OGNI VOLTA “UN NOME”: DA NON DIMENTICAREVITTORIORATTIRiprendiamo un altro articolo di Riccardo Cassin, che l’indimenticabile nostroalpinista passò alla sottosezione del C.A.I. Belledo, sezione di Lecco, per pubblicarlosul suo annuario “Rassegna di Montagna” del 1966, per ricordare uno deglialpinisti che molti rimpiangono ancora con sempre viva amarezza. Se la perditaprecoce di uno dei più affermati giovani di quella generazione che promettevaallora un futuro luminoso per l’alpinismo lecchese, ci lascia ancora tanta tristezzanel cuore, ciò dipende anche dalla tragica, quasi assurda circostanza della suamorte. Proprio quando si vedevano finalmente concluse le sanguinose scaramucceintraprese per porre fine alla feroce barbarie nazista, mai più si sarebbe pensatoche queste avrebbero richiesto il sacrificio di giovanissime vite. E così VittorioRatti rimane indubbiamente per Lecco oltre che una persona da ricordare comestraordinario alpinista e come uomo dotato di eccezionali qualità, anche comeeroe della resistenza che ci ha portato al traguardo della libertà: così come bene lodescrive chi, standogli vicino, ne è stato profondamente colpito.Nel ricordodi Riccardo CassinDi una personalità poliedrica come quella diVittorio Ratti, non è agevole esaltare un unicoaspetto, anche rimanendo nel solo campoalpinistico, in cui attinse le più alte vette dellanotorietà.Altri potranno ricordarlo più adeguatamente, ma a meappare ora ben vivo nel ricordo come quando s’attanagliavaall’appiglio, tempra maschia e possente di uomo e di atletadal cuore generoso, impavido nella lotta, con una certa finezzastilistica e con la tenacia granitica del “mangia-sass”.Vittorio Ratti, che praticò anche il canottaggio con un certosuccesso, era scevro dalle boriose guasconate, possedeva uncarattere gioviale e spensierato, era serio e puntiglioso, benchénon disdegnasse la compagnia, giungendo anzi ad essere unanimatore, un trascinatore.Vittorio Ratti era, per dono di natura, un tipo eccezionale,irrequieto, insofferente d’ogni dipendenza. Era uno di quei tipiche colpisce la fantasia dei giovani, e viene da loro collocatosull’altare riservato agli eroi le cui gesta sono descritte dai libriepici, ma che raramente s’incontrano nella vita.Quando ne feci conoscenza, il nostro Vittorio aveva circa 16anni, e fu su un campo di sci.Ben presto cominciammo a frequentarci e da quel primoincontro si propiziò la nostra comune amicizia. La primaverasuccessiva al nostro incontro, Vittorio partecipava alla scuoladi roccia allora esistente, e precisamente quella del gruppoNuova Italia di cui io ero un componente. Ben presto quisi mise in evidenza, stagliandosi dagli altri per particolariattitudini di arrampicatore ed alpinista.Questo ragazzo (ben 7 anni di differenza ci separavano) mientrò in simpatia, direi in stima, e nel corso di quell’annoassieme arrampicammo parecchio. La Grignetta per Vittorionon aveva più nulla di recondito: per questo i suoi discorsicadevano spesso su altre vette. La sua era un’ambizione fattadi entusiasmo genuino e vivissimo amore per la montagna.Nel 1935 il gruppo Nuova Italia organizzò un campeggio inCivetta: per Ratti era l’occasione a lungo vagheggiata. Io conDell’Oro, alias Boga, ero partito in ricognizione per scegliereil posto migliore dove piazzare le tende, e con questo pretestopotei effettuare la prima salita italiana e la terza ripetizioneassoluta della via Comici, aperta nel 1931 da Emilio Comicie Giulio Benedetti, alla Nordovest del Civetta. Al ritornodella nostra salita trovammo il nucleo dei nostri lecchesi chearrivava al campeggio: Vittorio Ratti era con loro. Assiemedecidemmo di sferrare l’attacco all’immacolato spigolo Sudestdella Torre Trieste. Per Ratti era la prima salita di grandeprestigio che affrontava ed era anche la prima ascensioneda compiere con bivacchi. Ma di questi timori Ratti nonne nutriva, anzi non ne parlava affatto: la sua forte fibra el’inesausta passione lo caricavano di uno slancio che, vedremopiù avanti, lo porterà ai più memorabili trionfi dell’epoca.Vorrei sottolineare che in questa circostanza si arrampicòper 57 ore, si affrontarono due bivacchi e si tirò avanticon una sola borraccia d’acqua… Lascio a voi i commenti.Voglio solo far notare che sotto il sole cocente che battevain continuazione sulla Trieste, asciugammo l’ultimo sorso incima alla salita: pateticamente in discesa leccheremo l’umidaroccia dei camini per ristorarci.Pochi giorni dopo nei nostri programmi si presentava l’attaccoalla parete Nord della Cima Ovest di Lavaredo. Anche qui si14 | Uomini&<strong>Sport</strong> | Maggio 2013
trattava di una prima salita, ed anche qui l’opera di Ratti risulterà determinante, direi senza pari. Figuratevi che rimase appesoalla parete senza staffe, assicurato da un solo chiodo, per ben otto ore, mentre io ero impegnato sul passaggio chiave della salita.Nel 1936 con Vittorio Panzeri tracciò una nuova via sulla parete Sudsudovest della Torre Venezia nel Civetta, con l’uso di 20chiodi, di cui 8 lasciati, tra la via Tissi e la via Andrich.L’anno dopo la cordata lecchese composta da Stefano Longhi e Adolfo Anghileri ne effettuò la prima ripetizione.Nello stesso anno con Ginetto Esposito effettuò una nuova via, con importanti varianti della via dei tedeschi, Gabriel Haupte Karl Loempel, sulla Nordovest del Civetta, a destra della via Solleder, e a quei tempi procurò sensazione la notizia che Ratticon il solo martello da roccia e con le pedule da roccia ai piedi aveva attraversato il ghiacciaio pensile del Cristallo.Nel 1937 si spostò con me ed Esposito nelle Alpi Centrali e fu la volta della Nordest del Badile. In questa salita ci colsel’uragano. In parete c’erano altri due giovani alpinisti, i comaschi Molteni e Valsecchi, e questa calamità ci spinse a formareun’unica cordata di cinque uomini. Ratti, in chiusura, si prodigò con generosità senza pari, ma il suo spirito di sacrificio peril prossimo, il suo stoicismo spinto all’estremo non servì purtroppo ad impedire che succedesse un dramma. All’inizio delladiscesa, piegati dallo sforzo immane ed immenso, i due comaschi morirono.Nel 1938 con Gigi Vitali, suo grande amico da poco reduce dalla guerra d’Africa, aprì una nuova via alla Cima Su Alto, salitadi estrema libera ancora oggi ritenuta una delle più belle arrampicate in Civetta.Nel 1939, in occasione del campeggio del gruppo Nuova Italia al Bianco, traccia ancora con Gigi Vitali una stupenda salita allaOvest dell’Aiguille Noire de Peutérey.Vittorio Ratti in unarappresentazione storica di discesaa corda doppia del suo tempo.In quell’occasione, bloccati dal cattivo tempo e non potendocomunicare con nessuno, misero in apprensione per la lorovita tutto il mondo dell’alpinismo: ma loro se ne stavanotranquilli in bivacco.Ma poi le vicende della guerra diedero l’alt alla sua intensaattività. E si arriva così a quel triste 26 aprile del 1945quando, non ancora trentenne, il nostro Vittorio Ratticadde in una centralissima via di Lecco sotto le raffiche diun fucile mitragliatore.Vittorio Ratti alla sinistra di VittorioVarale, che intervista Gigi Vitali,dopo la sua prima scalata della pareteOvest dell’Aiguille Noire de Peutéreynell’agosto 1939.Il “fortissimo” era caduto. La sua generosità lo aveva messo inprima fila, la sua potenza leggendaria lo aveva spinto a credersiinvulnerabile: e così cadde, come solo i migliori possono cadere.La scomparsa di Vittorio ci gettò tutti nel più profondo doloree nella più viva costernazione, lasciandoci un vuoto incolmabile.Rimane, oltre tutto, il rimpianto per quanto avrebbe potutocompiere per la causa dell’alpinismo questo grande esempio diuomo, se la morte non fosse giunta così prematura.Parecchie famiglie lecchesi, i compagni di mille giorni inmontagna, conservano nelle loro abitazioni un angolo di paretericoperto da una fotografia del povero Ratti, in cui la sua figurasi staglia ancora alta, a ricordo di un impareggiabile esempio.E questo perché, oltre ad emergere come alpinista, fu un buonoe un generoso, che all’alpinismo lecchese ed italiano diedepagine di gloria ed il meglio di se stesso, riservando all’amicizia,fondata su incrollabili principi di solidarietà, tutti i suoi piùnobili e profondi sentimenti.*L’articolo viene pubblicato con la gentile concessione della Fondazione Riccardo Cassin.*Fotografie attinte dall’archivio della famiglia Ratti.Uomini&<strong>Sport</strong> | Maggio 2013 | 15