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INSIDE<br />
di Vittorio Pio<br />
Restare connessi<br />
alle proprie radici<br />
Esistono superlativi capaci di contenere la leggenda di Quincy Jones? Sessant’anni di carriera impareggiabile,<br />
cultore di talenti (da Clifford Brown e Dinah Washington fino a Patti Austin e Michael Jackson) o uomo di<br />
fiducia di icone del calibro di Ray Charles, Frank Sinatra, Ella Fitzgerald, Count Basie e svariati altri che senza<br />
di lui non muovevano un passo in sala d’incisione.<br />
Dopo tanti anni d’assenza, Jones è arrivato in Italia per<br />
una serata di gala dei suoi 85 anni indossati fieramente,<br />
nonostante gli inevitabili disagi di un tempo che, comunque,<br />
si è dimostrato benigno con lui, appositamente cucitagli<br />
addosso da Umbria Jazz, uno dei principali festival internazionali,<br />
proprio nel suo quarantacinquesimo anniversario: “Non ho frequentato<br />
l’Italia quanto avrei desiderato nella mia vita”, esordisce,<br />
“ma ho sempre ammirato il genio italiano in vari ambiti,<br />
il gusto unico per la bellezza, le supreme capacità culinarie e<br />
l’immenso patrimonio artistico tramandato nei secoli.”<br />
Del jazz, invece, e di Paolo Fresu, il musicista italiano che<br />
lei ha invitato per questa celebrazione e dell’ Italia in Jazz,<br />
cosa sapeva?<br />
Paolo è un musicista fantastico, lo ammiro molto ma nel jazz, che<br />
è il nostro linguaggio comune, è difficile incontrare problemi reali.<br />
Dal passato ho ricordi molto cari legati a Piero Piccioni e Armando<br />
Trovajoli mentre sono stato proprio io ad applicarmi per fare avere<br />
l’Oscar alla carriera ad Ennio Morricone, un grande Maestro che<br />
mi ha molto emozionato nelle sue grandi partiture, al di là della<br />
commozione condivisa proprio quella sera a Los Angeles.<br />
34 <strong>SUONO</strong> novembre 2018