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ISSN 1123-5055PUBBLICAZIONE BIMESTRALE ANNO XXVIIN. 1 GENNAIO-FEBBRAIO 2011Tariffa R.O.C.: Poste <strong>Italia</strong>ne s.p.a. - Sped. in abb. post. - D.L. 353/2003 (conv. in L. 27/02/2004 n° 46) art. I, comma I, DCB Milano<strong>Contratto</strong> e <strong>impresa</strong>Dialoghi con la giurisprudenza civile e commercialediretti da Francesco Galgano• Circolazione internazionale dei modelli giuridici• <strong>Contratto</strong>L’alea nei contratti; le nuove nullità per vizio di forma; frode allalegge e mancanza di causa nelle conciliazioni giudiziali• FallimentoLa prova dell’insolvenza; gli accordi di ristrutturazione e la loroefficacia per i non aderenti• Fatti illecitiResponsabilità dell’organizzatore di eventi sportivi; il tort ofneglicence nel diritto inglese• SocietàLa delega gestoria nelle società per azioni; la decadenza deisindaci• Giustizia competitivaLa mediazione e l’arbitrato irrituale• Diritto sportivoLa responsabilità contrattuale ed aquiliana dell’organizzatoredi eventi sportivi; il merchandising del marchio sportivo


<strong>Contratto</strong> e <strong>impresa</strong>Dialoghi con la giurisprudenza civile e commercialediretti da Francesco Galgano4-5 1ventisettesimo anno• Circolazione internazionale dei modelli giuridici• <strong>Contratto</strong>L’alea nei contratti; le nuove nullità per vizio di forma; frode allalegge e mancanza di causa nelle conciliazioni giudiziali• FallimentoLa prova dell’insolvenza; gli accordi di ristrutturazione e la loroefficacia per i non aderenti• Fatti illecitiResponsabilità dell’organizzatore di eventi sportivi; il tort of neglicencenel diritto inglese• SocietàLa delega gestoria nelle società per azioni; la decadenza deisindaci• Giustizia competitivaLa mediazione e l’arbitrato irrituale• Diritto sportivoLa responsabilità contrattuale ed aquiliana dell’organizzatoredi eventi sportivi; il merchandising del marchio sportivo2011CEDAM - PADOVA


PROPRIETÀ LETTERARIA RISERVATACopyright 2011 <strong>Wolters</strong> <strong>Kluwer</strong> <strong>Italia</strong> SrlA norma della legge sul diritto d’autore e del codice civile è vietata lariproduzione di questo libro o di parte di esso con qualsiasi mezzo, elettronico,meccanico, per mezzo di fotocopie, microfilms, registrazioni o altro.Editore: <strong>Wolters</strong> <strong>Kluwer</strong> <strong>Italia</strong> Srl - Centro Direzionale Milanofiori -Strada 1, Pal. F6 - 20090 Assago (MI)Autorizzazione del Tribunale di Padova del 31 gennaio 2006 n. 2000Direttore responsabile: Francesco GalganoComposizione: Bertoncello Artigrafiche - Cittadella (PD)Stampa: Grafiche TPM s.r.l. - Via Vigonovese 52/A - 35127 PadovaStampato in <strong>Italia</strong> - Printed in Italy


<strong>Contratto</strong> e <strong>impresa</strong> 1/2011Dialoghi con la giurisprudenza civile e commercialediretti da Francesco Galganoventisettesimo annoINDICE SOMMARIODIBATTITIDichiarazione del fallimento e argomenti di prova dell’insolvenza, diFrancesco Galgano . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . pag. 11. – Bastano gli inadempimenti per provare l’insolvenza? . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . » 12. – Può l’insolvenza desumersi dallo squilibrio patrimoniale? . . . . . . . . . . . . . . . . . . » 23. – È ammissibile una insolvenza occulta? . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . » 44. – Necessaria pluralità delle insinuazioni al passivo? . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . » 6Efficacia ERGA OMNES degli accordi di ristrutturazione (art. 182 BIS, l.fall.), di Gianluca Sicchiero . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . » 91. – La riforma dell’art. 182 bis, l. fall. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . » 92. – Ed i persistenti dubbi sulla sua efficacia erga omnes . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . » 10Formalismo negoziale e nullità: le aperture delle Corti di merito, diLara Modica . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . » 161. – Nuove forme e nuove nullità . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . » 162. – Prescrizioni di forma del contratto tra norme organizzative e norme imperative » 243. – Destrutturazione della forma . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . » 324. – (segue) Vincoli di forma con finalità informativa tra nullità e responsabilità: ildifficile dialogo tra Sezioni Unite e Corti di merito . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . » 385. – L’«effetto utile » e l’ibridazione dei rimedi a presidio del vincolo di forma . . . . . » 456. – Qualche notazione conclusiva . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . » 53


VI INDICE-SOMMARIO CONTRATTO E IMPRESA 1/2011La natura contrattuale dei verbali di conciliazione giudiziale e laloro impugnabilità per illiceità della causa in concreto, di AngeloRiccio . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . pag. 561. – Il verbale di conciliazione ex art. 185 c.p.c. e la sua natura contrattuale . . . . . . . » 562. – La consolidata regola di validità coniata dalla Cassazione in merito alle transazioniin materia di locazione . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . » 573. – Le immunità create dalla giurisprudenza e le facili frodi alla legge 27 luglio1978, n. 392 . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . » 604. – (segue) Nullità del verbale di conciliazione e/o della transazione per frode allalegge 27 luglio 1978, n. 392, e per mancanza di causa in concreto . . . . . . . . . . . . . » 61Fonti del diritto e delegificazione: statuti universitari e potestà normativain deroga alla legge, di Cesare Miriello . . . . . . . . . . . . . . . . . . . » 651. – La questione . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . » 652. – Gli statuti universitari nel sistema delle fonti: l’articolo 33 della Costituzione ela normativa di attuazione . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . » 653. – L’autonomia come differenziazione. Il caso dell’eleggibilità a cariche accademichedei professori a tempo definito . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . » 674. – (segue) Lo status come limite all’ingerenza esterna . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . » 70SAGGIGiovanna Visintini, La circolazione delle giurisprudenze . . . . . . . . . . . . . . . . . . » 73Sommario: 1. La circolazione dei modelli giuridici e i contrasti ideologici tra dirittonazionale e diritto comunitario in materia di proprietà. – 2. Influenzadelle direttive della Corte di Strasburgo, in particolare in materia di dannoda ingiusto processo. – 3. Le distanze tra principi europei e diritto internoin materia di poste di danno risarcibili. – 4. L’esigenza di uno stile delle decisioniitaliane fruibile anche all’estero ai fini della circolazione di un precedentegiudiziale innovativo.SOCIETÀAndrea Caprara, Decadenza dei sindaci e profili dell’organizzazione . . . . . . . . » 85Sommario: 1. Premessa – 2. La natura giuridica della decadenza e la distinzionedalla revoca per giusta causa – 3. (segue) Accertamento della decadenzae subentro dei supplenti – 4. Decadenza e ineleggibilità: due facce dellastessa medaglia o due medaglie senza faccia? – 5. Decadenza e riflessi or-


INDICE-SOMMARIO CONTRATTO E IMPRESA 1/2011VIIganizzativi: dalla illegittimità degli atti compiuti dall’organo . . . – 6. (segue)... all’invalidità delle delibere del collegio sindacale e (in)applicabilità della“prova di resistenza”.Dario Scarpa, La delega gestoria nella spa: architettura delle interazioni tra delegatie deleganti . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . pag. 106Sommario: 1. Delega gestoria nella società per azioni in funzione del perseguimentodell’efficacia della corporate governance e della razionalizzazionedell’esercizio del potere gestorio. Qualificazione giuridica del rapporto giuridicotra delegato e società. – 2. Concorrenza gestoria tra organo collegialee singolo amministratore delegato e potere di avocazione come limiti diestensione applicativa della delega: rapporto tra collegialità dell’organoamministrativo e conferimento di delega. – 3. Studio delle modalità di attuazionedella delega e funzioni, determinazione di contenuto e limiti diesercizio della delega, analisi della ratio delle attribuzioni indelegabili. – 4.Sindacato dell’attività gestoria (e discrezionale) dell’organo delegato e analisidel dovere di diligenza in funzione dell’accertamento della responsabilitàdell’amministratore delegato. – 5. Individuazione del rapporto tra delegae flussi informativi tra deleganti e delegati all’esito dell’introduzione delprincipio dell’agire in modo informato nella gestione della spa.DIRITTO SPORTIVOMargherita Pittalis, La responsabilità contrattuale ed aquiliana dell’organizzatoredi eventi sportivi . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . » 150Sommario: 1. L’organizzatore di eventi sportivi: la posizione del C.O.N.I. e delleFederazioni sportive. – 2. Gli obblighi di controllo dell’organizzatore. –3. I titoli di responsabilità. – 4. La responsabilità delle società di calcio nell’organizzazionedi incontri sportivi professionistici. – 5. Considerazioniconclusive.Giovanni Facci, Il merchandising del marchio sportivo . . . . . . . . . . . . . . . . . . . » 198Sommario: 1. Il merchandising nell’ordinamento sportivo. – 2. Il contratto dimerchandising e l’evoluzione della normativa in tema di marchi registrati. –3. Il marchio sportivo. – 4. Il merchandising e la sponsorizzazione sportiva.– 5. (segue) Il diritto all’immagine del singolo atleta ed il personality merchandising.– 6. La tutela del marchio sportivo e l’ambush marketing.


VIII INDICE-SOMMARIO CONTRATTO E IMPRESA 1/2011INNOVAZIONE LEGISLATIVAGianfranco Dosi, La mediazione e l’arbitrato irrituale nelle riforme del 2010 . . pag. 226Sommario: 1. I tre pilastri della nuova giustizia competitiva. – 2. La mediazionecome sistema di risoluzione dei conflitti parallelo alla giurisdizione. – 3. Lamediazione condizione di procedibilità della domanda giudiziale. – 4. Lemotivazioni per la mediazione. – 5. La risoluzione arbitrale irrituale dellecontroversie.ENCICLOPEDIAEleonora Maria Pierazzi, L’alea nei contratti . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . » 251Sommario: 1. Il contratto aleatorio, l’alea giuridica e l’alea normale. – 2. Manifestazionie criteri di accertamento dell’alea normale. – 3. L’alea nei contrattidi borsa.Giovanni Villa, Il tort of negligence nel sistema inglese dei fatti illeciti . . . . . . » 263Sommario: 1. Caratteri fondamentali della materia in esame. – 2. La nascitadell’esigenza di un principio generale di responsabilità per colpa e il duplicesignificato di “negligence”. – 3. La formulazione del neighbour principlee la natura giuridica del tort of negligence. – 4. Gli odierni parametri per l’identificazionedel duty of care. – 5. Gli elementi costitutivi del tort of negligencee la componente del danno nel diritto dei torts. – 6. La violazione delduty of care e il danno ad essa conseguente: i concetti di causation e remoteness.– 7. Il danno psichico. – 8. Il danno economico. – 9. La vis expansivadel tort of negligence.


DibattitiDichiarazione del fallimento e argomenti di prova dell’insolvenza1. – Bastano gli inadempimenti per provare l’insolvenza?Non è raro constatare che il fallimento venga dichiarato, nella nostraesperienza giudiziaria, sulla base di argomenti di prova del requisito dell’insolvenza,richiesto dall’art. 5, l. fall., i quali attengono all’entità del creditovantato dal creditore istante, all’ammontare complessivo dei debiti risultantidal bilancio, al volume delle perdite riportate negli ultimi esercizi.Sono argomenti, in sé considerati, non rilevanti. Anzitutto, altro è l’inadempimento,altro l’insolvenza. Gli inadempimenti, quale che sia l’entitàdella somma pretesa, non equivalgono ad insolvenza, che è il necessariopresupposto oggettivo del fallimento. L’insolvenza è, notoriamente, unevento diverso dall’inadempimento, anche se si può manifestare, e normalmentesi manifesta, con inadempimenti: queste sono vicende che attengonoa singoli rapporti obbligatori e che interessano, perciò, singoli creditori;l’insolvenza attiene, invece, all’intero patrimonio del debitore ed è, perciò,un evento che interessa tutti i suoi creditori.Altrettanto noto è il nesso fra l’insolvenza e il fallimento, che è una proceduraconcorsuale, ossia una procedura esecutiva generale e collettiva: è« generale » in quanto colpisce l’intero patrimonio del debitore e non – comele procedure esecutive singolari (artt. 2910 ss., c.c., 474 ss., c.p.c.), chehanno per presupposto il semplice inadempimento – singoli beni del debitore;è, inoltre, una procedura « collettiva » in quanto è rivolta al soddisfacimentodella massa dei creditori, e non soltanto di quei creditori nei confrontidei quali il debitore sia già risultato inadempiente, né soltanto diquelli che abbiano assunto l’iniziativa della procedura esecutiva.Si suole ripetere che è inadempiente chi non vuole pagare, e che è insolventechi non può pagare. È possibile essere inadempienti senza essereinsolventi: accade se, pur potendo, non si vuole adempiere perché si contestal’esistenza del credito. La giurisprudenza è pressoché univoca al riguardo:non c’è insolvenza in caso di inadempimento di un credito contestato egià soggetto ad accertamento giudiziale: così, fra le tante, App. Bologna, 17ottobre 1996, in Giur. it., 1997, I, 2, c. 1; App. Bari, 29 marzo 1985, in Fallimento,1985, p. 883; App. Lecce, 24 febbraio 1977, in Giur. comm., 1978, II, p.118; Trib. Salerno, 18 marzo 1998, in Dir. fall., 1999, II, p. 884; Trib. Genova,6 aprile 1993, in Fallimento, 1993, p. 775; Trib. Milano, 7 giugno 1990, ivi,


2 CONTRATTO E IMPRESA 1/20111990, p. 1250; Trib. Chieti, 20 maggio 1992, in Dir. fall., 1993, II, p. 545; Trib.Roma, 15 dicembre 1974, in Dir. fall., 1975, II, p. 474; Trib. Roma, 10 febbraio1992, in Fallimento, 1992, p. 645.Né può darsi rilievo al fatto, ritenuto rilevante solo dall’App. Bari, 29 ottobre1990, ivi, 1991, p. 521, che il credito contestato sia munito di titolo esecutivo.Tanto meno gli si può dare rilievo se il giudice dell’esecuzione abbiasospeso per gravi motivi l’esecutività del titolo fatto valere dal creditoreistante. Se non si può procedere, per quel vantato credito, ad esecuzione individuale,a maggior ragione non si potrà procedere ad esecuzione concorsuale.Può accadere che l’istanza di fallimento sia presentata non già a seguitodell’infruttuoso esperimento dell’azione esecutiva individuale (ciò che potrebbe,in ipotesi, essere assunto come rivelazione di insolvenza), bensì inconcorso con l’azione esecutiva individuale e in pendenza del processo esecutivo.Ciò che rende manifesto come l’iniziativa del fallimento sia stata assuntadal creditore istante quale indebito mezzo di pressione sul pretesodebitore, così integrando gli estremi dell’abuso del diritto di azione in giudizio(sulla cui repressione cfr. Cass., 11 dicembre 2000, n. 15592, in Giur. it.,2001, p. 1887), che può comportare, quando si sia abusato dell’istanza di fallimento,la revoca del fallimento dichiarato in accoglimento dell’istanza(Cass., 19 settembre 2000, n. 12405, in Foro it., 2001, I, c. 2326).2. – Può l’insolvenza desumersi dallo squilibrio patrimoniale?Ancora: altro è lo squilibrio patrimoniale fra l’attivo ed il passivo, altro èl’insolvenza. Un’<strong>impresa</strong> con bilancio in disavanzo è sicuramente un’<strong>impresa</strong>in crisi, ma può non essere in stato di insolvenza. Lo si predica da tempo:aveva giudicato irrilevante, ai fini della dichiarazione di fallimento, losquilibrio patrimoniale dell’<strong>impresa</strong> già Cass., 14 marzo 1985, n. 1980, inGiur. it., 1986, I, 1, c. 281. Finché dispone del fido delle banche o riceve il finanziamentodi enti pubblici o riduce il volume della produzione, licenziandoparte dei suoi dipendenti, l’imprenditore può, nonostante il deficit dibilancio, fare fronte regolarmente ai pagamenti, e i creditori non hanno motivodi dolersi. Ma può, d’altra parte, accadere che un’<strong>impresa</strong> con bilancioin avanzo sia insolvente; come quando l’<strong>impresa</strong> sia priva di disponibilità liquidao l’attivo sia formato da beni non agevolmente vendibili.La motivazione della sentenza ora citata merita di essere segnalata:Ma in ordine all’insolvenza, il giudice del merito ha motivato il giudizio sulla sua sussistenzacon valutazioni di fatto che si sottraggono ad ogni censura, in quanto hannopreso in esame tutti gli aspetti rilevanti del caso e si sono ispirate all’esatto principio secondocui il suddetto stato non postula necessariamente il riscontro di un passivo superioreall’attivo, ma ricorre quando il debitore, per il venir meno delle condizioni di liqui-


DIBATTITI 3dità e credito occorrenti alla propria attività, si trovi in una situazione di impotenza funzionalee non transitoria, non essendo in grado di osservare regolarmente, tempestivamentee con mezzi normali gli impegni assunti (Cass., 6 giugno 1979, n. 3198; Id., 14 febbraio1980, n. 1067; Id., 11 maggio 1981, n. 3095).Tuttavia, non è da tacere che le censure della ricorrente, in ordine della pretesa mancanzadi uno squilibrio fra attivo e passivo, si muovono nell’ambito di un inammissibileapprezzamento diverso delle medesime circostanze di fatto valutate dal giudice del merito;inammissibile anche perché muove da una critica che non è pertinente all’effettivodecisum, in quanto la Corte d’appello ha tratto dallo stato passivo (e non dal bilancio)l’ammontare dei crediti, che pertanto erano tutti insinuati ed ammessi per circa 27 miliardi(contro un attivo comunque assai inferiore).Il punto fondamentale della motivazione consiste nell’accertamento dell’assolutamancanza di liquido, che non consentiva alla S.A.S. di pagare neppure l’<strong>impresa</strong> appaltatricedei lavori di costruzione; nonché nell’accertamento che 1’I.C.C.R.I. non avevarinnovato il fido o fatto un’ulteriore apertura di credito per dotare la società della liquiditànecessaria per far fronte alle sue obbligazioni.Eppure sono tutt’altro che rare le sentenze che dichiarano il fallimentosulla constatazione che l’<strong>impresa</strong> avesse passività superiori all’attivo. Recentisentenze del Supremo Collegio lo hanno giudicato ammissibile. CosìCass., 1° dicembre 2005, n. 26217 (come poi Cass., 27 febbraio 2008, n.5215):Il riscontro dello stato d’insolvenza del debitore prescinde da ogni indagine sull’effettivaesistenza ed entità dei crediti, essendo a tal fine sufficiente l’accertamento di unostato d’impotenza economico-patrimoniale, idoneo a privare tale soggetto della possibilitàdi far fronte, con mezzi “normali”, ai propri debiti e può quindi essere legittimamenteeffettuato dal giudice ordinario anche quando i crediti derivino da rapporti riservati allacognizione di un giudice diverso (Cass., Sez. un., 11 febbraio 2003, n. 1997). Atale proposito,anche il dato di un assai marcato sbilanciamento tra l’attivo e il passivo patrimonialeaccertati, pur se non fornisce, di per sé solo, la prova dell’insolvenza – potendo comunqueessere superato dalla prospettiva di un favorevole andamento futuro degli affari,o da eventuali ricapitalizzazioni dell’<strong>impresa</strong> – nondimeno deve essere attentamentevalutato, non potendosene, per converso radicalmente prescindere, perché l’eventualeeccedenza del passivo sull’attivo patrimoniale costituisce pur sempre, nella maggior partedei casi, uno dei tipici “fatti esteriori” che, a norma della l. fall., art. 5, si mostrano rivelatoridell’impotenza dell’imprenditore a soddisfare le proprie obbligazioni (Cass., 9marzo 2004, n. 4727).Due sono i punti che meritano censura. Anzitutto, l’eccedenza del passivosull’attivo patrimoniale non è fatto esteriore rivelatore dell’impotenzadell’imprenditore a soddisfare le proprie obbligazioni, come la stessa sentenzaammette quando menziona eventi idonei a neutralizzarne l’efficaciaprobatoria. Non si può poi invertire l’onere della prova sullo stato di insolvenzaed addossare al debitore l’onere di provare la propria solvibilità, co-


4 CONTRATTO E IMPRESA 1/2011me la sentenza sembra supporre in presenza di uno squilibrio patrimoniale.Un simile onere incombe sul creditore istante, secondo i principi generalidel processo civile, cui la recente riforma della legge fallimentare si èispirata, sulla base della pronuncia della Corte cost., 15 luglio 2003, n. 240,come ha messo in evidenza Cass., 26 febbraio 2009, n. 4632, che si esprimein termini di adesione della riforma del fallimento ai « principi che governanola giurisdizione ».3. – È ammissibile una insolvenza occulta?E talvolta accade che il fallimento venga dichiarato anche in presenza dibilanci in pareggio o, addirittura, in attivo.In questi casi gli argomenti di prova dell’insolvenza si fondano, anzichésui dati di bilancio, sulla valutazione critica degli stessi ad opera del tribunale,il quale rettifica il bilancio, incrementando il passivo e svalutando l’attivo,così facendo risultare un deficit non dichiarato. È inutile discutere, inquesti casi, sulla fondatezza della revisione critica del bilancio. Il punto èche questa è inammissibile. Non si può dimenticare che sussiste insolvenzaquando ricorrono i due estremi previsti dalla norma dell’art. 5, l. fall.: il primoè la cosiddetta impotenza patrimoniale del debitore, presente quando,nei termini dell’art. 5, « il debitore non è più in grado di soddisfare regolarmentele proprie obbligazioni ». L’altro è la manifestazione esteriore dellainsolvenza, la quale deve, sempre nei termini dell’art. 5, manifestarsi « coninadempimenti o altri fatti esteriori ».Le classiche manifestazioni esteriori, diverse dagli inadempimenti, sonoquelle che ora si trovano menzionate nell’art. 7, n. 1, l. fall., relativo all’iniziativadel pubblico ministero, ossia quelle risultanti « dalla fuga, dalla irreperibilitào dalla latitanza dell’imprenditore, dalla chiusura dei locali dell’<strong>impresa</strong>,dal trafugamento, dalla sostituzione o dalla diminuzione fraudolentadell’attivo da parte dell’imprenditore ».L’insolvenza può, dunque, manifestarsi in modi diversi dall’inadempimento,ma deve necessariamente manifestarsi all’esterno. Di ciò offronoconferma gli artt. 10-11, l. fall.: l’imprenditore cessato e quello defunto possonoessere dichiarati falliti « se l’insolvenza si è manifestata » anteriormentealla cessazione o alla morte o nell’anno successivo. Ma decisive, anche perquesto riguardo, sono le norme sulla revocatoria fallimentare, basata sullaconoscenza dell’insolvenza, presunta fino a prova contraria per l’art. 67,comma 1°, o da provare da parte del curatore (o del commissario liquidatore)per l’art. 67, comma 2° . È qui manifesto che l’insolvenza, per essere tale,deve necessariamente esteriorizzarsi: sarebbe, altrimenti, inconcepibile laprova, da parte di terzi, della ignoranza dell’insolvenza o la prova, per il curatore(o il commissario liquidatore), della sua conoscenza da parte di terzi.


DIBATTITI 5L’esigenza dell’estremo ulteriore della esteriore manifestazione dell’insolvenzaè tradizionalmente messa in evidenza dalla dottrina e dalla giurisprudenzache distinguono fra insolvenza e mero squilibrio patrimoniale,che di per sé solo non integra l’estremo dell’insolvenza quale presuppostooggettivo del fallimento. Così, in giurisprudenza, Cass., 24 marzo 1983, n.2055; Cass., 14 marzo 1985, n. 1980, cit.; Trib. Roma, 15 luglio 1992, in Fallimento,1993, p. 113; Trib. Napoli, 24 novembre 1997, ivi, 1998, p. 483.In dottrina, del pari, si è rilevato che« l’insolvenza viene manifestata da fatti, la cui specifica caratteristica è l’esteriorità,perché si tratta di inadempimenti e di atti revocabili [. . .] ai quali è essenziale l’esteriorizzazione» (Andrioli, Fallimento, voce « dir. priv. », in Enc. dir., Milano, 1967, p. 318; nellostesso senso De Semo, Diritto fallimentare, Padova, 1967, p. 127; Pajardi, Manuale didiritto fallimentare, Milano, 1998, p. 71).Si è inoltre correttamente notato che« non è esatto dire che presupposto del fallimento è lo stato d’insolvenza (come suonal’art. 5, 1° comma, l. fall.) bensì che è la manifestazione dello stato di insolvenza. Sefosse diversamente, se l’assoggettamento al fallimento fosse dovuto all’insolvenza inquanto tale, dovrebbe ammettersi la possibilità del suo diretto accertamento, mentrequesto è sicuramente escluso, perché implicherebbe un’invasione nella sfera giuridicadell’imprenditore (per la necessità di una consulenza tecnica o comunque di un esamedei suoi affari), la quale invasione costituirebbe un attentato alla libertà individuale edalla segretezza degli affari ed avrebbe poi ripercussioni inevitabili gravissime sul creditoe si presterebbe infine ad abusi. La legge pertanto può intervenire solo quando l’insolvenzasi manifesta » (Ferrara jr.-Borgioli, Il fallimento, Milano, 1995, p. 143).Nello stesso senso è stato correttamente osservato che«va tenuto conto che l’art. 5 usa l’espressione “si manifesta” con riferimento allo statodi insolvenza per significare che tale stato non ha rilevanza in sé e per sé in quanto esista,ma in quanto vi siano manifestazioni esteriori di esso ad evitare, per l’accertamentodella sua esistenza, che debbano essere compiuti accertamenti di difficile realizzazioneo che implichino indagini interne allo svolgimento dell’attività imprenditrice » (Tedeschi,Manuale del nuovo diritto fallimentare, Padova, 2006, p. 32).Infatti,« ove si consentisse all’autorità giudiziaria di procedere d’ufficio ad indagini meramenteesplorative prima ancora che siano emersi fatti esteriori tali da generare quantomeno il fondato sospetto di situazioni antigiuridiche, si rischierebbe di estendere la naturainquisitoria dell’istruttoria prefallimentare oltre i limiti sconosciuti al pensiero dellostesso ispiratore della nozione di insolvenza contenuta nell’art. 5, l. fall. » (Censoni, inIl fallimento e le altre procedure concorsuali, diretto da Panzani, Torino, 2000, p. 98).


6 CONTRATTO E IMPRESA 1/2011Si erra, invece, quando si pone a fondamento della dichiarazione di fallimentonon già una manifestata incapacità dell’<strong>impresa</strong> di fare fronte alleobbligazioni assunte, desunta da « fatti esteriori », come prescrive l’art. 5, l.fall., bensì una sua presunta incapacità, che il tribunale ritiene di poter desumereda un’analisi critica dei dati di bilancio, finendo con il fare capo aduna sorta di inammissibile insolvenza occulta, emergente solo a seguito direttifiche che ha indebitamente ritenuto di poter apportare alle scritturecontabili. Ha ragionato, insomma, come se fosse stato investito non dell’accertamentodell’insolvenza della società, bensì, a norma dell’art. 2434 bis,c.c., della validità del bilancio alla stregua dei principi contabili che ne regolanola redazione.Si dà rilievo, in tal modo, ad elementi di valutazione critici, non suscettibilidi rilevazione dall’esterno. La irregolare redazione delle poste di bilancionon è, infatti, un « fatto esteriore », integrante l’estremo richiesto dall’art. 5,comma 2°, l. fall.; non può « manifestarsi » agli effetti degli artt. 10-11, né formareoggetto di « conoscenza » da parte di terzi, agli effetti dell’art. 167, l. fall.Censurabile è, in questa tendenza giurisprudenziale, la pretesa di desumereil presupposto oggettivo del fallimento non sulla base di « fatti esteriori», come richiede l’art. 5, comma 2°, l. fall., che siano rivelatori della insolvenza,bensì attraverso una ricostruzione ex post della situazione economicae finanziaria della società, effettuata sulla base di rettifiche di bilancio.Già lo squilibrio patrimoniale è in sé irrilevante; non lo si può poi costruiread hoc, quando le scritture contabili non lo esteriorizzano.4. – Necessaria pluralità delle insinuazioni al passivo?Nella fattispecie di abuso del diritto di azione per la dichiarazione di fallimentodi cui alla citata Cass., 19 settembre 2000, n. 12045, un solo creditoreaveva, come il nostro diritto fallimentare consente (art. 6, comma 1°), fattoistanza di fallimento. La sentenza così motiva:Il principio della rilevanza obiettiva dello stato di insolvenza, che normalmente prescindedalle cause che hanno dato origine alla crisi dell’imprenditore, non opera nell’ipotesiin cui esista un unico creditore e costui, con una condotta contraria ai doveri dicorrettezza e di buona fede, abusi del suo diritto, creando le condizioni che rendono impossibileil regolare adempimento dell’obbligazione e causando, così, la dichiarazionedi fallimento (nella specie, preso atto che il giudice di merito aveva accertato che l’unicocreditore era un istituto bancario, il quale, con il rifiutare il frazionamento del mutuo,aveva impedito la realizzazione della liquidità derivante dalla vendita degli appartamenti,la Corte ha cassato la sentenza affidando al giudice di rinvio il compito di accertare l’esistenzadel nesso di causalità fra il rifiuto della banca al frazionamento del mutuo, contrarioall’obbligo di correttezza, e lo stato di insolvenza e di provvedere, in caso affermativo,alla revoca della dichiarazione di fallimento).


DIBATTITI 7Dalla sentenza non è dato di capire se la banca, unico creditore istante,fosse anche l’unico creditore insinuato nel passivo fallimentare. Questo datosi riscontra, invece, in un’altra procedura fallimentare, aperta per iniziativadi un solo creditore (che non era una banca, bensì un ex fornitore), e caratterizzatadall’insinuazione al passivo del solo creditore istante. È il fallimentodichiarato dall’inedita sentenza da Trib. Cosenza, 18 febbraio 2009,pres. Madeo, est. Greco. Ci sono Paesi, come la Germania, nei quali il fallimentopuò essere dichiarato solo sull’istanza di una pluralità di creditori,non collegati fra loro o portatori di frazioni di un medesimo credito. La nostrariforma fallimentare non ha provveduto ad accogliere questo saggioprincipio, che pure è coerente con la concorsualità della procedura. Abbiamola norma dell’art. 118, comma 1°, che decreta la chiusura del fallimentoove manchino domande di ammissioni al passivo. La norma va letta comese dicesse: altre insinuazioni oltre a quella, scontata, del creditore istante?Ricordiamo al riguardo che una risalente giurisprudenza ed una tuttorarinnovata dottrina (rimasta, tuttavia, minoritaria) considerano la pluralitàdelle insinuazioni al passivo requisito coessenziale alla concorsualità delfallimento, il quale deve essere revocato (oppure chiuso) se risulta che unsolo creditore, presumibilmente il creditore istante, si sia insinuato (cosìTrib. Modena, 1° maggio 1957, Dir. fall., 1958, II, p. 1015; Trib. Catania, 14novembre 1956, ivi, II, p. 866; Trib. Salerno, 15 dicembre 1951, ivi, 1952, II,p. 487; Trib. Termini Imerese, 5 aprile 1968, ivi, 1971, II, p. 517; App. L’Aquila,21 dicembre 1949, in Giur. it, 1950, I, 2, c. 364; come in dottrina Provinciali,Manuale di diritto fallimentare, II, Padova, 1970, p. 1583 ss.; Ragusa-Maggiore,Istituzioni di diritto fallimentare, Padova, 1994, p. 472 ss.;Cavalaglio, La chiusura del fallimento, Torino, 1997, p. 579 ss., dove altrecitazioni).Certo si è che, anche a non voler ammettere l’esistenza di questa autonomacausa di revoca (o di chiusura) del fallimento, la mancata pluralitàdelle insinuazioni offre ex post ulteriore prova della insussistenza di unostato di insolvenza. Se i fornitori e le banche, infatti, lungi dall’affrettarsi apartecipare al concorso sulla società fallita, che era la finanziaria di un gruppocommerciale, garante dei debiti delle società operative del gruppo, hannocontinuato a fornire loro merci e danaro, ciò significa che esse hannoconfidato nella solidità del gruppo. Sicché l’isolata iniziativa di quell’ex fornitoreera, come nel caso esaminato dalla Cass., 19 settembre 2000, n.12405, frutto di un abuso nell’esercizio dell’istanza di fallimento.Può accadere che sia fatta richiesta del fallimento da parte del pubblicoministero, sulla base delle prove dell’insolvenza di cui all’art. 7, l. fall. Ma,se nessun creditore si insinua al passivo, il fallimento è chiuso. La proceduraconcorsuale non mira a reprimere l’insolvenza, ad eliminare dal mercatole imprese inefficienti. Mira, nell’insolvenza del debitore, a soddisfare i cre-


8 CONTRATTO E IMPRESA 1/2011ditori concorsuali secondo la par condicio creditorum. La quale funzionenon può attuarsi, ed il fallimento deve essere chiuso, se mancano creditoriinsinuati al passivo, quantunque il pubblico ministero avesse ottenuto, sullaprova dell’insolvenza, la dichiarazione di fallimento. Non c’è, all’evidenza,par condicio da soddisfare se un solo creditore si sia reso attivo ed abbiadato vita, sotto le mentite spoglie di un fallimento, a null’altro che ad unaprocedura esecutiva del tutto individuale.Francesco Galgano


Efficacia erga omnes degli accordi di ristrutturazione(art. 182 bis, l. fall.)1. – La riforma dell’art. 182 bis, l. fall.L’art. 182 bis, l. fall., ha legittimato sul piano formale gli accordi stragiudizialidiretti a prevenire il fallimento dell’imprenditore insolvente.Il problema che si poneva prima della riforma del 2006 derivava dal fattoche la proposta di definire stragiudizialmente la crisi dell’<strong>impresa</strong> costituivaprova evidente dell’insolvenza; di conseguenza qualsiasi creditoreche non vi avesse aderito, avrebbe potuto utilizzare la proposta stessa perdomandare il fallimento del debitore.Altro profilo problematico consisteva nel fatto che, comunque, i creditoripotevano procedere sia ad acquisire cause di prelazione, ad es. iscrivendoipoteca giudiziale sulla base di un decreto ingiuntivo provvisoriamenteesecutivo, sia a coltivare eventuali procedure esecutive in corso.Alla prova dei fatti, il più delle volte gli accordi stragiudiziali non giungevanoa buon fine, sicché l’unica strada praticabile per evitare tali inconvenientiera quella del concordato preventivo. Concoradto al quale molti nonaccedevano, prevalentemente per ragioni economiche, stanti le prassi dimolti tribunali di pretendere – pur nel silenzio della legge – il deposito di unasomma proporzionale al passivo, a garanzia della proposta di concordato.L’accordo di ristrutturazione è stato quindi introdotto riducendo al minimole formalità occorrenti, giacché nella formulazione anteriore alla novelladel 2010 il tribunale era competente solo per l’eventuale opposizioneall’accordo stesso, la cui efficacia è connessa alla semplice pubblicazionenel registro delle imprese. A seguito di tale pubblicazione, sempre nella formulazioneoriginaria, l’art. 182 bis, l. fall., prevedeva il divieto di iniziare oproseguire azioni cautelari od esecutive: non vi era invece alcun richiamotestuale al terzo comma dell’art. 168, l. fall., che vieta ai creditori di acquisirecause di prelazione dopo la presentazione del ricorso per concordatopreventivo, sicché sul punto regnava incertezza.Da un lato, infatti, il divieto di azioni cautelari poteva essere inteso insenso ampio, posto che altrimenti sarebbe vietato il sequestro conservativoma non l’iscrizione dell’ipoteca legale. Dall’altro si poteva argomentare insenso opposto sul rilievo che la disposizione richiamava il solo secondocomma dell’art. 168, l. fall., sulla sospensione delle prescrizioni e delle decadenze,sicché il silenzio sul diverso effetto poteva essere invocato affermandoche ubi tacuit noluit ( 1 ).( 1 ) Prima della riforma si è pronunciato per l’inapplicabilità dell’art. 168, l. fall., Trib. Udine,22 giugno 2007, in Fall., 2008, p. 701.


10 CONTRATTO E IMPRESA 1/2011Con il d.l. n. 78 del 2010 e con la legge di conversione 30 luglio 2010, n.122, la disciplina ha subìto modifiche di rilievo: a parte l’introduzione dell’art. 184 quater relativo alla prededuzione dei crediti per i finanziamenti destinatia sovvenzionare questi accordi e dei crediti per l’assistenza di taluniprofessionisti, nell’art. 182 bis, l. fall., è stata prevista la possibilità che l’imprenditoreottenga la sospensione delle azioni esecutive e cautelari, su semplicesua richiesta, anche durante le trattative.A tal fine è necessario che egli depositi in tribunale, con tale richiesta, ladocumentazione che deve corredare l’accordo di ristrutturazione, un’appositadichiarazione che ne attesti la congruità rispetto ai requisiti occorrentied un’autocertificazione sulle trattative. La pubblicazione della richiestanel registro imprese “produce l’effetto del divieto di inizio o prosecuzionedelle azioni esecutive o cautelari, nonché del divieto di acquisire titoli diprelazione, se non concordati, dalla pubblicazione”. Il tribunale, esaminatii documenti, fissa poi un’udienza alla quale possono comparire i creditorinella quale, accertata la sussistenza dei presupposti per l’accordo di ristrutturazione,dispone con decreto motivato il “divieto di iniziare o proseguirele azioni esecutive o cautelari e di acquisire titoli di prelazione, se non concordati”,assegnando un termine per il deposito dell’accordo di ristrutturazionecon la relazione accompagnatoria del professionista.In questo modo si è posto un limite al rischio che, mentre l’imprenditorein crisi tenta una soluzione stragiudiziale della posizione debitoria, qualchecreditore estraneo alle trattative (o in mala fede pur trattando) possamunirsi di una causa di prelazione o iniziare un’esecuzione (i cui effetti sileggono nell’art. 2915 c.c.), compromettendo in tal modo il buon esito dell’iniziativa.E’infatti evidente che gli altri creditori potrebbero negare il proprioconsenso all’accordo, che potrebbe non raggiungere in tal caso la maggioranzarichiesta, proprio per ottenere il fallimento del debitore e la conseguenterevoca ex art. 67, l. fall., di eventuali ipoteche iscritte in quel periodo.2. – Ed i persistenti dubbi sulla sua efficacia erga omnesÈ invece rimasto senza soluzione uno dei problemi di maggior interesse,cioè quello dell’efficacia dell’accordo di ristrutturazione anche nei confrontidei creditori estranei o contrari.Agli effetti dell’efficacia dell’accordo di ristrutturazione, l’art. 182 bis, l.fall., prevede che sia approvato con la maggioranza del 60% dei creditori,sicché ci si domanda se gli estranei ne subiscano in ogni caso gli effetti.Infatti, rispetto a loro la disposizione prevede solo che l’accordo sia accompagnatoda apposita relazione sulla sua attuabilità “con particolare riferimentoalla sua idoneità ad assicurare il regolare pagamento dei creditoriestranei”.


DIBATTITI 11Tale prescrizione non è chiara e può essere letta in due modi: nel sensoche sia garantito integralmente il pagamento del credito degli estranei oppureche sia garantito il pagamento integrale sì, ma così come proposto nelconcordato stragiudiziale ( 2 ), ad esempio con una determinata riduzione orateizzazione.La letteratura dominante si esprime in senso nettamente contrario allaseconda ipotesi, giacché autorevolmente si insiste sul diritto dei creditorinon aderenti di essere pagati interamente, cioè senza vedere il loro creditoridotto in forza di un accordo al quale siano rimasti estranei ( 3 ).L’idea che il credito degli estranei sia in qualche modo toccato dall’accordosembra ai più aberrante, perché si assisterebbe ad una “vera e propriaespropriazione dei crediti a carico degli estranei all’accordo” ( 4 ).La giurisprudenza di merito si attesta nel medesimo senso: il pagamentodeve essere integrale e secondo i termini originari ( 5 ).C’è però da chiedersi se la tesi dominante sia davvero insuperabile.Il fatto che il legislatore abbia indicato una maggioranza in relazione all’insiemecomplessivo dei creditori, induce a ritenere che un qualche effetto“esterno” debba necessariamente prodursi. Infatti, all’interno del gruppodei creditori che aderiscono al patto, vi è evidentemente l’unanimità e quindio quel patto ha rilevanza esterna, quando aderisca il 60% di tutti i creditori,oppure quella previsione si rivela inutile.Non avrebbe poi senso alcuno che fosse stata imposta una maggioranzapur che sia, per dar vita ad un accordo di ristrutturazione meramente interno:nessuna disposizione vieta all’imprenditore di definire i propri rapporti( 2 ) Per la seconda lettura, in netta minoranza, v. ad es. Grossi, La riforma del diritto fallimentare,Milano, 2005, p. 334.( 3 ) Roppo, Accordi di ristrutturazione dei debiti d’<strong>impresa</strong>, e categorie civilistiche, in Studi inonore di Giorgio Cian, Padova, pp. 2010, 2162 ss., spec. p. 2181 ma già, ad es., Frascaroli Santi,Gli accordi di ristrutturazione e gli effetti per coobbligati e fideiussori del debitore, in Aa.Vv.,La riforma della legge fallimentare, a cura di Bonfatti e Falcone, Milano, 2005, p. 236; è questala tesi dominante in letteratura.( 4 ) D’Ambrosio, Gli accordi di ristrutturazione dei debiti, in Aa.Vv., Fallimento ed altreprocedure concorsuali, a cura di Fauceglia e Panzani, Torino, 2009, III, p. 1812.( 5 ) Secondo il Trib. Milano, 23 gennaio 2007, in Giur. it., 2007, p. 1692, “gli accordi di ristrutturazionedei debiti disciplinati dall’art. 182 bis, l. fall., non costituiscono una forma diconcordato preventivo semplificato, ma integrano un autonomo istituto giuridico assimilabilead un pactum de non petendo e, per la pluralità di parti, ad un negozio di diritto privato qualificabilecome contratto bilaterale plurisoggettivo a causa unitaria”; tuttavia secondo la stessadecisione i creditori dissenzienti o non aderenti al piano dovrebbero essere pagati per interoe secondo le scadenze originarie; così anche Trib. Palermo, 27 marzo 2009, Dir. banc., 2009,I, p. 455, mentre per App. Trieste, 4 settembre 2007, Dir. fall., 2008, II, p. 297, sarebbe da escludersianche una rateizzazione del pagamento integrale dei creditori estranei.


12 CONTRATTO E IMPRESA 1/2011anche con un singolo creditore, sicché indicare una maggioranza quale requisitoha un senso, se quell’accordo si riverberi anche sulla minoranza.Ben potrebbe essere, peraltro, che l’effetto esterno consista solo nell’impedire,per sessanta giorni, azioni esecutive e nuove prelazioni, comeora vedremo, ma se la riforma si riducesse solo a questo, potremmo dire chela montagna abbia partorito un topolino, risultando in definitiva la proceduradi poca utilità pratica.A che pro introdurre gli accordi di ristrutturazione se i creditori esternial patto, in particolare i chirografari, devono comunque essere pagati al100% ed in tempi rapidissimi?Ciò detto, la regola generale per cui i contratti non producono effetti rispettoai terzi non è decisiva per risolvere il problema, perché l’art. 1372 c.c.fa salvi i casi previsti dalla legge ( 6 ), sicché il punto da verificare è se questodebba considerarsi o meno uno di tali casi.In tal senso è stato ricordato con esemplare chiarezza come il principiodi maggioranza contrasterebbe intimamente con la regola aurea dell’autonomiaprivata e se anche, in taluni casi, si potrebbe pur sempre ricondurrequel meccanismo di disciplina dei rapporti ad una preventiva adesione delprivato – sicché in definitiva ciò varrebbe a costituire “una preventiva accettazionedel principio di maggioranza” – vi sono molte diverse ipotesi, tra cuiproprio quelle concordatarie, ove una tale adesione non è minimamentepostulabile ( 7 ).Ora poiché il principio di maggioranza deve pur sempre ritenersi“un’eccezione alla regola di determinazione dei singoli” ( 8 ), si è detto cheladdove difetti la preventiva adesione del singolo, il presupposto di operativitàdebba essere individuato in un dato oggettivo, consistente nella “comunanzadi interessi in cui più persone versano, sia essa da loro costituitavolontariamente (società, associazioni, consorzi) oppure emergente, ancheindipendentemente dalla loro volontà, dalla convergenza dei loro interessi”.Con la conclusione che, ove difetti questa comunanza, allora il principiodi maggioranza non possa operare perché “nessuno può subire alterazionidella propria sfera giuridica indipendentemente dal concorso dellapropria volontà” ( 9 ).Tale indicazione va totalmente condivisa e costituisce il riferimento perverificare se, nel caso dell’accordo di ristrutturazione, si possa ravvisare unaconvergenza di interessi che legittimi l’operatività del principio di maggioranza,inteso qui come efficacia esterna del patto.( 6 ) Sul punto v. Galgano, Tratt. dir. civ., Padova, 2009, II, p. 484 ss.( 7 ) Galgano, La forza del numero e la legge della ragione, Bologna, 2007, p. 203.( 8 ) Galgano, La forza del numero e la legge della ragione, cit., p. 206.( 9 ) Galgano, cit., p. 204.


DIBATTITI 13L’accordo di ristrutturazione costituisce, a ben vedere, un concordatostragiudiziale, che si differenzia nella sostanza da quello preventivo perchénon è dettata alcuna prescrizione sulla possibile divisione in classi dei creditori,né altra indicazione come quella prevista dall’art. 160, l. fall., sui pagamentinon integrali dei creditori muniti di prelazione.Tuttavia la logica concorsuale del diritto fallimentare è improntata all’efficacia esterna delle varie ipotesi concordatarie: basti ricordare che il concordatofallimentare e quello preventivo sono efficaci erga omnes (artt. 135e 184, l. fall.) se approvati con le maggioranze previste dalle singole disposizioni(artt. 128 e 177, l. fall.).Inoltre il tribunale non esercita più un controllo sulla meritevolezza deiconcordati, com’era prima della riforma, ma si limita al controllo formaledell’esistenza dei requisiti di legge: donde la cd. privatizzazione delle procedurein esame ( 10 ), nelle quali difetta appunto qualsiasi rilievo di interessepubblico che giustifichi il controllo di merito delle scelte operate dai creditorivotanti.La logica maggioritaria opera infine anche per l’approvazione del concordatoprevisto dalla cd. legge Marzano (l. 23 dicembre 2003, n. 347, art. 4bis).Dal profilo della ratio legis, l’idea che l’accordo di ristrutturazione sia efficaceper i creditori estranei sarebbe allora perfettamente coerente con il sistemadelle procedure concorsuali; la tesi opposta dimentica infatti propriodi valorizzarne la funzione pregnante – impedire il fallimento – e la sua collocazionesistematica nell’ambito predetto. Il punto centrale, semmai, è dinon consentire tramite gli accordi di ristrutturazione un effetto deterioreper i creditori estranei o dissenzienti, rispetto a quello ammesso con il concordatopreventivo, come potrebbe accadere se si ritenesse che il concordatostragiudiziale possa essere essere imposto ai creditori contrari o non aderenti,per la sola ragione di raggiungere l’adesione del 60% dei creditori.Se, invece, si ammettesse l’efficacia esterna del concordato stragiudizialenegli stessi limiti con cui si può dar vita ad un concordato preventivo, alloranon si porrebbe alcun problema di tutela del creditore estraneo o contrario,giacché egli non si vedrebbe pregiudicato dal primo in misura superioredi quanto accadrebbe con il secondo.Anzi, dal profilo dell’esistenza di un comune interesse oggettivo, il creditoredel concordato stragiudiziale riceverebbe in definitiva un trattamentomigliore, che deriva sia dai minori costi dell’accordo di ristrutturazione,che non deve pagare alcun commissario, sia per la rapidità dei tempi di esecuzione,postulati dall’art. 182 bis, l. fall., in sessanta giorni.( 10 ) Per tutti v. sempre Galgano, cit., p. 206.


14 CONTRATTO E IMPRESA 1/2011A tal fine si può ricordare che, nel caso del concordato preventivo, il limiteinsuperabile è contenuto nel capoverso dell’art. 160, l. fall., il qualeconsente che i creditori siano divisi per classi e che, entro i limiti ivi indicati,anche i creditori privilegiati siano pagati in misura non esaustiva, purchéla divisione per classi non sovverta l’ordine delle cause di prelazione.Se allora anche l’accordo di ristrutturazione venga limitato negli stessitermini, in relazione all’effetto che produce per i terzi, l’autonomia degliestranei e dei contrari risulterebbe pur sempre salvaguardata, perché non ricevebberoun trattamento deteriore. In tal senso, ad es., dovrebbe operarenel concordato stragiudiziale il divieto per i creditori privilegiati di sottoscriverel’accordo se non rinuncino al privilegio, in analogia a quanto indicatodall’ art. 177, l. fall., non potendo altrimenti essere computati nellamaggioranza laddove l’accordo preveda un qualsiasi effetto sul diritto degliestranei.Nello stesso senso, l’accordo di ristrutturazione non potrebbe prevedereil sovvertimento delle cause di prelazione, sempre secondo quanto prevedel’art. 160, l. fall.In definitiva, in questi termini, la differenza tra l’accordo di ristrutturazioneed il concordato preventivo consisterebbe solo nelle modalità con cuisi forma la maggioranza e non in una minor tutela per i creditori estranei( 11 ), i quali lo vedrebbero perfino approvato con una maggioranza superiorea quella richiesta per il concordato preventivo.Vi è inoltre anche un rilievo ulteriore che depone per l’efficacia erga omnesdi questi accordi e che consoliderebbe la coerenza di questa lettura.Infatti, il diritto di opposizione all’accordo previsto dall’art. 182 bis, l.fall., si spiega solo come tutela a favore dei terzi estranei e non certo dei creditoriche abbiano accettato l’accordo, i quali evidentemente non possonoimpugnarlo perché abbiano cambiato idea, giacché la legge fallimentarenon prevede alcuna forma di recesso dall’accordo stesso.D’altro canto se si ritenesse che il diritto di opposizione serva a tutelare(solo) i i creditori che abbiano sottoscritto l’accordo da rischi ipotetici (es. lafalsificazione di una firma, il deposito di una relazione diversa da quella esaminata,ecc.), si opterebbe per un’interpretazione riduttiva della regolafrancamente ingiustificata.In più, se l’accordo stragiudiziale valesse solo all’interno dei creditoriche lo approvano, i creditori estranei non avrebbero alcuna ragione di impugnarlo,perché non ne verrebbero toccati. A tutto concedere l’effetto ver-( 11 ) Ovvero senza voler affermare l’esistenza di una matrice unitaria dei diversi concordati:Frascaroli Santi, cit., pp. 234-235, pur nell’estensibilità agli accordi di ristrutturazione, diprincipi e norme del concordato preventivo: ivi, p. 237.


DIBATTITI 15so di loro sarebbe solo quello di bloccare le azioni esecutive o di impedire ilsorgere di prelazione, ma dato che il termine concesso per tale effetto è disoli 60 giorni, non esiste impugnazione di sorta che si sviluppi nei due gradiprevisti (opposizione al tribunale e reclamo alla corte d’appello) in un taletermine.In definitiva la possibilità di impugnare l’accordo di ristrutturazione, sedeve avere un senso operativo concreto, si spiega solo perché questo accordotocca anche i creditori estranei, cui viene quindi concesso il rimedio impugnatorio,i quali altrimenti non avrebbero alcun interesse a dolersene ( 12 ).L’attribuzione a questi del diritto di opporsi all’accordo, servirebbe perciòa far valere l’eventuale effetto deteriore rispetto ai limiti nei quali è ammessoil concordato preventivo: qui la loro tutela è imprescindibile, perchéaltrimenti l’accordo di ristrutturazione diventerebbe un contratto in frodealla legge.Da questo profilo, allora, l’accordo di ristrutturazione si colloca perfettamentenell’ambito delle procedure concordatarie della legge fallimentare;il limite al contenuto sarà quello di non dare vita a meccanismi di pagamentoche siano deteriori in relazione ai divieti che sono previsti per il concordatopreventivo dall’art. 160, l. fall.Del pari l’accordo non potrà essere approvato dai creditori privilegiati adanno dei chirografari, sicché se intendano ugualmente approvarlo dovrannorinunciare al privilegio, in analogia all’art. 177, l. fall., altrimenti il loroconsenso non dovrà essere computato nel 60% dei crediti richiesto.A tal fine la possibilità di opposizione consentirà al creditore estraneo ocontrario di contestare tali circostanze. Laddove tali limiti non siano superati,il creditore estraneo o contrario sarà pregiudicato né più né meno diquanto accadrebbe se la maggioranza dei creditori approvasse una propostadi concordato preventivo e non avrà alcun interesse concreto (art. 100c.p.c.) ad impugnare l’accordo.Poiché infine la procedura avrà costi notevolmente inferiori ed una rapiditàben superiore a quella con cui i concordati preventivi trovano attuazione,si realizzerà così l’imprescindibile “comunanza di interessi in cui piùpersone versano [. . .] emergente, anche indipendentemente dalla loro volontà,dalla convergenza dei loro interessi”, che giustifica l’efficacia dell’accordonei loro confronti.Gianluca Sicchiero( 12 ) Fermo peraltro il diritto degli aderenti di impugnarlo ove emerga un interesse concretoche non consista in un pentimento della precedente adesione.


Formalismo negoziale e nullità: le aperture delle Corti di merito1. – Nuove forme e nuove nullitàTroppo sbrigativamente appiattito sulle nullità « strutturali » di cui al secondocomma dell’art. 1418 c.c. ovvero, nelle sue più recenti manifestazioni,spesso scolorito entro lo scivoloso capitolo della trasparenza, il tema dellasanzione da abbinare al vizio di forma del contratto esibisce invece – sianel sistema del codice civile sia nel quadro del cosiddetto diritto privato europeo– una forte specificità.La tradizione, è noto, si muove lungo i due poli del vestimentum qualerequisito della fattispecie e della nullità quale irrilevanza giuridica dell’atto:il contratto privo della forma richiesta ad substantiam è senz’altro destinatoalla caducazione, essendone inibita alle parti esecuzione, conferma o accettazione( 1 ).Tale corrispondenza è il riflesso di altro nesso che il codice presuppone,quello tra forma del negozio e natura dei suoi effetti, in virtù del quale soloi negozi volti a realizzare determinati effetti sono soggetti al vincolo formale( 2 ). Poiché si tratta in larghissima parte di effetti reali ( 3 ), l’istantaneità delloro sorgere nel momento della conclusione del contratto fa sì che essi nonpossano nascere se non formali, e che la forma, pur servendo la sfera effettuale,venga attratta nell’orbita della fattispecie, divenendone elemento costitutivo.L’appartenenza al novero dei requisiti essenziali ne giustifica l’interdi-( 1 ) Giorgianni, Forma degli atti (dir. priv.), in Enc. dir., XVII, Milano, 1968, p. 994 ss.( 2 ) Scalisi, La revoca non formale del testamento e la teoria del comportamento concludente,Milano, 1974, p. 383 ss.( 3 ) Il codice civile, come chiaramente emerge dalla lettura dell’art. 1350, lega la necessitàdi formalizzare l’atto a pena di nullità a vicende che impegnano significativamente beni immobili:per un verso ciò va addebitato al clima culturale dell’epoca in cui la proprietà ancorarappresenta il « prototipo » dei diritti soggettivi (Rescigno, Introduzione al codice civile, Roma-Bari,1991, p.104) e nel quale i beni che assumono preminente importanza sono quelli immobili,che le parti sono libere di far circolare « ma quando li muovono conviene che faccianosapere dove vanno »: Carnelutti, Teoria giuridica della circolazione, Padova, 1933, p. 13.Per altro verso viene in rilievo la corrispondenza pressoché biunivoca tra art. 1350 e art. 2643c.c. nonché la regola posta dall’art. 2657 c.c., sebbene formalismo e trascrizione abbiano funzionidel tutto distinte cui corrisponde una netta differenziazione quanto all’apparato rimediale.In questo senso: Pugliatti, La trascrizione, I, 1, Milano, 1957, p. 419. Pone l’accentosulla diversità di funzioni dei due istituti Gazzoni, La trascrizione immobiliare, in Comm. Schlesinger,Milano, 1991, p. 99. Nel senso di una netta distinzione si pronuncia anche Mariconda,Gli atti soggetti a trascrizione con efficacia tipica, in Riv. not., 1981, p. 1017.


DIBATTITI 17pendenza con il sistema della nullità, il che, di nuovo, conferma la relazionecon gli effetti, poiché solo presupponendo un simile legame si spiega chealla mancanza di forma consegua il venir meno ab initio degli effetti del negozio( 4 ).L’inserzione fra i requisiti del contratto è però del tutto artificiale: a differenzadell’accordo, della causa e dell’oggetto, che sono il contratto ( 5 ), laforma, quantunque necessaria, non è mai anche sufficiente, laddove i requisiti« sostanziali », oltre che necessari, possono essere sufficienti ( 6 ).La forma è dunque requisito sui generis, rispetto al quale appare particolarmenteappropriata la distinzione, delineata in dottrina, tra elementi di« esistenza » ed elementi di « validità » ( 7 ). Ed è anche il meno strutturale fraquelli di cui all’art. 1325 c.c., alla stregua della nullità che vi si associa, a suavolta la meno strutturale fra le nullità strutturali dell’art. 1418 c.c.Lo confermano, per un verso, i numerosi indici di uso della forma a finidiversi da quello costitutivo – ben oltre la distinzione ad substantiam/adprobationem ( 8 ) – ed i non pochi momenti in cui la disciplina del vincolo deflettedai canoni consueti (si pensi, solo esemplificativamente, all’ampio temadegli equipollenti della sottoscrizione ( 9 ), al formalismo delle singoleclausole contrattuali ( 10 ), alle cosiddette forme ad regularitatem ( 11 ), alle fun-( 4 ) P. Trimarchi, Appunti sull’invalidità del negozio giuridico, in Temi, 1955, p. 201.( 5 ) Scialoja, Negozi giuridici, Roma, 1950, p. 248.( 6 ) Breccia, La forma, in Tratt. del contratto diretto da Roppo, I, Formazione, a cura diGranelli, Milano, 2006, p. 511.( 7 ) R. Scognamiglio, Contratti in generale, in Comm. c.c. Scialoja-Branca, Bologna-Roma,1970, p. 70. Cfr. altresì la raffinata voce di Ormanni, Forma del negozio giuridico, in Noviss.dig. it., VII, Torino, p. 557 ss.( 8 ) Sul superamento del binomio, per tutti, Giorgianni, Forma degli atti, cit., p. 997 ss.Ancor prima, in Francia, Flour, Quelque remarques sur l’évolution du formalisme, in Le droitprivé français au milieu du XX siècle. Études offertes à G. Ripert, Paris, 1950, I, p. 93 ss.( 9 ) Su cui, in luogo di molti, cfr. Orlandi, La paternità delle scritture. Sottoscrizione e formeequivalenti, Milano, 1997, passim.( 10 ) Cfr.: art. 2096 c.c. in materia di patto di prova (su cui D’Onghia, La forma vincolatanel diritto del lavoro, Milano, 2005, p. 110 ss.); art. 1284, comma 3°, c.c. in materia di determinazioneper iscritto di interessi superiori alla misura legale (su cui Di Majo, La forma del tassoultralegale, in La forma degli atti nel diritto privato. Studi in onore di Michele Giorgianni, Napoli,1988, p. 125); art. 1751bis c.c. in materia di patto limitativo della concorrenza (su cui Sica,Atti che devono farsi per iscritto, in Comm. Schlesinger, Art. 1350, Milano, 2003, p. 366).( 11 ) L’espressione, coniata da Carnelutti (Teoria generale del diritto, Roma, 1946, p. 311ss.) e poi entrata nel lessico consueto dei civilisti, indica riassuntivamente le ipotesi normativamentepreviste in cui il rispetto dell’onere formale non è richiesto per il perfezionamentodel negozio ma neanche rileva a fini probatori, consentendo invece all’atto di autonomia unpiù alto grado di efficacia, in punto di opponibilità, pubblicità, certificazione di attività già va-


18 CONTRATTO E IMPRESA 1/2011zioni del precetto formale nei contratti di società e associazioni) ( 12 ); per altroverso, una giurisprudenza non folta ma significativa che, pur senzasmentire apertis verbis le linee della tradizione, tende a salvare il contrattodifettoso in punto di forma (riconvertendolo in una omologa fattispecie aforma libera ( 13 ), qualificandone l’esecuzione come adempimento di obbligazionenaturale ( 14 ), richiamando il divieto di venire contra factum propriuma filtro del concreto interesse ad agire) ( 15 ).Essenziali per cogliere la complessità del sistema, questi segnali non sispingono tuttavia ad incrinare davvero le « tre regole, concatenate fra di loro,del formalismo, della nullità, della insanabilità » ( 16 ).Solo lungo un percorso assai più articolato (ma meno frammentario diquanto abitualmente si dica) – e che vede nella cosiddetta legislazione specialepost-codicistica alcuni suoi determinanti prodromi ( 17 ) – si giunge alladissoluzione di tale rassicurante quadro, fino al profilarsi di un inedito raplidamenteesplicate. Sulla polifunzionalità dell’elemento formale: Spada, La fase costitutivadell’<strong>impresa</strong>, in Impresa e tecniche di documentazione giuridica, IV, Atti del convegno di Roma(27-28 ottobre 1990), Milano, 1991.( 12 ) Oppo, Forma e pubblicità nelle società di capitali, in Riv. dir. civ., 1966, I, p. 110 ss.; Genovese,Le forme integrative e le società irregolari, in Riv. trim. dir. proc. civ., 1948, p. 119 ss.; Angelici,Sulla forma del contratto preliminare di società: vent’anni dopo, in Giur. comm., 1988, II,p. 323.( 13 ) Cass. 29 maggio 1999, n. 5265, in Mass. Giust. civ., 1999, p. 1219; Cass., 30 gennaio2007, n. 1955, in Mass. Giust. civ., 2007, p. 221. In argomento, imprescindibile Sacco, Se tra coniugil’attuazione di fatto di un regime patrimoniale diverso da quello corrispondente a diritto dialuogo a restituzioni, in Questioni di diritto patrimoniale della famiglia, Padova, 1989, p. 90 ss.Cfr. altresì Palazzo, Forma e causa dell’attribuzione nelle donazioni, in Riv. crit. dir. priv., 1987,p. 744 ss.( 14 ) Cass., 18 dicembre 1975, n. 4153, in Giur. it., 1976, I, p. 1913; Trib. Napoli, 6 febbraio1978, in Dir. giur., 1978, p. 671; Trib. Roma, 13 maggio 1995, in Gius., 1995, p. 3593; Cass., 30marzo 2006, n. 7507, in Vita not., 2007, p. 188. V. in proposito le osservazioni critiche di Breccia,Le obbligazioni, in Tratt. dir. priv. a cura di Iudica e Zatti, Milano, 1991, p. 81 ss. Per una diversaproposta ricostruttiva cfr. Sacco, in Sacco e De Nova, Il contratto, I, nel Tratt. dir. civ. direttodallo stesso a., Torino, 2004, p. 659. In argomento, anche con ampi riferimenti al sistematedesco, Favale, Nullità del contratto per difetto di forma e buona fede, in Aa.Vv., Il ruolo dellabuona fede, Padova, 2003, p. 1 ss.( 15 ) Trib. Roma, 13 luglio, 2004, in Giust. civ., 2005, I, p. 1937, con nota di Maffeis, Formaad substantiam, gestioni di affari e divieto di venire contro il fatto proprio. In argomento v. ledense pagine di Rescigno, Presentazione a Negri, Il recupero dell’atto nullo mediante esecuzione,Napoli, 1981, XII.( 16 ) Sacco, Se tra coniugi l’attuazione di fatto di un regime patrimoniale diverso da quellocorrispondente a diritto dia luogo a restituzioni, cit., p. 83.( 17 ) Sia consentito rinviare sul punto a Modica, Vincoli di forma e disciplina del contratto.Dal negozio solenne al nuovo formalismo, Milano, 2008, p. 91 ss.


DIBATTITI 19porto tra forme e rimedi, e, talora, di un’altrettanto inedita rilevanza dell’atto« amorfo », ignota al codice.Un percorso che forma e nullità compiono già ciascuna per sé; ma chemanifesta i caratteri più originali ed anche problematici quando le due stradesono destinate ad incrociarsi, riproponendo la liaison tra vincolo e sanzione,ma sotto spoglie del tutto mutate.Da un canto il fenomeno ormai usualmente denominato « neoformalismo»: una congerie di disposizioni di varia natura – tutte di sicuro inderogabili(almeno ex uno latere) ( 18 ) – che scompagina le categorie note, sia conriferimento all’articolazione dell’elemento formale e del suo atteggiarsi entrola vicenda contrattuale, sia rispetto alle funzioni ( 19 ).Non si tratta infatti di mera moltiplicazione delle prescrizioni di forma:inediti sono l’impiego e la natura dei vincoli, la dislocazione di questi lungotutto lo svolgimento del rapporto negoziale, la capacità di interferire con glialtri elementi del contratto, gli interessi assecondati ( 20 ).Al di là del dato più immediatamente percepibile che vuole adesso copertidal vestimentum contratti che sarebbero nel codice a forma libera, il riferimentoè a congegni del tutto nuovi (o che hanno nella tradizione solo timidiantecedenti ma non eguali presupposti né finalità): il necessario inse-( 18 ) C. Scognamiglio, L’autonomia contrattuale e la legge, in Manuale di diritto privato europeo,a cura di Castronovo e Mazzamuto, Milano, 2007, II, p. 299 ss. Il dibattito sul punto èassai ampio: senza pretesa di completezza si veda Storme, Freedom of contract: Mandatoryand Non Mandatory Rules in European Contract Law, in Eur. Rev. priv. law, 2007, p. 247 ss. Peruna diversa impostazione Hesselink, Non-mandatory Rules in European Conntract Law, inEuropean Rev. of Contract Law, 2005, p. 43 ss. Cfr. altresì Gambaro, <strong>Contratto</strong> e regole dispositive,in Riv. dir. civ., 2004, I, p. 1 ss.( 19 ) Per una generale considerazione del fenomeno si veda, per la dottrina italiana, oltreagli autori già citati: R. Lener, Forma contrattuale e tutela del contraente “non qualificato” nelmercato finanziario, Milano, 1996, passim; Amagliani, Profili della forma nella nuova legislazionesui contratti, Napoli, 1999, p. 47 ss.; Valentino, Obblighi di informazione, contenuto e formanegoziale, Napoli, 1999; E. Gabrielli e Orestano, Contratti del consumatore, Dig. Discpriv., sez. civ., Agg., Torino, 2000, p. 235 ss.; Di Marzio, Riflessioni sulla forma nel nuovo dirittodei contratti, in Riv. crit. dir. priv., 2001, p. 396 ss.; Jannarelli, La disciplina dell’atto e dell’attività:i contratti tra imprese e tra imprese e consumatori, in Tratt. dir. priv. europeo, a cura diLipari, Padova, 2003, p. 3 ss.; Masucci, La forma, ivi, p. 575 ss; Morelato, Nuovi requisiti diforma nel contratto. Trasparenza contrattuale e neoformalismo, Padova, 2006; Landini, Formalitàe procedimento contrattuale, Milano, 2008, p. 113 ss.; Pasa, La forma informativa nel dirittocontrattuale europeo. Verso una nozione procedurale di contratto, Napoli, 2008; Venosta, Profilidel neoformalismo negoziale: requisiti formali diversi dalla semplice scrittura, in Obbligazionie Contratti, 2008, p. 827 ss.( 20 ) In generale, per una esemplare ricognizione critica del nuovo formalismo in costanteconfronto con la tradizione, cfr. per tutti, Breccia, La forma, cit., p. 474 ss.


20 CONTRATTO E IMPRESA 1/2011rimento nel documento contrattuale di una serie di elementi predeterminatiex lege (la cosiddetta forma-contenuto) ( 21 ); l’imposizione di verba solemniaassunta a presupposto per la produzione di certi effetti ( 22 ); la redazioneper iscritto quale condizione di applicabilità o meno di una determinata disciplina( 23 ); la rilevanza dell’esecuzione come modo di conclusione di un(valido) contratto pur in carenza della prescritta forma solenne ( 24 ).L’area del formalismo si amplia poi fino a ricomprendere l’utilizzo di unadeterminata lingua per la redazione dei documenti ( 25 ) o l’indicazione di dimensioneed evidenziazione dei caratteri grafici ( 26 ). Regole sulle quali il legislatorecomunitario si appunta con sempre maggior convinzione ( 27 ) e dicui a torto è talvolta revocata in dubbio la riconducibilità al nostro tema; perplessitàdestinate ad essere smentite ove si abbia riguardo alla forma qualecomplessiva morfologia dell’atto, nel senso di « insieme delle note esterioridi un testo » ( 28 ), e, soprattutto, ove si considerino i significativi approdi del( 21 ) Art. 71, c. cons.; art. 86, c. cons.; art. 6 d.lgs. 20 giugno 2005, n. 122; art. 3, l. 6 maggio2004, n. 129.( 22 ) Art. 118 T.U.B., comma 2°; art. 1, comma 1°, l. 17 ottobre 2007 n. 188. Su norme di talfatta cfr. Lener, Forma contrattuale e tutela del contraente “non qualificato”, cit., p. 8 ss. Sull’impiegodi tecniche analoghe già nel sistema del codice cfr. Cian, Forma solenne e interpretazionedel negozio, Padova, 1969, p. 9 ss.( 23 ) Art. 12, comma 4°, lettera b, T.U.B.; art. 117, comma 8°, T.U.B.; art. 2 d.lgs. 21 maggio2004 n. 170.( 24 ) Art. 2, comma 2°, l. 192/98; art. 118 T.U.B.( 25 ) Art. 52 comma 4°, c. cons.; art 71, c. cons.; art. 12 d.lgs. 9 aprile 2003 n. 70. Sulla prescrizionedi lingua: Memmo, Dichiarazione contrattuale e comunicazione linguistica, Padova,1990; Cicala, Lingua straniera e testo contrattuale, Milano, 2003; Capobianco, La determinazionedel regolamento, in Tratt. del contratto diretto da Roppo, II, Regolamento, a cura di Vettori,Milano, 2006, p. 280 ss.( 26 ) Art. 47, c. cons.; art. 177 comma 2°, d.lgs. 7 settembre 2005, n. 209. Sulla contiguità frasimili disposizioni e precetto di chiarezza e comprensibilità di cui all’art. 35, c. cons., cfr. Onorato,Decodificazione della proposta e nullità della clausola nel contratto col consumatore, inRiv. dir. civ., 2007, p. 601 ss.( 27 ) Cfr. per esempio la recente dir. Ce 2008/48/ in materia di credito ai consumatori (art.10), su cui sia dato rinviare a Modica, Il contratto di credito ai consumatori nella nuova disciplinacomunitaria, in Europa e dir. priv., 2009, p. 785 ss. Cfr. altresì, con attenta analisi dei nessitra forma e rimedi, Pagliantini, Il contratto di credito al consumo tra vecchi e nuovi formalismi,ne I contratti per il finanziamento dell’<strong>impresa</strong>, a cura di Dinacci e Pagliantini, nel Tratt.dir. dell’econ. diretto da Picozza e Gabrielli, Padova, 2010, p. 1 ss. Sui riflessi che il metodo della« armonizzazione piena » adottato dalla Direttiva in commento produce sul piano dell’effettivitàdelle tutele: De Cristofaro, La nuova disciplina comunitaria del credito al consumo;la direttiva 2008/48/Ce e l’armonizzazione « completa » delle disposizioni nazionali concernenti« taluni aspetti » dei « contratti di credito ai consumatori », in Riv. dir. civ., 2008, p. 267 ss.( 28 ) Orlandi, La paternità delle scritture, cit., p. 41.


DIBATTITI 21nostro giudice di legittimità. La Suprema Corte, si ricorderà, ha esplicitamentediscorso di « requisiti di forma » sia con riguardo « alla autonomia dellaclausola di recesso che deve restare separata dalle altre clausole, per renderechiara, trasparente ed immediata l’informazione » sia con riguardo « allaevidenza grafica della informazione, che deve avere caratteri grafici egualio superiori a quelli degli altri elementi indicati nel documento » ( 29 ).Dall’altro versante, la nullità, come si è detto, non è più quella di ieri ( 30 ).Di certo in ragione dello statuto che il diritto positivo ne va riscrivendo nelsegno di nullità necessariamente parziali, a legittimazione relativa, variamentesanabili e che hanno fatto parlare la dottrina di veri e propri « rimedidi regolamento », in grado di gestire e controllare genesi e fisiologia del negozio,in funzione « demolitoria e dissuasiva, ma anche e soprattuttoconformativa e costruttiva del profilo prescrittivo dell’agire privato » ( 31 ).Ma altresì con riguardo al modello spiccatamente rimediale che ne vacostruendo la giurisprudenza comunitaria. Il principio, per esempio, di recenteaffermato dalla Corte Europea di Giustizia, che il giudice nazionaleabbia l’obbligo di esaminare d’ufficio la natura della clausola e di disapplicarlaove ne accerti l’abusività, tranne nel caso in cui il consumatore vi si opponga– quando cioè il consumatore, dopo essere stato avvisato dal giudice,non intenda invocarne la natura abusiva e non vincolante, il tutto nel segnodi « garantire l’effetto utile della tutela cui mirano le disposizioni della Direttiva» ( 32 ) – cos’altro delinea se non la possibile efficacia, e per di più exuno latere, del contratto nullo?Ebbene, quando questa (nuova) nullità incontra la (nuova) forma, l’esito( 29 ) Cass., 3 ottobre 2003, n. 14762, in Contratti, 2004, con commento di Genovese, Dirittodi recesso e regole d’informazione del consumatore, a proposito di contratto di vendita portaa porta che, se concluso mediante sottoscrizione di una nota d’ordine, deve riportare le informazionisul diritto di recesso « separatamente dalle altre clausole contrattuali e con caratteritipografici uguali o superiori a quelli degli altri elementi indicati nel documento » (art. 47 c.cons.). Per la giurisprudenza di merito v. Trib. Bergamo 10 maggio 2005, in Contratti, 2006, p.600, con nota di Vigoriti, L’obbligo di chiarezza e comprensibilità nei contratti dei consumatorie le conseguenze della sua violazione; e, ancor prima, Trib. Vigevano, decr. 6 giugno 2003, inStudium iuris, con nota di Girolami.( 30 ) Scalisi, Nullità e inefficacia nel sistema europeo dei contratti, in Europa e dir. priv.,2001, p. 496. Cfr. inoltre Orlandi, Autonomia e sovranità, ne Il diritto europeo dei contratti fraparte generale e norme di settore, a cura di Navarretta, Milano, 2007, p. 188 ss. Per un quadro diinsieme assai documentato: Mantovani, La nullità e il contratto nullo, in Tratt. del contratto,cit., IV, I Rimedi, a cura di Gentili, p. 155 ss.( 31 ) Scalisi, Il diritto europeo dei rimedi: invalidità e inefficacia, in Riv. dir. civ., 2007, I, p. 849.( 32 ) Corte giust. Ce, 4 giugno 2009, causa C-243/08, in Contratti, 2010, p. 1115, con commentodi Monticelli, La rilevabilità d’ufficio condizionata della nullità di protezione: il nuovo“atto” della Corte di Giustizia.


22 CONTRATTO E IMPRESA 1/2011appare ancor più sorprendente, presentandosi le nullità formali come le piùspeciali tra le nullità speciali. Relatività della legittimazione ad agire legataesclusivamente ai difetti di forma ( 33 ); nullità dell’intero contratto per assenzadi una indicazione di contenuto ( 34 ); inedite tecniche di integrazione e sostituzionedi clausole non formalizzate ( 35 ); conservazione parziale degli effettiprodotti dal contratto ma solo se il vizio è di forma ( 36 ); nullità del contrattoper carenze formali del documento informativo ( 37 ); intercambiabilitàdei rimedi, con la previsione dello ius poenitendi in alternativa alla nullità inpresenza di lacune nel testo contrattuale normativamente determinato ( 38 ):l’elenco potrebbe allungarsi (e coinvolgere ipotesi non direttamente legate aregole di fonte comunitaria: si pensi alla « conversione » giudiziale della locazioneorale) ( 39 ) ma basta per segnalare quanto distante sia il panoramanormativo descritto dalle pur scarne linee tracciate nel codice civile.Si è sostenuto, condivisibilmente, che il neoformalismo rappresentauna tecnica di governo dell’autonomia privata con funzioni per certi versianaloghe a quelle che per i prodotti alimentari svolge l’etichettatura: comequesta, a prescindere dal merito degli elementi indicati, consente all’acquirentedi comparare il prodotto con gli altri immessi nel mercato, allo stessomodo il documento contrattuale contenente le informazioni richiesteconforma il contenuto regolamentare del singolo atto e permette di paragonarlocon altri predisposti da altri operatori (e non è un caso, per anticipareciò che diremo dopo, che la Corte di Cassazione si esprima nel senso dellanullità del contratto di fornitura di merci le cui etichette risultino prive delleindicazioni richieste, per contrarietà a norme imperative) ( 40 ).( 33 ) Cfr. per es. l’art. 127 T.U.B. a norma del quale le nullità che possono essere fatte valeresolo dal cliente sono esclusivamente quelle previste nel titolo IV, che sono tutte variamentericonducibili a carenze di ordine formale. In proposito, Pret. Bologna, 4 gennaio 1999, inCorr. giur., 1999, p. 600 ss., con nota di Gioia, Nullità di protezione tra esigenze di mercato e nuovacultura del contratto conformato.( 34 ) Art. 76, c. cons.; art. 30 T.U.F.( 35 ) Il riferimento è ancora alla disciplina del T.U.B. ed al peculiare meccanismo ivi delineatoall’art. 117, comma 7°, lettera b.( 36 ) Art. 2, comma 1°, l. 192/1998.( 37 ) Art. 30 T.U.F., su cui v. Trib. Bologna, 19 aprile 2009, n. 2107 in Corr. mer. 2009, p.1075, con nota di Bruno, Offerta fuori sede e ‘‘nullità’ di protezione’’ per omessa comunicazionedel diritto di recesso, e App. Milano, 10 giugno 2009, in www.ilcaso.it, doc. n. 2771/2009, entrambeinclini ad una interpretazione estensiva della regola di cui all’art. 30, seppure da profilidifferenti. Cfr. altresì art. 100bis T.U.F.( 38 ) Art. 73, comma 2°, c. cons.( 39 ) Art. 13, comma 5°, l. 431 del 1998.( 40 ) Cass. 18 luglio 2003, n. 11256, in Contratti, 2004, p. 237, con commento di Sanvito,Prodotto senza scadenza e nullità del contratto.


DIBATTITI 23È sul libero gioco della concorrenza che le regole di forma incidono, aldi là delle discipline antitrust che reggono in modo diretto la materia; segnatamentenella versione di griglia di clausole obbligatoriamente inseritenel documento sì da attuare la strategia di conformazione dei regolamentinegoziali ( 41 ), determinando di questi non un’uniformazione nei contenuti(in senso sostanziale), quanto piuttosto nelle comunicazioni/informazioniche, attraverso il testo contrattuale, devono essere fornite. Ciascun operatorerimane libero di « riempire » la griglia come crede, ma deve rendere visibilile proprie scelte, a tutela, insieme, del libero e consapevole dispiegarsidell’autonomia privata del suo partner contrattuale, e del corretto svolgersidelle relazioni di mercato, in regime di concorrenza ( 42 ).Il vincolo formale in genere, e nella variante forma-contenuto massimamente,inocula così nell’atto di autonomia elementi di governo del mercato,assecondando l’esigenza di certezza delle regole su cui da sempre riposail funzionamento di questo. Ne rappresenta però la versione aggiornata,segnata dal superamento di un tipo di regolazione giuridica fondata sunorme imperative autoritative a vantaggio di una regolazione « dal basso »,che passa per la standardizzazione e la gestione degli strumenti ( 43 ).In tale prospettiva, protezione (del contraente debole) e controllo (sulcontenuto « formale » del contratto) non si elidono a vicenda, ma vanno apprezzatinel più ampio quadro di politica del diritto – tipica delle disciplinedi matrice europea - che fa di ogni operazione la specola attraverso cui saggiarel’efficienza del mercato e nel quale le regole di forma svolgono un ruoloessenzialmente strumentale, al pari di tutte le regole del diritto del mercatoche è, da questo angolo, « diritto degli strumenti » e non degli scopi ( 44 ).Si vuole allora oggettivizzare il regolamento contrattuale (per ridurre lospazio di operatività dei vizi del consenso ed agevolare la verifica preventi-( 41 ) Scalisi, Nullità e inefficacia, cit., p. 498. Nello stesso senso, Chinè, Il diritto comunitariodei contratti, in Tratt. dir. priv. diretto da Bessone, XXVI, Il diritto privato dell’Unione europea,a cura di Tizzano, Torino, 1999, p. 627.( 42 ) Jannarelli, La disciplina dell’atto e dell’attività, cit., p. 41.( 43 ) Alla base, un fenomeno per cui il mercato non è più inteso come una prassi « ma comeun modello (al quale conformare la prassi degli scambi) e, in quanto tale, è stato accreditatodi una funzione politica, quella di garantire quel che la politica prima garantiva »: cosìBarcellona, I nuovi controlli sul contenuto del contratto e le forme della sua etero integrazione:Stato e mercato nell’orizzonte europeo, in Europa e dir. priv., 2008, p. 37.( 44 ) Irti, L’ordine giuridico del mercato, Bari, 1998, p. 69. Nello stesso senso Sirena, L’integrazionedel diritto dei consumatori nella disciplina generale del contratto, in Riv. dir. civ., 2004,p. 792 ss.; E. Gabrielli, Mercato, concorrenza e operazione economica, in Rass. dir. civ., 2004,p. 1044; Camardi, Integrazione giuridica europea e regolazione del mercato. La disciplina deicontratti di consumo nel sistema del diritto della concorrenza, in Europa e dir. priv., 2001, p. 715.


24 CONTRATTO E IMPRESA 1/2011va del rispetto delle condizioni legali, cui consegue una semplificazione deicriteri giudiziali di valutazione nonché una decisa riduzione della conflittualità)e conformarlo a standard predeterminati (standardizzazione che assicurache « tutti i contratti siano soggetti a fondamentali regole condiviseda tutti gli interlocutori » ( 45 ) e favorisce la comparabilità delle offerte sulmercato).2. – Prescrizioni di forma del contratto tra norme organizzative e norme imperativeCe n’è abbastanza, insomma, per chiedersi se i caratteri e le funzioni appenadescritti ed il ricorrente abbinamento ad una nullità « speciale » nonfacciano della nuova forma qualcosa di assai lontano dal vestimentum che ilcodice impone per i negozi inclusi nel catalogo dell’art. 1350 c.c.La tradizione, è noto, colloca le regole di forma ad substantiam fra lenorme « organizzative » (o « qualificative » o « ordinative ») a voler indicareche esse si limitano a descrivere la fattispecie, individuando gli elementi cuiè ricondotta la produzione di effetti ( 46 ). Pur condividendo con le imperativeil carattere della inderogabilità, la loro violazione non dà luogo ad illiceità,ma ad un negozio che, semplicemente, è nullo (rectius inesistente),perché non perfezionatosi ( 47 ).La diversa natura delle due classi di norme è consacrata del resto nell’assettotopografico dell’art. 1418 c.c., che situa il difetto di « uno dei requisitiindicati dall’art. 1325» al comma 2°, mentre riserva al primo la contrarietàa norme imperative. Tale sistemazione, come è evidente, stronca sulnascere ogni tentativo di configurare nullità virtuali quando ad essere violatosia un precetto di forma, in coerenza del resto con il (preteso) principio dilibertà delle forme e con la (altrettanto pretesa) natura eccezionale dei vincoliimposti ad validitatem, insuscettibili di applicazione analogica ( 48 ).( 45 ) V. in proposito Grundmann, L’autonomia privata nel mercato interno. Le regole diinformazione come strumento, in Europa e dir priv., 2001, p. 257 ss. Illuminati in tal senso le paginedi Nigro, La legge sulla trasparenza delle operazioni e dei servizi bancari: note introduttive,in Dir. banca e merc. fin., 1992, I, p. 423.( 46 ) Betti, Teoria generale del negozio giuridico, II ed., rist., Napoli, 1994, p. 12.( 47 ) Ferrara, Teoria del negozio illecito nel diritto civile italiano, II ed., Milano, 1914, p. 17.Sulla distinzione, più di recente, cfr. Albanese, Violazione di norme imperative e nullità delcontratto, Napoli, 2003, p. 203 ss.( 48 ) Giorgianni, Forma degli atti, cit., p. 1003. Troppo noto il dibattito sulla crisi del principiodi libertà delle forme per poterlo riproporre. Ci si limita a segnalare i contributi che hannodel principio tentato una decisa contestazione, pur con diversità di argomenti e giungendoa conclusioni variamente radicali: Scalisi, La revoca non formale del testamento, cit., p. 379


DIBATTITI 25Dunque: la forma quale requisito (eccezionale) la cui carenza non può chedar luogo ad una nullità strutturale – chiaro derivato della dottrina della fattispecie( 49 ) – assoluta, totale, insanabile, sempre testuale; praticamente insolubileil problema della prescrizione di forma sguarnita di sanzione esplicita.Si può davvero ancora ritenere adeguata, alla luce di quanto sin qui detto,l’impostazione fondata sul carattere « organizzativo » delle regole di formaquando spostata sul terreno della legislazione nuova? Costellato da prescrizioniformali imperfette che pure invocano una sanzione e nullità contraddistinteda una chiara inclinazione manutentiva, si presta il quadro normativodi recente conio ad essere governato da istituti e meccanismi figlidella logica del codice civile e, anche per questo, connotati da una irriducibilerigidità?È quanto sostiene, invero, chi ha criticato l’idea, già altrove espressa ( 50 ),che le nuove forme si alienino dal paradigma per così dire classico prima descrittoper allocarsi fra le norme imperative di cui al primo comma dell’art.1418 c.c., con tutte le conseguenze, in termini di nullità virtuale e ratio dellanorma violata, che ne conseguono.Si è paventato al riguardo un « (discutibile) iato tra forme ad evidenzastrutturale (rilevanti in termini di nullità testuale, assoluta e definitiva) eforme standard ad evidenza informativa (serventi una nullità virtuale, relativae di pleno iure)» ( 51 ), ed il profilarsi di un « assai improbabile » tertiumgenus di forma solenne ( 52 ).Ora, in generale, non è nella moltiplicazione delle forme che potrebbess.; Irti, Idola libertatis. Tre esercizi sul formalismo giuridico, Milano, 1985, passim; Ferri, Formae autonomia negoziale, in Quadrimestre, 1987, p. 327 ss.; P. Perlingeri, Forma dei negozi eformalismo degli interpreti, Napoli, 1987, p. 54 ss.; Vitucci, Applicazioni e portata del principiodi tassatività delle forme solenni, in Sudi Giorgianni, cit., p. 821 ss. Sulla necessità di un approcciofunzionale al tema della forma cfr. Di Giovanni, La forma, in Tratt. dei contratti direttoda Rescigno e Gabrielli, I, I contratti in generale, a cura di Gabrielli, Torino, 1999, p. 783. Cfr.altresì, nella stessa direzione, Liserre e Jarach, La forma, in Tratt. dir. priv. diretto da Bessone,XIII, Il contratto in generale, 3, a cura di Alpa, Breccia, Liserre, Torino, 1999, p. 400 ss. Ledispute italiane spesso si sono richiamate ad alcuni lavori d’oltralpe dei primi anni del ventesimosecolo, fra cui, per primo, Moeneclaey, De la renaissance du formalisme dans les contratsen droit civile et commercial français, th., Lille, 1914, recensito in <strong>Italia</strong> da Civetta, La rinascitadel formalismo nei contratti, in Riv. dir. comm., 1914, p. 971 ss.( 49 ) Di Majo, La nullità, in Tratt. dir. priv. diretto da Bessone, VII, Torino, 2002, p. 63.( 50 ) Modica, Vincoli di forma e disciplina del contratto, cit., p. 119 ss., spec. p. 264 ss. Sulpunto Calvo, Il risparmiatore disinformato tra poteri forti e tutele deboli, in Riv. dir. proc. civ.,2008, p. 1448.( 51 ) Pagliantini, Forma e formalismo nel diritto europeo dei contratti, Pisa, 2009, p. 102.( 52 ) Pagliantini, Forma e formalismo, cit., p. 18.


26 CONTRATTO E IMPRESA 1/2011annidarsi un’incrinatura del sistema: il codice civile conosce già più generidi forma, in un panorama assai meno compatto di quanto abitualmente sidescriva e nel quale il binomio ad substantiam/ad probationem non esauriscedi certo il tema, sufficientemente molteplice, del formalismo negozialee delle sue tante funzioni. Soprattutto se, come riteniamo, ci si debbaemancipare dall’idea di un immanente principio di libertà delle forme ( 53 )laddove né lo scarno enunciato dell’art. 1325 c.c. né l’elenco per nulla esaustivodell’art. 1350 c.c. possono dirsi decisivi per affermare l’eccezionalitàdelle forme solenni ( 54 ).Che un ulteriore « tipo » di forma – con caratteri, rationes ed effetti propri– faccia ingresso sulla scena appare poi ancor meno eversivo delle categorietradizionali ove si abbia riguardo al polimorfismo che interviene innegabilmentea connotare la dimensione tutta postmoderna del contratto ( 55 ).È vero che il « farsi » di un atto formale sempre si traduce in un « doverfarsi », e che, nella variegata gamma di forme vincolate che l’ordinamentopropone, soltanto quella ad substantiam descrive il farsi del contratto inquanto elemento partecipante alla sua « ossatura strutturale » ( 56 ). Ma è purvero – questo è il punto – che, ben prima della forma, è proprio tale ossatura« strutturale » ad essere mutata, tanto da non risultare più (del tutto) sovrapponibileal paradigma della fattispecie che campeggia nel codice civile( 57 ); e che, a monte, modificate appaiono le cadenze del rapporto tra ordinamentoed autonomia dei privati: la regolare formazione dell’atto nelsenso dell’aderenza al modello legalmente precostituito nei suoi requisitiessenziali, dentro un mercato che si suppone già strutturato, tipica del codice,lascia il passo adesso, dentro un mercato in perenne via di strutturazione,ad una preminente esigenza di conformazione del regolamento negoziale.Si tratta di una trasformazione che la dottrina ha descritto come passag-( 53 ) Il cui fondamento è da rintracciarsi negli echi del dogma volontaristico e nella conseguenteequivoca identificazione tra « atto » e « forma » ch’esso presuppone: Santoro Passarelli,Dottrine generali del diritto civile, Napoli, 1997, 9° ed., rist., p. 135.( 54 ) Sia consentito, sul punto, il riferimento a Modica, Vincoli di forma e disciplina delcontratto, cit., p. 4 ss.( 55 ) Benedetti, Tutela del consumatore e autonomia contrattuale, in Riv. trim. dir. proc. civ.,1998, p. 27. Cfr. altresì Addis, Diritto comunitario e “riconcettualizzazione” del diritto dei contratti:accordo e consenso, in Obbligazioni e Contratti, 2009, p. 869.( 56 ) Pagliantini, Forma e formalismo, cit., p. 19, che richiama Irti, Replica ai difensori degliidola libertatis, in Studi sul formalismo negoziale, Padova, 1997, X.( 57 ) Sulla peculiarità che le regole di struttura manifestano nel diritto europeo in formazionecfr. Breccia, La parte generale fra disgregazione del sistema e prospettive di armonizzazione,ne Il diritto europeo dei contratti, cit., p. 82 ss.


DIBATTITI 27gio da una « logica decontestualizzante e astraente, generale e uniformante,propria della tecnica “fattispecie-effetti”, funzionale e ubbidiente solo ainoti principi cardine del diritto privato moderno: soggetto del diritto unicoe astratto, principio di uguaglianza in senso soltanto formale », ad una« realtà molto più articolata, complessa e plurale » entro la quale « la logicadella fattispecie appare ormai decisamente inadeguata e fuorviante » ed ilsuo oltrepassamento « diviene una necessità » ( 58 ).Di « perdita della fattispecie » ( 59 ) si discorre dunque per segnalare il radicalesuperamento del modello proprio della concezione codicistica, fondatosulla descrizione dei requisiti cui la norma ricollega certi effetti giuridici;mentre sempre più domina, nel diritto privato di derivazione comunitaria,il « regolamento » e la sua conformazione nel quadro di una strategia voltaa garantire un’efficiente regolazione del mercato aperto e in libera concorrenza.Una strategia conformativa che, ci pare, si muove lungo una duplice direttrice:quella « nullità funzione » che sta « in diretto ed immediato rapportodi congruenza e di corrispondenza con un determinato assetto di interessi» ( 60 ); e quei vincoli di forma che – segnatamente nella versione di documentazionedi una griglia di clausole necessaria e trasparente – assicuranotendenziale fungibilità dei contratti e degli operatori ( 61 ) in chiave di innalzamentodella concorrenzialità di un mercato inteso quale esito (ma anchemisura) delle singole contrattazioni ( 62 ).Perciò si è detto che il necessario formalismo del contratto altro non èche il necessario formalismo del mercato ( 63 ): la forma assicura regolarità,uniformità, prevedibilità, tipizzazione dei contenuti, certezza di interpretazione( 64 ). Ed in questo senso si può condividere l’idea che i contratti diventinosempre più « strutture formali, messe a disposizione delle parti, che leusano e riempiono » ( 65 ).Ma il riferimento alla « struttura », per quanto suggestivo, rischia di rimanereambiguo, poiché il formalismo di nuova generazione è tutto fuorchéreplica – solo maggiormente pervasiva – della forma-requisito la cuimancanza condanna l’atto ad una nullità assoluta e demolitoria, sempre più( 58 ) Scalisi, Il diritto europeo dei rimedi: invalidità e inefficacia, cit., p. 847.( 59 ) De Nova, I singoli contratti: dal Titolo III del Libro IV del c.c. alla disciplina attuale, inScritti in onore di Luigi Mengoni, I, Milano, 1995, p. 507.( 60 ) Scalisi, Nullità e inefficacia, cit., p. 499.( 61 ) Jannarelli, La disciplina dell’atto e dell’attività, cit., p. 20 ss.( 62 ) Barcellona, Diritto, sistema e senso. Lineamenti di una teoria, Torino, 1996, p. 359.( 63 ) Irti, L’ordine giuridico del mercato, cit., p. 57.( 64 ) Irti, L’ordine giuridico del mercato, cit., p. 54.( 65 ) Irti, L’ordine giuridico del mercato, cit., p. 54.


28 CONTRATTO E IMPRESA 1/2011piegandosi invece a presidiare il rispetto delle regole attraverso cui l’ordinamentocontrolla contenuto e compiutezza del contratto ( 66 ).Se si concorda con tale ragionamento, non c’è spazio per questa forma,e per le sue finalità, fra le norme organizzative di cui al secondo comma dell’art.1418 c.c., soprattutto quando si tratti di delinearne il trattamento sanzionatorio.Sembrano avvedersene adesso anche i giudici di merito. Il Tribunale diTorino ha ritenuto soddisfatto il requisito della forma scritta previsto per ilcontratto relativo alla prestazione di servizi finanziari in quanto esibito ingiudizio dall’intermediario, ancorché lo stesso non l’avesse sottoscritto ( 67 ).Parrebbe d’acchito riproporsi il congegno, certo non nuovo, con cui lagiurisprudenza, piuttosto univocamente, afferma la possibilità di sanaregiudizialmente la nullità del contratto privo della forma richiesta ad validitatemammettendo che il contraente che non abbia sottoscritto possa comunqueperfezionare l’atto mediante la sua produzione in giudizio al finedi farne valere gli effetti contro l’altro contraente ( 68 ).Sennonché, nel caso di specie, ad esibire il documento (sottoscritto solodalla controparte) non è l’attore ma l’intermediario convenuto, il quale,per difendersi, oppone il documento firmato dal cliente. Con ciò sovvertendola pacifica ( 69 ) regola pretoria; che risulta sì applicata, ma a parti rovesciate( 70 ).( 66 ) Alessi, Consensus ad idem e responsabilità contrattuale, ne Il contratto e le tutele. Prospettivedi diritto europeo, a cura di Mazzamuto, Torino, 2002, p. 120.( 67 ) Trib. Torino 23 novembre 2009, in Giur. it. 2010, p. 604.( 68 ) V. per es. Cass., 11 marzo 2000 n. 2826, in Contratti, 2000, p. 1093, con nota di Timpano,La produzione in giudizio come equipollente della sottoscrizione.( 69 ) Ma non in dottrina: cfr. le perplessità di Sacco, La forma, in Tratt. dir. priv. diretto daRescigno, 10, Obbligazioni e Contratti, II, Torino, 2002, p. 301.( 70 ) Così Cottino, La responsabilità degli intermediari finanziari. Un quadro ben delineato:con qualche novità e corollario, in Giur. it., 2010, p. 608. Il rovesciamento di cui si discorrederiva dalla circostanza che nella citazione (atto unilaterale recettizio) e nella procura che laaccompagna – e dunque in atti propri dell’attore – si rintraccia la manifestazione di volontàidonea al perfezionamento formale dell’accordo: la volontà di « concludere » il contratto sarebbecosì manifestata mediante un documento preparato a fini non contrattuali ma a finiprocessuali, e redatto non dalla parte personalmente ma dal suo difensore munito di procura.Si segnala altresì il contrasto che la sentenza del Tribunale torinese determina rispetto alricorrente dictum della Cassazione secondo cui impedisce la formazione giudiziale del documentola circostanza che l’altra parte abbia revocato il proprio consenso (Cass., n. 4921 del2006, in Giur. it., 2006, p. 2292). Sulla base di tale argomento la conclusione di Trib. Torino, 5febbraio 2010, in www.ilcaso.it, doc. n. 2193/2010, ad avviso del quale « la mancanza di formascritta (cui non può neppure supplire la prova per testi o per presunzioni) non può essere in alcunmodo emendata o sanata dalla produzione in giudizio da parte della banca convenuta del


DIBATTITI 29Altrove è sulla scorta della ratio del vincolo formale che si fonda la decisione.Affrontando un’identica situazione processuale e concludendo nelmedesimo senso, un secondo giudice ( 71 ) motiva la scelta avendo riguardoalla peculiare funzione che il requisito di forma sarebbe chiamato a svolgerenella commercializzazione di strumenti finanziari: « dare certezza, nel preminenteinteresse del cliente, dell’autorizzazione data alla banca a svolgereun determinato servizio di investimento e, altresì, del tipo di servizio di investimentoche la banca si impegna a offrire e delle informazioni di base sulservizio e sui suoi costi ». In altre parole, si continua, « la forma scritta si ponecome veicolo certo di un flusso di informazioni dall’intermediaria al clientee dal cliente all’intermediaria, del mandato del cliente alla banca di eseguiredietro suoi ordini investimenti in strumenti finanziari ».In ciò la peculiarità del vincolo di cui all’art. 23 T.U.F. che, in quanto «diprotezione per il cliente », « si discosta dalla tradizionale distinzione di formascritta ad substantiam o ad probationem ».Più che la mera reiterazione del procedimento della formazione giudizialedel documento, è dunque l’adattamento delle norme alla complessivasituazione di interessi a rilevare, come ulteriormente dimostrato dalla circostanzache ai fini della decisione determinante appare che l’intermediario,dopo il contratto, con il suo comportamento abbia dimostrato di avervi aderito( 72 ).Così intesa la ratio dell’art. 23, T.U.F., la censura autorevolmente mossaper cui « il fine informativo che l’obbligo di redazione per iscritto doveva aborigine soddisfare si realizzerebbe ex post con il deposito del fascicolo dellaparte convenuta in causa » ( 73 ) è destinata a perdere rilievo. Poiché, se è lacontratto quadro di negoziazione, posto che l’incontro delle volontà può dirsi perfezionatosolo se la parte del processo che ha sottoscritto il contratto al momento della produzione nonabbia già manifestato la revoca del proprio consenso, volontà di revoca che deve essere individuatanella domanda con la quale l’investitore deduca appunto la nullità del contratto per mancanzadella forma di cui si discute ».( 71 ) Trib. Novara 2 novembre 2009, in Giur. it., 2010, p. 606: il requisito della forma scrittaprevisto dall’art. 23 T.U.F. a sanzione di nullità del contratto quadro per la prestazione di servizidi investimento è soddisfatto « anche se il modulo contrattuale è firmato dal solo clientee non dalla banca ». Sui problemi legati ai percorsi giurisprudenziali di individuazione dei rimedinel caso di violazioni formali nell’ambito di contratti finanziari v. da ultimo Bertolini,Risparmio tradito: una riflessione tra teoria generale del contratto e disciplina dei mercati, inNuova giur. civ. comm., 2010, p. 344 ss.( 72 ) Contra Trib. Torino, 5 febbraio 2010, cit.: « il fatto che le parti abbiano dato corso adinvestimenti, dando di fatto attuazione al contratto quadro di negoziazione, non vale a rimediareal vizio della mancanza di forma scritta del contratto medesimo poiché il contratto nullonon può essere in alcun modo convalidato o sanato » (fb).( 73 ) Cottino, La responsabilità degli intermediari finanziari, cit., p. 608.


30 CONTRATTO E IMPRESA 1/2011trasmissione di informazioni chiare e complete a contare davvero, la solaassenza della firma – che nel sistema delineato dal codice soddisfa il requisitoimposto a fini costitutivi fondando la presunzione juris tantum di consensodel sottoscrittore al contenuto del documento ( 74 ) – non osta alla realizzazionedi siffatta funzione ( 75 ). Il celebrato fenomeno della « crisi dellasottoscrizione » – che la dottrina aveva inizialmente descritto come il progressivoscioglimento del rapporto tra firma autografa e testo scritto tipicodell’uso esclusivo dell’apparato tecnico caratterizzante l’economia moderna( 76 ) – si pone dunque sotto una luce nuova tutte le volte in cui l’essenzialeè che il contratto contenga e diffonda nel mercato una serie predeterminatadi informazioni: rispetto a tale necessità la sottoscrizione dell’<strong>impresa</strong>non aggiunge nulla all’obiettivo informativo (rectius conformativo) ove laprovenienza dell’offerta sia comunque certa ( 77 ).La digressione rispetto al tema iniziale della « natura » delle regole diforma è solo apparente. La messa a fuoco delle finalità che documento escrittura assolvono nel nuovo contesto, e che le decisioni appena citate valorizzano,segna infatti il tratto di discontinuità più evidente tra negozio solennedel codice civile e formalismo di più recente conio. Il cui carattere« imperativo », e non più « organizzativo », va delineandosi con sufficiente( 74 ) Cass., 24 gennaio 1995, n. 801, in Mass. Giust. civ., 1995, p. 130.( 75 ) Patti, Documento, in Dig., Disc priv., sez. civ., Torino, 1991, p. 4 ss.( 76 ) Irti, Idola libertatis. Tre esercizi sul formalismo giuridico, cit., pp. 25, 74 ss.( 77 ) Lener, Forma contrattuale, cit., p. 22. Vale la pena segnalare in proposito anche Cass.3 novembre 2008, n. 26422, in Obbligazioni e Contratti, 2009, 11, p. 902, con commento di Bruni,Uno per tutti e tutti per uno: al gruppo di viaggiatori basta una sola sottoscrizione per l’acquistodi un pacchetto turistico. La vicenda può così essere riassunta: Tizio si reca, insieme ad altridue amici, presso la Sempronio s.r.l. per prenotare un viaggio per il quale viene versato unacconto. Successivamente Tizio conviene in giudizio, dinanzi al Giudice di Pace di Napoli, laSempronio s.r.l. per far dichiarare la nullità del contratto per difetto di forma scritta, adducendodi non aver sottoscritto il contratto, firmato da un altro dei partecipanti, e di non averericevuto copia del contratto o di altro opuscolo informativo. Il giudice di pace, con sentenzaresa secondo equità, conferma la validità del contratto accertando che, pur essendo stato sottoscrittoda un solo partecipante, la sottoscrizione è avvenuta alla presenza degli altri che nonhanno manifestato il proprio dissenso rispetto alle condizioni del contratto rappresentate. LaCorte di Cassazione condivide simile decisione e precisa che qualora più persone intendanoeffettuare, negli stessi giorni, una vacanza insieme non concludono tanti contratti individualima un unico contratto, acquistano così un unico pacchetto turistico di cui tutte risultano beneficiarie.Ciò comporta che il contratto possa essere sottoscritto da un solo contraente e chesia indifferente la mancata coincidenza tra il sottoscrittore ed il soggetto che abbia versatol’acconto per il viaggio. Assai interessante notare che né la prima né la seconda pronuncia sipongono il problema di verificare a monte se il contratto di vendita di pacchetto turistico siaassistito o non da una forma ad substantiam, dando del tutto per scontata la soluzione affermativapur nel silenzio delle norme.


DIBATTITI 31chiarezza: se la funzione « ordinativa » bene descrive una forma che determinala valida formazione della fattispecie guardata solo nel momento staticodel suo perfezionarsi, essa è destinata ad uscire di scena allorché il vincologiochi un ruolo decisivo nell’opera di conformazione del negozio e delrapporto che ne scaturisce, sempre più alienandosi dal rigido binomio forma(requisito)-nullità(strutturale).È ancora in questa ottica allora che dovrà configurarsi « certamente imperativa» ( 78 ) la norma che impone la redazione per iscritto del contratto divendita di pacchetto turistico senza esplicitarne la sanzione – a meno di nonvolerle attribuire una portata elusivamente programmatica e nell’impossibilitàdi attribuirle valenza probatoria, stante il principio della eccezionalitàdelle forme ad probationem ( 79 ).Poiché qui sta, a ben vedere, l’impasse cui non si sottrae l’adesione alnecessario abbinamento vizio di forma strutturale/nullità testuale: se il vincolodi forma o è « strutturale » o non è, le prescrizioni di cui abbondano lediscipline di fonte comunitaria, riferite al momento genetico della formazionedel contratto, si riducono a niente di più che raccomandazioni di unlegislatore quanto meno sprovveduto, secondo un trend clamorosamenteincurante dell’effetto utile.Dall’imperatività della norma discenderà dunque la nullità del contrattoche violi siffatto precetto di forma quale contratto « contrario a normeimperative »: nullità (formale) virtuale ex art. 1418 c.c., la quale, per realizzareefficacemente gli obiettivi cui le regole di forma sono volti, dovrà essereanche (virtualmente) relativa.Non è certo questa la sede per affrontare funditus il profilo da ultimoevidenziato. Ci si limita a rilevare per il momento, con la migliore dottrina,che se la norma imperativa è posta a protezione di uno dei contraenti « nellapresunzione che il testo contrattuale gli sia imposto dall’altro contraente», una soluzione che non fosse in grado di modulare la sanzione sul concretoregolamento di interessi « potrebbe piuttosto nuocere che giovare alcontraente che il legislatore intende proteggere » ( 80 ).( 78 ) Roppo, <strong>Contratto</strong> di diritto comune, contratto del consumatore, contratto con asimmetriadi potere contrattuale: genesi e sviluppi di un nuovo paradigma, in Riv. dir. priv., 2001, p. 773,con riferimento all’art. 85, comma 1°, c. cons. Sulla questione v. Sicchiero, Nullità per inadempimento?,in questa rivista, 2006, p. 369.( 79 ) Montesano, Questioni attuali su formalismo, antiformalismo e garantismo, in Riv. dir.proc. civ., 1990, p. 12; Lener, Forma contrattuale, cit., p. 170.( 80 ) De Nova, Il contratto contrario a norme imperative, in Riv. crit. dir. priv., 1985, p. 451. V.altresì Villa, <strong>Contratto</strong> e violazione di norme imperative, Milano, 1993, p. 122 ss.; Passagnoli,Nullità speciali, Milano, 1995, p. 235 ss.; D’Adda, Nullità parziale e tecniche di adattamento delcontratto, Padova, 2008, p. 152. Critico rispetto alla configurabilità di nullità virtuali di protezionePagliantini, Nullità virtuali di protezione?, in Contratti, 2009, p. 1040 ss.


32 CONTRATTO E IMPRESA 1/2011Qualificare la nullità, testuale o virtuale che sia, come « di protezione » èallora esito obbligato in virtù del singolare atteggiarsi dei vincoli di forma(nonché della loro del tutto peculiare rilevanza strutturale) e del ruolo assegnatonel nuovo contesto alle nullità speciali. Una volta individuate le funzionidelle nuove forme, ricondurre alla loro mancanza una nullità tradizionaletradirebbe gli obiettivi che quelle funzioni perseguono, poiché il congegnoconformativo regge e raggiunge il suo scopo solo se alla forma fa dapendant una nullità relativa; che attribuisce all’aderente « arbitro » del mercatoil potere di rendere non vincolante il contratto non illuminato dall’informazione,ma che ne consente altresì il mantenimento – in coerenzacon quel favor contractus che può dirsi autentico fil rouge della legislazionenuova ( 81 ) – ove ciò risulti maggiormente congruente con i suoi concreti interessi.Esito che del resto bene s’iscrive entro un segmento normativo ormaiconsolidato il quale, pur attraverso la mera reiterazione – in larga misuraimputabile tuttavia, almeno nel diritto interno, ai limiti di coordinamentodei testi che lo compendiano – fa delle regole in tema di nullità di protezionel’espressione di un principio generale ( 82 ).3. – Destrutturazione della formaCi si è fin qui mossi su di un terreno che, per quanto ricco di spunti eccentrici,rimane tutto sommato familiare al civilista: redazione per iscrittodel contratto, sottoscrizione, nullità, rimandano comunque al formalismotradizionale, pur se oggi percepito in un contesto di progressiva « destrutturazione» della forma.Destrutturazione che, con conseguenze ancor più difficilmente rintracciabiliin punto di rimedi, è destinata a prospettarsi ulteriormente: assai menorassicurante diventa infatti il quadro quando si tratti di valutare le ripercussionidel difetto di forma che si sostanzi non in una totale mancanza divestimentum (un contratto che si vuole formale e che le parti concludonooralmente), bensì in una carenza nel testo scritto di singole informazioni omenzioni che ex lege dovrebbero figurarvi oppure in una scarsa « qualità »del documento quanto alla sua concreta intelligibilità ( 83 ).( 81 ) De Nova, Dal principio di conservazione al favor contractus, in Clausole e principi generalinell’argomentazione giurisprudenziale degli anni ottanta, a cura di Cabella Pisu e Nanni,Padova, 1998, p. 306.( 82 ) Modica, Vincoli di forma e disciplina del contratto, cit., p. 207 ss.( 83 ) Trib. Rimini, 18 dicembre 2006, in Contratti, 2007, p. 893, con nota di Guerinoni,Clausola di ripensamento non trasparente e nullità del contratto di investimento, dichiara nulloil contratto di collocamento fuori sede di prodotti finanziari in ragione della circostanza che la


SAGGI 33Le regole di forma invero si diversificano entro una gamma che trascorreda più o meno originali riformulazioni della forma scritta a pena di nullitàdel contratto alle rigide prescrizioni di forma/contenuto con la predeterminazionelegale di ciò che deve esservi indicato in vista di una tendenzialmenteesaustiva individuazione delle prestazioni e del contenuto normativodel contratto; fino alla richiesta presenza di talune informazioni, dichiarazioni,comunicazioni che contribuiscono ad una più compiuta comprensionedelle caratteristiche dell’affare o dello scambio anche al fine di meglioidentificare le aree di responsabilità delle parti (e non è un caso che terrenodi elezione di simili interventi sia la commercializzazione di strumenti finanziari).Sul primo versante, si è già accennato come la necessaria inserzione diuna serie di elementi nel testo contrattuale sia uno dei tratti più originalidelle nuove forme. Discipline le più varie (ma tutte connotate da un’asimmetriadi potere contrattuale fra le parti ( 84 ): franchising, multiproprietà,pacchetti turistici, vendita di immobili da costruire, credito al consumo,ecc.) prevedono invero che la redazione per iscritto (a pena di nullità) delcontratto non si limiti agli elementi « essenziali » – beninteso, nel senso dellatradizione – ma si estenda all’intero regolamento, il quale dovrà risultarecompiutamente ed esclusivamente dal testo scritto ( 85 ).Assai di rado simili prescrizioni sono assistite da una sanzione testuale,ed il più delle volte la sorte del contratto difettoso quanto a (forma)contenutodiventa per l’interprete un vero e proprio rompicapo.In particolare, la soluzione di ritenere violata in questi casi la prescrizio-clausola che consente al cliente di recedere entro sette giorni (da inserirsi nel contratto a penadi nullità relativa ex art. 30 T.U.F.) non è opportunamente evidenziata.( 84 ) La formula « contratto asimmetrico », coniata con successo in dottrina, individua unnuovo paradigma contrattuale – al di là della distinzione fra contratti dei consumatori e contrattifra imprese – il cui proprium si individua nel fronteggiarsi di « due soggetti di mercato caratterizzatida una significativa asimmetria di potere contrattuale: asimmetria che, per il fattodi derivare precisamente dalle rispettive ‘fisiologiche’ posizioni di mercato, si presenta comeasimmetria di tipo per l’appunto fisiologico e non patologico »: così Roppo, Parte generale delcontratto, contratti del consumatore e contratti asimmetrici, ne Il diritto europeo dei contratti,cit., p. 306. L’impostazione è criticata da chi ribadisce la necessaria separatezza fra contrattidei consumatori e contratti fra imprese, i quali ultimi configurerebbero un paradigma a sé,compendiabile nella locuzione « terzo contratto »: cfr. Amadio, L’ipotesi del terzo contratto,ne Il diritto europeo dei contratti, cit., p. 329 ss.; Zoppini, Il contratto asimmetrico tra parte generale.Contratti di <strong>impresa</strong> e disciplina della concorrenza, ivi, p. 355 ss. Sul punto cfr. altresì Camardi,Contratti di consumo e contratti tra imprese. Riflessioni sull’asimmetria contrattuale neirapporti di scambio e nei rapporti ‘reticolari’, in Riv. crit. dir. priv., 2005, p. 549 ss.( 85 ) In un modo per cui, come nota Lener, Forma contrattuale, cit., p. 15, « la realtà non èsolo tradotta nelle “indicazioni obbligatorie”: essa è ridotta al loro contenuto ».


34 CONTRATTO E IMPRESA 1/2011ne di forma ad substantiam prevista genericamente per il contratto e farnediscendere l’applicazione del relativo rimedio (in termini, si è visto, di unanullità pur relativa dell’intero atto) appare ai più sovradimensionata rispettoalla natura del vizio ed alle finalità delle norme coinvolte ( 86 ).Si suggerisce allora di distinguere caso per caso a seconda della essenzialitào meno dell’elemento mancante, ricorrendo all’integrazione della lacunae dunque attingendo alla disciplina legale quando il difetto non interferiscacon uno dei requisiti appartenenti al novero di cui all’art. 1325 c.c. enon comprometta (ma alla luce del diritto « primo ») la validità dell’atto ( 87 ).La proposta, convincente e praticabile nell’ottica tradizionale, non appareperò del tutto in linea con le indicazioni provenienti dal panorama normativoentro cui ci muoviamo, che, ci pare, manifesta una decisa tendenzaa considerare « essenziale » tutto il regolamento, ed a rivestire della forma(ad validitatem) anche elementi che nella prospettiva del codice civile essenzialinon sarebbero.A conferma una triplice indicazione (micro)sistematica. L’assenza diqualsivoglia spia che consenta di graduare la rilevanza delle informazioniobbligatorie, tutte volte alla completa determinazione del programma contrattuale;l’individuazione, quando esplicitata, della nullità (talora relativa)dell’intero contratto ( 88 ) (in un caso dell’allungamento dei termini per recedere)( 89 ) quale sanzione più acconcia a governo del vulnus formale; l’inequivocaaspirazione alla « onnicomprensività » del testo ( 90 ) (rafforzato dauna generalizzata messa al bando della relatio) ( 91 ), che assurge dunque asede esclusiva di espressione delle condizioni del rapporto ( 92 ).La prescrizione di contenuto – che proprio per questo si tramuta in prescrizionedi forma – tende invero ad una integrale e persino minuziosa definizionedi tutti i profili dello scambio e delle regole convenzionali che nereggeranno le vicende; dunque ad una compiutezza ed onnicomprensivitàdel testo in cui tali regole sono consacrate, che il rinvio alla disciplina legaledi per sé vanificherebbe ( 93 ).( 86 ) In questo senso, da ultimo Trib. Venezia 5 novembre 2009, in Contratti, 2010, p. 221ss., con nota di Sangiovanni, Obbligazioni Lehman Brothers e tutele degli investitori.( 87 ) In questo senso, per esempio, Minervini, Le regole di trasparenza nel contratto disubfornitura, in Giur. comm., 2000, p. 229 ss.; De Poli, Asimmetrie informative e rapporti contrattuali,Padova, 2002, p. 246.( 88 ) Art. 76, c. cons.; art. 125bis, comma 8°, T.U.B.( 89 ) Art. 73, comma 2°, c. cons.( 90 ) Art. 86, c. cons; art. 125bis, comma 5°, T.U.B.( 91 ) Art. 23, T.U.F.; art. 117, comma 6°, T.U.B.( 92 ) Masucci, La forma, cit., p. 589.( 93 ) Degna di rilievo appare in questa prospettiva Trib. Benevento 23 marzo 2010, in


SAGGI 35Semmai, in taluni casi, è un’integrazione mediante disciplina convenzionaleche può venire in rilievo – sul modello delineato dagli artt. 116 e 117,T.U.B. – per il tramite di quell’attitudine integrativa dei documenti precontrattualiche siano omologo antecedente della prescrizione di forma-contenutodel contratto e che, ove completi, siano talvolta idonei a colmare le lacunedel documento contrattuale atteggiandosi a veri e propri segmenti dell’offerta( 94 ). Profilo, questo, che ci si limita a segnalare, con ampio rimandoalla letteratura in tema ( 95 ).Non giova d’altro canto il riferimento alla nullità parziale di cui all’art.1419 c.c. ed al meccanismo ivi delineato al primo comma. Il rinvio al crite-www.ilcaso.it. doc. n. 1171/2010: posto che nel piano finanziario di cui l’investitore chiede lanullità per una serie di carenze formali finanziamento e acquisto di titoli mobiliari sono collegatida un legame inscindibile, se ne fa discendere che la mancata indicazione del TAEGnon può essere integrata mediante l’inserzione automatica del tasso sostitutivo di cui all’art.124, comma 5°, lettera a) T.U.B. in quanto: « il mutamento del tasso di interesse con l’applicazionedi quello sostitutivo, influenzerebbe, modificandoli, altri elementi essenziali dell’operazionenegoziale espressamente determinati dalle parti, quale l’importo e il numero delle ratemensili da rimborsare, oltre a stravolgere il complessivo contenuto economico dell’operazionefinanziaria; per cui si presenta nel caso concreto inammissibile l’applicazione automaticadel tasso sostitutivo, derivando dalla stessa non semplicemente gli effetti voluti dalla normaimperativa, bensì effetti del tutto diversi, che possono dipendere solo dalle pattuizioni delleparti ». Come nota De Nova, I contratti di oggi e la necessità di un elenco condiviso di divieti e diclausole vietate: a proposito di armonizzazione del diritto europeo dei contratti, ne Il diritto europeodei contratti, cit., p. 451: « se il contratto di ieri era un contratto che produce effetti [. . .] eper il resto era disciplinato dalla legge, che garantiva l’uniformità, il contratto di oggi è conformead un modello, il che garantisce l’uniformità, ed è un contratto che non solo produce effetti,ma altresì regola un rapporto, disapprova le sopravvenienze, regola i rimedi. Non uncontratto che vuole la disciplina legale, bensì un contratto che non vuole (non vorrebbe) essereregolato dalla legge ».( 94 ) Si rimanda sul punto alle acute riflessioni di Alessi, I doveri di informazione, in Manualedi diritto privato europeo, II, cit., p. 403 ss.( 95 ) Il tema dell’informazione precontrattuale e delle sue ricadute sul regolamento contrattualeè stato ed ancora è al centro di un vivacissimo dibattito. Senza alcuna pretesa di completezza,e limitandoci ai contributi di taglio generale, oltre agli aa. già citati, si veda: Nazzaro,Obblighi di informare e procedimenti contrattuali, Napoli, 2000; Moscarini, Diritti ed obblighidi informazione e forma del contratto, in Diritto privato ed interessi pubblici, I, Milano, 2001,p. 350 ss; Rossi Carleo, Il diritto all’informazione: dalla conoscibilità al documento informativo,in Riv. dir. priv., 2004, p. 349 ss.; Gentili, Informazione contrattuale e regole dello scambio,in Riv. dir. priv., 2004, p. 575 ss.; Roppo, L’informazione precontrattuale: spunti di diritto italianoe prospettive di diritto europeo, in Riv. dir. priv., 2004, p. 747 ss.; Febbrajo, L’informazione ingannevolenei contratti del consumatore, Napoli, 2006; Grisi, Informazione (obblighi di), in Enc.giur., XIV, Agg., Roma, 2006, p. 16 ss.; Gallo, Asimmetrie informative e doveri di informazione,in Riv. dir. civ., p. 641 ss.


36 CONTRATTO E IMPRESA 1/2011rio intenzionale cui il codice subordina la salvezza del contratto appare quidel tutto fuori contesto, come dimostra la scelta esplicitamente compiuta inmateria di clausole abusive nel senso di una nullità necessariamente parziale,preclusiva di ogni percorso interpretativo volto alla ricostruzione di unaipotetica volontà delle parti.Neppure dirimente sarebbe una lettura della norma in termini antivolontaristici,incentrata sulla perdurante attualità – verificata in termini deltutto oggettivi – del contratto residuo rispetto all’assetto d’interessi originario:la questione tornerebbe a risolversi nella (oggettiva) valutazione di essenzialitào meno dell’elemento mancante in relazione alla causa in concreto,in un contesto però in cui lo screening di ciò che è « essenziale » è operatoa monte dal legislatore e dunque trasferito fuori dall’ambito di rilevanzadell’interesse dei contraenti.Il fenomeno della eterodeterminazione del contenuto appare invero inconciliabilecon la logica stessa che innerva l’art. 1419 c.c. che è la logica, tipicadel codice civile, della parità fra contraenti, egualmente liberi nella determinazionedel contenuto del contratto e nella scelta fra conservazione ocaducazione ( 96 ). Nella contrattazione uniforme, al contrario, è la disparità(di potere contrattuale) al centro della scena, e ciò reclama l’originaria standardizzazionee completezza dei documenti, rendendo pressoché inutileun giudizio volto alla verifica del diverso peso della clausola nulla (assente)nel singolo affare.Ritenere il difetto di contenuto – che sia veicolato da una prescrizione diforma ad substantiam dell’intero contratto e che non possa sanarsi medianteil riferimento a informazioni, scritte, fornite in sede precontrattuale – sanzionatoalla stregua del difetto di forma tout court, appare allora soluzione,certo dura, ma, come si è detto, tutt’altro che giuridicamente infondata ( 97 ).Ad essa viene l’adesione di una recente decisione di merito.Chiamato a pronunciarsi intorno ad un contratto di multiproprietàmancante di alcuni degli elementi che il codice del consumo impone, il Tribunaledi Bologna ne ha dichiarato la nullità precisando che l’acquirente, inassenza delle necessarie indicazioni, non è posto in grado, mediante l’esamedella modulistica predisposta dalla controparte, di conoscere con esattezzal’oggetto del contratto ed il tenore dell’obbligazione assunta ( 98 ).Rispetto ad un contratto in cui non compaia la menzione del periodo ditempo durante il quale può essere esercitato il diritto nascente dal contrat-( 96 ) Mazzamuto, Brevi note in tema di conservazione o caducazione del contratto in dipendenzadella nullità della clausola abusiva, in questa rivista, 1994, p. 1098.( 97 ) Roppo, <strong>Contratto</strong> di diritto comune, cit., p. 774.( 98 ) Trib. Bologna, 19 gennaio 2009, in Obbligazioni e Contratti, 2009, p. 751.


SAGGI 37to e la data a partire dalla quale l’acquirente può avvalersene, non potrebbeparlarsi – continua il giudice di merito – di determinabilità dell’oggetto, poichéquest’ultima sussiste se ed in quanto le parti si siano accordate ondeprocedere alla sua specificazione e prevedendo i criteri da seguire e le modalitàda osservare a tale fine, non essendo sufficiente il riferimento a circostanzeconcernenti la fase di esecuzione del contratto: ciò infatti – si badi –vanificherebbe la prescrizione concernente la forma scritta, sanzionata con laconseguenza della nullità.Potrebbe obiettarsi che nel caso di specie l’elemento mancante interferiscegià con il requisito dell’oggetto e che quindi alla nullità si sarebbe comunquedovuti giungere per le rassicuranti vie della disciplina generale. Mala pronuncia ha il pregio di evidenziare la forte compenetrazione che tra formaed oggetto si determina; e si tratta, come subito chiariremo, di intuizionerilevante.Che dire infatti di prescrizioni come quelle che impongono nel contrattoscritto di vendita del pacchetto turistico l’indicazione del « tipo di postoassegnato » (art. 86, lettera g, c. cons.) o nel contratto di multiproprietà lecondizioni di utilizzazione del servizio di raccolta rifiuti (art. 71, comma 2°,che richiama il 70 lettera e, c. cons.)?Simili indicazioni, certamente, sporgono rispetto all’area tradizionalmentecoperta dall’oggetto.Ma, di nuovo: come non fare i conti con una, a sua volta mutata, nozionedi oggetto, sempre più coincidente con la descrizione della situazione finale?Anche la disciplina dell’oggetto è interessata da una torsione verso scopilato sensu protettivi « nella misura in cui impone ai contraenti di “descrivere”non solo le prestazioni oggetto del contratto, ma anche talvolta le loromodalità, affinché vi sia – nell’interesse della parte che si reputa espostaa possibili abusi – maggiore certezza di ciò che da essa è dovuto e che ad essasi può chiedere » ( 99 ). E questo oggetto è veicolato da una prescrizione diforma, rispetto alla quale solo il rimedio della nullità dell’intero contrattoevidentemente asseconda, munendola di vestimentum, una generale quantoinedita regola di necessaria determinatezza ( 100 ). La nullità è però rimedioad un vizio di forma e, dunque, sebbene colpisca l’intero contratto, (testualmenteo virtualmente) relativa.Non ci si può nascondere che si tratti di esito carico di controindicazio-( 99 ) E. Gabrielli, Teoria e dogma dell’oggetto del contratto, in Riv. dir. civ., 2004, I, p. 346.( 100 ) Gitti, L’oggetto del contratto e le fonti di determinazione dell’oggetto nei contratti d’<strong>impresa</strong>,in Riv. dir. civ., 2005, I, p. 25; Senigaglia, L’oggetto del contratto tra determinabilità e necessariadeterminatezza, in Contratti, 2005, p. 853 ss.


38 CONTRATTO E IMPRESA 1/2011ni, potenzialmente dannoso per il contraente « protetto »: l’alternativa tra ilprendere o lasciare che la nullità totale (pur relativa) postula, spesso lo condannaal silenzio, privandolo di quella libertà e di quel potere che la normaviolata intendeva assicurargli, mentre l’effetto protettivo, si sostiene, « nonsta in sé nella distruzione del contratto ma nella sua modifica » ( 101 ).Ci si imbatte qui nella contraddizione propria, ed ineliminabile, di unastrategia di regolazione del mercato, e dei rapporti « asimmetrici » che vi sideterminano, mediante strumenti contrattuali; la quale, ove apprezzata alnetto del retorico e spesso fuorviante richiamo al « contraente debole », rivelauna più autentica vocazione alla strutturazione del libero mercato, talorainaspettatamente riducendo all’osso i margini di correzione e/o rinegoziazione( 102 ).4. – (segue) Vincoli di forma con finalità informativa tra nullità e responsabilità:il difficile dialogo tra Sezioni Unite e Corti di meritoLo scenario si fa ancor meno nitido quando la machinery forma/contenuto/informazionetenda ad irrigidire in un vincolo formale taluni profiliche propriamente attengono al flusso di comunicazione trasparente che sivuole intercorra tra professionista e contraente non qualificato.Che la questione abbia una carica assai più dirompente di quanto si pensie sia lontana dal trovare sistemazioni definitive è confermato dalla circostanzaper cui il tanto celebrato punto apposto in proposito dalle SezioniUnite della Cassazione si è rivelato tutt’altro che fermo. A testimoniarlo gliesiti cui giungono ancora i giudici di merito i quali, invece di adeguarsi all’interventonomofilattico del dicembre 2007 ( 103 ), continuano a subire il fascinodella nullità (virtuale).( 101 ) Gentili, Nullità annullabilità inefficacia (nella prospettiva del diritto europeo), inContratti, 2003, p. 205. Sulla possibilità di usi strumentali degli obblighi informativi cfr. Sartori,Autodeterminazione e formazione eteronoma del regolamento negoziale. Il problema dell’effettivitàdelle regole di condotta, in www.ilcaso.it, doc. n. 159/2009.( 102 ) L’idea che vi sia spazio nel nostro ordinamento per un obbligo di rinegoziazione, nelsilenzio della legge discendente dal dovere di buona fede, suscita comprensibili perplessità indottrina e comunque, se appare in principio idonea ad una gestione successiva di profili contenutistici,siano essi normativi o economici, difficilmente si attaglierebbe quale rimedio allamancanza di forma/contenuto/informazione, la cui funzione è peraltro significativamente riferita,dalle scelte normative, al momento genetico del contratto. In materia cfr. Barcellonae Meli, Il mutamento delle circostanze e l’obbligo di rinegoziazione, in Manuale di diritto privatoeuropeo, cit., p. 521 ss.; Macario, Le sopravvenienze, in Tratt. del contratto, cit., V, 2, Rimedi,a cura di Roppo, p. 493 ss.( 103 ) Cass., Sez. un., 19 dicembre 2007, n. 26725, in Corr. giur., 2008, p. 25 ss., con commentodi Mariconda, L’insegnamento delle sezioni unite sulla rilevanza della distinzione tra


SAGGI 39Il Tribunale di Ravenna, dopo aver affermato la – invero non pacifica ( 104 )– riferibilità dell’obbligo di forma scritta (previsto, a pena di nullità dell’art.23, T.U.F., per il « contratto quadro ») anche ai singoli ordini di acquisto, faconseguire la nullità del contratto di investimento dalla mancata segnalazionedell’inadeguatezza dell’operazione, configurando l’obbligo di cui all’art.29 reg. Consob n. 11522 ( 105 ) come requisito di forma a fini di validità e,norme di comportamento e norme di validità; in Contratti, 2008, p. 221 ss., con commento diSangiovanni, Inosservanza delle norme di comportamento: la Cassazione esclude la nullità; inGiust. civ., 2008, I, p. 2785 ss., con nota di Febbrajo, Violazione delle regole di comportamentonell’intermediazione finanziaria e nullità del contratto: la decisione delle sezioni unite; in Giur.comm., 2008, II, p. 612 ss., con nota di Bruno e Rozzi, Le Sezioni Unite sciolgono i dubbi suglieffetti della violazione degli obblighi di informazione; in Danno e resp., 2008, p. 536 ss., con notedi Roppo, La nullità virtuale del contratto dopo la sentenza Rordorf, e Bonaccorsi, Le SezioniUnite e la responsabilità degli intermediari finanziari; in Nuova giur. comm., 2008, I, p. 445 ss.,con nota di Salanitro, Violazione della disciplina dell’intermediazione finanziaria e conseguenzecivilistiche: ratio decidendi e obiter dicta delle sezioni unite; in Foro it., 2008, I, p. 785 ss.,con nota di Scoditti, La violazione delle regole di comportamento dell’intermediario finanziarioe le sezioni unite. Cfr. altresì le osservazioni critiche di Prosperi, Violazione degli obblighi diinformazione nei servizi di investimento e rimedi contrattuali (a proposito di Cass., Sez.un., 19 dicembre2007, nn. 26724 e 26725), in questa rivista, 2008, p. 936 ss. Prende l’avvio dalla decisionecitata per sondare le innervature sistematiche del tema C. Scognamiglio, Regole di validitàe di comportamento: i principi ed i rimedi, in Europa e dir. priv., 2008, p. 599 ss. Cfr. altresì,sulla stessa posizione delle Sez. un, Cass., 25 giugno 2008, n. 17340, in Giur. it., 2009, p. 4, connota di Fiorio, La non adeguatezza delle operazioni di investimento al vaglio della Corte di Cassazione.La sentenza attribuisce alla necessità che l’inadeguatezza sia segnalata per iscritto valenzaprobatoria: l’intermediario non potrà provare per testimoni l’adempimento di tale obbligoinformativo. Ma è interessante notare che, così ricostruito il dovere di segnalare la nonadeguatezza dell’operazione, ne esce sensibilmente ridimensionata la differenza tra nullità eresponsabilità con riferimento alla prova del nesso di causalità. Qualora infatti l’investitore alleghia prova dell’inadempimento la mancata segnalazione scritta della non adeguatezza dell’operazione,non dovrà anche provare il nesso tra inadempimento e danno in quanto la responsabilitàsussiste per la stessa violazione dell’obbligo di astensione (Cass., Sez. un., 19 dicembre2007, n. 26724, in Contratti, 2008, p. 229). Sul punto v. Maffeis, Discipline preventivenei servizi di investimento: le Sezioni Unite e la notte (degli investitori) in cui tutte le vacche sononere, in Contratti, 2008, p. 403.( 104 ) Sul problema della forma degli ordini: La Rocca, La forma degli ‘ordini di borsa’ (aproposito di App. Venezia 19 novembre 2007), in www.ilcaso.it, doc. n. 124/2008; Della Vedova,Sulla forma degli ordini di borsa, in Riv. dir. civ., 2010, 2, p. 161. Per un ampio inquadramentosistematico v. Galgano, I contratti di investimento e gli ordini dell’investitore all’intermediario,in questa rivista, 2005, p. 889.( 105 ) Regolamento Consob n. 11522 del 24 febbraio 1998, art. 29, rubricato « operazioninon adeguate »: 1. Gli intermediari autorizzati si astengono dall’effettuare con o per conto degliinvestitori operazioni non adeguate per tipologia, oggetto, frequenza o dimensione. 2. Aifini di cui al comma 1°, gli intermediari autorizzati tengono conto delle informazioni di cui al-


40 CONTRATTO E IMPRESA 1/2011insieme, norma di carattere imperativo dalla cui violazione non può che derivarela nullità ex art. 1418, comma 1°, c.c. ( 106 ).In altra pronuncia, pure successiva a quella delle Sezioni Unite e puredichiarativa dell’invalidità dell’ordine privo di esplicito riferimento alle avvertenzericevute dall’investitore, la nullità – che la Cassazione, nell’antecedenteimmediato della pronuncia a Sezioni Unite, aveva escluso circoscrivendola rilevanza del vizio all’ambito di applicazione degli articoli 1394 e1395 c.c. ( 107 ) – è così spiegata: « l’art. 29 del regolamento Consob 11522/1998 non ha stabilito una semplice regola di comportamento o responsabilità,ponendo a carico dell’intermediario l’obbligo di informare l’investitoredell’inadeguatezza dell’operazione e delle ragioni che ne sconsigliano l’attuazione,ma ha introdotto una vera e propria regola di validità del contrattodi acquisto dello strumento finanziario, un elemento costitutivo del medesimo»; e poiché « le disposizioni contenute nel T.U.F. e nel suo regolamentoattuativo, essendo poste a tutela di interessi pubblicistici anche dirango costituzionale [. . .] sono norme imperative ai sensi dell’art. 1418,comma 1°, c.c. », la loro violazione non può che dar luogo a nullità( 108 ).Ciò che più rileva, e d’acchito sorprende, nella pronuncia adesso citata èche la soluzione della nullità per contrasto col primo comma dell’art. 1418l’art. 28 e di ogni altra informazione disponibile in relazione ai servizi prestati. 3. Gli intermediariautorizzati, quando ricevono da un investitore disposizioni relative ad una operazionenon adeguata, lo informano di tale circostanza e delle ragioni per cui non è opportuno procederealla sua esecuzione. Qualora l’investitore intenda comunque dare corso all’operazione,gli intermediari autorizzati possono eseguire l’operazione stessa solo sulla base di un ordineimpartito per iscritto ovvero, nel caso di ordini telefonici, registrato su nastro magnetico o sualtro supporto equivalente, in cui sia fatto esplicito riferimento alle avvertenze ricevute. L’obbligoin parola, anche noto come suitability rule, previsto originariamente all’art. 6, comma 3°,reg. Consob. n. 10943/1997, successivamente riprodotto senza modifiche di rilievo all’art. 29,reg. Consob n. 11522/1998, adesso abrogato ad opera del reg. n. 16190/2007 con il quale è stataattuata la dir. Ce. 2004/39/ (MIFID), trova ancora frequente applicazione presso i giudici dimerito chiamati a valutare il rispetto degli obblighi di informazione imposti agli intermediarinella negoziazione degli strumenti finanziari precedenti al novembre 2007. In argomento, cfr.Roppo, Sui contratti del mercato finanziario, prima e dopo la MIFID, in Riv. dir. priv., 2008, p.503 ss.( 106 ) Trib. Ravenna, 12.10.2009, in Nuova giur. civ. comm., 2010, I, p. 456 ss., con nota diGuadagno, Inadeguatezza e nullità virtuale; Trib. Bologna, 2 marzo 2009, in www.ilcaso.it,doc. 1662/2009.( 107 ) Cass., 29 settembre 2005 n. 19024, in Danno e resp., 2006, p. 25, con commento diRoppo e Afferni, Dai contratti finanziari al contratto in genere: punti fermi della Cassazione sunullità virtuale e responsabilità precontrattuale. Sulla rilevanza dei vizi della volontà nel contrattodi investimento: Albanese, Regole di condotta e regole di validità nell’attività d’intermediazionefinanziaria: quale tutela per gli investitori delusi?, in Corr. giur. 2008, p. 107 ss.( 108 ) Trib. Ferrara, 28 gennaio 2010, in www.ilcaso.it, doc. 2051/2010.


SAGGI 41c.c. viene espressamente definita coerente con quelle stesse sentenze dellaCassazione che un simile esito avevano decisamente rifiutato.Coerenza che in effetti si rivela assai meno improbabile di quanto appaiaprima facie. Ed invero, affermare, come fa la Corte di legittimità nella pronunciadel 2005, che « la nullità virtuale ex art. 1418, comma 1°, c.c., operasolo quando la contrarietà a norme imperative riguardi elementi intrinsecidel contratto, e cioè struttura e contenuto del medesimo » e, pertanto, salvoche il legislatore disponga diversamente, « va esclusa quando contrari a normeimperative siano comportamenti tenuti dalle parti nel corso delle trattativeo durante l’esecuzione del contratto » ( 109 ), significa per l’appunto ammettere,a contrario, che la violazione di norme imperative che attengano adelementi di struttura o contenuto – ma, c’è da credere, diversi da quelli chegià figurano al comma 2° dell’art. 1418 c.c., pena un’irragionevole sterilizzazionedel comma 1° – possa dar luogo a nullità (virtuale) del contratto ( 110 ).E ciò senza che ne risulti messo in discussione il principio secondo cui,in difetto di una esplicita previsione normativa, la violazione di doveri dicomportamento attinenti alla informazione del cliente e alla corretta esecuzionedelle operazioni che la legge pone a carico dei soggetti autorizzati innessun caso può determinare la nullità del contratto quadro né dei singoliordini ai sensi del primo comma art. 1418 c.c. ( 111 ). Apatto di ammettere, ovviamente,che le regole di cui si discute non sono regole di comportamento,almeno nella nozione esatta che se ne deve assumere.Poiché infatti tutte le regole giuridiche sono regole di comportamento, etali devono dunque considerarsi anche le cosiddette « regole di validità », èevidente che non è nella sua estensione letterale che l’espressione può essereutilmente impiegata ( 112 ).Si tratta invero del punto centrale della questione. L’equivoco che sta allabase della pronuncia delle Sezioni Unite – ma anche delle conclusioni ditaluni autori – si annida, riteniamo, nell’approccio stesso al tema delle « regoledi comportamento », che si vorrebbero come tali contrapposte alle « regoledi validità »; e che ha come corollario una rigida ed insovvertibile corrispondenzabiunivoca tra (violazione della) regola di comportamento e responsabilitàe (violazione della) regola di validità e nullità, ed una altrettantorigida non comunicabilità fra le due « coppie » che si vorrebbe scolpitanell’impianto codicistico ( 113 ). Il tutto a presidio del generale principio di( 109 ) Cass., 29 settembre 2005, n. 19024, cit.( 110 ) Alessi, I doveri di informazione, cit., p. 440 ss.( 111 ) Cass., 19 dicembre 2007, cit.( 112 ) Così D’Amico, Nullità virtuale-Nullità di protezione (Variazioni sulla nullità), in Contratti,2009, p. 735.( 113 ) Mengoni, Autonomia privata e Costituzione, in Banca, borsa, tit. cred., 1997, I, p. 9:


42 CONTRATTO E IMPRESA 1/2011certezza del diritto che nella delicata materia dell’invalidità degli atti di autonomiainvoca l’applicazione di regole dal contenuto definito e predeterminato( 114 ), rispetto alle quali « si giustifica una costruzione di carattere logico-formale» ( 115 ) in quanto portatrici della essenziale funzione di « garantirela certezza sull’esistenza di fatti giuridici » ( 116 ).Se è questa la ratio, le regole di validità vanno contrapposte non – comeprospettato dalla Suprema Corte, con argomentazione che da questo profilolascia a desiderare – a generiche e non meglio definite « regole di comportamento», ma – specie quando si abbia riguardo alla fase genetica e non venganoin evidenza direttamente le prestazioni dedotte in obbligazione – a regolerispetto alle quali una medesima costruzione di carattere logico-formalenon opera, e non potrebbe operare, perché risultanti dalla concretizzazionedi una clausola generale, come tale non formalizzabile a priori ( 117 ).L’antinomia, « essenziale alla disciplina degli atti del traffico » ( 118 ), èpiuttosto da rintracciare tra regole di validità e regole di buona fede: per« regola di comportamento » dovrà intendersi « regola di mero comportamento», ovverosia regola di correttezza/buona fede o altra regola generaledi (mera) condotta (ragionevolezza, trasparenza, ecc.) ( 119 ). Dalla violazionedelle quali non potrà farsi discendere una conseguenza invalidante, per soddisfarel’esigenza – di ordine « politico », prima ancora che sistematico ( 120 )« In nessun caso comunque, secondo la dogmatica del nostro c.c., la violazione del dovere dibuona fede è causa di invalidità del contratto, ma solo fonte di responsabilità per danni » (corsivonostro).( 114 ) Di Majo, La Nullità, cit., p. 91.( 115 ) Pietrobon, Errore, volontà e affidamento nel negozio giuridico, Padova, 1990, p. 156.( 116 ) Pietrobon, Errore, volontà e affidamento, cit., p. 118. Castronovo, Un contratto perl’Europa. Prefazione all’edizione italiana dei principi di diritto privato europeo dei contratti, ParteI e II, Milano, 2001, XXXIV, nota come far passare il giudizio di invalidità attraverso la violazionedella regola di buona fede « significa spostare la qualificazione dal terreno legislativoa quello giudiziale, con un aggravio sul piano della certezza del rapporto, sicuramente più gravedi quello che la concretizzazione della clausola generale può avere quando sia adoperata infunzione integrativa cioè su un tronco che sussiste a prescindere da essa sicché, per così dire,essa può aggiungere o togliere un ramo, l’albero restando fuori discussione ». Per una diversaautorevole impostazione Galgano, Squilibrio contrattuale e mala fede del contraente forte, inquesta rivista, 1997, p. 423.( 117 ) D’Amico, Regole di validità e regole di comportamento nella formazione del contratto,in Riv. dir. civ., 2002, p. 43.( 118 ) Pietrobon, Errore, volontà e affidamento, cit., VII. Ma v. in proposito le osservazionidi Vettori, Le asimmetrie informative fra regole di validità e regole di responsabilità, in Riv. dir.priv., 2003, p. 241 ss.( 119 ) Così, pressoché testualmente, D’Amico, Nullità virtuale, cit., p. 735.( 120 ) D’Amico, Nullità virtuale, p. 736 (nota 12).


SAGGI 43– di legare il giudizio di invalidità ad un superiore criterio di legalità ( 121 ).La questione si risolve allora nello stabilire se le disposizioni di cui parliamosi collochino fra le regole di mero comportamento, la cui violazionenon può valicare il confine dei rimedi risarcitori, ovvero possano esserequalificate come norme (imperative) la cui violazione può dar luogo allanullità (virtuale) del contratto.Posto infatti che l’esclusione della nullità per violazione di obblighi legali(di informazione nel contratto o di redazione del testo scritto) mai potràessere giustificata – come invece fanno le Sezioni Unite – con « la meraconsiderazione » che detti obblighi « costituiscono delle “regole di comportamento”,e che per questa ragione la loro violazione non può essere sanzionatacon la invalidità del contratto » ( 122 ), è pur vero che non la violazione diqualsivoglia norma imperativa dà luogo a nullità.Due a questo punto i nodi da sciogliere.Rispetto al primo, senza poter indugiare oltre in questa sede ( 123 ), ci paresi possa affermare con una certa sicurezza che le norme impositive di obblighiinformativi (nel contratto), requisiti grafici, specifiche menzioni ecc.non sono regole di buona fede. Non che rispetto ad esse l’interprete si trovi difronte una secca alternativa esistenza/inesistenza, dovendo anche qui compiere,come in qualsiasi attività interpretativa, un’operazione valutativa nonmeramente cognitiva; tuttavia questa si svolgerà sulla base di parametri chelo stesso legislatore ha provveduto a formalizzare massimamente, ex ante.In un clima, peraltro, nel quale si fa piuttosto chiara la spinta verso la stabilizzazionedell’operazione conforme al modello legale e verso la compressionedel potere giudiziale di amministrare clausole generali ( 124 ), e più nettala polarizzazione sul testo « onnicomprensivo » che di per sé esclude unrichiamo a caratteri extratestuali ed extralegali propri del giudizio di buonafede ( 125 ).Norme come quelle prima citate non si risolvono in un generico doveredi diligenza o correttezza, ma indicano minuziosamente criteri, modalità,tempi, luoghi del facere. Non si rivolgono al destinatario dicendo: « comportatidiligentemente »; piuttosto: « (poiché devi comportarti diligentemente)è necessario che tu scriva x, con caratteri y, inserisca la dizione z,( 121 ) D’Amico, Nullità virtuale, p. 736.( 122 ) D’Amico, Nullità virtuale, cit., nota 17.( 123 ) Sia consentito rinviare nuovamente a Modica, Vincoli di forma e disciplina del contratto,cit., p. 119 ss.( 124 ) Mazzamuto, Il problema della forma nei contratti di intermediazione mobiliare, inquesta rivista, 1994, p. 45.( 125 ) Di Majo, Clausole generali e diritto delle obbligazioni, in Riv. crit. dir. priv., 1984, p.542.


44 CONTRATTO E IMPRESA 1/2011ecc. ». Ben lungi dunque dall’integrare una clausola generale quale « formadi fattispecie che descrive con grande generalità un ambito di casi e li consegnaalla valutazione giuridica »; per rispondere invece perfettamente alcriterio della « costruzione casistica » quale « conformazione della fattispecielegale (intesa come complesso dei presupposti che condizionano la disposizionelegislativa di conseguenze giuridiche), tale che descriva i singoligruppi di casi nella loro specifica particolarità » ( 126 ).Alla stregua del percorso ricostruttivo sopra illustrato può dirsi che – esiamo al secondo profilo – almeno in generale, l’esito invalidante apparegiustificato.Perché dalla violazione della norma imperativa possa derivare la nullitàdel contratto è necessario invero – stabilisce il comma primo dell’art. 1418c.c. – che la legge non « disponga diversamente ». Sintagma dal « contenutodilemmatico » ( 127 ), cui assumiamo di attribuire, con molta ed autorevoledottrina, il significato di esclusione della nullità in base alla ratio della normaimperativa violata, vale a dire tutte le volte in cui la nullità appaia soluzioneirragionevole rispetto agli obiettivi perseguiti dalla regola disattesa ( 128 ).Si potrebbe obiettare che delegare all’interprete l’apprezzamento dellacongruenza del rimedio rispetto alle finalità della norma violata significherebbevanificare quella « fuga dai giudici » che abbiamo individuato cometratto caratterizzante la legislazione nuova e che sta a fondamento del processodi formalizzazione delle condotte di cui si è detto.Il rilievo è destinato però quanto meno a ridimensionarsi ove solo si riflettasul tasso di indeterminatezza tipico della clausola di buona fede rispettoal tasso di indeterminatezza tipico delle norme della cui violazione sidiscute.Poiché il potere del giudice è inversamente proporzionale alla determinatezzadelle regole che è chiamato ad applicare, ed anche l’individuazionedella ratio di una norma è tanto meno discrezionale quanto più la stessa èdeterminata; e, ancora, poiché le discipline in commento si caratterizzanoper un alto grado di determinatezza, ci sembra destinato a svanire il timoredi far rientrare dalla finestra ciò che si era cacciato dalla porta.Allora la questione può così riproporsi: è la nullità rimedio congruenterispetto alla ratio dei vincoli formali di nuova generazione?( 126 ) Engisch, Introduzione al pensiero giuridico, Milano, 1970, pp. 192-193, cui si riferisceanche la citazione precedente.( 127 ) Di Majo, La nullità, cit., p. 82.( 128 ) Così Carraro, Il contratto in frode alla legge, Padova, 1949, p. 149 (nota 9); De Nova,Il contratto contrario a norme imperative, cit., p. 440; Villa, Il contratto contrario a norme imperative,cit., p. 78; Passagnoli, Nullità speciali, cit., p. 43; Mantovani, La nullità e il contrattonullo, cit., p. 47.


SAGGI 45Se « forma ad substantiam » non è più mera e generica scrittura ma redazioneper iscritto « qualificata », sottoposta a certe condizioni (predeterminatedal legislatore), torna a prospettarsi l’interrogativo del contratto difettosoin punto di forma, in uno dei tanti profili in cui questa si sostanzi; laquale, però, ha già una risposta nel sistema, nei termini sopra annunciatidell’individuazione del rimedio alla carenza di forma nella nullità (testualeo virtuale).Prescrizioni come quelle di lingua, adozione di determinati caratterigrafici, inserzione di verba solemnia, indicazioni puntuali, sono componentidel più generale vincolo di forma – connotazioni vincolate del vincolo,potrebbe dirsi – e come tali devono essere presidiati, riteniamo, dalla medesimasanzione prevista in generale per il difetto di forma scritta ( 129 ).Il problema dunque non è se la violazione dia luogo a nullità, ma a qualenullità dia luogo la violazione. Quando la regola di controllo dell’autonomiaprivata si proponga di intercettare ed azzerare squilibri di potere contrattualemediante forma, essa necessariamente esige adattamenti del rimedioinvalidante; o meglio: in ragione della mutata sua rilevanza strutturale,la nuova forma reclama a presidiarla regole flessibili, incompatibili con ilparadigma della nullità assoluta.Allorché la forma serve ad incanalare l’autonomia privata secondo moduliprefissati, accompagnando e rafforzando il controllo sul contenuto ecosì presidiando la regolarità (più che della singola fattispecie contrattuale)della contrattazione, i rimedi da riconnettere al suo difetto, non privi diun’attitudine sanzionatoria ma con chiara indole manutentiva, possonospingersi fino a garantire la sopravvivenza del regolamento il quale, pur difettoso,sia ancora utile per uno dei contraenti, salvo sottrarre alla contropartescorretta la disponibilità degli effetti dell’atto « opaco »: il formalismosi atteggia a precondizione dell’esercizio del potere di fissazione del regolamentoche una sola parte detiene, profilandosi dunque come essenzialmenteasimmetrico; e la carenza di forma condizionerà del contratto, piùche la validità, la vincolatività, che sarà a sua volta asimmetrica.5. – L’«effetto utile » e l’ibridazione dei rimedi a presidio del vincolo di formaL’esito ricostruttivo qui prospettato si sviluppa dunque, in sequenza, attraversola: a) contestazione del principio di libertà delle forme; b) accezio-( 129 ) Non a caso la dottrina ha parlato in proposito, efficacemente, di « obblighi legali difattispecie »: Dolmetta, Strutture rimediali per la violazione di « obblighi di fattispecie » da partedi intermediari finanziari (con peculiare riferimento a quelli di informazione e di adeguatezzaoperativa), in www.ilcaso.it, doc. 83/2007, p. 4.


46 CONTRATTO E IMPRESA 1/2011ne pluralistica della forma quale complessiva morfologia dell’atto; c) distrazionedelle (nuove) prescrizioni di forma ad substantiam dal consueto alveodelle norme ordinative; d) collocazione di queste tra le norme imperative;e) conseguente ammissibilità di nullità formali virtuali; f) valorizzazionedella ratio legis ai fini dell’individuazione della relativa disciplina.Percorso argomentativo che, ci pare, si sottragga alla critica di condurread un ingiustificato « sovvertimento dei principi generali » ( 130 ); a patto, ovviamente,che di siffatti principi generali si provi a discorrere alla luce delquadro normativo attuale.Senza addentrarci in uno dei temi più centrali e tormentati del dirittoprivato contemporaneo – e cioè quello della « tenuta » del sistema retto dalcodice civile e del suo rapporto con (eventuali) microsistemi agenti di unostrisciante fenomeno di « decodificazione » – la questione pregiudiziale è ilrapporto che s’intende istituire tra disciplina generale del contratto e disciplinedi settore ( 131 ), pur sempre nella consapevolezza che « la scelta fra l’attribuzionealle norme generali di un ruolo fondamentale o di un ruolo residualedipende da giudizi di valore » ( 132 ), come tali sempre contestabili.Il ragionamento fin qui svolto muove dalla premessa che i settori aventiad oggetto relazioni negoziali connotate da uno squilibrio di potere contrattualefra le parti abbiano dato vita – per l’effetto di mutamenti che spingonoil diritto interno verso l’inserimento entro un ordinamento comunitario,sia pure per successive tappe – ad un corpo normativo sufficientemente( 130 ) Pagliantini, Forma e formalismo, cit., p. 104.( 131 ) Senza alcuna pretesa di completezza: Breccia, Considerazioni sul diritto privato sovranazionalefra modelli interpretativi e regole effettive, in Studi in onore di R. Sacco, Milano,1994, p. 119 ss.; Mengoni, Problemi di integrazione della disciplina dei « contratti del consumatore» nel sistema del c.c., in Studi in onore di Pietro Rescigno, III, Diritto privato, 2. Obbligazionie contratti, Milano, 1998, p. 535 ss.; Lucchini Guastalla, Sul rapporto tra parte generale eparte speciale della disciplina del contratto, in Riv. trim. dir proc. civ., 2004, pp. 379 ss. e 871 ss;Vettori, La disciplina generale del contratto nel tempo presente, in Riv. dir. priv., 2004, p. 313 ss.;Cian, Contratti, contratti commerciali, contratti d’<strong>impresa</strong>, in Riv. dir. civ., 2004, I, p. 849; Oppo,I contratti di <strong>impresa</strong> tra codice civile e legislazione speciale, ivi, p. 50 ss.; Gorgoni, Regole generalie regole speciali nella disciplina del contratto: contributo per una ricostruzione sistematica,Milano, 2005; Castronovo, Diritto privato generale e diritti secondi. La ripresa di un tema, inEuropa e dir. priv., 2006, p. 397 ss.; Patti, I contratti del consumatore nel sistema del diritto civile,ne I mobili confini dell’autonomia privata, Milano, 2005, p. 463 ss.; Tradizione civilistica ecomplessità del sistema. Valutazioni storiche e prospettive della parte generale del contratto, a curadi Macario e Miletti, Milano, 2006; Il diritto europeo dei contratti fra parte generale e normedi settore, a cura di Navarretta, cit.; Diritto civile e diritti speciali. Il problema dell’autonomia dellenormative di settore, a cura di Plaia, Milano 2008.( 132 ) Libertini, Alla ricerca del “diritto privato generale” (appunti per una discussione), inDiritto civile e diritti speciali, cit., p. 271.


SAGGI 47consolidato, nelle premesse e nelle finalità, in grado ormai di esplicitareprincipi generali distinti da quelli desumibili de plano dalla sistematica delcodice e non sempre « figli » di questi, sulla scorta di regole che – in quantocoerenti con gli obiettivi che tale microsistema animano – si prestano a circolare(analogicamente. estensivamente o in via di interpretazione sistematica,qui poco importa) all’interno dell’ambito normativo in cui si sono originate.Sul presupposto che « la forza degli specialismi è data dalla loro capacitàdi fornire risposte concrete ad esigenze di autoregolamentazione dideterminati settori “forti” della vita sociale ed economica » ( 133 ), rispetto aiquali una mera riaffermazione di superiorità di rango del « diritto privatogenerale » è sempre più, sul piano delle risposte, arma spuntata ( 134 ).La prospettiva in cui ci si pone appare ancor più giustificata – e fors’anchenecessitata – quando si discuta di rimedi. Perché massimamente inpunto di rimedi, con la fisiologica scompaginazione dei principi (che si vogliono)generali interferiscono due elementi di non scarsa importanza: l’indifferenzadelle fonti comunitarie per il modello di sanzione, ferma restandol’imprescindibilità dell’esistenza ed efficacia di questa; l’inerzia dellefonti italiane quando si tratti di darvi corpo. Il che solo basterebbe ad incrinarele certezze circa la primazia, in questo ambito, delle categorie note.Il legislatore europeo generalmente tace in punto di rimedi, ed anchecomprensibilmente: in lui non alberga l’idea di « svelare le assonanze tra isistemi rilanciandole come cardine del diritto europeo in fieri; piuttosto, hadi mira precisi obiettivi di riaggiustamento delle regole del mercato ». Èdunque « un legislatore pragmatico che poco si cura delle architetture concettualie dei raccordi con i diversi sistemi giuridici che procede ad armonizzare» ( 135 ), limitandosi a segnalare l’effetto utile da raggiungere e lasciandoagli Stati membri di prescegliere gli strumenti, in principio anchedifferenti, più familiari a ciascuna tradizione ( 136 ). The Member States may( 133 ) Libertini, Alla ricerca del “diritto privato generale”, cit., p. 276,( 134 ) Ma è evidente, senza essere un paradosso, che, ove muti la premessa valutativa, e siassuma (come fa per es. Pagliantini, Forma e formalismo, cit., 46) a canone metodologico diriferimento « lo schema logico diritto privato generale/diritti secondi, nella convinzione chesolo l’intreccio di questi due formanti possa riuscire a dar conto di alcuni dati sistemici imprescindibili:la caratura pervasiva del primo, il non essere generale dei secondi » e si decida conseguentementeche anche la forma del contratto c.d. europeo « è da costruire sulla scorta deiprincipi generali, salvo non ricorrano delle disposizioni speciali [. . .] che ad essi apportino un’espressaeccezione », le conseguenze ricostruttive saranno, internamente coerenti, ma opposte.( 135 ) Mazzamuto, Equivoci e concettualismi nel diritto europeo dei contratti: il dibattito sullavendita dei beni di consumo, in La vendita dei beni di consumo, a cura di Alessi, Milano, 2005,p. 321.( 136 ) Sulla diversità di valori che informa ciascun ordinamento e sul conseguente utilizzo


48 CONTRATTO E IMPRESA 1/2011use any concept of national contract law which fulfils the required objectivethat unfair contract terms should not be binding on the consumer puntualizzavanon a caso il Considerando 54 della proposta di direttiva sui diritti deiconsumatori, nella versione inglese ( 137 ).Anche per questo, quando espliciti, gli indici normativi di originariamatrice comunitaria hanno talvolta delineato soluzioni di primo acchitofuorvianti, almeno per il giurista italiano. Si pensi all’allungamento dei terminiper esercitare lo ius poenitendi a sanzione di una carenza informativa;indicazione che la Corte di giustizia ha poi amplificato affermando, in assenzadi informazione sul diritto di recesso, la recedibilità senza limiti ditempo – fino alla completa esecuzione – perché solo ad un recesso esercitabilesine die può riconoscersi il valore di sanzione immanente allo scopoquando si tratti di presidiare il diritto all’informazione ( 138 ).In effetti, nelle ipotesi in cui la strategia di controllo sull’atto è affidataalla trasmissione del flusso informativo, « pur quando il contratto non simanifesti come immeritevole di tutela, la situazione materiale o lo status incui una parte lo ha stipulato induce l’ordinamento a consentire a tale partedi sciogliere il vincolo, con lo stesso risultato economico che si conseguirebbecon la nullità » ( 139 ).E proprio lungo questa direttrice si evidenzia come a garantire il pienorispetto (e le relative finalità) dei vincoli di forma (ma anche di formazione)del contratto non potranno che essere rimedi volti alla non vincolatività delregolamento, rimessa alla decisione del contraente (che aderisce ad un regolamentoda altri predisposto e che perciò è) protetto ( 140 ).di categorie concettuali spesso assai distanti cfr. Costanza, Spaesamento assiologico, in Europae dir. priv., 2006, p. 77 ss.; Giacobbe, Dimensione territoriale e sistema dei valori nel diritto civile,in Riv. dir. civ., 2006, p. 101 ss.( 137 ) Varata nel 2008 - Bruxelles, 8 ottobre 2008, COM(2008) 614 final - ma ad oggi rimastatale. Il « not be binding » si traduce nella versione italiana, di nuovo non a caso, in « nullità »:« Gli Stati membri possono usare qualsiasi concetto di diritto contrattuale nazionale che soddisfil’obiettivo prescritto della nullità per le clausole abusive per il consumatore ».( 138 ) Alessi, I doveri di informazione, cit., p. 404 ss. Sui « modi di uscita » dal contratto nellalegislazione europea alla luce degli strumenti dell’analisi economica del diritto cfr. Smorto,Autonomia contrattuale e tutela dei consumatori. Una riflessione di analisi economica, in Contratti,2008, p. 730 ss.( 139 ) Castronovo, Un contratto per l’Europa, cit., XXXVI (corsivo nostro). Sui rapporti frarecesso in chiave sanzionatoria e annullabilità, cfr. Cherubini, Tutela del « contraente debole »nella formazione del contratto, Torino, 2005, p. 95 ss.( 140 ) L’idea che la legge possa prevedere delle forme « la cui adozione non condiziona lavalidità del contratto ma la sua vincolatività » è già in Lener, Dalla formazione alla forma deicontratti su valori mobiliari (prime note sul « neoformalismo » negoziale), in Banca borsa, tit.cred., 1990, p. 789 (nota 40).


SAGGI 49Ora, non può disconoscersi quanto si approssimino, in concreto, gli strumentidella recedibilità sine die e della nullità relativa, a testimonianza dellacautela con cui l’interprete dovrà accostarsi al tema, persino senza troppoindulgere alla forza evocativa dei termini, se è vero che la nullità « europea »ben poco disvela ove si parta dalla nullità della nostra tradizione.Non si vuole certo affermarne una piena fungibilità, ma non v’è dubbioche recesso di pentimento impiegato a fini sanzionatori e nullità « di protezione», nell’ottica del legislatore comunitario, raggiungono entrambi, sulpiano pratico, l’effetto utile di rendere non vincolante per l’aderente il contrattonon conforme allo schema legale ( 141 ).Si assiste insomma ad una progressiva ibridazione dei rimedi di cui siavvede ora anche la giurisprudenza di merito.Chiamato a pronunciarsi sulla portata del terzo comma art. 23 T.U.F., ilquale prevede testualmente che le nullità formali del contratto possano esserefatte valere solo dal cliente, il Tribunale di Verona ( 142 ) ragiona in propositodi una forma speciale di annullabilità « rafforzata ». Sulla scorta di argomentiimperniati sul concreto atteggiarsi degli effetti della sanzione, rilevache: l’art. 23, lungi dal negare efficacia al contratto affetto da vizio di forma,ne assicura la piena efficacia, almeno sul versante dell’intermediario,che resta, comunque, vincolato dal contratto nonché assoggettato all’iniziativapotestativa invalidante del cliente; lo stesso articolo esclude il rilievo officiosodella nullità legittimando il solo investitore, senza limiti di tempo exart. 1422 c.c., ad eccepire l’inidoneità giuridica del vincolo invocato dall’intermediario;la eclatante atipicità del rimedio suggerisce un parallelo con laAnfechtung di cui al § 143 BGB ( 143 ), e conduce a ritenere anche nel caso specifico– in aderenza con la natura esplicitamente definita « ibrida » del rimedioin esame – sufficiente la denuntiatio del cliente, sì da esonerarlo dall’azionecostitutiva propria dell’annullamento in senso stretto.Appare allora di tutta evidenza « la difficile sovrapponibilità dell’istitutoin esame alla nullità assoluta codicistica che, come è noto, nega ab origineogni efficacia giuridica al negozio viziato (quod nullum est nullum produciteffectum) e ne consente il rilievo generalizzato da parte di chiunque ne abbiainteresse, nonché quello officioso del giudice, come riaffermazione cogentee “militare” dell’ordinamento sull’autonomia privata ». Emerge per converso– continua il giudice – « la forte affinità della nullità in esame, almenosul piano soggettivo e degli effetti, con l’azione di annullamento di cui all’art.( 141 ) Sui caratteri del recesso di pentimento v. da ultimo Rende, Il recesso comunitario dopol’ultima pronuncia della corte di giustizia, in Riv. dir. civ., 2009, p. 525 ss.( 142 ) Trib. Verona, 17 aprile 2009, in www.ilcaso.it, doc. n. 1839/2009.( 143 ) Su cui, di recente, Girolami, Le nullità di protezione nel sistema delle invalidità negoziali.Per una teoria della moderna nullità relativa, Padova, 2008, p. 150 ss.


50 CONTRATTO E IMPRESA 1/20111441 c.c. lì dove, al pari di quest’ultima (e ben diversamente dalla generalelegittimazione all’azione di nullità: art. 1421 c.c.), conferisce il relativo dirittopotestativo assoluto soltanto a colui nel cui interesse l’annullamento delcontratto è previsto (art. 1441 c.c.) ».Se ne fa discendere una conseguenza di non poco conto: la convalidabilitàdel vizio (di forma, a pena di nullità testuale, relativa) del contratto. Silegge infatti che è proprio la relatività soggettiva del rimedio a consentire ilsuperamento dell’ostacolo dell’art. 1423 c.c. – « più tecnico che teleologico» – come rivelerebbe la formula aperta della norma « il contratto nullonon può essere convalidato, se la legge non dispone diversamente ». Invero,si fa notare, ciò che osta alla convalida del negozio nullo è proprio l’insuperabileincompletezza della platea dei soggetti chiamati di volta in volta adesprimere il consenso, « essendo praticamente impossibile individuare apriori l’area di “chiunque vi abbia interesse” e, in ogni caso, inutile laddovepermanga il potere del rilievo officioso del giudice ».Diversamente in tema di nullità di protezione: in ragione della sua « relativitàassoluta » – così pregnante da escludere persino il controllo giurisdizionaleofficioso – l’individuazione dell’unico soggetto legittimato tanto allaconvalida espressa che a quella tacita mediante esecuzione volontaria delnegozio nella consapevolezza del vizio è immediata, al pari dell’annullabilitàclassica.Nel caso di specie, la circostanza che l’investitore avesse incassato le numerosee fruttuose cedole relative ai titoli acquistati senza lamentare alcunchée senza mostrare perplessità circa l’inadeguatezza dell’investimento,esprimerebbe in modo implicito, ma pur sempre chiaro ed inequivoco, lavolontà di convalidare tacitamente il negozio annullabile ( 144 ).Ne esce ridimensionato il timore talvolta manifestato in dottrina che intravedenella torsione delle categorie un eccesso di tutela a vantaggio delcontraente debole: l’investitore, infatti, cui si riferivano numerose ed ingentioperazioni della più varia natura, « lungi dal denunciare tutti gli acquistieffettuati negli anni e dal qualificare coerentemente come indebito oggettivoogni pagamento effettuato per essi – tutti attuati entro la medesimacornice negoziale viziata – ha invece optato per una selezionata contestazione,circoscrivendola ai soli titoli rivelatisi infruttuosi, fermo il resto ».Ora, « se, da una parte, si può forse convenire sull’equivocità dell’ordinedi acquisto come espressione di validazione consapevole del contratto-quadro“a monte” (l’ordine, di per sé, potrebbe ancora non implicare l’univocavolontà di voler trarre vantaggio, in senso giuridico, dal contratto viziato),dall’altro, la volontà di conservare a tutti gli effetti i titoli fruttuosi e le som-( 144 ) Sulla scorta di Trib. Roma, 5 maggio 2005, in Corr. giur., 2005, p. 1275.


SAGGI 51me di cui alle numerose e proficue cedole incassate pur sapendo della nullitàdel contratto-quadro [. . .] sta inequivocabilmente a significare la simmetricavolontà di giovarsi di quel contratto ».Risulta dunque applicato, sebbene implicitamente, il principio nemo venirecontra factum proprium, attribuendo decisivo rilievo al comportamentoche il contraente ha tenuto in epoca successiva alla conclusione del contratto,utilizzato come argomento (non per negare la legittimazione ad agirema) per ammettere la « validazione consapevole » del contratto-quadro affettoda un vizio di forma previsto a pena di nullità (relativa).Il Tribunale precisa, vale la pena citarlo, che simile conclusione consente,come effetto secondario ma assai rilevante, di evitare « il rischio che l’imprescrittibilitàdella nullità esaminata possa favorire [. . .] strategie “a geometriavariabile” dell’investitore con portafogli differenziati, volte a far valereex post la nullità derivata delle sole operazioni negative o insoddisfacenti».L’escamotage della convalida, in effetti, consente di risolvere (indirettamentema) in radice il problema tecnico della compatibilità fra relativitàdella legittimazione e imprescrittibilità dell’azione, poiché mentre « né l’inerziané la consapevole esecuzione possono integrare una acquiescenza efondare una preclusione soggettiva all’impugnazione » ( 145 ), le stesse possonoinvece, in presenza di determinati indici fattuali, addirittura sanare l’atto.Cosicché il contraente non potrà più azionare la nullità per la sempliceragione che il negozio non è più nullo. E di un negozio valido (convalidato)nessuno può chiedere la nullità, neanche il contraente che era originariamentelegittimato a farlo.Qui dunque non si assiste ad un impiego della clausola di buona fede amo’di filtro della legittimità del concreto interesse ad agire: la fuga, si è detto,prima che dai giudici è dalle clausole generali ( 146 ). E più che fare questionedi exceptio doli generalis ed occuparsi dell’eventuale uso pretestuosodell’azione di nullità ( 147 ), si approda ad un risultato che può apparire tran-( 145 ) Gentili, Le invalidità, in I contratti in generale, II, nel Tratt. dei contratti, diretto daRescigno, Torino, 1999, p. 1347.( 146 ) Incisivamente De Nova, I contratti di oggi, cit., p. 458: « dettare norme uniformi.Questo è in effetti ciò di cui si ha oggi bisogno, di fronte ad una prassi contrattuale uniformee tendenzialmente completa. Non, sia chiaro, affermare generici principi, come quello dibuona fede ».( 147 ) Pagliantini, Forma e formalismo, cit., p. 33. Nello stesso senso Gentili, Nullità annullabilitàinefficacia, cit., p. 205: « la prima protezione del consumatore è un mercato efficientee la nullità vi cospira », mentre ciò che davvero servirebbe è un’operatività il più possibilelimitata quanto alla estensione oggettiva ed una legittimazione assoluta assistita da unvaglio serio del concreto interesse ad agire.


52 CONTRATTO E IMPRESA 1/2011chant (ma neanche troppo) e che però ha il pregio di un pragmatismo pursempre orientato dai « criteri di coerente tutela dei beni giuridici fondamentalicoinvolti » nella problematica in esame ( 148 ).Certo, alla luce della dialettica diritto primo/diritti secondi, non puònon condividersi il rilievo che, a forza di coniugare relatività e sanabilità,della nullità non resterebbe nient’altro che il nomen e « più nulla del suomeccanismo operativo; che finirebbe per coincidere in tutto o in parte conquello della annullabilità » ( 149 ).Ma che siamo fuori da quella logica è confermato dalla circostanza percui lo scivolamento verso l’annullabilità – almeno quella a noi familiare - èsolo apparente, laddove invece, si osserva opportunamente, è stato proprioil diritto europeo dei contratti ad « eliminare l’annullabilità », che è rimediotipicamente posto a salvaguardia della « autenticità e razionalità individualedella scelta contrattuale » e pertanto inadeguato quando, come nel caso dispecie, si vuole rimediare a fenomeni di carattere seriale, quali la distorsionedella concorrenza e le asimmetrie informative, delineando soluzioniispirate « alla razionalità ed all’efficienza del mercato » ( 150 ).In gioco è la gestione di asimmetrie di potere « fisiologiche », vale a direrisultanti dalle « obiettive posizioni di mercato occupate dall’una e rispettivamentedall’altra parte del contratto », in termini, dunque, « non individualizzati,ma piuttosto standardizzati per intere classi di contraenti »; inappropriatiappaiono pertanto i richiami a strumenti tipicamente volti a governareun’asimmetria « patologica », quella, per intenderci, che intervienefra soggetti originariamente pari la cui relazione si è per accidente incrinata:l’errante, l’ingannato, il minacciato sono « patologicamente » deboli difronte alla controparte ed invocano rimedi pensati per fallimenti della singolarelazione negoziale ( 151 ). Rimedi che necessariamente attribuiscono algiudice un potere che le norme in materia di forma adesso gli vogliono sottrarrepropendendo per quella nullità che ha invece il pregio di « auto-applicarsi» ( 152 ). Ed è appena il caso di rimarcare che relatività e sanabilità ripropongonodell’annullabilità solo profili di flessibilità a beneficio di colui nelcui interesse è posto il rimedio; ma troppo poco per mimare di essa anche lalogica individualizzante dei presupposti e della verifica giudiziale, dallaquale la nullità di protezione si vuole tenere assai lontana.( 148 ) Libertini, Alla ricerca del “diritto privato generale”, cit., p. 273.( 149 ) Gentili, Le invalidità, cit., p. 1373.( 150 ) Gentili, Nullità, annullabilità, inefficacia, cit., p. 201, il quale però giunge a conclusioniopposte rispetto a quelle qui sostenute.( 151 ) Roppo, Parte generale del contratto, cit., nota 35.( 152 ) Irti, L’ordine giuridico del mercato, cit., p. 52.


SAGGI 53Vero è che una moltiplicazione delle cause di nullità restituisce un negoziocomplessivamente più vulnerabile, con possibili insidiose refluenzesulla certezza dei traffici; ma è vero altresì che si tratterebbe comunque diuna vulnerabilità « a metà », in grado di assolvere anche una funzione latamentesanzionatoria nei confronti del predisponente, espropriato della possibilitàdi caducare il contratto in presenza di un vizio di forma ( 153 ): rispettoal vizio formale soltanto – la cui genesi non può che collocarsi nella fase dipredisposizione dei documenti contrattuali e dunque ascriversi al soggetto« forte » del rapporto – il problema della selezione all’ingresso dei concretiinteressi all’esperimento dell’azione si ritiene risolto a monte.L’interprete è semmai costretto a fare i conti con un fenomeno di progressivafungibilità e ibridazione dei rimedi, rispetto al quale non sempre glisoccorre l’armamentario delle categorie note; più feconda profilandosi l’interpretazioneteleologica delle norme, come assecondata, se non addiritturaimposta, dal modello dell’effetto utile.Non sorprende che « gestore » più adeguato di questa trasformazione siriveli il giudice di merito, dal quale provengono aperture non sempre controllatema certo di sicuro interesse nella prospettiva qui accolta. Si pensi alconsistente recupero del discorso in tema di « nullità sopravvenuta » (a propositodi ordini eseguiti sotto il vigore di una data disciplina ma originatisida un contratto quadro stipulato sotto il vigore di diversa disciplina, di nuovocon riferimento al problema dei requisiti formali) ( 154 ), alla quale fino apochi anni fa la giurisprudenza non riservava grande favore assumendola incontrasto con la concezione (tradizionale) che vuole la nullità – in quantovulnus della fattispecie – necessariamente originaria ( 155 ).6. – Qualche notazione conclusivaIl quadro è certo ben lontano dal potersi considerare definito: « le lacunesono tuttora troppo numerose; e massima è l’incertezza nella pratica » ( 156 ).Soprattutto ove si ponga mente alla circostanza che completamente svuotatodi senso si rivela qui il brocardo ubi lex voluit dixit, ubi noluit tacuit: il silenzionon ha un significato decisivo né quando provenga dalle fonti sovra-( 153 ) In questo senso Putti, La nullità parziale. Diritto interno e diritto comunitario, Napoli,2002, p. 308.( 154 ) Trib. Ferrara, 28 gennaio 2010, cit.; Trib. Saluzzo, 28 aprile 2009, in www.ilcaso.it,doc. n. 1729/2009; Trib. Parma 3 aprile 2008, ivi, doc. 1193/2008.( 155 ) Di Majo, La nullità, cit., p. 98; Monticelli, La recuperabilità del contratto nullo, inNot., 2009, p. 180 ss.( 156 ) Breccia, La forma, cit., p. 541.


54 CONTRATTO E IMPRESA 1/2011nazionali, né quando appartenga al legislatore italiano. Il quale, limitandosia recepire telle quelle la normativa europea, disattende ad una invece immancabileopera di adeguamento alle coordinate interne; inerzia che pareancor più inaccettabile quando in altre materie e a fini ben differenti, cheforse non casualmente hanno scopi del tutto diversi da quelli protettivi, lostesso si premuri di indicare, e puntualmente, l’apparato sanzionatorio dariconnettere al difetto ( 157 ).Anche per questo il formalismo informativo cela ben più di una contraddizione.Amonte, è però la suggestiva idea che si possa, insieme, proteggere isoggetti deboli e garantire il libero gioco della concorrenza per il tramite delcontratto (ciò che in sostanza aspira a fare il legislatore comunitario troppoconfidando, fin qui, sulla razionalità dell’homo oeconomicus), a rivelarsi chimericase non addirittura controproducente ( 158 ): la vicenda della formacontenuto,con la divaricazione tra indicazioni di (micro)sistema ed effettivitàdelle tutele, lo testimonia.Di « vanità » del consumerismo si discute ( 159 ) anche a voler segnalare,condivisibilmente, l’impossibilità di fornire risposte forti in termini di (autentica)protezione mediante l’esclusivo impiego di strumenti giusprivatistici,specie contrattuali ( 160 ).Rinunciando a volervi scorgere a tutti i costi effetti protettivi che spessonon è in grado di assicurare, il cosiddetto neoformalismo – che è tecnica digoverno del mercato interferente piuttosto con le condotte dei soggetti forti,di cui uniforma le offerte assoggettandole a preventivo controllo – tem-( 157 ) Cfr. art. 29, comma 1° bis, della l. 27 febbraio 1985 n. 52, introdotto dall’art. 19, comma14°, del d.l. 31 maggio 2010, n. 78, come risultante dalla l. di conversione 30 luglio 2010, n.122: « Gli atti pubblici e le scritture private autenticate tra vivi aventi ad oggetto il trasferimento,la costituzione o lo scioglimento di comunione di diritti reali su fabbricati già esistentidevono contenere, per le unità immobiliari urbane, a pena di nullità, oltre all’identificazionecatastale, il riferimento alle planimetrie depositate in catasto e la dichiarazione, resa in attidagli intestatari, della conformità allo stato di fatto dei dati catastali e delle planimetrie. Primadella stipula dei predetti atti il notaio individua gli intestatari catastali e verifica la loroconformità con le risultanze dei registri immobiliari ».( 158 ) Breccia, La forma, cit., p. 541.( 159 ) Rudden, Le juste et l’inefficace; pour un non devoir de renseignement, in Rev. trim. dir.civ., 1985, p. 91.( 160 ) Ove solo si consideri che « qualsiasi informazione che si debba dare, lungi dal ricondursiad essere una mera trasparenza, riassume in sé del lavoro e delle spese che hanno un costo.Sarebbe ingenuo immaginare che i produttori sopporteranno questo surplus di impegnisenza reagire. Ne incorporeranno la stima nel prezzo di vendita, e gli acquirenti pagherannosin dalla formazione del contratto il miglioramento del servizio eventualmente atteso al momentodell’esecuzione »: Carbonnier, Flessibile diritto, trad. it., Milano, 1997, p. 131.


SAGGI 55pera il suo potenziale rigore nell’incontro con rimedi la cui attitudine distruttivaè forzosamente contenuta. Pur nel parziale silenzio delle norme,infatti, la nuova forma esibisce propri tratti distintivi che – oltre ad impedirnela riconduzione ai canoni consueti del formalismo quale requisito dellafattispecie – ne fanno significativo banco di prova dell’approccio rimedialeproprio del « diritto privato europeo » ( 161 ).Non a caso è il panorama giurisprudenziale in tema di forma (rectius forme),fra incertezze e incongruenze (e con qualche fuga in avanti), a farsi oggivivace laboratorio della nullità speciale.Lara Modica( 161 ) Castronovo e Mazzamuto, L’idea, in Manuale di diritto privato europeo, cit., p. 11 ss.


La natura contrattuale dei verbali di conciliazione giudizialee la loro impugnabilità per illiceità della causa in concreto1. – Il verbale di conciliazione ex art. 185 c.p.c. e la sua natura contrattualeSpesso succede che nel corso di un procedimento le parti si mettano d’accordoper definire bonariamente la lite con conciliazione giudiziale ai sensidell’art. 185 c.p.c. ( 1 ). Al riguardo viene redatto processo verbale della convenzioneconclusa in via conciliativa ( 2 ), che costituisce titolo esecutivo ( 3 ).Il predetto verbale di conciliazione giudiziale ( 4 ), ancorché sottoscritto( 1 ) Ai sensi degli artt. 126, 130, 185 c.p.c. e 88 disp. att. c.p.c. è sottoscritto dalle parti, dalgiudice e dal cancelliere. La Suprema corte ha precisato che “la conciliazione giudiziale è attoche esula dai poteri del difensore (salvo espresso conferimento del potere medesimo) e, incidendodirettamente sul diritto controverso, può validamente essere compiuto dalla parte senzail ministero del difensore stesso; ne consegue che il verbale di conciliazione è valido ed efficaceanche quando non sia sottoscritto dal difensore, né questi abbia partecipato all’udienzanella quale le parti si sono conciliate” (Cass., sez. II, 18 settembre 2009, n. 20236), e che“l’ordinanza di cancellazione della causa dal ruolo, che sia stata resa per effetto di conciliazionedelle parti e redazione del relativo processo verbale a norma dell’art. 185 c.p.c., non osta,qualora la conciliazione medesima risulti invalida ed inefficace per difetto dei requisiti di legge(nella specie: in quanto intervenuta con il difensore privo di specifica procura), a che il processovenga riassunto e proseguito su istanza dell’interessato, stante la revocabilità della suddettaordinanza, specie in carenza dei presupposti” (Cass., 9 luglio 1984, n. 3985).( 2 ) Cfr. Cass., sez. II, 22 giugno 2004, n. 11571, la quale ha statuito che “il verbale di conciliazionegiudiziale contiene una convenzione tra le parti di giudizio, da interpretarsi sullabase della volontà dalle medesime espressa nelle pattuizioni ivi consacrate e di cui esso costituisceprova documentale”.( 3 ) Cfr. Cass., sez. III, 18 aprile 2003, n. 6288, la quale ha statuito che “poiché la redazionedi un verbale separato da quello di udienza, prevista dall’art. 88 disp. att. c.p.c. non è requisitodi validità dell’atto, la conciliazione giudiziale, che produce per effetto dell’accordo delleparti effetti sostanziali e processuali, costituisce, in presenza dei requisiti di legge, titolo esecutivoex art. 474 c.p.c., anche se sia inserita nel verbale d’udienza”. A riguardo è bene segnalareche il verbale di conciliazione giudiziale, pur essendo titolo esecutivo ai sensi dell’art. 185c.p.c., idoneo all’esecuzione per le obbligazioni pecuniarie, alla esecuzione specifica ai sensidell’art. 2932 c.c. e alla esecuzione per consegna e rilascio, non legittima alla esecuzione forzatadegli obblighi di fare e di non fare, poiché l’art. 612 c.p.c. menziona quale unico titolo validoper l’esecuzione la sentenza di condanna (dovendosi intendere estensivamente con taleespressione ogni provvedimento giudiziale di condanna), in considerazione della esigenza diun previo accertamento della fungibilità e quindi della coercibilità dell’obbligo di fare o dinon fare (Cass., sez. III, 13 gennaio 1997, n. 258).( 4 ) In dottrina si è sostenuto che per effetto del nuovo art. 474, n. 1, c.p.c., che ha equiparatogli “altri atti” alle sentenze, i verbali di conciliazione dovrebbero essere ritenuti titoli esecutivigiudiziali: cfr. M. Acone, Titolo esecutivo, in Il processo civile di riforma in riforma, Mila-


DIBATTITI 57alla presenza del giudice, ha natura contrattuale ( 5 ) e, pertanto, il titolo esecutivoin questione potrebbe essere impugnato sia con l’azione di nullità ( 6 )sia con gli altri rimedi civilistici, mediante opposizione di merito all’esecuzioneai sensi dell’art. 615 c.p.c. ( 7 ), con richiesta, nei casi urgenti, di sospensionedell’efficacia esecutiva del titolo, ai sensi dell’art. 615, comma 1°,c.p.c. ( 8 ), ovvero del processo esecutivo, ai sensi dell’art. 624 c.p.c. ( 9 ).2. – La consolidata regola di validità coniata dalla Cassazione in merito alletransazioni in materia di locazioneLa giurisprudenza della S.C. ha da tempo consolidato il principio di di-no, 2006, p. 3; Arieta-De Santis, L’esecuzione forzata, vol. III, tomo II, in Trattato di dirittoprocessuale civile, diretto da Montesano e Arieta, Padova, 2007, p. 62. Questa equiparazioneformale ai fini della qualifica di titolo esecutivo ai verbali di conciliazione, non può certamentecomportare una equiparazione sostanziale con la sentenza, dato che il compito e ilruolo del giudice ai fini della redazione del verbale di conciliazione è ben diverso rispetto alcompito e al ruolo che svolge il giudice ai fini della redazione della sentenza. Il giudice, infatti,non esercita e non potrebbe esercitare in via preventiva e d’ufficio un accertamento ed uncontrollo di merito sulle volontà delle parti riportate nel verbale di conciliazione, che rimanesostanzialmente un contratto liberamente impugnabile. Il contenuto del verbale non può ritenersi“giudicato” dal giudice e pertanto ad esso non possono essere applicati i limiti che generalmentevengono ricollegati alla sentenza quale titolo esecutivo giudiziale. La Cassazioneha, infatti, statuito che “il potere di cognizione del giudice dell’opposizione all’esecuzione èlimitato all’accertamento della portata esecutiva del titolo posto a fondamento dell’esecuzionestessa, mentre le eventuali ragioni di merito incidenti sulla formazione del titolo devonoessere fatte valere unicamente tramite l’impugnazione della sentenza che costituisce il titolomedesimo” (Cass., sez. III, 7 ottobre 2008, n. 24752). Nel caso del verbale di conciliazione,dunque, le eventuali ragioni di merito incidenti sulla formazione del titolo si possono fare valerecon l’opposizione di merito all’esecuzione, dato che nessun giudizio di appello potrebbeesperirsi avverso al verbale di conciliazione.( 5 ) Cfr. Cass., 29 aprile 1993, n. 5032; Cass., 18 luglio 1987, n. 6333; Franzoni, La transazione,Padova, 2001, p. 454 ss.( 6 ) Cfr. Trib. Napoli, 28 giugno 1996, in Arch. locazioni, 1996, 940, che correttamente ritenutonulle le pattuizioni, contenute in un verbale di conciliazione giudiziale, con le quali leparti avevano determinato non solo la durata del contratto di locazione in violazione del principiodella durata minima legale di cui alla legge n. 392/1978, ma anche la pattuizione con laquale il locatore si era fatto attribuire dei vantaggi in contrasto con le disposizioni della leggen. 392/78.( 7 ) Cfr. Mandrioli, Diritto processuale civile, I, Torino, 2002, p. 31; ID., Diritto processualecivile, III, Torino, 2002, p. 154; Massetani, Considerazioni schematiche sulle impugnativecontrattuali, in Riv. dir. civ., 1992, p. 320; Arieta-De Santis, L’esecuzione forzata, vol. III, tomoII, cit., p. 1641.( 8 ) Cfr. Arieta-De Santis, L’esecuzione forzata, vol. III, tomo II, cit., p. 261.( 9 ) Cfr. Arieta-De Santis, L’esecuzione forzata, vol. III, tomo II, cit., p. 1548.


58 CONTRATTO E IMPRESA 1/2011ritto secondo cui le parti di un contratto di locazione possono definire transattivamentela lite tra loro pendente relativa all’ammontare del canone ealla durata del rapporto, convenendo una differente scadenza per il rilasciodell’immobile e un diverso maggiore corrispettivo per il suo godimento, e latransazione cosi conclusa, rimanendo irrilevanti i motivi e gli interessi sottesial raggiungimento di tale accordo sopravvenuto, non è nulla per contrarietàal disposto dell’art. 79 l. n. 392 del 1978 (ancora in vigore limitatamentealle locazioni non abitative per effetto dell’art. 14, 4° comma, l. n. 431 del1998), poiché tale norma, volta ad evitare l’elusione dei diritti del conduttorea mezzo di rinuncia preventiva ad essi, non esclude la possibilità di disporredei diritti stessi, una volta che i medesimi siano già sorti e dunque giàacquisiti in capo al disponente ( 10 ).La Cassazione ha altresì precisato che il nuovo rapporto che si viene adinstaurare per effetto dell’accordo transattivo, ancorché di natura locatizia,trova la sua inderogabile regolamentazione nell’accordo medesimo, restandosottratto alla speciale disciplina che regola la materia delle locazioni, tracui la l. n. 392 del 1978. La transazione così conclusa non è nulla per contrarietàal disposto dell’art. 79 l. cit., poiché tale norma, volta ad evitare l’elusionedei diritti del conduttore a mezzo di rinuncia preventiva ad essi, nonesclude la possibilità di disporre dei diritti stessi, una volta che i medesimisiano stati già acquisiti. In applicazione dell’enunciato principio, la S.C. hacassato la sentenza impugnata e, decidendo nel merito, ha rigettato la domandadi riscatto proposta ritenendo che dalla data della stipulata transazioneil contratto di locazione, relativo ad un immobile adibito a negozio, siera estinto e che il rapporto era ormai regolato dall’accordo transattivo che( 10 ) Cfr. Cass., sez. III, 9 novembre 2006, n. 23910, Pres. Varrone, Est. Fico; Cass., sez. III,9 giugno 2003, n. 9197, Pres. Fiduccia, Est. Lupo; Cass., sez. III, 21 luglio 2003, n. 11323, Pres.Fiduccia, Est. Limongelli, in Giur. it., 2004, 1613, la quale ha statuito che “è nulla la transazioneconclusa anteriormente alla prima scadenza del contratto di locazione, con la quale il conduttorerinunzi al diritto alla rinnovazione dopo la prima scadenza, in quanto configura unapattuizione preventiva volta a limitare la durata legale del contratto stesso” e che “la sanzionedi nullità prevista dall’art. 79 l. n. 392 del 1978, per le pattuizioni dirette a limitare la durata legaledel contratto di locazione o ad attribuire al locatore un canone maggiore di quello dovutoo altro vantaggio in contrasto con le disposizioni della legge sull’equo canone, si riferiscesolo alle clausole del contratto di locazione e non può essere estesa, pertanto, agli accorditransattivi conclusi dal conduttore, che già si trovi nel possesso del bene, per regolare gli effettidi fatti verificatisi nel corso del rapporto e che, perciò, incidono su situazioni giuridichepatrimoniali già sorte e disponibili (in applicazione di tale principio la corte ha cassato la sentenzaimpugnata, in quanto la conduttrice aveva rinunciato non solo validamente alla prosecuzionedel rapporto locativo novennale ancora in corso al momento della transazione maanche al diritto alla rinnovazione, dopo la prima scadenza, del nuovo costituendo rapporto locativo)”.


DIBATTITI 59non prevedeva alcun diritto di prelazione in favore della conduttrice in casodi vendita dell’immobile ( 11 ).Va subito segnalato che la S.C., per ovviare ad alcune elusioni del dirittodi prelazione, ha comunque statuito che la circostanza che la vendita dell’immobileal terzo sia stata perfezionata dopo la cessazione de iure del contrattodi locazione non esclude la configurabilità del diritto di riscatto, aisensi dell’art. 39 l. 392/78, in capo al conduttore che non abbia ricevuto dallocatore la denuntiatio prevista dal precedente art. 38, qualora il trasferimentodella proprietà sia avvenuto in esecuzione di un contratto preliminarestipulato prima della scadenza della locazione ( 12 ).I suddetti principi, a ben vedere, vanno coordinati con la massima consolidatasecondo cui la transazione, pur modificando la fonte del rapportoobbligatorio preesistente, non ne determina necessariamente l’estinzione,potendo configurarsi tanto in forma novativa, quanto non novativa, e con laprima soltanto delle quali creando le parti un nuovo vincolo giuridico, incompatibilecon quello preesistente e direttamente scaturito dalla novazionecosì realizzata, di talché soltanto la transazione novativa, ove una delleparti non adempia gli obblighi assunti, può essere legittimamente risoltaentro i limiti di cui all’art. 1976 c.c. ( 13 ).( 11 ) Cfr. Cass., sez. III, 25 febbraio 2008, n. 4714, Pres. Preden, Rel. Lanzillo, in Foro it., 2008,I, 1090, in Arch. Locazioni, 2008, 364; Cass., sez. III, 14 novembre 1995, n. 11806, Pres. Romagnoli,Est. Duva, in Contratti, 1996, 261, con nota di Benetti, la quale ha statuito che “l’accordocon cui le parti di un contratto di locazione definiscono transattivamente le liti giudiziarie fra loropendenti circa la durata del rapporto e l’ammontare del canone, stabilendo una determinatascadenza per il rilascio dell’immobile ed un corrispettivo per il suo ulteriore godimento, trova lasua inderogabile regolamentazione nei patti del negozio transattivo e, in via analogica, nellanormativa generale delle locazioni urbane, ma si sottrae - data la sua genesi e l’unicità della causache avvince il complesso rapporto - alla speciale disciplina giuridica che regola la materia dellelocazioni (leggi di proroga legale, legge c.d. dell’equo canone e successive modificazioni); peraltroil precedente rapporto (convenzionalmente estinto alla data della transazione) resta regolatodallo stesso negozio transattivo e, in mancanza di patti contrari, dalla normativa ordinariae speciale previgenti”; Cass., sez. III, 26 marzo 1991, n. 3270, Pres. Quaglione, Est. Duva, inArch. locazioni, 1991, 537, in Corriere giur., 1991, 897, con nota di D’Ascola.( 12 ) Cfr. Cass., sez. III, 29 febbraio 2008, n. 5502, Pres. Vittoria, Est. Mazza, in Foro it.,2008, I, 1089, in Nuova giur. civ. comm., 2008, I, 1184, con nota di Toresini, la quale ha altresìprecisato che “in tema di locazione di immobile ad uso diverso dall’abitazione, non è configurabileil diritto di prelazione del conduttore, ai sensi dell’art. 38 l. 392/78, allorché oggettodella vendita non sia l’immobile locato singolarmente considerato, ma un complesso di beniche, pur suscettibili di separata alienazione, presentino, in relazione alla loro prevista utilizzazione,un nesso strutturale e funzionale unificante, l’accertamento della cui sussistenzaspetta al giudice del merito ed è insindacabile in sede di legittimità, se condotto con logica valutazionedegli elementi emergenti dagli atti”.( 13 ) Cfr. Cass., sez. III, 29 aprile 2005, n. 8983, Pres. Fiduccia, Est. Di Nanni, in Giust. civ.,


60 CONTRATTO E IMPRESA 1/20113. – Le immunità create dalla giurisprudenza e le facili frodi alla legge 27 luglio1978, n. 392I principi di diritto sopra richiamati possono creare delle irragionevoliimmunità, con facili frodi alla legge 27 luglio 1978, n. 392. In particolare leparti, alla scadenza del contratto, ma in data anteriore all’effettivo rilasciodell’immobile locato ad esempio ad uso albergo, invece di redigere un nuovocontratto di locazione, con l’osservanza delle disposizioni imperative dicui alla legge 27 luglio 1978, n. 392, potrebbero convenire in via conciliativae/o transattiva di definire la lite di sfratto per finita locazione tra loro pendente,relativa alla durata o ad altri aspetti del rapporto, alle seguenti condizioni:1) il proprietario locatore concede di prorogare al conduttore la datadel rilascio dell’immobile dal 31 dicembre 2010 (data prevista nel contrattodi locazione scaduto) al 31 dicembre 2015; 2) il conduttore, a sua volta, concedeal proprietario locatore il pagamento di un maggiore importo (da Euro1.350,00, previsto nel contratto di locazione scaduto, ad Euro 4.000,00) a titolodi canone durante il periodo di proroga del rilascio; 3) le parti prevedonoche l’indennità di avviamento dovuta al conduttore all’atto del rilascio al31 dicembre 2015, sarà calcolata non già, come prevede l’art. 34 l. 392/78, facendoriferimento all’ultimo canone convenuto con il verbale di conciliazionedi Euro 4.000,00, bensì facendo riferimento al canone di Euro1.350,00 di cui al precedente contratto di locazione scaduto; 4) per quantonon espressamente convenuto nel verbale di conciliazione, le parti fanno riferimentoal contratto di locazione scaduto.La suddetta conciliazione e/o transazione, alla luce dei principi di dirittoenunciato dalla Cassazione, potrebbe erroneamente considerarsi valida,nonostante la stessa transazione e/o conciliazione costituisca, in violazionedell’art. 1344 c.c., il mezzo per eludere l’applicazione delle norme imperativedi cui alla legge 27 luglio 1978, n. 392.2006, I, 133, la quale in motivazione enuncia che “nel sistema vigente la transazione è il confinepiù avanzato dell’espressione dell’autonomia privata: il contenuto della transazione, infatti,può essere non solo quello di eliminare una lite (art. 1965, primo comma, cod. civ.), maanche quello di costituire, modificare o estinguere rapporti diversi da quello che ha formatooggetto della pretesa o della contestazione (secondo comma della norma). Secondo la norma,il contratto di transazione, quindi, può avere un doppio effetto: preclusivo, determinato dallacomposizione della lite mediante reciproche concessioni, e creativo di vicende attinenti ad altrirapporti. In altre parole, vi può essere una transazione non novativa e una transazione novativa.La novazione presa in considerazione dall’art. 1976 cod. civ. è quella novativa. In essale parti creano un nuovo rapporto, che non può coesistere con quello precedente, oggetto dellalite, con il quale quello intercorso precedentemente tra le parti è rinnovato e le obbligazioniche vi sono indicate nascono dalla novazione: in questi termini generali, già Cass., 1° agosto2002, n. 11439; Cass., 9 dicembre 1996, n. 10937; Cass., 12 maggio 1994, n. 4647”.


DIBATTITI 614. – (segue) Nullità del verbale di conciliazione e/o della transazione per frodealla legge 27 luglio 1978, n. 392, e per mancanza di causa in concretoAnche a volere attribuire al verbale di conciliazione in questione la naturadi contratto di transazione, essendosi le parti limitate a “prorogare ladata di rilascio con la rideterminazione del canone di locazione per l’ulterioregodimento”, tale transazione è comunque nulla, per illiceità della causa,costituendo il mezzo per eludere l’applicazione delle norme imperativedi cui agli artt. 27, 32 e 79 l. n. 392/78 (art. 1344 c.c.). Se è vero che il conduttore,dopo la scadenza del contratto di locazione, avvenuta il 31 dicembre2010, avrebbero potuto disporre dei diritti acquisiti, stabilendo la data di rilascioed il corrispettivo per l’ulteriore godimento, senza per questo violareil disposto dell’art. 79 l. n. 392/78 ( 14 ), è altrettanto vero che, attraverso lementite spoglie di una apparente “proroga della data del rilascio”, si è di fattorealmente prorogato il termine finale del contratto scaduto, o più semplicementesi è costituito un nuovo duraturo rapporto di locazione, analogo alprecedente, in violazione sia della norma imperativa relativa alla durata minimadi cui all’art. 27, comma 3°, l. 392/1978, sia della norma imperativa relativaall’aggiornamento del canone di cui all’art. 32 l. 392/1978 ( 15 ). La proprietariadell’immobile, infatti, dopo la scadenza dell’originario contratto,per evitare di concludere un nuovo contratto di locazione con il precedenteconduttore, con l’obbligo di osservare le norme imperative sulla durata minima,potrebbe stipulare un contratto di transazione e/o verbale di conciliazioneavente ad oggetto la semplice proroga della data di rilascio dell’immobileed il corrispettivo per il suo ulteriore godimento, ma tale data potrebbeessere fissata non già in un ragionevole e limitato lasso di tempo, comeè naturale che sia, trattandosi di una mera proroga del rilascio ( 16 ), bensìin un lunghissimo lasso di tempo di ben cinque anni (dal 31 dicembre 2010al 31 dicembre 2015), che con tutta evidenza rappresenta, nelle locazioni diimmobili adibiti ad attività alberghiera, più della metà del termine legale di( 14 ) Cfr. Cass., sez. III, 25 febbraio 2008, n. 4714, Pres. Preden, Rel. Lanzillo, in Foro it.,2008, I, 1090, in Arch. Locazioni, 2008, 364; Cass., sez. III, 9 novembre 2006, n. 23910, Pres.Varrone, Est. Fico; Cass., sez. III, 9 giugno 2003, n. 9197, Pres. Fiduccia, Est. Lupo; Cass., sez.III, 21 luglio 2003, n. 11323, Pres. Fiduccia, Est. Limongelli, in Giur. it., 2004, 1613; Cass., sez.III, 14 novembre 1995, n. 11806, Pres. Romagnoli, Est. Duva, in Contratti, 1996, 261, con notadi Benetti.( 15 ) Cfr. Cass., sez. III, 27 luglio 2001, n. 10286, Pres. Nicastro, Est. Preden, in Foro it.,2002, I, 2118, in Giur. it., 2002, 708, con nota di Barbieri; Cass., sez. III, 20 dicembre 2004, n.23638, Pres. Giuliano, Est. Segreto, in Foro it., 2005, I, 2767.( 16 ) Cfr. Cass., sez. III, 25 febbraio 2008, n. 4714, dove nel caso deciso la proroga della datadel rilascio era di circa un anno.


62 CONTRATTO E IMPRESA 1/20119 anni previsto dall’art. 27, comma 3°, l. n. 392/78, e non può certo considerarsiuna vera e propria proroga del rilascio.Orbene, poiché attraverso la semplice proroga del termine del rilascio siè voluto in concreto eludere il termine di durata minima di nove anni di cuiall’art. 27 l. 392/1978, non vi è dubbio che il contratto di transazione e/o ilverbale di conciliazione è nullo ai sensi dell’art. 1344 c.c. Infatti, come è statoanche recentemente evidenziato, si aggira inequivocabilmente l’applicazionedella suddetta norma imperativa, qualora la proroga del termine delrilascio sia di oltre dodici mesi, che è il termine massimo previsto dall’art.56 l. 392/1978 ( 17 ). Qualora addirittura, come nel caso di specie, il termine diproroga del rilascio dell’immobile da parte del conduttore sia fissato in cinqueanni, non vi è dubbio che attraverso tale apparente proroga al rilascio,si sia voluta effettivamente eludere, col nuovo rapporto costituito con ilverbale di conciliazione e/o transazione, l’applicazione della suddetta normaimperativa, ed il relativo contratto di transazione dovrà essere dichiaratonullo per illiceità della causa ai sensi dell’art. 1344 c.c. ( 18 ). Al riguardo sisegnala che l’accordo simulatorio volto ad eludere l’applicazione delle normedella l. n. 392/78, vertenti in tema di durata e di equo canone del contrattodi locazione, può essere provato, a norma dell’art. 1417 c.c., anchecon testimoni e con presunzioni ( 19 ). In accoglimento della nuova concezionedella causa in concreto ( 20 ), è evidente che il verbale di conciliazionee/o il contratto di transazione in questione è nullo. Il giudice non potrà limitarsiad accertare la liceità e/o l’esistenza della causa in astratto ( 21 ), ben-( 17 ) Cfr. A. Riccio, <strong>Contratto</strong> di locazione d’immobili ad uso commerciale, in Azienda &Contratti, Il Sole 24 Ore, n.3/2009, p. 57.( 18 ) Cfr. A. Riccio, <strong>Contratto</strong> di locazione d’immobili ad uso commerciale, cit., p. 58.( 19 ) Cfr. Cass., sez. III, 21 luglio 2006, n. 16759, Pres. Vittoria, Est. Mazza, in Rass. locazioni,2006, 251.( 20 ) Sulla nuova concezione della causa in concreto si v. Cass., sez. III, 7 ottobre 2008, n.24769; Cass., sez. II, 24 marzo 2006, n. 6631; Cass., 22 marzo 2007, n. 6969; Cass., sez. III, 24luglio 2007, n. 16315; Cass., sez. III, 20 dicembre 2007, n. 26958; Cass., 8 maggio 2006, n.10490; Cass., sez. trib., 14 novembre 2005, n. 22932; Cass., sez. trib., 21 ottobre 2005, n. 20398,tutte commentate da Rolli, Il rilancio della causa del contratto: la causa concreta, in questa rivista,2007, p. 416 ss.; ID., Causa in astratto e causa in concreto, in Le monografie di <strong>Contratto</strong> e<strong>impresa</strong>, serie diretta da Francesco Galgano, Padova, 2008, p. 80 e p. 247.( 21 ) Cfr. Cass., sez. III, 4 aprile 2003, n. 5324, Pres. Nicastro, Est. Varrone, la quale ha statuitoche “la causa del contratto si identifica con la funzione economico sociale che il negozioobiettivamente persegue e che il diritto riconosce come rilevante ai fini della tutela apprestata,rimanendo ontologicamente distinta rispetto allo scopo particolare che ciascuna delle dueparti si propone di realizzare; ne consegue che si ha illiceità della causa, sia nell’ipotesi di contrarietàdi essa a norme imperative, all’ordine pubblico e al buon costume, sia nell’ipotesi diutilizzazione dello strumento negoziale per frodare la legge, qualora entrambe le parti attri-


DIBATTITI 63sì dovrà accertare e valutare la liceità e/o l’esistenza della causa in concreto,esaminando lo scopo pratico del contratto, la sintesi, cioè, degli interessiche lo stesso è concretamente diretto a realizzare (c.d. causa in concreto),quale funzione individuale della singola e specifica negoziazione, al dilà del modello astratto utilizzato ( 22 ). Orbene, nel caso di specie il contrattoin questione (verbale di conciliazione) è nullo per illiceità della causa inconcreto, in quanto lo scopo pratico perseguito non è funzionale al merorilascio (considerato anche il lunghissimo ed irragionevole termine previsto,che costituisce un significativo ed univoco elemento di fatto), bensì allaprotrazione di un vero e proprio rapporto di locazione per un tempo inferiorea quello previsto dalla legge, in violazione dell’art. 27, comma 3°, l.n. 392/78. Il contratto in questione, dunque, rappresenta in concreto ilmezzo per eludere l’applicazione della predetta norma imperativa (art.1344 c.c.).Il verbale di conciliazione in questione, infine, è nullo per contrasto congli artt. 34 e 79, l. n. 392/78 ( 23 ), in quanto attribuisce al proprietario locatore,in via preventiva rispetto alla maturazione del diritto alla indennità di avviamento,un vantaggio in contrasto con la disposizione dell’art. 34 l. 392/78 ( 24 ).Come è noto, infatti, il diritto all’indennità di avviamento matura all’atto delrilascio e pertanto il locatore non avrebbe potuto con il verbale di conciliazione,prima della maturazione del diritto a suo favore con il rilascio, ottenereuna preventiva riduzione dell’indennità che sarebbe maturata successivamente.Infatti, con il verbale di conciliazione il rilascio è stato prorogato al 31dicembre 2015 e quindi non si poteva ottenere in data anteriore alla maturazionedel diritto, una illegittima riduzione in palese violazione degli artt. 34 e79, l. n. 392/78.La nullità del verbale di conciliazione e, dunque, del titolo esecutivo,buiscano al negozio una funzione obiettiva volta al raggiungimento di una comune finalitàcontraria alla legge”. Negli stessi termini Trib. Bologna, ord., 15 febbraio 2010, Pres. Rel. dott.Liccardo, inedita.( 22 ) Cfr. Cass., sez. III, 8 maggio 2006, n. 10490, Pres. Preden, Est. Travaglino, in Corrieregiur., 2006, 1718, con nota di Rolfi, in Rass. dir. civ., 2008, 564, con nota di Rossi, in questa rivista,2007, p. 416 ss., con commento di Rolli, Il rilancio della causa del contratto: la causaconcreta.( 23 ) In contrasto con la giurisprudenza citata nella precedente nota 14, si è infatti dispostodi un diritto prima della sua concreta ed effettiva maturazione.( 24 ) Nell’esempio fatto le parti prevedono che l’indennità di avviamento dovuta al conduttoreall’atto del rilascio al 31 dicembre 2015, sarà calcolata non già, come prevede l’art. 34l. 392/78, facendo riferimento all’ultimo canone convenuto con il verbale di conciliazione diEuro 4.000,00, bensì facendo riferimento al canone di Euro 1.350,00 di cui al precedente contrattodi locazione scaduto.


64 CONTRATTO E IMPRESA 1/2011rende conseguentemente nullo sia l’atto di precetto sia l’atto di preavviso aisensi dell’art. 608 c.p.c., che si potranno impugnare con l’opposizione ex art.615 c.p.c.Angelo Riccio


Fonti del diritto e delegificazione:statuti universitari e potestà normativa in deroga alla legge1. – La questioneIn un momento di crisi del sistema universitario e di grandi riforme annunciate(ma non ancora realizzate), la materia della delegificazione all’internodelle fonti del diritto – sulla quale questa rivista da sempre ha postoattenzione ( 1 ) – si pone in maniera significativa con riferimento agli statuti eai regolamenti universitari e alla potestà di questi di porre regole in derogaalla legge ( 2 ).Il tema è di particolare attualità in quanto il diverso grado di autonomiariconosciuto agli atenei incide in maniera importante non solo sulla differenziazionedell’offerta formativa proposta dagli stessi, ma anche sulle scelteorganizzative e sugli status del personale docente e ricercatore. Lo stessotema presenta ad ogni modo tutta una serie di aspetti problematici che nonpotranno naturalmente essere trattati nel presente contributo, ma che ne richiederebberospecifici approfondimenti in relazione, ad esempio, al rapportotra le norme poste con gli statuti e i regolamenti per l’amministrazione,la contabilità e la finanza e per la didattica e le norme poste con leggi sopravvenute(applicabili alle università) incompatibili.Ci si limiterà, quindi, ad offrire un quadro generale su potenzialità e limitidel potere regolatorio degli atenei e ci si soffermerà, in particolare, sullavexata quaestio dello status giuridico dei docenti universitari e sulle possibilità(precluse o aperte) riferibili a quelli che tra di essi, hanno optato peril regime a tempo definito.2. – Gli statuti universitari nel sistema delle fonti: l’articolo 33 della Costituzionee la normativa di attuazioneL’art. 33, ultimo comma, della Costituzione riconosce alle università ealtre istituzioni di alta cultura “il diritto di darsi ordinamenti autonomi neilimiti stabiliti dalle leggi dello Stato”. Con tale formulazione, la Costituzioneenuclea prima di ogni cosa il diritto di ciascun ateneo di governarsi attraversoi propri organi, scelti dalla comunità dei suoi docenti: dato, questo,( 1 ) V. assai recentemente Riccio, Fonti del diritto e delegificazione: la Cassa Forense ha potestànormativa in deroga alla legge, in questa rivista, 2010, p. 839.( 2 ) Ho avuto modo di occuparmi della materia in L’Università e le sue fonti di regolamentazione,in Miriello e Malavolta (a cura di), L’ordinamento universitario, Rimini, 2005, p. 13ss.


66 CONTRATTO E IMPRESA 1/2011acquisito nella scienza giuridica ( 3 ) e nella giurisprudenza (cd. autogovernodell’ente da parte del corpo docente) ( 4 ).All’autogoverno, già previsto dal testo unico n. 1592/1933 si aggiungel’autonomia normativa, la quale non è riferita alle università nel loro complesso,ma alle singole università, il che comporta una potenziale differenziazionedelle norme di autoregolamentazione. Spetta poi allo Stato assicurareche quella differenziazione non leda altri interessi di grado pari o superiore,nel rispetto ovviamente della riserva di legge prevista dalla Costituzione ( 5 ).Ne consegue, in sostanza, che se una norma statale precisasse in ogni dettaglioquel che è consentito e quello che non è consentito ai singoli Atenei, sispingerebbe al di là della funzione assegnata dall’art. 33. Paragonando la formulazioneletterale di questa disposizione costituzionale a quella che la stessaCostituzione dedicava agli enti locali con l’art. 128 Cost. ( 6 ) si constatava –e si constata – che l’autonomia universitaria è più ampia e comunque sta suun piano diverso rispetto a quella riconosciuta agli enti locali ( 7 ): in altre parole,“il diritto di darsi ordinamenti autonomi” pare corrispondere al più altogrado di espansione che un soggetto giuridico possa ottenere, facendola apparirevicina più che alle autonomie pubbliche alle libertà dei privati ( 8 ).Il testo costituzionale guarda alle università come sedi di libera ricerca edi libero insegnamento dei risultati di questa ricerca e proprio per garantirela libertà delle attività che vi si svolgono attribuisce alle stesse la massimaautonomia. Natura e funzioni delle università non sono quindi assimilabilia quelle degli enti e apparati che costituiscono l’ordinamento statuale, appartenendo– così come è stato detto ( 9 ) – al versante della “società civile” enon dello Stato.( 3 ) Cassese, L’Università e le istituzioni autonome nello sviluppo politico dell’Europa, inRiv. trim. dir. pubbl., 1990, p. 755.( 4 ) Corte cost., 9 novembre 1988, n. 1017, § 4, in Foro it., 1989, I, p. 2416.( 5 ) Corte cost., 23 novembre 1998, n. 383, in Giust. civ., 1999, I, p. 361; Riv. dir. internaz.,1999, p. 212; Corriere giuridico, 1999, p. 554, con nota di Angiolini; Foro it., 1999, I, p. 2475 connota di Castorina e D’Aloia; Giornale dir. amm., 1999, p. 221, con nota di Mari; Riv. it. dir.pubbl. comunit., 1999, p. 864, con nota di Greco.( 6 ) Articolo abrogato dall’art 9, comma 2°, l. cost. 3/2001, Modifiche al Titolo V della parteseconda della Costituzione.( 7 ) Così Sorace, L’autonomia universitaria degli anni novanta: problemi e prospettive, inDir. pubb., 1996, p. 139 ss.( 8 ) Per contro, Fenucci, Autonomia universitaria e libertà culturali, Milano, 1991, avanzail dubbio che di fronte a formulazioni e quantificazioni così diverse e confuse, le varie aggettivazioniusate per l’autonomia universitaria siano non tanto delle specificazioni, ma piuttostodelle volute limitazioni di questa autonomia: si arguirebbe ciò dal fatto che nei testi normativila serie di aggettivi compare sempre come una serie chiusa, nell’ambito della quale lesingole specificazioni finiscono con l’acquistare valore esclusivo.( 9 ) G. F. Ferrari, Accademia, in Dig. disc. pubbl., vol. I, Torino, 1987.


DIBATTITI 67Una riprova di ciò può trarsi dalla legge 9 maggio 1989, n. 168: nel dareattuazione alla direttiva costituzionale, la normativa ha ribadito l’autonomia“delle università” e il loro diritto di darsi “ordinamenti autonomi conpropri statuti e regolamenti” (art. 6, comma1°). Ne ha quindi tratto le logicheconseguenze, affermando che le università sono “disciplinate, oltre chedai rispettivi statuti e regolamenti, esclusivamente da norme legislative chevi operino espresso riferimento” (art. 6, comma 2°). Inoltre, esse sono statesottratte ai controlli preventivi della Corte dei conti (eccetto alcune classi diprovvedimenti), mentre soggiacciono ai controlli successivi della Corte,che si aggiungono al controllo del Ministro.A partire dalla legge richiamata, pertanto, si sono riorganizzate le funzioniministeriali attinenti all’Università e alla ricerca e si sono attribuite significativecompetenze autonome alle singole università per la disciplinadella loro organizzazione di governo ed amministrativa. In tal modo la leggedà una lettura corretta della disposizione costituzionale cui fa specificamenteriferimento, riconoscendo che l’autonomia universitaria è un valorecostituzionale di particolare intensità.3. – L’autonomia come differenziazione. Il caso dell’eleggibilità a cariche accademichedei professori a tempo definitoSulla base dei presupposti passati in rassegna, alle fonti autonome universitarie(statuti e regolamenti) viene riconosciuta una competenza nel cuiambito esse sono in posizione gerarchicamente subordinata soltanto nei confrontidelle leggi che mostrino di avere specificamente considerato l’esigenzache l’autonomia universitaria ceda a fronte di valori prevalenti ( 10 ). Il che significa,ad esempio, che non possono applicarsi alle università norme limitatricidella loro autonomia solo perché generali, oppure in via analogica.L’università ha diritto di darsi un proprio ordinamento e il relativo contenutoè libero, cioè deve costituire oggetto di esclusiva determinazione degli organidi governo dell’università medesima, senza che esso debba “conformarsi”a principi eteronomi, quali potrebbero essere le leggi dello stato ( 11 ). L’ambitodella sua autonomia non è prefissabile, nemmeno a livello di principi generali,da fonti normative eteronome, rispetto all’ordinamento che la stessa autonomiavoglia attribuirsi, predisponendo un proprio assetto statutario ( 12 ).( 10 ) Sorace, L’autonomia universitaria degli anni novanta: problemi e prospettive, op. cit.,p. 153.( 11 ) Correale, Libertà della scienza e limiti all’ordinamento universitario, in Dir. e soc.,1988, p. 423.( 12 ) Lo stesso Correale nel contributo citato alla nota precedente afferma che “ciascunauniversità può essere considerata titolare di una posizione d’indipendenza nei confronti anchedello Stato”.


68 CONTRATTO E IMPRESA 1/2011Ad oltre venti anni di distanza dalla prima legge di attuazione dell’autonomiasancita dall’art. 33 Cost., rimane ancora indefinita la soluzione delproblema delle fonti della disciplina dello stato giuridico del personale docente( 13 ). E, in particolare, non è stato risolto il problema del contrasto, inmateria di status dei professori universitari, tra discipline statutarie e normedi legge ordinaria.È emblematico il caso dell’eleggibilità a cariche accademiche dei docentiche hanno scelto il regime del tempo definito (in particolare Preside diFacoltà e Direttore di Dipartimento), in quanto molti statuti universitari attribuisconoil diritto di elettorato passivo a tutti i professori di prima fascia,senza distinguere tra quelli che hanno optato per il regime a tempo pienopiuttosto che per quello a tempo definito. Per contro, una normativa statalerisalente nel tempo (art. 11 del d.p.r. 382/1980) stabilisce che “il regime atempo definito è incompatibile con le funzioni di rettore, preside e direttoredi dipartimento”. Lo stesso d.p.r. 382 prevedeva diverse ulteriori incompatibilitàsia per i professori a tempo definito che per i professori a tempopieno, i quali non potevano svolgere alcuna attività professionale e di consulenza,né assumere incarichi retribuiti.Tali incompatibilità sono state riviste nel tempo: ad esempio, oggi i professoria tempo pieno possono assumere incarichi retribuiti, purché autorizzatidall’amministrazione di appartenenza sulla base dei criteri stabilitidagli statuti o dai regolamenti degli atenei (art. 53, d. lgs. 165/2001).Altre norme statali, poi, hanno rinviato agli statuti delle Università la disciplinadell’elettorato attivo per le cariche accademiche, ivi compresa quelladi Direttore di Dipartimento ( 14 ): per questi, ad esempio, le stesse normehanno consentito l’estensione dell’elettorato passivo ai professori di secondafascia, nel caso in cui nessun professore di prima fascia sia disponibile( 15 ). È chiaro qui che ad una norma di tipo proibitivo sia subentrata unanorma di tipo permissivo condizionato, che rinvia agli statuti e ai regolamenti.È chiara, dunque, anche in materia (status giuridico dei docenti, composizionedegli organi, ecc.), una progressiva e sostenuta apertura alla autonomiauniversitaria, con un’estensione dell’ara rimessa alla potestà statutaria.( 13 ) Si registra, a metà degli anni ’90 qualche presa di posizione a favore della riconduzionedella disciplina dello stato giuridico ed economico dei ricercatori e dei docenti universitarialla contrattazione sindacale. Cfr. ad esempio Cammelli, Autonomia universitaria. Ovvero:il caso e la necessità, in Diritto Pubblico, 1995, p. 161.( 14 ) Mi sia consentito anche qua il rinvio a L’organizzazione dell’Università, in Miriello eMalavolta (a cura di), L’ordinamento universitario, Rimini, 2005, p. 23 ss.( 15 ) V. art. 4, comma 2°, l. 56/2002.


DIBATTITI 69L’importanza che la Costituzione e le leggi di attuazione attribuisconoall’autonomia normativa spettante ai singoli atenei, consentendo scelte differenziate,spiega perché le varie comunità di docenti abbiano determinatoindirizzi divergenti, espressi negli statuti, per scongiurare il rischio (che infatto si è concretizzato sovente) della “eccessiva riduzione del numero dicoloro i quali possono accedere” alle cariche riservate ai professori a tempopieno ( 16 ).Una rapida analisi di alcuni statuti consente di distinguerli, in primoluogo, a seconda che si attengano alla scelta effettuata dalla normativa stataledel 1980 o se ne discostino, come hanno fatto lo Statuto dell’Universitàdi Bologna e quello dell’Università di Udine ( 17 ). Anche tra le altre università,peraltro, vi sono non pochi tratti distintivi: alcune stabiliscono la riservain termini assoluti, nel senso che il Preside può essere scelto soltanto traquanti abbiano optato per il regime di tempo pieno (art. 45, comma 3°, Statutodell’Università di Palermo ( 18 ); art. 24, comma 1°, Statuto dell’Universitàdi Perugia) ( 19 ); altre, invece, ammettono che il preside possa optare peril tempo pieno dopo l’elezione (art. 37, comma 3°, Statuto dell’Università diPadova) ( 20 ).L’analisi dei vari statuti, insomma, conferma prima di ogni cosa che “autonomiavuol dire anche differenziazione” ( 21 ); differenziazione che non simanifesta soltanto in ordine alla scelta se riservare l’elettorato passivo ai soliprofessori a tempo pieno o estenderla a quanti abbiano optato per il tempodefinito, ma anche in relazione alla possibilità che l’opzione sia effettuatadopo la nomina. Anche questa è una divergenza rispetto alla normativastatale del 1980, la quale funge tuttora da punto di riferimento per molti atenei,ma non per tutti.Orbene, rispetto alla disciplina del 1980, e alla rigida separazione che essaintroduceva tra il regime di tempo pieno e il regime di tempo definito, èstata attuata una sorta di rivoluzione copernicana: le norme di rango primariohanno attenuato le incompatibilità disposte per i professori a tempo pieno,introducendo una diversa interpretazione delle incompatibilità riguardantii professori a tempo definito, in modo da renderle coerenti con il principiodella più ampia accessibilità alle cariche elettive e agli incarichi di go-( 16 ) Raimondi, Lo stato giuridico dei professori universitari tra autonomia statutaria e spintecorporative, in Diritto amministrativo, 2002, n. 2.( 17 ) Il primo è reperibile al sito www.unibo.it e il secondo al sito www.uniud.it.( 18 ) Reperibile al sito www.unipa.it.( 19 ) Reperibile al sito www.unipg.it.( 20 ) reperibile al sito www.unipd.it.( 21 ) Cassese, L’autonomia delle università nel rinnovamento delle istituzioni, in Foro it.,1993, V, p. 10.


70 CONTRATTO E IMPRESA 1/2011verno delle università. Altre norme statali hanno impresso un ulteriore impulsoall’autonomia normativa dei singoli atenei, rinviando agli statuti e airegolamenti la definizione dei profili funzionali (primo fra tutti la composizionedegli organi collegiali) confermando la necessaria diversità delle soluzioniin ragione dei diversi contesti e delle diverse realtà.4. – (segue) Lo status come limite all’interferenza esternaCi si chiede, ora, se alla ricostruzione prospettata si possa obiettare chele norme riguardanti l’elettorato attivo e passivo debbano essere tenute distintedalle norme di organizzazione, perché relative allo status dei professoriuniversitari.Invero, mentre le norme di status non ammettono deroghe (non si può,per esempio, eleggere nel Parlamento un cittadino che non abbia raggiuntol’età prevista), le norme di organizzazione consentono al corpo dei soggetticui spetta la potestà di autogoverno di modulare le proprie scelte: consentendoche sia eletto qualsiasi professore di prima fascia, come è previsto dalloStatuto dell’Università di Bologna, o ammettendo che, in mancanza diun professore di prima fascia a tempo pieno, ne sia eletto uno a tempo definito,come è previsto dallo Statuto dell’Università di Napoli “Federico II” ( 22 ).Allo stesso modo, se, per la direzione dei dipartimenti, viene permessa l’estensionedell’elettorato passivo ai professori di seconda fascia, nel caso incui nessun professore di prima fascia sia disponibile (art. 4, comma 2°, l.56/2002) è perché non si tratta di scelte rigide, ma che possono variare infunzione delle esigenze che di volta in volta si presentano.Ad ogni modo, anche se si optasse per la tesi in base alla quale le normesull’elettorato debbano essere ricondotte alle norme di status, è da sottolineareche la loro funzione non è di limitare l’autogoverno dei docenti, madi tutelarlo da interferenze da parte di altri soggetti. Si considerino, in particolare,le svariate pronunce con le quali il giudice amministrativo ha annullatole disposizioni degli statuti che alteravano le regole sull’elezione delrettore e del preside, estendendo l’elettorato attivo ad altre categorie di personale,come i ricercatori o gli studenti ( 23 ).Il problema che la giurisprudenza ha inteso risolvere è quello della tuteladei professori universitari dalle lesioni derivanti dalle disposizioni statutarieche innovavano “profondamente le modalità di elezione degli organimonocratici e collegiali, ammettendo al voto per l’elezione del Preside e del( 22 ) Reperibile su www.unina.it.( 23 ) Cons. St., VI, 23 settembre 1998, n. 1269 in Foro Amm., 1998, p. 2400 o in Cons. Stato,1998, I, p. 1352; Cons. St., 20 giugno 2001, n. 3296 in Foro Amm., 2001, 6; Cons. giust. amm.Reg. Sicilia, 14 ottobre 1999, n. 564, in Cons. Stato, 1999, I, p. 1772.


DIBATTITI 71Rettore soggetti prima non legittimati, e ampliando la partecipazione neiconsigli di facoltà e nei consigli di corsi di laurea ai ricercatori, che non nehanno titolo” ( 24 ). Si è trattato, cioè, di tutelare l’autogoverno dell’ente daparte del corpo docente: in buona sostanza, l’unico limite all’autonomianormativa degli atenei è quello volto a garantire che essi siano, come in passato,governati dai propri docenti, non da altre componenti. Presenta unpreciso significato, in questa ottica, anche la più recente sentenza della Cortecostituzionale 8 marzo 2006, n. 102 ( 25 ), con cui è stata dichiarata incostituzionalel’ingerenza da parte della normativa regionale ( 26 ).Lo stesso testo di riforma del sistema universitario (cd. Riforma Gelmini)al momento approvato solo al Senato il 29 luglio 2010 – prevedendo che“lo statuto di ateneo stabilisce eventuali condizioni di incompatibilità deiprofessori a tempo definito rispetto alle cariche accademiche – sembra andarenel senso di riservare la materia alla competenza statutaria risolvendocosì in radice il problema.Naturalmente, l’autonomia normativa delle università deve fare i contianche con i condizionamenti derivanti dalla necessità del più pieno rispettodel principio di imparzialità, così da evitare la possibilità per alcuno di avanzarearditi paragoni, come quello già in verità avanzato oltre un secolo fa, tral’amministrazione autonoma delle università e un “capitolo di canonici, chepur adempiendo pienamente a’loro doveri, amministrano le loro prebende senzarenderne conto a nessuno” ( 27 ).Cesare Miriello( 24 ) Cons. St., VI, 20 giugno 2001, n. 3296, cit.( 25 ) In Giur. cost., 2006, 1, o in Foro amm., 2006, 3, p. 730. Con tale pronuncia la Corte hadichiarato costituzionalmente illegittimo l’art. 2, comma 2°, lett. b), l. reg. Campania 20 dicembre2004, n. 13, nella parte in cui prevede l’istituzione di scuole di eccellenza e di master.La disposizione impugnata, infatti, nel prevedere da parte della Regione l’istituzione di nuovicorsi di studio universitario, interveniva in un settore della materia dell’istruzione – quellodella disciplina degli studi universitari – nel quale alle università è affidata, ai sensi dell’art. 33,comma ultimo, Cost., la competenza a definire, nei limiti stabili dalle leggi dello Stato (in particolare,l. 15 maggio 1997, n. 127, e d.m. 22 ottobre 2004, n. 270), i propri ordinamenti, sicchéin tale parte essa è lesiva della competenza attribuita all’autonomia universitaria.( 26 ) Circa il probelma riguardante il rispettivo ambito di competenza in materia tra Statoe Regioni cfr. Balduzzi, L’autonomia universitaria dopo la riforma del Titolo V della Costituzione,in Le istituzioni del federalismo, 2004, p. 263.( 27 ) La frase è tratta da un famoso discorso parlamentare di Silvio Spaventa del 23 gennaio1884 contro il primo d.d.l. Baccelli (discorso riportato in Discorsi parlamentari di SilvioSpaventa, pubblicati per deliberazione della Camera dei Deputati, Roma, 1913).


SaggiGIOVANNA VISINTINILa circolazione delle giurisprudenze (*)Sommario: 1. La circolazione dei modelli giuridici e i contrasti ideologici tra diritto nazionalee diritto comunitario in materia di proprietà. – 2. Influenza delle direttive della Cortedi Strasburgo, in particolare in materia di danno da ingiusto processo. – 3. Le distanze traprincipi europei e diritto interno in materia di poste di danno risarcibili. – 4. L’esigenza diuno stile delle decisioni italiane fruibile anche all’estero ai fini della circolazione di unprecedente giudiziale innovativo.1. – Nel 1993 organizzai insieme ad Anna de Vita a Genova le Journéesitaliennes della Association H. Capitant des amis de la culture juridiquefrançaise, un’associazione che statutariamente da quando è nata perseguela finalità di verificare la tenuta del code civil in tutti i paesi che direttamenteo indirettamente hanno recepito il codice civile francese, o perché impostocon l’occupazione napoleonica, o perché imitato, e i giuristi francesiiscritti all’associazione, che reca il nome di un grande civilista, confrontanoperiodicamente le soluzioni adottate dal code civil con quelle dei codiciadottati in questi paesi. L’obiettivo è di valutarne gli aspetti comuni e leeventuali differenze a proposito di determinati istituti, sicché di volta in voltai convegni organizzati dall’Associazione vertono su singoli istituti comeproprietà, contratto, responsabilità civile, ecc. Quella volta il tema, poichénoi ospitavamo in <strong>Italia</strong> le Journées venne scelto dal prof. Rodolfo Sacco,professore emerito dell’Università di Torino e fondatore di una importantescuola di diritto comparato, il quale suggerì il tema della circolazione deimodelli giuridici, che dai francesi, per ragioni di statuto, fu circoscritto allacircolazione del modello giuridico francese ( 1 ).L’idea di Sacco era molto originale per l’epoca e mirava a richiamare(*) Relazione svolta al Seminario di <strong>Contratto</strong> e Impresa presso il Centro Studi Toscolanoil 26 giugno 2010 dal titolo « Il diritto come fattore dello sviluppo economico ».( 1 ) La circulation du modele juridique français, in Travaux de l’Association Henri Capitant,tome XLIV, 1993


74 CONTRATTO E IMPRESA 1/2011l’attenzione, sulla scorta anche di altri studiosi che avevano affrontato il tema( 2 ), sul dato imprescindibile che il diritto è in continua evoluzione e chela creatività di certe risposte ai bisogni nuovi delle società civili il più dellevolte è il risultato di imitazioni di modelli stranieri. In definitiva il diritto circolae se in qualche paese qualcuno ha la capacità di inventare nuovi e migliorimodelli di soluzione di problemi reali, avvertiti anche nei paesi vicini,il modello potrà diffondersi anche in questi.Ma mentre in un passato non tanto lontano l’imitazione consisteva soprattuttonel recepire modelli legislativi (mi riferisco alla grande stagionedelle codificazioni) o nell’importare le metodologie della scienza giuridicaufficiale (si pensi all’influenza sugli interpreti italiani dell’ottocento deigrandi commentatori francesi e poi nella prima metà del novecento dellascienza dogmatica di origine tedesca) oggi sempre di più si avverte la tendenzaad uniformare il diritto sulla scorta della circolazione delle giurisprudenze.Come ha sovente sottolineato Francesco Galgano nei suoi scritti, sempredi più gli avvocati devono esercitarsi nell’affinare la tecnica di interpretazionedelle sentenze e non della legge, soprattutto nell’area del diritto civiledove le disposizioni legislative (spec. quelle del codice civile) sono arcaichee hanno bisogno di un adeguamento alle problematiche odierne edunque di integrazione dei loro contenuti da parte dei giudici.Da qui l’importanza di una cultura dei precedenti giudiziali e della conoscenzadelle sentenze straniere quando si presentano significativamentepiù al passo dei tempi rispetto agli orientamenti dei giudici nazionali.È in questo contesto che i giuristi devono dar prova, soprattutto nel dirittocivile (dalla pratica degli affari alle questioni di diritto familiare e ai dirittiumani), della loro capacità di proporre nuovi strumenti giuridici fondatisu un razionale bilanciamento tra costi e benefici, sui valori dell’equità edell’efficienza. Soprattutto negli spazi lasciati vuoti dalle norme l’interpretepuò creare delle regole per le liti future con tecniche di decisione importateda altri ordinamenti come, esemplificando, il criterio di ragionevolezza nell’otticadell’analisi economica del diritto, su cui ha richiamato l’attenzionedi recente, nell’ultimo fascicolo della nostra Rivista, Massimo Franzoni ( 3 ).( 2 ) Gaudemet, Les transferts de droit, in L’Année sociologique, 1976, p. 29; Rodière, Approched’un phénomène: les migrations de systèmes juridiques, in Mélanges dédiés à Marty, Toulouse,1978, p. 947 ss.; Watson, Legal transplants, Edimburg, 1974; Agostini, Droit comparé,Paris, 1988, ivi i capitoli dedicati a « L’évolution des systèmes juridiques » e « Les migrations dessystèmes juridiques ».( 3 ) M. Franzoni, L’interprete del diritto nell’economia globalizzata, in questa rivista, 2010,pag. 367 ss.


SAGGI 75Il diritto comunitario ha aperto la strada a tutto ciò in quanto sempre piùspesso i giudici italiani hanno dovuto prender atto dell’evoluzione dellagiurisprudenza della Corte di Giustizia dell’Unione europea e della Corteeuropea dei diritti dell’uomo.Farò ora qualche esempio di come nell’ambito del diritto interno i giudicinazionali abbiano utilizzato schemi e argomentazioni giuridiche importatidalla giurisprudenza di altri paesi della UE, specialmente francese edinglese, modelli inglobati nella giurisprudenza comunitaria, innovando inquesto modo il nostro diritto nazionale.Ma occorre preliminarmente rilevare che il cammino delle modernizzazionie delle scoperte di nuovi e più razionali strumenti giuridici è contrassegnatoda iniziali contrasti tra il diritto nazionale, da un lato, e quello dimatrice comunitaria, dall’altro lato, e non sempre, bisogna riconoscere, lacomposizione dei contrasti è augurabile che si svolga con la predominanzadel modello straniero perché dobbiamo anche difendere le nostre miglioritradizioni giuridiche.Ad esempio in tema di proprietà, il diritto a livello europeo sembra esserepermeato da liberalismo laddove nella nostra Costituzione, oltrechénell’interpretazione della Corte costituzionale italiana, incontra il limitedella solidarietà e della funzione sociale (di cui non vi è traccia nella carta diNizza e nella costituzione europea in itinere).Non so se si troverà un equilibrio tra le ideologie di cui è portatore laCorte di Strasburgo e la concezione fatta propria dalla nostra Costituzionesecondo cui la proprietà non è da qualificare solo in termini di diritto ma èanche fonte di doveri.Nella mia biblioteca di famiglia figurano diversi libri di fine ottocentodedicati alla funzione sociale della proprietà e al socialismo giuridico checostituirono una lettura privilegiata dei miei antenati che volevano improntarele loro aziende alle nuove idee.Erano piccoli imprenditori che svolgevano un’attività agricolo-industrialesulla sponda bresciana del lago di Garda: c’erano in fondo al giardinoannesso alla casa padronale, una cartiera, a lato una segheria e dall’altra parte,verso il lago, i campi coltivati a grano, il gelso per la produzione della seta,i vigneti e gli oliveti nelle colline a ridosso del lago, per non dire del pascoloin montagna, un mondo che non c’è più da queste parti – dove ormaipredomina il turismo – un mondo tipico dell’economia ottocentesca ( 4 ).( 4 ) Mondo che è ben descritto nel libro di Fabio Visintini, Memorie di un cittadino psichiatra,edito dalle Edizioni scientifiche italiane nel 1983. Quanto alla biblioteca di cui parlonel testo, mi limito a ricordare i seguenti libri quasi tutti in edizione in lingua francese: La propriété,thèse comuniste par Paul Lafargue, Réfutation par Yves Guyot, Paris, 1895; La pro-


76 CONTRATTO E IMPRESA 1/2011Quali erano i cardini che hanno ispirato la letteratura che ho ricordato?Essi, senza ispirarsi del tutto alle tesi marxiane sulla proprietà socialista, implicavanoa carico dei proprietari imprenditori una serie di doveri verso i dipendentie la società in cui vivevano e la storia della mia famiglia ne è intessutaperché a Toscolano, un paese noto soprattutto per la presenza di un notevolenumero di cartiere, lo zio Carlo e il nonno Giovanni le misero in praticafacendo le prime casse mutue per i loro operai e costruendo le condottedell’acqua per il paese e la comunità in cui vivevano.Principi che furono magistralmente descritti in <strong>Italia</strong> da Enrico Finziche, come ha ricordato Grossi nel suo libro sulla Cultura del civilista italiano,ebbe il coraggio di sostenere nel 1923, andando contro corrente, e cioècontro il modello tradizionale di stampo individualistico, che “la proprietà èoggi forse più che un diritto, un centro da cui si irraggiano infiniti doveri ( 5 ).D’altronde così si esprimeva l’art. 153 della Costituzione di Weimar del1919 cui sono ispirati gli artt. 42 e 44 della nostra Costituzione, laddove sileggono chiare direttive in favore delle proprietà della casa di abitazione edella proprietà coltivatrice diretta in quanto svolgenti una funzione sociale.È un interrogativo questo sul contrasto ideologico in materia di proprietàche gli avvocati, che sempre più numerosi lavorano in una dimensioneeuropea, devono porsi.2. – Fino ad ora sul terreno del diritto immobiliare gli esempi più emblematicidi circolazione delle giurisprudenze sono sfavorevoli alla imitazionedel modello italiano. Si pensi al caso dell’occupazione acquisitiva.Come è noto la Corte di cassazione ha ritenuto conforme alla Costituzionel’appropriazione da parte della pubblica amministrazione della proprietàprivata anche se occupata illegittimamente purché giustificata da pubblicointeresse e accompagnata dalla corresponsione di un indennizzo mentre laCorte di Strasburgo ha condannato lo Stato italiano per aver ammesso talesistema in violazione del diritto di proprietà così come inteso in ambito sovranazionale.Altro esempio significativo è quello relativo alle modalità di calcolo dell’indennizzoda espropriazione. Qui il nostro legislatore con la legge n.244/2007 e le pronunce più recenti della Corte di cassazione e della Corteprietà sociale in due volumi di Alessandro Garelli (professore di scienza delle finanze nellaR. Università di Torino), ivi, Proprietà individuale o proprietà collettiva?, Torino, 1898, e unaserie di volumi sull’azione socialista, sul cattolicesimo sociale e in generale sulla “Questionesociale” dei più famosi filosofi e cultori di scienze sociali ed economiche a partire da Rousseaue Jaurès.( 5 ) P. Grossi, La cultura del civilista italiano. Un profilo storico, Giuffrè, 2002, a pag. 69.


SAGGI 77costituzionale italiana cercano di adeguarsi in questa fase alle direttive dellaCorte di Strasburgo, anche se rimangono divergenze per ora non soggettea censura.E dunque oggi sembra che non possiamo più interpretare il significatodella formula “funzione sociale” che si legge nell’art. 42 Cost. alla sola streguadelle idee che l’hanno preceduta ma occorre fare i conti con l’influenzadei princìpi europei, anche se, a mio giudizio, restano degli spazi all’interpreteper argomentare dai princìpi costituzionali italiani (ad esempio comedirò qui di seguito nella difesa dell’ambiente) e, comunque, dovremmo faretutto il possibile per accreditarne la sopravvivenza.Il discorso è, invece, contrassegnato augurabilmente dall’influenza deiprincìpi europei laddove l’evoluzione dei diritti umani è l’effetto di direttivedella Comunità come è avvenuto per il diritto alla privacy che, da diritto adessere lasciati soli, all’oblio, si è evoluto fino a comprendere il diritto allaprotezione dei dati personali, una pretesa ad essere conosciuti in modo correttoe corrispondente al vero. Anche se le divergenze tra il nostro sistemanazionale e quello degli altri paesi europei non mancano laddove si deve affrontareil conflitto tra questo diritto e la libertà di stampa, come ci raccontanoi giornali di questi giorni sulle intercettazioni. Con riguardo a questodiritto l’influenza europea può essere salutare.E in generale non vi è dubbio che lo spazio giuridico globale costituisceun’arena per contestare il potere esecutivo statale ed ampliare la gamma deidiritti assicurati ai cittadini nei confronti dei loro stessi Stati di appartenenzaperché le interazioni tra il commercio mondiale e le regole del dirittooperano in funzione evolutiva e portano alla diffusione dei modelli più evoluti( 6 ).Uno dei diritti di cui si parla molto oggi e che ha provocato una massa disentenze della Corte di giustizia ai danni dello Stato italiano è, come è noto,il diritto alla durata ragionevole dei processi, ove le nostre Corti non si sonodel tutto allineate agli standards europei.Si tratta di un diritto sacrosanto che stenta ad affermarsi in <strong>Italia</strong> dovequalunque cittadino che abbia a che fare con un processo civile sa che lelungaggini vanno a favore di chi ha torto. Qui, e cioè a causa delle resistenzedei giudici di merito a riconoscere risarcimenti adeguati, è stato necessariol’intervento nel 2004 delle Sezioni Unite della Cassazione per supportareuna interpretazione della legge Pinto conforme alla giurisprudenza dellaCorte.In particolare le Sezioni Unite hanno affermato expressis verbis che: « Ai( 6 ) Così testualmente S. Cassese, C’è un ordine nello spazio giuridico globale? in Politicadel diritto, 2010, pag.137 ss.


78 CONTRATTO E IMPRESA 1/2011fini della liquidazione dell’indennizzo del danno non patrimoniale conseguentealla violazione del diritto alla ragionevole durata del processo, aisensi della legge 24 marzo 2001, n. 89, l’ambito della valutazione equitativa,affidato al giudice di merito, è segnato dal rispetto della Convenzione europeadei diritti dell’uomo, per come essa vive nelle decisioni, da parte dellaCorte europea dei diritti dell’uomo, di casi simili a quello portato all’esamedel giudice nazionale, di tal che è configurabile, in capo al giudice del merito,un obbligo di tener conto dei criteri di determinazione della riparazioneapplicati dalla corte europea, pur conservando egli un margine di valutazioneche gli consente di discostarsi, purché in misura ragionevole, dalle liquidazionieffettuate da quella Corte in casi simili. Tale regola di conformazione,inerendo ai rapporti tra la citata legge e la convenzione ed essendo espressionedell’obbligo della giurisdizione nazionale di interpretare e applicare ildiritto interno, per quanto possibile, conformemente alla Convenzione e allagiurisprudenza di Strasburgo, ha natura giuridica, onde il mancato rispettodi essa da parte del giudice del merito concretizza il vizio di violazione dilegge, denunziabile dinanzi alla Corte di cassazione [. . .] » ( 7 ).La direttiva che risulta da queste affermazioni sembra piuttosto chiara,anche se si può sottolineare una certa ambiguità laddove si vuol in qualchemisura salvaguardare uno spazio di autonomia del giudice nazionale ( 8 ).Ma veniamo alla casistica. Il principale motivo di dissidio è stato il criterioc.d. della posta in gioco che i giudici italiani applicavano per ridimensionarel’ammontare del risarcimento o addirittura per escluderlo, ovvero ilcriterio dell’entità degli interessi economici in gioco nel processo dove si èverificato il mancato rispetto del termine ragionevole. Viceversa, nella giu-( 7 ) Cfr. Cass. Sez.Un., 26 gennaio 2004, n. 1340, in Corr. giur., 2004, 5, p. 607 con nota di R.Conti, in Giur. it., 2004, p. 944 con nota di Didone. In senso conforme Sez. Un., 26 gennaio2004, n. 1338, in Foro it., 2004, p. 693 e in Giur. it., 2004, p. 2295 con nota di Vitelli; e Sez. Un.,26 gennaio 2004, n.1339, in Giur. it., 2004, p. 944 con nota di Didone; Sez. Un., 23 dicembre2005, n. 28507, in Danno e resp., 2006, p. 745.( 8 ) Tuttavia vi è stato in dottrina qualche autore che ha sottolineato l’ambiguità della sentenzaladdove, da un lato, si avalla una sorta di common law all’italiana indicando il faro deiprecedenti giudiziali di Strasburgo per la valutazione del danno e, dall’altro, si giustifica la legittimitàdel ricorso a un diverso criterio di calcolo purché in misura ragionevole. Cfr. Sacchettini,Un rinvio a principi non definiti ostacola il compito del magistrato, in Guida al diritto,2004, 43, p. 28; v. anche F. Morozzo Della Rocca, Irragionevole durata del processo: l’allineamentodella giurisprudenza nazionale agli standards europei, in Giust. civ., 2006, I, p. 285 ss.;V. Esposito, Il non ragionevole contrasto del giudice italiano con quello di Strasburgo sulla ragionevoledurata del processo, in Corr. giur., 2004, 3, p. 378 ss.; Ferrua, Il Giusto Processo, Bologna,2005; M. Franzoni, Fatti illeciti, in Commentario codice civile Scialoja-Branca a cura diF. Galgano, Libro quarto, Delle obbligazioni, artt. 2043, 2056-2059, Bologna-Roma, 2004, subart. 2043, p. 204 ss.


SAGGI 79risprudenza della Corte europea il ricorso a tale criterio è servito ad aumentareil risarcimento del danno morale nelle cause aventi ad oggetto i dirittifondamentali della persona e gli status personali ove, secondo la Corte, laspeditezza del processo a causa della cruciale importanza della decisioneper i diretti interessati riveste una notevole importanza. Emblematici i casidei giudizi promossi da individui danneggiati a seguito di contagio da H.I.V.o dei procedimenti di divorzio relativamente alle modalità inerenti alla custodiadei figli e all’abitazione della casa familiare e ancora di quelli per il riconoscimentodi paternità.Attualmente anche la nostra Corte di cassazione sta progressivamenteabbandonando il criterio in esame per allinearsi alla giurisprudenza dellaCorte di Strasburgo, e ha affermato a partire da una sentenza del 2005 che:« l’ansia ed il patema d’animo conseguenti alla pendenza del processo si verificanonormalmente anche nei giudizi in cui sia esigua la posta in gioco ».Anche se in un altro passaggio della sentenza si ammette che tale aspettopuò avere un effetto riduttivo dell’entità del risarcimento ( 9 ). Anche unasentenza dell’8 marzo 2010, n. 5532, ha riaffermato il nuovo orientamentocensurando la Corte di Appello di Roma che aveva escluso il risarcimentoin una causa di lavoro in base al modesto valore della controversia, ma haaggiunto il seguente enunciato che, mi sembra costituire un altro tentativodi ridurre le distanze e nel contempo di salvare una certa discrezionalità delgiudice nazionale nella valutazione personalizzata del danno non patrimoniale:« Peraltro la mera esiguità del valore della controversia neppure rivesteincidenza esclusiva sulla riduzione del “quantum debeatur” (il riferimento èal danno non patrimoniale), siccome deve essere apprezzata, in correlazionealle condizioni socio-economiche dell’istante, dal momento che solo datale riscontro, che deve essere condotto in punto di fatto, può emergere laprova della misura effettiva dello stress dedotto ».La tendenza europea alla standardizzazione, peraltro, sembra prevaleree anche questo forse va in contrasto con il ricorso frequente che i nostri giudicifanno alla valutazione equitativa in questa materia.Altre differenze nella valutazione dei pregiudizi connessi a una eccessivadurata dei processi: il calcolo del periodo rilevante per il computo dell’indennizzo.Esemplificando, nel 2005 la Corte di cassazione ha confermatola validità di un diverso criterio di calcolo in conformità alla legge italiana,affermando che occorre tener conto del solo periodo eccedente il termineragionevole e non anche di ogni anno di pendenza del processo come inveceavviene nel sistema di liquidazione dell’indennizzo praticato dalla( 9 ) Cass. civ., 10 gennaio 2005, n. 297, in Giust. civ., 2005, p. 1204 ss.


80 CONTRATTO E IMPRESA 1/2011Corte europea ( 10 ). Qui, dunque, non c’è ancora stato allineamento aglistandard europei, e non mi risulta che vi siano state a tutt’oggi censure.3. – Le differenze tra i princìpi europei e il nostro diritto interno persistonosoprattutto con riferimento alle poste di danno di cui si chiede il risarcimento.È noto che in <strong>Italia</strong> proprio in riferimento alla fattispecie del danno daingiusto processo è stata elaborata la figura del danno esistenziale che si èvenuta ad aggiungere al danno non patrimoniale tradizionalmente intesocome danno morale soggettivo, ovvero il danno consistente nella sofferenzae negli stati di ansia e angoscia provocati dall’illecito (si parla come è notodi pretium doloris con riferimento al calcolo che si deve fare in via equitativadi questo pregiudizio rigorosamente non rilevante sul piano patrimoniale).Viceversa la Corte europea non conosce questa figura e parla indifferentementedi pregiudizio morale in dipendenza dall’incertezza e dall’ansiacirca l’esito del giudizio con ripercussioni sulla situazione complessiva economicae di salute dell’interessato ( 11 ).Non so dire a questo punto se dobbiamo augurarci che prevalga il modelloitaliano in tema di danno esistenziale, ma è certo che in questo settoredei danni alla persona le distanze tra il diritto comunitario e il diritto internoitaliano persistono e non è estranea a ciò, lasciatemi dire, la confusioneche caratterizza la disciplina del danno non patrimoniale nel nostro ordinamento.L’emergere di sempre nuove categorie di danno nuoce alla chiarezza ealla traducibilità a livello europeo delle istanze di cui si fanno portatori i nostrigiudici.Non vi è dubbio che le lungaggini processuali creano un disagio esistenzialeper le parti in causa e anche per altri soggetti a queste in qualchemodo legati. Ma non vi è bisogno di immaginare una categoria nuova didanno laddove la legge consente il risarcimento del danno non patrimonialee sottoporla ad un regime probatorio differenziato.A mio avviso la creazione giurisprudenziale di nuovi danni ha senso nelnostro ordinamento quando manchino i dati legislativi a cui ancorare una( 10 ) Cass., 26 aprile 2005, n. 8603, in www.iurisdata.net.( 11 ) In altra sede ho messo in rilievo che sussistono differenze sul piano probatorio perchéla Corte europea ritiene che il danno in parola non deve essere provato ma calcolato sulla basedi una cifra standard per ogni anno della durata del processo mentre la nostra Cassazioneha più volte ripetuto che tale danno non può dirsi in re ipsa e va provato da chi invoca il risarcimento.


SAGGI 81responsabilità adeguata al pregiudizio subito dalla vittima. Se si va a vederedove operativamente il danno esistenziale viene liquidato dai giudici comevoce autonoma, si tratta dei danni riflessi da uccisione o lesione personaledel congiunto, da mobbing, da illeciti familiari, da pericolo di danni futuri,specialmente ambientali, e di altre situazioni analoghe. Non vi è dubbioche, in questi casi, la sensibilità dei nostri giudici nell’apprezzare il disagioesistenziale dei danneggiati dovrebbe trovare un veicolo per influenzare laregolamentazione degli altri Paesi.Il cammino giurisprudenziale che ha caratterizzato la materia, dal dannobiologico alla versione costituzionalmente orientata del danno non patrimoniale,ha percorso tappe molto significative e si caratterizza per unamaggiore estensione dei risarcimenti a prescindere dallo stato economicodel danneggiato e a parità di lesione e all’insegna della tutela di interessi importantidella persona, che in passato venivano ignorati a causa di una visioneeccessivamente patrimonialistica dei pregiudizi connessi alla violazionedei diritti umani. E, dunque, dovremmo augurarci di costituire un modello,dal punto di vista della tutela sostanziale dei diritti, per gli altri Paesi. Ma ciòpuò avvenire solo a patto di assicurare uno stile delle decisioni fruibile ancheall’estero.4. – In particolare è emersa ormai nel quadro di studi comparati con lostile delle sentenze francesi, inglesi e tedesche, l’esigenza che i giudici italianimodifichino lo stile delle loro decisioni perché la sentenza-trattato, caratterizzatada uno stile prolisso e da un inutile richiamo di nozioni e istitutila cui conoscenza non è influente sull’iter decisionale del giudice, è causadi notevoli fraintendimenti. Ma anche la sentenza stringata per relationem,ovvero la sentenza che non è autosufficiente in quanto si riferisce a precedentigiudiziali senza darne conto, è una sentenza oscura e come tale nonesportabile. L’obbligo della motivazione ribadito anche dall’art. 111, commaprimo della Costituzione, non è ottemperato con il semplice rinvio adun precedente perché la motivazione della sentenza costituisce il tramitenon solo per il controllo da parte del giudice dell’impugnazione ma ancheper quello extraprocessuale, ovvero il controllo democratico da parte diqualunque cittadino. In altri termini la sentenza che, come dice l’intestazionedi rito, deve essere pronunciata nel nome del popolo, deve essere leggibileanche da parte di soggetti non addetti ai lavori, soprattutto dai giornalistiche sempre più affollano i giornali di cronaca giudiziaria fraintendendolae comunicando notizie infondate.Naturalmente occorre anche un aggiornamento continuo da parte deimagistrati per evitare, come a volte succede, che rimangano ancorati aglistudi fatti al momento dell’entrata in carriera.Per restare nell’ambito del danno alla persona non può ammettersi che


82 CONTRATTO E IMPRESA 1/2011la Suprema Corte, per rifiutare la delibazione di una sentenza di condannastatunitense al pagamento dei punitives damages, affermi a chiare lettere:« l’idea della sanzione e della punizione è estranea al risarcimento del danno,così come è indifferente la condotta del danneggiante: alla responsabilitàcivile è assegnato il compito precipuo di restaurare la sfera patrimonialedel soggetto che ha subìto la lesione mediante il pagamento di una sommadi danaro che tenda ad eliminare le conseguenze del danno arrecato » ( 12 ); oche, in presenza di immissioni di onde elettromagnetiche, sempre la stessaCorte affermi che « in mancanza di un principio codificato di precauzioneche consenta una tutela avanzata a fronte di eventi di potenziale ma nonprovata pericolosità, deve escludersi in questi casi il diritto al risarcimentodi un danno del tutto ipotetico » ( 13 ). Queste prese di posizione sono infattisuperate dal momento che il principio di precauzione è già entrato nel nostroordinamento grazie a una direttiva comunitaria ( 14 ) e che non esiste alcunprincipio di ordine pubblico che impedisca ai giudici italiani, come hannofatto pacificamente i loro colleghi francesi, di tener conto, nella valutazionedei danni alla persona, della particolare intensità dell’offesa e dellacolpa grave del danneggiante.In questo settore l’interprete dovrebbe recuperare tutto il bagaglio di argomentazionia partire dai valori costituzionali che hanno consentito ai giuristiitaliani di difendere gli abitanti, proprietari o non, delle case vicine aglistabilimenti industriali che producono inquinamenti tutte le volte che la lororichiesta di tutela coincideva con l’interesse collettivo alla salubrità del-( 12 ) Cfr. Cass., 19 gennaio 2007, n. 1183, in Corriere giur. 2007, p. 498 con nota di Fava, Punitivedamage e ordine pubblico: la Cassazione blocca lo sbarco.( 13 ) Cass., 23 gennaio 2007, n. 1391, da CED Cassazione, 2007.( 14 ) V. art 304 intitolato: “Azione di prevenzione del Codice dell’ambiente” che recita:1. Quando un danno ambientale non si è ancora verificato, ma esiste una minaccia imminenteche si verifichi, l’operatore interessato adotta, entro ventiquattro ore e a proprie spese,le necessarie misure di prevenzione e di messa in sicurezza.2. L’operatore deve far precedere gli interventi di cui al comma 1° da apposita comunicazioneal comune, alla provincia, alla regione, o alla provincia autonoma nel cui territorio siprospetta l’evento lesivo, nonché al Prefetto della provincia che nelle ventiquattro ore successiveinforma il Ministro dell’ambiente e della tutela del territorio. Tale comunicazione deveavere ad oggetto tutti gli aspetti pertinenti della situazione, ed in particolare le generalitàdell’operatore, le caratteristiche del sito interessato, le matrici ambientali presumibilmentecoinvolte e la descrizione degli interventi da eseguire. La comunicazione, non appena pervenutaal comune, abilita immediatamente l’operatore alla realizzazione degli interventi di cuial comma 1° . Se l’operatore non provvede agli interventi di cui al comma 1° e alla comunicazionedi cui al presente comma, l’autorità preposta al controllo o comunque il Ministero dell’ambientee della tutela del territorio irroga una sanzione amministrativa non inferiore a milleeuro né superiore a tremila euro per ogni giorno di ritardo.


SAGGI 83l’ambiente. Argomentazioni che a partire dall’art. 32 Cost. suggerivano diconcedere non solo un indennizzo ma l’inibitoria delle immissioni nocive el’adozione di impianti riduttivi delle immissioni, attraverso un bilanciamentotra l’interesse alla produzione e quello, altrettanto di natura collettiva,della difesa dell’ambiente, in applicazione dell’art. 844 c. c.Per non dire del precedente giudiziale delle Sezioni Unite (il caso Seveso)ignorato dalle sentenze testé citate e di cui riporto la massima, peraltroelaborata da chi vi parla, e corrispondente alla effettiva decisione espressa inquella vicenda. Ecco un precedente vincolante perché espresso dalle SezioniUnite che ribalta la concezione classica della responsabilità civile:« In caso di compromissione dell’ambiente a seguito di disastro colposoil danno morale soggettivo lamentato dai soggetti che si trovano in una particolaresituazione (in quanto abitano o lavorano in detto ambiente) e cheprovino in concreto di aver subìto un turbamento psichico di natura transitoriaa causa dell’esposizione a sostanze inquinanti e alle conseguenti limitazionidel normale svolgimento della loro vita, è risarcibile autonomamenteanche in mancanza di una lesione all’integrità psicofisica » ( 15 ).In definitiva, uno scambio di flussi giurisprudenziali in questa materiacosì complessa e relativa al diritto umano più rilevante, quello della salute,sarebbe salutare (mi si scusi il bisticcio) perché possa imporsi il modello ditutela più razionale e al passo con i tempi che segnalano episodi sempre piùingenti di disastri ecologici e la necessità di nuovi strumenti giuridici che assicurinouna tutela preventiva e non solo riparatoria.Ben vengano anche le nuove tipologie di danni all’italiana purché nonripetitive di quelle già esistenti e recepite legislativamente. Nel campo deidanni da ingiusto processo ove la legge Pinto consente il risarcimento deldanno non patrimoniale, il mio auspicio è che in questo settore si parli didanno patrimoniale e di danno morale, quest’ultimo in una accezione ampia,comprensiva anche del disagio dovuto al protrarsi dell’incertezza sull’esitodella lite, senza accreditare anche la figura del cd. danno esistenziale.Sono in definitiva gli avvocati con l’ausilio della dottrina che devonofunzionare da custodi dei diritti, ma senza dimenticare il rapporto che devesussistere tra la violazione dei diritti e una condotta illecita, perseguibile siapure solo civilmente. In altri termini richiamo l’attenzione sull’art. 2043 c.c.e su quelli che lo seguono: per riconoscere un risarcimento occorre dimostrarela ricorrenza di un danno ingiusto, di un criterio di imputazione dellaresponsabilità civile, anche meramente oggettivo, e del nesso causale tra il( 15 ) Cass. Sez. Un., 21 febbraio 2002, n. 25615 in Giur. it., 2003, 691, con note di Bona e Migliorati,e in Danno e resp., 2002, con nota di Ponzanelli.


84 CONTRATTO E IMPRESA 1/2011danno e il fatto da cui è derivato. Non basta inventare nuovi diritti e nuovecategorie di danno.In conclusione, a mio giudizio, la previsione delle decisioni in questamateria non sarà facile per gli avvocati e oggi ci troviamo qui a darci caricodi promuovere una cultura del precedente giudiziale e dei flussi giuridicisufficiente ad affrontare la professione in Europa e non solo a livello del dirittonazionale.Sono convinta che la “circolazione delle giurisprudenze”, cui ho intitolatoil mio intervento, rappresenta uno strumento essenziale per capire, aldi là delle differenti concezioni, i valori e i principi che trascendono i confiniterritoriali e che hanno una forza vincolante universale in ogni paese civile.


SOCIETÀANDREA CAPRARADecadenza dei sindaci e profili dell’organizzazioneSommario: 1. Premessa – 2. La natura giuridica della decadenza e la distinzione dalla revocaper giusta causa – 3. (segue) Accertamento della decadenza e subentro dei supplenti – 4.Decadenza e ineleggibilità: due facce della stessa medaglia o due medaglie senza faccia?– 5. Decadenza e riflessi organizzativi: dall’illegittimità degli atti compiuti dall’organo . . .– 6. (segue) . . . all’invalidità delle delibere del collegio sindacale e (in)applicabilità della“prova di resistenza”.1. – In materia di cause di ineleggibilità e decadenza di sindaci il legislatoredella riforma, pur non abbandonando la tradizionale impostazione“per casi e fattispecie” a favore della tecnica normativa per standard, ha previsto,sia pur con diverse formulazioni e ampiezza, tanto per le società chiuse(art. 2399 c.c.), quanto per quelle quotate (art. 148 T.U.F.), una clausolagenerale che opera quale norma di chiusura in grado di attrarre alla disciplinadella decadenza e dell’ineleggibilità tutta una serie di ipotesi non tipizzate( 1 ).( 1 ) In argomento v., da ultimo, Tantini, L’indipendenza dei sindaci, Padova, 2010, p. 38 ss.Peraltro, se si accetta che la normazione “per principi” non costituisce più una remora riguardoalle cause di decadenza, se si accetta, cioè, l’idea che non sono più l’immediatezza el’assenza di discrezionalità gli elementi caratterizzanti le ipotesi di ineleggibilità e di decadenza,non dovrebbero sorgere problemi nell’ammettere una clausola (generale) statutariache preveda, ad esempio, quale causa di decadenza, la sussistenza di rapporti di natura personale(anche, di fatto) che compromettano l’indipendenza. Cfr. già Pisani Massamormile,Appunti sugli amministratori indipendenti, in RDS, 2008, p. 237 ss., in part. p. 246.Maggior perplessità, invece, desterebbero quelle clausole “interpretative” dei possibilirapporti patrimoniali che incidono sull’indipendenza. In sostanza, si dubita che sia possibile“tipizzare”, ad esempio, le varie ipotesi di “rapporti patrimoniali” pregiudizievoli per l’indipendenza.Una clausola siffatta, però, in ossequio alla regola della conservazione dell’atto(art. 1367 c.c.), se ritenuta applicabile nell’interpretazione degli atti costitutivi (cfr. Ibba, L’interpretazionedegli statuti societari fra criteri oggettivi e criteri soggettivi, in Riv. dir. civ., 1995, I, p.525 ss.; Id., L’interpretazione delle regole contrattuali nei contratti associativi, in Riv. dir. civ.,2006, I, p. 271 ss.; in giurisprudenza v. Cass., 1 marzo 1973, n. 561, in Dir. fall., 1973, II, p. 915),potrebbe essere intesa come esemplificativa e non esaustiva delle cause di decadenza.


86 CONTRATTO E IMPRESA 1/2011In questo modo si risolve non solo un problema di tassatività delle ipotesidi decadenza previste dall’art. 2399 c.c., ma anche di non eccezionalitàdelle stesse ( 2 ).Questa impostazione non può non incidere anche sulla modalità di concepiresia l’ineleggibilità che la decadenza o, meglio, sembra irradiare suglistessi una nuova luce, che lascia nell’ombra argomenti avanzati in passatosoprattutto dalla dottrina.L’indagine è suggerita da una recente decisione della Cassazione ( 3 ) che,pur pronunciandosi sulla base del diritto previgente, cerca di fare il punto,tra l’altro, sia sulla modalità con cui opera la decadenza e sulla necessità oPeraltro, già nella disciplina previgente si ammetteva, seppur con il limite della necessariadeterminatezza della fattispecie, la creazione di ulteriori ipotesi di decadenza per via statutaria.In questo senso v. Libertini, Note in materia di ineleggibilità e decadenza del sindacoconsulente della società, in Giur. comm., 2002, I, p. 270 ss., in part. p. 272, mentre per Fazzutti,La nomina dei sindaci nelle società “quotate” (e non), in Giur. comm., 2000, I, p. 25 ss., in part. p.55 s., non sussistono ostacoli normativi insuperabili che precludano l’ammissibilità dellaclausola simul stabunt simul cadent con riferimento al sindaco di minoranza nelle società quotate.Secondo Providenti, in Società per azioni-amministrazione e controlli, a cura di Lo Cascio,Milano, 2003, sub art. 2399, p. 242, l’apertura all’introduzione di clausole statutarie di decadenzaè sintomo della consapevolezza dell’insufficienza di quelle legali contenute nell’art.2399. Svaluta la portata innovativa dell’apertura all’autonomia privata Rigotti, Collegio sindacale.Controllo contabile, Comm. diretto da Marchetti, Bianchi, Ghezzi e Notari, Milano,2005, sub art. 2397, p. 129 ss.Infine, nessuna obiezione sembra doversi riscontrare in una procedimentalizzazionedell’accertamento delle clausole di decadenza, attraverso l’indicazione di un organo idoneoall’accertamento.( 2 ) Nel vigore del nuovo testo dell’art. 2399 c.c., Montalenti, Conflitto di interessi e funzionidi controllo: collegio sindacale, consiglio di sorveglianza, revisori, in Giur. comm., 2007, I, p.555 ss., in part. p. 558 ritiene, però, che “le disposizioni in tema di incompatibilità del sindacosiano di stretta interpretazione, non suscettibili di letture analogiche”.( 3 ) Cass., 15 febbraio-9 maggio 2008, n. 11554, in Guida dir., 2008 31, p. 64 ss., con nota diM. Leo, La causa d’ineleggibilità dei componenti prescinde da un procedimento di verifica; inRiv. notariato, 2008, 5, p. 1120 ss., con nota di Ancillotti, Principio di chiarezza e funzioneinformativa del bilancio sociale. Decadenza di un membro del collegio sindacale e conseguenzesugli atti del collegio e degli altri organi sociali; in Foro it., 2009, I, c. 2175 ss., con nota di Nazzicone,Sindaco decaduto ed invalidità, diretta e derivata, di deliberazioni societarie; in Giur.comm., 2009, II, p. 924 ss., con nota di I. Russo, La rilevanza esterna dei chiarimenti forniti dagliamministratori in sede di approvazione del bilancio d’esercizio.La decisione è commentata altresì da Romolotti, Decadenza automatica e atti collegialiillegittimi: la gestione del rischio, in Dir. e prat. società, 2008 17, p. 58 ss., e da Pastori, Decadenzadel sindaco ed illegittimità della deliberazione del collegio sindacale, in Giur. comm., 2009,II, p. 1110 ss.


SAGGI 87meno di un suo accertamento, sia sulle conseguenze organizzative derivantidalla persistente presenza di un sindaco decaduto rispetto agli atti compiutidal collegio sindacale “illegittimamente costituito” ( 4 ).La Corte si trova ad affrontare il tema della decadenza del sindaco al finedi valutare la validità degli atti nel cui procedimento di formazione intervieneil collegio. In sostanza, ci si interrogava se la validità della delibera diun organo (assemblea) può essere pregiudicata da atti (illegittimi) posti inessere da un altro organo (collegio sindacale). Seguendo l’insegnamentometodologico di Gino Gorla ( 5 ), se il “caso” (“fatti” e “questioni”) era costituitodall’invalidità derivata, la “risoluzione del caso” è stata rinvenuta nelprincipio secondo cui il vizio di costituzione e funzionamento di un organodella società “è idoneo ad incidere sulla legittimità degli atti da quel medesimoorgano compiuti, ma non pure degli atti di organi diversi, salvo che[. . .] si tratti di atti confluenti in un medesimo procedimento, o comunquedi atti tra loro legati da un nesso di consequenzialità necessaria sul pianogiuridico” ( 6 ).Pertanto, nella fattispecie concreta sottoposta alla Corte, l’accertamentodel possibile vizio di costituzione del collegio sindacale diventa inutile(“palesemente superfluo”) rispetto alla delibera di approvazione del bilanciola cui nullità si fa risalire alla violazione della clausola generale dellachiarezza e irrilevante rispetto alla delibera relativa al compenso degli amministratori“perché tale deliberazione [. . .] non comporta alcun ruolo attivodel collegio sindacale [. . .]” ( 7 ). Eppure la Corte spende non poche energiesul punto. Per verificare la correttezza delle argomentazioni addotte, anchealla luce delle nuove regole introdotte con la riforma del diritto societario,occorrerà analizzare la natura della decadenza e la funzione svolta dall’accertamentodella stessa e le conseguenze organizzative della mancatasostituzione del sindaco decaduto.2. – La Cassazione non si sofferma sulla natura giuridica della decadenza( 8 ), limitandosi ad osservare, alla luce dei suoi precedenti che ivi richia-( 4 ) Cfr. il punto 5.3 della motivazione.( 5 ) Gorla, voce Precedente giudiziale, in Enc. giur. Treccani, XXIII, Roma, 1990, in part. p.10 ss.( 6 ) Così nel punto 6 della motivazione.( 7 ) Punto 6 della motivazione. Nel punto 5, però, la Corte giustifica l’approfondimentodelle questioni relative alla decadenza per i riflessi che la stessa avrebbe avuto sulla deliberarelativa al compenso degli amministratori.( 8 ) La Cassazione analizza, infatti, il caso di decadenza determinata dalla sussistenza diun rapporto continuativo di prestazione d’opera retribuita tra il sindaco, nello specifico il presidentedel collegio, e la società. Fattispecie oggi calata nella lett. c dell’art. 2399 c.c., con lievi


88 CONTRATTO E IMPRESA 1/2011ma, e conscia del dibattito ancora vivo in dottrina, che la stessa opera ipsoiure e non necessita di alcun atto di accertamento ( 9 ).In passato, per giustificare l’automaticità della decadenza, si è riconosciuto,nelle varie ipotesi previste dall’art. 2399 c.c., un comune carattere diimmediata percezione dell’incompatibilità che non richiederebbe, perciò,alcun giudizio di valore. Si tratterebbe di un meccanismo diretto a garantirel’“efficienza dell’organizzazione societaria” e che risponde all’“esigenzadi certezza, che [. . .] è implicita nella ricostruzione delle fattispecie rilevantiai fini della determinazione dei requisiti di ineleggibilità e decadenza” ( 10 ).Una spiegazione siffatta mal si concilia con il nuovo testo dell’art. 2399c.c., e in particolare con la fattispecie dai confini indeterminati prevista dallasua lett. c, tanto che la miglior dottrina, pur confermando l’impostazioneprecedente, ha sostenuto che la decadenza opererebbe talvolta ex lege, talvoltaa seguito dell’accertamento del verificarsi della fattispecie ( 11 ); accer-modifiche letterali (cfr. sul nuovo testo Cavalli, Il collegio sindacale, in Il nuovo diritto societario,a cura di Ambrosini, Torino, 2004, I, p. 267 ss., in part. p. 272 s.); ipotesi cioè di decadenzac.d. ordinaria (art. 2399 c.c.), normalmente contrapposta, in dottrina, a quella c.d. sanzionatoria(v., tra i tanti, Cavalli, I sindaci, in Tratt. delle s.p.a, diretto da Colombo e Portale, 5,Torino, 1988, p. 56 ss.; Domenichini, Il collegio sindacale nelle società per azioni, in Tratt. dir.priv., diretto da Rescigno, 16, Torino, 1985, p. 552, Libertini, Note in materia di ineleggibilità edecadenza del sindaco consulente della società, cit., in part. p. 281 ss.), che si ricollega a meri fattioggettivi e assenza di profili valutativi, come la mancata partecipazione del sindaco alle riunionidel consiglio di amministrazione o dell’assemblea (cfr. art. 2405 c.c.).( 9 ) Per i riferimenti, anche giurisprudenziali, si veda Cavalli, Collegio sindacale, in Cavalli,Marulli, Silvetti, Le società per azioni, II, 2, Torino, 1996, p. 734 ss.( 10 ) Così Libertini, Note in materia di ineleggibilità e decadenza del sindaco consulente dellasocietà, cit., p. 270 ss., in part. p. 272, da dove è tratto il virgolettato. Per la tesi in parola,l’“esigenza di certezza” si traduce nella necessità di poter “definire sufficientemente a priori,ipotesi di incompatibilità e decadenza” (Libertini, Note in materia di ineleggibilità e decadenzadel sindaco consulente della società, cit., in part. p. 277).V. anche Angelici, Cavalli, Libertini, Parere pro veritate in materia d’ineleggibilità delsindaco e società tra professionisti (4 febbraio 2005, indirizzato al Consiglio Nazionale Ragionierie Periti Commerciali) e Libertini, Sui requisiti di indipendenza del sindaco di società perazioni, in Giur. comm., 2005, I, p. 237 ss. La tesi sembra peraltro già presente in nuce già nelleparole di Sasso, A proposito dell’indipendenza del sindaco, in Giur. comm., 1999, I, p. 220 ss., inpart. p. 221, nota 2, ove si esprimono i timori che derivano da un’interpretazione troppo ampiadelle ipotesi previste dall’art. 2399 c.c., e, con riferimento alla famiglia di fatto, significativamenteprecisa che se si accetta una tale apertura “si finisce con l’introdurre elementi d’incertezzacirca l’area di operatività della norma”. Tuttavia, l’a. è conscio che è possibile rinveniremolte situazioni di pericolo “astrattamente idonee ad incidere sulla capacità di controllodel sindaco”, ma ritiene che il problema andrà risolto “sulla base della diligenza prestata e secondogli obblighi che fanno carico all’organo di controllo”.( 11 ) Cfr. Angelici, Cavalli, Libertini, Parere pro veritate in materia d’ineleggibilità del


SAGGI 89tamento che dovrebbe avvenire mediante una delibera dell’assemblea, conla conseguente difficoltà di distinguere la decadenza dalla revoca ( 12 ).Va tuttavia rilevato che, per questa via, si giunge ad alterare un trattofondamentale delle garanzie di indipendenza che caratterizzano il sistematradizionale rispetto ai sistemi alternativi (e oggi ai revisori) ( 13 ), arrivando,di fatto, ad aggirare il controllo giudiziale sulla giusta causa di revoca (arg. exart. 1344 c.c.). Infatti, non si sposta solo ex ante il (potenziale) controllo dellalegittimità della causa di cessazione dell’incarico, ma muta completamentela prospettiva. Nel caso di specifica ulteriore ipotesi di decadenza sitratta, infatti, di stabilire, probabilmente in via incidentale, ossia in caso diimpugnazione del provvedimento di comunicazione della decadenza, lacompatibilità tra una norma per sua natura generale ed astratta, posta dall’autonomiaprivata, e l’ordinamento. In caso di revoca, invece, occorre valutarese in concreto sussiste una giusta causa, per definizione non tipizzata:cambia pertanto non solo l’oggetto su cui verte l’onere della prova, ma ancheil suo contenuto e muta l’efficacia della cessazione del rapporto. In pratica,il rischio è di tradurre la decadenza in una presunzione assoluta di giustacausa di revoca; una presunzione vincibile solo dimostrando l’illegittimitàdella clausola statutaria o la non coincidenza tra fattispecie concreta eastratta previsione statutaria.Probabilmente, per tener su due piani distinti revoca e decadenza, soprattuttoquando si procede all’accertamento mediante una delibera assembleare,è necessario considerare la diversa natura sostanziale che le caratterizza:la revoca: i) è l’oggetto della delibera e, in quanto tale, determinaprecise conseguenze sul piano organizzativo e obbligatorio (necessità che sinomini il sostituto e, in assenza di giusta causa, obbligo di risarcire il dan-sindaco e società tra professionisti, cit., p. 22 per i quali dalla decadenza prevista dalla lett. c dell’art.2399 sarebbe “meno plausibile [. . .] trarre la conseguenza di una decadenza automatica,a prescindere da ogni accertamento”; Libertini, Sui requisiti di indipendenza del sindaco di societàper azioni, cit., p. 239 s., per il quale la “tesi dell’operatività solo a seguito di un atto di accertamentocostitutivo rimane ragionevolmente sostenibile solo nei casi in cui vi possano essereoggettive incertezze sulla compatibilità delle situazioni concrete”.( 12 ) Tant’è vero che lo stesso Libertini, Sui requisiti di indipendenza del sindaco di societàper azioni, cit., p. 240, nota 6, si vede costretto ad affermare che la “deliberazione sulla decadenzasi avvicinerebbe pertanto a quella di revoca per giusta causa (art. 2400, comma 2°), conla differenza che non richiederebbe l’approvazione del Tribunale”. Una distinzione che, alpiù, potrebbe trovare qualche (solo apparente) riscontro per il sistema tradizionale, non già inquelli alternativi, dove la revoca dei soggetti deputati al controllo non è soggetta ad approvazionedel tribunale.( 13 ) Si noti come con la riforma sulla revisione legale dei conti, approvata il 27 gennaio2010 (d.lgs. 39/2010), è stato abolito anche l’art. 2409quater, c.c., che prevedeva il decreto deltribunale per l’approvazione della delibera di revoca dell’incarico di revisione.


90 CONTRATTO E IMPRESA 1/2011no); ii) si materializza in un atto (la delibera) i cui effetti, una volta approvatadal tribunale, non hanno bisogno di ulteriori atti di esecuzione.Altra cosa è la decadenza che, in quanto norma secondaria (ossia sanzionatoria),opera direttamente sugli effetti dell’atto (l’atto di nomina) preesistenteed efficace.La qualificazione della decadenza come sanzione ( 14 ), ossia come conseguenzache l’ordinamento ricollega alla violazione di una regola di condotta,permette di collocare su due piani distinti elementi (la fattispecie e la sanzione)che, dal punto di vista funzionale, sono dotati di reciproca autonomia ( 15 ).Infatti, come si è in parte anticipato, non solo non ha alcun riscontro ladefinizione come “eccezionali” delle ipotesi di ineleggibilità e decadenza( 16 ), ma, anzi, essa è il sintomo dell’inversione, da un punto di vista interpretativo,del rapporto tra mezzo e fine; di aver visto, cioè, nell’elencazionedelle cause di ineleggibilità e decadenza non dei possibili strumenti per favorire(in particolare) l’indipendenza, ma degli istituti dotati di una propriafinalità: quella di garantire un’esigenza di certezza assicurata dalla modalitàtecnica del loro operare (ipso iure). In sostanza, per la tesi tradizionale: i) ladecadenza (la sanzione) non era più un mezzo per favorire (tra l’altro) l’indipendenza(la norma primaria), ma era essa stessa la fattispecie a cui piegarele varie “cause” che la potevano originare: il modo di operare della decadenzaimponeva di leggere le varie cause in modo “coerente” con tale “fat-( 14 ) Talvolta si parla anche di norma secondaria. La contrapposizione tra norma primariae norma secondaria ha avuto, in dottrina, molto seguito, anche se ha spesso assunto significatiassai diversi. Per una ricostruzione, nonché per i necessari riferimenti bibliografici v. Ferrajoli,Principia iuris. Teoria del diritto e della democrazia, 1, Teoria del diritto, Bari, 2007, p.679 ss., e nota 50, E. Russo, L’interpretazione delle leggi civili, Torino, 2000, p. 278 ss.( 15 ) Cfr. già Betti, Teoria generale del negozio giuridico, in Tratt. dir. civ. it., diretto da Vassalli,XV, Torino, 1960, p. 468, che ritiene opportuno “tenere distinti i due ordini di problemi:quelli concernenti la diagnosi delle anormalità (la patologia) e quelli concernenti il loro trattamentogiuridico”, ma la scissione tra precetto e sanzione si riscontra anche nelle concezioninormativistiche che vedono nell’invalidità il trattamento sanzionatorio dell’atto viziato. Suquesti temi si veda Ascarelli, Inesistenza e nullità, in Scritti giuridici, Milano, 1959, p. 225 ss.;Irti, La nullità come sanzione civile, in questa rivista, 1987, p. 541 ss.; per un accenno v. Sacco,De Nova, Il contratto, II, in Tratt. dir. civ., diretto da Sacco, Torino, 2004, p. 496.( 16 ) La dottrina non si è preoccupata di dimostrare il carattere eccezionale delle disposizionicirca l’ineleggibilità e decadenza, limitandosi ad affermare che “[. . .] si ritengono essere[disposizioni eccezionali] quelle che pongono limiti alla capacità di assumere cariche od ufficidi qualsiasi tipo”. Così Cavalli, Collegio sindacale, cit., p. 686. L’eccezionalità di una normapresuppone l’individuazione di un sistema di valori collocato in una posizione poziore nellacatena kelseniana, contraddetta dal disvalore insito, nel caso di specie, nel meccanismo dell’ineleggibilitàe decadenza. Per un’analoga argomentazione, seppur riferita all’elencazionedelle cause di recesso previste dall’allora vigente art. 2437 c.c., cfr. Galletti, Il recesso nellesocietà di capitali, Milano, 2000, p. 305 ss., ove riferimenti di teoria generale.


SAGGI 91tispecie”; ii) l’ineleggibilità era la mera proiezione nel momento, iniziale,dell’instaurazione del rapporto tra sindaco e società dell’efficienza “sanzionatoria”della decadenza.In realtà, la corretta prospettiva dovrebbe essere un’altra, ossia quella divedere la tipicità nel modo di operare della sanzione (ossia ipso iure), nonnelle fattispecie che ad essa si riconducono: in altri termini, tipicità dellasanzione non è tassatività o eccezionalità delle fattispecie che ne richiedonol’applicazione.3. – Se quanto detto consente di precisare la natura della decadenza, occorreora chiarire le conseguenze che derivano, sempre sul piano organizzativo,dal suo verificarsi e che fanno emergere la (sola) utilità pratica dell’attoche l’accerta ( 17 ).Si è affermato che la mancata previsione circa l’operatività delle cause didecadenza e dell’individuazione dell’organo competente “si è tradotta inun’occasione mancata” ( 18 ). Un’affermazione su cui non si ritiene di doverconvenire visto che la disciplina sembra agevolmente ricavabile da un’attentaqualificazione della fattispecie e da disposizioni già presenti nel sistema.Infatti, se lo statuto o la legge non dispongono diversamente ( 19 ), sarannoi sindaci i primi “interessati” a tale accertamento, poiché, diversamente,il collegio sindacale rischierebbe di trovarsi costretto ad operare in condizionedi non assoluta efficienza (come invece vorrebbe proprio l’automatismodell’art. 2400 c.c.) ( 20 ). Un accertamento che non necessariamente do-( 17 ) Su tali questioni ci si è già intrattenuti nel nostro Le funzioni dei sindaci tra principi generalie disciplina, Padova, 2008, p. 281 ss.( 18 ) Così, commentando la sentenza della S.C., Leo, La causa d’ineleggibilità dei componentiprescinde da un procedimento di verifica, cit., p. 71 ss., in part. p. 73.( 19 ) Con riferimento alle possibili aperture statutarie v. quanto si è osservato supra in nota1.Sul piano legislativo regole speciali sono previste, ad esempio, per le società bancarie (efinanziarie capogruppo di gruppi bancari), per gli intermediari e per le società quotate (v. il richiamodella S. C. al punto 5.1 della decisione del 2008, nonché il commento di Nazzicone,Sindaco decaduto ed invalidità, diretta e derivata, di deliberazioni societarie, cit., c. 2182 s.).Peraltro nulla esclude, anche se non fosse previsto dallo statuto, che si proceda, ferma lasua efficacia ipso iure, ad un accertamento della decadenza per consentire, da un lato, il prodursidei meccanismi automatici ad essa riconnessi (il subentro del sindaco supplente ex art.2401 c.c.) e, dall’altro, la tutela dello stesso sindaco decaduto. In questo senso v. già Cavalli,I sindaci, cit., p. 64. Per ulteriori riferimenti, anche alla dottrina e giurisprudenza contrari, cfr.Id., Collegio sindacale, cit., p. 734 ss., in part. p. 736 ss.( 20 ) Per le società quotate, similmente a quanto già accade per le banche (v. Freni, Requisitidi professionalità e di onorabilità, in Ferro Luzzi-Gastaldi (a cura di), La nuova legge bancaria,I, Milano, 1996, p. 381 ss., in part. p. 430 ss.), il legislatore ha ritenuto opportuno chiari-


92 CONTRATTO E IMPRESA 1/2011vrà sfociare in una delibera di un organo collegiale ( 21 ), data l’efficacia (ipsoiure) con cui opera la decadenza che, dunque, potrebbe essere rilevata medianteun qualsiasi atto formale, anche del presidente del collegio o da altrosindaco ( 22 ). Sarà perciò sufficiente una comunicazione che dovrà essere inviatasia al sindaco decaduto, sia al supplente chiamato a subentrare ( 23 ).Non è da escludere, inoltre, che tale accertamento possa essere promossoanche da parte del singolo socio ( 24 ) e forse anche del terzo ( 25 ) e sen-re quale sia l’organo competente per l’accertamento. Infatti, l’art. 148 T.U.F., al comma 4°quater,così come novellato dalla l. risp. (l. 262/2005), attribuisce tale compito al consiglio di amministrazionee, “nelle società organizzate secondo i sistemi dualistico e monistico, [all’]assemblea[. . .]”, nonché, in caso di inerzia, la Consob su richiesta di qualsiasi interessato o d’ufficio.La disposizione, che si apre con una clausola che ne limita la portata ai “casi previsti dalpresente articolo”, sembra dettare una regola speciale, agevolando la conclusione per la qualeè proprio l’organo di controllo a dover dichiarare la decadenza dei propri membri per i casinon riconducibili, neppure in via analogica, all’art. 148 T.U.F. (Cfr. Sasso, L’ampliamento deipoteri di informazione di convocazione dei componenti l’organo di controllo, in De Angelis-Rondinone(a cura di), La tutela del risparmio nella riforma dell’ordinamento finanziario, Torino,2008, p. 93 ss., in part. 103 ss.).Più in generale la legislazione speciale sembrerebbe confermare che, in mancanza di diversaindicazione, sia proprio il collegio, il cui componente è decaduto, a dover accertare, motivaree comunicare la causa di cessazione dall’incarico.In giurisprudenza v. Trib. Milano, 16 marzo 1956, in Foro it., 1957, I, c. 1348; in Riv. dir.comm., 1957, II, p. 52, per il quale “le cause di decadenza dei sindaci, al pari di quelle degli amministratori[. . .] devono essere rilevate dall’organo sociale competente [. . .]”.( 21 ) Come, invece, sembra sostenere Cavalli, Collegio sindacale, cit., p. 736 ss.( 22 ) Anzi costituisce un vero e proprio obbligo giuridico da parte degli altri componentidel collegio acclarare la verificazione di una causa di decadenza, in quanto rappresenta un doverericollegabile alla vigilanza sul rispetto della legge e dello statuto. Pertanto il mancato rilievodella decadenza potrebbe fondare anche la promozione dell’azione di responsabilità (sene deriva un danno) da parte dell’assemblea o della minoranza ex art. 2393bis c.c. o la revocaper giusta causa (inadempimento).( 23 ) La comunicazione andrà estesa a tutti gli interessati, seppur in forme diverse: ai soci,poiché l’assemblea successiva dovrà “provvedere alla nomina dei sindaci effettivi e supplentinecessari per l’integrazione del collegio, nel rispetto dell’art. 2397, comma 2°” (2401, comma1°, c.c.); agli amministratori, affinché adempiano agli oneri pubblicitari (art. 2400, comma 3°,c.c.). Cfr. a tal proposito il Trib. Mantova, 25 luglio 2009, inedita ma reperibile sul sito www.ilcaso.it,dove, seppur con riferimento alle dimissioni, discostandosi dichiaratamente dall’orientamentodella corte di legittimità, si afferma che “[. . .] le dimissioni, per essere efficaci, devonoessere comunque comunicate ai sindaci supplenti; la conoscenza dell’effettività dellafunzione costituisce, infatti, il presupposto indefettibile [. . .] per l’adempimento dei doveri el’esercizio dei poteri che la carica comporta [. . .]” (p. 7 ss. del documento).( 24 ) Per una rassegna dei diritti individuali di controllo intesi come “verifica della legalitàe regolarità dell’attività della società ed in particolare dell’amministrazione, al fine di assicurarelegittimità ed efficienza dell’agire sociale a partire dalla gestione, a protezione in definiti-


SAGGI 93za che ciò pregiudichi o limiti la tutela del sindaco ( 26 ), il quale potrà comunqueottenere dal giudice l’accertamento della mancata verificazionedella causa di decadenza e il reintegro nella carica, sgombrando così il campoda dubbie costruzioni soprattutto in tema di impugnazione delle deliberedel collegio sindacale che abbia dichiarato (rectius: accertato) la decadenza( 27 ).4. – Se si accetta l’idea che la decadenza è una sanzione organizzativaper il caso in cui ricorrano determinate condizioni, e che tra le fattispecie in-va dell’interesse stesso della società, nella sua dimensione collettiva ed unitaria”, si veda Perrino,Il controllo individuale del socio di società di capitali: tra funzione e diritto, in Giur.comm., 2006, I, p. 639 ss., in part. p. 647 ss. L’a., però, non considera, nella sua analisi, la fattispecieche si sta analizzando nel testo.( 25 ) Soprattutto “nelle ipotesi in cui l’indipendenza implichi un giudizio (o una valutazionegiuridica sull’applicazione estensiva o analogica dell’incompatibilità relativa agli status)[. . .]”; in questi casi “è più consona alla fattispecie e, di fatto, più realistica, una valutazione daparte del giudice su iniziativa del singolo socio o terzo”. Così Poli, La nuova disciplina del collegiosindacale, Padova, 1997, p. 183, nota 109.È pur vero che nella disciplina positiva non vi sono disposizioni che espressamente legittiminoil singolo socio ad adire il giudice per ottenere, in contraddittorio con la società, unatale pronuncia, ma la soluzione ben si attaglia all’efficacia (ipso iure) della decadenza (e allanatura dichiarativa della pronuncia) e consente, sul piano organizzativo, l’attivazione deimeccanismi automatici di sostituzione.( 26 ) Cfr. Cavalli, Collegio sindacale, cit., p. 740. Peraltro la giurisprudenza ammette la legittimazionedel sindaco all’impugnazione della delibera assembleare che ne abbia accertatoe dichiarato la decadenza (v. Trib. Milano, 9 giugno 1975, in Giur. comm., 1976, II, p. 551). Riguardol’onere della prova con riferimento, ad esempio, alla mancata partecipazione alle riunioniassembleari, si è precisato che dovrà essere il sindaco a fornire la prova del giustificatomotivo della sua assenza. Cfr. Trib. Genova, 19 luglio 1993, in Giur. it., 1994, I, 2, c. 327, connota di Cottino, Questioni in tema di decadenza (e funzionalità) del Collegio sindacale; Trib.Genova, 27 aprile 1995, in Società, 1995, p. 1605, con nota di Bonavera.( 27 ) In caso di delibera del collegio che accerti la decadenza, il sindaco cessato non dovràimpugnare la delibera chiedendone l’annullamento o la dichiarazione di nullità, perché il giudicenon dovrà soffermarsi sulla validità o invalidità della delibera, bensì accertare se vi è statao meno una causa legittima di decadenza. In sostanza, proprio per l’automaticità del suooperare, la decadenza trascende l’atto in cui è contenuto il suo accertamento, che, perciò, benpotrà essere una delibera o una mera comunicazione. Pertanto quand’anche la delibera nonfosse stata adottata in ossequio alle regole sulla collegialità dell’attività sindacale, il giudiceche accertasse la decadenza, non potrebbe, ponendo nel nulla la delibera, reintegrare il sindacodecaduto.L’intervento del giudice non è condizione di efficacia, né elemento costitutivo e ciò bensi coordina con l’assenza di un termine per proporre “opposizione” al provvedimento motivatodi decadenza e con il limite degli effetti organizzativi già prodotti.


94 CONTRATTO E IMPRESA 1/2011dicate nell’art. 2399 c.c. (e 148 T.U.F.) va inclusa l’indipendenza (in senso sostanziale)( 28 ), da intendersi non solo come principio generale, ma come verae propria clausola generale, occorre, seppur brevemente, capire che ruolosvolge l’ineleggibilità e il rapporto con la decadenza.L’impulso all’indagine proviene proprio dalla fattispecie consideratadalla Cassazione e dalla funzione che quest’ultima sembra assegnare alladecadenza nell’ambito dei presidi posti a tutela dell’indipendenza. Infatti,da un lato l’incompatibilità legata, nel caso sottoposto ai giudici di legittimità,alla sussistenza di un “rapporto continuativo di prestazione d’operaretribuita” tra sindaco e società viene letta alla luce della tutela dell’indipendenza,intesa come principio cardine del sistema dei controlli ( 29 ); dall’altrosi precisa che quella accertata è una causa per la quale l’art. 2399 (siavecchio che nuovo testo) “fa discendere l’ineleggibilità – e quindi la decadenza– del sindaco” ( 30 ): la decadenza pertanto opera, nel ragionamento seguitodalla Corte, anche per il caso di sindaco eletto ancorché privo del requisito.Il primo aspetto porta a leggere quella evidenziata come una mera “fattispeciesintomatica” di assenza di indipendenza, ossia una fattispecie chenon assume rilevanza in se e per sé, ma solo in quanto diretta a tutelare l’indipendenzadel controllore in presenza di possibili “indici di rischio” ( 31 ).Che poi l’indipendenza sia l’oggetto immediato della tutela è confermatodalla lettera c dell’attuale formulazione dell’art. 2399 c.c. In sostanza, l’indipendenzatroverà sanzione sul piano obbligatorio e della responsabilità inquanto, se intesa come clausola generale, come fattispecie generatrice diobbligazioni, consente di individuare uno specifico obbligo di agire indipen-( 28 ) Si allude ad una qualificazione dell’indipendenza dal punto di vista del contenuto; altracosa la funzione che essa è deputata a svolgere, su cui v. infra. Su questi temi ci sia consentitoil rinvio al nostro Le funzioni dei sindaci tra principi generali e disciplina, cit., p. 143 ss.( 29 ) Visto che altrimenti “risulterebbe sin troppo agevole aggirare la norma e ne verrebbecomunque palesemente tradita la ratio, che risiede nell’esigenza di garantire l’indipendenzadi chi è incaricato di delicate funzioni di controllo, in presenza di situazioni idonee a comprometteretale indipendenza quando il controllore sia direttamente implicato nell’attività sullaquale dovrebbe in seguito esercitare dette funzioni di controllo” (punto 5.2 della motivazione).( 30 ) Loc. cit., corsivo nostro, sottolineando implicitamente l’equivalenza tra le due figure.( 31 ) Circostanze che, cioè, possono maggiormente favorire la lesione del requisito dell’indipendenzadei sindaci. Una delimitazione di tali indici di rischio sotto il profilo organizzativopuò essere favorita dalla delimitazione dell’area del controllo disegnata dall’art. 2403c.c.: l’indipendenza andrà assicurata rispetto a quanti, intervenendo in quell’area, potrannoincidere sul corretto esercizio della funzione di controllo, cui l’agire indipendente è valore essenziale,ancorché strumentale. Ulteriori riferimenti in Caprara, Le funzioni dei sindaci traprincipi generali e disciplina, cit., p. 143 ss.


SAGGI 95dente la cui violazione, se genera un danno, costituisce un illecito civile ( 32 ).Ma la sua emersione sul piano direttamente dell’atto è garantita dalla nuovaformulazione della lett. c dell’art. 2399 c.c. che, oggi in termini espliciti,traccia un ponte tra le due sponde: quella della responsabilità e quella dell’atto.La violazione della regola di comportamento dell’agire indipendenteesporrà il sindaco alla decadenza dall’incarico.Circa il secondo aspetto relativo alla nomina di un soggetto ab originenon indipendente, occorre capire quale relazione corra tra l’ineleggibilità ela decadenza e che trattamento giuridico riservare a chi, ancorché ineleggibile,sia comunque eletto sindaco.In passato si era molto discusso sulle conseguenze derivanti dalla nominadi un sindaco ineleggibile: mentre alcuni ritenevano comunque applicabile ilrimedio della decadenza ( 33 ), altri preferivano, seppur con diverse sfumature,invocare l’invalidità della delibera di nomina sub specie di nullità ( 34 ).A ben vedere però l’ineleggibilità, ancorché condivida le medesime fattispeciedella decadenza, non sembra avere natura sanzionatoria, né svolgerela medesima funzione. Infatti, essa merita una “lettura in positivo”, ossiacome espressione dei requisiti necessari per l’assunzione della carica. Appare,perciò, netta la linea distintiva tra ineleggibilità e decadenza che trovanocome elemento di comunione solo la (occasionale) coincidenza di (talune)fattispecie.In altre parole, l’indipendenza si traduce, sul piano organizzativo, inmodo differente a seconda che la tutela sia offerta da una norma (di comportamento)primaria (l’ineleggibilità) o da una norma secondaria (la decadenza)( 35 ).( 32 ) L’indipendenza svolge, infatti, una pluralità di funzioni. In argomento si rinvia, peruna più ampia trattazione, il nostro La clausola generale dell’indipendenza: nozione e declinazionioperative (in part. § 9), in Tantini-Meruzzi (a cura di), Le clausole generali nel diritto societario,in Tratt. dir. comm. e dir. pubbl. dell’econ., diretto da Galgano, Padova, in corso di pubblicazione.( 33 ) Così Salanitro, L’invalidità delle deliberazioni del consiglio di amministrazione di societàper azioni, Milano, 1965, in part. p. 108 ss.; recentemente Franzoni, Gli amministratori ei sindaci, in Le società, Tratt. diretto da Galgano.( 34 ) Tra gli altri, Frè, Le società per azioni, cit., 1982, p. 549, ma già nel vigore del codice dicommercio, De Gregorio, Delle società e delle associazioni commerciali, Torino, 1938, p. 625;ma v. anche Domenichini, Il collegio sindacale nelle società per azioni, cit., p. 558, che costruiscela “nullità relativa” della delibera, attraverso i tradizionali schemi negoziali, limitando l’invaliditàsolo alla nomina di quel, o quei, soggetti privi dei requisiti previsti dall’art. 2399 c.c.Dopo la riforma preferisce parlare di delibera “parzialmente nulla”, Rigotti, Collegio sindacale.Controllo contabile, cit., sub art. 2397, p. 32.( 35 ) È il modo di operare dell’istituto (sul piano dell’atto) che probabilmente ha portato aconsiderare eccezionali le ipotesi di ineleggibilità/decadenza, ossia la caratteristica di “tra-


96 CONTRATTO E IMPRESA 1/2011Infatti, se è vero che per le ipotesi previste dall’art. 2399 c.c. (e dall’art.148 T.U.F) è difficile superare il dato letterale che sembra comminare la decadenzaanche per il sindaco ineleggibile una volta nominato, è altrettantovero che vi possono essere anche altre ipotesi a queste non riconducibili.In altre parole, l’impossibilità di contenere l’indipendenza in senso sostanzialeentro i confini tracciati, a monte, dall’ineleggibilità e, a valle, dalladecadenza, spinge ad interrogarsi sulle conseguenze della nomina di unsindaco senza tale requisito al di fuori delle fattispecie tipizzate.Rispetto alle tesi tradizionali, elaborate con riferimento al caso di nominadi un sindaco ineleggibile, quella che considera come decaduto il sindacoeletto senza i necessari requisiti per ricoprire l’ufficio, incontra, oltre i giàopposti ostacoli di ordine concettuale ( 36 ), il rischio che, facendo riferimentoa fattispecie che non sono riconducibili, nemmeno in via analogica, aquelle previste dalla legge, si determinerebbe, a livello pratico, una situazioneche favorirebbe la conflittualità tra i soci ( 37 ).Si potrebbe pensare, sempre nel solco delle tesi tradizionali, all’invaliditàdell’atto di nomina.In astratto si possono considerare due fattispecie: da un lato la violazionedel dovere di informazione preassembleare e, dall’altro, l’illiceità dell’oggettodella delibera.Rispetto alla prima, la violazione del dovere di informazione, che dirigeverso l’annullabilità della delibera di nomina, trova un aggancio normativonel nuovo ult. cpv. dell’art. 2400 c.c., con il quale si impone al candidato direndere noti all’assemblea gli “incarichi di amministrazione e di controlloda essi [i.e. dai candidati sindaci] ricoperti presso altre società” ( 38 ). Questodurre” una regola di comportamento in regola (talvolta) di validità dell’atto (di nomina). Elemento,però, per nulla decisivo in quanto, ancorché sia possibile cogliere un profilo di “specialità”(non certo l’eccezionalità), questo andrà riferito, come si è già sottolineato in precedenza,al modo di operare dell’istituto (ineleggibilità e, rispettivamente, decadenza) e non allefattispecie che trovano tutela mediante esso.( 36 ) È nota l’obiezione che la decadenza presupporrebbe la regolare costituzione del rapporto;circostanza che non ricorre nel caso di specie, poiché il sindaco sin dall’origine difettavadei requisiti necessari per l’assunzione dell’incarico. Cfr. per i riferimenti Cavalli, Collegiosindacale, cit., p. 699 ss.( 37 ) Sull’importanza e sui limiti dell’utilizzo dell’argomento conseguenzialista nell’interpretazionecfr. Mengoni, L’argomentazione orientata alle conseguenze, in Riv. trim. dir. proc.civ., 1994, p. 1 ss.( 38 ) Disposizione introdotta solo recentemente grazie alla legge sul risparmio (l.n.262/2005), che, però, ha un chiaro precedente nella disciplina tedesca v. Baums, Il sistema di« corporate governance » in Germania ed i suoi recenti sviluppi, in Riv. soc., 1999, p. 1 ss., in part.p. 17. Una disposizione che, secondo un’accreditata dottrina, va estesa “a tutti i requisiti di indipendenza”(Salanitro, Nozione e disciplina degli amministratori indipendenti, in Banca,borsa, tit. cred., 2008, I, p. 1 ss., in part. p. 8, nota 11).


SAGGI 97dovere di informazione può ricondursi a due finalità: i) rendere edotti i socidel carico professionale che già grava sul candidato sindaco affinché questipossano valutare, prima di eleggerlo, l’effettiva dedizione che l’eletto potrebbeoffrire alla società in cui sta per assumere la carica; ii) evidenziare unpotenziale conflitto di interessi tra cariche attualmente (ma, almeno attraversouna precisa, ed opportuna, clausola statutaria anche precedentemente)ricoperte dal candidato che, pur non essendo ricomprese nella previsionedell’art. 2399 c.c., potrebbero, di fatto, ostacolare il corretto espletamentodell’incarico ( 39 ). Ora, se è imposto dalla legge comunicare questi dati, amaggior ragione sarà necessario comunicare le circostanze che potrebberoincidere sulla serenità di giudizio del futuro sindaco ( 40 ). Infatti, nei casi ap-Nelle società quotate, poi, il dovere di rendere noti gli incarichi già ricoperti (v. anche art.144duodecies ss. reg. emitt.) è rilevante anche per una nuova ipotesi di decadenza, dichiaratadalla Consob, introdotta anch’essa dalla legge risparmio con il nuovo art. 148bis T.U.F. (v. anchele sanzioni previste nell’art. 193, comma 3bis, T.U.F.).( 39 ) Nella relazione alla l. 262/2005 (v. in Nigro-Santoro (a cura di), La tutela del risparmio:comm. della l. 28 dicembre 2005, n. 262 e del d.lgs. 29 dicembre 2006, n. 303, Torino, 2007,p. 39) sembrano emergere entrambe. Infatti, questa “disposizione tende a consentire all’assembleadi valutare l’idoneità del soggetto rispetto al cumulo degli incarichi rivestiti (e, incidentalmente,di conoscere relazioni con altri soggetti che possano configurare situazioni diconflitto)”.( 40 ) Il dovere di informazione preventivo è stato valorizzato, seppur con riferimento all’operativitàdi una polizza assicurativa per responsabilità professionale da Trib. Milano, 7febbraio 2003, in Società, 2003, p. 1385, con nota di Redeghieri Baroni, Questioni in tema diresponsabilità degli organi sociali: quantificazione dei danni, omessa vigilanza dei sindaci e coperturaassicurativa, per il quale l’omessa “comunicazione di un evento [la dichiarazione difallimento della società ove i contraenti operavano come sindaci], il cui significato (in generalee nell’economia del contratto di assicurazione) non poteva sfuggire al contraente facenteuso dei normali canoni di diligenza, anche e soprattutto perché istituzionalmente munito dellespecifiche nozioni professionali necessarie ad apprezzarlo, integra, a parere del tribunale,gli estremi della colpa grave di cui all’art. 1892 c.c. [. . .]. L’omissione rileva anche sul versanteoggettivo, poiché incide « sulla reale rappresentazione del rischio », nel senso che appare « ditale natura (da doversi ritenere) che l’assicuratore non avrebbe dato il suo consenso o non l’avrebbedato alle medesime condizioni, se avesse conosciuto l’esatta e completa verità » (Cass.n. 5115/1994)”. I giudici, però, non hanno potuto disporre anche l’annullamento dei contrattidi assicurazione, richiesto in via riconvenzionale, poiché la comparsa di costituzione erastata depositata solo il giorno precedente all’udienza, in violazione dei termini ex artt. 167 e171 c.p.c.La sentenza è significativa perché evidenzia un generale dovere informativo in relazionealle finalità della clausola contrattuale: l’esatta rappresentazione del rischio corso dall’assicurato.Nel nostro caso il dovere informativo indicato dall’art. 2400 c.c. è espressione parziale eminima dell’obbligo di rendere edotti i soci di tutte le circostanze che potrebbero incideresull’esatto adempimento dell’incarico di vigilanza. In dottrina su questi temi v. Gallo, Asimmetrieinformative e doveri di informazione, in Riv. dir. civ., 2007, I, p. 641 ss., in part. p. 670.


98 CONTRATTO E IMPRESA 1/2011pena citati, il contenuto dell’informazione ritenuta rilevante dal legislatorerappresenta un minus e quindi, a fortiori, si dovrebbe ritenere compreso undovere informativo di maggior peso, come quello relativo all’indipendenzadei sindaci.Tuttavia questa soluzione non è priva di inconvenienti pratici di notevolespessore. Infatti, occorre fare i conti con i ridotti termini per l’impugnazionee con una forte compressione della legittimazione all’azione previstidall’odierno art. 2377 c.c. Si tratta di inconvenienti che potrebbero esseresuperati prediligendo la soluzione della nullità della delibera, in coerenzacon la tesi che già è invalsa per il caso di nomina di sindaco ineleggibile.Infatti, si potrebbe affermare che l’indipendenza è un requisito solo inparte valorizzato dall’art. 2399 c.c. (e 148 T.U.F. per le società quotate), mala cui essenzialità rispetto al corretto svolgimento dell’incarico è facilmentedesumibile dal sistema. Pertanto sarebbe irragionevole trattare in mododifferente situazioni giuridiche che rispondono ad una medesima funzioneed hanno la medesima ratio. In altre parole, se l’indipendenza è un requisitoessenziale per chi svolge la funzione di controllo, lo stesso è certamenteassistito da una natura imperativa e, perciò, la sua carenza originaria renderebbeillecito l’oggetto della delibera di nomina ( 41 ).Questo rimedio, tuttavia, importa possibili controindicazioni pratichelegate sia ad intuibili potenziali risvolti ricattatori, visto che la legittimazio-( 41 ) La questione è tornata d’attualità soprattutto con riferimento ai rimedi applicabili incaso di nomina di “amministratori indipendenti” privi di tale requisito. Per Regoli, Gli amministratoriindipendenti, in Liber amicorum di Campobasso, Assemblea, amministrazione, 2, acura di Portale, Abbadessa, Torino, 2006, p. 385 ss., in part. p. 412 s., in “caso di accertata falsaauto-attribuzione della qualifica di indipendente” potrebbe invocarsi la decadenza dall’incarico(almeno nei casi previsti, per le società quotate, dall’art. 147ter, commi 3° e 4° e dall’art.147quater, T.U.F.), ovvero la revoca per giusta causa. L’a., in questo caso, seppur in via dubitativa,prospetta l’applicazione anche della sanzione penale per false comunicazioni sociali exart. 2622 c.c., mentre, per la promozione dell’azione sociale o individuale di responsabilità alfine di ottenere il ristoro dei danni, rinvia a Stella Richter jr., Gli amministratori non esecutivinell’esperienza italiana, in Banca, impr., soc., 2005, p. 163 ss., in part. p. 170.Sempre con riguardo agli amministratori indipendenti, N. Salanitro, Nozione e disciplinadegli amministratori indipendenti, in Banca, borsa, tit. cred., 2008, I, p. 1 ss., in part. p. 8 s., ricorrendoal combinato disposto tra l’art. 2387 e l’art. 2382 c.c., non esita a far derivare, nel sistematradizionale, la decadenza per l’amministratore non indipendente per carenza dei requisitistatutari.Una via non praticabile, però, per il caso di mancato (originario) rispetto, nel sistema monistico,della proporzione di “almeno un terzo” di amministratori indipendenti nel consigliodi amministrazione. L’a., in questa ipotesi, giunge a considerare la delibera di nomina nullaper illiceità dell’oggetto “[. . .] e si può anche pensare ad un’applicazione a fortiori della disciplinadell’art. 2409 c.c. [. . .]”.


SAGGI 99ne spetterebbe a chiunque vi abbia interesse e per un arco temporale sostanzialmentecoincidente con l’intera durata dell’incarico; sia all’utilitàconcreta del rimedio, visto che i tempi necessari per ottenere una declaratoriadi nullità della delibera non consentono, se non forse in via cautelare,di ottenere una tempestiva, e quindi efficace, tutela.Probabilmente la soluzione più soddisfacente è quella che valorizza l’ideache l’indipendenza è, innannzi tutto, una regola di condotta (e non divalidità o efficacia); una soluzione che dirige verso la revoca per giusta causa.Infatti, il carattere imperativo della norma non contrasta con la qualificazionedella stessa come regola di comportamento, né l’imperatività dirigenecessariamente verso un giudizio di illiceità ( 42 ).Si tratta del rimedio che, anche a livello operativo, sembra offrire unamiglior tutela per l’indipendenza del sindaco, in quanto garantisce una verificagiudiziale della sussistenza di una giusta causa di revoca. Non mancanoperò, anche in questo caso, possibili rilievi in ordine alla sua efficaciaconcreta.Infatti, per ottenere l’approvazione del tribunale è necessaria una “deliberazionedi revoca” (art. 2400, comma 2°, c.c.) che difficilmente si otterrànel caso in cui la carenza di indipendenza sia da addebitare, ad esempio, adun forte legame tra lo stesso sindaco e il socio di maggioranza ( 43 ).( 42 ) Cfr. Galgano, Diritto civile e commerciale, II, 1, Padova, 2004, p. 345 ss.; Id., Simulazione,nullità del contratto annullabilità del contratto, in Codice civile, Comm. Scialoja-Branca,Bologna-Roma, sub art. 1418, p. 81 s.; Bianca, Il contratto, 3, Milano, 2000, p. 618. Per un’applicazionespecifica di queste distinzioni v. in giurisprudenza, Cass. sez. un., 19 dicembre 2007, n.26725, in Contratti, 2008, p. 2008, 221 ss., con commento di Sangiovanni, Inosservanza dellenorme di comportamento: la Cassazione esclude la nullità e commentata, tra gli altri anche daGalgano, Il contratto di intermediazione finanziaria davanti alle Sezioni unite della Cassazione,in questa rivista, 2008, p. 1 ss., in part. p. 8 ss.; Prosperi, Violazione degli obblighi di informazionenei servizi di investimento e rimedi contrattuali (a proposito di Cass. sez. un., 19 dicembre 2007, nn.26724 e 26725), in questa rivista, 2008, p. 936 ss. e Autelitano, La natura imperativa delle regoledi condotta degli intermediari finanziari, in I Contratti, 2008, p. 1157 ss. Su questi temi v. già Sartori,Le regole di condotta degli intermediari finanziari: disciplina e forme di tutela, Milano, 2004.( 43 ) In tal caso, la soluzione potrebbe passare dall’impugnazione della delibera negativa eal ricorso a forme di tutela risarcitoria. Cfr. in proposito Cian, La deliberazione negativa dell’assembleanella società per azioni, Torino, 2003, p. 186, che, dopo aver analizzato criticamentele varie teorie (di impronta negoziale e di impronta organizzativo-procedimentale) accoglieuna concezione intermedia che ha le sue radici in una visione negoziale dell’atto deliberativo,ma aperta ai riflessi organizzativi dell’atto (p. 77 ss.) e, proprio su quel piano, dimostra la rilevanzadella delibera a contenuto negativo come “delibera in senso tecnico” suscettibile, perciò,di impugnazione. Ma è in quella sede che emergono tutte le difficoltà ad ammettere unatutela “reale” per l’impugnante; una tutela di tipo “costitutivo-esecutiva” che passa dall’ammissibilitàdi una decisione giudiziale che tenga luogo della delibera “positiva” non adottata,


100 CONTRATTO E IMPRESA 1/20115. – I Supremi giudici rilevano come l’accertata, ma non tempestivamentedichiarata, decadenza di un sindaco renda illegittimi gli atti (le delibere)del collegio a prescindere dalla misura del contributo del decaduto allaformazione dell’atto.Infatti, nella ricostruzione operata dai giudici di legittimità, la decadenzadi un sindaco, operando automaticamente, senza che sia necessario unatto accertativo, determina, se il decaduto non è prontamente sostituito daisupplenti, l’illegittima composizione del collegio; elemento che, in “mancanzadi una specifica disciplina dell’invalidità degli atti del collegio sindacale[. . .] è idoneo ad incidere sulla legittimità degli atti da quel medesimoorgano compiuti, ma [. . .] pure di organi diversi [. . .]” ( 44 ).Secondo la Corte la collegialità non si riduce alla sola votazione, ma attraversole sue varie fasi consente “sovente forme di integrazione di competenzeprofessionali diverse che [. . .] rendono [. . .] l’attività di ciascun componentedell’organo complementare a quella degli altri”: la decadenza di unsindaco genera, perciò, “l’impossibilità del collegio stesso di correttamenteoperare”, realizzando, continua la Corte, un “difetto di costituzione dell’organoe, di riflesso, [. . .] una ragione d’illegittimità degli atti da esso compiuti”( 45 ), se non addirittura la sua “inesistenza giuridica” ( 46 ).Nel caso di specie la Corte giunge all’affermazione del principio attraversol’esaltazione della funzione ponderatoria ( 47 ), elevata a carattere tipizzantedella collegialità ( 48 ), la cui violazione determina l’illegittimità degliatti adottati dal collegio sindacale con il solo limite che “si tratti di atti con-soprattutto nei casi in cui il rigetto sia determinato da conflitto di interessi (p. 139 ss. e, per l’invocabilitàdello specifico rimedio previsto dall’art. 2932 c.c., p. 157 ss.). L’a. è tornato recentementesulla questione commentando la pronuncia di Trib. Catania, sez. IV, 10 agosto 2007(Cian, Abus d’égalité, tutela demolitoria e tutela risarcitoria, in Corriere giur., 2008, p. 399 ss.).( 44 ) Cfr. punto 6 della motivazione.( 45 ) Loc. cit. Un’interpretazione che per Romolotti, Decadenza automatica e atti collegialiillegittimi: la gestione del rischio, cit., in part. p. 68 ss., finisce per frenare l’attività del collegiosenza favorire la certezza del diritto.( 46 ) Questione su cui si sofferma Pastori, Decadenza del sindaco ed illegittimità della deliberazionedel collegio sindacale, cit., p. 1122. V., però, Trib. Milano, 16 marzo 1956, in Foro it.,1957, I, c. 1348; in Riv. dir. comm., 1957, II, p. 52, per il quale “le cause di decadenza dei sindaci[. . .] non possono essere addotte dal socio per invalidare l’atto, compiuto da uno degli organisociali sul presupposto della decadenza di uno dei suoi membri, salvo il caso di collusione,se tale decadenza non sia stata resa pubblica nel modo dalla legge stabilito”.( 47 ) In argomento Sodi, Riunioni e deliberazioni del collegio sindacale: profili procedimentali,in Il collegio sindacale, Milano, 2007, p. 125 ss., in part. p. 131 ss., ove si analizzano altregiustificazioni della collegialità nell’azione dei sindaci.( 48 ) Cfr., anche per gli ulteriori riferimenti, Pastori, Decadenza del sindaco ed illegittimitàdella deliberazione del collegio sindacale, cit., p. 1114.


SAGGI 101fluenti in un medesimo procedimento, o comunque di atti tra loro legati daun nesso di consequenzialità necessaria sul piano giuridico”: in questo casol’illegittima partecipazione alle riunioni del collegio da parte di un sindacodecaduto rappresenta un vizio del procedimento complesso che sfocia nelladelibera assembleare ( 49 ).6. – La soluzione adottata dalla Corte, condizionata, come la stessa sottolinea,anche dall’assenza di una disciplina specifica per le impugnazionidelle delibere del collegio sindacale ( 50 ), appare eccessiva e ricalca un’idea di( 49 ) Un tipico esempio è rappresentato dalle delibere di approvazione del bilancio d’esercizio.Parla di “delibere procedimentali”, che si spiegano all’interno di un più ampio procedimentoe i cui vizi si traducono in motivi di impugnazione del “provvedimento finale” e nondell’“atto endoprocedimentale”, Angelici, voce Società per azioni e in accomandita per azioni,in Enc. dir., Milano, 1990, XLII, p. 977 ss., in part., p. 1003 s. L’impostazione risente dell’elaborazioneteorica sviluppata nei contributi sul procedimento amministrativo, dove si è sostenutoche “la struttura seriale del procedimento implica che l’omissione [. . .], così come l’invaliditàdi un elemento della serie procedimentale, si rifletta sui successivi e sull’atto finale invalidandoliin via derivata”. Così Villata, Sala, voce “Procedimento amministrativo”, in Digestodisc. pubbl., XI, Torino, 1996, p. 574 ss., in part., p. 597. Cfr., anche per gli ulteriori riferimenti,Butturini, L’impugnazione del bilancio d’esercizio, in Tratt. dir. comm. e dir. pubbl. dell’econ.,diretto da Galgano, XLIV, Padova, 2007, p. 60 e p. 87.Seppur per diverse ragioni, condivide l’opinione anche Cesqui, I poteri individuali deisindaci, Parma, s.d. (ma 1984), p. 256, per il quale lo scarso interesse della dottrina per l’impugnativadelle delibere del collegio sindacale è da ricollegare non solo all’“elasticità del funzionamentodell’attività di controllo sulla gestione sociale [. . .]” ma anche “all’inevitabile conseguenzadi un sistema di controllo sull’amministrazione sociale qualificata dall’essere [. . .] acarattere eminentemente individuale”.( 50 ) Peraltro sono assai scarse le occasioni in cui la giurisprudenza ha avuto modo di pronunciarsisulla stessa impugnabilità di tali delibere. Sembra propendere per l’impugnabilitàPret. Roma, 2 febbraio 1978, in Riv. dott. comm., 1978, p. 1055; in Foro it., 1978, I, c. 761. Inquell’occasione il consiglio di amministrazione richiedeva la concessione di un provvedimentoex art. 700 c.p.c. per paralizzare la delibera del collegio sindacale con cui si era dispostala convocazione dell’assemblea per deliberare, tra l’altro, la revoca del consiglio di amministrazione.Il Giudice respinse la domanda, affermando, però, che, in caso di contrasti interorganici,“si ritiene sussistente la legittimazione all’azione, sia attiva che passiva di entrambi gliorgani”.Un accenno si trova anche in Cass., 5 aprile 1973, n. 2489, in Giur. comm., 1974, II, p. 271ss., con nota di Portale, Problemi in tema di valutazione e revisione della stima dei conferimentiin natura (con postilla sul sindaco “minorenne”), per la quale, in un caso di conferimento in naturain cui veniva impugnata dal conferente la delibera di revisione della stima operata da amministratorie sindaci ex art. 2343 c.c., “l’impugnazione separata della deliberazione degli amministratorie dei sindaci [. . .] è [. . .] inammissibile, perché non da essa deriva direttamente eimmediatamente il danno al socio conferente, ma dalla deliberazione assembleare, che riduceil numero delle azioni da assegnare al socio come controprestazione del conferimento”.


102 CONTRATTO E IMPRESA 1/2011collegialità molto rigorosa e formale (di ispirazione pubblicistica) a cui èestranea anche la c.d. prova di resistenza ( 51 ), cui spesso la giurisprudenzaha fatto ricorso anche in campo societario ( 52 ).Con riferimento alla stessa impugnabilità delle delibere collegiali, anchela dottrina si è dimostrata molto divisa.Senza entrare nel coacervo di opinioni che si registrano sul punto ( 53 ),sarà qui sufficiente osservare che se ci si limitasse a ricercare una soluzionesul piano organizzativo, l’intera attività si snoderebbe tra le difficoltà di qualificazionedell’atto e il suo trattamento giuridico ( 54 ).In realtà, però, il problema è un altro: non è necessario capire se sia possibileconfigurare delle irregolarità nel procedimento o nel contenuto delladelibera del collegio in riferimento ad un modello di collegialità ( 55 ), quanto( 51 ) Nel punto 5.2 della motivazione si legge, infatti, che “appare arbitraria la pretesa di fareapplicazione della cosiddetta prova di resistenza anche per le deliberazioni di tale organo”.( 52 ) Non ricorrono, a quanto consta, precedenti editi specifici sull’applicabilità della provadi resistenza a delibere del collegio sindacale. Tuttavia la giurisprudenza ha fatto ampio ricorsoa questo principio anche in assenza di una disposizione puntuale. Cfr. Trib. Udine, 8 ottobre2001, in Società, 2002, p. 364, con commento di Gennari, Adozione, con voto di soggettinon legittimati, di delibera per il ripianamento delle perdite mediante versamenti dei soci, con richiamianche alla giurisprudenza della S.C., ove, seppur con riferimento all’approvazione diuna delibera cui partecipino soggetti non legittimati, si afferma che è “principio consolidato epienamente condivisibile che la c.d. prova di resistenza [. . .] costituisca un principio di più ampiaapplicazione in materia di funzionamento degli organi collegiali [. . .]”.Peraltro uno specifico riferimento alla prova di resistenza si ricava dall’art. 2373 c.c.; disposizioneritenuta non eccezionale dalla dottrina che ne ammette l’applicazione analogicaanche a fattispecie non contemplate. Cfr. Guerrera, La responsabilità “deliberativa” nelle societàdi capitali, Torino, 2004, p. 184.Condivide l’opinione dei supremi giudici, Nazzicone, Sindaco decaduto ed invalidità, direttae derivata, di deliberazioni societarie, cit., c. 2186 s., rifacendosi anche ai principi espressidalla giustizia amministrativa.( 53 ) Riferimenti in Cavalli, Collegio sindacale, cit., p. 759 ss., Magnani, Collegio sindacale.Controllo contabile, Comm. diretto da Marchetti, Bianchi, Ghezzi e Notari, Milano, 2005,sub art. 2404, p. 233, Sodi, Riunioni e deliberazioni del collegio sindacale: profili procedimentali,cit., in part. p. 142 s.( 54 ) Sul “fenomeno di imputazione” si rinvia a Angelici, La società nulla, Milano, 1974,p. 88 ss.( 55 ) Il contrasto (o la non conformità) tra norma e azione (rispetto ad un comportamentoviolato o omissione rispetto a un comportamento dovuto) non è un dato storicamente sufficienteper cogliere le conseguenze dell’antinomia: è l’ordinamento che predispone quei meccanismiritenuti idonei per la sua conservazione; è l’ordinamento che prevede le “sanzioni”,come misure cui ricorrere “[. . .] per ottenere la massima osservanza delle sue norme [. . .]” etra le quali può trovare spazio anche la nullità (o annullamento) e il risarcimento del dannoper violazione del neminem laedere (v. Bobbio, voce Sanzione, cit., p. 530 ss., in part. p. 535 ss.).


SAGGI 103se tali irregolarità si possono tradurre in cause di impugnazione ( 56 ). Se si costruiscela funzione di controllo in termini di attività e, quindi, in termini dicomportamento, ci si rende subito conto di come resti ben poco spazio all’individuazionedi una disciplina dell’impugnativa delle delibere del collegiosindacale: non c’è una lacuna da colmare e una diversa soluzione sarebbesolo un pericolo proprio per l’indipendenza dell’organo di controllo ( 57 ).L’analisi operata dalla dottrina tradizionale, e fondamentalmente ripropostanei recenti commenti al testo novellato, pur nell’apparente coerenzalogica e sistematica, sembra cadere nel medesimo equivoco. In sostanza, l’ideacentrale comune alle diverse posizioni presenti in dottrina è quella secondola quale, quando i sindaci operano come collegio, il risultato dell’attivitàè un atto che, in quanto tale, è suscettibile di un giudizio di validità oinvalidità ( 58 ). Il discorso, invece, andrebbe capovolto: la delibera del collegiosindacale non deve essere vista come manifestazione collegiale della volontàdi un organo, bensì come modo attraverso cui l’attività del collegio siesplica. In altri termini, l’atto non è il momento finale, ma il mezzo attraversocui si realizza l’attività del collegio: la descrizione legislativa della funzionedel collegio sindacale è operata in termini di “comportamento” e nondi “atto”, come invece avviene per le delibere assembleari ( 59 ).Cfr., inoltre, sui concetti di illegalità (antigiuridicità) e illiceità Trimarchi, voce Illecito(dir. priv.), in Enc. dir., XX, Milano, 1970, p. 90, e Scognamiglio, voce Illecito, in Noviss. dig.it., VII, Torino, 1972, p. 164 ss.( 56 ) Con riferimento alle delibere assembleari, non si è spezzata la corrispondenza specularetra validità e invalidità delle delibere (Cfr. Sacchi, Tutela reale e tutela obbligatoria, inAbadessa-Portale (diretto da), Il nuovo diritto delle società, 2, Torino, 2006, p. 133 ss.; Stagnod’Alcontres, L’invalidità delle deliberazioni dell’assemblea di s.p.a. La nuova disciplina, ivi, p.167 ss.), ma si è operata, attraverso l’istituto della legittimazione attiva, una compressione delpossibile contenuto della domanda. Rispetto al collegio sindacale, il problema è diverso, inquanto se l’atto deliberato è in realtà solo una modalità di esecuzione di un’attività, è su quelpiano, ossia della violazione della regola di comportamento, che occorre trovare la sanzione.( 57 ) Diversa l’opinione di Nazzicone, Sindaco decaduto ed invalidità, diretta e derivata, dideliberazioni societarie, cit., c. 2185 s.( 58 ) Questa concezione è presente anche in quella dottrina che nega l’impugnabilità delladelibera del collegio sulla base del fatto che i sindaci non operano collegialmente o che affermala non impugnabilità per mancanza di un’espressa previsione di legge.( 59 ) La tesi è stata sviluppata nello studio sulla patologia delle delibere assembleari e delconsiglio di amministrazione da Ferro Luzzi, La conformità delle deliberazioni assemblearialla legge e all’atto costitutivo, Milano, 1993, rist., p. 183 ss., in part. p. 197 ss.Ad analoghe conclusioni si deve giungere anche in presenza di un interesse particolare diun sindaco nell’esercizio dell’attività di controllo. V., però, per il dovere di astensione, Libertini,Note in materia di ineleggibilità e decadenza del sindaco consulente della società, cit., inpart. p. 289; Desideri, Indipendenza e collegialità dell’organo di controllo, in Società, 1997, p.


104 CONTRATTO E IMPRESA 1/2011Gli atti collegiali sono, dunque, mera espressione tecnica dell’azionecollettiva, che potrà essere censurata solo sul piano della responsabilità edell’efficacia ( 60 ), salva, se ritenuta ammissibile nei confronti dei sindaci, ladenuncia ex art. 2409 c.c. ( 61 ).Peraltro, appare eccessiva anche la soluzione che si ispira all’applicazionedei principi amministrativistici sui vizi endoprocedimentali in presenzadi procedimenti complessi, principi che porterebbero all’automatica impugnabilitàdella delibera assembleare (in particolare le delibere di approvazionedel bilancio) se il collegio opera (per esempio approvando la relazioneex art. 2429 c.c.) pur in presenza di un sindaco decaduto ( 62 ).Il tema meriterebbe ben altro spazio, ma la soluzione ventilata dallaCassazione, per la quale la mera composizione illegittima del collegio si potrebbetradurre nella “inesistenza giuridica” del suo operato sembra difficilmenteaccoglibile sul piano concettuale e molto pericolosa su quello pratico.Infatti, la decadenza non rilevata di un sindaco potrà incidere (astrattamente)sul piano formale della formazione dell’atto (collegiale) deliberato144 ss.; Tedeschi, Il collegio sindacale, in Codice civile, Comm. diretto da Schlesinger, Milano,1992, sub art. 2404, p. 267.Inoltre, con riguardo alle società con azioni quotate, il codice di autodisciplina del 2006prevede, al criterio applicativo 10.C.4, che il sindaco il quale, “per conto proprio o di terzi, abbiaun interesse in una determinata operazione dell’emittente informa tempestivamente e inmodo esauriente gli altri sindaci e il presidente del consiglio di amministrazione circa natura,termini, origine e portata del proprio interesse”.( 60 ) L’argomento è già stato impiegato in dottrina per spiegare l’inefficacia delle delibereassembleari, ma anche del consiglio di amministrazione che incidano su diritti individuali deisoci, cercando di portare la tutela sulla (assoluta) inefficacia dell’atto prima ancora che sullasua validità, in quanto così si individuano dei limiti all’esercizio del “potere”, non dei parametricui rapportare il suo esercizio per valutarne la validità. Parla di “limite esterno all’operativitàdel procedimento che determina l’inefficacia della delibera assunta in loro violazione”,Ferro Luzzi, La conformità delle deliberazioni assembleari alla legge e all’atto costitutivo,cit., p. 138, nota 32.( 61 ) In proposito v. Chizzini, Modifiche al controllo giudiziale sulla gestione del novellatoart. 2409 c.c., in Riv. dir. civ., 2004, II, p. 727 ss., in part. p. 738; Dalmotto, in Il nuovo diritto societario,diretto da Cottino, Bonfante, Cagnasso, Montalenti, Bologna, 2004, sub art. 2409, p.1252; Montagnani, Il controllo giudiziario: ambito di applicazione e limiti dell’attuale tutela, inRiv. soc., 2004, p. 1105 ss., in part. p. 1133. In giurisprudenza, prima della riforma, si è ritenutocostituiscano gravi irregolarità anche, tra l’altro, “il mancato funzionamento del collegio sindacale”(cfr. Trib. Palermo, 1 dicembre 1972, in Giur. merito, 1974, II, p. 104, affermazione ribaditaanche nel successivo grado di giudizio di App. Palermo, 20 luglio 1973, in Giur. comm.,1974, II, p. 106).( 62 ) Nella giurisprudenza di merito v. Trib. Monza, 16 febbraio 1993, in Dir. fall., 1993, II,p. 873.


SAGGI 105dai sindaci, ma non incide necessariamente sul valore informativo a cui l’attostesso è deputato: un piano, dunque, procedurale che, se trasportato suquello procedimentale di approvazione del bilancio, porterebbe all’inevitabileinvalità della delibera assembleare. Questa soluzione diventa peraltroun mero automatismo se si considera la rigida combinazione tra efficaciaipso iure della decadenza ed inammissibilità della prova di resistenza.Sul piano pratico-operativo la conseguenza potrebbe essere il favorireimpugnazioni delle delibere assembleari (soprattutto di approvazione delbilancio) per cause legate alla decadenza di un sindaco per violazione, adesempio, del criterio (regola di comportamento) dell’agire indipendente exart. 2399, lett. c, c.c., agevolando per tal via la conflittualità e le manovre ricattatorie.Senza trascurare che parlare di un organo giuridicamente inesistenteimplica che anche gli atti che esso emana sono giuridicamente inesistenticon la conseguenza, aberrante ma non remota, secondo taluni orientamenti,di considerare addirittura nulla la delibera assembleare ( 63 ), conquel che ne consegue sul piano della legittimazione e dei termini per l’impugnazione(artt. 2377 ss., c.c.).In definitiva, la mera decadenza del sindaco non consente, di per sé,l’accesso a rimedi di tipo invalidativo dell’atto assembleare, ma solo di naturaobbligatoria.( 63 ) Per i riferimenti v. Butturini, L’impugnazione del bilancio d’esercizio, cit., p. 81 ss.


DARIO SCARPALa delega gestoria nella spa:architettura delle interazioni tra delegati e delegantiSommario: 1. Delega gestoria nella società per azioni in funzione del perseguimento dell’efficaciadella corporate governance e della razionalizzazione dell’esercizio del potere gestorio.Qualificazione giuridica del rapporto giuridico tra delegato e società. – 2. Concorrenzagestoria tra organo collegiale e singolo amministratore delegato e potere di avocazionecome limiti di estensione applicativa della delega: rapporto tra collegialità dell’organoamministrativo e conferimento di delega. – 3. Studio delle modalità di attuazionedella delega e funzioni, determinazione di contenuto e limiti di esercizio della delega,analisi della ratio delle attribuzioni indelegabili. – 4. Sindacato dell’attività gestoria (e discrezionale)dell’organo delegato e analisi del dovere di diligenza in funzione dell’accertamentodella responsabilità dell’amministratore delegato. – 5. Individuazione del rapportotra delega e flussi informativi tra deleganti e delegati all’esito dell’introduzione delprincipio dell’agire in modo informato nella gestione della spa.1. – La constatazione delle difficoltà derivanti dalla circostanza che lagestione della società per azioni sia, complessivamente, esercitata da un organocollegiale, di fronte all’evidente opportunità che la gestione societariasia, in modo maggiormente efficiente e dinamico, affidata ad un board piùristretto o a singoli membri del consiglio di amministrazione ( 1 ), fa emerge-( 1 ) Sulla delega la dottrina commercialistica è ampia, per un riferimento classico si vedaFanelli, La delega di potere amministrativo nella società per azioni, Milano, 1952 e Minervini,Gli amministratori di società per azioni, Milano, 1956. Ed inoltre Frè, Società per azioni,Artt. 2325-2461, in Comm. Scialoja-Branca, 1951, (ora Frè-Sbisà, Della società per azioni, tomoI, Artt. 2325-2409, in Comm. Scialoja-Branca, a cura di Galgano, 1997, p. 34 ss.; Desario,La gestione delegata nelle società di capitali. La nuova disciplina, Cacucci, 2007, p. 5 ss.; Pesce,Amministrazione e delega di potere amministrativo nella società per azioni (Comitato esecutivo eamministratore delegato), Milano, 1969, p. 69; Ferri, Le società, in Tratt. Vassalli, X, tomo III,Torino, 1987, p. 684; Borgioli, L’amministrazione delegata, Firenze, 1982, p. 132 ss.; Desario,La gestione delegata nelle società di capitali, Bari, 2007, p. 5 ss.; Barachini, La gestione delegatanella società per azioni, Torino, 2004, p. 82 ss.; Pisani, Le obbligazioni, in Liber amicorumGian Franco Campobasso, Torino, 2004, vol. 1, p. 778. Si conviene sul divieto di delega di talunematerie, quale tecnica di corporate governance al fine di rafforzare l’effettività della funzioneconsiliare, cfr., per una visione comparatistica, Esteban Velasco, La renovación de laestructura de la administración en el marco del debate sobre el gobierno corporativo, in Aa.Vv.,El gobierno de las sociedades cotizadas, Esteban Velasco (Coordinador), Madrid-Barcelona,1999, p. 180; e, nella nostra dottrina, Montalenti, L’amministrazione sociale dal testo unico al-


SAGGI 107re, di guisa, l’esigenza di attribuire, in tutto o almeno in parte, le complessivefunzioni del consiglio di amministrazione ad uno o più dei membri dell’organoconsiliare, attribuendo loro la determinazione di decidere ed agirein luogo del consiglio ( 2 ).Volendo, difatti, tracciare la semiotica del termine delega, si vuole significarecome il delegato deve supplire con la propria volontà, la propria decisionee la propria iniziativa a ciò che altrimenti risulta essere compito istituzionaledel consiglio d’amministrazione.la riforma del diritto societario, in La riforma del diritto societario (Atti del Convegno, Courmayeur,27-28 settembre 2002), Milano, 2003, p. 73 ss., p. 78 ss.( 2 ) In tema si legga Desario, L’amministratore delegato nella riforma delle società, in Società,2004, p. 940, il quale afferma che: “Sono fin troppo cognite le motivazioni sottese allanascita, nonché all’indiscusso successo, della figura dell’amministratore delegato perchéadesso vi si debba ritornare sopra. Nelle più complesse organizzazioni imprenditoriali collettive,nelle quali si registrano corposi investimenti a opera di un numero non trascurabile disodali, questi ultimi a ragione ottengono di poter esprimere personalità di propria fiducia nell’organogestorio, che in conseguenza tende a divenire pletorico e a configurarsi conclusivamentecome stanza di compensazione e di ponderazione di un più o meno ampio ventaglio diinteressi e istanze sovente non coincidenti. Ne discende un’articolazione collegiale del dettoorgano, non ottimale sotto il profilo dell’efficienza e della rapidità decisionale, per ovviare allaquale si ricorre allora – appunto – alla figura dell’amministratore delegato. Questi si muoveentro uno spazio operativo condizionato dalla latitudine della delega rilasciatagli, nonché dallegame che sempre continua ad astringerlo all’organo collegiale delegante, non senza il prodursi,quanto meno sotto la vigenza della disciplina or ora profondamente riformata, di gravie vicendevoli equivoci, massimamente in punto di responsabilità per gli atti posti in essere eper gli effetti conseguitine. Mi è spesse volte capitato, nello svolgimento della mia attività professionaledi avvocato, di assistere a un patetico “scaricabarile” tra amministratori deleganti edelegati, che, per schivare gli strali delle azioni risarcitorie loro intentate contro, valorizzavano,gli uni, proprio la delega accordata e, gli altri, le vincolanti direttive ricevute ai fini dell’espletamentodelle funzioni delegate. Ecco, allora, che la nuova regolazione appena entrata aregime proprio questo obiettivo si prefigge, di contribuire a definire – come recita la relazionedi accompagnamento – un quadro sufficientemente chiaro delle rispettive responsabilità,di modo che possa non doversi più assistere al triste spettacolo dei capponi di manzonianamemoria”. Ed ancora l’autore afferma che: “Per quanto concerne, poi, il potere di impartiredirettive, esso – a ben guardare – è intrinseco e immanente al rilascio stesso della delega. Cosavuol dire, infatti, se non impartire direttive, additare al delegato, come detto, il quomododell’esercizio delle funzioni demandategli? Da un’angolazione prettamente ricostruttiva simostra, invece, interessante sottolineare come le direttive eventualmente impartite debbanostimarsi vincolanti e ciò perché, diversamente, il legislatore non si sarebbe scomodato conun’espressa previsione. L’autonomia del delegato non ne esce, in ogni caso, dimidiata: oveegli reputi le direttive ricevute pregiudizievoli e deleterie, vi si atterrà compiendo l’atto ma, facendoconstare a verbale il proprio dissenso e informandone per iscritto il presidente dell’organointerno di controllo, fruirà dello scarico di responsabilità di cui all’ultimo comma dell’art.2392”.


108 CONTRATTO E IMPRESA 1/2011Se si riflette sulla fenomenologia del sistema di delega a favore di singolisoggetti all’interno delle dinamiche gestionali delle società per azioni, siravvisa che la costituzione dell’organo delegato vuole raggiungere il finedella ripartizione della complessa attività di amministrazione della societàfra i vari membri del consiglio, di guisa che si possa affidare ad alcuni componentidel consiglio stesso la direzione dell’<strong>impresa</strong> sociale e favorire unaspecializzazione nell’esercizio dell’attività amministrativa ( 3 ).La delega gestoria razionalizza l’esercizio del potere amministrativonell’ambito della società: si garantisce uno snellimento dell’attività di gestione,l’esercizio del potere amministrativo diviene adeguato (rectius adeguabile)alle variabili circostanze ed esigenze dell’attività imprenditoriale,realizzando quindi una maggiore rapidità decisionale ( 4 ).Propedeutica alla delegabilità del potere è l’espressione del consensodei soci, il quale può essere contenuto, e, di risulta, manifestato nell’atto costitutivoo, in mancanza, espresso da una successiva apposita deliberazioneassembleare di modificazione dell’atto costitutivo: la delega trova il propriopresupposto in un atto di autonomia dei soci, giacché, attraverso la possibilitàdi delega dell’attività amministrativa da parte del consiglio di amministrazioneall’organo delegato, si deroga al principio di collegialità ( 5 ).Il conferimento di delega amministrativa determina una diversificazionenell’accertamento della responsabilità degli amministratori; si può, a ragione,sostenere che la delega comporta un regime di responsabilità più attenuatoper gli amministratori deleganti (non esecutivi), all’esito della concentrazionedegli obblighi di gestione per determinati settori aziendali incapo ai delegati, con la correlativa liberazione degli altri amministratori per( 3 ) D’Alessandro, Il diritto delle società da “i battelli del Reno” alle “navi vichinghe”, in Foroit., 1988, V, c. 48 ss.; Mignoli, Interesse di gruppo e società a sovranità limitata, in questa rivista,1986, p. 753 ss.; Gambino, Responsabilità amministrativa nei gruppi societari, in Giur.comm., 1993, I, p. 841 ss.; Bin, Gruppi di società e diritto commerciale, in questa rivista, 1990, p.507 ss.; Salafia, Patologia dei gruppi di società, in Società, 1995, p. 1141 ss.( 4 ) In tema Cagnasso, Il dovere di vigilanza degli amministratori e “la delega di fatto” tranorme “vecchie” e “nuove”, in Giur. it., 2004, p. 557 e Id., L’amministrazione collegiale e la delega,in Trattato delle società per azioni, diretto da Colombo e Portale, 4, Torino, 1991, p. 311.( 5 ) All’organo amministrativo spetta la gestione della società e cioè l’esercizio di un’attivitàcontinuativa che mal si presta ad essere svolta da un organo collegiale. Di qui la necessitàdi delegare, quanto meno in parte, le attribuzioni del consiglio di amministrazione ad uno opiù dei membri di questo, ponendoli in condizione di decidere ed agire in luogo del consiglio:l’espressione delega vuole appunto significare come il delegato debba supplire con la propriavolontà, la propria decisione e la propria iniziativa a ciò che altrimenti sarebbe compito delconsiglio. V. Minervini, Gli amministratori di s.p.a., Milano, 1956 ed inoltre Frè, Società perazioni, 1, Artt. 2325-2461, in Comm. Scialoja-Branca, 1951, p. 32 ss.


SAGGI 109i fatti e gli atti del particolare segmento gestorio delegato. Se si ragiona sull’ultimaaffermazione, si comprende la ratio dell’esigenza legislativa di unconsenso dei soci alla delega. Questi, infatti, mediante la previsione di unconsiglio di amministrazione per l’esercizio del potere amministrativo,hanno fatto affidamento sulla responsabilità solidale di tutti gli amministratori,a garanzia del corretto svolgimento dell’attività di gestione.Di guisa, risultando necessaria ed imprescindibile un’autorizzazione, ladelega non è rimessa ad un atto meramente discrezionale del consiglio diamministrazione, ma, al contrario, laddove la previsione statutaria manchi,non vi è possibilità da parte del consiglio di amministrazione di delegare leproprie funzioni a singoli amministratori ( 6 ).Efficienza della gestione ed efficacia della corporate governance rappresentanoil prodromo della prosperità della società per azioni; nell’ottica dellatutela endo-societaria, la disciplina della responsabilità costituisce l’elementodi stabile congiunzione tra potere di gestione e risultato della gestione,ciò al fine di raggiungere sia l’obiettivo prioritario di favorire la nascita,la crescita e la competitività delle imprese, anche attraverso l’accesso aimercati interni ed internazionali dei capitali, e quindi facilitare la valorizzazionedel carattere imprenditoriale della società, con affermazioni tanto generichequanto difficilmente discutibili, sia la prospettiva, meramente pratica,di semplificare la disciplina delle società, tenendo conto delle esigenzedelle imprese e del mercato concorrenziale in ordine alla necessità di ampliaregli ambiti dell’autonomia statutaria, tenendo conto delle esigenze ditutela dei diversi interessi coinvolti, precetto, quest’ultimo, che il legislatoretrova utile rimarcare proprio in relazione alla disciplina dell’amministrazionedelle spa, stabilendo che la riforma è diretta ad attribuire all’autonomiastatutaria un adeguato spazio con riferimento all’articolazione interna( 6 ) Al riguardo si legga Denozza, Norme efficienti. L’analisi economica delle regole giuridiche,Milano, 2002, p. 39 e Guidantoni, La riforma societaria e i nuovi obblighi di informativa:le comunicazioni infrannuali, in Società, 2004, p. 1352; Fauceglia, Note in tema di rappresentanzanelle società per azioni (nota a Cass. civ., 9 novembre 1983, n. 6621), in Giur. comm., 1985,II, p. 482; Id., Profili del potere degli amministratori in tema di aumento del capitale sociale (notaa Trib. Palermo, 11 ottobre 1983), in Giur. merito, 1985, p. 626; Ferrari, Opponibilità ai terzidelle limitazioni al potere di rappresentanza (nota a Cass., 8 novembre 2000, n. 14509), in Società,4/3001, p. 418. In tema Jaeger, Dell’obbligo degli amministratori di dichiarare alla CON-SOB le proprie partecipazioni, in Giur. comm., 1985, I, p. 635; Lo Cascio, La responsabilità dell’amministratoredi fatto di società di capitali, in Giur. comm., 1986, I, p. 189; Salafia, Duratadell’incarico amministrativo difforme dallo statuto (nota a Trib. Milano, 6 marzo 1986), in Società,1986, p. 616 e Id., L’amministrazione delle società di capitali, in Società, 1998, p. 129; Santini,Proposte per un’assicurazione “all risks” degli amministratori di società, in Giur. it., 1985,IV, p. 465.


110 CONTRATTO E IMPRESA 1/2011dell’organo amministrativo, al suo funzionamento, alla circolazione delleinformazioni ( 7 ).In tema di delega dei poteri di amministrazione, la scarna prescrizionedel 2° comma dell’art. 2381 c.c. ante riforma, a tenore del quale il consiglio diamministrazione, se l’atto costitutivo o l’assemblea lo consentono, può delegarele proprie attribuzioni ad un comitato esecutivo composto di alcunisuoi membri o ad uno o più dei suoi membri, determinando i limiti della delega,dava adito alla tendenza interpretativa a individuare la configurabilitàdelle cd. deleghe atipiche, vale a dire la possibilità di conferire la delega ge-( 7 ) Cfr. Desario, L’amministratore delegato nella riforma delle società, cit., p. 941 ss.:“Qualcosa, in effetti, si mostra ancora non completamente condivisibile e, quindi, suscettibiledi perfezionamento. Penso ad esempio, al reporting cadenzato ogni sei mesi, che è lassotemporale obiettivamente significativo, nel quale, a motivo di insistite operazioni dissennate,può registrarsi l’affossamento delle sorti delle imprese anche più floride e pingui. Sarebbe poistato probabilmente meglio se i deleganti avessero dovuto non solo esaminare bensì pure approvarei piani. Immagino, infatti, piani non condivisi dal consiglio di amministrazione, cheaddirittura si spinga a esigerne talune modifiche, tuttavia non accettate da un testardo e pervicacedelegato. All’evidenza s’ingenera una situazione deleteria di stallo, cui si ovvierà esclusivamenteattraverso la revoca della delega a suo tempo accordata o, quanto meno, mediantel’estemporaneo riassorbimento di essa da parte dell’organo collegiale. Non v’è dubbio, però,che nell’interregno la società, in quanto sprovvista di piani di riferimento, sarà a rischio disbandamento. Al di là di queste menome critiche, non è chi non veda come tutta la nuova impalcaturapoggi – assai positivamente – sul flusso informativo che deve scorrere dai delegati(ivi compresi gli “irregolari”) verso i deleganti. Anzi, vi è addirittura di più: la circolarizzazionedelle informazioni tra delegati e deleganti si mostra cruciale per il dimensionamento dell’ambitodi eventuale responsabilità dei deleganti. Nel vecchio sistema questi rispondevanodei fatti dannosi compiuti dai delegati, qualora avessero tenuto condotte improntate a culpain vigilando; ma oltre questa generica previsione sinceramente non s’andava. Adesso la previsioneè confermata, però fermo quanto disposto dal comma terzo dell’art. 2381 (v. art. 2392,comma 2°). Ne discende, a mio parere, che il delegante risponde del fatto dannoso del delegato,se, non informatone, non si sia preoccupato comunque di richiedere le notizie dovutegli.Il delegante ne risponde anche quando, informatone, dall’informativa la dannosità emergevaagevolmente (come potrà appurarsi attraverso l’opera di preziosi consulenti d’ufficio nelrelativo contenzioso) e, ciò nonostante, nulla si sia fatto per porvi rimedio. Escluderei, viceversa,ogni addebito allorché l’informativa, effettuata e fruita, nulla lasci trapelare, nel qualcaso la responsabilità non potendosi appuntare che sul solo delegato. In questo senso ragionavopoc’anzi di crucialità del flusso informativo. E posso stilizzare ancora di più: – l’informativadeve esserci (in difetto, l’operato del delegato collocandosi in una luce di discutibilità,poi facile a scivolare in responsabilità); – essa deve essere completa e, soprattutto, la si devesaper leggere, estraendone tutte le relative conseguenze, con gli occhiali che possono pretendersi– in termini di competenza, perizia e diligenza – dai deleganti; – ipotetiche perplessitànon possono permanere tali, ma vanno fugate attraverso supplementi d’informativa che il deleganteha il potere-dovere di richiedere, in funzione del suo agire informato (e cfr. l’art. 2381,ult. cpv.)”.


SAGGI 111storia anche al di fuori del procedimento formale dell’art. 2381 c.c. e la legittimitàdelle disposizioni statutarie o della determinazione assembleare cheeccedessero il limite del semplice consenso indicato dall’art. 2381 c.c. ( 8 ).Atteso il fondamento dogmatico della delega, quale forma di autorizzazioneconsiliare, è certo, in linea di principio, che i delegati non possonoagire se non vi sia una preventiva investitura degli altri, dato che questi a lorovolta di regola non interferiscono nelle determinazioni di carattere operativoassunte dai membri delegati ( 9 ).La vastità dell’area relazionale tra le diverse articolazioni interne dell’organoamministrativo necessita, ad indiscutibile evidenza e nonostantel’assenza di alcuna prescrizione normativa pre riforma, dell’adozione di unsistema di necessarie informazioni di cui disporre da parte degli ammini-( 8 ) Si legga Buonocore, Le nuove frontiere del diritto commerciale, dalla Collana Quadernidel Dipartimento di Studi Internazionali dell’Università degli Studi di Salerno, Napoli, 2006, p.199 ss. e Id., Adeguatezza, precauzione, gestione, responsabilità: chiose sull’art. 2381, commi 3°e 5°, del c.c., in Giur. comm., 2006, p. 6. L’a. sostiene che “si percepirà quanto sia mutato il quadroraffigurante l’organizzazione interna della società per azioni ed in particolare quanto siavalorizzato il potere degli amministratori e quanto cambieranno contenuto e confini della responsabilitàdi questi e dell’<strong>impresa</strong>-società.” Ed ancora: “Con l’art. 2381 la legge non si accontentadi imporre all’<strong>impresa</strong> – come pure è accaduto sovente in passato – una data formaovvero di prescrivere minimi di capitale sociale ovvero ancora di imporre la tenuta di determinatescritture contabili, ma interviene per incidere sulle concrete modalità di organizzazioneinterna dell’attività d’<strong>impresa</strong>, che è campo tradizionalmente lasciato all’autonomia decisionaledell’imprenditore”.( 9 ) In argomento si veda Salafia, Gli organi delegati nell’amministrazione della s.p.a., inSocietà, 2004, per il quale: “La recente riforma societaria ha confermato, nell’ambito del modellotradizionale di amministrazione, la facoltà del consiglio di amministrazione di delegarein tutto, nei limiti espressamente indicati dall’art. 2381, comma 4°, c.c., o in parte le propriefunzioni a singoli propri componenti o a gruppi dei suddetti componenti, che la legge denomina,rispettivamente, amministratori delegati o comitati esecutivi. Tuttavia, la suddetta facoltàviene subordinata all’espressa previsione statutaria o al consenso dell’assemblea,espresso o in occasione dell’elezione del consiglio di amministrazione o successivamente,mediante specifico intervento (cfr. art. 2381, comma 2°, c.c.). La stessa facoltà viene riconosciutaal consiglio di gestione, nominato dal consiglio di sorveglianza, nell’ambito del sistemaalternativo di amministrazione e controllo regolato dagli artt. 2409 octies ss., c.c., senza tuttaviasubordinarla alla previsione statutaria o al consenso assembleare. Lo statuto o l’assembleapotrebbero, però, non attribuire espressamente al consiglio di gestione la facoltà di delega, dicui si tratta, dato che all’autonomia dei soci questo potere può essere riconosciuto in quantonon contrasta con alcun interesse generale. Per quanto riguarda il modello alternativo di amministrazionee controllo cosiddetto monistico, l’art. 2409 noviesdecies richiama, fra le normeapplicabili, l’intero art. 2381 e, quindi, riconosce al consiglio di amministrazione il potere didelegare le proprie funzioni con gli stessi limiti, che la norma richiamata indica con riferimentoal modello tradizionale di amministrazione”.


112 CONTRATTO E IMPRESA 1/2011stratori deleganti onde assicurare al dovere di vigilanza un’efficacia non soloteorica ( 10 ).In sede di principi e criteri direttivi, l’art. 4, comma 8°, lett. a), della l. n.366 del 2001 detta, attesa la fiducia mostrata in materia gestoria verso l’autonomiastatutaria, la traccia che, con riguardo allo specifico tema della delegagestoria, la disciplina deve seguire: precisare contenuti e limiti delle deleghea singoli amministratori o comitati esecutivi, lasciando con ciò intendereche sia intenzione del legislatore delegante, quasi in controtendenzarispetto all’opzione in favore dell’autonomia statutaria, restringere in questosettore gli spazi lasciati all’autodeterminazione sociale.Se si riflette attentamente sulla struttura della delega, si evidenzia comesiamo in presenza di un rapporto bifasico, vale a dire che l’organo delegatorimane organo amministrativo, ma, al contempo, risulta essere, su autorizzazioneconsiliare, titolare di un rapporto contrattuale derivativo che sembra,a parere di chi scrive, possa essere ricondotto nell’ottica del contratto dimandato ( 11 ).( 10 ) Cfr. Cass., 28 gennaio 1997, n. 1427, la cui massima sostiene che “l’amministratore disocietà (ovvero l’amministratore delegato) di s.p.a. ex art. 2384 c.c. è titolare del potere di gestionenonché del potere di rappresentanza per tutti gli atti che rientrano nell’oggetto sociale,e quindi di compiere quell’attività economica che la società si propone per ritrarne un utile. Etale attività necessariamente comprende ogni azione che tenda al raggiungimento del fine divantaggio economico rientrante nell’oggetto sociale, compreso quindi il potere di presentarequerela a tutela di posizioni patrimoniali dell’ente. Sicché non necessita, al predetto scopo, lapreventiva deliberazione del consiglio di amministrazione”.( 11 ) In materia si veda Santagata, Del mandato. Disposizioni generali. Artt. 1703-1709, inComm. c.c. Scialoja-Branca, Bologna, 1985, p. 3 ss.; Scardulla, voce Interposizione di persona,in Enc. dir., vol. XII, Milano, 1972, p. 143 ss.; Settesoldi, Il mandato ad acquistare e adalienare in Alcaro, (a cura di), Il mandato, Milano, 2000, p. 68 ss.; Tilocca, Il problema delmandato, in Riv. trim. civ., 1969, p. 872 ss.; Visalli, In tema di acquisti del mandatario (art. 1706c.c.), in Riv. dir. civ., 1997, I, p. 73 ss. Sul tema del rapporto di cooperazione tra organo amministrativoe società cfr. Barbero, Sistema istituzionale del diritto privato italiano, 5 a ed., vol. III,Torino, 1958, p. 54 ss.; Battaglia, Rilievi critici in tema di mandato e regime di circolazione deibeni giuridici, in Giust. civ., I, 1995, p. 2166. In tema Pugliatti, La rappresentanza indiretta e lamorte del rappresentante (1953), ora in Studi sulla rappresentanza, Milano, 1965, p. 449; Id., Rilevanzadel rapporto interno nella rappresentanza indiretta (1959), ora in Studi sulla rappresentanza,Milano, 1965, p. 458. Cfr. Colombatto, Patto bilaterale d’interposizione e suoi effetti neiconfronti del terzo contraente, in Riv. dir. comm., 1981, II, p. 71 ss.; De Angelis, Trust e fiducianell’ordinamento italiano, in Riv. dir. civ., 1999, II, p. 353 ss.; Id., voce Fiduciaria (Società), inDigesto delle Discipline Privatistiche. Sezione commerciale, vol. VI, Torino, 1991, p. 91; De Lorenzi,Il mandato alla luce dell’analisi economica del diritto, in questa rivista, 1993, p. 965 ss.;Carbone, “Pactum fiduciae” ed interposizione reale, in Corr. giur., 1993, p. 855 ss.; Caredda,Intestazione fiduciaria di quote di s.r.l. e mandato, in Banca borsa e tit. cred., 1994, II, p. 540 ss.;Carnevali, Intestazione fiduciaria, in Irti (a cura di), Dizionari del diritto privato, tomo I, Dirit-


SAGGI 113La delega dà vita ad un nuovo organo della società, che acquista unacompetenza concorrente con quella del consiglio di amministrazione sulleattribuzioni oggetto della delega, divenendo responsabile per l’esercizio deipoteri conferiti. Gli organi delegati, pertanto, non sono dotati di una sfera dipoteri autonoma e separata da quella del consiglio di amministrazione, checonserva il diritto di impartire direttive ed avocare a sé operazioni rientrantinella delega ( 12 ).La nozione di delega viene utilizzata per indicare come i delegati debbanosupplire con la propria volontà, la propria decisione e la propria iniziativaa ciò che altrimenti sarebbe compito del consiglio. Come detto, lo strumentodella delega consente, così, di derogare alla necessaria collegialitàpropria del funzionamento del consiglio di amministrazione, al fine di garantire,in relazione alle attribuzioni delegate, la rapidità di decisione propriadegli organi monocratici o comunque di composizione più ristretta rispettoall’intero consiglio di amministrazione.to civile, Milano, 1980, p. 457. Cfr. in tema Salamone, La c.d. proprietà del mandatario, in Riv.dir. civ., 1999, p. 77 ss.; Salafia, Note in tema di mandato conferito dai fiducianti a società fiduciaria,in Giust. civ., 1999, I, p. 2641 ss. Cfr. Papanti, Pelletier, Rappresentanza e cooperazionerappresentativa, Milano, 1984, p. 180; Id., (a cura di), Codice civile annotato con la dottrina e lagiurisprudenza, vol. I, Napoli, 1991, p. 10 ss.; Id., Introduzione alla problematica della « proprietà», Camerino, 1971, p. 203. Id., Manuale di diritto civile, Napoli, 1997, p. 71. E infine Persegani,Trimarchi, Acquisti di beni mobili del mandatario, in Giur. merito, 1994, p. 393; Montalenti,Il contratto di commissione, in Cottino, (a cura di), Contratti commerciali, vol. XVI delTratt. dir. comm. e dir. pubbl. dell’econ., Padova, 1991, p. 554 ss. Conf. Maccarone, Considerazionid’ordine generale sulle obbligazioni di dare in senso tecnico, in questa rivista, 1998, p. 627;Mari, Interposizione fittizia e reale, in Foro pad., 1992, I, c. 413; Marino, Riorganizzazioni personaliinternazionali, trusts ed elusione fiscale, in Riv. dott. comm., 1998, p. 29. In tema si legga, anche,Jaeger, La separazione del patrimonio fiduciario nel fallimento, Milano, 1968, p. 5 ss. Da ultimo,si veda Graziadei, Mandato, in Riv. dir. civ., 1997, II, p. 147 ss.; Id., voce Mandato, in Digestodiscipline privatistiche. Sezione Civile, vol. XI, Torino, 1994, p. 154 ss.; Id., voce Mandato indiritto comparato, in Digesto discipline privatistiche. Sezione civile, vol. XI, Torino, 1994, p. 192 ss.( 12 ) In tema Desario, La gestione delegata nelle società di capitali. La nuova disciplina, cit.,p. 5 ss. Cfr., in giurisprudenza, Trib. Firenze, 15 febbraio 2005, in Giur. merito, 2007, c. 397: “difronte all’inerzia dell’amministratore delegato rispetto alle direttive, da lui conosciute, essenzialial proficuo ed efficace svolgimento del ruolo di direzione unitaria da parte della societàcapogruppo, il rapporto tra quest’ultima e il primo può incrinarsi, fino a condurre alla revocadell’amministratore stesso fatta secondo criteri di giusta causa”. Ed ancora App. Milano, 21gennaio 1994, in Società, 1994, p. 923: “I componenti del consiglio di amministrazione di unasocietà di capitali, i quali abbiano delegato la funzione amministrativa ad uno di loro stessi,non si privano delle funzioni delegate e possono quindi sempre dare istruzioni al delegato,con la conseguenza che, ove abbiano omesso di vigilare ed intervenire con ragionevole tempestivitàsull’operato del delegato, rispondono del danno provocato al patrimonio sociale dallagestione di quest’ultimo, che essi avrebbero potuto evitare”.


114 CONTRATTO E IMPRESA 1/2011In tema di individuazione della natura del rapporto giuridico tra amministratoredelegato e società, si deve, da subito, escludere l’opzione interpretativache vede la natura del rapporto in esame in una collaborazionecoordinata e continuativa tra l’amministratore delegato e la società. L’impossibilitàdi tale accostamento deriva dalla costatazione che l’amministratoredelegato costituisce il vertice della società per azioni, e non risulta sussisterel’elemento della coordinazione, caratteristico del rapporto di parasubordinazione,e, in più, il compenso dell’amministratore è elemento naturaledel rapporto e quindi rinunciabile, a differenza del compenso del collaboratore( 13 ).La valutazione del rapporto di immedesimazione organica tra l’amministratoredelegato e la società per azioni esclude che le funzioni connessealla carica svolte dall’amministratore medesimo siano riferibili a due distinticentri di interesse; di guisa, le prestazioni relative a tali funzioni non risultanoriconducibili né ad un rapporto di lavoro subordinato, né ad un rapportodi parasubordinazione ( 14 ).2. – In mancanza di determinazione statutaria di appositi limiti gestori,la delega non può, comunque, avere ad oggetto talune attribuzioni previste( 13 ) La l. 11 agosto 1973, n. 533, che ha disciplinato il processo del lavoro nel nostro ordinamento,ha introdotto una nuova figura di rapporto di lavoro, distinto sia dal rapporto di lavorosubordinato che dal contratto d’opera. Si tratta dei cd. rapporti di collaborazione che, secondol’art. 409, n. 3, c.p.c., si concretano in una prestazione d’opera continuativa e coordinataprevalentemente personale anche se non a carattere subordinato. Ancor prima la l. 14 luglio1959, n. 741 (norme transitorie per garantire minimi di trattamento economico e normativoai lavoratori), all’art. 2 indicava anche i rapporti di collaborazione che si concretino in prestazionid’opera continuativa e coordinata degni di tutela. Una parte della dottrina riconducea tale figura non qualsiasi rapporto di collaborazione caratterizzato dagli elementi ivi indicatima soltanto quelli in cui il prestatore di lavoro possa apparire come debole: non, ad esempio,i rapporti di alta consulenza. Rimarrebbero così soggette alla tutela in discorso le prestazionidi lavoro che presentino un tratto in comune con quelle rese in regime di subordinazione.( 14 ) Cfr. Cass., 2 marzo 1999, n. 1726, in Giust. civ. 1999, c. 1354: “La qualifica di lavoratoresubordinato non è compatibile con quella di amministratore delegato di società di capitali,né con quella di amministratore che abbia comunque la titolarità effettiva di tutto il potere gestionale(nella specie, in quanto appartenente alla famiglia azionista di riferimento della societàcontrollante la società amministrata), non essendo configurabile il vincolo di subordinazioneove manchi la soggezione del prestatore ad un potere sovraordinato di controllo e disciplina,escluso dall’immedesimazione in un unico soggetto della veste di esecutore dellavolontà sociale e di quella di organo competente ad esprimerle; con la conseguenza che lacompetenza a conoscere dell’azione sociale di responsabilità proposta nei confronti dei predettiamministratori spetta in primo grado al tribunale ed in secondo grado alla Corte d’appello,non al giudice del lavoro”.


SAGGI 115espressamente dall’art. 2381 c.c., e prescritte come non delegabili: non possonoessere delegate la redazione del bilancio (art. 2423 c.c.), la facoltà diaumentare il capitale (art. 2443 c.c.) nonché le incombenze attribuite agliamministratori in caso di riduzione del capitale sociale per perdite (art. 2446c.c.) o al di sotto del limite legale (art. 2447 c.c.), materie che il dato normativo,attesa la rilevanza societaria delle evenienze per la vita e la crescita dellasocietà, riserva inderogabilmente all’organo consiliare nella sua interezza,vietandone la delegabilità a uno o più amministratori e richiedendodunque che, nelle indicate situazioni, tutti gli amministratori operino inmodo collegiale.La previsione determinativa della delegabilità dei poteri ad un singoloamministratore (delegato), geneticamente presente nell’atto costitutivo oinserita in seguito con deliberazione assembleare che introduca nello statutosociale la facoltà di delega, consente al consiglio di amministrazione divalutare l’opportunità della delega nonché la sua ampiezza, determinando imodi di operatività dell’organo delegato.All’esito della valutazione da parte dell’organo consiliare nel senso dellatraduzione effettiva in una delibera di delega, tale delega di funzioni amministrativeal comitato esecutivo o ad uno o più amministratori determinala nascita di un ulteriore organo della società dotato di competenza concorrentecon quella del consiglio di amministrazione, di modo che quest’ultimonon viene privato delle funzioni che sono oggetto di delega ( 15 ).( 15 ) In tema Ghini, Deleghe del consiglio di amministrazione a singoli componenti, in Società,2005, p. 711 ss., il quale sostiene che: “I compiti del consiglio di amministrazione non siesauriscono alla costituzione dell’organo delegato ed alla nomina del suo titolare, perché, comerisulta dal terzo comma del novellato art. 2381 c.c., il consiglio di amministrazione determinail contenuto, i limiti e le eventuali modalità di esercizio della delega. Inevitabile, comesi vede, è la determinazione del contenuto e dei limiti della delega, mentre è facoltativa la fissazionedelle modalità di esercizio della stessa. Vigente la disciplina pregressa, l’art. 2381 c.c.richiedeva unicamente la determinazione dei limiti della delega. Sembra giusto che la deliberazioneconsiliare si occupi, innanzitutto, del contenuto della delega, da formare, ovviamente,attingendo all’insieme dei poteri consiliari che risultano delegabili. In concomitanza all’individuazionedel contenuto, sono da fissare, come sempre, i limiti della delega, ed ora anche– se si vuole – le modalità per il suo concreto esercizio da parte di ciascun delegato. In definitivala delega è da modellare secondo le necessità operative della società. In ordine al contenutoed ai limiti della delega, dalla lettura del novellato congegno normativo si evince che,seguendo un indirizzo osservato in precedenza (per la parte dei limiti) il legislatore della riformasocietaria non ha sentito la necessità di specificare quali attribuzioni possono formareoggetto di delega, compito, peraltro, quanto mai arduo in relazione all’estrema varietà deicompiti che si incontrano sol che si prendano in attento esame le attività di un limitato numerodi consigli di amministrazione. Molte sono le circostanze che influiscono sulle scelteper il contenuto ed i limiti, in sostanza per la divisione del lavoro fra consiglio nel suo com-


116 CONTRATTO E IMPRESA 1/2011Si rifletta: la competenza del consiglio di amministrazione rimane integra,poiché esso può, normativamente, revocare gli atti dell’organo delegatoo avocare a sé il compimento diretto delle attività o delle operazioni dellasocietà; occorre chiarire che l’atto di delega non priva, in assoluto, l’organodelegante del potere amministrativo delegato, ma, al contrario, autorizza,semplicemente, l’organo delegato a compiere atti che, anche dopo la delega,restano tuttavia nei poteri e cioè nelle competenze del delegante. Ladelega crea quindi, per l’esercizio di tali poteri, una competenza dell’organodelegato che è concorrente con quella dell’organo delegante.La lettura del disposto dell’art. 2381 c.c., all’esito della riforma societaria,mostra il carattere facoltativo della delega e la relativa revocabilità totaleo parziale. Volendo tracciare un parallelo con la contrattazione e, nellospecifico, la sostituzione giuridica, nel diritto privato colui che ha facoltà diattribuire, di limitare e di togliere un determinato potere ha, altresì, la possibilitàdi compiere direttamente l’atto che costituisce manifestazione diquel medesimo potere ( 16 ).plesso e singoli amministratori delegati. Nella grande maggioranza dei casi, ha maggior pesoil contenuto della delega o delle deleghe rispetto a quello che il consiglio avoca alla sua collettivacompetenza. Questa “esuberanza” dei poteri delegabili è stata tenuta presente dal legislatore,che, al posto di indicare i (molti) poteri delegabili, si è soffermato sui (pochi) poterinon delegabili. Le materie non delegabili formano oggetto di un apposito paragrafo nel seguitodella presente trattazione. All’amministratore che diventa delegato, dunque, il consigliodi amministrazione attribuisce una parte più o meno notevole dei propri poteri, quali sidesumono dallo statuto e dalle deliberazioni assembleari, poteri che sono ad un tempo di caratteredecisionale o di rappresentanza. Ne discende che l’attività dell’amministratore delegatosi colloca sullo stesso piano di quella del consiglio di amministrazione (tutti i compiti, infatti,appartengono alla stessa matrice). Ed egli, entro i limiti della delega ricevuta, ha piena libertàdi muoversi nel modo ritenuto più opportuno ma conveniente nell’interesse della società,come, d’altronde, il consiglio nella sua interezza ed i singoli amministratori, ancorchénon delegati, che lo compongono. In altre parole, non esiste una subordinazione fra l’amministratoredelegato ed il consiglio di amministrazione, proprio perché il primo è investito difacoltà che sono del secondo. È da tener presente, tuttavia, che dal consiglio “derivano” i poteriche portano all’operatività dell’amministratore delegato. Il consiglio, sotto questo profilo,si pone quanto meno nella posizione di “primus inter pares”, circostanza che si è accentuataattraverso la riforma societaria in quanto dal consiglio non deriva soltanto il conferimentodi poteri; dal terzo comma dell’art. 2381 c.c., infatti, risulta che il consiglio può sempre impartiredirettive agli organi delegati, quindi all’amministratore delegato. Questo rende più compositoil quadro operativo, ma non è capace di alterare la natura del rapporto tra il consiglio el’amministratore delegato, che è profondamente diverso rispetto al rapporto intercorrente fral’amministratore delegato ed i dirigenti della società, i quali – pur esercitando anch’essi un’azionedirettiva e godendo di una certa libertà di decisione e di iniziativa – sono pur sempre deiprestatori di lavoro subordinato”.( 16 ) Cfr., in tema, ancora, Ghini, Deleghe del consiglio di amministrazione a singoli compo-


SAGGI 117Volendo schematizzare i requisiti richiesti dalla norma di legge per lanenti, cit., p. 713: “Pur disponendo di un’ampia latitudine discrezionale, il legislatore delegato,nel complesso, si è allontanato di poco dalla pregressa regolamentazione dell’attività gestoria,relativamente alla definizione del modello tradizionale di governance (così è denominato dallarelazione governativa di accompagnamento al testo divenuto il d.lgs. n. 6/2003). Le disposizionisugli amministratori (si è ora nel comparto delle s.p.a.) sono contenute in uno dei sei paragrafiche formano la Sezione VI bis del Capo V, intitolata “Dell’amministrazione e del controllo”;il par. 2 è dedicato agli amministratori secondo tale configurazione. L’art. 2380 bis, diapertura, racchiude le regole generali: vengono confermate alla lettera alcune norme del sostituitoart. 2380 c.c. e precisamente: a) possibilità che l’amministrazione possa essere affidataanche a non soci; b) possibilità che l’amministrazione sia affidata ad un amministratore unicoo a più amministratori, i quali, in tal caso, costituiscono il consiglio di amministrazione; c) poteredell’assemblea di determinare, al momento della nomina, il numero degli amministratori,se lo statuto ne indica solo un numero massimo e minimo. Il c.c. del 1942 usava la locuzione“atto costitutivo”, ma la modifica è da mettere in rapporto al maggior rilievo dato dalla riformaallo statuto come corpus di regole per il corretto funzionamento dell’organismo societario;il terzo ed ultimo comma dell’art. 2328 c.c., infatti, dopo aver affermato che lo statutocontenente le norme relative al funzionamento della società, anche se forma oggetto di attoseparato, costituisce parte integrante dell’atto costitutivo, stabilisce che in caso di contrasto trale clausole dell’atto costitutivo e quelle dello statuto prevalgono le seconde; d) potere del consigliodi amministrazione di nominare il proprio presidente tra i suoi componenti (il testo delc.c. del 1942 usava il termine “membri”), quando la nomina non sia avvenuta ad opera dell’assembleadei soci. È decisamente innovativa – anche se manifesta principi già affermati – la regolaesposta nel primo comma dell’art. 2380 bis, secondo la quale la gestione dell’<strong>impresa</strong> (rectius:della società) spetta esclusivamente agli amministratori, i quali compiono le operazioninecessarie per l’attuazione dell’oggetto sociale. Non si leggeva tale regola nell’art. 2380 c.c. delprevigente regime. La relazione governativa ne dà esplicita conferma, precisando che: – la gestionedell’<strong>impresa</strong> sociale spetta in via esclusiva agli amministratori (art. 2380 bis, comma 1°,c.c.), i quali hanno poteri di gestione estesi a tutti gli atti che rientrano nell’oggetto sociale (art.2380 bis, comma 1°, c.c.) e una rappresentanza generale per tutti gli atti compiuti in nome dellasocietà (art. 2384, comma 1°, c.c.); – lo statuto o l’atto di nomina o di delega possono limitarein vario modo questi poteri di gestione o di rappresentanza, o entrambi, anche prevedendouna dissociazione tra rappresentanza generale (ad esempio attribuita al presidente) e poteri digestione (ad es. attribuiti al consiglio, al comitato esecutivo o ad amministratori delegati). Laprevisione del comma 1° dell’art. 2380 bis, c.c., non ha soltanto una funzione descrittiva deicompiti degli amministratori, ma rende l’attività gestoria un dovere previsto e delineato dallalegge. Fatte queste constatazioni, non possiamo andare oltre nell’analisi dell’art. 2380 bis, c.c.,di natura propedeutica e programmatica; abbiamo visto a sufficienza la parte che serve per affrontarela problematica delle deleghe. È fondamentale, al riguardo, l’art. 2381 c.c., su presidente,comitato esecutivo e amministratori delegati. È un insieme di regole di grande rilevanza,in linea con quella – vero e proprio principio base – secondo la quale la gestione intesa comeattuazione dell’oggetto sociale è di esclusiva spettanza dell’amministratore o degli amministratori(gestione unipersonale e gestione collegiale). L’art. 2381 c.c. ha il pregio di definire icompiti del presidente (comma 1°), di occuparsi con larghezza della problematica delle deleghe(commi 2°, 3° e 4°) e di stabilire delle correnti di informazioni, in particolare dagli organidelegati verso gli amministratori deleganti ed il collegio sindacale”.


118 CONTRATTO E IMPRESA 1/2011delegabilità di poteri gestori, si può sostenere che la presenza dell’autorizzazionealla delega derivante dal consenso dei soci, la qualità di amministratoredei soggetti cui viene delegato in tutto o in parte il potere amministrativoe la non esorbitanza della delega dalle materie riservate alla necessariacompetenza dell’organo collegiale enucleano la possibilità di delegadel potere gestorio.Il comitato esecutivo è un ulteriore organo collegiale della società, pertantoassume le proprie decisioni nel rispetto del principi della collegialità eadotta vere e proprie deliberazioni, da ritenersi soggette alle stesse normeche regolano le deliberazioni consiliari. La previsione della pluralità degliamministratori delegati è stata, invece, comunemente intesa nel senso cheessi sono esentati dal rispettare il metodo collegiale e agiscono a seconda diciò che è stato stabilito all’atto della nomina, disgiuntamente o congiuntamente,analogamente agli amministratori di società di persone (artt. 2257 e2258 c.c.).In caso di una pluralità di amministratori delegati, possono prospettarsidiverse situazioni gestorie in merito alle concrete modalità dell’eserciziodell’attività: si può così verificare l’ipotesi di una pluralità di amministratoridelegati, investiti (in via congiunta oppure disgiunta) dal consiglio di amministrazionedi attribuzioni tra loro distinte; oppure può esservi una pluralitàdi amministratori delegati, investiti (in via congiunta oppure disgiunta) dalconsiglio di amministrazione di attribuzioni comuni ( 17 ).Gli amministratori delegati possono svolgere in via disgiunta funzionidifferenti fra loro nelle ipotesi concrete nelle quali sia demandata in via disgiuntaad una pluralità di amministratori delegati la possibilità di agire sullamedesima materia che sia a ciascuno di essi stata delegata: in tema di ammissibilitàdella delega in via disgiuntiva di poteri amministrativi, la stessatrova conforto normativo nella formulazione dell’art. 2381 c.c., laddove siprevede la delega delle attribuzioni del consiglio ad un comitato esecutivoo ad uno o più dei suoi membri, senza specificazione ulteriore in merito alladeterminazione contenutistica della delega ( 18 ).( 17 ) Cfr. Rovelli, Limiti alla delega di poteri amministrativi (nota a Trib. Bologna, 10 ottobre1989, - decr.), in Società, 12/1989, 1319; Salafia, Durata dell’incarico amministrativodifforme dallo statuto (nota a Trib. Milano, 6 marzo 1986), in Società, 6/1986, p. 616; Id., L’amministrazionedelle società di capitali, in Società, 2/1998, p. 129; Santini, Proposte per un’assicurazione“all risks” degli amministratori di società, in Giur. it., 1985, IV, p. 465; Cabras, L’amministratore- dipendente nelle società per azioni, in Cons. <strong>impresa</strong>, 1987, p. 1341; CalandraBuonaura, Amministrazione bipersonale, metodo collegiale e clausola di prevalenza del voto delpresidente (nota a Trib. Milano, 18 luglio 1984), in Giur. comm., 1985, II, p. 653.( 18 ) Ghini, Deleghe del consiglio di amministrazione a singoli componenti, cit., p. 716: “Conriferimento all’art. 2381, comma 6°, c.c., si nota il ricorso ad una soluzione intermedia per il


SAGGI 119Di guisa, sembra corretto ritenere che esista ampia autonomia dei soci odel consiglio d’amministrazione nella determinazione delle modalità diesercizio del potere delegato. Non basta, l’ammissibilità della modalità diesercizio disgiunto del potere delegato risulta rafforzata dalla considerazione,logico-pratica prima che giuridica, che la continuità della gestione socialeè garantita dalla competenza concorrente del consiglio e dai poteri di vigilanzae di intervento normativamente previsti ( 19 ).potere di intervento dell’amministratore delegante: l’amministratore delegante può chiederetutte le informazioni agli organi delegati, perché ne riferiscano in consiglio; non può, dunque,chiederle privatamente, né può rivolgere la richiesta ai dirigenti ed al personale della società.Sebbene questa seconda opzione fosse stata ipotizzata – sia per la considerazione che la richiestadi atti e di documenti andrebbe favorita, sia perché essa potrebbe non ricevere adeguatasoddisfazione da parte dei delegati – la proposta non è stata accolta, nel timore di un eccessivocarico di lavoro per i dirigenti e i dipendenti, nonché di una responsabilizzazione ulterioredell’amministratore delegante. Si abbia presente, d’altra parte, che l’attribuzione all’amministratoredi un esteso potere individuale di esigere informazioni ne comporta il paralleloampliamento di responsabilità. In ogni caso, secondo il principio di buona amministrazionedelle società, codificato anche in altri ordinamenti, le deliberazioni del consiglio di amministrazionesono collegiali, ma, nella fase istruttoria, almeno alcuni poteri di indagine devonoessere concessi individualmente agli amministratori, poteri da esercitare con buon sensoed in modo discreto. Il dovere di tenersi informati da parte dei singoli amministratori, in attuazionedell’art. 4, comma 8°, lett. g) della l. n. 366/2001, e già affermato dalla giurisprudenzaprecedente, è una specificazione del dovere di diligenza tipico dell’amministratore: vale adire, la diligenza è quella professionale del gestore d’<strong>impresa</strong>, dunque a conoscenza dellenorme tecniche della buona gestione e delle concrete circostanze della singola operazione. Siricorda che per l’art. 2392, comma 1°, c.c., novellato, gli amministratori devono adempiere idoveri ad essi imposti dalla legge e dallo statuto con la diligenza richiesta dalla natura dell’incaricoe dalle loro specifiche competenze. Come si evince dalla relazione governativa, la normapredetta non sta a significare “che gli amministratori debbano necessariamente essere peritiin contabilità, in materia finanziaria, e in ogni settore della gestione e dell’amministrazionedell’<strong>impresa</strong> sociale, ma significa che le loro scelte devono essere informate e meditate, basatesulle rispettive conoscenze e frutto di un rischio calcolato e non di irresponsabile o negligenteimprovvisazione”. Attraverso la circolazione delle informazioni, vengono colmate lelacune dell’uno con le conoscenze dell’altro, cosicché le decisioni risultano più competentied appropriate. Con una norma di chiusura, all’art. 2381 c.c., viene sancito il principio per ilquale gli amministratori devono sempre agire in modo informato. Dal sistema regolamentarecosì posto in essere (e da fare proprio da parte di ogni società) si evince che la gestione socialeva realizzata sulla base di un costante dialogo tra consiglio di amministrazione ed organidelegati. La divulgazione dei principi che formano la struttura portante dell’art. 2381 c.c. è auspicabile,come lo è l’adesione ai medesimi da parte degli organi di gestione della società”.( 19 ) Cfr. Mongiello, Ordinaria e straordinaria amministrazione in materia di società (notaa Cass. civ. 2 ottobre 1978, n. 4369), in Dir. fall., 1979, II, p. 439; Moro Visconti G., Il presidentedel Consiglio di amministrazione, in Impresa, 1988, p. 1797; Mozzarelli, Amministratoridi fatto: fine di una contesa (nota ad App. Milano, 26 settembre 2000), in Giur. comm., 4/2001,


120 CONTRATTO E IMPRESA 1/2011Attesa la possibilità dell’assenza di specificazioni statutarie nell’atto didelega in tema di determinazione delle modalità di funzionamento dell’organodelegato pluripersonale, appare corretto ritenere sussistente un comitatoesecutivo, in applicazione del principio, presente nelle forme associative,in virtù del quale all’interno di un organo pluripersonale vige il metodocollegiale, nel rispetto della massima ponderazione di interessi fra i singolipartecipanti e, quindi, del perseguimento dell’ottimizzazione dei risultatidella società.Da quanto sinora affermato, risulta necessario individuare il ruolo dellacollegialità dell’organo amministrativo. Nel caso di amministrazione affidataad un organo che non sia composto in modo monopersonale, il potere eil dovere di amministrare spettano ad un organo unitario, vale a dire al consigliodi amministrazione quale struttura a composizione pluripersonale direttaa svolgere attività giuridicamente rilevanti, con attitudine ad operarecome organo collegiale: ne discende che nell’ambito del consiglio di amministrazionei poteri amministrativi debbano di necessità, essere esercitaticollegialmente, dovendo ricorrere imprescindibili presupposti circa la suaregolare costituzione e la determinazione della maggioranza di voti utileper l’assunzione delle deliberazioni: il dato della norma è chiaro nel prescrivereche, al fine della validità delle deliberazioni del consiglio di amministrazione,è necessaria la presenza della maggioranza degli amministratoriin carica; quando l’atto costitutivo non richiede un maggior numero dipresenti, le deliberazioni sono prese a maggioranza assoluta, salvo, sempre,diversa disposizione dell’atto costitutivo. Il voto è personale e non puòquindi essere dato per rappresentanza ( 20 ).II, p. 562. Cfr. in arg. Desario, Numero degli amministratori e clausola di stile, in Riv. dir.comm., 1991, II, p. 42; Ferraro, Le delibere del Consiglio di amministrazione, in Società,11/1983, p. 1368; Id., Rapporto di amministrazione e rapporto di lavoro subordinato: un problemaancora molto discusso, in Nuovo dir., 1985, p. 317; Id., Variazione della composizione dell’organoamministrativo in sede di assemblea ordinaria di s.r.l., in Le Società-Casi e questioni,1990. Ancora Pacchi Pesucci, Gli amministratori di società per azioni nella prassi statutaria,in Riv. soc., 1974, p. 606; Piccini, Evoluzione delle idee sull’amministrazione delle società - Le responsabilitàdegli amministratori e dei principali azionisti di una società, in Rass. forense, 1981,p. 461; Portale, Postille in tema di competenza a variare il numero degli amministratori di s.p.a.nel corso del “primo triennio”, in Giur. comm., 1990, II, p. 458.( 20 ) “Dato che la legge (art. 2381, comma 2°, c.c.) non impone che la delega delle attribuzioniproprie del consiglio di amministrazione debba necessariamente essere disposta in favoredel comitato esecutivo, la delibera consiliare adottata a maggioranza che attribuisca deleghegestorie ad uno o più amministratori delegati non può ritenersi per ciò stesso contrariaal precetto dell’art. 1375 c.c., quand’anche questa delibera contempli ulteriori rimunerazioniper i consiglieri titolari di particolari cariche”, così Trib. Roma, 18 dicembre 2006, in Riv. dir.comm., 2007, p. 133.


SAGGI 121Si rifletta: l’estrinsecazione della collegialità si manifesta solo all’internodel collegio, non potendo apprezzarsi fuori del collegio, momento gestorioin cui il singolo amministratore non ha poteri, ad eccezione della richiestadi veicolazione transitiva di informazioni a carico degli amministratoriesecutivi e di consultazione personale dei documenti sociali. D’altronde,l’affermazione del carattere cogente ed inderogabile del metodo collegialerende possibile sostenere, sistematicamente, l’illegittimità di deliberazioniconsiliari adottate dalla maggioranza degli amministratori senza chegli altri siano stati convocati, ovvero adottate all’unanimità dagli amministratori,senza lo svolgimento di alcuna adunanza, e, di guisa, in assenzadella preventiva convocazione degli amministratori e della necessaria informativasugli argomenti oggetto di decisione a loro favore.Il metodo collegiale risponde ad una pluralità di funzioni e di esigenze:come detto, ad una maggiore ponderazione delle decisioni da adottare; adeterminare in modo unitario e non contraddittorio la volontà dell’organoamministrativo, al fine di coordinare l’attività degli amministratori; a facilitarel’assunzione delle decisioni evitando conflitti sulle scelte di gestione, econsentendo la loro composizione; ad un dettagliato accertamento nelladefinizione delle responsabilità connesse alla carica di amministratore ( 21 ).Attesa l’impossibilità di trasposizione concettuale, in sede di consiglio( 21 ) Cfr. Salafia, Gli organi delegati nell’amministrazione della s.p.a., cit., 1376, il quale sostieneche: “La delegazione delle funzioni proprie del consiglio di amministrazione è un istitutoclassico del nostro ordinamento, e non solo di esso, elaborato allo scopo di conciliarel’interesse dei soci ad una direzione collegiale della gestione dell’<strong>impresa</strong> con quello dell’efficienzae duttilità della direzione stessa. È, infatti, evidente che la collegialità della gestionedelle imprese, se risponde all’esigenza di adeguata ponderazione delle decisioni, ne ostacolala tempestività; donde, la delega ad organismi più semplici e più rapidi nella decisione serve,appunto, per correggere la necessaria lentezza della direzione collegiale dell’<strong>impresa</strong>. Nellaprassi societaria, però, l’istituto è stato in passato spesso utilizzato per deresponsabilizzare ilconsiglio e trasferire sui delegati tutta intera la responsabilità per le scelte gestionali e per laloro attuazione, trascurando l’interesse dei soci. Questi, infatti, nel consentire al consiglio didelegare in tutto o in parte le proprie funzioni, non intendeva privarsi dei benefici della direzionecollegiale della gestione, ma solo rendere più agile la direzione stessa, nell’intesa che, inogni caso, il consiglio avrebbe dovuto sovrintendere alla gestione dei delegati, dirigendoli esorvegliandoli. Nell’ordinamento precedente, l’art. 2392 aveva scarnamente disciplinato ilpredetto interesse dei soci in relazione al predetto modello di amministrazione collegiale, disponendosolo che gli amministratori non operativi dovevano vigilare sull’andamento generaledella gestione; formula precettiva questa ambigua e suscettibile di interpretazioni ancheopposte fra di loro. Nella prassi corrente, la formula veniva interpretata anche nel senso che ilconsiglio dei deleganti attendeva alla fine di ogni esercizio un resoconto dei delegati sul qualeesprimeva le proprie valutazioni, rinunciando in tal modo sostanzialmente a quella funzionedi indirizzo, che la legge e i soci, invece, all’intero consiglio attribuivano”.


122 CONTRATTO E IMPRESA 1/2011di amministrazione, della funzione della collegialità nella semplice risoluzionedella contrapposizione tra interesse della maggioranza e interessedella minoranza azionaria, il dato della legge, attraverso un’operazione diinterpretazione sistematica, attribuisce alla collegialità il ruolo di garantireuna formazione più ponderata della decisione, nel rispetto del criterio dell’affiatamentogestorio, adottando il quale, attraverso la costituzione di uncollegio, si ottiene un coeso gruppo dirigente, eludendo la continua contrapposizionefra interessi suscettivi di trovare la corretta composizione, nelrispetto del principio del metodo collegiale.La collegialità dell’amministrazione comporta pari doveri e responsabilitàa carico dei componenti dell’organo gestorio: sulla base di tali norme,infatti, può andare esente da responsabilità solo quell’amministratore cheabbia fatto annotare il proprio dissenso rispetto agli atti posti in essere daglialtri amministratori, dandone in pari tempo notizia al presidente dell’organodi controllo. Il principio in esame trova validità ed efficacia a seguito dellariforma del diritto societario, con la precisazione per cui la responsabilitàdell’amministratore, per i danni cagionati dalla condotta di un organo delegato,trova spazio anche nell’ipotesi di deleghe di fatto ( 22 ).Difatti, il compimento dell’atto dannoso da parte del delegato può essereimputato al delegante nel caso si accerti la sussistenza di un concorso nellaverificazione dell’evento, attraverso la concreta partecipazione all’attoovvero l’omissione di quanto necessario ad impedire il compimento dell’attodannoso, a ridurne o eliminarne le conseguenze ( 23 ).( 22 ) Cfr. Bonelli, La responsabilità degli amministratori di s.p.a.: giurisprudenza attuale eprospettive, in Giur. comm., 1986, I, p. 419; Borgioli, Attribuzioni in materia di gestione e responsabilitàdegli amministratori, in Giur. comm., 1977, II, p. 726; Bruni, Natura dell’azionecontro gli amministratori (nota a Trib. Bologna, 19 gennaio 1993), in Società, 8/1993, p. 1063;Carnevali, La responsabilità civile degli amministratori per danno ai risparmiatori, in questa rivista,1/1988, p. 83; Cupido, Diritto del socio o del terzo “direttamente danneggiato” al risarcimentodel danno (nota ad App. Milano 9 novembre 1993), in Società, 5/1994, p. 618; D’Orazio,Le azioni civili contro gli organi societari: l’azione di responsabilità. I reati fallimentari: bancarottasemplice e fraudolenta, in Dir. fall., 2000, I, p. 252.( 23 ) Si veda Frè-Sbisà, Della società per azioni, tomo I, Artt. 2325-2409, in Comm. Scialoja-Branca, a cura di Galgano, 1997, p. 34 ss.: “Può essere opportuno rilevare come la delega di determinateattribuzioni del consiglio ad uno o più dei suoi membri non importi una specie ditrasferimento definitivo delle attribuzioni stesse. La delega, in altri termini, non spoglia ilconsiglio delle normali sue attribuzioni allo stesso modo che il mandato non toglie al mandantela facoltà di compiere gli atti che il mandatario può compiere per conto di lui. Nonostantela nomina di un amministratore delegato, il consiglio potrà dunque in ogni momentoavocare a sé la decisione in ordine a un determinato affare che l’amministratore delegatoavrebbe il potere di concludere e ciò anche se questi ne abbia già iniziato la trattazione. Inquesti casi si avrà su quel determinato oggetto una deliberazione del consiglio a cui l’ammi-


SAGGI 123Attesa la presenza di disposizione sui limiti delle attribuzioni delegabili,quale tendenza verso la procedimentalizzazione del modello di costituzionedegli organi delegati, il dato normativo prescrive che il consiglio diamministrazione possa delegare proprie attribuzioni ad uno o più dei suoicomponenti a condizione che ciò sia consentito dallo statuto o dall’assemblea,il conferimento della delega gestoria continua ad essere momentoconclusivo di una fattispecie a formazione progressiva, nella quale prodromidell’efficacia del conferimento di delega sono l’autorizzazione statutariao assembleare, la deliberazione di conferimento da parte dell’organo collegialee l’accettazione della carica da parte dei componenti del consigliochiamati ad assumere le funzioni delegate ( 24 ).La prassi societaria conosce, altresì, la possibilità di conferire a singolicomponenti dell’organo esecutivo attribuzioni consiliari, di regola interneal consiglio stesso ed esercitabili collegialmente, senza che ciò trovi giustificazionein una preventiva determinazione statutaria o dell’assemblea. Se siriflette su tale modalità interna di conferimento di poteri, si addiviene allaconstatazione della frequenza fenomenologica molto elevata nelle societàdi notevoli dimensioni, in cui la tempestività nelle decisioni e la speditezzadelle procedure tendono, naturaliter, verso una ripartizione interna delle incombenzedel consiglio anche in difetto di autorizzazione, con l’effetto chenistratore delegato dovrà attenersi senza peraltro che si possa affermare per questo che l’amministratoredelegato sia subordinato al consiglio o che si verifichi in tale ipotesi una revocaparziale della delega”.( 24 ) Cfr. Ghini, Deleghe del consiglio di amministrazione a singoli componenti, cit., p. 715:« Appare pienamente giustificata la scelta del legislatore con la formula, riferita al consiglio diamministrazione, “può sempre impartire direttive agli organi delegati e avocare a sé operazionirientranti nella delega”, sol che si abbia presente quanto viene dopo nello stesso art.2381 c.c., cioè “sulla base delle informazioni ricevute valuta l’adeguatezza dell’assetto organizzativo,amministrativo e contabile della società; quando elaborati, esamina i piani strategici,industriali e finanziari della società; valuta sulla base della relazione degli organi delegati,il generale andamento della gestione”. Alla luce di questo innovativo corpus di norme, nessundubbio può sorgere in merito al ruolo sovraordinato del consiglio rispetto al delegato. Ilconsiglio “valuta” l’andamento della gestione: ne può derivare un’iniziativa o nel senso di interventodiretto o di istruzioni al delegato. Il legislatore ha utilizzato la parola “valuta”, invecedi “vigila”, per indicare l’attività compiuta dal consiglio di amministrazione con riguardoalla sorveglianza sugli atti degli organi delegati. Gli estensori del testo dell’art. 2381 c.c. hanno,nel corso dei lavori della commissione ministeriale, ragionato nel senso che occorresserestringere le affermazioni di responsabilità dei delegati, ove sganciata dall’effettivo concorsodella condotta causativa del danno. Si è quindi ritenuto che l’obbligo di vigilanza sugli organidelegati fosse troppo gravoso e che, invece, la mera valutazione dell’altrui attività (sia essa lapredisposizione dell’organizzazione societaria o il generale andamento della gestione) potessemeglio delineare il dovere residuale, ma ugualmente importante, dell’organo delegante ».


124 CONTRATTO E IMPRESA 1/2011la solidarietà, nell’accertamento della responsabilità, non può essere esclusain difetto di una delega formale ( 25 ).I rapporti interorganici risultano disciplinati nel dettaglio, al fine di darecoerenza al disegno legislativo di ottenere organicità del sistema di amministrazionedella società per azioni, in modo da assicurare un costante equilibriotra opposte esigenze di governance, nel rispetto dell’efficienza dellagestione e dell’efficacia dei controlli.Il legame tra delega dei poteri e responsabilità della gestione, atteso ildato giurisprudenziale che associava al disinteresse degli organi delegantiper la gestione sociale un accertamento della loro responsabilità in sensomeramente oggettivo, costituisce motivo di sollecitazione nella specificazionenormativa del dovere di vigilanza sul generale andamento della gestione,con il contestuale riconoscimento a favore dell’organo delegante dipoteri e doveri di ordine valutativo in merito all’assetto funzionale e allestrategie della società ( 26 ).( 25 ) In argomento si veda Marulli, La delega gestoria tra regole di corporate governancee diritto societario riformato, in Giur. comm., 2005, p. 85 ss.: “Il giudizio non è tuttavia propriamentepuntuale se si resta nel quadro previsionale descritto dall’art. 4, comma 8°, lett. a), datoche in questo ambito il mandato affidato al legislatore delegato riguarda solo “contenuti elimiti” della delega gestoria, mentre per ogni altro aspetto e segnatamente per quel che attieneal funzionamento dell’organo amministrativo e alla circolazione delle informazioni al suointerno dovrebbe probabilmente riprendere quota il voto di principio in favore dell’autonomiastatutaria; e ciò tanto più se, esegeticamente, si convenga sul fatto che mentre l’indicazioneconcernente i “contenuti” della delega potrebbe forse rivestire una qualche portata innovativa,ove si fosse pensato al contenuto della delega come a qualcosa di diverso dalle materieoggetto di essa, non altrettanto si potrebbe dire per i “limiti”, posto che quello dei limitiera, a ben vedere, nel previgente regolamento dell’art. 2381 l’unico aspetto della delega deipoteri di amministrazione di cui il legislatore del ‘42 si era compiutamente occupato. Questogiudizio diviene però meno discutibile non appena si allarghi il raggio di osservazione oltre ilprincipio citato e si passi a considerare, giusta quanto si è più sopra osservato a proposito delreticolo motivazionale che sta alla base della rinnovata disciplina della delega gestoria, il ruoloche vi giocano altri due principi dettati dalla l. n. 366 del 2001 in tema di amministrazionedella società. [. . .] Nondimeno, come ben avvertito dallo stesso legislatore delegato in sede diattuazione del principio, l’agire in modo informato diviene altresì l’indefettibile postulato diuna sana amministrazione delegata: una volta abbandonata l’incerta frontiera della vigilanzasul generale andamento della gestione sociale, la conservazione in capo agli amministratorinon esecutivi di una responsabilità solidale ad opera dell’art. 2392, comma 2°, nel testo scaturitodalla riforma, presuppone e rende in qualche modo perfino necessario, restando altrimentila sanzione della responsabilità fine a se stessa, che gli amministratori che non partecipinoalla gestione sociale siano tuttavia posti in condizione di poter disporre di ogni utileinformazione riguardo all’andamento della società, della gestione, infatti, potendo pur sempreessere chiamati a rispondere anche in base al novellato art. 2392, comma 2°”.( 26 ) In tema Ghini, Deleghe del consiglio di amministrazione a singoli componenti, cit., p.


SAGGI 125All’esito della comprensione della necessità di dotare i deleganti deimezzi per acquisire le necessarie conoscenze, nasce l’istituzionalizzazionedi un sistema coordinato di flussi informativi a favore degli amministratorideleganti, con la prescrizione normativa attribuente agli stessi il potere dichiedere le informazioni relative alla gestione della società ( 27 ).La natura derivativa della delega gestoria trova la propria essenza nel datodi legge che consente all’organo conferente il potere di compiere direttamentele attività delegate, impedendo agli amministratori delegati il completamentodell’attività delegata; di guisa, non si determina un trasferimentodefinitivo dei poteri attribuiti, ma si concede un’autorizzazione a che l’eserciziodi poteri, ancorché collegiali, possa essere affidato ad un componentedel consiglio di amministrazione.Il consiglio di amministrazione è chiamato a valutare l’adeguatezza dell’assettoorganizzativo, amministrativo e contabile della società. Si tratta diuna competenza affidata agli amministratori non esecutivi; tale prescrizione,letta in simbiosi con la previsione dell’analoga competenza attribuita aidelegati, costituisce la prospettiva di indagine nella valutazione di una ripartizionecorretta dei compiti di governance tra organo delegante, investitodella valutazione in ordine all’adeguatezza funzionale dell’organizzazionesocietaria, ed organo delegato, teso a curarne la predisposizione in conformitàalle caratteristiche ed alle finalità dell’<strong>impresa</strong> ( 28 ).715: “È chiaro che, sul piano pratico, l’esercizio concorrente, da parte del consiglio, di funzionioggetto di delega deve avere il requisito dell’occasionalità, non della sistematicità, per noncausare delle ripercussioni deleterie sullo stato d’animo e sul comportamento del delegato.Soltanto argomenti particolarmente complessi, pertanto, saranno avocati a sé dal consiglio,naturalmente avvertendo, nel contempo, il delegato, anche perché non si formino indirizzidifformi sulla medesima materia o addirittura decisioni contrastanti. In determinati casi, puòessere stimato conveniente dallo stesso delegato deferire al consiglio l’esame del problema ela conseguente decisione”.( 27 ) Cagnasso, Il dovere di vigilanza degli amministratori e “la delega di fatto” tra norme“vecchie” e “nuove”, in Giur. it., 2004, p. 558: “La disciplina relativa alla circolazione tra delegantie delegati sembra quindi articolarsi su due piani. Un primo – di base e constante – cheprevede un obbligo di informazione, secondo certe modalità e con un contenuto determinato,dai delegati nei confronti dei deleganti. Un secondo piano – di carattere integrativo e conmodalità variabili caso per caso – che introduce il potere-dovere dei deleganti di richiedere ulterioriinformazioni ai delegati”.( 28 ) Si legga Minervini, Gli interessi degli amministratori di s.p.a., in Giur. comm., 2006, p.147; Macri’, A proposito di rapporto amministratori-società: la c.d. parasubordinazione (nota aCass., 14 dicembre 1994, n. 10680), in Società, 5/1995, p. 635; Menghini, L’amministratore dellasocietà può essere lavoratore subordinato della stessa?, in Società, 7/1982, p. 774; CacchiPessani, Corporate governance, sistema dei controlli e intermediari reputazionali negli Stati Unitid’America, in Giur. comm., 2003, 746; Ambrosini, L’amministrazione e i controlli nella società


126 CONTRATTO E IMPRESA 1/2011Il consiglio di amministrazione non viene spogliato dei poteri delegati,dato che mantiene una competenza concorrente rispetto a quella degli organidelegati. Tale principio, affermato da tempo dalla dottrina e dalla giurisprudenza,ha acquistato portata normativa con la riforma. In particolare,proprio in ragione del fatto che l’organo delegante non viene spogliato dellefunzioni delegate, l’art. 2381 c.c. attribuisce al consiglio il potere di impartiredirettive agli organi delegati ed avocare a sé operazioni rientrantinella delega. Come si evince agevolmente dalla lettera della norma, i predettipoteri possono essere esercitati solo collegialmente e non dai singoliconsiglieri individualmente.Le direttive sono istruzioni vincolanti del consiglio di amministrazioneimpartite agli organi delegati onde indirizzarne l’attività e consentire un migliorcoordinamento tra l’attività dei delegati e quella del consiglio. Mentre,all’atto della costituzione del rapporto di delega, le istruzioni si traducononella delibera di delega, che definisce contenuto, limiti ed eventuali modalitàd’esercizio dei poteri conferiti, nel corso del rapporto, il consiglio puòfar pervenire le proprie istruzioni ai delegati attraverso le direttive. Se è indubbioche le direttive sono vincolanti, e pertanto i delegati devono attenersialle istruzioni ad essi rivolte, la norma introdotta con la riforma nonchiarisce come debbano agire gli organi delegati allorquando l’esecuzionedelle direttive del consiglio possa farli incorrere in responsabilità verso lasocietà e verso i creditori sociali ( 29 ).per azioni, in Giur. comm., 2003, p. 308; Caselli, Elogio, con riverse, del collegio sindacale, inGiur. comm., 2003, p. 251; Salodini, Il parere del collegio sindacale in merito alla revoca dell’incaricodi revisione contabile nelle società quotate, in Giur. comm., II, 2004, p. 416. Cfr. Lener, Ladiffusione delle informazioni “price sensitive” fra informazione societaria e informazione riservata,in Società, 1999, p. 142 ss. In generale sul tema delle comunicazioni societarie Annunziata,La nuova disciplina delle comunicazioni societarie al pubblico e alla Consob, in Società,1999, p. 520 ss.( 29 ) In tema Salafia, Gli organi delegati nell’amministrazione della s.p.a., cit., p. 1330:“Tuttavia, nella riforma la base normativa di questo coinvolgimento non è più costituita dallagenerica norma contenuta nel vecchio testo del secondo comma dell’art. 2392 c.c., secondola quale il consiglio delegante era solidalmente responsabile dei danni causati dai delegati, senon avessero vigilato sul generale andamento della gestione, ma dal nuovo testo dello stessocomma. Questo ora dispone che, fermo quanto disposto dal terzo comma dell’art. 2381, icomponenti del consiglio delegante sono solidalmente responsabili con i delegati se, essendoa conoscenza di fatti pregiudizievoli, non hanno fatto quanto potevano per impedirne il compimentoo per attenuarne o eliminarne le conseguenze. Questa complessa regola, pertanto,anzitutto afferma la solidale responsabilità del consiglio delegante, esclusa quella dei componentiche si siano dissociati a norma del terzo comma dell’articolo in esame, a causa del comportamentocon cui hanno approvato quanto i delegati hanno periodicamente comunicato, intema di piani strategici o di affari rilevanti, la cui attuazione ha arrecato danni alla società o ai


SAGGI 127I delegati possono disattendere le direttive del consiglio ove le ritenganodannose per la società, evitando così di incorrere in responsabilità. Attesoche la segmentazione gestionale sottende una diversificazione di responsabilitàpatrimoniale, la possibilità, interpretativamente ricercata, daparte dei delegati, di disattendere le direttive, non vuole significare una svalutazionedella funzione delle direttive, giacché, come detto, le conseguenzedannose per il singolo amministratore delegato sono costituite da un accrescimentodella propria responsabilità verso la società, i soci e i terzi.Come specificato, pur tuttavia, occorre ribadire che il consiglio, nonspogliandosi dei poteri delegati, mantiene un ruolo prioritario e sovraordinatorispetto agli organi delegati. D’altra parte i delegati, pur eseguendo unadirettiva ritenuta dannosa per la società, ben potranno escludere la propriaresponsabilità contestando la direttiva ricevuta e facendo formalmente rilevareil proprio dissenso. In tale ipotesi troverà applicazione l’art. 2392 c.c., aisensi del quale la responsabilità degli amministratori non si estende a chi,essendo immune da colpa, abbia fatto annotare il proprio dissenso.Attraverso il potere di avocazione, il consiglio si sostituisce agli amministratoridelegati nel compimento di operazioni rientranti nella sfera deipoteri delegati. Difatti, atteso che il consiglio mantiene una competenzaconcorrente su tutte le funzioni delegate, esso ha il potere-dovere di compiereatti al posto degli organi delegati, in tutti i casi in cui ritenga necessario,nell’interesse della società, avocare a sé specifiche competenze che eranostate oggetto di delega ( 30 ).soci o ai creditori o ai terzi. Inoltre, aggiunge che la stessa solidale responsabilità potrà derivaredal fatto che, conoscendo fatti pregiudizievoli, quindi non solo atti dei delegati ma anchefatti attinenti alla gestione dell’<strong>impresa</strong>, non siano intervenuti per eliminarne o attenuarne glieffetti. Mi pare ovvio che l’intervento correttivo può essere preso solo dal consiglio e non daicomponenti individualmente, che non ne avrebbero la competenza e il potere; con l’effettoche l’eventuale condotta omissiva del consiglio, con la relativa responsabilità per non averimpedito il danno derivante dai predetti fatti pregiudizievoli o per non aver contribuito ad eliminarneo attenuarne le conseguenze, non potrà essere ascritta a quello dei componenti chesi sia dissociato nel modo formale sopra indicato”.( 30 ) Si veda Ghini, Deleghe del consiglio di amministrazione a singoli componenti, in Società,6/2005, p. 709; Guerrera, La società di capitali come formula organizzativa dei servizipubblici locali dopo la riforma del diritto societario, in Società, 2005, p. 683; Mancinelli, Principidi corretta amministrazione e patrimonio sociale: evoluzione dei controlli?, in Società, 2005,p. 549. Cfr. Bonazza, Conflitto di interessi dell’amministratore: conferma o revirement della giurisprudenzadella Suprema Corte?, in Dir. fall., 1999, II, p. 1032; Borgioli, La delega di attribuzioniamministrative, in Riv. soc., 1981, p. 17; Busani, Attribuzione di deleghe in via disgiunta auna pluralità di amministratori (nota a Trib. Parma, 16 giugno 2000 - decr.), in Società, 2000, p.1216; Cagnasso, Obbligo di rendiconto e responsabilità dell’amministratore investito di poteredelegato, in Giur. comm., 1977, II, p. 660.


128 CONTRATTO E IMPRESA 1/2011L’avocazione risulta essere espressa in caso di deliberazione esplicitadel consiglio, ovvero implicita, qualora il consiglio ponga direttamente inessere l’atto compreso nei poteri delegati. La lettura del dato normativo attribuisceespressamente al consiglio il potere di avocazione, di guisa, il delegatonon può vantare alcun diritto al mantenimento della delega, né al risarcimentodel danno in caso di avocazione ( 31 ).La sovraordinazione dell’organo consiliare rispetto alle funzioni degliorgani delegati, legittima il consiglio ad esercitare la facoltà di revocare inqualsiasi momento la delega o le decisioni assunte dagli organi delegati e dimodificarne il contenuto, fatti salvi, ovviamente, i diritti dei terzi.3. – Pur costituendo l’autorizzazione assembleare o statutaria un presuppostonecessario per il valido conferimento della delega, i consiglieriche vanno a ricoprire l’incarico di amministratore delegato devono esserenominati dal consiglio di amministrazione e pertanto non possono esseredesignati direttamente tramite delibera assembleare o disposizione statutaria,atteso che l’organo delegato, esercitando poteri spettanti al consiglio diamministrazione, non può ricevere la delega da un organo diverso dal consiglio.L’assunzione di responsabilità solidale anche da parte dei consiglieri delegantipresuppone la natura fiduciaria del rapporto in esame, che può sussistereesclusivamente nel caso in cui i delegati siano stati scelti dal consigliostesso, il quale ha in qualsiasi momento la possibilità di revocare la delegaconferita. Ciò nonostante, si segnala che è stata ritenuta valida la nominadell’amministratore delegato fatta dall’assemblea dei soci, quando vipartecipino come soci tutti i componenti del consiglio di amministrazioneed essi votino favorevolmente ( 32 ).( 31 ) V. Desario, La gestione delegata nelle società di capitali. La nuova disciplina, cit., p. 20ss.( 32 ) Cfr. Trib. Biella, 10 giugno 1996, in Dir. fall., 1996, p. 685: “Manca di poteri l’amministratoredelegato di una s.p.a. che costituisce un pegno sulle azioni della società per garantireun finanziamento ad altra società del gruppo, sulla base di una deliberazione adottata dall’assembleadella società rappresentata dall’amministratore delegato concedente il pegno nellaquale non viene indicato che il finanziamento veniva concesso ad una società diversa. In talcaso, l’istituto che ha concesso il finanziamento non può essere ammesso al passivo della societàgarante in amministrazione straordinaria. È inefficace sub specie del conflitto di interessila costituzione di una garanzia pignoratizia da parte dell’amministratore delegato di unas.p.a. su titoli azionari in proprietà di altra società di cui egli sia amministratore unico, mediantegirata in garanzia ad un istituto finanziario. Qualora l’amministratore delegato abbiaagito nell’ambito dei poteri conferitigli, quindi, senza preventiva deliberazione del consigliodi amministrazione, trovano applicazione gli artt. 1394 e 1395 c.c.”


SAGGI 129La legittimità delle clausole statutarie, che impongono al consiglio diamministrazione di delegare parte delle proprie attribuzioni e di designareun amministratore delegato (cd. delega obbligatoria), passa dalla osservazioneinterpretativa della non imperatività del disposto normativo in meritoall’esclusività dell’attribuzione della gestione della società agli amministratori.All’esito della delibera di delega del consiglio di amministrazione, mediantela quale vengono istituiti gli organi delegati e nominati i rispettivi titolari,la costituzione del rapporto di delega si perfeziona con l’accettazioneda parte dei soggetti designati. Nel caso in cui all’organo delegato venganoconferiti poteri di rappresentanza, la delibera di delega del consiglio di amministrazionedeve essere depositata presso il registro delle imprese, unitamentealla firma autografa del delegato.La prassi societaria, in mancanza dell’autorizzazione statutaria o assembleareprevista, conosce l’uso in virtù del quale il consiglio di amministrazioneattua una ripartizione delle funzioni meramente interna, in modo chealcune competenze vengano attribuite a singoli consiglieri, per attuare unadivisione del lavoro all’interno del consiglio.La ripartizione atipica della delega costituisce una modalità interna diorganizzazione dell’attività, non estrinsecatasi all’esterno, che dispiega effettisolo per quanto attiene ai rapporti interni al consiglio. L’effetto praticodella non esteriorizzazione della divisione meramente interna dei poteri èrappresentato dall’impossibilità di opponibilità della divisata ripartizione asoggetti, sia terzi che organi sociali, che non sono parte del consiglio d’amministrazione( 33 ).( 33 ) Cfr., in tema Cass., 14 maggio 2004, n. 9199: “in tema di rappresentanza processualedelle persone giuridiche che, ai sensi dell’art. 75 c.p.c., spetta al soggetto al quale è conferita anorma di legge o dello statuto, la capacità di agire o resistere in giudizio in nome e per contodelle società di capitali, essa è attribuita ai sensi del comma 1° dell’art. 2384 c.c., agli amministratoriche abbiano la rappresentanza esterna, salve peraltro le deroghe stabilite dall’atto costitutivoe dallo statuto, che sono senz’altro opponibili dai terzi, atteso che il principio di cuial comma 2° dell’art. 2384 c.c. – secondo cui le limitazioni del potere di rappresentanza risultantidall’atto costitutivo o dallo statuto sono opponibili soltanto se si provi che i terzi abbianoagito intenzionalmente in danno della società – ha effetti limitati alla tutela dei terzi e percerti versi dell’onere gravante sull’amministratore di provare la sussistenza dei poteri spesi.(La Corte ha cassato la decisione impugnata che, nell’escludere – ai sensi dell’art. 2384, comma2°, c.c. – l’opponibilità, da parte dei terzi delle limitazioni del potere di rappresentanza degliamministratori risultanti dell’atto costitutivo e dello statuto, aveva ritenuto la capacità processualedell’amministratore delegato della società opponente in virtù di delega del consigliodi amministrazione della società che gli aveva conferito i poteri di ordinaria amministrazionecon rilevanza esterna, fra i quali rientravano quelli di agire o resistere in giudizio, nonostanteche lo statuto li attribuisse soltanto al presidente)”.


130 CONTRATTO E IMPRESA 1/2011Di guisa, in presenza di delega atipica, non opera la limitazione della responsabilitàdegli amministratori deleganti; invero, una divisione di fattodelle competenze tra gli amministratori, non autorizzata dallo statuto o dall’assemblea,non può avere l’effetto di escludere la responsabilità di alcuniamministratori per le violazioni commesse dagli altri. Ne risulta che gli amministratori,a prescindere dalla distinzione endo-consiliare operata, restanoresponsabili solidalmente per gli atti compiuti dall’amministratore cui èstata conferita una delega atipica.La disciplina della delega di poteri amministrativi di cui all’art. 2381 c.c.è applicabile solo in relazione a deleghe conferite all’interno del consiglio diamministrazione, ad uno o più dei suoi componenti. Pertanto, correttamente,è stata ritenuta invalida una clausola statutaria che prevedeva la possibilitàdella delega di attribuzioni proprie del consiglio a terzi estranei all’organoamministrativo, poiché ciò comporterebbe un’illegittima dissociazionefra potere gestorio e sistema di imputazione dell’attività amministrativae della responsabilità per la medesima ( 34 ).I delegati, investiti della rappresentanza legale di una società per azionepossono legittimamente conferire mandati o procure ad altri soggetti, ancheestranei alla società. Ciò in omaggio alla necessaria esigenza di decentramentonell’esercizio dell’attività gestoria la quale, se esercitata senza superaredeterminati limiti, non contrasta con l’obbligo di esecuzione personaledell’incarico di amministratore ( 35 ).Quanto ai limiti della facoltà di conferire mandati e procure a terzi, perevitare che il conferimento del mandato o della procura determini lo svuotamentodei poteri di amministrazione del consiglio ed il sostanziale trasferimentodegli stessi a terzi, gli amministratori delegati, quali titolari del poteredi rappresentanza della società per azione, possono rilasciare a terzi( 34 ) Cfr. Irrera, La supplenza nell’esercizio del potere di rappresentanza nelle società di capitali(nota a Trib. Torino, 4 giugno 1983; App. Torino, 19 luglio 1983), in Giur. comm., 1984, II,p. 208; Masucci, Sul potere di rappresentanza degli amministratori di società, in Giur. merito,1974, I, p. 41; Menarini, Supplenza, rappresentanza sociale, pubblicità a tutela dei terzi (nota aTrib. Torino, 4 giugno 1983; App. Torino, 20 luglio 1983), in Giur. comm., 1984, II, p. 450.( 35 ) In tema Galgano, Diritto civile e commerciale, 3 a ed., vol. III, Padova, 1999, p. 50 ss.;Id., Il negozio giuridico, vol. III del Tratt. dir. civ. e comm., già diretto da Cicu e Messineo continuatoda Mengoni, Milano, 1988, p. 8 ss.; Gambaro, Il diritto di proprietà, vol. VIII, tomo IIdel Tratt. dir. civ. e comm., già diretto da Cicu e Messineo continuato da Mengoni, Milano,1995, p. 98. Ancora Gambini, Il negozio fiduciario negli orientamenti della giurisprudenza, inRass. dir. civ., 1998, p. 849. Ed ancora Gatti, Interposizione reale e interposizione fittizia. (Unadistinzione ancora valida), in Riv. dir. comm., 1974, I, p. 240; Gentili, Interposizione, simulazionee fiducia nell’intestazione di quote di società a responsabilità limitata, in Giur. it., 1982, I,p. 418.


SAGGI 131mandati e procure speciali, anche di natura processuale, per singoli affari oper determinate categorie di atti, ma non possono conferire procure generali,per il motivo che, in tal modo, svuoterebbero i propri poteri, eludendol’inderogabile normativa in materia di competenza ed esercizio della funzioneamministrativa ( 36 ).Atteso il dato in virtù del quale risultano indelegabili solo le attribuzioninominativamente indicate, potendo le altre, a stretto rigore ermeneutico,formare oggetto di delega, appare, ictu oculi, corretto sostenere che emergein maniera quanto mai chiara il principio per il quale la delegabilità delle attribuzioniamministrative, anche nel nuovo sistema, costituisce la regola.Nel dato di legge si afferma la sovranità in materia di gestione del consigliodi amministrazione, conferendo al consiglio il compito di valutare sullabase della relazione degli organi delegati, il generale andamento della società,ed al contempo, si prescrive l’affidamento agli organi delegati delcompito di curare che l’assetto organizzativo, amministrativo e contabilesia adeguato alla natura e alle dimensioni dell’<strong>impresa</strong> e di riferire sul generaleandamento della gestione e sulla sua prevedibile evoluzione ( 37 ).La determinazione del contenuto e dei limiti della delega si riferisce all’indicazionee delimitazione dei concreti poteri delegati dal consiglio diamministrazione; nei limiti specificati nella delibera di delega, gli organi de-( 36 ) In tema si veda Alcaro, Mandato e attività professionale, Milano, 1988, p. 197; Baldini,Mandato e fiducia. Il trust, in Alcaro (a cura di), Il mandato, Milano, 2000, p. 369 ss. Si leggaBavetta, voce Mandato (dir. priv.), in Enc. dir., vol. XXV, Milano, 1975, p. 341 ss. Ed inoltre cfr.Betti, Teoria generale del negozio giuridico, 2 a ed., vol. XV, tomo II del Tratt. dir. civ. it., direttoda Vassalli, Torino, 1960, p. 232 ss. Cfr. Pugliatti, Sulla rappresentanza indiretta, ora in Studisulla rappresentanza, Milano, 1965, p. 400 ss.; Ragazzini, Trust « interno » e ordinamento giuridicoitaliano, in Riv. not., 1999, p. 279 ss.; Rava, Circolazione giuridica e rappresentanza indiretta,Milano, 1953, p. 119. E, istituzionalmente, Rescigno, Manuale del diritto privato italiano,11 a ed., Napoli, 1997, p. 344 ss.; Rubino, La compravendita, 2 a ed., vol. XXIII del Tratt. dir. civ.e comm., già diretto da Cicu e Messineo continuato da Mengoni, Milano, 1962, p. 150; Sacco,De Nova, Il contratto, tomo I, Torino, 1993, p. 50 ss.; Sacco, Il possesso, vol. VII del Tratt. dir.civ. e comm., già diretto da Cicu e Messineo continuato da Mengoni, Milano, 1988, p. 122; Id.,Principio consensualistico ed effetti del mandato, in Foro it., 1966, I, c. 1385 ss. V. Bile, Il mandato.La commissione. La spedizione. Commento agli artt. 1703-1741 del c.c., Roma, 1961, p. 22ss.; Busato, La figura del trust negli ordinamenti di common law e di diritto continentale, in Riv.dir. civ., 1992, II, p. 347; Calvo, La proprietà del mandatario, Padova, 1996, p. 12 ss.( 37 ) Si veda Campobasso, La riforma delle società di capitali e delle cooperative, Aggiornamentoalla quinta ed. del diritto commerciale 2. Diritto delle società, Torino, 2003, p. 100.Conformi, Ambrosini, Sub art. 2373, in C .c. commentato, a cura di Alpa, Mariconda, Milano,2005; Pasquariello, Sub art. 2373, in Il nuovo diritto delle società, a cura di Maffei Alberti, Padova,2005, p. 497; Spagnolo, Sub. art. 2373, in La riforma delle società, a cura di Sandulli,Santoro, Torino, 2003, p. 321.


132 CONTRATTO E IMPRESA 1/2011legati sono investiti del potere di compiere non determinati atti, ma tutti gliatti relativi alle funzioni delegate, e, al riguardo, attesa la non giustapponibilitàtotale al mandato, non è applicabile l’art. 1708 c.c. che limita il mandatogenerale ai soli atti che non eccedano l’ordinaria amministrazione ( 38 ).Nel caso in cui nello statuto, nell’eventuale delibera assembleare di autorizzazionee nella delibera di delega del consiglio di amministrazione nonsia specificato alcunché in merito all’estensione ed ai limiti dei poteri delegati,si ritiene che la delega abbia carattere generale e sia pertanto estesa atutti i poteri di gestione di spettanza del consiglio di amministrazione, eccezionfatta per quelli indelegabili.Laddove sia prevista una pluralità di amministratori delegati, la definizionedelle modalità di esercizio della delega riguarda la scelta gestoria seessi siano tenuti ad operare disgiuntamente o congiuntamente, ovvero seciascuno di essi debba operare indipendentemente dall’altro, in relazionealle specifiche competenze ad esso attribuite.Si rifletta: il conferimento di una delega ad una pluralità di consiglieridelegati, con l’obbligo di agire congiuntamente, non può essere illegittimoper l’affermazione, apodittica, che una tale struttura organizzativa comporterebbela violazione delle norme che impongono la struttura collegiale delcomitato esecutivo: l’amministrazione delegata costituisce in re ipsa unaderoga al metodo collegiale, non vi sono, di guisa, motivazioni, giuridiche oaziendali, per ritenere illegittima una struttura caratterizzata da una pluralitàdi consiglieri delegati, chiamati ad agire congiuntamente oppure disgiuntamente,senza che ciò dia luogo alla costituzione di un comitato esecutivo.Le clausole statutarie o le delibere assembleari, autorizzando il consigliodi amministrazione a delegare parte delle proprie funzioni, determinanola struttura ed i poteri degli organi delegati. In tali ipotesi al consiglio diamministrazione viene lasciata la scelta se avvalersi o meno dello strumen-( 38 ) Cfr. Giammaria, Azione del mandante verso il terzo nel mandato senza rappresentanza:la Cassazione non muta orientamento, in Giust. civ., 1991, I, p. 1559 e Giampaolino, In tema diintestazione fittizia e fiduciaria di azioni, in Nuova giur. civ., 1995, I, p. 961. Cfr. Barachini, Lapubblicità commerciale dopo l’istituzione del Registro delle imprese, in Giur. comm., 1996, I, p.273. In tema Giordano, Sulla natura giuridica dell’azione del mandante verso il terzo debitoreprevista dall’art. 1705 c.c., in Riv. dir. comm., 1953, I, p. 100 ss.; Id., <strong>Contratto</strong> di commissione emandato senza rappresentanza, in Giust. civ., 1996, II, p. 186; Id., Mandato. Commissione. Spedizione,Torino, 1969, p. 335 ss.; Giuliani, Interposizione, fiducia e dichiarazioni dell’altrui appartenenza,sulle orme di un caso giurisprudenziale, in Giur. comm., 1994, II, p. 29; Morello, Fiduciae trust: due esperienze a confronto, in Fiducia, trust, mandato ed agency (atti del 2° convegnodi studio svoltosi a Madonna di Campiglio nel 1991, quaderno n. 2), Milano, 1991, p. 69;ed, infine, Nanni, L’interposizione di persona, Padova, 1990, p. 186.


SAGGI 133to della delega, senza tuttavia consentire a quest’ultimo di definire contenuto,limiti e modalità di esercizio della delega.Tema particolarmente interessante è la delimitazione del potere statutarionella costruzione di modelli in deroga alla regola legale, prescriventela titolarità del potere di stabilire estensione di deleghe in capo al consigliodi amministrazione.La fenomenologia diversificata, risultante dalla prassi societaria nellapredisposizione di clausole ad hoc, prevede, nella costanza dei casi, una meraautorizzazione assembleare al quantum delegabile da parte del consiglio,ovvero una deliberazione assembleare che imponga all’organo consiliare didelegare senza ulteriori specificazioni o di delegare determinate funzionigestorie.Nella prospettiva della migliore amministrazione della società per azioni,quale valore fondamentale della governance, ed atteso il dato, logico primache giuridico, che la segmentazione gestionale deriva dalla specificazionedi competenze diversificate, si palesa la meritevolezza dell’interesse deisoci ad attribuire deleghe a soggetti maggiormente competenti in determinatematerie, ovvero a riservare specifiche competenze a favore dell’organoconsiliare ( 39 ).Il modello normativo italiano, attraverso l’input di modelli comparati,disegna i rapporti tra consiglio e delegati, evidenziando gli obblighi collaborativied informativi dei delegati verso l’organo consiliare. Nella strutturadella delega, composta di direttiva e di avocazione nelle materie delegate,emerge un modello il cui funzionamento presuppone comportamenti collaboratividei delegati verso il presidente per consentire adeguate informazioniai consiglieri e verso il consiglio d’amministrazione prima della riunione.( 39 ) In tema Mosco, Nuovi modelli di amministrazione e controllo e ruolo dell’assemblea, inIl nuovo diritto societario fra società aperte e società private, a cura di Benazzo, Patriarca, Presti,Milano, 2003, p. 124. V. anche Libonati, Notarelle a margine dei nuovi sistemi di amministrazionedella s.p.a., in Giur. comm., 2008, p. 289; Breida, sub art. 2409-novies, in Il nuovo dirittosocietario, commentario, diretto da Cottino, Bonfante, Cagnasso, Montalenti,**, 2004, p.1122; AssociazioneDisianoPreite, Il diritto delle società?, a cura di Olivieri, Presti, Vella, Bologna,2006, pp. 166 e 204; Nazzicone, Providenti, sub art. 2409-novies, in La riforma del dirittosocietario, a cura di Lo Cascio, 2003, p. 357; Weigmann, Consiglio di gestione e consiglio disorveglianza: le prime applicazioni del modello dualistico, in Analisi giuridica dell’economia,2007, p. 261 ss. V. anche Schiuma, Il sistema dualistico. I poteri del consiglio di sorveglianza edel consiglio di gestione, in Il nuovo diritto delle società, Liber amicorum Gian Franco Campobasso,diretto da Abbadessa Portale, 2, Torino, 2006, p. 699 ss.; quanto al consiglio di gestionee Vorstand, cfr., anche, Rondinelli, Il sistema dualistico in Germania e in <strong>Italia</strong>: il consiglio digestione, in questa rivista, 2006, p. 1520 ss.


134 CONTRATTO E IMPRESA 1/2011Atteso che gli statuti societari optino per il modello dell’amministrazionedelegata, i soci scelgono, attraverso l’organizzazione delle funzioni delegate,una tendenziale segmentazione della gestione operativa, demandataai delegati, e, di guisa, dell’attività di valutazione e di vigilanza, riservate alconsiglio ( 40 ).Risultano aumentate le limitazioni alle attribuzioni che non possonoformare oggetto di delega da parte del consiglio di amministrazione ai sensidell’art. 2381 c.c. Alle attribuzioni indelegabili, quali la redazione del bilancio,gli aumenti di capitale delegati al consiglio e gli adempimenti in casodi riduzione del capitale di oltre un terzo per perdite, sono state, all’esitodella riforma societaria, aggiunte la redazione dei progetti di fusione e discissione e l’emissione di prestiti obbligazionari convertibili. Attesa l’eterogeneitàdelle attribuzioni indelegabili, si può riscontrare che tutte le limitazioniattengono a momenti particolarmente delicati della vita della società,in presenza dei quali il legislatore ha ritenuto di non poter consentire derogheal metodo collegiale, che implica il coinvolgimento del consiglio di amministrazionenella sua interezza ( 41 ).Si deve ritenere che dal divieto della delega delle attribuzioni relative allariduzione del capitale sociale in caso di perdite deriva implicitamente l’indelegabilitàdi talune specifiche funzioni del consiglio in materia di procedureconcorsuali, quali le competenze relative alla formulazione di propostae condizioni del concordato preventivo (art. 152, c. 2, l. fall.), alla domandadi concordato (art. 161, c. 4, l. fall.) e alla proposta di concordato fallimentare(art. 214, l. fall.).In merito alla possibilità di delegare il potere di convocare l’assemblea,alla luce della lettera dell’art. 2366 c.c., si prescrive che l’assemblea venga( 40 ) Si legga Frè-Sbisà, Della società per azioni, tomo I, Artt. 2325-2409, in Comm. Scialoja-Branca,a cura di Galgano, 1997; Pesce, Amministrazione e delega di potere amministrativonella società per azioni (Comitato esecutivo e amministratore delegato), Milano, 1969, p. 69;Ferri, Le società, in Trattato Vassalli, X, t. III, Torino, 1987, p. 684; Borgioli, L’amministrazionedelegata, Firenze, 1982, p. 132 ss.; Barachini, La gestione delegata nella società per azioni,Torino, 2004, p. 82 ss.; Desario, La gestione delegata nelle società di capitali. La nuova disciplina,cit., p. 10 ss.( 41 ) Si veda D’Alessandro, Rapporti tra assemblea e amministratori nella riforma societaria,in La società per azioni oggi: tradizione, attualità e prospettive (Atti del Convegno internazionaledi studi, Venezia, 10-11 novembre 2006), Milano, 2007; Sanfilippo, Funzione amministrativae autonomia statutaria nelle s.p.a., Torino, 2000, p. 120; Campobasso, Diritto commerciale,2, Diritto delle società, a cura di Campobasso, Torino, 2006, p. 356 ss.; Portale, Rapportitra assemblea e organo gestorio nei sistemi di amministrazione, in Il nuovo diritto delle società.Liber amicorum Gian Franco Campobasso, diretto da Abbadessa e Portale, vol. 2, Torino,2006, p. 11 ss.; Maugeri, Sulle competenze “implicite’’dell’assemblea nella società per azioni, inRiv. dir. soc., 2007, II, p. 86 ss.


SAGGI 135convocata dagli amministratori; ebbene, l’espressione, secondo parte delladottrina, sembra riferirsi esclusivamente al consiglio nella sua totalità, impedendo,di guisa, la delegabilità del potere di convocazione assembleare.Se si riflette, però, sul ruolo che il legislatore della riforma ha voluto conferireai singoli amministratori, si può riconsiderare la scelta ermeneutica diconcedere la possibilità di delega per la convocazione dell’assemblea. Difatti,se si tiene conto della prassi ostruzionistica, all’interno delle societàper azioni, dell’organo amministrativo, espressione della maggioranza, sigiunge ad accogliere la delegabilità della convocazione assembleare da partedi un singolo amministratore delegato, quale momento di tutela delleminoranze contro condotte scorrette dell’organo consiliare ( 42 ).Con riferimento alle attribuzioni spettanti ai singoli amministratori individualmente,di certo, le stesse non possono formare oggetto di delega esono: il potere di richiedere informazioni agli organi delegati e il diritto degliamministratori assenti o dissenzienti di impugnare le deliberazioni delconsiglio di amministrazione, che non siano state prese in conformità dellalegge e dello statuto ( 43 ). L’indelegabilità, in tema, non deriva da un’applicazioneestensiva del disposto normativo, ma dalla constatazione che il consigliodi amministrazione può delegare a singoli amministratori o al comitatoesecutivo esclusivamente le competenze attribuite al consiglio stesso qualeorgano collegiale. Restano invece esclusi tutti i poteri ed i diritti che spettanouti singuli a ciascun amministratore, in relazione ai quali la delega risulterebbe,peraltro, inutile, in quanto il relativo potere può già essere esercita-( 42 ) Cfr. Sanfilippo, Funzione amministrativa e autonomia statutaria nelle società per azioni,Torino, 2000, p. 120; Campobasso, Diritto commerciale. 2. Diritto delle società, a cura diCampobasso, Torino, 2006, p. 356 ss.; Portale, Rapporti tra assemblea e organo gestorio nei sistemidi amministrazione, in Il nuovo diritto delle società. Liber amicorum Gian Franco Campobasso,diretto da Abbadessa e Portale, vol. 2, Torino, 2006, p. 11 ss.( 43 ) L’espresso riconoscimento della natura di autorizzazioni alle deliberazioni assembleariattinenti al compimento di atti degli amministratori (art. 2364, comma 1°, n. 5), la delegabilitàdelle deliberazioni in materia di fusioni per incorporazione di società possedute interamenteo al novanta per cento, di istituzione o soppressione di sedi secondarie, di riduzionedel capitale in caso di recesso del socio, di adeguamento dello statuto a disposizioni normative,di trasferimento della sede nel territorio della sede nel territorio nazionale (art. 2365, 2°comma), la delegabilità dell’aumento di capitale con esclusione del diritto di opzione (art.2443), la competenza a costituire patrimoni separati (ex artt. 2447-bis, 2364, 2365), il potere diemettere obbligazioni (art. 2410) costituiscono i segni tangibili e inequivocabili di un ulteriorenetto spostamento del potere decisionale dall’assemblea agli amministratori. Così Montalenti,L’amministrazione sociale dal testo unico alla riforma del diritto societario, in Giur.comm., 2003, p. 422); Allegri, Gli amministratori delle società per azioni in una prospettiva diriforma, Milano, in Riv. soc., 1999, p. 387; Desario, La gestione delegata nelle società di capitali.La nuova disciplina, cit., p. 2 ss.


136 CONTRATTO E IMPRESA 1/2011to singolarmente da ciascun componente del consiglio di amministrazione.La delegabilità di poteri gestori investe anche il campo dell’esteriorizzazionedelle decisioni prese, vale a dire la possibilità, da parte del consiglio diamministrazione, di delegabilità del potere rappresentativo. Nel caso lo statutoo la delibera assembleare di nomina stabiliscano che i consiglieri delegatipossano rappresentare la società nei limiti dei poteri delegati, il potererappresentativo è conferito validamente ai consiglieri delegati, attraversoclausola statutaria o comunque tramite la delibera assembleare di nomina.In difetto di prescrizioni statutarie, si deve ritenere, nell’ottica della tuteladei terzi che contrattano con la società e della maggiore speditezza delle dinamichesociali, che il consiglio possa attribuire la rappresentanza ai consiglieridelegati.Si rifletta: l’autorizzazione alla delega da parte dei soci, contenuta nellostatuto ovvero in una delibera assembleare, determina un’implicita attribuzioneal consiglio di amministrazione della facoltà di conferire il potere dirappresentanza ai consiglieri delegati.4. – L’indeterminatezza del contenuto del dovere di diligenza rende difficileidentificare l’esatto discrimine esistente tra sindacato sul merito dellagestione, inammissibile in omaggio alla cd. judgement rule, e controllo delrispetto dell’obbligo di diligenza: le scelte di gestione non sono sindacabili,per la pregnante motivazione che la legge non impone agli amministratoriun obbligo di gestire la società in assenza della possibilità di compiere sceltegestionali errate, vale a dire che la compagine sociale e i terzi che contrattanocon la società non possono essere protetti dalla qualificazione in terminiperiziali dell’operato degli amministratori ( 44 ).( 44 ) Nella letteratura statunitense è assodato che, nella realtà, l’effettiva gestione giornoper giorno della società è effettuata dagli officers e non dal consiglio d’amministrazione. Glioutside directors sono vincolati dallo scarso tempo a disposizione e dalla mancanza di dettagliateinformazioni e non ci si può aspettare che si concentrino su questioni non decisive oche siano coinvolti nella gestione diretta degli affari della società. cfr. Brodsky, Adamski,Law of Corporate Officers and Directors, New York, 1984-2006, § 2.02, 3. Il ruolo dei directorsnel sistema statunitense, come compendiato nel Model Business Corporation Act, si articolasostanzialmente in due parti: la funzione consistente nell’adottare delle decisioni (cd. decision-makingfunction) e la funzione di vigilanza (oversight function). A differenza della prima,che implica dei provvedimenti da adottare secondo precise scadenze temporali l’attività di vigilanzae di supervisione comporta un continuo monitoraggio degli affari della società (ModelBusiness Corporation Act (2002), 8-66); J. Tirole, The Theory of Corporate Finance, Princeton,2005, p. 29 ss. I consiglieri d’amministrazione hanno poteri in concreto molto ridotti, con ladifferenza che, se l’azionista di controllo è un manager-proprietario, il consiglio non ha di fattoalcuna funzione, mentre se egli non esercita funzioni esecutive il ruolo del board e solo unpo’ più rilevante: in quest’ultimo caso se gli amministratori “non esecutivi” vengono in qual-


SAGGI 137Il formante giurisprudenziale evidenzia come il sindacato dell’attivitàdiscrezionale dell’organo delegato non è affatto estraneo al nostro ordinamento,essendo l’esercizio di tale forma di controllo condiviso in riferimentoa profili dell’attività dell’assemblea e la sua corretta identificazione permettedi distinguere tra verifica del merito delle scelte di gestione e verificadella legalità dell’azione; ciò, naturaliter, permette una più sicura individuazionedel contenuto del controllo ( 45 ).Occorre, pur tuttavia, nell’individuazione delle modalità e dei parametridel sindacato, fare riferimento ai criteri della ragionevolezza, della prudenzae della correttezza, in quanto esplicativi del generale dovere di diligenza(art. 1176 c.c.) che grava sugli amministratori. Si vuole che la libertà di sceltadecisionale degli amministratori venga esercitata attraverso un procedimentoche, attesi i dati fattuali, deve sfociare in un giudizio prognostico ingrado di fondare una ragionevole conclusione in base all’id quod plerumqueaccidit.Non si esercita alcun sindacato sulla scelta in sé, ma, utilizzando i criteridell’interesse sociale, quale parametro oggettivo di valutazione degli attisocietari, ci si limita a verificare il procedimento logico all’esito del quale èmaturata la volontà decisionale, potendo verificare se l’amministratore ab-che modo delusi dalla competenza o dall’integrità del manager, possono recarsi direttamentedal proprietario (che naturalmente può anche essere un semplice consigliere d’amministrazione)e riportare la propria insoddisfazione. L’amministratore scontento ha a disposizionesolo questa strada. Cfr. Eisenberg, Corporate Governance: The Board of Directors and InternalControl, in 19 Cardozo L. Rev., 1997, p. 237, con riferimento anche a Cunningham, Compilation,The Essays of Warren Buffett: Lessons for Corporate America, in 19 Cardozo L. Rev., 1997,p. 40. Sugli assetti proprietari ed il sistema economico italiano, si veda R. Costi-M. Messori(a cura di), Per lo sviluppo. Un capitalismo senza rendite e con capitale, Bologna, 2005, p. 83 ss.Il consiglio di amministrazione consiste in un certo numero di uomini, con la doverosa aggiuntadi una o due donne, la cui conoscenza dell’<strong>impresa</strong> può essere la più superficiale. Eccezionia parte, il ruolo dei suoi membri è di semplice assenso. In cambio di una retribuzionee di qualche manicaretto, gli amministratori accettano di essere periodicamente informati dalmanagement sul già deciso e l’universalmente noto. Così Galbraith, The Economics of InnocentFraud. Truth For Our Time, Boston-New York, 2004, trad. it., L’economia della truffa, Milano,2004, p. 54 ss.( 45 ) In tema, ancora, Minervini, Gli interessi degli amministratori di s.p.a., in Giur. comm.,2006, I, p. 153 ss.; Aimi, Le delibere del consiglio di amministrazione, Milano, 2000; Ambrosini,Validità, invalidità ed efficacia delle delibere consiliari, in Società, 1992, p. 1183; Bianchi, Gliamministratori di società di capitale, Padova, 1998, p. 14 ss.; Bianchi, Amministrazione e controllodelle nuove società di capitali, Milano, 2003, p. 22 ss.; Bonelli, Gli amministratori disp.a., Milano, 1985, p. 25 ss.; Borgioli, L’amministrazione delegata, Firenze, 1982, p. 5 ss.; Desario,La gestione delegata nelle società di capitali. La nuova disciplina, cit., p. 10 ss.; Cagnasso,Gli organi delegati nella società per azioni, Torino, 1976, p. 45 ss.


138 CONTRATTO E IMPRESA 1/2011bia proceduto all’esatta identificazione dei presupposti di fatto, osservandole cautele ed acquisendo le informazioni preventive normalmente richiesteper una scelta di quel tipo, avendo riguardo alle circostanze del caso concreto:valutazione prognostica dell’atto ( 46 ).Attraverso il conferimento della delega, l’amministratore delegato diventail vero organo gestorio per le funzioni delegate dall’organo consiliaredal quale deriva il potere gestorio; gli altri amministratori, per le materie delegate,svolgono soltanto funzioni di mero controllo, che diventa anche dimerito, relativamente all’opportunità delle singole operazioni compiute dagliorgani delegati ( 47 ).Gli amministratori delegati sono, di guisa, responsabili per aver commessol’atto dannoso in violazione dei doveri inerenti la carica; gli amministratorideleganti, di contro, risultano responsabili per non aver correttamenteesercitato il compito di diligenza e di intervento informativo loro incombente:nel caso di delega, quindi, gli amministratori deleganti e delegatisaranno solidalmente responsabili per i danni cagionati, alla società e aterzi, dagli amministratori delegati e, qualora concorra anche la responsabilitàdegli amministratori deleganti, per mancato controllo e intervento dinatura informativa ( 48 ).( 46 ) Per tutti, Barachini, La gestione delegata nella società per azioni, Torino, 2004, p. 82ss.; Desario, La gestione delegata nelle società di capitali. La nuova disciplina, cit., p. 43 ss.( 47 ) Cfr. Ghezzi, Commento all’art. 2409-novies, in Comm. alla riforma delle società direttoda Marchetti, Bianchi, Ghezzi, Notari, Sistemi alternativi di amministrazione e controllo acura di Ghezzi (Artt. 2409-octies - 2409-noviesdecies c.c.), Milano, 2005, p. 54 ss.; v. anche Cariello,La disciplina “per derivazione” del sistema di amministrazione e controllo dualistico, inRiv. soc., 2005, p. 77 ss., e Id., Amministrazione delegata di società per azioni e disciplina degli interessidegli amministratori nell’attività di direzione e coordinamento di società, in Riv. dir. priv.,2005, p. 388 ss.; e cfr., da ultimo, Deutscher Corporate Governance Kodex, che raccomanda didemandare ad un regolamento interno la distribuzione dei compiti interni al comitato di gestione;sul punto, Ferrarini, Controlli interni e strutture di governo societario, in Liber amicorum,vol. 3, p. 15 ss. Si legga, altresì, Hirte, I sistemi di amministrazione e controllo della societàper azioni nel diritto societario riformato – visti con gli occhi di un giurista tedesco, in Liber amicorum,vol. 4, p. 517; Schiuma, Il sistema dualistico. I poteri del consiglio di sorveglianza e delconsiglio di gestione, in Liber amicorum, vol. 2, p. 691 ss. e nota 20, p. 721 ss. Sul modello monistico(ove il rinvio pieno all’art. 2381 da parte dell’art. 2409-noviesdecies, comma 1°, c.c.),Ghezzi, Commento all’art. 2409-septiesdecies, in Commentario, cit., p. 222, il quale ipotizza lanomina di componenti del comitato direttamente dall’assemblea; conf., Morello, Il comitatoper il controllo sulla gestione tra dipendenza strutturale ed autonomia funzionale, in Riv. dir.comm., 2005, I, p. 759 ss.( 48 ) Cfr. Bianchi, Gli amministratori di società di capitale, Padova, 1998, p. 14 ss.; Bianchi,Amministrazione e controllo delle nuove società di capitali, Milano, 2003, p. 22 ss.; Bonelli, Gliamministratori di s.p.a., Milano, 1985, p. 25 ss.; Borgioli, L’amministrazione delegata, Firenze,1982, p. 5 ss.; Cagnasso, Gli organi delegati nella società per azioni, Torino, 1976, p. 45 ss.


SAGGI 139Atteso l’allontanamento dalla tendenza ermeneutica verso l’oggettivazionedella responsabilità amministrativa, l’accertamento della responsabilitàdegli amministratori deve derivare dal compimento, per fatto proprio,dell’atto dannoso. L’attribuzione della delega non può portare ad un’indifferenziataforma di responsabilità oggettiva per fatto altrui, quasi che il delegante(non esecutivo) sia una sorta di garante degli atti compiuti dagli altriamministratori ( 49 ).Di guisa, operando un raffronto, nel caso di amministrazione collegialetutti gli amministratori sono responsabili, salvo nel caso in cui siano stateeseguite le formalità previste dall’ultimo comma dell’art. 2392 c.c.; nel casodi amministrazione delegata, gli amministratori deleganti sono responsabilicon gli amministratori delegati, nel caso in cui non abbiano esercitato unsufficiente controllo su questi ultimi; ma ciò che risulta necessario è l’accertamentodella colpa dei singoli amministratori per potere, indi, giungerealla declaratoria di responsabilità del singolo amministratore ( 50 ).Di risulta, la solidarietà passiva fra i vari amministratori, delegati e deleganti,non è un mero effetto naturale del rapporto di amministrazione. Laqualificazione soggettiva di amministratore di società per azione non determinaipso iure solidarietà nella forma di responsabilità: occorre verificare inconcreto la sussistenza dei presupposti della responsabilità in capo ai singoliamministratori. Nel caso di amministrazione collegiale, si deve accertare( 49 ) Si legga Minervini, Il mandato, la commissione, la spedizione, vol. VIII, tomo I delTratt. dir. civ. it., diretto da Vassalli, Torino, 1957, p. 8 ss. Ed ancora, come classico, Mirabelli,Dei singoli contratti, vol. IV, tomo III del Comm. c.c., Torino, 1962, XV, p. 40 ss. Si veda DeNova, Il tipo contrattuale, Padova, 1974, p. 3 ss.; Di Chio, Gestione fiduciaria di patrimoni mobiliarie servizi di investimento, in Dir. ed econ., 1997, p. 250. Cfr. Bianca, Diritto Civile, vol. III,Il contratto, Milano, 2000, p. 719; Id., Il debitore e i mutamenti del destinatario del pagamento,Milano, 1963, p. 23. Cfr. Distaso, Limiti all’acquisto da parte del mandante della titolarità delnegozio compiuto dal mandatario, in Riv. dir. comm., 1951, II, p. 103 ss. V. anche, Galgano, Visentini,Degli effetti del contratto. Della rappresentanza. Del contratto per persona da nominare.Artt. 1372-1405, in Galgano, (a cura di), Comm. c.c. Scialoja-Branca, Bologna, 1993, p. 90 ss.( 50 ) Cfr. App. Palermo, 3 novembre 2009: incombe sull’amministratore di diritto l’oneredi impedire eventi pregiudizievoli per il patrimonio sociale nonché danni a soci e creditori inforza dell’applicazione della clausola di equivalenza del reato omissivo, di cui all’art. 40 c.p.,secondo il quale non impedire un evento che si ha l’obbligo giuridico di impedire equivale acagionarlo; pertanto, l’amministratore delegato di una società per azioni è sempre responsabiledell’operato delittuoso degli altri amministratori a meno che non dimostri di essersi attivatoa tutela del patrimonio sociale. Ed anche Trib. Pordenone, 29 marzo 2001: in materia diillecito amministrativo permane la responsabilità dei presidente del Consiglio di amministrazionedella società e dell’amministratore delegato, pur in presenza di una formale delega difunzioni ad altro soggetto, qualora risulti che le decisioni venivano concretamente assuntedai vertici societari.


140 CONTRATTO E IMPRESA 1/2011la violazione degli obblighi incombenti sull’organo amministrativo, nonché– in presenza di colpa – la mancata annotazione immediata nel libroverbali del consiglio e la comunicazione al presidente del collegio sindacale;nel caso di amministrazione delegata, si deve, invece, accertare la violazionedegli obblighi di controllo e di informazione ( 51 ).Secondo le regole della solidarietà, la responsabilità solidale dà luogo alitisconsorzio facoltativo. Pertanto, la società, i creditori sociali, il curatoreod i singoli soci e terzi danneggiati dall’operato degli amministratori, a secondadei casi, potranno agire indifferentemente nei confronti di qualsiasiamministratore per l’intero ammontare del danno; e l’amministratore cherisponde nei confronti dei terzi dell’intero danno ha diritto di azione in viadi regresso nei confronti degli altri amministratori corresponsabili. Nel rapportointerno tra gli amministratori, ciascuno sarà responsabile nella misuradel proprio inadempimento; infatti, nel rapporto interno l’obbligazionerisarcitoria torna divisibile e la responsabilità si ripartisce in proporzionedella gravità delle rispettive colpe e dell’entità delle conseguenze che ne sonoderivate: in sede di regresso varranno le comuni regole sulla ripartizionedel danno in relazione alle rispettive colpe ed al concreto apporto causale diciascun coobbligato ( 52 ).Nel caso di amministrazione delegata, la solidarietà è la conseguenzadell’unicità dell’evento danno e non della sua causa; la responsabilità degliamministratori deleganti non muta in una responsabilità indiretta per fattoaltrui, poiché la fonte dell’obbligo del risarcimento risulta data dal solo inadempimentodell’amministratore delegato. Atteso che l’atto illecito dell’amministratoredelegato è il presupposto per la responsabilità degli amministratorideleganti, occorre accertare che gli amministratori deleganti sono( 51 ) Si veda Enriques, Capitale sociale, informazione contabile e sistema del netto: una rispostaa Francesco Denozza, in Giur. comm., 2005, p. 607; Macrì, Ancora sul diritto di informazionedei soci e sulla chiarezza del bilancio, in Giur. comm., II, 2006, p. 192; Salodini, Obblighiinformativi degli intermediari finanziari e risarcimento del danno. La Cassazione e l’interpretazioneevolutiva della responsabilità precontrattuale, in Giur. comm., II, 2006, p. 632; Denozza,La nozione di informazione privilegiata tra “Shareholder Value” e “Socially Responsible Investing”,in Giur. comm., 2005, p. 585.( 52 ) Si confronti Marchetti, L’autonomia statutaria delle s.p.a., in Riv. soc., 2000, p. 571;Caselli, I sistemi di amministrazione nella riforma delle s.p.a., in questa rivista, 2003, p. 154;Cagnasso, Brevi note in tema di delega di potere gestorio nelle società di capitali, in Società,2003, p. 803; Ferri jr., L’amministrazione delegata nella riforma, in Riv. dir. comm., 2004, I, p.627 ss.; Ambrosini, L’amministrazione e i controlli nella società per azioni, in Giur. comm.,2003, I, p. 313; Nazzicone e Providenti, Società per azioni. Amministrazione e controlli (artt.2380-2409-noviesdecies), Milano, 2003, p. 34; Corsi, Le nuove società di capitali, Milano, 2003,p. 67.


SAGGI 141responsabili per fatto e colpa propria, attraverso la verificazione della mancatavigilanza o del mancato intervento informativo.5. – Unitamente alla possibilità di avocare a sé competenze delegate, ildisposto della norma attribuisce al consiglio di amministrazione specificidoveri di sorveglianza sull’operato degli organi delegati. L’espunzione normativadi ogni riferimento ad un obbligo generico di vigilanza prescritto neltesto ante riforma ha determinato una migliore specificazione delle attivitànelle quali si esplicano i doveri di sorveglianza del consiglio, delimitando ilcampo di operatività degli obblighi il cui inadempimento può dar luogo aresponsabilità degli amministratori, al fine di evitare allargamenti in tema diaccertamento delle forme di responsabilità, che, nel formante giurisprudenziale,ha finito spesso per essere trasformata in una responsabilità sostanzialmenteoggettiva ( 53 ).Di guisa, il consiglio è tenuto a valutare, sulla base delle informazioni ricevute,l’adeguatezza dell’assetto organizzativo, amministrativo e contabiledella società, ad esaminare i piani strategici, industriali e finanziari della società,quando elaborati, e a valutare, sulla base della relazione degli organi delegati,il generale andamento della società. Gli specifici doveri di sorveglianzadel consiglio sono accomunati dal fatto che, di regola, il consiglio può fare legittimoaffidamento su quanto viene riferito dai delegati, sempre che i singoliamministratori non violino l’obbligo di agire in modo informato ( 54 ).( 53 ) Si consulti Corsi, Le nuove società di capitali, Milano, 2003, p. 101; Colombo, Amministrazionee controllo, in Il nuovo ordinamento delle società. Lezioni sulla riforma e modelli statutari,a cura di S. Rossi, Milano, 2003, p. 191; Mosco, Nuovi modelli di amministrazione e controlloe ruolo dell’assemblea, in Il nuovo diritto societario fra società aperte e società private, a curadi Benazzo, Patriarca, Presti, Milano, 2003, p. 124. V. anche Libonati, Notarelle a marginedei nuovi sistemi di amministrazione della società per azioni, in Giur. comm., 2008, p. 289; Breida,sub art. 2409-novies, in Il nuovo diritto societario. Comm., diretto da Cottino, Bonfante, Cagnasso,Montalenti,**, 2004, p. 1122; AssociazioneDisianoPreite, Il diritto delle società?, acura di Olivieri, Presti, Vella, Bologna, 2006, pp. 166 e 204; Nazzicone, Providenti, sub art.2409-novies, in La riforma del diritto societario, a cura di Lo Cascio, 2003, p. 357; Weigmann,Consiglio di gestione e consiglio di sorveglianza: le prime applicazioni del modello dualistico, inAnalisi giuridica dell’economia, 2007, p. 261 ss.( 54 ) In tema Salodini, Obblighi informativi degli intermediari finanziari e risarcimento deldanno. La Cassazione e l’interpretazione evolutiva della responsabilità precontrattuale, in Giur.comm., II, 2006, p. 632; Denozza, La nozione di informazione privilegiata tra “Shareholder Value”e “Socially Responsible Investing”, in Giur. comm., 2005, p. 585. Ancora, Minervini, I poteridi controllo degli amministratori di minoranza (membro del Comitato esecutivo con voto consultivo?),in Giur. comm., 1980, I, p. 812; Scotti Camuzzi S., I poteri di controllo degli amministratoridi minoranza (membro del Comitato esecutivo con voto consultivo?), in Giur. comm.,1980, I, p. 785.


142 CONTRATTO E IMPRESA 1/2011La valutazione del consiglio, si fonda sulle informazioni ricevute, suipiani che siano stati eventualmente elaborati e sottoposti al consiglio, e sullerelazioni degli organi delegati sull’andamento della società ( 55 ).Si rifletta: la valutazione dell’assetto organizzativo, amministrativo econtabile si traduce in un esame volto a verificare, sulla base delle informazionifornite dagli organi delegati, che le strutture organizzative della societàe le procedure che garantiscono l’ordinato e regolare andamento dellagestione siano adeguate alla natura e alle dimensioni dell’<strong>impresa</strong>. L’espressioneè mutuata dal codice di autodisciplina delle società quotate, cheriferisce dell’obbligo di verifica dell’assetto organizzativo ed amministrativogenerale della società e del gruppo. In pratica, si tratta di accertare che lepersone ed i mezzi di cui si avvale l’<strong>impresa</strong> siano organizzati adeguatamenteallo scopo di perseguire gli obbiettivi sociali, sia per quanto attienealla struttura amministrativa e procedure contabili della società che perquanto riguarda, in generale, l’organizzazione dell’<strong>impresa</strong> ( 56 ).L’organo consiliare deve valutare l’assetto organizzativo, amministrativoe contabile della società, mentre agli amministratori delegati spetta ilcompito di occuparsi di tale assetto, e, di guisa, di curare che esso sia adeguatoalla natura ed alle dimensioni dell’<strong>impresa</strong>. Il dato normativo nonprescrive l’ipotesi in cui non sia stata conferita alcuna delega ovvero le dele-( 55 ) Cfr. Pavone La Rosa, La disciplina della grande <strong>impresa</strong> tra disciplina della strutturasocietaria e disciplina del mercato finanziario, in Giur. comm., 1999, I, p. 137; Id., Proposte di disciplinadei gruppi societari, in Riv. soc., 2000, p. 577; Pisoni, Puddu, Società quotate in borsa:i principali indicatori, in Impresa, 2002, p. 1526. Cfr. Dalmartello, I poteri di controllo degliamministratori di minoranza (membro del Comitato esecutivo con voto consultivo?), in Giur.comm., 1980, I, p. 795; Devescovi, Controllo degli amministratori sull’attività degli organi delegati,in Riv. soc., 1981, p. 79; Grassetti, I poteri di controllo degli amministratori di minoranza(membro del Comitato esecutivo con voto consultivo?), in Giur. comm., 1980, I, p. 807; Guglielmucci,La responsabilità di amministratori, liquidatori e sindaci nelle società per azioni, in LeSocietà, 1982, p. 121. Si veda Enriques, Capitale sociale, informazione contabile e sistema delnetto: una risposta a Francesco Denozza, in Giur. comm., 2005, p. 607; Macrì, Ancora sul dirittodi informazione dei soci e sulla chiarezza del bilancio, in Giur. comm., II, 2006, p. 192.( 56 ) Cfr. Sogno, Diritti dei soci all’informazione da parte dei sindaci (nota a Cass., 12 novembre1992, n. 1682), in Società, 11/1993, p. 1558; Tagliaferri, I controlli contabili ex art.2403 c.c. nelle società controllate da società quotate, in Società, 4/2002, p. 422; Ambrosini, Convocazionedell’assemblea: annullabilità delle delibere viziate da irregolarità (nota a App. Bologna4 marzo 1995), in Società, 6/1995, p. 806; Marchi, Norme di comportamento e responsabilitàdel Collegio sindacale, in Riv. dott. comm., 1984, p. 636; Mazzacuva, La responsabilità penaledei sindaci (tavola rotonda su “I poteri di controllo del Collegio sindacale” organizzatadalla rivista “Le Società”, intervento), in Società, 4/1989, p. 379; Norelli, Le omissioni di controllodei sindaci e delle società di revisione, in Dir. fall., 2/2001, I, p. 309; Salafia, Il controllodella contabilità nelle società quotate in Borsa, in Società, 1/1986, p. 5.


SAGGI 143ghe conferite siano limitate a determinate operazioni e non si estendano allagestione complessiva della società. Si deve ritenere che la cura dell’assettoorganizzativo, amministrativo e contabile spetti al consiglio, se costituito,o, comunque, rientri nei doveri degli amministratori, poiché essa è elementoessenziale ai fini della corretta gestione sociale ( 57 ).La previsione relativa all’esame, da parte del consiglio, dei piani strategici,industriali e finanziari della società è anch’essa ripresa dal codice di autodisciplinadelle società quotate. Si tratta di documenti programmatici, attraversoi quali viene pianificata l’attività della società tenendo conto deglisviluppi futuri dell’<strong>impresa</strong> e del mercato. La verifica da parte del consigliodi amministrazione non attiene solo al merito delle scelte gestionali contemplatenei piani, ma implica anche un controllo dell’affidabilità dei pianisotto il profilo delle regole tecniche applicate per prevedere gli andamentifuturi della società. La norma non stabilisce l’obbligo di procedere alla predisposizionedei documenti programmatici, limitandosi a prescrivere che,se elaborati, tali documenti devono essere esaminati dal consiglio. Sarà,dunque, il consiglio a valutare l’opportunità di richiedere la predisposizionedi piani strategici agli organi delegati, a dipendenti della società o anche asocietà di consulenza esterne ( 58 ).( 57 ) In argomento Grippo, Alcune riflessioni sulla collegialità del Consiglio di amministrazionedi società per azioni, in Giur. it., 1975, I, p. 71; Guidotti, Amministratore di fatto e negotiorumgestio, in Giur. it., 2000, p. 770; Jaeger, Dell’obbligo degli amministratori di dichiararealla CONSOB le proprie partecipazioni, in Giur. comm., 1985, I, p. 635; Lo Cascio, La responsabilitàdell’amministratore di fatto di società di capitali, in Giur. comm., 1986, I, p. 189. Si vedaMacrì, A proposito di rapporto amministratori-società: la c.d. parasubordinazione (nota aCass., 14 dicembre 1994, n. 10680), in Società, 1995, p. 635; Manferoce, La proposta di V dir.Ce (tavola rotonda organizzata dalla rivista “Le Società”, intervento), in Società, 1985, p. 166;Marziale, La proposta di V dir. Ce sull’armonizzazione del diritto delle società: il fondamentogiuridico e l’impatto sull’ordinamento italiano (intervento alla tavola rotonda su “La propostadi V Direttiva CEE”, organizzata dalla rivista “Le Società”), in Società, 1985, p. 121; Menghi,La cauzione degli amministratori dopo l’abrogazione dell’art. 2387, c.c., in Giur. comm., 1986, I,p. 597. Si veda Chiomenti, Il principio della collegialità dell’amministrazione pluripersonalenella società per azioni, in Riv. dir. comm., 1982, I, p. 319; Colavolpe, Condizioni per il cumulodei rapporti di amministrazione e di lavoro dipendente (nota a Cass., 12 gennaio 2001, n. 329), inSocietà, 2002, p. 690; Collia, Natura del rapporto tra amministratore delegato e società (nota aTrib. Bologna, 4 luglio 2002), in Società, 2003, p. 1140.( 58 ) Cfr. in argomento Minervini, Le funzioni del collegio sindacale. Questioni vecchie,questioni nuove, in Società, 6/2000, p. 649; Olivieri, Le funzioni di sindaco e di revisore delle societàcommerciali nell’ordinamento della professione di dottore commercialista, in Riv. dott.comm., 1978, p. 799; Salafia, Il collegio sindacale: dalle società quotate alle società ordinarie,in Società, 3/2000, p. 269; Sandulli, Sui poteri del Collegio sindacale, in Riv. notar., 1977, p.1152.


144 CONTRATTO E IMPRESA 1/2011Con riferimento alla prescrizione normativa dell’obbligo di valutazionedel generale andamento della gestione, che l’organo consiliare deve effettuaresulla base delle relazioni fatte pervenire dagli organi delegati, si devechiarire la portata giuridica dell’espressione generale andamento della gestione:ebbene, per generale andamento si deve intendere la situazionecomplessiva della società considerata, ponendo in relazione la corrente gestionecon lo scopo di perseguire gli obbiettivi sociali, così come delineatinell’oggetto sociale ( 59 ).Nel caso in cui, dalle valutazioni effettuate dal consiglio sulla base deidocumenti programmatici e dei flussi informativi o relazioni ricevuti, emerganoirregolarità nella gestione della società o si ravvisi l’inadeguatezza dellagestione rispetto al fine di attuare l’oggetto sociale, il consiglio ha l’obbligodi intervenire, utilizzando gli strumenti giuridici dell’avocazione, dell’emanazionedi direttive, della revoca della delega o della revoca o modificadelle deliberazioni degli organi delegati.L’analisi della funzione della delega amministrativa all’interno delle societàper azioni vede, all’esito della riforma, arricchire la propria natura sullabase dell’introduzione normativa della veicolazione, transitiva e riflessiva,di informazioni tra delegati, deleganti e organo di controllo.Attesa, come detto, la prescrizione legislativa della gestione informatadella società per azione, occorre, preliminarmente, svolgere alcune considerazionisulla natura e tipologia delle informazioni suscettive di essere ricondottenell’alveo della prescrizione normativa.L’informazione societaria, intesa quale insieme degli adempimentiinformativi e dei comportamenti che l’ordinamento prescrive, è ormai as-( 59 ) In tema Fortunato, I “controlli” nella riforma del diritto societario, in Aa.Vv., La riformadel diritto societario (Atti del Convegno di studio « Problemi attuali di diritto e proceduracivile », Courmayeur, 27-28 settembre 2002), Milano, 2003. Montalenti, Conflitto di interessie funzioni di controllo: collegio sindacale, consiglio di sorveglianza, revisori, in Giur.comm., 2007, p. 555; Olivieri, I controlli “interni”nelle società quotate dopo la legge sulla tuteladel risparmio, in Giur. comm., 2007, p. 409; Michieli, La solidarietà dei sindaci nella responsabilitàdegli amministratori, II, in Giur. comm., 2007, p. 417; Rordorf, Il nuovo sistema dei controllisindacali nelle società per azioni quotate, in Foro it., 1999, V, p. 238. Risulta interessante lalettura di Irrera, Il dirigente preposto alla redazione dei documenti contabili societari nella leggesul risparmio e nel decreto correttivo, in Giur. comm., 2007, p. 484; Montalenti, Corporategovernance, consiglio di amministrazione, sistemi di controllo interno: spunti per una riflessione,in Riv. soc., 2002, IV, p. 821 e Id., L’amministrazione sociale dal testo unico alla riforma del dirittosocietario, in Giur. comm., 2003, p. 422. Cfr. Rossi, Le regole di “corporate governante” sonoin grado di incidere sul comportamento degli amministratori?, in Riv. soc., 1/2001, p. 6; Abbadessa,La nuova riforma del diritto societario secondo il testo unificato dei progetti di legge per latutela del risparmio, in Atti del Convegno di Alba del 20 novembre 2004, “La tutela del risparmio:l’efficienza del sistema”, in Società, 2005, p. 280.


SAGGI 145sunta al rango di bene pubblico, considerato che, pur avendo prima facie adoggetto affari privati di persone fisiche e giuridiche, risulta, tuttavia, trascenderel’interesse di tali soggetti, investendo inevitabilmente anche lescelte ed i comportamenti degli stakeholders, portatori anch’essi di interessimeritevoli di tutela, e del mercato in generale.La giustificazione dell’intervento imperativo del legislatore a sostegnodella trasparenza informativa prende le mosse dall’affermazione della valenzapubblicistica attribuita al bene-informazione societaria e dalla constatazionecirca la tendenziale inadeguatezza ed insufficienza delle informazionifornite dalle società su base volontaria (voluntary disclosure), in assenzadi una qualsivoglia regolazione delle dinamiche di disclosure a livellonormativo.La misura dell’ampiezza della voluntary disclosure scaturisce da un’analisicosti-benefici che la società effettua, in quanto la produzione e diffusionedi informazione innegabilmente comporta dei costi per i soggetti interessati.In particolare, l’informazione assume la veste di costo indiretto allorchéla si ponga in relazione al pericolo di perdita di competitività, riflessoeventuale di una politica societaria orientata verso la trasparenza informativa.Un’adeguata informativa da parte degli organi delegati è presupposto irrinunciabileal fine di consentire al consiglio di effettuare, con cognizione dicausa, le proprie valutazioni sull’andamento della gestione ( 60 ). Si prevedel’obbligo degli organi delegati di riferire al consiglio ed al collegio sindacalesull’andamento generale della gestione e la sua probabile evoluzione, nonchéin merito alle operazioni più importanti compiute dalla società.Dalle relazioni degli amministratori, pertanto, devono emergere, oltrealle informazioni concernenti la situazione corrente, anche le previsioni relativeal futuro andamento della gestione. Come già detto, pur stabilendouna cadenza minima per la presentazione delle relazioni, viene lasciata all’autonomiastatutaria la possibilità di prevedere scambi informativi più frequenti,nonché di determinare più in dettaglio quantità e qualità delle informazionida fornire. I doveri informativi degli organi delegati sono ampliati( 60 ) In arg. cfr. Perrone, La struttura organizzativa d’<strong>impresa</strong>. Criteri e modelli di progettazione,Milano, 1990, p. 5 ss.; Ricciuti, Organizzazione aziendale, Padova 1992, p. 30; Daccò,L’organizzazione aziendale, Padova, 1997, p. 3 ss.; per un maggiore approfondimento si vedaCaffarata, a cura di, Materiali di studio dell’organizzazione aziendale, Roma, Aracne, 1994 esia pure su un provvedimento particolare, Monesi, a cura di, I modelli organizzativi ex d.lgs.231/2001, Milano, 2005. Tra i classici, Coda, L’orientamento strategico delle imprese, Torino,1988; Golinelli, L’approccio sistemico al governo delle imprese, vol. III, Padova, 2000. Cfr. inargomento Santonastaso, Principio di “precauzione” e responsabilità di <strong>impresa</strong>: rischio tecnologicoe attività pericolosa “per sua natura”, cit., p. 35 ss.


146 CONTRATTO E IMPRESA 1/2011dalla prescrizione normativa di fornire in consiglio le informazioni richiestedi volta in volta dagli amministratori ( 61 ).Si stabilisce a carico degli amministratori l’obbligo di agire in modoinformato, conferendo loro il potere-dovere di richiedere agli organi delegatile informazioni relative alla gestione della società. Il dovere riflessivo diinformazione costituisce una specificazione del dovere di diligenza tipicodell’amministratore e svolge la funzione di controbilanciare la regola chesancisce l’esclusione della responsabilità degli amministratori che, incolpevolmente,abbiano fatto affidamento sulle informazioni fornite dagli organidelegati. Nel caso di inottemperanza all’obbligo di agire in modo informato,il consiglio può essere indotto a non richiedere agli organi delegati informazioniprecise sulla gestione della società, al fine di precostituirsi una causadi esenzione della responsabilità.Di guisa, nell’ottica del rispetto del principio di adeguatezza, gli amministratorinon esecutivi del consiglio di amministrazione devono attivarsi alfine di ottenere dagli organi delegati le informazioni necessarie a valutarel’andamento della gestione ed assumere le relative decisioni. Se si riflettesul concetto di adeguata gestione della società per azioni, si giunge alla conclusioneche il dovere di richiedere chiarimenti e notizie più complete sorgein presenza di indizi che dovrebbero far sorgere, in un amministratore diligente,dubbi attinenti alla completezza, esattezza ed affidabilità delleinformazioni fornite dagli organi delegati ( 62 ).( 61 ) Cfr. Ghini, Deleghe del consiglio di amministrazione a singoli componenti, cit., p. 710:“Per formarsi un’idea dell’organizzazione delle società, il consiglio deve poter consultare tuttele fonti informative utili; per valutare l’andamento della gestione sociale è agli organi delegatiche deve rivolgersi per attingere elementi di giudizio. Servendosi di altri fonti informative,in esclusiva, il consiglio può giungere a formarsi un’immagine incompleta e distorta dellasituazione. In quanto ad informativa rivolta al consiglio, l’art. 2381, comma 5°, c.c. sancisceche gli organi delegati riferiscono al consiglio di amministrazione (e al collegio sindacale) conla periodicità fissata dallo statuto e in ogni caso almeno ogni centottanta giorni, sul generaleandamento della gestione e sulla sua prevedibile evoluzione, nonché sulle operazioni di maggiorrilievo, per le loro dimensioni o caratteristiche, effettuate dalla società e dalle sue controllate(ove esistano). Siccome, in base allo stesso comma, gli organi delegati curano che l’assettoorganizzativo, amministrativo e contabile sia adeguato alla natura e alle dimensioni dell’<strong>impresa</strong>,è logico che le periodiche informazioni riguardino questi rilevanti aspetti della gestione,tanto più che al consiglio, per legge, è demandato il compito di valutare l’adeguatezzadi detto assetto. Ma il contenuto di ogni relazione periodica deve essere completo e sostanzioso”.( 62 ) In tema Salafia, Gli organi delegati nell’amministrazione della s.p.a., cit., p. 1334: “Lostatuto potrà (a mio giudizio, dovrà) indicare o soltanto la natura delle operazioni (per es., gliappalti, l’acquisizione di pacchetti azionari, etc.) o soltanto il loro valore finanziario (per es.,operazioni di valore non inferiore o superiore ad una determinata somma di denaro), ovvero


SAGGI 147Se i flussi informativi da parte degli organi delegati sono insufficienti,l’affidamento del consiglio verso i delegati non esime gli amministratori delegantidalla responsabilità ex art. 2392 c.c., qualora le lacune informativedipendano dalla loro passività, o mancanza d’iniziativa ( 63 ). La norma specificache le informazioni richieste dagli amministratori debbano essere fornitein consiglio dagli organi delegati; i singoli amministratori non possonorichiedere le informazioni direttamente ai dipendenti della società, né farsifornire le informazioni privatamente, al di fuori delle riunioni consiliari ( 64 ).indicarne sia la natura che il valore, come requisiti in presenza dei quali nasce l’obbligo di comunicazione.La legge prescrive una frequenza minima delle suddette comunicazioni, manon stabilisce se queste debbano avere per oggetto anche le intenzioni di compiere le operazioniovvero solo la notizia del loro compimento. A me pare che, se si vuole assegnare ad esse,come sembra che il legislatore abbia fatto, la funzione di informare il consiglio per coinvolgerlo,si dovrebbe sostenere l’obbligo dei delegati di dare l’informazione anche sulle intenzioni,naturalmente non a livello di puro progetto, bensì a livello di scelta compiuta. In talmodo, si porrebbe il consiglio in condizione di eventualmente intervenire per frenare il delegatoo addirittura per vietargli la realizzazione dell’operazione. È vero che letteralmente ilquinto comma dell’art. 2381 c.c. dispone l’informazione del consiglio, da parte dei delegati,sulle più importanti operazioni gestorie “effettuate” dalla società e dalle sue controllate, mapenso che la prevista effettuazione si riferisca alla loro ideazione, perché altrimenti esse nondifferirebbero da quelle che saranno comprese necessariamente nel rapporto sull’andamentogenerale della gestione e sulla sua possibile evoluzione”.( 63 ) V. Desario, La gestione delegata nelle società di capitali. La nuova disciplina, cit., p. 67 ss.( 64 ) V. ancora Salafia, Gli organi delegati nell’amministrazione della s.p.a., cit., p. 1330,per il quale: “In termini più semplici, il potere informativo, che la legge implicitamente riconoscea tutti gli amministratori e ai membri non operativi del consiglio, in particolare, serveper consentire loro di prepararsi alla consapevole partecipazione all’attività del consiglio, manon anche per istruire un processo laudativo o accusatorio nei confronti dell’amministratoredelegato. Se dall’esame delle scritture contabili e dei relativi documenti il consigliere nonoperativo ricavasse qualche dubbio sulla correttezza dell’operato dell’amministratore delegato,sia in termini di convenienza sia in termini di legittimità, egli potrà, appunto, invitarlo a riferireal consiglio ed, in quella sede, correttamente quel dubbio potrà essere esaminato e valutatoin una dialettica nella quale potrà essere coinvolto anche il membro delegato. Lo statutopuò regolare più minuziosamente la condotta della predetta attività ispettiva, subordinandola,per esempio, alla preventiva comunicazione al consiglio di amministrazione o allapreventiva interpellanza degli altri consiglieri per eventualmente coinvolgerli, in modo daevitare sovrapposizione di un’ispezione all’altra, con turbamento del normale funzionamentodegli uffici. Non può, invece, certamente subordinarla alla preventiva autorizzazione delconsiglio o del suo presidente, perché il potere ispettivo, in quanto strumentale al correttoesercizio della funzione amministrativa, non tollera limitazioni. La legge ha sentito la necessitàdi assoggettare l’esercizio della funzione amministrativa ad una preventiva informazione,in un quadro ordinamentale in cui la funzione di amministrazione della società per azioni èvista come utile strumento per il buon funzionamento dell’ente e, quindi, per il conseguimentodi risultati, che finiscono con l’incidere sull’interesse della generalità dei cittadini”.


148 CONTRATTO E IMPRESA 1/2011Difatti, nella prospettiva di un raccordo giuridico tra informazione e responsabilitàdegli amministratori, la conoscenza dei fatti gestori pregiudizievolivale a costituire il parametro di accertamento della responsabilità.Se gli organi deleganti sono destinatari di un flusso costante e tendenzialmenteesauriente di informazioni sulla gestione della società per azioni, nederiva, a modo di corollario fenomenologico, la tipizzazione degli obblighiinformativi a carico degli organi delegati.In tema di tipizzazione dei flussi informativi tra organo delegante ed organidelegati, il precetto normativo conosce già la necessaria predisposizionedel progetto di bilancio, contenente le notizie sull’andamento della gestionesociale. Pur tuttavia, la conoscenza dei dati di bilancio spesso risultasommaria ed inidonea, quindi, ad una corretta ed attendibile rappresentazionedella reale situazione patrimoniale, economica e finanziaria della società.I flussi di informazioni devono essenzialmente riguardare l’andamentodella gestione.La codificazione dell’agire in modo informato riflette, nella prospettivadel miglior controllo della governance, l’esigenza che gli amministratori, nelcaso di esercizio delegato della gestione, agiscano in modo consapevole,ponderando gli interessi della società con gli altri interessi in gioco: la veicolazionedi continui flussi informativi rappresenta, nella visione del codificatoredella riforma, il momento basilare per riuscire ad ottenere trasparenzanella gestione societaria e, di guisa, chiarificazione nell’accertamentodelle singole responsabilità.La sistematicità della transazione di flussi informativi ed il conseguenterilievo della conoscenza dei fatti sociali in termini di accertamento di responsabilitàsolidale, deve suscitare negli amministratori una maggiore attivitàcomportamentale; pur tuttavia, se si riflette sulle conseguenze patologichedella prescrizione di legge, si nota come, antropologicamente, l’amministratorenon esecutivo, per quanto attivo nel controllo, non avrà interessead esercitare un potere che comporti un ampliamento della propria responsabilitàse, all’esito della veicolazione di informazioni, si determini lasua conoscenza di fatti pregiudizievoli per la società ( 65 ).( 65 ) Cfr. Domenichini, Amministratori di s.p.a. e azione di responsabilità (tavola rotondaorganizzata dalla rivista “Le Società” su “Responsabilità di amministratori e sindaci”, intervento),in Società, 1993, p. 612; Domenichini, Responsabilità civile degli amministratori ex art.146 L.F.: gli amministratori di fatto (commento a Trib. Milano, Sez. II Civ., 21 dicembre 1992),in Società e diritto, 1993, p. 355; Eisenberg, Obblighi e responsabilità degli amministratori e deifunzionari delle società nel diritto americano, in Giur. comm., 1992, I, p. 617; Desario, La gestionedelegata nelle società di capitali. La nuova disciplina, cit., p. 67 ss.; Enquires, Azione socialedi responsabilità, abuso della minoranza e divieto di voto in capo ai soci amministratori, in


SAGGI 149La, normativamente disposta, istituzionalizzazione di un sistema diflussi informativi tra organi delegati ed organi deleganti, sottende, se si riflettein maniera sistematica, una concezione del governo dell’<strong>impresa</strong> improntataad esigenze di snellezza, di rapidità procedurale, di correttezza e ditrasparenza della gestione societaria, al fine di giungere ad un raccordo normativonell’esercizio delle diverse funzioni amministrative ed, al contempo,ad evitare la tendenza verso un’inesorabile estraniazione dalla gestionesociale da parte degli amministratori non esecutivi.Di guisa, si legittima l’organo delegante all’esercizio dei poteri valutativiattribuitigli sulla base delle informazioni ricevute e sulla base della relazionedegli organi deleganti; correlativamente, si precisa che i delegati riferisconoal consiglio di amministrazione e al collegio sindacale, mentre, comedogma assoluto, si impone che gli amministratori sono tenuti ad agire inmodo informato, attraverso la richiesta agli organi delegati che in consigliosiano fornite informazioni relative alla gestione della società.Giur. comm., 1994, II, p. 144; Pacchi Pesucci, Gli amministratori di società per azioni nellaprassi statutaria, in Riv. soc., 1974, p. 606; Pederzini, Investitura rappresentativa dell’amministratoredelegato di società e opponibilità delle relative limitazioni ai sensi dell’art. 2384, c.c., inGiur. comm., 1990, I, p. 613; Perassi, Sull’opponibilità ai terzi della dissociazione fra potere deliberativoe rappresentativo nell’amministrazione di s.p.a., in Giur. comm., 1988, II, p. 99. In temadi gruppi societari si veda Spada, Gruppi di società, in Riv. dir. civ., 1992, II, p. 221 ss.; Galgano,L’oggetto dell’holding è dunque l’esercizio mediato e indiretto dell’<strong>impresa</strong> di gruppo, inquesta rivista, 1990, p. 401 ss.; Id., Il punto sulla giurisprudenza in materia di gruppi di società,in Società, 1991, p. 897 ss.; Jaeger, Considerazioni “parasistematiche” sui controlli e sui gruppi,in Giur. comm., 1994, I, p. 476 ss.


DIRITTO SPORTIVOMARGHERITA PITTALISLa responsabilità contrattuale ed aquilianadell’organizzatore di eventi sportiviSommario: 1. L’organizzatore di eventi sportivi: la posizione del C.O.N.I. e delle Federazionisportive. – 2. Gli obblighi di controllo dell’organizzatore. – 3. I titoli di responsabilità.– 4. La responsabilità delle società di calcio nell’organizzazione di incontri sportivi professionistici.– 5. Considerazioni conclusive.1. – I fatti lesivi che si verificano durante la pratica di attività sportivepossono essere provocati da coloro che praticano le attività stesse, e cioè gliatleti o i gareggianti, ma anche dagli altri soggetti coinvolti nelle competizioni,fra i quali assumono rilievo, in primo luogo, coloro che organizzanogli eventi sportivi.Questi potranno essere chiamati a rispondere dei pregiudizi eventualmentearrecati ai partecipanti alla gara ( 1 ), oppure a terzi, quali spettatori odestranei.Per “organizzatore” di eventi sportivi si intende tradizionalmente lapersona fisica (ipotesi che si verifica raramente), la persona giuridica (in formadi S.p.A. o di S.r.l.), l’associazione non riconosciuta ex art. 36 ss., c.c.,(ipotesi molto frequente, che ricomprende le cd. “società sportive” soprattuttodilettantistiche) ed il comitato, che “assumendosene tutte le responsabilità(civili, penali, amministrative) nell’ambito dell’ordinamento giuridicodello stato, promuove l’incontro di uno o più atleti con lo scopo di raggiungereun risultato in una o più discipline sportive, indipendentemente dalla presenzao meno di spettatori e, quindi, indipendentemente dal pubblico spettacolo”( 2 ).( 1 ) A tale proposito, si segnala Cass., 27.10.2005, n. 20908, in Foro it., 2006, 5, c. 1465, nonchéin Danno e resp., 2006, p. 633, con nota di Ferrari, e in Rass. dir. econ. sport., 2006, p. 508,con nota di Lepore e in Resp. civ., 2006, p. 601, con nota di Filippi, secondo la quale “…in temadi responsabilità civile per lesioni cagionate nel contesto di un’attività agonistica, non possonoconsiderarsi partecipanti solo gli atleti in gara ma anche tutti coloro che sono posti alcentro o ai limiti del campo di gara per compiere una funzione indispensabile allo svolgimentodella competizione [. . .]”.( 2 ) La definizione è quella, costantemente richiamata in dottrina, che fa capo a Dini, L’organizzatoree le competizioni: limiti alla responsabilità, in Riv. dir. sport., 1971, p. 416.


SAGGI 151Nell’ambito degli organizzatori, si suole distinguere fra organizzatori“di diritto”, appartenenti ad una Federazione e regolarmente autorizzati adorganizzare una manifestazione; organizzatori “di fatto”, non federati e nonautorizzati; organizzatori pro-tempore: non federati, ma regolarmente autorizzatiad organizzare un evento sportivo ( 3 ).Tale distinzione sembra peraltro assumere rilievo essenzialmente ai finidell’omologazione dei risultati delle gare, piuttosto che in seno all’ordinamentogiuridico generale, con la conseguenza che l’organizzatore, checon la propria condotta abbia violato disposizioni penali e/o civili, resteràverosimilmente assoggettato alla giustizia ordinaria, in linea di principio aldi là del suo inquadramento nell’una o nell’altra tipologia di “organizzatore”( 4 ).Le caratteristiche che contraddistinguono l’organizzatore sono la finalitàdi promuovere la competizione e il potere di controllo e di direzionedella stessa ( 5 ).In linea con tali criteri, è stata quindi per lo più esclusa la responsabilitàdel C.O.N.I. che patrocinasse semplicemente l’evento, senza esserne direttamentel’organizzatore; in particolare, la Suprema Corte ( 6 ) ha escluso inlinea di principio la responsabilità del C.O.N.I., sul rilievo che “esula daisuoi compiti ispettivi la vigilanza sull’organizzazione concreta delle singolemanifestazioni sportive”.Al C.O.N.I. sarebbe infatti attribuito dalla legge istitutiva n. 426 del 16febbraio 1942, oggi abrogata dal d.lgs. 23.7.1999, n. 242, portante il “Riordi-( 3 ) Al riguardo, Bertini, La responsabilità sportiva, ne Il diritto privato oggi, a cura di Cendon,Milano, 2002, p. 120; Di Ciommo-Viti, La responsabilità civile in ambito sportivo, in Lineamentidi diritto sportivo, a cura di Cantamessa, Riccio, Sciancalepore, Milano, 2008, p.290.( 4 ) Galligani-Piscini, Riflessioni per un quadro generale della responsabilità civile nell’organizzazionedi un evento sportivo, in Riv. dir. econ. sport, 2007, p. 115.( 5 ) Si è infatti esclusa la responsabilità dell’utilizzatore di un impianto a fini di organizzazionedi una gara, che non aveva l’effettivo potere di gestione e di intervento sullo stesso:Cass., 10.2.2003, n. 1948, in Foro. it., 2003, I, c. 1439. Si è inoltre affermato che, se più personeorganizzano una gara amichevole di tiro a segno, ciascun partecipante risponde dei dannicausati al passante che transitava sulla strada adiacente, qualora venga accertato che non eranostate predisposte le opportune cautele: App. Firenze, 20.2.1951, in Giur. tosc., 1951, p. 446,in tal senso richiamata da Galligani-Piscini, Riflessioni, cit., p. 115.( 6 ) Cass., S.U., 12.7.1995, n. 7640, in Riv. dir. sport., 1996, p. 75, con note di Carra e Fontana:trattasi del leading case affacciatosi sul punto, in un caso in cui l’atleta di una competizionedi pentathlon moderno era caduto nel corso di una gara di equitazione a causa del rifiutodel cavallo di saltare l’ostacolo, ed aveva riportato gravissime lesioni. Ma per l’affermazionesecondo cui al C.O.N.I. “in nessun caso potrebbe dirsi attribuita anche la qualifica di organizzatoredelle manifestazioni sportive”, si v. già Cass., 16.1.1985, n. 97, in Giur. it., 1985, I, 1,c. 1226.


152 CONTRATTO E IMPRESA 1/2011no del Comitato olimpico nazionale italiano – C.O.N.I., a norma dell’articolo11 della legge 15 marzo 1997, n. 59” (cd. “Decreto Melandri”) ( 7 ), un potere diregolamentazione e di controllo delle varie discipline sportive in generale, enon una funzione di diretta organizzazione delle stesse, che farebbe invececapo alla singola Federazione di competenza.Diversa è invece la posizione delle Federazioni Sportive Nazionali di riferimento,le quali sono infatti sempre titolari di dirette potestà ispettive dicontrollo sulle singole discipline e sulle rispettive competizioni, dalle qualidiscendono quindi profili di responsabilità.Le Federazioni sportive, infatti, pur facendo capo al C.O.N.I. – che ne èla Confederazione (art. 2, d.lgs. n. 242/1999) – e quindi partecipando dellanatura pubblicistica dello stesso, godono anche di autonomia giuridica pursotto la sua vigilanza ( 8 ), cosicché rispondono delle eventuali omissioni (an-( 7 ) Per una sintetica rassegna delle diverse fonti normative che nel corso del tempo hannointeressato il C.O.N.I., si v. Frattarolo, L’ordinamento sportivo nella giurisprudenza, IIed., Milano, 2005, p. 1 ss.; si segnala inoltre Romano, L’organizzazione dell’attività sportiva, inManuale di diritto dello sport, a cura di Di Nella, Napoli, 2010, p. 99 ss., per un’accurata disaminadelle funzioni del Comitato, del funzionamento e dei compiti dei suoi organi e dei suoirapporti con la C.O.N.I. Servizi S.p.A., cui sono state attribuite funzioni strumentali e gestorievolte al conseguimento degli obiettivi ed al soddisfacimento delle finalità istituzionali dell’Ente.Sulla tematica si richiama inoltre Sanino-Verde, Il diritto sportivo, II ed., Padova,2008, p. 51 ss.( 8 ) Si veda già la l. 16.2.1942, n. 426, ma anche la l. 23.3.1981, n. 91, che ha parzialmentemodificato i rapporti fra C.O.N.I. e Federazioni, ed il cui art. 14, comma 2°, espressamente riconoscevaalle Federazioni “autonomia tecnica, organizzativa e di gestione, sotto il controllodel C.O.N.I.”, nonché, da ultimo, il già ricordato d.lgs., 23.7.1999, n. 242, che all’art. 15, comma2°, ha abrogato sia la l. n. 426/1942, che l’art. 14, l. n. 91/1981, ed ha attribuito personalitàgiuridica di diritto privato alle Federazioni, le quali, peraltro, continuano ad essere soggette,sotto molteplici aspetti, al controllo del C.O.N.I. Tale assetto si evince da diverse disposizionidel citato decreto, fra le quali: l’art. 5, comma 1°, che attribuisce al consiglio nazionale il compitodi disciplinare e coordinare l’attività sportiva nazionale, armonizzando a tal fine l’azionedelle Federazioni; l’art. 5, comma 2°, che impone alle Federazioni di conformare i propri statutiai principi fondamentali stabiliti dal consiglio nazionale allo scopo del riconoscimento aifini sportivi e prevede che lo stesso consiglio nazionale, su proposta della giunta nazionale, hail potere di deliberare il commissariamento delle Federazioni in caso di gravi irregolarità nellagestione o di gravi violazioni dell’ordinamento sportivo da parte degli organi direttivi; l’art,7, comma 2°, che attribuisce alla giunta il potere di controllo sulle Federazioni in merito al regolaresvolgimento delle competizioni, alla preparazione olimpica e all’attività sportiva di altolivello e all’utilizzo dei contributi finanziari; l’art. 15, comma 1°, che richiede alle Federazionistesse di svolgere la loro attività sportiva in armonia con le deliberazioni e gli indirizzidel C.I.O., delle Federazioni internazionali e del C.O.N.I., anche in considerazione della valenzapubblicistica di specifiche tipologie di attività individuate dallo Statuto del C.O.N.I. . Sututti gli aspetti qui esaminati si vedano Romano, L’organizzazione dell’attività sportiva, cit., pp.


SAGGI 153che solo per culpa in vigilando) nell’organizzazione delle singole gare sportive,che infatti rientra nelle loro competenze quale attività “privatistica” ( 9 ).In applicazione di tale criterio, è stata affermata ( 10 ) la responsabilità dellaF.I.G.C. (Federazione <strong>Italia</strong>na Giuoco Calcio), quale committente ex art.2049, c.c., per la colpevole imperizia di un medico sportivo operante in uncentro riconosciuto, che, omettendo ulteriori accertamenti, aveva attestatol’idoneità alla pratica agonistica di un quattordicenne, in seguito decedutodurante un incontro, a causa di un arresto cardiocircolatorio; ciò, in quanto113 ss.; Napolitano, Il “riordino” del Coni, in Profili evolutivi del diritto dello sport, Napoli,2001, pp. 19-20. Si richiama inoltre l’attuale art. 20, comma 2°, dello Statuto del C.O.N.I., cheriproduce nella sostanza il disposto del già richiamato ed oggi abrogato art. 14, comma 2°, l. n.91/1981, stabilendo che “Nell’ambito dell’ordinamento sportivo alle Federazioni SportiveNazionali è riconosciuta l’autonomia tecnica, organizzativa e di gestione, sotto la vigilanzadel CONI”.( 9 ) La tesi della natura “mista”, di diritto pubblico e di diritto privato, delle Federazionisportive, già affermata dalle Sezioni Unite (Cass., S.U., 9.5.1986, n. 3092, in Foro it., 1986, I, c.1254; Cass., S.U., 9.5.1986, n. 3091, ibidem, c. 1259) prima dell’entrata in vigore del d.lgs. n.242/1999, è oggi pacifica in giurisprudenza alla luce delle disposizioni di detto decreto: sulpunto, si v., fra le altre, Cass., S.U., 23.3.2004, n. 5775, in Giust. civ., 2005, I, p. 1625, con notadi Vidiri, ove si legge che “La legge 16 febbraio 1942, n. 426, istitutiva del Coni, configuravale federazioni sportive nazionali come organi dell’Ente, che partecipavano della natura pubblicadi questo. La successiva legge 23 marzo 1981, n. 91 (contenente norme in materia di rapportitra società e sportivi professionisti), con l’art. 14, ribadì questo inquadramento, riconoscendoalle federazioni funzione di natura pubblicistica, riconducibile all’esercizio in sensolato delle funzioni proprie del Coni, e funzione di natura privatistica per le specifiche attivitàda esse svolte. Questa funzione, in quanto autonoma, era separata da quella di natura pubblicae faceva capo soltanto alle federazioni … La legge n. 91 del 1981 è stata sostituita con il decretolegislativo 23 luglio 1999, n. 242, contenente disposizioni sul riordino del Coni. L’articolo15 del decreto legislativo ha recepito l’inquadramento attribuito dalla giurisprudenza allefederazioni sportive nazionali. La norma, infatti, dopo avere disposto che le federazioni sportivenazionali svolgono l’attività sportiva in armonia con le deliberazioni e gli indirizzi del Cioe del Coni (primo comma), così consentendo l’esercizio di attività a valenza pubblicistica sullabase di poteri pubblicistici e mediante l’adozione di atti amministrativi, attribuisce loro naturadi associazione con personalità giuridica di diritto privato e dichiara che non perseguonofini di lucro e sono disciplinate, per quanto non espressamente previsto dal decreto, dal codicecivile e dalle disposizioni di attuazione del medesimo (secondo comma)”. Definisce le Federazioniquali “enti privati di interesse pubblico”, Di Nella, Le federazioni sportive nazionalidopo la riforma, in Profili evolutivi del diritto dello sport, Napoli, 2001, p. 122. p. 70. Per ulterioririflessioni sulla natura delle Federazioni nazionali sportive, si veda tuttavia anche la successivan. 14.( 10 ) Trib. Vigevano, Sez. pen., 9.1.2006, n. 426, in Resp. civ. prev., 2007, p. 334, con nota diAureliano; la decisione è commentata anche da Grassani, La responsabilità risarcitoria dellefederazioni sportive in caso di incidente o infortunio dell’atleta, in Riv. dir. econ. sport, 2006, p.13 ss.


154 CONTRATTO E IMPRESA 1/2011lo statuto della F.I.G.C. prevede all’art. 3 che la Federazione persegua il finedella pratica del calcio anche attraverso “la tutela medico sportiva . . . degliatleti”, anche in forza del D.M. 18.2.1982, n. 133200 ( 11 ).Si è inoltre riconosciuta la responsabilità ex art. 2043, c.c., del grupposportivo dell’atleta e della Federazione sportiva nazionale di riferimento, inuna fattispecie ( 12 ) in cui, in un incontro di basket, un giocatore, giocandoveementemente, aveva urtato contro la porta a vetri dello spogliatoio, sfondandolae procurandosi ferite da taglio multiple agli arti superiori, e ciò, sulrilievo che la Federazione avrebbe la indiscussa titolarità dell’attività ispettivae di controllo che si esplica attraverso l’omologazione del campo da giocosecondo il regolamento esecutivo.Per contro, la Suprema Corte ha negato la responsabilità della F.I.S.I.(Federazione <strong>Italia</strong>na Sport Invernali), affermando, invece, quella direttadel C.O.N.I., per l’omologazione di una pista da sci non conforme alle prescrizionitecniche ( 13 ).( 11 ) Portante “Norme per la tutela sanitaria dell’attività sportiva agonistica”. Nell’ambitodello stesso giudizio, si veda altresì Cass. Pen., 5.9.2009, n. 38154, in Resp. civ. prev., 2010, p.1074, con nota critica di Farolfi, la quale, facendo propria l’impostazione dei giudici di merito,ha confermato che “in caso di erroneo rilascio di certificazione medica, la Federazione èresponsabile solidalmente, per responsabilità contrattuale e vicaria, con il medico esterno allasua struttura associativa per la posizione di garanzia in ordine alla tutela medico-sportiva,discendente da obbligazione assunta nei confronti dell’atleta all’atto del tesseramento”. Ladecisione della Suprema Corte è commentata anche da Stincardini-Piscini, La responsabilitàdelle federazioni sportive nazionali per erronea certificazione dell’idoneità sportiva rilasciatapresso strutture sanitarie esterne all’atleta dilettante, in Riv. dir. econ. sport, 2010, p. 95 ss.( 12 ) Trib. Milano, 23.2.2009, n. 2430, in Rass. dir. econ. sport, 2010, p. 160, con nota di Agostinis.( 13 ) Cass., 23.6.1999, n. 6400, in Riv. dir. sport., 2000, p. 521, con nota di Lambo, secondo laquale “l’omologazione di una pista di sci, collaudata per cinque anni, compiuta dalla F.I.S.I.per accertarne, attraverso un proprio tecnico, la conformità alla regolamentazione tecnicadalla stessa dettata per le gare di sci, è direttamente imputabile al C.O.N.I., al quale sono istituzionalmentedemandate le funzioni di regolamentazione, controllo e coordinamento, aisensi dell’art. 3, L. 6 febbraio 1942, n. 426, della varie attività sportive che si svolgono in <strong>Italia</strong>,e che esso esercita attraverso le Federazioni nazionali, in qualità di suoi organi – in tali attivitàaventi pertanto natura pubblicistica – e non rientra invece nell’autonomia tecnica-organizzativa– di natura privata – di ciascuna Federazione di una singola gara. Di conseguenza il rilasciodel relativo certificato di omologazione nazionale da parte di quest’ultima rende responsabiledirettamente il C.O.N.I. per i danni riportati da un concorrente a seguito di incidenteverificatosi per mancato rispetto, invece, di prescrizioni tecniche, aventi natura di norme interne(quali la mancanza di zone di caduta, all’esterno delle curve, prive di ostacoli, e idoneaprotezione di quelli contro i quali i concorrenti possono esser proiettati)”. Al riguardo, occorreperaltro notare come la pronuncia de qua sia temporalmente precedente al citato d.lgs n.242/1999, mediante cui è stato attuato il riordino del C.O.N.I. e che ha abrogato la l. n.


SAGGI 155Dai casi presentatisi e dall’evoluzione del panorama normativo, sembrerebbecosì di poter evincere un possibile criterio da adottare agli effettidell’attribuzione della responsabilità anche al C.O.N.I. o alle sole Federazionisportive, facente leva sulla “doppia natura” giuridica di queste ultime,e che porterebbe ad affermare la responsabilità del C.O.N.I., ogniqualvoltal’attività svolta nel caso concreto dalla singola Federazione abbia valenzapubblicistica ( 14 ), ed invece la responsabilità della sola Federazione per l’attivitàrientrante nell’autonomia tecnico-organizzativa di natura privata dellastessa.Il discrimine dovrebbe quindi rinvenirsi fra il perseguimento, da partedelle Federazioni, dei fini istituzionali propri del C.O.N.I., e la realizzazioneinvece, da parte delle medesime, delle proprie autonome finalità, quindi426/1942, istitutiva dello stesso Comitato. Tale riordino, da un lato, ha formalmente comportatoil venir meno del rapporto organico che legava il C.O.N.I. alle diverse Federazioni sportive,dall’altro – come già ricordato – ha attribuito la personalità giuridica di diritto privato aqueste ultime, le quali, dunque, oggi sono sicuramente autonomi centri di imputazione giuridica:ne discende, pertanto, come è stato correttamente osservato (Campione, Attività sciisticae responsabilità civile, Padova, 2009, p. 372 ss., spec. p. 374 e p. 376, ove ampie informazionisul procedimento di omologazione delle piste), che, qualora un atleta riporti dai danni acausa del mancato rispetto delle norme regolamentari che presiedono all’omologazione dellapista, la legittimazione passiva della F.I.S.I. non potrà attualmente essere messa in discussione,dal momento che l’omologazione – oggi come ieri – ha luogo proprio grazie all’esclusivoapporto dei suoi tecnici. Accanto alla responsabilità della F.I.S.I., potrebbe poi intravvedersianche una responsabilità concorrente della società sportiva organizzatrice della competizionee dei giudici di gara per la mancata rilevazione e/o segnalazione di difetti di sicurezzaatti a comportare la revoca del certificato di idoneità della pista interessata.( 14 ) L’art. 23, comma 1°, dello Statuto del C.O.N.I. attribuisce valenza pubblicistica esclusivamentealle attività delle Federazioni sportive nazionali relative “all’ammissione e all’affiliazionedi società, di associazioni sportive e di singoli tesserati; alla revoca a qualsiasi titolo ealla modificazione dei provvedimenti di ammissione o di affiliazione; al controllo in ordine alregolare svolgimento delle competizioni e dei campionati sportivi professionistici; all’utilizzazionedei contributi pubblici; alla prevenzione e repressione del doping”; nonché alle attivitàrelative “alla preparazione olimpica e all’alto livello della formazione dei tecnici, all’utilizzazionee alla gestione degli impianti sportivi pubblici”. Ma è opportuno ricordare anchequanto stabilito dal successivo comma 1°-bis, ai sensi del quale “nell’esercizio delle attività avalenza pubblicistica, di cui al comma 1°, le Federazioni sportive nazionali, si conformanoagli indirizzi e ai controlli del C.O.N.I. ed operano secondo principi di imparzialità e trasparenza.La valenza pubblicistica dell’attività non modifica l’ordinario regime di diritto privatodei singoli atti e delle situazioni giuridiche soggettive connesse”; disposizione, quest’ultima,introdotta con deliberazione del 26.2.2008, alla luce della quale vi è chi ritiene che oggi la tesidella natura “mista” delle Federazioni dovrebbe essere rimeditata, « nel senso di affermarne lapiena natura privatistica anche rispetto alle attività “a valenza pubblicistica” da queste svolte »:così Romano, L’organizzazione dell’attività sportiva, cit., pp. 117-118.


156 CONTRATTO E IMPRESA 1/2011tra attività pubblicistica e attività privatistica delle Federazioni; sul primo tipodi attività il C.O.N.I. avrebbe certamente un pieno potere di controllo equindi la relativa responsabilità, mentre sull’attività di natura privatisticanon avrebbe poteri di diretto controllo, e quindi la responsabilità ricadrebbeunicamente sulla singola Federazione ( 15 ).A seguito del riordino attuato a mezzo del d.lgs. 23.7.1999, n. 242, formalmentevenuto meno il rapporto organico fra Federazioni e C.O.N.I,quest’ultimo potrà essere coinvolto soltanto in relazione a quelle attivitàdelle Federazioni espressamente qualificate come “a valenza pubblicistica”dall’art. 23, comma 1°, del suo Statuto, ed unicamente laddove, nel casoconcreto, dovessero emergere specifiche negligenze nello svolgimento deisuoi compiti di vigilanza ( 16 ).2. – Venendo, in particolare, all’esame degli obblighi di controllo facenticapo all’organizzatore, deve rilevarsi che gli stessi appaiono evidentementetanto più incisivi, quanto più complessa è l’attività organizzativa richiestadalle singole competizioni sportive ( 17 ).( 15 ) In tal senso, Grassani, La responsabilità risarcitoria delle federazioni, cit., p. 32.( 16 ) Con specifico riguardo all’attività di omologazione delle piste svolta dalla F.I.S.I., si v.Campione, Attività sciistica e responsabilità civile, cit., pp. 376-377, il quale ritiene che il veniremeno del rapporto organico fra C.O.N.I. e Federazioni non sia, di per sé, sufficiente adescludere la concorrente responsabilità del C.O.N.I. per i danni eventualmente derivati agliatleti. Tale conclusione viene giustificata alla luce dei già ricordati compiti di coordinamentoe di controllo sulle Federazioni che, a tutt’oggi, il Comitato svolge e specialmente alla luce diquanto prescritto dall’art. 7, comma 2°, lettera e) del d.lgs. n. 242/1999, che attribuisce allagiunta nazionale del C.O.N.I. il potere di controllo sulle Federazioni “in merito al regolaresvolgimento delle competizioni” e dall’art. 23 dello Statuto del C.O.N.I., che fa rientrare neicompiti a valenza pubblicistica attribuiti alle Federazioni il “controllo in ordine al regolare svolgimentodelle competizioni”: ed infatti, secondo l’a. citato, l’omologazione della pista potrebbefarsi rientrare proprio nell’ambito dei controlli inerenti alla regolarità delle gare, deputati allaFederazione, che, in tale ambito, è tuttavia soggetta ai poteri di controllo del Comitato di vertice,del quale potrebbe quindi parimenti prefigurarsi la responsabilità. Per un accenno inquesto senso, sia pur in termini più generali, si v. anche Agostinis, Brevi note in materia di responsabilitàdell’organizzatore di competizioni sportive e della Federazione per gli infortuni subitidagli atleti, in Rass. dir. econ. sport, 2010, pp. 180-181.( 17 ) Sull’organizzazione di eventi sportivi in chiave prettamente economica, con particolareriguardo ai diritti mediatici sugli eventi sportivi, si v. Indraccolo, L’organizzazione dieventi sportivi, in Manuale di diritto sportivo, a cura di Di Nella, Napoli, 2010, p. 177 ss.; sui dirittitelevisivi sportivi, si v. anche Di Nella, La commercializzazione dei diritti audiovisivi suglieventi sportivi, in I contratti del turismo, dello sport e della cultura, a cura di Delfini e Morandi,in Trattato dei contratti, diretto da Rescigno e Gabrielli, Torino, 2010, p. 838 ss.; Cuffaro,Diritti audiovisivi, diritti di archivio, proprietà delle riprese: epicedio del diritto di cronaca, inFenomeno sportivo e ordinamento giuridico, Atti del 3° Convegno Nazionale S.I.S.Di.C., Na-


SAGGI 157Al riguardo, si distingue fra “competizione sportiva” e “manifestazionesportiva”, nel senso che la prima consisterebbe in un incontro individualeod a squadre che avrebbe per scopo quello di raggiungere un risultato inuna sola e ben determinata disciplina sportiva (incontro di calcio, regata velicacon un solo tipo di imbarcazione, corsa automobilistica con una solaclasse di autovetture …); si avrebbe invece una vera e propria manifestazionesportiva, ogniqualvolta si organizzi un insieme di competizioni, ciascunacon propria autonomia e individualità, che si svolgano in uno stesso contestoanche se a tratto successivo (torneo di tennis con singolari, doppi, femminilie maschili; regata velica con più tipi di imbarcazioni, corsa automobilisticacon più classi di veicoli …) ( 18 ).È quindi evidente che una “manifestazione” sportiva richiederà una piùcomplessa organizzazione e comporterà più articolate responsabilità degliorganizzatori, anche avuto riguardo alla necessaria presenza di preposti edall’imputazione di responsabilità agli organizzatori anche ex art. 2049 c.c.Occorre tenere presente, innanzitutto, che, laddove vi è competizionespettacoloo manifestazione-spettacolo, si pone un problema di garanziadell’ordine pubblico, e ciò, sia al fine di salvaguardare l’incolumità degliatleti e degli spettatori, che agli effetti dell’integrità dei risultati sportivi.La presenza delle forze dell’ordine (vigili del fuoco, carabinieri, pubblicasicurezza, ecc.) appare quindi necessaria, e l’organizzatore che non la attivitempestivamente potrà incorrere in responsabilità ( 19 ).In merito ai rapporti fra l’organizzatore e le forze dell’ordine, si può peraltroaffermare che il primo conserva piena autonomia quanto agli aspettitecnici delle manifestazioni sportive, e che comunque le forze dell’ordinesono tenute ad intervenire soltanto ove non sia possibile all’organizzatoretutelare diversamente la pubblica incolumità ed assicurare la regolarità dellecompetizioni ( 20 ).Gli essenziali aspetti che, costituendo fattori di rischio, rientrano negliobblighi di controllo dell’organizzatore, sono ( 21 ):a) l’idoneità e la sicurezza del luogo in cui si svolge la manifestazione e degliimpianti che vengono utilizzati;b) l’idoneità e la sicurezza dei mezzi tecnici utilizzati, siano essi forniti omeno dall’organizzatore medesimo;poli, 2009, p. 543 ss.; Zeno-Zencovich, La statalizzazione dei “diritti televisivi sportivi”, ibidem,p. 585 ss.( 18 ) Dini, L’organizzatore, cit., p. 418 ss.( 19 ) Dini, L’organizzatore, cit., p. 422 ss.( 20 ) Dini, L’organizzatore, cit., p. 423.( 21 ) Dini, L’organizzatore, cit., p. 424.


158 CONTRATTO E IMPRESA 1/2011c) l’idoneità dell’atleta a partecipare alla competizione, sia in ragione dellasua esperienza ( 22 ), che per le sue condizioni psico-fisiche ( 23 ).Agli effetti di queste complesse verifiche, l’organizzatore si avvale dipropri collaboratori (cronometrista, medico sportivo, allenatore), del cuioperato risponde: in particolare, risponderà propriamente ex artt. 1228 e/o2049 c.c., rispettivamente con riguardo ai danni da inadempimento ed ai fattiilleciti provocati dai propri preposti agli atleti, in ipotesi legati contrattualmenteall’organizzatore, ed agli spettatori paganti, mentre risponderà ex art.2049 c.c. degli illeciti commessi dai propri dipendenti o collaboratori a caricodegli spettatori non paganti e comunque dei terzi ( 24 ).( 22 ) A tal proposito, può richiamarsi il caso deciso da Cass. Pen., 21.2.1995, n. 6478, in Riv.dir. sport., 1996, p. 302, per la quale “rispondono di omicidio colposo i componenti del Consigliodirettivo della Lega Navale <strong>Italia</strong>na, i quali abbiano organizzato una gara di pesca al traino,omettendo di adottare le misure necessarie ad evitare l’evento dannoso”; nella fattispecie,è stata affermata la responsabilità della Lega per aver ammesso alla competizione il gareggiante,poi deceduto in seguito a naufragio, gravato da una limitazione di navigabilità entro lesei miglia, pur in previsione di un campo di gara in alto mare. Sulla vicenda di specie si sonopronunciati nei gradi di merito, Trib. Brindisi, 15.5.1991, ibidem, 303 e App. Lecce, 18.1.1994,ibidem, 303.( 23 ) Sul punto, Di Ciommo-Viti, La responsabilità civile, cit., p. 291, alla cui stregua, l’organizzatore“potrebbe risultare adempiente a quest’onere anche semplicemente predisponendoun adeguato servizio medico di controllo”. Secondo Beghini, L’illecito civile e penalesportivo, Padova, 1999, p. 103, “nel caso di competizioni sportive che comportino un impegnofisico particolarmente elevato, egli [l’organizzatore n.d.a.] è anche tenuto a controllare l’idoneitàpsico-fisica degli atleti mediante accertamenti sanitari, avvalendosi eventualmente deimedici federali o di personale comunque specializzato. Se l’atleta è stato ritenuto idoneo dallacompetente federazione, l’organizzatore non deve effettuare alcun altro controllo medico”.( 24 ) Profilo connesso è quello, tuttora discusso, dell’eventuale responsabilità vicaria dell’organizzatoreper gli eventi lesivi provocati con condotte illecite dagli atleti – particolarmentese allo stesso legati da rapporto di lavoro subordinato – ad altri gareggianti, sul quale si vedanole riflessioni ed i riferimenti anche giurisprudenziali di Liotta, Attività sportive e responsabilitàdell’organizzatore, cit., p. 89 ss., spec. p. 97 ss., il quale conclude nel senso che, poiché“l’attività degli atleti soddisfa in maniera diretta l’interesse fondamentale dell’organizzatoresportivo consistente nell’effettiva realizzazione e messa in scena dello spettacolo programmato[…] è giocoforza concludere che […] i risultati dell’attività dell’agonista conforme alleregole del gioco ricadono a tutto vantaggio dell’organizzatore”, con conseguente applicabilitàa quest’ultimo, anche alla stregua del principio cuius commoda eius et incommoda, dell’art.2049 c.c. . Per una critica a tale assunto, ma con specifico riguardo all’organizzatore di gare disci e agli atleti che vi partecipano, Campione, Attività sciistica e responsabilità civile, cit., pp.382-383, il quale, sulle orme di Giannini, La responsabilità civile degli organizzatori di manifestazionisportive, in Riv. dir. sport., 1986, p. 279, osserva che l’atleta “oltre ad esercitare l’attivitàagonistica in maniera del tutto indipendente […] prende comunque parte alla competizionenel proprio ed esclusivo interesse, tanto più che la sua prestazione riveste un’estrinsecazione


SAGGI 159Diversamente avviene invece per l’ufficiale di gara, appartenente edinviato dalla rispettiva Federazione con funzione di arbitro o giudice;questi, infatti, non ha rapporto con l’organizzatore, né con l’atleta, e quindil’illecito, da questi eventualmente posto in essere, interesserà verosimilmentesoltanto la sua Federazione di appartenenza, ai sensi dell’art.2049 c.c. ( 25 ).In particolare, per le situazioni in cui l’arbitro è l’unico ad avere un direttoed immediato controllo sulla possibile fonte di danno (es. verifica regolaritàscarpe da gioco; interruzione del gioco in un incontro di boxe o dikarate), la responsabilità sarà dell’arbitro e non dell’organizzatore ( 26 ), ed inindividuale (ricerca dell’affermazione) che non è in rapporto causale con l’attività dell’organizzatore”.Criticamente anche Tortora, Izzo, Ghia, Guarino, Danese, Nucci, Naccarato,Casolino, Novarina, Diritto sportivo, in Giurisprudenza sistematica di diritto civile e commerciale,fondata da Bigiavi, Torino, 1998, pp. 133-134; Izzo, Le responsabilità nello sport, direttoda Izzo, Merone, Tortora, in Giurisprudenza sistematica di diritto civile e commerciale,fondata da Bigiavi, Torino, 2007, p. 145; Lepore, La responsabilità nell’esercizio e nell’organizzazionedelle attività sportive, in Manuale di diritto dello sport, a cura di Di Nella, Napoli,2010, p. 281, il quale afferma che il riferimento all’art. 2049 c.c. “si mostra più convincente sericondotto non tanto al rapporto tra organizzatore e atleta, quanto a quello tra il sodaliziosportivo – che soltanto in alcuni casi può rivestire il ruolo di organizzatore – e il proprio tesserato”.Per un riferimento a quest’ultima ipotesi, si v. Trib. Monza, 5.6.1997, in Riv. dir. sport.,1997, p. 758, ove si legge che “Qualora risulti accertato che l’infortunio occorso ad un atletadurante una competizione sportiva, anche contraddistinta da elevato agonismo (nella specie,una partita ufficiale di hockey su pista), è stato provocato da un gesto avulso dalla dinamica delgioco e diretto a ledere l’avversario, va dichiarata la responsabilità solidale dell’autore del gestoe della società sportiva nelle cui file quest’ultimo militava”; ma in senso contrario, Trib.Bari, 10.6.1960, in Dir. e giur., 1963, p. 81, con nota di Scognamiglio, che ha escluso l’applicabilitàdell’art. 2049 c.c. alla società sportiva di appartenenza del calciatore resosi responsabiledel fallo. Nel senso che la responsabilità del sodalizio sportivo di appartenenza per l’illecitoposto in essere dall’atleta possa essere affermata ex art. 2049 c.c. solo dopo aver valutato l’effettivasussistenza, nel caso di specie, di un potere di direzione e vigilanza, Frattarolo, Laresponsabilità civile per le attività sportive, Milano, 1984, p. 94; Lepore, Responsabilità civile etutela della “persona-atleta”, Napoli, 2009, p. 230 ss. A tal riguardo, è indubbio che tale poterevi sia ove si tratti di atleta professionista, il quale, secondo quanto stabilito dall’art. 3, l.23.3.1981, n. 91, è un lavoratore subordinato (Bona, Castelnuovo, Monateri, La responsabilitàcivile nello sport, cit., p. 46 e p. 71).( 25 ) Dini, L’organizzatore, cit., p. 425.( 26 ) In tal senso, Beghini, L’illecito civile e penale, cit., p. 107, il quale, dopo aver affermatoche il giudice di gara ha una posizione di garanzia in relazione all’integrità fisica degli atleti,afferma che lo stesso può incorrere in responsabilità, in concorso con il giocatore, qualoranon abbia preso i provvedimenti necessari al fine di evitare che il fatto lesivo si verificasse; alriguardo, l’a. fa appunto l’esempio dell’arbitro che abbia concesso all’atleta di giocare con tacchettinon regolamentari, o che non sospenda l’incontro di boxe, pur rendendosi conto dellecondizioni precarie di uno dei contendenti, contribuendo a provocare la morte del pugile.


160 CONTRATTO E IMPRESA 1/2011relazione al suo operato potrà essere chiamata a rispondere anche la Federazionedi appartenenza.L’organizzatore di una manifestazione sportiva è tenuto ad osservare, alfine di assolvere i propri obblighi di controllo, una pluralità di disposizioni,finalizzate alla realizzazione della sicurezza dell’evento sportivo, quali essenzialmente:a) prescrizioni della legge in senso stretto; b) norme regolamentarisportive; c) principi generali di comune prudenza ( 27 ).In particolare, chi organizza un evento sportivo a pagamento in luogopubblico o aperto al pubblico è tenuto a richiedere la licenza alla questura,secondo quanto previsto dagli artt. 68 e 71 del r.d. 18.6.1931, n. 773 ( 28 ), mentreinvece, se la manifestazione è sprovvista di qualsivoglia finalità di lucro,sarà sufficiente un preavviso di tre giorni all’autorità locale, salva la facoltà,per quest’ultima, di invitare i promotori a munirsi della licenza prescrittadall’articolo 68 del r.d. 18.6.1931, n. 773 medesimo, e ad informare tempestivamentela questura, qualora ravvisi che l’evento assuma i caratteri dellospettacolo e/o intrattenimento pubblico, ai sensi dell’art. 123, r.d. 6.5.1940,n. 635 ( 29 ).La licenza in questione, ove necessaria, viene concessa a condizioneche l’organizzatore appresti ripari materiali per il pubblico e fornisca serviziodi assistenza sanitaria per i casi di infortunio ( 30 ).Non sembra comunque che l’eventuale difetto dell’autorizzazione, dicui trattasi, possa di per sé spiegare influenza nell’accertamento delle responsabilitàin capo all’organizzatore, in presenza di eventi dannosi ( 31 ).( 27 ) Bertini, La responsabilità sportiva, cit., p. 122; Conrado, Ordinamento giuridico e responsabilitàdell’organizzatore di una manifestazione sportiva, in Riv. dir. sport., 1991, p. 9; Perseo,Sport e responsabilità, in Riv. dir. sport., 1961, pp. 277-278; Lepore, La responsabilità nell’esercizioe nell’organizzazione delle attività sportive, cit., p. 282, il quale sottolinea che “qualsiasidisposizione sportiva riveste sempre un ruolo sussidiario rispetto ai canoni generali diprudenza, che non possono essere abbandonati”: ne deriva che “sarà sempre necessario svolgereun accertamento concreto del comportamento tenuto dall’organizzatore anche oltre ilrispetto delle safety rules, le quali, da sole, possono non coprire tutte le ipotesi di responsabilitàdei soggetti coinvolti negli incidenti”.( 28 ) Recante l’“Approvazione del testo unico delle leggi di pubblica sicurezza”.( 29 ) Portante l’“Approvazione del regolamento per l’esecuzione del testo unico 18 giugno1931, n. 773 delle leggi di pubblica sicurezza”. Occorre comunque tenere presente che la CorteCostituzionale, con pronunzia del 15.4.1970, n. 56, in Foro it., 1970, I, c. 1293, ha dichiaratol’incostituzionalità dell’art. 68 del richiamato R.D. 18.6.1931, n. 773, nella parte in cui prescriveche per gli intrattenimenti da tenersi in luoghi aperti al pubblico e non indetti nell’eserciziodi attività imprenditoriali, occorre la licenza; deve infatti ritenersi non assoggettata a talelicenza l’organizzazione dell’evento che difetti di quella natura imprenditoriale che ne giustificae impone il rilascio.( 30 ) Art. 119, R.D. 6.5.1940, n. 635, cit.( 31 ) Bertini, La responsabilità civile, cit., p. 124 ss.; Conrado, Ordinamento giuridico e re-


SAGGI 161L’organizzatore dovrà inoltre vagliare l’idoneità del luogo prescelto al finedel regolare svolgimento della gara e della sicurezza dei presenti, e saràinoltre tenuto al rispetto delle disposizioni emanate dalle autorità del luogo,avendo comunque ben presente che per alcuni sport possono essere richiesticontrolli specifici ( 32 ).Cosicché, si può sinteticamente affermare che l’organizzatore di competizionisportive è tenuto a predisporre tutte le misure necessarie per garantirela sicurezza e l’incolumità di gareggianti e spettatori e per prevenire,rispettando anche le norme generali di prudenza e di diligenza, il verificarsidi eventi che possano mettere in pericolo tale sicurezza ed incolumità ( 33 ).Al riguardo, la giurisprudenza afferma infatti che non è sufficiente ilmero rispetto delle prescrizioni regolamentari sportive, ma è necessaria sial’osservanza delle norme generali e particolari di prudenza della singola disciplinasportiva, che il rispetto delle norme comuni di prudenza e diligenza( 34 ).sponsabilità dell’organizzatore di una manifestazione sportiva, cit., p. 9; Perseo, Sport e responsabilità,cit., p. 277.( 32 ) Al riguardo, si veda Cass. Pen., 24.11.2009, n. 4912, massimata in Riv. dir. econ. sport,2010, p. 175 ss. ed ivi commentata da Gentiloni Silveri, Brevi note sulla responsabilità penaledell’arbitro per fatti di reato verificatisi durante la gara: esiste un obbligo giuridico di impedirel’evento?, nonché per esteso in DeJure, che ha riconosciuto la responsabilità penale, per omicidiocolposo, dell’organizzatore (in concorso con quella del direttore di gara) di una competizionemotociclistica enduro, per non aver rispettato le prescrizioni imposte dall’autorizzazioneprefettizia con riguardo alla predisposizione del tracciato di gara: nella specie, la sospensionetemporanea della circolazione da parte di tutti i veicoli non interessati alla gara e ladislocazione lungo tutto il percorso, ed in particolare nei tratti chiusi al traffico, di personalequalificato munito di bandierine di segnalazione, prescrizioni entrambe disattese.( 33 ) Al riguardo, si sottolineano in dottrina i due essenziali profili dell’individuazione dellemisure idonee ad evitare il danno e della prova dell’adozione di tali misure: in tal senso,Galligani-Piscini, Riflessioni, cit., p. 117. Si veda inoltre Trib. S. Maria Capua Vetere,31.3.1998, in Gius., 1998, p. 2935, per il quale “l’organizzatore di un torneo di calcio non è responsabileper i danni subiti da un calciatore durante una partita a causa di un colpo ricevutoda un avversario, trattandosi di evento prevedibile ma non prevenibile mediante l’osservanzadei regolamenti sportivi e delle altre regole di prudenza e diligenza”.( 34 ) Cass., 28.2.2000, n. 2220, in Danno e resp., 2000, p. 614, con nota di Di Ciommo, che,in relazione all’organizzazione di una gara di sci, ha affermato che l’esclusione di una colpaspecifica degli organizzatori attenutisi alle prescrizioni del regolamento tecnico della F.I.S.I.,“non comporta automaticamente anche quella di una colpa generica degli stessi organizzatori,e cioè una condotta caratterizzata da negligenza o imprudenza o imperizia, secondo la previsionedell’art. 43 c.p. (valevole anche per la nozione di colpa ex art. 2043 c.c.)”; Cass.,16.1.1985, n. 97, cit., che, in relazione all’organizzazione di una partita di hockey su ghiaccio,nel corso della quale uno spettatore era stato colpito dal disco, ha escluso che l’osservanza deiregolamenti di gara del C.O.N.I. potesse esimere l’organizzatore dalla responsabilità, attesal’ininfluenza dei regolamenti anzidetti nei riguardi degli spettatori, nonché il loro ruolo su-


162 CONTRATTO E IMPRESA 1/2011L’organizzatore dovrà quindi prevedere a priori, secondo il criterio dellaprevedibilità ex ante, qualsiasi rischio di eventi lesivi che possa essere originatodall’espletamento dell’attività o della manifestazione sportiva insvolgimento ( 35 ).È quindi necessaria un’attività di specifica e complessa programmazionein ordine alla sicurezza dell’evento sportivo da organizzare, mediante la“previsione di tutto il prevedibile, al di là delle prescrizioni statuali e regolamentaridi settore, e con una valutazione in concreto di ogni strumento voltoa contenere il rischio nei limiti confacenti alla specifica attività sporti-bordinato rispetto alla legge e, segnatamente, all’art. 2043 c.c.; Trib. Milano, 23.2.2009, n.2430, cit., ove si legge che l’organizzatore “è tenuto a predisporre tutte le misure necessarie agarantire la sicurezza e l’incolumità degli atleti, rispettando, oltre che le prescrizioni specifiche,anche le norme generali di prudenza”; Trib. Busto Arsizio, 22.2.1982, in Riv. dir. sport.,1982, p. 570, ove si afferma che “la responsabilità dell’organizzatore di una gara motociclisticaper l’incidente occorso ad un concorrente, deve essere valutata non solo in rapporto alla osservanzadelle regole generali e particolari della materia ma anche al rispetto delle comuninorme di diligenza e prudenza”; Trib. Rovereto, 5.12.1989, in Riv. dir. sport., 1990, p. 498, cheha affermato la responsabilità di una società organizzatrice di una gara di tamburello per le lesioniderivate ad uno spettatore colpito all’occhio dalla pallina, a fronte della mancata adozionedi idonee misure di protezione suggerite dalla comune esperienza e dall’ordinaria prudenzae diligenza, anche se tali misure non erano espressamente imposte da alcuna disposizionee nonostante il campo fosse stato omologato dalla Federazione <strong>Italia</strong>na Palla Tamburello;Trib. Napoli, 21.5.1986, in Riv. dir. sport., 1986, p. 466, che, nel configurare in capo agliorganizzatori l’obbligo di rispettare il generale principio del neminem laedere posto a tutela deidiritti assoluti, ha affermato la responsabilità degli organizzatori di una gara ippica per la perditadi un cavallo provocato dallo slittamento dell’autostart, in un’ipotesi in cui lo svolgimentodella stessa gara era stato imposto nonostante la presenza di avverse e proibitive condizioniclimatiche che avevano determinato l’instaurarsi di una situazione di manifesta pericolositàper il regolare svolgimento della competizione. In dottrina, insiste sul profilo della necessariaosservanza anche delle norme comuni di diligenza e prudenza, Stanca, Natura della responsabilitàdell’organizzatore di gare sportive e criterio della sua imputazione, in Rass. dir. econ.sport, 2010, pp. 157-158; contra Bertini, La responsabilità sportiva, cit., p. 135, che infatti, in lineacon autorevole dottrina dal medesimo citata, afferma che “quantomeno per il danno risentitodallo sportivo, il rispetto da parte dell’organizzatore delle norme regolamentari sportivesarà tendenzialmente sufficiente a escluderne la responsabilità, essendo ragionevole supporreche la norma federale abbia preventivamente contemperato le esigenze della gara conquelle di incolumità dei partecipanti”.( 35 ) Al riguardo, Cass. Pen., 21.2.1995, n. 6478, cit., che ha riconosciuto la responsabilitàper omicidio colposo della Lega Navale <strong>Italia</strong>na, per “non aver predisposto, a mezzo di natanti,un servizio di assistenza in mare; [. . .] non aver informato dello svolgimento della garala competente Capitaneria di Porto che, quindi, non aveva attuato servizi speciali di sicurezzaed aveva potuto intervenire soltanto in ritardo; [. . .] non aver disposto un efficiente e continuoservizio di ascolto radio con conseguente ritardata ed indiretta ricezione della notizia delledifficoltà della imbarcazione poi naufragata”.


SAGGI 163va” ( 36 ) (cd. rischio “consentito”), entro i quali infatti nessuna responsabilitàpuò, in linea di principio, essere addebitata – neppure – all’organizzatore ( 37 ).Per le lesioni che invece vengano arrecate oltre i confini del rischio accettabilenella specifica disciplina o manifestazione, si tende ad affermareche il nesso di causalità fra l’attività dell’organizzatore e l’evento lesivo potràdirsi interrotto soltanto in caso di “fatto del terzo o della vittima, o in casodi identificazione di una specifica causa estranea non imputabile alla sferagiuridica dell’organizzatore” ( 38 ), che avrà quindi, in definitiva, l’onere diprovare il caso fortuito per non incorrere in responsabilità ( 39 ).( 36 ) Così, Galligani-Piscini, Riflessioni, cit., p. 118. Sulla mancanza di responsabilitàdell’organizzatore che contenga il rischio di lesioni entro quello cd. “consentito”, si veda altresì,nuovamente, Cass., 27.10.2005, n. 20908, cit., per la quale “l’attività agonistica implical’accettazione del rischio ad essa inerente da parte di coloro che vi partecipano, intendendosiper tali non solo gli atleti in gara ma tutti quelli (come gli arbitri, i guardalinee, i guardaporte,i meccanici, i tecnici, gli assistenti, ecc.) che sono posti al centro o ai limiti del campo di gara,per compiere una funzione indispensabile allo svolgimento della competizione, assicurandoneil buon andamento, il rispetto delle regole, la correttezza dei comportamenti e la trasparenzadei risultati. Sicché, i danni da essi eventualmente sofferti ad opera di un competitore,rientranti nell’alea normale, ricadono sugli stessi ed è sufficiente che gli organizzatori, al finedi sottrarsi ad ogni responsabilità, abbiano predisposto le normali cautele idonee a contenereil rischio nei limiti confacenti alla specifica attività sportiva, nel rispetto di eventuali regolamentisportivi. Il relativo accertamento è demandato alla valutazione del giudice del merito,che è insindacabile in sede di legittimità se congruamente e logicamente motivato. (Nellaspecie, la S.C., rigettando il ricorso, ha rilevato l’adeguatezza e logicità della motivazione dellasentenza di appello, con cui, in relazione allo svolgimento di una gara di sci, si era escluso –anche in ordine alla possibile configurabilità della corresponsabilità per atto illecito del “club”organizzatore – che un concorrente avesse tenuto una condotta anomala, rientrando l’incontrollatosbandamento nel rischio tipico ed ordinario dello slalom gigante, tenuto conto, altresì,che il guardaporte, investito dal concorrente medesimo, al fine di compiere l’attività demandatagli,era libero di scegliere la postazione che riteneva opportuna, non esistendo alcunanorma regolamentare o, più genericamente, di prudenza che imponesse all’organizzatoredella gara di disporre in merito)”.( 37 ) Né ad alcun altro soggetto coinvolto nell’evento sportivo, atleti compresi; in tal senso,Galligani-Piscini, Riflessioni, cit., p. 118 ss.( 38 ) Bona, Castelnuovo, Monateri, La responsabilità civile nello sport, ne Le nuove frontieredella responsabilità civile, collana diretta da Monateri, Milano, 2002, p. 43.( 39 ) Per tali rilievi si veda Facci, La responsabilità civile nello sport, in Resp. civ., 2009, p.651, in tema di incidenti occorsi durante le partite di calcio professionistico, nelle quali l’organizzatoredell’evento sportivo sarebbe responsabile ex art. 2050 c.c., in tema di attività pericolosa,con conseguente applicazione della prova liberatoria consistente nella dimostrazionedel “caso fortuito che interrompe il nesso causale tra l’attività pericolosa e l’evento, nel sensoche il danno verificatosi deve risultare del tutto estraneo al potere di controllo dell’esercente;inoltre, la condotta del terzo può escludere la responsabilità dell’esercente soltanto quandosussista un giudizio di non pertinenza tra il danno ed il rischio creato”. Per l’applicazione di


164 CONTRATTO E IMPRESA 1/2011Inoltre, in sede di applicazione pratica, si è assistito di frequente ad unavalutazione della prevedibilità, da parte della giurisprudenza, secondo uncriterio “a posteriori”, anziché – come più sopra evidenziato come necessario– “ex ante”, e cioè alla stregua, per così dire, dell’equazione per cui lostesso verificarsi dell’evento lesivo, nonostante l’osservanza delle normeregolamentari per la sicurezza dell’impianto e dei luoghi, sarebbe di per séindice della sua prevedibilità ( 40 ).Numerosi sono infatti i casi che si annoverano a tal riguardo.È stata ad esempio affermata la responsabilità di una associazione chegestiva un circolo sportivo di squash, che, durante un incontro ufficiale iviospitato, pur avendo rispettato tutte le prescrizioni regolamentari in temadi sicurezza, non aveva previsto che un colpo anomalo avrebbe potuto scavalcarele protezioni e colpire gli spettatori ( 41 ); nonché la responsabilitàdella società di calcio per le lesioni riportate da uno spettatore in seguitoalla caduta dovuta alla presenza sulle gradinate di frammenti di vetro e dialtri rifiuti ( 42 ), e addirittura per le lesioni causate dal lancio di monete al-tali principi in tema di responsabilità dell’organizzatore per gli eventi lesivi rientranti nel suopotere di controllo, si veda Trib. Milano, 22.9.2008, n. 11133, in Giustizia a Milano, 2008, n. 9p. 59, che ha condannato il proprietario di una pista di go-kart per le lesioni riportate dal pilotain seguito all’urto contro le barriere montate per evitare l’uscita di strada, nonostante l’uscitadi strada stessa fosse stata provocata da un contatto con un altro mezzo, affermando al riguardoche, “nel caso in cui il pilota di un go-kart, durante una competizione sportiva, esca distrada e urtando la struttura rigida di recinzione si ferisca la mano e la testa, deve essere riconosciutala responsabilità del proprietario del circuito ex art. 2043 c.c. Infatti, il fatto stesso chel’urto contro la recinzione predisposta per frenare la fuoriuscita dalla pista dei veicoli, abbiacausato delle lesioni al pilota, comporta il conseguente giudizio di inadeguatezza della stessacon il conseguente obbligo di risarcimento dei danni. Irrilevante è da ritenersi il fatto che l’uscitadi strada del go-kart sia stata preceduta da un urto da parte di un veicolo concorrente cheeffettuava una regolare manovra di tentativo di sorpasso”.( 40 ) Nello stesso senso, Galligani-Piscini, Riflessioni, cit., p. 117.( 41 ) Trib. Milano, 12.11.1992, in Riv. dir. sport., 1993, p. 499.( 42 ) Trib. Roma 5.2.1992, n. 1393, in Riv. dir. sport., 1992, p. 90, con nota di Bellantuono,la quale, peraltro, ha affermato la responsabilità della S.S. Lazio, sulla base dell’art. 2043 c.c.,solo nella misura del 25%, ritenendo che per il restante 75% questa dovesse essere ascritta allospettatore che, invece di attendere lo sfollamento della massa degli spettatori, con graveimprudenza e senza la necessaria attenzione, aveva sceso i gradini, nonostante la ressa e la visibilepresenza per terra dei detti detriti. Nella giurisprudenza di merito più risalente, in relazionead analogo incidente, la responsabilità della società calcistica era invece stata negata:sul punto, si v. Trib. Roma, 28.6.1957, in Riv. dir. sport., 1959, p. 155, con nota di Tondi, che haescluso la responsabilità della A.S. Roma, osservando la presenza dei frammenti di vetro perterra avrebbe ben potuto essere “conseguenza della caduta di qualche bottiglia avvenuta pocoprima dell’avverarsi del sinistro. Non si deve dimenticare infatti che, durante le partite, lostadio è particolarmente affollato e che non è controllabile, quindi, da chi di dovere, il com-


SAGGI 165l’interno dello stadio ( 43 ). Si può inoltre annoverare, nel medesimo contesto,il caso in cui fu affermata la responsabilità dell’organizzatore di unagara di atletica e della Federazione di riferimento, per omissione di cautelenell’ammettere un minore al riscaldamento in campo mentre si svolgevail riscaldamento di altro atleta in preparazione della gara di lancio delmartello ( 44 ).In un caso risalente, durante la partita Fiorentina-Juventus, si era verificatoil cedimento di 12 metri di balaustra dello stadio di Firenze, a causadella pressione della folla dei tifosi, molti dei quali precipitarono sugli spettatoriche si trovavano nel parterre, con ferimento di 139 persone; furonoconvenuti in giudizio sia il Comune di Firenze, quale proprietario dello stadio,sia l’Associazione Calcio Fiorentina, quale organizzatrice dell’incontro.La Corte d’Appello di Firenze, nonostante avesse rilevato un vizio dicostruzione della balaustra e quindi l’astratta applicabilità al Comune dell’art.2053 c.c., in tema di rovina di edificio, addossò interamente la responsabilitàall’Associazione Calcio Fiorentina ( 45 ), alla quale imputò di averportamento delle persone che spesso si recano alla partita, anche molto tempo prima che essaabbia inizio. Sicché, il difetto di manutenzione o di pulizia degli impianti, se rapportato allacircostanza da cui si vuol far discendere la colpa dei dirigenti dello Stadio, non sembra possasostenersi nella specie, potendo – come si è detto sopra – la causa del danno essere dipesadal comportamento poco controllabile di terzi”.( 43 ) Al riguardo, Facci, La responsabilità civile nello sport, cit., p. 651, che riferisce di comesia stata ritenuta responsabile ex art. 2050 c.c., una società sportiva di calcio professionistico,che aveva organizzato la manifestazione, per il danno patito da uno spettatore colpitoda un oggetto contundente (moneta), scagliato da un terzo rimasto ignoto, situato in un settorediverso; nella specie, l’a. ricorda che fu respinta la tesi difensiva della società convenutache invocava sia il fatto del terzo sia l’impossibilità di impedire l’introduzione di monete, chepotevano, poi, essere scagliate da un settore all’altro.( 44 ) Trib. Torino, 14.12.2000, in Gius, 2001, p. 2783, per il quale “gli organizzatori di unagara sportiva, e la stessa federazione sotto la cui egida la gara si svolga, sono responsabili perla mancata adozione di regole di prudenza e cautela adeguate al caso anche nella fase di preparazionee di riscaldamento e ciò in particolare laddove alla gara in questione partecipinosoggetti minorenni (nella specie, la federazione organizzatrice della gara sportiva nonché ildirettore di riunione che regolamentava l’accesso al campo, i direttori di campo, l’addetto alsettore, il giudice di gara del lancio, il giudice d’appello – soggetti presenti nel campo al momentodel sinistro – sono stati ritenuti responsabili dei danni occorsi ad un atleta minorenne,al quale era stato, nella fase di riscaldamento, consentito l’accesso al campo mentre era in corsoil riscaldamento di altro atleta impegnato nel lancio del martello)”.( 45 ) App. Firenze, 3.4.1963, in Riv. dir. sport., 1964, p. 235. Su tale vicenda si era pronunciato,in primo grado, Trib. Firenze, 17.10.1961, in Giur. tosc., 1962, p. 83, che aveva condannatosia il Comune che la Fiorentina. La diversa impostazione fatta propria dalla Corte d’Appelloè stata successivamente confermata da Cass., 31.1.1966, n. 363, in Riv. dir. sport., 1967, p.112.


166 CONTRATTO E IMPRESA 1/2011provocato un sovraffollamento dello stadio, ritenuto unica causa del sinistro( 46 ).In un’altra decisione, si è affermato che l’attività di predisposizione delcampo di gara configura attività pericolosa ex art. 2050 c.c., se espone gliatleti a rischi maggiori rispetto a quello consentito nel singolo sport ( 47 ); nel-( 46 ) Deve infatti tenersi presente, al riguardo, che gli impianti sportivi di proprietà comunaleappartengono al patrimonio indisponibile del Comune e possono essere trasferiti nelladisponibilità dei privati soltanto mediante apposite concessioni amministrative. In tal caso,sul Comune può residuare un obbligo di custodia e quindi una responsabilità ex art. 2051 c.c.(oltre che ex art. 2053 c.c.), ma la gestione-organizzazione dell’evento sportivo fa capo all’organizzatore,che quindi ne è comunque responsabile. Sui presupposti di applicabilità della responsabilitàex art. 2053 c.c., in tema di rovina di edificio, in una fattispecie in cui si era verificatoil crollo di un parapetto in un impianto sportivo, si richiama Cass., 14.10.2005, n. 19975,in Giust. civ. Mass., 2005, per la quale “la responsabilità del proprietario per i danni cagionati aterzi dalla rovina dell’edificio sussiste, ai sensi dell’art. 2053 c.c., in dipendenza di ogni disgregazione,sia pure limitata, degli elementi strutturali della costruzione, ovvero degli elementiaccessori in essa stabilmente incorporati; essa integra un’ipotesi particolare di danno da cosein custodia, che impedisce l’applicazione dell’art. 2051 c.c., per il principio di specialità, e puòessere esclusa ove il proprietario fornisca la prova che la rovina non fu dovuta a difetto di manutenzioneo a vizio di costruzione. Benché la norma non ne faccia menzione, ai fini dell’esonerodalla responsabilità è consentita anche la prova del caso fortuito, ovvero di un fatto dotatodi efficacia causale autonoma rispetto alla condotta del proprietario medesimo, ivi compresoil fatto del terzo o dello stesso danneggiato. È inoltre configurabile il concorso tra la colpapresunta del proprietario e quella accertata in concreto del danneggiato, che con la propriacondotta abbia agevolato o accelerato la rovina dell’immobile o di parte di esso. (In applicazionedi tali principi, la S.C. ha cassato la sentenza di merito che aveva rigettato la domanda dirisarcimento del danno proposta nei confronti del titolare di un impianto sportivo per la mortedi un calciatore che, arrampicatosi con una scala di legno sul tetto dello spogliatoio per recuperareil pallone uscito dal terreno di gioco, e superata una rete di recinzione manomessain più punti proprio per consentire l’accesso al solaio, era caduto al suolo a seguito del crollodel parapetto, al quale si era appoggiato per guardare nella strada sottostante)”.( 47 ) Cass., 13.2.2009, n. 3528, in Guida al dir., 2009, 12, p. 30, con nota di Sacchettini e inRass. dir. econ. sport, 2010, p. 141, con nota di Stanca, per la quale “è certo che l’atleta impegnatoin una manifestazione agonistica accetta di esporsi a quegli incidenti che ne rendonoprevedibile la verificazione, perché a produrli vi concorrono gli inevitabili errori del gestosportivo proprio o degli altri atleti impegnati nella gara, come gli errori di manovra dei mezziusati”; “[…] ma è proprio tale insita pericolosità della attività di cui si assume l’organizzazionead imporre che questa non sia aumentata da difetto od errore nella predisposizione dellemisure che debbono connotare il campo di gara, in modo da evitare che si producano anche acarico dell’atleta conseguenze più gravi di quelle normali. Sicché, l’attività di organizzazionedi una gara sportiva connotata secondo esperienza da elevata possibilità di incidenti dannosi,non solo per chi vi assiste, ma anche per gli atleti, è da riguardare come esercizio di attività pericolosa,ancorché in rapporto agli atleti nella misura in cui li esponga a conseguenze più gravidi quelle che possono essere prodotte dagli stessi errori degli atleti impegnati nella gara”; intal caso, infatti, l’eventuale lesione supera il rischio consentito e quindi prevedibile nella sin-


SAGGI 167la specie, durante una corsa con il bob, l’atleta era finito, a causa di un’erratamanovra, contro la staccionata di legno che conteneva la pista e l’urto delcasco aveva fatto staccare una scheggia di legno, la quale aveva ferito gravementeal viso l’atleta, poi caduto in coma. La Suprema Corte ha cassato lasentenza della Corte di Appello, la quale non aveva verificato in concreto, equindi secondo un giudizio di probabilità ex post e non ex ante, se l’attivitàdi predisposizione del campo di gara (mediante l’adozione di tavole di legnodi contenimento della pista) non avesse aumentato la rischiosità dell’eventooltre quella consentita nella specifica attività sportiva. Nessuna indicazioneè stata invece data dalla Suprema Corte circa la necessità di valutarese il materiale utilizzato per il casco fosse idoneo a preservare il capo dell’atletae se lo sbandamento del veicolo avesse contribuito in maniera determinanteal sinistro ( 48 ).Analogo è il recentissimo caso verificatosi ai Giochi Olimpici di Vancouverdel 2010, dove lo slittinista georgiano Nodar Kumaritashvili, uscitodal budello ghiacciato, è andato a battere contro un palo metallico; al riguardo,ci si è chiesti se la pista fosse diventata troppo veloce a causa di problemidi umidità, oppure se l’incidente sia stato provocato dalla ridotta altezzadel muro di contenimento della pista, ovvero dalla mancata protezionedei piloni posti ai margini della stessa, od ancora da un errore dell’atleta.Dai casi analizzati sembra di poter ricavare, in prima approssimazione,i seguenti criteri:– il limite della responsabilità dell’organizzatore nei confronti degli atletiè rappresentato dal rischio consentito in ogni singola attività sportiva,pericolosa o meno; di tal che, se la lesione è contenuta entro detto rischio,l’organizzatore, in linea di principio, non risponde, né risponderàdel danno l’atleta che lo ha provocato;– se invece l’evento lesivo si pone oltre il confine del rischio accettato nellasingola competizione sportiva, verrà in rilievo l’eventuale responsabi-gola disciplina. Acommento della medesima decisione, si richiamano altresì Cerbara, Naturadell’attività di predisposizione del campo di gara, in Riv. dir. econ. sport, 2009, p. 111 ss., e Sesti,Attività di organizzazione di un evento sportivo: l’inefficacia dell’accettazione del rischio daparte dell’atleta, in Resp. civ. prev., 2009, p. 1555 ss.( 48 ) Sempre in tema di predisposizione del campo di gara, ed in linea con la tesi che ravvisala responsabilità dell’organizzatore soltanto quando esponga gli atleti ad un rischio maggioredi quello consentito, si richiama la decisione di Trib. Viterbo, 12.7.2002, in Giur. merito,2003, p. 2191, alla cui stregua “il giocatore di calcetto che abbia subito una lesione pretesamenteper inidoneità del fondo del campo ove si giocava può chiedere di essere risarcito exart. 2043 c.c. allegando la responsabilità dell’organizzatore del torneo nel cui ambito la partitaera stata disputata soltanto se ne prova la colpa nell’avere, per negligenza, scelto un impiantoche a priori apparisse pericoloso sì da potersi prevedere l’evento dannoso seguito nell’usodello stesso”.


168 CONTRATTO E IMPRESA 1/2011lità dell’organizzatore, e si tratterà quindi di verificare se il danno sia statoprovocato dalle particolari modalità organizzative della gara, che abbianoeventualmente esse stesse esposto gli atleti ad un rischio superiorea quello consentito.Nella pratica, la responsabilità dell’organizzatore è stata sovente riconosciutaa fronte della mancanza di agibilità del luogo di esercizio dell’attivitàsportiva, ed a causa della inidoneità dello stesso a garantire, non solo il regolaresvolgimento della competizione, ma anche la sicurezza di pubblico epartecipanti ( 49 ).( 49 ) Frequentemente il profilo della “agibilità” della pista è venuto in questione in tema dirally; si segnala, al riguardo, Cass., 6.5.2008, n. 11040, in Giust. civ., 2008, p. 2136, che, dovendosipronunciare sulle rispettive responsabilità in capo al pilota ed agli organizzatori di unagara di rally, nella quale era stato ferito uno spettatore, ha affermato fra l’altro, quanto al pilota,che “nel caso di danni causati da un pilota di rally nel corso di una competizione su un circuitointerdetto al traffico veicolare, mentre deve escludersi l’invocabilità, da parte della vittima,della presunzione di cui all’art. 2054 c.c. nei confronti del pilota medesimo, la responsabilitàdi quest’ultimo può essere affermata soltanto ove si accerti la grave violazione di regoleminime di diligenza, ovvero del regolamento di gara. Deve, di conseguenza, escludersi che lasola elevatissima velocità tenuta nel corso della gara possa costituire fonte di responsabilitàper il pilota”; quanto invece alla condotta degli spettatori ed alla responsabilità dell’organizzatore,la Suprema Corte ha rilevato che “[…] le circostanze (non più esaminabili nelle presentesede di legittimità) rendono evidente la situazione di pericolo alla quale si esposero glispettatori poi investiti, come rendono evidente che sarebbe stato onere proprio ed esclusivodegli organizzatori della corsa approntare le precauzioni indispensabili al fine di evitare ilconcretizzarsi di tale pericolo”; sulla base di tali principi, quindi, la decisione ha ritenuto chenon sussistesse una responsabilità ex art. 2043 c.c. a carico del pilota. Sempre in tema di rally,si ricorda altresì Cass. Pen., 3.7.2008, n. 35326, in Arch. giur. circol., 2009, p. 619, la quale, in unafattispecie in cui un’auto in panne era stata lasciata ferma ai bordi della carreggiata anziché esserespostata dalla pista, né era stata sospesa la gara, causando ciò uno scontro in cui un pilotaaveva riportato lesioni personali, ha rigettato la tesi difensiva dell’organizzatore, secondocui la pericolosità insita in quel tipo di competizioni lo esimerebbe da responsabilità, sancendoche « se […] è corretto affermare che un corsa automobilistica – nella specie un rally dimontagna – rappresenta un classico esempio di attività sportiva pericolosa e viene disciplinatada regole di condotta che non sono ispirate al comune concetto di prudenza, ciò vale per lavalutazione delle condotte dei gareggianti, non certo di coloro che devono organizzare la garacui è demandato l’obbligo giuridico di attuare tutte le cautele possibili atte ad evitare incidenti“appunto di gara”». Si veda inoltre Cass., 8.11.2005, n. 21664, in Foro it., 2006, I, c. 1459,che si è pronunciata in una fattispecie in cui un pilota, durante una gara di go-kart, perdeva lavita schiantandosi contro una vettura parcheggiata in prossimità della pista, dopo essere uscitodi strada in seguito ad una manovra di sorpasso; in tal caso, la Suprema Corte ha statuitoche “gli organizzatori di una gara sportiva (nella specie, una gara di go-kart) rispondono deidanni subiti dai partecipanti alla gara o dal pubblico qualora abbiano omesso di predisporre lenormali cautele idonee a contenere il rischio nei limiti confacenti alla singola attività sportiva(colpa generica), alla stregua dei criteri di garanzia e protezione che l’organizzatore ha l’ob-


SAGGI 169A tal fine, si è ritenuto che l’omologazione da parte della Federazionesportiva sia necessaria, ma non sufficiente ad escludere la responsabilitàdell’organizzatore, che comunque è tenuto a provvedere alla regolare manutenzione,in funzione del mantenimento degli impianti al medesimo livelloe stato esistente al momento dell’omologazione stessa ( 50 ). Sotto ilprofilo considerato, frequente è la sovrapposizione fra la figura dell’organizzatoree quella del gestore dell’impianto sportivo, e la conseguente applicazioneanche all’organizzatore dell’art. 2051 c.c., in tema di responsabilitàper danni da cose in custodia.Analoghi rilievi suscita il profilo dell’idoneità e della sicurezza dei mezzitecnici utilizzati dagli atleti ( 51 ), circa i quali l’organizzatore è tenuto a rispettaretutte le prescrizioni dei regolamenti federali, predisponendo tuttele misure idonee affinché il loro utilizzo non sia fonte di pericolo (ad esempio,predisponendo nel lancio del martello adeguate reti di protezione, oppureposizionando adeguatamente reti e fossati negli autodromi) ( 52 ).L’organizzatore sarà quindi responsabile della inadeguatezza di luoghi,impianti ed attrezzi, nonchè della loro non corretta custodia, laddove da essascaturisca un danno ( 53 ). Non risponderà invece in caso di condotta del-bligo di rispettare nel caso concreto (nella specie, la S.C. ha confermato la sentenza di merito,che aveva ravvisato la colpa dell’organizzatore che non aveva provveduto affinché la zona ailati della pista fosse lasciata libera per tutta l’ampiezza prevista dal regolamento, e non avevaverificato l’avvenuto collocamento di un numero idoneo di balle di paglia ai bordi della pistae nelle zone a maggior rischio)”. Sui medesimi aspetti, si vedano altresì App. Genova,4.9.1991, in Riv. dir. sport., 1992, p. 79, per la quale “sussiste la responsabilità dell’organizzatoreper l’incidente occorso a un atleta durante la competizione sportiva, quando egli abbiaomesso di assicurare con tutte le possibili ed opportune cautele che lo svolgimento della manifestazionepotesse aver luogo senza pericolo per l’incolumità delle persone dei partecipanti”;nonché Trib. Verona, 13.7.1990, in Resp. civ. prev., 1992, p. 808 con nota di Dassi, nonchéin Giur. it., 1993, I, 2, c. 378, con nota di Battisti, per la quale “sussiste la responsabilità dell’organizzatoredi una autogimcana per i danni provocati agli spettatori dall’incidente avvenutosul luogo della manifestazione, se questi non prova di avere adottato tutte le misure idoneead evitare il danno. Va esclusa la responsabilità del patrocinatore della manifestazionesportiva, se questi si è limitato ad erogare contributi per la sua realizzazione, senza partecipareall’organizzazione”.( 50 ) Dini, L’organizzatore, cit., p. 426 ss.( 51 ) Sia quelli forniti dall’organizzatore, che quelli di proprietà degli atleti stessi; sul punto,Bertini, La responsabilità sportiva, cit., p. 121, per il quale, qualora l’atleta faccia uso dimezzi tecnici propri, l’organizzatore ha l’obbligo di verificarne la regolarità.( 52 ) Bertini, La responsabilità nello sport., cit., p. 121.( 53 ) Come riferisce Bertini, La responsabilità nello sport., cit., p. 122, che infatti, nel sensodell’applicabilità in tal caso dell’art. 2051 c.c., richiama la pronuncia del Trib. Rovereto,10.12.1971 in Riv. dir. sport., 1971, p. 431, avente ad oggetto un caso in cui un giovane atleta,dopo essersi impossessato indebitamente di un giavellotto nel corso di una manifestazione


170 CONTRATTO E IMPRESA 1/2011l’atleta elusiva del controllo sui mezzi tecnici di sua proprietà, come peresempio nel caso in cui quest’ultimo abbia dolosamente sostituito i mezzistessi dopo i controlli tecnici eseguiti dall’organizzatore ( 54 ).Sempre in merito alle responsabilità degli organizzatori relativamentealla sicurezza degli atleti, degli spettatori, dei terzi, interessati o meno allagara, ed agli obblighi degli stessi di predisporre le cautele necessarie ad evitareche nei luoghi dove si svolge lo spettacolo sportivo si possano concretizzarepericoli ai loro danni, si ritiene che l’organizzatore della manifestazionesportiva sia tenuto, a tal fine, ad apporre cartelli segnalatori, ad impartirecon manifesti le opportune disposizioni ai concorrenti ed al pubblico,ad innalzare transenne o altri sistemi protettivi a tutela degli spettatori, nonchéad osservare le prescrizioni di pubblica sicurezza, le regole federali, lecircolari e le ulteriori disposizioni che siano eventualmente emesse dallacompetente autorità governativa a tutela degli interessi della collettività edin relazione allo specifico livello di pericolosità che si accompagna a ciascunsportiva, lo aveva lanciato contro un altro atleta, ferendolo; al riguardo, la decisione nell’escluderein concreto la responsabilità dell’organizzatore per omessa custodia degli attrezzi,ha comunque affermato l’astratta applicabilità al caso di specie dell’art. 2051 c.c. . Al riguardo,si vedano altresì Cass., 28.10.1995, n. 11264, in Danno e resp., 1996, p. 74, con nota di Ponzanelli;nonché in Riv. dir. sport., 1996, p. 87, con nota di Laghezza, che ha affermato la responsabilità,ex art. 2051 c.c., di una società di tennis, per la distorsione riportata da un giocatorea causa di una buca presente sul campo; nonché Trib. Pinerolo, 3.4.1999, n. 86, inedita,che in un caso di lesioni di uno sciatore, riportate in seguito ad uno scontro con un pilone nonprotetto posizionato su una pista da sci, ha ritenuto la responsabilità della società sportivaconvenuta ex art. 2051 c.c., per aver omesso di predisporre le dovute protezioni; Cass. Pen.,10.11.2005, n. 11361, in Guida al dir., 2006, n. 20, p. 105, per la quale “il responsabile di attrezzaturesportive o ricreative è titolare di una posizione di garanzia a tutela dell’incolumità dicoloro che le utilizzano, anche a titolo gratuito, sia in forza del principio del «neminem laedere»,sia nella sua qualità di « custode » delle stesse attrezzature (come tale civilmente responsabile,per il disposto dell’art. 2051 c.c., fuori dall’ipotesi del caso fortuito, dei danni provocatidalla cosa), sia, infine, quando l’uso delle attrezzature dia luogo a un’attività da qualificarsipericolosa ai sensi dell’art. 2050 c.c., quale soggetto obbligato ad adottare tutte le misure idoneea evitare l’evento dannoso. (Fattispecie in cui della morte di uno dei partecipanti a una garaautomobilistica era stato chiamato a rispondere, a titolo di omicidio colposo, l’amministratoredelegato e direttore dell’autodromo, cui era stato addebitato di non avere adeguatamenteprotetto, con barriere di pneumatici, un muretto di protezione contro il cui spigolo la vittimaera andata a sbattere dopo una collisione con altra vettura)”; identici principi si rinvengonoaffermati anche da Cass. Pen., 27.5.2003, n. 34620, in Riv. pen., 2003, p. 959, in una fattispeciein cui un circuito per go-kart è stato reputato carente di barriere idonee ad evitare l’uscitadi pista dei veicoli, tanto da consentire che il mezzo condotto da un minorenne, che ne avevaperso il controllo, abbattesse la protezione esistente e urtasse violentemente contro un ostacoloesterno.( 54 ) Bertini, La responsabilità sportiva, cit., p. 121.


SAGGI 171tipo di attività sportiva. L’organizzatore deve inoltre preoccuparsi di segnalareadeguatamente il tracciato di gara e di apprestare le dovute misure perun tempestivo ed adeguato soccorso agli atleti ( 55 ).Volendo tracciare una sintesi in merito alla responsabilità dell’organizzatorenei confronti degli atleti per lesioni agli stessi derivate durante lacompetizione sportiva, si può affermare che lo stesso risponde delle lesioniche esulino rispetto al rischio “consentito” nella singola pratica sportiva e,comunque, di quelle che siano direttamente riferibili all’apprestamento diluoghi e misure organizzative inidonee.Infatti, come si è sopra accennato, per quanto riguarda gli atleti, sussisteeffettivamente, da parte loro, un’accettazione del rischio di infortuni, cosicchégli stessi non dovranno essere risarciti ogniqualvolta i danni soffertirientrino nell’alea normale e fisiologica di quel determinato sport ( 56 ); in talicasi, peraltro, sembra comunque di poter affermare che spetterà all’atletaprovare – eventualmente – che il danno si è in realtà verificato a causa dellascelta, da parte dell’organizzatore di un impianto difettoso o comunque diinadeguata gestione dell’evento.La società sportiva, dunque, per andare esente da responsabilità per idanni subiti dall’atleta durante le partite, avrà l’onere di provare di avermesso in atto tutte le misure idonee a garantire che la gara si svolgesse secondole regole sue proprie, con la conseguenza che l’atleta non potrà ottenererisarcimenti per danni verificatisi in seguito ad un accaduto rientrantenell’alea normale dell’attività prescelta e che non sia ricollegabile a carenzeorganizzative ( 57 ).( 55 ) Su tutti tali aspetti, Bertini, La responsabilità sportiva, cit., p. 129 ss.( 56 ) Al riguardo, Galligani-Piscini, Riflessioni, cit., p. 119.( 57 ) In tal senso, Bona, Castelnuovo, Monateri, La responsabilità civile nello sport, cit.,p. 33. A supporto – sia pure non del tutto espresso – dell’assunto, sembra altresì di poter richiamareTrib. Milano, 29.2.2008, n. 2671, in Giustizia a Milano, 2008, n. 3, p. 20, per il quale,“nel caso di caduta di un concorrente nel corso della fase finale di una gara ciclistica deve esseredichiarata la responsabilità solidale dell’Unione Sportiva, organizzatrice della gara e dellaFederazione ciclistica italiana ai sensi degli art. 2043 e 2049 c.c. quando dalla espletataistruttoria siano risultate evidenti carenze e limiti organizzativi e di gestione della sicurezzadella competizione, soprattutto tenuto conto del particolare contesto durante il quale la cadutasi è verificata (fase concitata della gara corrispondente alla volata finale dei ciclisti). È indubbioinfatti che l’attività agonistica implichi l’accettazione del rischio ad essa inerente daparte di coloro che vi partecipano, sicché eventuali danni da essi sofferti, rientranti nell’aleanormale, ricadono sugli stessi, mentre è sufficiente che gli organizzatori, al fine di sottrarsi adogni responsabilità, abbiano predisposto le normali cautele idonee a contenere il rischio neilimiti confacenti alla specifica attività sportiva, nel rispetto di eventuali regolamenti all’uopoprevisti”. In merito al profilo considerato, si vedano altresì i rilievi di Stanca, Natura della responsabilitàdell’organizzatore di gare sportive, cit., p. 148, per la quale “l’atleta ripone ragione-


172 CONTRATTO E IMPRESA 1/2011Ogniqualvolta sia invece ravvisabile la responsabilità dell’organizzatore,che non riesca in ipotesi a dare la prova che la lesione, pur esulante rispettoal rischio consentito, sia stata tuttavia provocata da fatto del terzo odel danneggiato, oppure da una specifica causa configurante caso fortuito,l’organizzatore medesimo risponderà ai sensi della l. 23.3.1981, n. 91, neiconfronti dell’atleta a lui legato da contratto, e ciò, sia che si tratti di rapportodi lavoro subordinato, in quanto ex art. 2087 c.c. “L’imprenditore è tenutoad adottare nell’esercizio dell’<strong>impresa</strong> le misure che, secondo la particolaritàdel lavoro, l’esperienza e la tecnica, sono necessarie a tutelare l’integrità fisicae la personalità morale dei prestatori di lavoro”; sia che il rapporto che legal’atleta alla società sportiva sia invece inquadrabile nel contratto di lavoroautonomo, la qual cosa, sempre secondo la l. n. 91 del 1981 ( 58 ), si verificherà“a) quando l’attività dell’atleta sia svolta nell’ambito di una singola manifestazionesportiva o di più manifestazioni fra loro collegate in un breve periododi tempo; b) l’atleta non sia contrattualmente vincolato per ciò che riguardala frequenza a sedute di preparazione od allenamento; c) la prestazioneche è oggetto del contratto, pur avendo carattere continuativo, non superi ottoore settimanali oppure cinque giorni ogni mese ovvero trenta giorni ogni anno”.In forza di tali rapporti contrattuali, peraltro, le società sportive datrici dilavoro, e quindi organizzatrici degli incontri sportivi, sono tenute a stipularepolizze assicurative e a proteggere l’integrità psico-fisica degli atleti, apartire dalla tutela sanitaria che si attua tramite controlli medici periodici.A tal proposito, l’organizzatore di manifestazioni sportive dovrà infatti,ove prescritto, vigilare sull’idoneità psico-fisica degli atleti ammessi allacompetizione ( 59 ). Detto obbligo di vigilanza viene considerato ottemperatoin base alla presunzione di idoneità ricavabile dagli accertamenti medici,di tal che, la completezza degli accertamenti sanitari cui le singole Federazionisottopongono i loro atleti esime da qualsiasi responsabilità l’organizzatoreche si attenga alle risultanze di tali accertamenti ( 60 ).vole affidamento sulla circostanza che l’organizzatore abbia predisposto le misure volte a garantirela sicurezza del campo di gara o della pista da gioco”, di tal che “i danni riportati dallosportivo a causa della violazione di leggi o di regolamenti tecnici da parte degli organizzatorinon rientrano nell’area di rischio assunto”.( 58 ) V. spec. art. 3.( 59 ) Indaga la questione con specifico riguardo all’idoneità psico-fisica dello sciatore partecipantead una gara, Campione, Attività sciistica e responsabilità civile, cit., p. 344 ss.( 60 ) Bertini, La responsabilità sportiva, cit., p. 127. Si tenga conto che può capitare che sial’atleta a nascondere malori per impedire la formulazione di una corretta diagnosi; al riguardogiova ricordare il famoso caso Curi, inerente un calciatore del Perugia deceduto nel corsodi una partita di calcio a seguito di un improvviso attacco di cuore. La Suprema Corte, nel va-


SAGGI 173L’organizzatore dovrà quindi escludere dalla competizione l’atleta chenon risulti idoneo sulla base di tali accertamenti, ma non sarà tenuto ad addentrarsiin uno specifico ed ulteriore controllo sullo stato di salute dell’atleta,né tantomeno risponderà di eventuali falsità del certificato.Naturalmente, qualora non esista una diagnosi federale, o circostanze sopravvenutefacciano presumere che il responso federale non sia più attendibile,oppure qualora un incidente in prossimità della gara abbia inciso sullasalute dell’atleta, l’organizzatore avrà l’obbligo di far visitare l’atleta da unospecialista e successivamente di attenersi al suo insindacabile giudizio ( 61 ).L’organizzatore dovrà inoltre vigilare in merito alle condizioni dell’atleta,evitando che si affrontino atleti di diversa esperienza e capacità ( 62 ), al finedi evitare il verificarsi di possibili situazioni di pericolo, basandosi di voltain volta sul relativo ranking, ovverosia il piazzamento in graduatoria, lacui verifica varrebbe ad esonerarlo dallo svolgimento di più accurati controlli.La responsabilità dell’organizzatore – a titolo contrattuale se l’atleta è dipendenteo collaboratore della società sportiva organizzatrice, ovvero noncontrattuale se non sussiste alcun rapporto contrattuale con l’organizzatore– sarà quindi certamente configurabile laddove questi, nonostante fosse aconoscenza delle non ottimali condizioni fisiche dell’atleta o del divieto oppostodal medico di gara, gli abbia tuttavia concesso di gareggiare ( 63 ), oppurequando abbia fatto incontrare fra loro atleti di differente livello ( 64 ).lutare l’imputazione di omicidio colposo a carico del medico della società, ha evidenziato chel’atleta, nonostante fosse affetto da un’infermità che gli cagionava notevoli sofferenze nel corsodei suoi impegni sportivi, non si era mai lamentato di ciò con alcuno (medici, familiari,amici), ma aveva, anzi, partecipato all’attività agonistica in modo brillante, riscuotendo popolaritàe ammirazione, sia superando i compagni di squadra sia, a livelli elevati, le ripetute provesotto sforzo cui veniva sottoposto; cosicché, la decisione ha affermato la rilevanza del concorsocolposo dell’atleta nel sottacere le proprie patologie al medico: Cass. Pen., 9.6.1981, inForo it., 1982, II, c. 268. Si veda inoltre, sul punto, la precedente nota 23.( 61 ) Bertini, La responsabilità sportiva, cit., p. 127 ss. In merito alla necessità, sancita dallenorme regolamentari della F.I.G.C., che, nell’ambito di una partita di calcio fra dilettanti, lasquadra organizzatrice – ovvero quella ospitante – assicuri la presenza a bordo campo di unmedico al fine di assicurare un pronto soccorso agli atleti che si dovessero infortunare nel corsodella gara, si v. Trib. Napoli, 29.1.1996, in Riv. dir. sport., 1997, p. 91, con nota di De Marzo,che, alla luce di tali previsioni, ha escluso la possibilità di imputare la responsabilità derivantedall’assenza di un sanitario in campo a carico della squadra ospitata, la quale era stata convenutain giudizio per il risarcimento del danno dal giocatore che nella stessa militava e che,infortunatosi nel corso della partita, non aveva ricevuto adeguate cure.( 62 ) Trib. Genova, 4.5.2000, in Foro it., 2001, I, c. 1402.( 63 ) Izzo, Le responsabilità nello sport, cit., p. 143.( 64 ) Trib. Genova, 4.5.2000, cit.


174 CONTRATTO E IMPRESA 1/2011Il principio dell’accettazione del rischio, che determina la soglia entro laquale l’organizzatore si considera in linea di principio esonerato da responsabilitànei confronti degli atleti, non opera tuttavia nei confronti degli spettatori,paganti e non, come pure per la generalità dei terzi ( 65 ), che infatti,nell’assistere all’evento sportivo, possono invero ipotizzare, senza peraltroaccettare il rischio di infortuni derivanti dalla manifestazione sportiva ai lorodanni.3. – Volendo sintetizzare i titoli che fondano la responsabilità dell’organizzatore,occorre distinguere fra le lesioni occorse agli atleti legati all’organizzatoreda rapporto contestuale ed agli spettatori paganti, e i danni provocatiinvece ad atleti non legati contrattualmente all’organizzatore, agli spettatorinon paganti, agli abusivi e comunque agli estranei ( 66 ).Quanto al primo aspetto, l’organizzatore risponde a titolo contrattualese nei confronti del danneggiato (atleta, spettatore pagante o utente) sussistevaun rapporto giuridico preesistente al sinistro (lavoro dipendente o autonomoper l’atleta professionista; partecipazione a corsi sportivi interni aduna associazione ( 67 ), e così via).In particolare, l’atleta-contraente, che sia stato leso al di là del rischio“consentito” o comunque in dipendenza di carenze organizzative, potràchiedere il risarcimento, limitandosi ad allegare il rapporto di lavoro e dimostrandoil danno subíto durante la prestazione dell’attività sportiva (art.1218 c.c.).Quanto allo spettatore, si ritiene che la vendita di un biglietto non comportisoltanto l’obbligo per l’organizzatore di assicurare la visione direttadello spettacolo sportivo (contratto innominato cd. di “spettacolo”), ma altresìl’obbligo strumentale di garantire la sicurezza e l’incolumità del pubblico( 68 ), per il quale non vale invero il principio dell’accettazione del rischio,dovendo quindi l’organizzatore approntare, fra l’altro, ogni necessariocontrollo agli ingressi e sugli spalti, onde evitare che vengano introdottimezzi idonei ad offendere.( 65 ) Fra gli altri, Galligani-Piscini, Riflessioni, cit., p. 119.( 66 ) Al riguardo, si richiama liotta, Attività sportive e responsabilità dell’organizzatore, cit.,che alla p. 129, distingue fra spettatore pagante, spettatore amichevole e spettatore a titologratuito, ovvero “abilitato ad accedere liberamente allo stadio”, ipotesi, quest’ultima, che costituirebbequella più ricorrente di soggetto estraneo, danneggiato dallo svolgimento dellacompetizione sportiva.( 67 ) Trib. Genova, 4.5.2000, cit., che ha dichiarato inadempiente la società sportiva organizzatricedi corsi di karate, condannandola a risarcire il danno per le lesioni subite da una allievache, invitata durante un allenamento a lottare contro una cintura nera, riportava la rotturadel menisco a causa di una mossa, detta “gancio”.( 68 ) Trib. Milano, 21.3.1988, in Riv. dir. sport., 1989, p. 68; nonché Trib. Milano, 18.1.1973,in Foro it., 1973, I, c. 1953, sulle quali più ampiamente infra, sub par. 4.


SAGGI 175Sotto il secondo profilo, relativo agli infortuni eventualmente occorsi aigareggianti non legati all’organizzatore da alcun rapporto contrattuale, aglispettatori non paganti, ai terzi abusivi e comunque agli estranei, l’organizzatoremedesimo risponderà a titolo esclusivamente extracontrattuale, inlinea di principio ai sensi dell’art. 2043 c.c. ( 69 ).In questi casi, dunque, il danneggiato, per il quale – diversamente da comeavviene nel caso dell’atleta-contraente, precedentemente considerato –non vale il principio dell’accettazione del rischio, dovrà provare tutti gli elementidi cui all’art. 2043 c.c. (anche in relazione a tutte le cautele ed obblighia carico dell’organizzatore), e chi ha poteri di direzione sull’evento potràessere chiamato a rispondere anche per il fatto dei propri preposti ed ausiliari,ai sensi dell’art. 2049 c.c. ( 70 ).Si ritiene che lo spettatore pagante danneggiato possa scegliere l’azionecontrattuale o quella extracontrattuale, la prima delle quali comporterà unonere probatorio più semplice ed un più lungo termine di prescrizione,mentre la seconda, seppure più gravosa sotto il profilo dell’onere probatorioe più limitata quanto al termine prescrizionale, consentirà invece il ri-( 69 ) Conrado, Ordinamento giuridico sportivo e responsabilità dell’organizzatore di unamanifestazione sportiva, cit., p. 12.( 70 ) Siano essi dipendenti dell’organizzatore – quindi anche gli atleti in forza del rapportodi lavoro subordinato come da legge del 1981 n. 91 – o comunque soggetti alla direzione dellostesso od a qualsiasi titolo inseriti nella sua organizzazione e sotto la sua vigilanza, ivi compresieventuali collaboratori a titolo gratuito. Con particolare riguardo agli istruttori, si richiama,al riguardo, il caso deciso da Trib. Genova, 4.5.2000, cit., relativamente ad una scuola dikarate, nell’ambito della quale, sotto la vigilanza di un istruttore, un’allieva aveva riportato lesioni;la pronuncia ha affermato la responsabilità vicaria ex art. 2049 c.c. della scuola, in virtùdi una presunzione assoluta di culpa in eligendo vel in vigilando, operante a condizione che ilpreposto abbia commesso un illecito completo in tutti i suoi elementi, soggettivo ed oggettivo.In una fattispecie analoga, in cui era stata peraltro invocata la responsabilità contrattualedi una scuola di sci nell’ambito di lezioni impartite da un maestro dipendente della stessa, siè affermato che “deve escludersi la responsabilità contrattuale di una scuola di sci per le lesioniche un allievo subisca nel corso di una lezione ad opera di terzi che lo investa su una pistaaperta a tutti ove il maestro del quale la scuola si avvale, si trovi nella materiale impossibilitàdi evitare l’evento dannoso e nel suo comportamento esulino profili di colpa”: Cass.,25.5.2000, n. 6866, in Giust. civ. Mass., 2000. Si veda inoltre la risalente Cass., 10.7.1968, n.2414, in Resp. civ. prev., 1969, p. 335, che ha riconosciuto la responsabilità dell’organizzatoreper i danni arrecati ad un partecipante ad un gara di tiro al piattello, rimasto ferito in seguitoallo scoppio di una munizione, mentre l’armarolo la inseriva nel fucile, senza preoccuparsi diverificare previamente la sussistenza dei difetti meccanici denunciati dal concorrente; infine,si richiama altresì Cass., 6.3.1998, n. 2486, in Giur. it., 1999, p. 265, con nota di Piccirilli, laquale ha affermato che “sussiste la responsabilità dell’organizzatore della gara per avere l’istruttoreomesso di predisporre le cautele necessarie ad evitare le lesioni personali riportateda un minore ad opera di un compagno di squadra durante l’attività sportiva svoltasi sotto lasua sorveglianza”.


176 CONTRATTO E IMPRESA 1/2011sarcimento anche dei danni non prevedibili ( 71 ); al riguardo, si ammette altresìla possibilità del cumulo fra le due azioni ( 72 ).La tematica della responsabilità extracontrattuale dell’organizzatore introducel’ulteriore aspetto dell’eventuale pericolosità della manifestazionesportiva da organizzare, con possibile applicazione dell’art. 2050 c.c. ( 73 ).( 71 ) Su tale profilo si v. Galligani-Piscini, Riflessioni, cit., p. 122, ove si evidenzia la maggioreelasticità dell’azione extracontrattuale sotto il profilo delle voci di danno risarcibili. Suiriflessi concreti della distinzione fra danni prevedibili e non prevedibili nell’ambito sportivo, siveda Liotta, Attività sportive e responsabilità dell’organizzatore, cit., p. 146 ss., nonché Lepore,La responsabilità nell’esercizio e nell’organizzazione delle attività sportive, cit., pp. 279-280.( 72 ) In tal senso, con riferimento all’organizzazione di un incontro di calcio professionistico,Trib. Milano, 21.9.1998, n. 10037, in Riv. dir. sport., 1999, p. 556, nonché in Danno e resp.,1999, p. 234, per il quale “sussiste responsabilità contrattuale ed extracontrattuale dell’organizzatoredi un incontro di calcio professionistico per i danni subiti da uno spettatore colpitoda oggetti lanciati da parte di altri tifosi in quanto l’attività di gestione di uno stadio di calciocostituisce attività pericolosa in relazione alla sua stessa natura e per le caratteristiche deimezzi adoperati”. Si veda altresì Di Ciommo-Viti, La responsabilità civile, cit., 291, alla cuistregua, per quanto riguarda i danni subiti dagli sportivi “potrebbero concorrere due diversititoli di imputazione, rappresentati dalla responsabilità contrattuale ed extracontrattuale,chiamati in causa o meno, a seconda che al danneggiato facciano capo diverse situazioni protette”;nonché Bertini, La responsabilità civile, cit. p. 131 ss., che sul punto riporta la decisionedi Trib. Roma, 31.12.1952, in Temi romana, 1954, p. 211, la quale afferma, in presenza didanni sofferti dagli spettatori, la possibilità di cumulo della responsabilità contrattuale e diquella extracontrattuale. Gli aa. menzionati richiamano peraltro, più in generale, sul tema delcumulo fra i due titoli di responsabilità, quanto affermato da Cass., 6.3.1995, n. 2577, in Giust.civ. Mass., 1995, secondo la quale, “è ipotizzabile il concorso tra responsabilità contrattualee responsabilità extracontrattuale non solo quando lo stesso fatto è imputabile a più autori,a diversi titoli, ma anche quando in capo ad una stessa persona danneggiata sussiste una molteplicitàdi situazioni protette, in relazione sia ad un precedente obbligo relativo, sia a divietigenerali ed assoluti. Tali sono, per loro natura, quelli che tutelano gli interessi considerati daidelitti previsti dal codice penale, rispetto ai quali la tutela civilistica assegnata alle vittime costituisceil riflesso patrimoniale della violazione di un divieto più ampio, che prescinde dall’esistenzadi obblighi di origine contrattuale ed attiene, invece, al diritto assoluto del soggettodi non subire pregiudizio ai diritti personalissimi, o quello di proprietà, di cui è titolare. (Nellaspecie, la S.C., enunciando il principio di diritto di cui alla massima, ha confermato la sentenzadel giudice di merito, il quale – rilevato che la tutela civile del diritto derivante da unascrittura contrattuale era stata promossa con la costituzione nel procedimento penale e poiproseguita nell’unica sede disponibile dopo l’estinzione di quel procedimento – aveva fattocenno al principio dell’unicità della giurisdizione per sostenere l’opportunità di far salve le acquisizionidel giudice penale e, nel determinare le quantità di danno spettante all’attore, avevafatto applicazione delle norme che provvedono al danno extracontrattuale)”. Così, in precedenza,anche Cass., 7.8.1982, n. 4337, in Resp. civ. prev., 1984, p. 78, anch’essa richiamata, alriguardo, da Grassani, in nota a Trib. Vigevano, 9.1.2006, n. 426, ne La responsabilità risarcitoria,cit., p. 23 ss.( 73 ) Per una fattispecie particolare si veda, al riguardo, Trib. Firenze, 15.12.1989, in Riv.


SAGGI 177Quanto alla accezione di “pericolosità” dell’evento da organizzare, lastessa, in prima approssimazione, viene individuata comunemente in unapotenzialità lesiva di grado superiore al normale, che si estrinseca nel prodursidi un elevato numero di eventi lesivi e/o nella elevata gravità deglieventi lesivi provocati ( 74 ). Di tal che, la stessa comporta l’applicazione dell’art.2050 c.c., alla cui stregua “Chiunque cagiona danno ad altri nello svolgimentodi un’attività pericolosa, per sua natura (es. gara di automobilismo) oper la natura dei mezzi adoperati (es. tiro con l’arco), è tenuto al risarcimento,se non prova di avere adottato tutte le misure idonee ad evitare il danno”.Nello specifico, le caratteristiche di pericolosità dell’evento da organizzaresono state ricondotte essenzialmente a due indici di riconoscibilità,quali: a) la previsione legislativa di particolari misure di sicurezza relativamentealla singola disciplina o competizione sportiva; b) la sottoposizionedella stessa alla potestà autorizzativa della pubblica amministrazione.L’art. 2050 c.c. viene infatti comunemente ritenuto norma a “strutturaaperta”, dal momento che vengono considerate attività pericolose, non soloquelle che sono qualificate come tali dalle leggi di pubblica sicurezza o daaltre normative speciali, ma anche quelle che, per la loro stessa natura o perle caratteristiche dei mezzi adoperati, comportino una rilevante possibilitàdel verificarsi di un danno, per la loro spiccata potenzialità offensiva ( 75 ).Si rileva inoltre, al riguardo, che anche “le circostanze in cui l’attività èdir. sport., 1991, p. 95, la quale, pronunciandosi in merito ad incidenti occorsi durante una partitadi calcio in costume, ha affermato che “la disciplina della responsabilità di cui all’art. 2050c.c. non si applica al calcio in costume dato che non può ritenersi che tale attività sportiva siadi per sé pericolosa. Pertanto, se alla partita si sovrappone una rissa, questa resta concettualmentee giuridicamente distinta dalla manifestazione ufficiale e non è quindi ipotizzabile laresponsabilità oggettiva per le conseguenze dannose dell’incidente del comitato di gestionedella manifestazione”. Più in generale, sempre con riguardo al calcio, si veda la Cass.,19.1.2007, n. 1197, in Diritto dello sport, 2007, p. 663, che, nel decidere una fattispecie in cui unminore, durante l’ora di educazione fisica a scuola, nel giocare a calcio era scivolato sul pallonee si era procurato la frattura di un avambraccio, ha affermato che “deve escludersi che all’attivitàsportiva riferita al gioco del calcio possa essere riconosciuto il carattere di attività pericolosaai sensi dell’art. 2050 c.c., trattandosi di disciplina che privilegia l’aspetto ludico, tantoche è praticata normalmente nelle scuole di tutti i livelli come attività di agonismo non programmaticofinalizzato a dare esecuzione ad un determinato esercizio fisico, tale da escludereogni riferibilità alla prescrizione dell’art. 2050 c.c.”. Sul tema, si vedano inoltre i cenni diPonzanelli, Responsabilità civile e attività sportiva, in Danno e resp., 2009, p. 603, che alla notan. 3 richiama talune decisioni che hanno ricondotto all’ambito di applicazione dell’art. 2050c.c. l’attività dell’organizzatore di eventi sportivi.( 74 ) Bona, Castelnuovo, Monateri, La responsabilità civile nello sport, cit., p. 34 ss.( 75 ) Sul punto, fra gli altri, Franzoni, La responsabilità civile nell’esercizio di attività sportive,in Resp. civ., 2009, p. 922 ss.


178 CONTRATTO E IMPRESA 1/2011esercitata possono influire in maniera decisiva sulla pericolosità” ( 76 ). In lineacon tale principio, si è altresì affermato che “è considerato esercente attivitàpericolosa anche chi organizza, dirige ed appresta i mezzi necessari per consentirelo svolgimento dell’altrui attività pericolosa” ( 77 ).Ed ancora, in merito all’eventuale responsabilità dell’organizzatore acagione della pericolosità dell’evento da organizzare, si è affermato che lostesso è responsabile soltanto della propria attività, mentre non rispondeper quella parte di attività organizzativa che abbia “commissionato ad altriin base ad un rapporto che non determini un vincolo di subordinazione fracommittente ed esecutore” ( 78 ).Come noto, la previsione della possibile imputazione oggettiva della responsabilitàcivile è conseguenza delle caratteristiche organizzative dellasocietà moderna, in cui, specie nell’ambito delle attività imprenditoriali edelle cd. attività “rischiose”, si preferisce utilizzare criteri di attribuzione( 76 ) Franzoni, La responsabilità civile, cit., p. 922 ss., che richiama in tal senso, alla nota13, numerose decisioni riferite al ciclismo, al motociclismo, all’automobilismo ed all’equitazione,mentre dà atto dell’orientamento non univoco della giurisprudenza in merito all’attivitàsciistica, che non configurerebbe infatti di per sé attività pericolosa ove resti “semplicemodo di trasferimento”, mentre lo diventerebbe ove esercitata “per scopi agonistici”. L’a. affermalo stesso principio anche con riguardo al calcio, rilevando come lo stesso configuri attivitàpericolosa quando si tratti di incontro professionistico – e richiama in tal senso, alla nota14, Trib. Torino, 8.11.2004, in Giur. it., 2005, p. 720, con nota di Visintini (che si commenteràinfra più ampiamente) – osservando che invece “di tutt’altro tenore sarebbe stata la decisionese la partita si fosse svolta nel campo di calcio della parrocchia di un piccolo paese di montagna”.Per la negazione del carattere pericoloso dell’attività di organizzazione di una corsa ciclistica,si v. Trib. Brescia, 5.3.1970, in Riv. dir. sport., 1970, p. 251, che, in relazione alla responsabilitàgravante sugli organizzatori di una corsa ciclistica, distingue fra gare a circuitochiuso e gare a circuito aperto, riferendo unicamente alle prime un obbligo di ispezione dellastrada in capo agli organizzatori allo scopo di verificare se vi siano eventuali insidie che potrebberoessere causa di cadute dei partecipanti, mentre nelle seconde, poiché sul percorsocircolano anche altri veicoli con l’obbligo per i partecipanti di osservare le regole del codicestradale, non vi sarebbe alcun dovere di preventiva ispezione, essendo obbligo della P.A.mantenere in efficienza le strade aperte al traffico. In relazione ad una gara ciclistica organizzatasu circuito aperto, si v. anche Trib. Milano, 10.3.2003, in Giur. merito, 2003, p. 2184, che haaffermato la responsabilità degli organizzatori (in concorso con quella dell’automobilista) perle lesioni occorse ad un corridore finito contro una macchina parcheggiata nella zona del traguardo,che non era stata precauzionalmente transennata, così consentendo al guidatore ditransitare sotto lo striscione di arrivo e di sostare sulla dirittura finale del percorso di gara nell’imminenzadell’arrivo dei partecipanti.( 77 ) Franzoni, La responsabilità civile, cit., p. 922 ss., che cita sul punto, alle note 15 e 16,numerose pronunce di merito.( 78 ) Nuovamente Franzoni, La responsabilità civile, cit., p. 922 ss., che alle note 17-20 richiamale numerose decisioni che hanno fatto applicazione di tale principio.


SAGGI 179della responsabilità che non richiedano analisi complesse (come in particolarequella sulla colpevolezza), e che rendano individuabile a priori il soggettoche deve essere tenuto al risarcimento.Alla stregua di ciò, la giurisprudenza, che pure originariamente era dell’avvisoche l’organizzazione di eventi sportivi non dovesse rientrare nel noverodelle attività pericolose, in quanto attività di natura neutra ( 79 ), ha tuttaviadi volta in volta qualificato come pericolosa l’organizzazione di specificieventi sportivi, quali, a titolo esemplificativo:– quelli relativi a sport che utilizzano mezzi a motore, come l’automobilismoed il motociclismo ( 80 );– gli eventi relativi a sport che comportano ad ogni manifestazione lo spostamentodi decine di migliaia di spettatori e causano perciò notevoliproblemi di ordine pubblico, come il calcio professionistico ( 81 );– l’organizzazione di una competizione sciistica ( 82 );– l’organizzazione di un’autogimkana ( 83 );– l’organizzazione di una gara internazionale di canoa kajak ( 84 );( 79 ) Si veda, al riguardo, la rassegna di Trib. Milano, 18.7.1963, in Riv. dir. sport., 1963, p.378.( 80 ) App. Milano, 2.6.1981, in Riv. dir. sport., 1983, p. 411, relativa ad una gara automobilistica,ove si rinviene l’ulteriore precisazione secondo cui l’appalto a terzi del servizio antincendio,la cui inefficienza abbia cagionato il danno, non esclude di per sé la responsabilità versoi danneggiati dell’organizzatore della gara, istituzionalmente obbligato ad assicurare il serviziostesso, ove manchi la dimostrazione che, da parte sua, sono state adottate tutte le misureidonee ad evitare il danno; Cass., 24.1.2000, n. 749, in Foro it., 2000, I, c. 2861, che ha affermatoil principio per cui “la organizzazione di una gara motociclistica su circuito aperto al traffico(anche se di regolarità) è un’attività alla quale è applicabile l’art. 2050 c.c.”.( 81 ) Fra le altre, Trib. Milano, 21.9.1998, n. 10037, cit. . Alla tematica è peraltro dedicato ilsuccessivo paragrafo 4, cui si rinvia.( 82 ) Cass., 15 luglio 2005, n. 15040, in Giust. civ. Mass., 2005, che, pur affermando che, inlinea di principio, la pratica agonistica dello sci e, correlativamente, anche l’attività di organizzazionedi una competizione sciistica presenta carattere pericoloso, ha tuttavia ritenutoappagante sotto il profilo della motivazione la decisione del giudice d’appello, che avevaescluso la ricorrenza del carattere della pericolosità nell’attività concretamente esercitata nellaspecie, trattandosi di gara svoltasi su pista larga, con andamento rettilineo, con un normalemuretto di neve ai lati, nel corso della quale nessun altro atleta era caduto. Il carattere pericolosodell’attività di organizzazione di una gara sciistica è stato escluso anche da Cass., 28 febbraio2000, n. 2220, cit., che ha tuttavia rimesso al giudice di rinvio il compito di valutare senella specie vi fosse stata una qualche condotta colposa, rilevante ex art. 2043 c.c., sia da partedella F.I.S.I., che da parte dall’arbitro nell’aver organizzato e nell’aver fatto disputare una garadi discesa libera con atleti minorenni su una pista a tratti ghiacciata.( 83 ) Trib. Verona, 13.7.1990, cit., che viene richiamata, a tal proposito, da franzoni, La responsabilitàcivile, cit., p. 922 ss.( 84 ) Cass., 30.1.2009, n. 2493, in Giust. civ. Mass., 2009, che ha tuttavia confermato la deci-


180 CONTRATTO E IMPRESA 1/2011– l’organizzazione di corsi di alpinismo per principianti ( 85 ).L’onere della prova, in caso di attività organizzativa di eventi sportivi ritenuta“pericolosa” sarà a carico dell’organizzatore ed avrà ad oggetto l’averadottato, non solo tutte le misure di sicurezza imposte dalla legislazione inmateria e dalla federazione di competenza del singolo sport, ma anche tuttele misure dettate dal progresso tecnologico che siano in concreto idoneea neutralizzare la pericolosità dell’evento; e comunque, a prescindere dallapericolosità o meno dell’attività sportiva o dell’evento organizzato, l’organizzatorepotrà verosimilmente essere chiamato a rispondere, ogniqualvoltasia accertata una sia pure minima prevedibilità dell’evento dannoso. Dital che, sarà necessaria in capo all’organizzatore la perfetta conoscenza, nonsoltanto delle normative generali e di settore, ma anche delle specifiche caratteristichedell’attività organizzata, oltre che la predisposizione di adeguatecoperture assicurative ( 86 ).In sintesi, si può così affermare, in linea di principio, che:– sussiste la responsabilità dell’organizzatore verso gli atleti e verso glispettatori, se un evento dannoso derivi da scelte improprie dei luoghi,da inadeguatezza di impianti, strumenti od attrezzature, da inesperienzadi atleti nota o conoscibile da parte dell’organizzatore;– sussiste la responsabilità dell’organizzatore se un evento dannoso sia riconducibilealla condotta di un suo preposto, esclusi gli ufficiali di garafederali;– non sussiste la responsabilità dell’organizzatore se un evento dannosoconsegua al mancato intervento delle forze dell’ordine, presenti in campo,che abbiano omesso di intervenire;– non sussiste la responsabilità dell’organizzatore ogniqualvolta un eventodannoso sia esclusiva conseguenza del comportamento imprudentedi un atleta o di uno spettatore, che spezzi il nesso causale fra l’attivitàorganizzativa e la lesione arrecata ( 87 ).sione di merito che aveva nella specie escluso la responsabilità dell’organizzatore per aver ritenutoda questi provato il caso fortuito; la pronunzia ha altresì confermato l’assunto circa lapericolosità, di per sé, dello sport della canoa kajak.( 85 ) Trib. Milano, 21.11.2002, in Giur. milanese, 2003, p. 80.( 86 ) Galligani-Piscini, Riflessioni, cit., p. 123.( 87 ) Si veda tuttavia il caso del lancio del fumogeno nella partita Juventus-Roma, decisoda Trib. Torino, 8.11.2004, cit., anche in Giur. merito, 2006, p. 90, con nota di Rocchio, nonchéin Danno e resp., 2006, p. 767, con nota di Maietta, decisione che ha affermato la responsabilitàdell’organizzatore – Juventus, per non avere fornito la prova liberatoria richiesta dall’art.2050 c.c., “la cui « ratio » è proprio […] quella di contemperare gli interessi (economici) delsoggetto che esercita una determinata attività pericolosa con l’interesse preminente della tuteladell’incolumità delle persone e delle cose tramite la voluta scelta di porre il rischio deidanni derivanti da tale attività su coloro che ne traggono lucro”.


SAGGI 181Ci si interroga, infine, in merito alla validità delle clausole di esonerodella responsabilità dell’organizzatore, dei suoi collaboratori o ausiliari, chetrovano previsione in alcuni regolamenti e che vengono fatte sottoscriveread atleti, spettatori ed altri soggetti coinvolti nell’evento sportivo.Tali clausole non sembrano avere efficacia per ipotesi ulteriori rispetto aquella della responsabilità per colpa lieve, ai sensi dell’art. 1229 c.c. ( 88 ), epongono comunque il problema del loro possibile inquadramento nell’ambitodi applicabilità dell’art. 1341, 2° comma, c.c., qualora siano contenutesui biglietti di ingresso alle partite, nonché della loro eventuale vessatorietàalla stregua delle previsioni del “Codice del consumo” ( 89 ), poiché infattidette pattuizioni contengono limitazioni di responsabilità a favore di unsoggetto, appunto l’organizzatore, per lo più qualificabile come “professionista”( 90 ).4. – Quanto alle società di calcio, ed alla loro responsabilità per i dannioccorsi agli atleti oppure a soggetti estranei alla competizione, occorre sottolineareche, come sopra si è accennato, la giurisprudenza, a partire daglianni Sessanta e fino agli anni Novanta, riteneva che l’organizzazione dieventi sportivi non dovesse qualificarsi come attività pericolosa, in quantodi natura neutra ( 91 ).L’assunto veniva in particolare affermato con riferimento alla responsabilitàdelle società di calcio per incontri professionistici, e più in generaleper gli sport a violenza eventuale, di per sé ritenuti non pericolosi.Tuttavia, nel corso degli anni, la giurisprudenza si è evoluta nel senso di( 88 ) In tal senso, Bertini, La responsabilità sportiva, cit., p. 137, nonché, con specifico riguardoalle clausole limitative della responsabilità dell’organizzatore in relazione ai danniprovocati agli atleti, Campione, Attività sciistica e responsabilità civile, cit., p. 362 e Lepore,Responsabilità civile e tutela della “persona-atleta”, cit., p. 264 ss., il quale esprime perplessitàsulle clausole di esonero anche alla luce del fatto che esse hanno ad oggetto la responsabilitàderivante dalla lesione di un diritto indisponibile e avente rilievo costituzionale, quale quelloalla salute di un individuo, ma conclude nel senso che queste siano valide ove riguardino lesionidi minima entità funzionali all’attività sportiva praticata.( 89 ) Di cui al d.lgs. 6.9.2005, n. 206, spec. artt. 33 e ss.( 90 ) Con particolare riferimento alle clausole di esonero della responsabilità predispostedalla F.I.S.I., si v. Trib. Roma, 15.9.2000, in I contratti, 2002, p. 254, con nota critica di CaramicoD’Auria, che, per contro, ha escluso che potessero trovare applicazione gli allora vigentiartt. 1469 bis e ss., c.c., fra la Federazione sportiva e i suoi iscritti, “essendosi in presenzadi un tipico rapporto associativo volto al perseguimento di uno scopo comune”; se ne è pertantofatta discendere la conseguenza che “l’atleta tesserato non può considerarsi come consumatorecosì come la Federazione convenuta non può qualificarsi come professionista”.( 91 ) Si veda, al riguardo, la superiore nota 79 e la rassegna di decisioni operata dalla ivi richiamataTrib. Milano, 18.7.1963.


182 CONTRATTO E IMPRESA 1/2011ricomprendere l’organizzazione di una partita di calcio professionistico frale attività pericolose.Ed infatti, inizialmente, il Tribunale di Milano non aveva accolto la domandadi risarcimento dei danni formulata nei confronti del Milan da partedi un tifoso, che era stato colpito da un petardo nel corso della partita Milan-Fiorentina ( 92 ). Nello stesso senso, diversi anni più tardi, lo stesso Tribunaledi Milano, trovandosi a giudicare sulla domanda risarcitoria avanzata daun tifoso aggredito fuori dallo stadio da soggetti dell’opposta tifoseria, rimastiin parte non identificati, arrivò a sostenere che i comportamenti violentidei tifosi, se pure astrattamente prevedibili, non avrebbero potuto esserecontrastati con efficacia nemmeno affidando un vigilante ad ogni spettatore( 93 ).La prima corte ad affermare la responsabilità per esercizio di attività pericolosadella società che aveva organizzato l’evento calcistico, fu il Tribunaledi Ascoli Piceno, il quale, relativamente ai danni provocati in seguitoad un incendio sviluppatosi per la presenza di una grande quantità di materialeinfiammabile abusivamente introdotto nello stadio, rilevò che all’organizzazionedella competizione - spettacolo calcistico si accompagnanoordinariamente pericoli per la pubblica incolumità ( 94 ).Ed infine, anche il Tribunale di Milano arrivò a ricomprendere nell’alveodi cui all’art. 2050 c.c. l’organizzazione di un evento sportivo calcistico,quando condannò la società organizzatrice a risarcire i danni subiti da untifoso colpito all’occhio da un oggetto lanciato dentro allo stadio ( 95 ).La delineata evoluzione giurisprudenziale è stata giustificata sul rilievodella sempre maggiore popolarità dello sport calcistico professionistico, cheinfatti coinvolge oggigiorno decine di migliaia di spettatori “diretti”, e nella( 92 ) Trib. Milano, 19.10.1972, in Riv. dir. sport., 1973, p. 81.( 93 ) Trib. Milano, 21.3.1988, cit., e la successiva App. Milano, 30.3.1990, in Riv. dir. sport.,1990, p. 495.( 94 ) Trib. Ascoli Piceno, 13.5.1989, in Riv. dir. sport., 1989, p. 496, con nota di Manfredi.La decisione è stata confermata da App. Ancona, 18.6.1990, in Società, 1990, p. 1625, ove si affermache “Nel caso in cui si verifichi, in occasione di una partita di calcio, la morte di alcunispettatori per un incendio sviluppatosi all’interno dello stadio a seguito dell’accensione di fumogenie di materiale cartaceo, il presidente della società di calcio è penalmente e civilmenteresponsabile di tali fatti se non dimostra di avere predisposto una rigorosa, specifica e puntualedivisione di mansioni e di avere delegato la vigilanza ed il controllo sugli impianti sportivia persone idonee a svolgere detti compiti”. Sulla stessa linea della pronuncia del giudicemarchigiano si è espressamente posto, di recente, Trib. Bari, 11.10.2007, n. 2301, per esteso inDeJure.( 95 ) Trib. Milano, 21.9.1998, n. 10037, cit. Sul punto, si veda altresì la rassegna di casi operatada Bertini, La responsabilità civile, cit., p. 39.


SAGGI 183organizzazione dei quali eventi sportivi si possono in effetti riscontrare tuttigli indici di pericolosità richiamati al precedente paragrafo, fra i quali, inprimo luogo, la riscontrata – dal punto di vista statistico – attitudine a dareluogo a numerosi episodi lesivi ovvero ad episodi lesivi molto gravi.Proprio in ragione di tali caratteristiche, inoltre, nella organizzazionedegli incontri di calcio professionistico si rinvengono altresì gli ulteriori indicidi pericolosità visti sopra, quali la sussistenza di una normativa moltoarticolata, volta a prevenire sinistri ed infortuni, nonché la previsione dell’obbligodi ottenere specifiche autorizzazioni da parte dell’autorità amministrativa.Si è infatti, al riguardo, preso atto del fenomeno della violenza negli stadi,e si è quindi considerata pericolosa l’organizzazione di competizioni calcistichedi livello professionistico, di tal che, è stata emanata la l. 13.12.1989,n. 401 (“Interventi nel settore del giuoco e delle scommesse clandestini e tuteladella correttezza nello svolgimento di manifestazioni sportive”), poi modificatadal d.l. 22.12.1994, n. 717 (“Misure urgenti per prevenire fenomeni di violenzain occasione di competizioni agonistiche”), convertito con modificazioninella l. 24.2.1995, n. 45; il d.l. 20.8.2001, n. 336 (“Disposizioni urgenti per contrastarei fenomeni di violenza in occasione di manifestazioni sportive”), convertitocon modificazioni nella l. 19.10.2001, n. 377; il d.l. 24.2.2003, n. 28(“Disposizioni urgenti per contrastare i fenomeni di violenza in occasione dicompetizioni sportive”), convertito con modificazioni nella l. 24.4.2003, n.88; il d.l. 17.8.2005, n. 162 (“Ulteriori misure per contrastare i fenomeni di violenzain occasione di competizioni sportive”), convertito nella l. 17.10.2005, n.210, e, infine, a seguito dell’uccisione dell’agente Raciti al termine della partitaCatania-Palermo, il d.l. 8.2.2007, n. 8, convertito nella l. 4.4.2007, n. 41(“Misure urgenti per la prevenzione e la repressione di fenomeni di violenzaconnessi a competizioni calcistiche, nonché norme a sostegno della diffusionedello sport e della partecipazione gratuita dei minori alle manifestazioni sportive”).Più in particolare, l’attività di gestione di uno stadio è stata espressamentedefinita attività pericolosa, ex art. 2050 c.c., dalla disciplina di cui ald.m. 25.8.1989, contenente “Norme di sicurezza per la costruzione e l’eserciziodegli impianti sportivi”, ed è stata in tal modo inquadrata dalla giurisprudenza,a causa dei frequenti incidenti, spesso mortali, che avvengono duranteogni stagione sportiva.In tal senso, si è infatti affermato ( 96 ) che “L’organizzazione di una manifestazionesportiva di livello professionistico deve essere ricondotta al concettodi attività pericolosa […] in quanto considerata tale da espresse norme di leg-( 96 ) Trib. Milano, 21.9.1998, n. 10037, cit.


184 CONTRATTO E IMPRESA 1/2011ge (D.M. 25.8.1989 […]) il cui contenuto è tutto informato dalla consapevolezzasull’estrema pericolosità delle manifestazioni agonistiche, in quanto oggettivamentepericolose”.Anche in dottrina ci si è posti a favore di questa impostazione, ritenendoche l’art. 2050 c.c. si applichi al gestore dello stadio di calcio, sul presuppostoche le intemperanze dei tifosi negli stadi rappresentano un rischiocreato – anche se involontariamente – dall’attività di organizzazione di incontricalcistici; rischio che in quelle sedi si connota per una potenzialitàdannosa elevatissima, attesa la concentrazione negli stadi di migliaia di persone( 97 ).Si è quindi affermata la responsabilità contrattuale ed extracontrattualedell’organizzatore della manifestazione calcistica.A tal riguardo, la casistica rinvenuta in giurisprudenza si può raggrupparenei seguenti profili di responsabilità: a) danni occorsi agli atleti; b) danniprovocati a spettatori e tifosi.Con riferimento ai danni subiti dagli atleti, appare opportuno richiamareun caso in cui si è affermata la responsabilità contrattuale della società di calcioin forza dell’art. 2087 c.c. ( 98 ); disposizione che si riempie di contenuto, allastregua del combinato normativo della l. n. 91 del 1981 e del d.m. 13.4.1995,che dispongono in tema di controlli sulla salute psico-fisica degli atleti da partedelle società sportive.La norma, in particolare, è stata applicata nel caso di un calciatore professionista( 99 ), il quale, nel corso della propria attività sportiva, aveva subitodue fratture al metatarso del piede destro, a seguito delle quali era statooperato di osteosintesi con inserimento di una vite metallica, che poi nonera stata rimossa completamente per un errore. L’atleta era stato poi visitatoda un medico dell’Istituto di Medicina dello Sport di Torino, che avevadichiarato l’idoneità del calciatore, il quale poi, nel corso di un allenamento,aveva riportato una terza frattura dalla quale era derivata la totale inabilitàal gioco del calcio e una inabilità permanente del 12%.La Suprema Corte ha affermato la responsabilità della società di calcio,ex art. 2087 c.c., in quanto la stessa aveva omesso di comunicare al centromedico sportivo la storia sanitaria dell’atleta ed aveva altresì omesso propricontrolli sul calciatore.( 97 ) Fra gli altri, Franzoni, La responsabilità civile, cit., p. 922 ss., che alla nota 16 richiamaanche giurisprudenza di merito in tal senso; nonché Sferrazza, La responsabilità oggettivadelle società di calcio, in Resp. civ. prev., 2008, p. 2154 ss., spec. par. 5.( 98 ) L’art. 2087 c.c. è infatti considerato norma portante del sistema, in materia di sicurezzasul lavoro.( 99 ) Cass., 8.1.2003, n. 85, in Resp. civ. prev., 2003, p. 765, con nota di Gherardi.


SAGGI 185Si tratta di una pronuncia, che, a ben guardare, si è espressa in merito all’applicabilitàdella richiamata disposizione codicistica alla società di calcioonde fondare la responsabilità della stessa per il grave infortunio occorso alproprio giocatore, semplicemente in forza della sua qualità di datrice di lavoroe non già anche in qualità di organizzatrice di una particolare gara; peraltro,ove si fosse trattato di un infortunio verificatosi nel corso di una partitaorganizzata da detta società, parimenti questa avrebbe potuto esserechiamata a rispondere ai sensi dell’art. 2087 c.c. dal giocatore che, nella specie,non fosse stato adeguatamente tutelato nella propria integrità fisica.Dalla natura contrattuale della responsabilità di cui al 2087 c.c. derivanorilevanti conseguenze in merito alla ripartizione dell’onere della prova, che,una volta dimostrato dall’atleta il verificarsi dell’infortunio nel corso dellosvolgimento del rapporto lavorativo, sarà a carico del datore di lavoro, ilquale, ove voglia esonerarsi, dovrà dimostrare che l’evento dannoso si è verificatoper causa a lui non imputabile e nonostante abbia posto in esseretutte le misure idonee ad evitare il danno ( 100 ).Nel caso concreto esaminato, inoltre, è stata affermata la responsabilitàdella società sportiva anche ex art. 2049 c.c., applicabile in relazione agli illeciticommessi dai preposti, quale – nella specie – il medico sportivo dellasocietà stessa.In una diversa fattispecie venuta alla ribalta delle cronache, un orientamentodottrinale ha invece ritenuto applicabile l’art. 2050 c.c. ( 101 ), affermandoquindi la responsabilità extracontrattuale della società di calcio neiconfronti dell’atleta, per esercizio di attività pericolosa. Durante la partita dicalcio Messina-Lecce, il calciatore Domenico Giampà (giocatore del MessinaCalcio) andò a scontrarsi con un cartellone pubblicitario “rotativo” posizionatoa bordo campo, riportando lesioni personali alla coscia sinistra acausa della recisione del muscolo mediale, e ben 147 punti di sutura.Al riguardo, il regolamento della F.I.G.C. prevede una distanza di duemetri e mezzo di tali cartelloni dalle linee di demarcazione del campo. Si èperaltro rilevato che il rispetto di dette prescrizioni non esime la societàsportiva dall’osservanza dei principi generali di cautela e di salvaguardia perl’incolumità degli atleti, vale a dire che non basta aver rispettato le distanzestabilite per poter affermare e dimostrare di aver adottato tutte le misureidonee ad evitare il danno. Di qui, la responsabilità oggettiva ex art. 2050( 100 ) In tal senso, Gherardi, Responsabilità contrattuale delle società calcistiche a livelloprofessionistico per infortuni subiti dai calciatori, in nota a Cass., 8.1.2003, n. 85, cit., colloc. cit.,p. 770.( 101 ) Maietta, La responsabilità civile delle società di calcio: osservazioni a margine del caso“Giampà”, in Riv. dir. econ. sport, 2005, p. 41 ss.; Idem, Cartelli pubblicitari nello stadio e responsabilitàdelle società sportive: il caso Giampà, in Danno e resp., 2005, p. 337 ss.


186 CONTRATTO E IMPRESA 1/2011c.c., ipotizzata a carico della società sportiva per omessa vigilanza sul correttoposizionamento del supporto pubblicitario – che sembra fosse statospostato dopo il controllo degli ufficiali di gara – nonché “per omessa adozionedelle misure di sicurezza necessarie a rendere l’insidia del ferro sporgentedel cartello pubblicitario visibile e prevedibile” ( 102 ).Si è ritenuto peraltro che, nel caso esaminato, si sarebbe in linea di principioben potuta prospettare anche una responsabilità ex art. 2051 c.c., perdanni da cose in custodia, atteso che i cartelloni pubblicitari collocati all’internoallo stadio di calcio sono soggetti al continuo monitoraggio del soggetto-custode,sul quale ricadono gli obblighi di vigilanza sulla loro integritào comunque non alterazione o non rimozione da parte di terzi ( 103 ).Per attività di “custodia” si intende infatti “qualsiasi relazione fra la cosaed il soggetto, tale per cui si possa ritenere che a quest’ultimo incomba un doveredi controllo su di essa” ( 104 ); per aversi vera e propria custodia, è quindinecessario che la cosa custodita, che abbia causato la lesione, si trovi sottola diretta sorveglianza e dipendenza assoluta del custode, con esclusione diqualsiasi altra persona ( 105 ).Il custode delle cose risponde quindi del danno dalle stesse (dinamicheo statiche) prodotto, a meno che provi il caso fortuito o il fatto del terzo, seautonomo, imprevedibile ed inevitabile.Pertanto, poiché nel “caso Giampà” si è ritenuto che non si fosse verificatoun fatto del terzo, od un fattore esterno, tali da interrompere il nessocausale fra il custode (società sportiva Messina), la cosa e l’evento lesivo, sarebbestato verosimilmente ipotizzabile, a carico della società di calcio Mes-( 102 ) Così, Maietta, La responsabilità civile della società di calcio, cit., p. 46 ss. Critico sulpunto Lepore, Responsabilità civile e tutela della “persona-atleta”, cit., p. 254 ss., ad avviso delquale, nel caso di specie, sarebbe stato necessario approfondire meglio l’effettivo ruolo giocatodalla società del Messina in merito alla gestione dello stadio e alla predisposizione dellacartellonistica pubblicitaria ivi presente, non essendo sempre detto che chi organizza l’incontrosi occupi anche di questo particolare aspetto, circostanza data invece per scontata dalladottrina citata; l’a. riferisce anche in merito alla pronuncia emanata dal Tribunale penale diMessina, in data 28.9.2006, che ha sancito la condanna del legale rappresentante della societàche gestiva la cartellonistica e del tecnico allestitore, a tre mesi di reclusione e venti giorni diarresto per entrambi e alla liquidazione delle spese sostenute dal giocatore: tale ultima sentenzaindividua, a suo avviso, il vero responsabile delle lesioni occorse a Giampà, ovvero lasocietà pubblicitaria e non il Messina calcio. Identiche conclusioni, nel senso dell’applicabilitàdell’art. 2050 c.c., potrebbero a maggior ragione ipotizzarsi ove l’atleta leso in dipendenzadella mancata predisposizione di idonee cautele non fosse contrattualmente legato all’organizzatore.( 103 ) Maietta, La responsabilità civile della società di calcio,cit., pp. 48-49.( 104 ) Per tutti, Alpa, Bessone, Zeno Zencovich, I fatti illeciti, in Trattato di diritto privato,diretto da Rescigno, 14, 2 a ed., Torino, 1995, p. 354.( 105 ) Geri, Responsabilità civile da custodia, in Resp. civ. prev., 1974, p. 169.


SAGGI 187sina, organizzatrice della gara, un ulteriore titolo di responsabilità, ex art.2051 c.c. ( 106 ).Si è inoltre rilevato che l’ipotizzata responsabilità, anche ai sensi dell’art.2051 c.c., della società sportiva organizzatrice dell’incontro di calcio,non precluderebbe alla stessa l’azione di regresso nei confronti del produttoredel cartellone, a titolo di responsabilità oggettiva per danno da prodottodifettoso, superabile, da parte del produttore stesso, mediante la prova diaver adottato tutti gli accorgimenti tecnici ed operativi a disposizione delmercato, per produrre e commercializzare correttamente il prodotto; néprecluderebbe il regresso della società sportiva medesima anche nei confrontidella terna arbitrale, sulla quale incombe infatti l’obbligo di verificarela conformità del cartellone pubblicitario alle norme regolamentari concernentile attrezzature utilizzate, nonché la conformità del terreno di gioco edi quanto ad esso pertinenziale ( 107 ).In un’ulteriore fattispecie, in cui una violenta pallonata aveva colpito alvolto un calciatore, che aveva quindi proposto azione nei confronti della societàdi calcio organizzatrice per il risarcimento dei danni subiti, la responsabilitàdella convenuta è stata negata, in quanto la pallonata è stata consideratarientrare nel rischio consentito dal giocatore, con conseguente operativitàdella scriminante sportiva, che infatti giustifica la produzione dellalesione ogniqualvolta la stessa non sia stata provocata con intenzione di lederee sia stata funzionale allo spirito agonistico della specifica disciplina,oltre che ispirata a razionalità sportiva ( 108 ). In ipotesi, si sarebbe potuto configurarela responsabilità della società sportiva, ove l’infortunato avesse dimostratoche il danno era stato causato dalle concrete modalità di organizzazioneo gestione dell’impianto, dalla mancanza di misure di sicurezza odal ritardo nell’intervento dei sanitari.Quanto al secondo profilo di responsabilità delle società di calcio, sopraindividuato sub b), vale a dire quello relativo ai danni provocati a spettatorie tifosi, si rinvengono in giurisprudenza, sia decisioni che hanno affermatola responsabilità della società di calcio a titolo contrattuale, sia pronunzieche ne hanno invece riconosciuta la responsabilità aquiliana.Con riguardo al primo orientamento, si è infatti affermato da talune cortidi merito che “l’obbligo di garantire il godimento dello spettacolo assuntodall’ente organizzatore della partita di calcio con la vendita del biglietto includecertamente il dovere di adottare tutte le misure idonee ad assicurare l’inco-( 106 ) Maietta, La responsabilità civile della società di calcio, cit., p. 49.( 107 ) Maietta, La responsabilità civile delle società di calcio, cit., p. 49 ss., e autorevole dottrinadal medesimo citata. Si veda inoltre, al riguardo, il d.m. 18.3.1996, recante Norme di sicurezzaper la costruzione e l’esercizio degli impianti sportivi.( 108 ) Trib. Cassino, 18.4.2002, in Giur. romana, 2002, p. 383.


188 CONTRATTO E IMPRESA 1/2011lumità degli spettatori, anche sulla fase dell’ingresso e dell’uscita dallo stadio”( 109 ). In applicazione di tale principio, le medesime decisioni hanno peraltroin concreto escluso la responsabilità civile della società sportiva per lelesioni subite da uno spettatore fuori dallo stadio in seguito alle percossedei tifosi avversari o procurate da lancio di oggetti contundenti, e a distanzadi tempo dalla conclusione dell’incontro; ciò, in quanto, in presenza di talicircostanze, i comportamenti dei tifosi, se pure prevedibili, non sarebberocomunque fronteggiabili.In sede di appello, si è confermato che “l’obbligo contrattuale di garantirelo spettacolo include anche quello di adottare tutte le misure idonee ad assicurarel’incolumità degli spettatori, misura accessoria rispetto a quella principaledi fornire lo spettacolo”, per concludere tuttavia che va esclusa la responsabilitàcontrattuale dell’organizzatore della partita di calcio per i danniriportati da tifosi al termine della partita ed al di fuori dello stadio, attesoche “esaurito lo spettacolo, gli spettatori che abbiano lasciato il luogo in cui essosi è svolto, non possono vantare alcuna pretesa in ordine ad un contrattoesaurito in ogni prestazione da entrambi i contraenti” ( 110 ).Ed ancora, si è addirittura ritenuto ( 111 ) che l’obbligo contrattuale di garantirela sicurezza dello spettatore pagante si tradurrebbe nell’obbligo diimpedire l’introduzione ed il lancio di oggetti nello stadio; sussisterebbequindi un obbligo di vigilanza come momento “privatistico” della società dicalcio organizzatrice dell’evento, che sarebbe contrattualmente tenuta anchea porre in essere tutte le attività che occasionalmente e temporaneamentesi configurano come strumentali al mantenimento dell’ordine pubblico.Per contro, ad avviso di una decisione di merito più recente ( 112 ), la societàdi calcio non sarebbe contrattualmente tenuta a garantire l’incolumitàdegli spettatori, dovere che invece incomberebbe unicamente sulle forzedell’ordine; sempre secondo la medesima decisione, inoltre, l’organizzatoredi una partita di calcio non avrebbe neppure l’obbligo extracontrattualedi salvaguardare l’incolumità degli spettatori dal lancio di oggetti ad opera( 109 ) Trib. Milano, 21.3.1988, cit.; nonché Trib. Milano, 18.1.1973, cit. Sul punto, si vedaanche Liotta, Attività sportive e responsabilità dell’organizzatore, cit., p. 142.( 110 ) App. Milano, 30.3.1990, cit. In merito alla richiamata decisione, si veda nuovamentefranzoni, La responsabilità civile, cit., p. 922 ss., che sottolinea come, agli effetti della sussistenzadella responsabilità contrattuale dell’organizzatore, sia necessario che “il pregiudiziolamentato dall’utente sia in rapporto di causalità con l’evento, dunque che il fatto dell’organizzatorepossa essere considerato conseguenza immediata e diretta dell’inadempimento, secondol’art. 1223 c.c.”.( 111 ) Giud. pace Napoli, 31.12.2003, in Giur. it., 2004, I, 2, c. 2324, con nota di Lucarelli.( 112 ) Trib. Perugia, 15.7.2005, in Resp. civ. prev., 2006, p. 1297, con nota di Zuddas.


SAGGI 189di terzi, dal momento che il fatto del terzo escluderebbe il nesso causale econsiderato che l’organizzazione di una partita di calcio professionisticonon costituirebbe attività pericolosa, di tal che, secondo il principio generaledi cui all’art. 2043 c.c., andrebbe provato dal danneggiato l’elemento soggettivodel fatto illecito ( 113 ).Con riguardo all’orientamento giurisprudenziale che ha riconosciuto laresponsabilità extracontrattuale della società di calcio per danni arrecati aiterzi, quali spettatori e tifosi, lo stesso ha fatto leva, di volta in volta, sulla responsabilitàgenerale di cui al precetto del neminem laedere, ex art. 2043 c.c.,e sulle responsabilità speciali di cui agli artt. 2049 e 2050 c.c.Ed infatti, nel caso degli incontri di calcio professionistici, l’esigenza dioggettivizzare la responsabilità per eventi dannosi occorsi durante le partiteriposa, da un lato, nella difficoltà di individuare un responsabile del comportamentodannoso ( 114 ), e, dall’altro, nell’esigenza di apprestare al danneggiatouna più veloce ed efficace azione risarcitoria (favor victimae) ( 115 ).Si osserva, inoltre, che la frequenza con la quale in certi contesti si verificanoeventi dannosi, ovvero la gravità degli stessi, rende qualificabile comepericolosa l’attività di chi organizza una competizione sportiva, cosicchési deve necessariamente richiamare l’art. 2050 c.c. con riferimento agliincontri di calcio professionistico, circa il quale si constata, infatti, che lostesso, pur consistendo nel gioco intorno al pallone, si sviluppa e si amplificatuttavia ben oltre tale ambito, come dimostra il crescendo di violenze neglistadi, nonché negli spazi immediatamente adiacenti.Infine, la tendenza ad “oggettivizzare” la responsabilità delle societàsportive, in caso di eventi professionistici, si giustifica preminentemente sulrilievo che lo sport, ed in particolare taluni sport, come il calcio, sono semprepiù da riguardare come business, in ragione dei molteplici interessi economiciche vi ruotano attorno (pubblicità, sponsorizzazioni, diritti radiotelevisivi,eventi promozionali . . .), cosicché ben si comprende l’esigenza di applicareil principio “cuius commoda eius et incommoda”, con conseguente responsabilitàoggettiva della società sportiva per i danni arrecati ai terzi, come,ad esempio, nel caso del lancio di fumogeno ( 116 ), ed agli atleti, come nelcaso, sopra esaminato, delle lesioni subite dal calciatore Domenico Giampàdel Messina calcio ( 117 ).( 113 ) Nella specie ritenuto insussistente: nel caso di cui trattasi, infatti, uno spettatore,mentre era in fila per accedere alle gradinate, era stato colpito all’occhio sinistro da un oggettolanciato da alcuni tifosi all’interno dello stadio.( 114 ) Ad esempio, nel caso del lancio di oggetti in campo dagli spalti: al riguardo, si richiamanuovamente Trib. Torino, 8.11.2004, cit., che ha deciso in merito al lancio di un petardo.( 115 ) Maietta, La responsabilità civile della società di calcio, cit., p. 45.( 116 ) Trib. Torino, 8.11.2004, cit.( 117 ) Si veda, al riguardo, Maietta, La responsabilità civile delle società di calcio, cit., p. 46.


190 CONTRATTO E IMPRESA 1/2011Venendo ora, più nello specifico, all’esame dell’incidente avvenuto alloStadio delle Alpi di Torino durante la partita di calcio Juventus-Roma, nelcorso del campionato 2000-2001 ( 118 ), deve rammentarsi che, in tale occasione,un tifoso della Roma veniva gravemente ferito alla mano destra daun fumogeno, lanciato dal settore riservato alla tifoseria avversaria, che eglinon aveva potuto evitare, a causa della ingessatura che gli immobilizzava lagamba destra e che gli aveva impedito di allontanarsi celermente.Il danneggiato conveniva la Juventus, in qualità di organizzatrice dell’incontrocalcistico, non a titolo di responsabilità contrattuale, come pureavrebbe potuto avendo pagato il biglietto, bensì a titolo di responsabilità extracontrattualeper esercizio di attività pericolosa ex art. 2050 c.c., con conseguenteonere probatorio, a carico della Juventus, di “aver adottato tutte lemisure idonee ad evitare il danno”.All’esito dell’istruttoria esperita nel corso del giudizio, era emersa, inprimo luogo, la responsabilità della Questura competente, e quindi delloStato, a causa delle riscontrate lacune nel sistema di perquisizioni, ed inoltrela responsabilità del Comune di Torino, in qualità di proprietario delloStadio delle Alpi, per aver concesso in locazione alla Juventus uno stadio, lecui strutture si erano rivelate inadeguate nel 2001, in quanto sprovviste di ripariorizzontali fissi o mobili che ostacolassero i lanci reciproci di oggetti frale tifoserie avversarie, con conseguente pericolosità dello stadio stesso.L’istruttoria aveva quindi escluso la responsabilità della Juventus organizzatrice,tanto più che la stessa aveva più volte sollecitato interventi adeguatoridel Comune di Torino, mirati a fronteggiare la pericolosità dell’eventocalcistico.Tuttavia la Juventus è stata condannata ex art. 2050 c.c., sull’assunto chela stessa, ben consapevole della pericolosità dell’incontro e dell’impianto –tant’è vero che aveva più volte sollecitato al riguardo interventi da parte delComune – non aveva scelto di disputare la partita in un altro stadio.E ciò, nonostante fosse possibile obiettare, al riguardo, che il comportamentoche si rimproverava essere stato omesso, cioè quello di far disputarela partita in uno stadio differente, si presentava difficilmente esigibile nelcaso di specie, essendosi la Juventus impegnata ad inizio anno, nei confrontidella F.I.G.C., a disputare tutti gli incontri di calcio a Torino; inoltre,non sembra che durante l’istruttoria si fosse adeguatamente vagliato se esistesseun altro stadio che potesse costituire una valida alternativa.Come ben si vede, la tendenza della giurisprudenza appare quella di ricondurrecomunque alla società di calcio organizzatrice la responsabilitàper il lancio di oggetti, invocando le regole in tema di responsabilità per at-( 118 ) Che ha formato oggetto della più volte richiamata Trib. Torino, 8.11.2004.


SAGGI 191tività pericolosa anche in casi nei quali sembrerebbe dover operare il principiogenerale per cui “ad impossibilia nemo tenetur” ( 119 ).Analoga decisione è stata assunta in un altro caso di lancio di oggetti permancanza di coperture orizzontali ( 120 ); nella specie, l’anello inferiore riservatoai tifosi della squadra ospite era più largo di quello superiore riservatoalla opposta tifoseria, dalla quale era quindi possibile un lancio di oggetti.Anche in tale occasione, si è affermato che l’organizzazione di una partitadi calcio è attività pericolosa ai sensi dell’art. 2050 c.c., sia perché ritenutatale dalle numerose disposizioni volte ad impedire incidenti negli stadi ofuori da essi, sia perché oggettivamente pericolosa, come dimostra la seriedi incidenti che sempre avvengono in occasione delle partite; è stato datoaltresì rilievo agli interessi economici coinvolti in questo tipo di eventi.In questa prospettiva, si è ritenuto che il gestore dello stadio debbaadottare ogni misura idonea ad evitare il verificarsi di eventi dannosi che vedanocoinvolti gli spettatori, derivanti tanto da lanci di oggetti, quanto dacontatti fisici tra tifoserie avversarie, anche perché la normativa in materiarichiede che le strutture sportive siano predisposte per tenere separati i tifosiavversari e che le barriere tra settori siano realizzate con materiali resistentied ignifughi ( 121 ).( 119 ) Così Grassani, La responsabilità risarcitoria dell’organizzatore dell’evento sportivo –il caso Juventus. Sentenza del Tribunale di Torino 8 novembre 2004, in Riv. dir. econ. sport, 2005,p. 134. Critico nei confronti della decisione che ha coinvolto unicamente la squadra organizzatrice,conduttrice dello stadio, mandando esente da ogni responsabilità il Comune di Torinoche ne era proprietario, anche Lepore, La responsabilità nell’esercizio e nell’organizzazionedelle attività sportive, cit., p. 278, il quale, richiamando la Cass. Pen., 27.1.1975, n. 207, in Riv.dir. sport., 1976, p. 30, rileva che una soluzione diversa dovrà essere invece ricercata qualoral’impianto formi oggetto di concessione amministrativa, per cui la quasi totalità della gestionee dell’organizzazione dello stesso e degli eventi che in esso vengono realizzati, fanno caricoalla società concessionaria in via esclusiva, la quale ha anche l’obbligo di provvedere all’ottenimentodella relativa autorizzazione di pubblica sicurezza.( 120 ) Trattasi dell’incontro di calcio Milan-Sampdoria, sottoposto all’esame di App. Milano18.5.2001, in Foro pad., 2002, I, c. 205, con nota di Curti, nonché, previamente, di Trib. Milano,21.9.1998, n. 10037, cit.( 121 ) È opportuno rilevare, al riguardo, che il Codice di giustizia della F.I.G.C. configura acarico delle società calcistiche una responsabilità oggettiva in relazione all’operato dei proprisostenitori sia sul proprio campo, ivi compreso il campo neutro, sia su quello delle societàospitanti (art. 4, comma 3°), nonché un’ulteriore responsabilità in relazione all’ordine e allasicurezza prima, dopo e durante lo svolgimento della gara, sia all’interno del proprio impiantosportivo, che nelle aree esterne immediatamente adiacenti (art. 4, comma 4°). È inoltre previstoche le società rispondano per l’introduzione o utilizzazione negli impianti sportivi dimateriale pirotecnico di qualsiasi genere, di strumenti ed oggetti comunque idonei ad offendere,di disegni, scritte, simboli, emblemi o simili, recanti espressioni oscene, oltraggiose, mi-


192 CONTRATTO E IMPRESA 1/2011L’onere della prova di avere adottato tutte le misure idonee incombe-nacciose o incitanti alla violenza; esse sono altresì responsabili per cori, grida e ogni altra manifestazionecomunque oscena, oltraggiosa, minacciosa o incitante alla violenza (art. 12,comma 3°): in caso di violazione, il giudice sportivo applicherà la sanzione dell’ammenda; neicasi più gravi, da valutare in modo particolare anche con riguardo alla recidiva, potrà esseredisposto l’obbligo di disputare uno o più gare a porte chiuse o con uno o più settori privi dispettatori, ovvero potrà essere prevista la squalifica del campo per una o più giornate (art. 12,comma 6°). Le società sono responsabili anche per i fatti violenti commessi dai propri sostenitoriin occasione della gara, sia all’interno del proprio impianto sportivo, che nelle areeesterne immediatamente adiacenti, quando siano direttamente collegati ad altri comportamentiposti in essere all’interno dell’impianto sportivo, se dal fatto derivi un pericolo per l’incolumitàpubblica o un danno grave all’incolumità fisica di uno o più persone (art. 14, comma1°); per questi fatti è prevista la sanzione dell’ammenda con eventuale diffida; laddove la societàsia già stata diffidata o in caso di fatti particolarmente gravi potrà essere disposto l’obbligodi disputare uno o più gare a porte chiuse o con uno o più settori privi di spettatori, ovveropotrà essere prevista la squalifica del campo per una o più giornate (art. 14, comma 2°). Le disposizionida ultimo richiamate si rinvengono nell’attuale Codice di giustizia sportiva entratoin vigore il 1.7.2007. In relazione alle norme, di contenuto analogo, contenute nel Codice digiustizia sportiva in vigore precedentemente, si è pronunciato il TAR Catania Sicilia,19.4.2007, n. 679, in Foro Amm. TAR, 2007, p. 1484, con nota di Paolantonio, che ha dichiaratol’illegittimità delle norme disciplinari prevedenti la responsabilità oggettiva delle societàcalcistiche per i fatti di violenza imputabili ai propri tifosi, invocando il principio di personalitàdella pena, di cui all’art. 27 Cost. (nel caso di specie alcuni abbonati del Catania si erano rivoltiTAR lamentando un danno in conseguenza dei provvedimenti assunti dal giudice sportivoin seguito ai già richiamati disordini, in occasione dei quali, durante la partita Catania-Palermo,era morto l’agente Raciti; in applicazione delle norme del Codice sulla responsabilitàoggettiva delle società calcistiche, il giudice sportivo aveva infatti deciso che tutte le successivepartite casalinghe del Catania di lì alla fine del campionato avrebbero dovuto disputarsi aporte chiuse). La pronuncia citata è commentata da Forti, Riflessioni in tema di diritto disciplinaresportivo e responsabilità oggettiva, in Riv. dir. econ. sport, 2007, p. 13 ss., il quale (p. 24)informa anche in merito ai successivi articolati sviluppi giudiziari della vicenda di specie, chesi è conclusa con la conciliazione fra Catania e F.I.G.C. davanti alla Camera di Conciliazionee Arbitrato per lo Sport del C.O.N.I., nell’ambito della quale la società si è dichiarata estraneaal ricorso presentato dal gruppo di abbonati ed ha accettato la sanzione, ottenendo come contropartital’apertura dello stadio al pubblico per le ultime due giornate del campionato. Lasentenza è commentata anche da Castronovo, Pluralità degli ordinamenti, autonomia sportivae responsabilità civile, in Europa e dir. priv., 2008, pp. 549-550, il quale, analizzandone la motivazione,rileva criticamente come il principio di personalità della pena sia stato richiamato asproposito dal giudice amministrativo, vertendosi, nella specie, non di responsabilità oggettivapenale di una persona fisica, ma di responsabilità oggettiva disciplinare (sportiva) di unapersona giuridica. Sulle regole di responsabilità oggettiva delle società calcistiche previste dalCodice di giustizia sportiva in collegamento a comportamenti violenti dei propri tifosi, si v.anche Franchini, Profili di attualità nella disciplina della Federazione italiana giuoco calcio, inFenomeno sportivo e ordinamento giuridico, Atti del 3° Convegno Nazionale S.I.S.Di.C., Napoli,2009, pp. 643-644, il quale ricorda anche che (ai sensi dell’art. 14, comma 4°) il giudice


SAGGI 193rebbe sulla società di calcio che gestisce lo stadio, ed in questo contesto,dalla medesima pronuncia è stato ritenuto irrilevante che il danno abbiaavuto concausa nel fatto di un terzo; si è affermato infatti, al riguardo, che ilfatto del terzo rileva unicamente quando sia tale da elidere totalmente ilnesso causale tra l’attività gestoria e l’evento, circostanza che nella speciesportivo, ai fini della non applicazione o dell’attenuazione delle sanzioni, può tenere in considerazionela verificata sussistenza di una delle seguenti circostanze: adozione ed efficace attuazioneprima del fatto, di modelli di organizzazione e gestione della società idonei a prevenirecomportamenti violenti, con impiego di risorse finanziarie ed umane idonee allo scopo;ovvero concreta cooperazione della società con le forze dell’ordine e le altre autorità competentiper l’adozione di misure atte alla prevenzione e alla identificazione dei responsabili deifatti di violenza. Sul controverso istituto della responsabilità oggettiva sportiva e sul suo fondamento,si v. Tortora, Izzo, Ghia, Guarino, Danese, Nucci, Naccarato, Casolino, Novarina,Diritto sportivo, cit., p. 103 ss.; Izzo, Le responsabilità nello sport, cit., p. 127 ss., ove ulterioririferimenti. Sulle possibili conseguenze dell’affermazione della responsabilità oggettivada parte del giudice sportivo sulla valutazione della responsabilità dell’organizzatore daparte del giudice statale, si v. Santoro, Sport estremi e responsabilità, nei Quaderni di Responsabilitàcivile e previdenza, Milano, 2008, pp. 174-175, la quale afferma che il giudice, chiamatoa decidere in merito alla domanda di risarcimento del danno derivato da fatti ascrivibili allaresponsabilità oggettiva della società, dovrà fondare la sua decisione non già sulla regoladell’ordinamento sportivo, ma sulla regola di cui all’art. 2050 c.c., che, tuttavia, viene riempitadi contenuto, sulla base della normativa sportiva: “in altri termini”, a parere dell’a. citata,“le regole federali che addossano la responsabilità per il mantenimento dell’ordine pubblicoa carico delle società, specificando talvolta i singoli comportamenti costituenti infrazione […]riempiono di contenuto la generale nozione di attività pericolosa riferita all’organizzatoresportivo”; Liotta, Attività sportive e responsabilità dell’organizzatore, cit., pp. 86-87, il quale,nel commentare l’inedita pronuncia di Trib. Crotone, 17 giugno 1993, n. 433, che ha condannatola società al risarcimento dei danni a titolo di responsabilità oggettiva proprio sulla basedella regola sportiva che configura la responsabilità oggettiva per i fatti di violenza ascrivibilialla tifoseria, sottolinea la marcata funzionalità della responsabilità oggettiva sportiva a taluniscopi, quali quelli della prevenzione dei fenomeni di violenza, perseguiti anche dall’ordinamentogiuridico statale, rilevando che “è proprio questa funzione antiviolenza che sancisceuna sorta di dovere preventivo di induzione al controllo in capo all’organizzatore sportivo”,ma precisando anche che la rilevanza dell’istituto della responsabilità sportiva oggettiva all’internodel sistema generale della responsabilità civile “sembra, in ogni caso, condizionatadallo stesso valore giuridico del caso fortuito”. Molto critico invece sulla decisione del tribunalecalabrese Castronovo, Pluralità degli ordinamenti, cit., pp. 554-555, il quale afferma che“una decisione del genere è esemplare della incomprensione di ciò che autonomia dell’ordinamentosportivo sia, e pluralità degli ordinamenti giuridici significhi […] la regola dell’ordinamentocollaterale sportivo […] non può diventare automaticamente, e quasi a mo’di corollario,responsabilità oggettiva degli stessi soggetti secondo l’ordinamento dello Stato […] Ciascunordinamento può contenere regole di responsabilità, che si riferiscono agli ambiti suoipropri: questo significa che non è possibile trarre effetti giuridici previsti in uno da regole contenutein alcuno degli altri”.


194 CONTRATTO E IMPRESA 1/2011non è stata in concreto ritenuta, essendo stata evidentemente addossata allasocietà di calcio organizzatrice la responsabilità per non aver fatto tutto ilpossibile per prevenire anche lo stesso fatto del terzo.Cosicché, alla luce delle decisioni sin qui richiamate sul profilo in considerazione,vale a dire quello degli eventi lesivi occorsi a spettatori e tifosi,può affermarsi, in linea generale, che l’onere della prova a carico dell’organizzatoreconsiste nel dimostrare in concreto che il fatto, per le modalità incui si è svolto, ha reso vana ogni possibile prevenzione.Con specifico riguardo alla responsabilità della società di calcio organizzatriceper i danni provocati da fatto dei tifosi, è poi emerso che, se pure inpassato è stata affermata dalla giurisprudenza la responsabilità della societàsportiva per fatti provocati dai tifosi nell’area antistante allo stadio e addiritturaper i danni cagionati dai tifosi stessi durante una partita in trasferta ( 122 ),più di recente è stata invece negata la responsabilità dell’organizzatore per idanni avvenuti ad opera dei tifosi al di fuori dello stadio, ed invece affermataper i fatti avvenuti all’interno dello stadio, ivi comprendendosi anchel’entrata e l’uscita dallo stesso ( 123 ).Come si può notare, l’esclusione della responsabilità dell’organizzatoreper fatti occorsi fuori dallo stadio – e a distanza di tempo dalla fine della partita– è stata sancita in relazione a casi per i quali il titolo invocato dal danneggiatoper far dichiarare la responsabilità dell’organizzatore era quellocontrattuale (acquisto del biglietto nel contratto cd. di “spettacolo”); la qualcosa, ben si comprende alla luce del rilievo che, ove il titolo della pretesa risarcitoriaazionata venga fondato sulla responsabilità contrattuale, è certamentepiù agevole per l’organizzatore far leva sull’esaurimento, a fine partitae fuori dallo stadio, delle prestazioni dallo stesso previste a proprio carico;in ipotesi di invocata responsabilità extracontrattuale ex art. 2050 c.c.,invece, meno semplice si presenta – alla luce del rigore probatorio con ilquale la giurisprudenza, come si è visto, è solita applicare l’art. 2050 c.c. all’attivitàdi organizzazione di eventi sportivi, ed in particolare di quelli calcistici– la prova, da parte della società di calcio organizzatrice, che l’eventodannoso, pur verificatosi fuori dallo stadio e a fine partita, esulava del tuttodalla propria sfera di controllo.5. – Come si è avuto modo di evidenziare, l’attività di organizzazione diun evento sportivo dà luogo a responsabilità nei confronti degli atleti ove li( 122 ) Così, rispettivamente, Trib. Torino, 14.2.1971, in Riv. dir. sport., 1972, p. 74, e App.Roma, 17.7.1971, in Riv. dir. sport., 1972, p. 256, entrambe richiamate da Bona, Castelnuovo,Monateri, La responsabilità civile, cit., p. 64.( 123 ) In tal senso, le già richiamate Trib. Milano, 21.3.1988, Trib. Milano, 18.1.1973, edApp. Milano, 30.3.1990.


SAGGI 195esponga ad un rischio superiore a quello connaturato alla singola disciplinao gara, e quindi da essi accettato, o comunque, anche all’interno di detta sogliadi rischio, ove gli eventi lesivi possano ricondursi alla mancata predisposizionedi cautele imposte da prescrizioni tecniche, dai criteri di prudenzae diligenza operanti nel singolo ambito sportivo di riferimento, dai principigenerali di comune prudenza e diligenza, e comunque dalle caratteristichedella specifica disciplina.In tali casi, in favore degli atleti si potranno applicare, se dipendenti dall’organizzatore,l’art. 2087 c.c. e comunque, più specificatamente, le previsionidella l. n. 81 del 1991, operante anche con riguardo agli atleti inquadrabilicome lavoratori autonomi.Sempre in caso di eventi lesivi occorsi ad atleti, come si è visto ( 124 ), si èritenuta ipotizzabile, per il caso di organizzazione di evento calcistico professionistico,l’applicabilità dell’art. 2050 c.c., in tema di responsabilità perattività pericolosa e l’art. 2051 c.c., in tema di danni da cose in custodia.Quanto invece ai danni rientranti nel rischio “consentito”, gli stessi resterannoin linea di principio a carico dell’atleta, a meno che questi non dimostrila loro riconducibilità alla mancata osservanza di doverose cauteleda parte dell’organizzatore.Con riferimento agli eventi lesivi occorsi agli spettatori, poiché per essi– come pacificamente riconosciuto ( 125 ) – non vige il principio dell’accettazionedel rischio, si applicheranno all’organizzatore l’art. 1218 c.c., e/o l’art.2043 c.c. (ed inoltre, l’art. 2049 c.c., quanto alla responsabilità vicaria dellostesso).Sempre nei confronti degli spettatori, nei casi in cui l’attività dell’organizzatoresi configuri come “pericolosa” – come, ad esempio, viene ora reputataquella delle società di calcio professionistiche – si potrà applicare, oltreall’art. 1218 c.c., anche l’art. 2050 c.c.Relativamente ad entrambi i titoli di responsabilità, contrattuale ed extracontrattuale,tuttavia, al di là del diverso soggetto su cui ricade l’onereprobatorio (il danneggiato, in caso di ritenuta applicabilità dell’art. 2043 c.c.,oppure il danneggiante, in ipotesi di operatività dell’art. 1218 c.c. oppuredell’art. 2050 c.c.), sembra comunque di poter affermare che, alla stregua( 124 ) Si vedano le superiori note 101 ss., sul “caso Giampà”.( 125 ) Per tutti, Galligani-Piscini, Riflessioni, cit., p. 119; Ponzanelli, Responsabilità civilee attività sportiva, cit., p. 603; in giurisprudenza, si v. Trib. Rovereto, 5.12.1989, cit., secondocui “il principio dell’assunzione del rischio […] mal si concilia con le nuove concezioni sociali:se è nell’interesse dell’organizzatore la presenza del pubblico agli incontri sportivi da luiorganizzati, sia per l’entrata pecuniaria che gli procura, sia per l’interesse pubblicitario che glideriva, è anche suo specifico obbligo quello di prendere tutte le misure di prudenza per tutelaredetto pubblico dal pericolo di danno alla sua incolumità”.


196 CONTRATTO E IMPRESA 1/2011dei rigidi criteri applicativi utilizzati in giurisprudenza nel configurare gliobblighi di cautela posti a carico dell’organizzatore, agli effetti di ritenerequest’ultimo esonerato da responsabilità si tenda a porre in definitiva pursempre l’accento sul caso fortuito, inteso quale evento del tutto imprevedibileed eccezionale, che esuli dal controllo dell’organizzatore - società sportiva,e che abbia di per sé solo determinato il danno.Si assiste così ad uno spostamento di attenzione, dalla condotta e quindidalla diligenza e prudenza pretendibili dall’organizzatore, anche in lineacon quanto espressamente previsto dall’art. 2050 c.c., alla valorizzazionemassima del nesso causale, pretendendosi infatti che l’organizzatore sia tenutoa rispondere, ogniqualvolta non dimostri la specifica causa, straordinariaed imprevedibile, che abbia da sé determinato l’evento lesivo ( 126 ). Iltutto, in una prospettiva che muta l’astratto giudizio di prevedibilità ex ante,che ragionevolmente potrebbe e quindi dovrebbe porsi a carico dell’organizzatore,nella pretesa ad una valutazione, da parte del medesimo, dellaprevedibilità in concreto, ex post, dell’evento lesivo, come tale, oltre che deltutto irragionevole, eccessivamente gravosa per l’organizzatore, di fatto tenutoall’“impossibile”.Neppure appare convincente, quantomeno ove affermata in manieraassoluta, la tesi, per la quale l’organizzatore risponderebbe ex art. 2050 c.c.,vale a dire per esercizio di attività pericolosa, ogniqualvolta gli atleti risultasseroesposti “a conseguenze più gravi rispetto a quelle che potrebbero essereprodotte dagli errori del gesto sportivo” ( 127 ), vale a dire ad un rischio superiorea quello dagli stessi accettato.Sembra infatti a chi scrive, che, in linea con la pacifica accezione di “attivitàpericolosa”, come più sopra ricordata, la pericolosità della attività dell’organizzatorepossa essere ravvisata soltanto ogniqualvolta la stessa siaconnotata da una rischiosità peculiare ed intrinseca, quale per esempioquella dell’organizzatore di incontro di calcio professionistico ( 128 ), e chenon possa essere automaticamente indotta dal semplice superamento delrischio consentito, riconducibile a mancata predisposizione di cautele.D’altro canto, in ipotesi di organizzazione di eventi sportivi relativi a di-( 126 ) Nello stesso senso, Stanca, Natura della responsabilità dell’organizzatore di garesportive, cit., p. 150 ss.( 127 ) Così, fra le varie, Cass., 13.2.2009, n. 3528, cit., emanata a proposito di una gara dibob, e quindi di attività sportiva di per sé pericolosa.( 128 ) Ravvisata, in giurisprudenza e in dottrina, nella idoneità di detta attività e di dettieventi a muovere moltitudini di spettatori, assiepandoli tutti in un medesimo impianto sportivo.Assunto che potrebbe portare ad inferire che l’incontro professionistico giocato “a portechiuse” non connoti di pericolosità l’attività organizzativa.


SAGGI 197scipline di per sé “pericolose”, sembrerebbe invero alla scrivente, non cosìscontato, anche se di fatto per lo più riscontrabile, che la pericolosità dellasingola attività sportiva considerata si riverberi necessariamente anche sullastessa attività organizzativa dell’evento, colorandola di rischiosità ex art.2050 c.c. ( 129 ).Si è infine avuto modo di evincere, dai casi decisi in giurisprudenza, cheall’organizzatore – società di calcio viene in linea di principio addossato il rischiodi tutti gli incidenti che si verificano dentro lo stadio, ivi comprendendosigli ingressi e le uscite, in quanto presuntivamente rientranti nell’ambitodel suo potere di controllo, mentre esulerebbero dalla sua sfera diresponsabilità gli eventi che si verificano fuori dallo stadio e a distanza ditempo dalla partita ( 130 ); per questi ultimi, infatti, l’esclusione della responsabilitàdell’organizzatore è stata ottenuta con maggior successo facendo levasul titolo contrattuale della sua eventuale responsabilità, che potrebbeinvero ragionevolmente considerarsi non più sussistente a fine partita, a seguitodella compiuta esecuzione del contratto di spettacolo da entrambe leparti.( 129 ) Ed infatti si vedano infatti, in tal senso, oltre la stessa Cass., 13.2.2009, n. 3528, cit.,nonché le decisioni richiamate alle superiori note 76 ss., che hanno riconosciuto la pericolositàdell’attività organizzativa di eventi sportivi aventi ad oggetto disciplinare di per sé ritenutepericolose. Soluzione che potrebbe suscitare interrogativi con riferimento a sport, pure“pericolosi”, quale ad esempio la scherma, nella cui organizzazione di eventi agonistici potrebberonon apparire di per sé ravvisabili, connotazioni di intrinseca pericolosità.( 130 ) Esprime peraltro rilievi critici in merito a tali assunti Liotta, Attività sportive e responsabilitàdell’organizzatore, cit., p. 139.


GIOVANNI FACCIIl merchandising del marchio sportivoSommario: 1. Il merchandising nell’ordinamento sportivo. – 2. Il contratto di merchandising el’evoluzione della normativa in tema di marchi registrati. – 3. Il marchio sportivo. – 4. Ilmerchandising e la sponsorizzazione sportiva. – 5. (segue) Il diritto all’immagine del singoloatleta ed il personality merchandising. – 6. La tutela del marchio sportivo e l’ambushmarketing.1. – Le società sportive professionistiche, in primis quelle calcistiche,stanno attribuendo sempre più importanza al merchandising e cioè allosfruttamento commerciale del marchio sportivo, attraverso la vendita di benie prodotti recanti il segno distintivo del club. Nel panorama sportivo nazionale,infatti, i ricavi provenienti dal contratto di merchandising rappresentanouna fonte economica dalle rilevanti potenzialità ma che finora èstata poco sfruttata, se rapportata alle realtà sportive di altre nazioni ( 1 ). Perquesto motivo, le società (ma anche le Federazioni e le Leghe sportive), perfar fronte alle crescenti spese di gestione, prestano sempre più attenzione erisorse al fine di aumentare i provenenti derivanti dal merchandising.Anche il legislatore ha mostrato interesse al merchandising sportivo: nelcorso della presente legislatura è stata presentata una proposta di legge perla tutela del marchio sportivo e per l’utilizzazione commerciale dello stesso ( 2 ).Tale progetto nasce dalla constatazione di una carenza normativa idonea acontrastare, in modo efficace, l’attività di contraffazione dei marchi e deiprodotti sportivi, nonché il fenomeno del cd. ambush marketing ( 3 ). Nellospecifico, il progetto legislativo predispone una tutela forte per tutti i segnidistintivi delle società sportive, degli enti sportivi, delle federazioni sportive( 1 ) Al riguardo sono del tutto significativi i dati riportati nell’esauriente disamina effettuatada Teotino, Uva, La ripartenza, Bologna, 2010, p. 271, da cui emerge come le entrate damerchandising vedano la Serie A di calcio italiano all’ultimo posto da un raffronto con le altremaggiori Leghe europee calcistiche.( 2 ) Proposta di legge d’iniziativa del deputato Lolli, presentata il 5 agosto 2008, in tema di« Disposizioni per la tutela dei segni distintivi delle società sportive, enti e federazioni, e perla disciplina della loro utilizzazione commerciale e delle sponsorizzazioni sportive ».( 3 ) Per ambush marketing si intende il tentativo effettuato da chi non è sponsor di unevento di sfruttarne la popolarità, utilizzandone i simboli in forma indiretta o implicita, senzainvestire in contratti di partnership.


SAGGI 199e del Coni, utilizzati dalle aziende per le attività di sponsorizzazione o dimerchandising (art. 1) ( 4 ); inoltre, è previsto un espresso divieto di utilizzazionedei segni distintivi senza l’autorizzazione dei titolari, nonché di svolgimentodelle attività di ambush marketing (art. 2). Sono altresì dispostesanzioni amministrative pecuniarie specifiche, fatte salve le sanzioni giàpreviste dalla legislazione vigente, per i contraffattori od imitatori (art. 4).Particolare attenzione è dedicata anche alla destinazione dei segni distintividella società sportiva, in ipotesi del tutto particolari, come in caso di perditadi affiliazione, di fallimento o di cessazione dell’attività sportiva.Tale proposta di legge, anche se non sarà mai diritto vigente, bene esprimel’interesse per il fenomeno. In ogni caso, il tentativo delle società sportive– ed in particolare di quelle calcistiche – di sfruttare a livello commercialei propri segni distintivi è risalente nel tempo. In particolare, già nel lonta-( 4 ) Art. 1. (Tutela dei segni distintivi delle società sportive, degli enti sportivi e delle federazionisportive): « 1. Costituiscono segni distintivi di proprietà delle società sportive, degli entisportivi, delle federazioni sportive e del Comitato olimpico nazionale italiano (CONI) i marchi,i loghi, le denominazioni, i simboli, i colori sociali e i trofei che contraddistinguono l’attivitàd’<strong>impresa</strong> di ciascuno dei predetti soggetti. Ai fini della presente legge, si intendono perattività d’<strong>impresa</strong>: le attività agonistico – sportive; le attività commerciali, connesse o nonconnesse a quelle agonistico-sportive; le attività di licenza d’uso dei predetti segni distintivi edi « merchandising », definito ai sensi del comma 4° . I segni distintivi, compresi quelli che nonsono nuovi elencati nell’art. 12 del Codice della proprietà industriale, di cui al d.lgs. 10 febbraio2005, n. 30, appartengono in via esclusiva, anche in deroga a quanto stabilito dal medesimoart. 12, a ciascuno dei soggetti di cui al primo periodo del presente comma anche qualoragli stessi segni non siano stati utilizzati dai citati soggetti fin dall’inizio della loro attività maresi noti in conseguenza dell’attività stessa. 2. I segni distintivi di cui al comma 1° non possonocostituire oggetto di registrazione come marchio da parte di soggetti diversi dalle societàsportive, degli enti sportivi, delle federazioni sportive e del CONI cui rispettivamente appartengono,per qualsiasi classe di prodotti o di servizi, ad eccezione dei casi in cui siano oggettodi espressa richiesta e di autorizzazione scritta. 3. Il divieto di cui al comma 2° si applica ancheai segni distintivi che contengono, in qualsiasi lingua, parole o riferimenti diretti comunque arichiamare i segni distintivi di cui al comma 1° e i relativi eventi o che, per le loro caratteristicheoggettive, possano indicare un collegamento con l’organizzazione o con lo svolgimentodelle manifestazioni sportive organizzate dalle società sportive, dagli enti sportivi, dalle federazionisportive o dal CONI. 4. Ai fini della presente legge, con il termine « merchandising » sifa riferimento alle tecniche di sfruttamento economico dei segni distintivi di una società sportiva,di un ente sportivo, di una federazione sportiva o del CONI, nel commercio di prodotti odi servizi ai quali i predetti segni distintivi sono abbinati, accostati o collegati. Il contratto dimerchandising è l’accordo con il quale il titolare di un marchio o di un altro diritto esclusivoconcede la facoltà di uso del marchio stesso a un altro soggetto per apporlo su prodotti o perabbinarlo a servizi di natura diversa da quelli per i quali lo stesso marchio o un altro dirittoesclusivo è stato realizzato e registrato in precedenza. 5. Le registrazioni effettuate in violazionedel presente articolo sono nulle a tutti gli effetti di legge ».


200 CONTRATTO E IMPRESA 1/2011no 1979, la Lega Nazionale Calcio aveva invitato le società ad essa affiliate aprovvedere alla revisione del proprio marchio, emblema e logotipo, nonchéal deposito ed alla registrazione degli stessi, al fine di garantirsi un’eventualeesclusiva, per ogni settore merceologico, nonché per tutelarsi contro ogniabuso legalmente perseguibile ( 5 ). Molte società si sono uniformate: deltutto significativo il caso dell’A.S. Roma, che, dopo aver creato l’emblemadel “lupetto” ed averlo registrato come marchio in ben dodici classi merceologiche,stipulò numerosi contratti di cd. cessione di marchi sociali ( 6 ).Sempre nell’ottica di tentare di dare impulso alla crescita del fenomeno delmerchandising, nell’ambito del calcio professionistico, si deve interpretare,a partire dalla stagione sportiva 1995/1996, la decisione di assegnare alle societàdi calcio, di cui alla Lega Professionisti Serie A e B, la numerazione fissanelle maglie dei giocatori, con il nome degli stessi ( 7 ), al fine di incrementarela vendita delle repliche delle maglie da gioco.Nel corso degli anni, comunque, le società sportive hanno affinato letecniche per lo sfruttamento economico dei propri segni distintivi, al fine didare impulso alla vendita di prodotti recanti il segno distintivo del club. Inparticolare, al fine di potenziare tale fonte di profitto, alcune società sportiveprofessionistiche hanno sviluppato forme più complesse e differenti rispettoalle tradizionali forme di vendita di oggetti di largo consumo, tantoche talvolta sono state create apposite società al fine di accrescere il merchandisinged il marketing della società sportiva; a ciò si aggiunga che un indubbioimpulso alla diffusione del merchandising proviene dai siti Internetufficiali delle società calcistiche, attraverso i quali i tifosi possono acquistareon-line i prodotti ufficiali delle squadre ( 8 ).2. – Il merchandising è definito generalmente come un contratto atipico,ma socialmente tipizzato per essere utilizzato in conformità ad una prassicontrattuale ben consolidata, con caratteri omogenei e costanti ( 9 ), median-( 5 ) Al riguardo, De Silvestri, Le operazioni di sponsorizzazione e il merchandising dellesocietà calcistiche, in Riv. dir. sport., 1983, p. 137; De Giorgi, Sponsorizzazione e mecenatismo,Padova, 1988, p. 170; Ricolfi, Il contratto di merchandising nel diritto dei segni distintivi, Milano,1991, p. 56; Cantamessa, Merchandising, sponsorizzazioni e diritti di immagine, in Lineamentidi diritto sportivo, a cura di Cantamessa, Riccio, Sciacalepore, Milano, 2008, p. 509.( 6 ) De Silvestri, Le operazioni di sponsorizzazione e il merchandising delle società calcistiche,cit., p. 137.( 7 ) Liotta, Santoro, Lezioni di diritto sportivo, Milano, 2009, p. 168.( 8 ) Al riguardo, si veda p. 85 del Prospetto informativo di offerta in opzione ai soci e ammissionea quotazione di azioni ordinarie Juventus Football Club s.p.a., del 24 maggio 2007, pubblicato,in http://www.consob.it.( 9 ) Sul merchandising quale contratto socialmente tipizzato, si veda Delli Priscoli, Ilmerchandising tra franchising e sponsorizzazione, in Giur. comm., 2004, 1, p. 1103, nota 1.


SAGGI 201te il quale il titolare di un marchio od altro segno distintivo (quale nome, figurao segno) che abbia acquisito notorietà tra il pubblico in un certo settore,ne concede la facoltà di uso ad un altro imprenditore, affinché lo stessosegno sia apposto su prodotti di natura notevolmente diversa rispetto ai beniche hanno dato successo al marchio od al segno distintivo e per i quali, inprecedenza, è stato realizzato e registrato ( 10 ). Analoga definizione è contenutanel comma 4° dell’art. 1 della proposta di legge, in precedenza citata, intema di « Disposizioni per la tutela dei segni distintivi delle società sportive, entie federazioni, e per la disciplina della loro utilizzazione commerciale e dellesponsorizzazioni sportive » ( 11 ).Alla luce di siffatta definizione, appare condivisibile l’osservazione secondocui il merchandising altera le tradizionali tecniche di marketing, allastregua delle quali un produttore generalmente affronta rilevanti costi inizialiper produrre un bene di elevata qualità, poi investe notevoli risorse perpubblicizzare e promuovere le vendite del prodotto, nella speranza che iconsumatori acquistino i beni in quantità tali da recuperare le spese e conseguireutili. Con il merchandising, infatti, detto schema viene trasformato:il produttore, con un limitato investimento iniziale od addirittura senza alcuninvestimento di capitale, acquisisce la licenza su di un segno distintivonoto, che sia idoneo a far distinguere immediatamente il suo prodotto daquello dei concorrenti ( 12 ). Il merchandising, in ogni caso, deve essere tenutodistinto dal contratto di licenza di marchio (cd. licensing); quest’ultimoindica il contratto di licenza d’uso del marchio, concesso dal titolare ad altrosoggetto affinché apponga il marchio stesso su prodotti o servizi identici osimili a quelli per cui il segno è stato creato e su cui viene apposto dal titola-( 10 ) Frignani, I problemi giuridici del merchandising, in Riv. dir. ind., 1988, p. 34; Galgano,Il marchio nei sistemi produttivi integrati: sub-forniture, gruppi di società, licenze, merchandising,in questa rivista, 1987, p. 188; Ricolfi, Il contratto di merchandising, in Dir. ind., 1999,p. 41;Id., Il contratto di merchandising nel diritto dei segni distintivi, Milano, 1991, p. 34; Auteri,I nomi e i segni distintivi notori delle manifestazioni e degli enti sportivi fra la protezione delnome e quella del marchio, in Nuova giur. civ., 1995, I, p. 103; Marasà, voce Merchandising, inEnc. giur. Treccani, Roma, 1993, p. 1; Delli Priscoli, Il merchandising tra franchising e sponsorizzazione,cit., p. 1103.( 11 ) Art. 1, comma 4°: « ai fini della presente legge, con il termine “merchandising” si fa riferimentoalle tecniche di sfruttamento economico dei segni distintivi di una società sportiva,di un ente sportivo, di una federazione sportiva o del CONI, nel commercio di prodotti o diservizi ai quali i predetti segni distintivi sono abbinati, accostati o collegati. Il contratto dimerchandising è l’accordo con il quale il titolare di un marchio o di un altro diritto esclusivoconcede la facoltà di uso del marchio stesso a un altro soggetto per apporlo su prodotti o perabbinarlo a servizi di natura diversa da quelli per i quali lo stesso marchio o un altro dirittoesclusivo è stato realizzato e registrato in precedenza ».( 12 ) Gatti, Il merchandising e la sua disciplina giuridica, in Riv. dir. comm., 1989, p. 122.


202 CONTRATTO E IMPRESA 1/2011re. Lo scopo primario, pertanto, è quello di espandere la presenza del segnosul mercato, nell’ambito del settore di attività del titolare del marchio, tramitela commercializzazione di prodotti immessi sul mercato da aziende dialtri imprenditori ( 13 ). La peculiarità che contraddistingue il merchandising,invece, è rappresentata dal fatto che il soggetto che ha portato all’affermazioneoriginaria (“primaria”) un marchio (ma potrebbe trattarsi anche diopera dell’ingegno, nome civile e ritratto ( 14 ) concede ad un altro imprenditorela facoltà di farne un uso ulteriore (“secondario”) in un campo totalmentediverso da quello iniziale ( 15 ). In tal modo, il marchio diventa un beneautonomo, immateriale, che viene utilizzato come un valore in sé, per lasua efficacia suggestiva o pubblicitaria, che determina il conferimento dipregi commerciali all’imprenditore ed ai suoi prodotti ( 16 ). Tenuto conto ditale funzione del marchio nell’ambito del merchandising, si ponevano ostacoligiuridici di rilievo alla legittimità stessa del contratto, nella legislazionesui marchi anteriore alla riforma del 1992.Nel previgente sistema, infatti, la tutela giuridica del marchio era approntataesclusivamente nei limiti della funzione di indicazione di provenienzadel prodotto, nel senso di garantire la corrispondenza tra il prodottocontraddistinto nel mercato con un dato marchio e l’<strong>impresa</strong> titolare delmarchio stesso, così da tutelare il legittimo affidamento del consumatoresull’effettiva provenienza del prodotto nonché sulle qualità riferibili all’<strong>impresa</strong>produttrice ( 17 ). Così facendo, era messa in discussione la validità dei( 13 ) Musumarra, La disciplina dei contratti di sponsorizzazione e di merchandising nellosport, in Diritto dello sport, a cura di Coccia, De Silvestri, Forlenza, Fumagalli, Musumarra,Selli, Firenze, 2008, p. 327; Marasà, voce Merchandising, cit., p. 3.( 14 ) In caso di diritto d’autore, si fa riferimento al character merchandising, mentre nel casodi nomi e ritratti si suole far riferimento al cd. personality merchandising; sul punto, Ricolfi,Il contratto di merchandising, cit., p. 41; Marasà, voce Merchandising, cit., p. 1. Su un casodi merchandising riguardante l’effige di un noto calciatore, si segnala Cass., 10 novembre1979, n. 5790; al riguardo, le considerazioni di Frignani, Dassi, Introvigne, Sponsorizzazione,Merchandising, Pubblicità, cit., p. 132.( 15 ) Ricolfi, Il contratto di merchandising, cit., p. 41; Di Cataldo, I contratti di merchandisingnella nuova legge marchi, in La riforma della legge marchi, a cura di Ghidini, Padova,1995, p. 74; Marasà, voce Merchandising, cit., p. 1.( 16 ) Musumarra, La disciplina dei contratti di sponsorizzazione e di merchandising nellosport, cit., p. 327.( 17 ) Sulla funzione di indicazione di provenienza, dove il concetto rinvia al collegamentotra marchio ed <strong>impresa</strong>, si veda esaustivamente Zorzi, Il marchio come valore di scambio, Padova,1995, p. 90; al riguardo anche Auteri, Lo sfruttamento del valore suggestivo dei marchid’<strong>impresa</strong> mediante merchandising, in questa rivista, 1989, p. 513; De Silvestri, Le operazionidi sponsorizzazione e il merchandising delle società calcistiche, cit., p. 142; Frignani, I problemigiuridici del merchandising, cit., p. 39.


SAGGI 203contratti di merchandising dei marchi, sotto il profilo che il concedente normalmenteattribuisce a terzi il diritto di uso del marchio per prodotti nonsolo da lui non posti in commercio ma anche non affini a quelli da lui fabbricati( 18 ). In altri termini, prima della riforma, in base alla ratio sopra indicata,si tendeva ad escludere che il concedente potesse vantare un’esclusivasui prodotti merceologicamente distanti da quelli da lui commercializzati eciò anche se provvedeva alla registrazione del marchio per le classi corrispondenti( 19 ). In particolare, vi era un ostacolo legislativo alla validità dellaregistrazione ultramerceologica, rappresentato dall’art. 22 l. m. (r.d. 21 giugno1942, n. 929), secondo il quale poteva « ottenere il brevetto per marchiod’<strong>impresa</strong> chi lo utilizza, o si propone di utilizzarlo, nella sua industria o nelsuo commercio ». Alla stregua di tale disposizione, il presupposto per la protezione,collegata al dato formale della registrazione, era l’utilizzo nell’<strong>impresa</strong>,così che il deposito di un marchio al solo fine di concedere una licenzapoteva essere dichiarato nullo ( 20 ); di conseguenza, chi aveva ottenutouna registrazione in relazione a settori produttivi lontani da quello in cuioperava non era certo di poter ottenere adeguata tutela ( 21 ). Contestualmente,il concedente, in assenza di un potere di vietare ai terzi l’uso delmarchio per prodotti estranei all’attività dell’azienda, non poteva neppureattribuire, con certezza, ad un concessionario l’autorizzazione corrispondentea titolo oneroso: il contratto avrebbe potuto essere dichiarato privo dicausa o di oggetto ( 22 ).Alla stregua della funzione attribuita al marchio, di indicazione diprovenienza del prodotto, è da collocare anche l’interpretazione cheveniva data all’art. 15 l. m. (r.d. 21 giugno 1942, n. 929) ( 23 ) ed all’art. 2573( 18 ) Ricolfi, Il contratto di merchandising, cit., p. 41.( 19 ) Ricolfi, Il contratto di merchandising, cit., p. 41.( 20 ) Lo evidenzia Frignani, I problemi giuridici del merchandising, cit., p. 37; Frignani,Dassi, Introvigne, Sponsorizzazione, Merchandising, Pubblicità, cit., p. 137; Auteri, Losfruttamento del valore suggestivo dei marchi d’<strong>impresa</strong> mediante merchandising, in questa rivista,1989, p. 525.( 21 ) Frignani, Dassi, Introvigne, Sponsorizzazione, Merchandising, Pubblicità, cit., p.137.( 22 ) Ricolfi, Il contratto di merchandising, cit., p. 41; Di Cataldo, I contratti di merchandisingnella nuova legge marchi, in La riforma della legge marchi, a cura di Ghidini, Padova,1995, p. 68; parte della dottrina (Galgano, Il marchio nei sistemi produttivi integrati: sub-forniture,gruppi di società, licenze, merchandising, in questa rivista, 1987, p. 190; Id., Diritto civile ecommerciale, 3.1, Padova, 1990, p. 181), comunque, riteneva perfettamente ammissibile ilcontratto di merchandising, tenuto conto dei controlli di qualità riservati al licenziante ed il divietoper il licenziatario di apporre il marchio del primo su prodotti che non avessero superatopositivamente il controllo.( 23 ) Art. 15: « Il marchio non può essere trasferito se non in dipendenza del trasferimento


204 CONTRATTO E IMPRESA 1/2011c.c. ( 24 ). Si riteneva, infatti, che l’uso del marchio potesse essere trasferitosolo a titolo esclusivo e soltanto con l’azienda o con un ramo di questa, al finedi impedire l’inganno del pubblico, circa la provenienza dei prodotti ( 25 ).Alla luce di tale quadro giuridico, volto ad assicurare che il marchio venisseutilizzato solo per contraddistinguere i prodotti dell’<strong>impresa</strong> ( 26 ), sonoevidenti gli ostacoli frapposti al contratto di merchandising: in quest’ultimo,il marchio non viene usato per assolvere la funzione appena indicata masoltanto come valore in sé per la sua efficacia suggestiva e pubblicitaria;normalmente, inoltre, non si trasferisce alcun “ramo d’azienda” e spesso siopera tramite licenze non esclusive ( 27 ).Solo con l’evoluzione della normativa di cui alla riforma del 1992, concui si è reciso il rapporto tra titolarità dell’azienda e titolarità del marchio èstata offerta una piena legittimazione al contratto di merchandising. In particolare,la funzione distintiva del marchio – inteso come indicatore di provenienza,in origine ritenuta la funzione prevalente ed irrinunciabile delmarchio – viene ridimensionata con la riforma del 1992, non occupando piùla posizione centrale ed esclusiva, occupata in precedenza nell’ambito deldiritto dei marchi. Si è preso coscienza, infatti, che il marchio può assumerevalore, e di conseguenza può essere tutelato, come bene a sé, nella suafunzione suggestiva o pubblicitaria ( 28 ). In tal modo, a seguito della riforma– con gli attuali artt. 23, 19 e 20 del Codice della Proprietà Industriale (rispettivamentegià artt. 15, 22 e 1, comma 1°, l. m., come modificati a seguitodella riforma del 1992) e con l’art. 2573 c.c. – sono state recepite le istanzedell’azienda, o di un ramo particolare di questa, a condizione, inoltre, che il trasferimento delmarchio stesso avvenga per l’uso di esso a titolo esclusivo.In ogni caso, dal trasferimento del marchio non deve derivare inganno in quei caratteridei prodotti o merci che sono essenziali nell’apprezzamento del pubblico ».( 24 ) Il comma 1° dell’art. 2573 c.c., prima della modifica operata dall’art. 83 d.lgs. 4 dicembre1992, n. 480, disponeva che « Il diritto esclusivo all’uso del marchio registrato può essere trasferitosoltanto con l’azienda o con un ramo particolare di questa ».( 25 ) Sul punto, Frignani, Dassi, Introvigne, Sponsorizzazione, Merchandising, Pubblicità,cit., p. 140; Frignani, I problemi giuridici del merchandising, cit., p. 39; Mosso, Legittimazionealla registrazione del marchio e contratto di merchandising, in Riv. dir. sport., 1992, p.105. Sui problemi circa l’ammissibilità dei contratti di merchandising, anteriormente alla riformadel 1992, si segnala anche Mayr, in Codice della proprietà industriale, estratto da Ubertazzi,Padova, 2009, p. 100.( 26 ) Auteri, Lo sfruttamento del valore suggestivo dei marchi d’<strong>impresa</strong> mediante merchandising,cit., p. 516.( 27 ) Lo sottolinea Frignani, Dassi, Introvigne, Sponsorizzazione, Merchandising, Pubblicità,cit., p. 140.( 28 ) Sul punto si segnala Magni, Merchandising e sponsorizzazione, Padova, 2002, p. 36.


SAGGI 205provenienti dal mercato e già fatte proprie da una parte della dottrina ( 29 ) edella giurisprudenza ( 30 ), in tema di trasferimento o concessione in licenzadel marchio, anche per prodotti o servizi distanti da quelli originari per iquali il marchio è stato registrato.In altre parole, dopo la riforma del 1992, non vi è più alcun ostacolo legislativo– diversamente da quanto avveniva in passato – al fatto che il titolaredi un marchio che goda di “rinomanza”, secondo il testo dell’art. 1,comma 1°, lett. c), legge marchi (ora comma 1°, art. 20, Codice Proprietà Industriale),possa invocare una protezione allargata, che si estende ben al dilà dei settori nei quali egli abbia portato il segno alla sua originaria affermazione( 31 ). Tale disposizione, infatti, prevede che il titolare del marchio chegode di rinomanza « ha il diritto di vietare a terzi, salvo il proprio consenso, diusare . . . c) un segno identico o simile al marchio registrato per prodotti o servizianche non affini » (art. 20, comma 1°, lett. c), Codice Proprietà Industriale).In tal modo, il titolare del marchio che gode di rinomanza ha la possibilitàdi consentire l’uso del proprio marchio per prodotti anche non affini aipropri e cioè per prodotti frutto di un’attività imprenditoriale diversa rispettoa quella esercitata ( 32 ) oppure anche per prodotti per i quali egli non ha registratoil proprio marchio ( 33 ).Né tantomeno vi sono più incertezze, di fronte al nuovo testo dell’art.22 l. m. (attuale art. 19, Codice Proprietà Industriale), che chiunque possaregistrare un segno come marchio anche quando non abbia intenzione diprocedere in prima persona alla fabbricazione ed al commercio dei beni conesso contrassegnati ma programmi invece di concedere la facoltà di sfruttamentoeconomico del segno ad un terzo a ciò autorizzato ( 34 ). In altre parole,sono definitivamente superate le obiezioni circa la meritevolezza del-( 29 ) Al riguardo, Galgano, Il marchio nei sistemi produttivi integrati: sub-forniture, gruppidi società, licenze, merchandising, cit., p. 190; Frignani, I problemi giuridici del merchandising,cit., p. 42; Ricolfi, Il contratto di merchandising nel diritto dei segni distintivi, cit., p. 491.Sul punto anche Auteri, Territorialità del diritto di marchio e circolazione di prodotto « originali», Milano, 1973, p. 316.( 30 ) In proposito, si veda l’evoluzione giurisprudenziale verso la legittimazione della praticadel merchandising, riportata in Auteri, Lo sfruttamento del valore suggestivo dei marchid’<strong>impresa</strong> mediante merchandising, cit., p. 520; Galgano, Il marchio nei sistemi produttivi integrati:sub-forniture, gruppi di società, licenze, merchandising, cit., p. 178; Frignani, Dassi,Introvigne, Sponsorizzazione, Merchandising, Pubblicità, cit., p. 140.( 31 ) Ricolfi, Il contratto di merchandising, cit., p. 41; Di Cataldo, I contratti di merchandisingnella nuova legge marchi, cit., p. 69; Marasà, voce Merchandising, cit., p. 4.( 32 ) Cantamessa, Merchandising, sponsorizzazioni e diritti di immagine, cit., p. 504.( 33 ) Di Cataldo, I contratti di merchandising nella nuova legge marchi, cit., p. 70.( 34 ) Ricolfi, Il contratto di merchandising, cit., p. 41.


206 CONTRATTO E IMPRESA 1/2011l’interesse allo sfruttamento del valore attrattivo del marchio da parte di chilo registri in funzione dell’utilizzo nell’<strong>impresa</strong> altrui ( 35 ). La disposizione dicui all’art. 22 l. m. (attuale art. 19, Codice Proprietà Industriale), infatti, disponeche « può ottenere una registrazione per marchio d’<strong>impresa</strong> chi lo utilizzi,o si proponga di utilizzarlo, nella fabbricazione o commercio di prodotti onella prestazione di servizi della propria <strong>impresa</strong> o di imprese di cui abbia ilcontrollo o che ne facciano uso con il suo consenso ».In questo modo, la rilevanza della disposizione è rappresentata non solodal fatto che la novella del 1992 ha svincolato la titolarità del marchio dallaqualità di imprenditore, così che qualsiasi soggetto è legittimato a presentarela relativa domanda, ma anche dalla circostanza che il legislatoreespressamente ha ammesso che possa essere titolare di un marchio chi si ripropongaunicamente di cederne ad altri il diritto di farne uso, per le classicui si estende la tutela conferitagli dalla legge dietro pagamento di un corrispettivo( 36 ). Tale previsione ben testimonia la volontà di allontanamentoda un sistema nel quale la sola funzione giuridicamente tutelata del marchioera quella d’indicazione di provenienza, al fine di riconoscere allo stessoanche un valore suggestivo od evocativo in sé ( 37 ); non si potrebbe comprendere,d’altronde, la possibilità che la titolarità del marchio sia svincolatadalla qualità di imprenditore.A completamento dell’assunto circa la meritevolezza dell’interesse allosfruttamento del valore attrattivo del marchio, da parte di chi lo registra infunzione dell’utilizzazione nell’<strong>impresa</strong> altrui, è il testo profondamente innovatodegli artt. 15 l. marchi (attuale art. 23, Codice Proprietà Industriale)e 2573 c.c. ( 38 ); tali previsioni, infatti, consentono espressamente – a differenzadella normativa previgente – che la circolazione del segno distintivodei beni avvenga anche in assenza di un coevo trasferimento di un ramo( 35 ) Marasà, La circolazione del marchio, in Riv. dir. civ., 1996, II, p. 493; Id., voce Merchandising,cit., p. 4.( 36 ) Mayr, in Codice della proprietà industriale, estratto da Ubertazzi, Padova, 2009, p. 97;Cavani, Commento generale alla riforma, in La riforma della legge marchi, a cura di Ghidini,Padova, 1995, p. 8; Di Cataldo, I contratti di merchandising nella nuova legge marchi, cit., p.68; Ricolfi, Il contratto di merchandising, cit., il quale rileva come la riforma del diritto deimarchi abbia incrementato la sicurezza dei contratti di merchandising aventi per oggetto unmarchio ed abbia portato ad una parificazione del trattamento di questi accordi con quello degliaccordi concernenti opere dell’ingegno, nomi e immagine. Per il character ed il personalitymerchandising, non si poteva, infatti, mettere in discussione la validità dell’operazione, attesoche il nostro ordinamento sicuramente attribuisce una specifica protezione a ciascuna delleentità corrispondenti (e v. artt. 7-9 e 19 c.c.; 12 l. autore).( 37 ) Mayr, in Codice della proprietà industriale, cit., p. 96; al riguardo anche Di Cataldo,I contratti di merchandising nella nuova legge marchi, cit., p. 70.( 38 ) Marasà, La circolazione del marchio, cit., p. 493.


SAGGI 207aziendale. Siffatto principio vale sia per la cessione sia per la concessione inlicenza del marchio, ammettendosi che la concessione riguardi anche solouna parte dei prodotti o servizi per il quale il marchio è protetto (art. 15,comma 2°, l. marchi). In questo modo, viene confermato il riconoscimentodi un valore attrattivo al marchio, che ne fa un “bene” in sé, suscettibile diessere goduto – direttamente od indirettamente (tramite licenze) – e di potercircolare indipendentemente dal complesso aziendale in cui sarà inserito( 39 ). In seguito alla riforma, pertanto, il concedente può procedere allaconcessione del marchio “parziale”, per categorie di prodotti anche distantida quelli originari, e disinteressarsi del tutto delle scelte produttive del concessionarioin merchandising ( 40 ). Il limite a siffatte operazioni è rappresentatodall’esigenza che dal trasferimento e dalla licenza del marchio non derivi« inganno in quei caratteri dei prodotti o servizi che sono essenziali nell’apprezzamentodel pubblico » ( 41 ). Tale disposizione trova il proprio completamentonel comma 2°, lett. a), dell’art. 14, Codice Proprietà Industriale, secondoil quale il marchio decade « se sia divenuto idoneo ad indurre in ingannoil pubblico, in particolare circa la natura, qualità o provenienza dei prodottio servizi, a causa di modo e del contesto in cui viene utilizzato dal titolare ocon il suo consenso, per i prodotti o servizi per i quali è registrato ».Il marchio, inoltre, può essere oggetto di licenza non solo parziale maanche non esclusiva, nel senso che il licenziatario può consentire a più soggettidi usare il marchio per gli stessi prodotti oppure può continuare a farneuso lui stesso. In caso di licenza non esclusiva, comunque, si vuole evitareil rischio che vengano immessi sul mercato, con lo stesso marchio, prodottio servizi apparentemente identici ma in realtà qualitativamente diversi,con conseguente rischio di inganno per il consumatore ( 42 ). Per questaragione, la norma prevede che la licenza non esclusiva sia lecita a condizioneche il licenziatario si obblighi a porre in commercio prodotti “eguali” aquelli corrispondenti messi in commercio con lo stesso marchio dal titolareo da altri licenziatari.( 39 ) In questi termini, Marasà, La circolazione del marchio, cit., p. 479; Id., voce Merchandising,cit., p. 4.( 40 ) Prima della riforma, infatti, la legittimità del contratto di merchandising era giustificatasulla base dei controlli di qualità riservati al licenziante e con il divieto per il licenziatario diapporre il marchio del primo su prodotti che non avessero superato positivamente il controllo(Galgano, Il marchio nei sistemi produttivi integrati: sub-forniture, gruppi di società, licenze,merchandising, cit., p. 190; Id., Diritto civile e commerciale, cit., p. 181.)( 41 ) Sulla ratio di tale disposizione, Auteri, Cessione e licenza di marchio, in La riformadella legge marchi, a cura di Ghidini, Padova, 1995, p. 97.( 42 ) Franzosi, in Il codice della proprietà industriale, a cura di Scuffi, Franzosi, Fittante,Padova, 2005, p. 167; Vanzetti, La nuova legge marchi, Milano, 1993, p. 66; Vanzetti, Di Cataldo,Manuale di diritto industriale, Milano, 2009, p. 258.


208 CONTRATTO E IMPRESA 1/2011La svolta legislativa così sancita risulta assai favorevole al merchandisinge più in generale allo sfruttamento del valore suggestivo, attrattivo o pubblicitarioche dir si voglia dei marchi. Lo stesso segno potrà dunque essere usatoda una pluralità di soggetti privi di alcun reciproco collegamento anche insettori assai vicini – a conferma che l’assolvimento della funzione distintivae di indicazione di provenienza non è più il principio cardine per tutta l’interpretazionedella normativa in materia di diritto dei marchi ( 43 ) – tenutoconto che la nuova disciplina ha inteso tutelare anche la “rinomanza deimarchi” cioè la reputazione ed il valore in sé di cui gode il marchio e che puòessere sfruttato a fini commerciali ( 44 ). In questo modo, non si pongono piùdubbi sulla legittimità di un contratto che abbia per oggetto il marchio celebrein sé considerato, quale puro e semplice valore di scambio, reso appetibilesul mercato dalla sua comprovata qualità di collettore di clientela ( 45 ).3. – Il merchandising delle società sportive presuppone la possibilità ditutelare legalmente il segno distintivo del club. A questo proposito, si è giàricordato come nel lontano 1979, la Lega Nazionale Calcio invitasse le societàalla revisione del proprio marchio, emblema e logotipo, nonché al depositoed alla registrazione degli stessi, al fine di garantirsi un’eventualeesclusiva, per ogni settore merceologico, nonché per tutelarsi contro ogniabuso legalmente perseguibile ( 46 ). Sussistevano però dubbi – almeno finoalle riforma della legge marchi del 1992 – che una società sportiva fosse titolaredi un diritto esclusivo sul proprio segno distintivo e potesse tutelarlo legalmente;in particolare, si ponevano ostacoli giuridici a considerare il segnodistintivo delle società sportive come un marchio in senso tecnico e diconseguenza appariva problematica una tutela dello stesso in modo pieno( 47 ). Come si è sottolineato nel paragrafo precedente, infatti, la disciplinasui marchi in vigore prima del 1992 era improntata ad una tutela del segnoin funzione esclusivamente di indicazione di provenienza del prodotto contrassegnato,nel senso che detto segno deve designare i prodotti posti in esseree commercializzati dalla stessa azienda. Tuttavia, le società sportive,( 43 ) Di Cataldo, I contratti di merchandising nella nuova legge marchi, cit., p. 71; Ricolfi,Il contratto di merchandising, cit.( 44 ) Magni, Merchandising e sponsorizzazione, cit., p. 45; Vanzetti, La nuova legge marchi,cit., p. 103.( 45 ) In questo senso già Galgano, Il marchio nei sistemi produttivi integrati: sub-forniture,gruppi di società, licenze, merchandising, cit., p. 178.( 46 ) Al riguardo, Cantamessa, Merchandising, sponsorizzazioni e diritti di immagine, cit.,p. 509; De Silvestri, Le operazioni di sponsorizzazione e il merchandising delle società calcistiche,cit., p. 137; De Giorgi, Sponsorizzazione e mecenatismo, cit., p. 170.( 47 ) Sul punto anche De Giorgi, Sponsorizzazione e mecenatismo, cit., p. 170.


SAGGI 209normalmente, non producono direttamente alcun bene materiale ed i simbolidelle stesse sono nati, pertanto, non per contraddistinguere prodotti daloro provenienti ma per essere proficuamente commercializzati mediantela cessione in uso a terzi ( 48 ). Vi era così incertezza sulla legittima titolarità dimarchi di <strong>impresa</strong> in capo alle società sportive in settori diversi da quellodella produzione di spettacoli sportivi, tenuto conto che, mancando tra l’altroil fine di lucro ( 49 ), l’attività direttamente svolta da dette società era necessariamentelimitata all’evento sportivo, senza alcuna possibilità di estenderela propria attività ad altri settori ( 50 ). Di conseguenza, appariva alquantodifficile individuare una base giuridica per le pretese delle società sportive,alla luce di siffatta ricostruzione che presupponeva un’<strong>impresa</strong> in attonel settore specifico in cui il marchio veniva registrato ( 51 ); in tal modo, seun marchio veniva registrato per una pluralità di classi, la registrazione, generalmente,non era considerata valida se non per le classi alle quali era attinentel’<strong>impresa</strong> in essere ( 52 ). In altri termini, era fortemente dubbio, adesempio, che una squadra di calcio potesse essere titolare di un marchio relativoa prodotti che nulla avevano a che fare con l’oggetto sociale della stessasocietà sportiva ( 53 ).A ciò si aggiunga che, come già esaminato in precedenza, vi erano nonpoche incertezze sulla legittimità stessa dei contratti di merchandising. Perquesta ragione, vi era il rischio che la concreta realizzazione degli interessiperseguiti dalle società sportive con la sottoscrizione di accordi di merchandisingdel proprio marchio venisse del tutto vanificata ( 54 ).( 48 ) De Silvestri, Le operazioni di sponsorizzazione e il merchandising delle società calcistiche,cit., p. 144.( 49 ) Al riguardo, l’art. 10 della l. 23 marzo 1981, n. 91, in tema di rapporti tra società e sportiviprofessionisti nel prevedere che « possono stipulare contratti con atleti professionisti solosocietà sportive costituite nella forma di s.p.a o di s.r.l. », disponeva al comma 2° che « L’attocostitutivo deve prevedere che gli utili siano interamente reinvestiti nella società per il perseguimentoesclusivo dell’attività sportiva ». A seguito della modifica di cui all’art. 4, comma 1°,del d.l. 20 settembre 1996, n. 485, il comma 3° dell’art. 10 della l. 23 marzo 1981, n. 91, disponeche « L’atto costitutivo deve provvedere che una quota parte degli utili, non inferiore al 10 percento, sia destinata a scuole giovanili di addestramento e formazione tecnico-sportiva ».( 50 ) Rossotto, Santoni De Sio, Sindico, I marchi nel pallone, in Dir. ind., 1999, p. 324.( 51 ) Galli, Estensione e limiti dell’esclusiva sui nomi e sui segni distintivi dello sport tra merchandisinge free-riders, in AIDA, 2003, p. 234; M.Bianca, I contratti di sponsorizzazione, cit., p.178; De Silvestri, Le operazioni di sponsorizzazione e il merchandising delle società calcistiche,cit., p. 137; Cantamessa, Merchandising, sponsorizzazioni e diritti di immagine, cit., p. 496.( 52 ) Vanzetti, Relazione di sintesi, in Aida, 1993, p. 142.( 53 ) Frignani, Dassi, Introvigne, Sponsorizzazione, Merchandising, Pubblicità, cit., p. 138.( 54 ) De Silvestri, Le operazioni di sponsorizzazione e il merchandising delle società calcistiche,cit., p. 137.


210 CONTRATTO E IMPRESA 1/2011Per ovviare a tale problematica, si è sostenuto di tutelare il segno distintivodelle società sportive attraverso la disciplina sul diritto d’autore, avvalendosidella difesa offerta al simbolo grafico, in virtù del carattere creativodell’emblema ( 55 ); ugualmente, sempre per offrire una idonea tutela, si sonoinvocate le norme del codice civile riguardanti il diritto al nome, applicabilinon solo alle persone fisiche ma anche a quelle giuridiche ( 56 ). Siffattericostruzioni erano avvalorate anche dalla circostanza che il titolare del dirittod’autore oppure al nome non avrebbe incontrato, nelle operazioni dimerchandising, le difficoltà e gli ostacoli giuridici già segnalati, nel paragrafoprecedente, in merito ai contratti di licenza d’uso del marchio ( 57 ).Con la riforma del 1992, con cui si è reciso il rapporto tra titolarità dell’aziendae titolarità del marchio (e quest’ultimo ha perso la sua funzioneesclusivamente di indicatore di provenienza del prodotto ( 58 ), è stato possibileoffrire non solo una piena legittimazione al contratto di merchandisingma anche una tutela più forte al marchio delle società sportive. Si è già evidenziato,infatti, come a seguito dell’evoluzione della normativa, si sia svincolatala titolarità del marchio dalla qualità di imprenditore e si sia ammessoche chiunque possa procedere alla registrazione di un segno come marchio,anche se non abbia intenzione di procedere alla fabbricazione ed alcommercio ma abbia intenzione di concedere la facoltà di sfruttamento aterzi (art. 22 l. m., attuale art. 19, Codice Proprietà Industriale).Nello specifico, la tutela attuale del marchio sportivo è individuata nelcomma 3° dell’art. 8 del Codice della Proprietà Industriale ( 59 ) (art. 21, comma3°, l. m., dopo la riforma del 1992), che consente la possibilità di registrareo usare ( 60 ) come marchio, « se notori » « i nomi di persona, i segni usa-( 55 ) De Silvestri, Le operazioni di sponsorizzazione e il merchandising delle società calcistiche,cit., p. 152; De Giorgi, Sponsorizzazione e mecenatismo, cit., p. 171. Sulla tutela dell’emblemasulla base del diritto d’autore, si segnala anche Auteri, I nomi e i segni distintivi notoridelle manifestazioni e degli enti sportivi fra la protezione del nome e quella del marchio, inNuova giur. civ., 1995, I, p. 111. In senso critico, Ricolfi, I segni distintivi dello sport, in AIDA,1993, p. 137.( 56 ) De Giorgi, Sponsorizzazione e mecenatismo, cit., p. 173; M. Bianca, I contratti disponsorizzazione, cit., p. 179; Auteri, I nomi e i segni distintivi notori delle manifestazioni e deglienti sportivi fra la protezione del nome e quella del marchio, in Nuova giur. civ., 1995, I, p. 104.( 57 ) De Silvestri, Le operazioni di sponsorizzazione e il merchandising delle società calcistiche,cit., p. 156.( 58 ) Delli Priscoli, Il merchandising tra franchising e sponsorizzazione, cit., p. 1103.( 59 ) Al riguardo, Galli, Estensione e limiti dell’esclusiva sui nomi e sui segni distintivi dellosport tra merchandising e free-riders, cit., p. 247; su tale disposizione, tra gli altri, Borghese,in Il codice della proprietà industriale, a cura di Scuffi, Franzosi, Fittante, Padova, 2005, p. 111;Mayr, in Codice della proprietà industriale, estratto da Ubertazzi, Padova, 2009, p. 30.( 60 ) Si segnala la modifica introdotta dall’art. 6, comma 2°, del d. lgs. 13 agosto 2010, n. 131.


SAGGI 211ti in campo artistico, letterario, scientifico, politico o sportivo, le denominazionie sigle di manifestazioni e quelli di enti ed associazioni non aventi finalitàeconomiche, nonché gli emblemi caratteristici di questi ». In tal modo, si riconosceuna categoria di segni registrabili come marchi di cui si assicura l’esclusivaall’autore della notorietà od al suo avente causa, in deroga al generaleprincipio della libera registrabilità ( 61 ); infatti, soltanto chi è l’arteficedella notorietà ha diritto di registrarla come marchio o farla registrare comemarchio da terzi, al fine di sfruttarla commercialmente, in esclusiva, perqualsiasi settore merceologico, soprattutto attraverso lo strumento del merchandising( 62 ). La tutela è alquanto estesa poiché la disposizione sembra introdurreun vero e proprio divieto generale di registrazione in malafede, applicabileanche all’ipotesi in cui il registrante, giocando per così dire d’anticipo,si appropri di un segno la cui notorietà extracommerciale sia soltantoin corso di formazione ( 63 ).È evidente, pertanto, la finalità di tutelare in pieno l’interesse dell’aventediritto a trarre un vantaggio economico dalla notorietà del proprio nomeo segno ed evitare così ogni fenomeno di parassitismo ( 64 ); contestualmente,la disposizione ben testimonia l’allontanamento da una costruzione delmarchio esclusivamente come segno distintivo e dalla conseguente tesi chene limitava la tutela soltanto al valore distintivo e non a quello suggestivo:( 61 ) Trib. Modena, 26 giugno 1994, in Nuova giur. civ., 1995, I, p. 99.( 62 ) Vanzetti, Di Cataldo, Manuale di diritto industriale, Milano, 2009, p. 209; Vanzetti,La nuova legge marchi, Milano, 1993, p. 103; Ammendola, Lo sfruttamento commercialedella notorietà civile di nomi e segni, Milano, 2004, p. 33; Sironi, Considerazioni in tema di marchiolimpici e di segni distintivi dello sport, in AIDA, 2007, p. 773; Galli, Estensione e limiti dell’esclusivasui nomi e sui segni distintivi dello sport tra merchandising e free-riders, cit., p. 247.( 63 ) Galli, Segni distintivi e industria culturale, in AIDA, 2003, p. 482, il quale fa espressoriferimento al precedente di App. Venezia, 17 giugno 2002, in Giur. dir. ind., 2002, n. 4446, laquale pur non applicando l’art. 22 l.m., come modificato nel 1992, in quanto non ancora in vigoreal momento dei fatti, ha comunque ritenuto che il principio espressamente codificato daesso, dovesse ritenersi operante. Sulla tutela anticipata, predisposta dalla disposizione, rispettoal momento di sfruttamento commerciale, si segnala anche Fazzini, Profili della tuteladella funzione suggestiva del marchio nella nuova legge (in margine a due sentenze sul marchio disocietà calcistiche), in Riv. dir. ind., 1995, II, p. 160; Ricolfi, I segni distintivi dello sport, cit., p.123.( 64 ) Ammendola, Lo sfruttamento commerciale della notorietà civile di nomi e segni, cit., p.18. Al riguardo, Galli, Estensione e limiti dell’esclusiva sui nomi e sui segni distintivi dello sporttra merchandising e free-riders, cit., p. 248, sottolinea come la tutela dovrebbe estendersi anchealle ipotesi in cui il segno venga usato da un terzo in funzione non solo distintiva dei prodottio servizi per cui è usato, bensì anche per rendere questi prodotti o servizi più attraentiagli occhi del pubblico e, nel caso di specie, di quella parte del pubblico che apprezza il segnocome simbolo non commerciale ma sportivo.


212 CONTRATTO E IMPRESA 1/2011nel caso di specie, invece, vi è il riconoscimento del valore suggestivo di determinatisegni e della loro capacità di vendita, che così facendo potrà esseresfruttata attraverso il merchandising, anche al di fuori degli ambiti in cui isoggetti di cui all’art. 8, Codice Proprietà Industriale, svolgono l’attività cheha dato origine alla notorietà ( 65 ).Si consideri, infine, che la notorietà di cui all’art. 8 del Codice della ProprietàIndustriale viene a dirimere l’eventuale problematica connessa al fattoche non sempre il segno di una società sportiva potrebbe avere la capacitàdistintiva di cui all’art. 13 dello stesso Codice, essendo la maggior parte deimarchi sportivi dei toponimi, che descrivono la provenienza geografica delclub e pertanto meramente descrittivi ( 66 ). Un toponimo, infatti, può presentarecarattere distintivo, là dove il segno, in ragione dell’uso che ne siafatto dall’<strong>impresa</strong> che ne è titolare, abbia acquistato una certa notorietà cosìda essere istintivamente associato nella mente dei consumatori a tale <strong>impresa</strong>( 67 ). Senza contare, inoltre, che un marchio sportivo originariamenteprivo di capacità distintiva in quanto toponimo è suscettibile di acquisire caratteredistintivo poiché viene generalmente arricchito di dettagli figurativi,che lo trasformano da semplice in complesso, così come tra l’altro auspicatodalla Lega calcio sin dal 1979 ( 68 ). Aciò si aggiunga che si tende anche a ritenereammissibile la registrazione come marchi d’<strong>impresa</strong> dei colori socialidelle squadre, in virtù dell’art. 7, Codice Proprietà Industriale, purché talicolori possano evocare distintamente, nella percezione che ne ha il pubblicodei consumatori, una data società sportiva ( 69 ).( 65 ) Vanzetti, La nuova legge marchi, cit., p. 103; Vanzetti, Di Cataldo, Manuale di dirittoindustriale, cit., p. 214.( 66 ) Cortesi, Marchio commerciale e società di calcio: idiosincrasia e mal celata passione,in Riv. dir. econ. sport, 2006, p. 63.( 67 ) Liotta, Santoro, Lezioni di diritto sportivo, cit., p. 169; Maugeri, Considerazioni intema di illecito confusorio delle società sportive, in AIDA, 2007, p. 851.( 68 ) Cortesi, Marchio commerciale e società di calcio: idiosincrasia e mal celata passione,cit., p. 63.( 69 ) Liotta, Santoro, Lezioni di diritto sportivo, cit., p. 170; Cortesi, Marchio commercialee società di calcio: idiosincrasia e mal celata passione, cit., p. 65; Maugeri, Considerazioni intema di illecito confusorio delle società sportive, in AIDA, 2007, p. 854; sui marchi di colore,Sciacca, Note in tema di marchio di forma e di colore, in Giur. it., 2008, f. 11, p. 2492; Maugeri,Considerazioni in tema di illecito confusorio delle società sportive, in AIDA, 2007, p. 842; Morri,La rappresentazione grafica del marchio nelle decisioni dell’UAMI e degli organi giurisdizionalicomunitari, in Riv. dir. ind., 2006, f. 6, 1, p. 252; Toni, Brevi note in tema di novità e capacitàdistintiva del marchio di forma, in Giur. comm., 2005, II, p. 605; Biglia, Il marchio di forma nellagiurisprudenza della Corte di Giustizia Ce, in Riv. dir. ind., 2004, II, p. 399; Fabrizio-Salvatore,Sul marchio di forma e sull’imitazione servile della forma del prodotto, in Foro it., 2000, I,c. 3298.


SAGGI 2134. – Sono ben evidenti le differenze e le diverse funzioni svolte dal contrattodi merchandising rispetto a quello di sponsorizzazione; basti soltantopensare, ad esempio, che nella sponsorizzazione è il marchio che si avvantaggiadall’essere associato a qualcosa (come un evento, il nome di un clubo di un atleta) in grado di trasmettere un messaggio positivo per i consumatori,mentre nel merchandising è il prodotto su cui viene apposto il marchiocelebre a trarre beneficio dall’abbinamento ( 70 ).Sussiste, tuttavia, una stretta attinenza, in ambito sportivo, tra il merchandisinge la cd. sponsorizzazione tecnica ( 71 ) allorché quest’ultima riguardil’abbigliamento utilizzato per lo svolgimento dell’attività agonistica(come indumenti da gara e da allenamento), nell’ambito di uno sport disquadra, soprattutto se a livello professionistico ( 72 ), come ad esempio, ilcalcio o la pallacanestro. In questa ipotesi, infatti, la sponsorizzazione si accompagnageneralmente ad un accordo di merchandising, per lo sfruttamentocommerciale del marchio sportivo sull’abbigliamento tecnico, la cuiimportanza è ben testimoniata ad esempio dai rilevanti dati che talvolta siregistrano nella vendita delle repliche delle maglie della prima squadra diclub professionistici ( 73 ) oppure più in generale dai ricavi che le società professionistichetraggono dai contratti di sponsorizzazione tecnica ( 74 ).( 70 ) Delli Priscoli, Il merchandising tra franchising e sponsorizzazione, in Giur. comm.,2004, 1, p. 1108, il quale tuttavia ritiene non incompatibile con la struttura della sponsorizzazioneil fatto che sia lo sponsorizzato a pagare un corrispettivo allo sponsorizzante. Al riguardo,anche Ricolfi, Il contratto di merchandising nel diritto dei segni distintivi, cit., p. 425, il qualeevidenzia come nella sponsorizzazione lo sponsee assuma obblighi positivi di facere ed inparticolare obblighi aventi ad oggetto forme di veicolazione del marchio e/o nome dellosponsor, al fine di favorire la divulgazione del messaggio promozionale. Nel merchandising iltitolare del marchio oppure con riguardo al personality merchandising il personaggio celebrenon è obbligato a modificare in alcun modo il proprio comportamento dovendo solo acconsentirel’utilizzo del proprio marchio o di altro segno distintivo sui prodotti realizzati dallacontroparte contrattuale.( 71 ) Per sponsorizzazione tecnica si intende il contratto nel quale l’azienda sponsor si obbligaa fornire allo sponsee una serie di beni o di servizi, strumentali all’attività da questo svolta(Amato, voce Sponsorizzazione, in Enc. giur. Treccani, Roma, 1993, p. 4; sui vari tipi di sponsorizzazioneriscontrabili nella casistica, M. Bianca, I contratti di sponsorizzazione, Rimini,1990, p. 65; De Silvestri, Le operazioni di sponsorizzazione e il merchandising delle societàcalcistiche, cit., p. 120; Franceschelli, I contratti di sponsorizzazione, in Giur. comm., 1987, I,p. 295).( 72 ) Sul professionismo sportivo, si veda l’art. 2 della l. 23 marzo 1981, n. 91.( 73 ) Al riguardo, sono rilevanti i dati riportati in Teotino, Uva, La ripartenza, Bologna,2010, p. 27, relativi al merchandising del Real Madrid nel primo mese dopo l’ingaggio dei giocatoriKakà e Cristiano Ronaldo; in particolare, sono state vendute maglie di tali giocatori, perun ammontare di circa 48 milioni di euro.( 74 ) In proposito, sono significativi i dati della Juventus, di cui al Prospetto informativo di


214 CONTRATTO E IMPRESA 1/2011Nello specifico, la sponsorizzazione tecnica ed il merchandising dannoluogo ad un’ipotesi di collegamento negoziale, in cui sono ravvisabili distinticontratti, ciascuno con una propria causa autonoma, destinati a realizzareuna unitaria operazione economica ( 75 ). In particolare, attraverso siffattaoperazione, l’azienda sponsor non solo acquisisce la qualifica ed i conseguentidiritti di sponsor tecnico (tra cui il diritto di apporre il proprio marchiosul supporto tecnico utilizzato dallo sponsee, al fine di acquisire visibilità),ma anche il diritto di produrre, distribuire e commercializzare, inesclusiva, prodotti di abbigliamento ed accessori, recanti i simboli distintividella società o dell’evento sponsorizzato ( 76 ). Contestualmente, la societàsportiva, oltre a ricevere un eventuale corrispettivo in denaro oltre alla fornituradi materiale tecnico, a fronte della concessione del diritto di sponsortecnico, può sfruttare economicamente – attraverso il merchandising e leconseguenti royalty sulle vendite di prodotti – il valore attrattivo incorporatonel proprio segno distintivo, monopolizzando il commercio dell’abbigliamentoufficiale della squadra nonché degli accessori che riproduconol’emblema del club ( 77 ).Con riguardo ai diritti spettanti alla società sponsorizzata, si consideriche la fornitura non è una liberalità d’uso, ma si pone in rapporto sinallagmaticocon le prestazioni dello sponsorizzato ( 78 ); inoltre, il valore della for-offerta in opzione ai soci e ammissione a quotazione di azioni ordinarie Juventus Football Clubs.p.a., cit., p. 72; in particolare, si evince che il corrispettivo minimo complessivo previsto dalcontratto stipulato nel novembre 2001 con lo sponsor tecnico dell’abbigliamento, per i dodicianni del rapporto è pari a euro 157,3 milioni. A tale somma, inoltre, debbono aggiungersi leforniture annuali di materiale tecnico nonché le royalties annue sulle vendite.( 75 ) Sui contratti collegati, tra gli altri, Carusi, La disciplina della causa, in I contratti in generale,a cura di Gabrielli, I, Torino, 2006, p. 640; Scognamiglio, Causa e motivi del contratto,in Tratt. del contratto, diretto da Roppo, II, Regolamento, a cura di Vettori, Milano, 2006, p.184; Ferrando, I contratti collegati: principi della tradizione e tendenze innovative, in questa rivista,2000, p. 127; Sangermano, La dicotomia contratti misti-contratti collegati: tra elasticitàdel tipo ed atipicità del contratto, in Riv. dir. comm., 1996, II, p. 551; Castiglia, Negozi collegatiin funzione di scambio (su alcuni problemi del collegamento negoziale e della forma giuridica delleoperazioni economiche di scambio), in Riv. dir. civ., 1979, p. 397; Orlando Cascio-Argiroffi,voce Contratti misti e contratti collegati, in Enc. giur. Treccani, IX, Roma, 1988.( 76 ) Su un caso in cui lo sponsor tecnico di una squadra di calcio, che aveva il diritto dicommercializzare in esclusiva i prodotti di abbigliamento contraddistinti dai segni distintividella squadra di calcio, ha ottenuto il risarcimento del danno da un’azienda che aveva prodotto,fatto produrre e messo in vendita magliette di calcio recanti il nome ed il marchio registratodella squadra, si segnala Cass., 2 luglio 2007, n. 14967.( 77 ) Galli, Estensione e limiti dell’esclusiva sui nomi e sui segni distintivi dello sport tra merchandisinge free-riders, in AIDA, 2003, p. 232.( 78 ) Così, Cass., 29 maggio 2006, n. 12801, in Resp. civ., 2007, p. 554, relativa alla fornitura


SAGGI 215nitura, allo stesso modo dell’importo dell’eventuale corrispettivo in denaro,a fronte dei diritti di sponsor tecnico riconosciuti, variano a seconda delprestigio e dell’importanza della società sportiva parte del contratto. Piùnello specifico, il corrispettivo in denaro può essere determinato in unasomma predeterminata, a prescindere dal risultato sportivo conseguito, oppurepuò essere strettamente collegato ad esso. Anche nella prima ipotesi(corrispettivo fisso), può essere previsto un corrispettivo integrativo, eventuale,in funzione del piazzamento del club nel Campionato nazionale oppurenella Coppa di Lega oppure in quelle europee. Generalmente è previsto,in caso di retrocessione del club in una serie inferiore, una consistenteriduzione del corrispettivo in denaro, se non anche la facoltà per lo sponsortecnico di recedere dal contratto in essere.A fronte, invece, della concessione della licenza di uso del marchio dellasocietà sportiva in favore dello sponsor tecnico, quest’ultimo si impegna ariconoscere e a corrispondere alla società sportiva una royalty, rappresentatada una percentuale sul fatturato realizzato dallo sponsor tecnico dallavendita dei prodotti tecnici con il marchio della società sportiva. Non si puòescludere, comunque, che anche una parte del compenso fisso od eventualein denaro sia attribuita pure a titolo di corrispettivo per la concessionedella licenza del marchio del club e non solo per il conferimento dei dirittidi sponsor tecnico ( 79 ).In ogni caso, accanto a queste prestazioni principali (conferimento dellaqualifica e dei conseguenti diritti di sponsor tecnico, nonché licenza diprodurre e commercializzare determinati prodotti di abbigliamento a frontesia di una fornitura di materiale sia dell’eventuale pagamento di un corrispettivosia del riconoscimento di una royalty), le parti si impegnano ad eseguireprestazioni ulteriori anch’esse di una certa rilevanza.Tali prestazioni, comunque, attengono prevalentemente al rapporto disponsorizzazione tecnica; così, ad esempio, la società sportiva si impegna afar indossare i prodotti tecnici oggetto della fornitura e recanti il marchiodello sponsor tecnico a tutti i giocatori delle varie squadre (dalla prima squa-di biciclette da corsa ad una squadra ciclistica. Nello stesso senso anche Lodo Arbitrale, 15febbraio 1991, in Riv. arbitrato, 1992, p. 131, con nota di M. Bianca, Sponsorizzazione tecnica einadempimento contrattuale. In senso diverso, a favore della liberalità d’uso, ex art. 770 c.c.,nell’ambito della sponsorizzazione tecnica, si veda Inzitari, Sponsorizzazione, cit., p. 254; insenso critico, Giacobbe, Atipicità del contratto e sponsorizzazione, cit., p. 414.( 79 ) Possono esservi comunque anche modalità differenti di corresponsione, come adesempio una percentuale di royalty in maniera crescente al raggiungimento di determinatesoglie di fatturato; oppure può essere concordata una royalty forfetaria fissa (flat fee), che prescindedai volumi di vendita. Sul punto, Colantuoni, Merchandising, in I contratti, 2006, p.827.


216 CONTRATTO E IMPRESA 1/2011dra al settore giovanile), a tutti i membri degli staff tecnici delle varie squadreed agli ausiliari di campo (come ad es. i raccattapalle), in occasione ditutte le manifestazioni sportive, anche a carattere soltanto amichevole edanche in allenamento ( 80 ). Siffatto obbligo (di far indossare il materiale dellosponsor tecnico) a carico della società si configura come una promessadell’obbligazione o del fatto del terzo, ex art. 1381 c.c. ( 81 ), con conseguenteresponsabilità del promittente (sponsee) se il terzo (in primis i giocatori) nonadempie quanto promesso; in particolare, se i giocatori della società sponsorizzatanon indossano l’abbigliamento fornito dallo sponsor, si ravvisa uninadempimento contrattuale di non scarsa importanza, ex art. 1455 c.c., conpossibilità di risolvere il contratto e di richiedere il risarcimento degli eventualidanni ( 82 ). Il diritto dello sponsor tecnico di far indossare a tutti gli atletii prodotti oggetto della fornitura riguarda anche gli indumenti eventualmenteindossati sotto la maglia da gioco durante la competizione. Tali indumenti,infatti, devono recare, se i regolamenti federali non lo vietano, ilmarchio dello sponsor tecnico ( 83 ), così che sussiste un inadempimento dellasocietà se un atleta, ad esempio, durante l’esultanza per un gol si sfila lamaglia da gioco, mostrando una sottomaglia recante il logo di un’aziendaconcorrente dello sponsor tecnico. Quali ulteriori prestazioni nell’ambitodel contratto di sponsorizzazione tecnica, il club si impegna, generalmente,a rendere una serie di prestazioni promo-pubblicitarie in favore dello sponsor(come ad esempio, l’esposizione del marchio dello sponsor in occasionedelle partite ufficiali, per un certo numero di minuti a partita sui cartelloni“rotor multiface” e/o su cartelli fissi; l’esposizione del marchio dello sponsorsui biglietti e gli abbonamenti, sul backdrop ufficiale nell’area delle interviste,sulla cartella stampa, nella pagina sponsor del sito internet ufficiale; unafornitura di biglietti; la possibilità di organizzare eventi con la partecipazionedi alcuni giocatori della prima squadra, ecc.).Si consideri, infine, che, sulla base della sempre più rilevante importanzaacquisita dagli accordi di sponsorizzazione tecnica, i regolamenti delleFederazioni sportive hanno previsto disposizioni specifiche al riguardo. Ilfine è anche quello di salvaguardare la corretta immagine del movimento edell’organizzazione sportiva di afferenza; in tal modo, siffatte disposizioni( 80 ) È fatto salvo generalmente il diritto per gli allenatori e lo staff medico e dirigenziale dinon utilizzare l’abbigliamento tecnico durante le competizioni.( 81 ) Vidiri, Il contratto di sponsorizzazione: natura e disciplina, cit., p. 19.( 82 ) Si segnala, Lodo Arbitrale, 15 febbraio 1991, cit.( 83 ) Al riguardo, l’art. 72, comma 4°, bis, delle Norme Organizzative Interne della F.I.G.C.prevede che: « L’indumento eventualmente indossato sotto la maglia di giuoco potrà recareesclusivamente il marchio dello sponsor tecnico di dimensioni non superiori alle misure regolamentari».


SAGGI 217finiscono per avere notevole incidenza sul normale evolversi delle relazioninegoziali, rappresentando limiti non indifferenti all’autonomia negozialedelle parti ( 84 ). Così, ad esempio, con riguardo alla sponsorizzazione tecnicadi squadre di calcio di serie A o B, il marchio dello sponsor tecnico (oltreche quello del main sponsor e degli eventuali sponsor secondari), deveessere apposto sulle maglie ed i pantaloncini indossati durante le partite ufficiali,nel rispetto del Regolamento delle divise da gioco emanato dalla LegaNazionale Professionisti ( 85 ), nonché, sempre per quanto concerne la tenutada gioco dei calciatori, nel rispetto dell’art. 72 delle Norme OrganizzativeInterne della F.I.G.C., con particolare riguardo al comma 4° ( 86 ).( 84 ) Briante, Savorani, Il fenomeno « sponsorizzazione » nella dottrina, nella giurisprudenzae nella contrattualistica, cit., p. 645; Cantamessa, Merchandising, sponsorizzazioni e dirittidi immagine, cit., p. 521. Sul punto già, De Silvestri, Le operazioni di sponsorizzazione e ilmerchandising delle società calcistiche, cit., p. 116.( 85 ) Al riguardo, si veda il Comunicato Ufficiale, n. 16 del 6 agosto 2008, « Regolamentodelle divise da gioco », con particolare riguardo agli artt. 6 e 7. In particolare, l’art. 6, Pubblicitàdello sponsor, prevede che: « 1. Si intende per sponsor il nome, il marchio, il logo, il prodottoe/o il servizio di un’azienda. 2. È vietato recare pubblicità a categorie di prodotti per i qualiesista esplicito divieto di legge, nonché slogan di natura politica, confessionale o razziale, o dicause che offendono il comune senso della decenza. 3. La pubblicità dello sponsor è consentitasolo sul davanti della maglia e la superficie totale occupata dalla stessa non deve superarei 250 cm 2 . La pubblicità dello sponsor non è consentita sulle maniche, sul retro e sul collettodella maglia da gioco. 4. Lo spazio di 250 cm 2 può essere utilizzato da un numero massimo di2 sponsor per gara. Lo spazio in questione può essere, nel rispetto del comma precedente, noncontiguo. 5. Le Società hanno la facoltà di utilizzare sponsor diversi per ogni gara. Le divise ufficialida gioco devono in ogni caso essere depositate e approvate dalla LNP secondo quantoprevisto dal successivo art. 10. 6. La pubblicità dello sponsor non è consentita sui pantaloncini,sui calzettoni e all’interno dei numeri. Esclusivamente per le società partecipanti al Campionatodi Serie B TIM, a titolo sperimentale per le stagioni sportive 2008/2009 e 2009/2010,è consentita la pubblicità dello sponsor anche sui pantaloncini. La pubblicità dello sponsor èconsentita solo sul davanti dei pantaloncini e la superficie occupata dalla stessa non deve superarei 40 cm 2 . Lo spazio di 40 cm 2 deve essere utilizzato da un unico sponsor. 7. Il criterio perla misurazione della pubblicità è il seguente: si misurano – vuoto per pieno – le singole unitàdi cui si compone il marchio, intendendo per « unità »: nel caso di scritte, ogni singola parola;nel caso di loghi, l’intera superficie dell’elaborazione grafica costituente il logo. Si considerasuperficie di ogni singola unità (parola o logo) la forma geometrica piana regolare nella qualel’unità può essere inscritta ». L’art. 7, Pubblicità del fornitore dell’abbigliamento sportivo,prevede che: « 1. Sulle divise da gioco può essere apposto il marchio del fornitore dell’abbigliamentosportivo. 2. Il fornitore dell’abbigliamento sportivo non è necessariamente il produttoredello stesso. 3. Il fornitore dell’abbigliamento sportivo può apporre sulle divise dagioco il proprio marchio o nome nel rispetto delle seguenti norme:. . . ».( 86 ) L’Art. 72 (Tenuta di giuoco dei calciatori) delle Norme Organizzative Interne dellaF.I.G.C. è consultabile, in http://www.figc.it/.


218 CONTRATTO E IMPRESA 1/2011Più in generale, i prodotti tecnici destinati alle competizioni ufficiali, oltreal marchio della società sportiva ed a quello del main sponsor, possonoriprodurre il marchio dello sponsor tecnico, nel rispetto delle dimensionimassime consentite dagli organismi sportivi, nazionali ed internazionali,aventi competenza di volta in volta sulla manifestazione ( 87 ). Si pone, però,il problema della vincolatività delle disposizioni emanate dagli organismisportivi – come le Federazioni, nazionali od internazionali – oppure degliaccordi assunti tra le società e la Lega di appartenenza, nei confronti di soggetti,quali gli sponsor, che sono estranei all’Ordinamento sportivo oppureche non sono parti di siffatti accordi. Generalmente, la questione è superatatramite l’inserimento nel regolamento contrattuale di clausole di rinvioed accettazione con cui le parti, e quindi anche lo sponsor, richiamano edaccettano le disposizioni Federali oppure gli accordi di Lega riguardanti ilcontratto in questione.5. – Con il contratto di sponsorizzazione tecnica, lo sponsor, generalmentee salvo diverso accordo, acquisisce i diritti di riproduzione e diffusionedell’immagine del club ( 88 ), ma non acquisisce alcun diritto di sfruttamentopubblicitario o promozionale dell’immagine dei singoli tesseratidella società. In altre parole, lo sponsor non può utilizzare l’immagine deisingoli tesserati, per iniziative pubblicitarie e promozionali a meno che essenon siano riconducibili alla squadra, nell’ambito dello svolgimento di gare,allenamenti ed altre attività sociali ( 89 ); è fatta salva, ovviamente, l’ipotesi in( 87 ) Per l’abbigliamento non regolamentato (come ad es. quello riguardante l’allenamento),invece, la collocazione e la dimensione dei rispettivi marchi sarà disposta in conformitàagli accordi assunti dalle parti.( 88 ) Su un caso di utilizzo non autorizzato dell’immagine della società e di un atleta, Pret.Roma, 24 dicembre 1981, in Foro it., 1982, I, c. 565, secondo la quale « va inibita, con provvedimentocautelare d’urgenza, la diffusione – non autorizzata dagli aventi diritto – di un posterbifacciale recante, su un lato, la fotografia di una squadra calcistica (A.S. Roma) e, sull’altro,l’immagine, con firma e dedica, di un suo prestigioso giocatore (Paulo Roberto Falcao) ». Direcente, si segnala il caso singolare esaminato da Cass., 11 agosto 2009, n. 18218, in Red. inMass. Giust. civ., 2009, p. 7-8, relativa ad un caso del tutto particolare, in cui la S.C. ha affermatola tutela dell’immagine e della denominazione di un’imbarcazione che svolgeva competizioniagonistiche; nel caso di specie un’azienda senza il consenso dell’avente diritto e senzapagare il corrispettivo dovuto, aveva indebitamente riprodotto nel proprio calendario l’immaginee la denominazione dell’imbarcazione, usata anche come elemento di richiamo nell’ambitodi campagne pubblicitarie o di sponsorizzazione, inserendo nella vela il proprio marchio.( 89 ) I doveri promo pubblicitari dei giocatori di calcio nei confronti della Società, sono individuatinell’art. 8 della Convenzione per la regolamentazione degli accordi concernenti attivitàpromozionali e pubblicitarie che interessino le società calcistiche professionistiche ed i calciatori


SAGGI 219cui vi sia il consenso da parte dell’interessato oppure della società qualora aquesta sia stato ceduto il diritto di immagine da parte del singolo. Allo stessomodo, in virtù del contratto di merchandising con la società, l’aziendanon può utilizzare il nome o l’immagine del singolo sportivo, più o menocelebre, al fine di produrre e porre in commercio beni destinati ad esserecontraddistinti dal nome o dall’immagine del singolo (cd. personality merchandising)( 90 ).In questo modo, i singoli atleti hanno, eccetto l’ipotesi di diversi accordiin vigore con la società, piena ed autonoma libertà negoziale per la stipulasia di contratti promo-pubblicitari ( 91 ), sia di merchandising per lo sfruttamentocommerciale del proprio nome od immagine ( 92 ); a quest’ultimoproposito, si evidenzia come il già esaminato comma 3° dell’art. 8 del Codicedella Proprietà Industriale tuteli, se notorio, anche il nome di persona, riconoscendoall’avente diritto la possibilità di registrarlo e di usarlo comemarchio, anche attraverso lo strumento del merchandising. Più in generale,viene in rilievo il diritto al nome ed all’immagine del singolo atleta che deveintendersi come diritto della persona celebre allo sfruttamento commercialedel proprio right of publicity ( 93 ).ed i loro tesserati, del 23 luglio 1981, stipulata tra l’Associazione <strong>Italia</strong>na Calciatori e la LegaNazionale; successive modifiche ed integrazioni sono state apportate in data 27 luglio 1984.( 90 ) Sul cd. personality merchandising, tra gli altri, Ricolfi, I segni distintivi dello sport, inAIDA, 1993, p. 116; Id., Il contratto di merchandising nel diritto dei segni distintivi, cit., 434; DiCataldo, I contratti di merchandising nella nuova legge marchi, cit., p. 74.( 91 ) Di recente, al riguardo, Colantuoni, Novazio, Il contratto di cessione di immagine inambito sportivo, in Contratti, 2010, p. 204.( 92 ) Sulla differenza tra le operazioni di sponsorizzazione e di personality merchandisingdel singolo atleta, si veda Ricolfi, Il contratto di merchandising nel diritto dei segni distintivi,cit., p. 426.( 93 ) Per questa ragione la notorietà della persona non è in grado da sola di giustificare, exart. 97 l. 22 aprile 1941, n. 633, il libero utilizzo dell’immagine, essendo necessario anche un fineinformativo (Cass., 10 giugno 1997, n. 5175, in Foro it., 1997, c. 2920). Si è, infatti, ben evidenziatoche: « la divulgazione del ritratto di persona notoria è lecita non per il fatto in sé chela persona ritratta possa dirsi notoria ma se ed in quanto risponda ad esigenze di pubblicainformazione, sia pure in senso lato; quando cioè esclusiva ragione della diffusione sia quelladi far conoscere al pubblico le fattezze della persona in questione e di documentare visivamentele notizie che di questa persona vengono date al pubblico. Quando, al contrario, la divulgazionedel ritratto avvenga per altro scopo che non sia quello legittimo di soddisfare l’esigenzapubblica di informazione, allora essa non è più una giustificazione, ma il fatto che inducead una divulgazione che porta vantaggi, spesso a contenuto patrimoniale, a colui che ladivulgazione esegue » (Cass., 2 maggio 1991, n. 4785, in Dir. informaz. informat., 1991, p. 837).Su un caso di illecito utilizzo dell’immagine di un calciatore in assenza del consenso dell’interessato,si segnala Trib. Tortona, 24 novembre 2003, in Danno e resp., 2004, p. 533, con notadi Pardolesi, Il cigno rossonero: illecito sfruttamento e dilution dell’immagine.


220 CONTRATTO E IMPRESA 1/2011Con riguardo al diritto del singolo atleta di stipulare contratti promopubblicitari,è senza dubbio significativo il contenuto della Convenzionestipulata tra la Lega Nazionale Professionisti e l’Associazione <strong>Italia</strong>na Calciatori(A.I.C.) in data 23 luglio 1981 ( 94 ), relativa alla regolamentazione delleattività promozionali e pubblicitarie riguardanti le società calcistiche ed icalciatori loro tesserati ( 95 ). A tal proposito, si ribadisce che i calciatori hannola facoltà di utilizzare in qualsiasi forma lecita e decorosa la propria immagineanche « a scopo di lucro, purché non associata a nomi, colori, maglie,simboli o contrassegni della Società di appartenenza o di altre Società » e purchénon in occasione di attività ufficiale (art. 1 Convenzione) e pertanto riconducibiledirettamente od indirettamente all’attività professionale svoltaa favore del club in cui milita. Allo stesso modo, il calciatore ha la facoltà diconcludere singolarmente contratti concernenti le scarpe da gioco da usaredurante le gare e gli allenamenti (art. 6).Così facendo, può verificarsi la seguente situazione (peraltro alquantodiffusa) in cui un atleta, pur tesserato per una società che abbia come sponsortecnico per l’abbigliamento da gara e da allenamento una determinataazienda, utilizzi legittimamente scarpe, durante le gare e gli allenamenti, recantiil logo di una azienda concorrente allo sponsor tecnico del club.Ugualmente non sussiste alcun inadempimento – fatti salvi eventuali diversiaccordi – se il tesserato indossi, nell’attività extrasportiva come il tempolibero o nella pratica di sport non ricollegabile al club per cui è tesserato, abbigliamentodi un’azienda concorrente allo sponsor tecnico della società diappartenenza. Anzi può accadere che l’atleta sia anche “testimonial” diun’azienda concorrente, purché l’immagine non sia associata a quella dellasocietà sportiva in cui l’atleta milita. A questo proposito, la Convenzione(agli artt. 10 e 11) si premura espressamente di prevenire e risolvere situazionidi contrasto o di incompatibilità tra i contratti di sponsorizzazione e/odi pubblicità stipulati dalla società e quelli sottoscritti dall’atleta. Nello specifico,si tende a risolvere i possibili contrasti, affidandosi prevalentementealla reciproca buona fede ed al massimo spirito collaborativo, per comporresul nascere ogni possibile contrasto concorrenziale, anche se una maggiortutela appare formalmente riservata ai contratti delle società in quanto involgentiinteressi collettivi (art. 11).Si consideri, tuttavia, che quanto previsto dalla Convenzione è applicatocon notevole elasticità, tenuto conto che essa è stata sottoscritta (1981) inun’epoca in cui lo sfruttamento commerciale dell’immagine dei calciatoriprofessionisti nonché delle società era soltanto agli albori, senza che fosseroimmaginabili il rilievo economico e le punte di sviluppo attuali.( 94 ) Successive modifiche ed integrazioni sono state apportate in data 27 luglio 1984.( 95 ) Su tale convenzione anche De Giorgi, Sponsorizzazione e mecenatismo, cit., p. 166.


SAGGI 221In ogni caso, lo sponsor tecnico della squadra se non può disporre dell’immaginedel singolo giocatore può, per fini pubblicitari, legittimamenteutilizzare e riprodurre – in virtù degli accordi generalmente contenuti nelcontratto di sponsorizzazione – l’immagine dei giocatori della società sponsorizzata,nei limiti in cui l’immagine riguardi un “gruppo” di giocatori dellasquadra e non pertanto il singolo atleta, nel contesto di gare, allenamentiod altre attività ufficiali ( 96 ). A tal fine, ad esempio, con riguardo ai calciatoridella Nazionale, il vigente accordo tra F.I.G.C. e Associazione <strong>Italia</strong>na Calciatori,intende per « “immagine di un gruppo di calciatori della Nazionale”qualsiasi immagine che sia evocativa delle Squadre o che – a prescindere daogni altro aspetto – raffiguri almeno quattro calciatori in azione di gioco o comunquenel contesto di una gara ». La Convenzione del 23 luglio 1981, relativaalle attività promozionali e pubblicitarie riguardanti le Società calcisticheed i calciatori loro tesserati, invece, definisce per fotografie di gruppo « le fotografiedi squadra raffiguranti almeno undici dei suoi componenti ». Si è giàevidenziato, tuttavia, che tale Convenzione appare ormai inadeguata, allaluce del contesto attuale, relativo allo sfruttamento commerciale dell’immaginesia dei singoli atleti sia delle società. Appare più plausibile, pertanto,ritenere, al di là del mero dato numerico, che l’utilizzo della fotografiadurante un’azione di gioco e l’utilizzo dell’immagine di più atleti in posapossa considerarsi legittimo, senza necessità del consenso dei singoli soggettiritrattati, allorché l’immagine di “gruppo” utilizzata per fini pubblicitaridallo sponsor della società non induca i terzi nell’erroneo convincimentoche siano uno o più atleti determinati e non la società, ad aver prestato ilconsenso all’utilizzo dell’immagine per fini pubblicitari e promozionali ( 97 ).6. – È fortemente avvertita l’esigenza di tutelare il marchio sportivo controeventuali contraffattori od imitatori. A tal fine, nei contratti di merchandisingsono spesso previste clausole specifiche; così ad esempio, dopo laprevisione generale che ciascun contraente è tenuto a fornire tempestivacomunicazione all’altra parte di ogni violazione commessa da terzi, sonogeneralmente regolamentate le modalità per intraprendere e coltivare le( 96 ) Al riguardo, si segnala Pret. Roma, 31 maggio 1983, in Giust. civ., 1984, I, p. 308, secondola quale « Per effetto di convenzione intercorsa tra la lega nazionale calcio e l’associazioneitaliana calciatori, compete alla società sportiva – senza necessità del consenso dei singolicalciatori – il diritto di utilizzare (direttamente o mediante cessione al cd. sponsor) le fotografiedi gruppo della squadra stampate sul cd. poster ufficiale, purché si tratti di un’utilizzazionepubblicitaria e/o promozionale dell’attività economica imprenditoriale svolta dallasocietà nel campo dello spettacolo sportivo ».( 97 ) Sul punto Cantamessa, Merchandising, sponsorizzazioni e diritti di immagine, cit., p.527.


222 CONTRATTO E IMPRESA 1/2011azioni a difesa del marchio. In particolare, si vuole disciplinare se dette azionispettino autonomamente a ciascuna delle parti, oppure se debbano essereesercitate congiuntamente oppure se soltanto il merchandisee possa provvederedirettamente alla difesa del marchio licenziato ( 98 ). Dall’esigenza ditutelare il marchio concesso in licenza prende le mosse anche il progetto dilegge, in tema di Disposizioni per la tutela dei segni distintivi delle societàsportive, enti e federazioni, e per la disciplina della loro utilizzazione commercialee delle sponsorizzazioni sportive, a cui si è fatto riferimento in precedenza.In particolare, esso nasce dalla constatazione sia di una carenza normativaidonea a contrastare, “con regole e con criteri precisi” l’attività di contraffazionedei marchi e dei prodotti sportivi nonché il fenomeno dell’ambushmarketing, sia delle gravissime perdite in termini di fatturato che sono generate,nell’ordinamento sportivo, dal fenomeno della contraffazione deimarchi sportivi.Anche in ambito comunitario, è stata affermata l’esigenza di tutelare ilmarchio delle società sportive; in particolare, con la sentenza della Corte diGiustizia del 12 novembre 2002 NC/206/01, relativa al celebre club inglesedell’Arsenal, la Corte comunitaria si è pronunciata sulla tutelabilità delmarchio Arsenal, appartenente all’omonimo club calcistico, nei confrontidi un venditore di prodotti non ufficiali (nel caso di specie, sciarpe) riportantiil marchio del club, in un chiosco che comunque esponeva un cartellocon l’avvertenza che gli articoli in vendita non erano ufficiali. In tale occasione,la Corte comunitaria ha affermato la tutelabilità del marchio in questionea nulla rilevando l’avvertenza sulla non provenienza dei prodotti dalclub; nella motivazione, infatti, si è evidenziato che se i prodotti, dopo esserestati venduti nel luogo in cui appariva l’avvertenza, erano presentati a terzi,costoro potevano essere indotti ad interpretare il segno come indicantel’Arsenal quale <strong>impresa</strong> di provenienza dei prodotti.Tale importante precedente, pertanto, incentra la protezione del marchiosportivo esclusivamente attraverso il riferimento alla confondibilitàsull’origine e sulla provenienza del prodotto, senza tenere in considerazione,comunque, che il marchio sportivo comunica non solo un messaggiosulla provenienza ma anche una componente suggestiva legata indubbiamenteall’immagine mentale di cui il marchio è caricato; di conseguenza,consentire a soggetti non collegati con il titolare del marchio di mettere incommercio prodotti recanti segni che, pur in assenza di confusione, richiamanoil messaggio connesso al marchio, sottrae un valore sia al titolare delmarchio sia a coloro che hanno acquistato i prodotti originali, pagando il re-( 98 ) Sul profilo della legittimazione all’azione, si veda anche Vanzetti, Di Cataldo, Manualedi diritto industriale, cit., p. 543.


SAGGI 223lativo corrispettivo ( 99 ). Si consideri, in proposito, che la tutela dei marchiche godono di rinomanza – ed i marchi delle società sportive sembra chesenz’altro debbano essere classificati tra i marchi rinomati, proprio perchéportatori di un messaggio ulteriore rispetto a quello distintivo ( 100 ) – siestende, pur in mancanza di un pericolo di confusione, anche all’ipotesi incui l’uso non autorizzato di un segno uguale o simile ad essi « senza giustomotivo consente di trarre indebitamente vantaggio dal carattere distintivo odalla rinomanza del marchio o reca pregiudizio agli stessi » (art. 20, lett. c),cod. propr. ind.) ( 101 ). La ratio della protezione dei marchi che godono di rinomanza,infatti, è evidentemente quella di affiancare alla tradizionale funzionedi indicazione di origine del marchio anche una tutela contro ogniforma di parassitismo ( 102 ). In tal modo, i segni distintivi dello sport che godanodi rinomanza dovrebbero vantare una indubbia tutela contro ogni iniziativacommerciale diretta a sfruttare, in assenza di un legittimo consenso,il valore di mercato di detti segni, allorché il comportamento del terzo utilizzatoredia luogo ad un vantaggio di origine essenzialmente parassitariooppure comporti un pregiudizio per il titolare del segno ( 103 ).Nell’ambito della protezione del marchio sportivo e delle conseguentiazioni a tutela dello stesso - di cui si segnalano in sede civilistica in primisl’art. 124 c. propr. ind. ed in sede penale gli artt. 573 e 574 c.p. - merita di es-( 99 ) Galli, Estensione e limiti dell’esclusiva sui nomi e sui segni distintivi dello sport tra merchandisinge free-riders, cit., p. 242. Al riguardo, anche Vanzetti, Di Cataldo, Manuale di dirittoindustriale, cit., p. 156.( 100 ) Galli, Estensione e limiti dell’esclusiva sui nomi e sui segni distintivi dello sport tramerchandising e free-riders, cit., p. 235. Sulla portata dell’espressione « marchio che gode dirinomanza » utilizzata dalla legge, si rinvia a Vanzetti, Di Cataldo, Manuale di diritto industriale,cit., p. 246; Vanzetti, La nuova legge marchi, cit., p. 25; Id., Il marchio rinomato, in Lariforma della legge marchi, cit., p. 79.( 101 ) Ha fatto riferimento anche alla violazione dei diritti di privativa di cui all’art. 20, lett.c), c.p.i. (oltre che b), Trib. Bari, 13 aprile 2010, in Banca Dati Dejure, relativa alla registrazioneed alla messa in commercio di prodotti recanti il marchio « 46 », già oggetto di registrazione in<strong>Italia</strong> ed all’estero da parte di Valentino Rossi.( 102 ) Vanzetti, Di Cataldo, Manuale di diritto industriale, cit., p. 156.( 103 ) Galli, Estensione e limiti dell’esclusiva sui nomi e sui segni distintivi dello sport tramerchandising e free-riders, cit., 252. Sul riconoscere al marchio di una società sportiva unatutela estesa, non solo al valore distintivo, ma anche al valore attrattivo e suggestivo, si segnalain giurisprudenza, Trib. Bologna, 1 febbraio 2001, est. Ferro, in AIDA, 2002, Repertorio IV.3.3; nel caso di specie, si è ritenuto che l’uso del segno « Forza Bologna » interferisse ex art. 1,comma 1°, lett. c), con il diritto sul marchio della società sportiva, la quale almeno in ambitoregionale gode di rinomanza; al riguardo anche Trib. Torino, 5 novembre 1999, est. Aragno,in AIDA, 2000, Repertorio IV. 3.3; Trib. Torino, 13 aprile 2000, est. Vigone, in AIDA, 2000, RepertorioIV. 3.3.


224 CONTRATTO E IMPRESA 1/2011sere evidenziata la recente attenzione che viene prestata al fenomeno delcd. ambush marketing. Esso consiste sostanzialmente nel tentativo da partedi aziende che non sono sponsor o partner di un evento sportivo di utilizzareindirettamente la popolarità dell’evento e/o del marchio sportivo, senzainvestire in contratti di sponsorizzazione o di merchandising, distogliendodi conseguenza l’attenzione del pubblico dallo sponsor dell’evento o dai licenziataridel marchio ( 104 ). Così, ad esempio, può accadere che in occasionedi un evento sportivo particolarmente importante, alcune aziende, purnon essendo sponsor della Federazione nazionale oppure di quella internazionale,sfruttino l’evento, utilizzando i colori ed i simboli nazionali, perlanciare sul mercato prodotti o per pubblicizzare loro servizi ( 105 ). Un recentee clamoroso caso di cd. ambush marketing, a livello internazionale, lesivodel diritto dello sponsor dell’evento, si è registrato nel corso dei recentiMondiali di calcio in Sud Africa, quando una nota multinazionale di birraha fatto entrare nello stadio appariscenti hostess – per questo oggetto di frequentiinquadrature televisive – che indossavano abiti recanti il logo dellastessa azienda; in tal modo, si è ravvisata una evidente lesione dei diritti dellamultinazionale concorrente, che invece era sponsor ufficiale dell’evento epertanto unico brand per quel genere merceologico, autorizzato a fare pubblicitànegli stadi dove erano in corso i Mondiali ( 106 ).A questo proposito, è significativo come il legislatore italiano, in occasionedei Giochi Olimpici invernali di “Torino 2006” sia intervenuto per garantirela tutela del marchio Olimpico, con la l. 17 agosto 2005, n. 167, sancendoal comma 2° dell’art. 2, il divieto di « pubblicizzare, detenere per farnecommercio, porre in vendita, o mettere altrimenti in circolazione prodotti o serviziutilizzando segni distintivi di qualsiasi genere atti ad indurre in inganno ilconsumatore sull’esistenza di una licenza, autorizzazione o altra forma di associazionetra il prodotto o il servizio e il CIO o i Giochi olimpici » ed al comma3° sempre dell’art. 2, il divieto di « intraprendere attività di commercializ-( 104 ) Nella Proposta di legge d’iniziativa del deputato Lolli, presentata il 5 agosto 2008, intema di Disposizioni per la tutela dei segni distintivi delle società sportive, enti e federazioni,e per la disciplina della loro utilizzazione commerciale e delle sponsorizzazioni sportive, silegge la seguente definizione di ambush marketing: « Esso consiste sostanzialmente nel tentativoda parte di aziende, che non sono sponsor o partner dell’evento, di distogliere l’attenzionedel pubblico dallo sponsor medesimo attraverso forme di comunicazione simili o analoghe,e di attirarla su di loro utilizzando la popolarità dell’evento e del marchio senza investirein contratti di sponsorizzazione e di “merchandising”».( 105 ) In questo senso l’osservazione contenuta nella Proposta di legge d’iniziativa del deputatoLolli, relativamente ai Mondiali di calcio del 2006.( 106 ) La notizia è stata riportata da tutti gli organi di informazione; si segnala inhttp://www.ansa.it.


SAGGI 225zazione parassita (“ambush marketing”), intese quali attività parallele a quelleesercitate da enti economici o non economici, autorizzate dai soggetti organizzatoridell’evento sportivo, al fine di ricavarne un profitto economico ».In tal modo, si è voluto approntare una tutela più forte per i titolari delmarchio Olimpico e per i partner economici durante la manifestazione sportivadi Torino 2006. Si consideri, comunque, che anche in assenza di unprovvedimento legislativo ad hoc, la tutela contro lo sfruttamento parassitariodi un evento sportivo e/o del relativo marchio o segno dovrebbe esseregarantita ugualmente, a seconda dei casi, non solo dalla disciplina attuale aprotezione del marchio o degli altri segni distintivi ma anche da quella in temadi repressione della concorrenza sleale. È indubbio, infatti, che con ilmarketing parassitario i soggetti licenziatari del marchio o degli altri segnioppure gli sponsor dell’evento ricevano un duplice danno, poiché non soloun terzo utilizza lo stesso simbolo o si fregia della qualifica di sponsor ad uncosto pressoché nullo, ma tale pratica riduce sensibilmente la qualità ed ilvalore economico dei diritti acquisiti con la stipula del contratto di merchandisingo di sponsorizzazione ( 107 ). Per questa ragione, non vi dovrebberoessere perplessità circa la possibilità di invocare la tutela di cui all’art.2598, n. 3, c.c., volto a sanzionare ogni forma di concorrenza parassitaria ecome tale « non conforme ai principi della correttezza professionale e idoneo adanneggiare l’altrui azienda ».( 107 ) Maccarone, Marchio sportivo ed ambush marketing, in I contratti, 2007, p. 166.


INNOVAZIONE LEGISLATIVAGIANFRANCO DOSILa mediazione e l’arbitrato irrituale nelle riforme del 2010Sommario: 1. I tre pilastri della nuova giustizia competitiva. – 2. La mediazione come sistemadi risoluzione dei conflitti parallelo alla giurisdizione. – 3. La mediazione condizione diprocedibilità della domanda giudiziale. – 4. Le motivazioni per la mediazione. – 5. La risoluzionearbitrale irrituale delle controversie1. – Se si guarda alle riforme che il legislatore ha introdotto recentementenel sistema di risoluzione delle controversie nel settore civile ecommerciale (art. 60 della l. 18 giugno 2009, n. 69) ( 1 ) e d. lgs. 4 marzo 2010,n. 28) ( 2 ) e in quello dei conflitti di lavoro (art. 31 della l. 4 novembre 2010, n.183) ( 3 ) ci si accorge che, al di là del tentativo di rispondere a necessità ormaistrutturali di carattere deflattivo e della pretesa di voler ridisegnare per leggegli equilibri tra le parti sociali, che costituiscono spesso le motivazioniprincipali di molte riforme nel nostro Paese, il sistema della giustizia si è andatocostruendo nel tempo e definendo nel 2010 intorno a tre pilastri chesembrano connotarlo ormai in un modo che appare stabile e definitivo.Per la soluzione delle controversie nell’area dei diritti disponibili il sistemagiustizia si presenta oggi – in una coraggiosa e competitiva sinergiatra apparati pubblici e organismi privati – come insieme di alternative interscambiabilicaratterizzate ciascuna da differenti fattori di appetibilità e difattibilità.Il primo pilastro resta pur sempre quello della giurisdizione alla qualepermane, in virtù della riserva costituzionale di cui al fondamentale art. 24( 1 ) Disposizioni per lo sviluppo economico, la semplificazione, la competitività nonchéin materia di processo civile( 2 ) Attuazione dell’art. 60 della l. 18 giugno 2009, n. 69, in materia di mediazione finalizzataalla conciliazione delle controversie civili e commerciali.( 3 ) Deleghe al Governo in materia di lavori usuranti, di riorganizzazione di enti, di congedi,aspettative e permessi, di ammortizzatori sociali, di servizi per l’impiego, di incentivi all’occupazione,di apprendistato, di occupazione femminile, nonché misure contro il lavorosommerso e disposizioni in tema di lavoro pubblico e di controversie di lavoro (pubblicata nelsupplemento ordinario della G.U. del 9 novembre 2010).


SAGGI 227della Costituzione, la responsabilità primaria di garantire coazione alle domandedi giustizia poste dalla conflittualità sociale, nel rispetto irrinunciabiledel diritto di chiunque di agire in giudizio per la tutela contenziosa deipropri interessi e dei propri diritti, disponibili e non disponibili. Il nostro sistemaprocessuale civile, pur soffrendo di rigidità tali che pensare di modificarlocon qualche ritocco è utopistico, continua ad apprestare faticosamentetutele nei tradizionali settori della cognizione, dell’esecuzione e dellegaranzie cautelari, nei quali si sono sovrapposte negli ultimi anni insiemea riforme coraggiose, spesso retromarce veloci e molte promesse di semplificazione.Considerate le dimensioni dello sforzo riformatore necessario el’intasamento delle aule di giustizia, non si può escludere che, ove il trend intema di procedure alternative riuscisse ad incoraggiare riforme più radicali,il contenuto della giurisdizione possa circoscriversi un giorno alla tutela deisoli diritti indisponibili e al controllo sulle decisioni rese nell’ambito dei sistemialternativi.Il secondo pilastro è costituito oggi certamente dalla mediazione finalizzataalla soluzione consensuale delle controversie, da anni praticata in ampisettori delle relazioni commerciali e industriali ed ora estesa dal d. lgs. 4marzo 2010, n. 28 ad un ambito molto significativo quale quello della maggiorparte delle controversie civili e commerciali relative a diritti disponibili.Si tratta di un pilastro rinvenibile nell’esperienza giuridica di molti altriPaesi e che ha raggiunto nell’ambito della giustizia una propria dignità di sistemaconsensuale a prescindere ed oltre le esigenze di deflazione del caricogiurisdizionale. La potenzialità deflattiva di questo sistema di risoluzionealternativa dei conflitti non è più, dunque, considerata la sua funzione primariache va, invece, rintracciata nel suo ruolo parallelo di sistema di giustiziabasato sul consenso e non sulla coazione. Il termine “conciliazione”,che prima di oggi connotava da solo nel linguaggio comune sia la proceduratesa alla soluzione consensuale di una controversia sia l’atto in sé dell’accordo,è stato molto opportunamente sostituito da quello di “mediazionefinalizzata alla conciliazione della controversia” che riesce a dare meglio l’ideadella circostanza che per giungere a risolvere una controversia è necessarioun percorso di avvicinamento che, sia pure senza particolari formalismi,deve pur sempre avere un proprio setting senza il quale perderebbe lapropria plausibilità.La “conciliazione” non è l’abbandono di una pretesa, quasi una riconciliazione,ma la soluzione consensuale di un conflitto. Così come avvieneper la sentenza, anche la conciliazione è il momento finale di un confrontoeffettuato alla presenza di un terzo; qui il mediatore, lì il giudice. Si può pertantocostruire una perfetta simmetria tra il procedimento giurisdizionale eil procedimento di mediazione. Entrambi mirano alla soluzione di un conflitto.Nel processo in tribunale si chiede al giudice imparziale una senten-


228 CONTRATTO E IMPRESA 1/2011za; nel procedimento di mediazione si chiede al mediatore imparziale di essereaiutati a trovare una soluzione. Il primo sistema è, però, contenziosomentre il secondo è consensuale o, come alcuni preferiscono chiamarlo,collaborativo.In altri casi il terzo non è un mediatore ma un collegio arbitrale. Si trattadella procedura arbitrale, in cui le parti chiedono non di essere aiutati atrovare una soluzione ma che gli arbitri la trovino per loro.Ed è proprio l’arbitrato il terzo pilastro della giustizia, nelle forme nonsolo e non tanto del tradizionale e solenne arbitrato rituale, ma soprattuttodi quello previsto nell’art. 808-ter c.p.c (arbitrato irrituale) – introdotto dal d.lgs. 2 febbraio 2006, n. 40 – dove si legge che “le parti possono [. . .] stabilireche la controversia sia definita dagli arbitri mediante determinazione contrattuale”.Aquesto modello di diritto comune sono riconducibili le modalità diarbitrato varate per i conflitti di lavoro dalla riforma di cui all’art. 31 della l.4 novembre 2010, n. 183 che ha previsto con decorrenza dal 24 novembre2010 la risoluzione arbitrale irrituale delle controversie davanti alle commissionidi conciliazione (nuovo art. 412 c.p.c.) o con le eventuali modalità previstedai contratti collettivi (nuovo art. 412-ter, c.p.c.) ovvero davanti ad appositicollegi di conciliazione e arbitrato irrituale per i quali è stata anche introdottauna propria agile procedura (nuovo art. 412-quater, c.p.c.). Sonoqueste le nuove forme di risoluzione arbitrale delle controversie nel campodei conflitti di lavoro ai quali il legislatore è giunto recentemente, nel contestoe a conclusione di un più vasto intervento legislativo di riforma, nonsempre lineare, realizzatosi in questo settore negli ultimi anni.Se è vero che l’arbitrato rituale condivide con quello irrituale il fondamentoprivatistico e la natura negoziale ontologicamente alternativa allagiurisdizione statale ( 4 ), se ne differenzia – secondo l’orientamento ormaicomunemente condiviso – perché il primo viene finalizzato per volere delleparti al conseguimento di un risultato che ha la stessa efficacia della sentenza( 5 ), impugnabile secondo il sistema previsto negli artt. dall’827 all’831del codice di procedura civile, mentre il lodo irrituale non ha il valore della( 4 ) Così la giurisprudenza a partire da Cass. Sez. un., 3 agosto 2000, n. 527 (tutta la giurisprudenzaè tratta della banca dati Pluris Cedam, Utet giuridica).( 5 ) Art. 824 bis c.p.c. “Salvo quanto disposto dall’art. 825, il lodo ha dalla data della sua ultimasottoscrizione, gli effetti della sentenza pronunciata dall’autorità giudiziaria”. L’efficaciadi sentenza per decreto del pretore era assicurata anche dall’art. 825 della versione originariac.p.c. del 1940. Le mutevoli opinioni della dottrina e della giurisprudenza, alle quali il legislatoresembrò aderire cancellando nel 1994 con la l. n. 25 il riferimento a tale efficacia di sentenza,portarono a dubitare nel tempo sulla efficacia da attribuire al lodo. Il legislatore del2006 con il d. lgs. 2 febbraio 2006, n. 40 confermò l’interpretazione originaria con il nuovo testodell’art. 824-bis c.p.c. qui sopra riprodotto.


SAGGI 229decisione giurisdizionale ma quello di un accertamento direttamente riconducibilealla volontà delle parti ( 6 ) ed è assoggettato alle consuete azioni diannullamento dell’invalidità negoziale (davanti al giudice competente secondoi normali criteri) come indicato nell’art. 808-ter, richiamato, per lecontroversie di lavoro, dall’art. 412-quater che, nel nuovo testo della riformadel 2010, attribuisce la competenza in appello in unico grado al tribunale infunzione di giudice del lavoro ( 7 ).In queste forme di arbitrato irrituale il lodo ha la natura e l’efficacia,quindi, di un contratto, annullabile dal giudice per le ipotesi tipizzate dal legislatorenell’art. 808-ter c.p.c. ma in modo sostanzialmente analogo a quantoavviene per qualsiasi altro contratto.L’estensione alle controversie di lavoro dell’istituto della risoluzione arbitraleirrituale che era stata introdotta nel 2006 con l’art. 808-ter c.p.c. perqualunque tipo di controversia su diritti disponibili – con la stessa forza derogatoriaprevista nel quarto comma nell’art, 2113 c.c. ( 8 ) – potrebbe dareora una maggiore visibilità e appetibilità generale all’istituto di diritto comunemoltiplicando le occasioni e le opportunità della soluzione arbitraledelle controversie nel campo civile dei diritti disponibili.Il sistema arbitrale ne risulta nella sua generalità potenziato e ampliato,se si considera, peraltro, la persistente vigenza dell’arbitrato nel settore societarioa suo tempo introdotto dal d. lgs. 17 gennaio 2003, n. 5, oltre naturalmentealle innumerevoli altre fattispecie di arbitrato presenti nell’ordinamento.Parallelamente alla costruzione di un sistema nuovo di risoluzione arbitraleirrituale nell’ambito dei conflitti di lavoro, nel settore privato e pubbli-( 6 ) La giurisprudenza è conforme. Cfr. Cass. sez. II, 12 ottobre 2009, n. 21585; Cass. sez.I, 30 maggio 2005, n. 12684; Cass. sez. I, 10 ottobre 2006, n. 24059; Cass. sez. I, 20 luglio 2006,n. 16718.( 7 ) Il secondo comma dell’art. 808-ter c.p.c. prevede cinque motivi di impugnazione per“invalidità” ma si tratta di annullabilità o anche nullità (si pensi ad una convenzione arbitralein materia sottratta all’arbitrato) su cui è chiamato a decidere secondo le regole ordinarie ilgiudice competente di primo grado secondo le disposizioni del libro I nel rispetto del consuetodoppio grado di giurisdizione. Nelle controversie di lavoro l’art. 412-quater c.p.c. attribuisceinvece la competenza in unico grado al giudice del lavoro. Come si vede si tratta di unregime di impugnazione che, al di là della competenza funzionale, è eterogeneo e meriterebbeun intervento legislativo di omogeneizzazione.( 8 ) Il quarto comma dell’art. 2113 c.c. prevede che al verbale di conciliazione si applica laderoga al principio di invalidità delle rinunce e delle transazioni a diritti indisponibili. Secondoil nuovo testo dell’art. 412 c.p.c. “il lodo emanato a conclusione del nuovo procedimentodi conciliazione arbitrale sottoscritto dagli arbitri e autenticato, produce tra le parti gli effettidi cui all’art. 1372 e all’art. 2113, comma 4° c.c.”


230 CONTRATTO E IMPRESA 1/2011co ( 9 ), lo stesso decreto legislativo torna nei conflitti di lavoro al sistema dellafacoltatività del tentativo di conciliazione previsto nell’art. 410 del c.p.c.,ma la modifica non ha, in questo contesto, una valenza ripristinatoria dellafilosofia della conciliazione precedente alla riforma che nel 1998 aveva introdottoil tentativo obbligatorio di conciliazione nelle cause di lavoro ( 10 ).Il ritorno alla facoltatività, al contrario, ha paradossalmente una funzionedeflattiva derivante dalla eliminazione di uno strumento di intasamento delsistema conciliativo che nella prassi si è rivelato assolutamente inadeguatoper il carico di lavoro delle commissioni, non compensato da un tasso accettabiledi conciliazione delle controversie (le conciliazioni davanti allecommissioni provinciali del lavoro costituiscono, come si dirà meglio piùoltre, solo il 13% del numero di procedure conciliative aperte ogni anno).Il legislatore non scommette più, nei conflitti di lavoro, quindi, sul sistemadell’obbligatorietà del tentativo di conciliazione ( 11 ), ma attribuiscevalore centrale alla risoluzione arbitrale irrituale davanti alle commissioniprovinciali di conciliazione (nuovo art. 412 c.p.c.), nelle sedi sindacali (nuovoart. 412-ter, c.p.c.) ovvero davanti ai nuovi collegi di conciliazione e arbitratoirrituale (nuovo art. 412-quater, c.p.c.) introducendo anche la possibilitàdi un’ampia pattuizione tra le parti di clausole compromissorie ( 12 ).In questa sede ci si può limitare ad osservare che con la messa a puntodelle nuove forme di risoluzione arbitrale che saranno tra breve approfondite,il motore trainante del nuovo sistema nei conflitti di lavoro non è piùla (lenta, demotivata e spesso inutile) negoziazione tra le parti ai fini di unaconciliazione, ma la decisione di carattere negoziale (si auspica veloce edefficiente) assunta dalle commissioni e dai collegi arbitrali ai quali le parti( 9 ) Cfr. art. 412-ter, c.p.c., come riformato nel 2010: “Le disposizioni degli artt. 410, 412,412-ter e 412-quater c.p.c. si applicano anche alle controversie di cui all’art. 63, comma 1°, deld. lgs. 30 marzo 2001, n. 165 (T.U. del pubblico impiego) il quale prevede – confermandone ladevoluzione al giudice ordinario – tutte le controversie relative ai rapporti di lavoro alle dipendenzedelle pubbliche amministrazioni nonché le controversie relative a comportamentiantisindacali della pubblica amministrazione”.( 10 ) L’obbligatorietà del tentativo di conciliazione si deve alla riforma introdotta con il d.lgs. 19 febbraio 1998, n. 80 nel settore privato (artt. 410, 410-bis e 412-bis c.p.c.) e all’art. 69 deld. lgs. 3 febbraio 1993, n. 29 (razionalizzazione della organizzazione delle amministrazionipubbliche e revisione della disciplina del pubblico impiego) ora negli artt. 65 e 66 del d. lgs. 30marzo 2001, n. 165 (T.U. del pubblico impiego).( 11 ) Anche se il nuovo testo dell’art. 410, c.p.c., riformato nel 2010 prescrive che la commissionedi conciliazione, in caso di esito negativo del tentativo, deve formulare una propostadelle cui risultanze il giudice dovrà tener conto in sede di giudizio.( 12 ) Come si dirà in seguito, la pattuizione delle clausole compromissorie nei contratti dilavoro ha costituito uno dei temi più significativi del confronto politico che ha accompagnatol’iter di approvazione della legge 183/2010).


SAGGI 231possono deferire la soluzione della controversia. Meno mediazione, quindi,e più decisione arbitrale. Un sistema anch’esso parallelo a quello giudiziario,costruito in fondo sul principio privatistico del mandato a transigereper rendere giustizia in modo rapido ed efficace. La convenzione di arbitratoirrituale attribuisce ai terzi il potere di giungere ad una composizione dellacontroversia avente valore negoziale che le parti si impegnano anticipatamentead accettare come diretta espressione della loro volontà ( 13 ).In questo senso si può affermare quindi che anche le nuove procedurearbitrali, pur essendo caratterizzate da una delega della decisione a terzi,trovano la loro piena collocazione all’interno delle ADR (Alternative DisputeResolution) alle quali l’esperienza giuridica di tutto il mondo ha affidato lesperanze di una nuova giustizia basata soprattutto sul consenso verso formedi composizione alternativa a quella contenziosa tradizionale.Primo pilastro Giurisdizione Decisione contenziosaSecondo pilastro Mediazione Decisione consensualeTerzo pilastro Risoluzione arbitrale Decisione delegata2. – Il d. lgs. 4 marzo 2010, n. 28 ( 14 ) che ha dato attuazione alla delega legislativacontenuta nell’art. 60 della l. 18 giugno 2009, n. 69, all’art. 1 definiscela mediazione come “l’attività, comunque denominata, svolta da un terzoimparziale e finalizzata ad assistere due o più soggetti sia nella ricerca di un accordoamichevole per la composizione di una controversia, sia nella formulazionedi una proposta per la risoluzione della stessa” e la conciliazione come“la composizione di una controversia a seguito dello svolgimento della mediazione”.In questa definizione è estranea in sé ogni idea di collegamento dellamediazione alle aule di giustizia.Questo è il primo e più significativo dato che emerge dall’osservazione( 13 ) Nell’arbitrato rituale, le parti vogliono che si pervenga ad un lodo suscettibile di esserereso esecutivo e di produrre gli effetti di cui all’art. 825 c.p.c., con l’osservanza del regimeformale del procedimento arbitrale, mentre nell’arbitrato irrituale esse intendono affidare all’arbitro(o agli arbitri) la soluzione di controversie (insorte o che possano insorgere in relazionea determinati rapporti giuridici) soltanto attraverso lo strumento negoziale, medianteuna composizione amichevole o un negozio di accertamento riconducibile alla volontà delleparti stesse, le quali si impegnano a considerare la decisione degli arbitri come espressionedella loro volontà. Così Cass. sez. II, 12 ottobre 2009, n. 21585; Cass. sez. I, 30 maggio 2005, n.12684; Cass. sez. I, 10 ottobre 2006, n. 24059; Cass. sez. I, 20 luglio 2006, n. 16718.( 14 ) Il decreto è stato pubblicato sulla G.U. n. 53 del 5 marzo 2010 ed è entrato in vigore il20 marzo 2010 (salvo le disposizioni relative al meccanismo della mediazione come condizionedi procedibilità della domanda giudiziale la cui data di entrata in vigore è il 20 marzo 2011).


232 CONTRATTO E IMPRESA 1/2011dei testi normativi sulla mediazione pubblicati dopo la l. n. 69 del 2009 che,all’art. 60, dava al Governo una delega ampia ad adottare “uno o più decretilegislativi in materia di mediazione e di conciliazione in ambito civile e commerciale”.Le procedure di mediazione sono quindi state introdotte nell’ordinamentoitaliano in primo luogo per dare a chiunque la possibilità di risolvereun conflitto senza accedere alle tradizionali procedure giudiziarie di risoluzionedei conflitti.Il principio è ribadito espressamente nell’art. 2 del d. lgs. n. 28 del 2010dove si legge che “chiunque può accedere alla mediazione per la conciliazionedi una controversia civile e commerciale vertente su diritti disponibili, secondole disposizioni del presente decreto”.L’imprinting giurisdizionale della formazione universitaria e professionalemette il giurista di fronte all’imbarazzo di doversi occupare di procedurenate per costituire una alternativa alla giurisdizione.L’impatto della mediazione nella nostra cultura giuridica potrebbe farcorrere, quindi, il rischio di attribuire alla mediazione delle controversie civilie commerciali il significato di un noioso ed inevitabile adempimentopreliminare al processo, lasciandone in ombra il senso generale che è quellodi promuovere una riforma della giustizia a partire dalla decisione di nonricorrere all’autorità giurisdizionale quando la soluzione di un conflitto puòessere il risultato di procedure più plausibili, più rapide e meno costose.In questa prospettiva le disposizioni del d. lgs. n. 28 del 2010 non aiutano,però, a leggere la mediazione come strumento alternativo al processo.La tecnica di redazione del decreto soffre molto della preoccupazione di doverrisolvere i problemi di condizionamento sulla mediazione del processo.Quasi tutte le norme affrontano il tema del raccordo tra le procedure di mediazionee il processo civile, come se inevitabilmente la mediazione debbaprecedere l’accesso al processo o accompagnarsi alla frequentazione delleaule di giustizia. Tutto il capo II del decreto è costruito su questa ambivalenzae meglio sarebbe stato se il legislatore delegato avesse adottato unatecnica di redazione più lineare, disciplinando il procedimento di mediazionein una prima parte e riservando, poi, ad una seconda parte il tema delraccordo tra la mediazione e l’eventuale procedimento giudiziario. Sembrainvece che eventuale debba essere, secondo il decreto, il ricorso alla mediazioneanziché al processo ( 15 ).( 15 ) L’art. 4, per esempio, dove si parla di accesso alla mediazione contiene, insieme alleformalità di accesso, anche le disposizioni relative agli obblighi di informativa che l’avvocatoincaricato di una causa deve dare al suo assistito; l’art. 5 nel capo rubricato “procedimento dimediazione” regolamenta anche il rapporto tra la mediazione e il processo civile; uguale commistioneè negli artt. 6 e 7 e così molte altre disposizioni che avrebbero potuto trovare invece


SAGGI 233Il decreto n. 28 del 2010 soffre del problema generale del giurista di nonriuscire sempre a cogliere la novità dei nuovi istituti e di voler sempre inquadrarlinell’ambito dell’assetto tradizionale della giustizia. È prevalsaquindi soprattutto la preoccupazione non tanto di incoraggiare il ricorso allamediazione quanto di garantire un’equilibrata relazione tra la mediazionee il procedimento giudiziario ( 16 ).Di fronte ad un conflitto o a qualsiasi tipo di controversia il pensieronella nostra tradizione giuridica corre subito alla causa in tribunale. Se rimaniamovittime di un incidente o se il vicino sconfina nella nostra proprietàprendiamo subito contatto con un avvocato per “fare causa” e otteneregiustizia.Ebbene, il d. lgs. n. 218 del 2001 dice oggi che si può, certamente, prenderecontatto con un avvocato ma che si può ugualmente ottenere giustiziaattraverso la procedura di mediazione finalizzata alla composizione dellaconcordata della controversia.Comporre una controversia non vuol dire ottenere meno giustizia. Tentaredi ottenere giustizia con un accordo anziché con una causa, vuol dire alcontrario accelerare la soluzione. Se la controparte non intende dichiararsidisponibile a nessuna soluzione sarà il mediatore a proporla, ricorrendo allenorme giuridiche ma anche all’equità e, se neanche allora si raggiunge unaccordo, la soluzione estrema sarà il ricorso al processo.È questa la filosofia e al tempo stesso la nuova cultura che la riforma intendesuggerire.Il procedimento ha una struttura semplificata.Si tratta di una procedura riservata e informale (art. 3 del d. lgs. n. 28 del2010), quindi – salvo il pagamento delle indennità e delle altre poche spesedella mediazione (art. 17) – non esiste alcun appesantimento dettato da normeprocessuali formali. La domanda di mediazione è presentata mediantedeposito di una istanza presso uno degli organismi di mediazione esistenti(art. 4). Il procedimento deve avere una durata non superiore ai quattro mesi(art. 6). Il mediatore incaricato mette velocemente la controparte a conoscenzadella domanda di mediazione a ne attende le deduzioni difensiveadoperandosi successivamente per trovare una soluzione in uno o più incontricon le parti e, se vi sono, con i loro avvocati (art. 8). Se le parti non rie-per i rispettivi ambiti di riferimento (il processo di mediazione, il processo civile e i rapportitra i due contesti) una tecnica di redazione autonoma e più ordinata.( 16 ) Sono questi peraltro i due temi di fondo sui quali si sofferma la direttiva europea del21 maggio 2008 n. 52 che all’art. 2 prevede che “la presente direttiva ha l’obiettivo di facilitarel’accesso alla risoluzione alternativa delle controversie e di promuovere la composizione amichevoledelle medesime incoraggiando il ricorso alla mediazione e garantendo un’equilibrata relazionetra mediazione e procedimento giudiziario”.


234 CONTRATTO E IMPRESA 1/2011scono a trovare una soluzione, il mediatore, su loro richiesta, farà una propostascritta che la parti possono accettare o rifiutare (art. 11). Nell’ipotesi diaccordo o di accettazione della proposta il testo della conciliazione ha valorelegale tra le parti (art. 11) ed efficacia piena per l’esecuzione (art. 12).L’unica condizione per poter esperire procedure finalizzate alla soluzionestragiudiziale di controversie è che si tratti di controversie concernentidiritti disponibili (art. 60, comma 3°, lettera a) della l. 18 giugno 2009, n. 69 eart. 2, comma 1°, del d. lgs. n.28 del 2010).Esistono esperienze di procedure conciliative stragiudiziali già da tempofunzionanti nei conflitti di lavoro (art.410 s.s., c.p.c.), nelle controversiein materia bancaria e creditizia (art. 128-bis del d. lgs. 1 settembre 1993, n.38), nel settore dell’intermediazione finanziaria (d. lgs. 8 ottobre 2007, n.179), nelle relazioni commerciali (l. 18 giugno 1998, n. 192 contenente la disciplinadelle subforniture nelle attività produttive), in materia di concorrenzae regolazione dei servizi di pubblica utilità (l. 14 novembre 1995, n.481), nel settore del diritto di autore (d. lgs. 9 aprile 2003, n. 68), in materiadi controversie tra consumatori e professionisti (d. lgs. n. 206 del 2005) edaltre.La novità della riforma del 2010 è quella di avere generalizzato la regolae reso possibile a chiunque l’accesso a procedure finalizzate alla conciliazionedi controversie praticamente in ogni settore della vita civile e commercialesecondo il modello procedimentale che è stato sopra sintetizzato,affidato nella sua gestione ad appositi organismi di mediazione istituiti daenti pubblici o da privati.3. – L’altro modo con cui la riforma ha concepito la mediazione è quellodi considerarla condizione di procedibilità della domanda giudiziale nelleipotesi di controversie civili e commerciali tassativamente indicate nell’art.5 del d. lgs. n. 28 del 2010. In questo significato la mediazione costituisce unadempimento preliminare alla causa o effettuato in corso di causa.Il legislatore ha voluto, in sostanza, prevedere l’obbligatorietà del tentativodi conciliazione prima di instaurare un contenzioso in sede giudiziaria,sulla scia di quanto nel 1998 è stato fatto nelle controversie di lavoro, imponendoall’attore di promuovere la mediazione finalizzata all’eventuale conciliazione,prima di avviare il procedimento giudiziario (con la notifica dellacitazione a giudizio o con il deposito del ricorso, a seconda dei casi) ( 17 ).La riforma con cui è stato abolito il tentativo obbligatorio di conciliazionenelle cause di lavoro, (art. 31, comma 1°, della l. 4 novembre 2010, n. 183)non contraddice il senso fortemente innovativo, e insieme esortativo, impressoalla mediazione dal d. lgs. n. 28 del 2010.( 17 ) Questo meccanismo entra in vigore il 20 marzo 2011 salvo presumibile rinvio.


SAGGI 235Nel rito del lavoro l’art. 412-bis c.p.c. – ora abrogato – prevedeva comecondizione di proponibilità del ricorso di lavoro, il promovimento del tentativodi conciliazione davanti alle commissioni di conciliazione, precisandoche “l’espletamento del tentativo di conciliazione costituisce condizione diprocedibilità della domanda” e l’art. 410-bis come inserito dall’art. 37 del d.lgs. 31 marzo 1998, n. 80, prescriveva che “il tentativo di conciliazione [. . .]deve essere espletato entro sessanta giorni dalla presentazione della richiesta.Trascorso inutilmente tale termine, il tentativo di conciliazione si considera comunqueespletato ai fini dell’art. 412-bis”.Rispetto a questo sistema (vigente nel rito del lavoro dal 1998 al 24 novembre2010, cioè fino all’entrata in vigore della nuova normativa di cui allalegge 4 novembre 2010, n. 183), la riforma sulla mediazione del 2010 ha sìprevisto un termine per espletare la mediazione (quattro mesi di duratamassima dall’istanza rivolta all’organismo di mediazione, secondo l’art. 6del d. lgs. n. 28 del 2010) ma non prevede un termine trascorso il quale iltentativo di conciliazione si considera espletato e la domanda ugualmenteproposta. Il legislatore ha modulato, invece, il procedimento giudiziario egli adempimenti del giudice in modo tale da prevedere e consentire che lamediazione, ove le parti, vi acconsentano, possa essere espletata nello spaziotemporale di quattro mesi senza intralci al processo e senza prevederenemmeno ipotesi di sospensione della causa, con la conseguenza che non siporranno problemi legati all’eventuale mancata riassunzione( 18 ). Alla primaudienza il giudice, ove la mediazione non sia stata preventivamente effettuata,assegnerà alle parti un termine di quindici giorni per iniziare la mediazione,rinviando ad una udienza da tenersi non prima di quattro mesi inmodo che le parti abbiano tempo di concludere il procedimento di mediazione.Questa diversità di disciplina impedisce che nel processo in cui si controvertedi questioni civili o commerciali si pongano problemi di riassunzione,come avviene invece nel rito del lavoro allorché nessuna delle parti –vigente il sistema del tentativo obbligatorio – provveda al promovimentodel tentativo di conciliazione ordinato dal giudice (abrogato art. 412-bis,commi 3°, 4° e 5°, c.p.c.). Quindi la procedura indicata nel d. lgs. n. 28 del2010 è più spedita e non presenta il rischio dell’estinzione del processo che( 18 ) Problemi di questo genere si ponevano con il testo dell’abrogato art. 412-bis c.p.c. “. . .Il giudice che rileva che non è stato promosso il tentativo di conciliaizone [. . .] sospende il giudizioe fissa alle parti il termine perentorio di sessanta giorni per promuovere il tentativo di conciliazione[. . .] trascorso il termine [. . .] il processo può essere riassunto nel termine perentorio di centoottantagiorni [. . .] Ove il processo non sia stato tempestivamente riassunto, il giudice dichiarad’ufficio l’estinzione del processo . . .”


236 CONTRATTO E IMPRESA 1/2011nel rito del lavoro segue (anzi seguiva) alla mancata riassunzione della causanei termini.Naturalmente il convenuto resta libero di non aderire all’invito di effettuarela mediazione; così come non vi è alcun obbligo di arrivare ad un verbaledi conciliazione.Va anche sottolineato un altro meccanismo introdotto dalla riforma dellamediazione del 2010 che consente anche dopo l’avvio del processo in sedegiudiziaria l’eventuale attivazione delle procedure stragiudiziali di mediazione.Nel d. lgs. n. 28 del 2010 si prevede, infatti, che il giudice possasempre, anche in appello, invitare le parti ad attivare le procedure di mediazionepresso uno degli organismi a ciò deputati; se le parti aderiscono all’invito,il giudice fisserà una nuova udienza assegnando alle parti un terminedi quindici giorni per prendere contatto con l’organismo di mediazione.Nel rito del lavoro, esaurita senza esito la fase conciliativa, non restavache sperare nel tentativo di conciliazione da parte del giudice alla primaudienza (art. 420 c.p.c.) ( 19 ). Ora, però, la l. 4 novembre 2010, n. 183 introducea sua volta un meccanismo inedito nel nostro ordinamento processuale,dissonante con le regole della conciliazione, consistente nell’attribuzioneal giudice del lavoro non solo dell’onere di tentare all’udienza di discussionela conciliazione delle parti ma anche quello di formulare “alle parti unaproposta transattiva” e di valutare successivamente ai fini del giudizio il rifiutoingiustificato di adesione a questa proposta (nuovo art. 420, comma 1°,c.p.c.).4. – Il contenzioso civile in <strong>Italia</strong>, escluso il settore del lavoro, ha raggiuntoil volume di quasi un milione di cause pendenti in primo grado allafine del 2007 (ultimo dato ISTAT disponibile). Un dato sconcertante anchese reso meno amaro dalla constatazione che alla fine del 2000 le cause davantiai tribunali erano quasi un milione e mezzo. Sopravvengono ormai alritmo di quasi 400.000 all’anno e, quando si riescono a smaltirne altrettante,restano sempre quelle ancora in corso. La media è di 658 cause in corso ognicentomila abitanti. Un contenzioso molto alto che i giudici non riescono atrattare se non con i tempi lunghissimi della giustizia. Anni e anni prima diavere una decisione definitiva. E la decisione non soddisfa nessuno.Da molti anni, in conseguenza di un contenzioso civile intollerabile eingestibile per la stragrande maggioranza dei Paesi moderni, si sono sviluppateovunque forme alternative di composizione o di risoluzione delle con-( 19 ) Art. 420 c.p.c. (Udienza di discussione della causa). “Nell’udienza fissata per la discussionedella causa, il giudice interroga liberamente le parti presenti e tenta la conciliazione dellacausa ...”


SAGGI 237troversie e c’è, d’altra parte, accordo nel considerare che si tratta di metodimolto antichi. L’interesse che questi metodi hanno suscitato è in sostanzastrettamente legato ai vantaggi della giustizia privata e alla crisi di efficaciadi quella tradizionale.È bene avvertire che i documenti ufficiali prodotti in ambito europeocon l’acronimo ADR (Alternative Dispute Resolution) si riferiscono a procedurenon giurisdizionali di risoluzione di una controversia condotte da personeneutrali escludendo, però, l’arbitrato trattandosi di una procedura chesarebbe assimilabile più ai procedimenti giurisdizionali che a quelli alternativi,in quanto il lodo arbitrale mira a sostituirsi alla sentenza, e in quantonell’arbitrato non c’è una negoziazione tra le parti ma una delega a terzi ( 20 ).Questa esclusione dell’arbitrato dalle ADR è, però, del tutto irragionevole,se applicata al nostro ordinamento interno, perché non considera le trasformazionidell’arbitrato negli ultimi anni e, soprattutto, perché non consideral’introduzione e la larga diffusione delle procedure arbitrali irrituali destinatea sostituire in futuro quelle eccessivamente formali dell’arbitratotradizionale. D’altro lato l’arbitrato è un giudizio privato del tutto simmetricoe alternativo a quello di natura statale a prescindere dalla differente naturadel lodo nei due tipi di arbitrato.In linea generale lo sviluppo delle procedure che vanno sotto il nome diADR è dovuto al fatto che queste procedure sono in grado di fornire una rispostaalle difficoltà di accesso alla giustizia e del suo funzionamento chemolti Paesi devono affrontare, anche se spesso i risultati in termini di effettivadeflazione non sono stati incoraggianti ( 21 ). In quasi tutti i Paesi delmondo le procedure giudiziarie sono sempre più numerose, in connessione( 20 ) “Libro verde relativo ai modi alternativi di risoluzione delle controversie in materiacivile e commerciale”, Bruxelles, 19 aprile 2002, documento COM (2002) n. 196 dove si affermaanche che non sono considerate ADR gli arbitrati; così come non lo è nemmeno la periziache non è un metodo di risoluzione di una controversia, né i sistemi di trattamento dei reclamimessi a disposizione dei consumatori dagli operatori perché si tratta di procedure condotteda una parte in conflitto e non da terzi, né i sistemi di negoziazione automatizzata che sonosolo strumenti tecnici destinati a facilitare la negoziazione tra le parti in conflitto.( 21 ) Caponi, La conciliazione stragiudiziale come metodo di ADR, in Foro it. 2003, V, c. 167ss.; Chiarloni, La crisi della giustizia civile e i rimedi possibili nella prospettazione comparata,in Questioni giustizia, 1999, p. 1013 ss.; Cuomo Ulloa, La conciliazione. Modelli di composizionedei conflitti, Padova, 2008; De Palo-Guidi, Risoluzione alternativa delle controversie, Milano,1999; Ghirga, Strumenti alternativi di risoluzione della lite,: fuga dal processo o dal diritto?,in Riv. dir. proc. 2009, p. 357 ss. ; Silvestri, Osservazioni in tema di strumenti alternativi perla risoluzione delle controversie, in Riv. trim. dir. e proc. civ., 1999, p. 321 ss.; Taruffo, Adeguamentidelle tecniche di composizione dei conflitti di interesse, in Riv. trim, dir. proc. civ. 1999, p.331 ss.


238 CONTRATTO E IMPRESA 1/2011con l’espandersi della tutela dei diritti, durano sempre di più e impongonodi sopportare costi sempre più alti.La previsione di procedure alternative alle tradizionali modalità di accessogiudiziario per la soluzione dei conflitti e delle controversie non trae,però, motivazione solo da valutazioni di necessità deflattiva o di fuoriuscitada un sistema giudiziario legale che finisce per incrementare e produrreconflittualità (litigation crisis).Se è vero, infatti, che nei casi tassativi in cui le procedure di mediazionesono condizione di procedibilità della domanda giudiziale la motivazioneper la mediazione è stata compiuta dal legislatore cosicché agli utenti nonrimane che aderire – quanto meno per l’attore che ha l’obbligo di promuovereil procedimento di mediazione – e operare affinché si produca una soluzionesoddisfacente, allorché invece la mediazione non ha questo vincoloed è lasciata soltanto alla libera iniziativa degli utenti della giustizia, puòessere opportuno segnalare le motivazioni che possono rendere la mediazioneuna risorsa fruibile con soddisfazione per chi vi accede.Nel complesso vengono indicate molteplici motivazioni.In primo luogo quella relativa ai tempi rapidi delle procedure di conciliazione( 22 ).Tra le motivazioni più convincenti, poi, c’è quella per cui la mediazioneporta più sicuramente ad una soluzione soddisfacente di quanto non avvengacon il processo. Il vecchio adagio che è meglio sempre una soluzioneconcordata che una crassa sentenza vale sempre. Secondo i dati italiani fornitidall’Unioncamere, nell’86% dei casi sottoposti ai mediatori professionistila controversia trova un componimento soddisfacente.La mediazione costituisce, poi, una strada meno costosa della giustiziaordinaria. Il pagamento delle indennità ai mediatori per un lavoro che duraal massimo poche settimane non raggiungerà mai i costi di una causa chepuò durare molti anni. Se ci pone nell’ottica di procedure non sostitutive mapropedeutiche o che comunque non escludono il ricorso a quelle giurisdizionali,certamente la valutazione dei costi può essere diversa. Occorre peròguardare alla procedura in sé come sostitutiva di quella giurisdizionale.Anche il fatto che il criterio decisionale nella mediazione finalizzata allaconciliazione possa essere, e per lo più sia, quello dell’equità e della ragionevolezza,aiuta a superare l’insoddisfazione che può derivare da una( 22 ) Il d. lgs. 28/2010 prevede come tempo massimo quello di quattro mesi dalla data delladomanda ma secondo alcuni dati forniti da un organismo di mediazione una buona conciliazionepotrebbe essere raggiunta anche solo in una giornata. Sui rapporti tra le forme alternativee la durata del processo Comoglio, La durata ragionevole del processo e le forme alternativedi tutela, in Riv. dir. proc., 2007, p. 615 ss.


SAGGI 239decisione basata sulle rigidità e sui formalismi del diritto sostanziale e processuale.Naturalmente, perché queste motivazioni portino ad un risultato, è necessarioinvestire adeguatamente nella formazione degli operatori che dovrannooccuparsene, come molto opportunamente è stato ricordato ( 23 ).Si afferma, poi, che la mediazione aiuta a conservare le relazioni interpersonaliin maniera più efficace di quanto non avvenga nel corso di un processoe per questo rende più stabile nel tempo la soluzione concordata. Aproposito di questa motivazione c’è da dire però che, se si adotta una prospettivapragmatica e laica, non bisogna confondere gli obiettivi con le conseguenze.Il fatto che la mediazione favorisca la conservazione di relazioni interpersonaliè una conseguenza e non l’obiettivo della mediazione. Attribuirealla mediazione funzioni di tipo pedagogico rischia di confondere i pianidell’intervento. Nella mediazione finalizzata al componimento stragiudizialedi controversie civili e commerciali, è sufficiente e necessario che ilmediatore sappia consentire, per quanto possibile, un componimento soddisfacentedella controversia, lasciando le parti però sempre libere di accedere,ove non siano soddisfatte della soluzione, alle procedure ordinariedella giustizia formale per la tutela dei propri diritti. La mediazione civile ecommerciale in questo è profondamente diversa dalla mediazione familiaretra i cui obiettivi vi è certamente quello di migliorare le competenze comunicativenelle relazioni interpersonali familiari.La mediazione, pertanto, non ha nessuna controindicazione in quanto,oltre ad essere gestita con la necessaria riservatezza, non fa perdere alle partialcun diritto in ordine all’eventuale esperimento dell’azione giudiziaria.In giurisprudenza la funzione deflattiva della conciliazione stragiudizialeè stata esaltata espressamente con riguardo al contenzioso tributario ( 24 )dove la conciliazione è sia giudiziale, in tal caso concludendosi in udienzacon la redazione di un verbale di conciliazione, sia stragiudiziale (procedurasemplificata cosiddetta aderita) che si conclude con il raggiungimento diun accordo tra contribuente e amministrazione finanziaria (art. 48 del d. lgs.n. 546 del 1992).5. – Per entrare nello spirito delle nuove forme di risoluzione arbitrale( 23 ) Civinini, La crisi di effettività della giustizia civile in Europa, in Questione giustizia,1999, II, p. 325( 24 ) Attribuiscono espressamente alla conciliazione funzione di deflazione del contenziosoCass. sez. V, 22 agosto 2008, n. 4626; Cass. sez. V, 18 aprile 2007, n. 9223; Cass. sez. V, 18aprile 2007, n. 9222.


240 CONTRATTO E IMPRESA 1/2011introdotte nel rito del lavoro dall’art. 31 della l. 4 novembre 2010, n. 183, èopportuno premettere qualche breve osservazione sulla disciplina dell’arbitrato,come modificata nel 2006 ad opera del d. lgs. 2 febbraio 2006, n. 40 ( 25 ).Secondo il primo comma dell’art. 806 c.p.c. (controversie arbitrabili)riformato nel 2006 “le parti possono far decidere da arbitri le controversie tradi loro insorte che non abbiano per oggetto diritti indisponibili, salvo espressodivieto di legge” mentre il secondo comma precisa che: “Le controversie di cuiall’art. 409 possono essere decise da arbitri solo se previsto dalla legge o neicontratti o accordi collettivi di lavoro”.Si tratta della norma di apertura che chiarisce il fondamento dell’arbitratocome procedura di natura negoziale affidata legittimamente ad un giudiceprivato scelto dalle parti nell’ambito di un procedimento alternativo rispettoa quella giurisdizionale ( 26 ).L’importanza della norma sta soprattutto nella circostanza di avere ammessol’arbitrato nelle controversie di lavoro non soltanto quando il ricorsoalle procedure arbitrali è previsto nei contratti di lavoro ma anche “se previstodalla legge” e nell’avere, quindi, dato il via alla diffusione per legge dell’arbitratoirrituale nei conflitti di lavoro.La riforma del rito del lavoro del 1973, in linea con l’impostazione sindacaleche caratterizzava quel momento storico, aveva ammesso l’arbitratonelle controversie di lavoro solo se ciò era previsto dai contratti collettivi dilavoro. Analogamente avvenne con le riforme del 1998 allorché fu inserito( 25 ) D. lgs. 2 febbraio 2006, n. 40 “Modifiche al c.p.c. in materia di processo di cassazionein funzione nomofilattica e di arbitrato, a norma dell’art. 1, comma 2°, della l. 14 maggio 2005,n. 80”. All’art. 3 punto b la l. delega aveva affidato al governo il compito di: “riformare in sensorazionalizzatore la disciplina dell’arbitrato”.( 26 ) In questo senso Cass. sez. un., 3 agosto 2000, n. 527 che ebbe per la prima volta ad affermare– seguita poi da decisioni sempre conformi – che l’arbitrato non costituisce una delegaall’esercizio di un potere decisorio sostitutivo di quello del giudice ordinario, come se l’efficaciadi sentenza del lodo (prevista espressamente nel testo originario nell’art. 825 c.p.c. eora nell’art. 824-bis c.p.c.) attribuisse una copertura giurisdizionale all’arbitrato rituale, maesercizio di un potere di risoluzione privatistica alternativa di una controversia. In dottrinasull’arbitrato Benedettelli, Consolo, Radicati di Brozolo, Comm. breve al diritto dell’arbitratonazionale ed internazionale, Padova, 2010; Bernardini, De Nova, Nobili, Punzi, Lariforma dell’arbitrato, Milano, 1994; Bernardini, Diritto dell’arbitrato, Bari, 1998; Cecchella,L’arbitrato, Torino, 2005; Idem, L’arbitrato nelle controversie di lavoro, Milano, 1990; Menchini(a cura di), Riforma del diritto arbitrale, in Le nuove leggi civili commentate, 2007, p. 1175ss. ; Punzi, Arbitrato, Arbitrato rituale e irrituale, in Enc. giur. Treccani, I, Roma, 1995, p. 3 ss.,Idem, Disegno sistematico dell’arbitrato, vol. I, Padova, 2000; Rubino Sammartano, Il dirittodell’arbitrato (interno), V° ed., Padova, 2006, Idem, Arbitrato, ADR, conciliazione, Bologna,2009; Verde (a cura di), Diritto dell’arbitrato, III° ed., Torino, 2005; Idem, Lineamenti di dirittodell’arbitrato, Torino, 2006.


SAGGI 241nel codice di procedura civile l’art. 412-ter ( 27 ) il quale prevedeva che, in alternativaal giudizio dinanzi al giudice ordinario, ove il tentativo di conciliazionenon fosse riuscito o comunque fosse decorso il termine stabilito per ilsuo espletamento, le parti avrebbero potuto concordare di deferire la risoluzionedella controversia ad arbitri, sempre che questa possibilità fosseprevista nei contratti e accordi collettivi ( 28 ). Una sorta di alternativa arbitralesussidiaria rispetto alla conciliazione a patto che fosse stata ammessa nellacontrattazione collettiva. L’alternativa era percorribile anche in materiadi pubblico impiego dove (in virtù di quanto previsto dal contratto collettivonazionale quadro in materia di procedure di conciliazione ed arbitrato aisensi degli artt. 59-bis, 69 e 69-bis del d. lgs. n. 29 del 1993 in materia di pubblicoimpiego) le parti possono sempre concordare, in alternativa al ricorsoall’autorità giudiziaria ordinaria, di deferire la controversia ad un arbitrounico scelto di comune accordo. In definitiva l’arbitrato nelle controversiedi lavoro costituiva un’alternativa subordinata alla previsione nella contrattazionecollettiva. Ora, secondo il nuovo testo dell’art. 806 c.p.c. è sufficienteche sia la legge a prevederlo per rendere praticabile l’arbitrato.Continuando nell’esame delle disposizioni generali sull’arbitrato riformatenel 2006, il testo dell’art. 807 (compromesso) prevede che “il compromessodeve, a pena di nullità, essere fatto per iscritto e determinare l’oggettodella controversia. La forma scritta s’intende rispettata anche quando la volontàdelle parti è espressa per telegrafo, telescrivente, telefacsimile o messaggiotelematico nel rispetto della normativa, anche regolamentare, concernentela trasmissione e la ricezione dei documenti teletrasmessi”. Scompare dalnuovo testo il vecchio terzo comma il quale stabiliva che al compromesso siapplicano le disposizioni che regolano la validità dei contratti eccedentil’ordinaria amministrazione, con la conseguenza che il compromesso, cioèla convenzione di diritto privato di deferimento agli arbitri di una decisionesu una lite insorta, che dovrebbe riferirsi a rapporti non contrattuali, è oggiconsiderato un atto di ordinaria amministrazione con conseguente modificaimplicita del terzo comma dell’art. 320 c.c., che si occupa della rappresentanzadei genitori sui figli minori, nella parte in cui considera la decisionedi arbitrabilità di una controversia un atto eccedente l’ordinaria amministrazionerichiedente l’autorizzazione del giudice tutelare.L’art. 808 (clausola compromissoria) prescrive che: “Le parti, nel contrattoche stipulano o in un atto separato, possono stabilire che le controversie nascentidal contratto medesimo siano decise da arbitri, purché si tratti di contro-( 27 ) La norma è stata inserita dall’art. 39 del d. lgs. 31 marzo 1998, n. 80.( 28 ) Anche l’art. 808 c.p.c. (nel testo anteriore alla riforma del 2006) prevedeva che il ricorsoall’arbitrato era ammissibile solo se previsto nei contratti e accordi collettivi di lavoro.


242 CONTRATTO E IMPRESA 1/2011versie che possono formare oggetto di convenzione d’arbitrato. La clausolacompromissoria deve risultare da atto avente la forma richiesta per il compromessodall’art. 807. La validità della clausola compromissoria deve essere valutatain modo autonomo rispetto al contratto al quale si riferisce; tuttavia, ilpotere di stipulare il contratto comprende il potere di convenire la clausolacompromissoria”.Scompare – in virtù di quanto inserito nel nuovo testo dell’art. 806 checonsidera arbitrabili le controversie di lavoro non solo se lo prevedono icontratti collettivi ma anche se è la legge a prevederlo – il comma che prevedevache le controversie di cui all’art. 409 possono essere decise da arbitrisolo se ciò sia previsto nei contratti e accordi collettivi di lavoro.La riforma del 2006 aggiungeva anche due norme di significativo rilievo.In primo luogo l’art. 808-bis (convenzione di arbitrato in materia non contrattuale)secondo cui “Le parti possono stabilire, con apposita convenzione,che siano decise da arbitri le controversie future relative a uno o più rapportinon contrattuali determinati. La convenzione deve risultare da atto avente laforma richiesta per il compromesso dall’art. 807”.Prima della riforma le controversie “future” non potevano essere oggettodi una convenzione di arbitrato in materia non contrattuale perché l’art.806 c.p.c. limitava la possibilità del compromesso alle controversie “già insorte”mentre la clausola compromissoria concerne per definizione solo l’areadelle controversie di natura contrattuale. Con questa norma il legislatoreha introdotto nell’ordinamento la possibilità di accordi di deferimento adarbitri, attraverso apposite convenzioni di arbitrato, di controversie futurerelative a rapporti giuridici di natura non contrattuale.Si fa l’esempio di rapporti di condominio, di rapporti tra soggetti chiamatiad una successione ereditaria, di rapporti nascenti da atti non contrattualiproduttivi di obbligazioni ( 29 ), tutti rapporti che devono essere necessariamenterichiamati espressamente nella convenzione di arbitrato pernon incorrere nella nullità dell’indeterminatezza dell’oggetto (artt. 1418 e1346 c.c.).La forma della “convenzione” è quella scritta prevista nell’art. 807 per il“compromesso” e non è chiaro a questo punto il motivo per il quale il legislatoreha usato questa differente terminologia. Il compromesso indicatonell’art. 807 e la convenzione indicata nell’art. 808-bis sembrano esattamentela stessa cosa, riferendosi entrambe a controversie non contrattuali(essendo quelle contrattuali riferibili alla clausola compromissoria). In ogni( 29 ) Benedettelli, Consolo, Radicati di Brozolo, Comm. breve al diritto dell’arbitratonazionale internazionale, Padova, 2010, p. 56.


SAGGI 243caso certamente l’arti. 808-bis si riferisce a liti future e l’art. 807 a liti già insorte,ma non può essere questo un fondamento plausibile di una diversaterminologia.La seconda e più consistente novità introdotta dal d. lgs. 2 febbraio2006, n. 40 è, come si è prima anticipato, l’art. 808-ter (arbitrato irrituale) incui si legge che: “Le parti possono, con disposizione espressa per iscritto, stabilireche, in deroga a quanto disposto dall’art. 824-bis ( 30 ), la controversia siadefinita dagli arbitri mediante determinazione contrattuale. Altrimenti si applicanole disposizioni del presente titolo” poi la norma prosegue indicando icinque casi in cui il “lodo contrattuale” incorre in invalidità ( 31 ).È questo uno dei punti centrali della riforma dell’arbitrato del 2006 che,indubbiamente, dà legittimazione piena e anche autonomia dogmatica all’arbitratoirrituale ( 32 ).L’idea che il legislatore abbia potuto operare una trasformazione così radicalecon una norma che indubbiamente ha anche una aspirazione sistematica,può dar fastidio ma non può essere sottovalutata. L’arbitrato ritualee quello irrituale acquistano con la riforma del 2006 ciascuno una propriaautonomia. E a partire da questa riforma non si potrà più sostenere, quindi,che l’arbitrato costituisce un fenomeno giuridico unitario, pur essendo evidentenelle due forme di arbitrato la comune natura alternativa rispetto alsistema giurisdizionale di risoluzione delle controversie. Si potrà sostenere( 30 ) L’art. 824-bis dispone che il lodo ha gli effetti della sentenza pronunciata dall’autoritàgiudiziaria.( 31 ) Il lodo contrattuale è annullabile dal giudice competente secondo le disposizioni dellibro I:1) se la convenzione dell’arbitrato è invalida, o gli arbitri hanno pronunciato su conclusioniche esorbitano dai suoi limiti e la relativa eccezione è stata sollevata nel procedimentoarbitrale;2) se gli arbitri non sono stati nominati con le forme e nei modi stabiliti dalla convenzionearbitrale;3) se il lodo è stato pronunciato da chi non poteva essere nominato arbitro a norma dell’art.812;4) se gli arbitri non si sono attenuti alle regole imposte dalle parti come condizione di validitàdel lodo;5) se non è stato osservato nel procedimento arbitrale il principio del contraddittorio. Allodo contrattuale non si applica l’art. 825.( 32 ) In materia di arbitrato irrituale, oltre ai lavori generali sull’arbitrato, Arrigoni, Arbitratoirrituale tra negozio e processo, in Riv. trim. dir. proc. civ., 2007, p. 323 ss.; Bernini, Principiodel contraddittorio e arbitrato irrituale, in Riv. arb., 2006, p. 701 ss.; Morellini, Rilevanzadella volontà delle parti per distinguere l’arbitrato rituale da quello irrituale, in Società, 2006, p.235 ss. ; Verde, Arbitrato irrituale, in Aa. Vv., La riforma della disciplina dell’arbitrato, a curadi E. Fazzalari, Milano, 2006, p. 7 ss.; Curti, L’arbitrato irrituale, Torino, 2005.


244 CONTRATTO E IMPRESA 1/2011che quello irrituale non è un vero e proprio arbitrato ( 33 ) ma non può sfuggirela chiarezza (e forse la presunzione) del legislatore il quale parla di “lodocontrattuale” in consapevole simmetria con il “lodo con effetti di sentenza”a cui si riferisce l’art.824-bis c.p.c.Come si vede, entra con prepotenza nel sistema giuridico, a pieno titolo,la figura dell’arbitrato irrituale finalizzato ad un lodo non avente efficaciadi sentenza ma, appunto, di contratto. Gli arbitri, perciò, sono delegati adefinire un assetto contrattuale tra le parti.La riforma sembra quindi confermare la natura per così dire sostanzialedell’arbitrato irrituale affermando che ciò che caratterizza l’arbitrato irritualeè il conferimento all’arbitro del compito di definire in via contrattuale – enon attraverso un lodo arbitrale e cioè un atto di natura processuale – unacontroversia insorta o che possa insorgere tra le parti in ordine a determinatirapporti giuridici, mediante una composizione riconducibile alla volontàdelle parti e da valere come contratto concluso dalle stesse. Una sorta diconciliazione arbitrale.Nonostante la sua natura sostanziale e contrattuale il lodo arbitrale irritualetrova la sua disciplina nell’ambito del codice di procedura civile conciò eliminando, in origine, ogni questione in ordine ai limiti di validità dellarinuncia temporanea alla giurisdizione ordinaria, che la scelta di avvalersidi tale strumento comporta.Si tratta comunque di uno strumento dotato di grande flessibilità e facilepraticabilità. Il legislatore del 2006 aveva pensato solo ad alcune regoleminime, riconducibili essenzialmente alla necessità che la volontà delleparti in favore dell’arbitrato irrituale si esprima in modo chiaro e univoco(comma 1°) e alla possibilità che il lodo venga annullato in presenza di alcunegravi violazioni (comma 2°), ma aveva lasciato per il resto le parti liberedi esprimere al massimo la propria autonomia contrattuale. Come si vedràalcune regole procedimentali sono state introdotte dal legislatore nell’arbitratoirrituale nei conflitti di lavoro con il nuovo testo dell’art.412-ter c.p.c.varato dalla legge 183/2010.La giurisprudenza dal canto suo ha sempre mantenuto pragmaticamentenelle sentenze, anche in quelle più recenti, la convinzione – confermatadal legislatore del 2006 e, come si dirà, da quello del 2010 – che l’arbitrato irritualeè un vero e proprio arbitrato che comporta un accertamento direttamentericonducibile alla volontà delle parti, assoggettato alle normali impugnativenegoziali. Si legge in tutte le principali decisioni della giurisprudenzache “posto che sia l’arbitrato rituale che quello irrituale hanno natu-ss.( 33 ) Punzi, Arbitrato, Arbitrato rituale e irrituale, in Enc. giur. Treccani, I, Roma, 1995, p. 3


SAGGI 245ra privata, la differenza tra l’uno e l’altro tipo di arbitrato non può imperniarsisul rilievo che con il primo le parti abbiano demandato agli arbitri unafunzione sostitutiva di quella del giudice, ma va ravvisata nel fatto che, nell’arbitratorituale, le parti vogliono che si pervenga ad un lodo suscettibile diessere reso esecutivo e di produrre gli effetti di cui all’art. 825 c.p.c., conl’osservanza delle regole del procedimento arbitrale, mentre nell’arbitratoirrituale esse intendono affidare all’arbitro (o agli arbitri) la soluzione dicontroversie (insorte o che possano insorgere in relazione a determinatirapporti giuridici) soltanto attraverso lo strumento negoziale, mediante unacomposizione amichevole o un negozio di accertamento riconducibile allavolontà delle parti stesse, le quali si impegnano a considerare la decisionedegli arbitri come espressione della loro volontà” ( 34 ).Per comprendere come sia potuto accadere che l’arbitrato irrituale (conil suo lodo contrattuale) abbia assunto oggi – insieme alla mediazione – unacentralità assolutamente inedita nel sistema dei mezzi di composizione alternatividelle controversie, è sufficiente considerare che la riforma approvatanon ha fatto altro che disciplinare nei conflitti di lavoro l’arbitrato sulmodello generale dell’art. 808-ter c.p.c.Con la differenza che, mentre nel diritto comune l’articolo 808-ter nonaveva previsto e non prevede ancora una disciplina procedimentale propria,la riforma approvata introduce, invece, una nuova procedura strutturata masemplificata per gli arbitrati che si svolgeranno davanti a nuovi “collegi diconciliazione e arbitrato irrituale” composti da un rappresentante per ciascunaparte e da un presidente scelto di comune accordo dagli arbitri di partetra professori universitari di materie giuridiche e avvocati ammessi al patrociniodavanti alla Corte di Cassazione.A questo punto, non è escluso – ed anzi sarebbe auspicabile – che il legislatorepossa in futuro anche estendere la nuova procedura prevista nell’arbitratonelle controversie di lavoro anche all’arbitrato irrituale di dirittocomune previsto nell’art. 808-ter.Vediamo ora più da vicino il nuovo arbitrato irrituale nei conflitti di lavoro(artt. 412, 412-ter, 412-quater introdotti dalla riforma approvata) ( 35 ) dicui va segnalata in primo luogo la grande differenza con l’“arbitrato irritualeprevisto dai contratti collettivi”, cui faceva riferimento il previgente art.412-ter c.p.c. All’epoca, infatti, in cui le norme sul tentativo di conciliazioneobbligatorio e sull’arbitrato nel processo del lavoro venivano introdotte,( 34 ) Cass. sez. II, 12 ottobre 2009, n. 21585; Cass. sez. I, 30 maggio 2005, n. 12684; Cass.sez. I, 10 ottobre 2006, n. 24059; Cass. sez. I, 20 luglio 2006, n. 16718.( 35 ) La riforma approvato dalla Camera il 19 ottobre 2010 – legge 4 novembre 2010 pubblicatanel supplemento ordinario della G.U. del 9 novembre 2010 – ha abrogato gli artt. 410-bis e 412-bis c.p.c. (art. 31 comma 16° della legge 183/2010).


246 CONTRATTO E IMPRESA 1/2011cioè nel 1998, l’arbitrato ancora non aveva subìto quella rivoluzione copernicanadeterminata su questo istituto dal d. lgs. 2 febbraio 2006, n. 40.È proprio in seguito alla riforma del 2006 che il nuovo modello di arbitratoirrituale disegnato per il diritto comune nell’art. 808-ter c.p.c. si è resoparticolarmente appetibile anche per le controversie di lavoro portando allaproposta politica, ora diventata legge, di spostare dalla conciliazione all’arbitratoil baricentro delle soluzioni alternative e riportando – come si è giàaccennato – il tentativo di conciliazione come nella primitiva riforma del1973 alla sua facoltatività (salvo per le controversie di cui all’art. 80 del d. lgs276/2003, relative alla certificazione dei contratti: art. 31, comma 2°, l. 4 novembre2010, n. 183).Nell’attuale XVI legislatura si è discusso di riforma della conciliazione edell’arbitrato, all’interno di un progetto più ampio di riforma del diritto dellavoro (progetto di legge C / n. 1441-quater) il cui esame ha avuto inizio allaCamera dei deputati, in prima lettura, il 17 settembre 2008 e si è conclusocon l’approvazione del testo il 28 ottobre 2008. Il provvedimento che inizialmenteera composto di 9 articoli, è stato approvato dalla Assemblea dellaCamera dei deputati in un testo di 28 articoli. Il Senato ha avviato l’esamedel provvedimento (S / n. 1167), in seconda lettura, il 5 novembre 2008 e l’haapprovato il 26 novembre 2009, in un testo composto di 52 articoli. La Cameraha avviato la terza lettura parlamentare (C / n. 1441-quater-B) il 9 dicembre2009. Aseguito delle ulteriori modifiche apportate, il testo, approvatodalla Camera il 28 gennaio 2010, è stato nuovamente trasmesso al Senato.Il Senato ha svolto la quarta lettura parlamentare (S / n. 1167-B) dal 2 febbraioal 3 marzo del 2010, approvando il testo senza ulteriori modifiche.La legge venne rinviata alle Camere dal Presidente della Repubblica il31 marzo 2010 – con un messaggio sui cui contenuti si ritornerà in seguito –ed è stata approvata con modificazioni dalla Camera dei deputati il successivo29 aprile 2010 e dal Senato il 29 settembre 2010. Poiché il Senato avevaapportato alcune modifiche è tornata alla Camera dove è stata approvata invia definitiva il 19 ottobre 2010 diventando legge 4 novembre 2010, n. 183.La norma che si occupa di conciliazione e arbitrato nel processo del lavoro– una di quelle su cui si erano appuntate le osservazioni del Presidentedella Repubblica – è l’art. 31.I primi quattro commi si occupano della conciliazione mentre dal quintocomma in poi la disposizione affronta il tema dell’arbitrato.Il comma 5° disciplina l’arbitrato presso la commissione di conciliazione,inserendo l’istituto in un nuovo art. 412 c.p.c. ( 36 ) e dando con ciò in-( 36 ) Si riporta il testo di questo comma come modificato dalla Camera dei Deputati dopoil rinvio da parte del Presidente della Repubblica (art. 31, comma 5°, della legge 183/2010).


SAGGI 247gresso nei conflitti di lavoro ad una nuova figura di “risoluzione arbitrale dellacontroversia” sul modello dell’art. 808-ter c.p.c., attraverso la devoluzionealle commissioni di conciliazione di un ruolo non più di negoziatore ma diarbitro. Per questo il nuovo istituto potrebbe essere anche chiamato “conciliazionearbitrale”. Si legge nella norma che: “In qualunque fase del tentativodi conciliazione, o al suo termine in caso di mancata riuscita, le parti possonoindicare la soluzione, anche parziale, sulla quale concordano, riconoscendo,quando è possibile, il credito che spetta al lavoratore, e possono accordarsi perla risoluzione della lite, affidando alla commissione di conciliazione il mandatoa risolvere in via arbitrale la controversia”.Esattamente, quindi, quello che prevede l’art. 808-ter c.p.c., inserito dald. lgs. n. 40 del 2006, il quale espressamente afferma che “le parti possono[. . .] stabilire che la controversia sia definita dagli arbitri mediante determinazionecontrattuale” che a differenza del lodo rituale non va obbligatoriamentedepositato in tribunale.5. L’art. 412 c.p.c. è sostituito dal seguente:« Art. 412. – (Risoluzione arbitrale della controversia). – In qualunque fase del tentativo diconciliazione, o al suo termine in caso di mancata riuscita, le parti possono indicare la soluzione,anche parziale, sulla quale concordano, riconoscendo, quando è possibile, il creditoche spetta al lavoratore, e possono accordarsi per la risoluzione della lite, affidando alla commissionedi conciliazione il mandato a risolvere in via arbitrale la controversia.Nel conferire il mandato per la risoluzione arbitrale della controversia, le parti devonoindicare:1) il termine per l’emanazione del lodo, che non può comunque superare i sessanta giornidal conferimento del mandato, spirato il quale l’incarico deve intendersi revocato;2) le norme invocate dalle parti a sostegno delle loro pretese e l’eventuale richiesta di decideresecondo equità, nel rispetto dei principi generali dell’ordinamento “e dei principi regolatoridella materia, anche derivanti da obblighi comunitari” (parte aggiunta dopo il messaggiopresidenziale).Il lodo emanato a conclusione dell’arbitrato, sottoscritto dagli arbitri e autenticato, producetra le parti gli effetti di cui all’art. 1372 e all’art. 2113, comma 4°, c.c. e ha efficacia di titoloesecutivo ai sensi dell’art. 474 del presente codice a seguito del provvedimento del giudicesu istanza della parte interessata ai sensi dell’art. 825.Il lodo è impugnabile ai sensi dell’art. 808-ter, anche in deroga all’art. 829, commi 4° e 5°,se ciò è stato previsto nel mandato per la risoluzione arbitrale della controversia ».Sulle controversie aventi ad oggetto la validità del lodo arbitrale irrituale, ai sensi dell’art.808-ter, decide in unico grado il tribunale, in funzione di giudice del lavoro, nella cui circoscrizioneè la sede dell’arbitrato. Il ricorso è depositato entro il termine di trenta giorni dallanotificazione del lodo. Decorso tale termine, o se le parti hanno comunque dichiarato periscritto di accettare la decisione arbitrale, ovvero se il ricorso è stato respinto dal tribunale, illodo è depositato nella cancelleria del tribunale nella cui circoscrizione è la sede dell’arbitrato.Il giudice, su istanza della parte interessata, accertata la regolarità formale del lodo arbitrale,lo dichiara esecutivo.


248 CONTRATTO E IMPRESA 1/2011Quindi le parti delegano un terzo a ridefinire il loro rapporto negozialeindividuando la soluzione della controversia. Si tratta di una procedura delegataa terzi che porta ad una risoluzione pienamente valida tra le parti.La norma ribadisce la natura negoziale del lodo affermando che “il lodoemanato a conclusione dell’arbitrato, sottoscritto dagli arbitri e autenticato,produce tra le parti gli effetti di cui all’art. 1372 e all’art. 2113, comma 4°, c.c. ( 37 )e ha efficacia di titolo esecutivo ai sensi dell’art. 474 del presente codice a seguitodel provvedimento del giudice su istanza della parte interessata ai sensidell’art. 825.Il successivo comma 6° dell’art. 31 sostituisce integralmente l’art. 412-ter c.p.c. (che attualmente disciplina l’arbitrato irrituale previsto dai contratticollettivi). La nuova versione prevede che la conciliazione e l’arbitrato inmateria di controversie di lavoro possano essere svolti anche presso le sedie con le modalità previste dai contratti collettivi sottoscritti dalle associazionisindacali maggiormente rappresentative.Il comma 8° sostituisce integralmente l’art. 412-quater c.p.c. (attualmenterelativo all’impugnazione ed esecutività del lodo arbitrale), prevedendola composizione del collegio di conciliazione e arbitrato e la procedura chevi si segue.Il comma 9° dell’art. 31 estende la disciplina del tentativo facoltativo diconciliazione (art. 410), della risoluzione arbitrale delle controversie (art.412), della conciliazione e dell’arbitrato sindacale (art. 412-ter) nonché dellaconciliazione e arbitrato irrituale innanzi al collegio di conciliazione e arbitrato(art. 412-quater) alle controversie nel lavoro pubblico.Il comma 10° – che è stato uno dei punti principali del dibattito politicoche ha accompagnato l’iter della legge – concerne la possibilità di pattuizionedi clausole compromissorie nei contratti individuali di lavoro (di cui all’art.409). Attraverso tali clausole, le parti si impegnano a deferire le controversiesecondo le modalità dell’arbitrato di cui all’art. 412 (presso lacommissione di conciliazione) o di cui all’art. 412-quater (presso il collegiodi conciliazione e arbitrato irrituale). In seguito alle osservazioni contenutenel messaggio del Presidente della Repubblica del 31 marzo 2010 il testo approvatoprevede che la clausola compromissoria non possa essere inseritaall’atto della firma del contratto ma solo al termine del periodo di prova ocomunque non prima di trenta giorni dalla stipulazione del contratto di lavoro( 38 ).( 37 ) Il quarto comma dell’art. 2113 c.c. prevede la deroga al principio di invalidità delle rinuncee delle transazioni a diritti indisponibili. Quindi il lodo arbitrale irrituale ha lo stessovalore del verbale di conciliazione al quale anche per espressa previsione dell’ultimo commadell’art. 2113 c.c. si applica la deroga indicata.( 38 ) Art. 30, comma 10°, della riforma approvata invia definitiva il 19 ottobre 2010: “In re-


SAGGI 249lazione alle materie di cui all’art. 409 c.p.c., le parti contrattuali possono pattuire clausolecompromissorie di cui all’art. 808 c.p.c. che rinviano alle modalità di espletamento dell’arbitratodi cui agli artt.412 e 412-quater c.p.c., solo ove ciò sia previsto da accordi interconfederalio contratti collettivi di lavoro stipulati dalle organizzazioni dei datori di lavoro e dei lavoratoricomparativamente più rappresentative sul piano nazionale. La clausola compromissoria,a pena di nullità, deve essere certificata in base alle disposizioni di cui al titolo VIII del d. lgs.10 settembre 2003, n. 276, dagli organi di certificazione di cui all’art.76 del medesimo decretolegislativo, e successive modificazioni. Le commissioni di certificazione accertano, all’attodella sottoscrizione della clausola compromissoria, la effettiva volontà delle parti di devolveread arbitri le eventuali controversie nascenti dal rapporto di lavoro. La clausola compromissorianon può essere pattuita e sottoscritta prima della conclusione del periodo di prova, oveprevisto, ovvero se non siano trascorsi almeno trenta giorni dalla data di stipulazione del contrattodi lavoro, in tutti gli altri casi. La clausola compromissoria non può riguardare controversierelative alla risoluzione del contratto di lavoro. Davanti alle commissioni di certificazionele parti possono farsi assistere da un legale di loro fiducia o da un rappresentante dell’organizzazionesindacale o professionale a cui abbiano conferito mandato.


EnciclopediaELEONORA MARIA PIERAZZIL’alea nei contrattiSommario: 1. Il contratto aleatorio, l’alea giuridica e l’alea normale. – 2. Manifestazioni e criteridi accertamento dell’alea normale. – 3. L’alea nei contratti di borsa.1. – È ben noto che con l’espressione contratto aleatorio ( 1 ), contrappostaa contratto commutativo, si indica una fattispecie contrattuale nella qualeuna parte assume una obbligazione essendo consapevole, sin dal momentodella stipulazione del contratto, della possibilità di non ricevere alcunchéa titolo di controprestazione, ovvero di ricevere una prestazione divalore sensibilmente inferiore a quella eseguita ( 2 ).( 1 ) La definizione tradizionale di contratto aleatorio quale contratto nel quale « ciò chel’uno dà o si obbliga di dare all’altro, è il prezzo di un rischio che gli ha addossato » risale aPothier, Trattato del contratto di assicurazione, in Opere, II, Livorno, 1936, I, p. 97, mentre laprima definizione normativa è contenuta nel Code Napoleon (artt. 1104 e 1964) e, successivamente,nel codice civile italiano del 1865 (art. 1102). Sull’origine storica del contratto aleatoriosi veda Gambino, L’assicurazione nella teoria dei contratti aleatori, Milano, 1964, p. 44, secondocui la creazione della fattispecie risale al Medioevo, nel momento in cui si fece piùpressante l’esigenza di favorire le contrattazioni che, in quanto sempre più spesso legate all’imprevedibileandamento dei mercati, si caratterizzavano per l’incertezza del rischio e dellaconvenienza dell’affare. In senso difforme Di Giandomenico, Il contratto e l’alea, Padova,1987, p. 24.( 2 ) Galgano, Trattato di diritto civile, II, Padova, 2010, p. 533. In argomento Riccio, L’eccessivaonerosità sopravvenuta, in Commentario Scialoja – Branca, Bologna – Roma, 2010; Balestra,Il contratto aleatorio e l’alea normale, in Le monografie di <strong>Contratto</strong> e <strong>impresa</strong>, Padova,2000; Di Giandomenico, Il contratto e l’alea, Padova, 1987; Ridolfi, voce «Alea, Aleatori(contratti) », in Nuovo Dig. it., II, p. 263 ss.; Scalfi, Corrispettività e alea nei contratti, Milano,1960, p. 127 ss.; Id., voce «Alea », in Dig. disc. priv., sez. civ., I, p. 255 ss.; Id., Considerazioni suicontratti aleatori, in Riv. dir. civ., 1960, I, p. 167 ss.; Pino, <strong>Contratto</strong> aleatorio, contratto commutativoed alea, in Riv. trim. proc. civ., 1960, p. 1221 ss. In giurisprudenza, tra le altre, Cass., 30agosto 2004, n. 17399, in Giur. it., 2005, p. 1394; Cass., 7 giugno 1991, n. 6452, in Rep. Foro it.,1991, voce «<strong>Contratto</strong> in genere» n. 401; Cass., 31 maggio 1986, n. 3694 in Rep. Foro it., 1986, vo-


252 CONTRATTO E IMPRESA 1/2011Il contratto aleatorio, proprio in ragione della sua peculiare natura, nonconsente alla parte che subisce gli effetti negativi dell’alea di invocare lenorme sulla risoluzione per eccessiva onerosità sopravvenuta né le normesulla rescissione del contratto ( 3 ). A tale riguardo, infatti, si è puntualmenteosservato che l’eventuale sproporzione tra le prestazioni non è rilevante aisensi dell’art. 1467, comma 2°, c.c. o dell’art. 1448, comma 2°, c.c. giacché« essa rientra nel rischio connesso al contratto stipulato » ( 4 ). Le sorti delcontratto, pertanto, risultano vincolate al verificarsi di un evento rispetto alquale le parti sono prive di ogni potere di intervento ( 5 ) e dinanzi al qualenon possono invocare gli ordinari strumenti che l’ordinamento usualmenteappresta a tutela dell’eventuale pregiudizio dei loro interessi.La dottrina si è ampiamente soffermata sull’inquadramento del contrattoaleatorio e, al riguardo, si sono delineate due principali impostazioni.Secondo una prima ricostruzione, nota come concezione funzionale, ilcontratto aleatorio si contraddistingue per l’incertezza circa il risultato economicodel contratto al momento della stipulazione, essendo impossibile valutarea priori il rapporto tra l’entità del vantaggio e l’entità del rischio cui si sottopongonole parti contraenti ( 6 ). Si tratta di una impostazione tradizionale ( 7 ),ce «<strong>Contratto</strong> in genere», n. 335; Trib. Milano, 27 febbraio 1992, in Giur. it., 1992, I, 2, p. 602 connota di Cagnasso.( 3 ) Scalfi, voce «Alea » in Dig. disc. priv. (sez. civ.), I, Torino, 1987, p. 260 e Nicolò, voce«Alea », in Enc. dir., I, Milano, 1958, p.1030 rilevano che la ratio dell’inapplicabilità dei citati rimedirisiede nel fatto che per tale tipologia contrattuale il rischio dell’alterazione dell’economiadell’affare e dei termini del rapporto è connotato intrinseco dello schema causale. Devetuttavia notarsi che secondo una impostazione dottrinale accreditata anche per i contrattialeatori dovrebbero ammettersi, in presenza di determinate condizioni, i rimedi di cui agliartt. 1467 e 1468 c.c.; in questo senso, tra gli altri, Sacco, in Trattato di dir. civile, diretto da Sacco,Il contratto, II, Torino, 2004, p. 703; Auletta, Risoluzione dei contratti per eccessiva onerosità,in Riv. trim. dir. proc. civ., 1949, p.170; Buffa, Di alcuni principi interpretativi in materia dirisoluzione per onerosità eccessiva, in Riv. dir. comm., 1948, II, p. 55.( 4 ) Bianca, Diritto civile, III, Milano, 1984, p. 649 ss. ove si legge che la parte non può dolersidella sproporzione tra dare e avere se la stessa è il risultato sfavorevole dell’alea assunta.( 5 ) Come osserva Balestra, Il contratto aleatorio e l’alea normale, in Le monografie di<strong>Contratto</strong> e <strong>impresa</strong>, Padova, 2000, p. 122.( 6 ) Cariota Ferrara, Il negozio giuridico nel diritto civile italiano, Napoli, s.d., p. 209;Osti, voce «<strong>Contratto</strong> », in Noviss. Dig. it., Torino, 1959, p. 496 ss.; Messineo, Il contratto in genere,in Trattato di dir. civile, diretto da Cicu e Messineo, Milano, 1968, p. 774 ss.; Boselli, Rischio,alea ed alea normale del contratto, in Riv. trim. dir. proc. civ., 1948, p. 770 ss.; Barassi, Teoriagenerale delle obbligazioni, II, Milano, 1954, p. 289 ss.; Mosco, Onerosità e gratuità degli attigiuridici, Napoli, 1942, p. 83 ss.; Santoro Passarelli, Dottrine generali del diritto civile, Napoli,1976, p. 244 ss.( 7 ) Tale impostazione si è infatti formata sulla traccia della codificazione napoleonica(art. 1102 del codice civile del 1865).


ENCICLOPEDIA 253cui la stessa giurisprudenza dimostra di aderire ( 8 ), che in passato è stata talvoltaaccusata di fornire una definizione troppo generica della fattispecie. Si èinfatti obiettato che l’incertezza circa il vantaggio economico non sarebbe prerogativadei contratti aleatori, ravvisandosi anche nelle ipotesi di estensioneconvenzionale dell’alea normale, nonché nei contratti con prestazioni certe edeterminate ad esecuzione differita ( 9 ).Altra parte della dottrina, insoddisfatta della ricostruzione nei terminicitati, ha elaborato la cd. concezione strutturale secondo la quale il contrattoaleatorio si connota per il fatto che l’evento incerto non incide sui criterieconomici che condizionano il valore delle prestazioni bensì sulla esistenzao sulla determinazione delle medesime ( 10 ), ovvero sull’an o sul quantum ( 11 ).Oltre a tali due fondamentali impostazioni si deve dare atto di una ulterioreopinione che, ponendosi come sintesi delle prime due, ritiene che ai fini del-( 8 ) Ex multis, Cass., 26 gennaio 1993, n. 948, in Contratti, 1993, p. 532; Cass., 7 giugno1991, n. 6452, in Rep. Foro it., voce «<strong>Contratto</strong> in genere », n. 401; Cass., 31 maggio 1986, n.3694, in Rep. Foro it., voce «<strong>Contratto</strong> in genere », n. 335, Cass., 9 aprile 1980, n. 2286, in Giust.civ., 1980, I, p. 1503; Cass., 8 agosto 1979, n. 4626, in Rep. Giur. it., 1979, voce «Obbligazioni econtratti », n. 265; Cass., 22 ottobre 1977, n. 4547, in Mass. Giust. Civ., 1977. Recentemente inquesto senso, Trib. Ivrea, 1° settembre 2005, in Contratti, 2006, p. 260, commentata da Baraldi,in questa rivista, 2007, p. 603 ss., ove si conclude per la natura aleatoria del warrant inragione dell’incerto risultato economico a cui tende l’investitore.( 9 ) Gambino, L’assicurazione nella teoria dei contratti aleatori, Milano, 1964, p. 15; Scalfi,Corrispettività ed alea nei contratti, Milano – Varese, 1960, p. 143.( 10 ) Di Giandomenico, Il contratto e l’alea, Padova, 1987, p. 60; Scalfi, voce «Alea » inDig. disc. priv. (sez. civ.), I, Torino, 1987, p. 256; id., Corrispettività ed alea nei contratti, Milano– Varese, 1960, p. 143; Maiorca, Il contratto. Profili della disciplina generale, Torino, 1981, p.77; Maresca, Alea contrattuale e contratto di assicurazione, Napoli, 1979, p. 46; Ascarelli,Aleatorietà e contratti di borsa, in Banca, borsa e tit. di credito, 1958, I, p. 440; Dalmartello,Adempimento e inadempimento nel contratto di riporto, Padova, 1958, p. 329, nota 173 bis; Nicolò,voce «Alea», in Enc. dir., I, Milano, 1958, p. 1024; Id., in Scritti giuridici, II, Milano, 1980,p. 1421; Rotondi, Istituzioni di diritto privato, Milano, 1942, p. 341 ove si legge che « quello cherende aleatorio il contratto non è l’alea circa il valore economico delle prestazioni o le condizionieconomiche incerte e mutevoli, ma l’alea sull’esistenza o sulla entità delle prestazioni ».( 11 ) Terranova, L’eccessiva onerosità nei contratti, in Il codice civile. Commentario, direttoda Schlesinger, artt. 1467 – 1469, Milano, 1995, p. 167 segnala che sotto il profilo dell’an rilevail caso di estrazione di un numero o di un biglietto della lotteria o dell’esito di una gara nellascommessa, mentre sotto il profilo del quantum sottolinea – che nell’assicurazione sulla vitae nella rendita vitalizia – la prestazione dell’assicuratore o la quantità della rendita dipendonodalla durata della vita. Si veda anche Cass., sez. un., 26 gennaio 1993, in Giust. civ., 1993, I, p.3023 ss. con nota di Costanza; Cass., 7 giugno 1991, n. 6452, in Rep. Foro it., 1991, voce «<strong>Contratto</strong>in genere » n. 401; Cass., 31 maggio 1986, n. 3694, in Rep. Foro it., 1986, voce «<strong>Contratto</strong>in genere », n. 335; Cass., 9 aprile 1980, n. 2286, in Giust. civ., 1980, I, p. 1503; Cass., 11 marzo1966, n. 699, in Temi nap., 1966, I, p. 162.


254 CONTRATTO E IMPRESA 1/2011l’aleatorietà sia necessario sia il requisito della indeterminatezza delle prestazionisia l’assenza di correlatività tra le prestazioni indeterminate ( 12 ).In ogni caso, al di là delle varie ricostruzioni teoriche che si sono delineatenel tempo, occorre ricordare che secondo la definizione classica èaleatorio il contratto in cui l’alea si pone come momento originario ed essenziale« che colora e qualifica lo schema causale del contratto » ( 13 ).L’alea del contratto aleatorio, propriamente detta alea giuridica, deveessere tenuta distinta dalla cd. alea normale del contratto, di cui si fa cennoper la prima volta nel nostro ordinamento con il codice civile del 1942, che,a ben vedere, esprime un concetto profondamente diverso ( 14 ).Sulla scorta delle elaborazioni dottrinali e della giurisprudenza in materiapuò affermarsi che l’alea dei contratti aleatori si pone come elemento caratterizzantedi una determinata categoria contrattuale ( 15 ) che, senza di essa,perderebbe il suo tratto distintivo ( 16 ); diversamente, la cd. alea normalecostituisce un elemento comune a qualsiasi relazione negoziale, atteggiandosicome fattore esterno suscettibile di incidere sull’assetto degli interessipredisposto dai contraenti ( 17 ) mediante un’alterazione del valore economi-( 12 ) Così Gambino, L’assicurazione nella teoria dei contratti aleatori, Milano, 1964, p. 243;Di Giandomenico, Il contratto e l’alea, Padova, 1987, p. 303.( 13 ) Nicolò, voce «Alea », in Enc. dir., I, Milano, 1958, p. 1029; Scalfi, Corrispettività ealea nei contratti, Milano, 1960, p. 138. Deve tuttavia segnalarsi Pino, Alea e rischio nel contrattodi assicurazione, in Assic., 1960, I, p. 260, Id., Il difetto di alea nella costituzione di renditavitalizia, in Riv. trim. dir. proc. civ., 1960, p. 360 secondo il quale «la nozione di alea è teoricamentee praticamente inidonea alla determinazione dei contratti aleatori, sia per quanto concernela natura giuridica, sia per quanto concerne la struttura ».( 14 ) Vedi però Sacco, in Trattato di dir. civile, diretto da Sacco, Il contratto, II, Torino,2004, p. 478 secondo cui il confine tra i due concetti è labile.( 15 ) Cass., 7 giugno 1991, n. 6452, in Rep. Foro it., 1991, voce «<strong>Contratto</strong> in genere », n. 401;Trib. 27 febbraio 1992, in Giur. it., 1992, I, 2, p. 601 con nota di Cagnasso; Cass., 8 agosto 1979,n. 4626, in Rep. Giur. it., 1979, voce «Obbligazioni e contratti », n. 265; Nicolò, voce «Alea », inEnc. dir., I, Milano, 1958, p. 1030.( 16 ) Cass., 9 marzo 1985, n. 1913, in Rep. Foro it., 1985, voce «<strong>Contratto</strong> in genere », n. 287,definisce l’alea «quell’elemento intrinseco che definisce ed individua i cosiddetti contratti aleatori».( 17 ) In argomento si veda la chiara distinzione contenuta in Cass. 5 gennaio 1983, n. 1, inGiur. it., 1983, I, 1, p. 718 laddove si legge che contratto aleatorio ed alea normale sono due nozioniqualitativamente diverse «giacché nei contratti aleatori l’alea si pone come momento originarioed essenziale, che colora e qualifica lo schema causale del contratto, laddove l’alea normale,che si può dire esista sempre nel momento in cui si perfeziona un contratto, non potendosimai escludere che vicende economiche sopravvenute possano alterare quella situazione di equilibrioche le parti avevano ritenuto concordemente di porre in essere, rimane un momento del tuttoestrinseco al meccanismo o al contenuto del contratto ». In senso conforme, Cass., 9 marzo


ENCICLOPEDIA 255co di una prestazione già determinata, senza che ciò comporti modificazionedella funzione del contratto ( 18 ).In altri termini, pertanto, l’alea normale del contratto potrebbe farsicoincidere con il rischio naturalmente insito in ogni contrattazione ( 19 ), ossiacon la possibilità che – per eventi indipendenti dalla volontà dei contraenti– risulti compromesso l’interesse di una o di entrambe le parti ( 20 ).Come è stato puntualmente notato, quindi, il concetto di alea normaleesprime il margine entro il quale possono verificarsi oscillazioni nel valoredelle prestazioni a causa di fattori esterni al contratto, senza che ciò implichialcuna reazione da parte dell’ordinamento ( 21 ). Infatti, finché le alterazioninel valore delle prestazioni rimangono contenute nell’ambito dell’alea normaleesse non rilevano ai fini della risoluzione e della rescissione. Le conseguenzedell’alea normale del contratto, quindi, sono poste esclusivamentea carico delle parti contraenti sulle quali grava l’onere di prevedere – equindi di valutare, se del caso, anche in sede precontrattuale – l’esistenza diun certo margine di rischio, da ritenersi connaturale alle prestazioni oggettodel contratto in concreto.2. – Il concetto di alea normale – di cui il codice civile non fornisce unadefinizione ( 22 ) – è stato variamente identificato con le oscillazioni dei prezzidi mercato ( 23 ), con la normale variazione della situazione economica1985, n. 1913 in Rep. Foro it., 1985, voce «<strong>Contratto</strong> in genere », n. 287; Coll. Arb., 9 marzo 1988,in Arch. giur. oo. pp., 1988, p. 1745.( 18 ) Gambino, Normalità dell’alea e fatti di conoscenza, Milano, 2001, p. 61.( 19 ) Così Galgano, Trattato di diritto civile, II, Padova, 2010, p. 532; vedi anche Nicolò,voce «Alea », in Enc. dir., I, Milano, 1958, p.1024 per il quale «le disquisizioni meramente terminologichesull’uso delle parole rischio e alea si risolvono in sottigliezze di scarso rilievo ».( 20 ) In questo senso già la Relazione del Guardasigilli al Progetto Preliminare al codice civile(n. 245), Istituto Poligrafico dello Stato, Roma, 1941 laddove l’alea normale veniva definita«quel rischio che il contratto comporta a causa della sua peculiarità: rischio al quale ciascunaparte implicitamente si sottopone concludendo quel contratto ».( 21 ) Boselli, voce «Alea », in Noviss. Dig. it., Torino, 1957, p. 476 secondo il quale «perciascun negozio v’ha una zona, per così dire di immunità e quasi di tolleranza, per entro la qualegli effetti del rischio estraneo possono dirsi compatibili con la causa, in quanto non pervengonoancora ad alterarla, epperò non v’ha ragione che intervenga alcuna reazione da parte dell’ordinamento».( 22 ) Al riguardo è pertinente la considerazione di Irti, Introduzione allo studio del dirittoprivato, Padova, 1990, p. 72 secondo cui «se [. . .] la norma è espressa con parole della lingua comune,la disciplina procede di massima per clausole generali, che lasciano al giudice largo spazionella determinazione della fattispecie e degli effetti ».( 23 ) Galgano, Trattato di diritto civile, II, Padova, 2010, p. 532; in simili termini ancheBianca, Diritto civile. Il contratto, vol. I, Milano, 1987, p. 465 che esemplifica il concetto come


256 CONTRATTO E IMPRESA 1/2011contrattuale ( 24 ), nonché con il divario di valore tra le prestazioni che un datocontratto comporta in regime di normalità ( 25 ). Con efficace formula disintesi l’alea è stata definita quale « rischio, in termini di normali (e perciò prevedibili)oscillazioni di costi e valori delle prestazioni (originate dalle ordinariefluttuazioni di mercato), alle quali i contraenti si sottopongono stipulando undato contratto » ( 26 ).Ciò posto – e considerate le modalità mediante le quali l’alea normale simanifesta – è evidente che essa si presenterà in ipotesi di contratti ad esecuzionedifferita, laddove è maggiormente probabile che, tra la stipulazionedel contratto e l’adempimento, si presentino fattori esterni in grado di determinareuna alterazione dell’assetto economico ( 27 ). Al di là delle espres-rischio delle variazioni di costi e valori che rimane entro il limite della normalità, nonché Pino,La eccessiva onerosità della prestazione, Padova, 1952, p. 65; Id., <strong>Contratto</strong> aleatorio, contrattocommutativo ed alea, in Riv. trim. dir. e proc. civ., 1960, p. 1221. In giurisprudenza Cass., 6febbraio 1979, n. 794, in Rep. Foro it., 1979, voce «<strong>Contratto</strong> in generale », n. 365; Cass., 6 febbraio1979, n. 793, in Mass. Foro it., 1979, c.173; Cass., 18 ottobre 1978, n. 4675, in Mass. Foroit., 1978, c. 919; App. Milano, 23 aprile 1974, in Giur. it., 1972, I, 2, p. 403.( 24 ) De Martini, L’eccessiva onerosità nell’esecuzione dei contratti, Milano, 1950, p. 26;Dalmartello, Adempimento e inadempimento nel contratto di riporto, Padova, 1958, p. 328;Scalfi, Corrispettività ed alea nei contratti, Milano – Varese, 1960, p. 134; Gatti, L’adeguatezzafra le prestazioni nei contratti a prestazioni corrispettive, in Riv. dir. comm., 1963, I, p. 454.( 25 ) Boselli, La risoluzione del contratto per eccessiva onerosità, Torino, 1952, p. 180; intermini analoghi anche Ferrari, Il problema dell’alea contrattuale, Napoli, 2001, p. 39.( 26 ) Terranova, L’eccessiva onerosità nei contratti, in Il codice civile. Commentario, direttoda Schlesinger, artt. 1467 – 1469, Milano, 1995, p. 155; così anche in giurisprudenza, Cass., 11giugno 1991, n. 6616, in Rep. Foro it., 1991, voce «<strong>Contratto</strong> in genere » [1740], n. 400; Cass., 25marzo 1987, n. 2904, in Rep. Foro it., 1987, voce «<strong>Contratto</strong> in genere » [1740], n. 460; Cass., 9marzo 1985, n. 1913, in Mass. Foro it., 1985; Cass., 5 gennaio 1983, n. 1, in Giur. it., 1983, I, 1, p.718 con nota di Padova.( 27 ) Terranova, L’eccessiva onerosità nei contratti, in Il codice civile. Commentario, direttoda Schlesinger, artt. 1467 – 1469, Milano, 1995, p. 155; Giampieri, Rischio contrattuale in commonlaw, in <strong>Contratto</strong> e <strong>impresa</strong>, 1996, n. 2, p. 591 il quale dà atto che «nei rapporti ad esecuzionecontinuata o differita [. . .] l’intervallo intercorrente tra la stipula ed il momento previsto perl’adempimento può aumentare proporzionalmente l’intervento di fattori esterni, anche imputabilialle parti, in grado di frustrarne i progetti comuni ovvero quelli di uno di essi ». Nello stesso sensoGallo, Sopravvenienza contrattuale e problemi di gestione del contratto, Milano, 1992, p. 4secondo cui «i rischi di un mutamento delle circostanze tali da creare una divaricazione tra il regolamentocontrattuale per definizione statico ed immutabile e la realtà in continua evoluzionesaranno naturalmente tanto maggiori quanto più lungo è l’intervallo di tempo che intercorre tra ilmomento della conclusione e quello della esecuzione »; negli stessi termini anche Scalfi, voce«Alea » in Dig. disc. priv. (sez. civ.), I, Torino, 1987, p. 258 il quale segnala che «l’alea si presentacome una manifestazione “normale” in tutti i contratti ad esecuzione non immediata, essendopossibili oscillazioni di valore delle prestazioni corrispettive cagionate da normali fluttuazioni dimercato o da circostanze relative ad uno dei comportamenti dovuti idonee a creare uno squilibriodi valore tra le prestazioni ».


ENCICLOPEDIA 257sioni elaborate in dottrina per descrivere e rendere maggiormente percepibileil concetto in esame, uno dei principali problemi che si pongono consistenel verificare sulla base di quali criteri l’interprete possa valutare se undeterminato evento integri gli estremi dell’alea normale e, in quanto tale,sia produttivo di effetti che la parte dovrà sopportare senza poter invocare aproprio vantaggio le norme sulla risoluzione o sulla rescissione del contratto( 28 ).La giurisprudenza ha ritenuto che, ai fini dell’indagine, si debba avereriguardo al criterio della prevedibilità ( 29 ), da valutarsi in considerazione deltipo contrattuale posto in essere dalle parti. Alla stregua del citato parametro,pertanto, potranno essere ricondotte nell’ambito dell’alea normale « lequantità delle oscillazioni di valore [. . .] connaturate al negozio medesimo »( 30 ). Deve tuttavia segnalarsi che secondo una accreditata impostazione dottrinalela normalità di un evento dovrebbe essere valutata non già in base altipo contrattuale prescelto dalle parti bensì alla stregua del contratto che, inconcreto, è posto in essere. Si nota, infatti, che « non è possibile riferire [. . .]l’alea normale al “tipo” di contratto, perché solo rispetto al contratto in concreto[. . .] determinati eventi possono dirsi straordinari o imprevedibili » ( 31 ). Afronte dei citati orientamenti pare condivisibile l’opinione di chi valorizzandola rilevanza di entrambi i criteri – e non ritenendoli l’uno esclusivodell’altro – afferma che ai fini dell’accertamento della normalità di un eventooccorre esaminare sia « il sottotipo scelto dalle parti » sia « il contenuto concretodel contratto » ( 32 ).( 28 ) Come rileva Boselli, voce «Alea », in Noviss. Dig it., vol. I, Torino, 1957, p. 476.( 29 ) Cass., 9 marzo 1985, n. 1913, in Mass. Foro it., 1985; Cass., 14 dicembre 1982, n. 6867,in Riv. dir. comm., 1984, II, p. 47; App. Catania, 18 settembre 1985, in Foro pad., 1986, I, p. 68.( 30 ) Così Di Giandomenico, Il contratto e l’alea, Padova, 1987, p. 300, il quale tuttaviaprecisa che dovranno essere considerate le eventuali pattuizioni delle parti dirette ad introdurre«elementi di difformità rispetto alla regola legale, sia estendendo i limiti della “normalità”,e quindi di irrilevanza dall’alea [. . .], sia spostando convenzionalmente rischi diversamente distribuitidal piano legale »; Gambino, Eccessiva onerosità della prestazione e superamento dell’aleanormale del contratto, in Riv. dir. civ., 1960, I, p. 447; Nicolò, voce «Alea », in Enc. dir., I,Milano, 1958, p.1026.( 31 ) Così Ascarelli, Aleatorietà e contratti di borsa, in Banca, borsa e tit. di credito, 1958, I,p. 448; Scalfi, Corrispettività ed alea nei contratti, Milano-Varese, 1960, p. 138; Boselli, voce«Alea », in Noviss. Dig. it., Torino, 1957, p. 476; Ferrari, Il problema dell’alea contrattuale, Napoli,2001, p. 39.( 32 ) Cagnasso, Appalto e sopravvenienza contrattuale. Contributo a una revisione della dottrinadell’eccessiva onerosità, Milano, 1979, p. 182; Gambino, Eccessiva onerosità della prestazionee superamento dell’alea normale del contratto, in Riv. dir. civ., 1960, I, p. 447 e, recentemente,anche Terranova, L’eccessiva onerosità nei contratti, artt. 1467 – 1469. Il codice civile.Commentario, Milano, 1995, pp. 157 e 158 il quale sottolinea che «il giudizio sul superamento


258 CONTRATTO E IMPRESA 1/2011Parte della dottrina ha ritenuto di poter ricondurre nell’ambito dell’aleanormale anche il cd. fatto notorio, intendendosi per tale il complesso di conoscenzeche appartengono alla generalità dei consociati in un determinatoambiente ed in un dato momento storico ( 33 ). Tuttavia, tale tentativo nonconvince in ragione del fatto che se è vero che i contraenti devono essereconsapevoli del rischio, affinché questo possa rilevare quale alea normale, èaltrettanto vero che non può pretendersi che la conoscenza dell’evento siestenda anche alla conoscenza del risultato che da esso può derivare ( 34 ). Secosì fosse, infatti, il risultato perderebbe ogni connotato di incertezza perdivenire, all’opposto, certo.3. – Con l’espressione contratti di borsa si indicano tutte le numerosefattispecie contrattuali che hanno per oggetto prodotti finanziari. Si tratta diuna categoria in continua evoluzione in ragione del dinamismo delle contrattazioniche incentiva progressivamente sia la creazione di nuovi prodottisia l’introduzione di figure giuridiche rispondenti ai sempre più svariatiinteressi degli investitori.I contratti di borsa sono modellati sullo schema del contratto di compravenditae si articolano, essenzialmente, nel contratto di borsa a terminee nel contratto di borsa a contanti ( 35 ). La prima fattispecie consente alle partidi speculare sulla differenza eventualmente esistente tra la quotazione dimercato alla data di sottoscrizione del contratto e la quotazione di mercatoalla data di esecuzione, con vantaggio per il venditore in caso di ribasso oppureper il compratore in caso di rialzo. Il termine per l’esecuzione è prede-dell’alea normale del contratto risulterebbe pertanto incompleto se si articolasse esclusivamentesull’astratta fattispecie normativa prescelta dai contraenti, prescindendo dalle previsioni del regolamentodi interessi in concreto delineato [. . .] » e che «il giudizio di prevedibilità dell’eccessivaonerosità alla stregua dell’alea contrattuale deve dunque modellarsi con riferimento all’ipoteticocontraente medio alle prese, non già, o non solo, con un’astratta fattispecie negoziale bensìcon il contenuto specifico dell’accordo »; Gabrielli, Contratti di borsa, contratti aleatori e aleaconvenzionale implicita, in Banca, borsa e tit. di credito, 1986, I, p. 574; Maresca, Alea contrattualee contratto di assicurazione, Napoli, 1979, p. 46; Maiorca, Il contratto. Profili della disciplinagenerale, Torino, 1981, p. 297; Tartaglia, Eccessiva onerosità ed appalto, Milano, 1983,p. 65.( 33 ) Così Montesano-Arieta, Diritto processuale civile. Il processo di cognizione ordinaria,II, Torino, 1999, p. 144.( 34 ) Gambino, Alea e fatti di conoscenza, Milano, 2001, p. 117 ss.( 35 ) Recentemente Riccio, L’eccessiva onerosità, in Commentario del codice civile Scialoja– Branca, Bologna – Roma, 2010, p. 572 ss.; Ascarelli, Aleatorietà e contratti di borsa, in Banca,borsa e tit. di credito, 1958, II, p. 438 ss.; Bianchi d’Espinosa, voce «Borsa valori (contratti)», in Enc. dir., p. 592 ss.; Galgano, Titoli di credito, sub artt. 1992 – 2027, in Commentario delcodice civile Scialoja – Branca, Roma, 2010, p. 85 ss.


ENCICLOPEDIA 259terminato e fissato nell’interesse di entrambi i contraenti che non possonoadempiere o chiedere l’adempimento prima della scadenza di esso. Da taleipotesi si distingue il contratto a contanti per il fatto che il termine è fissatosolo nell’interesse del venditore che, pertanto, ove lo ritenga opportunopuò eseguire il contratto in anticipo rispetto alla scadenza ( 36 ).Il tratto caratterizzante dei citati contratti risiede nel fatto che le prestazionicui le parti si obbligano sono fortemente ancorate alle oscillazioni deimercati e, proprio in ragione di tale stretta connessione, possono subiremodificazioni di valore anche notevolissime. Tuttavia, pur trattandosi dicontratti soggetti a fluttuazioni che, in ipotesi, possono spingersi sino all’infinito,la giurisprudenza è incline ad escludere l’applicazione delle normesulla risoluzione per eccessiva onerosità sopravvenuta.Al fine di giustificare l’inapplicabilità della citata disciplina è stata affermatala natura aleatoria dei contratti di borsa ( 37 ) che, in quanto fortementeconnotati dall’intento speculativo delle parti, sarebbero assimilabili al giocoed alla scommessa ( 38 ). La tesi dell’aleatorietà dei contratti di borsa è statacondivisa anche dalla giurisprudenza, in verità alquanto risalente e minoritaria,che con riferimento alla vendita a termine di titoli di credito, compresaquella a premio, ha ammesso la natura aleatoria del contratto rilevandoche l’eventuale aumento del rischio « è quello che nei contratti “certi” è l’aumentodi valore o di costo della prestazione (o la diminuzione della controprestazione):esso si risolve cioè in una maggiore onerosità » ( 39 ).Deve tuttavia rilevarsi che accanto alla citata impostazione, che continuaa godere di un certo credito ( 40 ), si è consolidata l’opinione – diffusa in( 36 ) Galgano, Titoli di credito, sub artt. 1992 – 2027, in Commentario del codice civile Scialoja– Branca, Roma, 2010, p. 85 ss.( 37 ) Deve segnalarsi che rimangono estranei al dibattito circa l’inquadramento giuridico icontratti differenziali che sono, di per sé, contratti aleatori, come notano Di Giandomenico,Il contratto e l’alea, Padova, 1987, p. 303; Scalfi, Corrispettività e alea nei contratti, Milano,1960, p. 136, nota 51; Ascarelli, Aleatorietà e contratti di borsa, in Banca, borsa e tit. di credito,1958, I, p. 450.( 38 ) In senso critico, sul punto, Gabrielli, Contratti di borsa, contratti aleatori e alea convenzionaleimplicita, in Banca, borsa e tit. di credito, 1986, I, p. 575.( 39 ) Pretura Milano, 22 giugno 1957, in Banca, borsa e tit. di credito, 1958, II, p. 150 ss. connota di Bianchi d’Espinosa; il caso esaminato dalla Pretura milanese aveva ad oggetto l’improvvisasospensione delle operazioni ad opera di agenti di cambio della borsa di Milano. Siveda anche Pretura Roma, 13 gennaio 1982 (ord.), in Giust. civ., 1982, I, p. 14, con nota diScarpa; Coltro Campi, Considerazioni sui contratti a premio e sull’aleatorietà dei contratti diborsa, in Riv. dir. comm., 1958, I, p. 380.( 40 ) Recentemente si segnala Trib. Ivrea, 1° settembre 2005, in Contratti, 2006, p. 260 ss.commentata da Baraldi, in questa rivista, 2007, p. 607 ss. la quale ha ritenuto «che l’operazioneeconomica sottesa all’acquisto di warrants abbia funzione speculativa, scontando essa una in-


260 CONTRATTO E IMPRESA 1/2011giurisprudenza ( 41 ), ed ampiamente condivisa in dottrina ( 42 ) – secondo cuii contratti di borsa dovrebbero essere annoverati tra i contratti commutativiad alea normale (ancorché) illimitata.L’espressione alea normale illimitata, infatti, sarebbe indicativa (e prerogativa)di fattispecie contrattuali nelle quali qualsiasi tipo di variazione divalore delle prestazioni può essere ritenuta normale e prevedibile dalle parti,senza che ciò possa determinare la sopravvenuta eccessiva onerosità dellaprestazione. In particolare nei contratti di borsa, in ragione della peculiaritàdell’ambiente in cui vengono stipulati e della stretta connessione tra ilvalore delle prestazioni e l’andamento dei mercati finanziari, si presumeche le parti debbano prendere in considerazione l’eventualità che le prestazionidedotte in contratto possano subire delle variazioni che, per quantopossano essere elevate, non saranno mai tali da superare il parametro dellanormalità.La giurisprudenza si è soffermata sull’illimitatezza dell’alea normaleesaminando fattispecie relative a contratti di borsa a premio con facoltàsemplice ‘dont’( 43 ). La Corte di Cassazione ha ritenuto di propendere per laricostruzione dei citati contratti quali contratti commutativi ad alea normaleillimitata osservando che alla diversa configurazione in termini di contrattoaleatorio si opponeva il fatto che risultavano « ben individuate nellostesso la natura e la quantità delle prestazioni, la loro scadenza e la loro concretaesigibilità, e non essendovi quindi incertezza sull’an e sul quantum deidubbia natura aleatoria del contratto di opzione connesso » ed ha definito il warrant «strumentofinanziario [. . .] caratterizzato da un’alea intrinseca, essendo del tutto incerto il risultato economicoa cui tende l‘investitore a causa della normale fluttuazione dei valori borsistici ».( 41 ) App. Genova, 9 maggio 1984, in Foro it., 1985, I, c. 266; App. Torino, 17 aprile 1984, inForo it., 1985, I, c. 632; Pretura Barletta, 6 agosto 1981 (ord.), in Banca, borsa e tit. di credito,1984, II, p. 412 ss.; Trib. Bolzano, 23 febbraio 1983, in Banca, borsa e tit. di credito, II, p. 484 ss.( 42 ) Gambino, L’assicurazione nella teoria dei contratti aleatori, Milano, 1964, p. 84; Bianchid’Espinosa, I contratti di borsa. Il riporto, in Trattato di diritto civile e commerciale, fondatoda Cicu e Messineo, Milano, 1969, p. 389; Ruoppolo, Le borse e i contratti di borsa, Torino,1970, p. 184; Serra, I contratti di borsa a premio, Milano, 1971, p. 79. In senso contrario, recentemente,Balestra, Il contratto aleatorio e l’alea normale, in Le monografie di <strong>Contratto</strong> e<strong>impresa</strong>, Padova, 2000.( 43 ) Secondo Cass., 4 agosto 1988, n. 4825 in Giur. it., 1988, I, 1, p. 1700 ss. si tratta di contratto«con il quale il compratore acquista la facoltà di decidere se ritirare il quantitativo pattuitodi titoli al prezzo base maggiorato del premio, o pagare il premio ». In dottrina Serra, I contrattidi borsa a premio, Milano, 1971, p. 241 e Coltro Campi, Considerazioni sui contratti a premioe sulla aleatorietà dei contratti di borsa, in Riv. dir. comm., 1958, I, p. 380 qualificano la fattispeciein termini di opzione; Bianchi d’Espinosa, I contratti di borsa. Il riporto, Milano, 1969, p.459 ravvisa un contratto con obbligazione alternativa; Messineo, Operazioni di borsa e di banca,Milano, 1966, p. 98 propende per la tesi del recesso.


ENCICLOPEDIA 261suoi effetti giuridici, dipendenti non da un rischio esterno, ma dal diritto potestativodi scelta attribuito ad una parte » e che, pertanto, « qualsiasi limitequantitativo della supposta eccessiva onerosità è irrilevante, se essa dipendeda eventi che devono essere presi in considerazione come prevedibili da tutti isoggetti che intendono operare in borsa » ( 44 ). La giurisprudenza, quindi, anchesulla scorta della concezione strutturale del contratto aleatorio, ha delineatochiaramente la linea di confine esistente tra contratti ad alea normaleillimitata e contratti aleatori che, a ben vedere, risultano accomunati solamentedalla impossibilità di applicare la disciplina della risoluzione per eccessivaonerosità sopravvenuta. In particolare, la distinzione tra le due fattispecierisiede nel fatto che mentre i contratti ad alea normale illimitata sonocontratti commutativi in cui l’evento futuro ed incerto influisce solo edesclusivamente sul valore economico delle prestazioni – che sono certe edeterminate sin dall’inizio e rimangono tali anche dopo l’eventuale oscillazionedi valore – nei contratti aleatori l’alea incide sull’esistenza o sulla determinazionedi una delle prestazioni ( 45 ).Orbene, posto che nei contratti di borsa l’evento incerto, ossia il rischiodi oscillazioni del corso dei titoli, non vale a rendere incerte le prestazioni,né sotto il profilo dell’esistenza né tantomeno sotto il profilo della individuazione,non ricorrono gli estremi tipici – incertezza sull’an o sul quantum– per poter configurare la figura del contratto aleatorio ( 46 ).( 44 ) Cass., 4 agosto 1988, n. 4825, in Giur. it., 1988, I, 1, p. 1700 ss. con nota di Alpa. Allastregua dei principi individuati sono stati ritenuti ricompresi nel concetto di alea normale anchei provvedimenti emessi dalle autorità preposte alla borsa che avevano modificato il corsodei titoli e le basi delle negoziazioni. Nello stesso senso Cass., 27 novembre 1990, n. 11412, inForo it., 1991, I, c. 2149; Cass., 23 febbraio 1993, n. 2338, in Foro it., 1993, I, c. 2192, ove si leggeche anche l’operatore occasionale deve presupporre la variabilità delle regole del mercato,ivi comprese quelle dovute a modificazioni normative. Anche secondo Trib. Firenze, 30 gennaio1986, in Giur. comm., 1988, II, p. 818 con nota di Giuliani «il rischio massimo assunto dalcompratore del premio è stato fin dall’origine predeterminato nell’ammontare del premio stesso,per cui la situazione del mercato azionario mai avrebbe potuto determinare uno squilibrio delleprestazioni contrattuali non previsto in sede di stipulazione, o tale, comunque, da superare l’aleanormale del contratto »; App. Genova, 9 maggio 1984, in Foro it., 1985, I, c. 226; App. Torino, 17aprile 1984, in Giur. it, 1985, I, 2, p. 626 con nota di Irrera; Pretura Barletta, 6 agosto 1981(ord.), in Banca, borsa, tit. di credito, 1984, II, p. 412; Trib. Bolzano, 23 febbraio 1983, in Banca,borsa, tit. di credito, II, p. 484.( 45 ) Così Maresca, Alea contrattuale e contratto di assicurazione, Napoli, 1979, p. 49; intermini analoghi anche Gabrielli, Tipo negoziale, prevedibilità dell’evento e qualità della partenella distribuzione del rischio, in Giur. it., 1986, I, 1, p. 1715.( 46 ) Maresca, Alea contrattuale e contratto di assicurazione, Napoli, 1979, p. 87; Bianchid’Espinosa, I contratti di borsa. Il riporto, in Trattato di dir. civile, diretto da Cicu e Messineo,Milano, 1969, p. 383.


262 CONTRATTO E IMPRESA 1/2011L’eventuale alterazione del valore economico della prestazione, infatti,non equivale ad eventuale incertezza sul quantum, in ragione del fatto chevalore economico e quantum sono concetti che attengono ad aspetti diversidella prestazione. Come è stato correttamente segnalato in dottrina, il primoesprime una valutazione in termini meramente economici mentre il secondoinerisce alla « fisicità » della prestazione, da individuarsi avendo riguardoalla specificità dell’oggetto ovvero facendo ricorso ai criteri del numero,del peso e della misura ( 47 ). In ragione di tali rilievi pare quindi condivisibilela configurazione dei contratti di borsa quali contratti commutativiad alea normale illimitata, ove le fluttuazioni delle quotazioni di mercatorientrano nell’ambito dell’alea economica (id est il rischio) del contrattoprescelto dalle parti e che, come tale, viene posta a carico esclusivo dei contraenti.A tale ricostruzione potrebbe opporsi che l’illimitatezza sia, di per sé,concetto incompatibile con quello di normalità e che, in altri termini, peraversi alea normale sarebbe necessario individuare un limite, oltrepassato ilquale l’alea non potrebbe essere qualificata come normale.In proposito, tuttavia, vale ricordare che ai fini dell’accertamento dellanormalità dell’alea assurgono ad elementi di valutazione sia il tipo contrattualeprescelto dalle parti, sia il contratto posto in essere in concreto. Ciòconsiderato, potrà ben verificarsi il caso – ed è, appunto, quello dei contrattidi borsa – in cui in ragione dei citati criteri sia possibile individuare fattispeciein cui l’alea, sebbene non circoscritta entro limiti predeterminati,può essere considerata normale. Alla luce di ciò, pertanto, pare che non visiano ragionevoli argomenti per respingere il concetto di alea normale illimitataassumendo che la normalità implicherebbe necessariamente l’esistenzaun suo ontologico limite; l’indagine condotta ai fini dell’accertamentodella normalità dell’alea può infatti evidenziare fattispecie in cui l’aleasi profila illimitata proprio in quanto connaturale alla specifica operazioneeconomico contrattuale voluta dalle parti.( 47 ) Così Dalmartello, Adempimento e inadempimento nel contratto di riporto, Padova,1958, p. 328, nota 173 bis il quale osserva che «Agli effetti della individuazione [. . .] della prestazionecontrattuale, il criterio del valore economico è del tutto irrilevante. Le prestazioni si individuanoo per i connotati specifici del loro oggetto (la tal cosa, il tal fondo); o in base ai criteri fisicidel numero, peso e misura [. . .]: e non già per il loro valore » e che «La prestazione di un determinatooggetto o di una data quantità di cose rimane, sotto l’aspetto giuridico, sempre la stessa,sia che quell’oggetto o quella quantità valga 10, sia che valga 100; non diventa un’altra, perchéquell’oggetto o quella quantità vale oggi 100, mentre ieri valeva solo 10 ».


GIOVANNI VILLAIl tort of negligence nel sistema inglese dei fatti illecitiSommario : 1. Caratteri fondamentali della materia in esame. – 2. La nascita dell’esigenza diun principio generale di responsabilità per colpa e il duplice significato di “negligence”. –3. La formulazione del neighbour principle e la natura giuridica del tort of negligence. – 4.Gli odierni parametri per l’identificazione del duty of care. – 5. Gli elementi costitutivi deltort of negligence e la componente del danno nel diritto dei torts. – 6. La violazione delduty of care e il danno ad essa conseguente: i concetti di causation e remoteness. – 7. Ildanno psichico. – 8. Il danno economico. – 9. La vis expansiva del tort of negligence.1. – Nel diritto privato inglese il termine tort significa “fatto illecito”, e ilsistema dei torts svolge, complessivamente considerato, la stessa funzioneche il legislatore italiano ha affidato agli artt. 2043-2059 del c.c., sarebbe a direquella di sottoporre a sanzione i responsabili di fatti illeciti ( 1 ).Nella presente materia, la differenza saliente tra i due ordinamenti è datadal fatto che mentre in quello italiano vige un principio di atipicità, percui si considera fatto illecito qualunque fatto doloso o colposo che cagionaad altri un danno ingiusto (art. 2043, c.c.), la common law risente di un’impostazioneoriginaria improntata ad un regime di tipicità, e presenta tuttorauna serie di circa settanta torts ciascuno posto a tutela di un determinato interesse.Il tort of defamation, ad esempio, protegge la reputazione, il trespassto land sanziona chi s’introduce indebitamente in un immobile altrui, mentrela private nuisance tutela i beni immobili contro le immissioni e i danneggiamenti.Per la specificità della loro funzione, i torts appartenenti alla suddetta serievengono definiti “named torts” o “nominate torts” ossia “illeciti nominati”,espressione che ci richiama alla mente quella di “contratti nominati”del diritto privato italiano, a suggellare l’idea che il diritto inglese, nella suaimpostazione iniziale, aveva previsto figure d’illecito rigorosamente definite( 2 ).( 1 ) La categoria dei torts s’inserisce, a sua volta, nella più ampio genere dei civil wrongs,che non ha esatto equivalente nell’ordinamento italiano, e che include figure quali il breach ofcontract, ossia l’inadempimento contrattuale.( 2 ) Ricordiamo, per inciso, che nel diritto privato italiano, si dicono contratti tipici o “nominati”quei contratti previsti e disciplinati dalla legge, come, ad esempio, la vendita, la permuta,la locazione. Ad essi fanno riscontro i contratti atipici o “innominati” ossia quei con-


264 CONTRATTO E IMPRESA 1/2011Nonostante la rigida impostazione ora descritta, il diritto dei torts hasubìto, nel corso del tempo, notevoli mutamenti a causa della progressivaaffermazione del tort of negligence. Questo tort, diversamente dai citati nominatetorts, non è posto a tutela di un interesse specifico, ma costituisce,piuttosto, l’espressione di un principio generale di responsabilità per colpa.In virtù di questo illecito, dunque, la responsabilità extracontrattuale noncade più solo su coloro che abbiano leso diritti attinenti ad uno specifico beneo categoria di beni, ma può essere ascritta a tutti coloro che, avendo il doveredi agire con diligenza verso qualcuno, gli abbiano cagionato un danno.Questo “dovere di agire con diligenza” ha preso, storicamente, il nome diduty of care, e l’allargamento dei casi in cui i giudici inglesi ne hanno riscontratola sussistenza ha costituito il fattore che ha determinato l’evoluzionedel tort of negligence.Nella presente trattazione, dopo aver esaminato la storia e l’attuale configurazionedel citato duty (§§ 2, 3, 4), completeremo l’indagine sugli elementicostitutivi del tort of negligence (§§ 5, 6). Esamineremo, quindi, alcunedelle applicazioni più innovative della disciplina di questo illecito (§§ 7, 8),per poi constatare come essa sia oggi applicabile addirittura in settori untempo regolamentati da altri torts (§ 9).2. – Nel paragrafo precedente abbiamo asserito che il tort of negligencecostituisce l’espressione di un principio generale di responsabilità per colpa.È ora giunto il momento di chiarire il contenuto di quest’affermazionee, per fare ciò, indicheremo innanzitutto quali significati possa assumere iltermine negligence nel diritto privato inglese. Passeremo, quindi, ad esaminarela temperie storica in cui si sentì, in maniera particolarmente marcata,la necessità dell’introduzione del principio in parola.Iniziamo con l’osservare che il termine negligence può assumere due diversisignificati:A) In una prima accezione esso indica l’elemento psicologico della “colpa”intesa come mancanza di diligenza. Allo stato soggettivo dellacolpa si contrappone quello del dolo, in inglese chiamato intention.B) Nella seconda accezione esso indica il tort of negligence, di cui abbiamofinora parlato.Per evitare fraintendimenti, chiariamo che ogni volta che, nel prosieguodella trattazione, useremo il termine negligence senza aggiungervi alcunaindicazione, faremo implicito riferimento al significato di cui alla lettera B,ossia al tort of negligence. Quando viceversa vorremo utilizzare questo terminenel significato sub A, lo faremo seguire da apposito richiamo.tratti non espressamente contemplati dal codice civile o da altre leggi, ma ideati e praticati nelmondo degli affari. Cfr. Galgano, Diritto Privato, 13 a ed., Padova, 2006, p. 225.


ENCICLOPEDIA 265In Inghilterra, agli inizi del secolo XIX, la materia dell’illecito civile eradominata dai nominate torts (v. § 1), molti dei quali erano azionabili sulla basedella semplice responsabilità oggettiva, detta strict liability. In particolare,questo tipo di responsabilità era prevista dall’illecito di trespass to theperson, posto a tutela di chiunque avesse subìto un danno fisico alla propriapersona ( 3 ).La Rivoluzione Industriale apportò nuove esigenze organizzative allagrande industria e alla classe media emergente, e un assetto della materiadei torts quale quello descritto si rivelò ben presto inadatto a soddisfare i bisognidelle suddette classi. Le innovazioni introdotte dall’ingegneria meccanicanei settori produttivi e l’estendersi della rete ferroviaria moltiplicaronole possibilità del verificarsi di sinistri, e i proprietari di macchinari si trovaronoesposti ad un tipo di responsabilità, quella oggettiva appunto, da essiconcepita come troppo rigorosa. Conseguenza ne fu che, a livello giuridico,si sentì il bisogno di apportare profondi cambiamenti in materia di fattiilleciti, donde l’affermarsi del principio “no liability without fault” ( 4 ). Il terminefault viene ancor oggi utilizzato per indicare una responsabilità aventela sua fonte, indifferentemente, nel dolo o nella colpa ( 5 ). È dunque evidentecome, con tale principio, si sia voluto esprimere un simbolico atto diripudio nei confronti della responsabilità oggettiva genericamente intesa.Al riguardo, è opportuno specificare fin d’ora che la strict liability non venne,per effetto del principio citato, bandita dal sistema dei torts. Tuttavia, lasua operatività venne fortemente limitata sia per l’evoluzione del tort of negligencesia per il fatto che, sul finire dell’Ottocento, il citato illecito di trespassto the person divenne azionabile solo per fatti commessi con dolo ocolpa ( 6 ).Tornado al tema principale del presente paragrafo, quello del bisogno,da parte della media ed alta borghesia, di un principio generale di responsabilitàper colpa, non si può evitare di analizzare che cosa si debba intendereper “responsabilità colposa” agli effetti del tort of negligence.Nel significato di cui alla lettera A (v. supra), il termine negligence esprime,se rigorosamente interpretato, un principio di responsabilità colposa di( 3 ) Questa definizione è da intendersi come provvisoria. Parleremo più dettagliatamentedi questo tort nel paragrafo 9, ove vedremo come esso abbia perso molta della sua iniziale importanzaproprio a causa dell’evoluzione del tort of negligence.( 4 ) Cfr. Fleming, The Law of Torts, 2 nd ed., Sydney-Melbourne-Brisbane, The Law BookCo. of Australasia Pty Ltd., 1961, p. 114.( 5 ) Cfr. Davies, “Tort”, in BIRKS-editor, English Private Law, Oxford, Oxford UniversityPress, 2000, vol. II, p. 409.( 6 ) Anche quest’affermazione verrà adeguatamente specificata nel par. 9.


266 CONTRATTO E IMPRESA 1/2011tipo soggettivo. La “colpa” cui esso fa riferimento altro non è, infatti, che l’elementopsicologico di colui che ha commesso un illecito. In questo sensonegligence significa, letteralmente, “negligenza” ossia mancanza di diligenzanel tenere un dato comportamento attivo od omissivo. Così intesa, la negligencenon è un tort a sé stante bensì, alla pari del dolo, un modo di commetterealcuni nominate torts ( 7 ).Al tipo di colpevolezza ora descritto si contrappone il principio di responsabilitàdel tort of negligence, il quale identifica la colpevolezza con parametrioggettivi. Secondo questo principio, compito dell’autorità giudiziarianon è quello d’indagare se un danno sia stato cagionato dallo scarso gradodi diligenza o attenzione che il responsabile ha avuto nel tenere un datocomportamento. Compito dei giudici è, viceversa, quello di capire se il dannostesso sarebbe stato evitato qualora il responsabile si fosse attenuto allostandard comportamentale giudicato come idoneo nel caso concreto. In altreparole ci si dovrà domandare come si sarebbe comportato, nei panni delresponsabile medesimo, il “reasonable man”, ossia la persona di media ragionevolezza( 8 ).La differenza tra i due tipi di responsabilità colposa che abbiamo ora descrittoappare più evidente nell’ambito degli errori professionali. Solo inquesto tipo di errori, infatti, può emergere un parametro che, per sua stessanatura, è caratteristico della sola responsabilità colposa di tipo oggettivo:quello dell’imperizia. È infatti evidente che, mentre il livello di diligenzache un professionista impiega nel suo lavoro costituisce un elemento essenzialmentepsicologico facente capo al professionista medesimo, la suapreparazione tecnica e la sua esperienza possono essere valutate solo tenendoconto del livello di preparazione medio degli appartenenti alla suacategoria ( 9 ).Ricapitolando quanto sinora osservato, possiamo affermare che mentrela “colpa” intesa come fattore psicologico (negligence sub A), potenzialmen-( 7 ) Cfr. Fleming, op. cit., p. 114. Tra i torts punibili sulla base di questo tipo di responsabilitàvi è il trespass to land (cfr. Elliott and Quinn, Tort Law, 3 rd ed., Harlow, Longman, 2001,pp. 268-269).( 8 ) Cfr. Pollock, Pollock’s Law of Tort, 15 th ed. by P.A. Landon, London, Stevens & SonsLimited, 1951, pp. 336-337.( 9 ) Si consideri l’esempio di un ingegnere il quale, nel realizzare un progetto, impieghitutta la sua personale attenzione. Orbene, l’opera realizzata potrebbe, nondimeno, esseremancante delle qualità essenziali (di sicurezza, conformità a norme, ecc.) che essa dovrebbeavere. In un caso simile, sarebbe evidente che la suddetta mancanza di qualità non potrebbeessere ascritta ad uno stato soggettivo del professionista, bensì alla sua insufficiente preparazioneed esperienza, ossia al suo scarso grado di perizia, valutabile solo tenendo conto del livellodi perizia medio di tutti gli appartenenti alla categoria degli ingegneri.


ENCICLOPEDIA 267te presente in qualsiasi tort, è concepita come un elemento meramente soggettivodell’illecito, la “colpa” posta a fondamento del tort of negligence (negligencesub B) costituisce un parametro essenzialmente oggettivo.La differenza tra i due citati tipi di colpa, nonché tra i due relativi significatidi negligence, è stata enfatizzata in dottrina al fine di evidenziare la peculiaritàdel principio di colpevolezza che sta alla base del tort of negligence( 10 ). Chiariamo, pertanto, che ogniqualvolta parleremo di “colpa” relativamentea questo tort intenderemo riferirci alla responsabilità colposa di tipooggettivo.In epoca antecedente la Rivoluzione Industriale si era parlato di “standardcomportamentale” o, più precisamente, di “standard di perizia e abilità”,solo con riferimento all’opera prestata dagli esercenti determinati mestierio professioni ( 11 ). Tra costoro possiamo ricordare l’artificiere, l’albergatore,il vettore, il chirurgo e il farmacista ( 12 ). Solo da alcune, specifiche,categorie di persone era quindi possibile pretendere quello standard comportamentalee di professionalità che, con l’avvento del tort of negligence,avrebbe preso definitivamente il nome di duty of care.Nel corso dell’Ottocento e degli inizi del Novecento, vi fu la tendenzagiurisprudenziale ad ampliare la casistica in cui doveva ritenersi sussistenteun duty of care in capo all’autore di un danno, e si cercò di elaborare un principiodi portata generale che enucleasse, in un’unica formula, tutti i casi incui doveva riscontrarsi il dovere in questione. Ogni tentativo in tal sensonon ebbe però esito positivo, perlomeno fino al 1932, anno della formulazionedel neighbour principle ( 13 ).3. – Nell’ambito del tort of negligence, il concetto di duty of care è definibilecome il dovere che una persona ha di usare diligenza, prudenza e, ove( 10 ) Cfr. Fleming, op. cit., pp. 114-115. Dobbiamo comunque rilevare che, oggidì, la differenzain parola assume un’importanza rilevante solo sul piano teorico. Ciò in quanto, nellapratica, si può osservare come la concezione di “colpa” intesa come “non-conformità a unostandard comportamentale” tenda ad espandersi anche al di fuori del tort of negligence (cfr.Davies, op. cit., p. 409).( 11 ) Cfr. Fleming, op. cit., p. 113.( 12 ) Si vedano gli elenchi riportati in Fleming, op. cit., p. 113, e in Winfield, Winfield onTort: a textbook on the law of torts, 6 th ed. by T.E. Lewis, London, Sweet & Maxwell Limited,1954, p. 476.( 13 ) L’enunciazione di una regola generale sul duty of care non molto dissimile dal neighbourprinciple si ebbe nell’ambito della causa Heaven v Pender [1883]. In quella occasione, tuttavia,la parte del collegio giudicante che l’aveva proposta rimase minoritaria. La causa è citatain Pollock, op. cit., pp. 326-327, e in Denning, The Discipline of Law, London, Butterworths,1979, pp. 230-231.


268 CONTRATTO E IMPRESA 1/2011richiesta, perizia, nel suo agire quotidiano, all’ovvio fine di non arrecaredanno ad altri.L’evoluzione giurisprudenziale e dottrinale del concetto in esame è stataprincipalmente connotata dal dibattito sul seguente interrogativo: chi sono“gli altri” nei cui confronti si deve osservare il duty of care? In altre parole,chi sono coloro verso i quali si deve agire con diligenza? Costituisconoessi una categoria illimitata di individui o sono, viceversa, definibili secondoparticolari parametri?Il criterio generale per constatare chi siano “gli altri” fu indicato dallaHouse of Lords nel caso Donoghue v Stevenson [1932]. Tale criterio è moltoimportante, poiché sulla sua base si sono evoluti i parametri della foreseeabilitye della proximity, tutt’oggi utilizzati per l’identificazione del duty of care(v. § 4).Nella controversia citata, la parte lesa era una signora la quale, avendoricevuto in dono da un’amica una bottiglia di birra, ne versò metà del contenutoin un bicchiere. Dopo aver bevuto tale quantità, versò anche la restanteparte e si accorse che in essa vi erano i resti decomposti di una lumaca.All’autorità giudiziaria la signora dichiarò che il fatto di aver bevuto labirra e la vista dei suddetti resti le avevano causato uno shock e una forte gastroenterite.Per questi motivi ella aveva citato in giudizio il produttore dellabevanda, il quale, a detta dell’attrice, era da ritenersi responsabile in negligence.La scelta di un’azione di tipo extracontrattuale derivava dalle seguenticonsiderazioni: 1) tra la parte lesa e il dettagliante che aveva vendutola birra non vi era alcun rapporto contrattuale; ricordiamo, infatti, che costuiaveva venduto la bevanda non all’attrice bensì ad un’amica di lei; 2) parimenti,non poteva considerarsi esistente alcun contratto tra la vittima e ilproduttore della birra.Orbene, nel presente caso, compito dell’autorità giudiziaria era quellodi constatare se il produttore avesse un duty of care nei confronti della partelesa. La House of Lords riscontrò la sussistenza di tale dovere e, nella suapronuncia, formulò un principio generale, noto come neighbour principle,divenuto poi applicabile in ogni azione fondata sul tort of negligence.Ricordiamo che nell’inglese comune il sostantivo neighbour può avere,oltre al significato di “vicino” (come, ad esempio, nell’espressione “vicino dicasa”), anche quello di “prossimo”, inteso come “coloro che ci circondano”,“i nostri simili”, “la collettività”. Nell’espressione neighbour principle, il sostantivoin esame indica “il prossimo”, tuttavia la House of Lords, nella personadi Lord Atkin, stabilì che in materia di negligence il significato di “neighbour”deve necessariamente essere più ristretto di quello comune. Secondoil giudice citato, ove un soggetto si domandi, prima di tenere un datocomportamento (attivo od omissivo), chi sia secondo la legge il suo prossimo,la risposta deve essere la seguente: tutte le persone dei cui diritti l’agen-


ENCICLOPEDIA 269te possa prevedere una lesione determinata dal suo comportamento ( 14 ).Analizzando il principio espresso dalla formula ora riportata, dobbiamoinnanzitutto ribadire che, parlando di prevedibilità, non si è voluto fare riferimentoalle capacità valutative di colui che volta per volta viene accusatodell’illecito in parola. Le capacità cui, di norma, i giudici dovranno fare riferimentosaranno, viceversa, quelle del “reasonable man”, ossia quelle “dell’uomodi media ragionevolezza” (v. § 2).L’ampiezza della formula utilizzata dalla House of Lords per definire ilduty of care ha reso applicabile la disciplina del tort of negligence ai più disparatiambiti e situazioni. Ciò, come abbiamo preannunciato nel par. 1, hacomportato la conseguenza che fatti un tempo regolamentati interamenteda altri torts sono oggi tutelabili con l’ausilio della disciplina in parola ( 15 ).Una domanda che è legittimo porsi, soprattutto alla luce dell’attuale importanzadell’illecito in esame, è quella relativa alla sua natura giuridica. Inaltre parole, ci si può chiedere se il tort of negligence sia oggi considerabile,anch’esso, un nominate tort.A quest’interrogativo, in dottrina non è finora stata data una rispostaunivoca. Mentre alcuni autori hanno dato risposta decisamente affermativa( 16 ), altri hanno dichiarato di considerare la negligence non un nominate tortma una semplice “basis of liability” ossia una “base di responsabilità” ( 17 ).Sembrano avere posizioni meno estremistiche, in entrambe le direzioni,la dottrina che considera la negligence un “indipendent tort” ( 18 ), e quellache, per riferirsi all’azionabilità giudiziale di quest’illecito, parla di “innominateaction for negligence” ( 19 ).Di sicuro vi è che il tort of negligence ha oggi assunto un posto di primopiano nell’ambito del sistema inglese dei fatti illeciti, come del resto è intuibiledalla constatazione che i trattati e i manuali di tort law dedicano ad essouno spazio di gran lunga superiore a quello riservato a qualsiasi altro tort.Ciò constatato, e considerate le particolarità dell’illecito in esame, possiamoaffermare che esso, indipendentemente dalla natura giuridica che gli sivoglia attribuire, risulta essere nettamente differente, per origine e funzione,da qualsiasi altro tort. Tale differenza, peraltro, appare ancor più eviden-( 14 ) Il testo originale di Lord Atkin è riportato da Davies, op. cit., p. 417.( 15 ) Di questa delicata problematica ci occuperemo nel par. 9, al termine della nostra trattazione,poiché riteniamo in primo luogo importante illustrare la struttura del tort of negligencee la sua progressiva affermazione nell’ambito della common law.( 16 ) Cfr. Winfield, op. cit., p. 247.( 17 ) Fleming, op. cit., p. 115. Parlando di “basis of liability” l’a. si riferisce alla responsabilitàcolposa di tipo oggettivo, di cui abbiamo parlato al paragrafo precedente.( 18 ) Pollock, op. cit., p. 326.( 19 ) Davies, op. cit., p. 480.


270 CONTRATTO E IMPRESA 1/2011te se si tiene conto dell’intrinseca idoneità del tort of negligence a tutelare dirittigià tutelati da altri torts e, di conseguenza, delle sue potenzialità di futureapplicazioni.4. – Dal 1932, anno in cui venne pronunciata la sentenza sul neighbourprinciple, ad oggi, la configurazione del duty of care è stata sottoposta ad approfondimentigiurisprudenziali e dottrinali. Per poter riscontrare, caso percaso, la sussistenza del suddetto duty, i giudici sono ora soliti prendere inesame quattro parametri, di cui ci accingiamo a trattare separatamente:A) foreseeability;B) proximity;C) fairness, justice and reasonableness;D) policy ( 20 ).A) Foreseeability significa “prevedibilità”. Tramite il presente parametro,la giurisprudenza valuta se colui che ha commesso il danno avrebbe dovutoprevedere, al momento della sua azione od omissione, la persona o lacategoria di persone che potevano subire il danno stesso. Come si può notareda quanto ora affermato, oggetto del presente parametro non è la prevedibilitàdel tipo di danno cagionabile, bensì l’identità, astrattamente considerata,della vittima ( 21 ).Per altro aspetto, ribadiamo ulteriormente che i giudici dovranno valutareil parametro in esame con criterio oggettivo, ossia avendo riguardo allecapacità di prevedere il danno facenti capo al più volte citato “reasonableman” (v. §§ 2 e 3).Per chiarire il concetto di foreseeability ci serviremo ora di qualche casogiurisprudenziale. La causa Haley v London Electric Board [1965], ad esempio,fu originata dal comportamento di alcuni operai che eseguivano scavistradali. Costoro lasciarono un martello su di un marciapiede al fine di avvertirei passanti degli scavi medesimi, tuttavia una persona non vedente inciampòsul martello e riportò alcune lesioni. L’autorità giudiziaria ritenne( 20 ) Si noti che parte della dottrina considera il parametro della policy sullo stesso pianodegli altri che abbiamo elencato, o, perlomeno, ne tratta unitamente ad essi (v. Cooke, Law ofTort, 7th ed., Harlow, Longman, 2005, pp. 38 ss.). Altri autori, invece, pongono in primo pianosolo i parametri da noi elencati ai punti A, B e C, e trattano separatamente della policy (v. Davies,op. cit., pp. 419-423).( 21 ) Alcuni autori sono espliciti nell’intitolare il paragrafo da essi dedicato all’argomentoin esame “The foreseeable claimant”, ossia “Il prevedibile attore” (v. Lunney and Oliphant,Tort Law: Text and materials, 3rd ed., Oxford, Oxford University Press, 2008, p. 129). Cogliamol’occasione per anticipare che la prevedibilità del tipo di danno cagionabile costituisce il parametroper determinare la cosiddetta remoteness of damage, di cui parleremo nel par. 6.


ENCICLOPEDIA 271che la collocazione del martello sul marciapiede, pur costituendo un validoavviso per le persone vedenti, presentava un pericolo per i non vedenti, iquali erano da ritenersi una categoria sufficientemente ampia da dover esseretenuta in considerazione in circostanze come quelle in esame. Gli operaiavrebbero, perciò, dovuto prevedere che tra i passanti potevano esservidei non vedenti ( 22 ).Altro caso di scuola è dato dalla controversia Bourhill v Young [1943], originatadalla circostanza che l’attrice, scendendo da un tram, udì il rumore diun incidente stradale. Ella non vide l’incidente vero e proprio ma, in un momentosuccessivo, passò vicino al luogo ove esso era accaduto e, nel vedereuna chiazza di sangue sulla strada, subì uno shock nervoso. L’autorità giudiziariaritenne che colui che aveva cagionato l’incidente ben potesse prevedereche qualcuno avrebbe potuto subire un danno psichico a causa dell’incidentestesso. Nel caso concreto, tuttavia, al momento dell’accadimento,l’attrice si trovava sufficientemente lontana dal luogo del sinistro da farsì che ella non fosse contemplabile come potenziale vittima ( 23 ).Riguardo a quest’ultimo caso, notiamo come l’impossibilità di prevedereil danno all’attrice sia stata apprezzata tenendo conto del fatto che ella eratroppo distante dal luogo dell’incidente al momento in cui esso si è verificato.In altre parole, al fine di valutare la foreseeability, i giudici si sono servitidel parametro della “vicinanza” tra accadimento dannoso e vittima, parametrodi cui ci accingiamo ora a trattare.B) Proximity significa “vicinanza”, ed è un termine atto ad esprimere siail concetto di “vicinanza in senso geografico” sia quello di “legame o rapportotra due soggetti”. Come abbiamo notato poc’anzi, può capitare chel’argomento della foreseeability s’intrecci strettamente con quello dellaproximity. Ciò accade, segnatamente, nei casi in cui la “vicinanza” in parolasia da intendersi in senso meramente geografico. L’esempio più lampantedi questo tipo di proximity è dato dal caso in cui un autoveicolo urti un passantecagionandogli una lesione. In simili circostanze, il requisito della “vicinanzain senso geografico” tra danneggiante e danneggiato è, per così dire,in re ipsa.Più difficile sarà valutare la vicinanza geografica quando la parte lesa abbiasubìto un danno non sul piano fisico ma solo su quello emozionale, adesempio per aver assistito ad un grave incidente o alle conseguenze di esso.È evidente che, ancora una volta, ci stiamo riferendo a casi simili alla controversiaBourhill v Young, l’ultima da noi riportata in tema di foreseeability( 22 ) Il caso descritto è citato da Davies (op. cit., p. 420) e riportato per esteso da Cooke (op.cit., p. 133).( 23 ) Il caso è riportato da Cooke (op. cit., p. 39).


272 CONTRATTO E IMPRESA 1/2011(v. supra). Ribadiamo che in quel caso i giudici rilevarono l’assenza del dutyof care del convenuto nei confronti dell’attrice in quanto costei si trovava,all’atto dell’incidente, troppo lontana dal luogo ove esso avvenne. Potremmoipotizzare che la decisione dei giudici sarebbe stata diversa ove l’attriceavesse avuto uno stretto legame di parentela con la vittima principale dell’incidente(ossia con colui che aveva riportato danni fisici), e magari fossegiunta nel luogo dell’incidente stesso prima del momento in cui realmentevi giunse. La giurisprudenza inglese è, infatti, propensa ad accordare il risarcimentoper danni psichici a chi constata le immediate conseguenze diun incidente qualora costui abbia un particolare legame affettivo con la vittima( 24 ). Ebbene, come anticipato, risulta evidente che in quest’ultima seriedi casi il parametro della proximity è valutato tenendo conto non solo didati geografici ma anche del legame affettivo tra vittima principale e soggettoche subisce uno shock nel constatarne le condizioni.Un caso in cui il parametro della proximity assume connotati interamenteextra-geografici emerge, invece, dalla casistica relativa ai danni dafalse informazioni: ove un soggetto cagioni un danno ad un’altra personaper averle fornito informazioni poi rivelatesi false, il primo potrà esserechiamato a rispondere del tort of negligence solo qualora tra i due soggettifosse preesistente una “special relationship”. Nel par. 8, in tema di dannoeconomico, spiegheremo che cosa debba intendersi per questa “relazionespeciale”. Per ora ci basti sapere che è proprio in questa relazione che, indottrina, viene identificato l’elemento della proximity ( 25 ).C) In virtù del terzo parametro elencato, un soggetto può essere tenutoal duty of care nei confronti di un altro solo ove l’imposizione di un similedovere appaia corretta (fair), giusta (just) e ragionevole (reasonable). Adesempio, al nascituro è riconosciuto, durante la gestazione, il diritto a chenon gli venga cagionato alcun tipo di danno. Viceversa, a colui che sia natocon gravi patologie o malformazioni non è data alcuna azione giudiziale peril fatto che la madre non abbia praticato l’aborto. In altre parole, non gli puòessere riconosciuto, relativamente al periodo della gestazione medesima,un diritto a morire, cui farebbe riscontro un ipotetico duty of care, della madreo dei medici, avente ad oggetto la cessazione della gravidanza. Secondol’attuale sensibilità della giurisprudenza inglese, un simile dovere sarebbe,infatti, privo dei citati requisiti di correttezza, giustizia e ragionevolezza ( 26 ).D) Nel presente contesto, il termine policy significa “politica”, nel sensodi “prassi”, “linea di condotta”, e si riferisce alle considerazioni di politica( 24 ) La tematica del danno psichico verrà esaminata nel par. 7.( 25 ) Cfr. Cooke, op. cit., p. 40.( 26 ) Cfr. Davies, op. cit., p. 422.


ENCICLOPEDIA 273del diritto con le quali la giurisprudenza inglese cerca di far sì che il responsabiledel tort of negligence non sia sottoposto ad una responsabilità indeterminata.Ciò può accadere quando, in seguito ad una sola azione (od omissione),l’agente si veda accusato di un gran numero di illeciti e da una grandequantità di persone. Si noti, dunque, che mentre il parametro della foreseeability(v. punto A) è relativo alla persona del danneggiato, il presente parametroè relativo al numero di danni cagionati dal responsabile. Si pensi,ad esempio, al caso in cui una persona ometta negligentemente di far eseguireregolari controlli sulla sua automobile. Qualora l’auto abbia un guastoall’interno di un tunnel e causi un grande ingorgo stradale, può accadereche molti altri automobilisti, costretti a fermarsi, arrivino tardi al lavoro eche tale ritardo cagioni loro altri danni, come la perdita della retribuzione ola mancata conclusione di importanti affari. Quest’ultimo tipo d’inconvenientepotrebbe, a sua volta, provocare il fallimento della ditta per cui essilavorano o altre pregiudizievoli conseguenze ( 27 ). Qualora ognuna dellepersone bloccate nell’ingorgo fosse ammessa ad agire, relativamente adogni perdita riportata, contro il proprietario dell’auto in panne, costui potrebbetrovarsi esposto ad una responsabilità indeterminata. Ciò causerebbe,tra l’altro, un esorbitante numero di cause giudiziarie con conseguenteparalisi della giustizia. Intervengono allora le citate ragioni di politica del dirittoper porre un limite alle azioni esperibili contro il colpevole.Riassumendo quanto esposto nel presente paragrafo, oggigiorno unsoggetto potrà essere ritenuto responsabile del tort of negligence solo quandol’autorità giudiziaria rinvenga in capo a lui la sussistenza di un duty of carenei confronti del danneggiato. Tale duty sarà rinvenibile solo qualora sianoassolte tutte le seguenti condizioni:a) il responsabile avrebbe dovuto prevedere il danno, tenendo contodella capacità di giudizio dell’uomo medio;b) deve essere sussistente un rapporto di proximity in una qualsiasi delleaccezioni sopra illustrate (v. punto B);c) l’imposizione di un duty of care in capo all’autore del danno deve esseregiudicata corretta, giusta e ragionevole;d) non vi devono essere ragioni di politica del diritto ad impedire l’attribuzionedi responsabilità.5. – Il fatto che un soggetto abbia violato il duty of care cui era tenuto neiconfronti di un’altra persona non basta a renderlo responsabile nei confrontidi essa. Bisogna infatti che costei abbia, in concreto, subìto un dannoa causa della violazione. Tenendo conto di ciò, siamo ora in grado di elencaretutti gli elementi costitutivi del tort of negligence:( 27 ) Quest’es. ricalca quello formulato in Cooke, op. cit., p. 42.


274 CONTRATTO E IMPRESA 1/20111) la legge deve riconoscere l’esistenza, in capo a colui che ha cagionatoil danno, di un duty of care nei confronti della vittima;2) il responsabile deve aver posto in essere un comportamento, attivood omissivo, qualificabile come breach of duty, ossia una violazionedel suddetto dovere;3) il suddetto comportamento deve avere, di fatto, cagionato un danno(damage) alla vittima.Relativamente al punto n. 3, precisiamo che nel diritto inglese il dannonon è sempre una componente essenziale delle figure d’illecito extracontrattuale.Esistono infatti alcuni nominate torts per la cui azionabilità giudizialenon importa che l’attore fornisca prova del danno subìto. Questi illeciti,tra cui rientrano le varie tipologie di trespass ( 28 ), sono chiamati “actionableper se”, ovvero azionabili “di per sé”, indipendentemente dalla prova deldanno. A fronte di un tort avente questa qualifica, all’autorità giudiziaria èpermesso, quando il danno sia effettivamente inesistente o di minima entità,emettere una pronuncia che accordi all’attore i cosiddetti nominal damages,ossia un risarcimento irrisorio, avente valore puramente simbolico.Il tipo di risarcimento che, viceversa, viene accordato dal giudice nellanormalità dei casi è quello avente carattere compensativo (compensatorydamages), e si può anzi affermare che la principale funzione del risarcimentonel diritto dei torts sia proprio quella di compensare l’attore per la perditasubita a causa dell’illecito. Questo è dunque il tipo di risarcimento al qualefaremo implicito riferimento nei prossimi paragrafi, parlando del tort ofnegligence ( 29 ).6. – Contrariamente a quanto prevede la disciplina di numerosi nominatetorts, nel tort of negligence spetta alla parte lesa provare la responsabilitàdel danneggiante ( 30 ). Soltanto in due circostanze tale prova non viene ri-( 28 ) I già citati illeciti di trespass to land e trespass to the person appartengono al più ampiogenere del trespass, che include anche la figura del trespass to goods, posta a tutela dei benimobili.( 29 ) Per completezza d’informazione, ricordiamo che nel diritto dei torts, diversamenteda quanto accade in ambito contrattuale, sono ammissibili anche i punitive damages (detti ancheexemplary damages o vindicative damages). Questo tipo di risarcimento è improntato adun parametro punitivo per l’offensore ed è accordabile dall’autorità giudiziaria solo in casi diparticolare gravità stabiliti dalla legge scritta (statue law) o in alcuni gravi illeciti commessi intenzionalmente.( 30 ) È opportuno specificare che vari nominate torts sono azionabili sulla base della sempliceresponsabilità oggettiva (strict liability) dell’a. del danno. Al di fuori di questi casi, la giurisprudenzainglese è stata impegnata anche nel decidere se, in determinate ipotesi, non fosseil convenuto a doversi liberare da una presunzione di colpa. A tal proposito, si veda quantoriportato al par. 9 in tema di trespass to the person (cfr. Cooke, op. cit., pp. 359-360).


ENCICLOPEDIA 275chiesta. La prima esenzione è data dalla Section 11 del Civil Evidence Act1968, secondo cui la condanna subita da una persona in un procedimentopenale relativo a determinati fatti costituisce prova della sua responsabilitàin un procedimento civile avente ad oggetto i medesimi fatti. La secondaesenzione è riassumibile nel motto latino res ipsa loquitur. Questo mottoenuclea il principio secondo il quale quando il danno è, per le modalità delsuo accadimento, tale per cui non può verificarsi se non nel caso in cui il suoautore abbia omesso la dovuta diligenza, prudenza o perizia, la parte lesadeve ritenersi sollevata dall’onere di provare la responsabilità dell’autoremedesimo ( 31 ).Prescindendo dalle eccezioni ora ricordate, chi promuove un’azionefondata sul tort of negligence dovrà provare quanto segue: a) che il convenutosi è reso responsabile di una violazione del duty of care nei confronti dellavittima; b) che la vittima ha subìto un danno; c) che il danno è stato determinatodalla suddetta violazione.Nel presente contesto, la causazione del danno è chiamata causation, eper darne prova è necessario che l’attore dimostri che il danno non si sarebbeverificato se non vi fosse stata violazione del duty of care da parte del presuntoresponsabile. Più sinteticamente, si può dire che la violazione deveessere conditio sine qua non dell’evento dannoso. Un esempio d’indaginesulla causation è dato dalla controversia Barnett v Chelsea and KensingtonHospital Management Committee [1969], vertente sul caso di una persona ricoveratain ospedale in seguito ad un forte malore. I medici dell’ospedale sierano rifiutati di visitare l’ammalato e gli avevano detto di rivolgersi al suomedico curante. Cinque ore dopo essere stato dimesso dall’ospedale il pazientemorì. La magistratura rilevò che i medici ospedalieri avevano violatoil duty of care nei confronti dell’ammalato, tuttavia essi non furono ritenutiresponsabili della sua morte. Fu infatti appurato che la vittima aveva ingeritouna forte dose di arsenico e che quindi la morte sarebbe sopraggiunta anchein caso d’immediato intervento in ambiente ospedaliero.Nei casi in cui la violazione in parola costituisce la vera e propria causadel danno, il responsabile può, nondimeno, evitare la condanna relativa aquelle conseguenze del danno stesso che il giudice ritenga essere state “nonprevedibili al momento dell’azione (od omissione) del responsabile medesimo”.Ci stiamo riferendo al parametro della remoteness, termine che genericamentesignifica “lontananza” o, nel presente contesto, “estraneità”, “improbabilità”.( 31 ) Relativamente al principio res ipsa loquitur, si vedano le sentenze riportate in Cooke,op. cit., pp. 137-140.


276 CONTRATTO E IMPRESA 1/2011Notiamo, innanzitutto, la differenza tra il requisito della prevedibilitàdel danno cui si fa riferimento nel presente contesto, e quello della foreseeability,intesa come requisito integrante del duty of care, di cui abbiamoparlato al punto A del par. 4. In tema di duty of care, ad un soggetto si chiededi prevedere quali persone, o categorie di persone, possano subire pregiudiziodalla sua azione od omissione. In tema di remoteness, invece, il potenzialeresponsabile deve prevedere quale tipo di danno (kind of damage) possaverosimilmente scaturire dal suo comportamento ( 32 ). La giurisprudenzainglese ha infatti stabilito il principio per cui, chi ha cagionato un determinatotipo di danno, potrà essere ritenuto responsabile di esso solo qualora ildanno medesimo, in virtù delle sue caratteristiche specifiche, abbia potutoessere valutato come “prevedibile” al momento in cui il suo autore ha tenutoil comportamento che lo ha cagionato. Un esempio dell’applicazione ditale principio ci è offerto dalla causa The Wagon Mound (No. 1) [1961], originatadal fatto che il convenuto, proprietario di una nave, aveva negligentementepermesso che il personale di bordo scaricasse petrolio nel porto diSydney. Tale petrolio, galleggiando, arrivò a lambire la banchina dell’attore,sulla quale alcuni operai stavano eseguendo lavori di saldatura. Costorocontinuarono il loro lavoro nonostante la presenza del petrolio, in quantoera stato loro detto (in maniera poi giudicata “non negligente”) che vi era sicurezzanell’uso della fiamma ossidrica anche in presenza di petrolio in acqua.Alcune scintille, tuttavia, incendiarono dei frammenti di cotone chegalleggiavano unitamente al petrolio; dopodiché il petrolio stesso presefuoco determinando l’incendio dell’intera banchina. Orbene, la giurisprudenzanon ritenne responsabile il convenuto del tort of negligence relativamenteall’incendio, in quanto accertò che l’eventualità che il petrolio prendessefuoco in acqua non era prevedibile in quelle particolari circostanze.Soltanto un danno da inquinamento, affermarono i giudici, poteva ritenersiprevedibile a seguito del comportamento negligente del convenuto ( 33 ).Più arduo è tracciare una differenza tra la disciplina della remoteness e lelimitazioni alla responsabilità dell’agente dovute a ragioni di policy, di cuiabbiamo trattato nel par. 4 al punto D. Parte della dottrina sembra voler affermareche il concetto di remoteness derivi proprio da esigenze di politicadel diritto, allorché rileva come la limitazione di responsabilità di cui è portatoreil concetto in esame sia voluta dall’ordinamento per motivi di “legal( 32 ) Non sono, tuttavia, mancati casi in cui è stato difficile capire se la prevedibilità di undato accadimento fosse da valutarsi nell’ambito del duty of care o in quello della remoteness(cfr. Harpwood, Modern Tort Law, 6 th ed., London, Cavendish, 2005-repr. 2006, p. 176).( 33 ) Si veda il resoconto dei fatti della causa esposto in Hodgson and Lewthwaite, TortLaw, Oxford, Oxford University Press, 2004, pp. 108-109, e in Elliott and Quinn, op. cit., p.100.


ENCICLOPEDIA 277policy” ( 34 ). Da parte nostra, ci limitiamo a notare che in molti esempi riguardantiil concetto di policy i testi di tort law configurano la presenza diuna serie di fatti illeciti, tutti derivanti da un’unica azione od omissione, eaventi ciascuno una sua propria vittima. Viceversa, negli esempi relativi alconcetto di remoteness vengono normalmente presentate situazioni in cuivi è un solo soggetto danneggiante ed un solo soggetto danneggiato, con laparticolarità che il danno inizialmente subìto da quest’ultimo si aggrava conmodalità da ritenersi, o meno, “prevedibili”, a seconda dei casi ( 35 ).7. – Uno degli ambiti in cui sono più evidenti le innovazioni apportatedal tort of negligence nel diritto inglese è quello del danno psichico.Nella normalità delle ipotesi, i giudici d’oltremanica sono propensi a risarcirele sofferenze mentali di un individuo quando queste siano conseguenzadi un danno fisico da lui subìto. Quando, viceversa, tali sofferenzederivino da un danno fisico riportato non dall’attore ma da altra persona, igiudici sono soliti adottare un parametro assai più rigoroso: il risarcimentoè ammissibile solo ove le sofferenze derivino da una vera e propria psychiatricillness (malattia psichica) la quale, a sua volta, sia insorta in seguito adun nervous shock (shock nervoso). Com’è intuibile, quest’ultimo requisitolimita notevolmente i casi di risarcibilità del danno in parola. Molte volte,infatti, si verifica la circostanza in cui una persona, assistendo alla malattia eal declino di un proprio congiunto, soffre di una psychiatric illness non risarcibilein quanto insorta gradualmente, e non a causa di un preciso eventoche abbia determinato un nervous shock ( 36 ). L’evento atto a determinare loshock può consistere, ad esempio, nel fatto di assistere in prima persona all’incidentedi cui è vittima una persona cara, o nel fatto di vederla immediatamentedopo il sinistro.In materia d’infortunistica, i giuristi inglesi hanno tracciato un netta distinzionetra vittime primarie (primary victims) e vittime secondarie (secondaryvictims).Vittime primarie sono le persone che, al momento del verificarsi di unincidente (ad esempio, stradale), si sono trovate nella cosiddetta “area ofphysical danger”, ossia nell’area, di solito corrispondente alle immediate vicinanzedell’incidente medesimo, in cui vi era pericolo di un danno fisico( 34 ) Lunney and Oliphant, op. cit., p. 268.( 35 ) Assai esemplificative di quanto ora affermato in tema di remoteness sono le cause Tremainv Pike [1969] e Smith v Leech Brian & Co [1962], citate da Cooke (op. cit., pp. 163, 166),nonché la causa Bradford v Robinson Rentals Ltd [1967], citata da Hodgson and Lewthwaite(op. cit., p. 109).( 36 ) Cfr. Davies, op. cit., p. 444.


278 CONTRATTO E IMPRESA 1/2011anche per esse. Queste persone possono ottenere un risarcimento per nervousshock sia che abbiano subìto un danno fisico sia che non lo abbianosubìto, dovendo solo dimostrare di essersi trovate nell’area in cui vi era il rischioche un tale danno potesse verificarsi. Vittime primarie sono inoltrecoloro che, pur non trovandosi nella suddetta area di pericolo, supponevanoragionevolmente di trovarvisi ( 37 ).Vittime secondarie sono le persone che hanno subìto un nervous shocknon perché si trovavano nell’area di pericolo ma perché aventi le seguenticaratteristiche:a) uno stretto legame affettivo, normalmente determinato da parentela,con colui che dall’incidente ha riportato un danno fisico ( 38 );b) erano vicine al luogo dell’incidente in termini di tempo e di spazio;c) hanno assistito all’incidente o ne hanno constatato le immediate conseguenzein prima persona.Si noti come, in base all’ultimo requisito elencato, non sia sufficienteche le persone in parola abbiano avuto notizia dell’incidente da altri senzaessersi recate sul luogo dell’accaduto o senza aver visto la vittima dopo l’incidentestesso. I citati requisiti sono stati formulati dalla giurisprudenza nellacausa McLoughlin v O’Brian [1983], vinta dall’attrice, la quale aveva subìtouna fortissima depressione in seguito ad un incidente stradale che avevacagionato il ferimento del marito e di due figli nonché la morte del terzo figlio.La signora venne a sapere dell’incidente un’ora dopo l’accadimento e,condotta all’ospedale, vide i feriti e constatò il decesso ( 39 ).È rilevante notare come tutti i criteri dettati dalla giurisprudenza per l’identificazionedelle vittime, primarie o secondarie, altro non siano che criteriper identificare il requisito della proximity, essenziale per rilevare la presenzadel duty of care in capo a colui che ha cagionato il danno (v. § 4, puntoB).Al di fuori dei casi di nervous shock la common law non ammette possibilitàdi risarcire le sofferenze psichiche derivanti da casi simili a quello oradescritto. A colmare questa lacuna giurisprudenziale è però intervenuta lalegge scritta (statute law). Ci stiamo riferendo al Fatal Accidents Act 1976,tuttora vigente, il quale contempla il cosiddetto bereavement claim, ossia ildiritto al risarcimento per gli stretti congiunti di una persona deceduta in un( 37 ) Ibidem.( 38 ) Relativamente a questo parametro, la categoria delle secondary victims non costituiscecertamente un numero chiuso, poiché lo “stretto legame affettivo” è da intendersi comeun fattore da provarsi volta per volta (cfr. Davies, op. cit., p. 446).( 39 ) Una dettagliata descrizione dei fatti della causa è riportata in Cooke, op. cit., pp. 61-62.


ENCICLOPEDIA 279incidente, relativamente al fatto stesso del lutto ( 40 ). Si noti che questa leggenon richiede la diagnosi specifica di nervous shock, bensì ritiene che unasemplice sofferenza emotiva (emotional distress) conferisca il diritto al risarcimentoai congiunti medesimi. Oltre che per questo motivo, il citato attolegislativo parrebbe prevedere più ampie possibilità di risarcimento, rispettoa quelle offerte dalla common law, per il fatto che esso non richiede la valutazionegiudiziale del parametro della proximity ( 41 ). In realtà, bisognaconsiderare che questo maggior raggio di applicazione è temperato sia dalfatto che la legge prevede il risarcimento relativamente ai soli casi di mortee non a quelli di lesioni, sia dalla constatazione che le persone che ne hannodiritto sono soltanto quei pochissimi congiunti identificati dalla leggestessa (Sec. 1A.2).8. – Altro settore significativamente innovato dal tort of negligence èquello del danno economico. Nel diritto inglese, in linea di principio, la economicloss, ossia la perdita economica, è risarcibile quando sia la conseguenzadi un danno fisico. La sua risarcibilità è, viceversa, assai più limitataallorché essa non derivi da tale tipo di danno, nel qual caso si dovrà parlaredi pure economic loss (“perdita puramente economica”).Alcuni nominate torts permettono la risarcibilità della pure economic lossove il fatto o l’atto che l’ha cagionata sia stato doloso ma non l’ammettonoove esso derivi da semplice colpa ( 42 ).Con l’azione di negligence, l’attore può ottenere il risarcimento relativamentea perdite economiche derivanti da danni alla sua persona o alle sueproprietà. Ad esempio, per un incidente colposo da altri cagionato che costringal’attore ad un periodo di assenza dal lavoro, costui potrà essere risarcito,oltre che delle sofferenze patite e delle spese mediche, anche deglieventuali mancati guadagni nei giorni di convalescenza.Per quanto concerne i casi di pure economic loss, si può senz’altro notarecome la regola, nell’ambito della disciplina del tort of negligence, sia quelladella non risarcibilità. A tal proposito, bisogna ricordare che la giurisprudenzainglese, a differenza di quella italiana, non ammette il risarcimentonei casi di “lesione del credito”, ossia nei casi in cui un soggetto subisca una( 40 ) Più precisamente, ricordiamo che il bereavement claim è stato introdotto tramite unamodifica apportata alla legge citata dalla Administration of Justice Act 1982.( 41 ) Ciò significa che, per avere il risarcimento in virtù della legge citata, i congiunti dellavittima non avranno necessità di provare di essersi trovati nelle vicinanze del luogo dell’incidenteo di aver assistito alle immediate conseguenze di esso.( 42 ) Tra questi torts possiamo ricordare il deceit, consistente in un raggiro cagionato dauna falsa dichiarazione.


280 CONTRATTO E IMPRESA 1/2011perdita economica a causa di un danno fisico riportato da una persona a luilegata contrattualmente ( 43 ). Gli unici crediti la cui lesione viene tutelata daldiritto inglese sono quelli dei familiari delle persone rimaste uccise in un incidente.Questa eccezione non è però stata introdotta dalla giurisprudenzabensì dalla legge scritta. Ci stiamo riferendo al Fatal Accidents Act 1846, inbase al quale poterono ottenere il risarcimento per danno economico il coniuge,i figli e i genitori della persona deceduta in un incidente. Tale legge fupiù volte emendata, fino ad essere per intero sostituita dal Fatal AccidentsAct 1976, già citato al paragrafo precedente, che ha nettamente ampliato lecategorie di persone aventi diritto al risarcimento per danno puramenteeconomico. Costoro sono chiamati dalla legge dependants, ossia “persone acarico”, e nel loro numero vengono inclusi, oltre agli stretti congiunti deldefunto, anche soggetti quali “coloro che vivevano nella stessa casa dellapersona deceduta, immediatamente prima del verificarsi del decesso” (Sec.1.3) ( 44 ).Sempre in tema di negligence e di pure economic loss, un’altra eccezionealla non risarcibilità del danno, introdotta questa volta dalla giurisprudenza,è quella relativa a casi di negligenza o imperizia professionale. Supponiamo,ad esempio, che A si rivolga al suo avvocato B affinché costui redigail testamento di A a favore di C. Qualora il testamento venga redatto negligentemente,e C sia, pertanto, impossibilitato a succedere, egli potrà ottenereda B il risarcimento relativamente alla perdita economica subita ( 45 ).Altro caso in cui la giurisprudenza ha ammesso la risarcibilità della pureeconomic loss è quello relativo alla comunicazione di false informazioni, circostanzaemersa nella famosa causa Hedley Byrne & Co Ltd v Heller & PartnersLtd [1964]. Riportiamo, sinteticamente, i fatti che hanno originato la( 43 ) In <strong>Italia</strong>, il primo caso di risarcimento per lesione del credito fu quello originato dall’uccisionecolposa, da parte di un automobilista, del calciatore Luigi Meroni, nel 1967. Nellacausa giudiziaria che ne seguì la Cass. accordò al Torino Calcio Spa, società cui appartenevaMeroni, il risarcimento per il danno economico subìto a causa della perdita delle prestazionisportive del calciatore. Per quanto riguarda il diritto inglese, si ritiene che una simile svoltagiurisprudenziale sia, tuttora, alquanto improbabile (cfr. Lunney and Oliphant, op. cit., p.379).( 44 ) La pretesa risarcitoria dei dependants relativa alla loro perdita economica è detta dependancyclaim, mentre altre somme cui essi hanno diritto sono quelle impiegate per l’allestimentodel funerale (Sec. 3.5). Oltre a queste pretese, il Fatal Accidents Act 1976 contempla ancheun bereavement claim, ossia il diritto al risarcimento fondato non sulla perdita economicama sul fatto stesso del lutto, di cui abbiamo parlato alla fine del paragrafo precedente. Tale dirittonon spetta però alla generalità dei dependants ma solo a quei pochi congiunti del defuntoidentificati dalla legge stessa (Sec. 1A.2).( 45 ) L’es. ora formulato è tratto dal caso Ross v Caunters [1980].


ENCICLOPEDIA 281controversia: la società attrice, volendo referenze su uno dei suoi clienti, leottenne dalla banca di lui (facendosele pervenire tramite la banca dell’attricestessa). Nel rilasciare le referenze, la banca del cliente affermò che essevenivano comunicate “without responsibility”, ovvero “senza responsabilità”.Facendo affidamento su tali informazioni, poi rivelatesi false, la societàattrice perse una rilevante somma di danaro ed agì in negligence controla banca del cliente. La House of Lords ritenne che, nella fattispecie, la societànon poteva recuperare la somma perduta, stante che le informazionierano state date “senza responsabilità”. Tuttavia, venne contestualmentesancito il principio della risarcibilità della pure economic loss nei casi in cui lacomunicazione di simili informazioni non fosse accompagnata dalla suddettaformula di esenzione da responsabilità. Per lungo tempo si è ritenutoche questo principio potesse trovare applicazione solo nei casi di negligentmisstatements, ossia di dichiarazioni false rilasciate colposamente. Recentisentenze della House of Lords ne hanno però esteso l’applicabilità ai casi incui le informazioni false siano state date, non con dichiarazioni, ma tramitepiù generiche “azioni od omissioni”. Per l’operatività del principio, inoltre,è essenziale che le informazioni siano state date nell’ambito di una specialrelationship esistente tra il soggetto che le ha fornite e colui che le ha ricevute.Per un certo periodo di tempo, la giurisprudenza ha omesso di definirel’esatto contenuto di questa “relazione speciale”, ragion per cui tale formulaha originato vari dibattiti interpretativi. Recenti orientamenti giurisprudenzialihanno rilevato la presenza della citata relationship nei casi incui il rapporto tra i due soggetti sia qualificabile come “equivalente ad uncontratto” (equivalent to contract), e determini l’assunzione di responsabilitàda parte di uno di essi ed il ragionevole affidamento dell’altro ( 46 ). Èquindi da escludersi che la responsabilità in esame possa sorgere a seguitodi una normale conversazione tra amici o conoscenti, mentre invece un colloquiotra un funzionario di banca ed un cliente potrà certamente essereconsiderato come “equivalente ad un contratto”. In quest’ultimo tipo dicolloquio, si noti, è rinvenibile un altro elemento su cui gli interpreti si sonoa lungo soffermati per l’identificazione del rapporto in oggetto: quellodelle particolari competenze di un soggetto (il funzionario di banca), chehanno indotto l’altra parte a farvi affidamento.9. – Il raggio di applicazione del tort of negligence ha avuto, nel corso deltempo, un notevole ampliamento, che è stato proporzionale alla perdita( 46 ) In dottrina si è rilevato che la “relazione speciale equivalente ad un contratto” costituisce,nei casi in esame, il parametro della proximity (v. § 5, lettera B), componente essenzialenella valutazione del duty of care (Cooke, op. cit., p. 40).


282 CONTRATTO E IMPRESA 1/2011d’importanza di vari nominate torts ( 47 ). Uno di questi è indubbiamente iltrespass to the person, illecito che si compone di tre categorie: il battery, l’assaulte il false imprisonment. L’ultima delle figure elencate consiste in unasorta di sequestro di persona che si può verificare, ad esempio, quando unsoggetto sia costretto da altri a rimanere in un dato luogo contro la propriavolontà. L’assault, invece, consiste in una “minaccia”, posta in essere verbalmenteo per fatti concludenti ( 48 ).Più articolato è il concetto di battery. Questa figura si verifica quando unsoggetto usa una qualsiasi forma di violenza fisica su di un’altra persona, oppure,più semplicemente, produce un contatto fisico con essa senza averneil consenso. Una così ampia definizione, ovviamente, ha comportato un notevolelavoro da parte della giurisprudenza per stabilire quali tipi di contattofisico possano, all’atto pratico, integrare gli estremi di quest’illecito ( 49 ).Delle tre categorie citate quella di maggior importanza è sicuramente ilbattery. Spesso, infatti, quando si fa generico riferimento al trespass to theperson, si ha a mente, in via principale, proprio questa figura.Denominatore comune a tutte le categorie menzionate è quello di essereactionable “per se”, ossia azionabili in giudizio indipendentemente dallaprova del danno (v. § 5) ( 50 ).Un tempo, un’altra caratterista comune alle citate figure era quella di esseresanzionabili sulla base della semplice responsabilità oggettiva. Tale caratteristicaè oggi venuta meno in virtù della serie di sentenze, relative a casidi battery, che ci accingiamo ad illustrare.Notiamo come i testi da noi consultati, nel citare le sentenze in parola,facciano generico riferimento al “trespass to the person” e non, in via specifica,al battery ( 51 ). Ciò simboleggia, a nostro avviso, quanto poc’anzi affermatosul battery medesimo, che da species viene spesso identificato col genusche lo contiene. Orbene, per non discostarci dalla scelta operata dagliautori citati, anche noi abbiamo deciso di fare riferimento al “trespass to theperson”, enfatizzando tuttavia che le tre sentenze che stiamo per citare hannoin comune le seguenti caratteristiche:( 47 ) In argomento si veda il saggio di Weir, “The Staggering March of Negligence”, in Caneand Stapleton-editors, The Law of Obligations: Essays in Celebration of John Fleming, Oxford,Clarendon Press, 1998, pp. 97-138.( 48 ) In un’accezione più ampia ma meno tecnica, “assault” può anche indicare la violenzafisica.( 49 ) Per una casistica si veda Harpwood, op. cit., p. 296; Cooke, op. cit., p. 361; Elliottand Quinn, op. cit., p. 250.( 50 ) Tale caratteristica, del resto, è comune a tutti i tipi di trespass, sarebbe a dire non solo altrespass to the person ma anche ai già citati trespass to land e trespass to goods (v. § 5, in nota).( 51 ) Cfr. Cooke, op. cit., pp. 359-360; Weir, op. cit., p. 108; Winfield, op. cit., pp. 246-248.


ENCICLOPEDIA 283a) furono pronunciate, come poc’anzi anticipato, relativamente a casi dibattery;b) le vicende che le originarono non furono determinate da semplicecontatto fisico tra offensore e vittima ma da vere e proprie lesioni fisicheda quest’ultima riportate.La prima, storica, sentenza fu quella che decise il caso Stanley v Powell[1891]. Con essa si stabilì il principio per cui il “trespass to the person” potevaessere punito solo per dolo o per colpa, e non più sulla base della sola responsabilitàoggettiva ( 52 ). Tale cambiamento, tuttavia, evidenziò una notevolelacuna poiché, nello stabilire che il trespass to the person poteva esserepunito solo per dolo o per colpa, i giudici non risolsero il problema dell’oneredella prova. Conseguenza ne fu che, negli anni successivi, la giurisprudenzasi trovò divisa in due correnti: quella che riteneva che spettasse all’attoreprovare la colpa del convenuto, e quella che, viceversa, riteneva chefosse il convenuto a doversi liberare da una presunzione di colpa. La questionefu definitivamente risolta nell’ambito del caso Fowler v Lenning[1959], ove si stabilì che spettava all’attore provare il dolo o la colpa del convenuto( 53 ).A seguito delle sentenze citate, il trespass to the person perse molta dellasua iniziale importanza. Si può infatti notare come il maggior vantaggio cheesso offriva alla parte lesa, rispetto al tort of negligence, consistesse proprionel fatto che l’attore era sollevato dall’onere di provare la colpa del convenuto( 54 ).Come se tutto ciò non bastasse, l’illecito in esame subì un altro durocolpo dalla sentenza sul caso Letang v Cooper [1965], con la quale venne formulatoil seguente il principio: qualora l’atto che ha cagionato il danno siastato intenzionale, l’azione giudiziale dev’essere quella di trespass, qualorainvece sia stato colposo, l’azione dev’essere quella di negligence ( 55 ).In dottrina si rileva come, a causa di tutti i cambiamenti menzionati, iltrespass to the person abbia oggidì cessato di essere l’illecito cui si fa maggiormentericorso nei casi di lesioni personali, e come il relativo primatospetti ora al tort of negligence ( 56 ). La dottrina citata, parlando di lesioni personali,ci ricorda che le sentenze appena riportate sono tutte relative, in viaspecifica, a casi di battery.( 52 ) Abbiamo già visto, nel par. 2, che sul finire vi fu un marcato atteggiamento di rifiutonei confronti della responsabilità oggettiva.( 53 ) I due casi giurisprudenziali che abbiamo citato sono riportati in Cooke, op. cit., p 360.( 54 ) Ibidem; cfr. Davies, op. cit., p. 480.( 55 ) La sentenza è citata in Elliott and Quinn, op. cit., p. 250, e in Harpwood, op. cit., p.291.( 56 ) Cfr. Cooke, op. cit., p. 360.


284 CONTRATTO E IMPRESA 1/2011Volendo constatare quale sia, oggigiorno, la disciplina delle altre due figuredi trespass to the person, ci accorgiamo che mentre l’assault è, anch’esso,sanzionabile solamente per dolo, il false imprisonment è ancora un illecitoa responsabilità oggettiva ( 57 ).Come preannunciato, il trespass to the person non è stato l’unico tort adaver perso importanza a causa della vis expansiva del tort of negligence. Vittimaillustre è stata anche la private nuisance, illecito il cui elemento materialepuò essere costituito sia dai danni fisici cagionati ad un bene immobile(terreno o edificio) sia dalle immissioni, sonore od olfattive, che limitano ilgodimento di un tale tipo di bene.L’esempio di due fondi attigui è quello che meglio si presta ad illustrarele particolarità della materia in esame. Supponiamo, pertanto, che i signoriA e B siano i titolari di due fondi confinanti. In passato, la giurisprudenza ingleseè stata del parere che, qualora A danneggiasse il fondo di B o permettesseche vi giungessero immissioni dal proprio fondo, la responsabilità di Afosse di tipo oggettivo (strict liability). Col tempo, tuttavia, si è chiarito chela responsabilità di A è oggettiva solo qualora il danno da lui cagionato siastato conseguente ad un’azione (action) di A medesimo, consistente, adesempio, nell’aver costruito una determinata opera sul proprio fondo o nell’avervisvolto determinate attività. Ove, viceversa, il danno al fondo di B siaderivato da un’omissione (omission) di A, quest’ultimo potrà essere giudicatoresponsabile solo ove venga rilevata una sua colpa. Ciò può accadereove A non intervenga per far cessare una situazione, potenzialmente dannosaper B, venutasi a creare sul proprio fondo a causa di forze naturali o perl’intervento di terzi. Si pensi, ad esempio, alle radici degli alberi del fondo diA che, crescendo, potrebbero cagionare danni al fondo attiguo, oppure alleopere che terze persone potrebbero aver fatto sul fondo di A senza il suoconsenso. In casi come questi viene a crearsi lo schema per cui la privatenuisance, tradizionalmente sanzionabile per responsabilità oggettiva, vienesanzionata sulla base dell’elemento della colpa, la quale, a sua volta, tendead essere rilevata dal giudice con i parametri utilizzati nell’ambito del tort ofnegligence. In particolare, l’autorità giudiziaria dovrà individuare, in capo alresponsabile, l’esistenza di un duty of care finalizzato ad evitare il danno.( 57 ) Cfr. Elliott and Quinn, op. cit., pp. 252 e 255. Riguardo all’assault, aggiungiamo che,estrinsecandosi esso in una “minaccia”, ci sembrerebbe difficile configurare una sua sanzionabilitàsulla base della semplice colpa. Discorso a parte va poi fatto per capire se i principienunciati nelle controversie citate siano applicabili anche alle altre tipologie di trespass. Indottrina ci si chiede, ad esempio, se la regola formulata nella causa Letang v Cooper possa essereapplicata anche nell’illecito di trespass to goods e, dopo aver proposto una risposta affermativa,si specifica che una simile estensione non è ancora stata ufficialmente enunciata dallagiurisprudenza (cfr. Harpwood, op. cit., p. 363).


ENCICLOPEDIA 285In altre parole, nei casi ipotizzati, le regole utilizzate nel tort of negligenceper identificare la colpevolezza non danno luogo ad un’autonoma causad’azione bensì sono strumentali rispetto all’azione di private nuisance ( 58 ).Conseguenza di quanto ora descritto è che, nell’ambito di una revisionecritica della figura della private nuisance, parte della giurisprudenza si è mostratafavorevole a ridurre l’ambito di applicazione di questo tort, suggerendoche esso divenga azionabile soltanto nei casi di immissioni e che viceversa,relativamente ai danni fisici, si utilizzi unicamente l’azione fondatasul tort of negligence ( 59 ).( 58 ) Si vedano le sentenze citate in Weir, op. cit., pp. 102-103.( 59 ) Cfr. Weir, op. cit., pp. 103-104.


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I “Dialoghi” sono un bimestrale di analisicritica e ricostruttiva della produzione giurisprudenzialee di valutazione sistematicadelle figure giuridiche di creazione legislativaed extralegislativa.Il loro prevalente terreno è il diritto privatocomune: l’area del diritto civile e commercialeentro la quale la giurisprudenza e lamodellistica contrattuale svolgono un ruolopreponderante.Comitato di Direzione: Francesco Galgano(direttore), Guido Alpa, Marino Bin, GiovanniGrippo, Bruno Inzitari, Raffaella Lanzillo, MarioLibertini, Salvatore Mazzamuto, Giovanni Panzarini,Gabriello Piazza, Enzo Roppo, GiuseppeSbisà, Giovanna Visintini, RobertoWeigmann (fondatori), Luciana Cabella Pisu,Rossella Cavallo Borgia, Massimo Franzoni,Daniela Memmo, Luca Nanni, MicheleSesta.Redazione: Antonio Albanese, Annalisa Atti,Augusto Baldassari, Mario Baraldi,Elisabetta Bertacchini, Lisia Carota, AngelaDe Sanctis Ricciardone, Franco Ferrari,Giusella Finocchiaro, Paola Manes, GiorgiaManzini, Fabrizio Marrella, Maria PaolaMartines (segretaria di redazione), GiovanniMeruzzi, Elena Paolini, Flavio Peccenini,Eleonora Pierazzi, Margherita Pittalis,Simone Maria Pottino, Giancarlo Ragazzini,Angelo Riccio, Rita Rolli, Giulia Rossi, GuidoSantoro, Gianluca Sicchiero, MatteoTonello, Laura Valle, Nadia Zorzi.Redazione inglese: Peter Xuereb; redazionetedesca: Jürgen Basedow, Herbert Kronke.Gli Indici generalidi <strong>Contratto</strong> e <strong>impresa</strong>e <strong>Contratto</strong>e <strong>impresa</strong>/Europa vengono pubblicati invia telematica sul sito www.cedam.com/aggiornamenti.aspx.Direzione e redazione hanno sede in Bologna,Via S. Stefano, 11Tel. 051 232622 - fax 051 231238E-mail: contrattoe<strong>impresa</strong>@galgano.itISBN 978-88-13-30677-900117602z 37,00

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