’inammissibilitàdel vincolo mortis causa di destinazione.Note:(1) Portalis, Discours préliminaire au premier projet de Code civil(1800), préface de Massenet, Bordeaux, 2004 (rist.), spec. 17:«le grand art est de tout simplifier en prévoyant tout. Tout simplifier,est une opération sur laquelle on a besoin de s’entendre.Tout prévoir, est un but qu’il est impossible d’atteindre» (corsivioriginali).786Famiglia e diritto 8-9/2013


GiurisprudenzaSuccessioniIl Tribunale propone una concorrente ratio decidendiritenendo che l’atto di destinazione smarrirebbe lapropria causa di giustificazione ove imponesse unvincolo a vantaggio dello stesso acquirente. La pienezzadel dominio priverebbe il predetto vincolodella propria ragion d’essere siccome, di norma, ilproprietario è in quanto tale titolare del diritto diservirsi della cosa nel proprio esclusivo interesse.Prima ratio decidendi: sulla fattispeciecostitutivaLa principale ragione del decidere, che attiene allavicenda istitutiva del vincolo, non convince per imotivi che tentiamo di riassumere.In apicibus il dianzi citato argomento letterale noncoglie nel segno; anche là dove si volesse astrattamenteseguirlo, esso non può condurre all’esito approvatodal Collegio. Ciò perché l’art. 2645 ter c.c.non introduce alcun criterio selettivo concernente inegozi d’autonomia privata adatti a generare vincolireali di destinazione (2). Esso, all’inverso, si limitaa far generico riferimento alla categoria degli «attiin forma pubblica», la quale non può realisticamentelegittimare alcuna discriminazione tra negozi intervivos e di ultima volontà, se non ricorrendo ad infecondiarbitrî oppure ad invasioni di campo e di competenze(la cui rigorosa delimitazione permette diseparare il potere deliberante da quello giudicante).Il Tribunale, ispirandosi ai canoni della giurisprudenzacreativa, ha quindi plasmato una norma nonscritta, non voluta né pensata dal legislatore, chesottrae irragionevolmente dalla categoria degli attipubblici i negozi a titolo di morte.Non si è dunque trattato di un’interpretazione formaledella regola scritta, bensì di una lettura - percosì dire - «ortopedica», che ha irrazionalmenteespunto dai confini della norma un segmento cheinvero le apparteneva.Né serve, per aggiustare il tiro, evocare il principiodella responsabilità patrimoniale in maniera da rinfrancarela lettura restrittiva della regola, giusta l’affermazioneche l’istituto ordinato nell’art. 2645 terc.c. derogherebbe all’art. 2740 c.c. Prova ne sia cheutilizzando la tecnica ermeneutica presupposta dallanorma eccezionale si potrebbe similmente accreditarel’opinione contraria - ma egualmente illogica -che circoscriverebbe agli atti mortis causa la competenzaalla costituzione di vincoli finalistici.In questo raffronto di esperienze e conoscenze nondeve sfuggire che il teorema finisce con il ripiegaresu se stesso, come un edifico innalzato sulle sabbiemobili, quando non possa essere dimostrato tramiteogni possibile variante applicativa.Per completare il discorso conviene segnalare che ilvincolo configurato dal de cuius è riconducibile almodus, con il quale s’impone all’erede o al legatariol’onere (ossia il comando) di destinare ad tempusspecifici beni a favore del terzo onorato. A completamentodel discorso vale la pena notare che il testatorepotrebbe designare un esecutore testamentarioper assicurare l’esatta attuazione della destinazioneprogrammata.Seconda ratio decidendi: sul rapportotra vincolo e situazioni d’appartenenzaHa ragione il Tribunale quando ravvisa che l’acquirentedella cosa (ad astrarre dal titolo) non possa essereil beneficiario del vincolo.La premessa richiama alla memoria la distinzione tra«autosegregazione» (il proprietario costituisce ilvincolo sul proprio patrimonio pro terzo) e «autodestinazione»(il proprietario vincola il patrimonio prodomo sua).Da questo punto d’osservazione l’elemento che accomunail trust di diritto interno al vincolo ex art.2645 ter c.c. è rappresentato dall’altruità dell’interessesotteso dalla clausola di destinazione: tantol’art. 2 della Convenzione de L’Aja sul trust, quantola regola introdotta nel codice civile dal d.l. n. 273del 2005 (3), presuppongono che il vincolo di scopo(germinante dalla sua causa espressa o declamata)vada a beneficio di persona (fisica o giuridica) diversadal costituente-dominus.L’«autodestinazione» implica dunque la nullità dell’attotanto per mancanza di una causa adeguata,quanto per contrasto con gl’interessi presidiati dallagaranzia patrimoniale generica (art. 2740 c.c.) (4).Focalizzando la nostra attenzione sull’accennato profilocausale, se - si metta il caso - Tizio destinasse il vil-Note:(2) Il tema è indagato nel mio Vincoli di destinazione, Bologna,2012, 181 ss., cui rinvio per ogni riferimento bibliografico.(3) La quale, a differenza del trust, permette - come testé rilevato- la destinazione nelle proprie mani, ossia senza il passaggio diproprietà purché a beneficio del terzo.(4) Calvo, Vincoli di destinazione, cit., 159 ss.; Meucci, La destinazionedi beni tra atto e rimedi, Milano, 2009, 162, testo e nota42; Morace Pinelli, Atti di destinazione, trust e responsabilità deldebitore, Milano, 2007, 346 s.; Priore, Redazione dell’atto di destinazione:struttura, elementi e clausole, in Negozio di destinazione:percorsi verso un’espressione sicura dell’autonomia privata.Atti del Convegno, Milano, 2007, 188; R. Quadri, L’art.2645 ter e la nuova disciplina degli atti di destinazione, in Contr.imp., 2006, 1735 s.; Spada, Conclusioni, in La trascrizione dell’attonegoziale di destinazione. L’art. 2645-ter del codice civile,a cura di M. Bianca, Milano, 2007, 204; G.A.M. Trimarchi, Gli interessiriferibili a persone fisiche, in Negozio di destinazione:percorsi verso un’espressione sicura dell’autonomia privata. Attidel Convegno, cit., 274.Famiglia e diritto 8-9/2013 787


GiurisprudenzaSuccessionilino «Semproniano» di sua proprietà al soddisfacimentodei propri interessi artistici, compirebbe null’altroche un atto di godimento il quale gli spetta inqualità di dominus (5). La prospettata mancanza dicausa è viceversa scansata quando il vincolo sia statoaddossato al compratore nell’interesse dell’alienante(6). In ogni caso - notiamo per inciso - qualunque pericolodi frode a nocumento dei creditori può essereefficacemente contrastato tramite l’azione pauliana.Come si osservava, nella situazione affidata alloscrutinio del Tribunale, l’ereditanda ha istituito ilvincolo di mantenimento a favore dei proprietaribeneficiari.Siamo dunque di fronte ad un’ipotesi di«autodestinazione», seppur qualificata (rispetto alleesemplificazioni che precedono) dal tratto che lafonte del vincolo non è il negozio unilaterale tra vivisottoscritto dal dominus, bensì il testamento ilquale attribuisce (a titolo di legato o ex re certa) lacomproprietà dell’immobile a vantaggio dei legittimarie, nel contempo, impone su di essa una destinazione(di per sé meritevole di tutela) nell’interessedei medesimi istituiti.A noi non sembra francamente che la via instradanteverso la nullità del vincolo, percorsa dal Tribunale,sia immune da critiche. Cerchiamo da qui in poid’illustrare le ragioni alimentanti le cennate perplessità.Tizia ha nominato un «comitato» per la gestionedell’immobile. Tale «soggetto» (cui applicheremo,in quanto compatibile, lo statuto disciplinante l’esecutoretestamentario) ha il cómpito d’amministrareil patrimonio oggetto di destinazione per tutta la duratadel vincolo, in maniera da assicurarne il rispetto.Eppure, esso non subentra nella titolarità dell’asse(o di una sua porzione) avendo unicamente ricevutol’incarico preordinato alla gestione del benetemporaneamente vincolato.Se la testatrice avesse segregato la proprietà dell’edificionella sfera giuridica del fiduciario (o trustee),sarebbero svanite le remore, che venano - come si èvisto - il dictum sotto il profilo causale, giustificantila sanzione di nullità (7) del vincolo. Ci saremmocosì imbattuti in un trust testamentario governatodal codice civile italiano (8), per effetto del qualel’interposto (mandatario o trustee) avrebbe acquistatola proprietà nell’interesse dei beneficiari finali.Il trasferimento di proprietà al fiduciario non si sarebbepotuto qualificare a causa di morte, perché ildecesso della testatrice avrebbe unicamente incisosull’elemento temporale dell’acquisto anziché sullasua ragione giustificatrice. Si tratta, in definitiva, diun trasferimento postmorte e non già mortis causa.Giova tenere a mente che in vicende successorie delgenere eredi o legatari sono i beneficiari giammai ilproprietario nell’interesse altrui (trustee) (9).Fatto sta che, sia consentito ripetere, la testatricenon ha segregato il patrimonio nelle mani del fiduciario(ossia del c.d. «comitato»). Sarebbe nondimenosbagliato sottovalutare la circostanza che ilvincolo ora analizzato è stato sigillato in un negoziodi ultima volontà: se è vero - dando maggior respiroalla nostra prospettiva - che l’errata o falsa rappresentazionedel significato oggettivo della dichiarazionenon impedisce l’interpretazione correttiva deltesto allo scopo di far prevalere il genuino intentodel disponente (art. 625 c.c.) (10), a noi pare ugualmentevero che non si possa trascendere nel casoche ci sta occupando dall’istituto della conversione(art. 1424 c.c.) (11), essendo ragionevole arguireche se la testatrice fosse stata consapevole della nullitàinficiante il vincolo stante la già denunziata assenzadi causa, avrebbe segregato provvisoriamentela proprietà del palazzo nelle mani del fiduciario anzichélimitarsi a conferirgli l’incarico gestorio emancipatodal ius in re.Dal secondo libro del codice civile parrebbe emergerel’inclinazione del sistema al recupero della fattispecienulla che, se orientata ad irrobustire la veradeterminazione del disponente in guisa da secondareNote:(5) Conf. Gentili, Le destinazioni patrimoniali atipiche. Esegesidell’art. 2645 ter c.c., in Rass. dir. civ., 2007, spec. 27; v. ancheM. Bianca, D’Errico, De Donato e Priore, L’atto notarile di destinazione,Milano, 2006, 35.(6) Doria, Il patrimonio “finalizzato”, in Riv. dir. civ., 2007, I, 501s.; G. Gabrielli, Vincoli di destinazione importanti separazione patrimonialee pubblicità nei registri immobiliari, ivi, 334; Gazzoni,Osservazioni sull’art. 2645-ter c.c., in Giust. civ., 2006, II, 175.(7) Impropriamente definitiva nella sentenza con il nomen d’inefficacia.(8) Cfr., diffusamente, il mio Vincoli di destinazione, cit., 187 ss.(9) Sul tema sia di nuovo consentito rinviare al mio Vincoli di destinazione,cit., spec. 214 ss.(10) Giampiccolo, Il contenuto atipico del testamento. Contributoad una teoria dell’atto di ultima volontà, Milano, 1954, 184.(11) In quest’ordine d’idee mette conto avvertire che l’art. 1324c.c., anziché impedire l’estensione delle regole enumerate nelquarto libro ai negozi mortis causa, intende semplicemente stabilireche esse sono direttamente applicabili agli atti unilateralitra vivi privi di una disciplina ad hoc. Stando così le cose, il riferimentoesplicito agli atti tra vivi si giustifica in quanto il testamentoè dotato di uno statuto normativo autonomo; ma l’additataautonomia non implica autosufficienza, ben potendosi ricorrerea talune regole dedicate al contratto in quanto armonizzabilicon la natura del negozio di ultima volontà. In senso conf. si vedaSangermano, Presupposizione e causa nel negozio testamentario,Milano, 2011, 38 s. Serve soggiungere che l’eventualedivieto all’immaginata estensione, ad astrarre dalla sua irragionevolezza,avrebbe inferto una ferita letale alla dottrina delnegozio giuridico.788Famiglia e diritto 8-9/2013


GiurisprudenzaSuccessioniil più possibile sul terreno applicativo il suo progettosuccessorio, dovrebbe giustificare l’effetto sananteinnervato dal meccanismo di repêchage ancorato allaricostruzione della volizione ipotetica (la quale - sibadi - acquista effetti erga omnes quando il suo autoreha abbandonato il regno dei viventi). La conversionedel negozio (inter vivos o mortis causa) si ponepertanto in perfetta sintonia sia con la volontà (ipotetica)della parte, sia con il suo scopo empirico (12).Chi accetta questo ragionamento non ha difficoltà aconcludere che la disposizione testamentaria consacranteil vincolo di «autodestinazione» amministratodal terzo gestore si converta in una clausola istitutivadel trust di diritto interno, per effetto dellaquale l’interposto diventa dominus provvisorio nell’interessealtrui.Il divieto di alienazioneSi continui a tener presente che la testatrice ha altresìimposto il divieto di alienazione dell’immobilesottoposto al vincolo di destinazione (13).Nell’ipotesi in cui si dovesse recuperare - come quisuggerito - la validità del vincolo stesso attraversol’istituto della conversione, riaffiora il dilemma inmerito alla sorte dell’evocata proibizione.Il testo originario dell’art. 692, ult. comma, c.c., dettavauna regola ferrea (14), a tenore della quale era nulla«ogni disposizione con la quale il testatore proibisceall’erede di disporre per atto tra vivi o per atto di ultimavolontà dei beni ereditari». Ne conseguiva una disparitàdi trattamento fra divieti di alienazione di matricecontrattuale e divieti racchiusi nel testamento;essa era criticata, e pour cause, da accreditata letteraturache ne denunciava la sua irrazionalità (15).Con la riforma del diritto di famiglia la regola è statacancellata per motivi incerti (16). Ne consegueche, sfumati i presupposti per far ricorso al principiodi specialità, anche in materia successoria vale oggila regola di diritto comune ex art. 1379 c.c. (17). Perquesto motivo - osserviamo conclusivamente - il divietotestamentario di alienazione, sempre che siameritevole di tutela, ha efficacia soltanto obbligatoriaed è valido se è contenuto entro ragionevoli limitidi tempo.Note:(12) Cfr. De Nova, voce Conversione, I) Conversione del negozionullo, in Enc. giur. Treccani, IX, Roma, 1988, 1.(13) Importa bene considerare che la proprietà destinata ai sensidell’art. 2645 ter c.c. è di per sé disponibile, sebbene il vincolotrascritto sia dotato di efficacia reale: si veda, anche per ulterioririferimenti, il mio Vincoli di destinazione, cit., 154. Circa la clausolad’indivisibilità vale quanto stabilito nell’art. 1111, comma 2,c.c.: cfr., incidentalmente, Cass., 4 marzo 2011, n. 5261, inGiust. civ., 2012, I, 504.(14) Cfr. Boniello, La clausola di inalienabilità nel diritto francesee in quello italiano, in Ann. dir. comp., 1966, 42.(15) Allara, Vicende del rapporto giuridico, fattispecie, fatti giuridici,Torino, 1999 (rist.), 44.(16) Rocca, Il divieto testamentario di alienazione, in Riv. trim.dir. proc. civ., 1982, 416(17) Cfr. C.M. Bianca, Diritto civile, II, La famiglia. Le successioni,3 a ed., Milano, 2001, 712; Calvo, Vincoli di destinazione, cit.,38 ss.; A.D. Candian, La funzione sanzionatoria nel testamento,Milano, 1988, 162 s.; Di Mauro, Condizioni illecite e testamento,Napoli, 1995, 139 s.; Petrelli, Divieto testamentario di alienazionecon vincolo di destinazione: parere pro veritate, in Riv. notar.,2004, 1298 s.; Realmonte e Magrì, voce Indisponibilità, in Enc.dir. (agg.)., III, Milano, 1999, 698; M.C. Tatarano, Il testamento,in Tratt. dir. civ. del Consiglio Nazionale del Notariato, diretto daP. Perlingieri, Napoli, 2003, 313; Terzi, Sostituzione semplice esostituzione fedecommissaria, in Successioni e donazioni, a curadi Rescigno, I, Padova, 1994, 1172.Famiglia e diritto 8-9/2013 789


GiurisprudenzaMatrimonioPersone dello stesso sessoTRIBUNALE CIVILE E PENALE DI PESCARA 18 maggio 2013, ord. - Est. BozzaFamiglia - Matrimonio - Persone dello stesso sesso - Celebrato all’estero - Diritto alla libera circolazione dei cittadini dell’UnioneEuropea e dei loro familiari - Coniuge extracomunitario - Riconoscimento del diritto di ingresso, soggiorno estabilimento(Cost. artt. 2 e 117; Conv. Eur. Dir. Uomo artt. 8 e 12; Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea art. 9; Direttiva2004/38CE; Linee guida COM(2009)313; d.lgs. 6 febbraio 2007, n. 30 artt. 2, 8 e 9; l. 31 maggio 1995, n. 218, artt. 16e 17)La normativa in materia di diritto di soggiorno del familiare di cittadino comunitario, che abbia esercitato lalibertà di circolazione derivata dalla direttiva europea n. 2004/38/CE, deve essere letta alla luce dei principi cheregolano il diritto comunitario e della interpretazione a questi data dalla Corte Europea dei Diritti dell’Uomo;ne consegue che è “coniuge” a norma del d.lgs. n. 30 del 2007 anche il cittadino di un Paese non appartenenteall’Unione Europea che abbia contratto matrimonio all’estero con cittadino comunitario dello stesso sesso,con conseguente diritto al rilascio del permesso di soggiorno e/o della carta di soggiorno.ORIENTAMENTI GIURISPRUDENZIALIConformeDifformeNella parte in cui si afferma che la diversità di sesso dei nubendi non costituisce presupposto “naturalistico”di “esistenza” del matrimonio e che pertanto il diritto al matrimonio omosessuale è inclusonell’art. 12 CEDU: Corte EDU 24 giugno 2012.Nella parte in cui si ritiene che all’unione omosessuale, intesa come stabile convivenza, spetta il dirittofondamentale ex art. 2 Cost. di vivere liberamente una condizione di coppia: Corte Cost. 138/10.Nella parte in cui si enuncia che le persone dello stesso sesso sono titolari del diritto alla “vita familiare”e che possono adire il giudice per rivendicare, in specifiche situazioni, un trattamento omogeneoa quello assicurato dalla legge alla coppia eterosessuale coniugata: Cass. 15 marzo 2012, n. 4184;Cass. 6 giugno 2013, n. 14329.Nella parte in cui considera che la nozione di “coniuge” prevista dall’art. 2 del d.lgs. n. 30/2007 deveessere determinata alla luce dell’ordinamento straniero in cui il vincolo è stato contratto: Cass. Pen. 11gennaio 2011, n. 1328.Trib. Reggio Emilia 13 febbraio 2012.Nella parte in cui considera inesistente il matrimonio same sex: Cass. 26 maggio 1976, n. 1808; Cass.22 febbraio 1990, n. 1304; Cass. 2 marzo 1999, n. 1739; Cass. 9 giugno 2000, n. 7877.Nella parte in cui si ritiene che il cittadino extracomunitario legato ad un cittadino italiano da un’unionecivile registrata non ha il diritto al ricongiungimento non potendo essere qualificato come “familiare”ai sensi dell’art. 2 del d.lgs. n. 30/2007: Cass. 17 marzo 2009, n. 6411Il Presidente di SezioneVisto il ricorso proposto da G. S. J. V. con richiesta di nullità/annullamento/revoca/disapplicazionedel provvedimentodel Questore di Pescara in data 3.4.2012 e notificatoil 26.4.2012 di rigetto della richiesta di permesso di soggiornoquale coniuge del cittadino comunitario N. O. R.;vista la memoria difensiva dell’Avvocatura dello Stato;atteso che il rigetto del permesso di soggiorno nei confrontidel ricorrente si fonda sulla considerazione chel’ordinamento italiano non riconosce il matrimonio trapersone dello stesso sesso, matrimonio che veniva inveceregolarmente contratto, secondo la normativa portoghese,dal G. S. con il N. O. nella città di M. in Portogallo;atteso che l’art. 2 del d.lgs. n. 30/07 attuativo della DirettivaCE 2004/38 - decreto legislativo diretto a regolamentarele modalità di esercizio del diritto di libera circolazione,ingresso, soggiorno e permanenza nel territoriodello Stato <strong>Italia</strong>no da parte di cittadini dell’Unione Europeae dei loro familiari che accompagnano o raggiungonoi medesimi cittadini, salvo limitazioni di ordinepubblico e di pubblica sicurezza - si applica in primo luogoe tra l’altro al “coniuge” del cittadino comunitario oltreche al “partner che abbia contratto con il cittadinodell’Unione una unione registrata sulla base della legislazionedi uno stato membro …”; irrilevante essendo la circostanzache tale coniuge sia extracomunitario poichéquello che rileva per l’applicazione della normativa in discorsoè che questi sia legato da rapporto coniugale a cittadinodi Stato membro dell’Unione Europea;atteso che, chiaramente, e non si vede come possa esserediversamente, la qualità di coniuge del richiedente il permessodi soggiorno attiene ad uno status come riconosciutodallo Stato comunitario ove la coppia ha contrattomatrimonio, e su cui lo Stato comunitario destinato adaccogliere la coppia ed in particolare il coniuge (ancheextracomunitario) che intenda ivi soggiornare e permanerecon l’altro coniuge comunitario, non può opporsi ointrodurre impedimenti che non siano quelli previsti dald.lgs. n. 30/07 e cioè le riportate ragioni di ordine pubblicoe di pubblica sicurezza, ragioni estranee al caso in esame;che ciò è tanto vero che, nel successivo, diverso citatocaso regolamentato del partner della coppia registrata,790Famiglia e diritto 8-9/2013


GiurisprudenzaMatrimonioanch’esso soggetto di tutela da parte della normativa comunitaria:1) tale qualità di partner espressamente vienefatta scaturire, nel disposto dell’art. 2, dalla normativadello Stato che prevede la registrazione e che regola taleistituto giuridico, 2) se, in effetti, questa ipotesi di dirittoal soggiorno nello Stato ospitante è però sottoposta allacondizione dell’esistenza di una legislazione dello Statomembro che equipari l’unione registrata al matrimonioed al rispetto delle condizioni previste dalla pertinentelegislazione dello Stato, ciò non costituisce altro che, perconverso, la conferma della diversità della condizione delconiuge che nessuna limitazione inerente la legislazionedello Stato ospitante subisce se non le già citate ragionidi ordine pubblico e di pubblica sicurezza);atteso che il matrimonio tra persone dello stesso sesso hatrovato, ai sensi del disposto dell’art. 12 CEDU, ampio epieno riconoscimento giuridico nella giurisprudenza dellaCorte Europea dei Diritti dell’Uomo con la nota decisionedel 22.11.2010 Schalk e Kopf c. Austria, mentrenell’ambito del precedente art. 8 CEDU che garantisce la“Vita familiare” la Corte richiede il rispetto “… delle relazionisentimentali e sessuali tra persone dello stesso sesso”,per cui, anche laddove, nella riconosciuta discrezionalitàin materia rimessa agli Stati membri dell’UnioneEuropea, il matrimonio tra persone dello stesso sesso nonsia ammesso in uno di detti Stati, in ogni caso costituirebbeviolazione della su menzionata disposizione sovranazionalenonché del successivo art. 14 (sul divieto di discriminazioneanche di sesso), la mancanza nei confrontidelle coppie omosessuali di una tutela ed un riconoscimentoadeguato all’interno di quello Stato;atteso che in precedenza la Corte Costituzionale con lanota sentenza n. 1387/2010, pur affermando, con specificoriferimento all’art. 3 della Cost., che le unioni omosessualinon possono essere ritenute omogenee rispetto almatrimonio, escludendo che l’aspirazione a tale riconoscimento- che necessariamente postula una disciplina dicarattere generale, finalizzata a regolare diritti e doveridei componenti - possa essere realizzata soltanto attraversouna equiparazione delle unioni omosessuali al matrimonio,ciò non toglie che tali unioni trovano tutela nell’art.2 Cost. “quale stabile convivenza tra due personedello stesso sesso, cui spetta il diritto fondamentale di vivereliberamente una condizione di coppia, ottenendone- nei tempi, nei modi e nei limiti stabiliti dalla legge - ilriconoscimento giuridico con i connessi diritti e doveri”;atteso che sulla scia delle due citate autorevoli pronunce,la Corte di Cassazione, con la recente decisione n.4184/2012, nel ribadire che il <strong>Italia</strong> il diritto fondamentaledi contrarre matrimonio non è riconosciuto dalla nostraCostituzione a due persone dello stesso sesso, né il dirittoalla trascrizione di matrimonio contratto all’estero,risultando, peraltro, ormai “radicalmente superata la concezionesecondo cui la diversità di sesso dei nubendi èpresupposto indispensabile, per così dire ‘naturalistico’,della stessa ‘esistenza’ del matrimonio”, ma semplice “inidoneità”a produrre un qualsiasi effetto giuridico nell’ordinamentoitaliano, evidenzia come le coppie di fattoomosessuali possano ottenere, attraverso tutela giurisdizionale,in presenza di “specifiche situazioni”, il diritto adun trattamento omogeneo a quello assicurato dalla leggealla coppia coniugata;atteso che - è bene ribadirlo, avendo la difesa della pubblicaamministrazione sollevato tale questione, non presentenelle motivazioni del decreto questorile di rigetto -il giudice nomofilattico con la decisione n. 4184/12 haespressamente escluso che il matrimonio estero di personedello stesso sesso possa contrastare con l’ordine pubblicoitaliano;atteso che nella specie nessun problema di mancata trascrizionedel matrimonio si pone, giacché il d.lgs. n.30/07 non lo richiede;atteso che contrariamente all’assunto dell’opposta, nessunprofilo di incostituzionalità ex art. 3 Cost. rispetto aicittadini omosessuali italiani ai quali la legge disconosceil diritto ad unirsi in matrimonio, scaturisce dalla ritenutaed, invero, inevitabile conclusione della legittimitàdella richiesta di permesso di soggiorno, visto che quinon si discute dei diritti della coppia di fatto di persone distesso sesso nell’ambito della legislazione italiana, ma deldiritto di una coppia con almeno un cittadino comunitarioa poter liberamente circolare, soggiornare e permanerenel territorio dello Stato italiano così come è possibilealla coppia di fatto di omosessuali italiani; che, se mai, èvero, generalizzando, il contrario: impedire in questi casiil soggiorno del coniuge di coppia omosessuale sposata inaltro Stato membro significa discriminarla rispetto adidentiche coppie che vadano a soggiornare in altri Statimembri i quali, pur non consentendo il matrimonio traomosessuali e neppure prevedendo forme di registrazione,non ne impediscono l’ingresso e permanenza nel proprioterritorio in ossequio alla normativa de quo;attesa la conforme conclusione cui è pervenuto di recenteanche il Ministero dell’Interno con la sopravvenutacircolare 5.11.2012 prodotta dal ricorrente;ritenuto che, pertanto, il rigetto della domanda del G. S.è illegittima;ritenuto che le spese vadano integralmente compensatein considerazione della indubbia particolarità della fattispecie,in presenza di normativa comunitaria che interagiscecon principi generali e legislazioni nazionali dei singoliStati dell’Unione Europea legate a differenti estrazionireligiose, culturali e civili.P.Q.M.Definitivamente pronunciando sull’opposizione propostada G. S. J. V., così provvede in accoglimento del ricorso:– annulla il provvedimento del Questore di Pescara di rigettodella richiesta di permesso di soggiorno avanzata daG. S. J. V. in data 3.4.2012;– dichiara integralmente compensate le spese tra le parti.Famiglia e diritto 8-9/2013 791


GiurisprudenzaMatrimonioANCHE IL CONIUGE DELLO STESSO SESSO DEL CITTADINOCOMUNITARIO HA DIRITTO DI STABILIRSI IN ITALIA AI SENSIDEL T.U. SULLA CIRCOLAZIONE E SUL SOGGIORNODEI CITTADINI DELL’U.E.di Giovanni Genova (*)Alla luce della recente interpretazione “gender neutral” data dalla Corte Europea dei Diritti dell’Uomo alla nozionedi matrimonio, del riconoscimento operato dalla Corte Costituzionale del diritto fondamentale dellepersone omosessuali di vivere liberamente la condizione di coppia e dell’estensione del concetto di “famiglia”a tali coppie effettuato dalla Cassazione, la sentenza in commento consolida il più recente orientamentogiurisprudenziale che, raccogliendo l’invito della Suprema Corte a garantire alle unioni same sex untrattamento omogeneo a quello delle coppie eterosessuali coniugate, riconosce rilevanza al matrimonio officiatoall’estero tra persone dello stesso sesso ai fini della concessione del permesso di soggiorno, ex art.2 del d.lgs. n. 30/07, al coniuge extracomunitario di cittadino dell’Unione Europea.1. PremessaUn cittadino brasiliano, validamente ed efficacementesposato in Portogallo con un cittadino portoghese,a seguito del trasferimento in <strong>Italia</strong> del marito,chiede al Questore di Pescara l’emissione in propriofavore di un permesso di soggiorno quale coniugedi cittadino comunitario, ai sensi del testo unicosulla circolazione e sul soggiorno dei cittadini dell’UnioneEuropea (d.lgs. n. 30/07).L’Autorità Amministrativa, sul presupposto chel’ordinamento italiano non riconosce il matrimoniofra persone dello stesso sesso e che pertanto la normativainvocata non risulta applicabile al caso dispecie, rigetta l’istanza.Tale provvedimento di diniego, ai sensi dell’art. 8del citato d.lgs. n. 30/07, viene impugnato avanti ilTribunale di Pescara, che, con la suestesa ordinanza,annulla il decreto del Questore, ordinando di fattol’emissione di un titolo di soggiorno nel nostro Paesein favore del ricorrente.2. La normativa di riferimentoe il suo ambito di applicazioneIl decreto legislativo 6 febbraio 2007, n. 30 (c.d.T.U. sulla circolazione e sul soggiorno dei cittadinidell’Unione Europea) attua in <strong>Italia</strong> la direttiva2004/38/CE (1), relativa al diritto dei cittadini dell’Unionee dei loro familiari di circolare e soggiornareliberamente all’interno dei singoli stati membri.In particolare, in relazione al tema che ci occupa, talenormativa individua, all’art. 2, i familiari chehanno diritto di accompagnare o raggiungere in <strong>Italia</strong>i cittadini comunitari 1) nel coniuge, 2) nel partnerche abbia contratto con il cittadino U.E.un’unione registrata sulla base della legislazione diuno stato membro, qualora la legislazione dello statomembro ospitante equipari l’unione registrata almatrimonio, 3) nei discendenti diretti di età inferiorea 21 anni o a carico del cittadino U.E., oltre aquelli del coniuge o del partner, 4) negli ascendentidiretti a carico del cittadino U.E., oltre a quelli delconiuge o del partner.Essa prevede che, a prescindere dalla nazionalità delfamiliare, questi ha sempre diritto di fare il suo ingresso,soggiornare o permanere in <strong>Italia</strong>, salvo noncostituisca un pericolo per la sicurezza dello Statoovvero per l’ordine e la sicurezza pubblica.Giova evidenziare che, ai sensi dell’art. 23 del decreto,così come interpretato dalla costante giurisprudenza,tutte le disposizioni contenute nell’articolatosi applicano anche ai familiari dei cittadiniitaliani non aventi la cittadinanza italiana.L’espressione “se più favorevoli” contenuta nel testodi legge, infatti, è stata considerata di fatto irrilevantedalla giurisprudenza in quanto “il diritto all’ingressoe al soggiorno per ricongiungimento familiaredel cittadino extracomunitario con cittadinoitaliano è regolato esclusivamente dalla disciplinanormativa di derivazione comunitaria, introdottadal d.lgs 6 febbraio 2007, n. 30, che ha recepito laDirettiva 2004/38/CE” (Cass. 17.12.10, n. 25661,ord.) (2).Di particolare importanza è sottolineare la finalità e,di conseguenza, l’ambito di applicazione di tale det-Note:(*) Il contributo è stato sottoposto, in forma anonima, alla valutazionedi un referee.(1) Consultabile su www.articolo29.it.(2) In Mass., 2010, 1096; conformi Cass., sez. I, 1.3.10, n. 4868,in www.asgi.it e Cass., sez. I, 23.07.10, n. 17346, inwww.meltingpot.org.792Famiglia e diritto 8-9/2013


GiurisprudenzaMatrimoniotato normativo (e quindi del concetto di “familiare”ivi definito), che, come indicato nell’art. 1 dellostesso decreto, è esclusivamente quello di disciplinaree garantire la libera circolazione delle persone all’internodell’Unione, quella che il secondo considerandodella citata direttiva europea definisce “unadelle libertà fondamentali nel mercato interno, checomprende uno spazio senza frontiere interne, nelquale è assicurata tale libertà secondo le disposizionidel Trattato”.Tale decreto, occupandosi di una specifica materiadi competenza comunitaria, deve dunque trovare inquest’ambito i propri criteri interpretativi, prescindendodalla normativa nazionale di riferimento intema di diritto di famiglia (riservata al legislatoredello stato membro), che ha quale oggetto di tutelala protezione della famiglia e non la libertà di circolazione.Prova ne sia che, per il riconoscimento del rapportoconiugale ai fini dell’applicazione del testo unico,nessuna rilevanza è data alla trascrizione anagraficain <strong>Italia</strong> del matrimonio celebrato all’estero.Le stesse linee guida emanate in merito dalla CommissioneEuropea (COM (2009)313) (3), in relazioneal rapporto di coniugio riconosciuto dalla direttiva2004/38/CE come fondante il diritto al c.d. “ricongiungimentofamiliare”, specificano che “ai finidell’applicazione della direttiva devono essere riconosciuti,in linea di principio, tutti i matrimoni contrattivalidamente in qualsiasi parte del mondo”,con la sola eccezione dei matrimoni viziati dallamancanza di un valido consenso e di quelli poligami.Nessun cenno viene fatto ai matrimoni celebratifra persone dello stesso sesso.E ciò non deve certo meravigliare.3. Il significato “europeo” della parolamatrimonioIn ambito europeo si è assistito via via ad una evoluzionedella nozione giuridica di “matrimonio” che èsfociata nella nota sentenza della Corte Europea deiDiritti dell’Uomo Schalk e Kopf contro Austria del22.10.10 (4).Dopo un costante orientamento giurisprudenzialesecondo cui le relazioni omosessuali, anche se dilunga durata, non rientravano nella definizione di“vita familiare” ai sensi dell’art. 8 Cedu (5), la Corteha cambiato totalmente orientamento (6) e, interpretandoevolutivamente l’art. 12 della Carta(“uomini e donne in età maritale hanno diritto disposarsi e di formare una famiglia secondo le legginazionali regolanti l’esercizio di tale diritto”) alla lucedell’art. 9 della Carta di Nizza (che ha volutamenteeliminato ogni riferimento al sesso diversodei nubendi (7)) ha stabilito come il concetto dimatrimonio non possa più essere limitato esclusivamentea quello tra persone di sesso opposto (8).Secondo l’autorevole opinione della stessa Corte diCassazione, espressa nella sentenza n. 4184/12, «ilNote:(3) Consultabili per esteso sul sito EUR-Lex all’indirizzohttp://eur-lex.europa.eu.(4) Cedu, Schalk e Kopf c. Austria 24 giugno 2010, in Nuova giur.civ. e comm., 2010, I, 1337, con nota di Winkler, Le famiglieomosessuali nuovamente alla prova della Corte di Strasburgo.Per un commento alla sentenza leggasi: Ragni, La tutela dellecoppie omosessuali nella recente giurisprudenza della Corte europeadei diritti umani: il caso Schalk e Kopf, in Dir. umani dir. intern.,2010, 639; Repetto, “Non perdere il proprio mondo” Argomentigiuridici e matrimonio same-sex, Corte di Strasburgo eCorte Costituzionale, in Riv. crit. dir. priv., 2010, 525 ss.; Repetto,Il matrimonio omosessuale al vaglio della Corte di Strasburgo,ovvero: la negazione ‘‘virtuosa’’ di un diritto, inwww.rivistaaic.it, 2/7/2010; Danisi, La Corte di Strasburgo e imatrimoni omosessuali: vita familiare e difesa dell’unione tradizionale,in Quad. Cost., 2010, 867; Sileoni, La Corte di Strasburgoe i matrimoni omosessuali: il consenso europeo, un criteriofragile ma necessari, ibidem, 870; Conte, Profili costituzionali delriconoscimento giuridico delle coppie omosessuali alla luce diuna pronuncia della corte europea dei diritti dell’uomo, in Corr.giur., 2011, 573 ss.; Conti, Convergenze (inconsapevolio...naturali) e contaminazioni tra giudici nazionali e Corte EDU: aproposito del matrimonio di coppie omosessuali, ibidem, 2011,579-587; Marotti, La tutela delle unioni omosessuali nel dialogotra corti interne e Corte europea dei diritti umani, in Giur. it., febbraio2013, 330 ss.(5) Da ultimo Cedu, Mata Estevez contro Spagna, 10 maggio2001, ricorso n. 56501/00.(6) Per l’orientamento precedente, secondo cui la previsione dell’art.12 Cedu doveva applicarsi solo ai matrimoni contratti trapersone di sesso opposto, leggasi Cedu 17.10.1986, Rees controRegno Unito, ricorso n. 9532/81; Cedu 27.09.1990, Cosseycontro Regno Unito, ricorso n. 10843/84; Cedu 30.07.1998,Sheffield e Horsham contro Regno Unito, ricorsi n. 22985/93 en. 23390/94.(7) Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea, art. 9: “Ildiritto di sposarsi e di costituire una famiglia sono garantiti secondole leggi nazionali che ne disciplinano l’esercizio”.(8) Letteralmente: “la Corte non considererà più che il diritto almatrimonio di cui all’articolo 12 debba essere limitato in tutti i casial matrimonio tra persone di sesso opposto” Schalk e Kopfcontro Austria, par. 61. Come fa notare Marotti, in La tutela delleunioni, cit., 332, “Il combinato disposto viene giustificato dallaCorte in ragione dell’art. 52, par. 3 della Carta di Nizza («Laddovela presente Carta contenga diritti corrispondenti a quelli garantitidalla Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell’uomoe delle libertà fondamentali, il significato e la portata degli stessisono uguali a quelli conferiti dalla suddetta Convenzione. La presentedisposizione non preclude che il diritto dell’Unione concedauna protezione più estesa»). Sul punto, è utile il rinvio alle«spiegazioni» dell’art. 9 della Carta in cui si chiarisce: «Questoarticolo si basa sull’articolo 12 della Cedu [...]. La formulazione diquesto diritto e` stata aggiornata al fine di disciplinare i casi in cuile legislazioni nazionali riconoscono modi diversi dal matrimonioper costituire una famiglia. L’articolo non vieta né impone la concessionedello status matrimoniale a unioni tra persone dellostesso sesso. Questo diritto è pertanto simile a quello previstodalla Cedu, ma la sua portata può essere più estesa qualora la legislazionenazionale lo preveda”.Famiglia e diritto 8-9/2013 793


GiurisprudenzaMatrimoniodiritto al matrimonio riconosciuto dall’art. 12 ha acquisito,secondo l’interpretazione della Corte europea- la quale costituisce radicale “evoluzione” rispettoad “una consolidata ed ultramillenaria nozionedi matrimonio” -, un nuovo e più ampio contenuto,inclusivo anche del matrimonio contratto dadue persone dello stesso sesso» (par. 3.3.4); «il limitatoma determinante effetto dell’interpretazionedella Corte europea (…) sta nell’aver fatto cadere ilpostulato implicito, il requisito minimo indispensabilea fondamento dell’istituto matrimoniale, costituitodalla diversità di sesso dei nubendi e, conseguentemente,nell’aver ritenuto incluso nell’art. 12della CEDU anche il diritto al matrimonio omosessuale»(par. 4.4.1) (9).Questo, secondo la lucida opinione di Gattuso, ha determinato,nella interpretazione della Corte europea,una vera e propria svolta semantica inequivocabile“la parola matrimonio non denota più solo i matrimonitra persone di opposto genere e diventa, per definizione,gender-neutral. Il significante “matrimonio”include nel suo significato ogni matrimonio” (10).Tale profonda innovazione ha un effetto sistemico esi riverbera automaticamente anche nel nostro ordinamentointerno.Com’è noto, infatti, secondo l’orientamento dellaCorte Costituzionale (11), non solo il testo dellaCEDU, ma anche la giurisprudenza della Corte diStrasburgo funge da parametro interposto nel giudiziodi legittimità costituzionale.Pertanto, anche le singole corti di merito, come autorevolmentesottolineato dalla Suprema Corte,“hanno il dovere di interpretare la norma interna inmodo conforme alla norma convenzionale fintantochéciò sia reso possibile dal testo di tali norme e, incaso di impossibilità dell’interpretazione “conforme”,di sollevare questione di legittimità costituzionaledella norma interna per contrasto con la normaconvenzionale “interposta”, per violazione dell’art.117, comma 1, Cost.; con l’ulteriore conseguenzache l’interpretazione data dalla Corte europea vincola,anche se non in modo incondizionato, dettigiudici e costituisce il “diritto vivente” della Convenzione”(12).Peraltro è lo stesso art. 6 del Trattato di Lisbona, entratoin vigore in <strong>Italia</strong> dal 1.12.09, a sancire che “idiritti fondamentali, garantiti dalla Convenzioneeuropea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo edelle libertà fondamentali (…), fanno parte del dirittodell’Unione in quanto principi generali”.4. Lo status “europeo” di coniugeDi questo ha tenuto conto il Tribunale di Pescara,che, richiamando la giurisprudenza della Corte Europeadei Diritti dell’Uomo, ha evidenziato come “laqualità di coniuge del richiedente il permesso di soggiornoattiene ad uno status come riconosciuto dalloStato comunitario ove la coppia ha contratto matrimonio”che non può essere contestato dallo Statoospitante ai fini dell’applicazione della normativa inmateria di libera circolazione all’interno dell’Unione.Il fatto che uno stato comunitario (o anche extracomunitario,secondo le citate “Linee guida”) abbia attribuitoad una unione tra due persone dello stessosesso (di cui una comunitaria) il valore giuridico delmatrimonio, fa sì che entrambi i nubendi acquisiscanouno status di coniugi, rilevante per il diritto di derivazioneeuropea (e quindi ai fini dell’estrinsecazionedel diritto alla libera circolazione), a prescinderedalla loro cittadinanza e dall’esistenza di un analogoistituto nel paese di origine o in quello ospitante.Lo status acquisito è totalmente impermeabile allalegislazione del Paese ospitante e comporta il dirittoall’ingresso, al soggiorno e alla permanenza in esso.Prova della correttezza di tale interpretazione è datadalla stessa lettera b numero 2) dell’art. 2 del TestoUnico, nella parte in cui, limitatamente al solo partenariatocivile registrato, ne subordina il riconoscimento,ai fini del diritto alla libera circolazione, allaequiparazione dell’unione registrata al matrimonioed alle eventuali ulteriori condizioni previste dallostato ospitante.Infatti, in applicazione dell’universale principio ermeneuticoubi lex voluit dixit, ubi noluit tacuit, se illegislatore avesse voluto condizionare il riconoscimentodello status di coniuge ad una diversa normativainterna avrebbe dovuto specificarlo, così comefa nell’ipotesi sub b) numero 2).Questo comporta che al coniuge del cittadino comunitario(o italiano), quale che sia il suo sesso o laNote:(9) Cass., sez. I, 15.03.12, n. 4184, in questa Rivista, 2012, 665ss., con nota di Gattuso, “Matrimonio”, “famiglia” e orientamentosessuale. La Cassazione recepisce la “doppia svolta” dellaCorte Europea dei Diritti dell’Uomo.(10) Gattuso, ibidem, 680. Di un vero e proprio “superamentodel paradigma eterosessuale, convertito in scelta discrezionaledel legislatore nazionale” parla Pezzini in La sentenza 138/2010parla (anche) ai giudici, in Unioni e matrimoni same-sex dopo lasentenza 138 del 2010: quali prospettive? a cura di Pezzini e Lorenzetti,Napoli, 2011, 104.(11) Corte Costituzionale 24 ottobre 2007, nn. 348 e 349, cosìcome citate da Winkler - Chiovini, in Dopo la Consulta e la Cortedi Strasburgo, anche la Cassazione riconosce i diritti delle coppieomosessuali, in Giust. civ., 2012, 7-8, 1707 ss.(12) Cass., sez. I, 15.03.12, n. 4184, 3.3.4, in questa Rivista,2012, 675.794Famiglia e diritto 8-9/2013


GiurisprudenzaMatrimonionazionalità o il luogo del celebrato matrimonio, chevoglia fare il suo ingresso in <strong>Italia</strong> ovvero soggiornarvio permanervi liberamente non possa esserenegato un titolo di soggiorno nel Nostro Paese,salvo non costituisca un pericolo per la sicurezza dellostato ovvero per l’ordine e la sicurezza pubblica, enon ricorra l’ipotesi del matrimonio poligamico o“forzato”.5. La sentenza n. 138/10 della CorteCostituzionale e il riconoscimento giuridicodella coppia omosessualecome formazione sociale rilevanteai sensi dell’art. 2 Cost.Tale interpretazione, come correttamente fa notarel’ordinanza in commento, è fondata su due autorevoliprecedenti, la sentenza n. 138/10 della CorteCostituzionale e la sentenza n. 4184/12 della Cortedi Cassazione.Con la sentenza n. 138/10 è stata infatti definitivamentericonosciuta dalla giurisprudenza italiana larilevanza costituzionale alle unioni omosessuali (13).La Consulta, chiamata a valutare la costituzionalitàdel divieto, implicitamente contenuto nel nostroordinamento, di contrarre matrimonio per le coppieomosessuali (14), ha rilevato un contrasto tra gli articolidel codice civile, sistematicamente interpretati,e i principi costituzionali, in particolare quellidell’art. 2 Cost.Il superamento del conflitto, tuttavia, non le è apparsocostituzionalmente obbligato, non essendoviuna sola unica via praticabile per eliminare il viziodi incostituzionalità (coerente con la logica del sistemagiuridico italiano) (15). Essa ha quindi ritenutoche la questione, così com’èra stata posta, necessitassedi una interpretazione additiva e pertantofosse imprescindibile che il Parlamento, nell’eserciziodella sua piena discrezionalità, all’interno dellarosa delle scelte normative possibili, tra cui indubbiamenteanche l’equiparazione delle unioni omosessualial matrimonio, introducesse idonee forme digaranzia e di riconoscimento per le unioni same-sex.La Corte Costituzionale ha quindi individuato unpreciso obbligo per il legislatore di introdurre “unadisciplina di carattere generale, finalizzata a regolarediritti e doveri dei componenti della coppia”, chedovrà tener conto del diritto fondamentale (e di conseguenzainalienabile), di cui sono titolari anche lepersone omosessuali, di vivere liberamente una condizionedi coppia, così come interpretativamentedesumibile dall’art. 2 Cost. (16).Il carattere innovativo della sentenza risiede proprionel riconoscimento, come diritto fondamentale, dellibero sviluppo della persona anche nell’ambito dellacoppia omosessuale (17).Note:(13) Sulla sentenza n. 138/2010 leggasi: Costanza, La Corte costituzionalee le unioni omosessuali, in Iustitia, 2010, 311-317;D’Angelo, La consulta al legislatore: questo matrimonio «nuns’adda fare», in www.forumcostituzionale.it, 16/04/2010; Cherchi,La prescrittività tra testo costituzionale e legge: osservazionia margine della sentenza 138 del 2010 sul matrimonio omosessuale,in www.costituzionalismo.it, 16/11/2010; Pugliotto,Una lettura non reticente della sent. n. 138/2010: il monopolioeterosessuale del matrimonio, in www.forumcostituzionale.it;Tondi della Mura, Le coppie omosessuali fra il vincolo (elastico?)delle parole e l’artificio della ‘‘libertà’’, in Dir. fam. e pers., 2011,3-23; Romboli, La sentenza 138/2010 della Corte costituzionalesul matrimonio tra omosessuali e le sue interpretazioni, inwww.rivistaaic.it, 12/07/2011; Ruggeri, ‘‘Famiglie’’ di omosessualie ‘‘famiglie’’ di transessuali: quali prospettive dopo Cortecost. n. 138 del 2010?, ivi, 18/10/2011; Paladini, Le coppie dellostesso sesso tra la sentenza della Corte costituzionale n. 138 del14 aprile 2010 e la pronuncia della Corte europea dei diritti dell’uomodel 24 giugno 2010 nel caso Schalk and Kopf v. Austria,in Dir. pubbl. comp. eur., 2011, 137.(14) Di particolare rilievo sono le motivazioni delle corti rimettenti;tra tutte quelle del Tribunale di Venezia secondo cui l’art. 2 Cost.rende ineludibile la possibilità (rectius riconosce il diritto assoluto,fondamentale e inviolabile), per la persona omosessuale di manifestareed esprimere liberamente la propria sessualità “non solonella sua sfera individuale ma anche, e forse soprattutto, nella suasfera sociale, ossia, secondo la formula della norma, ‘nelle formazionisociali ove si svolge la sua personalità’, fra le quali indiscutibilmentela famiglia deve essere considerata la prima e fondamentaleespressione” Trib. Venezia depositata il 3.04.09, n. RGV2497/08, ord., in www.personaedanno.it. Secondo la famosa sentenzan. 183/1988 della Consulta, infatti, “alla famiglia va il riconoscimentopleno jure di formazione sociale primaria”.(15) Cerri, Corso di giustizia costituzionale, III ed., Giuffrè, Milano,2001, 236.(16) Afferma letteralmente la Corte: “8. L’art. 2 Cost. disponeche la Repubblica riconosce e garantisce i diritti inviolabili dell’uomo,sia come singolo sia nelle formazioni sociali ove si svolgela sua personalità e richiede l’adempimento dei doveri inderogabilidi solidarietà politica, economica e sociale. Orbene, performazione sociale deve intendersi ogni forma di comunità,semplice o complessa, idonea a consentire e favorire il liberosviluppo della persona nella vita di relazione, nel contesto di unavalorizzazione del modello pluralistico. In tale nozione è da annoverareanche l’unione omosessuale, intesa come stabile convivenzatra due persone dello stesso sesso, cui spetta il diritto fondamentaledi vivere liberamente una condizione di coppia, ottenendone- nei tempi, nei modi e nei limiti stabiliti dalla legge - ilriconoscimento giuridico con i connessi diritti e doveri.”.(17) Di particolare suggestione è la definizione data dal Galganodi ‘diritto inviolabile’ “Ci sono diritti che sono creati dal diritto oggettivo,secondo quel processo di soggettivazione che abbiamoa suo luogo descritto; ma ci sono diritti soggettivi che si diconosolo trovati dal diritto oggettivo: sono i diritti dell’uomo, che siconsiderano esistenti indipendentemente da ogni diritto oggettivoche li riconosca e che questo si limita a garantire. A differenzadi ogni altro diritto soggettivo, la cui esistenza dipende dallamutevole valutazione dello Stato-ordinamento - mutevole neltempo e nello spazio, a seconda dei diversi sistemi politici e sociali- i diritti dell’uomo, detti anche diritti della persona umana odiritti della personalità, si considerano come diritti spettanti all’uomoin quanto tale, indipendentemente dal tipo di sistema politicoo sociale entro il quale egli vive, e come diritti che ogni Statoha il dovere di riconoscere e di garantire”, Galgano, Diritto Privato,III ed., Padova, 1985, 84-85.Famiglia e diritto 8-9/2013 795


GiurisprudenzaMatrimonioIl Giudice delle Leggi, infatti, avanza una lettura dell’art.2 Cost., in relazione alle unioni omosessuali,assai significativa e per nulla pacifica - né sul pianodottrinario né, ancor meno, su quello giurisprudenziale- che, a ragione, autorevoli commentatori hannogiudicato sia destinata ad assumere nell’ordinamentoitaliano una portata storica (18).La Corte, con questa sentenza, è passata dal riconoscimentodel diritto di vivere liberamente lapropria condizione di persona omosessuale, a quellodi vivere liberamente una condizione di coppiaomosessuale: ora è anche la coppia nel suo insiemead essere tutelata dalla Costituzione; essa è infatticonsiderata a pieno titolo una formazione sociale incui l’individuo ha il diritto di realizzare sé stesso(19). Essa, in sostanza, viene equiparata, a tutti glieffetti, ad una famiglia.Sul punto, di grande incisività è Gattuso (20), secondocui “con l’affermazione, da parte della CorteCostituzionale - nella sentenza n. 138 del 2010 - dellarilevanza costituzionale dell’unione omosessuale,d’un fenomeno, dunque, che assume necessariamenterilevanza esterna, si dà atto della necessitàcostituzionale di assicurare tutela anche per le manifestazioniesteriori della affettività”. L’Autore non siriferisce qui al mero diritto delle persone consenzientidi fare sesso nel chiuso delle loro camere da letto;tratta bensì del più generale diritto ad amarsi,che comprende ad esempio il diritto di passeggiaretenendosi per mano, di baciarsi in pubblico, divedere trattato in un’opera cinematografica l’amoreomosessuale al pari di quello eterosessuale.Non è però soltanto un riconoscimento di naturaculturale. È un riconoscimento giuridico vero e proprioche comporta non solo una totaleequiparazione tra le coppie conviventi more uxorio,eterosessuali ed omosessuali, ma anche la necessitàper il legislatore di garantire, “in relazione ad ipotesiparticolari”, “un trattamento omogeneo tra lacondizione della coppia coniugata e quella dellacoppia omosessuale, trattamento che questa Cortepuò garantire con il controllo di ragionevolezza”.La Consulta, invero, si è espressamente riservata,con questa sentenza, “la possibilità d’intervenire atutela di specifiche situazioni (come è avvenuto perle convivenze more uxorio: sentenze n. 559 del 1989e n. 404 del 1988)” (21) e questo, chiaramente, siain relazione alla disciplina legislativa che il Parlamentovorrà adottare, sia in relazione alle norme attualmentevigenti, disciplinanti particolari aspettidella vita sociale, nelle more dell’introduzione dellanecessaria disciplina di carattere generale.Così come lucidamente afferma Barbara Pezzini(22), la discrezionalità del legislatore viene riconosciutain funzione di limite rispetto alla possibilità diuna pronuncia manipolativa di tipo additivo da partedella Corte, ma risulta anche precisamente indirizzatae delimitata, tant’è vero che risultano specificamenteprefigurati persino i rimedi attivabili in casodi un esercizio carente o inadeguato della discrezionalitàlegislativa stessa. Il riferimento alla pienadiscrezionalità del legislatore va, quindi, letto allaluce della nuova interpretazione data all’art. 2 Cost.Sicché questo apre la via, non solo a possibili giudizidinnanzi alla Corte Costituzionale tesi a verificarela ragionevolezza della disparità di trattamento tra lecoppie eterosessuali sposate e quelle omosessualiconviventi, ma anche, e soprattutto, ad un vero eproprio controllo di legittimità costituzionale “dalbasso”, diffuso sul territorio, in quanto è compitoprecipuo del giudice disapplicare tout court la leggeordinaria, ovvero darle una interpretazione costituzionalmenteorientata, ogni qualvolta questarisulti in contrasto con l’art. 2 Cost. così come intesodalla sentenza in esame della Corte Costituzionale(23).Note:(18) Dal Canto, La Corte Costituzionale e il matrimonio omosessuale,in Foro it., 2010, I, 1370 e Gattuso, La Corte Costituzionalesul matrimonio tra persone dello stesso sesso, in questa Rivista,2010, 7, 657-658.(19) Sul punto particolarmente efficace è Pezzini, secondo cui “lasentenza specifica che le formazioni sociali di cui parla l’art. 2 vannointese nel contesto di valorizzazione del modello pluralistico evengono identificate in ogni forma di comunità, semplice o complessa,in base alla capacità di rendere possibile ed agevolare il liberosviluppo della persona nella vita di relazione. Su tale premessadefinitoria, rileva che l’unione omosessuale, intesa comestabile convivenza tra due persone dello stesso sesso, va annoveratafra le formazioni sociali tutelate dall’art. 2 Cost. e, di conseguenza,identifica la tutela costituzionale garantita alle unioniomosessuali ricavando direttamente dall’art. 2 il diritto fondamentaledi vivere liberamente una condizione di coppia samesex” (in Il matrimonio same sex si potrà fare. La qualificazionedella discrezionalità del legislatore nella sent. n. 138 del 2010 dellaCorte costituzionale, pubblicato su Giur. cost., 2010, 3, 2715).(20) In Orientamento sessuale, famiglia, eguaglianza, pubblicatosu Nuova giur. civ. comm., 2011, 12.(21) Le sentenze citate dalla Corte sono consultabili suwww.giurcost.org.(22) Pezzini, Il matrimonio same sex si potrà fare, cit., in Giur.cost., 2010, 3, 2715. Sull’ampiezza della autonomia del legislatoreleggasi anche Ferrando, La via “legislativa” al matrimoniosame-sex, in Unione e matrimoni same-sex, cit., 31 e Brunelli,Le unioni omosessuali nella sentenza n. 138/2010: un riconoscimentosenza garanzia?, ivi, 155.(23) Di estrema chiarezza sul punto Gattuso secondo cui “poiché,come noto, un giudice può promuovere una questione di legittimitàcostituzionale soltanto nel caso in cui la questione nonpossa essere risolta già attraverso un’interpretazione adeguatricedella norma, il giudice, innanzi ad una coppia che chieda tutelae che a suo avviso necessiti d’un trattamento omogeneo a(segue)796Famiglia e diritto 8-9/2013


GiurisprudenzaMatrimonioQuesto è proprio quello che fanno sia l’ordinanza incommento del Tribunale di Pescara sia la sentenzan. 4184/12 della Corte di Cassazione.6. La sentenza n. 4184/12 della Cortedi Cassazione: l’estensione del concettodi famiglia anche alla coppia omosessualee la mera inefficacia del matrimoniosame-sex contratto all’esteroLa sentenza n. 4184/12 della Corte di Cassazione,infatti, sulla scorta anche della sentenza Corte Europeadei Diritti dell’Uomo Schalk e Kopf contro Austriadel 22.10.10, pubblicata successivamente allasentenza n. 138/10 della Corte Costituzionale, purnon accogliendo il ricorso presentato, teso ad ottenerela trascrivibilità in <strong>Italia</strong> del matrimonio samesexcelebrato all’estero da parte di un cittadino italiano(24), ha aggiunto un importante tassello al riconoscimentogiuridico della coppia omosessuale,qualificandola exspressis verbis come “famiglia”, contutte le conseguenze che questa novità comporta, riconoscendolealtresì il diritto ad ottenere, in specifichesituazioni, una tutela omogenea a quella riservataai coniugi (25).Con essa la Suprema Corte, dopo aver riconosciutocome la sua precedente giurisprudenza sul punto“non si dimostra più adeguata alla attuale realtà giuridica,essendo stata radicalmente superata la concezionesecondo cui la diversità di sesso dei nubendi èpresupposto indispensabile, per così dire naturalistico,della stessa esistenza del matrimonio”, affermache, “conseguentemente, la relazione dei ricorrenti,una coppia omosessuale convivente con una stabilerelazione di fatto, rientra nella nozione di vita familiare,proprio come vi rientrerebbe la relazione di unacoppia eterosessuale nella stessa situazione” (26).Sulla base di questi presupposti la Corte abbandonadefinitivamente le teorie giusnaturaliste sulla famigliae sul matrimonio e cessa di applicare al matrimoniosame-sex la categoria della “inesistenza” (27).Riconosce, in questo modo, il valore dell’unioneomosessuale non solo nei suoi aspetti di tutela piùstrettamente costituzionali, ma soprattutto nella suaconsistenza sociale (28), rinnegando il precedenteorientamento espresso nella sentenza n. 7877/00 chenon riconosceva l’“esistenza” stessa del negozio matrimonialeintervenuto tra persone dello stesso sesso“non sussistendo una realtà fenomenica che costituiscela base naturalistica della fattispecie” (29).Ciò nonostante, ritiene insuperabile l’ostacolo dell’assenzadi una normativa interna che riconosca edisciplini l’istituto matrimoniale same-sex e perentoriamenteafferma l’“inidoneità a produrre qualsiasiNote:(continua nota 23)quello di una coppia coniugata, dovrà applicare direttamente lanormativa prevista per la coppia sposata, attraverso una interpretazioneanalogica, evolutiva, costituzionalmente orientatadella norma, e solo se tale interpretazione non sia possibile dovràricorrere alla Corte Costituzionale perché verifichi se la disparitàdi trattamento sia legittima”. Gattuso, La sentenza dellaCorte Costituzionale apre nuove prospettive di tutela, in Politeia,2010, 100.(24) Seppur al solo fine di costituire trascrizioni “meramente riproduttivedi atti riguardanti cittadini stranieri formati secondo laloro legge nazionale da autorità straniere”, a livello di normazionesecondaria le circolari del Ministero dell’Interno n. 2 del 2001(in http://www.amicuscuriae.it/attach/superuser/ docs/circolare_2001.pdf) e n. 57 del 2007 (in http:// www.articolo29.it/ministero-dellinterno-circolare-n-572007/) escludono la trascrizione solo incaso di matrimonio same-sex contratto da italiani, consentendolase il matrimonio riguarda coniugi entrambi stranieri. Giova precisareche, diversamente da quanto affermato dal Ministero dell’Interno,che limita l’effetto della trascrizione al mero scopo di rilasciodi copie di atti formatisi all’estero, la dottrina e la giurisprudenzaprevalenti danno piena efficacia a tale trascrizione aisensi dell’art. 19 del D.P.R. n. 303/2000 (cfr. Mazzotta, Brevi notesulla trascrizione nei registri dello stato civile dei matrimonicontratti all’estero, in Riv. not., 2007, 1114; Calò, Sulla trascrizionedei matrimoni fra stranieri contratti all’estero, studio approvatodalla Commissione studi del Consiglio Nazionale del Notariatoin data 16 dicembre 2002, n. 4191; Liotta, Un altro passo versola conoscenza dell’art. 69 del d.P.R. n. 396 del 2000 presso gli archividello stato civile, in Dir. fam., 2010, 1, 203; Trib. Torino14.05.09, in Riv. not., 2010, 4, 1114, con nota Mazzotta, cit.;Trib. Monza 31.03.07, in Riv. not., 2007, 1171, con nota di Zisa;Trib. Venezia 25.09.06, in Guida al dir., 2006, 82).(25) Sulla sentenza n. 4184/12 leggasi: Di Bari, Considerazioni amargine della sentenza 4184/2012 della Corte di Cassazione, inrivistaaic.it, 28.03.12; Falletti, Quattro rondini fanno primavera?,in europeanrights.eu; Finocchiaro, L’atto deve essere consideratoinidoneo a produrre effetti giuridici nell’ordinamento e Galluzzo,La Cassazione va in pressing sul legislatore per introdurre regolein favore delle unioni gay, in Guida al dir., 2012, 14, 35; Lorello,La Cassazione si confronta con la questione del matrimonioomosessuale, in rivistaaic.it, 08.05.12; Massa Pinto, Fiat matrimonio,in rivistaaic.it, 4.4.12; Schuster, Il matrimonio e la famigliaomosessuale in due recenti sentenze. Prime note in formadi soliloquio, in forumcostituzionale.it, 12.04.12; Winkler, I matrimonisame-sex stranieri di fronte alla Cassazione, in Int’l Lis,2012, 7; Pezzini, Un paradigma incrinato: la faticosa rielaborazionedi categorie concettuali tra le sentenza della Corte costituzionale138/2010 e della Corte di cassazione 4184/2012, in Forumdi quaderni costituzionali, 2012; Gattuso, “Matrimonio”, “famiglia”e orientamento sessuale, cit., Winkler - Chiovini, Dopo laConsulta e la Corte di Strasburgo, cit.(26) Cass., sez. I, 15.03.12, n. 4184, 3.3.4 e 3.3.3, in questa Rivista,2012, 678.(27) La questione non era mai stata affrontata dalla SupremaCorte ma l’affermazione, condivisa dalla dottrina largamentemaggioritaria (cfr. Galgano, Diritto Privato, cit., 765, Sesta, Dirittodi famiglia, Padova, 2005, 67 e Bianca, La famiglia, Milano,2005, 166), si trova, quale obiter, in Cass. 26.05.76, n. 1808, inRep. giur. it., 1976, 51; Cass. 22.02.90, n. 1304, in Giust. civ.Mass., 1990; Cass. 2.03.99, n. 1739, in questa Rivista, 1999,327; Cass. 9.06.00, n. 7877, in questa Rivista, 2000, 509 e inGiust civ., 2000, I, 2897, con nota di Lacroce.(28) Winkler - Chiovini, Dopo la Consulta e la Corte di Strasburgo,cit.(29) Cass. 9.06.00, n. 7877, cit.Famiglia e diritto 8-9/2013 797


GiurisprudenzaMatrimonioeffetto giuridico” del rito celebrato all’estero e la suaconseguente intrascrivibilità (30).La Suprema Corte, però non si ferma qui e, meglioprecisando quanto già espresso dalla Corte Costituzionale,ritiene che “i componenti della coppiaomosessuale, conviventi in stabile relazione di fatto,se - secondo la legislazione italiana - non possono farvalere né il diritto a contrarre matrimonio né il dirittoalla trascrizione del matrimonio contratto all’estero,tuttavia - a prescindere dall’intervento dellegislatore in materia - quali titolari del diritto alla“vita familiare” e nell’esercizio del diritto inviolabiledi vivere liberamente una condizione di coppia edel diritto alla tutela giurisdizionale di specifiche situazioni,segnatamente alla tutela di altri diritti fondamentali,possono adire i giudici ordinari per farvalere, in presenza appunto di “specifiche situazioni”,il diritto ad un trattamento omogeneo a quelloassicurato dalla legge alla coppia coniugata e, in talesede, eventualmente sollevare le conferenti eccezionidi illegittimità costituzionale delle disposizionidelle leggi vigenti, applicabili nelle singole fattispecie,in quanto (ovvero nella parte in cui) non assicurinodetto trattamento, per assunta violazionedelle pertinenti norme costituzionali e/o del principiodi ragionevolezza” (31).In questo modo la Corte di Cassazione, in perfettaattuazione del vigente sistema multilivello, paretrarre dalla lettura della CEDU argomenti per interpretarein senso evolutivo la stessa Carta costituzionalee per aggiornare l’interpretazione data, da alcuni,alla pronuncia della Consulta.Con un significativo ampliamento della tutelagiudiziaria dei diritti delle persone e delle coppieomosessuali, sposando le tesi della dottrina più illuminata(32), la sentenza afferma la legittimità di unvero e proprio controllo di legittimità e di ragionevolezza“dal basso” per il riconoscimento, nel singolocaso concreto, di specifici diritti al momento riservatiesclusivamente alle coppie eterosessualisposate, legittimando in tal modo la correttezza della“litigation strategy” adottata negli ultimi anni dauna parte del movimento LGBT italiano (33) e quasicostituendo in mora il legislatore, che vedrà punitala sua inerzia dalla progressiva formazione di unagiurisprudenza in materia, non necessariamente uniformee coerente, di cui però non potrà non tenerconto (34).Ogni giudice avrà quindi la possibilità di (rectius saràtenuto a) procedere direttamente alla interpretazionecostituzionalmente orientata della normainvocata, estendendo alla coppia conviventeomosessuale il diritto riservato dalla legge alla solacoppia sposata, procedendo su un percorso già iniziato,di cui la sentenza del Tribunale di Pescaracostituisce solo un esempio.Viene così data una sorta di interpretazione autenticasul punto alla sentenza n. 138/10 della Corte Costituzionalee quasi individuato uno spazio intermediotra le convivenze eterosessuali more uxorio (chepossono liberamente essere trasformate in matrimonio)e le coppie coniugate, inserendovi le convivenzeomosessuali, che per la attuale situazione normativain essere non possono evolversi in un rapportodi coniugio (35).Quasi un mero obiter dictum, per mere esigenze dicompletezza, la sentenza della Suprema Corte lo riservaall’eccezione, costantemente (e inutilmente)reiterata dalla Avvocatura dello Stato, anche avantiil Tribunale di Pescara, della contrarietà del matrimoniosame-sex all’ordine pubblico, rigettandola decisamente,quasi senza sentire la necessità di darnemotivazione (36).Sarebbe infatti un vero assurdo giuridico ritenereNote:(30) Chiosa lucidamente tale perentorietà il Gattuso, in “Matrimonio”,“famiglia” e orientamento sessuale, cit., sostenendoche l’affermazione “può essere condivisa soltanto se circoscrittaal caso di specie, poiché nella generalità dei casi alcuni effettigiuridici dell’atto sono inevitabili, mentre altri appaiono quantomenoopportuni”.(31) Cass., sez. I, 15.03.12, n. 4184, 4.2, in questa Rivista, 2012,677-678.(32) Di estrema chiarezza sul punto Gattuso, che con pochi altri(Pezzini, La sentenza, cit., Romboli, La sentenza 138/2010, cit.,Winkler, Le unioni same-sex straniere in <strong>Italia</strong> dopo la sentenzan. 138/2010: indicazioni per i giudici, in Unioni e matrimoni same-sex,cit.) già nel 2010 affermava: “poiché, come noto, ungiudice può promuovere una questione di legittimità costituzionalesoltanto nel caso in cui la questione non possa essere risoltagià attraverso un’interpretazione adeguatrice della norma, ilgiudice, innanzi ad una coppia che chieda tutela e che a suo avvisonecessiti d’un trattamento omogeneo a quello di una coppiaconiugata, dovrà applicare direttamente la normativa previstaper la coppia sposata, attraverso una interpretazione analogica,evolutiva, costituzionalmente orientata della norma, e solo se taleinterpretazione non sia possibile dovrà ricorrere alla Corte Costituzionaleperché verifichi se la disparità di trattamento sia legittima”in Gattuso, La sentenza della Corte Costituzionale aprenuove prospettive di tutela cit. Dal canto suo, Pezzini, già nel2011, in La sentenza, cit., 111, riteneva che, avendo la Corte Costituzionalefornito i principi, spettava ora alla giurisprudenzatracciare una “mappatura” delle singole situazioni, a secondadelle esigenze della vita di coppia destinate ad emergere di voltain volta di fronte all’autorità giudiziaria.(33) In particolare da Avvocatura per i Diritti LGBTI - Rete Lenford(www.retelenford.it) e dalla Associazione Radicale Certi Diritti.(34) Winkler - Chiovini, Dopo la Consulta e la Corte di Strasburgo,cit.(35) Gattuso, Orientamento sessuale, famiglia, eguaglianza, cit.(36) Cass., sez. I, 15.03.12, n. 4184, 2.2.3, in questa Rivista,2012, 669.798Famiglia e diritto 8-9/2013


GiurisprudenzaMatrimoniocontrario all’ordine pubblico internazionale, ai sensidegli artt. 16 e 17 della legge n. 218/95, un matrimonioriconosciuto come valido ed efficace dallastessa Convenzione europea dei diritti dell’uomo,cui l’<strong>Italia</strong> aderisce.In attesa di ulteriori e più autorevoli approfondimenti,solo un cenno merita, a questo punto, la recentissimaordinanza n. 14329/13 della Corte diCassazione depositata il 6.6.13, con cui è stata sollevatala questione di illegittimità costituzionale dellenorme in materia di rettificazione di sesso che, a pareredella Corte, impongono il divorzio ex officio allecoppie sposate quando uno dei coniugi abbia mutatoil proprio sesso anagrafico con sentenza passatain giudicato (37).Questa, nelle considerazioni in diritto, richiamaespressamente il proprio precedente n. 4184/12, dimostrandocome quello ivi espresso costituisca oramaiun orientamento consolidato e quasi lo riassumeanaliticamente, da un lato riproponendonecon maggiore determinazione e precisione alcuni aspetti,quale quello della non contrarietà all’ordinepubblico né interno né internazionale del matrimoniosame-sex straniero, dall’altro chiarendo exspressisverbis che il Collegio non ritiene contrario l’istitutoall’art. 29 della Costituzione, essendo la regolamentazionein diritto del legame omosessuale lasciata allalibera e più ampia scelta del legislatore (38).7. La normazione secondaria e i precedentigiurisprudenziali in materiaPeraltro, come richiamato dal Tribunale di Pescaranell’ordinanza in commento, è la stessa DirezioneCentrale dell’immigrazione del Ministero dell’Interno,nella risposta ad un quesito postogli dalle Questuredi Firenze e Pordenone in materia di concessionedi titolo di soggiorno a stranieri coniugati all’esterocon cittadini comunitari dello stesso sesso, asuggerire di utilizzare, nell’attuale vuoto normativo,i principi applicati dalla magistratura al fine di riconoscere,in questi casi, il diritto al permesso disoggiorno (39).L’Autorità Amministrativa, nel ricordare il riconoscimento,da parte della Corte Costituzionaledel diritto fondamentale per le unioni omosessuali,intese come stabili convivenze tra due persone dellostesso sesso, di vivere liberamente una condizione dicoppia e il relativo “diritto all’unità della famigliache si esprime nella garanzia della convivenza delnucleo familiare”, cita due precedenti giurisprudenziali:il primo del Tribunale di Reggio Emilia (40),che “ha affermato l’applicabilità del d.lgs. n. 30 del2007, ritenendo oggetto dell’accertamento non lostatus di coniuge del ricorrente (…) ma la qualità difamiliare, utile ai fini dell’ottenimento del titolo disoggiorno in esso previsto” e il secondo, della Cortedi Cassazione (41), secondo cui “la nozione di “coniuge”prevista dall’art. 2 d.lgs. n. 30/2007 deve esseredeterminata alla luce dell’ordinamentostraniero in cui il vincolo è stato contratto, per cuilo straniero che abbia contratto in Spagna un matrimoniocon cui un cittadino dell’Unione dello stessosesso deve essere qualificato come “familiare”, ai finidel diritto al soggiorno in <strong>Italia</strong>”.Questi due provvedimenti, che rappresentano gliunici due precedenti conosciuti in materia, insiemealla sentenza in commento, vengono a creare un orientamentooramai consolidato e unanime in relazionealla problematica che ci occupa.È da notare come le due decisioni citate, depositateentrambe meritoriamente prima della sentenza n.4184/12 della Corte di Cassazione, diversamente dalTribunale di Pescara, che pone l’accento sul riconoscimentodi una sorta di “status europeo” di co-Note:(37) Cass., sez. I, 6.06.13, n. 14329, in www.articolo29.it, connota di Gattuso.(38) Recita testualmente l’ordinanza citata: la scelta di estendereil modello matrimoniale anche ad unioni diverse da quella eterosessualeè rimessa al legislatore ordinario. Non sussiste unvincolo costituzionale (art. 29 Cost.) o proveniente dall’art. 12della CEDU in ordine alla esclusiva applicabilità del modello matrimonialealle unioni eterosessuali (Corte Cost. n. 138 del 2010e CEDU caso Schalk e Kopf); l’art. 12, da leggersi anche alla lucedell’art. 8 della Carta dei diritti dell’Unione Europea, tutela anchemodelli matrimoniali diversi da quello eterosessuale, lasciandoalla legislazione degli Stati e al loro apprezzamento la scelta diestendere o limitare le tipologie di unioni che possono legarsi anchemediante il vincolo matrimoniale vero e proprio (CEDU sentenza24/6/2010 caso Schalk e Kopf); il carattere dell’eterosessualitànon costituisce più, di conseguenza, un canone di ordinepubblico, né interno (Corte Cost. 138 del 2010; Cass. n. 4184 del2012), né internazionale (CEDU sentenza Schalk e Kopf); le unioniche siano fondate su una stabile e continuativa affectio, ancorchénon riconducibili al modello matrimoniale, ricevono la coperturacostituzionale diretta dell’art. 2 (Corte Cost. 138 del2010), nonché dell’art. 8 della CEDU (Caso Schalk e Kopf). Talericonoscimento non si limita alla liberà di vivere la propria condizionedi coppia ovvero di non nascondere le scelte riguardanti lasfera emotiva individuale, ma si estende al riconoscimento dellacondizione oggettiva della stabile convivenza e dei diritti checonseguono alla creazione e al consolidamento di questa formazionesociale costituzionalmente e convenzionalmente garantita.(39) Ministero dell’Interno Dipartimento della Pubblica Sicurezza- Direzione Centrale dell’immigrazione e della polizia delle frontiere,prot. 008996 del 26.10.12 pubblicata da www.articolo29.it(come “nota del 5 novembre 2012”).(40) Trib. Reggio Emilia 13 febbraio 2012, in Dir. imm. citt., IV,2011, 155, commentata da Vitrò, Ricongiungimento fra due uominisposati (all’estero), in www.personaedanno.it, 07.10.12 eda Marotti, in La tutela delle unioni omosessuali, cit., 333.(41) Cass. pen., sez. I, 19.01.11, n. 1328, in www.articolo29.it,commentata da Marotti, in La tutela delle unioni omosessuali,cit., 333 e da Pezzini, Un paradigma incrinato, cit.Famiglia e diritto 8-9/2013 799


GiurisprudenzaMatrimonioniuge, vincolante in tema di immigrazione in quantomateria rientrante nell’ambito di competenza comunitaria,fondano la propria decisione proprio sullariconosciuta qualità di “familiare” del coniugesame-sex sposato all’estero.Mentre infatti la Suprema Corte, rinviando la causaal giudice del merito penale di cui era stata impugnatala sentenza, chiede di verificare, ai fini dell’applicazionedell’art. 2, lett. b), n. 2), d.lgs. n. 30/2007,“se, sulla base della legislazione interna dello Statomembro, l’unione in parola sia qualificabile - o equiparabile- a rapporto di coniugio”, il Tribunale diReggio Emilia, evidenziando come ai sensi dell’art.9, comma 5, lett. b), d.lgs. n. 30/07 è sufficiente, aifini dell’iscrizione anagrafica, la presentazione di“un documento rilasciato dalla autorità competentedel Paese di origine o provenienza che attesti la qualitàdi familiare”, fa discendere il diritto alla liberacircolazione del cittadino e del suo familiare dallanatura “familiare” della “unione matrimoniale formatasiin un Paese dell’Unione”.8. Quid juris per le unioni civili registrateall’estero?Tale impostazione pare permettere di ampliare, invia interpretativa, le ipotesi in cui sussisterebbe ildiritto di ingresso e soggiorno in <strong>Italia</strong> anche al casodelle unioni civili same-sex registrate all’estero.Preso atto dell’attuale vuoto normativo in materianel nostro Paese e della impossibilità di applicarel’ipotesi di cui all’art. 2, lett. b), n. 2), sulla base diuna esplicita “legislazione dello Stato membro ospitante”,che equipari o meno l’unione registrata stipulataall’estero al matrimonio, è però possibile, utilizzandoi criteri ermeneutici forniti dalla sentenzaCorte Cost. n. 138/10, interpretati alla luce dellasentenza Cass. n. 4184/12, riconoscere alle unionicivili registrate omosessuali una tutela “particolare”,diversa e più pregnante rispetto a quella riservataalle coppie eterosessuali, valutandone il carattere“familiare” al fine della loro equiparazione al rapportodi coniugio, ai fini dell’applicabilità del TestoUnico in materia di circolazione e soggiorno dei cittadiniU.E.Alla luce della più recente giurisprudenza costituzionalee di legittimità dovrebbe infatti considerarsiormai obsoleto l’orientamento espresso quattroanni or sono dalla Corte di Cassazione con sentenzasez. I, 17.03.09, n. 6411, quando è stato negato iltitolo di soggiorno ad un cittadino neozelandeselegato ad un cittadino italiano da partnership registratanel suo paese (42).Fa piacere registrare che la proposta interpretazionedella norma pare sia già stata adottata quanto menodalla Questura di Milano, che ha emesso un titolo disoggiorno sulla base di un PA.C.S. francese (43).8. ConclusioniLa sentenza in commento del Tribunale di Pescararappresenta un esempio di corretta applicazione, nelsistema normativo multilivello che caratterizza ilnostro ordinamento giuridico, dei principi espressidalla nostra Costituzione e dalle convenzioni internazionalicui il nostro Paese aderisce, così come interpretatedalla Corte Europea dei diritti dell’uomoe dalla Corte Costituzionale.Incarna un orientamento giurisprudenziale più laicoe moderno, improntato al rispetto della personaumana e dei suoi diritti civili, in un orizzonte piùvasto rispetto a quello della angusta “tradizione”della nostra penisola.Rappresenta un esempio di come il controllo “dalbasso” della legittimità e della ragionevolezza dellenorme giuridiche, nel rispetto delle linee guida impartitedalla Corte Costituzionale, costituisca unvalore rilevante per il nostro sistema giudiziario.Quella affrontata dalla sentenza in commento è solouna delle “situazioni particolari” in cui, stante ilvuoto normativo in materia di famiglia omosessuale,la giurisprudenza di merito e di legittimità ha il doveredi operare una equiparazione tra i diritti dellecoppie eterosessuali sposate e quelli delle coppieomosessuali “necessariamente” solo conviventi.Dopo la totale parificazione tra i diritti e le situazionigiuridiche delle coppie conviventi more uxorio,a prescindere dal sesso dei componenti, cui meritoriamentela magistratura si è da tempo dedicata(44), è ora giunto il momento che, con una maggiorNote:(42) Sulla base dell’assunto che “in tema di diritto dello stranieroal ricongiungimento familiare, il cittadino extracomunitario legatoad un cittadino italiano ivi dimorante da un’unione di fatto debitamenteattestata nel paese d’origine del richiedente, non può esserequalificato come ‘familiare’ ai sensi dell’art. 30 comma 1 lett.c) d.lgs. n. 286 del 1998, in quanto tale nozione, delineata dal legislatorein via autonoma, agli specifici fini della disciplina del fenomenomigratorio, non è suscettibile di estensione in via analogicaa situazioni diverse da quelle contemplate, non essendo taleinterpretazione imposta da alcuna norma costituzionale”. Cass.,sez. I, 17.03.09, n. 6441, in Giust. civ. Mass., 2009, 3, 464.(43) Fonte: www.certidiritti.it, 28.09.12 “Anche le coppie dellostesso sesso che hanno un’unione civile celebrata all’esteropossono ottenere il permesso di soggiorno in <strong>Italia</strong>”.(44) Ex multis, Trib. Roma 20.11.1982, in Riv. giur. edil., 1983, I,959, per cui “la convivenza more uxorio nell’immobile locato, delconduttore omosessuale con un amico, alla pari dell’ipotesi diconvivenza tra eterosessuali, esclude la configurabilità di un rapportodi sublocazione che legittima il locatore a chiedere la risolu-(segue)800Famiglia e diritto 8-9/2013


GiurisprudenzaMatrimoniodose di coraggio, si dia attuazione alle indicazioniricevute dalle sentenze n. 138/10 Corte Cost. e n.4184/12 Cass. e, su sollecitazione degli interessati, siproceda speditamente al riconoscimento in concretodi tutta una serie di specifici diritti in favore dellecoppie same-sex, che altro non rappresentano se nonla materiale applicazione del più generale dirittofondamentale, riconosciuto dall’art. 2 Cost., di vivereliberamente una condizione di coppia, senzadiscriminazioni dovute all’orientamento sessuale,nell’attesa che il legislatore attui, anche sotto taleprofilo, la nostra Costituzione.Nota:(continua nota 44)zione del contratto”; Trib. Firenze 11.08.1986, in Dir. eccl., 1989,II, 367 e Trib. Milano 1.07.1993, in Gius, 1994, 103, che hanno riconosciutola qualifica di obbligazione naturale alle donazioni traconviventi omosessuali; Trib. Milano, sez. lavoro, 15.12.09, inedita,che ha accertato il diritto del convivente omosessuale moreuxorio ad iscriversi alla Cassa Mutua nazionale delle BCC; Trib.Milano 13.11.2009, ord., in Resp. civ. e prev., 2010, 412, con notadi Bilotta, La convivenza tra persone dello stesso sesso è ancoraun tabù?, che ha affermato il diritto al risarcimento del dannoda morte del convivente omosessuale; G.U.P. Roma 19.07.07,ord. inedita, con cui è stata ammessa la costituzione di partecivile del convivente same-sex della vittima di un reato di omicidionel processo penale a carico del presunto assassino.Famiglia e diritto 8-9/2013 801


GiurisprudenzaMinoriInteresse del minoreTRIBUNALE DI MILANO, sez. IX civ., 23 marzo 2013, ord. - Est. BuffoneSeparazione giudiziale - Diritto del minore alla bigenitorialità - Affidamento condiviso - Affidamento esclusivo - Interessedel minore - Esercizio del diritto di visita del genitore non affidatario - Assenza pregiudizio minore - Frequentazionedel minore da parte del convivente del genitore non collocatario(C.c. artt. 155, 155 bis; c.p.c. art. 709 ter; l. n. 54/2006)In assenza di pregiudizio per il minore e adottando le opportune cautele il genitore ha il diritto di coinvolgereil proprio figlio nella sua nuova e stabile relazione sentimentale.Il graduale inserimento dei nuovi compagni, nella vita dei figli di genitori separati, corrisponde al loro benesseresempre che i legittimi genitori abbiano cura e premura di far comprendere alla prole che le nuove figurenon si sostituiscono a quelle genitoriali.ORIENTAMENTI GIURISPRUDENZIALIConforme App. Napoli 12 aprile 2005; Cass. 9 gennaio 2009, n. 283OmissisOsservaAll’udienza del 21 marzo 2013, i genitori, con l’assistenzadei rispettivi difensori, hanno riferito di avere trovato unaccordo quanto all’ampliamento del diritto di visita delpadre, nel senso di incrementare lo statuto delle frequentazioni,mediante l’introduzione del rapporto di visita padre-figlioanche nei fine settimana in via alternata, conprelievo della prole nel sabato pomeriggio e riaccompagnamentodella stessa, dalla madre, la domenica sera. È,tuttavia, sorto contrasto in ordine alla possibilità o nonper il padre (genitore non collocatario), durante questafase della frequentazione, di coinvolgere la nuova conviventela quale abita con lui, avendo i due costituito unanuova famiglia di fatto, unita dalla coabitazione. Sortocontrasto sul punto, i genitori, su sollecito del giudice,hanno rimesso la risoluzione della questione al Tribunale.Il conflitto genitoriale sopra denunciato va risolto ai sensidell’art. 709-ter c.p.c., norma applicabile al procedimentodivorzile, in forza dell’art. 5, comma II, Legge 8febbraio 2006, n. 54.In fattoGiova ricordare che i coniugi hanno contratto matrimonioconcordatario il … 1998 (dalla cui unione è nato X,il .. 2000, minore di cui qui si tratta) e si sono separati(giudizialmente) in data .. 2007 (giusta sentenza del Tribunaledi Milano n. .../2007). A conclusione del giudiziodi separazione, il Collegio ha affidato il figlio dei partnersalla madre, introducendo, quanto al diritto di visita delpadre, l’intervento dei Servizi Sociali. Con il ricorso introduttivodel giudizio divorzile, la madre ha richiesto -per quanto qui interessa - la conferma dell’affido esclusivo«con regolamentazione del rapporto padre - minoreche l’Ill.mo Tribunale vorrà determinare» (v. ricorso pag.6); dunque, almeno in quella sede, nulla osservando o richiedendocirca la frequentazione del figlio con la nuovacompagna del padre. Con la memoria di costituizione nelprocesso, il padre ha, invece, richiesto l’affido condivisodella prole. Nella comparsa di costituzione dinanzi al giudiceistruttore, il padre ha, poi, insistito per la possibilitàdi presentare al figlio la nuova compagna - … (35 anni) -con la quale ha instaurato una relazione affettiva di fattoda oltre tre anni (circostanze di fatto da ritenersi pacifiche,poiché non contestate, v. art. 115 c.p.c.). Nella suamemoria integrativa, l’attrice ha ribadito le proprie istanze.All’udienza presidenziale del 9 ottobre 2012, la madreriferiva di essere disposta all’affido condiviso del figlio,purché il padre condividesse il medesimo progetto educativoe gestorio. Il Presidente del Tribunale introduceva ildiritto di visita padre - figlio, senza la possibilità del pernottamento,con previsione che gli incontri avvenisseroin assenza di estranei, parenti o la nuova compagna delmedesimo.In dirittoGiova muovere da due dati di primaria importanza, difatto rilevanti ai fini della risoluzione del conflitto genitoriale.In primis, devesi rilevare come la parte attrice,nel richiedere che il padre non frequenti il figlio alla presenzadella nuova compagna, non abbia allegato alcunacircostanza da ritenersi ostativa alla relativa frequentazione,nel senso che non si rintracciano deduzioni in fattoidonee a far ritenere al giudicante che la presenza dellanuova compagna potrebbe rivelarsi di pregiudizio (oanche meramente rischiosa) per il minore. Ne consegueche la relativa istanza si fonda su un assioma privo di sostegnomotivazionale e, dunque, si traduce di una meraopinione soggettiva della madre, che non trova riscontronemmeno nei fatti notori di cui il giudice potrebbe tenereconto a prescindere dalle allegazioni. In secundis, devesirilevare come l’intervento del Presidente - nel sensodi escludere la nuova compagna del padre dal diritto divisita - sia stato pronunciato «allo stato» (rebus sic stantibus,v. pag. 2 verbale udienza) in stretta correlazione con802Famiglia e diritto 8-9/2013


GiurisprudenzaMinorii brevi periodi di incontro con il minore e, soprattutto,per l’assenza precipua del pernottamento. L’intenzioneevidente era, allora, quella di avviare un’opera di ricostruzionedel rapporto genitoriale che necessariamentemuove dall’incontro uti singuli del genitore con il propriofiglio. Ma si tratta di una pronuncia - come detto: allostato degli atti - da retrodatare ad ottobre del 2012 e,dunque, risalente a cinque mesi fa. Il fatto che, a questopunto, le condizioni in fatto siano mutate, si trae dallostesso accordo dei genitori che - proprio per le sopravvenienze- giudicano necessario per il figlio, la introduzionedel pernottamento. Figlio che - opportuno rimarcarlo -compirà quest’anno 13 anni ed ha già affrontato la separazionedei genitori, del 2004. Nella relazione dei ServiziSociali del 19 marzo 2013, peraltro, gli osservatori esternidanno atto dell’intenzione del padre di potere far frequentarela sua nuova compagna al figlio e si astengonoda qualunque giudizio, così non attribuendo all’eventoalcun rilievo negativo. Analoghi rilievi “negativi” sonoassenti nella relazione dello psicologo del 22 giugno2012. Alla luce dello sfoglio probatorio sin qui condotto,manca in modo assoluto, allo stato, alcuna prova o indizioche la frequenza del figlio con la nuova compagna delpadre possa nuocere al minore. In assenza di elementi circostanziatiche suggeriscano la distanza tra figlio e nuovacompagna del genitore, quest’ultima non può essereesclusa dal rapporto di vita del padre con Stefano.Va premesso che il convivente del genitore, il quale abiticon questi in modo permanente, non è qualificabile comemero «ospite»: dal momento che “la famiglia di fattoè compresa tra le formazioni sociali che l’art. 2 della Costituzioneconsidera la sede di svolgimento della personalitàindividuale, il convivente gode della casa familiare,di proprietà del compagno o della compagna, per soddisfareun interesse proprio, oltre che della coppia, sulla basedi un titolo a contenuto e matrice personale la cui rilevanzasul piano della giuridicità è custodita dalla Costituzione,sì da assumere i connotati tipici della detenzionequalificata” (Cass., sez. II, 21 marzo 2013 n. 7214). Neconsegue che: sotto un primo angolo prospettico, in assenzadi pregiudizio per il minore e adottando le opportunecautele, il genitore ha diritto a coinvolgere il propriofiglio nella sua nuova relazione sentimentale, trattandosidi una formazione sociale a rilevanza costituzionale; ciò,a maggior ragione, dove il periodo di riferimento non siaquello immediatamente successivo alla separazione (e piùdelicato) ma, addirittura, quello divorzile a distanza di 9anni dalla rottura della convivenza madre - padre; sottoun’altra visuale, il divieto di frequentazione del nuovoconvivente del genitore non collocatario, di fatto puòtradursi in una lesione del diritto di visita inclusivo delpernottamento proprio perché, come sopra rilevato, ilnuovo partner non è un mero ospite che può essere allontanatotout court dalla casa; l’effetto sarebbe porre ilpadre di fronte ad una scelta che mette da una parte lanuova compagna e dall’altro il figlio; quanto troverebbegiustificazione solo se il preminente interesse della prolefosse esposto a rischio. Caso non ricorrente. Valga anchericordare l’arresto Cass. civ., sez. I, sentenza 9 gennaio2009 n. 283 dove la Cassazione ha confermato integralmentela decisione della Corte di appello di Napoli equindi anche nella parte in cui aveva revocato il divietoimposto per il padre di far frequentare alla figlia la suanuova compagna. Concludendo, merita di essere citata lamigliore letteratura psicologica sul punto: si ritiene che ilgraduale inserimento dei nuovi compagni, nella vita deifigli di genitori separati, corrisponda al loro benessere,dove madre e padre abbiano cura e premura di far comprenderealla prole che le nuove figure non si sostituisconoa quelle genitoriali.Entrambe le parti hanno richiesto sentenza parziale di divorzio.Si provvede in conformità.P.Q.M.letti ed applicati gli artt. 155 c.c., 709-ter c.p.c.DISPONE, ad integrazione delle condizioni regolativedel divorzio, come stabilite con ordinanza presidenzialedel 9 ottobre 2012, che AAA possa frequentare il figlioanche in tutti i fine settimana dispari (a partire dalla primasettimana di aprile 2013) con prelievo della prole nelsabato pomeriggio (nella fascia oraria tra le 15.00 e le16.00) e riaccompagnamento della stessa, dalla madre, ladomenica sera (dopo cena, nella fascia oraria tre le 20.00e le 21.00). Limitatamente ai settimana in esame, il padrepotrà frequentare il figlio alla presenza della propriacompagna, ma garantendo il benessere primario del minorecon gli accorgimenti necessari e del caso.CONFERMA, nel resto, per quanto di ragione.FISSA l’udienza del 7 maggio 2013, ore 9.15, per la precisazionedelle conclusioniMANDA alla cancelleria perché l’odierna ordinanzavenga comunicata alle parti, incluso il P.M.Famiglia e diritto 8-9/2013 803


GiurisprudenzaMinoriAFFIDAMENTO CONDIVISO DELLA PROLE E CONVIVENZAMORE UXORIO DI UNO DEI GENITORI: LA PRESENZADEL NUOVO PARTNER NON PUÒ COSTITUIRE OSTACOLOAL DIRITTO DI VISITA DEL GENITOREdi Katia Mascia (*)La decisione in esame offre l’occasione di riflettere sul tema dell’affidamento condiviso, quale regime ordinarioe preferenziale di affidamento della prole nei casi di disgregazione della vita familiare, in sostituzionedel precedente regime dell’affidamento monogenitoriale, il quale, pur essendo relegato ad extrema ratio,non è stato bandito dal nostro sistema. L’Autrice si sofferma, in particolare, sulla possibilità riconosciuta didisporre l’affidamento condiviso di un figlio anche in presenza di una nuova relazione di fatto intrapresa dauno dei genitori.1. La vicendaNel 1998 le parti contraevano matrimonio concordatarioe nel 2000 l’unione veniva allietata dalla nascita diun bambino. I coniugi, tuttavia, si separavano giudizialmentenel 2007. Il minore veniva affidato, in via esclusiva,alla madre mentre al padre veniva riconosciuto ildiritto di visita con l’intervento dei Servizi Sociali.Con il ricorso introduttivo del giudizio divorzile, lamadre richiedeva che fosse riconfermato - nei suoiconfronti - l’affidamento esclusivo del minore, conregolamentazione del rapporto padre - minore neimodi che il Tribunale avrebbe stabilito.Costituendosi in giudizio, il padre chiedeva, invece,l’affidamento condiviso della prole, insistendo altresìnella richiesta della possibilità di presentare al figliola sua nuova partner, con la quale, nel frattempo,aveva instaurato una stabile e duratura relazioneaffettiva di fatto.All’udienza presidenziale, la madre si riteneva dispostaall’affidamento condiviso del minore, purché ilpadre condividesse il medesimo progetto educativoe gestorio.Nell’ottobre 2012 il Presidente del Tribunale introducevail diritto di visita padre - figlio escludendo lapossibilità del pernottamento, stabilendo che gli incontriavvenissero in assenza di estranei, di parenti odella nuova compagna del medesimo.All’udienza del 21 marzo 2013, i genitori, assistitidai rispettivi legali, riferivano di aver raggiunto unaccordo in merito all’ampliamento del diritto di visitadel minore da parte del padre, avendo essi decisodi incrementare le frequentazioni e prevedendoanche la possibilità da parte del padre di visitare il figliodurante i fine settimana, in via alternata, conprelievo della prole nel sabato pomeriggio e riaccompagnamentodella stessa, presso la casa materna,la domenica sera.Sorgeva, tuttavia, un contrasto in ordine alla possibilitàper il padre, genitore non collocatario, durantequesta fase della frequentazione, di coinvolgerenella stessa anche la nuova partner, con lui stabilmenteconvivente, e con la quale egli aveva costituitouna nuova famiglia di fatto, unita dalla coabitazione.I genitori, dunque, sollecitati dal giudicante, rimettevanola risoluzione della questione al Tribunaleche lo risolveva ai sensi dell’art. 709-ter c.p.c.2. Il diritto del minore alla bigenitorialità.L’affidamento condiviso e l’affidamentoad un solo genitoreL’art. 155 c.c. (“Provvedimenti riguardo ai figli”) - cosìsostituito dall’art. 1 della legge 8 febbraio 2006, n.54, recante “Disposizioni in materia di separazione deigenitori e affidamento condiviso dei figli” -, prevede,quale regola in materia di affidamento della prole,l’«affidamento condiviso» (1) della stessa ad en-Note:(*) Il contributo è stato sottoposto, in forma anonima, alla valutazionedi un referee.(1) La locuzione “affidamento condiviso”, che il legislatore utilizzanell’intitolazione della legge e nella rubrica dell’art. 155 bis c.c.senza tuttavia definirne i caratteri, rimanda ad un’idea di compartecipazionedei genitori nei compiti di cura e crescita del figlio;secondo il significato letterale dell’espressione, condivideresignifica “spartire insieme con altri”: nella specie, infatti, ciascungenitore spartisce con l’altro la cura e i compiti educativi del figlio.L’affidamento condiviso, inteso come ripartito fra i genitori,si differenzia quindi nettamente dal congiunto, che vede i genitoriesercitare il loro ruolo assieme, cioè a mani unite (M. Sesta,Le nuove norme sull’affidamento condiviso: a) profili sostanziali,in questa Rivista, 2006, 4, 377 ss.). Per A. Figone, Alcune questioniapplicative in tema di affidamento condiviso, in questa Rivista,2006, 6, 642: “Può ritenersi che con tale locuzione si siavoluto sottolineare il profilo della partecipazione attiva, in modoconcertato, di entrambi nella crescita del figlio, in un contestoche abbia a valorizzare il loro rispettivo ruolo, ma pure li responsabilizzi”.804Famiglia e diritto 8-9/2013


GiurisprudenzaMinoritrambi i genitori, anche in caso di crisi e di disgregazionedell’unione familiare. Il legislatore ha, dunque,limitato il precedente regime di affidamentoesclusivo, monogenitoriale, al caso residuale in cui ilgiudice ritenga, con provvedimento motivato, chel’affidamento all’altro sia contrario all’interesse delminore, come espressamente sancito dall’art. 155 bisc.c. (2).La ratio giustificatrice di tale previsione va ravvisatanell’esigenza di garantire alla prole minorenne il dirittodi mantenere, anche in seguito alla disgregazionedel nucleo familiare, un rapporto equilibrato econtinuativo con ciascuno dei genitori, di riceverecura, educazione e istruzione da entrambi (3) e diconservare rapporti significativi con gli ascendenti econ i parenti di ciascun ramo genitoriale.Come affermatosi in giurisprudenza (4), quella dell’affidamentocondiviso è una regola non negoziabiledai genitori e, soprattutto, non è ammissibile unarinuncia all’affido bigenitoriale da parte di uno deipartners, in quanto trattasi di un diritto del fanciulloe non dei genitori: ciò è oggi reso evidente e palesedall’art. 315-bis c.c. (“Diritti e doveri del figlio”), inseritodalla legge 10 dicembre 2012, n. 219, secondoil quale, tra l’altro, il figlio ha diritto di essere mantenuto,educato, istruito e assistito moralmente daigenitori, nel rispetto delle sue capacità, delle sue inclinazioninaturali e delle sue aspirazioni, nonché dicrescere in famiglia e di mantenere rapporti significativicon i parenti. Ne consegue che, nei casi in cuii genitori intendano stabilire l’affido esclusivo, in sededi separazione consensuale, questi hanno l’oneredi specificare quali circostanze concrete, dettagliatee specifiche rendano l’altro motivo di pregiudizioper il minore o per lo stesso inadeguato.Il substrato della riforma del 2006 si individua nellalegislazione sovranazionale nella quale emerge l’intentodi attribuire al minore non più il ruolo di mero“oggetto” di contesa tra i genitori, quanto piuttostodi “soggetto di diritti” (5).Pertanto, in seguito all’introduzione della legge n.54/2006, l’interesse della prole assume maggiorecentralità rispetto alle conseguenze della disgregazionedel rapporto di coppia (6).Note:(2) Ad avviso della dottrina è significativo che la legge abbiaomesso il termine “anche”, inizialmente presente, a sottolineareche si può escludere un genitore dall’affidamento soltanto perle sue carenze e non per la sua relazione con l’altro, solo, cioè,ove il giudice ritenga motivatamente, che affidare i figli a “quel”genitore sarebbe contrario al loro interesse (M. Maglietta, L’affidamentocondiviso dei figli, Milano, 2006, 44); “Alla regola dell’affidamentocondiviso dei figli può derogarsi solo ove la sua applicazionerisulti “pregiudizievole per l’interesse del minore”,con la duplice conseguenza che l’eventuale pronunciadi affidamento esclusivo dovrà essere sorretta da una motivazionenon più soltanto in positivo sull’idoneità del genitore affidatario,ma anche in negativo sulla inidoneità educativa ovveromanifesta carenza dell’altro genitore” (Trib. Roma 11 ottobre2012); “L’istituto dell’affido condiviso della prole ad entrambi igenitori, introdotto nella norma di cui all’art. 155 c.c. dalla leggen. 54 del 2006, costituisce la regola in materia di affidamento deifigli minori in caso di rottura dell’unione familiare, così sostituendosial precedente regime di affidamento esclusivo ad unosolo di essi, che resta limitato ai casi in cui il Giudice ritenga, conprovvedimento motivato, che l’affidamento all’altro coniuge siacontrario all’interesse del minore, adottando, così, la soluzionepiù idonea a ridurre al massimo i danni derivanti dalla disgregazionedel nucleo familiare. La regola dell’affidamentocondiviso dei figli può derogarsi, in via eccezionale, solo quandola sua applicazione risulti pregiudizievole per l’interesse delminore, allorché sia provata in positivo, l’idoneità del genitore affidatario,ed in negativo l’inidoneità dell’altro, vale a dire la manifestacarenza o inidoneità educativa del medesimo o, comunque,la presenza di una condizione tale da rendere l’affidocondiviso in concreto dannoso per il minore” (Trib. Trento 6agosto 2010); “In materia di separazione dei coniugi, il Giudice,nel decidere in merito all’affidamento dei figli minori, deve attenersial criterio fondamentale ex art. 155, comma 1, c.c., dell’esclusivointeresse morale e materiale della prole, adottando lesoluzioni più idonee a ridurre al massimo i danni derivanti dalladisgregazione del nucleo familiare, onde assicurare il miglioresviluppo possibile della personalità del minore. In tal senso, nelcaso di specie, in riforma a quanto sancito nella sentenza di primogrado, si è ritenuto più vantaggioso ed opportuno per la figliaminore l’affido condiviso ad entrambi i genitori, non essendoemersi elementi tali da rendere tale situazione insostenibile onon idonea a garantire il benessere della minore” (App. Napoli 5marzo 2010); “L’istituto dell’affido condiviso della prole ad entrambii genitori, introdotto nella norma di cui all’art. 155c.c. dalla legge n. 54 del 2006, si è posto quale nuovo regime ordinariodell’affidamento dei figli per il caso di rottura dell’unionefamiliare, così sostituendosi al precedente regimedi affidamento esclusivo ad uno solo di essi. In tale prospettiva,pertanto, riconoscendo la nuova normativa la bigenitorialitàcome un diritto insopprimibile non solo nell’interesse esclusivodei figli minori ma anche di entrambi i genitori, che conservanoa loro volta non solo un interesse mediato, tutelabile attraversoquello diretto della prole, ma immediato e diretto, a mantenereun rapporto costante con i figli, l’affidamentocondiviso diviene la norma, tale che il giudice è tenuto a motivarele ragioni del ricorso ad un regime di affidamento diversoda quello (nuovo, introdotto come) ordinario, con specifico riferimentoall’interesse della prole a vivere in via esclusiva con unosolo dei genitori (…)” (Trib. Bari 10 ottobre 2008).(3) “L’affidamento condiviso introdotto dalla L. 8 febbraio 2006,n. 54, che promuove il valore della bigenitorialità, demandandoad entrambi di prendere congiuntamente le decisioni di maggiorrilievo nell’interesse dei figli, quali quelle in tema di salute, diistruzione e di educazione, oltre a coinvolgere più significativamenteentrambi i genitori nella vita del minore, garantisce a quest’ultimodi sviluppare con paritetica intensità il vincolo affettivocon entrambi i genitori, sì da poter trarre da ognuno di essi i necessariinsegnamenti per favorirne la migliore evoluzione nellacrescita” (App. Roma 14 novembre 2007); G. Manera, L’affidamentocondiviso dei figli nella separazione e nel divorzio, Rimini,2007, 32: “(…) per una crescita equilibrata ed una corretta evoluzionepsicologica del minore è indispensabile la compresenzaeducativa di entrambi i genitori, onde il minore deve continuarea mantenere un rapporto significativo ed equilibrato con entrambii genitori anche dopo la loro separazione”.(4) Trib. Varese 21 gennaio 2013, in www.ilcaso.it, 2013.(5) A. Arceri, L’affidamento condiviso, 2007, 7-8.(6) Cass. 10 maggio 2011, n. 10265.Famiglia e diritto 8-9/2013 805


GiurisprudenzaMinoriIl legislatore, infatti, ha riaffermato un principio giàda tempo introdotto nel nostro ordinamento attraversola legge 27 maggio 1991, n. 176 - che ha ratificatoe dato esecuzione in <strong>Italia</strong> alla Convenzionedi New York del 20 novembre 1989 sui diritti delfanciullo -, la quale, all’art. 9, comma 3 (7), all’art.10, comma 2 (8), e all’art. 18, comma 1 (9), prevedeil diritto alla bigenitorialità.Il diritto del minore alla bigenitorialità è un vero eproprio diritto del bambino, da tutelare e garantirecome tale, anche d’ufficio (10). Con la previsione ditale principio si è voluto affermare il dirittosoggettivo del minore - inteso come diritto allapersonalità - ad avere una relazione significativa conil padre e con la madre, indipendentemente dal prevalentecollocamento - inteso come mera razionalizzazionedei tempi di permanenza nel singolo ambitogenitoriale - e ciò a prescindere sia dal rapporto personalee patrimoniale tra i due coniugi, sia dagliaspetti economici riguardanti la vita del minore(11).La bigenitorialità sopravvive alla fine del rapportoconiugale, in quanto, cessare di essere marito e moglienon significa non essere più rispettivamentemadre e padre, anzi impone di mantenere una responsabilitàverso i figli, protagonisti di una vicendache non hanno scelto, ma che è stata importanteanche o soprattutto per loro (12).Tuttavia, anche se la regola generale (e prioritaria),nel nostro ordinamento, in seguito alla novella del2006, diventa quella che prevede l’affidamento dellaprole minorenne ad entrambi i genitori, l’affidamentomonogenitoriale non viene eliminato completamente,essendo considerato un’ipotesi residuale(13), un’extrema ratio rispetto all’affidamento deifigli ad entrambi genitori e ricorrendo in presenza dicircostanze tali da far ritenere opportuno e prevalente,nell’interesse del minore, l’affidamento ad unsolo genitore (art. 155 bis c.c.) (14).L’interesse del minore, dunque, costituisce esclusivoNote:(7) “Gli Stati parti rispettano il diritto del fanciullo separato da entrambii genitori o da uno di essi, di intrattenere regolarmenterapporti personali e contatti diretti con entrambi i suoi genitori, ameno che ciò non sia contrario all’interesse preminente del fanciullo”.(8) “Un fanciullo i cui genitori risiedono in Stati diversi ha dirittoad intrattenere rapporti personali e contatti diretti regolari conentrambi i suoi genitori, salvo circostanze eccezionali”.(9) “Gli Stati parti faranno del loro meglio per garantire il riconoscimentodel principio comune secondo il quale entrambi i genitorihanno una responsabilità comune per quanto riguarda l’educazionedel fanciullo ed il provvedere al suo sviluppo. La responsabilitàdi allevare il fanciullo e di provvedere al suo sviluppo incombeinnanzitutto ai genitori oppure, se del caso ai genitori delfanciullo oppure, se del caso ai suoi rappresentanti legali i qualidevono essere guidati principalmente dall’interesse preminentedel fanciullo”.(10) Trib. Rimini 21 ottobre 2006, in questa Rivista, 2007, 5, 481,con nota di A. Arceri, Libertà di stabilimento, affidamento condivisoed affidamento esclusivo: un difficile rapporto a tre; per Trib.Bari 16 gennaio 2008, in www.affidamentocondiviso.it, la nuovanormativa riconosce la bigenitorialità come diritto insopprimibilenon soltanto nell’interesse esclusivo dei figli minori, ma anche dientrambi i genitori i quali conservano, a loro volta, non solo un interessemediato, tutelabile attraverso quello diretto della prole,ma immediato e diretto, a mantenere un rapporto costante coni figli alle cui scelte di vita essi devono continuare a concorrere inmodo significativo. Per G. Manera, L’affidamento condiviso, cit.,33, la bigenitorialità non è solo una rivendicazione legittima delgenitore non affidatario, ma è, anche e soprattutto, un dirittosoggettivo, assoluto ed inviolabile, del minore ad avere rapportisignificativi, continui, regolari e costanti con entrambi i genitori.In tale senso anche M. Marino, L’inadeguata discussione parlamentareha impedito un corretto affido condiviso, in Guida al dir.,2006, 7, 1. Secondo l’Autore la bigenitorialità - oltre ad essere unvalore da incrementare - è soprattutto un diritto dei figli a intrattenereun rapporto equilibrato e continuativo con ciascun genitorefin dalla nascita. Diritto che merita di essere tutelato e salvaguardatoanche in un momento così difficile quale quello dellacrisi coniugale.(11) Trib. Milano 5 marzo 2009.(12) M. Lucidi, intervento al Convegno I nuovi genitori … dallaparte dei figli, in www.socialnews.it, marzo 2005.(13) “L’art. 155 c.c., così come modificato, sancisce il diritto delfiglio minore, in caso di separazione personale dei genitori, dimantenere un rapporto equilibrato e continuativo con ciascunodi essi e di ricevere cura ed educazione da entrambi e, per realizzaretale finalità, prevede che il giudice adotti i provvedimentirelativi alla prole con esclusivo riferimento all’interesse morale emateriale di essa e che debba valutare prioritariamente la possibilitàche i figli minori restino affidati a entrambi i genitori. Il giudicepuò disporre l’affidamento del figlio minore ad uno solo deigenitori nell’ipotesi in cui ritenga, con provvedimento motivato,che l’affidamento all’altro sia contrario all’interesse del minore(art. 155 bis c.c). La nuova disciplina prevede pertanto come regolaordinaria il principio dell’affidamento condiviso e solo comeeccezione, da motivare adeguatamente, quello esclusivo ad unodei coniugi” (App. Roma 11 luglio 2007); “Con l’entrata in vigoredella riforma di cui alla L. 8 febbraio 2006, n. 54, di immediata applicazioneanche ai procedimenti pendenti, la regola è costituitadall’affidamento condiviso, avendo natura meramente residualel’ipotesi di affidamento esclusivo da attuare solo quando il primorisulti contrario all’interesse del minore” (Trib. Bari 24 luglio2007). In dottrina, G. Manera, L’affidamento condiviso, cit., 32:“(…) la soluzione c.d. monogenitoriale (ossia l’affidamentoesclusivo del minore ad uno dei genitori, con diritto di visita daparte del genitore non affidatario) non appare soddisfacente, inquanto essa priva, in buona sostanza, il minore dell’apporto educativodi uno dei genitori, mentre il minore ha diritto di avere relazionistabili e significative con entrambi i genitori pur dopo la loroseparazione (c.d. diritto alla bigenitorialità)”.(14) Cass. 29 marzo 2012, n. 5108, in www.ilcaso.it, 2012; Trib.Bologna 10 aprile 2006, in www.affidamentocondiviso.it; Trib.Catania 24 aprile 2006, in www.affidamentocondiviso.it; Trib.Napoli 9 novembre 2006, in Famiglia e minori, 2007, 5, 83; G.Cassano, Giurisprudenza e formule dell’affidamento condiviso,Rimini, 2008, 17: “Il riconoscimento del diritto alla bigenitorialità,che è una finalità certamente intesa a preservare la serenità deifigli nella delicata, e spesso conflittuale, fase della separazionedei genitori è rimessa, quanto alla sua concreta attuazione nelcaso di specie, al prudente provvedere del giudice che pronunciala separazione personale dei coniugi il quale è tenuto ad adottare“i provvedimenti relativi alla prole con esclusivo riferimentoall’interesse morale e materiale di essa”.806Famiglia e diritto 8-9/2013


GiurisprudenzaMinoricriterio di valutazione in rapporto alle diverse e specificheconnotazioni dei singoli casi dedotti in sedegiudiziaria.Pertanto, la mera conflittualità esistente tra i coniuginon preclude il ricorso a tale regime (preferenziale)di affidamento, ma soltanto se si mantenga nei limitidi un tollerabile disagio per la prole. Invece,qualora si esprima in forme volte ad alterare e a porrein serio pericolo l’equilibrio e lo sviluppo psicofisicodei figli e, dunque, tali da pregiudicare il loro superioreinteresse, il legislatore contempla la possibilitàper il giudice di disporre l’affidamento monogenitorialequalora ritenga, con provvedimento motivato,che l’affidamento all’altro genitore sia contrarioall’interesse del minore (15).Affinché possa derogarsi alla regola dell’affidamentocondiviso occorre, dunque, che risulti, nei confrontidi uno dei genitori, una sua condizione di manifestacarenza o inidoneità educativa o comunque tale darendere quell’affidamento in concreto pregiudizievoleper il minore, con la conseguenza che l’esclusionedella modalità dell’affidamento esclusivo dovràrisultare sorretta da una motivazione non più soloin positivo sulla idoneità del genitore affidatario,ma anche in negativo sulla inidoneità educativa delgenitore e sulla non rispondenza all’interesse del figliodell’adozione del modello legale prioritario diaffidamento (16).Valutata, dunque, la possibilità di ricorrere all’affidamentocondiviso della prole, il giudice, qualora questonon possa essere attuato, deciderà a quale dei due co-Note:(15) K. Mascia, Il diritto processuale della famiglia in crisi - Affidamentocondiviso, separazione e divorzio, Padova, 2008, 95; G.Dosi, L’affidamento condiviso, in www.minoriefamiglia.it, 4, ilquale sostiene che “Se i genitori appaiono capaci di ridurre la loroconflittualità nell’interesse dei figli minori il giudice potrà “affidarei figli ad entrambi i genitori” altrimenti il legislatore mettea disposizione del giudice l’alternativa dell’affidamento ad unosoltanto di essi. Questa alternativa costituisce, perciò, la principalevalvola di sicurezza del nuovo sistema. Si tratta, quindi, diuna inversione del sistema precedente fondato sulla previsionein via prioritaria dell’affidamento esclusivo ad un genitore soltantoe sulla previsione in via eccezionale di altre modalità di affidamento”.Qualche Autore sostiene che, nell’ottica del legislatoredel 2006, l’affidamento condiviso svolgerebbe un ruolo promozionaleper l’attivazione di un rapporto dialogico tra i genitori,spronati a comunicare tra loro proprio a cagione della necessariaripartizione della responsabilità genitoriale (M.N. Bugetti, Affidamentocondiviso e affidamento monogenitoriale, in L’affidamentodei figli nella crisi della famiglia, a cura di M. Sesta e A. Arceri,Torino, 2012, 59. In giurisprudenza si afferma che: “L’elevataconflittualità tra i genitori può costituire motivo idoneo e sufficientead escludere l’affidamento condiviso della prole quandoessa, per le sue caratteristiche ed incidenza, si presenti suscettibiled’ingenerare patologie nel figlio minore” (Cass. 29 marzo2012, n. 5108); cfr. Trib. Napoli 28 giugno 2006, in questa Rivista,2007, 6, 621, con nota di M. Iannaccone: “La conflittualità tra igenitori può ostare all’applicazione dell’affidamento condivisose in grado di porre tale forma di affidamento in contrasto conl’interesse del minore. Ciò si realizza qualora detto conflitto - diper sé non sufficiente a disporre l’affidamento monogenitoriale- si sostanzi nella negazione da parte di un coniuge della capacitàgenitoriale dell’altro. Infatti, l’affidamento condiviso presupponealmeno il reciproco riconoscersi adatti da parte dei genitori,ossia, in altri termini, la consapevolezza di ciascuno di essi didover fornire e favorire un paritario accesso del minore alla figuradell’altro, pur se portatore di cultura, personalità, idee, diverseda quelle proprie; “(…) la sola conflittualità esistente tra i genitorinon è motivo sufficiente per ritenere contrario all’interessedei figli il loro affidamento ad entrambi, atteso che fai dipenderela scelta del regime di affidamento esclusivo o condiviso,dal più o meno armonico rapporto esistente tra i genitori separati,significherebbe subordinare il primario diritto dei figli allamera qualità dei rapporti tra i genitori, i quali potrebbero addiritturastrumentalizzare il loro conflitto al fine di acquisire un maggiorepotere di reciproca interdizione alla piena realizzazione moralee materiale di ciascuno con la prole, vanificando di fatto ilfondamentale diritto dei minori a vivere da figli di entrambe le figureparentali. L’ostacolo alla bi genitorialità va, pertanto, ravvisatoe motivato, ove esistente, esclusivamente nell’ambito delrapporto diretto tra figlio e il singolo genitore, che configuri unasituazione di pregiudizio o anche di mero disagio per lo stessominore tale da giustificare la limitazione del medesimo rapporto”(App. Roma 26 novembre 2008); “L’affidamento condivisorichiede, per essere concretizzato, una convergenza di intenti daparte dei genitori ed una consapevole adesione ad un programmaeducativo comune difficilmente realizzabile nell’ipotesi di accesaconflittualità tra i coniugi” (App. Bari 19 gennaio 2007, inquesta Rivista, 2008, 3,300); “Per una concreta e giusta attuazionedell’affidamento condiviso non si richiede la totale assenzadi divergenze in merito alle scelte educative che riguardano ifigli ma è richiesta una reale apertura al confronto e alla mediazione.Pertanto l’affidamento condiviso riconosce ai genitori paridignità nella gestione delle responsabilità verso i propri figli”(App. Roma 25 luglio 2007). Deve farsi riferimento, al riguardo,a quanto sostenuto dal CISMAI (Coordinamento <strong>Italia</strong>no dei Servizicontro il Maltrattamento e l’Abuso all’Infanzia), Garantire ildiritto alla salute e alla protezione per bambine e bambini espostia violenza domestica, maltrattamenti, abuso sessuale:un impegnoforte che non si può rimandare, in www.cismai.org, ilquale ha affermato che “Per quello che riguarda la legge sull’affidamentocondiviso, pur condividendo il principio espresso dellabigenitorialità e l’affermazione del diritto dei figli di mantenereun rapporto continuativo con entrambi i genitori durante e dopola separazione, essa appare caratterizzata dal rischio di unapericolosa semplificazione nella misura in cui intende imporreun unico modello di affidamento per tutte le separazioni. L’imposizionedell’affidamento condiviso a due persone che si trovanoad affrontare una separazione non consensuale pone il rischiodi produrre effetti quali innalzamento della conflittualità,strumentalizzazione dei figli e conseguente disagio, tutte le voltein cui la condivisione della responsabilità genitoriale non passaattraverso una scelta spontanea e consapevole. In tale contesto,l’esclusione dell’affidamento condiviso nelle sole ipotesipreviste dall’art. 155 bis (casi di cui provvedimenti che escludonoo limitano la potestà genitoriale 330-333 c.c. o quando da ungenitore, se affidatario, possa derivare pregiudizio al minore) appaionolimitative. Anche i casi di abuso, violenza e maltrattamentoassistito dal minore dovrebbero rientrare nelle ipotesi diesplicita esclusione dell’affidamento condiviso poiché tali situazionisono caratterizzate da estrema gravità ed urgenza. In questicasi il farraginoso meccanismo di esclusione e opposizioneall’affido condiviso (che prevede una sorta di inversione dell’oneredella prova da parte del coniuge che intende ottenerel’affidamento esclusivo) può rivelarsi intempestivo, tardivo einefficace”.(16) Cass. 17 dicembre 2009, n. 26587, in Giur. it., 2010, 8-9,1797; cfr. Cass. 18 giugno 2008, n. 16593, in Nuova giur. civ.,Famiglia e diritto 8-9/2013 807


GiurisprudenzaMinoriniugi affidare i figli, in via esclusiva, determinando itempi e le modalità della loro presenza presso ciascungenitore, fissando la misura e il modo con il quale ciascunodi essi debba provvedere al mantenimento, allacura, all’istruzione e all’educazione degli stessi.L’affidamento condiviso non comporta necessariamenteuna convivenza del figlio con entrambi i genitori,né una sorta di affidamento alternato (17),ma soltanto una maggiore responsabilizzazione deigenitori nel ricercare una comune linea educativaper la prole (18).La previsione normativa non potrà intendersi, quindi,come necessità che il figlio si divida per tempi rigidamenteequiparati, tra le residenze dei genitori (19).Infatti, nel delineare gli aspetti dell’affidamentocondiviso, certamente non si è voluto imporre unasuddivisione paritaria dei tempi di permanenza delminore presso ciascun genitore.Anche se il legislatore del 2006 non ha imposto alleparti o al giudice l’individuazione di un genitore collocatariopreferenziale o presso il quale debba localizzarsila residenza del minore, nonostante il silenzionormativo al riguardo appare assolutamente necessarioche il giudice, in seno al provvedimento diaffidamento, indichi quale sarà la collocazione preferenzialedel minore, la sua dimora abituale (20). Ilminore necessita, infatti, di un riferimento abitativostabile e di un’organizzazione domestica coerente eadeguata alle sue necessità scolastiche e sociali (21).3. Segue. Il ruolo dell’autonomia negozialeAi sensi del novellato art. 155, comma 2, c.c., il giudiceprende atto, se non contrari all’interesse dei figli,degli accordi intervenuti tra i genitori e adottaogni altro provvedimento relativo alla prole.In altre parole, se i coniugi sono concordi nel continuarea fare i genitori insieme - anche se la loro vitamatrimoniale volge al termine -, e, quindi, sono ingrado di presentare un progetto educativo condiviso,anche se dal contenuto generico, il giudice nonsarà tenuto a predisporre un provvedimento dettagliato- potendosi limitare ad emettere un provvedimentomolto “asciutto” - lasciando la concreta attuazionedei compiti di cura ed educativi della proleagli accordi intervenuti tra i coniugi (22).Qualora, invece, i genitori esprimano posizioni contrastantie configgenti, il giudice dovrà articolare ilprovvedimento in maniera dettagliata, assegnandoad ognuno le rispettive sfere di competenza e inibendoall’uno e all’altro di ingerirvisi, fatte salve ledecisioni di maggiore importanza. In questa ipotesi,qualora nel prosieguo la conflittualità perduri e siatale da impedire in concreto il funzionamento dell’affidamentocondiviso, con conseguente pregiudizioper la prole, ciascun genitore potrà avvalersi dellafacoltà di domandare l’affidamento esclusivo, exart. 155 bis, comma 2 c.c., o invocare l’applicazionedell’art. 709 ter c.p.c (23).Note:2009,1,1,68, con nota di M. Mantovani.(17) L’art. 6, L. div., dopo le modifiche apportate dalla legge 6 marzo1987, n. 74, contemplava esplicitamente la possibilità per ilgiudice di disporre l’affidamento congiunto o alternato, comepossibili alternative rispetto all’affidamento monogenitoriale. L’affidamentoalternato, inteso come collocazione turnaria, in partepresso un genitore, in parte presso l’altro, non ha trovato molticonsensi: su di esso si sono appuntate molte critiche e riserve. Siriteneva, infatti, che l’affidamento alternato potesse essere fontedi una instabilità di vita e di abitudini della prole, tale da comprometterel’equilibrio del minore. Maggiore interesse ha, invece, riscossola figura dell’affidamento congiunto - che presuppone ilmassimo spirito collaborativo tra i coniugi - in base alla quale entrambii genitori provvedevano, “a mani unite”, ad esercitare lapotestà sui figli (tanto su questioni ordinarie che su quelle di rilevanteinteresse), che venivano mantenuti, istruiti ed educati sullabase di un concorde progetto. In merito a questa forma di affidamentosi è sostenuto in dottrina come, per l’ottimale funzionamentodell’affidamento congiunto, occorresse che i genitoriavessero raggiunto un “divorzio psichico”, cioè la consapevolezzadella necessità di tenere distinte le problematiche legate allacoppia da quelle riguardanti il ruolo genitoriale di ogni coniuge. Intal senso L. Napolitano, L’affidamento dei minori nei giudizi di separazionee di divorzio. Dall’affidamento esclusivo all’affidamentocondiviso - Esperienze pregresse e novità legislative a confronto,Torino, 2006, 64-65. Presupposti per l’operatività dell’affidamentocongiunto, ad avviso della giurisprudenza, sono stati ritenuti:l’accordo tra i genitori, stili di vita omogenei, la fissazione della residenzada parte dei genitori nella medesima località, l’esercizio diattività lavorativa, se non nel medesimo comune, quanto meno inzone tali da risultare facilmente raggiungibili per l’uno o per l’altrogenitore (Trib. Santa Maria Capua Vetere 14 settembre 1993, inGiur. merito, 1994, 270 ss.; App. Perugia 18 gennaio 1992, in Dir.fam. e pers., 1994, I, 148 ss. Si veda, per una rassegna giurisprudenzialein merito, C. Murgo, Affido congiunto e condiviso: vecchioe nuovo confronto in tema di affidamento della prole, in Nuovagiur. civ. comm., 2006, 547.(18) Trib. Salerno 30 giugno 2006, in questa Rivista, 2006, 6,639, con nota di A. Figone.(19) La caratteristica saliente dell’affidamento condiviso, nelnuovo sistema normativo, sta non tanto nella dualità della residenzae nella parità dei tempi che il minore trascorre con l’uno ocon l’altro genitore, ma piuttosto nella paritaria condivisione delruolo genitoriale. Nel programmare l’affidamento il giudice dovràconsiderare che ciò che importa non è una ripartizione analiticadella presenza fisica del figlio presso ciascuno dei genitori quanto,piuttosto, determinare un insieme di indicazioni che sianoidonee ad assicurare una adeguata relazione fisica ed affettivatra entrambi i genitori e i figli. In tal senso A. Scalisi, Il diritto delminore alla “bigenitorialità” dopo la crisi o la disgregazione delnucleo familiare”, in questa Rivista, 2007, 5, 526.(20) A. Arceri, L’affidamento condiviso - Nuovi diritti e nuove responsabilitànella famiglia in crisi, Milano, 2007, 62.(21) Trib. Messina 18 luglio 2006, in questa Rivista, 2007, 2,176.(22) M. Sesta, La nuova disciplina dell’affidamento dei figli neiprocessi di separazione, divorzio, annullamento matrimoniale enel procedimento riguardante i figli nati fuori del matrimonio, inL’affidamento dei figli nella crisi della famiglia, a cura di M. Sestae A. Arceri, Torino, 2012, 24 - 26.(23) M. Sesta,op. cit., 26.808Famiglia e diritto 8-9/2013


GiurisprudenzaMinoriI coniugi, in ogni caso, non potranno abdicare alprincipio della bigenitorialità, di cui l’affido condivisoè tipica espressione, dovendo essere in ogni casosalvaguardato il diritto indisponibile del figlio almantenimento di un regolare rapporto con loro, congli ascendenti e con i parenti di ciascuno.4. La famiglia di fattoLa famiglia, principale formazione sociale nella qualel’uomo svolge la sua personalità, è in evoluzionecontinua e il progresso sociale e culturale ne ha provocatosignificativi cambiamenti.Oggi non si parla più di “famiglia” ma di “famiglie” oanche di “formazioni parafamiliari”, proprio per indicarela difficoltà di ricondurre la realtà familiaread un unico modello quale quello classico basato sullegame matrimoniale e, dunque, l’esistenza di unapluralità di tipologie familiari esistenti.Pertanto, alla famiglia legittima, fondata sul vincolomatrimoniale, che trova il suo riconoscimento giuridiconell’art. 29 della Carta Costituzionale, si contrapponela c.d. famiglia naturale o di fatto, espressioneutilizzata in sostituzione di quella obsoleta epiena di riprovazione sociale di “concubinato” (24).Certamente la famiglia fondata sul matrimonio godedi netta preminenza rispetto alla c.d. famiglia di fattola quale, tuttavia, si colloca pur sempre tra le formazionisociali costituzionalmente garantite (art. 2Cost.), nelle quali si esplica la personalità dell’uomo.Pertanto, il richiamo fatto dall’art. 29 Cost. allafamiglia come società naturale fondata sul matrimonioindica soltanto la particolare tensione dell’ordinamentoverso la famiglia coniugale (favor matrimonii),ossia “per l’istituzione familiare maggiormenteispirata a stabilità di rapporto e serietà di impegno,cui riserva una tutela più intensa e privilegiata rispettoad ogni altra forma di convivenza di coppia”(25).La giurisprudenza, pur riconoscendo come famigliaintesa in senso stretto soltanto quella basata sul matrimonio,ha parlato della famiglia di fatto come relazioneinterpersonale, con carattere di tendenzialestabilità, di natura affettiva e parafamiliare, che siesplichi in una comunanza di vita e di interessi enella reciproca assistenza materiale e morale (26).Tali formazioni parafamiliari trovano una loro tutelanell’art. 2 della Carta Costituzionale (27) chepermette di individuare un livello minimo di tutelalimitato ai diritti inderogabili, che appare strumentaleallo sviluppo della personalità in seno alla formazionesociale (28).La distinzione dell’ambito di operatività dell’art. 29rispetto a quello dell’art. 2 Cost. può evincersi da unNote:(24) K. Mascia, Accordi tra conviventi more uxorio, in I singolicontratti, Padova, 2010, III, 2387. Per matrimonium, secondouna definizione risalente al giureconsulto romano Modestino, siintendeva una “coniunctio maris et feminae et consortium omnisvitae, divini et humani iuris communicatio”, ossia unione traun uomo e una donna che originava una comunione di tutta la vita,retta insieme da regole giuridiche e religiose. Per concubinatussi intendeva, invece, nella cultura giuridica romana, l’unionedi un uomo e di una donna caratterizzata dalla stabilità e dallamancanza della volontà di considerarsi marito e moglie. L’istituto,diffuso in età classica come surrogato del matrimonio, fu legislativamentedisciplinato soltanto in età post-classica. Il termineaveva una valenza e una connotazione assolutamente negativae dispregiativa. La Corte costituzionale con le sentenze 19 dicembre1968, nn. 126 e 127, in Giust. civ., 1969, 4, e 3 dicembre1969, n. 147, in Giust. civ., 1970, 3, dichiarò l’illegittimità costituzionaledel reato di adulterio e concubinato dando così il viaall’uso dell’espressione “convivenza more uxorio”, ritenuta sostanzialmenteneutra e priva di disvalore. Per M. Sesta, in Codicedella famiglia, a cura di Sesta, II ed., I, sub art. 29 Cost., Milano,2009, 67, è possibile individuare, secondo la normativa vigente,una pluralità di modelli familiari socialmente tipizzati e giuridicamenterilevanti. In primo luogo quello tradizionale di famigliafondata sul matrimonio; in secondo luogo la famiglia di fattointesa come convivenza di due partners ed eventualmente deiloro figli naturali; la famiglia ricomposta, in cui i partners, coniugatio conviventi di fatto, coabitano insieme ai figli nati da precedentirelazioni, ed infine la famiglia monoparentale in cui un sologenitore convive con i figli.(25) C. G.Terranova, Convivenza e rilevanza delle unioni cc.dd. difatto, in Trattato di diritto di famiglia, diretto da P. Zatti, Milano,2002, X, 806; “(…) la situazione del convivente more uxorio ènettamente diversa da quella del coniuge (sentenze n. 45 del1980, n. 404 del 1988). È vero che l’art. 29 Cost. non nega dignitàa forme naturali del rapporto di coppia diverse dalla strutturagiuridica del matrimonio, ma è altrettanto vero che riconoscealla famiglia legittima una dignità superiore, in ragione “deicaratteri di stabilità e certezza e della reciprocità e corrispettivitàdi diritti e doveri, che nascono soltanto dal matrimonio (…)”(Corte cost. 26 maggio 1989, n. 310).(26) Trib. Taranto 27 agosto 2007; App. Firenze 29 aprile 1996;Cass. 28 marzo 1994, n. 2988, in Dir. Fam., 1996, 873, con notadi Lepre.(27) “La Repubblica riconosce e garantisce i diritti inviolabili dell’uomo,sia come singolo sia nelle formazioni sociali ove si svolgela sua personalità, e richiede l’adempimento dei doveri inderogabilidi solidarietà politica, economica e sociale”.(28) “L’art. 29 riguarda, infatti, la famiglia fondata sul matrimonio(…): come del resto fu pressoché univocamente palesato in sededi Assemblea Costituente la compagine familiare risulta, nelprecetto, strettamente coordinata con l’ordinamento giuridico, sìche rimane estraneo al contenuto delle garanzie ivi offerte ognialtro aggregato pur socialmente apprezzabile, divergente tuttaviadal modello che si radica nel rapporto coniugale (…). In effetti,un consolidato rapporto, ancorché di fatto, non appare - anchea sommaria indagine - costituzionalmente irrilevante quando siabbia riguardo al rilievo offerto al riconoscimento delle formazionisociali e alle conseguenti intrinseche manifestazioni solidaristiche(art. 2 Cost.). Tanto più (…) allorché la presenza di prolecomporta il coinvolgimento attuativo d’altri principi, pur costituzionalmenteapprezzati: mantenimento, istruzione, educazione.In altre parole, si è in presenza di interessi suscettibili di tutela,in parte positivamente definiti (…), in parte da definire nei possibilicontenuti. Comunque, per le basi di fondata affezione che lisaldano e gli aspetti di solidarietà che ne conseguono, siffatti interessiappaiono meritevoli indubbiamente, nel tessuto delle realtàsociali odierne, di compiuta obiettiva valutazione” (Cortecost. 18 novembre 1986, n. 237).Famiglia e diritto 8-9/2013 809


GiurisprudenzaMinoripassaggio della motivazione di una sentenza dellaConsulta, risalente a metà degli anni Novanta, cheha posto in luce la netta diversità della convivenzadi fatto, “fondata sull’“affectio” quotidiana - liberamentee in ogni istante revocabile - di ciascuna delleparti” rispetto al rapporto coniugale, caratterizzatoda “stabilità e certezza e dalla reciprocità e corrispettivitàdi diritti e doveri ... che nascono soltantodal matrimonio” (29).La Corte costituzionale, nel parlare del valore costituzionaledella convivenza, ha ribadito in manieraquasi costante (30) che il fenomeno delle convivenzemore uxorio non pone un problema di parità ditrattamento rispetto alla famiglia legittima, fondatasul vincolo matrimoniale. A parere della Consultale due situazione sono nettamente diverse, mancandoi necessari presupposti - caratteri di stabilità ecertezza propri del vincolo coniugale, essendo laconvivenza more uxorio basata sull’“affectio” quotidiana,liberamente revocabile in ogni istante - perchédi fronte ad un trattamento differenziato possautilmente prospettarsi e quindi dirsi fondato il contrastocon l’art. 3 Cost.La famiglia di fatto (31), ancorché non disciplinataorganicamente dalla legge - nonostante l’esistenzadi norme sparse nei campi più disparati -, non contrastané con norme imperative - non esistendo disposizionidi tale natura che la vietino -, né con l’ordinepubblico, che comprende i principi fondamentaliinformatori dell’ordinamento giuridico, né conil buon costume, inteso come il complesso dei principietici costituenti la morale sociale di un determinatomomento storico (32).Al fine di distinguere tra semplice rapporto occasionalee famiglia di fatto, deve tenersi soprattutto contodel carattere di stabilità che conferisce grado dicertezza al rapporto di fatto sussistente tra le persone,tale da renderlo rilevante sotto il profilo giuridico(33). Dunque, per aversi famiglia di fatto occorre unarelazione interpersonale, con carattere di tendenzialestabilità, di natura affettiva e parafamiliare, che siesplichi in una comunanza di vita e di interessi e nellareciproca assistenza materiale e morale (34).Essa riveste una certa rilevanza giuridica, specialmentein presenza di prole. Infatti, la mancata celebrazionedel matrimonio non incide in alcun modosui diritti che comunque spettano ai figli nati da genitorinon coniugati.In seguito alla riforma del diritto di famiglia del1975, alla filiazione naturale venne riconosciuta paridignità di quella legittima attraverso la sostanzialeparificazione tra le due categorie di figli. Pertanto,indipendentemente dalla natura della filiazione, ilfiglio riceveva piena tutela giuridica nei confrontidel proprio genitore, di guisa che, sin d’allora, il rapportotra genitore e figlio si presentava nella sostanzaomogeneo, a prescindere dalla sussistenza del vincolomatrimoniale tra i genitori. Il processo volto all’equiparazionetra i figli naturali e quelli legittimi ècontinuato, poi, con l’emanazione, da parte del legislatore,della legge n. 54 del 2006 che, nel dettarenorme in materia di affidamento condiviso, ha unificatole regole sostanziali applicabili a seguito delladisgregazione della coppia genitoriale anche in rife-Note:(29) Corte cost., 18 gennaio 1996, n. 8: “(…) Questa Corte, nellasent. n. 237 del 1986 - che costituisce precedente specificoper la decisione della questione in esame -, riconosciuta la rilevanzacostituzionale del “consolidato rapporto” di convivenza,ancorché rapporto di fatto, lo ha tuttavia distinto dal rapporto coniugale,secondo quanto impongono il dettato della Costituzionee gli orientamenti emergenti dai lavori preparatori. Conseguentemente,ha ricondotto il primo all’ambito della protezione, offertadall’art. 2, dei diritti inviolabili dell’uomo nelle formazioni socialie il secondo a quello dell’art. 29 della Costituzione. Tenendodistinta l’una dall’altra forma di vita comune tra uomo e donna, sirende possibile riconoscere a entrambe la loro propria specificadignità; si evita di configurare la convivenza come forma minoredel rapporto coniugale, riprovata o appena tollerata e non si innescaalcuna impropria “rincorsa” verso la disciplina del matrimonioda parte di coloro che abbiano scelto di liberamente convivere.Soprattutto si pongono le premesse per una considerazionegiuridica dei rapporti personali e patrimoniali di coppia nelledue diverse situazioni, considerazione la quale - fermi in ognicaso i doveri e i diritti che ne derivano verso i figli e i terzi - tengapresente e quindi rispetti il maggior spazio da riconoscersi,nella convivenza, alla soggettività individuale dei conviventi; e viceversadia, nel rapporto di coniugio, maggior rilievo alle esigenzeobiettive della famiglia come tale, cioè come stabile istituzionesovra individuale. (…) La pretesa equiparazione della convivenzadi fatto al rapporto di coniugio, nel segno della riconduzionedi tutte e due le situazioni sotto la medesima protezione dell’art.29 della Costituzione, risulta così infondata”.(30) Corte cost. 12 gennaio 1977, n. 6, in Giur. cost., 1977, I,930; Corte cost. 7 aprile 1988, n. 423; Corte cost. 20 dicembre1988, n. 1122; Corte cost. 18 gennaio 1996, n. 8; Corte cost. 25luglio 2000, n. 352; Corte cost. 8 maggio 2009, n. 140. In generale,dalle pronunce della Corte emerge un orientamento che,nel tenere distinte le due ipotesi, non raffigura l’unione di fattocome subordinata o inferiore rispetto al vincolo coniugale, mapiuttosto tende ad evidenziarne gli aspetti distintivi.(31) Parte della dottrina ha evidenziato la valenza ideologica (G.Ferrando, Sul problema della «famiglia di fatto», in Giur. merito,1975, II, 134) insita nell’espressione: “famiglia di fatto non è soloconvivere come coniugi, è prima di tutto famiglia, portatrice divalori di stretta solidarietà, di arricchimento e sviluppo della personalitàdi ogni componente e di educazione ed istruzione dellaprole, che erano finora considerati esclusivi della famiglia fondatasul matrimonio». In tal senso M. Dogliotti, La Corte Costituzionaleattribuisce (ma solo a metà) rilevanza giuridica alla famigliadi fatto, in Dir. Fam., 1990, I, 767-795.(32) Cass. 8 giugno 1993, n. 6381, in Vita not., 1994, 225.(33) Cass. 10 agosto 2007, n. 17643, in Rep. Foro it., 2007, Separazionedi coniugi, 195; Cass. 4 aprile 1998, n. 3503, in questaRivista, 1998, 4, 333.(34) Cass. 28 marzo 1994, n. 2988; Cass. 27 aprile 1982, n.2628, in Giust. civ., 1983, I,1300.810Famiglia e diritto 8-9/2013


GiurisprudenzaMinoririmento ai procedimenti relativi a figli di genitorinon coniugati (art. 4, comma 2, L. n. 54/2006) (35).Infine, il legislatore con la legge 10 dicembre 2012,n. 219 - rubricata “Disposizioni in materia di riconoscimentodei figli naturali ” - che si compone di sei articoli- prevede l’equiparazione dei figli e, dunque,l’eliminazione di qualsiasi distinzione di status tra figlilegittimi e figli naturali (36). Pertanto, la leggemodifica l’assetto giuridico della filiazione e disponela sostituzione, nel codice civile e negli altri testi legislativi,delle parole «figli legittimi» e «figli naturali»con la parola «figli». (37) La disposizione attornoalla quale ruota l’intera normativa è di certo quellacontenuta nel novellato art. 315 c.c., rubricato “Statogiuridico della filiazione”, secondo il quale “tutti i figlihanno lo stesso stato giuridico” (38).Risulta, quindi, radicalmente modificata la nozionedi famiglia legale, la quale non appare più necessariamentefondata sul matrimonio, considerato che ivincoli giuridici tra i suoi membri dichiaratamenteprescindono da esso (39).5. Brevi cenni sull’art. 709 ter c.p.c.Ambito di applicazioneL’art. 709 ter c.p.c. - rubricato “Soluzione delle controversiee provvedimenti in caso di inadempienze o violazioni”e inserito nel codice di rito dall’art. 2, della legge8 febbraio 2006, n. 54 - è intervenuto in una materiain precedenza priva di qualsiasi disciplina. Essa detta,infatti, delle regole per la soluzione delle controversieinsorte tra i genitori in ordine all’esercizio dellapotestà genitoriale o delle modalità di affidamentodei figli minori (40) ed è, altresì, volta ad assicurareNote:(35) M. Sesta, L’unicità dello stato di filiazione e i nuovi assettidelle relazioni familiari, in questa Rivista, 2013, 3, 232.(36) Come afferma V. Carbone, Riforma della filiazione: considerazioniintroduttive, in questa Rivista, 2013, 3, 226, “Il nucleo essenzialedell’innovazione normativa è la «filiazione senza aggettivi»,il che significa che tutti i figli hanno lo stesso stato giuridicoed hanno diritto ad un’unica identità familiare, con uguali rapportidi parentela e con gli stessi diritti patrimoniali e successori.L’innovazione attesa è significativa perché eleva a principio generalel’eliminazione di ogni discriminazione tra i figli: tutti i figlisono uguali ed hanno gli stessi diritti”. Osserva l’Autore (op. cit.,229) che l’introduzione della parità tra i figli deve far riflettere sull’attuale“famiglia” non solo italiana, ma internazionale, dovutaalle profonde modificazioni della vita sociale, dei costumi e dellasempre più estesa globalizzazione dei rapporti. In altre parole,deve riconoscersi che la famiglia attuale è in crisi ed occorre unnuovo diritto di famiglia, di livello europeo e non singoli interventiprivi della sistematicità necessaria, che deve prendere atto dellafine della famiglia patriarcale e dello sviluppo di quella “nucleare”che ruota più intorno ai singoli che alla coppia.(37) La l. n. 219/2012, all’art. 1, comma 10, abroga l’istituto dellalegittimazione dei figli naturali, contemplato originariamente allasezione II, Capo II, Titolo VII, Libro I, c.c.. Al successivo comma11 stabilisce testualmente che: “Nel codice civile, le parole: «figlilegittimi» e «figli naturali», ovunque ricorrono, sono sostituitedalla seguente: «figli»”. Afferma A. Graziosi, Una buona novelladi fine legislatura: tutti i “figli” hanno eguali diritti, dinanzial tribunale ordinario, in questa Rivista, 2013, 3, 263, che la presenzadel vincolo matrimoniale tra i genitori non può condizionareil tipo e la qualità dei diritti che scaturiscono dallo status difiglio, per l’evidente ragione che il matrimonio, civile o religioso,è una libera scelta dei genitori a cui i figli sono del tutto estranei,e perciò non può comportare conseguenze per loro pregiudizievolio comunque discriminatorie.(38) La legge n. 219/2012 ha inteso realizzare l’unicità dello statogiuridico di filiazione, che assorbe e supera il principio di parità attuatodalla riforma del 1975. Osserva M. Sesta, op. ult. cit., 233,che la legge mantiene nell’intestazione l’espressione “figli naturali”che, contestualmente, viene eliminata dall’ordinamento: pertanto“sarebbe stato assai più appropriato riferirsi a “disposizioniin materia di filiazione”, secondo la rubrica dell’art. 1”. La riformaoperata nel 2012 con la legge n. 219 non ha soltanto sancito inmaniera definitiva la parificazione tra figli nati in costanza di matrimonioe quelli nati al di fuori dello stesso, ma si è spinta fino ad introdurre,per la prima volta nel nostro ordinamento, con il nuovoart. 315 bis c.c. (rubricato “ Diritti e doveri del figlio”), un vero eproprio statuto dei diritti del figlio in quanto tale. La disposizione sicompone di tre commi: i primi tre contengono l’enunciazione deidiritti del figlio, mentre il quarto (identico nel testo al previdenteart. 315 c.c.) fissa i suoi doveri nei confronti dei genitori. L’aspettoche più di tutti merita di essere evidenziato è la centralità chela figura del figlio e dei suoi diritti assume rispetto al ruolo assegnatoal genitore. In tal senso A. Graziosi, op. cit., 264.(39) In tal senso M. Sesta, op. ult. cit., 233, il quale prosegue chiedendosise tale nuovo assetto sia coerente rispetto a quantoenunciato dal primo comma dell’art. 29 Cost., che pone il matrimonioquale elemento costitutivo della famiglia, e dall’art. 30, ultimocomma, Cost. La stessa dottrina afferma che anche se l’entratain vigore di tale legge è stata auspicata da autorevoli autori,proprio al fine di attuare principi costituzionali, ed è stata approvatacon larghissime maggioranze, tuttavia non appare così agevoleconciliarne gli effetti con il modello costituzionale di famiglia. Sicuramenteil matrimonio non si configura più quale necessariopresupposto per dar vita a relazioni legalmente familiari, che sorgonooramai indipendentemente dalla sussistenza del vincolo, cosicchépuò affermarsi che esso dispieghi ora effetti esclusivamentecon riguardo al rapporto tra coniugi e non impinga sui rapportigiuridici della loro discendenza. “Né, al fine della valutazionedi compatibilità di cui trattasi, soccorre l’art. 2 Cost., consideratoche la famiglia di cui si discorre è di “diritto” e non di “fatto”, eche quindi essa non pare potersi assimilare ad una generica “formazionesociale”, configurando a tutti gli effetti quella famiglia ricompresanecessariamente nell’orbita dell’art. 29 Cost. Ed anchea voler interpretare l’art. 29 Cost. come fattispecie aperta, volta aricomprendere in essa i modelli familiari concretamente esistentinella realtà sociale, resta pur sempre il fatto che la disposizionenon sembra affatto consentire di includervi relazioni senza matrimonio”.Osserva A. Graziosi, op. cit., 278, che, il fatto di aver riconosciutoche nell’ambito delle relazioni familiari i diritti del figlio,in quanto diritti della persona, non risentono della preesistenzadel vincolo matrimoniale tra i genitori, comporta un notevole mutamentodel sistema di valori su cui poggia il diritto di famiglia nelnostro ordinamento giuridico. Infatti, se, per tradizione secolare,la preminenza è stata attribuita alla famiglia, come entità giuridicastabile fondata sul matrimonio, ora sono i diritti dei suoi componentiad avere la prevalenza, trovando piena ed incondizionata tutelaanche in assenza del matrimonio.(40) Si esclude tendenzialmente l’applicazione della disposizionein esame in assenza di prole o in presenza di prole maggiorenne,alla luce del fatto che l’art. 316, comma 1, c.c. stabilisceche “il figlio è soggetto alla potestà dei genitori sino all’età maggioreo alla emancipazione”. Ne consegue che, cessata la potestàgenitoriale, viene meno anche il presupposto logico e giuri-(segue)Famiglia e diritto 8-9/2013 811


GiurisprudenzaMinorila corretta attuazione o esecuzione dei preesistentiprovvedimenti emessi in materia di esercizio dellapotestà dei genitori (41). Il comma 1 prevede espressamenteche per la soluzione delle controversie ècompetente il “giudice del procedimento in corso” (42).Per i procedimenti di cui all’art. 710 c.p.c. (43) (ecioè se la controversia sorge dopo il formarsi del giudicato)competente è, invece, il Tribunale del luogodi residenza (abituale) del minore (44).Dalla lettura della norma emerge che sono soltanto“i genitori” i legittimati ad instaurare il procedimentoex art. 709 ter c.p.c. Si esclude, pertanto, che ilprocedimento possa essere incardinato ad iniziativadel minore, anche se rappresentato da un curatore oassistito da un legale (45).La disposizione de qua non contiene norme analitichesulla disciplina del procedimento da seguirsi:con espresso riguardo alla domanda è stabilito soltantoche essa deve rivestire la forma del ricorso.In assenza di una specifica previsione di segno contrario,ai sensi del principio generale di cui all’art. 82c.p.c., si può sostenere che, ai fini della proposizionedi tale ricorso, la parte debba avvalersi necessariamentedell’assistenza di un difensore.È considerato necessario l’intervento del Pubblicoministero il quale, peraltro, è già parte del procedimentodi separazione in corso.L’art. 709 ter c.p.c., pur essendo inserito formalmentetra le norme che disciplinano il giudizio di separazionepersonale dei coniugi, si riferisce, tuttavia, allecontroversie insorte tra i “genitori”. Ne consegue,dunque, che la disposizione in esame è destinata atrovare applicazione non soltanto nell’ambito deigiudizi di separazione, ma altresì in quelli di scioglimentoe cessazione degli effetti civili del matrimonio,di nullità matrimoniale, nonché nei procedimentirelativi ai figli di genitori non coniugati (allaluce dell’art. 4, comma 2, l. n. 54/2006).Ricevuto il ricorso, il giudice competente, ai sensidel comma 2 dell’art. 709 ter c.p.c., convoca i genitorie fissa, con decreto, un’udienza di comparizionedinanzi a sé. Anche se la norma in esame nulla dicesi ritiene che, in ossequio al principio del giusto processo,il giudice, nel fissare il giorno dell’udienza dinanzia sé, debba concedere al genitore convenutoun termine adeguato per consentirgli di predisporrele opportune difese e che il ricorso e il decreto debbanoessere notificati personalmente al genitore convenuto.Nonostante il silenzio della norma in materiadi istruzione probatoria, è ammessa ugualmente lapossibilità per il giudice di svolgere, anche se in formasemplificata, gli atti istruttori considerati indispensabiliai fini della soluzione delle controversie eper l’adozione dei “provvedimenti opportuni” (46), ilcui contenuto non è determinabile a priori, essendoNote:(continua nota 40)dico dell’affidamento. Tuttavia, l’art. 709 ter c.p.c. sembra destinatoa trovare applicazione nell’ipotesi di figli, seppur maggiorenni,“portatori di handicap grave ai sensi dell’art. 3, comma 3,della legge 5 febbraio 1992, n. 104”, i quali - ai sensi dell’art. 155quinquies c.c. - sono integralmente equiparati ai figli minori.(41) In passato era consolidato l’indirizzo giurisprudenziale secondoil quale i provvedimenti relativi all’affidamento della prole eranosuscettibili di esecuzione forzata nella forma degli artt. 612 ss.c.p.c.: “L’attuazione coattiva di un provvedimento relativo all’affidamentodi minori, contenuto in una sentenza munita di efficaciaesecutiva (nella specie, ordine di restituzione del minore ai genitori,a seguito di revoca della dichiarazione di adottabilità in esitoa giudizio di opposizione) è disciplinata dalle norme sull’esecuzioneforzata di un obbligo di fare, a norma dell’art 612 c.p.c., e, pertanto,dopo la notificazione del precetto, deve essere proposto ricorsoal pretore, il quale, sentita la parte obbligata, determina itempi e le modalità dell’esecuzione” (Cass. 15 gennaio 1979, n.292, in Mass. Giust. civ., 1979, 136; in Dir. Fam., 1979, 699);“L’attuazione coattiva del diritto, attribuito con la sentenza di divorzioo di separazione al coniuge non affidatario della prole minorenne,di visitare periodicamente i figli e di intrattenersi con loroper un certo tempo (cosiddetto diritto di visita), deve avvenirenelle forme dell’esecuzione forzata degli obblighi di fare o di nonfare, sicché la competenza spetta, quale giudice dell’esecuzione,al pretore del luogo in cui l’obbligo deve essere adempiuto, e cioènel cui mandamento si trova il comune di residenza del minore”(Cass. 15 dicembre 1982, n. 6912, in Mass. Giust. civ., 1982, 12).In dottrina questa tesi è sostenuta, tra gli altri, da A. Finocchiaro,in A. Finocchiaro - M. Finocchiaro, Diritto di famiglia, III, Milano,1988, 518. Alcune riserve sono invece sollevate da C. Mandrioli,Esecuzione forzata degli obblighi di fare e di non fare, in Digestociv., VII, Torino, 1991, 555.(42) La norma non chiarisce, tuttavia, se in corso di causa la competenzaappartenga al giudice che istruisce il processo (che decideràcon ordinanza) oppure debba essere presentato ricorso alTribunale in composizione collegiale (che deciderà con sentenza).Sembra da preferire la prima ipotesi e, dunque, la tesi secondola quale il ricorso debba essere presentato allo stesso giudiceche istruisce il processo (Trib. Catania 15-22 dicembre2006; Trib. Modena 29 gennaio 2007). In pendenza del giudiziodi appello, la richiesta di composizione del contrasto insorto tra igenitori può essere avanzata alla Corte territoriale investita delgravame della sentenza di separazione (o di divorzio); ciò alla lucedel dato testuale della disposizione normativa in esame, che,attribuendo la competenza di che trattasi al «giudice del procedimentoin corso», non pone alcuna distinzione tra quello di primoe quello di secondo grado. In tal senso, App. Caltanissetta 8febbraio 2007, in Famiglia e minori, 2007, 5, 71).(43) Art. 710 c.p.c. rubricato “Modificabilità dei provvedimentirelativi alla separazione dei coniugi”.(44) La nozione di residenza abituale del minore corrisponde aduna situazione di fatto, dovendo per essa intendersi il luogo incui il minore, in virtù di una durevole e stabile permanenza, anchedi fatto, ha il centro dei propri legami affettivi, non solo parentali,derivanti dallo svolgersi in detta località della sua quotidianavita di relazione, così Cass. 16 giugno 2009, n. 13936, inRiv. dir. int. priv. e proc., 2011, 1, 200.(45) A. Arceri, op. cit., 289.(46) “L’art. 709 ter del cpc consente di ricorrere al giudice davantial quale pende il procedimento (nella specie, la Corte d’Appello),tra l’altro, per gravi inadempienze, o violazioni, commesseda uno dei genitori in ordine all’esecuzione di un provvedimento(segue)812Famiglia e diritto 8-9/2013


GiurisprudenzaMinorigli stessi rimessi alla sua valutazione discrezionale epotendo variare a seconda delle particolarità propriedi ciascuna fattispecie concreta. Il comma 2 dell’art.709 ter c.p.c. prevede espressamente che, nell’ipotesidi gravi inadempienze o di atti che comunque arrechinopregiudizio al minore o ostacolino il corretto svolgimentodelle modalità dell’affidamento, il giudice possa, oltreche modificare i provvedimenti in vigore, anche affiancareuna vera e propria misura coercitiva, ossiapossa, anche congiuntamente: 1) ammonire il genitoreinadempiente (47); 2) disporre il risarcimentodei danni (48), a carico di uno dei genitori, nei confrontidel minore; 3) disporre il risarcimento dei danni,a carico di uno dei genitori, nei confronti dell’altro;4) condannare il genitore inadempiente al pagamentodi una sanzione amministrativa pecuniaria, daun minimo di 75 euro a un massimo di 5.000 euro afavore della Cassa delle ammende (49).Il legislatore, con il regime delle sanzioni introdotte,ha inteso apprestare uno strumento di coazione e diforte efficacia dissuasiva al procrastinarsi dell’inadempimento,sia pure graduato in relazione alla gravitàdel comportamento del genitore inadempiente.Infine, il comma 3 dell’art. 709 ter c.p.c. si limita adaffermare che “I provvedimenti assunti dal giudice delprocedimento sono impugnabili nei modi ordinari”. Taleespressione potrebbe però ingenerare dubbi interpretativi,tenuto conto del fatto che, tradizionalmente,con la locuzione “modi ordinari” il legislatoreè solito indicare i mezzi di impugnazione ordinariamenteprevisti avverso le sentenze (50).Note:(continua nota 46)che disciplina le modalità di affidamento del figlio minore. All’esitodi tale procedimento incidentale, qualora venga accertatala grave inadempienza o violazione, il giudice potrà adottare, sedel caso previo espletamento di un’attività istruttoria assolutamentesemplificata e deformalizzata, i provvedimenti ritenuti opportuninell’interesse della prole e irrogare una sanzione alla parteritenuta responsabile. Ne discende che le eventuali domandedi modifica della forma di affidamento disposta nella sentenza diseparazione (nella specie, richiesta di affido esclusivo e, in subordine,condiviso alla madre piuttosto che al padre), costituendooggetto del giudizio di appello, devono considerarsi estraneealla fase incidentale introdotta ai sensi dell’articolo 709 ter delc.p.c., avente a oggetto esclusivamente l’accertamento dellegravi inadempienze rispetto agli obblighi correlati all’affidamento,ovvero degli atti compiuti dal genitore che, comunque, arrechinopregiudizio al minore, ovvero ostacolino il corretto svolgimentodelle modalità dell’affidamento” (App. Catania 8 febbraio2007, in Famiglia e minori, 2007, 5, 71).(47) L’ammonimento si sostanzia in una sorta di richiamo formaleche il giudice, anche d’ufficio, rivolge al genitore che non ha rispettatogli obblighi derivanti dalle prescrizioni contenute nelprovvedimento giudiziale e riguardanti i rapporti con i figli. In definitiva,il giudice “invita” la parte ad astenersi, per il futuro, dalcontinuare a serbare condotte vietate, dietro la minaccia - in casodi comportamenti recidivanti - di incorrere in sanzioni più gravi.(48) Controversa è la questione se il risarcimento debba ricondursial paradigma degli artt. 2043 e 2059 c.c. oppure se costituiscauna forma di punitive damages (danni punitivi, categoriatipica del diritto anglosassone e nordamericano). In parte la giurisprudenzaopta per questa seconda soluzione ritenendo che ilrisarcimento del danno previsto dai nn. 2 e 3 dell’art. 709 terc.p.c. costituisca una forma di punitive damages (c.d. danni punitivi,i quali svolgono la chiara funzione pubblicistica della deterrenzae della punizione) ovvero di sanzione privata, non riconducibileal paradigma degli artt. 2043 e 2059 c.c. In tal senso: Trib.Messina 8 ottobre 2012, in Danno e resp., 2013, 4, 409, con notadi Pardolesi: “In tema di separazione dei coniugi, il risarcimentodei danni in favore del minore o di un genitore, previstodall’art. 709 ter c.p.c. in caso di gravi inadempienze e di violazionidei provvedimenti sull’affidamento dei figli minori da partedell’altro genitore, ovvero di condotte pregiudizievoli per i minoristessi, non ha natura compensativa, ma assolve ad una funzionesanzionatoria deterrente della condotta del genitore perevitare che nel futuro lo stesso continui a rendersi inadempienterispetto ai propri obblighi nei confronti della prole e al contenutodei provvedimenti”; Trib. Novara, 21 luglio 2011: “Perquanto riguarda la natura del provvedimento di condanna (ex art.709-ter, co. 2, c.p.c.) al risarcimento del danno nei confronti delminore del genitore inadempiente agli obblighi inerenti il dirittodi visita, il collegio ritiene condivisibile l’indirizzo interpretativoche ricostruisce tale istituto in termini di danno punitivo, riconducibilealla categoria delle cd. astreintes, con la conseguenzache la valutazione del giudice prescinde dall’accertamento dell’effettivasussistenza degli elementi richiesti dall’articolo 2043del codice civile e deve essere improntata qui a criteri equitativi,come del resto sostenuto dalla giurisprudenza di merito maggioritaria”;Trib. Verona 11 febbraio 2009: “Il totale disinteressemanifestato dal padre nei confronti della figlia è presupposto perl’applicazione delle sanzioni previste dall’art. 709-ter, 2° comma,c.p.c., ed in particolare di quelle di cui ai numeri 2 e 3 (che introducononel nostro ordinamento la categoria dei c.d. “danni punitivi”,con finalità, cioè, non compensative, ma deterrenti e sanzionatorie):tale condotta, infatti, non solo arreca un pregiudizioalla minore, ma costringe la madre a sostenere tutto il peso dellaresponsabilità nella gestione della figlia (…)”; Trib. Napoli 30aprile 2008; Trib. Palermo 2 novembre 2007; Trib. Messina 5aprile 2007; Trib. Vallo della Lucania 7 marzo 2007. L’impostazionetradizionale, tuttavia, propende per l’inquadramento della fattispeciein esame nell’ambito del sistema della responsabilitàaquiliana e attribuisce al risarcimento de quo una funzione riparatoria.Pertanto, potrà aversi la condanna al risarcimento deldanno se sussistano tutti gli elementi soggettivi ed oggettivi dicui all’art. 2043 c.c. e vi sia un’espressa domanda di parte e se ildanno subito sia stato allegato e provato (nell’an e nel quantum).In tal senso, A. Arceri, op. cit., 297; P. La Vecchia, Inadempienzee violazioni nell’affidamento condiviso, Rimini, 2007, 62 ss.(49) Secondo una parte della giurisprudenza, le sanzioni previstedall’art. 709-ter c.p.c. sono applicabili non soltanto nei casi riguardantil’affidamento dei figli, ma altresì nelle ipotesi di inadempimenticoncernenti le statuizioni d’ordine patrimoniale. Ciò in quanto la disposizionenormativa de qua sanziona le “gravi inadempienze”, potendosisicuramente considerare tali gli inadempimenti d’ordineeconomico, trattandosi di crediti alimentari sanzionati anche penalmente,e, quindi, già sottoposti a valutazione di gravità da parte dellegislatore penale (non potendo, quindi, essere considerati menogravi dal giudice civile). D’altra parte, la norma sanziona anche gli“atti che comunque arrechino pregiudizio al minore” o che “ostacolinoil corretto svolgimento delle modalità dell’affidamento”: in taleottica vanno comprese anche le violazioni d’ordine economico,atteso che la sufficienza di risorse economiche è condizione indispensabiledi esplicazione e sviluppo della personalità del minore(Trib. Modena 29 gennaio 2007, in www.affidamentocondiviso.it);cfr. Trib. Modena 7 aprile 2006; Trib. Bologna 19 giugno 2007; Trib.Reggio Emilia 30 aprile 2007. In senso contrario, Trib. Termini Imerese12 luglio 2006, in Foro it., 2006, I, 3243.(50) F. Danovi, Le misure sanzionatorie a tutela dell’affidamento(Art. 709 ter c.p.c.), in Riv. dir. proc., 2008, 11, 620.Famiglia e diritto 8-9/2013 813


GiurisprudenzaMinoriLa norma, però, non può essere intesa come un rinviotout court ai mezzi ordinari di impugnazione di cuiall’art. 323 c.p.c., pena il totale stravolgimento delsistema processuale, ma pare debba essere intesa comeuna formula sintetica attraverso la quale si rinvia,di volta in volta, ai diversi rimedi esperibili in ragionedello specifico procedimento nel quale i provvedimentisono pronunciati e dello specifico contenutoche i provvedimenti in concreto recano (51).6. Il diritto di visita del minore in presenzadi nuova convivenza del genitoreL’art. 155 c.c., nella sua versione attuale, prevede cheil giudice, nel disporre l’affidamento, determini i tempie le modalità della presenza dei figli presso ciascungenitore, fissando altresì la misura e il modo con cuiognuno di essi deve contribuire al loro mantenimento,alla loro cura e alla loro istruzione ed educazione.Prima della riforma operata nel 2006 con la legge n.54, era riconosciuto al genitore non affidatario il dirittoed il dovere di vigilare sull’istruzione e sull’educazionedei figli, potendo ricorrere al giudice controdecisioni ritenute pregiudizievoli per gli stessi. Proprioper consentire ciò al genitore non affidatario e,altresì, per garantirgli il mantenimento di uno stabilerapporto, anche affettivo, con i figli - affinché la prolepotesse crescere con la presenza e la vicinanza dientrambi i genitori - il giudice, solitamente, riconoscevail c.d. diritto di visita (52) (53) - ossia il dirittodi incontrare periodicamente i figli. Al giudice venivariconosciuta una discrezionalità ampia che dovevausare per dettare modalità e limiti di esercizio del suddettodiritto, tenendo presente il preminente interessedel figlio. Il giudice poteva, dunque, addiritturagiungere a sospendere totalmente gli incontri tra ilgenitore non affidatario e la prole allorquando la continuazionedelle frequentazioni del genitore avesseesposto il minore a rischi gravi e comprovati per la suacrescita serena ed equilibrata (54).Al genitore non affidatario veniva riconosciuto, oltreal diritto (dovere) di visita, anche quello di tenereil minore presso di sé, per periodi di tempo stabiliti,affinché questi potesse conservare e sviluppare ilrapporto con entrambi i genitori.Alla luce della riforma del 2006 e dell’introduzionedel regime dell’affidamento condiviso, risulta improprioe riduttivo continuare a parlare di diritto di visitadel genitore non collocatario, in quanto detta terminologiariconduce a una posizione di preminenzadel genitore collocatario, identificandolo con quelloaffidatario esclusivo della vecchia disciplina (55).Nell’ipotesi di affidamento condiviso il novellatoart. 155 c.c. afferma la necessità che sia individuatoil genitore presso il quale sarà prevalentemente collocatala vita del minore - il quale necessita di un ri-Note:(51) F.P. Luiso - B. Sassani, La riforma del processo civile, Milano,2006, 250; F. Danovi, op. cit.,620.(52) Si è affermato che con l’espressione diritto di visita si vuoleindicare la modalità con cui il genitore non affidatario esercita isuoi diritti-doveri nei confronti dei figli, costituendo, lo stesso diritto,una derivazione ed una forma affievolita del fondamentalediritto-dovere del genitore di mantenere, istruire ed educare laprole. In tal senso, M. Sesta, Diritto di famiglia, Padova, 2003,31. Si riteneva che l’esercizio del diritto di visita del genitore nonaffidatario non fosse solo una facoltà ma costituisse altresì undovere, da inquadrare nella “solidarietà degli oneri verso i figli”degli ex-coniugi. In tal senso (Cass. 8 febbraio 2000, n. 1365, inGiur. It., 2000, 1802): “L’esercizio del diritto di visita del genitorenon affidatario non è solo facoltà ma anche dovere, da inquadrarenella “solidarietà degli oneri verso i figli” degli ex-coniugi. Ilgenitore affidatario può domandare il rimborso delle somme versatein eccedenza per le mancate visite del non affidatario alla figliadisabile, giustificabili solo per caso fortuito o forza maggiore”;In materia di affidamento dei figli minori il giudice della separazionee del divorzio deve attenersi al criterio fondamentalerappresentato dall’esclusivo interesse morale e materiale dellaprole, privilegiando quel genitore che appaia il più idoneo a ridurreal massimo, nei limiti consentiti da una situazione comunquetraumatizzante, i danni derivati dalla disgregazione del nucleo familiaree ad assicurare il migliore sviluppo possibile della personalitàdel minore. In tale prospettiva consegue, da un lato, che lastessa posizione del genitore affidatario si configuri piuttostoche come un “diritto”, come un munus, e che la stessa regolamentazionedel c.d. “diritto di visita” del genitore non affidatariodebba far conto del profilo per cui un tal “diritto” si configuri essostesso come uno strumento in forma affievolita o ridotta perl’esercizio del fondamentale “diritto - dovere” di entrambi i genitori,di mantenere, istruire ed educare i figli, il quale trova riconoscimentocostituzionale nell’art. 30, comma 1, Cost., e vieneposto, dall’art. 147 c.c., fra gli effetti del matrimonio” (Cass. 4gennaio 2005, n. 116, in Guida al dir., 2005, 5, 42; cfr. Cass. 19aprile 2002, n. 5714, in Arch. civ., 2003, 212).(53) Si è sottolineato come la locuzione “diritto di visita”, dalpunto di vista semantico - terminologico, richiami un senso diestraneità che mai dovrebbe connotare una relazione tra un genitoree un figlio. In tal senso G. Salito, L’affidamento condivisodei figli nella crisi familiare, Il diritto di famiglia nella dottrina enella giurisprudenza, Trattato Teorico Pratico diretto da G. Stanzione,V, Napoli, 2007, 200; A. Arceri, L’affidamento condiviso -Nuovi diritti e nuove responsabilità nella famiglia in crisi, cit.,117.(54) Cass. 9 luglio 1989, n. 3249; Cass. 8 novembre 1997, n.11031; Cass. 22 giugno 1999, n. 6312; Cass. 20 settembre1999, n. 10149, in Foro it., 2000, I, 1229; “In caso di separazionepersonale (giudiziale) tra coniugi, il diritto del genitore non affidatariodella prole a vedersi assicurata una sufficiente possibilitàdi visitare i figli e di permanere con essi, per quanto non abbiacarattere assoluto, essendo subordinato ai preminenti interessidei minori, non può tuttavia essere del tutto escluso per un periodopiù o meno lungo di tempo se non in presenza di gravi, proporzionatimotivi, collegati alla pregressa condotta del coniugenon affidatario, in ispecie nei riguardi dei figli, condotta tale da farragionevolmente presumere che la frequentazione del genitorenon affidatario abbia ad arrecare ad essi danni di rilievo; in mancanzadi tali motivi, la sospensione del diritto di visita e permanenzain capo al genitore non affidatario aggraverebbe, senzacontropartita alcuna, il trauma, soprattutto psicologico, subitodai figli a seguito della crisi coniugale e del disfacimento della comunitàdomestica, arrecando ad essi grave ed ingiustificato pregiudizio”(Cass. 12 luglio 1994, n. 6548, in Dir. Fam., 1995, 129).(55) App. Napoli 17 ottobre 2008, in questa Rivista, 2009, 4, 408.814Famiglia e diritto 8-9/2013


GiurisprudenzaMinoriferimento abitativo stabile e di un’organizzazionedomestica coerente e adeguata alle sue necessitàscolastiche e sociali -, e dove verrà individuata la suaresidenza anagrafica. È considerata, quindi, necessaria,una regola organizzativa anche sui tempi da trascorrerecon il genitore non domiciliatario, non limitativadi diritti e doveri del genitore, improntatialla parità dei ruoli ed esercitati con frequentazionee con facoltà di interloquire con l’altro genitore sullevicende che riguardano i figli, con l’adozione concordatadelle scelte di maggiore interesse, con l’assunzionedi compiti di cura, educazione ed istruzionedei figli da parte di entrambi, nonché con l’assunzionedi un reciproco dovere di informazione sulle questioniche riguardano la prole, molto più incisivo,per evidenti ragioni connesse alla diversità di dimora,di quello proprio dei genitori conviventi (56).Conseguentemente, il giudice, considerando gli impegnilavorativi dei genitori, la vicinanza o lontananzadelle rispettive abitazioni e la loro disponibilità,potrà esplicitamente fissare, volta per volta, “itempi e le modalità” della presenza dei figli “pressociascun genitore”, ossia stabilire in concreto - anchese attraverso regole elastiche e sempre tenuto contodell’interesse morale e materiale della prole -, giorni,orari e situazioni in cui il minore possa stare conciascun genitore (57).Nella decisione del Tribunale di Milano del 23 marzo2013, in epigrafe, il giudice ha finito con lo stabilireche la presenza di un nuovo partner - con il quale siastata intrapresa una stabile e regolare convivenza -nella vita del genitore non affidatario, non può costituireun ostacolo al diritto di frequentazione dellostesso con il proprio figlio, in assenza di pregiudizioper il minore e adottando tutte le dovute cautele.Il giudice ribadisce il principio, ormai assodato ingiurisprudenza, secondo il quale il convivente delgenitore, che abiti con questi in modo permanente,non è qualificabile come mero ospite: dal momentoche la famiglia di fatto è compresa tra le formazionisociali (58) che l’art. 2 della Carta costituzionaleconsidera la sede di svolgimento della personalitàindividuale, il convivente gode della casa familiare,di proprietà del partner, per soddisfare un interesseproprio, oltre che della coppia, sulla base di un titoloa contenuto e matrice personale la cui rilevanzasul piano della giuridicità è custodita dalla Costituzione,tanto da assumere i connotati tipici della detenzionequalificata (59).Pertanto, ad avviso del giudice, in mancanza di unpregiudizio per il minore e adottando le opportunecautele, il genitore ha diritto a coinvolgere il propriofiglio nella sua nuova relazione sentimentale,trattandosi, appunto, di una formazione sociale a rilevanzacostituzionale. Nella motivazione dell’ordinanzail giudicante tiene conto del fatto che è intercorsomolto tempo dalla rottura della convivenzamatrimoniale, che il minore è ormai tredicenne eche il divieto di frequentare il nuovo convivente delgenitore non collocatario di fatto potrebbe tradursiin una lesione del diritto di visita inclusivo del pernottamentoproprio perché, come si è detto poc’anzi,il nuovo partner non è un mero ospite.Ciò comporterebbe per il genitore la necessità di fareuna drastica scelta tra il figlio e la nuova partner,cosa che potrebbe essere giustificata soltanto nell’ipotesiin cui si potesse configurare un pregiudizioper il minore derivante dall’esistenza di questa nuovarelazione. Ma tale cosa, ad avviso del giudice milanese,non trova riscontro nei fatti. Non si ravvisano, infatti,deduzioni idonee a far ritenere che la presenzadella nuova compagna potrebbe rivelarsi di pregiudizioo anche meramente rischiosa per il minore. Il giudicemilanese si richiama, infine, alla migliore letteraturapsicologica sul punto e ritiene che il gradualeinserimento dei nuovi compagni, nella vita dei figlidi genitori separati, corrisponde al loro benesseresempre che i legittimi genitori abbiano cura e premuradi far comprendere alla prole che le nuove figurenon si sostituiscono a quelle genitoriali.Note:(56) In tal senso Trib. Messina 18 luglio 2006, in Juris data, Milano,2006.(57) Il Trib. Nicosia 22 aprile 2008, in questa Rivista, 2008, 8-9,803, con nota di Mascia, ha accolto la richiesta del genitore nonaffidatario disponendo, in maniera innovativa per l’ordinamentoitaliano, la possibilità di ricorrere ai mezzi messi a disposizionedalla tecnologia per rendere più assidui e regolari i contatti con isuoi due figli. All’uomo è stato riconosciuto il diritto di visitare isuoi figli mediante collegamento in video-ripresa su internet, perdue volte alla settimana, e per non oltre venti minuti, mettendoa disposizione dei minori, a sue spese, idonea apparecchiatura,e sopportando i costi di gestione del collegamento.(58) La qualità di formazione sociale della convivenza more uxorioha consentito alla Suprema Corte di guardare alla stessa comefonte di doveri morali e sociali di ciascun convivente nei confrontidell’altro. Ciò ha comportato, tra l’altro, di escludere il dirittodel convivente more uxorio di ripetere le eventuali attribuzionipatrimoniali effettuate durante il corso della convivenza (Cass.20 gennaio 1989, n. 285; Cass. 13 marzo 2003, n. 3713; Cass.15 maggio 2009, n. 11330); di riconoscere il diritto del conviventeal risarcimento del danno patrimoniale e non patrimoniale perla morte del/la compagno/a causata da un terzo (Cass. 28 marzo1994, n. 2988; Cass. 16 settembre 2008, n. 23725); di dare rilievoalla convivenza intrapresa dal coniuge separato o divorziato aifini dell’assegno di mantenimento o divorzile (Cass. 10 novembre2006, n. 24056; Cass. 10 agosto 2007, n. 17643; Cass. 11agosto 2011, n. 17195; Cass. 12 marzo 2012, n. 2923).(59) Cass. 21 marzo 2013, n. 7214.Famiglia e diritto 8-9/2013 815


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GiurisprudenzaAdozioneAdozione di minoriTribunale dei minorenni di Catanzaro 13 dicembre 2012, ord. - Pres. ed Est. TrovatoAdozione di minori - Informazioni sulle proprie origini - Donna che ha dichiarato alla nascita di non voler essere nominata- Divieto di autorizzazione - Preventiva verifica della persistenza della volontà di anonimato - Mancata previsione -Questione di legittimità costituzionale non manifestamente infondata(Art. 28, comma 7, L. 4 maggio 1983, n. 184)Non è manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale dell’art. 28 l. n. 184 del 1893, nellaparte in cui esclude la possibilità di accesso alla madre che non ha consentito di essere nominata nell’atto dinascita, da parte dell’adottato, senza prevedere una verifica della permanenza della volontà di anonimato daparte della donna.ORIENTAMENTI GIURISPRUDENZIALIConformeTribunale per i minorenni di Firenze 21 luglio 2004, ord.Difforme Corte Costituzionale 25 novembre 2005, n. 425Il TribunaleHa emesso la seguente ordinanza.Premesso che:a) appare opportuno riservare alla eventuale specifica richiestadella Corte destinataria l’indicazione completadei nomi delle persone che saranno indicate con le soleiniziali nel corso del presente provvedimento;b) in data 27/12/2010 M.R. chiedeva di conoscere le generalitàdella madre naturale esponendo di essere stataadottata;c) acquisito l’atto integrale di nascita si accertava che larichiedente era stata partorita presso l’Ospedale Civile diCatanzaro il 23/5/1963 da “donna che non consente diessere nominata” e che le era stato imposto il nome diM.M.;d) dallo stesso atto risultava che con provvedimento del9/11/1966 era stata affiliata e successivamente, in data26/6/1969, adottata;e) la donna esponeva di avere scoperto già adulta di esserestata adottata: la notizia le era stata data, per ferirla,nell’ambito del conflitto insorto con il marito da cui si èseparata e divorziata; ha spiegato come l’ignoranza dellesue origini l’abbia condizionata anche limitando le opportunitàdi diagnosi e cura in occasione di patologie/disturbi(nodulo al seno, disturbi ricollegabili forse aduna menopausa precoce) anche recentemente insorti; larichiedente spiegava di non avere alcuno spirito di rivendicazionenei confronti della madre biologica e aggiungevadi ritenere che per la stessa madre poteva essere unconforto avere la possibilità di conoscerla, così chiudendoun conto con il passato;f) il P.M., in data 29/10/12, concludeva esprimendo parerefavorevole;g) in base all’art. 28, comma 5, della legge 4 maggio 1983,n. 184, è consentito all’adottato che abbia compiuto 25anni (ovvero anche solo la maggiore età se sussistono gravie comprovati motivi di salute) di accedere ad informazioniche riguardano la propria origine e l’identità deipropri genitori biologici, previa autorizzazione del Tribunaleper i minorenni;h) l’art. 28, VII comma, della citata legge n. 184/1983, sostituitodall’art. 177 del d.lgs. n. 196/2003 dispone che“l’accesso alle informazioni non è consentito nei confrontidella madre che abbia dichiarato alla nascita dinon voler essere nominata ai sensi dell’art. 30, comma 1,D.P.R. 3/11/2000, n. 396”.Osserva che emerge la non manifesta infondatezza dellaquestione di legittimità costituzionale dell’art. 28, commaVII, per contrasto con gli artt. 2, 3, 32 e 117, commaI della Costituzione.In particolare, asserito contrasto con l’art. 2 Cost.Studi psicologici e sociologici hanno evidenziato chenelle persone adottate, insorge il bisogno di conoscerenon solo la storia precedente all’adozione, ma anchel’identità dei propri genitori, al fine di ricostruire la propriastoria personale e di giungere ad una più completaconoscenza di sé. La privazione delle radici propria dell’adottatoche, tra l’altro, porta spesso a costruire un’immagineidealizzata dei genitori biologici, appare in talsenso di ostacolo all’esigenza primaria di costruzione dellapropria identità psicologica; in altre parole, la conoscenzadelle proprie origini costituisce presupposto indefettibileper l’identità personale dell’adottato.Secondo un orientamento consolidato in giurisprudenzadeve essere qualificato come POSIZIONE DI DIRITTOSOGGETTIVO l’interesse dell’individuo a preservare lapropria identità personale, nel senso di IMMAGINE SO-CIALE, cioè di coacervo di valori (intellettuali, politici,religiosi, professionali ecc.) rilevanti nella rappresentazioneche di essa viene data nella vita di relazione, nonché,correlativamente, ad insorgere contro comportamentialtrui che menomino tale immagine. Qualificatacome diritto, l’identità personale si può pertanto definirecome la rappresentazione che l’individuo ha di se stesso,non solo come singolo, ma anche all’interno della comu-Famiglia e diritto 8-9/2013 817


GiurisprudenzaAdozionenità in cui vive. Si tratta di una valutazione complessivadella persona, che comprende elementi di diversa natura,l’insieme dei quali consente a ciascuno di “costruirsi” unapropria identità. L’immagine che ciascuno ha di se stessoè dunque la risultante di diversi elementi tra i quali i legamibiologici rivestono un rilevante ruolo.Nel diritto internazionale pattizio si rinvengono disposizionia tutela del diritto all’identità personale ed alla ricercadelle proprie radici: gli artt. 7 e 8 della Convenzionedi New York affermano il diritto del fanciullo a conoscerei propri genitori, sancendo altresì l’impegno per gliStati contraenti a garantire il rispetto del diritto del minorea preservare propria identità, comprendente nazionalità,nome e relazioni familiari; mentre l’art. 30 dellaConvenzione dell’Aja impone agli Stati contraenti, nellamisura consentita dalla propria legge, di assicurare l’accessodel minore o del suo rappresentante alle informazioniconservate sulle sue origini, in particolare quelle relativeall’identità della madre e del padre.Contribuisce a precisare i contorni del diritto alla identitàanche la recente sentenza della CEDU 25/9/2012, Godellic. <strong>Italia</strong>, in cui al punto 46 (si) ricorda che “l’articolo8 protegge il diritto all’identità e alla serenità personalee quello di annodare e sviluppare relazioni con i proprisimili e il mondo esterno”. A questa serenità contribuisconoil poter disporre dei dettagli sulla propria identitàdi essere umano e l’interesse vitale, protetto dalla convenzione,ad ottenere informazioni necessarie alla scopertadella verità concernente un aspetto importante dellapropria identità personale, ad esempio l’identità dei genitori(Mikulie, precitato, §§ 54 e 64). La nascita, e lecircostanze specifiche di questa, danno risalto alla vitaprivata del bambino prima e dell’adulto poi, e devono esseregarantite dall’articolo 8 della Convenzione che trovadunque applicazione nella fattispecie.Il diritto a conoscere le proprie origini costituisce unaspetto del più ampio diritto all’identità personale; quindianche il diritto a conoscere le proprie vere origini, chepuò contribuire in maniera determinante a delineare lapersonalità di un essere umano, può e deve trovare tutelanei principi fissati dall’art. 2 Cost., nell’ambito di una difesadell’identità individuale nella complessità ed unitarietàdi tutte le sue componenti. In tale prospettiva, il negarea priori l’autorizzazione all’accesso alle notizie sullapropria famiglia biologica per il solo fatto che il genitoreabbia dichiarato di non voler essere nominato sembraporsi come una violazione del diritto di ricerca delle proprieorigini e dunque del diritto all’identità personale dell’adottato,rappresentando la conoscenza della propria famigliabiologica un elemento cruciale per la costruzioneculturale, nazionale e sociale della persona.L’esigenza di tutelare in modo assoluto il diritto alla riservatezzadella madre biologica dovrebbe rispondere soprattuttoall’interesse pubblico di disincentivare il ricorsoa metodi di interruzione della gravidanza o, nei casipeggiori, di evitare l’infanticidio.Ma garantire il segreto significa anche tutelarla da unpassato da dimenticare perché disonorevole o doloroso,soprattutto nel quadro culturale e sociale di qualche decenniofa, in cui un figlio illegittimo era consideratoun’onta: in quest’ottica, peraltro, il semplice prevedere lapossibilità di confermare, su istanza del figlio, la decisionepresa molti anni prima in ordine alla scelta di rimanerenell’anonimato non sembrerebbe comportare alcunpericolo per gli interessi di cui sopra, posto che la madrepotrebbe sempre ribadirla e dunque decidere di restareanonima. Se l’esigenza principale è dunque quella di tutelareil diritto al riserbo della madre, non si vede perchési debba escludere che essa - fermo restando il necessarioe preventivo atto di impulso del figlio - si possa esprimerenuovamente sul merito; il suo diritto all’anonimato resterebbe,infatti, ugualmente garantito e di conseguenzala preclusione del comma 7 non appare giustificata in vistadella tutela di un interesse prevalente.Quanto sopra anche in considerazione del mutato sentiredella nostra società, in cui un figlio nato fuori dal matrimonionon è più concepito come un disonore: basti considerareil continuo crescere delle famiglie di fatto, dellemadri non coniugate e non conviventi, del ricorso ai metodidi inseminazione artificiale, ecc. Infine, siffatta possibilitànon potrebbe nemmeno comportare, nell’otticadella famiglia adottiva, nessun pericolo in più rispetto aquelli cui non sia già tuttora esposta a seguito della possibilitàconcessa all’adottato dai nuovi commi 5 e 6. Il genitoreche abbia scelto di non voler essere nominato almomento della nascita del proprio figlio dovrebbe apparire,oltretutto, molto meno pericoloso (in vista di potenzialipretese “restitutorie”) agli occhi dei genitori adottivirispetto a quello che si sia reso “conoscibile” o a quello,ancora di più, il cui figlio sia stato adottato dopo qualcheanno dalla nascita, magari anche contro la propria volontà.Il legislatore del 2001, nel riformare l’art. 28 della leggen. 184/83 in ordine all’accesso alle informazioni circa leproprie origini da parte dell’adottato, ha mostrato di recepirei suggerimenti pervenuti dalle scienze giuridiche,psicologiche e sociali e concernenti l’importanza del dirittodell’adottato alla conoscenza dei propri dati biologiciquale esplicazione del diritto alla costruzione della propriaidentità personale; ma con la previsione di cui alcomma VII, d’altra parte, rischia di precludere irrazionalmente,nella maggior parte dei casi, ciò che voleva consentire.In particolare, asserito contrasto con l’art. 3 Cost.La rigida preclusione di cui all’art. 28, comma 7, contrastaanche con l’art. 3 Cost. in relazione al principio dieguaglianza, in quanto sottopone ad una diversa disciplinal’adottato la cui madre non abbia dichiarato alcunché- nel qual caso è richiesta solo l’autorizzazione del Tribunaleper i minorenni, peraltro nemmeno necessaria nelcaso di morte o irreperibilità dei genitori adottivi - equello la cui madre abbia dichiarato di non voler esserenominata, senza tenere in alcuna considerazione l’eventualitàche possa aver cambiato idea e lei stessa desideri,dopo tanto tempo, avere notizie di quel figlio che, in circostanzesicuramente drammatiche, si era determinata adabbandonare.818Famiglia e diritto 8-9/2013


GiurisprudenzaAdozioneTale disparità di trattamento appare inopportuna in considerazionedel fatto che la condizione del richiedente è,in tutti i casi, esattamente la stessa: lo status di adottato.Tale trattamento diseguale potrebbe trovare giustificazionesolo nel fatto che, sussistendo in un certo settore interessiconfliggenti, tutti di pari rango, la preminenza di alcuniin certi casi ma non in altri comporti la necessità diprevedere regimi giuridici diversi.Nel caso di specie, gli interessi in conflitto sono, da unaparte, quello dell’adottato alla ricerca delle proprie radici,quale espressione del diritto all’identità personale.Dall’altra parte, sussistono altri due interessi, diversi matendenti a convergere nel fine da perseguire: quello allaprotezione della famiglia adottiva da ogni ingerenzaesterna, come tutela di quella “nuova famiglia legittima”riconducibile all’art. 29 Cost.; e quello della famiglia biologicaall’anonimato, come protezione del diritto alla riservatezza(anch’esso da ricondursi all’art. 2 Cost.) e quale(ulteriore) garanzia della famiglia adottiva. Quest’ultimavede, infatti, nella cancellazione del passato del figlioadottivo una garanzia essenziale per la propria tranquillitàfutura.L’art. 28, comma 7, precludendo la conoscenza delle informazioniper il solo fatto della richiesta del genitorebiologico di non volere essere nominato, manifestata almomento immediatamente successivo alla nascita, ha ritenutoprevalente su tutti gli interessi in conflitto quellodel genitore all’anonimato, assegnando una valenza assolutaed incontrovertibile alla scelta operata allora, senzafarsi carico di verificare se l’intenzione di non volere esserenominata mantenga la sua validità nel tempo (anchedopo 25 o più anni di distanza!), sacrificando sempre ecomunque l’interesse dell’adottato, in ipotesi anche afronte di gravi e comprovati motivi attinenti alla sua salutepsicofisica.Si badi infine che l’esperienza pratica delle proceduregiudiziarie adottive propone in generale all’operatore,una duplice realtà: da un lato ci sono i minori (più o menopiccoli di età) che sono dichiarati in stato di abbandonoin presenza di una (a volte anche determinata) opposizionedei genitori biologici (che subiscono il procedimento);in tal caso il segreto che assiste l’origine dei genitoribiologici ed il segreto che è previsto per la destinazionedel bambino presso i genitori adottivi deve tutelaresoprattutto i secondi da agiti dei primi che potrebbero farefallire l’adozione. Per tale ipotesi non opera il comma7° dell’art. 28 e l’unico limite all’accesso alle informazionirisiede nella valutazione della sussistenza o meno delpericolo di “grave turbamento all’equilibrio psicofisicodel richiedente”: ma ove i genitori adottivi siano morti odivenuti irreperibili, il comma 7° prevede che il dirittoall’accesso si realizzi senza limiti.Dall’altro lato ci sono i minori figli di genitori che hannorinunciato volontariamente ad essi chiedendo l’anonimato:in tale ipotesi il segreto sulla provenienza biologicadel minore è posto in genere a tutela della riservatezza delgenitore biologico, e per quanto possibile è difficile ipotizzarepericoli alla adozione da parte del genitore che havolontariamente deciso di non riconoscere il figlio.Il comma VII dell’art. 28 opera unicamente per questa secondaipotesi, imponendo l’esclusione dell’accesso alleinformazioni da parte dell’adottato. Tale diverso trattamentoappare irragionevolmente diseguale, in quanto èsemmai il genitore della prima ipotesi ad essere realisticamenteportatore di maggiori insidie per l’equilibrio dell’adottatoe dei genitori adottivi.È del tutto possibile, ed è perfino probabile, che dopo ildecorso del lungo periodo previsto dalla legge (non menodi 18 o 25 anni) la madre ben potrebbe avere elaborato lacondotta passata ed essere disponibile ad accogliere la richiestadi accesso alle informazioni sulle origini da partedell’adottato che risarcisca nell’animo di questi il traumadell’abbandono e nel suo stesso animo il trauma di avereabbandonato.In questa ipotesi, che per essere esclusa deve essere primainvestigata, si apprezza l’irragionevole disparità di trattamentofra l’adottato nato da donna che abbia dichiaratodi non voler essere nominata e l’adottato figlio di genitoriche non abbiano reso alcuna dichiarazione e abbianoanzi subìto l’adozione. Accertato il superamento del rapportoconflittuale fra il diritto dell’adottato alla propriaidentità personale e quello della madre naturale al rispettodella sua volontà di anonimato la diversità di disciplinafra le due ipotesi è ingiustificata.In tal senso, la norma appare anche sotto il vaglio delprincipio di uguaglianza, non consona ai principi costituzionali,quanto meno nella parte in cui non prevede l’accertamentodella persistente intenzione della madre direstare non nominata, dopo il decorso di tanti anni.In particolare, asserito contrasto con l’art. 32 Cost.Il disposto dell’art. 28, comma 7, appare in contrasto anchecon l’art. 32 Cost., norma a tutela del diritto alla saluteed all’integrità psico-fisica.In ordine alla salute del corpo, non può sottacersi checonsentendo alla donna che ha deciso di non assumersiresponsabilità genitoriali la possibilità di partorire in assolutoanonimato, nella prassi diffusa degli ospedali italiani,induce gli operatori sanitari (nella generalità deicasi salvo che siano non espressamente richiesti), adomettere persino l’ordinaria raccolta dei dati anamnesticinon identificativi della madre. Le conseguenze sonotutt’altro che trascurabili in quanto una buona anamnesiconsentirebbe ai genitori adottivi di programmare interventiprofilattici e/o accertamenti diagnostici ed allostesso figlio, già privato della conoscenza della storia sanitariadel ramo paterno del proprio albero genealogico,un accesso meno mutilato al diritto alla salute. Deve ricordarsiin proposito che è noto come la costruzione dell’alberogenealogico, che fornisce un’immediata visionedell’anamnesi familiare, è spesso la chiave per determinareil rischio genetico.Per non dire che la persona abbandonata alla nascita conparto anonimo, ove contragga nel corso della sua vitamalattie geneticamente determinate perde, per definizione,le sempre maggiori opportunità di cura assicurate giàoggi dal trapianto di cellule staminali proprie o donatedai familiari (v. in proposito il D.M. 18/11/2009 “Dispo-Famiglia e diritto 8-9/2013 819


GiurisprudenzaAdozionesizioni in materia di conservazione di cellule staminali dasangue del cordone ombelicale” in cui manca qualsiasiprevisione relativa ai neonati abbandonati).Relativamente alla salute intesa come integrità psico-fisicava ricordato come la giurisprudenza precedente alla riformadella l. n. 149/2001 aveva avuto modo di affermareche “con la prudente mediazione ed il supporto operativopiù discreto ed oculato del servizio sociale può consentirsiall’adottato maggiorenne di riallacciare i rapporticon la propria famiglia di sangue, pur nutrendo il maggioraffetto ed un profondo attaccamento per la famiglia adottiva,qualora il soddisfacimento di un desiderio siffatto,nutrito da assai lungo tempo ed esternato pacatamentema insistentemente ai familiari adottivi, abbia ad eliminareil costante, grave travaglio psicologico ed esistenziale,fonte di inquietudini tormentose e di assai pericoloseansie, che affligge l’adottato, contribuendo così in manieradeterminante al suo benessere psico-fisico, e ciòtanto più quando i congiunti di sangue e di affetto hannomanifestato al giudice un incondizionato consenso a cheun sì rilevante desiderio dell’adottato venga esaudito”(Tribunale per i minorenni di Perugia del 27/02/2001).In particolare, asserito contrasto con l’art. 117,comma 1, Cost.La Corte Europea dei Diritti dell’Uomo, II sezione, consentenza 25/9/2012, nel caso Godelli c. <strong>Italia</strong> ha esaminatoarticolatamente lo stato dell’ordinamento giuridicoitaliano in ordine al diritto di accesso alle informazionisulle proprie origini da parte di persona nata da madreche ha dichiarato di non volere essere nominata.Conclusivamente la CEDU ha affermato:70. La Corte sottolinea che a differenza del sistema franceseesaminato nel caso Odièvre, la legislazione italiananon tenta di gestire un equilibrio tra i diritti e gli interessiconcorrenti. In assenza di ogni meccanismo atto a bilanciareil diritto della richiedente e i diritti e gli interessidella madre, una cieca preferenza è inevitabilmente dataa quest’ultima. Inoltre, nel caso Odièvre, la Corte osservache la nuova legge del 22 gennaio 2002 rafforza lapossibilità di togliere il segreto sulla identità e facilita laricerca delle origini biologiche grazie alla istituzione diun Consiglio nazionale per l’accesso alle origini personali.Con applicabilità immediata, permette agli interessatidi sollecitare la reversibilità del segreto, salvo l’accordo diquest’ultima (§ 49), e di aver anche accesso a informazioninon identificative.In <strong>Italia</strong>, il progetto di legge della riforma della legge n.184/1983 è tuttora in esame al Parlamento dal 2008 (§27).71. Nella fattispecie, la Corte evidenzia che, se la madrebiologica ha optato per l’anonimato, la legislazione italiananon da alcuna possibilità al figlio adottato e non riconosciutoalla nascita, di richiedere né l’accesso ad informazioninon identificative, né la reversibilità del segreto.In queste condizioni, la Corte afferma che l’<strong>Italia</strong>non ha cercato di stabilire un equilibrio e una proporzionalitàtra gli interessi delle parti contrapposte ed ha dunqueecceduto nel margine di valutazione riconosciutole.Dichiarando pertanto che la nostra legislazione viola l’articolo8 della Convenzione e condannando l’<strong>Italia</strong> aduna equa riparazione della ricorrente per danni morali espese processuali.Il giudice ordinario, seguendo gli insegnamenti delle sentenze“gemelle” nn. 348 e 349 del 2007 della Corte Costituzionale,non può non riconoscere che, tra normativainterna di rango primario e la Costituzione si è “interposta”una decisione, attuativa di un trattato internazionale,che, pur non direttamente applicabile, crea obblighidel nostro Paese, quale Stato contraente. Tali obblighiincombono in primo luogo al giudice comune cui spettainterpretare la norma interna in modo conforme alla disposizioneinternazionale, entro i limiti nei quali ciò siapermesso dai testi delle norme.Qualora ciò non sia possibile, ovvero dubiti della compatibilitàdella norma interna con la disposizione convenzionale‘interposta’, egli deve investire questa Corte dellarelativa questione di legittimità costituzionale rispetto alparametro dell’art. 117, primo comma, ... spetterà poi allaCorte ... accertare il contrasto e, in caso affermativo,verificare se le stesse norme CEDU, nell’interpretazionedata dalla Corte di Strasburgo, garantiscono una tuteladei diritti fondamentalialmeno equivalente al livello garantito dalla Costituzioneitaliana. (Corte Cost. n. 349/2007).Orbene esaminando la possibilità di interpretare la normativainterna in modo conforme alla decisione CEDUdeve osservarsi che quando la Corte di Strasburgo affermache la legislazione italiana ... non da alcuna possibilitàal figlio adottato e non riconosciuto alla nascita, di richiederené l’accesso ad informazioni non identificative,mostra di non avere esaminato la possibilità di una parzialesoddisfazione che la legislazione italiana prevede peri figli nati ed abbandonati da madre che abbia dichiaratodi non voler essere nominata.Invero a mente dell’art. 93, 2° comma del d.lgs.30/6/2003, n. 196 “Il certificato di assistenza al parto o lacartella clinica, ove comprensivi dei dati personali cherendono identificabile la madre che abbia dichiarato dinon voler essere nominata ..., possono essere rilasciati incopia integrale a chi vi abbia interesse, in conformità allalegge, decorsi cento anni dalla formazione del documento”.Ma quantomeno, secondo il III comma dellanorma citata: “Durante il periodo di cui al comma 2 la richiestadi accesso al certificato o alla cartella può essereaccolta relativamente ai dati relativi alla madre che abbiadichiarato di non voler essere nominata, osservando leopportune cautele per evitare che quest’ultima sia identificabile.”In tal senso si registrano alcune prime applicazionigiurisprudenziali (tra le altre inedite, v. Tribunaleper i Minorenni di Firenze 18/12/2007, decr., in MinoriGiustizia, 2008, 2, con nota di A. Specchio; Tribunale peri Minorenni di Catanzaro 25/7-27/8/2012, n. 116).Peraltro deve osservarsi che il rimprovero che la CEDUmuove alla legislazione italiana riguarda qualcosa di più edi diverso dall’accesso alle informazioni non identificative.Intanto l’accesso non è regolamentato in alcun modo:la norma non chiarisce a chi vada presentata la domanda820Famiglia e diritto 8-9/2013


GiurisprudenzaAdozioneed i criteri che dovrà seguire l’organo investito della richiestaper decidere se autorizzare o meno. Ma ancora piùa monte non è chiaro quali dati vadano raccolti e conquali cautele e da chi debbano essere conservati. Se infattii dati fossero solo quelli iscritti nel certificato di assistenzaal parto, sarebbero disponibili unicamente le generalitàdella partoriente e, dunque, niente altro che datiintensamente identificativi, esclusi per definizione dall’accesso.Questa incertezza ha giustificato prassi moltodiverse. In alcune regioni, anche sulla scorta delle richiestedei giudici, fin dalla prima comunicazione della nascitadi bambini non riconosciuti, vengono trasmessi alcunidati non identificativi; in altre, anche sulla scorta di indicazionidei giudici specularmente contrarie a quelle primacitate, l’amministrazione sanitaria si è votata all’anonimatoassoluto. Capita così di osservare gravi diseguaglianzedi trattamento, dovute anche a motivi occasionali(quali l’instaurarsi di una giurisprudenza anziché diun’altra), tra un territorio ed un altro, magari contiguo.Non può meravigliare se la CEDU tragga la conclusioneche è riassunta nelle parole finali del paragrafo 71 dellasentenza “l’<strong>Italia</strong> non ha cercato di stabilire un equilibrioe una proporzionalitàtra gli interessi delle parti contrapposte ed ha dunque eccedutonel margine di valutazione riconosciutole”.La reversibilità del segreto introdotta dalla legislazionefrancese (che ha superato il vaglio della Corte di Strasburgonel caso Odièvre), che presuppone l’intervento diun organo specializzato che con le opportune cautele verificail consenso della madre ad uscire dall’anonimato,configura un arresto ben diverso dal semplice accesso alleinformazioni non identificative (quando queste fosserodisponibili). Certamente, raccolto il consenso della madre,la possibilità di un superamento del segreto costituirebbeun passo importante verso l’armonizzazione tra ilregime riconosciuto dall’ordinamento giuridico al dirittoalla conoscenza delle origini e l’opinione assolutamenteprevalente della comunità scientifica degli psicologi chericonosce quanto sia fondamentale nella costruzione dellapersonalità la piena conoscenza delle origini. Sia consentitoosservare che l’argomento secondo cui la nostranormativa, contestata dalla CEDU, mira da un lato - adassicurare che il parto avvenga in condizioni ottimali, siaper la madre che per il figlio, e - dall’altro - a distoglierela donna da decisioni irreparabili, per quest’ultimo benpiù gravi e che in tal senso è ragionevole che la normanon preveda per la tutela dell’anonimato della madrenessun tipo di limitazione, prova troppo. Specialmente seconfrontato con l’esperienza pratica. Questa consente diosservare che la maggior parte delle donne che, avendodeciso di abbandonare il proprio figlio, si avvicinano allestrutture ospedaliere, è completamente all’oscuro dellanormativa che regola la vicenda e viene piuttosto informatadagli operatori dei Servizi Sociali ospedalieriimmediatamente prima o, più frequentemente, per motivioggettivi, solo dopo il parto. Inoltre non risulta che siamai stata segnalata una differenza significativa tra le statistichedegli infanticidi nei Paesi che riconoscono più omeno ampiamente, ovvero negano il parto in anonimato.Dovrà viceversa riconoscersi che il parto in anonimato ètra le prime cause che favoriscono i non pochi casi di alterazionedi stato, tanto da avere indotto il legislatore apredisporre gli strumenti preventivi previsti dall’art. 74legge 4/5/1983, n. 184.Rilevanza della questione di legittimità costituzionaledell’art. 28, comma 7, nella presente proceduraLa questione appare rilevante in quanto la lettera dell’art.28, comma 7, della legge n. 184/1983 non escludesoltanto l’accesso alle informazioni ma nel contempo implicitamenteesclude anche il solo interpello del genitorebiologico che dichiarò di non voler essere nominato: infattiratio evidente della norma appare la tutela della riservatezzadel genitore biologico che sarebbe lesa (ingiustificatamentesecondo l’attuale assetto legislativo) anchedal solo interpello per verificare la persistenza dellavolontà di non essere nominato.Nella fattispecie, come osservato in premessa, la madrebiologica della ricorrente ha dichiarato di non voler esserenominata, di talché appare precluso a questo Tribunaleanche il semplice interpello della donna, con il che siconferma la rilevanza della questione.La ricorrente resterebbe pertanto frustrata nella ricerca diquella pienezza della sua identità che le ha creato il gravedisagio esistenziale ben descritto nel verbale del25/10/2012, ma anche le difficoltà, evidenti, numerose eprogressive (con il decorso del tempo), di non poter indirizzarele terapie di cui necessita (sospetti di neoplasiemammarie, di menopausa precoce, ecc.) con una ordinariaanamnesi familiare.Si è già detto che non si ravvisa la possibilità di interpretazionidella normativa interna che possano evitare l’interventodel giudice delle leggi. In ordine alle generalitàdella madre che ha chiesto di non essere nominata, l’art.28 comma 7, della legge 4/5/1983, n. 184 prevede il mantenimentodell’anonimato assoluto, senza limiti temporali.La possibilità di accesso agli elementi non identificativi,a prescindere dalla genericità della procedura previstadall’art. 93, 3° comma, d.lgs. 30/6/2003, n. 196, per quantoautorizzabile allo stato attuale della normativa, è vanificatadalla mancata regolamentazione delle modalità diraccolta e conservazione dei dati medesimi.Per inciso, si osserva che in entrambi i casi, sia emettendoun provvedimento che respingesse la domanda di accessoovvero autorizzasse almeno la conoscenza di datinon identificativi di fatto non esistenti perché mai raccoltie/o conservati, la soluzione non soddisferebbe la decisionedella CEDU.P.Q.M.Visto l’art. 23 legge 11 marzo 1953, n. 87;Dichiara rilevante e non manifestamente infondata laquestione di legittimità costituzionale dell’art. 28, comma7 della legge 4/5/1983, n. 184, nella parte in cui escludela possibilità di autorizzare la persona adottata all’accessoalle informazioni sulle origini senza avere previamenteverificato la persistenza della volontà di non volereessere nominata da parte della madre biologica, perFamiglia e diritto 8-9/2013 821


GiurisprudenzaAdozionecontrasto con gli artt. 2, 3, 32 e 117, comma 1 della Costituzione.Sospende il giudizio in corso.Dispone l’immediata trasmissione degli atti alla CorteCostituzionale.Dispone che l’ordinanza sia comunicata alla ricorrente, alPubblico Ministero e al Presidente del Consiglio dei ministri,oltre che ai Presidenti delle due Camere del Parlamento.DAVVERO INCOSTITUZIONALI LE NORME CHE TUTELANOIL SEGRETO DEL PARTO IN ANONIMATO ?di Pier Giorgio Gosso (*)È davvero condivisibile l’interpretazione estensiva data dalla Corte Europea dei Diritti dell’Uomo al rispettodella vita privata tutelato dall’articolo 8, par.1, della CEDU, che vi ricomprende anche il diritto dell’adottatopartorito nell’anonimato a conoscere le proprie origini, e l’articolo 28, 7° comma, della Legge 4 maggio 1983,n. 184 è davvero da ritenere in contrasto, ai sensi dell’articolo 117, 1° comma, della Costituzione, con i vincoliderivanti dagli obblighi internazionali?1. La segretezza del parto secondo la leggeitalianaCom’è noto, la facoltà attribuita alle gestanti di partorirein anonimato, rinunciando irrevocabilmentealla propria genitorialità, è stata introdotta nel nostroordinamento con il R.D.L. 8 maggio 1927, n.798, convertito nella Legge 6 dicembre 1928, n.2838 (Norme sull’assistenza degli illegittimi, abbandonatio esposti all’abbandono). È quindi intervenutoin materia il D.P.R. 9 luglio 1939, n. 1238 (Ordinamentodello stato civile), poi sostituito in granparte dal D.P.R. 3 novembre 2000, n. 396 (Regolamentoper la revisione e la semplificazione dell’ordinamentodello stato civile), al cui articolo 30 si legge- al 1° comma - che «la dichiarazione di nascita èresa da uno dei genitori, da un procuratore speciale,ovvero dal medico o dalla ostetrica o da altra personache ha assistito al parto, rispettando l’eventualevolontà della madre di non essere nominata», e viha fatto seguito il d.lgs. 30 giugno 2003, n. 196 (Codicein materia di protezione dei dati personali), incui si dispone, all’articolo 93, 2° comma, che «il certificatodi assistenza al parto o la cartella clinica, ovecomprensivi dei dati personali che rendono identificabilela madre che abbia dichiarato di non voler esserenominata avvalendosi della facoltà di cui all’articolo30, 1° comma, del decreto del Presidente dellaRepubblica 3 novembre 2000, n. 396, possono essererilasciati in copia integrale a chi vi abbia interesse,in conformità alla legge, decorsi cento annidalla formazione del documento». Entro dieci giornidalla dichiarazione di nascita, il neonato partoritoda donna che si è avvalsa del segreto è segnalato dall’ospedaleall’ufficiale di stato civile, che gli attribuisceun nome e cognome e ne informa il procuratoredella Repubblica presso il Tribunale per i minorenni(1), il quale deve proporre ricorso urgente al tribunale,che, «senza eseguire ulteriori accertamenti,provvede immediatamente a dichiarare lo stato diadottabilità»; il neonato viene quindi inserito nellasua famiglia adottiva, scelta fra quelle individuatedal Tribunale stesso.Non va, inoltre, dimenticato che - a norma dell’articolo11, 2° comma della legge 4 maggio 1983, n.184 - il genitore naturale può chiedere al Tribunaleper i minorenni la concessione di un termine massimodi due mesi, entro il quale decidere se riconoscereo meno il neonato.Nella sua stesura originaria, la legge 4 maggio 1983,n. 184 (che recava il titolo «Disciplina dell’adozionee dell’affidamento dei minori») non regolamentavain alcun modo l’accesso degli adottati alle informazioniriguardanti l’identità dei propri genitori biologici.Ciò è stato fatto soltanto con la legge 28 marzo2001, n. 149 (intitolata «Diritto del minore ad unaNote:(*) Il contributo è stato sottoposto, in forma anonima, alla valutazionedi un referee.(1) Legge 17 febbraio 1971, n. 89 (Modificazioni all’articolo 75del regio decreto 9 luglio 1939, n. 1238, sull’ordinamento dellostato civile), articolo unico, comma 3 e 5: tale articolo, che rinviavaall’articolo 314/5 del codice civile (relativo alla dichiarazionedi adottabilità dei minori, in allora disciplinata dalla Legge 5giugno 1967. n. 431, e quindi abrogato), deve, nonostante la distrazionedel legislatore, che si è dimenticato di aggiornarlo, ritenersituttora operativo anche in riferimento alla Legge 4 maggio1983, n. 184 attualmente in vigore.822Famiglia e diritto 8-9/2013


GiurisprudenzaAdozionefamiglia»), che, ridisegnando tra l’altro l’articolo 28della legge 184, ha previsto al riguardo, al 5° e al 6°comma, un regime di autorizzazioni del Tribunaleper i minorenni per gli adottati che hanno raggiuntoi venticinque anni e - entro precisi limiti - ancheper coloro che hanno raggiunto la maggiore età.L’accesso alle informazioni restava invece inibito, aisensi del 7° comma, «se l’adottato non sia stato riconosciutoalla nascita dalla madre naturale e qualoraanche uno solo dei genitori biologici abbia dichiaratodi non voler essere nominato e abbia manifestatoil consenso all’adozione a condizione di rimanereanonimo». Questa confusa dizione è stata daultimo resa più intelligibile dall’articolo 177, 2°comma, del citato d.lgs. 30 giugno 2003, n. 196 sullaprotezione dei dati personali, che così ha disposto:«L’accesso alle informazioni non è consentito neiconfronti della madre che abbia dichiarato alla nascitadi non voler essere nominata ai sensi dell’articolo30, comma 1, del decreto del Presidente dellaRepubblica 3 novembre 2000, n. 396» (2).2. Le pronunce della Corte Costituzionalee della Corte Europea dei Diritti dell’UomoContro tale divieto era stato promosso il 21 luglio2004 giudizio di legittimità costituzionale dal Tribunaleper i minorenni di Firenze, su ricorso di un adultotrentaduenne non riconosciuto alla nascita e adottatonei suoi primi mesi di vita. Il ricorrente aveva lamentatoche con una simile preclusione era recata offesanon soltanto al suo diritto alla propria identitàpersonale, ma anche al principio di uguaglianza, entrambigarantiti dalla Costituzione (articoli 2 e 3),nonché al suo diritto alla salute e all’integrità psicofisica(articolo 32), ma la questione era stata giudicatainfondata dalla Corte Costituzionale con sentenzadel 25 novembre 2005: il legislatore, nel dare prevalenzasenza alcuna limitazione (e quindi in ipoteticocontrasto con l’eventuale futura volontà dell’adottatodi rintracciare la propria madre biologica) alla decisionedella partoriente di restare anonima - osservavail giudice delle leggi - ha giustamente inteso, mediante«una ragionevole valutazione comparativa», da unlato «assicurare che il parto avvenga in condizioni ottimali,sia per la madre che per il figlio», e, dall’altro,«distogliere la donna da decisioni irreparabili, perquest’ultimo ben più gravi» (3).Sulla segretezza conferita dalla legislazione italianaal parto in anonimato, questa volta sotto il diversoprofilo della sua compatibilità con i principi sancitidall’articolo 8 della Convenzione per la salvaguardiadei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali(firmata a Roma il 4 novembre 1950 e resa esecutivain <strong>Italia</strong> con legge di ratifica 4 agosto, 1955, n.848) (4), è stata infine chiamata a pronunciarsi laCorte Europea dei Diritti dell’Uomo, a seguito di unricorso presentato nel 2009 da una cittadina italiana,nata nel 1943 da donna che si era avvalsa del segreto(5): con lapidaria motivazione, la Corte - purdando atto dell’opposto orientamento espresso sulpunto dalla nostra Corte Costituzionale - ha accoltoil ricorso, affermando perentoriamente che «il dirittoall’identità, da cui deriva il diritto a conoscere lapropria ascendenza, fa parte integrante della nozionedi vita privata», e che, a causa dei divieti frappostidalla legge italiana, la quale - a differenza della legislazionefrancese (6) - non si è preoccupata in al-Note:(2) La condotta di chi rilasci i documenti senza averli resi anonimiè sanzionata dall’articolo 15 del Codice sulla protezione deidati personali, ai sensi dell’articolo 2050 del codice civile (risarcimentoper l’esercizio di attività pericolose).(3) Corte Costituzionale 25 novembre 2005, n. 425, in questa Rivista,2006, 19 ss. Cfr., al riguardo, D. Paris, Parto anonimo e bilanciamentodegli interessi nella giurisprudenza della Corte costituzionale,del Conseil constitutionnel e della Corte europeadei diritti dell’uomo (con alcuni spunti per una rilettura dell’inquadramentocostituzionale dell’interruzione volontaria della gravidanza),il quale rileva che da un’attenta lettura della motivazionedella sentenza si ricava come lo schema argomentativo sceltodalla Corte costituzionale poggi, più che su un vero e proprio“bilanciamento di diritti”, sulla prevalenza da accordare alla protezionedella vita prenatale (www.forumcostituzionale.it).(4) Articolo 8 (Diritto al rispetto della vita privata e familiare): «1.Ogni persona ha diritto al rispetto della sua vita privata e familiare,del suo domicilio e della sua corrispondenza. 2. Non può aversiinterferenza di un’autorità pubblica nell’esercizio di questo diritto,a meno che questa ingerenza sia prevista dalla legge e costituiscauna misura che, in una società democratica, è necessariaper la sicurezza pubblica, per il benessere economico del paese,per la difesa dell’ordine e per la prevenzione dei reati, per laprotezione della salute o della morale, o per la protezione dei dirittie delle libertà degli altri».(5) Nella parte espositiva (p. 2) della sentenza con la quale ha decisoil caso, la Corte Europea ha erroneamente definito “adoptionsimple” l’affiliazione, con la quale la ricorrente venne affidata dalgiudice tutelare a una famiglia, ai sensi degli allora vigenti articoli404 ss. del codice civile (istituto poi abolito con l’entrata in vigoredella Legge 4 maggio 1983, n. 184 sull’adozione dei minori).(6) Secondo l’articolo 147-2 del Code de l’action sociale et des familles,modificato dalla Legge 22 gennaio 2002, n. 93, il minoreche ha raggiunto l’età di discernimento può, con l’assenso deisuoi rappresentanti legali, essere ammesso dal Conseil Nationalpour l’accès aux origines personnelles (CNAOP) a conoscerel’identità della donna che non l’aveva riconosciuto alla nascita, sequest’ultima - interpellata in proposito - dichiara di rinunciare almantenimento della segretezza del parto (levée du secret). Ciòconsiderato, la Corte Europea dei Diritti dell’Uomo aveva stabilitonel 2003 che in tal modo il diritto alla segretezza del parto viene aessere ragionevolmente conciliato con la possibilità per l’adottatodi conoscere le proprie origini, così salvaguardando il rispetto dellavita privata tutelato dall’articolo 8 della CEDU: cfr. Cour Européennedes Droits de l’Homme, grande chambre, 13 février 2003,affaire Odièvre c. France, n. 42326/98, in http://www.planning-familial.org/actualites/index.php?select=82&mots=(la sua traduzionein lingua italiana è reperibile in Giustizia civile, 2004, 1, 2177ss.).Famiglia e diritto 8-9/2013 823


GiurisprudenzaAdozionecun modo di introdurre un equilibrio tra diritti e interessiconcorrenti, la donna che nel nostro Statopartorisce in anonimato «gode del diritto puramentediscrezionale di mettere al mondo un figlio in sofferenza,condannandolo per tutta la vita all’ignoranza»:in tal modo «viene data una preferenza cieca all’esclusivointeresse della madre» (7).3. La questione di costituzionalità sollevatadal Tribunale per i minorenni di CatanzaroSu quest’ultima decisione è sostanzialmente imperniatal’ordinanza con la quale, il 13 dicembre 2012,il Tribunale per i minorenni di Catanzaro ha investitonuovamente la Corte Costituzionale della questionedi legittimità del divieto contenuto nell’articolo28, 7° comma della legge 4 maggio 1983, n.184, come modificato dall’articolo 177, II commadel d.lgs. 30 giugno 2004, n. 196 (8). Infatti - dopoaver premesso che «nelle persone adottate insorge ilbisogno di conoscere non solo la storia precedenteall’adozione, ma anche l’identità dei propri genitori,al fine di ricostruire la propria storia personale», cosìreiterando le censure alla segretezza assoluta delparto anonimo già sollevate nel 2004 dal Tribunaleper i minorenni di Firenze sotto il triplice aspettodella violazione dei principi contenuti negli articoli2, 3 e 32 della Costituzione e osservando che spuntia tutela del diritto dell’adottato a ricercare le proprieradici si ricaverebbero sia dagli articoli 7 e 8 dellaConvenzione di New York del 20 novembre 1989sui diritti del fanciullo che dall’articolo 30 dellaConvenzione dell’Aja del 29 maggio 1993 sulla protezionedei minori e sulla cooperazione in materia diadozione internazionale - vi si sottolinea come laCorte Europea dei Diritti dell’Uomo, nel suo pronunciamentodel 25 settembre 2012, abbia riscontratonella decisione assunta dai giudici italiani cheebbero a negare alla ricorrente l’accesso alle informazioniriguardanti la propria madre biologica unaviolazione del principio sancito dall’articolo 8 dellaCEDU, che «tutela un diritto all’identità e allo sviluppopersonale e quello di allacciare e svilupparerelazioni con i propri simili e il mondo esterno».Poiché tale violazione, scaturita dalla rigorosa applicazionedel disposto di cui all’articolo 28, 7° comma,della legge 4 maggio 1983, n. 184, si pone in contrastocon gli obblighi internazionali assunti dall’<strong>Italia</strong>con la sua adesione alla Convenzione per la salvaguardiadei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali,ne risulterebbe - ai sensi del disposto dell’articolo117, 1° comma, della Costituzione (9) -l’incostituzionalità della norma di cui sopra (10).4. Alcuni equivoci su cui conviene farechiarezzaAlla luce del pronunciamento della Corte Europeadei Diritti dell’Uomo, e secondo il principio racchiusonell’articolo 117, 1° comma, della Costituzione,sembrerebbe dunque, prima facie, che la questionesollevata dai giudici remittenti sia presumibilmentedestinata a essere accolta. Infatti, sebbenele funzioni di controllo e di censura assegnate allaCorte Europea dalla Convenzione del 1950 si esercitinoesclusivamente sugli effetti derivanti da singolemisure concrete poste in essere dalle autorità giudiziarieo amministrative dello Stato chiamato in giudizioper verificarne la conformità ai dettati dellaConvenzione (11), e non sulle leggi dello stesso,non vi è dubbio che, ove la condotta censurata siafrutto dell’applicazione di una norma di legge interna,tale censura, pur se contenuta in una pronunciadi mero accertamento, comporta implicitamente unNote:(7) Cour Européenne des Droits de l’Homme, deuxième section,25 septembre 2012, affaire Godelli c. Italie, n. 33783/09, inhttp://hudoc.echr.coe.int/sites/eng/pages//search.aspx?i=001-114323, ove è disponibile anche la traduzione in lingua italiana(in calce alla sentenza figura l’articolato parere dissenziente formulatoda uno dei sette giudici, András Sajó, su cui ci si soffermeràpiù avanti. In dottrina (D. Paris, op. cit., 12) si è osservatoche tale decisione, estromettendo la Corte Costituzionale, «rappresentacertamente un motivo di frizione nei rapporti fra giudicecostituzionale e giudice convenzionale e ripropone la domandasu quale sia il giudice ultimo dei diritti umani».(8) Gazzetta Ufficiale, 1° serie speciale - Corte Costituzionale, n.11 del 13.3.2013.(9) Articolo 117, comma 1, Costituzione (modificato dall’articolo3 della Legge costituzionale 18 ottobre 2001, n. 3, che ha riformatoil titolo V della parte seconda): «La potestà legislativa èesercitata dallo Stato e dalle Regioni nel rispetto della Costituzione,nonché dei vincoli derivanti dall’ordinamento comunitarioe dagli obblighi internazionali»: infatti la CEDU ricade senz’altronell’ambito dei trattati che il nostro Stato è tenuto a rispettare.(10) Si vedano, a commento della sentenza: A. Margaria, Partoanonimo e accesso alle origini: la Corte europea dei diritti dell’uomocondanna la legge italiana, in Minori Giustizia, 2013, 2, 340 ss;G. Currò, Diritto della madre all’anonimato e diritto del figlio allaconoscenza delle proprie origini. Verso nuove forme di contemperamento,in questa Rivista, 2013, 6, 537 ss; M.P. Bianchetti, LaCorte Europea dei Diritti dell’Uomo richiama l’<strong>Italia</strong> a realizzare ildiritto dell’adottato a conoscere le proprie origini, in Diritti Umaniin <strong>Italia</strong>, 22 aprile 2013 (www.duitbase.it


GiurisprudenzaAdozionegiudizio di illegittimità della legge così applicata, esotto questo profilo lo Stato ritenuto responsabiledella violazione è tenuto, ai sensi dell’articolo 46 delTrattato (12), a evitare che la violazione si ripeta peril futuro, provvedendo ad apportare alla legge che l’-ha originata le opportune modifiche (13).Al riguardo, però, si impongono alcune considerazionidi non secondaria rilevanza:1) Balza agli occhi, innanzi tutto, il fatto che né laCorte Europea che ha deciso il caso Godelli né i giudiciche hanno sollevato la questione di costituzionalitàdel 7° comma dell’articolo 28 della legge 4maggio 1983, n. 184 si siano posti il problema di denunciareanche l’illegittimità delle altre norme dellalegislazione italiana riguardanti la segretezza assolutadel parto in anonimato, come è il caso del dispostodel citato articolo 93, 2° comma, del d.lgs. 30giugno 2003, n. 196;2) Non ci si può esimere, soprattutto, dal rilevareche la sentenza della Corte Europea, dopo aver datoatto che la richiesta rivolta dalla ricorrente all’autoritàgiudiziaria italiana era volta semplicemente aottenere informazioni non identificative sulla suamadre naturale (14), ha finito per concludere (p.14) che «la ricorrente ha del resto dimostrato un interesseautentico a conoscere l’identità della madre,poiché ha tentato di acquisire una certezza al riguardo»(15), così estendendo la propria censura all’interoimpianto della legge dello Stato italiano, e conciò andando palesemente ultra petitum: un bel pasticcio,insomma. Al riguardo va tenuto anche presenteche l’articolo 93 del citato d.lgs. 30 giugno2003, n. 196 (Codice in materia di protezione deidati personali) - della cui esistenza sembra che laCorte Europea fosse all’oscuro - dispone al suo 3°comma che «durante il periodo di cui al comma 2 [ecioè lungo l’arco dei cento anni durante i quali permaneil segreto] la richiesta di accesso al certificatoo alla cartella può essere accolta relativamente aidati relativi alla madre che abbia dichiarato di nonvoler essere nominata, osservando le opportune cauteleper evitare che quest’ultima sia identificabile»:la norma è d’importanza assolutamente fondamentale,come hanno rimarcato la dottrina (16) e la giurisprudenza(17) più avvertite, osservando che la segretezzadel parto in anonimato prevista dal legislatoreitaliano non impedisce la conoscibilità dellenotizie riguardanti l’origine dell’adottato non riconosciutoalla nascita, purché le stesse non rivelino idati identificativi della madre. Né va dimenticatoche già in data 10 aprile 2000 il Garante italiano perla protezione dei dati personali, interpellato dal ministrodella sanità, aveva espresso il seguente parere:«È in ogni caso opportuno, secondo l’Autorità, chevenga comunque lasciata la successiva possibilità alfiglio della madre che non vuole essere nominata dipoter accedere, anche a distanza di tempo, ad informazioniimportanti per la tutela della propria salute,prevedendo che tra il certificato depurato dei datipersonali e le altre informazioni di carattere sanitariorelative al parto (per esempio, quelle contenutenella cartella clinica) venga mantenuta una formadi collegamento» (18). Sulla falsariga di tale parere,si può citare come esempio di buona prassi il protocollod’intesa stipulato il 29 ottobre 2007 con il Comunedi Roma dal locale Tribunale per i minorenni,in cui è tra l’altro disposto che, nel rispetto dell’anonimato,«a garanzia della salute del bambino è necessarioregistrare tutti i dati anamnestici materniNote:(12) Articolo 46 CEDU: «1. Le Alte Parti contraenti s’impegnanoa conformarsi alle sentenze definitive della Corte nelle controversienelle quali sono parti. 2. La sentenza definitiva della Corteè trasmessa al Comitato dei Ministri che ne sorveglia l’esecuzione».(13) Cfr., in dottrina, tra gli altri, A. Giansanti, Riflessioni in ordineall’efficacia delle sentenze della Corte Europea dei diritti umani eagli obblighi di riparazione a carico dello Stato soccombente conparticolare riguardo al caso Sejdovic c. <strong>Italia</strong>, inhttp://www.sioi.org/Sioi/Giansanti.pdf.; U. Villani, Sull’efficaciadella Convenzione Europea dei Diritti dell’Uomo nell’ordinamentoitaliano dopo il trattato di Lisbona, in Diritti comparati, 2012(www.diritticomparati.it).(14) P. 7: «La requérante se plaint de ne pas pouvoir obtenircommunication d’èléments non identifiants sur sa famille naturelle»;pp. 11 e 12: «La requérante reproche à l’Italie de ne pasassurer le respect de sa vie privée par son système juridique qui,de manière absolue, fait obstacle à l’action en recherche de maternitélorsque la mère biologique a demandé le secret et qui,surtout, ne permet pas la communication de données non identifiantessur celle-ci». A scanso di equivoci, vale fin d’ora la penadi ricordare - come meglio sarà specificato più avanti nel testo -che da nessuna norma della legislazione italiana risulta che siainibito trasmettere all’adottato dati non identificativi della donnache l’ha partorito in anonimato, come invece sembra ritenere laCorte Europea nella sentenza Godelli.(15) «La requérante a d’ailleurs démontré un intérêt authentiqueà connaître l’identité de sa mère, puisqu’elle a tenté d’acquérirune certitude à cet égard».(16) L. Balestra, Il diritto alla conoscenza delle proprie origini tratutela dell’identità dell’adottato e protezione del riserbo dei genitoribiologici, in Familia, 2002, 167; L. Lenti, Adozione e segreti,in La nuova giurisprudenza civile commentata, 2004, 2, 144; P.Morozzo della Rocca, in Commentario del codice civile a cura diLuigi Balestra, IV, Torino, 2010, 146; P. Pazé, La conoscenza delleorigini, fino a che punto…, in Minori Giustizia, 1997, 2, 5; M.Petrone, Il diritto dell’adottato alla conoscenza delle proprie origini,Milano, 2004, 44.(17) Tribunale per i minorenni di Firenze 18 dicembre 2007, decr.,in Minori Giustizia, 2008, 360; Consiglio di Stato, sentenza 17settembre 2010, in www.giustizia-amministrativa.it/webcs/frmRicercaSentenza.asp.;TARdel Lazio, sez. III, 9agosto 2006, n. 7133.(18) Cfr. Garante per la protezione dei dati personali, bollettino n.11/2000, 107, in www.garanteprivacy.it.Famiglia e diritto 8-9/2013 825


GiurisprudenzaAdozione(eventuali infezioni, decorso della gravidanza, malattieereditarie, se gravidanza a rischio, ecc.) nonchéeffettuare alla partoriente tutti gli esami diagnosticiindispensabili all’accertamento di patologie atrasmissione genetica» e che «qualora la donna nonacconsentisse, le analisi che comunque dovrannoessere effettuate al bambino sono: HIV, HBsAG,HCV, TORCH, VDRL, TPHA (e, ove necessario,ulteriori accertamenti diagnostici), senza ulterioriautorizzazioni o richieste», ed è precisato che nellacartella clinica del neonato «è opportuno che vi sianoquante più informazioni utili all’anamnesi clinicamaterna nell’interesse della salute e cura del neonato,ma non dovranno comparire dati che possanoricondurre all’identità della madre naturale» (19).Tali disposizioni hanno trovato conferma e perfezionamentoin un nuovo protocollo d’intesa stipulato il27 novembre 2012 tra la Provincia di Roma, il Tribunaleper i minorenni, la Procura della Repubblicapresso il Tribunale per i minorenni di Roma e i Distrettisocio-sanitari delle Aziende Sanitarie in cuisono presenti i punti nascita, nell’ambito di un articolatopiano per la tutela della nascita (20).5. La rilevanza dell’articolo 117, 1° comma,della CostituzioneNel porre l’accento sul contrasto dell’articolo 28, 7°comma, della legge 4 maggio 1983, n. 184 con il dettamedell’articolo 117, 1° comma della Costituzione,l’ordinanza del Tribunale dei minorenni di Catanzarofa riferimento a due sentenze “gemelle”emesse il 22 ottobre 2007 dalla Corte Costituzionale,nelle quali è stata dichiarata l’incostituzionalitàdi una norma sull’indennità di espropriazione deisuoli edificabili per omesso rispetto del criterio retributivodettato dall’articolo 1 del primo protocolloaddizionale del trattato CEDU del 1950 (21). Il rinviooffre l’occasione per un’importante considerazionecontenuta in tali sentenze, là dove la Corte -confermando il suo costante orientamento sul punto- ha chiarito che le norme della Convenzione del1950 (CEDU), rese esecutive nel nostro ordinamentointerno con legge ordinaria, ne acquistano ilmedesimo rango e pertanto non si collocano a livellocostituzionale (22), con la conseguenza che, ogniqual volta venga sollevata questione di legittimità diuna norma nazionale rispetto all’articolo 117, 1°comma, della Costituzione per contrasto con unanorma della CEDU, occorre verificare la compatibilitàdi quest’ultima norma con le pertinenti normedella Costituzione, al fine di realizzare un correttobilanciamento tra l’esigenza di garantire il rispettodegli obblighi internazionali voluto dalla Costituzionee l’esigenza di evitare che ciò possa comportare,per altro verso, un vulnus alla Costituzione stessa,non potendosi addirittura escludere che talvolta lanormativa interna dello Stato assicuri garanzie ancorapiù ampie di quelle previste dalla CEDU.Alla luce di questa importante precisazione, occorrea questo punto focalizzare quale sia il primario perseguitodalla normativa sul parto in anonimato: inproposito riesce difficile non aderire a quanto osservatocon profonda pertinenza dal giudice dissenzientenella sua articolata opinione contraria, allegataalla sentenza della Corte di Strasburgo (ivi, 13-14).Osserva, giustamente, quel giudice che, a dispettodell’idea generalmente acquisita, secondo la qualetutti i diritti individuali sono in astratto uguali, il dirittoalla vita è la diretta emanazione del più alto - inassoluto - fra i valori umani difesi dalla Convenzione,e pertanto il divieto alla conoscenza delle originiprevisto dalla legislazione italiana nel caso in cuila madre abbia deciso di scegliere l’anonimato nonpuò essere considerato arbitrario, essendo prioritariamentefinalizzato a salvaguardare la vita del nascituro.Vi è poi da considerare che è lo stesso articolo8 della Convenzione a prevedere, nel suo 2°comma, che lo Stato nazionale possa limitare i singolidiritti individuali della persona quando è in giocola protezione della salute di un’altra persona (23).Se si passa, poi, a raffrontare la generica formulazionedel 1° comma dell’articolo 8 della suddetta Convenzione(che la stessa sentenza della Corte Europeache qui si critica giudica, a p. 12, difficile a definirsi(24)) con quanto dispone nel dettaglio la nostra cartacostituzionale, va ricordato che quest’ultima assegnaalla Repubblica non soltanto la protezione dellamaternità e dell’infanzia (articolo 31, 2° comma),ma la tutela della salute, in quanto «fondamentalediritto dell’individuo e interesse della collettività»Note:(19) www.figlinegati.forumfree.it.(20) www.tutelanascita.provincia.roma.it(21) Si tratta delle sentenze 348/2007 e 349/2007, emesse in data22 ottobre 2007 (consultabili in www.cortecostituzionale.it/actionSchedaPronuncia.do?anno=2007).(22) Si parla, al riguardo, nelle suddette sentenze, di “valenzasub-costituzionale” delle norme CEDU.(23) «Non può aversi interferenza di una autorità pubblica nell’eserciziodi questo diritto, a meno che questa ingerenza sia previstadalla legge e costituisca una misura che, in una società democratica,è necessaria per la sicurezza nazionale, per la sicurezzapubblica, per il benessere economico del paese, per la difesadell’ordine e per la prevenzione dei reati, per la protezionedella salute o della morale, o per la protezione dei diritti e delle libertàdegli altri».(24) «…ne se prête pas à une définition précise».826Famiglia e diritto 8-9/2013


GiurisprudenzaAdozione(articolo 32, 1° comma). Sotto questo profilo, convieneaver sempre presente che la segretezza del partoin anonimato non è affatto di ostacolo a che lestrutture socio-sanitarie deputate a ricevere le donneche si avvalgono di questa scelta raccolgano tuttii dati anamnestici riguardanti non soltanto la lorosalute, ma anche, se lo desiderano, notizie sulle lorocondizioni di vita e sui motivi che le inducono a talescelta: prassi, questa, che è consentita dall’attualeassetto normativo ed è quindi praticabile, poichépermette di acquisire un prezioso patrimonio conoscitivoda mettere a disposizione degli adottanti affinchése ne possano giovare nell’adempimento deiloro doveri d’informazione nei confronti dei figliadottati, prevenendo conflitti interpersonali spessodestinati a protrarsi nel tempo e scongiurando il manifestarsidi gravi problematiche esistenziali (25). Alriguardo non va poi dimenticato che l’articolo 22,7° comma, della legge 4 maggio 1983, n. 184 dispone,appunto, che il Tribunale per i minorenni «devein ogni caso informare» coloro cui viene dato un minorein affidamento preadottivo «sui fatti rilevanti,relativi al minore, emersi dalle indagini»: i rilievicritici espressi nell’ordinanza di rimessione del Tribunaleper i minorenni di Catanzaro circa la sussistenzadi prassi territoriali e settoriali differenziate edisomogenee possono e devono, pertanto, essere superatiattraverso l’inserimento, nei servizi, di figureprofessionali qualificate e l’instaurazione di prassicorrette e responsabili da parte degli organismi e delpersonale competente (26), nonché attraverso perfezionamentilegislativi in materia, come quello propostoil 6 giugno 2008 dal Consiglio Regionale delPiemonte per la messa in opera su tutto il territorionazionale di interventi di sostegno nei confrontidelle gestanti in ordine al riconoscimento o menodei loro nati e per assicurare alle stesse la continuitàassistenziale e il reinserimento sociale (27).Alla luce di tutte queste considerazioni, sembradunque di poter opinare che non sussistano i presuppostiper considerare lo Stato italiano obbligato adadeguarsi - ai sensi dell’articolo 46 del CEDU - allasentenza della Corte Europea sopra commentata.6. Lo stereotipo delle ConvenzioniinternazionaliA sostegno dell’esistenza di un presunto riconoscimento,da parte del diritto internazionale, del dirittodell’adottato a risalire a colei che l’ha partoritonell’anonimato, sia nella sentenza della Corte Europeadi Strasburgo che nell’ordinanza del Tribunaledei minorenni di Catanzaro è fatto un accenno alleenunciazioni contenute nella Convenzione sui dirittidel fanciullo firmata a New York il 20 novembre1989 (e ratificata dall’<strong>Italia</strong> con legge 27 maggio1991l n. 176), che, nell’affermare che «il bambinodovrà essere registrato immediatamente dopo la nascitae avrà diritto a un nome, ad acquisire una nazionalitàe, nella misura del possibile, a conoscere ead essere accudito dai suoi genitori» (articolo 7) eche «gli Stati Parti alla presente Convenzione si impegnanoa rispettare il diritto del bambino a conservarela propria identità, nazionalità, nome e relazio-Note:(25) Cfr. D. Bianchi, M. Chistolini, R. Pregliasco, Le richieste diaccesso alle informazioni sulle origini in una ricerca dell’Istitutodegli Innocenti, in Alla ricerca delle proprie origini. L’accesso alleinformazioni tra norma e cultura, a cura di Raffaella Pregliasco,Roma, 2013, 210 ss., ove si cita in termini positivi l’orientamentoin tal senso assunto dal Tribunale per i minorenni di Bolzano.(26) Su questo fronte si è mossa da tempo - in applicazione dell’articolo8, comma 5 della Legge 8 novembre 2000, n. 38 (Leggequadro per la realizzazione del sistema integrato di interventie servizi sociali) - la Regione Piemonte, a mezzo della Legge 2maggio 2006, n. 16 (riguardante le funzioni relative agli interventisocio-assistenziali nei confronti delle gestanti) e della correlatadelibera 18 dicembre 2006 n. 22-4214 della Giunta Regionale,designando gli enti gestori delle prestazioni socio-assistenziali edisponendo che gli interventi di sostegno «devono essere erogatisulla base di un progetto individuale che tenga conto dellevarie tipologie di donne che si trovano a vivere una gravidanzaaccidentale, non desiderata e non desiderabile» e «devono esserefinalizzati ad offrire alle gestanti la possibilità anticipata di riflettere,di verificarsi e di decidere con serenità e autonomia»(www.consiglioregionale.piemonte.it). Anche la Regione Toscana,con delibera del 3 settembre 2012, ha posto mano a un programmadi assistenza e di accompagnamento destinato a permetterealle donne in difficoltà - comprese le extra-comunitariee quelle in condizioni di clandestinità - di affrontare con consapevolezzala propria gravidanza, sia che decidano di prendersi curadel proprio nato e sia che decidano di non riconoscerlo partorendoin anonimato (Progetto “Mamma segreta”, inwww.rete.toscana.it).(27) Questo disegno di legge è stato poi fatto proprio dal d.d.l. C.3303, presentato dall’on. Lucà e altri, il cui esame era iniziato il22 settembre 2010 davanti alla XII Commissione permanente(Affari sociali) della XVI Legislatura. Anche il Gruppo di lavoro perla Convenzione sui diritti dell’infanzia e dell’adolescenza (gruppoCRC) - composto da oltre settanta organizzazioni operanti nell’areamaterno-infantile e coordinato da Save the children <strong>Italia</strong> -ha raccomandato al Parlamento italiano «l’approvazione di unalegge che preveda la realizzazione, da parte delle Regioni, di almenouno o più servizi specializzati, realizzati dagli enti gestoridelle prestazioni socio-assistenziali, in grado di fornire alle gestanti,indipendentemente dalla loro residenza anagrafica e cittadinanza,le prestazioni e i supporti necessari affinché possanoassumere consapevolmente e libere da condizionamenti socialie/o familiari le decisioni circa il riconoscimento o il non riconoscimentodei loro nati la realizzazione da parte delle regioni di almenouno o più servizi specializzati, realizzati dagli enti gestoridelle prestazioni socio assistenziali, in grado di fornire alle gestanti,indipendentemente dalla loro residenza anagrafica e cittadinanza,le prestazioni e i supporti necessari affinché possanoassumere consapevolmente e libere da condizionamenti socialie/o familiari le decisioni circa il riconoscimento o il non riconoscimentodei loro nati» (Rapporto di aggiornamento sul monitoraggiodella Convenzione sui diritti dell’infanzia e dell’adolescenzain <strong>Italia</strong>, giugno 2013, 51, in www.gruppocrc.net).Famiglia e diritto 8-9/2013 827


GiurisprudenzaAdozioneni familiari come riconosciuti dalla legge senza interferenzeillegali» (articolo 8), imporrebbe agli Statiaderenti di attribuire a ogni minore il diritto dirintracciare i propri genitori biologici. Ma si tratta,ad avviso di chi scrive, di allegazione priva di fondamento,poiché - come da tempo è stato fatto notare(28) - tale articolo mira a proteggere la persona delminore da qualsiasi forma d’interferenza o di “appropriazione”illegale, come è del resto confermato dall’interoimpianto della Convenzione, che nella suapremessa e in vari altri suoi passaggi raccomandache il bambino venga fatto crescere in un ambientefamiliare che assicuri il pieno e armonioso sviluppodella sua personalità (articoli 27, 29 e 30) e non siaseparato dai suoi genitori per motivi diversi dal suoesclusivo interesse (articoli 9, 19 e 20): sembra pertantoinconferente, per rivendicare un preteso dirittodell’adulto (29), far ricorso a un (inesistente) dirittodel minore.Non diverse considerazioni vanno svolte per quantoriguarda il richiamo al disposto dell’articolo 30 dellaConvenzione dell’Aja del 29 maggio 1993 sulla protezionedei minori e sulla cooperazione in materia diadozione internazionale (ratificata dall’<strong>Italia</strong> conlegge 31 dicembre 1998, n. 476), che prevede genericamentel’accesso del minore adottato alle informazionirelative all’identità dei propri genitori biologici(30): va infatti osservato che la norma (che riguardala sola materia delle adozioni internazionali)non contiene, comunque, alcun riferimento ai minorinon riconosciuti alla nascita. Ma ciò che premesoprattutto rilevare è che il legislatore italiano - avvalendosidella clausola di salvaguardia contenutanell’articolo 30, 2° comma, della Convenzione(«nella misura consentita dalla legge dello Stato») -ha disposto all’articolo 37, 1° comma, della Legge diratifica (legge 31 dicembre 1998, n. 476) che sianoaccessibili le sole informazioni concernenti lo statodi salute dell’adottato (31).7. Esiste sempre il diritto dell’adottatoa conoscere chi l’ha messo al mondo?La domanda di fondo con la quale ci si deve in sostanzaconfrontare non può che essere, allora, la seguente:merita davvero piena e incondizionata condivisionequanto categoricamente affermato dallaCorte Europea, secondo la quale (32) «il diritto all’identità,da cui deriva il diritto di conoscere la propriaascendenza, fa parte integrante della vita privata»?Alla luce delle argomentazioni che sono statefinora esposte, a modesto avviso di chi scrive nonpare che a tale interrogativo sia da dare sempre e comunquerisposta affermativa, e meno che mai allorchési tratti della preservazione del segreto sceltodalla donna che ha partorito nell’anonimato. Ci siaconsentito, invero, di osservare che nell’affrontarel’impegnativa tematica della ricerca delle origini vasempre mantenuta una netta distinzione tra la conoscenzadella condizione adottiva e la conoscenza deigenitori biologici, trattandosi di due ben distinti approcciche, per la loro diversa natura, esigono trattamentiassolutamente differenziati nella fase educativadello sviluppo. Il vero significato della conoscenzadelle origini va, insomma, collocato nell’ambitodi una corretta informazione dello stato di adottatoda parte dei genitori adottivi, nel rispetto dell’obbligodettato al riguardo dall’articolo 28 della legge italianasull’adozione dei minori (33): è su questa baseche si struttura la personalità del minore. Come, infatti,è stato giustamente rilevato, l’adozione si costruisceattraverso un percorso, anche di anni, checomporta nei suoi protagonisti vissuti complessi emovimenti interni alla coscienza e alla dimensioneemozionale, nell’ambito di un processo dinamico diinterazione con la realtà, all’interno delle relazioniaffettive stabilite con le figure di massimo riferimento,particolarmente nel tempo della prima infanzia(34), e l’identità di una persona si costruisce nellaNote:(28) A.C. Moro, Il bisogno di scoprire le proprie radici: un nuovodiritto?, in Il bambino incompiuto, 1993, 3, 6.(29) La statistica dice che le richieste di rintracciare la propriamadre biologica provengono in massima parte da adottati in etàadulta, e non è forse inutile ricordare che il caso deciso il 25 settembre2012 dalla Corte Europea dei Diritti dell’Uomo (AffaireGodelli c. Italie, cit.) è nato dal ricorso presentato da una donnadi sessantasei anni, mentre la questione di costituzionalità sollevatadal Tribunale per i minorenni di Catanzaro trae origine dauna richiesta di informazioni presentata da una quarantasettenne.(30) Articolo 30: «1. Le autorità competenti di ciascun Stato contraenteconservano con cura le informazioni in loro possesso sulleorigini del minore, in particolare quelle relative all’identità dellamadre e del padre, e i dati sui precedenti sanitari del minore edella sua famiglia; 2. Le medesime autorità assicurano l’accessodel minore o del suo rappresentante a tali informazioni, con l’assistenzaappropriata, nella misura consentita dalla legge delloStato».(31) Articolo 37, comma 1: «1. Successivamente all’adozione, laCommissione di cui all’articolo 38 può comunicare ai genitoriadottivi, eventualmente tramite il tribunale per i minorenni, solole informazioni che hanno rilevanza per lo stato di salute dell’adottato».(32) Cfr. sentenza citata, p. 13 (§ 65).(33) Articolo 28, comma 1: «Il minore adottato è informato di talesua condizione ed i genitori adottivi vi provvedono nei modi enei termini che essi ritengono più opportuni».(34) M. Chistolini, P. Pistacchi, L’accompagnamento all’accessoalle origini nelle più recenti esperienze di studio, ricerca e intervento,in Alla ricerca delle origini, cit., 136; D. Ghezzi, L’adozione:(segue)828Famiglia e diritto 8-9/2013


GiurisprudenzaAdozionestoria e nelle molteplici esperienze che ogni soggetto,specie nei primi anni di vita, realizza (35): comegià scriveva nel 1975 un grande neuropsichiatra infantile(36), «se l’adottato ha trovato nei suoi adottantidei “veri genitori”, il problema della sua madrenaturale non lo preoccupa più di tanto».Il canone ermeneutico enunciato dalla Corte Europea- e cioè considerare il rintraccio fisico dei proprigenitori naturali come una componente indispensabilealla costruzione dell’identità personale dell’adottato,qualificandone la mancata permissionecome un’indebita intrusione nella sua vita privata -sembra a chi scrive una chiara forzatura (37), che,ove rigorosamente applicata in tutti i suoi possibilisviluppi, darebbe luogo a conseguenze a dir poco imbarazzantisotto il profilo giuridico: che dire, adesempio, della disparità di trattamento tra l’adottatola cui madre naturale abbia deciso di rinunciare all’anonimatoe l’adottato che non abbia ottenuto talerinuncia? Che dire, inoltre, dei casi in cui la madrenaturale dell’adottato non è assolutamente rintracciabile,per la semplice ragione che l’adottatovenne abbandonato alla nascita?E, infine, un’ultima considerazione: se - come beneha chiarito il Conseil constitutionnel nella sua citatadecisione del 16 maggio 2012 - il diritto al rispettodella vita privata è da intendere come il diritto aessere protetti dalle intrusioni (pubbliche o private)nella sfera intima delle persone, quale maggiore intrusionedi quella realizzata nei confronti della donnache si trova a essere chiamata, per lo più a parecchianni di distanza, a render conto di una scelta fattain situazioni di drammatica gravità personale e familiare(38)?Note:(continua nota 34)diventare madri, padri e figli, in Prospettive Assistenziali, n. 130,aprile-maggio 2000, 30; M Persiani, Considerazioni riguardanti leproposte di legge sull’accesso all’identità dei genitori biologici daparte degli adottanti adulti, in Prospettive Assistenziali, n. 171,luglio-settembre 2010, 20.(35) Così A. C. Moro, op. cit., 8.(36) Michel Soulé, in C. Launay, M. Soulé, S. Weil, L’adoption.Données médicales, psychologiques et sociales, Parigi, 1975,163 (la traduzione è del sottoscritto).(37) Merita ricordare che il giudice costituzionale francese, chiamatoa valutare la legittimità del regime legislativo dell’accouchementsous X, ha escluso (Conseil constitutionnel, décision n.2012-248 QPC du 16 mai 2012) - pur dando atto dell’interpretazionepiù estensiva che del rispetto della vita privata garantitodall’articolo 8 della Convenzione europea viene data dalla CorteEuropea dei Diritti dell’Uomo - che la conoscenza delle proprieorigini da parte dell’adottato sia da ricomprendersi nel novero deidiritti alla vita privata: «le droit au respect de la vie privée n’impliquepas un droit d’accès aux origines» (www.conseil-constitutionnel.fr.).Cfr., sul punto, D. Paris, op. cit., 5.(38) In un recentissimo studio (J. Lamçe, D. Sina, E. Çuny, TheRight of the Children to Know Their Origin in Adopting and MedicallyAssisted Reproduction) pubblicato sul MediterraneanJournal of Social Sciences (4, 6, luglio 2013, 605 ss.) si trova riferitoche negli Stati Uniti quasi tutte le giurisdizioni ammettonoche i figli adottivi possono accedere alle sole informazioni nonidentificative sui propri genitori biologici (www.mcser.org/journal/index.php/miss/...).Famiglia e diritto 8-9/2013 829


GiurisprudenzaSintesiOsservatorio di giurisprudenzaa cura di Antonella Batà e Angelo SpiritoLESIONI PERSONALIDANNI NON PATRIMONIALICassazione civile, sez. III, 4 giugno 2013, n. 14040Ai prossimi congiunti di persona che abbia subito lesionipersonali spetta il risarcimento del danno morale concretamenteaccertato in relazione ad una particolare situazioneaffettiva con la vittima, non essendo ostativo ildisposto dell’art. 1223 c.c., in quanto anche tale dannotrova causa immediata e diretta nel fatto dannoso.Il casoG lamenta di aver subito un’operazione per l’asportazione diun neo dalla gamba, ma che l’intervento era stato ampiamentedistruttivo ed aveva residuato una leggera zoppia.Inoltre uno dei medici aveva comunicato a lui ed alla moglieA, prima ancora di avere effettuato la biopsia, che si trattavadi un melanoma, a causa del quale gli sarebbero rimasti pochimesi di vita; ciò aveva provocato nell’uomo uno stato diprofonda depressione, che aveva coinvolto anche la moglie,salvo poi ricevere con grande ritardo dagli stessi medici la comunicazioneche l’esame istologico aveva rivelato trattarsi diuna semplice cisti seborroica.Pertanto, i coniugi propongono domanda di risarcimento deidanni per responsabilità medica contro l’Azienda OspedalieraUniversitaria, la ASL e la Regione. Il Tribunale, dichiarata lacarenza di legittimazione passiva della ASL, condannato insolido l’Azienda Ospedaliera e la Regione, nonché le compagnieassicuratrici, a risarcire i danni al solo G. In sede di gravamela Corte d’appello aumenta l’entità del risarcimento,ma conferma il rigetto della domanda della moglie.Ricorrono per cassazione sia la Regione che i coniugi. In particolare,la A contesta il diniego del risarcimento dei dannimorali subiti di persona per effetto delle lesioni e delle sofferenzedel marito e della situazione di angoscia provocataledalle false informazioni sulla asserita malattia mortale di lui,smentite con imperdonabile ritardo, denunciando la contraddittorietàdella motivazione della Corte di merito che, pur affermandoche i congiunti potrebbero far valere i danni c.d.“riflessi” solo a fronte di lesioni seriamente invalidanti dellapersona cara e pur riconoscendo che le lesioni subite dal Gsono state gravi e meritevoli di un consistente risarcimento,ha contestualmente escluso che esse giustifichino il risarcimentodei danni morali subiti dalla moglie convivente.La soluzione della Corte di cassazioneed i collegamenti giurisprudenzialiLa S.C. accoglie il suddetto motivo di ricorso sotto il profilodell’insufficiente e non congrua motivazione. Infatti, la Corted’appello ha dato atto che - a seguito dell’intervento chirurgicosuperfluamente distruttivo e dell’errata notizia di essereaffetto da una malattia mortale con breve aspettativa di sopravvivenza,notizia smentita con grave ritardo rispetto aquanto sarebbe stato possibile - il G è rimasto vittima di unostato ansioso, con elaborazione depressiva e presenza di somatizzazioni,come accertato dalla relazione medica peritale;che tale stato si è protratto anche dopo il responso dell’esitofavorevole della biopsia, per il timore che si trattasse di unapietosa bugia e che i familiari gli nascondessero la verità; cheper effetto della situazione anche la moglie appariva distruttaa causa dello stato psicologico del marito. Malgrado tali premesse,però, ha negato la rilevanza dei danni morali con motivazionesostanzialmente apodittica: dichiarando cioè che ildanno morale dei congiunti assume rilievo solo se “può ricondursialle ipotesi di lesioni seriamente invalidanti, tali cioèda rendere di particolare gravità le sofferenze del soggettoleso e, di riflesso, quelle dei suoi prossimi congiunti e dacompromettere lo svolgimento delle relazioni affettive”.Secondo i giudici di legittimità non può in linea di principioescludersi che il danno psichico, soprattutto gli stati depressivi,possano assumere un tale rilievo da doversi consideraregravemente invalidanti; inoltre è indubbio che, nel caso dispecie, la situazione venutasi a creare era obiettivamenteidonea a configurare sofferenze di particolare gravità non soloper il soggetto direttamente leso, ma anche per colei cheda anni ne condivide la vita, ed era certamente tale da comprometterelo svolgimento delle relazioni affettive. Il diniegodi ogni rilievo a tali sofferenze, quale danno morale meritevoledi un risarcimento, configura una conclusione immotivatae contraddittoria rispetto alle premesse.Va ricordato, a tale proposito, che la stessa Corte di cassazioneha più volte affermato che l’illecito può esplicare a caricodegli stretti congiunti una sua potenzialità lesiva autonoma, venendocosì ad assumere una valenza plurioffensiva, sì da poteressere considerato come causa immediata e diretta non solodel danno subito dalla vittima, ma anche di quello subito dalcongiunto (cfr. Cass., sez. un., 1 luglio 2002 n. 9556, in Resp.civ. 2002, 1003, Foro it. 2002, I, 3060, con nota di Palmieri,Giur. it. 2003, 1359, con nota di Ortolani, Riv. it. medicina leg.2003, III, 220, Giust. civ. 2003, I, 2195; in tal senso, cfr. altresìCass. 3 aprile 2008, n. 8546; Cass. 14 giugno 2006, n. 13754).AMMINISTRAZIONE DI SOSTEGNOPROCEDURA DI NOMINACassazione civile, sez. I, 5 giugno 2013, n. 14190Nella procedura per la nomina di un’amministrazione disostegno, che consiste in un procedimento unilaterale,non esistono parti necessarie al di fuori del beneficiariodell’amministrazione.Il casoIl Tribunale rigetta le domande di interdizione o di inabilitazionepresentate nei confronti di L, nominando alla stessa un amministratoredi sostegno provvisorio e stabilendo che la L nonpossa compiere atti di straordinaria amministrazione, né contrarreobbligazioni per importi superiori ad Euro 50,00; quinditrasmette gli atti all’ufficio del giudice tutelare presso il Tribunaleper l’apertura della procedura di amministrazione di so-830Famiglia e diritto 8-9/2013


GiurisprudenzaSintesistegno. Il giudice tutelare conferma la nomina dell’amministratorein via definitiva, ritenendo opportuno il conferimentodell’incarico a persona estranea alla famiglia della beneficiaria,in considerazione dei forti contrasti esistenti tra i suoi parenti.Avverso tale decreto la L propone reclamo, chiedendo in viapreliminare la declaratoria di nullità del provvedimento per lamancata instaurazione del contraddittorio nei confronti di tuttii soggetti evocati in giudizio nel procedimento conclusocon il rigetto della domanda di interdizione o di inabilitazione,e, nel merito, la revoca del decreto per essere pienamentecapace di badare ai propri interessi. La Corte d’appello rigettail reclamo, ritenendo infondata la doglianza relativa allamancata convocazione dinanzi al giudice tutelare di tutti coloroche avevano partecipato al giudizio innanzi al Tribunale,avuto riguardo alla completa autonomia dei due procedimenti;nel merito, la Corte osserva che le modalità comportamentalidella donna, il suo totale rifiuto di comprendere le ragionidel provvedimento emanato inducono a ritenere piùche giustificati gli interventi già disposti a sua tutela, la cui efficacia,comunque, è ridotta a mera protezione del suo patrimonio;del resto, i familiari conviventi con la L avevano dimostratodi non essere, nella situazione di conflitto venutasia creare con gli altri congiunti, le persone più idonee ad occuparsidella gestione delle risorse patrimoniali della donna.La L presenta ricorso per cassazione, riproponendo, tra l’altro,la censura relativa all’omessa integrazione del contraddittorionella fase dinanzi al giudice tutelare conseguente allarimessione degli atti del procedimento da parte del Tribunaleex art. 418 c.c., e per l’omessa notificazione del provvedimentodi fissazione dell’udienza innanzi a detto giudice tutelarea tutte le parti del giudizio svoltosi innanzi al giudice rimettente,ancorché non costituite.La soluzione della Corte di cassazioneLa S.C. rigetta il ricorso. Afferma, infatti, che nella proceduraper l’istituzione di un’amministrazione di sostegno, che consistein un procedimento unilaterale, non esistono parti necessarieal di fuori del beneficiario dell’amministrazione, e non è,pertanto, configurabile una ipotesi di litisconsorzio necessariotra i soggetti partecipanti al giudizio innanzi al Tribunale. L’art.713 c.p.c., cui rinvia l’art. 720 bis c.p.c., espressamente limitala partecipazione necessaria al procedimento, come correttamenteposto in rilievo dalla Corte territoriale, al ricorrente, albeneficiario dell’amministrazione di sostegno e alle altre persone,tra quelle indicate nel ricorso, le cui informazioni il giudiceritenga utili ai fini dei provvedimenti da adottare.Risulta, quindi, esatta la conclusione cui la Corte di merito èpervenuta in ordine alla non configurabilità, nella specie, di alcunaviolazione del contraddittorio, per non essere prevista lapartecipazione al procedimento di altri che non fosse la L.I collegamenti giurisprudenzialiSul principio per cui nel giudizio di interdizione parenti ed affinidell’interdicendo non hanno qualità e veste di parti in sensoproprio, avendo essi un compito “consultivo” e cioè di fonti diutili informazioni al giudice, cfr. Cass. 1 dicembre 2000, n.15346; Cass. 15 maggio 1989, n. 2218; conseguentemente lamancata notifica del ricorso ad alcuni dei predetti, a seguito dell’omessaindicazione degli stessi, non determina alcuna nullitàdel procedimento (Cass. 18 febbraio 1982, n. 1023, in Dir. fam.1982, I, 790, Giust. civ. 1983, I, 2085, con nota di Bianco).È stato anche affermato che il procedimento per la nominadell’amministratore di sostegno si distingue, per natura, strutturae funzione, dalle procedure di interdizione e di inabilitazione;esso, quindi, non richiede il ministero del difensore nelleipotesi, da ritenere corrispondenti al modello legale tipico, incui l’emanando provvedimento debba limitarsi ad individuarespecificamente i singoli atti, o categorie di atti, in relazione aiquali si richiede l’intervento dell’amministratore; è necessaria,per contro, la difesa tecnica ogni qualvolta il decreto che il giudiceritenga di emettere, sia o non corrispondente alla richiestadell’interessato, incida sui diritti fondamentali della persona,attraverso la previsione di effetti, limitazioni o decadenzeanaloghi a quelli previsti da disposizioni di legge per l’interdettoo l’inabilitato, per ciò stesso incontrando il limite del rispettodei principi costituzionali in materia di diritto di difesa edel contraddittorio (Cass. 20 marzo 2013, n. 6861; Cass. 29novembre 2006, n. 25366, in questa Rivista 2007, 121, connota di Chizzini, ed ivi 19, con nota di Tommaseo, nonché inGiust. civ. 2006, I, 2685, Nuova giur. civ. comm. 2007, I, 743,con nota di De Roma, Dir. fam. 2007, I, 1613, Giur. it. 2007,2259, con nota di Socci, Riv. not. 2007, II, 486, con nota di Pedron,Corr. giur. 2007, 199, con nota di Bugetti).FILIAZIONE NATURALEATTRIBUZIONE DEL COGNOMECassazione civile, sez. VI, 5 giugno 2013, n. 14232, ord.In tema di attribuzione giudiziale del cognome al figlionaturale riconosciuto non contestualmente dai genitori,il giudice deve considerare, quale criterio di riferimento,unicamente l’interesse del minore, con esclusione diqualsiasi automaticità, e può, quindi, disporre di aggiungereil cognome del padre a quella della madre, che haeffettuato per prima il riconoscimento.Il casoIn un procedimento circa l’assunzione di cognome del figlionaturale, riconosciuto da entrambe le parti, il Tribunale per iminorenni attribuisce al minore il cognome paterno, sostituendoloa quello della madre. La Corte d’appello, al contrario,in sede di gravame, dispone l’assunzione del cognomepaterno in aggiunta a quello della madre.Il padre propone, allora, ricorso per cassazione.La soluzione della Corte di cassazioneed i collegamenti giurisprudenzialiLa S.C. rigetta il ricorso. Per il collegio correttamente il giudicea quo esclude ogni automatismo nell’assunzione del cognomepaterno, che viene privilegiato soltanto qualora, aisensi dell’art. 262 c.c., il riconoscimento sia effettuato contemporaneamentedai genitori; il che, nella specie, non si èverificato, avendo il padre riconosciuto il minore solo dopo alcunimesi dalla nascita. Né rileva, al riguardo, la volontà dellamadre di impedire, per alcuni mesi, il riconoscimento paterno;d’altro canto, la madre stessa lamenta un comportamentonegativo della controparte che ruppe la loro convivenza espingeva la gestante all’aborto; e nemmeno la diversa disciplinadella legge dello Stato di origine del padre, consideratala sussistenza della cittadinanza italiana della minore e dellamadre, nonché, per successivo acquisto, dello stesso padre.Del resto, occorre sempre valutare l’interesse del minore aconservare il cognome originario o comunque quello chemeglio rappresenta la sua identità personale. Infatti, la giurisprudenzadi legittimità ha già affermato, in tema di attribuzionegiudiziale del cognome al figlio naturale riconosciutonon contestualmente dai genitori, che il giudice è investitodall’art. 262, comma 2 e 3, c.c. del potere-dovere di decideresu ognuna delle possibilità previste da detta disposizione,Famiglia e diritto 8-9/2013 831


GiurisprudenzaSintesiconsiderando, quale criterio di riferimento, unicamente l’interessedel minore e con esclusione di qualsiasi automaticità,che non riguarda né la prima attribuzione (essendo inconfigurabileuna regola di prevalenza del criterio del prior intempore), né il patronimico (per il quale parimenti non sussistealcun favor in sé) (cfr. Cass. 3 febbraio 2011, n. 2644;Cass. 29 maggio 2009, n. 12670, in questa Rivista 2010,235, con nota di Vesto; cfr. altresì Cass. 17 luglio 2007, n.15953, in questa Rivista 2008, 155, con nota di Stazzone, edin Guida al dir. 2007, 32, 52, con nota di Gragnani). Ne conseguealtresì che, in considerazione dell’assoluta priorità dell’interessedel minore, l’attribuzione del cognome di entrambii genitori non è esclusa dalla pregressa durevole convivenzacon uno solo di essi (Cass. 6 novembre 2009, n. 23635).Inoltre, Cass. 26 maggio 2006, n. 12641 (in questa Rivista2006, 470, con nota di V. Carbone, nonché in Corr. giur. 2006,1210, con nota di V. Carbone, Nuovo dir. 2006, II, 1207, con notadi De Simone, Dir. fam. 2006, I, 1649, con nota di Gazzoni,Dir. e giust. 2006, 25, 10, con nota di Dosi, Familia 2006, II, 951,con nota di E. Carbone, Foro it. 2006, I, 2314, Giust. civ. 2006,I, 1698, Giur. it. 2007, 2198, con nota di Gandolfi), sottolinea comeil diritto al nome costituisce uno dei diritti fondamentali diciascun individuo, avente copertura costituzionale assoluta, sicchéil giudice deve avere riguardo al modo più conveniente diindividuare il minore in relazione all’ambiente in cui è cresciutofino al momento del riconoscimento da parte del padre, prescindendo,anche a tutela dell’eguaglianza fra i genitori, da qualsiasimeccanismo di automatica attribuzione del cognome.INDENNIZZO AI SUPERSTITIMALATTIA PROFESSIONALECassazione civile, sez. lavoro, 6 giugno 2013, n. 14317Con riferimento al rapporto di lavoro dei ferrovieri, l’equoindennizzo è riconoscibile solo a favore dei dipendenti enon anche a favore dei familiari aventi causa, cui l’indennizzocompete per diritto successorio e non iure proprio.L’equo indennizzo, infatti, ha la funzione di ristorare il dipendentedelle menomazioni subite a causa di infermitàa causa di servizio e, pertanto, la procedura amministrativaper la sua concessione deve da lui essere attivata,quantomeno nella fase iniziale della richiesta di accertamentodella causa di servizio, nel rispetto del termine didecadenza fissato dall’art. 4 del d.m. 2 luglio 1983, n.1622, affinché, nel caso di suo decesso, le fasi successivepossano essere promosse dai sui aventi causa.Il casoIl Tribunale riconosce dipendente da causa di servizio l’affezionepolmonare da cui era affetto P ed il conseguente suodecesso, condannando la s.p.a. RFI al pagamento dell’equoindennizzo a favore della vedova R.La decisione è riformata dalla Corte d’appello, la quale osservache, in base al d.m. 2 luglio 1983, n. 1622, emanato in attuazionedella legge 6 ottobre 1981, n. 564, l’equo indennizzopresuppone la previa presentazione della domanda - entroil termine decadenziale di sei mesi - ad opera del dipendenteanche nel caso di richiesta da parte degli aventi causa di riconoscimentodel collegamento del successivo decesso allacausa di servizio; detta prestazione può essere riconosciutasolo a favore del dipendente che ne abbia fatto domanda enon anche a favore dei congiunti del medesimo che risentonoin via indiretta del pregiudizio, i quali possono giovarsi dell’indennizzosolo a titolo successorio e non anche iure proprio.Nella specie la domanda di equo indennizzo era statapresentata dalla moglie del lavoratore a seguito del decessodel marito, e non dal lavoratore, per cui era inammissibile.La R propone, allora, ricorso per cassazione.La soluzione della Corte di cassazioneed i collegamenti giurisprudenzialiLa S.C. rigetta il ricorso. A tal fine spiega, in via preliminare,che la legge 6 ottobre 1981, n. 564, ha esteso ai ferrovieri l’istitutodell’equo indennizzo già inserito nello stato giuridico deidipendenti civili dello Stato (art. 11); in attuazione di tale normativa,il d.m. 2 luglio 1983, n. 1622, ha previsto che l’equo indennizzodi cui all’art. 68 del T.U. approvato con D.P.R. 10 gennaio1957, n. 3, è concesso al dipendente dell’Azienda autonomadelle ferrovie dello Stato che, per infermità o lesionecontratta per cause di servizio, abbia subito una menomazionedell’integrità fisica (art. 1, comma 1). Qualora alla data di emanazionedel decreto di concessione dell’equo indennizzo il dipendenteinteressato sia deceduto per cause di servizio debitamentericonosciute, a seguito di istanza presentata dagliaventi causa nel termine perentorio di sei mesi dalla data dell’eventomortale la morte è ascritta alla prima categoria dellatabella A (misura massima) (art. 1, comma 3). Quanto alle modalitàdi presentazione della domanda, il d.m. stabilisce cheper conseguire l’indennizzo il dipendente deve presentare domandaentro sei mesi dal giorno in cui è stato comunicato ilprovvedimento col quale si riconosce la dipendenza da causedi servizio della menomazione dell’integrità fisica, ovvero entrosei mesi dalla data in cui si è verificata la menomazione dell’integritàfisica in conseguenza dell’infermità o della lesionegià riconosciuta dipendente da cause di servizio (art. 4, comma1). Qualora l’interessato sia deceduto successivamente allapresentazione della domanda di equo indennizzo, e semprechénon ricorra l’ipotesi prevista dal dell’art. 1, comma 3, l’organosanitario deve pronunziarsi con l’indicazione della categoriadi menomazione cui si ritiene possa essere ascritta l’infermitào la lesione alla data della morte (art. 6, comma 2).La giurisprudenza di legittimità ha costantemente affermatoche tale disciplina presuppone che la concessione dell’equoindennizzo sia preceduta dalla presentazione della domandaai sensi dell’art. 4 del citato d.m. da parte del dipendente.L’equo indennizzo può, infatti, essere riconosciuto solo a suofavore, avendo detto istituto la funzione di ristoro al dipendenteper la menomazione da lui subita per infermità ascrivibilea causa di servizio. I congiunti aventi causa che risentanoin via indiretta un pregiudizio per la morte del dipendentepossono, invece, giovarsi dell’indennizzo in questione solo atitolo successorio e non anche iure proprio. In sostanza, titolaredell’indennizzo resta soltanto il dipendente che ha subitola menomazione, mentre ai suoi aventi causa esso spettaiure successionis, atteso che costoro, anche se suoi congiuntistretti, risentono un danno solo indiretto.Presupposto per la concessione dell’equo indennizzo è dunquela domanda avanzata dall’interessato entro il termine perentorioprevisto dall’art. 4 del suddetto d.m. Se essa non èstata avanzata gli eredi non possono far valere alcuna pretesacollegata all’ascrivibilità della morte all’infermità dipendenteda servizio.È stato anche affermato che per i ferrovieri, al pari che per i dipendenticivili dello Stato, la concessione dell’equo indennizzoconsta di un procedimento articolato in due fasi distinte, direttela prima al riconoscimento della causa di servizio e la successivaal riconoscimento dell’equo indennizzo, con distinti edautonomi termini per dette fasi (Cass. 7 ottobre 2004, n.832Famiglia e diritto 8-9/2013


GiurisprudenzaSintesi20006; Cass. 9 febbraio 2004, n. 2390; Cass. 28 novembre2001, n. 15059). Deve essere, quindi, il dipendente a chiederepersonalmente - nel rispetto del termine di decadenza - quantomeno l’accertamento della causa di servizio. Ove il dipendenteabbia soddisfatto quest’onere, nel caso intervenga il decesso,le fasi successive potranno essere attivate dai suoi aventi causaai sensi dell’art. 4, comma 3, per il quale la domanda può essereproposta, con le modalità previste dal comma 1, anche dagliaventi causa del dipendente o del pensionato deceduto (cfr.Cass. 11 ottobre 2007, n. 21332; Cass. 8 aprile 1999, n. 3442).Nel caso di specie, la domanda per il riconoscimento della dipendenzada causa di servizio venne presentata non dal defuntoP ma dalla vedova, successivamente al decesso delconiuge; pertanto, il ricorso è dichiarato inammissibile.COMPETENZATRIBUNALE PER I MINORENNICassazione civile, sez. VI, 11 giugno 2013, n. 14720, ord.Sussiste la competenza del Tribunale per i minorenni, enon del Tribunale ordinario, in relazione alla domanda dirientro di minore trasferito all’estero, essendo tale domandadel tutto estranea al procedimento di separazionepersonale pendente tra i genitori.Il casoIl Tribunale per i minorenni richiede d’ufficio il regolamento dicompetenza avverso il provvedimento con cui il Tribunale hadeclinato la propria competenza funzionale in relazione aduna domanda di rientro immediato in <strong>Italia</strong> della minore M,trasferita all’estero, nell’ambito di un procedimento di separazionetra i genitori R e K.La soluzione della Corte di cassazioneed i collegamenti giurisprudenzialiSecondo i giudici di legittimità non sussiste la competenzadel Tribunale ordinario riguardo ad una domanda di rientro diminore trasferito all’estero, essendo tale domanda del tuttoestranea al procedimento di separazione personale tra i genitori(pendente, nel caso di specie, presso il Tribunale). Sussiste,invece, la competenza del Tribunale per i minorenni,espressamente indicata dalla legge n. 64 del 1994, in ordinea tutte le questioni in cui può essere coinvolto un minore, neicasi previsti, tra l’altro, dalla Convenzione dell’Aja, del 25 ottobre1980, resa esecutiva con legge n. 64 del 1994, di Lussemburgodel 20 maggio 1980, dell’Aja del 28 maggio 1970.Pertanto, la Corte di cassazione dichiara funzionalmentecompetente il Tribunale per i minorenni.Analogamente, già la S.C. aveva affermato, in tema di affidamentodi minori, che, dovendo il discrimine tra la competenzadel Tribunale ordinario e quella del Tribunale per i minorenni essereindividuato in riferimento al petitum ed alla causa petendi,rientrano nella competenza del Tribunale per i minorenni, aisensi del combinato disposto degli art. 333 c.c. e 38 disp. att.c.c., le domande finalizzate ad ottenere provvedimenti cautelarie temporanei idonei ad ovviare a situazioni pregiudizievoliper il minore, anche se non di gravità tale da giustificare la declaratoriadi decadenza dalla potestà genitoriale, di cui all’art.330 c.c., mentre rientrano nella competenza del Tribunale ordinario,in sede di separazione personale dei coniugi, di annullamentodel matrimonio o di pronunce ex legge n. 898 del1970, le pronunzie di affidamento dei minori che mirino soload individuare quale dei due genitori sia più idoneo a prendersicura del figlio, al fine di consentirgli una crescita tranquilla edequilibrata (Cass. 16 ottobre 2008, ord. n. 25290; Cass. 15marzo 2001, n. 3765, in Giust. civ. 2001, I, 2658).AMMISSIBILITÀTUTELA CAUTELARETribunale di Milano 17 aprile 2013, ord.Il diritto di famiglia prevede rimedi speciali, tipici e settoriali,per porre rimedio a ciascuna delle possibili violazioniche uno dei partners dovesse porre in essere; pertanto,difetta la residualità richiesta dall’art. 700 c.p.c.per l’ammissibilità dello strumento cautelare.Il casoX, coniugata con Y, lamenta di essere stata abbandonata dalmarito, che avrebbe instaurato un regime di mobbing domesticocon turbative e molestie ricollegate alla perdita del lavoroda parte della stessa ricorrente; il che avrebbe avutogravi conseguenze anche sulla salute della donna, conseguenzeda correlarsi proprio al comportamento del marito.Pertanto, la donna propone ricorso d’urgenza ex art. 700c.p.c., chiedendo che il Tribunale ingiunga al marito il versamentodi una somma mensile, oltre un contributo una tantum.La soluzione del Tribunale ed i collegamentigiurisprudenzialiIl Tribunale ritiene il ricorso manifestamente inammissibile.Infatti, precisa che il diritto di famiglia prevede rimedi speciali,tipici e settoriali, per porre rimedio a ciascuna delle possibiliviolazioni che uno dei partners dovesse porre in essere:garanzie per l’assegno di mantenimento (art. 156 c.c.); provvedimentiatipici per le condotte aggressive (art. 342 bisc.c.); sanzioni e risarcimento del danno. In caso di gravi inadempienzeo di atti che comunque arrechino pregiudizio alminore od ostacolino il corretto svolgimento delle modalitàdell’affidamento (art. 709 ter c.p.c.); modifica o revoca deiprovvedimenti interinali (art. 709, ultimo comma, c.p.c.); ingiunzionidi pagamento in ragione delle condizioni della separazioneo divorzio, costituenti titolo esecutivo; sequestrodei beni del coniuge allontanatosi (art. 146 c.c.); presentazionedella domanda di separazione o divorzio. In particolare,poi, nel caso in cui uno dei coniugi ponga in essere condottelesive della persona dell’altro coniuge, è possibile ricorrere ingiudizio ex art. 342 bis c.c. e 736 bis c.c., ed in quella sedesono anche ammesse statuizioni di tipo economico.Pertanto, nel caso di specie, difetta la residualità richiesta dall’art.700 c.p.c. per l’ammissibilità dello strumento cautelare.Già in precedenza la giurisprudenza di legittimità aveva affermatoche il potere di emettere i provvedimenti di cui all’art.700 c.p.c. deve ritenersi precluso al giudice non soltanto inpresenza degli specifici “casi regolati nelle precedenti sezioni”(ossia nelle sezioni 1/2/3 del capo terzo - titolo primo - libroquarto del codice di rito), ma in ogni altro caso in cui lalegge stabilisca per situazioni e rapporti determinate unacompleta disciplina procedimentale, comprensiva anche deiprovvedimenti provvisori ed urgenti, designando il giudicecompetente ad adottarli (Cass. 8 settembre 1992, n. 10292,in Giust. civ. 1992, I, 2642, in materia di modifica delle condizionidella separazione riguardanti i coniugi e la prole; cfr.anche Cass. 11 febbraio 1972, n. 381, in Giust. civ. 1972, I,847, Dir. fam. 1972, I, 447, Foro it. 1972, I, 2051).Famiglia e diritto 8-9/2013 833


GiurisprudenzaSintesiOsservatorio di giurisprudenzapenalea cura di Paolo PittaroREATO DI MINACCELA MINACCIA NELL’AMBITO DELLA SEPARAZIONECONIUGALECassazione penale, sez. III, 14 marzo 2013 - 18 giugno2013, n. 26582 - Pres. Oldi - Rel. LapalorciaPer la sussistenza del reato di minaccia, l’idoneità dellacondotta va valutata secondo un giudizio “ex ante”, tenendoconto di tutte le circostanze del caso concreto.L’impossibilità di realizzare la condotta minacciata nonesclude il reato quando la minaccia è comunque idoneaa ingenerare un timore nel soggetto passivo.Il casoCon la sentenza impugnata il Giudice di Pace assolveva gliimputati per non aver commesso il reato di cui all’art. 612, ritenendoche le minacce di morte pronunciate fossero inidoneea turbare concretamente la libertà psichica della vittima,inserendosi, le stesse, nel clima di tensione tra le parti conseguentealla separazione dei coniugi e all’affidamento delbambino.Il Procuratore Generale presso la Corte d’Appello, deducevaerronea applicazione della legge penale con riferimento all’art.612 c.p., dal momento che la norma incriminatrice richiedesolo la potenziale idoneità dell’azione ad incidere sullalibertà morale del destinatario, mentre illogicamente il giudiceaveva ritenuto che il clima di tensione neutralizzasse lavalenza intimidatoria della condotta.La soluzione della Corte di CassazioneLa S.C. ha ritenuto fondata la doglianza.Secondo la Corte di Cassazione l’assoluzione dai reati è stataerroneamente fondata sul rilievo che il clima di tensionetra le parti avrebbe reso le espressioni inidonee a turbare inconcreto la libertà morale della persona offesa.Secondo i Giudici, la sentenza impugnata ha trascurato diconsiderare che, trattandosi di reato di pericolo, esso non postulal’effettiva intimidazione del soggetto passivo, essendosufficiente la mera attitudine della condotta ad intimorire equindi incidere nella sfera di libertà psichica della vittima.Da ultimo, il contesto di accesa tensione tra le parti è idoneoad elevare la carica minacciosa della condotta in quanto collegataal tentativo di impedire alla donna la frequentazionedel figlio minore.I collegamenti giurisprudenzialiSulla specifica fattispecie sussistono alcuni precedenti in termini.La Suprema Corte, sul tema, aveva affermato in senso conformeche la minaccia è un reato di pericolo, per la cui integrazioneè sufficiente che il male prospettato possa incuteretimore nel soggetto passivo, menomandone la sfera della libertàmorale. La valutazione dell’idoneità della minaccia arealizzare tale finalità va fatta avendo di mira un criterio cherispecchi le reazioni dell’uomo comune (Cass. pen., sez. V,29 maggio 1992, M., in Cass. pen. 1993, 2839).Ulteriormente in senso conforme, secondo i Giudici di Cassazione,se l’indeterminatezza del male minacciato puòescludere il reato, l’indeterminatezza della condizione, lungidall’escluderlo, rafforza l’idoneità intimidatoria della minaccia,perché questa, agli occhi del soggetto passivo, si presenta,in termini di realizzabilità, assai simile alla minaccia incondizionata(Cass. pen., sez. III, 26 novembre 1980, Pieraccini,in Cass. pen., 1982, 741).PROSTITUZIONE MINORILEÈ CONFIGURABILE IL CONCORSO TRA LE CONDOTTE DIFAVOREGGIAMENTO E SFRUTTAMENTO DELLA PROSTI-TUZIONECassazione penale, sez. III, 22 maggio - 19 giugno 2013,n. 26618 - Pres. Squassoni - Rel. AmoresanoIl reato di favoreggiamento della prostituzione si perfezionacon ogni forma di interposizione agevolativa e conqualunque attività che, anche in assenza di un contattodiretto dell’agente con il cliente, sia idonea a procurarepiù facili condizioni per l’esercizio del meretricio e chevenga posta in essere con la consapevolezza di facilitarel’attività di prostituzione, senza che abbia rilevanza ilmovente o il fine della condotta; e non è necessaria ai finidella configurabilità del reato l’abitualità della condotta.Ricorre poi lo sfruttamento della prostituzione, quandol’agente tragga qualche utilità, non necessariamenteeconomica, dall’attività sessuale del soggetto passivo.Il caso e la soluzione della Corte di CassazioneA seguito di una vasta indagine nei confronti di un gruppo dicittadini rumeni, accusati di gestire un ampio giro di prostituzione,due donne venivano condannate sia in primo che insecondo grado poiché, in concorso, avevano favorito e sfruttatola prostituzione di una minore di anni diciotto. Comeemergeva dalla sentenza, la condanna per i reati ex artt. 110e 600 bis c.p. era fondata prevalentemente su puntuali intercettazionitelefoniche, dalle quali emergeva che le imputateavevano fornito sostegno logistico alla persona offesa, accompagnandolasul luogo della prostituzione e ricevendo dalei parte dei guadagni derivanti dall’attività illecita.Il difensore ricorreva per Cassazione lamentando, con il primomotivo, la violazione di legge in relazione all’art. 600 bis834Famiglia e diritto 8-9/2013


GiurisprudenzaSintesic.p. per insussistenza degli elementi costitutivi del reato: nonpoteva dirsi integrata la condotta di favoreggiamento poiché,come precisato dalla stessa giurisprudenza della Corte, ledue donne si erano adoperate a favore della prostituta comepersona e non della prostituzione in sé. Parimenti non eraravvisabile la condotta di sfruttamento, in quanto la dazionedi denaro da parte della vittima era stata sporadica e soprattuttospontanea.La Suprema Corte, con una motivazione lineare ed efficace,rigettava il ricorso, in quanto infondato. Il ragionamento muovevadal presupposto che le condotte di favoreggiamento esfruttamento fossero distinte tra loro e costituite da elementimateriali differenti: alla luce di ciò, era legittimo il concorsoe il seguente aumento di pena.L’ipotesi di favoreggiamento, inoltre, era ravvisabile ogniqualvoltavenisse posta in essere una condotta agevolativa,idonea a procurare condizioni più favorevoli per l’esercizio delmeretricio, a prescindere dall’abitualità della condotta. Nelcaso in esame non poteva esser richiamata la precedentegiurisprudenza della Corte, in quanto dagli atti emergevachiaramente come il rapporto tra le parti non fosse di naturamutualistica o di solidarietà, anzi emergesse in modo chiarola prova del favoreggiamento: la minore, infatti, era stata tenutasotto controllo, accompagnata nel luogo della prostituzionee spronata a lavorare più intensamente.Parimenti era configurabile l’ipotesi delittuosa di sfruttamentopoiché le imputate avevano tratto utilità di natura economicadall’attività sessuale altrui, a prescindere dalla volontarietàdella dazione di denaro o della sporadicità della condotta.I collegamenti giurisprudenzialiLa Suprema Corte, attraverso tale sentenza, ha ribadito comele condotte criminose di induzione, favoreggiamento osfruttamento della prostituzione minorile possano concorreretra loro, in quanto l’art. 600 bis c.p. è norma a più fattispecietra loro distinte e costituite da elementi materiali differentiin rapporto alla condotta ed all’evento (conforme: Cass.pen., sez. III, 4 giugno 2010, n. 21335, in Lex24).In relazione alla fattispecie di favoreggiamento, non è necessarial’abitualità della condotta, ai fini della sussistenza delreato: è sufficiente qualsiasi tipo di interposizione, ancorchéoccasionale, tale da agevolare la prostituzione di una persona(conforme: Cass. pen., sez. III, 16 aprile 2010, n. 14836, inLex24; Cass. pen., sez. III, 11 maggio 2009, n. 19885, in De-Jure).Per ciò che concerne l’elemento soggettivo, si è precisatocome le fattispecie criminose di induzione, sfruttamento efavoreggiamento della prostituzione minorile siano caratterizzatedal dolo generico: pertanto è sufficiente per la sussistenzadell’elemento soggettivo che l’agente abbia la rappresentazionedegli elementi del fatto tipico tra cui si pone l’etàdella vittima (Cass. pen., sez. III, 12 dicembre 2006, n.40432, in Lex24).CALUNNIA NEI CONFRONTI DEL CONIUGEL’ERRONEA CONVINZIONE DELLA COLPEVOLEZZADEL SOGGETTO INCOLPATO ESCLUDEIL DOLO DELLA CALUNNIACassazione penale, sez. VI, 20 giugno - 24 giugno 2013, n.27729 - Pres. Agrò - Rel. CorteseL’elemento soggettivo del reato di calunnia richiede laconsapevolezza dell’innocenza del soggetto incolpato e,pertanto, tale elemento è escluso nel caso in cui l’errataconvinzione della colpevolezza derivi da una errata interpretazionesoggettiva della realtà non dettata da intentofraudolento.Il caso e la soluzione della Corte di CassazioneL’imputato, con sentenza emessa dalla Corte di Appello, in riformadella sentenza del Tribunale, era stato assolto dall’imputazionedi cui all’art. 368 c.p. per aver accusato la moglie,con querela, di avergli negato di vedere la figlia minore, inviolazione dell’ordinanza del Tribunale civile.Proponeva, pertanto, ricorso per cassazione la moglie lamentandoil fatto che la Corte d’Appello aveva erroneamentetrascurato i rilievi emersi nel corso del giudizio di primogrado, ossia il fatto che era stata la bambina a sottrarsi volontariamenteagli incontri col padre, situazione questa conosciutadall’imputato.Tuttavia, la Corte di Cassazione ha ritenuto infondato il ricorso.La Corte ha, innanzitutto, rilevato che, nel delitto di calunnia,l’elemento soggettivo del dolo deve essere caratterizzatodalla piena consapevolezza dell’innocenza dell’incolpato;se, invece, il soggetto attivo rivolge delle accuse basandosisull’erroneo convincimento della verità delle stesse,non può configurarsi il reato de quo difettando l’elementosoggettivo.La Corte ha altresì precisato che l’erroneo convincimento deveessere fondato su elementi seri e concreti e non su semplicisupposizioni e che, se il soggetto attivo ha omesso diverificare la realtà storica, oggetto dell’incolpazione, non puòessere escluso il dolo. Se, infine, il falso convincimento è statodeterminato da un’interpretazione soggettiva non fraudolentadella realtà storica non può configurarsi il dolo richiesto.In particolare, nel caso de quo, la Suprema Corte ha evidenziatocome l’imputato fosse stato indotto a credere che lamoglie avesse influito sulla volontà della figlia, violando cosìle statuizioni civilistiche in tema di visite e dando luogo aduna condotta penalmente rilevante, a causa del comportamentopoco collaborativo e ostativo dimostrato dalla stessa.Infatti, tali valutazioni soggettive potevano ben essere giustificatedal clima di tensione e di difficoltà che caratterizzava ilrapporto tra i coniugi e non era invece espressione della dolosaalterazione della realtà operata dall’imputato.I collegamenti giurisprudenzialiIn termini del tutto analoghi si è espressa anche di recente laSuprema Corte affermando che se l’erroneo convincimentoriguarda profili valutativi della condotta oggetto di accusa,non descritta in sé in termini difformi dalla realtà, l’attribuzionedell’illiceità è dominata da una pregnante inferenza soggettiva,che, nella misura in cui non risulti fraudolenta o consapevolmenteforzata, è inidonea a integrare il dolo tipico dellacalunnia (Cass. pen., sez. VI, 27 aprile 2012, T.D. e altro, n.26819, in De Jure).Più in generale, è ormai assodato il principio secondo cui, intema di calunnia, perché si realizzi il dolo, è necessario checolui che falsamente accusa un’altra persona di un reato abbiala certezza dell’innocenza dell’incolpato, in quanto l’elementosoggettivo può ritenersi integrato solo nel caso in cuisussista una esatta corrispondenza tra momento rappresentativo(sicura conoscenza della non colpevolezza dell’accusato)e momento volitivo (intenzionalità dell’incolpazione)(Cass. pen., sez. VI, 8 marzo 2013, A.C., n. 25149, in De Jure;Cass. pen., sez. VI, 2 aprile 2007, P. e altro, n. 17792, inFamiglia e diritto 8-9/2013 835


GiurisprudenzaSintesiCass. pen., 2008, 9, 3308; Cass. pen., sez. VI, 2 aprile 2001,Negro, n. 16238, in De Jure).ATTI PERSECUTORILA REITERAZIONE DELLE CONDOTTE PERSECUTORIECassazione penale, sez. V, 4 aprile 2013 - 25 giugno 2013,n. 27798 - Pres. Ferrua - Rel. SettembrePer ritenere integrato il reato di cui all’art. 612 bis c.p.non occorre una lunga sequela di azioni delittuose, essendosufficiente che esse siano di numero e consistenzatali da ingenerare nella vittima il fondato timore di subireun’offesa alla propria integrità fisica o morale.Il caso e la soluzione della Corte di CassazioneIl Tribunale del Riesame, in parziale riforma della decisionedel Giudice delle indagini preliminari, prescriveva ad un uomo,indagato per il delitto di atti persecutori di cui all’art. 612bis c.p. nei confronti della moglie e delle due cognate, di nonavvicinarsi ai luoghi di dimora e di lavoro delle tre donne, aisensi dell’art. 282 ter c.p.p.Avverso tale ordinanza l’indagato proponeva ricorso per Cassazionenegando di aver mai pedinato o minacciato la mogliee rilevando che, in ogni caso, per l’integrazione del reato dicui all’art. 612 bis c.p. è richiesta la reiterazione delle condottedi violenza o minaccia.La Suprema Corte rigetta il ricorso specificando che se da unlato è vero che l’art. 612 bis c.p. richiede la reiterazione dellecondotte di violenza o minaccia, dall’altro è altrettanto veroche non occorre una lunga sequela di azioni delittuose per ritenereintegrato il reato, essendo sufficiente che esse sianodi numero e consistenza tali da ingenerare nella vittima il fondatotimore di subire offesa alla propria integrità fisica o moralee da provocare nella stessa un perdurante e grave statod’ansia, ovvero un fondato timore per l’incolumità propria odi un prossimo congiunto. E, nel caso di specie, i giudici di legittimitàhanno ritenuto che il Tribunale del Riesame ne abbiadato adeguatamente conto, laddove fa riferimento alla modificadelle condizioni di vita della persona offesa come conseguenzadella condotta del ricorrente.I collegamenti giurisprudenzialiIl principio di diritto affermato dalla decisione in esame è conformeall’orientamento della giurisprudenza di legittimità secondocui anche due soli episodi di minaccia o molestia possonovalere ad integrare il reato di atti persecutori previsto dall’art.612 bis c.p., se questi abbiano indotto un perdurante statodi ansia o di paura nella vittima, che si sia vista costretta amodificare le proprie abitudini di vita (Cass. pen., sez. V, 2 marzo2010, n. 25527, in Riv. civ. e prev., 2011, 1, 195; Cass. pen.,sez. V, 21 gennaio 2010, n. 6417, in Cass. pen., 2011, 1, 158).DISTINZIONE FRA ATTI PERSECUTORIE VIOLENZA PRIVATACassazione penale, sez. III, 20 marzo - 13 giugno 2013, n.25889 - Pres. Teresi - Rel. FialeIl delitto di violenza privata è ipotesi speciale rispettoalla fattispecie di atti persecutori di cui all’art. 612 bisc.p. Per la consumazione di quest’ultima è infatti necessariauna condotta di induzione di ansie, preoccupazionie paure ma non la finalità di costringere altri afare, tollerare o omettere qualcosa. Tali elementi sonoinvece ulteriormente richiesti dal delitto di cui all’art.610 c.p.Il caso e la soluzione della Corte di CassazioneLa Corte di Appello ribadiva l’affermazione della responsabilitàpenale in capo all’imputato in ordine al reato di cui all’art.610 c.p., per avere inseguito e bloccato la vittima mentretransitava a bordo della sua autovettura.Avverso tale sentenza veniva proposto ricorso per cassazionecon il quale si eccepiva, in particolare, l’inconfigurabilitàdel reato di violenza privata. Ciò veniva giustificato sia per lacarenza di dolo, sia a fronte di una condotta riconducibilepiuttosto alla fattispecie di cui all’art. 612 bis c.p. (nel caso dispecie dichiarata estinta già dal primo giudice in seguito all’intervenutarimessione della querela).La Suprema Corte rigetta il ricorso.Il Collegio ha affermato come la fattispecie criminosa di attipersecutori tutela il singolo cittadino da comportamenti chene condizionino pesantemente la vita e la tranquillità personaleprocurando ansie, preoccupazioni e paure. Essa è finalizzataa proteggere la personalità individuale dalle influenzeperturbatrici.Ipotesi speciale rispetto a tale reato è il delitto di violenza privata.Per la configurazione di quest’ultimo non è infatti sufficienteche sia stato indotto nella vittima uno stato di ansia edi timore per la propria incolumità. Costituisce, invece, elementospecializzante lo scopo di costringere altri - contro laloro volontà - a fare, tollerare od omettere qualcosa. In talecontesto, la libera determinazione è impedita da una condottaimmediatamente produttiva di una situazione idonea ad incideresulla libertà psichica (di determinazione e azione) delsoggetto passivo.La Suprema Corte specifica inoltre come nel delitto di cui all’art.610 c.p. il dolo sia generico e consista nella coscienza evolontà di costringere il destinatario della violenza a tenere,contro la sua volontà, la condotta pretesa dall’agente.Alla luce di quanto sopra la Cassazione rigetta il ricorso ritenendosussistenti gli elementi fattuali e psicologici della violenzaprivata a fronte di un accertato comportamento rivoltoad interferire nella condotta di guida della vittima costrettacon manovre intimidatorie a fermarsi (ed a rifugiarsi nel portonedell’abitazione di una sua amica) piuttosto che proseguiresecondo le originarie intenzioni.I collegamenti giurisprudenzialiIn modo conforme, si è ritenuto che integri il reato di violenzaprivata e non quello di atti persecutori la condotta violentae minacciosa reiteratamente posta in essere da un capo officinanei confronti di un meccanico. Nel caso di specie, l’azioneaveva prodotto l’effetto di costringere il lavoratore, nelcontesto di un’azienda organicamente strutturata, a tollerareuna situazione di denigrazione e deprezzamento delle suequalità lavorative (Cass. pen., sez. VI, 25 novembre 2010, n.44803, in Cass. pen., 2011, 3444).In senso contrario, la Cassazione aveva affermato come la disciplinadettata dall’art. 610 c.p. non fosse speciale rispettoagli atti persecutori. Infatti, la violenza privata sarebbe finalizzataa costringere la persona offesa a fare, non fare, tollerareo omettere qualcosa non limitandosi a generare solo il turbamentoemotivo occasionale dell’offeso per il riferimento adun male futuro. Per converso, lo stalking influirebbe sull’emotivitàdella vittima: i due reati, quindi, potevano concor-836Famiglia e diritto 8-9/2013


GiurisprudenzaSintesirere tra loro (Cass. pen., sez. V, 07 aprile 2011, n. 20895, inDe Jure).Un altro orientamento della giurisprudenza di merito avevasostenuto come il delitto di violenza privata integrasse tuttigli estremi del delitto di atti persecutori nel caso in cui venisseposto in essere a mezzo di reiterate condotte minaccioserealizzate al fine di costringere la persona offesa a riallacciareuna relazione sentimentale contro la propria volontà. Infatti,sussisterebbe identità di elementi costitutivi tra tali fattispecie,nel caso di condotte reiterate per un lasso apprezzabiledi tempo e caratterizzate da minaccia e molestia, inducentinella persona offesa uno stato di ansia, angoscia e timoreper la propria incolumità, con conseguenti limitazioni allavita di relazione sociale e professionale e necessità di modificarele proprie abitudini (Trib. Milano, sez. X, 30 maggio2011, in Foro ambrosiano, 2011, 12).Famiglia e diritto 8-9/2013 837


OpinioniRiforma della filiazioneAdozioneIl nuovo status di figlioe le adozioni in casi particolaridi Paolo Morozzo della RoccaL’Autore ritiene che con il nuovo art. 74 c.c. anche i minori adottati in casi particolari, ai sensi dell’art. 44 ss.della legge n. 184/1983, siano compresi nell’unico status di filiazione, con effetti di parentela nei riguardi deifamiliari degli adottanti (spesso dell’adottante). La novella, peraltro, risulta condivisibile, anche se appare opportunauna più articolata attenzione del legislatore (non solo nell’ambito della delega legislativa) a questa tipologiadi adozioni.L’unico status di figlio comprendeanche gli adottati in casi particolari?L’art. 1 della legge 10 dicembre 2012, n. 219 ha modificatoil testo dell’art. 74 c.c., che ora così dispone:“La parentela è il vincolo tra le persone che discendonoda uno stesso stipite, sia nel caso in cui la filiazioneè avvenuta all’interno del matrimonio, sia nelcaso in cui è avvenuta al di fuori di esso, sia nel casoin cui il figlio è adottivo. Il vincolo di parentela nonsorge nei casi di adozione di persone maggiori di età,di cui agli articoli 291 e seguenti”.La centralità di questa disposizione nella trama delnuovo status di filiazione è evidente, ma si tratta diun’evidenza molto problematica, dato che l’effettivaportata della norma è divenuta subito oggetto di accesodibattito.Invero, la funzione svolta dal nuovo art. 74 pare trascendereil solo tema del pieno riconoscimento dellacosiddetta parentela naturale, tema che la legge n.219 risolve anche in altra sede affermando, col nuovoart. 258 c.c., che “il riconoscimento produce effettiriguardo al genitore da cui fu fatto e riguardo aiparenti di esso”.Dunque, già solo per effetto dell’art. 258 c.c. - forsepoco elegante, perché innesta la nuova regola di statussul diverso ambito dell’atto di riconoscimento edel suo carattere unilaterale, tale da non coinvolgerel’altro procreatore - i figli nati fuori del matrimoniosarebbero da considerare alla medesima streguadei figli nati nel matrimonio riguardo alla parentela(e dunque riguardo anche ai rapporti successori, allapartecipazione all’impresa familiare e a tutti gli altripossibili effetti di legge).Cos’altro dice, dunque, di più e di diverso da quantonon sia già detto altrove, l’art. 74? Ci dice che il vincolodi parentela caratterizza ogni tipo di filiazione,con la sola eccezione della filiazione adottiva delmaggiorenne.La novità non riguarda però tutte le adozioni dei minoridi età di cui alla legge n. 184/1983, ma soloquelle cosiddette “in casi particolari” di cui all’art.44 della legge sull’adozione, perché le adozioni realizzatesecondo il procedimento normalmente previstodalla legge n. 184/1983 comportavano già il sorgeredei legami di parentela ai sensi dell’art. 27 dellalegge n. 184/1983, ove è disposto che “per effettodell’adozione l’adottato acquista lo stato di figlio legittimodegli adottanti, dei quali assume e trasmetteil cognome (...) Con l’adozione cessano i rapportidell’adottato verso la famiglia d’origine, salvi i divietimatrimoniali”.Di conseguenza, se diamo al nuovo art. 74 c.c. il significatoche la lettera obiettivamente gli attribuiscee se riteniamo di individuare in questa disposizionenon un mero flatus vocis ma una norma dotata di unaqualche effettività (1), dobbiamo ritenere che essaintroduca un unico status di figlio-parente comprensivodi tutte le filiazioni biologiche e di tutte le filiazioniadottive, incluse quelle in casi particolari,escludendo invece le adozioni dei maggiorenni (2).Note:(1) Il tema della effettività o meno del contenuto dispositivo dell’art.74 c.c. è ben avvertito da, M. Sesta, L’unicità dello stato difiliazione e i nuovi assetti delle relazioni familiari, in questa Rivista,2013, 3, 235, pur giungendo questo autore ad una ipotesi interpretativaopposta a quella qui proposta.(2) Nel medesimo senso qui sostenuto cfr.:L. Lenti, La sedicenteriforma della filiazione, in Nuova giur. civ. comm., 2013, II,202; M. Dossetti, La parentela, in M. Dossetti, M. Moretti e C.Moretti, La riforma della filiazione, Bologna, 2013, 20;.838Famiglia e diritto 8-9/2013


OpinioniRiforma della filiazioneAcquisito detto risultato interpretativo si potrebbediscutere sulla opportunità della nuova disciplinache ne discende. Occorre però previamente dareconto delle diverse obiezioni all’esito interpretativoqui proposto da parte di alcune delle più autorevoliprime voci di commento alla nuova disciplina.In un panorama ancora caratterizzato da un approcciodi “prima lettura” della nuova disciplina e da unanon sempre chiara individuazione dei temi di maggiorrilievo, queste obiezioni non sono state ancoraaccompagnate da un dibattito approfondito (3).Non molto, dunque, è stato aggiunto dai primi commentatoria quanto già sostenuto nella Relazione illustrativaalla Proposta di decreto legislativo predispostadalla commissione ministeriale incaricata,ove è affermato che “quanto alla posizione dei minoriadottati ai sensi dell’articolo 44 della legge n.184/1983, che disciplina l’adozione in casi particolari,in questa ipotesi è la stessa legge, che richiama,all’articolo 55, le norme del codice civile che disciplinanol’adozione dei maggiori di età (in particolaregli artt. 293, 294, 295, 299, 300 e 304), evidenziandol’analogia tra gli istituti, che trova il suo fondamentonella conservazione, anche nell’adozionein casi particolari, dei legami tra adottato e famigliadi origine. Pertanto, proprio in virtù del conferimentodello stato di figli agli adottati minori di etàin stato di abbandono, le norme del codice civileche attribuivano particolari diritti (soprattutto inmateria successoria) agli adottati non sono statemodificate in quanto riferite agli adottati maggioridi età”.Il primo argomento è dunque dato dall’analogia dellerispettive situazioni tra l’adozione in casi particolarie l’adozione non legittimante del maggiorenne.Argomento a mio parere erroneo, come cercherò didimostrare. V’è poi l’argomento più tecnico del richiamofatto dall’art. 55 della legge n. 184/1983 dellenorme del codice civile sull’adozione dei maggiorenni,da applicare dunque all’adozione dei minorein casi particolari (4). Delle norme richiamate la piùsignificativa è ovviamente quella di cui all’art. 300c.c., ove è disposto che “l’adottato conserva tutti idiritti e i doveri verso la sua famiglia di origine, salvele eccezioni stabilite dalla legge”; e poi che“l’adozione non induce alcun rapporto civile tra (...)l’adottato e i parenti dell’adottante, salve le eccezionistabilite dalla legge”.Invero non vedo alcuna difficoltà a ritenere chel’art. 1 della legge n. 219/2012, modificando l’art. 74c.c., abbia tacitamente abrogato l’art. 55 della leggen. 184/1983 nella parte in cui richiama l’art. 300,comma 2, c.c., ultimo periodo. La scarsa attitudinedel legislatore a mantenere l’armonia formale del sistemadel diritto positivo rende infatti questa modalitàabrogativa molto frequente e talvolta anche menopericolosa di certe esplicite quanto non avveduteabrogazioni dichiarate in coda alle diverse disciplinesopravvenute (5).Va infine considerato il terzo argomento presentato,sia pure in modo non chiaro, dal citato passo dellaRelazione: quello secondo cui la condizione del figliominore in condizione di abbandono va distintada quella degli adottati di maggiore età nonché (maqui l’affermazione è lasciata nell’implicito) da quelladei minori adottati benché non versassero in unacondizione di abbandono.Questo terzo argomento - in parte espresso ed in partesotteso - altro non è che specificazione del primoe dunque pretende risposta in una più attenta disaminadell’istituto dell’adozione in casi particolari, lacui importanza tra gli strumenti posti a tutela del dirittodel minore a crescere in una famiglia non sembraessere stata adeguatamente riconosciuta da coloroche ne propongono l’irrealistica equiparazione all’istitutodi stampo patrimonialistico nel cui prismail codice civile disciplina l’adozione dell’adulto, lacui regolamentazione, ferma al 1942, precede nonsolo cronologicamente ma anche culturalmente, dimoltissimo, quella, ben più attenta alle esigenze deiminori, della legge n. 184/1983.Scopo e funzioni dell’adozione in casiparticolariSebbene definite come casi particolari, le adozionidei minori di età di cui alle diverse fattispecie elencatenell’art. 44 della legge n. 184/1983 non costituisconodi certo un fatto eccezionale, costituendooggi circa un terzo di tutte le adozioni di minori cheNote:(3) Il tema è appena accennato in nota da C.M. Bianca, La leggeitaliana conosce solo figli, in Riv. dir. civ., 2013, 1, 2, nt. 7, ovel’autore si limita ad osservare che ancora oggi il vincolo di parentela“deve egualmente escludersi quando si tratti di adozione incasi particolari”.(4) È questo, in effetti, l’argomento che, in prima lettura, sembraconvincere, pur con riserva di maggiori approfondimenti, M. Sesta,L’unicità, cit., 235.(5) Non mi pare, invece, che possa essere utilizzato, al fine di affermarela formale compatibilità tra il nuovo art. 74 ed il combinatodisposto di cui all’art. 55 della legge sull’adozione con l’art.300 c.c., il riferimento di quest’ultima disposizione alle “eccezionipreviste dalla legge”, considerando l’adozione del minore dietà in casi particolari una di quelle ipotesi di eccezione alla mancanzadi effetti legittimanti delle adozioni sottoposte alla disciplinadell’art. 300 c.c.. Il richiamo alle eccezioni di legge di cui all’art.300 c.c. è infatti indubbiamente rivolto al singolo effetto diparentela e non alla possibilità che un’adozione pur astrattamentericadente nel tipo regolato possa avere effetti di parentela.Famiglia e diritto 8-9/2013 839


OpinioniRiforma della filiazioneogni anno vengono pronunciate in <strong>Italia</strong>. Questa altapercentuale di casi per un verso preoccupa perchécontraddice la prospettiva di sistema secondo cuil’adozione di un minore è possibile solo in presenzadei requisiti oggettivi e soggettivi di idoneità di cuiall’art. 6, salvo appunto, il ricorrere dei “casi particolari”raccolti nell’art. 44 e immaginati del tuttoresiduali. Tanto residuali che, a mio avviso, l’autoredella legge n. 219 se ne è semplicemente dimenticatonel momento in cui ha redatto il nuovo art. 74c.c.Per altro verso, tuttavia, i procedimenti adottivi aisensi dell’art. 44 sono così numerosi - a parte possibiliabusi, sui quali tuttavia la giurisprudenza minorilepare piuttosto ben avvertita - perché le fattispecieraccolte in questa norma consentono di dare unarisposta tutto sommato efficiente ad una molteplicitàdi situazioni (alcune delle quali più frequenti oggidi ieri) di cui forse lo stesso legislatore del 1983 nonera pienamente consapevole, anche se ebbe la saggezzadi lasciare loro l’uscio aperto.Che alla prova dei fatti i casi particolari non sianopochi non significa che essi smettano per ciò solo diessere particolari rispetto ai due casi “principali” immaginatidal legislatore e costituiti dal minore rimastoorfano di entrambi i genitori e dal minore privodi una famiglia idonea a curarne la crescita e lui stessopronto ad essere inserito in una nuova famiglianormotipizzata, o meglio conformata, dall’art. 6 dellalegge n. 184/1983.Ormai a molti anni di distanza dal 1983, è forse ilpiù complessivo “spirito del tempo” che ci conducea riconoscere, quasi in ogni settore, l’esistenza di situazioniparticolari meritevoli di positiva considerazione,al contrario dello spirito del tempo passatoche invece tendeva ad individuare modelli normativipiù conformativi con poche o nessuna eccezionenell’ambito regolato.Non fa eccezione la vicenda delle adozioni in casiparticolari, caricatasi di una molteplicità di funzioniche sfuggono allo schema ancor oggi spesso riproposto(se ne ha chiara eco anche nel qui riportato passodella Relazione al decreto legislativo di cui all’art.2 della legge n. 219/2012) secondo cui avremmo minoriin stato di abbandono adottati con effetti “legittimanti”(oggi si dovrebbe dire: con effetti di parentela)da coppie coniugate, ai sensi dell’art. 27della legge n. 184/1983 e minori non in stato di abbandonoche potrebbero invece essere adottati aisensi dell’art. 44 della legge n. 184 senza che si creiun vero status di filiazione, dato il conservarsi delrapporto giuridico di filiazione con i genitori biologici.Cosa non funziona in questo schema logico? In primoluogo la mancata distinzione tra effettività inastratto ed effettività in concreto: se l’adottato incasi particolari è privo di genitori (perché ignoti,perché lo hanno abbandonato, o perché sono morti)cosa potrà farsene del permanere del rapporto giuridicodi filiazione biologica? In questi casi la negazioneall’adozione degli “effetti di parentela” rischia difondarsi su un argomento esclusivamente conservativodel tipo: poiché prima non era previsto, ancoroggi non lo posso prevedere (6).In secondo luogo non pare corretta l’idea che l’adozionein casi particolari riguardi necessariamenteminori che non si trovano in una condizione di abbandono.Ciò può infatti riguardare alcuni ma forsenon la maggior parte dei casi che in concreto ricadononell’ambito di applicazione dell’art. 44. Certamentenon è in stato di abbandono il figlio del coniuge,ma lo è l’orfano adottato in casi particolari dapersona (la quale potrebbe anche non essere un parente)che già abbia col minore un significativo rapportoopportunamente valutato dal giudice dell’adozione.Vero è che spesso l’adozione di cui all’art. 44 si proponecome alternativa praticabile quando alla purconstatabile situazione di abbandono del minore siaccompagni comunque l’opportunità di mantenerealcuni legami con la famiglia pur inidonea a prendersenecura.Può infatti sussistere un legame affettivo incancellabiletra genitori pur non recuperabili all’eserciziodelle loro responsabilità ed il figlio, specie se giàgrandicello. In tali casi il percorso dell’adozione“piena”, caratterizzata dall’interezza degli effetti dicui all’art. 27 della legge n. 184/1983, ad iniziaredall’affidamento preadottivo e dalla recisione dei legamigiuridici con la famiglia di origine, potrebbeessere davvero inopportuno trovando come primo edefinitivo avversario il minore stesso di cui si vorrebberealizzare il miglior interesse.Altre volte l’adozione in casi particolari consente diricostruire una relazione di bigenitorialità in un qua-Nota:(6) M. Dogliotti, Nuova filiazione: la delega al governo, in questaRivista, 2013, 3, 290, si avvede, a differenza dell’autore della relazioneministeriale, della varietà di situazioni descritte dall’art.44, proponendo che il legislatore delegato provveda a distingueredalle altre l’ipotesi in cui il minore venga adottato da un parenteo da un terzo con precedenti e significativi rapporti e quellain cui il minore venga adottato dal coniuge del suo genitore.Casi questi nei quali - secondo Dogliotti, ma l’opinione, per le ragioniche espongo nel testo, non mi pare del tutto esatta - nonsussistendo abbandono permane il rapporto con i parenti originaridel minore e pertanto non avrebbe senso la sovrapposizionecon altri parenti.840Famiglia e diritto 8-9/2013


OpinioniRiforma della filiazionedro familiare ricomposto. Questo potrebbe avvenire,ad esempio, quando il padre, completamente disinteressatoal figlio, acconsenta all’adozione in casiparticolari da parte del marito o del nuovo compagnodella madre.L’esclusione dei cosiddetti effetti legittimanti erastata criticata in passato da un’attenta dottrina, rilevandocome in tal modo i minori adottati ai sensidell’art. 44 si trovassero collocati in una posizionetendenzialmente peggiore rispetto a quella dei minoribeneficiari di una “adozione piena” (7).Ora che - ad avviso di chi scrive - gli effetti di parentelasono stati attribuiti (giustamente, pur se inconsapevolmente)dal nuovo art. 24 c.c. anche agliadottati in casi particolari diviene però inevitabileinterrogarsi sulla compatibilità di tali effetti con iltratto caratteristico di questo tipo di adozione, costituitosenza dubbio dalla previsione normativa delmantenimento delle relazioni, anche in senso giuridico,con la famiglia di origine ed in particolar modocon i genitori biologici, come testimonia, tra l’altro,l’aggiunta del cognome di origine in coda aquello dell’adottante.Ciò conduce, ad esempio, nel caso dell’adozione daparte del coniuge della madre, a dichiarare sospesoma non estinto l’obbligo del padre biologico - privatodella potestà del minore, esercitata invece dall’adottante- di contribuire economicamente almantenimento del figlio; sicché egli ben potrebbeessere obbligato al versamento di un assegno periodiconel caso in cui la madre ed il genitore adottivo,tenuti in via primaria, non dispongano delle necessarierisorse e nemmeno gli ascendenti dei due coniugipossano sopperirvi (8).Questa soluzione pare conforme al superiore interessedel minore il quale però - è utile qui osservarlo -riguardo agli eventuali obblighi o diritti di solidarietàfamiliare gravanti, soprattutto in età adulta, suisoggetti indicati dall’art. 433 c.c. figurerà (non importase come debitore o come creditore) solo inquanto figlio adottivo e non anche nella qualità difiglio dei suoi genitori biologici.Non sarebbe invece compatibile con l’interesse delminore l’esclusione dal rapporto di parentela con ifamiliari del genitore adottivo. Sul piano delle relazionidi fatto detto rapporto di parentela si crea comunque,essendo connaturato all’inserimento nellanuova famiglia, di cui i parenti sono il naturale contestosia nel caso dell’adozione di minori “ordinaria”(un tempo legittimante) sia in quello dell’adozionein casi particolari. Non si vede perché negare sulpiano degli effetti giuridici ciò che già avviene e conpienezza sul piano delle relazioni esistenziali.Coloro che ancora oggi escludono gli effetti di parentelaper le adozioni in casi particolari traggono illoro principale argomento dalla persistenza, nell’orizzontedelle relazioni giuridiche dell’adottato,della sua famiglia di origine, ritenendo forse addiritturalapalissiano che un figlio non possa avere contemporaneamentedue famiglie, ma l’evidenza dell’argomentoè in realtà solo apparente. Ci si dovrebbeallora chiedere, secondo questo medesimo spirito,come sia possibile avere due padri (il biologico el’adottivo) o in alternativa come sia possibile avereun padre adottivo limitando però per legge i rapportidi parentela alla sola cerchia dei familiari del “nonpiù padre”; ancor meno proponibile è, infine, l’idea,che il padre vero rimanga quello che non c’è più oche è decaduto dalla responsabilità genitoriale,mentre quello adottivo sarebbe una sorta di superaffidatarioa vita (ma allora perché la legge disponeche il cognome adottivo sia anteposto a quello delpadre biologico?).Delle tre alternative l’unica che pare meritevole diessere considerata è la prima: un padre di adozioneinterviene e si sostituisce al padre biologico la cui figuranon scompare però dall’identità personale egiuridica dell’adottato e talvolta nemmeno dall’ambitodelle sue effettive relazioni, ma la minore etàdell’adottato orienta comunque l’adozione di cui all’art.44 verso il comune orizzonte che caratterizzanel suo insieme la disciplina della legge n. 184/1983:dare al minore che ne è privo una famiglia idonea.Perché dunque togliergliela sulla base di astratte deduzioninon più fondate sul testo di legge e sicuramentecontrarie all’interesse del minore?In conclusionePrima della legge n. 219 i figli adottivi, se l’adozionenon aveva effetti legittimanti, potevano dirsi assimilatialla situazione dei figli naturali, oggi diverrebberodei “quasi non figli” e comunque gli unici figli chepur crescendo in una famiglia sin dalla tenera etànon ne diverrebbero familiari.A mio modo di vedere questo sarebbe l’esito infaustodi una linea interpretativa poco consapevoledella differenza funzionale tra l’adozione del minoredi cui all’art. 44 (che partecipa della funzione più generaledell’adozione dei minori) e l’adozione degliadulti, costruita sullo stampo ottocentesco della disciplinacodicistica; e ciò mentre il legislatore, grazieNote:(7) Tra gli altri: M. Bessone e G. Ferrando, Minori e maggiori dietà (adozione dei), in Noviss. Dig. it., V, Torino, 1984, 90.(8) Cass. 30.1.1998, n. 978, in Giust. civ., 1998, I, 1955.Famiglia e diritto 8-9/2013 841


OpinioniRiforma della filiazioneforse ad una propria disattenzione, sembrava almenoquesta volta avere evitato un’ingiustizia.Avremmo, paradossalmente, figli nati dall’unione diparenti stretti ammessi all’unico status di figlio coneffetti pieni di parentela, almeno in quei quasi misteriosicasi in cui ciò corrisponda al loro interesse(in pratica: al momento della successione ereditariadal padre incestuoso, a tutt’oggi perseguibile penalmente),ma costruiremmo una nuova ed unica categoriadi figli marginali: quelli cresciuti nella famigliaadottiva con la deminutio dell’adozione in casi particolari.Certo possono suscitare preoccupazioni alcuni effettigiuridici derivanti dal doppio status di figlio dell’adottatoin casi particolari, ormai configuratosi comeuna vera e propria open adoption (9). Non esagerereila portata di tali possibili effetti, quali, ad esempio,la concorrente chiamata dei genitori biologici edi quelli adottivi sull’eredità del figlio premorto; effettiche poche norme di armonizzazione della disciplinasuccessoria e familiare al nuovo status di figlioadottivo in casi particolari potrebbero facilmente risolverecogliendo anche l’occasione per meglio disciplinarel’istituto dell’adozione in casi particolariin modo da prendere atto della molteplicità delle situazionie dei bisogni che gli corrispondono e cheforse meriterebbero maggiore attenzione (10).La sede deputata per tale armonizzazione dovrebbecertamente essere il decreto legislativo di cui all’art.2 della legge n. 219, dalla cui competenza delegataesorbita tuttavia la correzione delle disposizioni giàintrodotte con immediata efficacia dalla riforma, trale quali figura il nuovo art. 74 c.c.L’ulteriore novella dell’art. 74 c.c., se dovesse essereravvisata come opportuna, dovrà dunque essere decisadal legislatore con un percorso diverso da quellodella delega in commento. Pare questo un ostacolonon facile da superare riguardo ad alcune osservazionicritiche che rimproverano alla legge n. 219l’esclusione troppo tranchant di tutte le adozioni dimaggiorenni dal nuovo ed unico status di filiazione.Secondo un’attenta dottrina, infatti, avrebbe meritatodiversa considerazione la filiazione adottivarealizzata ex art. 291 ss. c.c. nei riguardi di ragazzi giàpresi in affidamento durante la minore età dagliadottanti che pur desiderandolo non abbiano avutola possibilità di procedere immediatamente o comunqueper tempo all’adozione ai sensi della leggen. 184/1983 (11).Nella stessa opportuna prospettiva di riflessione èstata anche prospettata la problematicità dei rapportitra fratelli entrambi adottati all’interno del medesimonucleo familiare quando l’uno sia stato adottatoda minorenne e l’altro quando aveva ormai raggiuntola maggiore età (12). In tali situazioni, a mioavviso, un potere di attribuzione dello status di figlio-parenteai sensi dell’art. 74 c.c. avrebbe potutoessere lasciato alla valutazione, caso per caso, delgiudice civile pur delimitando normativamente acasi ben specifici la possibilità di richiedergli dettoscrutinio.Note:(9) Come nota L. Lenti, La sedicente riforma, cit., 203.(10) È quanto emerge dal (non a caso breve) repertorio di questioniproposto da M. Dossetti, La parentela, cit., 25.(11) In tal senso L. Lenti, La sedicente, cit., 203.(12) Così M. Dossetti, La parentela, cit., 26.842Famiglia e diritto 8-9/2013


OpinioniMatriminioPatti prematrimonialiAncora in tema di pattiprematrimonialidi Alberto FigoneL’Autore svolge brevi considerazioni su una recente decisione della Cassazione in tema di patti prematrimoniali,evidenziando i profili innovativi della decisione stessa.Un ulteriore passo assai significativo verso il riconoscimentodella validità dei patti prematrimoniali èeffettuato da una recente sentenza della Corte diCassazione (1).Stranamente essa ha diviso gli interpreti, sostenendoalcuni il suo distacco dall’orientamento tradizionale,affermando altri, al contrario, che tale orientamentoverrebbe confermato (2). Ma bisogna saperleggere tra le righe, e la posizione della Corte pareleggersi con estrema chiarezza. Difficilmente le sezionisemplici procedono a revirement totali, si muovonopiuttosto per piccoli passi, salvo investire dellaquestione le Sezioni Unite. Il passo della sentenzain esame non è peraltro tanto piccolo. Ovviamentela Corte è vincolata dall’inquadramento effettuatodal giudice a quo, se sorretto da motivazione “adeguatae non illogica”.Nella specie, due coniugi, il giorno prima del matrimonio,avevano sottoscritto una scrittura privata,prevedendo che, in caso di “fallimento” dello stesso(per separazione o divorzio), la moglie avrebbe cedutoal marito un immobile di sua proprietà, qualeindennizzo delle spese da lui sostenute per la ristrutturazionedi altro immobile, pure di proprietà dellamoglie, da adibirsi a casa coniugale; a saldo il maritoavrebbe trasferito alla consorte titoli di Stato per unvalore nominale predeterminato. La difesa dellamoglie inquadra l’accordo fra i patti prematrimoniali,sostenendone la nullità.La Suprema Corte, richiamando l’inquadramentosostenuto, appunto, dal giudice d’appello, affermatrattarsi di datio in solutum, strettamente collegataalle spese affrontate dal marito per la ristrutturazionedell’immobile, adibito a casa coniugale: nellaspecie, dunque, un contratto caratterizzato da prestazionie controprestazioni tra loro proporzionali,secondo quanto indicato dal giudice a quo. Un contrattodel tutto estraneo agli accordi prematrimoniali,nei quali non vi è di regola proporzionalità di prestazioni,con possibili arricchimenti ed impoverimentied il cui oggetto attiene all’intero assetto economicodel rapporto coniugale (ad es. l’adempimentodell’obbligo di mantenimento o comunque laprovvista per la corresponsione di un assegno periodico).Il debitore (la moglie) aveva l’obbligo di restituire lesomme per le migliorie apportate dal marito; si liberadall’obbligazione, con l’accordo del creditore (ilmarito) con il trasferimento di un bene, ai sensi dell’art.1197 c.c.. Fino qui la fattispecie contrattualerisulterebbe del tutto estranea ai rapporti matrimoniali:il medesimo contratto (e la vicenda successiva:la datio in solutum) poteva infatti riguardare duesoggetti tra di loro privi di rapporto di coniugio. Il riferimentoal fallimento del matrimonio è individuatocon precisione dalla Suprema Corte: si tratta dicondizione che, è risaputo, rappresenta un elementoeventuale, non incidente sul contenuto essenzialedel contratto. La condizione riporta al rapporto coniugale,e tuttavia non è evidentemente tale da “trasformare”,come taluni hanno ritenuto, il contratto,caratterizzato, come si diceva, da prestazioni del tuttoproporzionali.Non sta qui peraltro l’importanza della sentenza,bensì, al contrario, in una serie di obiter dicta assai significativi.Note:(1) Cass. 21 dicembre 2012, n. 23713, in questa Rivista, 2013, 4,321.(2) Per tutti, cfr. Oberto, Gli accordi prematrimoniali in Cassazione,ovvero quando il Distinguishing finisce nella Haarspaltemaschine,in questa Rivista, 2013, 4, 323; Smaniotto, Contratti prematrimonialie tutela di interessi meritevoli e non contrari all’ordinepubblico o al buon costume, in Contratti, 2013, 3, 221.Famiglia e diritto 8-9/2013 843


OpinioniMatriminioLa Suprema Corte, vincolata dall’inquadramentodel giudice a quo, ha correttamente escluso che lafattispecie in esame rientri nell’ambito degli accordiprematrimoniali. Poteva evidentemente non aggiungerealtro. E invece ha sentito la necessità diprendere posizione su tali accordi. Pare così chiara laposizione della Corte che non può convenirsi con laposizione di qualche Commentatore per il quale sitratterrebbe della conferma dell’orientamento piùtradizionale. Fornisce subito la Suprema Corte unavalutazione sostanzialmente positiva di tali accordi;afferma infatti che essi sono molto frequenti in variStati, soprattutto quelli di cultura anglosassone, dovesvolgono “una proficua funzione di deflazionedelle controversie familiari e divorzili” (3). Al contrario,prosegue la Cassazione, in <strong>Italia</strong> la giurisprudenzaè orientata a ritenere invalidi tali accordi, inquanto in contrasto con i principi di indisponibilitàdegli status e dello stesso assegno di divorzio.Già così la Corte misura la sua lontananza da tale indirizzogiurisprudenziale (che essa evidentementenon condivide) e subito dopo riporta le critiche chela dottrina muove a tale indirizzo: esso ometterebbedi considerare adeguatamente “non solo i principi didiritto di famiglia, ma la stessa elaborazione del sistemanormativo, ormai orientato a riconosceresempre più ampi spazi di autonomia ai coniugi neldeterminare i propri rapporti economici”. Ed evidenziala Corte - se ancora ve ne fosse bisogno e perrendere ancora più comprensibile il proprio ragionamento- una contraddizione in termini; la giurisprudenzaammette gli accordi prematrimoniali in vistadi un’eventuale nullità matrimoniale, ma non per ildivorzio (4).Un atteggiamento che viene giustificato con la naturadel procedimento di nullità matrimoniale (caratterizzatoda forti connotazioni inquisitorie, voltoad accertare l’esistenza o meno della causa di invalidità,fuori da ogni potere negoziale di disposizione),ma che, a ben vedere, si ispira ad una perdurante diffidenza(ancora oggi!) nei confronti del divorzio,quasi che un accordo vantaggioso possa invogliare ilconiuge “beneficiato” ad ottenere il divorzio: unaconcezione che impoverisce e svilisce il rapportomatrimoniale.Conclude la sentenza questa chiara disamina, richiamandola giurisprudenza innovativa, che haaperto una prima breccia nel granitico orientamentodella Suprema Corte: la trasformazione della nullitàassoluta (per contrasto con l’ordine pubblico) inuna relativa, azionabile soltanto dall’avente diritto(5). Non può allora convenirsi con quegli Autoriche hanno affermato che la pronuncia si porrebbenel solco della tradizione, in quanto forse, per la primavolta, la Corte dichiara la piena validità degli accordiprematrimoniali.È auspicabile che tale affermazione venga recepita esviluppata dalla giurisprudenza, tanto di legittimità,quanto di merito, magari sorretta, per evitare ritornial passato, da un intervento del legislatore.Note:(3) Cfr. tra i vari contributi Fusaro, Marital contracts, ehevertraege,convenzioni e accordi prematrimoniali. Linee di una ricercacomparatistica, in Nuova giur. civ. comm., 2012,7-8,475. Oberto,Contratti prematrimoniali e accordi preventivi alla crisi coniugale,in questa Rivista, 2012,1,69. Più specificamente, sul tema connessodegli accordi tra conviventi, cfr. Oberto, I diritti dei conviventi.Realtà o prospettive tra <strong>Italia</strong> e Europa, Padova, 2012; Balestra,I contratti di convivenza, in Fam. pers. succ., 2006,1,43.(4) Cfr. Cass. 13 gennaio 1993, n. 358, in Vita not., 1993, I, 950.(5) Cfr. Cass. 14 giugno 2000, n. 8109, in Giur. it., 2000, 2229,con nota di Barbiera; Cass. 1° dicembre 2000, n. 15349, in Giust.civ., 2001,I,1592; Cass. 13 gennaio 2012, n. 387, in questa Rivista,2012, 8-9, 772, con nota di Arceri.844Famiglia e diritto 8-9/2013


Famiglia e dirittoIndiciINDICE DEGLI AUTORILuca BardaroLa svolta della Cassazione: il nome Andrea è ambigenere...................................................................... 769Antonella BatàOsservatorio di giurisprudenza civile......................... 830Roberto CalvoVincolo testamentario di destinazione: il primo precedentedei tribunali italiani ...................................... 786Marco CasonatoConflitti familiari e Sindrome da Alienazione Parentale:note su una discussa patologia ........................... 758Alberto FigoneAncora in tema di patti prematrimoniali ................... 843Giovanni GenovaAnche il coniuge dello stesso sesso del cittadino comunitarioha diritto di stabilirsi in <strong>Italia</strong> ai sensi delT.U. sulla circolazione e sul soggiorno dei cittadinidell’U.E. .................................................................... 792Pier Giorgio GossoDavvero incostituzionali le norme che tutelano il segretodel parto in anonimato ? ................................. 822Katia MasciaAffidamento condiviso della prole e convivenza moreuxorio di uno dei genitori: la presenza del nuovopartner non può costituire ostacolo al dirittodi visita del genitore ................................................. 804Donatella Morello Di GiovanniObbligo di fedeltà e pronuncia di addebito ............... 779Paolo Morozzo della RoccaIl nuovo status di figlio e le adozioni in casi particolari 838Paolo PittaroOsservatorio di giurisprudenza penale ...................... 834Angelo SpiritoOsservatorio di giurisprudenza civile......................... 830Ferruccio TommaseoAffidamento d’un minore, consulenza tecnica d’ufficioe ricorso in Cassazione per vizi della motivazione 452INDICE CRONOLOGICOGiurisprudenzaCorte di cassazione civileCassazione civile, sez. I, 11 agosto 2011, n. 17193 .. 777Corte di cassazione, sez. I, 20 novembre 2012, n.20385 ........................................................................ 766Cassazione civile, sez. I, 20 marzo 2013, n. 7041 ..... 745Cassazione civile, sez. II, 4 giugno 2013, n. 14040 .. 830Cassazione civile, sez. II, 5 giugno 2013, n. 14190 ... 830Cassazione civile, sez. II, 5 giugno 2013, n. 14232,ord. ............................................................................ 831Cassazione civile, sez. II, 6 giugno 2013, n. 14317 .. 832Cassazione civile, sez. II, 11 giugno 2013, n. 14720,ord. ............................................................................ 833Corte di cassazione penaleCassazione penale, sez. III, 14 marzo 2013 - 18 giugno2013, n. 26582 ................................................... 834Cassazione penale, sez. III, 22 maggio – 19 giugno2013, n. 26618 .......................................................... 834Cassazione penale, sez. VI, 20 giugno – 24 giugno2013, n. 27729 .......................................................... 835Cassazione penale, sez. V, 4 aprile 2013 – 25 giugno2013, n. 27798 ......................................................... 836Cassazione penale, sez. III, 20 marzo – 13 giugno2013, n. 25889 .......................................................... 836Corti d’appelloCorte d’appello di Brescia, sez. per i minorenni, 17maggio 2013, decr..................................................... 749TribunaliTribunale dei minorenni di Catanzaro 13 dicembre2012, ord. .................................................................. 817Tribunale di Milano, sez. IX civ., 23 marzo 2013, ord. 802Tribunale di Milano 17 aprile 2013, ord...................... 833Tribunale civile e penale di Pescara 18 maggio 2013,ord. ............................................................................ 790Tribunale di Roma 18 maggio 2013 ........................... 783INDICE ANALITICOAdozioneDavvero incostituzionali le norme che tutelano il segretodel parto in anonimato? (Tribunale dei minorennidi Catanzaro 13 dicembre 2012, ord.) di PierGiorgio Gosso............................................................ 817Amministrazione di sostegnoProcedura di nomina (Cassazione civile, sez. II, 5 giugno2013, n. 14190) Osservatorio di giurisprudenzacivile ......................................................................... 830Atti persecutoriDistinzione fra atti persecutori e violenza privata (Cassazionepenale, sez. III, 20 marzo - 13 giugno 2013, n.25889) Osservatorio di giurisprudenza penale .......... 836La reiterazione delle condotte persecutorie (Cassazionepenale, sez. V, 4 aprile 2013 - 25 giugno 2013,n. 27798) Osservatorio di giurisprudenza penale ..... 836Calunnia nei confronti del coniugeL’erronea convinzione della colpevolezza del sog-Famiglia e diritto 8-9/2013 845


Famiglia e dirittoIndicigetto incolpato esclude il dolo della calunnia (Cassazionepenale, sez. VI, 20 giugno - 24 giugno2013, n. 27729) Osservatorio di giurisprudenza penale........................................................................ 835Coniuge extracomunitarioAnche il coniuge dello stesso sesso del cittadino comunitarioha diritto di stabilirsi in <strong>Italia</strong> ai sensi delT.U. sulla circolazione e sul soggiorno dei cittadinidell’U.E. (Tribunale civile e penale di Pescara 18maggio 2013, ord.) di Giovanni Genova ................... 790Danni non patrimonialiLesioni personali (Cassazione civile, sez. II 4 giugno2013, n. 14040) Osservatorio di giurisprudenza civile 830Diritto al nomeLa svolta della Cassazione: il nome Andrea è ambigenere(Cassazione civile, sez. I, 20 novembre 2012,n. 20385) di Luca Bardaro ........................................ 766Filiazione naturaleAttribuzione del cognome (Cassazione civile, sez. II,5 giugno 2013, n. 14232, ord.) Osservatorio di giurisprudenzacivile ........................................................ 831(Cassazione penale, sez. III, 22 maggio - 19 giugno2013, n. 26618) Osservatorio di giurisprudenza penale........................................................................... 834Riforma della filiazioneIl nuovo status di figlio e le adozioni in casi particolaridi Paolo Morozzo della Rocca ................................ 838SeparazioneObbligo di fedeltà e pronuncia di addebito (Cassazionecivile, sez. I, 11 agosto 2011, n. 17193) di DonatellaMorello Di Giovanni .......................................... 777TestamentoVincolo testamentario di destinazione: il primo precedentedei tribunali italiani (Tribunale di Roma 18maggio 2013) di Roberto Calvo ................................ 783Tribunale per i minorenniCompetenza (Cassazione civile, sez. II, 11 giugno2013, n. 14720, ord.) Osservatorio di giurisprudenzacivile ......................................................................... 833Tutela cautelareAmmissibilità (Tribunale di Milano 17 aprile 2013,ord.) Osservatorio di giurisprudenza civile ................ 833Malattia professionaleIndennizzo ai superstiti (Cassazione civile, sez. II, 6giugno 2013, n. 14317) Osservatorio di giurisprudenzacivile ............................................................... 832MinacceLa minaccia nell’ambito della separazione coniugale(Cassazione penale, sez. III, 14 marzo 2013 - 18 giugno2013, n. 26582) Osservatorio di giurisprudenzapenale ....................................................................... 834MinoriAffidamento d’un minore, consulenza tecnica d’ufficioe ricorso in Cassazione per vizi della motivazionedi Ferruccio Tommaseo e Conflitti familiari e Sindromeda Alienazione Parentale: note su una discussapatologia di Marco Casonato (Cassazione civile, sez.I, 20 marzo 2013, n. 7041; Corte d’appello di Brescia,sez. per i minorenni, 17 maggio 2013, decr.) ... 745Affidamento condiviso della prole e convivenza moreuxorio di uno dei genitori: la presenza del nuovopartner non può costituire ostacolo al diritto di visitadel genitore (Tribunale di Milano, sez. IX civ., 23 marzo2013, ord.) di Katia Mascia .................................. 802Patti prematrimonialiAncora in tema di patti prematrimoniali di Alberto Figone......................................................................... 843Prostituzione minorileÈ configurabile il concorso tra le condotte di favoreggiamentoe sfruttamento della prostituzione846Famiglia e diritto 8-9/2013

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