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La storia del colore rosso scelto dagli operai e dai “ribelli” - Anpi

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StoriaDal giacobinismo ai moti <strong>del</strong> 1848 e dalla Comune a Garibaldi<strong>La</strong> <strong>storia</strong> <strong>del</strong> <strong>colore</strong> <strong>rosso</strong> <strong>scelto</strong><strong>dagli</strong> <strong>operai</strong> e <strong>dai</strong> “ribelli”di Filippo ColombaraBandiere issatesui monumentiogni 1° maggiodurante il fascismo.Camicette, cravattee maglioni.Il “riscatto morale”in montagnacon la ResistenzaUna bandiera rossa <strong>del</strong>laResistenza.Gruppi di persone, partiti politici emovimenti hanno da sempre impiegatosegni e simbologie per distinguersie contrassegnare la propria esistenza.Se pensiamo all’uso dei colori,per esempio, ci appaiono immediate leimmagini <strong>del</strong> <strong>rosso</strong> nelle manifestazionisindacali, <strong>del</strong> verde in quelle leghiste,oppure le bandiere <strong>del</strong> “popolo viola” o,ancora, le sciarpe arancioni dei sostenitorimilanesi di Pisapia. Colori come il <strong>rosso</strong>,il verde e l’azzurro, inoltre, attraversaronoanche l’epopea resistenziale, segnandol’appartenenza alle formazionicomuniste, autonome e cattoliche.In questo articolo ci soffermiamo sul<strong>rosso</strong>, il <strong>colore</strong> che nel tempo assunse iltratto identitario <strong>del</strong>la classe <strong>operai</strong>a, conrimandi a lontani momenti <strong>del</strong>la <strong>storia</strong>europea: dal giacobinismo di fine Settecentoal mazzinianismo, <strong>dai</strong> moti rivoluzionari<strong>del</strong> 1848 all’impresa garibaldina,dalla Comune di Parigi alle bandiere <strong>del</strong>socialismo di inizio Novecento.Non a caso durante il Ventennio si prestòattenzione all’impiego <strong>del</strong> <strong>rosso</strong>, alpunto da ingaggiare una lunga guerraper simboli con il <strong>colore</strong> sovversivo postoa contrastare il nero <strong>del</strong> fascismo. Icasi furono numerosi e riguardaronol’intero Paese. Tra i più noti quello avvenutoa Torino il primo maggio 1923,quando si collocò un grande vessillo <strong>rosso</strong>sulla Mole Antonelliana; oppure, semprea Torino, quello <strong>del</strong> primo maggio1931, in quell’occasione si videro le acque<strong>del</strong> Po tinte di <strong>rosso</strong> per via <strong>del</strong>l’anilinasparsa da militanti socialisti; oppurea Roma, quello <strong>del</strong> primo maggio 1924,quando Guido Picelli, deputato comunistanonché capopopolo <strong>del</strong>la battaglia diParma <strong>del</strong> ’22, issò una bandiera rossasul pennone di Montecitorio, dove rimasequindici minuti prima che i questuriniriuscissero ad ammainarla.Bandiere proibiteAnche nel Piemonte Nord Orientale –territorio che talvolta indaghiamo perapprofondire i temi da trattare –, a cavallotra gli anni Venti e Trenta prese pie<strong>del</strong>’esibizione <strong>del</strong> <strong>rosso</strong> per indicare la presenza<strong>del</strong>l’antagonismo politico.In bassa Valsesia, l’anziano <strong>operai</strong>o LuigiRinolfi ricorda: «Quando è passato il ducedi qui [da Romagnano Sesia nel1939] han messo le bandiere rosse di là,a Gattinara, e le han viste tutti, dopo hanmandato su i fascisti per tirarle via». Ilfatto non avvenne nel ’39, bensì il primomaggio <strong>del</strong> 1931 (il coinvolgimento diMussolini è forse un espediente per imprimeremaggiore valore storico all’evento).In quella circostanza sulla collina diSan Lorenzo, una sommità sovrastantel’abitato di Gattinara (provincia di Vercelli)e prospiciente la cittadina di RomagnanoSesia, si esposero dei drappi rossiin grado di essere visti fino a due o trechilometri da centinaia di persone. Loscandalo tra i fascisti si fece sentire, comeattesta una missiva anonima inviata allapolizia politica. «Il 1° Maggio – recita ildocumento – sin dal levar <strong>del</strong> sole sventolavanosulle principali alture <strong>del</strong>la collinadi Gattinara n. 3 bandiere rosse. Lemedesime rimasero esposte sino al pomeriggioe cioè fin tanto che alcuni militidi Romagnano Sesia non si recarono atoglierle. Esse erano fatte di carta cheper la sua natura doveva provenire dallacartiera Vonwiller di Romagnano, paeselimitrofo».Altra vicenda <strong>del</strong> tutto simile ebbe luogopatria indipendente l 18 dicembre 2011 l 13


Bandiera rossa partigiana con falce e martello.nel Biellese l’anno successivo inoccasione di una manifestazionefascista; in questo caso, la notteprecedente venne issata sul monteCucco una grande bandiera rossaal posto <strong>del</strong> tri<strong>colore</strong> che abitualmentevi svettava. Così, l’indomani,autorità e pubblico si trovaronodi fronte a una scenografia dalforte impatto simbolico che procuròinevitabile scompiglio.L’esposizione <strong>del</strong>le bandiere o disemplici drappi rossi si compì numerosealtre volte in occasione<strong>del</strong>la festività proibita. A Omegna(provincia <strong>del</strong> Verbano Cusio Ossola),ricorda un <strong>operai</strong>o: «Un PrimoMaggio, tra il ’22 e il ’25, dinotte legavano <strong>del</strong>le bandierinerosse con una corda ai sassi, poi lebuttavano sui fili <strong>del</strong>la luce e i fascistiil giorno dopo le andavano atogliere» (Antonio Parmigiani). Eun altro: «Quegli anni lì era ungran preparare, nascondere, organizzarequalche cosa per ricordareil Primo Maggio; il mio papà cercavadi mettere degli stracci rossidove capitava e i fascisti diventavanomatti... Una volta sono apparsilungo il canale Nigoglia e subitosono arrivati i fascisti a toglierli»(Libero Diaceri). Negli anni successivi,in pieno regime, non mancòun atto politico di grande effetto:durante un Primo Maggio gliomegnesi rividero la bandiera rossasulla più alta ciminiera <strong>del</strong>l’acciaieriacittadina, come nel 1920,ai tempi <strong>del</strong>l’occupazione <strong>del</strong>lefabbriche. Provocazione altrettan-Camicette, cravatte,maglioniAltra modalità di uso antagonista<strong>del</strong> <strong>rosso</strong> fu attraverso i capi d’abbigliamento.Di per sé un indumentodi quel <strong>colore</strong> non esprimevadissenso politico, ma una stimolanteaneddotica descrive come,in alcune circostanze, vi sianostate persone che a rischio di prevaricazionidichiararono la loro alteritàpolitica in quel modo. Il numerodei casi non è determinabile,tuttavia in diverse località si ritrovanoracconti simili. Quanto essicorrispondano a fatti realmenteaccaduti o siano piuttosto accorgimentiper spiegare le aspirazioni alcambiamento è difficile poterlo distinguere.Di certo queste piccolebattaglie personali permeano i ricordie si tramandano nelle memoriefamiliari e di paese.Racconta Cenisio Girardi, ex <strong>operai</strong>osiderurgico: «Anche mia madreha dovuto bere l’olio di ricino,perché con il papà comunista i figlicosa diventano? Diventano sovversivianche loro. Mia madre era diGravellona, andava alla “Pariani”come filatrice e metteva sempre sula camicetta rossa. Te puoi solo capiremettere la camicetta rossa inquei momenti lì cosa poteva succedere.L’hanno avvisata due o trevolte: “Guarda Ida che la camicettoclamorosa accadde, di nuovonell’alto Cusio, nel 1924, in occasionedi una importante ricorrenza:«<strong>La</strong> sera <strong>del</strong> 7 novembre, anniversario<strong>del</strong>la rivoluzione russa, gliarditi <strong>del</strong> popolo sono usciti [dall’acciaieria]e hanno attaccato ipalloncini rossi sui pali <strong>del</strong> telefonoper ricordare l’anniversario»(Giuseppe Realini).<strong>La</strong> lotta simbolica <strong>del</strong>le bandiere,tuttavia, nel corso <strong>del</strong> tempo subìdei cambiamenti. Durante la primametà degli anni Venti, preoccupazionedegli antifascisti fu l’occultamentodei vessilli proletari, per impedirela loro trasformazione introfei di guerra in mano agli avversari.Trofei che proprio di frontealla popolazione avrebbero scon-Tessera socialista <strong>del</strong> 1910.fessato il mito di inafferrabilità <strong>del</strong>drappo <strong>rosso</strong>, diventando la provatangibile <strong>del</strong>la sconfitta proletaria.«’N gleu nut. Lè nut qui, ma ’ncaveigla i v’la daria nut [Non l’ho.Non è qui, ma anche se l’avessinon ve la darei]», recitò la vecchiaCichina, bracciante a giornata <strong>del</strong>basso Novarese, quando una squadracciadi malsignà, di «malsegnati»,le mise a soqquadro la casa allaricerca <strong>del</strong>la bandiera <strong>del</strong>la legacontadina.A caccia di vessilli proletari, i fascistisi mobilitarono per parecchiotempo, consci <strong>del</strong> valore simbolicodi quella cattura. Ciononostante,dalla prima metà degli anni Venti eper oltre un decennio le bandiererosse si fecero beffa degli avversari,apparendo, specie il giorno <strong>del</strong>lafesta dei lavoratori, sulle alture checircondano i paesi, su qualche ciminiera,sui fili <strong>del</strong>la luce o <strong>del</strong>tram.14 l patria indipendente l 18 dicembre 2011


ta rossa a quei tempi qui nonsi può più, siamo costretti afarti...”. Lei rispondeva: “Maguarda, la camicetta rossa ame piace, io non faccio malea nessuno: è una camicetta!Te la porti nera e io la portorossa”... E così è arrivato ilgiorno <strong>del</strong>l’olio di ricino.Quando ha fatto per entrarein fabbrica con la camicettarossa c’erano lì quattro fascistie han detto: “Ida, c’è arrivatoil momento che tu lobevi, così la camicetta rossanon la metti più”. E questapovera donna l’ha dovutobere. Gliene hanno dato unquarto, ciò vuol dire che eraun bel botticino. Per ingoiarglielobene, due la tenevanoe uno le tappava il naso,poi le hanno messo dentrol’imbuto e hanno vuotatogiù l’olio, l’ha dovuto ingoiarecosì». E un <strong>operai</strong>o diVilladossola: «Io mi ricordoche c’era un certo Ravaioli,lo chiamavano Nìn, era unodi quelli a cui il <strong>rosso</strong> piacevae ha preso <strong>del</strong>le belle sberleper quello! Portava sempreun fazzolettino <strong>rosso</strong> duranteil fascio e beveva il caffè inuna trattoria dove andavanoanche i fascisti. Questa eraun po’ una provocazione eallora, oltre a dirgli di toglierequesto fazzolettino, lo invitavanoad andare a casa,perché alle nove lui dovevarientrare, cosa che non succedeva.E lì c’erano poi le battute[veniva malmenato]. Ecco, alloraera così» (Gualtiero Caprilei).Nei paesi, in modo forse più riconoscibileche nelle città, compiereatti <strong>del</strong> genere significò essere messiall’indice, divenire l’esempio negativoda additare e da cui fuggire.Di conseguenza le comunità localinel perpetuare i propri codici comportamentalispesso tennero conto<strong>del</strong>le norme dettate dal regime, rispettandolee compiacendo le gerarchie<strong>del</strong> potere. Vi furono peròpaesi e paesi: in quelli dov’era radicatoil verbo socialista si osò conmaggiore decisione, si vissero forseminori discriminazioni anche se sipagarono i dovuti costi. Sovente,poi, l’esercizio <strong>del</strong>le violenze nonCamice rosse dal Museo <strong>del</strong> Risorgimento di Bologna.fu compito dei compaesani, ma diquelli dei borghi vicini. Fatti dicampanile si innestarono in questionipolitiche e viceversa.A Piana dei Monti, sul lago d’Orta,«C’era una politica diversa... –narra Remo Perolio –. Qui eranogià piuttosto rossi che neri. Al circolovenivano a comandare loro [ifascisti di un borgo vicino] e quelliche non avevano la tessera...».Un giorno, infatti, un manipolo difascisti entrò nella scuola <strong>del</strong> paeseper punire il maestro, reo di avercantato Bandiera rossa al circolo.«Era il primo anno che andavo ascuola – prosegue l’uomo – e li hovisti tutti in divisa, era il ’37 circa.Sono venuti dentro e gli han datouna sberla. Lui aveva su la cravattarossa, l’han preso, gli hanmesso la testa sulla stufa, hanlevato il coperchio e gli hannobruciato la cravatta».Coinvolti in queste vicendesono anche i bambini e gliadolescenti, ai quali si impediscedi indossare capi di <strong>colore</strong><strong>rosso</strong>.«Ecco cosa ricordo bene <strong>del</strong>fascismo… – dice l’ossolanaAnna Zanelli –. Io andavoavanti e indietro da Villa aPallanzeno, dove facevo labambinaia da una famiglia.Avevo undici, dodici anni,era il ’43, e una mattina ioavevo un abito <strong>rosso</strong>. Avevoquello perché c’era una famigliache stava meglio <strong>del</strong>lamia e mi passava i vestiti <strong>del</strong>lafiglia che aveva due annipiù di me. Sono arrivata lì inbicicletta e i fascisti m’hanfermata, ero una ragazzina, em’han detto che se il giornodopo mi avessero rivista conl’abito <strong>rosso</strong> mi avrebberopicchiata. Ecco, lì ricordo diaver preso paura, sì». E IvanaDell’Olmo, staffetta partigiana:«Una volta mio fratelloaveva una maglia rossa eun fascista gliel’ha fatta togliere.I fascisti non ti lasciavanoportare roba rossa e setu volevi qualcosa di <strong>rosso</strong>dovevi comprare il colorantee tingerlo. Come ha fattomia mamma quando i partigianivolevano i foulard rossi:ha preso la stoffa, l’ha fattabollire e c’ha messo il colorante<strong>rosso</strong> per tingerla».Un <strong>colore</strong> resistenteInevitabile, quindi, che durante laResistenza il <strong>rosso</strong> assurse a potentesegno di riscatto morale e politico.In questo periodo, a fianco<strong>del</strong>le tragedie che la guerra civiletrascinava con sé, ripresero vigorele sfide e le beffe <strong>del</strong> primo dopoguerra.<strong>La</strong> cultura popolare riesumòil valore <strong>del</strong> comico: la derisionee lo scherno <strong>del</strong>l’avversario tornaronoa essere strumenti di lottae sventolarono nuovamente lebandiere rosse. Racconta SergioCampana, partigiano garibaldino:«<strong>La</strong> prima bandiera rossa messa almio paese, Gozzano, e parlo <strong>del</strong>patria indipendente l 18 dicembre 2011 l 15


tempo di guerra, l’abbiamomessa io e due altri. Era il mesedi ottobre o novembre <strong>del</strong>’44, quando erano tornati i tedeschie c’era il coprifuoco...Allora ci siamo fatti fare unabandiera rossa, più che altroera uno straccio, da tre sorelleche già distribuivano “<strong>La</strong> StellaAlpina” [giornale garibaldino].E una sera, adagio adagio l’abbiamoappesa al pennone nelparco dove si facevano le manifestazionifasciste. Il giornodopo la pattuglia tedesca chegirava se n’è accorta, ma nonl’ha tirata via, ha solo raddoppiatola guardia… <strong>La</strong> cosa bellaè che dopo qualche giornonon c’era più appeso lo straccio<strong>rosso</strong> ma una vera bandierarossa, messa, l’ho saputo dopo,da un garibaldino <strong>del</strong> paese.Allora sono arrivati i fascisti ela roba è sparita».Anche in queste circostanze, loscontro tra le fazioni per l’egemonia<strong>del</strong> territorio interessò non soloi fatti d’arme ma anche il pianosimbolico, con la caccia alle bandiere<strong>del</strong>l’avversario, specie se rosse.Di norma, alla testa <strong>del</strong>le formazionipartigiane sventolava iltri<strong>colore</strong> e solo in qualche gruppocomunista alla bandiera coi colorinazionali si affiancava quella rossa.Pertanto un certo rilievo si davaalle “conquiste”, come accaddeper la grande bandiera rossa con lascritta «Partigiani Valsesi», cioè<strong>del</strong>la Valsesia, impiegata come fondalein una fotografia che ritrae ilcomandante <strong>del</strong>la I Divisione Garibaldi,Eraldo Gastone, “Ciro”. Ilvessillo, infatti, rinvenuto da uomini<strong>del</strong>la Gnr grazie a una spiata,fu fotografato da un operatore Lucecome trofeo di guerra.Le bandiere rosse, ad ogni modo,interiorizzavano davvero i caratteri<strong>del</strong>la trasgressione e verso la fine<strong>del</strong> conflitto molti prevedevanoche si sarebbe osato esporle qualesegno premonitore <strong>del</strong>l’imminentecalata al piano. <strong>La</strong> staffetta <strong>del</strong>la«Valtoce» Ester, al proposito, narraun dilettevole episodio. Ungiorno <strong>del</strong>l’aprile ’45, giunta aPieve Vergonte, in val d’Ossola, laragazza vide i paesani osservare ilcampanile <strong>del</strong>la parrocchia, dove alposto <strong>del</strong> tri<strong>colore</strong> sventolava unBandiere rosse nel manifesto <strong>del</strong>l’Internazionale.drappo <strong>rosso</strong>. Di lì a poco intervenneroi fascisti e tornò ad apparireil tri<strong>colore</strong>. Non passò moltotempo e nuovamente si vide ildrappo <strong>rosso</strong>, poi ancora il tri<strong>colore</strong>e di seguito il drappo <strong>rosso</strong>. Perla gente si trattava <strong>del</strong>l’impresa diaudaci garibaldini che si divertivanoa schernire gli avversari, ma, inrealtà, responsabili <strong>del</strong>la temerariaazione erano le folate di vento, cheattorcigliando il tri<strong>colore</strong> lasciavanoin bella evidenza solo la partedi <strong>colore</strong> <strong>rosso</strong>. «È il vento che si èpreso gioco di loro – scrive la donna–, è il vento che, sotto i loro occhi,ripete lo scherzo, li beffa intangibile».Vedere <strong>rosso</strong>, naturalmente, fuuna prerogativa <strong>del</strong>le formazionigaribaldine, sia nei fronzoli <strong>del</strong> vestiarioche in speciali circostanze.Una religiosa, per esempio, raccontaun episodio avvenuto nell’ospedaledi Domodossola: «Perconfortare quei partigiani feriti,gravi e meno, una suora portò incamerone una statuetta <strong>del</strong>la Madonna,ma quei poveri ragazzi sfiduciati,paurosi perché privi di armiper difendersi ebbero un momentodi ribellione, non vollerosapere <strong>del</strong>la statua. Suor <strong>La</strong>urettaandò in giardino, scelse dei fiorirossi e con questi presentò ai feritipartigiani la Madonna comunista.Tutti quei ragazzi accettaronola Madonna con un calorosobattimani».Il richiamo liberatorio <strong>del</strong> <strong>rosso</strong>nelle brigate garibaldine fuperò così foriero di sventure,dispensate da vent’anni di propagandaavversaria, che la suaproibizione giunse anche daposizioni inaspettate. «A Domodossola,nel periodo <strong>del</strong>larepubblica [partigiana] – ricor<strong>dai</strong>l commissario comunistaPippo Coppo – a un determinatomomento hanno fatto requisiretutta la carta rossa perpaura che le brigate Garibaldila usassero per stampare i lorocomunicati». L’episodio scaturivadall’intervento di AlfredoDi Dio, comandante dei cattolici<strong>del</strong>la «Valtoce», il quale fecesequestrare tutta la cartarossa esistente in tipografia,perché su di essa veniva stampatoil Bollettino Ufficiale <strong>del</strong>laGiunta provvisoria. L’ufficialeattaccò apertamente la Giunta perquella scelta giudicata sconsiderata:«Siamo d’accordo che il <strong>colore</strong>di un volantino ha un significatorelativo, però ha un significato. Ilnostro, ad esempio, è stampato inazzurro che è l’emblema <strong>del</strong>la Divisione.Ma voi, cari signori, cherappresentate un governo (o ditedi rappresentarlo) dovete essereassolutamente imparziali». Sullaquestione presero la parola i garibaldini,anch’essi privati <strong>del</strong>la cartarossa: «Le idee politiche si discutono,non si perseguitano, giacchécontengono tutte un nobile presupposto;ed i colori che le esprimonosono sempre da considerarecome segni esteriori di un intimotravaglio spirituale che va rispettato».Ma di quella carta rossa non sifece più nulla.Da fatti <strong>del</strong> genere, tuttavia, al dilà di polemiche e prese di posizione,emerge quanto un aspetto inapparenza minore abbia potutoamplificare uno scontro talora presentetra le formazioni e scoprire isegni <strong>del</strong>la lotta simbolica. L’avversione<strong>del</strong>le forze moderate neiconfronti <strong>del</strong> <strong>rosso</strong>, peraltro, nonsarà solo un turbamento <strong>del</strong> periodo:essa si manterrà nel dopoguerra,durante la guerra fredda e neidecenni a venire.16 l patria indipendente l 18 dicembre 2011

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