25 apr<strong>il</strong>estrel<strong>la</strong>to dai tedeschi. Quel<strong>la</strong> mattinacon Teresa, tra <strong>la</strong> fol<strong>la</strong> didonne che si accalcava sul marciapiede,rimane <strong>il</strong> secondogenitoUmberto, unico prezioso testimonedel<strong>la</strong> famiglia di ciò che accaddeal<strong>la</strong> madre. Umberto è oggi un sorridentee tranqu<strong>il</strong>lo signore di 83anni ben portati e disponib<strong>il</strong>e araccontare <strong>la</strong> sua storia.Umberto Gul<strong>la</strong>ce: «I miei genitorierano entrambi di Cittanova, inprovincia di Reggio Ca<strong>la</strong>bria. Miopadre, Giro<strong>la</strong>mo Gul<strong>la</strong>ce, è nato nel1903 ed è venuto qui a Roma cheaveva diciotto anni: faceva <strong>il</strong> manova<strong>le</strong>in cantiere. Mi ha portato incantiere che avevo tredici anni e nesono uscito che ne avevo sessantadue.Io <strong>la</strong>voravo con <strong>le</strong> gru, <strong>la</strong> miavita l’ho passata nel<strong>le</strong> cabine: <strong>la</strong>mattina mi arrampicavo, a mezzogiornoscendevo e pranzavo,all’una risalivo, al<strong>le</strong> cinque scendevoe andavo a casa. Anchepapà è stato sempre in cantiere.Ha fatto sempre <strong>il</strong> manova<strong>le</strong>.Poi io gli ho insegnato a<strong>la</strong>vorare con <strong>la</strong> gru, e alloralui stava meglio. È morto nel’76, aveva settantatre anni.Mia madre, Teresa Talotta ènata nel 1907. Io sono <strong>il</strong> secondodi ben cinque figli.Abitavamo a Vicolo del Vicarioin una baracca formatada una so<strong>la</strong> stanza picco<strong>la</strong>e ci vivevamo in sette. Lafontana per l’acqua e <strong>il</strong> bagno, secosì si può chiamare, erano esterni,non c’era né gas né luce. Era un v<strong>il</strong><strong>la</strong>ggiodi baraccati formato da tuttimeridionali che venivano dal<strong>la</strong> Puglia,dal<strong>la</strong> Sic<strong>il</strong>ia, dal<strong>la</strong> Ca<strong>la</strong>bria.Tra queste povere persone chi potevasi comprava un pezzetto di terrae faceva l’orto, così poteva raccogliereun po’ di verdura e di frutta.Di quel periodo ho un brutto ricordoper via del<strong>la</strong> povertà. La mattinamia madre usciva e mi portava semprecon <strong>le</strong>i. Andavamo ai circoli SanPietro dove c’erano <strong>le</strong> suore che facevanoda mangiare. Mi portava lì,andavamo in cucina dove ci davanoun piatto di minestra, <strong>la</strong> carne nonsi vedeva mai, e così mangiavamoqualcosa. Papà andava a <strong>la</strong>vorarema i soldi erano pochi ed eravamoPatria indipendente apr<strong>il</strong>e 2013cinque figli, era una vita di stenti.Il primo paio di scarpe l’ho avutecon <strong>la</strong> befana fascista, erano proprioscarpe nere, con <strong>la</strong> suo<strong>la</strong>, ioero sempre stato con gli zoccoli.Durante <strong>la</strong> guerra non si trovavaniente, c’erano <strong>le</strong> tessereannonarie, era tuttorazionato. Allora noi, che eravamouna famiglia numerosa, scambiavamoi bollini; in cambio dei bollinidel burro, che per noi era un lusso,prendevamo quelli del<strong>la</strong> pasta.È successo che mio padre era statouna settimana in ma<strong>la</strong>ttia. Unamattina si sentiva meglio ed ha dettoa mia madre: vado a fare una passeggiata.In quel periodo lui <strong>la</strong>vora-Teresa Gul<strong>la</strong>ceva a piazza Rosolino P<strong>il</strong>o, aMonteverde Vecchio. Dunque èuscito, stava facendo una passeggiataa via Aurelia quando lo hannofermato due carabinieri che avevanol’ordine dai tedeschi di portare incaserma tutti gli uomini che vedevanoin strada. Infatti quando passavanogli autobus e gli uomini vedevanoi m<strong>il</strong>itari, si nascondevanosotto i sed<strong>il</strong>i. I carabinieri lo hannopreso e lo hanno portato prima aldistaccamento di via del<strong>le</strong> Fornaci esuccessivamente al comando tedesco.I tedeschi lo hanno internatoal<strong>la</strong> caserma dell’81° Fanteria in viaGiulio Cesare insieme a tanti altri.Noi non sapevamo niente. Poi è co-46minciata a circo<strong>la</strong>re <strong>la</strong> voce e lo abbiamosaputo. Abbiamo pensatoche non avesse da mangiare, così <strong>la</strong>mattina del 3 marzo mamma mi hadetto: andiamo a cercare papà e vediamose possiamo portargli qualcosa.Ha preparato due sf<strong>il</strong>atinicon <strong>le</strong> patate <strong>le</strong>sse, non c’era altro, euna boccetta di vino rosso.Insieme a mamma usciamo io emia sorel<strong>la</strong> Caterina, <strong>la</strong> più picco<strong>la</strong>:mamma era incinta di settemesi. Prima di andare a via<strong>le</strong> GiulioCesare, siamo passati dal<strong>le</strong> monacheper <strong>la</strong>sciare mia sorel<strong>la</strong> all’as<strong>il</strong>o.Quando siamo arrivati <strong>la</strong> monacaha preso mia madre e <strong>le</strong> ha dettoche eravamo indietro con i pagamentidel<strong>la</strong> retta del refettorio e cheal<strong>la</strong> bambina non potevano più dareda mangiare. Mia madre disse: aparte che ora non ho i soldi, ma poistamattina debbo andare a cercaremio <strong>marito</strong> che non lo vedo dauna settimana. La ragazzina, chenon vo<strong>le</strong>va rimanere lì, si è messaa piangere e diceva: voglio <strong>il</strong> paneper i soldi; lo diceva al contrario.Insomma al<strong>la</strong> fine l’abbiamo <strong>la</strong>sciatalì che piangeva.Arrivati a via<strong>le</strong> Giulio Cesarevediamo che c’era un mare digente. I rastrel<strong>la</strong>ti stavano all’ultimopiano e si affacciavano. Sul<strong>la</strong>via passava avanti e indietro unamotocic<strong>le</strong>tta con due SS, uno guidavae quello di dietro agitava in aria <strong>il</strong>mitra. Prima lo puntava contro l’assembramentodel<strong>le</strong> donne per nonfar<strong>le</strong> scendere dal marciapiede, e po<strong>il</strong>o alzava e sparava contro <strong>le</strong> finestreper far rientrare i rastrel<strong>la</strong>ti.Mentre questi facevano avanti e indietro,si è affacciato mio padre emi ha fatto dei segni. Io ho capitoche dovevo andare al cantiere dove<strong>la</strong>vorava e farmi r<strong>il</strong>asciare un certificato,una dichiarazione che lui <strong>la</strong>voravalì, che non era uno sfaccendato.Tra l’altro, ironia del<strong>la</strong> sorte, <strong>il</strong> cantiereera di due tedeschi. Che faccio,prendo <strong>il</strong> tram e vado a piazza RosolinoP<strong>il</strong>o mentre mia madre rimane lì.Se fossi restato non l’avrebbero ammazzata;perché quando passava <strong>la</strong>motocic<strong>le</strong>tta che faceva cenno <strong>verso</strong><strong>la</strong> fol<strong>la</strong>, io <strong>le</strong> sarei stato davanti e l’avreispinta indietro, l’avrei protetta.Erano tutte donne che avevano lì chi
25 apr<strong>il</strong>eUmberto Gul<strong>la</strong>ce, <strong>il</strong> figlio di Teresamento, perché era incinta di settemesi. Poi però quando ha visto <strong>la</strong>chiazza di sangue ha fatto <strong>il</strong> matto,ur<strong>la</strong>va, spingeva, e così l’hanno <strong>la</strong>sciatoandare. Mamma nel frattempol’avevano già portata all’obitoriodel Santo Spirito, ma io non lo sapevo,lì c’erano solo <strong>le</strong> mimose.Per avere conferma se <strong>le</strong> fosse accadutoqualcosa mi reco a via Candia,dove c’era una donna amica di miamadre. Si facevano coraggio l’unacon l’altra. Questa aveva una bottegaperché <strong>il</strong> <strong>marito</strong> faceva <strong>il</strong> ciabattino.Entro e vedo questa donna sedutasul<strong>la</strong> panca che piangeva, e midice: vieni qui che adesso mammatorna. E piangeva. Io avevo quattordicianni, ed ho subito capito che <strong>la</strong>botta era toccata a <strong>le</strong>i.Abbiamo fatto <strong>il</strong> funera<strong>le</strong> con <strong>il</strong> camiondel Comune, in fretta, perchénon vo<strong>le</strong>vano che si sapesse. Èstata sepolta al Verano.Quel<strong>la</strong> mattina stessa, mio fratellopiù grande era al<strong>la</strong> caserma Macaopronto per andare a fare <strong>il</strong> m<strong>il</strong>itare.Allora c’era <strong>la</strong> pena di <strong>morte</strong> se nonti presentavi. Mio padre era uscitodal<strong>la</strong> caserma; io da via Candiatorno di corsa a casa e ci siamo incontrati.Siamo usciti e siamo andatida mio fratello per dargli <strong>la</strong>notizia: gli hanno dato solo unasettimana di proroga!Da allora è iniziata <strong>la</strong> vita di orfanidi madre. Mamma era una donnache doveva far mangiare cinque figli.Conducevamo una vita di sten-47<strong>il</strong> <strong>marito</strong>, chi <strong>il</strong> padre, chi <strong>il</strong> fratello.Io avevo paura di <strong>la</strong>sciare miamadre però dovevo andare afare questa commissione. Vadoal cantiere ma i padroni non c’erano.Faceva freddo. L’assistente midice: vengono tutte <strong>le</strong> mattine,mettiti vicino al fuoco e aspetta.Ma questi non venivano, ho aspettatopiù di un’ora. Pensavo a miamadre so<strong>la</strong> e così decisi di tornare avia<strong>le</strong> Giulio Cesare.Arrivo, scendo dal tram, e vedotutta questa gente zitta, s<strong>il</strong>enziosa,sembrava una cosa surrea<strong>le</strong>. Io midicevo: ma cosa è successo. Allorainizio a guardarmi intorno per cercaremia madre. Mi avvicino <strong>verso</strong><strong>il</strong> marciapiede e vedo che ci stavauna montagna di mimosa e vicinoun vecchietto seduto su uno sgabello.Io fra me mi sono detto: ma che èscemo questo, co’ ‘sto macello che ce staquesto venne <strong>la</strong> mimosa. Mi avvicinoe vedo che sotto <strong>la</strong> mimosa ci stavauna macchia di sangue. Allora inizioa girare tra <strong>la</strong> gente e sento chedicevano: povera donna, disgraziati,che fine <strong>le</strong> hanno fatto fare. Capirai,a me mi ha preso un colpo, perchénon vedevo mia madre. Sembra chemamma avesse tentato di attraversare<strong>la</strong> strada per fare avere a papà ipanini e i tedeschi <strong>le</strong> hanno sparato.Non so se è stato un colpo di pisto<strong>la</strong>o una raffica di mitra. I fascisti stavanodavanti al portone.Mio padre l’ha vista cadere a terra,però ha pensato che fosse uno sveniti.Dormivamo in una branda intre. La reazione di papà è stataquel<strong>la</strong> di dover sfamare <strong>la</strong> famiglia,era solo, e si doveva occupare dicinque figli. Per comperare <strong>le</strong> patateandava fino a Viterbo.La targa che ricorda <strong>la</strong> <strong>morte</strong> di miamadre era sul marciapiede oppostorispetto a dove è ora, è stata spostata.Dove stava prima i fascisti diPrati <strong>le</strong> davano fuoco, <strong>la</strong> imbrattavanocontinuamente, così <strong>la</strong> donnache aveva <strong>la</strong> finestra vicino al<strong>la</strong> targaaveva paura, quindi l’hannospostata e messa sul muro del<strong>la</strong> casermadove si trova adesso».La mattina del 3 marzo a Via<strong>le</strong>Giulio Cesare erano presentii GAP al comp<strong>le</strong>to comandatida Fabrizio Onofri. Ad organizzare<strong>la</strong> manifestazione del<strong>le</strong> donneerano stati gli stessi GAP che avevanoprogettato di assaltare <strong>la</strong> casermae liberare quanti più prigionieri fossepossib<strong>il</strong>e. Tra i gappisti presentic’era anche Mario Fiorentini, <strong>il</strong> <strong>le</strong>ggendario“Giovanni”, comandantedel GAP “A. Gramsci”. Mario èoggi un gran bel giovanotto di 95anni, sempre sorridente, come allorageneroso e disponib<strong>il</strong>e a raccontarecosa accadde quel<strong>la</strong> mattina.Mario Fiorentini: «Quel giorno, enei giorni precedenti, vennero arrestatetante persone e portate al<strong>la</strong> casermadell’81° Reggimento Fanteriaa via<strong>le</strong> Giulio Cesare: erano destinateal <strong>la</strong>voro coatto in Germania e sulfronte di guerra, soprattutto ad Anzio.Noi abbiamo mob<strong>il</strong>itato <strong>la</strong> popo<strong>la</strong>zioneper fare del<strong>le</strong> dimostrazioni,per avere notizie sui parentifermati; naturalmente erano soprattuttodonne, noi uomini non potevanostare davanti al<strong>la</strong> caserma armati.È stata l’azione più bel<strong>la</strong> che abbiamofatto a Roma. Eravamo forseuna ventina, anche a via Rasel<strong>la</strong> eravamoventi, più o meno, perché nonli sapevi mica tutti, neanche i nomidi tutti i gappisti conoscevi, quandooggi dici 18 o 19... ma come fai!Vennero mob<strong>il</strong>itate tante donne ditutti i quartieri, perciò trovavi <strong>la</strong>“pariolina” accanto al<strong>la</strong> popo<strong>la</strong>na diTrastevere, mamma mia... era unacosa... (Si emoziona) Quando ripensoa quello spettacolo, di tutte quel<strong>le</strong>donne romane! Ricordo una ra-Patria indipendente apr<strong>il</strong>e 2013