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Il problema dell'infinito nella fenomenologia di Husserl. The ... - Labont

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isogno <strong>di</strong> lei per essere tale. Ecco perché è importante ridurre, sottoporre al proce<strong>di</strong>mentoimplacabile dell’epoché tali idealizzazioni che spengono l’autentica luce della Lebenswelt, alfine <strong>di</strong> riattualizzare il senso originario del mondo.Secondo questa prospettiva l’idea del mondo non si caratterizza più tanto come una mètairraggiungibile, quanto piuttosto come un tutto dato, che è poi la base <strong>di</strong> tutto il resto:insomma è un punto <strong>di</strong> partenza. Ma così non si presuppone forse che il mondo abbia già un«senso», anche se originario, vero e proprio? Però se fosse veramente originario, il sensosarebbe ancora senso? Se il senso è per definizione frutto <strong>di</strong> una costruzione extra-essenzialeal mondo, parlare <strong>di</strong> senso originario non è forse una contrad<strong>di</strong>zione nei termini? Questiproblemi non sono nuovi: li si erano già incontrati in Ideen (terza sez., cap. IV) nel rapportosussistente tra Sinn e Bedeutung.Tuttavia occorre non <strong>di</strong>menticare che il mondo non è solo questo «tutto» puro e originario, maè anche un orizzonte, un’idea in senso kantiano, della quale non viene però fatto un uso<strong>di</strong>alettico se la si intende come un insieme indeterminato <strong>di</strong> tutti i nostri giu<strong>di</strong>zi possibili, <strong>di</strong>tutti i nostri mo<strong>di</strong> <strong>di</strong> conoscere il mondo. Come conciliare questa sorta <strong>di</strong> potenzialità, <strong>di</strong>indeterminatezza del mondo, con l’attualità e la pienezza prima riscontrate? Non bisognaassolutamente conciliare, bensì <strong>di</strong>stinguere: l’antepre<strong>di</strong>cativo ha infatti un duplice aspetto chenon deve essere essere ridotto, ma va invece messo in luce in tutta la sua ambiguità. Infatti seil mondo fosse una possibilità indefinita, un’idea in senso kantiano, non vi sarebbepropriamente nessun dato da cui partire, ma soltanto un fine a cui tendere: in questo casol’essenza dell’antepre<strong>di</strong>cativo non consisterebbe in altro che nel suo essere in vista delpre<strong>di</strong>cativo che solo lo potrebbe realizzare. Da questa prospettiva quin<strong>di</strong> la logica non può piùessere considerata come un semplice «rivestimento <strong>di</strong> idee», poiché il mondo non può <strong>di</strong>rsieffettivamente tale prima <strong>di</strong> venire in-formato concettualmente: il mondo come possibilità<strong>di</strong>venta reale solo grazie alle attualizzazioni pre<strong>di</strong>cative. Infatti se il mondo «è» solo <strong>nella</strong>misura in cui ha un senso, non può <strong>di</strong>rsi propriamente che esso sia fino a che non ne haeffettivamente uno. Rispetto al caso precedentemente trattato, la <strong>di</strong>rezione della <strong>di</strong>pendenzarisulta chiaramente invertita: se prima il movimento andava dal pre<strong>di</strong>cativoall’antepre<strong>di</strong>cativo che del primo era il legittimo fondamento, adesso si vadall’antepre<strong>di</strong>cativo indeterminatamente possibile al pre<strong>di</strong>cativo reale che del primo è lalegittima realizzazione (questa ambiguità era già stata riscontrata in Ideen).Un interrogativo può sorgere spontaneo: che cosa interessa davvero a <strong>Husserl</strong> nello stu<strong>di</strong>odell’antepre<strong>di</strong>cativo? Che cosa vuole riuscire a mettere in luce? Ciò a cui <strong>Husserl</strong> vuolearrivare è <strong>di</strong> riuscire ad attribuire all’antepre<strong>di</strong>cativo tutte quelle caratteristiche che siritroveranno poi idealizzate, concettualizzate e impoverite nel pre<strong>di</strong>cativo; l’antepre<strong>di</strong>cativonon potrebbe infatti fungere da sostrato inferiore, primo e fondativo rispetto a tutti gli altri, senon contenesse già tutte le determinazioni. Questa è la ragione per la quale egli introduce la<strong>di</strong>stinzione tra esperienze schiette e esperienze fondate, stabilendo l’assoluta originarietà delleprime, nelle quali ci si volge <strong>di</strong>rettamente al percepito, e <strong>di</strong> conseguenza la derivazione delleseconde dalle prime, non essendo la riflessione che un <strong>di</strong>rigersi in<strong>di</strong>rettamente all’oggetto permezzo <strong>di</strong> una variazione della <strong>di</strong>rezione imme<strong>di</strong>ata. Insomma, se l’esperienza schietta è voltaalla esperienza del senso, l’esperienza fondata si impegna nel produrre il sensodell’esperienza. Ma si può davvero avere una esperienza del senso che non sia già il senso <strong>di</strong>quell’esperienza? Proviamoci. Già osservando un sostrato, senza in<strong>di</strong>viduarlopre<strong>di</strong>cativamente come un identico questo o quest’altro (cioè escludendo ogni sorta <strong>di</strong>idealizzazione), io compio un’operazione, che è un’azione vera e propria e non una semplicericezione, è una credenza d’essere, una oggettivazione antepre<strong>di</strong>cativa: viene infatti stabilitociò che è percepito qui, ora, da me. La percezione purificata della logica ha il vantaggio <strong>di</strong>essere estremamente semplice e <strong>di</strong> percepire gli oggetti dati come veramente esistenti: èquesto il fondamento che si cercava sin dall’inizio. Ve<strong>di</strong>amo se una esperienza <strong>di</strong> questo tipo20

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