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PORTAVOCE DI SAN LEOPOLDO MANDIC - marzo 2017

Portavoce di san Leopoldo Mandic (Dal 1961, a Padova, la rivista del santuario di padre Leopoldo, francescano cappuccino, il santo della misericordia e dell'ecumenismo spirirituale)

Portavoce di san Leopoldo Mandic (Dal 1961, a Padova, la rivista del santuario di padre Leopoldo, francescano cappuccino, il santo della misericordia e dell'ecumenismo spirirituale)

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Portavoce<br />

N. 2 - MARZO <strong>2017</strong><br />

di san Leopoldo Mandić<br />

FESTA DEL PAPÀ<br />

OGNI FAMIGLIA<br />

HA BISOGNO<br />

DEL PADRE<br />

Mensile - anno 57 - n. 2 - Poste Italiane s.p.a. - Sped. in A.P. - D.L. 353/2003 (conv. in L. 27/02/2004 n° 46) art. 1, comma 1, NE/PD<br />

SIMBOLI BIBLICI<br />

NEL FUOCO<br />

<strong>DI</strong>O SI MANIFESTA,<br />

PURIFICA, GUIDA<br />

TRENT'ANNI<br />

CON <strong>SAN</strong> <strong>LEOPOLDO</strong><br />

GLI SCRITTI IN LATINO<br />

DEL 1911


N. 2 MARZO <strong>2017</strong> ANNO 57<br />

IN QUESTO NUMERO<br />

E<strong>DI</strong>TORIALI<br />

3 / Vangelo in parcheggio? / Ai lettori / di Giovanni Lazzara<br />

6 / Il Giubileo della Riforma protestante / La voce del santuario /<br />

di Flaviano G. Gusella<br />

ATTUALITÀ ECCLESIALE<br />

8 / Ogni famiglia ha bisogno del padre / Festa del papà / di papa Francesco<br />

10 / Sei un padre «costruttivo»? / di Gary Chapman<br />

12 / Periscopio cattolico / a cura di Giovanni Lazzara<br />

FEDE & VITA<br />

14 / Nel fuoco Dio si manifesta, purifica, guida / Simboli biblici > 14 /<br />

di Roberto Tadiello<br />

18 / Beata Eurosia Fabris Barban. I tre volti della maternità /<br />

Volti della misericordia > 10 / di Gianluigi Pasquale<br />

21 / «Sia santificato il tuo nome» / Il «Padre nostro», la preghiera<br />

di Gesù > 3 / a cura di Carlo Roccati<br />

<strong>SAN</strong> <strong>LEOPOLDO</strong>, IERI E OGGI<br />

23 / Trent’anni con san Leopoldo. Scritti in latino dal 1911 al 1941 /<br />

di Ivano Cavallaro<br />

24 / Alla scoperta del «latino» di san Leopoldo / di Ivano Cavallaro<br />

25 / Quel «sì» che cancella i nostri «no». Gli scritti dell’anno 1911 /<br />

di Ivano Cavallaro<br />

28 / La fede di Leopoldo e la fede di Gesù / di Vinicio Campaci<br />

32 / Intravedere la Vita. Voci di speranza dal carcere / di Nilo Trevisanato<br />

RUBRICHE<br />

4 / Lettere a Portavoce / di Aurelio Blasotti<br />

34 / Grazie, san Leopoldo / a cura della Redazione<br />

36 / Vita del santuario / a cura della Redazione<br />

39 / Calendario liturgico / di Sisto Zarpellon<br />

COME SOSTENERE «<strong>PORTAVOCE</strong>»<br />

QUOTA ASSOCIATIVA PER IL <strong>2017</strong><br />

Italia € 20 - Europa € 30 - altri Paesi USD 38 - Sostenitore: a partire da € 50<br />

Il versamento può essere effettuato:<br />

- alle poste, su conto corrente<br />

Banco Posta n. 68943901 intestato a: «Associazione Amici di San Leopoldo»<br />

- in banca, con bonifico bancario intestato a: «Associazione Amici di San Leopoldo»<br />

coordinate bancarie dello stesso conto: IBAN: IT07 V076 0112 1000 0006 8943 901<br />

BIC(SWIFT): BPPIITRRXXX<br />

solo per i Paesi che non usano Euro: IBAN: IT07 V076 0112 1000 0006 8943 901<br />

BIC(SWIFT): POSOIT22XXX<br />

- con assegno bancario intestato a: «Provincia Veneta dei Frati Minori Cappuccini» e inviato<br />

a: Santuario san Leopoldo Mandić, piazzale S. Croce, 44 - 35123 Padova<br />

Portavoce<br />

di san Leopoldo Mandić<br />

Periodico di cultura religiosa<br />

dell’Associazione «Amici di San Leopoldo»<br />

Direzione, Redazione, Amministrazione<br />

Associazione «Amici di San Leopoldo»<br />

Santuario san Leopoldo Mandić<br />

Piazzale S. Croce, 44 - 35123 Padova<br />

Tel. 049 8802727 - Fax 049 8802465<br />

Redazione: direttore@leopoldomandic.it<br />

Santuario: info@leopoldomandic.it<br />

Direttore e Redattore<br />

Giovanni Lazzara<br />

Dir. Responsabile<br />

Luciano Pastorello<br />

Hanno collaborato a questo numero<br />

Aurelio Blasotti, Flaviano G. Gusella, Roberto<br />

Tadiello, Gianluigi Pasquale, Carlo Roccati,<br />

Ivano Cavallaro, Vinicio Campaci, Nilo<br />

Trevisanato, Sisto Zarpellon e Fabio Camillo<br />

Impaginazione<br />

Barbara Callegarin<br />

Stampa<br />

Stampe Violato - Bagnoli di Sopra (PD)<br />

Registrazione Tribunale di Padova<br />

n. 209 del 18.10.1961<br />

Iscrizione al R.O.C. n. 13870<br />

Con approvazione ecclesiastica<br />

e dell’Ordine dei Frati Minori Cappuccini<br />

Editore<br />

Associazione «Amici di san Leopoldo»<br />

Spedizione in abbonamento postale<br />

Nel rispetto del D.L. n. 196/2003 Portavoce di san Leopoldo<br />

Mandić garantisce che i dati personali relativi agli associati<br />

sono custoditi nel proprio archivio elettronico con le<br />

opportune misure di sicurezza. Tali dati sono trattati<br />

conformemente alla normativa vigente, non possono<br />

essere ceduti ad altri soggetti senza espresso consenso<br />

dell’interessato e sono utilizzati esclusivamente per l’invio<br />

della Rivista e iniziative connesse<br />

In copertina: padre e figlio in spiaggia (foto Bob<br />

Oliver)<br />

Le foto, ove non espressamente indicato, hanno valore<br />

puramente illustrativo<br />

Chiuso in prestampa il 16.1.<strong>2017</strong><br />

Consegnato alle poste tra il 13 e il 17.2.<strong>2017</strong><br />

Rettore del santuario<br />

Fra Flaviano Giovanni Gusella<br />

Santuario san Leopoldo Mandić<br />

Piazzale S. Croce, 44 - 35123 Padova<br />

Tel. 049 8802727 - Fax 049 8802465<br />

www.leopoldomandic.it


AI LETTORI<br />

◼ <strong>DI</strong> GIOVANNI LAZZARA, <strong>DI</strong>RETTORE<br />

Vangelo in parcheggio?<br />

Spendereste i vostri soldi per una bella<br />

macchina per poi tenerla in garage,<br />

accontentandovi di toglierle la polvere e di<br />

metterla in moto, di tanto in tanto, giusto<br />

per ammirarne la brillante vernice e sentirle<br />

cantare il motore? Penso proprio di no, anche se<br />

ho conosciuto qualcuno che prendeva la corriera<br />

tutti i giorni per andare al lavoro, ma la domenica<br />

usciva dal garage con una macchina lucidissima e<br />

scendeva in strada con l’aria del capitano della nave il<br />

giorno del varo. Una macchina che potrebbe portare<br />

lontano, a respirare aria buona o a incontrare amici;<br />

una macchina che permetterebbe di varcare la notte<br />

più buia grazie ai suoi potenti fari… lasciata ad<br />

invecchiare, negandole in fondo il senso per cui era<br />

stata progettata. Una brutta sorte, sarete d’accordo.<br />

Eppure, sembra che tanti tengano in casa il<br />

Vangelo e la Bibbia più o meno così: ordinatamente<br />

e ordinariamente parcheggiati. La Bibbia, diceva san<br />

Gregorio Magno, è una «lettera scritta da Dio agli<br />

uomini». Ma la leggono, gli uomini?<br />

La scarsa conoscenza del Vangelo da parte degli<br />

italiani è il risultato di una ricerca condotta dal Censis<br />

e curata da Giulio De Rita. «Quasi il 70% degli italiani<br />

possiede una copia del Vangelo, ma di questi il 51% non<br />

lo apre mai». Se si somma questa percentuale al 30%<br />

degli italiani che non possiede una copia del Vangelo,<br />

si arriva al dato dell’80%: ciò significa che il 20% degli<br />

italiani non legge mai il Vangelo, e tra questi «un 33%<br />

frequenta la Chiesa: ciò vuol dire che circa un terzo di<br />

coloro che frequentano la Chiesa non lo conosce», ha<br />

sottolineato De Rita. Soltanto un italiano su cinque, il<br />

20%, sa citare a memoria un versetto dei Vangeli. La<br />

frase più ricordata è «beati i poveri in spirito», seguita<br />

dal comandamento dell’amore «ama il prossimo tuo<br />

come te stesso». Il 46% non conosce il numero esatto<br />

dei Vangeli canonici (eppure basta una mano).<br />

Se qualcuno continua a descrivere l’Italia come<br />

un «Paese con una forte tradizione cattolica», ditegli<br />

di aprire gli occhi: viviamo tra cristiani battezzati dal<br />

grande cuore, ma malati di analfabetismo religioso.<br />

Cosa che dovrebbe far riflettere sul fiasco di decenni<br />

di tanta catechesi e sui risultati dell’insegnamento<br />

scolastico della religione cattolica. Il problema è che<br />

il Vangelo, anche se presente sugli scaffali di casa, per<br />

molti è come se non ci fosse: non viene letto né usato<br />

per la riflessione e la preghiera. Ma non tutto è perduto.<br />

Stanno crescendo il numero e le esperienze di lettori<br />

intelligenti della Bibbia e del Vangelo.<br />

Tra le realtà positive da segnalare e da promuovere:<br />

i corsi di studi biblici seguiti da tanti laici; i «gruppi<br />

di ascolto» che in numerose parrocchie e abitazioni<br />

private radunano cristiani impegnati a confrontare la<br />

propria vita con i sacri testi; le iniziative editoriali che<br />

anche nelle librerie laiche hanno «sdoganato» testi<br />

prima confinati nel circuito delle librerie religiose; la<br />

preghiera liturgica dei Salmi delle Lodi e Vespri oppure<br />

la pratica della Lectio Divina nelle chiese parrocchiali<br />

e tra i membri di associazioni o movimenti religiosi; i<br />

percorsi formativi intrapresi a partire dai capolavori<br />

della nostra letteratura e arte cristiana.<br />

I credenti dovrebbero essere «strumenti vivi<br />

di trasmissione della Parola», impegnati «per la<br />

diffusione, la conoscenza e l’approfondimento<br />

della Sacra Scrittura» scrive papa Francesco nella<br />

Misericordia et Misera, lettera apostolica a conclusione<br />

del Giubileo Straordinario della Misericordia,<br />

suggerendo due iniziative concrete: «che ogni<br />

comunità» scelga una domenica dell’anno liturgico<br />

per «dedicarla interamente alla parola di Dio per<br />

comprendere l’inesauribile ricchezza che proviene da<br />

quel dialogo costante di Dio con il suo popolo»; creare<br />

iniziative come «la diffusione più ampia della lectio<br />

divina, affinché, attraverso la lettura orante del testo<br />

sacro, la vita spirituale trovi sostegno e crescita».<br />

San Leopoldo, quando si trattava di convincere o<br />

di dare un giudizio su questioni complicate, spiegava:<br />

«Io parto sempre dal Sacro Testo». Cari amici,<br />

sfogliate, leggete, pregate il Vangelo che avete in casa:<br />

scoprirete quanta consolazione e luce sprigionano le<br />

intramontabili parole di vita del Signore. P<br />

<strong>marzo</strong> <strong>2017</strong> | Portavoce | 3


LETTERE<br />

A <strong>PORTAVOCE</strong><br />

Conservare in casa<br />

le ceneri del defunto ?<br />

Caro padre, mia madre è molto<br />

anziana e mio padre è arrivato<br />

quasi alla fine. Vivo con preoccupazione<br />

questi momenti, perché<br />

sono l’unica figlia, ma sono pure<br />

sposata e vivo a una ventina di<br />

chilometri. Presto nella casa della<br />

mia infanzia e gioventù mia<br />

madre resterà sola. Ha espresso il<br />

desiderio di avere ancora «vicino»<br />

mio padre, dopo la sua morte. Come<br />

credente, mi sto interrogando:<br />

la Chiesa permette di conservare<br />

in casa le ceneri dei propri defunti?<br />

Per mia madre sarebbe di grande<br />

consolazione.<br />

P.V. (Cittadella, PD)<br />

La legge civile, in materia di<br />

cremazione, ammette l’affidamento<br />

dell’urna cineraria<br />

ai familiari (legge n.<br />

130 del 30 <strong>marzo</strong> 2001) a<br />

precise condizioni: ci deve essere<br />

la volontà del defunto, espressa in<br />

modo inequivocabile; l’urna, sulla<br />

quale saranno apposti i dati anagrafici<br />

del defunto, dovrà essere,<br />

e rimanere, sigillata in maniera<br />

tale da impedire la profanazione<br />

delle ceneri; la consegna dell’urna<br />

al familiare custode dovrà essere<br />

verbalizzata.<br />

La custodia dell’urna cineraria<br />

non è solo un onore, ma comporta<br />

anche l’assunzione di alcuni obblighi<br />

nei confronti del Comune, che<br />

rimane il titolare formale e istituzionale<br />

della funzione cimiteriale.<br />

Infatti, l’urna deve essere conservata<br />

in luogo stabile, protetta da<br />

possibili asportazioni, aperture o<br />

rotture accidentali. Occorre poi<br />

permettere l’accesso agli altri congiunti<br />

o amici di esercitare il loro<br />

diritto di visitare i resti del defunto<br />

per atti rituali e di suffragio. L’affidatario<br />

è poi anche sottoposto alle<br />

ispezioni e ai controlli di vigilanza<br />

da parte del personale comunale.<br />

Qualora, per qualsiasi motivo, l’affidatario<br />

o i suoi eredi intendano<br />

rinunciare all’affidamento dell’urna,<br />

essi sono tenuti a conferirla al<br />

cimitero per la tumulazione, previa<br />

acquisizione dell’autorizzazione<br />

al trasporto da parte del Comune<br />

nel quale si trova l’urna affidata.<br />

Circa il pensiero della Chiesa,<br />

per quanto riguarda la conservazione<br />

delle ceneri di un defunto<br />

nelle case, la Congregazione per<br />

il culto divino e la disciplina dei<br />

sacramenti nel Direttorio su pietà<br />

popolare e liturgia (2002) afferma:<br />

«Si esortino i fedeli a non conservare<br />

in casa le ceneri di familiari, ma<br />

a dare ad esse consueta sepoltura»<br />

(n. 254). L’episcopato italiano è<br />

poi intervenuto in maniera molto<br />

netta con il sussidio pastorale Proclamiamo<br />

la tua risurrezione, curato<br />

nel 2007 dalla Commissione per<br />

la liturgia. Le valutazioni negative<br />

espresse nel sussidio sono state<br />

riprese quasi alla lettera dalla Cei<br />

nella recente nuova edizione del<br />

Rito delle esequie (2011).<br />

È recentissima, infine, l’Istruzione<br />

della Congregazione per la<br />

dottrina della fede Ad resurgendum<br />

cum Christo (Per risuscitare con Cristo)<br />

«circa la sepoltura dei defunti<br />

e la conservazione delle ceneri in<br />

caso di cremazione» (25.10.2016).<br />

È un documento facilmente reperibile,<br />

chiaro e sintetico. Tralascio<br />

qui di riportare le motivazioni per<br />

cui la Chiesa «raccomanda insistentemente<br />

che i corpi dei defunti<br />

Urna cineraria<br />

vengano seppelliti nel cimitero o in<br />

altro luogo sacro» (n. 3), pur accogliendo<br />

la prassi della cremazione<br />

del cadavere, perché «non tocca<br />

l’anima e non impedisce all’onnipotenza<br />

divina di risuscitare il<br />

corpo e quindi non contiene l’oggettiva<br />

negazione della dottrina<br />

cristiana sull’immortalità dell’anima<br />

e la risurrezione dei corpi» (n.<br />

4). La cremazione, tuttavia, deve<br />

sempre avvenire dopo la celebrazione<br />

delle esequie.<br />

A questo punto, nel documento<br />

vaticano arriva la risposta alla domanda<br />

della nostra lettrice: «Qualora<br />

per motivazioni legittime venga<br />

fatta la scelta della cremazione<br />

del cadavere, le ceneri del defunto<br />

devono essere conservate di regola<br />

in un luogo sacro, cioè nel cimitero<br />

o, se è il caso, in una chiesa o<br />

in un’area appositamente dedicata<br />

a tale scopo dalla competente autorità<br />

ecclesiastica. […] La conservazione<br />

delle ceneri in un luogo<br />

sacro può contribuire a ridurre<br />

il rischio di sottrarre i defunti alla<br />

preghiera e al ricordo dei parenti<br />

e della comunità cristiana. In tal<br />

modo, inoltre, si evita la possibilità<br />

di dimenticanze e mancanze<br />

di rispetto, che possono avvenire<br />

soprattutto una volta passata la<br />

prima generazione, nonché pratiche<br />

sconvenienti o superstiziose»<br />

(n. 5). E, a scanso di malintesi, si<br />

4 | Portavoce | <strong>marzo</strong> <strong>2017</strong>


Dispersione delle ceneri di un defunto<br />

afferma chiaramente: «Per i motivi<br />

sopra elencati, la conservazione<br />

delle ceneri nell’abitazione domestica<br />

non è consentita» (n. 6).<br />

Mons. Carlo Redaelli, arcivescovo<br />

di Gorizia, in occasione<br />

dell’apertura dell’Anno santo della<br />

Misericordia, aveva scritto tra l’altro:<br />

«Un’opera di misericordia che<br />

oggi è urgente riscoprire è quella<br />

di “seppellire i morti”… Un’azione<br />

che sembrava ovvia e scontata fin<br />

dagli albori della civiltà… Il diffondersi,<br />

però, della pratica della<br />

cremazione con la possibilità anche<br />

legale di conservare le ceneri<br />

in luoghi privati (nelle case) o, a<br />

certe condizioni, di disperderle<br />

in natura, sta mettendo in crisi la<br />

tradizione della sepoltura… La<br />

sepoltura dei defunti – continuava<br />

mons. Redaelli – significa, infatti,<br />

più o meno consapevolmente, tre<br />

grandi valori: il rispetto della dignità<br />

della persona, che comprende<br />

anche la cura dei suoi resti mortali,<br />

la convinzione che in qualche<br />

modo ci sia una continuità della<br />

vita anche dopo la morte e la consapevolezza<br />

che il defunto non<br />

esca dalla comunità umana. […]<br />

Anche Gesù è stato sepolto. Anzi,<br />

stando ai racconti evangelici, il<br />

suo corpo è stato oggetto di particolare<br />

cura, pur essendo il corpo di<br />

un condannato, di un “maledetto”:<br />

Giuseppe di Arimatea lo chiede a<br />

Pilato e mette a disposizione della<br />

sepoltura di Gesù il suo sepolcro<br />

nuovo; lo stesso Giuseppe con Nicodemo<br />

provvede alla sepoltura;<br />

le donne, trascorso il sabato, si<br />

recano al sepolcro con aromi per<br />

completare la sepoltura. Il mattino<br />

di Pasqua cambia però tutto. Le<br />

donne trovano il sepolcro vuoto<br />

e incontrano poi il Risorto che le<br />

manda ad annunciare che lui ha<br />

vinto la morte, che lui, il crocefisso,<br />

è risorto. La Pasqua apre così<br />

un significato nuovo alla sepoltura,<br />

che diventa non più solo un gesto<br />

di pietà, ma un segno di speranza<br />

nella risurrezione».<br />

Proprio perché credenti, dobbiamo<br />

guardare all’unità del Corpo<br />

di Cristo, che è l’intero popolo di<br />

Dio, la sua Chiesa terrestre e celeste;<br />

una unità che la morte non può<br />

spezzare, anzi essa stessa inaugura<br />

la vita nuova che sarà per sempre.<br />

Un tempo, tale unità era molto visibile<br />

con le sepolture in chiesa o<br />

attorno ad essa. Poi, con la collocazione<br />

dei cimiteri fuori dei centri<br />

abitati, si è in parte perso il segno<br />

della forte relazione tra la comunità<br />

dei vivi e quella dei defunti. Tuttavia<br />

è possibile, mentre si va a pregare<br />

per i propri cari, riconoscere,<br />

ricordare e quindi pregare per altre<br />

persone: parenti, amici, colleghi di<br />

lavoro o semplicemente compaesani<br />

conosciuti e che ora dormono<br />

nel Signore, incrementando così la<br />

«comunione dei santi».<br />

Carissima, veda allora di rincuorare<br />

sua madre, alimentando,<br />

soprattutto attraverso la preghiera<br />

e l’eucarestia, la fede in Gesù risorto,<br />

in cui tutti i nostri cari defunti<br />

vivono e sono con noi per sempre.<br />

A caccia<br />

di solidarietà<br />

In prossimità delle grandi feste,<br />

particolarmente del Santo Natale,<br />

ricevo un gran numero di lettere<br />

e di altro materiale attraverso la<br />

posta: bollettini di conto corrente<br />

postale, biglietti augurali, eccetera.<br />

Si tratta di organizzazioni, associazioni,<br />

Onlus varie, che cercano<br />

solidarietà alle loro iniziative.<br />

Apprezzo ciò che fanno e non ho<br />

motivo di dubitare delle loro intenzioni.<br />

Le sembra giusto, Padre,<br />

che queste associazioni spendano<br />

così tanti soldi per la propaganda,<br />

quando potrebbero usarli per i loro<br />

scopi benefici?<br />

Gianfranco A. (Sirmione, BS)<br />

Evidentemente, caro Gianfranco,<br />

il gioco vale la<br />

candela, come si usa dire,<br />

altrimenti non le invierebbero<br />

tanto materiale per<br />

<strong>marzo</strong> <strong>2017</strong> | Portavoce | 5


▶ lettere a portavoce<br />

posta. Nel commercio l’entrata deve<br />

superare l’uscita: non ha senso<br />

lavorare in passivo.<br />

A Natale tutti si sentono più<br />

buoni e altruisti. A ricordarcelo<br />

sono proprio loro, ossia quelle<br />

associazioni che si adoperano per<br />

realizzare, attraverso la solidarietà<br />

di molti, opere che altrimenti<br />

non troverebbero modo di essere<br />

realizzate. Certamente, tra i molti<br />

che bussano, si può annidare anche<br />

qualche furbetto che inventa<br />

un bisogno da coprire, oppure<br />

apre una «catena di sant’Antonio»<br />

offrendo miraggi di fortuna se l’offerta<br />

viene data o minacciando disgrazie<br />

se negata.<br />

Sarebbe interessante che tu capissi<br />

com’è iniziato ad arrivare il<br />

primo CCP o il materiale propagandistico.<br />

Magari c’è stata realmente<br />

una donazione, anche piccola, ma<br />

sufficiente per inserirti tra i benefattori<br />

cui augurare buone feste e<br />

allungare la mano in attesa di una<br />

nuova offerta. Spesso verso la fine<br />

dell’anno, le riviste usano inviare<br />

un bollettino postale indistintamente<br />

a tutti gli abbonati per sollecitare<br />

il rinnovo dell’abbonamento,<br />

forse già eseguito. In tal caso il<br />

bollettino può essere interpretato,<br />

a torto, come una non opportuna<br />

richiesta di ulteriore denaro.<br />

Come comportarsi? Ho visto<br />

cassette postali fuori delle case<br />

con la scritta: «No propaganda.<br />

Grazie». In altri casi esiste sempre<br />

il telefono per chiedere spiegazioni<br />

direttamente alle varie associazioni<br />

o riviste. La cosa migliore,<br />

tuttavia, resta quella di comportarsi<br />

secondo coscienza. La carità<br />

va fatta sempre, e non solo a Natale.<br />

Ma va fatta bene, con intelligenza<br />

e riflessione (ossia coscienti<br />

della sua giusta causa e che vada a<br />

destinazione certa) e – cosa molto<br />

importante – va fatta secondo le<br />

proprie possibilità.<br />

Caro Gianfranco, per concludere<br />

ti consiglio di sentirti libero e<br />

saggio nei tuoi gesti di carità, ma<br />

sempre gioiosamente generoso<br />

nell’aiutare – come puoi – chi ha<br />

meno di te. Nessuno, infatti, è così<br />

povero da non poter almeno offrire<br />

al fratello un sorriso o chiedergli<br />

«Come stai?». P<br />

Aurelio Blasotti<br />

SCRIVETE A<br />

Redazione Portavoce di san Leopoldo:<br />

Piazzale S. Croce, 44 - 35123 Padova<br />

Fax: 049 8802465<br />

e-mail: direttore@leopoldomandic.it<br />

oppure<br />

aurelio.blasotti@fraticappuccini.it<br />

La Redazione si riserva il diritto<br />

di sintetizzare le lettere.<br />

È garantito il rispetto dell’anonimato<br />

per chi lo richiede.<br />

Se il 2016 è stato<br />

caratterizzato dal grande<br />

dono del Giubileo<br />

straordinario della<br />

Misericordia, che, per<br />

volontà di papa Francesco, ha<br />

avuto tra i patroni anche san<br />

Leopoldo Mandić, il <strong>2017</strong>, sul<br />

versante ecumenico, del quale<br />

padre Leopoldo fu protagonista<br />

profetico, propone alla nostra<br />

attenzione un altro importante<br />

Giubileo: quello della Riforma<br />

protestante.<br />

Cinquecento anni fa, il 31<br />

ottobre 1517, il frate e teologo<br />

agostiniano Martino Lutero<br />

(nella foto), insegnante di teologia<br />

a Wittenberg rendendo pubbliche<br />

le sue «95 tesi» invitò il principe di<br />

Sassonia e la comunità accademica<br />

a una disputa aperta riguardante il<br />

tema delle indulgenze. Si trattava<br />

di una prassi usuale negli ambienti<br />

universitari, attraverso la quale<br />

intendeva difendere e provare le<br />

proprie affermazioni. Un gesto,<br />

che non rappresentando ancora<br />

una rottura definitiva con la Chiesa<br />

romana, divenne, tuttavia, per<br />

convenzione storica, l’inizio del<br />

doloroso evento che provocò<br />

la seconda grande lacerazione<br />

all’interno della Chiesa, dopo<br />

quella con il mondo ortodosso.<br />

Secondo il parere del pastore<br />

valdese Paolo Ricca, autorevole<br />

storico e teologo della Riforma e<br />

del pensiero di Lutero, le cause<br />

o ragioni di quel fenomeno<br />

complesso sono molteplici.<br />

Oltre alle motivazioni di carattere<br />

morale, economico, sociale,<br />

politico e culturale, «la ragione<br />

decisiva rimane quella religiosa:<br />

la Riforma nacque dalla riscoperta<br />

del vangelo come annuncio<br />

della libera grazia di Dio, donata<br />

al peccatore senza riguardo ai<br />

meriti e senza condizioni. Questo<br />

annuncio è il cuore della Bibbia,<br />

che venne tradotta nelle lingue<br />

6 | Portavoce | <strong>marzo</strong> <strong>2017</strong>


LA VOCE DEL <strong>SAN</strong>TUARIO<br />

◼ <strong>DI</strong> FLAVIANO G. GUSELLA<br />

Il Giubileo della Riforma protestante<br />

volgari e largamente diffusa tra il popolo».<br />

La dottrina della giustificazione per la fede si<br />

ancorava alla teologia di san Paolo, in particolare alla<br />

Lettera ai Romani e alla Lettera ai Galati. Un testo,<br />

quest’ultimo, particolarmente caro al Riformatore che,<br />

nel commento del 1531, la definiva «la mia epistoletta,<br />

a cui mi sono fidanzato. È la mia Caterina von Bora»,<br />

cioè la monaca scelta come sposa. Lutero aveva scritto<br />

un primo commento alla Lettera tra il 1516 e il 1517,<br />

proprio quando era alla ricerca di una risposta alla<br />

sua tormentosa domanda: «Come posso avere un Dio<br />

misericordioso?». La Lettera ai Galati aprì orizzonti<br />

rassicuranti alla ricerca di Lutero. Egli si sentì in<br />

sintonia con l’Apostolo che, con forza polemica,<br />

si opponeva al giudeo-cristianesimo che<br />

sostituiva al primato di Dio quello<br />

dell’uomo, che alla grazia opponeva<br />

la legge, che rispetto alla fede<br />

privilegiava le opere, che<br />

all’«essere salvati» sostituiva il<br />

«salvarsi» (cf. Gal 2,16). San<br />

Paolo, proponendo l’originalità<br />

del messaggio cristiano nel suo<br />

cuore autentico, «vuole impedire<br />

che l’uomo prevarichi su Dio, cioè<br />

che l’etica anticipi la teologia, che<br />

la legge osservata preceda il Vangelo<br />

annunziato, che l’auto-salvazione<br />

si opponga alla grazia salvifica. Non è<br />

solo un ordine logico o cronologico dei fattori,<br />

ma una sequenza strutturale e metafisica, è una<br />

rivoluzione teologica copernicana al cui centro è<br />

Dio e non l’uomo giusto» (Gianfranco Ravasi, Jesus<br />

1/<strong>2017</strong>, pp. 84-85).<br />

Il 31 ottobre scorso papa Francesco ha compiuto<br />

un viaggio a Lund, in Svezia, ufficializzando la<br />

partecipazione della Chiesa cattolica alle celebrazioni<br />

dei 500 anni della Riforma. Un intervento frutto di<br />

quasi cinquant’anni di dialogo tra la Chiesa cattolica<br />

romana e il mondo luterano, e di altri importanti<br />

eventi che, dopo secoli di scontri teologici ma anche di<br />

guerre di religione, stanno segnando una promettente<br />

apertura ecumenica con il mondo protestante. Mi<br />

riferisco in particolare a due documenti firmati da<br />

cattolici e luterani: la Dichiarazione congiunta sulla<br />

dottrina della giustificazione (31 ottobre 1999) e il<br />

rapporto Dal conflitto alla comunione (2013), che<br />

delinea una via per un traguardo al quale non siamo<br />

ancora giunti. Rinvio alla lettura di questi importanti<br />

documenti e all’Unitatis Redintegratio del concilio<br />

ecumenico Vaticano II per conoscere il cammino di<br />

grazia che lo Spirito Santo ha suscitato e sta suscitando.<br />

Il testo del 2013, elaborato proprio in vista della<br />

celebrazione del Giubileo della Riforma, riconosce<br />

che «siamo colpevoli dinanzi a Cristo di avere infranto<br />

l’unità della Chiesa» e afferma che l’Anno giubilare<br />

ci presenta due sfide: la purificazione e la guarigione<br />

delle memorie, e la restaurazione dell’unità dei<br />

cristiani secondo la verità del Vangelo di Gesù Cristo<br />

(cf. Ef 4,4-6). Anche se non siamo ancora alla piena<br />

unità, ciò che ci unisce è molto più di quello<br />

che ci divide.<br />

Papa Francesco a Lund, dopo aver<br />

riconosciuto che «l’esperienza di<br />

Martino Lutero ci interpella e<br />

ci ricorda che non possiamo<br />

fare nulla senza Dio» e che «la<br />

Riforma ha contribuito a dare<br />

maggiore centralità alla sacra<br />

Scrittura nella vita della Chiesa»,<br />

ha invitato a prendere atto con<br />

onestà «che la nostra divisione<br />

si allontanava dalla intuizione<br />

originale del popolo di Dio […]<br />

ed è stata storicamente perpetuata<br />

da uomini di potere di questo mondo<br />

più che per la volontà del popolo fedele».<br />

Ribadendo poi con forza l’impegno della Chiesa<br />

cattolica nel cammino ecumenico, ha affermato:<br />

«Non possiamo rassegnarci alla divisione e alla<br />

distanza che la separazione ha prodotto tra noi.<br />

Abbiamo la possibilità di riparare a un momento<br />

cruciale della nostra storia, superando controversie<br />

e malintesi che spesso ci hanno impedito di<br />

comprenderci gli uni gli altri».<br />

Nonostante il grande sviluppo del cammino<br />

ecumenico in quest’ultimo secolo, esso rimane ancora<br />

un fatto largamente minoritario, in tutte le Chiese.<br />

San Leopoldo, profeta dell’ecumenismo spirituale,<br />

ci aiuti a comprendere che oggi non si può essere<br />

cristiani senza essere ecumenici, che l’ecumenismo<br />

è una scelta necessaria, essendo iscritto nel futuro<br />

dell’intera cristianità, all’interno di un orizzonte<br />

che può solo essere ecumenico. P<br />

<strong>marzo</strong> <strong>2017</strong> | Portavoce | 7


FEDE & VITA<br />

Nel fuoco<br />

Dio si manifesta, purifica, guida<br />

Il fuoco è uno dei quattro elementi<br />

che, secondo la filosofia<br />

di Eraclito, costituiscono il<br />

reale; gli altri sono l’acqua, la<br />

terra e l’aria. Il libro del Siracide<br />

inserisce il fuoco tra gli elementi<br />

che sono al servizio dell’uomo:<br />

«Le cose di prima necessità per la<br />

vita dell’uomo sono: acqua, fuoco,<br />

ferro, sale, farina di frumento, latte,<br />

miele, succo di uva, olio e vestito»<br />

(Sir 39,26).<br />

La Bibbia è particolarmente<br />

ricca di riferimenti all’immagine<br />

del fuoco, con significati diversi.<br />

Ad esempio, per Giacomo, autore<br />

della lettera omonima, la lingua è<br />

fuoco in quanto è una cosa piccola<br />

in sé, ma può avere conseguenze<br />

devastanti e distruttive (Gc 3,5-6:<br />

«Così anche la lingua: è un membro<br />

piccolo ma può vantarsi di grandi<br />

cose. Ecco: un piccolo fuoco può<br />

incendiare una grande foresta!...»;<br />

cf. anche Pr 16,27). Il profeta Geremia<br />

immagina la parola di Dio<br />

come un fuoco che distrugge (Ger<br />

5,14: «Farò delle mie parole come<br />

Simboli biblici > 14 Nel simbolo del fuoco, Dio<br />

si rivela come colui che illumina, guida, purifica e<br />

trasforma il cuore dell’uomo. Nell’esperienza cristiana<br />

il fuoco è collegato all’azione dello Spirito che agisce<br />

nella Chiesa, brucia la paura e accende l’amore<br />

◼ <strong>DI</strong> ROBERTO TA<strong>DI</strong>ELLO<br />

un fuoco sulla tua bocca e questo<br />

popolo sarà la legna che esso divorerà»;<br />

cf. 23,29). Fondersi come<br />

cera davanti al fuoco significa<br />

subire uno sradicamento rapido e<br />

totale (cf. Sal 68,3; 97,5). Essere<br />

saggiati da Dio è come essere purificati<br />

dal fuoco (Is 43,2: «Se dovrai<br />

passare in mezzo al fuoco, non ti<br />

scotterai, la fiamma non ti potrà<br />

bruciare; cf. Ger 6,29; 1 Pt 4,12).<br />

Abramo<br />

e il braciere fumante<br />

Nella storia del patriarca Abramo<br />

sono ricordati vari incontri con<br />

Dio. Quello che si legge in Genesi<br />

15,7-19 coinvolge il fuoco. Dio<br />

chiede ad Abramo di procurarsi<br />

«una giovenca di tre anni, una capra<br />

di tre anni, un ariete di tre anni,<br />

una tortora e un colombo» e poi<br />

di dividerli in due mettendo ogni<br />

metà di fronte all’altra. A questo<br />

punto cade un torpore su Abramo<br />

e Dio gli rivolge una parola di promessa.<br />

Dopodiché «un braciere<br />

fumante e una fiaccola ardente<br />

passò in mezzo agli animali divisi».<br />

Passare fra gli animali divisi<br />

era un antico rituale con cui si<br />

sanciva l’alleanza tra due partner.<br />

I due contraenti passavano tra<br />

gli animali divisi pronunciando<br />

uno scongiuro: ci capiti lo stesso<br />

se verremo meno al patto. Nella<br />

scena di Genesi 15, però, l’unico<br />

a passare è Dio (nei segni del<br />

14 | Portavoce | <strong>marzo</strong> <strong>2017</strong>


aciere fumante e della fiaccola<br />

ardente), il quale così si impegna<br />

unilateralmente con Abramo e la<br />

sua discendenza.<br />

Mosè e il roveto ardente<br />

Famosa è la scena del monte Oreb<br />

(cf. illustrazione a sinistra), conosciuto<br />

nella Bibbia anche come<br />

Sinai. Mosè vi sale dopo aver<br />

attraversato il deserto. Così racconta<br />

il libro dell’Esodo: «Mentre<br />

Mosè stava pascolando il gregge<br />

di Ietro, suo suocero, sacerdote<br />

di Madian, condusse il bestiame<br />

oltre il deserto e arrivò al monte<br />

di Dio, l’Oreb. L’angelo del Signore<br />

gli apparve in una fiamma di<br />

fuoco dal mezzo di un roveto. Egli<br />

guardò ed ecco: il roveto ardeva<br />

per il fuoco, ma quel roveto non si<br />

consumava» (Es 3,1-2).<br />

L’angelo di Dio appare al futuro<br />

condottiero in un roveto che brucia<br />

senza consumarsi e senza divorare<br />

la vegetazione circostante. Spine e<br />

rovi, nella tradizione biblica, sono<br />

spesso citati come ciò che il fuoco<br />

riduce più facilmente in cenere. Un<br />

fuoco che brucia ma non consuma<br />

è un’immagine evocativa di Dio<br />

perché, come il fuoco è misterioso<br />

e immateriale, così anche Dio è<br />

enigmatico e incorporeo. E come<br />

il fuoco è sempre guizzante e cambia<br />

di continuo la sua forma, e non<br />

può essere tenuto in mano per essere<br />

esaminato, così Dio sempre rimane<br />

indefinibile, superando ogni<br />

tentativo di afferrarlo.<br />

Mosè preso dalla curiosità vuole<br />

avvicinarsi per vedere e capire<br />

«perché il roveto non brucia». Solo<br />

a questo punto c’è una parola del<br />

Signore a Mosè: «Il Signore vide<br />

che si era avvicinato per guardare;<br />

Dio gridò a lui dal roveto: “Mosè,<br />

Mosè!”. Rispose: “Eccomi!”. Riprese:<br />

“Non avvicinarti oltre! Togliti i<br />

sandali dai piedi, perché il luogo<br />

sul quale tu stai è suolo santo!”»<br />

(Es 3,4-5).<br />

Dio «grida» per due volte il nome<br />

di Mosè, segno che lo conosce<br />

da sempre. La risposta di quest’ultimo<br />

è pronta: «Eccomi». Dio gli<br />

ordina di non avvicinarsi oltre e<br />

di togliersi i sandali dai piedi. Il<br />

gesto richiesto esprime il rispetto,<br />

ma forse può essere anche inteso<br />

come il ricordo di una nudità che<br />

in tempi remoti significava un atteggiamento<br />

di abbandono alla divinità,<br />

a cui ci si presentava e a cui<br />

ci si consegnava con totale fiducia.<br />

La manifestazione del fuoco<br />

sull’Oreb rende sacro tale monte.<br />

L’Oreb, più avanti nel racconto<br />

di Esodo, si «incendierà» quando<br />

il popolo, definitivamente uscito<br />

dall’Egitto, si accamperà alle sue<br />

falde per stipulare attraverso Mosè<br />

l’alleanza e ricevere la Legge (cf.<br />

Es 19,16-19).<br />

Nella colonna di fuoco,<br />

Dio guida<br />

Nel libro dell’Esodo, il fuoco – che<br />

si era manifestato nel roveto e ancor<br />

più sul monte Sinai – assume<br />

altresì la forma di un segnale che<br />

indica la via attraverso il deserto,<br />

brillando nella notte e innalzandosi<br />

di giorno come una colonna<br />

di fumo. Dio, in questo modo, diventa<br />

una guida per il popolo di<br />

Israele, accompagnando e rassicurando<br />

con la sua presenza un<br />

popolo dalla fede ancora incerta e<br />

vacillante.<br />

Ecco il racconto: «Partirono da<br />

Succot e si accamparono a Etam,<br />

sul limite del deserto. Il Signore<br />

marciava alla loro testa di giorno<br />

con una colonna di nube, per guidarli<br />

sulla via da percorrere, e di<br />

notte con una colonna di fuoco,<br />

per far loro luce, così che potessero<br />

viaggiare giorno e notte. Di<br />

giorno la colonna di nube non si<br />

ritirava mai dalla vista del popolo,<br />

né la colonna di fuoco durante la<br />

notte» (Es 13,20-22).<br />

La colonna di fuoco e di nube,<br />

oltre a svolgere la funzione<br />

di guida nell’attraversamento del<br />

Mar Rosso (evento cruciale dell’Esodo),<br />

assume anche la funzione<br />

di protezione. Infatti, quando<br />

l’esercito del faraone raggiunge<br />

Mosè guardò ed ecco: il roveto ardeva per il fuoco,<br />

ma quel roveto non si consumava… Dio disse: il luogo<br />

sul quale tu stai è luogo santo (Esodo 3)<br />

sulla sponda egiziana il popolo<br />

di Israele e quest’ultimo grida al<br />

Signore, il quale ordina a Mosè di<br />

separare le acque, la colonna di<br />

fuoco e nube si frappone tra i due<br />

schieramenti.<br />

Dio, dall’alto della colonna, getta<br />

uno sguardo ostile sui nemici.<br />

È uno sguardo carico di potenza<br />

folgorante, che bloccherà le ruote<br />

dei carri da guerra egiziani: «Alla<br />

veglia del mattino il Signore, dalla<br />

colonna di fuoco e di nube, gettò<br />

uno sguardo sul campo degli Egiziani<br />

e lo mise in rotta. Frenò le<br />

ruote dei loro carri, così che a stento<br />

riuscivano a spingerle. Allora<br />

gli Egiziani dissero: “Fuggiamo di<br />

fronte a Israele, perchéé il Signore<br />

combatte per loro contro gli Egiziani!”»<br />

(Es 14,24-25).<br />

Nei quarant’anni di peregrinazione<br />

nel deserto, la colonna di<br />

fuoco e di nube diventa il segnale<br />

che scandisce le tappe del cammino<br />

del popolo di Dio (cf. Es 40,38;<br />

Dt 1,33; Nm 9,15-23). I Salmi rievocheranno<br />

questo bagliore che<br />

indicava la strada al popolo (Sal<br />

78,14: «Li guidò con una nube di<br />

giorno e tutta la notte con un bagliore<br />

di fuoco»).<br />

<strong>marzo</strong> <strong>2017</strong> | Portavoce | 15


FEDE & VITA<br />

Beata Eurosia Fabris Barban<br />

I tre volti della maternità<br />

di misura della vita<br />

cristiana è la santità.<br />

Di essa dice la sua forma<br />

di verità, di pienezza, di<br />

L’unità e di bellezza. E se<br />

è vero che tutti i santi si possono<br />

accomunare nella certezza di aver<br />

portato a compimento la chiamata<br />

di Dio ricevuta nel battesimo, non<br />

per questo tutti sono tra loro uguali.<br />

Ciascuno e ciascuna, piuttosto,<br />

innesta nel corpo ecclesiale un<br />

frammento peculiare del Cristo finale<br />

che noi incontreremo alla fine<br />

dei tempi. I santi e i beati, insomma,<br />

inseriscono nel tempo presente<br />

della Chiesa una tessera di quel<br />

Gesù, di cui la Chiesa necessita nel<br />

momento presente, per poter vivere<br />

la pienezza dello Spirito Santo.<br />

Questa è anche la ragione profonda<br />

per cui, all’inizio del secolo<br />

XXI, papa san Giovanni Paolo II e<br />

papa Benedetto XVI vollero annoverare<br />

tra i santi e i beati anche<br />

la beata Eurosia Fabris in Barban<br />

(1866-1932). Conosciuta come<br />

«Mamma Rosa», mia bisnonna<br />

materna, venne dichiarata solennemente<br />

beata il 6 novembre 2005<br />

nella cattedrale di Vicenza con il<br />

Breve apostolico a firma di Benedetto<br />

XVI «Mulier se ipsa invenire<br />

nequit nisi amorem donando» («La<br />

donna può trovare se stessa solo<br />

donando amore»). Tratto che vale<br />

per ogni donna, prima ancora di<br />

essere sposa o madre o consacrata.<br />

Una scheggia di santità<br />

Nel 2006 la Chiesa italiana celebrò<br />

a Verona il suo IV Convegno<br />

nazionale. In quella occasione il<br />

vescovo della città, mons. Flavio<br />

Volti della misericordia > 10 Conosciuta<br />

come Mamma Rosa e beatificata nel 2005,<br />

sperimentò tre tipi di maternità: quella<br />

di affido, quella naturale e quella adottiva<br />

◼ <strong>DI</strong> GIANLUIGI PASQUALE<br />

Roberto Carraro, cappuccino, accolse<br />

Benedetto XVI. Ebbene, l’icona<br />

di santità che la Conferenza<br />

episcopale del Triveneto scelse per<br />

rappresentare i numerosi santi e<br />

beati delle nostre terre fu proprio<br />

quella della beata Eurosia, umile<br />

mamma di famiglia coetanea<br />

di san Leopoldo (cf. Portavoce<br />

3/2014 pp. 29-31).<br />

Non occorre addurre molte ragioni<br />

a giustificare una scelta così<br />

perspicua: si trattava della prima<br />

beata italiana voluta dal Papa<br />

invitato, e di una donna, di una<br />

mamma di famiglia, di una catechista,<br />

di una «scheggia di santità»<br />

nella normalità, rispetto ai canoni<br />

classici.<br />

Soprattutto veniva raffigurata<br />

una donna che era riuscita a combinare<br />

tre tipologie di maternità:<br />

quella di affido, quella naturale<br />

e quella adottiva. Era stata mamma<br />

di adozione perché sposò con<br />

matrimonio eroico il giovane Carlo<br />

Barban, vedovo di due bimbe,<br />

Chiara e Italia; di natura, perché<br />

da questo matrimonio ebbe in dono<br />

nove figli; e di affido in quanto<br />

accolse altri tre fanciulli, orfani di<br />

mamma mentre il papà era al fronte.<br />

Qui risiede anche l’attualità della<br />

figura di questa beata. Ma facciamo<br />

un passo indietro e lasciamo<br />

parlare i fatti, come fossero di<br />

«casa nostra». Chi era colei<br />

che è, appunto, conosciuta<br />

come «Mamma Rosa»?<br />

La maternità<br />

di adozione<br />

Rosa aveva 19 anni quando<br />

un fatto cambiò per sempre<br />

la direzione della sua vita.<br />

Quarta di sette figli, viveva<br />

con i genitori a Marola, un minuscolo<br />

paese alla periferia di Vicenza.<br />

Era l’autunno del 1885 e, come<br />

ogni anno, il paese, con i suoi 800<br />

abitanti circa, si preparava ad affrontare<br />

l’inverno. Le provviste<br />

di cibo raccolte durante l’estate<br />

venivano diligentemente accantonate<br />

nelle dispense delle case.<br />

Rosa, sarta esperta, si adoperava<br />

a cucire maglioni, sciarpe, cappelli.<br />

E lo faceva non soltanto per sé,<br />

i fratelli, le sorelle, i genitori, ma<br />

anche per i vicini. Tra loro, in un<br />

gruppo di case rustiche denominato<br />

Castello, c’era la famiglia di<br />

Carlo Barban.<br />

Sposato con Stella Fattori, aveva<br />

due bambine, Chiara e Italia,<br />

rispettivamente di 14 e 4 mesi. In<br />

casa abitava anche l’anziano nonno,<br />

infermo, padre di Carlo, e il<br />

fratello di quest’ultimo, minorenne<br />

e celibe. Accadde che Stella si<br />

ammalò di un morbo inesorabile.<br />

Provò a combattere, a resistere,<br />

18 | Portavoce | <strong>marzo</strong> <strong>2017</strong>


La famiglia di Eurosia Fabris Barban (tela di Ideari) e, a sin., un ritratto della beata<br />

ma non ce la fece. Morì in pochi<br />

giorni, lasciando il marito in una<br />

grande disperazione.<br />

Rosa fu colpita da questa morte,<br />

dal dolore di Carlo, dal suo smarrimento<br />

di fronte alla possibilità<br />

di dover affrontare il resto dell’esistenza<br />

da solo, con due figlie piccole,<br />

un padre anziano e ammalato,<br />

un fratello ancora troppo giovane<br />

per assumersi delle responsabilità.<br />

Fu colpita a tal punto che sentì<br />

dentro di sé una profonda compassione<br />

e, insieme, un’ispirazione,<br />

seguendo la quale la sua vita cambiò.<br />

E cambiò per sempre.<br />

Sarà lei stessa, tempo dopo, a<br />

raccontare cosa le accadde: «Sentii<br />

subito l’ispirazione di Dio di<br />

offrirmi alle due povere orfanelle,<br />

perché mi facevano tanta pietà, e<br />

anche per dare una mano ai tre<br />

uomini, poveri e bisognosi». Non<br />

sapeva esattamente dove quell’ispirazione<br />

l’avrebbe portata. Non<br />

fece calcoli né progetti. Semplicemente,<br />

nei giorni seguenti, uscì di<br />

casa e andò a bussare alla porta<br />

di Carlo. Si offrì di curare le due<br />

bambine e, insieme, il riassetto<br />

delle stanze, la cucina, le pulizie.<br />

Carlo, come la maggior parte degli<br />

abitanti di Marola, era contadino.<br />

Usciva presto al mattino e tornava<br />

quando già era buio. Senza la generosità<br />

di Rosa non avrebbe potuto<br />

continuare nel suo lavoro.<br />

Rosa, come un angelo caduto<br />

da chissà quale cielo, fece sì che<br />

tutto in quella famiglia continuasse<br />

come sempre. Scrisse Romana<br />

Rompato, poetessa coetanea di<br />

Rosa e che, come lei, nacque in<br />

una famiglia povera e numerosa:<br />

«Rosa sapeva che Carlo e il fratello<br />

Benedetto sarebbero rincasati<br />

molto tempo dopo l’Ave Maria e<br />

che nella povera cucina avrebbero<br />

trovato il buio e il disordine».<br />

La maternità naturale<br />

e quella di affido<br />

Quando i due entravano in casa,<br />

Rosa – racconta la Rompato – «accendeva<br />

il lume a olio e metteva sul<br />

fuoco la cena. E intanto che il latte<br />

bolliva e la polenta si abbrustoliva<br />

alla brace, la giovinetta si dava<br />

intorno a spazzare, a spolverare, e<br />

riordinare l’acquaio, la credenza,<br />

la tavola. Poi, risaliva alle camerette<br />

del primo piano, e preparava<br />

ogni cosa per la notte, chiudeva le<br />

imposte, non senza aver tracciato<br />

un segno di croce sulla culla delle<br />

bimbe, e aver riacceso il lumino a<br />

olio davanti all’immagine del Sacro<br />

Cuore». E ancora: «Ridiscesa in<br />

cucina, correva a rimestare la pappa<br />

nel pentolino e a preparare il<br />

latte nel poppatoio, la cena frugale<br />

ai tre uomini stanchi. Sorridendo<br />

raccomandava al vecchio quanto<br />

sarebbe stato necessario, il giorno<br />

seguente, per la cura delle due<br />

orfanelle e della casa, assicurando<br />

che sarebbe ritornata l’indomani<br />

mattina, dopo la messa. Infine, raccolta<br />

in un fagotto la biancheria da<br />

lavare e da raccomodare e salutato<br />

il caro paziente vecchietto, tornava<br />

a notte ormai inoltrata alla casetta<br />

paterna per dormirvi».<br />

<strong>marzo</strong> <strong>2017</strong> | Portavoce | 19


▶ beata eurosia fabris barban<br />

Così per tre mesi. Sei mesi di<br />

lavoro dedicati interamente ai<br />

vicini. Perché lo fece? L’abbiamo<br />

detto. Rosa agì perché sentì compassione,<br />

ispirata nel profondo del<br />

suo cuore. Tuttavia, ancora non<br />

sapeva fino a cosa esattamente<br />

quell’ispirazione l’avrebbe portata.<br />

Fino a dove, quella compassione<br />

che le scoppiò in petto, l’avrebbe<br />

condotta? Lo scoprì poco dopo; e<br />

da quel giorno la sua vita divenne<br />

avventurosa, di sacrificio, ma non<br />

amara.<br />

Accadde che Carlo, nel mese di<br />

febbraio dell’anno seguente, si recò<br />

a casa dei genitori di Rosa. Andò<br />

lì per avanzare una richiesta<br />

precisa: chiedere Rosa in moglie.<br />

Evidentemente colpito dalla<br />

sua dedizione, pensò che<br />

fosse un buon partito per sé<br />

e per tutti loro. I genitori non<br />

dissero di no. Tuttavia mancava<br />

ancora il parere di Rosa.<br />

Cosa avrebbe detto? Già,<br />

perché un conto è rassettare<br />

casa di persone estranee<br />

perché mossi a compassione<br />

a seguito di una tragedia familiare;<br />

un altro è dedicare<br />

a questi estranei la propria<br />

intera esistenza.<br />

Rosa era una bella ragazza.<br />

Aveva avuto alcune proposte<br />

di fidanzamento ma<br />

aveva sempre declinato. Di Carlo,<br />

probabilmente, non era innamorata.<br />

Il matrimonio era un’ipotesi<br />

che non rifiutava a priori, seppure<br />

ad esso non aveva ancora pensato.<br />

La proposta di Carlo la soprese.<br />

Quando i genitori gliene parlarono<br />

non rispose subito. Chiese del<br />

tempo per pensarci. Voleva pregarci<br />

sopra. Voleva riflettere. Voleva<br />

confrontarsi con il suo confessore<br />

e anche con Dio. Era questa<br />

la strada che lui aveva pensato per<br />

lei? Era per portarla al matrimonio<br />

con Carlo che lui le aveva fatto<br />

provare compassione il giorno in<br />

cui Stella morì? Rispondere non<br />

era facile. Pregò. Fece silenzio. Si<br />

confrontò. Ascoltò il suo cuore. E<br />

alla fine capì una cosa: sposarsi<br />

con Carlo sarebbe stato un sacrificio.<br />

Un sacrificio che avrebbe cambiato<br />

per sempre il corso della sua<br />

vita. Voleva farlo questo sacrificio?<br />

Avrebbe detto di sì?<br />

Un matrimonio libero,<br />

perché suggerito da Dio<br />

Rosa prese da sola la decisione, anche<br />

se in molti le consigliarono di<br />

accettare. La prese da sola perché<br />

sentì dentro di sé che quella proposta<br />

di matrimonio era suggerita<br />

da Dio. Né più né meno. Sentì che<br />

poteva dire di no, certo, che era<br />

Eurosia Fabris e Carlo Barban<br />

libera, ma nello stesso tempo che,<br />

se avesse detto di sì, quel sacrificio<br />

sarebbe stato gradito in cielo. Per<br />

questo, e per nessun altro motivo,<br />

accettò. E si promise al vedovo<br />

Carlo. Fu un atto eroico. Così lo<br />

interpretò anche tutta la comunità<br />

di Marola.<br />

Scriverà più tardi Bernardino,<br />

uno dei figli che nasceranno dal<br />

matrimonio fra Carlo e Rosa: «Mio<br />

padre rimase vedovo a 23 anni. È<br />

stato un atto eroico sposarlo, per<br />

testimonianza di tutti. Rosa, dopo<br />

aver ascoltato la santa messa,<br />

andava ogni giorno ad accudire<br />

la casa di lui, vedovo, le due bambine<br />

e i tre uomini. Il parroco del<br />

paese l’ha consigliata a sposare il<br />

vedovo. Anche altri le diedero lo<br />

stesso consiglio. “Voglio educare<br />

le bambine come voglio io” diceva.<br />

Non so come si preparò alle nozze.<br />

Portò in dote 25 lire. Tutti dicevano<br />

che era un matrimonio eroico.<br />

Prima aveva avuto altri inviti che<br />

aveva sempre rifiutato anche se<br />

migliori». Dirà Pietro Carta, amico<br />

di famiglia: «Fu proprio per compassione<br />

verso le due orfanelle<br />

che accettò la proposta di Carlo».<br />

Il fidanzamento fu molto breve.<br />

Durò appena tre mesi. Il 5 maggio<br />

1886 i due si accostarono all’altare.<br />

Come corredo Rosa portò pochi<br />

vestiti e la biancheria che già<br />

aveva. Il viaggio di nozze fu<br />

fatto al santuario di Monte<br />

Berico sopra Vicenza, a meno<br />

di dieci chilometri di distanza.<br />

Più volte alcuni amici<br />

la fermarono per strada e le<br />

chiesero perché l’avesse fatto.<br />

Rispondeva: «Il Signore<br />

stesso mi ha messa su questa<br />

strada, e io mi sono lasciata<br />

condurre da lui. Io mi sono<br />

sposata proprio per sacrificarmi.<br />

Ho sposato il vedovo<br />

Carlo per pietà delle sue tenere<br />

figlie; per poter allevare<br />

queste piccole orfane. L’ho<br />

fatto proprio per amor loro, perché<br />

era la volontà di Dio. Io sapevo<br />

fare la sarta e quindi avrei preparato<br />

loro dei graziosi vestitini. Così<br />

avrei fatto ad esse da mamma e<br />

sarebbero cresciute bene, perché<br />

mi ero proposta di educarle per il<br />

Signore, come intendevo io». Rosa<br />

sposò Carlo, dunque, perché sentì<br />

che era volontà di Dio. Lo sposò sacrificandosi.<br />

E mai avrebbe immaginato<br />

tutto ciò che questo sacrificio<br />

avrebbe generato nella sua vita,<br />

i fatti davvero straordinari che le<br />

accaddero da quel «sì» in avanti. E<br />

per questo è beata. P<br />

20 | Portavoce | <strong>marzo</strong> <strong>2017</strong>


FEDE & VITA<br />

«Sia santificato il tuo nome»<br />

santificato il tuo nome»:<br />

un’espressione<br />

che non risulta subito<br />

«Sia<br />

chiara quando la pronunciamo<br />

nel Padre<br />

nostro. Incominciamo a chiarire<br />

il significato dei termini «nome» e<br />

«santificato».<br />

Il senso del «nome»<br />

Nel linguaggio biblico il «nome»<br />

coincide con la «persona». È la<br />

persona stessa a essere caratterizzata<br />

dal nome. Il nome esprime<br />

l’identità di una persona conosciuta,<br />

rappresenta la sostanza<br />

di una persona, tanto è vero che<br />

il cambiamento del nome indica<br />

un profondo cambiamento anche<br />

nella vita della persona. Pensiamo,<br />

per esempio, a quando Gesù chiama<br />

Pietro in Gv 1,42: «Fissando lo<br />

sguardo su di lui, disse: Tu sei Simone,<br />

il figlio di Giovanni; ti chiamerai<br />

Kefa (che vuol dire «roccia»,<br />

da cui il nome Pietro)». Tale prassi<br />

è rimasta anche nella nostra tradizione<br />

cristiana, per esempio in<br />

alcuni ordini religiosi si assegna (o<br />

assegnava) un nome nuovo a chi<br />

entrava nella vita religiosa. Ancora<br />

oggi, il Papa, nel momento in cui<br />

assume il suo ministero, cambia il<br />

Il «Padre nostro», la preghiera di Gesù > 3<br />

Gesù ha santificato Dio con l’intera sua vita<br />

spesa nell’amore dei fratelli «fino alla fine»<br />

◼ A CURA <strong>DI</strong> CARLO ROCCATI<br />

nome e ne assume uno nuovo. Ora,<br />

se il cambiamento del nome è indizio<br />

di un cambiamento della persona,<br />

proprio perché dire nome<br />

equivale a dire persona, proviamo<br />

a sostituire il termine «nome» con<br />

«persona» nella preghiera di Gesù.<br />

Abbiamo, a proposito di Dio: «Sia<br />

santificata la tua persona». Non<br />

suona molto bene; ci chiediamo in<br />

che senso la «persona» di Dio deve<br />

essere «santificata»? Per rispondere,<br />

occorre spiegare prima cosa significa<br />

il verbo «santificare».<br />

Cosa significa<br />

«santificare»?<br />

Qui «santificare» non vuol dire<br />

«fare santo», perché non avremmo<br />

certo noi il compito di fare santo<br />

il nome di Dio o la persona di Dio.<br />

Per comprendere il significato del<br />

termine, possiamo accostarlo al<br />

sinonimo «glorificare». Ma, ancora,<br />

«glorificare» nel senso di «fare<br />

glorioso» oppure di «dare gloria»?<br />

Tentiamo un’altra strada: «santificare»,<br />

sempre nel linguaggio biblico,<br />

è pure sinonimo di «mostrare»,<br />

«far vedere». A questo punto, l’espressione<br />

«sia santificato il tuo<br />

nome» diventa «sia mostrata/riconosciuta<br />

la tua persona». Sembra<br />

più chiaro.<br />

Ma perché nel Padre nostro si<br />

adopera il verbo «santificare»?<br />

Perché, in fondo, è il verbo più<br />

appropriato, in quanto Dio solo<br />

è «il Santo». Noi usiamo in tanti<br />

modi l’aggettivo «santo»: parliamo<br />

della Terra Santa, della Settimana<br />

Santa, di una persona santa,<br />

dell’acqua santa. Che cosa hanno<br />

in comune fra loro queste realtà?<br />

L’aggettivo «santo», attribuito a<br />

una cosa – acqua, terra, settimana,<br />

persona –, rimanda sempre a Dio.<br />

Così, dire «santo» vuol dire «legato<br />

a Dio», che è in relazione con lui.<br />

Infatti, perché la terra di Palestina<br />

è stata chiamata Terra Santa? Perché<br />

nella storia ha avuto una par-<br />

<strong>marzo</strong> <strong>2017</strong> | Portavoce | 21


▶ «sia santificato il tuo nome»<br />

ticolare relazione con Dio, non necessariamente<br />

perché sia una terra<br />

migliore delle altre, più buona, più<br />

fertile. La Settimana Santa si chiama<br />

così perché è in relazione particolare<br />

con il cuore del mistero di<br />

Gesù Cristo, che è la sua morte e<br />

la sua risurrezione, ed è per questo<br />

che viene distinta dalle altre settimane<br />

e viene chiamata «santa».<br />

Dunque, il concetto di «santo»,<br />

anche se applicato a realtà diverse<br />

tra loro, rimanda sempre a Dio.<br />

In modo analogo, i «santi», gli uomini<br />

e le donne riconosciuti e proclamati<br />

santi, sono persone che<br />

hanno vissuto in modo intenso e<br />

radicale la comunione con Dio.<br />

Concludendo, «santificare il<br />

nome» di Dio significa mostrare la<br />

realtà personale di Dio, far vedere<br />

chi è veramente, mostrarlo nella<br />

sua realtà, riconoscerlo per quello<br />

che è.<br />

«Padre, glorifica<br />

il tuo nome»<br />

Nel Vangelo di Giovanni, troviamo<br />

la seguente preghiera in bocca a<br />

Gesù. «È venuta l’ora che il Figlio<br />

dell’uomo sia glorificato. In verità,<br />

in verità io vi dico: se il chicco di<br />

grano, caduto in terra, non muore,<br />

rimane solo; se invece muore,<br />

produce molto frutto. Chi ama la<br />

propria vita, la perde e chi odia la<br />

propria vita in questo mondo, la<br />

conserverà per la vita eterna. Se<br />

uno mi vuole servire, mi segua, e<br />

dove sono io, là sarà anche il mio<br />

servitore. Se uno serve me, il Padre<br />

lo onorerà. Adesso l’anima mia<br />

è turbata; che cosa dirò? “Padre,<br />

salvami da quest’ora? Ma proprio<br />

per questo sono giunto a quest’ora!<br />

Padre, glorifica il tuo nome”.<br />

Venne allora una voce dal cielo:<br />

“L’ho glorificato e lo glorificherò<br />

ancora!”» (Gv 12,23-28).<br />

La radice della vita di Gesù è<br />

la preghiera che Gesù stesso fa, e<br />

che assomiglia alla preghiera rivolta<br />

a Dio nel Getsemani. Gesù<br />

dice: «L’anima mia è turbata», cioè<br />

«sono angosciato, mi trovo in una<br />

situazione molto difficile da affrontare,<br />

ma che devo dire? Tirami<br />

fuori da quest’ora? Evitamela?».<br />

No, Gesù continua: «Padre, glorifica<br />

il tuo nome». Che vuol dire:<br />

«Padre, mostra chi sei» proprio in<br />

questa situazione.<br />

In fondo la stessa richiesta («Sia<br />

santificato il tuo nome»), pronunciata<br />

da noi equivale a dire: «Fa’<br />

che noi possiamo mostrare chi sei».<br />

La parte che spetta a noi<br />

Per capire la ricaduta di questa<br />

preghiera nella nostra vita, ricorro<br />

a un esempio, forse un po’ banale.<br />

Immaginiamo una madre che deve<br />

recarsi a un ricevimento in casa<br />

di persone importanti. Prima di<br />

uscire, fa le sue raccomandazioni<br />

al figlio piccolo. Ricordandogli alcune<br />

regole di buona educazione,<br />

gli dice: «Mi raccomando: fammi<br />

fare bella figura!», oppure: «Non<br />

farmi fare brutta figura!». Immaginate,<br />

invece, che a quel ricevimento<br />

il bambino ne combini<br />

qualcuna delle sue: la madre resta<br />

sconvolta perché il comportamento<br />

del bambino le fa fare brutta figura,<br />

perché agli occhi degli altri<br />

sembra che lei non l’abbia educato.<br />

Chi vede il bambino comportarsi<br />

in quel modo può pensare che sua<br />

madre avrebbe dovuto insegnargli<br />

meglio certe norme di comportamento.<br />

La colpa, quindi, viene attribuita<br />

alla madre.<br />

Riprendendo l’espressione «sia<br />

santificato il tuo nome», con un linguaggio<br />

più semplice, si potrebbe<br />

tradurla così: «Signore, fa’ che non<br />

ti faccia fare brutta figura», perché<br />

so che con il mio comportamento<br />

posso rischiare di farti fare brutta<br />

figura. Infatti, mentre guardano<br />

me, a come io mi comporto, pensano<br />

a Dio. Il mio comportamento,<br />

la mia parola, i miei gesti, il mio<br />

modo di fare, proprio perché sono<br />

cristiano, «parlano» di lui. Il mio<br />

comportamento negativo non riguarda<br />

solo me, ma fa fare brutta<br />

figura anche a Dio, getta un’ombra<br />

di disonore su di lui. In quanto cristiano,<br />

io sono un «segno» di Dio<br />

per il mondo. Il mondo non può<br />

vedere Dio, vede me e, guardando<br />

me, che cosa pensa di Dio? Se ne<br />

fa un’idea buona o un’idea cattiva?<br />

Allora, dal momento che riconosco<br />

di non essere all’altezza,<br />

chiedo: «Padre nostro, sia santificato<br />

il tuo nome»: cioè, fa’ che<br />

possa mostrare bene il tuo santo<br />

nome, che possa farti fare bella<br />

figura, che possano vedere le mie<br />

opere buone in modo da rendere<br />

gloria a te, che siano portati ad avvicinarsi<br />

a te!<br />

Noi, come Chiesa, siamo non<br />

solo il segno, ma una delle «prove»<br />

di Dio. Perché la dimostrazione<br />

di Dio si ha anche attraverso<br />

l’esperienza concreta della nostra<br />

vita. L’esistenza della Chiesa – nella<br />

misura in cui vive come comunione,<br />

come comunità di persone<br />

che si amano – è la prova di Dio!<br />

Parlando ai suoi discepoli, Gesù<br />

spiega bene tale nostra responsabilità.<br />

Dice: «Voi siete il sale della<br />

terra; ma se il sale perdesse il sapore,<br />

con che cosa lo si potrà rendere<br />

salato? A null’altro serve che<br />

a essere gettato via e calpestato<br />

dagli uomini. Voi siete la luce del<br />

mondo; non può restare nascosta<br />

una città collocata sopra un monte,<br />

né si accende una lucerna per<br />

metterla sotto il moggio, ma sopra<br />

il lucerniere perché faccia luce a<br />

tutti quelli che sono nella casa. Così<br />

risplenda la vostra luce davanti<br />

agli uomini, perché vedano le vostre<br />

opere buone e rendano gloria<br />

al vostro Padre che è nei cieli» (Mt<br />

5,13-16). P<br />

(3–continua. Le puntate precedenti sono<br />

state pubblicate in Portavoce 1/2016 e<br />

3/2016)<br />

22 | Portavoce | <strong>marzo</strong> <strong>2017</strong>


<strong>SAN</strong> <strong>LEOPOLDO</strong><br />

IERI E OGGI<br />

Trent’anni con san Leopoldo<br />

Scritti in latino dal 1911 al 1941<br />

Dall’autunno del 1992<br />

– quando si è tenuto il<br />

primo grande convegno<br />

sulla spiritualità di san<br />

Leopoldo – all’autunno<br />

del 2015, quando è uscito il<br />

documentatissimo volume sugli<br />

scritti di san Leopoldo, curato<br />

dai cappuccini Remigio Battel e<br />

Giovanni Lazzara (Dall’intimo del<br />

mio povero cuore. Lettere e scritti di<br />

san Leopoldo Mandić, Edizioni San<br />

Leopoldo, Padova 2015), di tempo<br />

ne è passato parecchio, ma esso<br />

non è trascorso inutilmente.<br />

Un frutto<br />

del convegno del 1992<br />

La puntualità della datazione<br />

delle lettere e, in particolare, la<br />

scrupolosa esattezza cronologica<br />

degli scritti, specie di quelli in latino,<br />

hanno consentito di realizzare<br />

uno dei grandi auspici formulati,<br />

durante il Convegno stesso, dal<br />

prof. Paolo Sambin, docente di<br />

storia all’Università di Padova, sia<br />

«dietro le quinte» sia apertamente,<br />

durante il suo turno di presidenza.<br />

Quasi esasperato, in quanto storiografo,<br />

non poteva comportarsi diversamente<br />

o dire cose diverse. In<br />

concreto auspicava che si potesse<br />

«vagliare» lo svolgimento, «anno<br />

per anno», del cammino spirituale<br />

del santo cappuccino, rendendo<br />

lode a Dio per la sua predilezione<br />

verso questo umilissimo fratello e<br />

discepolo di san Francesco. Oltre<br />

all’auspicio dello studio delle fonti<br />

bibliche. Ora, il volume citato va<br />

incontro a tale esigenza storicoscientifica,<br />

consentendo un confronto<br />

tra il punto di partenza e<br />

Il cammino spirituale del santo confessore<br />

documentato dai suoi «voti-giuramenti»<br />

per l’unità della Chiesa<br />

◼ <strong>DI</strong> IVANO CAVALLARO<br />

Padre Leopoldo in una foto del 1917<br />

<strong>marzo</strong> <strong>2017</strong> | Portavoce | 23


▶ trent’anni con san leopoldo<br />

quello di arrivo di un cammino spirituale.<br />

Nel raggiungimento di un<br />

«traguardo» che sono soprattutto<br />

gli scritti in latino a rivelarci, perché<br />

sono quelli che, privi di ogni<br />

formalismo – come il saluto o l’augurio<br />

presenti nelle lettere –, rivelano<br />

quello che per padre Leopoldo<br />

era autentico «tesoro nascosto».<br />

Un traguardo, quello varcato da<br />

san Leopoldo, che in particolare<br />

gli ultimi tra i penitenti di questo<br />

figlio del Poverello d’Assisi – accanto<br />

agli scritti in latino e oltre ad<br />

essi – ci possono confermare con<br />

la loro testimonianza. È il caso del<br />

signor Ferdinando Zanovello, residente<br />

a Cartura (Padova), esattamente<br />

al confine tra le frazioni di<br />

Gorgo e di Cagnola. Egli, anziano<br />

contadino, aveva incontrato per la<br />

prima volta padre Leopoldo, nella<br />

celletta-confessionale, in occasione<br />

delle feste pasquali del 1940.<br />

In paese lo conoscevano come<br />

un personaggio sostanzialmente<br />

onesto, ma facile all’ira quando si<br />

trattava di difendere qualcuno e<br />

soprattutto quando aveva un po’<br />

troppo «alzato il gomito». Dopo il<br />

primo incontro con padre Leopoldo,<br />

avvenuto di sabato, non c’era<br />

stato sabato che non fosse ritornato<br />

al suo confessionale: e questo<br />

anche dopo la morte<br />

del santo, fino all’estremo<br />

delle proprie forze, ossia<br />

fin verso la metà degli anni<br />

Cinquanta.<br />

Il fatto è che padre Leopoldo<br />

aveva cambiato radicalmente<br />

la sua vita, soprattutto<br />

con una «penitenza»<br />

particolare: salutare per<br />

primo, e con la massima cordialità,<br />

chi incontrava. Cosa<br />

osservata dall’umile contadino<br />

carturano finché le forze<br />

gli avevano consentito di<br />

uscire di casa, ossia per oltre<br />

un quindicennio. Padre Leopoldo<br />

si era talmente affezionato<br />

a lui che gli aveva anche<br />

cambiato il nome: da Nando<br />

(abbreviazione di Ferdinando)<br />

a Dando; termine significativo<br />

della sua nuova vita, come vedremo<br />

dall’analisi e dall’esame<br />

degli scritti in latino.<br />

A queste «mete», che potremmo<br />

definire di «ecumenismo spicciolo»,<br />

padre Leopoldo non arriva subito,<br />

ma attraverso un cammino pluridecennale<br />

che non manca neppure<br />

di conoscere (come nei grandissimi<br />

della fede, compresa Madre Teresa<br />

di Calcutta) qualche non brevissima<br />

«notte dello spirito».<br />

Il volume che raccoglie tutti gli scritti<br />

di san Leopoldo si può ordinare presso il<br />

negozio di articoli religiosi del santuario<br />

Come desiderava il prof. Sambin<br />

(sempre presente nel santuario<br />

leopoldiano prima di ogni<br />

sua lezione universitaria), padre<br />

Remigio Battel e padre Giovanni<br />

Lazzara con il volume frutto della<br />

loro ricerca ci aiutano ora a ripercorrere<br />

il cammino spirituale di<br />

san Leopoldo.<br />

ALLA SCOPERTA DEL «LATINO»<br />

<strong>DI</strong> <strong>SAN</strong> <strong>LEOPOLDO</strong><br />

Chi scrive è stato allievo del massimo latinista italiano degli<br />

ultimi decenni, ossia del prof. Alfonso Traina dell’Università<br />

di Padova prima e di Bologna poi, nonché insegnante<br />

per vari anni di Lettere italiane e latine al Liceo classico<br />

«Tito Livio» di Padova. Inoltre, come appartenente alla<br />

commissione ecumenica padovana, a suo tempo è stato<br />

incaricato di studiare gli scritti in latino di Lutero per<br />

farne dono ai fratelli protestanti residenti ad Abano Terme<br />

per cure.<br />

Ora, negli anni della pensione, ha sentito il desiderio di<br />

affrontare gli scritti in latino di san Leopoldo (che sono<br />

un po’ il suo «diario segreto»). Subito si è reso conto che<br />

quello di Lutero era un latino maggiormente legato alla<br />

cosiddetta «analisi del periodo» della cultura classica.<br />

Ma ha avuto la sorpresa di scoprire in san Leopoldo<br />

una buona competenza linguistica a livello lessicale,<br />

ossia nell’uso delle parole scelte in base al loro<br />

preciso significato.<br />

Due soli esempi. Il fatto di definire Dio come Caritas<br />

non solo per una reminiscenza biblica (Prima Lettera<br />

di Giovanni), ma anche per la convinzione (crescente,<br />

come vedremo, nel tempo) che Dio è, in quanto<br />

Caritas, definibile quale affetto e, addirittura, quale<br />

sofferenza di condivisione verso chi è nel bisogno.<br />

Caritas infatti viene dal verbo careo che ha proprio<br />

questo significato.<br />

Egualmente interessante è poi il secondo elemento<br />

lessicale che qui esaminiamo, cioè l’uso del termine<br />

misericordia, mai inteso nel senso di clemenza, ma<br />

piuttosto (anche in questo caso) di condivisione<br />

di una infelicità. Come insegnano la lirica-testamento<br />

24 | Portavoce | <strong>marzo</strong> <strong>2017</strong>


Quel «sì» che cancella<br />

i nostri «no»<br />

Gli scritti dell’anno 1911<br />

Il 18 giugno 1887 fra Leopoldo non era ancora<br />

sacerdote (lo sarebbe diventato tre anni<br />

dopo) quando sente in sé, per la prima volta,<br />

il desiderio di mettersi in ginocchio «ad orandum,<br />

ad promerendum reditum Dissidentium<br />

Orientalium ad Catholicam Unitatem» («a pregare,<br />

a ottenere il ritorno dei dissidenti orientali all’unità<br />

cattolica». Cf. R. Battel-G. Lazzara (a cura),<br />

Dall’intimo del mio povero cuore. Lettere e altri<br />

scritti di San Leopoldo Mandić, pp. 351-352)<br />

Il verbo promereo viene generalmente tradotto<br />

con «ottenere», ma nel contesto assume invece<br />

il significato (come qui più efficace e intelligente)<br />

di «tirarsi addosso» nel senso specifico di «far<br />

proprio». Il giovanissimo (poco più che ventenne)<br />

Leopoldo chiede, allora, al buon Dio non semplicemente<br />

di «ottenere», ma anche di «far proprio»<br />

il «ritorno» (secondo il linguaggio del tempo, poi<br />

modificato dai decreti del concilio ecumenico Vaticano<br />

II) dei lontani dell’Oriente all’unità cattolica.<br />

Dal punto di vista stilistico, questa frase (materialmente<br />

scritta il 18 giugno 1937, nel cinquantesimo<br />

anniversario della «prima voce divina») è<br />

illuminante per due aspetti: uno negativo, l’altro<br />

positivo. L’aspetto negativo è l’assenza della costruzione,<br />

parola per parola, nel latino usato, che<br />

non è più classico ma di tipo medioevale e, in senso<br />

più stretto, liturgico. L’aspetto positivo è invece<br />

una buona capacità di destreggiarsi nel lessico,<br />

scegliendo parole (promerendum, dissidentium)<br />

che indicano assieme intelligenza e originalità.<br />

La prima documentazione scritta (sempre in<br />

latino) di questo impegno, orante ed esistenziale<br />

insieme, di padre Leopoldo è nel 1905 (17 dicembre,<br />

all’inizio di una novena natalizia), ma la stesura<br />

dei testi comincia a risultare generalmente<br />

più ampia e comunque interessante a partire dalle<br />

due testimonianze dell’anno 1911.<br />

Il primo scritto<br />

Il primo testo porta già una data significativa,<br />

quella del 20 settembre, ventunesimo anniversario<br />

della ordinazione sacerdotale, avvenuta a<br />

Venezia il 20 settembre 1890. Perché proprio in<br />

quella data Leopoldo (con altri) era stato ordinato<br />

sacerdote? La motivazione c’era, anche se poco<br />

di Catullo «Miser Catulle» («O Catullo infelice»)<br />

e soprattutto il messaggio essenziale del sesto<br />

canto dell’Eneide virgiliana («Quae lucis miseris tam<br />

dira cupido?», cioè «Ma quale folle desiderio di vita<br />

hanno questi infelici?»). La stessa definizione latina<br />

è poi finita anche a detto popolare, come ricorda<br />

il Manzoni verso la fine del primo capitolo del suo<br />

capolavoro, I promessi sposi, quando Perpetua<br />

dice a don Abbondio: «Misericordia! Cos’ha, signor<br />

padrone?»<br />

Spiritualmente, comunque, chi scrive è stato<br />

perennemente alla scuola della dimensione<br />

ecumenica di monsignor Luigi Sartori, che nei<br />

confronti di padre Leopoldo era solito esprimersi<br />

così: «In tempi nei quali la Chiesa era paragonabile<br />

a una linea retta – senza quasi mai deviare<br />

da quella linearità – san Leopoldo è stato un<br />

punto, piccolissimo e quasi invisibile nella sua celletta<br />

confessionale. Ma è stato un punto aperto a tutte le<br />

dimensioni possibili: da qui la sua apertura spirituale<br />

che parte dall’affetto verso i suoi conterranei orientali<br />

e gradualmente arriva al desiderio di una salvezza<br />

universale».<br />

Infine, nella scansione temporale del cammino<br />

ecumenico di san Leopoldo – come sarà rinvenibile<br />

nei diversi suoi scritti esaminati – lo scrivente ha tenuto<br />

conto dell’auspicio dello storico dell’Università di Padova<br />

Paolo Sambin, formulato durante il Convegno leopoldiano<br />

del 1992 (svoltosi a Padova sul tema dell’ecumenismo<br />

spirituale di san Leopoldo nel 50° anniversario della sua<br />

morte, ndr): perché si arrivasse a una visione diacronica,<br />

ossia scandita nel tempo, della spiritualità del santo<br />

confessore.<br />

Ivano Cavallaro<br />

<strong>marzo</strong> <strong>2017</strong> | Portavoce | 25


▶ la fede di leopoldo e la fede di gesù<br />

e la lacerazione del morire. Egli<br />

li assume nell’incondizionato abbandono<br />

al Padre, «nelle cui mani<br />

consegna il suo spirito», in una<br />

speranza contro ogni speranza e in<br />

un amore più forte di ogni dolore.<br />

Così, assume fino in fondo il dolore<br />

del mondo e rende accessibile alla<br />

«carne» e al «sangue» la salvezza<br />

nell’amore trinitario di Dio. Egli<br />

vive con noi e in noi le agonie della<br />

vita, facendo presente al Padre<br />

il patire del Figlio nel nostro patire.<br />

Padre Leopoldo, eco<br />

dell’infinita bontà divina<br />

Scriveva di padre Leopoldo il suo<br />

primo biografo: «L’impressione<br />

che dava a tutti era, più che di<br />

credere, quella di vedere» (op. cit.,<br />

39). Se padre Leopoldo ha visto<br />

quanto la riflessione di fede può<br />

aver concepito, se quanto abbiamo<br />

descritto della Trinità che si esprime<br />

tutta nell’Uomo dei dolori dà<br />

emozione in noi credenti a sentirne<br />

raccontare, quanto più sarà accaduto<br />

in san Leopoldo che faceva<br />

esperienza di quanto a noi viene<br />

raccontato! Non c’è proporzione<br />

tra il gusto di chi ascolta il racconto<br />

e la gioia di chi ha sperimentato<br />

ciò viene raccontato. Perciò egli si<br />

sentiva minacciato personalmente<br />

ogni volta che lo si accusava di<br />

essere troppo indulgente. Reagiva<br />

come se qualcosa stesse colpendo<br />

il nucleo della sua vita. Tanto era<br />

coinvolto in quanto amò nella sofferenza<br />

il suo Paron da confidare:<br />

«Bisogna che soddisfi io».<br />

Ma quale senso poteva avere il<br />

suo caricarsi delle penitenze spettanti<br />

ai penitenti? La spiegazione<br />

non era forse il sentirsi solidale,<br />

partecipe con la sofferenza del Cristo,<br />

sofferta in croce, per i peccati<br />

degli uomini? Al di fuori di una<br />

particolare partecipazione al Crocifisso<br />

non è immaginabile la misericordia,<br />

la bontà invocata da se<br />

stesso e dagli altri per i peccatori.<br />

Diceva «Bisogna che soddisfi io»!<br />

Lo diceva, come se fosse la cosa<br />

più ovvia del mondo: «Ai penitenti<br />

do penitenze leggere e bisogna<br />

che soddisfi io».<br />

Davvero, il Signore si è ricordato<br />

della sua misericordia! Misericordia<br />

e bontà di Dio è apparsa agli<br />

uomini! Padre Leopoldo giungeva<br />

come un’eco «dell’infinita bontà e<br />

misericordia di Dio».<br />

Anche il suo offrirsi a Dio per<br />

«il ritorno dei dissidenti orientali<br />

alla unità cattolica» manifesta<br />

quanto sia stata profonda la sua<br />

partecipazione a Gesù che muore<br />

in croce «per riunire insieme i figli<br />

di Dio che erano dispersi». Questa<br />

è la sua schietta dichiarazione in<br />

sintonia con Gesù: «Oggi, 24 aprile<br />

1915, celebrando la messa, mi<br />

sono consacrato con voto a Nostro<br />

Signore Gesù Cristo per il ritorno<br />

dei dissidenti orientali alla unità<br />

cattolica. Lo stesso Signore Gesù,<br />

che è propiziazione per i peccati<br />

di tutto il mondo, così è propiziazione<br />

anche per quei popoli: dunque<br />

voglio e confermo che […] la<br />

ragione di tutta la mia esistenza<br />

deve essere servire a questo divino<br />

amore di Cristo Signore”» (op. cit.,<br />

p. 295). La sua vita diventava ogni<br />

giorno più un servizio «a questo<br />

divino amore»: «Mi obbligo con<br />

voto: da questo momento, il fine<br />

di tutta la mia vita sarà di procurare<br />

che quanto prima, riguardo<br />

ai dissidenti orientali, si avverino<br />

le parole di Nostro Signore Gesù<br />

Cristo: “Vi sarà un solo Pastore e<br />

un solo ovile”» (op. cit., p. 296). La<br />

sua messa quotidiana sarà, d’ora<br />

in poi, una messa ecumenica: «Mi<br />

obbligo con voto: tutte le volte che<br />

celebrerò i santi misteri, se non ne<br />

sarò impedito da motivi di giustizia<br />

o di pietà, tutto il frutto spirituale<br />

del santo sacrificio sarà per il<br />

ritorno dei dissidenti orientali alla<br />

unità cattolica» (op. cit., p. 307). P<br />

(3-continua)<br />

◼ <strong>DI</strong> NILO TREVI<strong>SAN</strong>ATO*<br />

La poesia pubblicata qui<br />

a fianco è stata scritta da<br />

Laura, detenuta presso il<br />

carcere femminile della<br />

Giudecca, a Venezia (foto<br />

3). Ha voluto donarla a Portavoce<br />

a ricordo di un pomeriggio<br />

speciale: la conclusione dell’Anno<br />

della Misericordia, sabato<br />

26 novembre 2016. Al termine<br />

dell’Eucarestia di ringraziamento,<br />

celebrata in quell’occasione<br />

da padre Flaviano Gusella, è stata<br />

chiusa la Porta della Misericordia<br />

della cappella del carcere (foto 1)<br />

che era stata aperta dal Patriarca,<br />

mons. Francesco Moraglia (foto<br />

2). Egli, infatti, aveva scelto tra<br />

le chiese giubilari della diocesi<br />

di Venezia anche quelle delle due<br />

carceri della città: alla Giudecca<br />

(carcere femminile) e a Santa Maria<br />

Maggiore (carcere maschile).<br />

Il carcere della Giudecca ospita<br />

circa ottanta donne, tra le quali<br />

anche alcune mamme con bambini<br />

fino ai sei anni di età. Con le<br />

donne presenti padre Flaviano ha<br />

condiviso, al termine della santa<br />

messa, anche un momento di fraternità<br />

e di approfondimento della<br />

spiritualità di san Leopoldo;<br />

ha ricordato le tappe che hanno<br />

portato le spoglie del santo a<br />

Roma, testimone del Giubileo<br />

2<br />

32 | Portavoce | <strong>marzo</strong> <strong>2017</strong>


<strong>SAN</strong> <strong>LEOPOLDO</strong><br />

IERI E OGGI<br />

Intravedere la Vita<br />

Voci di speranza dal carcere<br />

VITA<br />

I desideri improvvisi<br />

presenti nei momenti di gioia<br />

rendono inconsapevolmente bello<br />

il mio vivere.<br />

La morsa dell’angoscia<br />

sembra allentarsi un poco<br />

…mi distrae dal dolore.<br />

Proietto all’esterno una quantità<br />

di forza… tale…<br />

da produrre un immaginario<br />

di Libertà.<br />

Si profila qualche sprazzo di luce,<br />

intravedo la VITA.<br />

della misericordia. Papa Francesco<br />

ricordava che nel confessionale<br />

le persone vengono a cercare<br />

conforto, perdono, pace nella loro<br />

anima, e quanti si recavano da san<br />

Leopoldo incontravano sempre un<br />

padre che li abbracciava e diceva<br />

loro: Dio ti vuole bene. L’incrollabile<br />

fiducia di san Leopoldo nella<br />

Misericordia di Dio, attraverso il<br />

racconto di padre Flaviano, è stata<br />

per tutte «uno sprazzo di luce», per<br />

usare le parole di Laura.<br />

Nella sua poesia, Laura ha definito<br />

il tempo della detenzione «la<br />

morsa dell’angoscia», un tempo<br />

durante il quale «è facile diventare<br />

familiari della tristezza che non<br />

vogliamo, scoraggiarsi», come diceva<br />

papa Francesco.<br />

Le parole di Laura mi richiamano<br />

i sentimenti espressi nel Salmo<br />

32: «Giorno e notte pesava su di<br />

me la tua mano, come nell’arsura<br />

estiva si inaridiva il mio vigore. Ti<br />

ho fatto conoscere il mio peccato,<br />

non ho coperto la mia colpa... e<br />

1<br />

tu hai tolto la mia colpa e il mio<br />

peccato. Per questo ti prega ogni<br />

fedele nel tempo dell’angoscia»<br />

(vv. 4-6). Nel salmo l’orante passa<br />

dall’angoscia alla gioia facendo<br />

l’esperienza che «l’amore circonda<br />

chi confida nel Signore».<br />

Ai lettori di Portavoce le donne<br />

della Giudecca chiedono una preghiera<br />

perché il Signore doni loro<br />

tanti «sprazzi di luce» che facciano<br />

intravedere la Vita. P<br />

* cappellano al carcere femminile della<br />

Giudecca<br />

3


GRAZIE,<br />

<strong>SAN</strong> <strong>LEOPOLDO</strong><br />

Mio marito si «addormentò»<br />

fra le braccia di san Leopoldo<br />

Per prima cosa voglio esprimere la mia<br />

gratitudine rivolgendomi al santo: «Caro<br />

san Leopoldo, da quando mi sono sposata<br />

tu sei entrato nella mia vita e non mi hai<br />

più lasciato. Forse mi conoscevi già da<br />

prima, quando, ancora fidanzata, ascoltavo da mia<br />

suocera i racconti meravigliosi delle grazie che<br />

tu facevi, sebbene ancora non dichiarato santo.<br />

Una zia, residente a Venezia, era innamorata di<br />

te e conosceva tutte le tue vicende: quelle in vita<br />

e quelle dopo la tua morte. Il grande amore che<br />

nutriva per te lo trasmise a tutti noi. Per questo<br />

posso dire che ti conoscevo già prima di visitare<br />

la tua celletta, a Padova.<br />

Il 27 febbraio 1966 nacque Elena, una bimba<br />

bellissima, la cui nascita attribuisco al tuo<br />

intervento miracoloso. Io e mio marito eravamo<br />

impegnati nella scuola, ma in ogni momento,<br />

specie nei più difficili, la tua presenza si faceva<br />

sentire: io ti pregavo e tu mi rispondevi.<br />

Nel 1989 mio marito ebbe all’improvviso una<br />

colica alla cistifellea. Stava malissimo. Portato<br />

di corsa all’ospedale, i medici non sapevano<br />

di che cosa si trattasse, perché in passato non<br />

aveva accusato nulla al fegato. Fu operato e la<br />

diagnosi, assai brutta, parlava di tumore alle vie<br />

biliari. Passava il tempo ma lui non si riprendeva,<br />

anzi di giorno in giorno i valori erano sempre<br />

più sballati. Io, che spesso lo vegliavo la notte,<br />

mi raccomandavo con tutte le mie forze a te,<br />

padre Leopoldo. Ti pregavo assiduamente nella<br />

convinzione che tu solo mi avresti potuto aiutare.<br />

Intanto la febbre saliva e la faccia diventava<br />

sempre più rossa. Ero sola, nella notte avevo quasi<br />

paura, ma pensavo che c’eri tu a vegliare con me,<br />

e questo mi dava la forza di continuare. Dopo<br />

vario tempo i valori cominciarono a migliorare e<br />

fu deciso di mandare a casa mio marito. In realtà<br />

i medici non erano convinti; per loro il responso<br />

era: cancro alle vie biliari. Tu sai, san Leopoldo,<br />

quanto soffrii quando, a casa, la notte lo andavo<br />

ad aiutare e lo vedevo, con un colore giallo di<br />

morte, muoversi per lo studio come un fantasma.<br />

Passò qualche mese e all’improvviso mio marito<br />

cominciò a migliorare. Il colore della pelle divenne<br />

più roseo e i valori cambiarono. A poco a poco mio<br />

marito tornò alle sue attività: leggere, studiare<br />

e fare conferenze. Sì, era avvenuto un grande<br />

miracolo. Grazie padre Leopoldo!».<br />

Così siamo vissuti insieme per altri tre anni, poi<br />

mio marito si ammalò di nuovo: un tumore alla<br />

prostata. Pregai, pregai tanto san Leopoldo che<br />

chiedesse al Signore che me lo conservasse ancora<br />

in vita, ma vedevo che soffriva tanto. Allora chiesi<br />

al Signore che, quando fosse giunto il momento,<br />

lo prendesse con sé senza farlo soffrire ancora.<br />

Una sera, dopo cena, mentre sembrava che stesse<br />

meglio, si mise nella sua poltrona dello studio e si<br />

addormentò. Mi accorsi subito che quello non era<br />

un sonno normale. Mi buttai per qualche ora sul<br />

letto ma poi, vedendo che non veniva in camera,<br />

mi alzai e trovai mio marito lì dove lo avevo<br />

lasciato. Sembrava che dormisse con la bocca<br />

aperta e gli occhi chiusi. Lo chiamai, lo scossi. Lui<br />

aprì gli occhi e rispose con un gesto, poi si rimise<br />

a dormire. Allora capii. Cominciai a misurargli la<br />

temperatura, la pressione, la glicemia, ma tutto<br />

dava dei valori sballati, finché mio marito chiuse<br />

gli occhi e non si mosse più. Chiamai mia figlia.<br />

Venne e chiamò subito il 118, ma a nulla valse<br />

l’intervento d’urgenza. I medici volevano portarlo<br />

all’ospedale, ma io mi opposi categoricamente, così<br />

mio marito si addormentò nel sonno della morte<br />

fra le braccia di san Leopoldo. Io mi ricordai allora<br />

di un’espressione che mio marito aveva ripetuto<br />

dopo essersi svegliato dall’operazione, rivolgendosi<br />

a me: «Hai ragione, cara, qui c’è soltanto padre<br />

Leopoldo e ci siamo noi; nessun altro». Io non<br />

capii subito il senso della frase, ma al momento del<br />

trapasso mi accorsi che proprio così era avvenuto.<br />

Evidentemente san Leopoldo gli era apparso e ora<br />

lo aveva trasportato con le sue braccia in cielo.<br />

Lettera firmata, 4.7.2016<br />

Fu grande gioia per tutti<br />

Caro san Leopoldo, se sono viva è in gran parte<br />

merito tuo. Tu sei sempre stato il mio grande<br />

amico, mi hai protetto e mi hai seguito nelle varie<br />

34 | Portavoce | <strong>marzo</strong> <strong>2017</strong>


SEGNO <strong>DI</strong> GRATITU<strong>DI</strong>NE A CARMIANO (LECCE)<br />

Emanuele Grasso di Carmiano, in provincia di Lecce, ha donato alla propria<br />

comunità parrocchiale una bella statua di san Leopoldo in segno di omaggio.<br />

Il giovane salentino aveva conosciuto la figura del santo confessore<br />

cappuccino tramite una biografia; a lui si affidò in occasione di una grave<br />

malattia che lo colpì nella primavera dello scorso anno. Fu escluso con<br />

grande sollievo dalla chemioterapia prevista prima dell’intervento chirurgico.<br />

Asportato felicemente il male con un intervento chirurgico, decise di raggiungere Padova per visitare il santuario<br />

e ringraziare personalmente san Leopoldo. In seguito Emanuele, rasserenato nell’animo dagli ultimi esami clinici<br />

specifici, ha deciso di donare il simulacro del santo in cartapesta a grandezza naturale, promesso come ex-voto.<br />

Realizzata dall’artista Antonio Calogiuri, il 20 novembre 2016 la statua è stata solennemente benedetta dal parroco<br />

don Mario Pezzuto e collocata all’interno della parrocchiale. Lì resterà a testimonianza dell’evento miracoloso, a<br />

monumento della bontà e della misericordia di san Leopoldo, nella speranza che egli possa essere più conosciuto e<br />

apprezzato anche dai fedeli delle comunità pugliesi limitrofe.<br />

vicende della vita. Così fu la notte del 1° gennaio<br />

2015. Mi ero coricata tranquilla, dopo aver<br />

recitato la tua novena che tengo sempre sotto il<br />

guanciale. Alle 6.00 del mattino fui svegliata da<br />

un gran dolore all’addome. Cercai di resistere per<br />

non disturbare i miei familiari, ma alle 8.00, non<br />

potendone più telefonai a mia figlia ed ella venne<br />

subito con l’ambulanza. Fui portata all’ospedale<br />

e subito operata. Da quel momento non vidi e<br />

non sentii più nulla, perché ero sotto l’effetto<br />

dell’anestesia. Mi hanno raccontato che passò<br />

molto tempo prima di risvegliarmi, tanto che<br />

mia figlia piangeva, si disperava e invocava la tua<br />

protezione. C’era anche un carissimo sacerdote<br />

che veniva spesso a trovarmi e posava una tua<br />

reliquia sulla mia fronte, sperando nel miracolo.<br />

Le infermiere, però, scuotevano la testa come per<br />

dire non c’era nulla da fare. Non so per quanto<br />

tempo rimasi in questo stato di semi-coscienza,<br />

ma un giorno avvenne il miracolo: aprii gli occhi<br />

e cominciai a guardarmi intorno per capire che<br />

cosa fosse successo. Poi cominciai a balbettare<br />

qualche parola e a muovermi lentamente. Fu<br />

gridato al miracolo e furono avvertite subito tutte<br />

le mie amiche che al mattino recitavano con me le<br />

Lodi e partecipavano alla santa messa. Fu grande<br />

gioia per tutti! La convalescenza fu lunghissima.<br />

C’era ancora il pericolo di una setticemia e mi era<br />

venuta una pleurite bilaterale ai polmoni, così<br />

cominciarono le cure e le visite giornaliere dei<br />

medici per timore di un peggioramento. Intanto il<br />

sacerdote e le amiche delle Lodi continuavano a<br />

pregare incessantemente per me. Dopo un mese<br />

di degenza all’ospedale fu deciso di rimandarmi a<br />

casa, ma non ero guarita, anzi rimanevo in stato<br />

di pericolo. Mia figlia volle così e, in fondo, ebbe<br />

ragione. Assistita dai familiari, a poco a poco<br />

cominciai a migliorare. È trascorso più di un<br />

anno, sono viva, anche se non del tutto guarita:<br />

cammino a stento, devo mangiare solo certe cose.<br />

A volte mi prende lo sconforto, ma c’è sempre<br />

chi mi consola e mi dà la forza di continuare. E<br />

poi, san Leopoldo è sempre con me: tengo la<br />

sua coroncina nella borsa e la sua reliquia nel<br />

portafoglio e prego sempre la sua novena, che ho<br />

imparato a memoria. Grazie, san Leopoldo!<br />

Lettera firmata, 4.7.2016<br />

a cura della Redazione<br />

Scriveteci e inviateci testimonianze e racconti<br />

su grazie ricevute, esperienze umane e spirituali<br />

che riguardano il vostro rapporto con p. Leopoldo.<br />

Redazione Portavoce di san Leopoldo Mandić<br />

Piazzale Santa Croce, 44 – 35123 Padova<br />

email: direttore@leopoldomandic.it<br />

<strong>marzo</strong> <strong>2017</strong> | Portavoce | 35


VITA<br />

DEL <strong>SAN</strong>TUARIO<br />

Dall’11 novembre <strong>2017</strong> all’8 gennaio <strong>2017</strong>, hanno<br />

visitato il nostro santuario 58 gruppi organizzati,<br />

per un totale di circa 2.700 pellegrini, provenienti<br />

da: Košice e Prešov (Slovacchia), Solta (Croazia),<br />

Bjelovar (Croazia), Bologna, Terradura (PD),<br />

Sant’Angelo di Piove (PD), Mendoza (Argentina),<br />

Prato, Vicenza, Bergamo, Sassuolo (MO), Linz,<br />

Caldaro (BZ), Obbürgen (Svizzera), Spalato<br />

(Croazia), Misano (CR), Arzignano (VI), Valdonega<br />

(VR), Bratislava (Slovacchia), Bonavigo (VR),<br />

Fiumicello (PD), Palosco (BG), Sydney (Australia),<br />

Albignasego (PD), Noicattaro (BA), Petrinja<br />

(Croazia), San Pietro Viminario (PD), Gavirate (VA),<br />

Lissaro (PD), Castiglione Tinella (CN), Legnago<br />

(VR), Arcugnano (VI), Campodarsego (PD), San<br />

Polo di Piave (TV), San Fior e Conegliano (TV), San<br />

Donà (VE), Valdagno (VI), Montirone (BS), Zagabria<br />

(Croazia), Lugo (RA), Castano Primo (MI), Bellusco<br />

(MB), Porto Viro (RO) e inoltre da altre località<br />

di Croazia, Slovenia, Germania, Austria, Francia,<br />

Slovacchia e Polonia.<br />

18.9.2016: parrocchia San Girolamo in Padova con don Gian Carlo<br />

Smanio<br />

19.9.2016: pellegrinaggio giubilare della parrocchia di Arsego<br />

(PD) con il parroco don Lodovico Casaro e il compaesano fr.<br />

Pietro Tosato, missionario in Angola<br />

15.6.2016: gruppo «Movimento Terza Età» di Codogno (Lodi)<br />

guidato da don Pierluigi Bosio<br />

20.9.2016: pellegrini da Riese Pio X (TV)<br />

18.9.2016: pellegrinaggio dalla parrocchia di Borgo Roma in<br />

Verona<br />

36 | Portavoce | <strong>marzo</strong> <strong>2017</strong><br />

24.9.2016: gruppo «Simpatia e Amicizia» di Bologna


2.10.2016: giovani<br />

del Sermig pellegrini<br />

a piedi da Camisano<br />

Vicentino (VI)<br />

6.10.2016: devoti da Lovere (BG)<br />

8.10.2016: prima media dalla parrocchia Gesù Buon Pastore in<br />

Arcella, Padova<br />

8.10.2016:<br />

pellegrinaggio di 380<br />

volontari che hanno<br />

collaborato con i frati<br />

cappuccini in occasione<br />

dell'ostensione delle<br />

spoglie mortali di san<br />

Leopoldo a Zagabria,<br />

accompagnati dal<br />

ministro provinciale<br />

della Croazia fr. Jure<br />

Sarcević<br />

22.10.2016: gruppo dall'Unità Pastorale San Bellino-<br />

Arcella, Padova<br />

22.10.2016:<br />

devoti da Buccinasco e Corsico (MI)<br />

con p. Leopoldo Ingegneri, cappuccino<br />

<strong>marzo</strong> <strong>2017</strong> | Portavoce | 37


▶ vita del santuario<br />

23.10.2016: coro «Jubilate Deo» di Roncaglia di Ponte San Nicolò<br />

(PD)<br />

21.10.2016: Angelo Bernardi davanti al «calesse del miracolo»,<br />

di cui fu testimone da bambino, nipote dell'allora parroco di<br />

Cornegliana don Luigi Callegaro<br />

<strong>SAN</strong> <strong>LEOPOLDO</strong> A LOURDES E A TORA (CASERTA)<br />

Nel corso del Giubileo straordinario della Misericordia,<br />

una grande immagine di san Leopoldo campeggiava nella<br />

basilica sotterranea di san Pio X a Lourdes (foto sotto di<br />

Loris Brugnolo). L’effige è stata posta in un luogo centrale:<br />

davanti al podio della corale, vicino alla sede del presidente<br />

delle celebrazioni eucaristiche, tra le immagini di suor<br />

Faustina Kowalska e i genitori della Beata Vergine Maria, i<br />

santi Gioacchino e Anna.<br />

A Tora (foto a lato), in provincia di Caserta,<br />

nel corso dell’anno giubilare la Comunità Mariana<br />

“Oasi della Pace” ha presentato e onorato san Leopoldo.<br />

Il santo visse in questo convento (che appartenne<br />

alla provincia monastica cappuccina di Foggia<br />

fino al 1999) nel 1917 in occasione del confino<br />

che dovette scontare nel Meridione durante la Prima<br />

38 | Portavoce | <strong>marzo</strong> <strong>2017</strong><br />

guerra mondiale.


CALENDARIO<br />

LITURGICO<br />

Marzo<br />

5 1a Dom. di Quaresima<br />

(salt. 1 a sett.)<br />

Gen 2,7-9; 3,1-7 • Sal 50<br />

Rm 5,12-19 • Mt 4,1-11<br />

La pagina del Vangelo di oggi mette<br />

i brividi: Gesù è tentato da Satana ed<br />

è una scena alla quale si stenterebbe<br />

a credere se non fosse proposta dal<br />

Vangelo stesso. Cristo messo alla<br />

prova diviene solidale con le nostre<br />

tentazioni, con la nostra fatica di<br />

esercitare il duro mestiere di vivere da<br />

uomo. Nel suo dramma, l’uomo appare<br />

come il grande conteso tra Dio e<br />

Satana. Cristo fa da arbitro nella nostra<br />

lotta, ma anche da prezioso alleato<br />

nella nostra vittoria.<br />

12 2a Dom. di Quaresima<br />

(salt. 2 a sett.)<br />

Gen 12,1-4; Sal 32<br />

2Tm 1,8-10; Mt 17,1-9<br />

Oggi saliamo su un monte: il Tabor. Lì,<br />

sulla vetta, Gesù si trasfigura davanti a<br />

tre discepoli. C’è tanta luce e si ode una<br />

voce: «Questi è il Figlio mio, l’amato:<br />

in lui ho posto il mio compiacimento.<br />

Ascoltatelo!». C’è un monte Tabor<br />

INTENZIONI<br />

<strong>DI</strong> PR EGHIER A*<br />

Per l’evangelizzazione: Per i<br />

cristiani perseguitati, perché<br />

sperimentino il sostegno di<br />

tutta la Chiesa nella preghiera e<br />

attraverso l’aiuto materiale.<br />

Vescovi: Perché le comunità e le<br />

associazioni riscoprano la gioia e<br />

la forza della testimonianza.<br />

* Affidate dal Papa e dai vescovi<br />

italiani all’Apostolato della Preghiera.<br />

A partire dal <strong>2017</strong> papa Francesco<br />

affida all’inizio di ogni mese, al primo<br />

Angelus, un’intenzione di preghiera<br />

“dell’ultimo minuto” in relazione con<br />

l’attualità. Tale intenzione sarà<br />

illustrata tramite un video diffuso via<br />

internet<br />

anche per noi? Un monte su cui salire,<br />

non per isolarci, non per scappare, ma<br />

per guardare più lontano e con occhi<br />

diversi il mondo? Certo, esiste: tutti i<br />

grandi spiriti raggiungono le vette. E<br />

dalle vette dello spirito si vedono bene<br />

anche le valli della vita.<br />

19 3a Dom. di Quaresima<br />

(salt. 3 a sett.)<br />

Es 17,3-7; Sal 94<br />

Rm 5,1-2.5-8; Gv 4,5-42<br />

L’evangelista narra un incontro,<br />

avvenuto presso il pozzo di Giacobbe,<br />

tra Gesù e una donna samaritana.<br />

Per gli ebrei di allora, chi parlava<br />

con un samaritano diveniva impuro.<br />

Gesù, invece, parla liberamente con<br />

la donna; cosa che stupisce perfino lei<br />

che è una peccatrice. Gesù, che legge<br />

nel profondo, lo sa e le annuncia la<br />

possibilità di redenzione dal suo stato<br />

di peccato. La donna si sente amata e<br />

corre ad annunciare che ha incontrato<br />

il Messia. Gesù diviene l’acqua della<br />

sua sete, il pane della sua fame<br />

d’amore vero. Un tale delirio d’amore,<br />

per una peccatrice samaritana o per un<br />

ladrone pentito, rientra perfettamente<br />

nello stile di conversione guidata<br />

da Dio. Ogni persona è un palpito<br />

dell’infinita misericordia espressa<br />

da Dio.<br />

26 4a Dom. di Quaresima<br />

(salt. 4 a sett.)<br />

1Sam 16,1.4.6-7.10-13; Sal 22<br />

Ef 5,8-14; Gv 9,1-41<br />

Gesù lava gli occhi a un cieco nato e<br />

gli ridona la vista. Questo è il vangelo<br />

della luce, della grazia, dell’amore. È<br />

il vangelo dell’esplosione evangelica<br />

e della gioia. Cosa c’è al mondo di<br />

più bello della luce? Essa investe ogni<br />

cosa e fa splendere la vita. Quando<br />

Gesù dice «Voi siete figli della luce»,<br />

non richiama ad altro che al vivere in<br />

pienezza. Ma la luce che viene dall’alto<br />

può riconoscerci sempre come suoi<br />

veri figli? Il nostro cuore riesce sempre<br />

a vedere chiaro e lontano? Forse ha<br />

bisogno di venire purificato. P<br />

Sisto Zarpellon<br />

AD<strong>DI</strong>O PADRE SISTO<br />

Lunedì 2 gennaio si è spento padre<br />

Sisto Gasparino Zarpellon, di 85 anni.<br />

Era stato colpito da emorragia<br />

cerebrale nel tardo pomeriggio<br />

dello stesso giorno nel convento di<br />

Lendinara (Rovigo) dove risiedeva<br />

dal 2014. I funerali si sono svolti sabato<br />

7 gennaio, a Lendinara.<br />

Nato a Cassola<br />

(Vicenza) il 10 aprile<br />

1931, entrò nel<br />

noviziato dei Frati<br />

Minori Cappuccini<br />

di Bassano del<br />

Grappa (Vicenza)<br />

il 14 agosto 1949.<br />

Dopo la professione<br />

perpetua dei voti<br />

religiosi, il 25 ottobre<br />

1953, e gli studi<br />

teologici, venne ordinato sacerdote<br />

a Venezia il 20 giugno 1957 da san<br />

Giovanni XXIII, patriarca della città<br />

lagunare. Dopo 25 anni trascorsi come<br />

educatore, insegnante e preside nei<br />

seminari dell’Ordine di Rovigo, Thiene<br />

(Vicenza) e Verona, negli anni Novanta<br />

fu chiamato a Roma come padre<br />

spirituale e confessore nel Collegio<br />

internazionale San Lorenzo da Brindisi<br />

dei cappuccini. In quegli anni cominciò<br />

a collaborare con la Rai: una sua<br />

rubrica di riflessioni spirituali e consigli<br />

domestici («I consigli di Frate Sisto»)<br />

per anni trovò spazio all’interno della<br />

trasmissione della domenica mattina<br />

«In famiglia». Il suo volto, sempre<br />

illuminato dal sorriso, e la sua parola<br />

calda lo resero popolare. Fu anche<br />

delegato del ministro generale dei<br />

cappuccini per la federazione italiana<br />

delle monache Clarisse Cappuccine,<br />

segretario particolare del ministro<br />

generale, visitatore di monasteri<br />

femminili, predicatore di esercizi e ritiri<br />

spirituali.<br />

La Redazione di Portavoce di san<br />

Leopoldo invita i lettori a una preghiera<br />

di suffragio per il caro fratello Sisto,<br />

che aveva accettato con disponibilità<br />

di commentare i vangeli festivi<br />

in queste pagine. Continueremo<br />

a pubblicare quelli che aveva già<br />

preparato: sarà un modo per tenerne<br />

viva la memoria.<br />

<strong>marzo</strong> <strong>2017</strong> | Portavoce | 39


ORARI DEL <strong>SAN</strong>TUARIO<br />

APERTURA<br />

Chiesa<br />

ore 6.00-12.00 / 15.00-19.00<br />

Cappella del santo<br />

ore 7.00-12.00 / 15.00-19.00<br />

Pietro Bernardi, Leopoldo Mandić. Santo della<br />

riconciliazione e dell’ecumenismo spirituale<br />

La biografia più completa<br />

e documentata di padre Leopoldo<br />

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<strong>SAN</strong><br />

<strong>LEOPOLDO</strong><br />

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tel. 049 8802727 - fax 049 8802465 - info@leopoldomandic.it<br />

PENITENZIERIA<br />

Festivo<br />

ore 6.15-12.00 / 15.00-19.00<br />

Feriale<br />

ore 7.00-12.00 / 15.00-19.00<br />

Il lunedì pomeriggio i frati sono<br />

impegnati in comunità, pertanto<br />

non sono disponibili<br />

per le confessioni<br />

<strong>SAN</strong>TE MESSE<br />

Festivo<br />

ore 6.30, 7.45, 9.00, 10.15,<br />

11.30, 16.00, 18.00<br />

Sabato pomeriggio e vigilia<br />

delle feste sante messe festive<br />

ore 16.00, 18.00<br />

Feriale<br />

ore 7.00, 8.30, 10.00, 18.00<br />

PREGARE CON I FRATI<br />

Al mattino ore 6.20:<br />

Lodi, meditazione e s. messa<br />

Alla sera ore 19.00:<br />

santo rosario e Vespri<br />

(giovedì: adorazione eucaristica<br />

e Vespri)<br />

Ogni 12 del mese, ore 21.00:<br />

(fino ad aprile) veglia<br />

di preghiera con san Leopoldo<br />

PELLEGRINAGGI<br />

Per informazioni o prenotazioni,<br />

telefonare al numero<br />

049 8802727 (orario di ufficio),<br />

email: info@leopoldomandic.it<br />

Chiediamo di indicare il numero<br />

dei pellegrini, la data e l’ora prevista<br />

dell’arrivo, la necessità di una<br />

presentazione del santuario,<br />

la vostra intenzione di partecipare<br />

a una funzione religiosa<br />

o di celebrare la santa messa<br />

con un sacerdote del vostro gruppo.<br />

Ricordiamo che il santuario<br />

rimane chiuso dalle 12 alle 15<br />

I<br />

IN CASO <strong>DI</strong> MANCATO RECAPITO, RINVIARE ALL’UFFICIO POSTALE <strong>DI</strong> PADOVA C.M.P., DETENTORE<br />

DEL CONTO, PER LA RESTITUZIONE AL MITTENTE CHE SI IMPEGNA A PAGARE LA RELATIVA TARIFFA

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