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Walter Tobagi.pdf - Ordine dei Giornalisti

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180PARTE IPARTE IIPARTE IIImente dovrà impegnarsi concretamente in un’azione di cambiamento, per non perdere i contatticon la realtà del Paese.In questo processo, l’esperienza dell’attuale sinistra extraparlamentare si inserisce perfettamente.Studenti e operaisti, al di là <strong>dei</strong> metodi di lotta e delle scelte tattiche, hanno avuto il merito di averpoliticizzato una massa, che rischiava di asfissiare nel conformismo. Solo dieci anni fa, era di modaintonare il de profundis per le ideologie; si affermava, partendo da questi presupposti, che esistevala grande categoria sociologica della «società industriale», uguale a Est come a Ovest.Con le lotte degli ultimi anni, è rinata non solo l’ideologia, ma si è avuto anche un revival dell’utopia,intesa nel senso di Mannheim come molla del progresso sociale; utopie politiche e morali escientifiche che non potranno non incidere sulla realtà del Paese.Inevitabilmente, questi elementi nuovi, recati dall’impegno di limitate minoranze, dovranno entrarenella classe politica. E sarà un’ondata di aria fresca, una ventata benefica nella stagnante atmosferausuale. Aria fresca, però, e non sovvertimento. Proprio perché, dall’analisi della prassi <strong>dei</strong>gruppi sedicenti rivoluzionari, si può dedurre un graduale inserimento nella logica del sistema.Non un inserimento acritico; magari una contestazione «radicale», ma dall’interno. Secondo l’esempio,che potrà fare scuola, dell’«ala lombardiana».Ma c’è, ancora, una differenza sostanziale. L’«ala lombardiana» continua ad essere un problemadi élites, di quadri socialisti critici verso la gestione del Psi e del centrosinistra; in contrasto con ilombardiani, i gruppi di cui abbiamo parlato – nel loro insieme – rappresentano un movimentodi massa. Ed è proprio questo movimento di massa, politicizzato, che dovrà trovare uno spazio,un aggancio, nel panorama politico. Si pone il problema delle nuove organizzazioni, ancora infase di crescita, come il Movimento politico <strong>dei</strong> lavoratori e come il Manifesto. Ma si pone, soprattutto,il problema del recupero di queste forze, di queste masse realmente progressiste nell’areariformistica.Non potrà essere un’operazione indolore. E, con tutta probabilità, dovrà rimettere in gioco laquestione della leadership <strong>dei</strong> gruppi «rivoluzionari». Ma è un’operazione essenziale per un rilanciodel riformismo a livello di massa; per rendere partecipe la base del processo di sviluppo e dicambiamento. La partecipazione popolare, proprio per la riacquistata convinzione politica, puòessere l’asso nella manica del new deal riformista.L’altro dato che emerge, e non si può ignorare, è la spinta che proviene dal basso: cioè la richiestadi sostanziali cambiamenti, che potranno servire a razionalizzare il sistema, ma dovranno pure migliorarele condizioni del proletariato: un proletariato esteso dalla classe operaia agli studenti senzaprospettive, ai ceti medi in progressiva proletarizzazione. Questa spinta può essere incanalata – attraversoun recupero riformista – in una coraggiosa politica di cambiamento.Sul piano delle formule politiche potrà essere l’affermarsi di una maggioranza più o meno nuova,però capace di sfuggire alle suggestioni per cui le istanze della base, spontanee o no, diventanoproblemi di «ordine pubblico». Se venisse commesso questo errore, se il recupero riformista– nonché realizzato – non fosse neppure tentato, la macchina del tempo potrebbe tornare indietrocon conseguenze traumatiche per l’equilibrio democratico. Ma perché essere pessimisti? Il recuperoriformista, nella sostanza, è già in atto, è una questione di tempo.

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