09.04.2020 Views

Palazzo de'Rossi - Una storia pistoiese

a cura di Roberto Cadonici fotografie di Aurelio Amendola

a cura di Roberto Cadonici
fotografie di Aurelio Amendola

SHOW MORE
SHOW LESS

Create successful ePaper yourself

Turn your PDF publications into a flip-book with our unique Google optimized e-Paper software.


PALAZZO DE’ ROSSI

UNA STORIA PISTOIESE

a cura di Roberto Cadonici

fotografie di Aurelio Amendola

3



4 5



La Fondazione Cassa di Risparmio di Pistoia e Pescia

ha realizzato il presente volume in occasione

del compimento dei primi 25 anni

della sua attività (1992-2017).

The Fondazione Cassa di Risparmio di Pistoia e Pescia

produced this volume on the 25th anniversary

of its own activity (1992-2017)

Testi di

Mario Bechi

Mirko Bianconi

Roberto Cadonici (R. C.), Consigliere della Fondazione Cassa

di Risparmio di Pistoia e Pescia dal 2005 al 2016

Filippo Fineschi (F. F.)

Lucia Gai

Silvia Gori (S. G.)

Giuseppa Incammisa (G. I.)

Alessandro Lelli

Marco Matteini

Giovanni Millemaci (G. M.)

Adolfo Natalini

Elsa Pacciani (E. P.)

Ivano Paci, Presidente della Fondazione Cassa di Risparmio

di Pistoia e Pescia dal 1992 al 2016

Paola Perazzi (P. P.)

Carlo Sisi

Cristina Taddei (C. T.)

Fotografie

Aurelio Amendola

Altri crediti fotografici

Fabrizio Antonelli, Pistoia pp. 295, 316-317

William Castaldo, Pistoia pp. 31, 32, 34, 35 (a sinistra), 37,

41, 42, 51, 53 (in alto), 54, 55, 62, 63, 66, 68, 103

Carlo Chiavacci, Pistoia pp. 52 (in basso)

Lorenzo d’Angiolo pp. 321, 339

Yuri Niccolai p. 59

Niccolò Orsi Battaglini, Firenze pp. 40, 54 (in alto)

L. Rubino p. 124

Archivio Fondazione Cassa di Risparmio di Pistoia e

Pescia pp. 314, 315, 318 (in alto), 319, 324, 325, 326, 329,

330, 332, 333, 334, 335, 337, 338

Archivio Roberto Giovannelli pp. 293, 308

Archivio fotografico Clarissa Morandi pp. 88, 102 (in alto)

Archivio Studio Natalini pp. 44, 45, 51, 60, 61 (in alto), 75,

79, 271, 273, 274, 275, 276, 277, 278, 279

Biblioteca Nazionale Centrale Firenze p. 97

Collezione Mario Lucarelli, Pistoia pp. 92, 122

Foto Lux, Pistoia pp. 47 (in basso), 48, 61 (in basso), 63 (in

alto al centro), 83, 89, 98, 99, 100, 101, 111 (in basso), 113,

116, 118 (in basso), 120, 121, 126

Foto Zenith, Pistoia pp. 33, 34 (a sinistra)

iconos pp. 43, 47 (in alto), 69, 76 (a sinistra), 87, 111

(colonna), 112 (colonna, in alto e al centro)

Gabinetto delle Stampe e dei Disegni, Firenze pp. 305, 306

Galleria d’Arte Moderna, Firenze p. 297

Soprintendenza Archeologia della Toscana (per gentile

concessione) pp. 210, 213, 215, 216, 217, 218, 219, 220, 221,

222, 223, 224, 225, 226, 227, 228, 229, 230, 231, 232, 233, 236,

237, 238, 241, 242, 243, 245, 247, 248, 251

Studio Giuseppe Marraccini pp. 86, 112 (a destra),

118 (in alto), 119

Traduzioni

Christopher Evans

Jeremy Carden

Carly Kelly

Althea Muirhead

NTL

Editore

Gli Ori, Pistoia

Progetto grafico e impaginazione

Gli Ori Redazione

Impianti e stampa

Baroni e Gori, Prato

Copyright © 2017

per l’edizione Gli Ori

Fondazione Cassa di Risparmio di Pistoia e Pescia

per i testi e le foto gli autori

ISBN 978-88-7336-698-0

Tutti i diritti riservati

L’editore è a disposizione degli aventi diritti per eventuali

crediti fotografici non identificati.

7



UN PALAZZO SIMBOLO DELLA STORIA DI UNA CITTÀ

Per una strana e peraltro positiva coincidenza i venticinque anni dalla nascita della Fondazione

Cassa di Risparmio di Pistoia e Pescia si celebrano nell’anno in cui la nostra città ha avuto

l’ambito riconoscimento di Capitale Italiana della Cultura.

Credo che detto riconoscimento sia stato anche il frutto dell’impegno che la nostra Fondazione

ha profuso in questi decenni in ambito culturale attraverso importanti interventi

su beni artistici in tutta la provincia di Pistoia, fra i quali si possono annoverare il lavoro

di completo restauro di Palazzo de’ Rossi – del quale il presente volume dà approfondita e

scientifica testimonianza – nonché il recente restauro della Visitazione di Luca della Robbia

e la sua installazione nella chiesa di San Leone, anch’essa riportata all’originario splendore,

sconosciuto per gran parte dei cittadini della nostra comunità.

È inoltre in via di ultimazione il progetto di ristrutturazione e recupero totale della chiesa

di San Salvatore, un luogo che diverrà (avvalendosi delle più moderne tecnologie) un piccolo

ma prezioso museo moderno, dove ogni visitatore potrà apprezzare la storia della città di

Pistoia e le sue evidenze artistiche più significative, partendo dalla sua splendida piazza del

Duomo.

E non si devono dimenticare, sempre in ambito culturale, i progetti finanziati interamente

dal nostro ente e portati avanti, ormai da tredici anni, dalla Fondazione Promusica, aventi ad

oggetto l’offerta di musica di qualità con le stagioni di musica da camera e sinfonica, unite

alle altre numerose iniziative collaterali, nonché l’annuale proposta del festival di antropologia

del contemporaneo “Dialoghi sull’uomo”, giunto nel 2017 all’ottava edizione, che si è

caratterizzato nel tempo come uno dei più importanti festival di approfondimento culturale.

A PALACE THAT IS A SYMBOL OF A CITY’S HISTORY

Through a strange and positive coincidence, the twenty-five years since the establishment

of the foundation, Fondazione Cassa di Risparmio di Pistoia e Pescia, are being celebrated

in the very year that our city receives the much sought-after recognition ofa Italian Capital

of Culture.

I believe this recognition was also the result of our Foundation’s commitment, over these decades,

to the field of culture through important work on the artistic heritage throughout the

province of Pistoia. This work included the complete restoration of Palazzo de Rossi – for

which this volume gives an in-depth and scientific testimonial - as well as the recent restoration

of the Visitation by Luca della Robbia and its placement in the church of San Leone, also

brought back to its original splendour, and unknown to most of our community’s citizens.

Also underway is the project to renovate and totally recover the church of San Salvatore, a

place that will become (using the most modern technologies) a small but invaluable modern

museum where every visitor can appreciate the history of the city of Pistoia and its most

significant artistic works, starting with its splendid Piazza del Duomo.

And we must not forget, again in the cultural sphere, the projects entirely funded by our

institution and carried forward by the Promusica Foundation for thirteen years, with the aim

of offering quality chamber and symphonic music seasons, together with the many other side

initiatives. There was is the annual Festival of Contemporary Anthropology with “Dialogues

on Man”, which reached its eighth edition in 2017, and has long been considered one of the

most important festivals for cultural investigation.

On the other hand, the restoration of Palazzo de’ Rossi was certainly the most important

intervention, also from the economic point of view, for our Foundation.



D’altra parte il restauro di Palazzo de’ Rossi è stato sicuramente l’intervento più importante,

anche dal punto di vista economico, della nostra Fondazione.

Perciò abbiamo pensato che la presentazione del volume che dà conto di tale importante

restauro potesse essere anche l’occasione per celebrare degnamente la storia della nostra

Fondazione.

Sono stati venticinque anni caratterizzati – grazie all’impegno profuso dai suoi amministratori,

primo fra tutti il presidente Ivano Paci – da una crescita continua del patrimonio dell’ente

passato da 125,5 milioni nel 1992 a 361 milioni di euro al 31 dicembre 2016 e da importanti erogazioni

a favore del territorio che ammontano complessivamente in questo quarto di secolo

a oltre 190 milioni di euro.

La Fondazione è dunque una realtà molto solida dal punto di vista patrimoniale ed è riuscita,

e riuscirà in futuro, a erogare risorse ingenti nei confronti del territorio.

Dobbiamo, d’altra parte, tenere ben presente che a sua volta questa storia così virtuosa affonda le

proprie radici nella ben più longeva attività della più importante banca presente sul nostro territorio

da quasi duecento anni, la Cassa di Risparmio, prima di Pistoia, poi di Pistoia e Pescia e che,

negli anni recenti, ha assunto la denominazione di Cassa di Risparmio di Pistoia e della Lucchesia.

Una banca a suo volta ben amministrata, che nella sua lunga storia non ha mai incontrato vere

e proprie crisi.

Se dunque oggi la provincia di Pistoia ha una Fondazione così importante, anche e soprattutto

in considerazione del territorio nella quale deve svolgere la propria attività, dobbiamo

essere grati a tutti quegli uomini e quelle donne che con varie funzioni hanno lavorato nella

Cassa, convinti anch’essi di svolgere non solo un lavoro dal quale ricavare un giusto compenso,

ma anche un servizio nei confronti della comunità.

Non sta certo a me parlare del restauro del Palazzo de’ Rossi, né affidarmi ai ricordi così incisivamente

e poeticamente descritti da Ivano Paci nell’intervento che troverete in questo volume.

Posso solo aggiungere che per quelli della mia generazione questo Palazzo era noto come Pio

X (qualcuno pronunciava la X come numero romano, ma i più lo facevano “all’inglese”).

Né posso esimermi dal ricordare quella incredibile figura di prete che fu Don Mario Lapini,

che trasformò un palazzo, nato per essere residenza di numerosi componenti della famiglia

de’ Rossi, in un luogo (seppur di proprietà privata) completamente fruibile per la cittadinanza,

per poi donarlo al nostro ente.

Numerose infatti furono le attività che nel corso dei decenni Don Mario accolse nel palazzo:

la danza con la scuola del famoso coreografo di Carla Fracci, Loris Gai; la sede di un quotidiano

locale; l’attività del circolo ricreativo, con il biliardo; l’associazione degli appassionati

del gioco degli scacchi e di quelli del bridge; la musica da camera; i cineforum e altre ancora.

E quindi continuando a considerare Palazzo de’ Rossi (seppur sede della Fondazione e dei suoi

uffici) un luogo disponibile per le iniziative che vengono proposte da enti e associazioni pistoiesi,

che possiamo confermare quello che l’immobile è stato per decenni a Pistoia, e allo stesso

tempo perseguire la nostra finalità essenziale di un’istituzione a servizio della collettività.

Infine debbo ringraziare Roberto Cadonici, curatore del volume, che con la consueta professionalità

e passione ha seguito, passo dopo passo, la stesura dei vari contributi e la redazione

del libro; Ivano Paci per il suo intervento e la sua “fresca” memoria; e tutti gli estensori dei saggi:

Mario Bechi, Mirko Biancalani, Lucia Gai, Giuseppa Incammisa, Alessandro Lelli, Adolfo

Natalini, Marco Matteini, Giovanni Millemaci, Cristina Taddei, Paola Perazzi e Carlo Sisi.

Un sentito grazie ad Aurelio Amendola, un fotografo noto nel mondo per la sua capacità di

“far vivere” le opere d’arte attraverso un mezzo meccanico e all’apparenza freddo, come la

macchina fotografica.

Una nota di merito alla casa editrice Gli Ori, per la cura dimostrata, fin nei minimi dettagli,

nella realizzazione editoriale del volume.

Luca Iozzelli

Presidente Fondazione Cassa di Risparmio di Pistoia e Pescia

For this reason, we thought that the presentation of the volume that gives an account of this

important restoration could also be an opportunity to worthily celebrate the history of our

Foundation.

These twenty-five years have been characterized - thanks to the generous commitment of its

directors, first of all the chairman Ivano Paci - by the continuing growth of assets from 125.5

million in 1992 to 361 million euros as of December 31, 2016, and by major disbursements in

favour of the territory, totalling, over this quarter of a century, over 190 million euros.

The Foundation is therefore a very solid asset from the point of view of heritage, and has

succeeded and will succeed in the future, in allotting substantial resources to the territory.

Moreover, we must in turn keep in mind that this virtuous story has its roots in the much

longer activity of what has been the most important bank in our territory for almost two

hundred years, the Cassa di Risparmio, first of Pistoia, then of Pistoia and Pescia and which,

in recent years, has assumed the name of Cassa di Risparmio di Pistoia e Lucchesia.

A well-administered bank in its turn, which in its long history has never encountered real

crises.

If, therefore, the province of Pistoia has such an important Foundation, also and above all, in

consideration of the territory in which its activity is being carried out, we must be grateful to

all those men and women who, with various roles, have worked at the Cassa, also convinced

they are not only working to earn a fair wage, but also providing a service to the community.

I am not the person to talk about the restoration of Palazzo de Rossi, nor do I rely on the

memories so incisively and poetically described by Ivano Paci in the work that you will find

in this volume.

I can only add that for those of my generation this palace was known as Pio X (some pronounced

X as a Roman numeral, but most said it the “English” way).

Nor can I exclude myself from remembering that incredible figure of a priest who was Don

Mario Lapini, who transformed a palace, built to be the residence of the many members of

the Rossi family, into a place (albeit private property) that is fully accessible to the citizens,

to then give it to our institution.

There were numerous activities over the decades. Don Mario welcomed to the Palazzo the

ballet with the school of Carla Fracci’s famous choreographer, Loris Gai, the headquarters

of a local newspaper, a recreational club, with billiards, the association of chess players and

bridge enthusiasts, chamber music, the cinema forum and more.

And then still considering Palazzo de’ Rossi (although the headquarters of the Foundation

and its offices) a place that is available for initiatives proposed by Pistoia organizations and

associations, we can confirm that which the property has been for decades in Pistoia and at

the same time pursue our essential goal of being an institution to serve the community.

Finally, I must thank Roberto Cadonici, curator of the volume, who with his usual professionalism

and passion oversaw, step by step, the writing of the various contributions and the

editing of the book; Ivano Paci for his work and his “fresh” memory; and all of those who

contributed essays: Mario Bechi, Mirko Biancalani, Lucia Gai, Giuseppa Incammisa, Alessandro

Lelli, Adolfo Natalini, Marco Matteini, Giovanni Millemaci, Cristina Taddei, Paola

Perazzi and Carlo Sisi.

A heartfelt thanks to Aurelio Amendola, a photographer known throughout the world for

his ability to make works of art “live”, using a medium that appears mechanical and cold, the

camera.

The publisher, Gli Ori, deserves to be mentioned for the great care shown in the publication

of the volume, down to the smallest detail.

Luca Iozzelli

President, Fondazione Cassa di Risparmio di Pistoia e Pescia



SOMMARIO | CONTENTS

NOTA DEL CURATORE

NOTA DEL CURATORE 13

A NOTE FROM THE EDITOR 13

Ivano Paci

DAL GRANDONIO ALLA FONDAZIONE.

UNO SPACCATO DI VITA CITTADINA 17

FROM GRANDONIO TO FOUNDATION:

A SLICE OF CITY LIFE 17

NOTE 29

NOTES 29

Lucia Gai

UN PALAZZO NELLA CITTÀ

LA NOBILE DIMORA DEI ROSSI E LE SUE VICENDE 31

A PALAZZO IN THE CITY

THE NOBLE RESIDENCE OF THE ROSSI FAMILY AND ITS HISTORY 31

NOTE 130

NOTES 130

Aurelio Amendola

PALAZZO DE’ ROSSI 171

Paola Perazzi, Giovanni Millemaci, Giuseppa Incammisa, Cristina Taddei

Filippo Fineschi, Silvia Gori, Elsa Pacciani

LO SCAVO ARCHEOLOGICO 211

THE ARCHAEOLOGICAL EXCAVATION 211

NOTE 257

NOTES 257

Adolfo Natalini, Marco Matteini, Mario Bechi, Mirko Bianconi, Alessandro Lelli

L’ARCHITETTURA E IL RESTAURO 267

ARCHITERTURE AND RESTORATION 267

Carlo Sisi

UN CANTIERE PISTOIESE

FRA NEOCLASSICISMO E ROMANTICISMO 289

A PISTOIESE WORKSITE

BETWEEN NEOCLASSICISM AND ROMANTICISM 289

NOTE 309

NOTES 309

Roberto Cadonici

LA COLLEZIONE D’ARTE E IL SUO ALLESTIMENTO 311

THE ART COLLECTION AND ITS DISPLAY 311

NOTE 342

NOTES 342

Forse non esistono – almeno nel campo della ricerca e dell’indagine – libri strettamente necessari; sicuramente

non ne esistono di insuperati, come è giusto e naturale che sia. Anzi, è auspicabile ogni volta che ciascun

contributo possa rappresentare il punto di partenza per nuove avventure e rinnovate scoperte e riflessioni.

Tuttavia questo libro – se non necessario – sembrava però almeno opportuno e quasi certamente dovuto:

perché fotografa plasticamente una storia che non è tanto quella della famiglia de’ Rossi, quanto

piuttosto la rappresentazione puntuale di una serie di stratificazioni urbanistiche, costruttive, decorative,

storiche, funzionali e di rappresentanza in Pistoia che parte da molto lontano e arriva fino ai giorni

nostri. Giorni nei quali il palazzo è entrato a pieno titolo nella topografia cittadina come sede della

Fondazione Cassa di Risparmio di Pistoia e Pescia, un’istituzione giovane di ventiquattro anni e già

antica per il ruolo crescente che è venuta via via assumendo nel territorio di riferimento. Soprattutto

per questo si potrebbe parlare di un contributo opportuno e perfino dovuto, in quanto ci troviamo in

una fase di avvenuto consolidamento di quest’immagine dopo il recente restauro e soprattutto perché

siamo al giro di boa rispetto a quella che si può definire una vera e propria stagione storica, quella contraddistinta

dalla ininterrotta e solidissima guida di Ivano Paci, Presidente fino dalla sua costituzione.

Quindi, ecco il libro. Per progettarlo e costruirlo si è ritenuto indispensabile fare ricorso a diverse

professionalità e competenze, in grado di produrre una panoramica vasta, di costituire punti di osservazione

molteplici, di raccontare a più voci e con diversi strumenti (testi, reperti, fotografie, piante,

raffronti …) le complesse vicende dell’immobile.

E’ del tutto evidente che una scelta del genere comporta l’inevitabile rischio della mancanza di omogeneità

nella stesura, in quanto, del tutto legittimamente, ciascun contributo è il risultato di diverse storie

quanto ad ambito professionale. Da questo scaturiscono differenti cifre stilistiche che non rappresentano

vezzi espositivi ma vera sostanza, autentica e brulicante materia viva che giunge ad espressione

piena solo se libera di esprimersi come vuole e come sa. Per converso è altrettanto evidente che la scelta

ha consentito l’enorme vantaggio di fare ricorso alle migliori professionalità disponibili, agli esperti dei

A NOTE FROM THE EDITOR

Perhaps no books are strictly necessary – at least in the field of research and investigation. Certainly,

none are unsurpassable, as is only right and natural. Indeed, it is to be hoped that each contribution

might be the starting point for new adventures and for renewed discoveries and reflections.

Nevertheless, although not necessary, to us, the publication of this book seemed almost certainly fitting

and proper. Because it presents a story that is not so much about the lives of the de’ Rossi family

as it is an accurate representation of various levels of the urban, construction, decorative, historical,

functional and symbolic context of Pistoia, from ancient times right up to this day. Now the Palazzo

has taken its rightful place in the city’s fabric, becoming the headquarters of Fondazione Cassa di Risparmio

di Pistoia e Pescia, an institution just twenty-four years young, yet already playing an increasingly

senior role in the local context. For this reason, if for no other, we can talk of a contribution that

is fitting and proper. We are at a stage where this image has been consolidated by the recent refurbishment.

Above all, we are at the halfway point of what can be defined as a historical season, marked by

the uninterrupted and solid guidance of Ivano Paci, who has been Chairman of the Fondazione since

its establishment.

Hence this book. For its design and creation, we thought it was essential to bring in the various professions

and skills to provide a broad perspective; several voices narrating the complex vicissitudes of

the building through different media (text, artefacts, photographs, floor plans, comparison...).

Clearly, a choice of this kind inevitably carries the risk of producing something that is in cohesive,

since, quite legitimately, each contribution is the product of different stories from different professional

fields. This leads to stylistic choices that differ not only in style but also in substance, as authentic,

teeming live matter that reaches its full expression only if free to express itself as it can and will.

Conversely, it is equally clear that this decision gave us the enormous advantage of involving the best

experts available in the themes dealt with. To this end, each section was given to the person who, at

the time, was considered right for that specific topic. And that is how we proceeded. The result – and

we are convinced it is a good one – can be found in the pages that follow. Only the reader, however,

13



temi da affrontare; per questo ciascun settore di intervento è stato affidato a chi ritenuto, al momento,

la persona giusta per quanto veniva specificatamente richiesto. E così è stato. Il risultato è consegnato

alle pagine che seguono, e siamo convinti che sia un buon risultato. Solo ai lettori, tuttavia, è consegnato

il compito di valutare se è conseguita (di sicuro era perseguita) la volontà di trasformare in un coro

intonato la pluralità dei contributi. Sarebbe la magica sintesi che Dante, per dare conto della difforme

uniformità dei suoi cieli, riesce a esprimere con un solo endecasillabo: diverse voci fanno dolci note.

L’impianto del volume è quindi costruito grazie al supporto di alcune specifiche sezioni di indagine, che

sono apparse fin da subito necessarie e sufficienti per dare conto in modo esauriente delle vicende del palazzo:

ovviamente la ricerca storica, con la sua duplice connotazione (da un lato il casato dei Rossi, dall’altro

le diverse fasi della costruzione); l’indagine archeologica dell’area (siamo dentro alla prima cerchia di

mura!); l’imponente e prezioso apparato decorativo; una apposita sezione di documentazione fotografica,

che integrandosi con le altre immagini diventa contributo a sé stante; la documentazione articolata del recente

restauro; e infine l’allestimento di opere d’arte che ha fatto seguito al completo recupero del Palazzo.

L’esito finale potrà apparire, nella distribuzione delle sezioni, sbilanciato a tutto vantaggio dell’introduzione

storica, condotta magistralmente da Lucia Gai; il risultato è andato anche un po’ al di là delle indicazioni e

delle intenzioni iniziali, ma si tratta, oltre che di un grande arricchimento per il volume, di una conseguenza

prevista e pressoché inevitabile. Infatti alla studiosa non competeva la stesura di un testo relativo a un unico

campo d’indagine; il suo saggio, oltre a rappresentare indiscutibilmente l’apertura necessaria, aveva il compito

di dare conto nel suo complesso di Un palazzo nella città, come opportunamente viene titolato il saggio. Al

di là delle questioni d’insieme, la studiosa doveva poi raccontare tre storie: la ricostruzione delle vicende della

famiglia e l’analisi delle molteplici fasi nella realizzazione del palazzo, fasi cui si affiancano inevitabilmente –

rappresentandone parte costitutiva – tutte le stratificazioni relative al complesso impianto decorativo.

A Carlo Sisi era affidata la sezione dedicata, nell’ambito delle decorazioni del palazzo, agli interventi di

maggiore prestigio: quelli di Giuseppe Bezzuoli e di Nicola Monti, due artisti di chiara fama chiamati

per adornare, al piano nobile, i soffitti delle sale più importanti. Il contributo di Sisi, uno dei massimi

esperti in materia, ricostruisce il contesto culturale e inserisce con sapienza l’opera di questi pittori

all’interno della temperie artistica della Toscana granducale del tempo. L’indagine si sviluppa tenendo

conto delle implicazioni iconografiche e della fase di passaggio tra gusti e tendenze contrapposti, senza

mai perdere di vista il tema delle committenze e delle relative motivazioni.

Non poteva certo mancare un racconto per immagini, che naturalmente è stato consegnato alla professionalità

di Aurelio Amendola. Nello sviluppo del testo si inserisce con naturalezza una selezione degli

scatti realizzati appositamente per il volume. Gran parte di questi si ritrovano, accanto a immagini di

repertorio, disseminati nelle numerose pagine del libro, quale necessario corredo a servizio dei saggi.

Una parte invece fa storia a sé, andando a costituire un contributo autoriale, una lettura del palazzo

realizzata con la diversa sensibilità della macchina fotografica.

I lavori di restauro sono stati ovviamente preceduti da scavi e indagini archeologici, condotti dalla

competente Sovrintendenza. Si dà conto degli esiti nella sezione curata da Paola Perazzi, che si è

valsa per l’epoca romana più antica della collaborazione di Giovanni Millemaci; per tutto il periodo

successivo (a partire dal IV secolo d. C.) di quella di Giuseppa Incammisa; per l’analisi dei reperti, in

particolare delle ceramiche, di Cristina Taddei. Reperti e stratificazioni sono risultati numerosi e vari:

tombe, canalette, massicciate, monete, ceramiche, pozzi e altro ancora. Non sono emerse “scoperte”

che facciano sensazione, ma il lavoro è comunque risultato essenziale, non fosse altro che per utile

conferma delle indagini già effettuate all’interno della prima cerchia di mura.

Lo studio di Adolfo Natalini ha progettato e seguito integralmente il restauro del palazzo, per cui è

stata affidata alle sue cure la necessaria sezione destinata a documentarne le fasi e gli sviluppi. Naturalmente,

trattandosi di un intervento tecnico, il contributo è costituito in prevalenza da apposita

cartografia, che integra e “racconta” molto più delle parole. Le relazioni che accompagnano le immagini

sono dello stesso Natalini e dell’architetto Marco Matteini, che l’ha costantemente affiancato e

ha diretto i lavori; degli ingegneri Mario Bechi e Mirko Bianconi, in relazione alla parte strutturale;

dell’ingegnere Alessandro Lelli per tutte le soluzioni impiantistiche.

Il curatore di questa iniziativa editoriale, infine, si è autoassegnato il compito di chiudere il volume con

una breve storia dell’allestimento delle numerose sale del palazzo. A proposito del quale corre l’obbligo

di un’ultima chiosa, in quanto il lettore lo troverà definito, nei diversi testi del volume, con un’alternanza

che abbiamo scelto di non uniformare: dei Rossi, de Rossi, de’ Rossi (ma poi, declinato all’anagrafe,

anche De Rossi e De’ Rossi!) Si tratta di varianti che hanno una loro storia: e così, in ossequio alla

metafora del coro, le abbiamo lasciate esattamente come ci sono state consegnate.

R. C.

can judge the success of the pursued intent of drawing together the diverse contributing voices into

a tuneful choir. A magical assembly, which Dante, referring to the discordant uniformity of paradise,

sums up in a single hendecasyllable: Differing voices join to sound sweet music.

Thus, the book contains several specific areas of investigation, which, from the start, seemed necessary

and sufficient for providing an exhaustive portrayal of the Palazzo. These include: historical research,

with its dual perspective of, on one hand, the House of de’ Rossi and on the other, the various

stages of construction; an archaeological survey of the area (within the first set of walls); the exquisite,

imposing decorations; a special section with photographic documentation which, alongside the other

images, form a body of work in their own right; documentation recording the recent restoration; and

lastly, the installation of works of art following the full refurbishment of the Palazzo.

In the way the sections are distributed, the final result may seem biased towards the historical introduction

expertly written by Lucia Gai. This went slightly beyond the initial intentions, but, in

addition to enriching the volume, it was somewhat inevitable. Indeed, her task was not restricted to

one area of study alone. Apart from being indisputably the right opening for the volume, her essay

also had the purpose of presenting the context for Un palazzo nella città, that is, a palazzo in the city, as

the essay is appropriately titled. In it she tells three stories: her reconstruction of the vicissitudes of

the de’ Rossi family, an analysis of the many phases in the construction of the palazzo and, inevitably,

since they are an intrinsic part of the building, an exploration of all the layers of decoration found

within it.

Carlo Sisi was responsible for the section dedicated to the most prestigious decorations, namely those

of Giuseppe Bezzuoli and Niccola Monti, two preeminent artists who were called on to adorn the

ceilings of the most important rooms on the piano nobile. One of the foremost experts on the subject,

Sisi reconstructs the cultural context in which the works of these painters are placed in the artistic

climate of Grand Ducal Tuscany. His investigation considers iconographic implications and the transition

between contrasting tastes and trends, without forgetting the subject of patronage and the

motivations of clients.

Of course, we had to include a story in images, and naturally entrusted the task to the expert hands of

Aurelio Amendola. The text is accompanied by a series of photographs taken specially for this book.

Most of these photographs, alongside other archive images, are interspersed throughout the book as a

necessary complement to the essays. Some form a story in their own right, providing an artist’s reading

of the Palazzo from the special perspective of the camera lens.

The restoration work was preceded by archaeological digs and surveys conducted by the experts of

the Cultural Heritage Office. The results can be seen in the section curated by Paola Perazzi, who

worked with Giovanni Millemaci on the most ancient Roman era, with Giuseppa Incammisa on the

subsequent period, beginning from the 4th century AD and with Cristina Taddei for the analysis of

the finds, especially for ceramics. Numerous and varied were the finds and layers involved: tombs,

gutters, ballasts, coins, ceramics, wells and more. No “sensational discoveries” emerged, but the work

was essential nonetheless, if for no other reason than it gave useful confirmation of explorations that

had already been conducted within the perimeter of the first walls.

Adolfo Natalini’s firm designed and later carried out the restoration of the Palazzo, hence was also responsible

for the section of the book describing the various phases and developments. Naturally, since

their intervention was technical in nature, their contribution to this book mostly consists of maps

which integrate and “narrate” far more than words can. The articles that accompany the images are

by Natalini himself and the architect Marco Matteini – who worked alongside him and directed the

works – the engineers Mario Bechi and Mirko Bianconi, regarding structural aspects and Alessandro

Lelli, in relation to all the installations.

As the editor of this publication, I assigned myself the task of closing the book with a brief history of

the interior design of the numerous rooms in the Palazzo.

The curator of this editorial initiative, finally, has been assigned the task of closing the volume with a

brief history of the setting up of the numerous halls of the palace. About which it runs the obligation

of a last gloss, in that the reader will find it defined, in the different texts of the volume, with an alternation

that we chose not to uniformate: Rossi, De Rossi, de ‘ Rossi (but then, declined to the registry,

also de Rossi and de ‘ Rossi!) These are variants that have their own history: and so, in accordance with

the metaphor of the choir, we have left them exactly as we have been delivered.

R. C.

14 15



DAL GRANDONIO ALLA FONDAZIONE.

UNO SPACCATO DI VITA CITTADINA

Ivano Paci

Richiesto di una introduzione che parlasse del Palazzo De’ Rossi nel secondo dopoguerra,

non ho inteso fare un lavoro di carattere storico. Date le circostanze che saranno chiarite più

avanti, e l’età raggiunta, ho scelto di fare soprattutto appello alla memoria, oltre che all’esperienza

direttamente vissuta in ragione della carica ricoperta, per raccontare attraverso quali

vicende, a partire dalla metà del secolo scorso, il Palazzo De’ Rossi è divenuto il palazzo della

Fondazione.

I fatti richiamati sono tutti veri, le (poche) opinioni ovviamente discutibili, alcune datazioni

a rischio di qualche imprecisione, il che fa parte del gioco; per gli anni più lontani, come già

detto, ho lavorato essenzialmente sul filo dei ricordi e non su documenti. Questo è lavoro da

lasciare ad altri.

Tanto premesso, non resta che affidarmi al flusso di memorie, ancora molto vive, sul Palazzo

De’ Rossi che ho conosciuto, soprattutto da giovane.

Nel primo quarto di secolo della mia vita, ho abitato in un grande “casamento” che ha ingresso

da Via del Presto, ma si affaccia anche su Via De’ Rossi; in questa via l’omonimo palazzo,

da tutti conosciuto come Palazzo del Grandonio, o “Grandonio” tout court, è il più imponente,

con la sua monumentale facciata, l’alto portone d’ingresso, le grandi finestre, la terrazza

interna, le scalinate solenni, apprezzabilmente benevole verso chi le deve salire.

Via De’ Rossi 1 è una via breve e stretta del centro cittadino, fiancheggiata, nella seconda

metà, da palazzi altissimi che accentuano il suo profilo smilzo e veloce. Qualche volta mi vien

fatto di accostarla alla dolomitica “Val de Mezdi” per il fatto che il sole la illumina, ma direi la

accende in pieno, solo a mezzogiorno, quando è allo zenit: in quel momento la strada è inon-

FROM GRANDONIO TO FOUNDATION:

A SLICE OF CITY LIFE

Ivano Paci

When asked to write an introduction about Palazzo De’ Rossi in the period after the Second

World War, I did not intend to produce a historical piece. Given the circumstances, which I

will reveal later, and the age I have reached, I have decided to invoke my memory, in addition

to the direct experience gained through the positions I have held, to present the events that

have touched Palazzo De’ Rossi – now home to the Fondazione – since the middle of the last

century.

The events recalled are all true, the (few) opinions are obviously debatable and a few dates

may well be inaccurate, which is all par for the course. For the more remote years, as stated,

I worked mostly from the thread of my memories and not from documents, a task which I

leave to others.

That said, all that remains is for me to abandon myself to the flow of memories, still very

much alive, of the Palazzo De’ Rossi that I knew, especially as a youngster.

In the first quarter century of my life, I lived in a large “block” whose entrance was on Via del

Presto, but which also looked out onto Via De’ Rossi. In the latter street, the homonymous

palazzo, known by all as Palazzo del Grandonio, or quite simply “Grandonio”, is the most

imposing building. It has a monumental façade, a tall main door, large windows, an internal

courtyard and a majestic staircase that is remarkably benevolent towards anyone who has to

climb it.

Via De’ Rossi 1 is a short, narrow street in the centre of town, the second half of which is

lined with tall palazzi, which served to accentuate its quick, sinewy profile. Sometimes I find

myself comparing it to the Val de Mezdi in the Dolomites, because it is only illuminated – but

I should say, set alight – at noon, when the sun is at its zenith. In that moment, the street is

16 17



data di luce mentre, in qualunque altra ora del giorno, specie in quel tratto finale, è oscurata

da vaste zone d’ombra che ne accrescono il fascino; e quando tira la tramontana, il vento vi si

butta dentro, rinforzando. Il Palazzo De’ Rossi vi si distende con tutta l’imponenza della sua

ampia facciata ed è il più nobile ed importante tra quelli che essa accoglie.

Per me e per tutti i pistoiesi che hanno intorno alla mia età il Palazzo De’ Rossi era semplicemente

il Grandonio, la cui terrazza divenne sede di una serie di attività e di eventi suggeriti

dall’evolversi della società nei decenni del secondo dopoguerra.

Se attingo ai ricordi, ecco emergere il periodo dei balli all’aperto durante i mesi estivi 2 che, nella

seconda metà degli anni ’40, dopo la liberazione, recepivano, talora un po’ goffamente, i balli

che venivano dall’America, specie lo swing ed il boogie woogie; erano i tempi in cui le ragazze,

non senza qualche traccia di rossore, venivano rigorosamente riaccompagnate al loro posto

e riconsegnate alle madri o alle zie, accompagnatrici occhiute e poco disposte a concessioni.

A “veder ballare”, come allora si diceva, si andava sovente con tutta la famiglia, tranne i vecchi

vecchi ed i bambini bambini e chi li doveva accudire.

L’orchestra era un po’ così, suonava su di un palco collocato sul lato della terrazza che dà su

Via delle Pappe; anche i cantanti non erano granché, ma si stava al fresco, si sentiva una musica

da fischiare o canticchiare il giorno dopo; sulla pista da ballo si avviavano amori, o ritenuti

tali, ‘primi’ o ‘secondi’, spesso effimeri.

Per il Grandonio, peraltro, la stagione del ballo non durerà a lungo.

Al lato sud della terrazza venne installata una cabina di proiezione cinematografica; e alla fine

il suo utilizzo temporalmente più lungo fu proprio quello di cinema all’aperto; prima come

Cinema Grandonio, poi come Cinema Italia estivo, poi ancora come Cinema Paradiso (ma

forse mi sfugge qualcosa).

Il cinema estivo nella terrazza Grandonio, con un gelato in mano, era comunque una vera

goduria. Dei tre o quattro luoghi di proiezione all’aperto allora esistenti, il Grandonio era

certamente il più accogliente ed il più frequentato.

Il periodo di maggior fortuna lo ebbe naturalmente nei primi anni, con tutti quei mitici film

americani ancora da vedere, per noi nuovi, anche se già vecchi di anni: e via con Gary Cooper,

Rita Hayworth, Alan Ladd, Humphrey Bogart, Lauren Bacall, John Wayne, Glenn Ford,

Spencer Tracy, Bette Davis, Katharine Hepburn, perfino Esther Williams con i suoi castigati

costumi da nuotatrice olimpionica.

Il cinema è rimasto aperto fino a circa venti anni orsono, almeno così mi pare, coprendo

quindi un arco di alcuni decenni, ma vivendo pure la decadenza un po’ malinconica degli

ambienti via via meno frequentati, anche per il sorgere e l’affermarsi di altre forme di svago

e di fruizione del cinema.

Con la sua ricca dotazione di posti e la sua collocazione centrale, la terrazza Grandonio ha

vissuto anche alcuni momenti particolarmente importanti: momenti unici per la città, che

testimoniano una stagione di grandi passioni e di forti idealità.

Ricordo, ad esempio, un memorabile incontro con Raoul Follereau, il grande apostolo dei

lebbrosi, la cui forza trascinatrice, esaltata da un francese limpidissimo, coinvolse emotivamente

tutti nella sua avventura di totale dedizione umana e cristiana, insieme alla moglie, ad

una categoria particolare di esclusi, i lebbrosi appunto, o come si preferisce dire oggi, con

termine meno urticante, gli hanseniani.

Altrettanto memorabile fu l’incontro con l’Abbé Pierre, fondatore delle Comunità di Emmaus,

che offrì una testimonianza, umile e potente insieme, di cosa significasse farsi povero

con i poveri.

Non ricordo bene gli anni in cui questi eventi si svolsero ma direi nei primi anni sessanta.

Mi accorgo di aver sinora parlato molto della terrazza e assai poco del Palazzo; ma in realtà,

fino alle vicende sin qui ricordate, del Palazzo come tale non sapevo nulla.

In questa ricostruzione, un po’ impressionistica, della vita del “Palazzo” nel secondo dopobathed

in light. However, at any other time of day, especially towards its end, it is darkened

by vast areas of shade that increase its charm. And when the Tramontane blows, the wind

hurls itself through it, gathering pace. Palazzo De’ Rossi stretches out with all the imposing

glory of its broad façade and it is the most noble and most important of all the buildings

found there.

For me and all Pistoiese of my generation, Palazzo De’ Rossi is simply the Grandonio, whose

courtyard was the site of a series of activities and events dictated by the evolution of society

in the decades after the Second World War.

If I delve into my memory, what emerges is the period of open-air dances during the summer

months. 2 In the late 1940s, after Liberation, it witnessed the advent, sometimes slightly

awkwardly, of the dances that came from America, particularly boogie-woogie. It was a time

when, not without a faint blush in their cheeks, girls were rigorously accompanied to their

seats, returned to their mothers or aunts, their watchful chaperones ill inclined to grant

concessions.

Often whole families, aside from the very old, the very young and those who had to take care

of them, would go to “see the dances”, as was the expression at that time.

There was nothing special about the band. They played on a raised platform on the side of

the courtyard looking out onto Via delle Pappe. Nor were the singers up to much, but the

evening air was cool and the music we listened to could be whistled or hummed the next day.

The dance floor was the birthplace of many a “first” or “second” love – or what were considered

to be such – that were often ephemeral.

For the Grandonio, however, the dance season would not last long.

A projection box was installed on the southern side of the courtyard. Eventually, its function

as an open-air cinema would be its longest lasting, first as the Cinema Grandonio, then as

the summertime Cinema Italia and then as Cinema Paradiso (but perhaps I have missed

something out).

In all events, summertime cinema in the courtyard of the Grandonio, with an ice cream in

your hand, was a real treat. Of the three or four open-air projection venues in existence, the

Grandonio was certainly the most welcoming and the most frequented.

Naturally, its heyday was in the first years of its existence, with all those legendary American

films that are still worth seeing, new to us at the time, but already a few years old: Gary Cooper,

Rita Hayworth, Alan Ladd, Humphrey Bogart, Lauren Bacall, John Wayne, Glenn Ford,

Spencer Tracy, Bette Davis, Katharine Hepburn and even Esther Williams wearing the chaste

costumes of an Olympic swimmer.

The cinema was open until about twenty years ago, at least as far as I remember, thus covering

several decades, but also undergoing a slightly melancholic decadence as fewer and

fewer people went there, once other forms of entertainment and other uses for the cinema

established themselves.

With its wealth of spaces and central location, the Grandonio courtyard was also at the centre

of some particularly significant moments in the city’s history, representing a time of great

passions and strong ideals.

One memorable event, for example, was a meeting with Raoul Follereau, the great champion

of lepers. Enhanced by crystal clear French, he drove home to all present his message of his

own and his wife’s adventures in total human and Christian dedication to one particularly

marginalised category, namely lepers, or as we prefer to say nowadays, using a term that is less

abrasive, sufferers of Hansen’s disease.

Also memorable was the meeting with Abbé Pierre, founder of the Emmaus Community,

who offered a humble yet powerful testimony of what it means to become poor among the

poor.

I do not recall in which precise years these events took place, but I believe it was in the early

1960s.

18 19



guerra, non si può prescindere dalla figura di un sacerdote, il canonico Mario Lapini, per

quasi tutti “Don Mario”, protagonista di una vicenda del tutto singolare nel panorama della

Chiesa locale e il cui ricordo è ancora vivo in tanti pistoiesi, purché abbastanza attempati.

Quando l’ho conosciuto, dopo la fine della guerra, dirigeva il Ricreatorio del Tempio in Piazza

dei Servi, e continuò a guidarlo per alcuni anni, nei quali si può dire che il Ricreatorio

abbia accolto tutti i ragazzi ed i giovani della città.

Originario di Lucciano, Don Mario aveva mente sveglia, risposta pronta e arguta, sempre con

l’abito talare tradizionale, la zimarra nera a trentatré bottoni, salvo quando partecipava, come

assistente spirituale, ai campi scout, nel qual caso indossava, come tutti, l’uniforme.

Don Mario era dotato di una naturale simpatia che facilitava l’approccio con i ragazzi; non

uomo di molte letture, leggeva tutti i giorni, in modo visibile ma non esibito, il breviario; sul

piano educativo richiamava l’attenzione sui problemi essenziali, quelli che a quell’età ed a

quei tempi erano considerati tali. Nella seconda adolescenza, i giovani non si allontanavano

dal Tempio, ma raccontavano meno a Don Mario i loro pensieri.

Era anche un avversario temibile in tutti i giochi: ping pong, biliardo, calcio balilla, quelli che

ora ricordo.

Nel campo privo di erba sul retro ci si sfogava a tirare calci al pallone, spesso con alcuni seminaristi

che, a tonaca alzata, giocavano con noi e qualcuno di loro (uno di questi era Ferrero

Battani) tirava delle gran “necche”, per dirla alla pistoiese.

A fianco del campo di calcio si trovava un cinema (ora Cinema Roma) dove la domenica, dopo

la Messa, venivano proiettati film, solitamente western o comici.

Insomma, la normale, ma vivace e intensa, attività di un ricreatorio cattolico negli anni quaranta

e nei primi anni cinquanta.

Governava allora la diocesi il Vescovo Giuseppe Debernardi: con l’avvento del successore,

Mario Longo Dorni, le cose cambiarono: Don Mario Lapini venne nominato canonico

della Cattedrale e gli venne tolto il Ricreatorio del Tempio, affidato al giovanissimo (allora)

don Renato Gargini, altra bella figura di sacerdote e di educatore, anch’egli scomparso.

Qualcuno disse che si trattò di un caso classico di “promoveatur ut amoveatur”.

Per Don Mario fu comunque una vera mazzata.

Peraltro, come per il pifferaio di Hamelin, ma con ben diversa sorte, i ragazzi andavano comunque

dietro a lui che, per qualche tempo, dismesso l’impegno nello scoutismo, li riuniva

nel Cinema Verdi la domenica mattina dopo averli tenuti alla Messa in varie sedi; l’ultima mi

pare sia stata la Chiesetta romanica di San Michele in Cioncio, in via De’ Rossi; nella stessa

poteva intrattenere i ragazzi con la proiezione di film su pellicole Super8, attività che negli

ultimi tempi trasferì nel saloncino del Palazzo De’ Rossi.

Fu in questo contesto che, un bel giorno, in città, si seppe con sorpresa che il canonico Mario

Lapini aveva acquistato il Palazzo del Grandonio; e lì egli trascorse gli ultimi decenni della

sua lunga vita, agevolato anche dal fatto che la sua abitazione privata confinava con un lato

della terrazza, attigua al palazzo medesimo, di cui si è prima narrato.

Non ho mai saputo con esattezza come Don Mario abbia acquistato il Palazzo De’ Rossi: ricordo

solo che in un pomeriggio di alcuni decenni orsono lo accompagnai con la mia auto presso una

Cassa Rurale che non dico, dove lo vidi firmare, con flemma olimpica e con la sua elegante calligrafia,

una quantità impressionante di cambiali a fronte di un finanziamento destinato allo scopo.

L’acquisto del Palazzo De’ Rossi fu l’evento che consentì a Don Mario un cambio di passo nella

sua attività e al palazzo di vivere una vita diversa da quella precedente. Una volta acquistato

il Grandonio, Don Mario ne fece infatti il centro della sua altra grande passione, la musica

classica. E fu l’inizio di un’altra storia.

Don Mario era anche un eccellente pianista, un dilettante di grande talento: chi scrive lo ha

ascoltato molte volte eseguire anche “all’impronta” spartiti anche di rilevante difficoltà della

letteratura pianistica classica, Chopin e Beethoven in particolare, ma non solo.

Il Palazzo De’ Rossi comprende, al primo piano, un saloncino, un tempo dedicato al ballo,

I realise that thus far I have said a lot about the courtyard and very little about the Palazzo

itself. The fact is that, until the events I have recalled, I knew very little about the Palazzo.

In this somewhat impressionistic reconstruction of the life of the Palazzo during the post

Second World War years, I cannot fail to mention one man in particular, a priest. Canon

Mario Lapini, “Don Mario” to almost everyone, was the protagonist of a most singular event

within the local Church, the memory of which is still alive in many Pistoiese of a certain age.

When I met him, after the end of the war, he was directing the Ricreatorio del Tempio in

Piazza dei Servi. He continued to run it for a number of years, during which the Ricreatorio

welcomed all the youngsters in the city.

Originally from Lucciano, Don Mario had a keen mind and sharp and ready reflexes and always

wore the traditional black, thirty-three-buttoned cassock, except at Scout camp where

he was a spiritual assistant and wore a uniform like everyone else.

Don Mario was blessed with a natural charm that facilitated his dealings with young people.

He was not widely read, but he did study the breviary every day, visibly though not in an exhibitionist

manner. He drew attention to certain issues in the education of youngsters, which,

at that age and at that time, were considered essential. As they got older, young people did

not leave the Tempio, but they did discuss their thoughts less with Don Mario.

He was also a much-feared opponent in all games: table tennis, billiards, football and table

football are just the ones that I remember now.

In the grassless field at the rear, young men would let of steam by kicking a football around,

often with some of the seminarists. They played with tunics raised and some of them (including

Ferrero Battani) were great kickers.

Next to the football pitch was a cinema (now Cinema Roma) where pictures, usually westerns

and comedies, were shown on Sundays after mass.

So, that was the normal, but lively and intense life of a Catholic recreation centre in the

1940s and early 50s.

At that time, Bishop Giuseppe Debernardi was head of the diocese But with the arrival of his

successor, Mario Longo Dorni, things changed. Don Mario Lapini was moved to the Cathedral

and the Ricreatorio del Tempio was taken away from him and entrusted to a very young

Don Renato Gargini, another fine priest and youth worker, who has also left us.

Some said it was a classic case of “promoveatur ut amoveatur”.

It was a huge blow for Don Mario.

However, as with the pied piper of Hamlin, but with a much different fate, young people

followed him wherever he went. For a time, after leaving behind his scout duties, he gathered

them at Cinema Verdi on Sunday mornings, after holding mass in several places. I believe the

last was the little Romanesque church of San Michele in Cioncio, in Via De’ Rossi. Here he

could entertain the youngsters with a film in Super8 format, an activity which he later transferred

to the small hall in Palazzo De’ Rossi.

It was in this context that, one fine day, news spread about town, to great surprise, that

Canon Mario Lapini had purchased Palazzo del Grandonio. He would spend the last decades

of his long life there, a situation made easier by the fact that his private home adjoined the

Palazzo’s courtyard, which I talked of earlier.

I never found out precisely how Don Mario came to buy Palazzo De’ Rossi. I only remember

driving him a few decades ago to a rural savings bank, whose name I will not reveal, where I

saw him sign with such composure and in his elegant hand an impressive number of promissory

notes in exchange for a loan granted for that purpose.

The purchase of Palazzo De’ Rossi was the event that enabled a change of pace in Don

Mario’s work; and it gave the Palazzo a life that was different from the previous one. Once

he had bought the Grandonio, Don Mario made it the centre of his great passion, classical

music. And that was the beginning of another tale.

Don Mario was also an excellent, very talented amateur pianist. Many times I heard him play

20 21



non molto ampio, ma che ha la grande qualità di possedere una resa acustica da tutti ritenuta

perfetta. Un ambiente ideale per fare musica da camera o per strumenti solisti.

Con un coraggio che rasentava l’incoscienza Don Mario, pressoché interamente da solo, salvo

l’aiuto di alcuni membri dell’Associazione Amici della Musica, iniziò quindi, oltre cinquanta

anni orsono, un’avventura che continua tuttora, siamo infatti alla 56° stagione, sulla scia di

un successo che fin dall’inizio premiò l’iniziativa per la serietà delle scelte di programmi e di

esecutori, taluna delle quali anticipatrici di luminose carriere.

Non è eccessivo dire che i cartelloni delle varie stagioni, per programmi ed esecutori, avrebbero

potuto ben figurare nelle più rinomate piazze musicali italiane ed europee.

Il saloncino divenne così un luogo di celebrazione della grande musica da camera attraverso

le stagioni concertistiche che Don Mario riuscì ad organizzare, facendo venire a Pistoia esecutori

e complessi già famosi o, dando prova di raro intuito, che famosi lo sarebbero diventati

di lì a poco, come il Quartetto di Tokyo, il Quartetto Italiano, e via elencando. Un’attività

intensa e di qualità che ha fatto di Pistoia, nel campo della musica da camera, un punto di

riferimento importante a livello nazionale.

Alla fine, come è legge inesorabile della vita, anche Don Mario, col passare degli anni, sentì

che non poteva sostenere uno sforzo tanto gravoso.

Cominciò così ad immaginare in che modo avrebbe potuto far vivere la propria creatura anche

senza di lui e anche dopo la sua scomparsa.

Alla fine decise che la cosa migliore fosse donare l’ingombrante Palazzo De’ Rossi, liberandosi

così delle forti spese comunque collegate alla mera proprietà, senza dire di quelle richieste

da una pur minima manutenzione, spese divenute per lui insostenibili. Naturalmente

pensava ad una donazione modale, cioè onerosa, comportante l’obbligo, per il donatario, di

proseguire nello svolgimento dei concerti di Musica da Camera; con l’aggiunta che la donazione

avrebbe avuto efficacia solo dopo la sua scomparsa, in quanto egli avrebbe continuato

fino ad allora a gestire il palazzo e ad usarne le rendite, essenzialmente canoni di locazione.

Il problema era quello di individuare un soggetto donatario in grado di accettare e rispettare

tali condizioni.

Il primo tentativo fu fatto nei confronti della Cassa di Risparmio di Pistoia e Pescia, allora

presieduta da Angiolo Bianchi; ma il Consiglio di Amministrazione ritenne di non aderire.

All’epoca Don Mario, nato nel 1912, era intorno alla settantina.

La proposta venne rinnovata a chi scrive dopo che, nel 1987, era divenuto a sua volta Presidente

della Cassa di Risparmio locale.

La risposta mia e del Consiglio di Amministrazione non poté che essere, ancora una volta, negativa:

la banca non poteva ricevere donazioni modali, cioè onerose, per svolgere un’attività

non direttamente riferibile all’attività bancaria.

Nel 1992 venne istituito, per effetto delle leggi di ristrutturazione note come riforma Amato,

l’Ente Cassa di Risparmio di Pistoia e Pescia, divenuto poi l’attuale ed omonima Fondazione.

L’Ente, che fra le sue finalità aveva anche la promozione delle attività culturali del territorio,

si dichiarò disponibile ad accettare a proprio nome la proposta di donazione di Don Mario,

che fu perfezionata con l’atto di accettazione sottoscritto dell’Ente il 9 dicembre 1993, dopo

che lo stesso ebbe ottenuto le necessarie autorizzazioni.

Don Mario poteva così attendere la fine della sua esistenza operosa, che avvenne nel 2002, a 90 anni.

Quando, alla scomparsa del Canonico Lapini, la Fondazione ne entrò in possesso, il Palazzo

si presentava in uno stato di manutenzione assai precario, sia in senso generale, per l’evidente

mancanza di interventi dedicati allo scopo, sia per il mancato adeguamento alle normative di

sicurezza via via emanate.

La donazione sembrava avere in sé tutte le caratteristiche di una “polpetta avvelenata”, non

tanto per gli oneri di finanziamento delle stagioni di Musica da Camera, alle quali la Fondazione

avrebbe dovuto comunque in qualche misura contribuire, ma per la mole di problemi,

“extempore” scores from classical piano repertoire of even considerable difficulty, such as

Chopin and Beethoven, but others, too.

On the first floor of Palazzo De’ Rossi is a small hall, once used for balls. It is not very large, but

has acoustics considered perfect by all. The ideal venue for chamber music or solo instruments.

With courage bordering on foolhardiness, over fifty years ago, Don Mario started an adventure,

almost entirely on his own, save for the help of a few members of the association of

Friends of Music, which continues to this day. Indeed, we are currently in the 56th season.

The initiative garnered success from its very beginnings, thanks to the seriousness displayed

in the choice of programme and players, whose performance at that venue was, in some cases,

the prelude to illustrious careers.

It is not excessive to say that each season’s bill of programmes and musicians could well have

appeared in the most famed music venues in Italy and Europe.

Thus, the hall became a place for celebrating fine chamber music, thanks to the concert seasons

that Don Mario organised, by inviting to Pistoia musicians and groups who were already

famous and, demonstrating rare intuition, some who would soon be famous like the Tokyo

String Quartet, the Quartetto Italiano and so on. An intense activity of outstanding quality,

which made Pistoia an important reference for chamber music in Italy.

As the years went on and as the inexorable law of life dictates, even Don Mario felt he could

no longer sustain such an important effort.

Thus, he began to consider how his beloved building could exist without him and after his

death.

In the end, he decided the best course would be to donate the discommodious Palazzo De’

Rossi, thus, releasing himself from the burden of expense that came with its ownership, not

to mention the outlay required for even the barest minimum maintenance, which had become

unsustainable for him. Naturally, he thought of a modal legacy, in which the recipient

would be obliged to continue organising the chamber music concerts. In the meantime, he

would continue to run the Palazzo until his death, receiving the revenues it bore, consisting

mainly of rentals.

The problem he had was finding a recipient that would be able to accept and comply with

these conditions.

The first attempt was made with the Cassa di Risparmio di Pistoia e Pescia, whose chairman

at the time was Angiolo Bianchi. However, the board of directors decided not to accept the

proposal. At the time, Don Mario, who was born in 1912, was around seventy years old.

The offer was made again to me in 1987, when I became the Chairman of the local savings

bank.

My answer and that of the board of directors was once again negative. The bank was not

allowed to receive modal donations involving conditional activities that were not directly

related to its business.

In 1992, as a result of the Amato Reform laws, Ente Cassa di Risparmio di Pistoia e Pescia

was established and would later become a “Fondazione”.

The object of the Ente included the promotion of local cultural activities. It immediately declared

its willingness to accept Don Mario’s proposed donation, which was completed with a

deed of acceptance, signed by the Ente on 9 December 1993, after receiving all the necessary

authorisations.

Don Mario could now live out the rest of his active existence until his death, which came in

2002 at the age of ninety.

After Canon Lapini’s death, the Fondazione took possession of the Palazzo. It was in a somewhat

precarious state of repair, both generally speaking and because, over the years, it had

not been brought up to the latest safety standards.

The donation showed all the signs of being something of a “poisoned chalice”, not so much be-

22 23



e di spese, richiesti dalla liberazione e dal restauro del Palazzo, per la sua ipotizzata destinazione

a sede della Fondazione.

Tanto per dare il senso di ciò che vogliamo dire, il palazzo aveva tre diversi impianti di riscaldamento

e, tranne il primo piano, era occupato da quattro diversi soggetti con contratti di

locazione a canoni modesti ed a scadenze piuttosto lunghe.

Il palazzo ospitava infatti un negozio di biancheria, la redazione locale di un quotidiano, un

importante circolo aziendale ed una rinomata scuola di danza.

Per ottenere il palazzo libero ed interamente disponibile, con rilascio dei locali anche anticipato

rispetto alla scadenza dei contratti, occorsero circa sei anni e non irrilevanti esborsi.

Nella Fondazione, una volta in possesso del Palazzo, prese comunque definitivamente corpo

l’idea di farne la propria residenza e la sede legale ed operativa.

Dopo lunga riflessione, si decise quindi per il restauro: un restauro integrale, dalle fondamenta

al tetto, conservativo nel significato più rigoroso del termine, completo, nel senso che

doveva comprendere ogni aspetto, come ad esempio le decorazioni, gli affreschi, gli infissi ed

ogni altro particolare. Un restauro minuzioso e, naturalmente, costoso.

Non è stata una decisione facile, anche perché implicava la demolizione dell’intervento parziale

compiuto al primo piano nel 2003 3 .

Il Palazzo doveva essere restaurato come era, con i suoi pregi estetici e con i suoi limiti funzionali,

che peraltro testimoniano anche di una civiltà dell’abitare praticata in anni lontani da

parte delle famiglie patrizie o benestanti pistoiesi.

Per servire alle sue nuove finalità il Palazzo doveva non solo essere restaurato in ogni sua

parte, ma anche dotato di impianti tecnologici efficienti, in linea con le normative vigenti e

in modo da rispettare le prescrizioni di sicurezza previste.

Queste ultime ci hanno portato alla decisione più dolorosa e cioè il taglio di una parte

della sala antistante il saloncino per ricavarvi una nuova scala come uscita di sicurezza.

Quello del restauro fu un periodo di decisioni molto importanti che dovemmo prendere,

supportati dai tecnici di fiducia, alcune delle quali veramente difficili: il pavimento, la sistemazione

della terrazza, la destinazione e sistemazione a museo delle sale al piano terra, il

saloncino della musica, gli arredi degli uffici e dei vari ambienti, e decine di altri problemi, fin

quasi al completamento dei lavori.

Con l’intervento di restauro il palazzo è stato restituito a una nuova bellezza, a nuove funzioni,

a una nuova vita, ma conserva ancora i suoi volumi ridondanti, i suoi scaloni maestosi

e comodamente percorribili, i suoi soffitti decorati, le sue stanze tutte di passo, in una distribuzione

degli spazi che è stata rigorosamente mantenuta e che quindi, nel mentre aumenta il

decoro e l’estetica degli ambienti, ne riduce sensibilmente la funzionalità ai fini delle esigenze

operative. Anche questo è un prezzo che siamo chiamati a pagare, ma che paghiamo volentieri

perché tutti coloro che vengono nella residenza della Fondazione non possono resistere ad

un senso di ammirazione per la bellezza del palazzo e gli esiti del restauro.

Si è trattato, come si è detto, di un’operazione di restauro architettonico integrale, lunga, difficile,

complessa e molto onerosa; che una volta conclusa, richiede necessariamente di essere in

qualche modo raccontata, illustrata e giustificata, con una pubblicazione che raccolga il contributo

dei vari protagonisti che hanno partecipato all’impresa e di qualificati esperti che possono

meglio spiegare e svelare alcuni aspetti del palazzo di cui si tratta. Ma di ciò diremo più avanti.

L’impresa non solo si annunciava impegnativa sotto ogni aspetto: essa richiedeva anche un nuovo

spostamento degli uffici per poter consegnare al gruppo di imprese che vi hanno lavorato il

palazzo libero e vuoto, cioè nelle condizioni migliori per l’esecuzione degli interventi necessari.

Tutti gli uffici, mobili, macchine, collegamenti informatici, vennero trasferiti, in un fine settimana

di lavoro veramente straordinario, nell’attigua palazzina, già abitazione di Don Mario

Lapini, che la Fondazione aveva acquistato dagli eredi qualche anno prima.

Ricordo che lasciai la mia stanza di presidente nel Palazzo De’ Rossi il venerdì ed il lunedì

cause of the expense of the Chamber Music seasons, to which the Fondazione would in some

way have to contribute, but on account of the extensive problems and expenditure involved

in releasing the Palazzo and refurbishing it to become the headquarters of the Fondazione.

For a sense of what I am referring to, the Palazzo had three different heating systems and was

occupied, except on the first floor, by four different tenants with rather modest, long-term

rental agreements.

The Palazzo was home to a textile shop, the local offices of a daily newspaper, an important

company club and a renowned dance school.

It took about six years and some considerable expense to release the building from the rental

agreements.

Once we had received the keys to the Palazzo, the Fondazione took the decision to make the

building its place of residence and its legal and operational headquarters.

After long reflection, we agreed that the building should be refurbished. This would be a

complete restoration from the foundations to the roof; it was to be conservative in the most

rigorous sense of the term and complete, in that all features should be included, such as the

decorations, the frescoes, the fixtures and other details. A thorough and, of course, a very

expensive renovation.

It was not an easy decision to make, especially since it would mean demolishing the work

partially completed on the first floor in 2003. 3

The palace had to be restored as it was, with its aesthetic qualities and functional limitations,

surviving evidence of a way of life led in bygone times by patrician or wealthy Pistoiese families.

To serve its new purpose, the Palazzo not only had to be thoroughly refurbished, but it would

also have to be fitted out with efficient technological systems conforming to legal requirements

and safety standards.

This led to the most painful decision, namely to get rid of part of the room in front of the

small hall to build a new staircase as an emergency exit.

The restoration was a time of important decisions made with the support of trusted technical

experts. Some of those decisions were especially difficult: the flooring, the refurbishment

of the courtyard, the allocation and conversion of the ground floor rooms into museum spaces,

the music hall, the furniture in the offices and various other rooms, and dozens of other

problems, almost right up to the completion of the works.

The refurbishment bestowed a new beauty on the Palazzo, along with new functions and a

lease of new life. But it still retains its excessive volumes, its majestic and easy-to-climb staircases,

its decorated ceilings, its sweeping rooms; the distribution of its spaces was rigorously

maintained, meaning that the more decorations and aesthetic trappings on display, the less

functional the building became. This, too, is a price that we are called on to pay; but it is

one we pay willingly because all those who come to the Fondazione’s headquarters are struck

with admiration for the beauty of the Palazzo and the way it has been refurbished.

As I have already said, it was a full, long, difficult, complex and very expensive architectural

intervention. Once completed, it needs to be discussed, illustrated and justified, with a publication

that brings together the contributions of the various people who took part in the

task and the experts best qualified to explain and reveal certain aspects of the building. But

I will say more about that later.

Not only did the task itself promise to be challenging in every respect, it also meant relocating

to new offices so that the Palazzo could be empty and in the best possible condition for

the contractors to work on it.

Over the course of a weekend, all the offices, furniture, machines and computer connections

were moved to the adjoining building, once home to Don Mario Lapini and which the Fondazione

had bought from his heirs a few years earlier.

I remember that I left my chairman’s office in Palazzo De’ Rossi on the Friday and by the follow-

24 25



successivo entrai nella stanza a me riservata nella palazzina Lapini; e l’orgogliosa soddisfazione,

da me pienamente condivisa, del direttore Umberto Guiducci massimo artefice dell’organizzazione

del trasloco e quella di tutti i collaboratori.

La macchina non aveva perso il minimo colpo.

Di nuovo al lavoro in una sede provvisoria nella quale la Fondazione ha operato per oltre tre

anni, dal giugno 2009 al settembre 2012.

Il ritorno nella sede definitiva, il Palazzo De’ Rossi restaurato, fu un altro bell’esempio di

efficienza organizzativa.

Stesso lavoro dal venerdì al lunedì, stessa soddisfazione felice sul volto del Direttore e dei collaboratori;

anzi ancora maggiore perché questa volta si tornava in ambienti più belli, dotati di

arredi funzionali e di impianti efficienti.

Lasciatemi dire a questo punto che la Fondazione ha un team di dipendenti e collaboratori

che ogni amministratore vorrebbe avere: a loro va tutto il mio apprezzamento ed il mio grato

e affettuoso ricordo.

Bisognava essere pronti ai primi di settembre perché l’inaugurazione era ormai fissata da tempo

per il 12 dello stesso mese. Per quel giorno avevamo bloccato l’agenda del Presidente dell’A-

CRI (Associazione che riunisce le Fondazioni bancarie italiane), avv. Giuseppe Guzzetti, Presidente

anche di Fondazione Cariplo, la più importante fra le fondazioni di origine bancaria.

Finalmente l’inaugurazione ufficiale ebbe luogo, con presenze numerose e significative, anche se

inevitabilmente selezionate in ragione del ruolo svolto nelle istituzioni e nel territorio; essa consegnava

il palazzo alla sua funzione definitiva, lo consacrava come uno dei palazzi più belli e importanti

della città, centro di attività, di impulso e di intervento al servizio dell’intera area di riferimento.

Il giorno dopo, nel corso dell’ “open day” riservato a tutti i cittadini, il Palazzo è stato aperto

per l’intera giornata e chi era presente non può dimenticare il grande afflusso di folla incuriosita,

le espressioni di stupore, da parte di tutti, per la bellezza del Palazzo, la gioia e l’emozione

che talora inumidiva gli occhi di coloro che in quelle stanze avevano passato parte della

loro giovinezza e magari anche dell’età adulta.

C’era un’aria di familiarità, quasi di intimità ritrovata, di esperienza rivissuta, salendo le scale,

entrando nelle stanze e nei vari ambienti, fino all’altana che con vetrate su tre lati, sovrasta i

tetti di Pistoia offrendone una vista incomparabile.

Quasi tutti gli intervenuti sembravano colti da un misto di sorpresa, per la restituzione del

palazzo ad una bellezza che aveva perduto nel tempo e forse mai conosciuta appieno, di ammirazione,

di memoria; un amarcord un po’ malinconico dei giorni e delle ore passate, per un

corso non breve di anni, nelle stanze del palazzo, soprattutto quelle al primo piano, occupate

dalle varie attività che vi venivano svolte sotto l’impulso del canonico Mario Lapini, sulla cui

opera ci siamo a lungo soffermati.

Quello che Palazzo De’ Rossi rappresenta per molti cittadini pistoiesi, lo si è potuto vedere

molto bene in questa occasione ed in ogni altra che ha visto l’apertura del palazzo stesso,

durante le giornate dedicate al pubblico.

A questo Palazzo, sede legale e operativa della Fondazione Cassa di Risparmio di Pistoia e

Pescia, ed al suo completo restauro, è dedicata la presente pubblicazione.

Possiamo dire che realizzare questo volume era nient’altro che un atto dovuto: alla Fondazione,

alla città, al palazzo stesso ed alla memoria del canonico Mario Lapini.

Data l’intensità e la completezza dell’intervento di restauro, l’occasione è unica per raccontare

in modo compiuto il Palazzo, la sua storia, i suoi affreschi, le sue caratteristiche costruttive,

i criteri culturali che hanno ispirato il restauro.

Quanto il restauro sia stato complesso e quanti siano stati i problemi da risolvere, risulta con

evidenza dai contributi di coloro che espressamente ne scrivono.

La storia del Palazzo fin dalle sue origini e la narrazione delle sue vicende, nonché l’esposizione

ed il commento delle parti dipinte, affrescate o decorate, è raccontata da Lucia Gai

ing Monday I was in the room that was reserved for me in the Lapini building. And I remember

the proud satisfaction, which I fully shared, of all members of staff, but particularly of the manager

Umberto Guiducci, who had been the driving force behind the organisation of the relocation.

All the while, the machine continued to running smoothly.

Once again, we were working from the same temporary premises the Fondazione had been

in from June 2009 to September 2012.

Our final return to the renovated Palazzo De’ Rossi was another fine example of efficient

organisation.

It involved the same Friday night to Monday morning operation and the same look of delight

on the faces of the Manager and the members of staff. Only, this time, the satisfaction was

even more keenly felt, since we were returning to much more appealing surroundings, now

equipped with functional furnishings and efficient installations.

Let me to tell you that the Fondazione has a team of employees that every director would

love to have. To them I owe my deepest appreciation and my grateful and heartfelt praise.

We had to be ready by early September, because the official opening had long been set for

the twelfth of that month. For the occasion, we had requested the participation of Giuseppe

Guzzetti, chairman of ACRI – the association of Italian bank foundations – and chairman of

Fondazione Cariplo, the most important bank foundation in the country.

The official opening finally took place in the presence of numerous important guests, inevitably

selected according to their roles in local public and private institutions. The event

marked the passage of the building to its final function. Palazzo De’ Rossi was celebrated as

one of the finest and most important buildings in the city, a hub of activity, inspiration and

service to the entire community.

At the open day the next day, the Palazzo was open to the public. No one present could forget

the streams of curious visitors, all with looks of wonder on their faces at the beauty of

the Palazzo, many with tears of joy in their eyes at the memory of the times they had spent

in those rooms during their youth and, for some, their adult lives.

There was an air of familiarity, a rediscovered intimacy, an experience relived, as they climbed

the stairs, entered the rooms, up to the roof terrace with its glass windows on three sides,

overlooking the rooftops of Pistoia and offering a view of the city beyond compare.

Nearly all visitors were taken aback by the beauty of this Palazzo which, until now, had been

lost to time and perhaps never fully known. Admiring onlookers with a bittersweet nostalgia

for the days and hours spent in the rooms of the building, sometimes over the course of several

of years, especially on the first floor, where Canon Mario Lapini conducted the activities

that I have already described at length.

The meaning that Palazzo De’ Rossi holds for many residents of Pistoia could be seen

quite clearly on that occasion and every other time the building has been open to the

public.

This publication is dedicated to Palazzo De’ Rossi, legal and operational headquarters of

Fondazione Cassa di Risparmio di Pistoia e Pescia, and its complete restoration.

The work gone into its realisation has been nothing less than an act of devotion: to the Foundation,

the city, the Palazzo itself and to the memory of Canon Mario Lapini.

Given the intensity and the thoroughness of the restoration project, this is a unique opportunity

to share a commentary on the Palazzo, its history, its frescoes, its construction and the

cultural criteria that informed the restoration.

The complexity of the project and the many problems involved are presented in the essays

by those who addressed them.

The origins and historical events that have touched the Palazzo, as well as an exposition and

commentary of the areas of the building that are painted, frescoed or decorated are presented

by Lucia Gai. Such is the rigour and precision of her work that I might venture to describe

it as definitive, if I did not know that nothing in this world can be said to be so and that, even

26 27



che ha svolto un lavoro accuratissimo e rigoroso, che potremmo anche azzardarci a ritenere

definitivo se non sapessimo che niente al mondo può dirsi tale e che la nostra parola, anche

nelle attività umane, è sempre penultima.

Il volume è anche impreziosito da un cospicuo apparato fotografico in massima parte realizzato,

con la maestria che gli è propria, dal noto fotografo pistoiese Aurelio Amendola.

Con la sua attrezzatura, per me misteriosa, ma che nelle sue mani diventa magica, ha passato

giornate intere dentro il palazzo per coglierne le suggestioni più intense, i particolari più

evocativi, le angolature e le prospettive più illuminanti ed efficaci.

Ma, date le finalità scientifiche del volume, è da sottolineare anche la rilevante mole di altre

fotografie, come strumento di documentazione rigorosa a supporto dei vari contributi, tra

cui quello di Lucia Gai.

So bene, avendone fatto esperienza diretta in passato, quanto sia faticoso, una volta compiuta

l’impresa, coordinare, stimolare, raccogliere i contributi scritti dalle varie persone che a vario titolo

hanno qualcosa da dire in ordine all’opera realizzata; è stata una fatica alla quale, come altre

volte, si è accinto con lo scrupolo e la dedizione che gli sono consueti, il consigliere professor Roberto

Cadonici, al quale va anche il merito di aver direttamente e personalmente curato l’allestimento

delle sale espositive al piano terra del Palazzo. A lui va il mio personale ringraziamento per

essere riuscito a condurre in porto l’imbarcazione dopo una navigazione tutt’altro che semplice.

NOTE

1. Fa parte della strada, per me, anche la fontana d’angolo,

che allora “buttava” in continuazione un’acqua freschissima,

che d’estate appannava i vetri dei fiaschi e delle bottiglie,

seconda solo a quella di Via dello Specchio, ormai divenuta

un oggetto misterioso e, credo, non più accessibile.

2. I balli della “Pistoia bene” si svolgevano all’interno di altri

palazzi cittadini, soprattutto “le Stanze”, come veniva

un tempo chiamato il palazzo già sede dell’Accademia degli

Armonici in via Curtatone e Montanara, dove, ancora almeno

fino a tutti gli anni cinquanta, si celebrava il ballo delle

debuttanti, cioè la festa del cosiddetto “ingresso in società”

delle giovani diciottenni di buona famiglia.

3. Dal 1992 al 2003, la Fondazione era stata ospitata nelle

soffitte della sede della Cassa di Risparmio in Via Roma;

nel 2003 venne trasferita al primo piano del Palazzo De’

Rossi, sistemando per tale scopo, con interventi limitati,

esclusivamente il primo piano. Nel 2009 venne spostata ulteriormente

nell’attigua casa Lapini, acquistata dagli eredi

di Don Mario nel 2004, fino al 2012, anno di destinazione a

sede dell’intero Palazzo nel frattempo restaurato.

Alla fine della storia un Palazzo, che era stato smembrato nelle funzioni e nelle destinazioni,

una sorta di abito di Arlecchino con toppe di differente pregio, è stato ricondotto, con il restauro,

ad una funzione unitaria, quella di sede della Fondazione, e reso fruibile da tutti i cittadini.

Penso di poter dire, concludendo, che ne è valsa la pena.

in human activities, our word is never the last one.

The book is also enriched with a considerable array of photographs, mostly from the talented

eye of renowned Pistoiese photographer Aurelio Amendola.

With his equipment, which seems mysterious to me, but which in his hands becomes magical,

he spent many a day inside the Palazzo, capturing the intensity of its splendour, its most

eloquent details, its most illuminating and persuasive angles and perspectives.

But given the scientific aims of the volume, I should also draw attention to the great many

other photographs rigorously documenting the essays, including the piece by Lucia Gai.

I am very much aware, having done so myself in the past, how laborious it can be, once the

task has been completed, to coordinate, stimulate and collect the pieces written by the people

who, for different reasons, have something to say about the achieved task. To him I owe

my personal thanks for successfully landing the plane after a far from smooth flight.

At the end of the tale, we are left with a Palazzo once stripped of its functions and purpose, a

patchwork of interventions of varying quality, but now restored to a cohesive function as the

headquarters of the Fondazione and to be enjoyed by the general public.

In conclusion, I think I can say that the endeavour has been worthwhile.

NOTES

1 For me, even the fountain at the corner is part of the

street. Back then, it continuously poured out the coolest

of water, which fogged up glass jugs and bottles in summer.

It is second only to the fountain in Via dello Specchio, now

an object of mystery and, to my knowledge, no longer accessible.

2 The dances of Pistoia “society” took place inside other

palazzi in the town, in particular the “Rooms”, as the former

headquarters of the Accademia degli Armonici in Via

Curtatone e Montanara was once called, where, at least until

the 1950s, the debutantes ball was hosted, marking the

“coming out” of young eighteen-year-olds of good family.

3 From 1992 to 2003, the Fondazione was housed in the attics

of the headquarters of the Cassa di Risparmio in Via

Roma. In 2003, it was moved to the first floor of Palazzo

De’ Rossi, for which limited work was carried out, only on

the first floor of the building. In 2009, it moved again to

the Lapini building next door, bought by Don Mario’s heirs

in 2004. It remained there until 2012, when it finally took

possession of the entire Palazzo which, in the meantime,

had been renovated.

28 29



UN PALAZZO NELLA CITTÀ

LA NOBILE DIMORA DEI ROSSI E LE SUE VICENDE

Lucia Gai

L’importanza di un mito

Costretta entro l’angusta prospettiva di una stretta via medioevale del centro di Pistoia,

la facciata del settecentesco palazzo de’ Rossi 1 , impossibile da cogliere frontalmente e

con un solo sguardo, pare un controsenso architettonico (figg. 1, 2).

Sicuramente, almeno secondo i criteri con cui si sceglieva l’ubicazione delle residenze patrizie

dal Quattrocento e per tutta l’età moderna, il palazzo non godeva di una posizione urbana

particolarmente felice, non si affacciava su una piazza, su una via spaziosa, neppure su

uno slargo che consentisse di apprezzarne, emergendo entro il fitto tessuto edilizio di una

città d’impianto medioevale come Pistoia, l’articolazione strutturale, volumetrica e decorativa

cui era affidato il compito di farsi metafora della fortuna e dell’importanza del casato.

La posizione entro la città era infatti segno, di per sé, della ‘posizione’ sociale, dell’influenza

e della ricchezza della famiglia. L’immagine, la percezione ottica stessa, nei secoli

del “vedutismo”, si traduceva nell’opinione pubblica locale in capacità di permanente

‘presenza’.

Per la verità, Pistoia non offriva molte possibilità, in questo senso. Come aveva a riferire

al granduca il commissario Giovan Battista Tedaldi nel 1570 2 , Pistoia non era città di

piazze, di monumenti e fontane; non comprendeva quegli spazi aperti, quell’“agio” – consueto

alla capitale di Toscana – che consentivano di fissare per sempre, nell’immaginario

collettivo e nei ricordi dei protagonisti del turismo d’arte, città come Venezia, Firenze,

Roma, Napoli e altre.

Tuttavia, fra Sei e Settecento, a Pistoia i palazzi patrizi, come quelli dei Fabroni, dei Mar-

A PALAZZO IN THE CITY

THE NOBLE RESIDENCE OF THE ROSSI FAMILY AND ITS HISTORY

Lucia Gai

1. Pistoia, prospettiva dal Canto dei Rossi verso Via dei Rossi.

The Importance of a Myth

Squeezed into the cramped confines of a narrow medieval street in the center of Pistoia,

the façade of the 18 th -century Palazzo de’ Rossi, 1 impossible to take in at a glance from

the front, seems to be an architectural absurdity (figs. 1, 2).

Certainly, at least according to the criteria by which the location of aristocratic residences

was chosen from the 15th century onward and throughout the modern era, the building was

not in a particularly happy position. It did not face onto a square, a broad street or any kind

of open space that would make it possible to appreciate, amidst the dense urban fabric of a

city with a medieval layout like Pistoia, the structural articulation, disposition of masses and

decoration that were supposed to be an expression of the family’s wealth and importance.

The position in the city was in fact a mark, in and of itself, of that family’s social “position,”

of its influence and affluence. The image, the actual visual perception of the building,

in the centuries of vedutismo, was translated in local public opinion into a capacity for

permanent “presence.”

To tell the truth, Pistoia did not offer many possibilities in this regard. As the

commissioner Giovan Battista Tedaldi had told the grand duke in 1570, 2 Pistoia was not

a city of squares, monuments and fountains; it did not have those open spaces, those

“gaps”—customary in the capital of Tuscany—which fixed cities like Venice, Florence,

Rome, Naples and others forever in the collective imagination and in the memories of

tourists drawn by the cultural treasures of Italy.

And yet, between the 17th and 18th century, the aristocratic residences of Pistoia, like

2. Prospettiva della facciata del palazzo.

30 31



3. Stemma dei Rossi, metà del sec. XVIII. Biblioteca

Comunale Forteguerriana, Sala Manoscrit ti, Libro del

Patriziato, tav. XLVI (Stemma con bande gialle); XLVII.

bana. Era quella presso la medioevale Porta Sant’Andrea, dove i Rossi possedevano nel secolo

XIII alcune case-torri, lungo la stretta via che conduceva all’interno del più antico nucleo

abitato cittadino, e anche tutto intorno al crocicchio. Il luogo era stato teatro di importanti

vicende storiche ed era legato anche a favolose memorie di un lontanissimo passato che si

ricongiungeva all’antichità romana e alle stesse origini di Pistoia 9 (fig. 5).

Le case dei Rossi che si affacciavano su quella via affondavano le loro fondamenta in un

sottosuolo in cui si trovavano imponenti, remoti resti di torrioni e fortificazioni, peraltro

rinvenuti e localizzati durante la costruzione del palazzo, insieme a diverse “anticaglie” 10 .

Quelle case avevano visto la nascita – si credeva – di Grandonio, leggendario e gigantesco

eroe della famiglia, vissuto al principio del XII secolo e ritenuto testimonianza positiva del

valore guerriero dei più antichi membri del casato e della sua importanza per l’intera città 11 .

Tanto da essere stato effigiato nel Palazzo Comunale, come particolare segno d’onore 12 (fig.

4). Suo ritratto comunemente si riteneva allora quella possente testa scolpita in serpentino,

dall’intensa, enigmatica espressione, che ancor oggi vediamo sul “Canto de’ Rossi” 13 .

In un’epoca in cui i quarti di nobiltà dipendevano dall’antichità e dal prestigio dei capostipiti,

quel luogo aveva per i membri della famiglia Rossi, come sede originaria del casato dove si

riteneva fosse nato Grandonio, attrattive tali da superare gli indubbi svantaggi che avrebbero

pesato sulla ‘visibilità’ della costruzione da realizzare, come si è osservato all’inizio. Che questo

fosse il leit-motiv che avrebbe connotato il nuovo palazzo lo rivela il comparire dell’immagine

di Grandonio in alcuni dei punti più significativi dell’edificio e dei suoi annessi.

Essa è presente, sotto forma di testa “all’eroica”, tra gli ornamenti pittorici eseguiti dall’artista

pistoiese Luigi Rafanelli nel salone d’onore, completato a cura del canonico primicerio

Tommaso dei Rossi fra il 1793 e il 1794 14 (fig. 8).

La statua in terracotta dipinta di Grandonio, a grandezza più che naturale, in veste di antico

guerriero romano, si erge tuttora solennemente entro la nicchia di un’esedra rivestita di “tufi”,

che era il principale ornamento del nuovo giardino, realizzato sul retro del palazzo nel 1802 15 .

chetti, dei Cancellieri, dei Brunozzi e degli Odaldi, dei Tonti e degli Ippoliti, degli Amati, dei

Rospigliosi, dei Sozzifanti e di altre famiglie della nobiltà locale 3 erano riusciti ad ottenere

posizioni adatte, sfruttando le più ampie vie urbane dei circuiti extramurali, gli slarghi all’incrocio

o alla confluenza di alcune strade, certe piazzette del centro.

Invece, l’affacciamento principale del palazzo de’ Rossi, sovrastato, dalla parte opposta

dell’omonima via, dall’alto fianco del buontalentiano, imponente edificio eretto nel Cinquecento

dalla Sapienza e poi passato ai Sozzifanti 4 , resta nascosto, quasi in ombra, per l’impossibilità

di distanziarsene, di offrire di sé un’immagine complessiva.

Dal punto di vista architettonico, questo implica che tale oggettivo limite al dispiegarsi del

potenziale espressivo che un’opportuna progettazione poteva offrire al palazzo dovette essere

messo nel conto, quando si trattò di scegliere dove dovesse sorgere la nuova costruzione,

destinata ad essere la più importante residenza cittadina dei Rossi nell’ultimo periodo

dell’età moderna.

La famiglia, composta da numerosi membri (fig. 3), disponeva in Pistoia di altri edifici, fra cui

poteva possedere i requisiti per una significativa trasformazione quell’ampio, decoroso palazzo

eretto accanto al monastero delle Benedettine di San Mercuriale 5 , vicino alla prestigiosa piazza

del Duomo, intorno alla quale si trovavano le sedi del potere pubblico, laico ed ecclesiastico 6 .

La costruzione fu venduta nel 1778 alle monache, desiderose di ampliare il loro monastero 7 . Ne

fu scorporato l’alto e imponente torrione medioevale dei Rossi, in angolo fra la “via delle Stinche”

(oggi via XXVII Aprile) e la via di San Salvatore (attuale via Tomba di Catilina), sorto nel

luogo in cui la storiografia antiquaria del Seicento pistoiese asseriva fossero stati sepolti, dopo

la rovinosa sconfitta, Catilina e i suoi seguaci, ribelli contro Roma. Intorno a questo mito erano

state allora costruite le origini di Pistoia; la cui derivazione dal “mal seme di Catilina” serviva a

spiegare le perverse inclinazioni alle guerre civili che avevano funestato la storia della città fra

Medioevo e prima metà del Cinquecento. In esse anche i Rossi erano stati coinvolti 8 .

Ma fu preferita, come ubicazione per il nuovo palazzo da costruire, una diversa situazione urthose

of the Fabroni, Marchetti, Cancellieri, Brunozzi and Odaldi, Tonti and Ippoliti, Amati,

Rospigliosi, Sozzifanti and other families of the local nobility, 3 had succeeded in obtaining

suitable positions, exploiting the broader streets of the area outside the city walls, widenings

at the junction or meeting of some roads and certain small squares in the center.

But the main front of Palazzo de’ Rossi, overtopped, on the opposite side of the street of the

same name, by the tall side of Palazzo Buontalenti, an imposing building erected in the 16th

century by the Sapienza family and then acquired by the Sozzifanti, 4 remains hidden, almost

eclipsed, owing to the impossibility of moving back from it, of getting an overall view.

From the architectural perspective, this implies that such an objective limit to deployment of

the expressive potential that a suitable design could have offered the building must have been

taken into account when a choice was made of the site for the new construction, destined to

be the most important residence of the Rossi family in the city in the most recent period of

the modern era.

The family, which had numerous members (fig. 3), owned other buildings in Pistoia, amongst

which the large and dignified palazzo standing next to the Benedictine convent of San Mercuriale, 5

close to the prestigious Piazza del Duomo, around which were located the seats of public, secular

and ecclesiastic power, might have possessed the requisites for a significant transformation. 6

The building was sold in 1778 to the nuns, who wanted to expand their convent. 7 Excluded

from the transfer was the tall and imposing medieval tower of the Rossi, on the corner of “Via

delle Stinche” (now Via XXVII April) and Via di San Salvatore (now Via Tomba di Catilina),

built on the site where the Pistoian antiquarian historiography of the 17th century claimed

that Catiline and his followers had been buried after their calamitous defeat in their rebellion

against Rome. The legend of the origins of Pistoia had then been constructed around this

story: its derivation from Dante’s “bad seed of Catiline” was used to explain the depraved

inclination to civil war that had afflicted the history of the city between the Middle Ages and

the first half of the 16th century. Conflicts in which the Rossi too had been involved. 8

4. Grandonio, affresco monocromo, quinto decennio del

sec. XV. Pistoia, Palazzo del Comune, sala consiliare.

5. Veduta aerea zenitale del palazzo e della relativa zona

urbana.

32 33



8. Palazzo de’ Rossi, salone, decorazione ‘all’antica’ con testa di guerriero raffigurante Grandonio entro cornice ovale, affresco

monocromo nel sovrapporta dell’accesso assiale al ballatoio. Luigi Ra fanelli, 1794.

6. Pistoia, Canto dei Rossi, scultura in serpentino del

tardo sec. XII, ritenuta il ritratto di Grando nio, antico eroe

cittadino ascritto alla famiglia dei Rossi.

7. Sistemazione tardo-settecentesca della “testa di Grandonio”, al Canto dei Rossi, affiancata da due stemmi in pietra

trecenteschi della famiglia dei Rossi.

La figura, vera e propria metafora visiva del riferirsi all’illustre personaggio del passato da parte

dei supposti suoi discendenti, era il punto focale della “prospettiva” che si apriva dall’ingresso

sulla strada, a portone aperto: quasi indicandone, significativamente, l’asse principale 16 (fig. 9).

Ma il canonico Tommaso volle anche, nel mentre si occupava della costruzione e della decorazione,

nel 1793-1794, del salone d’onore, enfatizzare la ‘presenza’ in quel luogo di quell’eroe

cittadino che dava lustro al suo casato, nel contemporaneo rifacimento, con aspetto più dignitoso,

delle due facciate della “casa vecchia” posta al “Canto de’ Rossi”.

Egli fece disporre proprio sull’angolo, entro un piccolo incasso, un importante reperto scultoreo

del tardo secolo XII, conservatosi fino ad allora sul fronte esterno di quel vetusto

casamento 17 (fig. 6).

9. Statua di Grandonio in terracotta dipinta, entro la nicchia

dell’esedra esistente sul retro del palaz zo, un tempo adibito a

giardino. Anonimo scultore locale, 1802.

But a different urban location was preferred for the construction of the new residence. It was

a site near the medieval Porta Sant’Andrea, where in the 13th century the Rossi possessed

some tower-houses, on the narrow street that led into the oldest part of the city and all

around the crossroads. The place had been the theater of important historical events and

was also linked to fabled memories of a distant past connected with Roman antiquity and the

origins of Pistoia (fig. 5). 9

The foundations of the Rossi family’s houses that faced onto that street lay in ground filled

with imposing remains of ancient keeps and fortifications, which were brought to light during

the construction of the palazzo, along with several anticaglie or “curiosities.” 10 Those houses had

seen the birth—it was believed—of Grandonio, the legendary and gigantic hero of the family

who had lived at the beginning of the 12th century and was considered a shining example of

the valor in war shown by the oldest members of the family and evidence of its importance for

the whole city. 11 To the point of his portrait being placed on display in the Palazzo Comunale,

or City Hall, as a special mark of honor (fig. 4). 12 At the time the powerful head carved out of

serpentine, with an intense, enigmatic expression, that can still be seen today at the crossroads

called the “Canto de’ Rossi” was commonly thought to be his portrait. 13

In an age in which quarterings of nobility depended on the antiquity and prestige of ancestors,

that location had for the members of the Rossi family, as its original residence and the place

where Grandonio was believed to have been born, sufficient attractions to outweigh the

undoubted disadvantages related to the “visibility” of the building to be constructed, as was

pointed out at the beginning. That this was the leitmotiv that would characterize the new

residence is demonstrated by the appearance of Grandonio’s image at some of the most

significant points of the building and its annexes.

It is present, in the form of a “heroic” head, among the ornaments painted by the Pistoian

artist Luigi Rafanelli in the main hall, completed by the canon primicerius Tommaso dei

Rossi between 1793 and 1794 (fig. 8). 14

A more than life-size painted terracotta statue of Grandonio, in the guise of an ancient Roman

warrior, still stands solemnly in the niche of an exedra faced with blocks of tuff that was the

principal ornament of the new garden, laid out at the rear of the building in 1802. 15 The figure, a

true visual metaphor of the reference to the illustrious personage of the past on the part of his

supposed descendants, was the focal point of the “perspective” that unfolded from the entrance

onto the street, with the door open: almost indicating, significantly, the main axis (fig. 9). 16

But Canon Tommaso, while engaged in the construction and decoration of the main hall in

1793-94, also wanted to emphasize the “presence” of the hero who brought prestige to his

stock in that place, in the contemporary reconstruction, with a more dignified appearance,

of the two façades of the “old house” located at the “Canto de’ Rossi.”

He had an important piece of sculpture from the 12th century, up until then located on the

outer front of that old building, placed on the corner, inside a small recess (fig. 6). 17

It is the finest and most expressive of the so-called “black heads” that can still be seen in

Pistoia: it was given a variety of identities by the local scholars of the 17th-18th century, but

considered a portrait of Grandonio by the memorialists of the Rossi family. 18 At the time a

14th-century stone coat of arms of the Rossi family, in the form of a shield, was placed on

each side of that head sculpted in serpentine, on the converging walls; on the main façade,

facing onto the street that is named after the Rossi, the emblem at the corner served to

complete, along with its counterpart located symmetrically on the right, another “display” in

which the shield of the House of Anjou was located at the center (fig. 7). 19

This medieval panoply served to convey immediately to the passerby and the “foreigner”

how ancient and illustrious was the family whose new residence stood alongside the old one

at the “Canto de’ Rossi.”

Raffaello Ulivi’s Design and the Beginning of the Construction

The credit for having gathered all the family memories, records and documents that served

to outline the history of the construction of the new building must go to Canon Tommaso dei

34 35



È la più bella ed espressiva delle cosiddette “teste nere” rimaste tuttora a Pistoia: variamente

identificata dagli eruditi locali del Sei-Settecento, ma ritenuta dai memorialisti di casa Rossi

appunto il ritratto di Grandonio 18 . Ai lati di quella testa scolpita in serpentino furono allora simmetricamente

disposti, sulle due pareti convergenti, due trecenteschi stemmi in pietra dei Rossi,

a forma di scudo; sulla facciata principale, prospiciente sulla via che dai Rossi prese nome, l’emblema

presso la cantonata servì a completare, con un altro uguale collocato simmetricamente a

destra, un’ulteriore ‘mostra’ in cui lo stemma a scudo degli Angiò era collocato al centro 19 (fig. 7).

Questa vera e propria panoplia medioevale serviva ad illustrare immediatamente al passante e

al “forestiero” quanto antica e illustre fosse la famiglia la cui nuova sede stava accanto a quella

vecchia al “Canto de’ Rossi”.

10. Copertina del Taccuino sopra la fabbrica

del palazzo, redatto dal 1794 dal canonico

Tom maso dei Rossi (Biblioteca Comunale

Forteguerriana, Archivio dei Rossi, 15, c. 734r).

Il progetto di Raffaello Ulivi e l’inizio della “fabbrica”

Si deve al canonico Tommaso dei Rossi (1750-1817), il figlio primogenito di Vincenzo di Girolamo

Alessandro (1726-1790), il merito di aver raccolto tutte le memorie familiari, le notizie

e i documenti che fossero serviti per delineare le vicende costruttive del nuovo palazzo 20 .

Suo padre Vincenzo, che in gioventù era stato paggio dell’Elettrice Palatina Maria Luisa de’

Medici a Firenze 21 , era stato colui che, in occasione del suo matrimonio con la nobile Giulia

Nencini (1728-1788) 22 , aveva voluto solennizzare l’evento con la decisione di erigere una più

adeguata ed elegante residenza per il proprio casato e per la sua progenie.

Tommaso si rivela un importante e finora sconosciuto cronachista dei tempi suoi, che volle

registrare con dovizia di documentazione e attendibili informazioni, per il periodo in cui

all’ancien régime si era sostituito in Toscana il riformismo asburgico-leopoldino e poi quello

napoleonico. Egli aveva deciso nel 1794 di fare la storia anche del nobile palazzo del cui completamento

era stato parte così determinante 23 .

Affidò queste memorie ad un Taccuino della fabbrica, tuttora inedito nella sua interezza come

fonte, in cui si trovano le principali notizie relative al settecentesco palazzo de’ Rossi dall’ini-

Rossi (1750-1817), firstborn son of Vincenzo di Girolamo Alessandro (1726-90). 20 His father

Vincenzo, who in his youth had been page to the palatine electress Maria Luisa de’ Medici in

Florence, 21 had been the one who, on the occasion of his marriage to the noblewoman Giulia

Nencini (1728-88), 22 had chosen to celebrate the event with the decision to erect a more

fitting and elegant residence for his family and his progeny.

Tommaso proves to have been an important and hitherto unknown chronicler of his times, a

period in which the ancien régime had been replaced in Tuscany by Habsburg-Leopoldine and

then Napoleonic reformism and which he set out to record with a wealth of documentation

and reliable information. In 1794 he had also decided to write down the history of the noble

residence in whose completion he had played such a crucial part. 23

He entrusted these memories to a Taccuino della fabbrica, or “Notebook of the Construction,” a

source that has not yet been published in its entirety in which can be found the most significant

information on the 18th-century Palazzo de’ Rossi from the time work started on its fabbrica,

or “construction ,” in 1749, until the beginning of 1813 (figs. 10, 11). 24 Developments relating to

the family’s residence were to continue in the 19th and 20th centuries, but we no longer have

such an attentive and accurate source of information. Tommaso was a firsthand witness to

events connected with the palazzo from 1774 until almost the end of his life. For the period of

around twenty-five years prior to that he could not have been present 25 and so the information

he provides is drawn from documents in the family archives, including records of expenditure

and accounts and recollections of relatives with an interest in the new building.

In 1774 Tommaso, having by then come of age, had joined his mother Giulia in the attempt to

get work started on the building again, after it had been interrupted by a dispute that broke

out between the “uncles” and the “nephews” and led to a ten-year-long lawsuit over the large

sums of money spent and loans taken out to fund the construction of the noble residence. 26

It was because of this effort, which led among other things to a reconciliation of the feuding

members of the family, 27 that it initially became necessary for him to get his hands on anything

11. Tommaso dei Rossi, Taccuino, notizia

dell’inizio della costruzione del palazzo

di famiglia (Bi blioteca Comunale

Forteguerriana, Archivio dei Rossi, 15, cc. 735rv

(cc. 2r-v numerazione originaria).

36 37



zio della “fabbrica”, nel 1749, al principio del 1813 24 (figg. 10, 11). Le vicende relative alla sede

della famiglia sarebbero ulteriormente continuate fra Otto e Novecento, ma non possiamo

più ricavarle da un informatore così attento e preciso.

Tommaso risulta testimone diretto e sincrono per le notizie sul palazzo dal 1774 in poi, fin

quasi al termine della sua vita. Per il periodo anteriore, pari a un venticinquennio, egli non

aveva potuto essere presente 25 , e perciò le informazioni che fornisce dipendono da documenti

dell’archivio di famiglia, spese e rendiconti, memorie dei parenti cointeressati alla nuova

“fabbrica”.

Nel 1774 Tommaso, raggiunta ormai la maggiore età, si era affiancato alla madre Giulia nel

tentativo di riavviare la costruzione dell’edificio, rimasta interrotta da una lunga controversia

scoppiata fra gli “zii” e i “nipoti” e finita in una decennale causa civile, dovuta alle

ingenti spese ed ai debiti contratti per finanziare il cantiere aperto per la nobile dimora 26 .

Si deve a questo suo impegno, che portò fra l’altro ad una riappacificazione dei familiari in

lite 27 , l’esigenza iniziale di avere fra le mani quanto poteva servire nella causa dei parenti

contro gli interessi del padre Vincenzo e dei suoi figli. Tale documentazione gli dovette poi

essere utile per fornire le principali informazioni soprattutto sulla prima fase costruttiva del

nuovo edificio.

Tommaso dunque riferisce che “la fabbrica del Palazzo fu incominciata d’ordine, e a spese

del signor Vincenzio” 28 , il quale aveva comprato una casa attigua, sulla destra rispetto al

luogo su cui doveva sorgere la residenza di famiglia 29 , e aveva destinato un fabbricato di

sua proprietà, sulla sinistra, ad essere utilizzato per realizzarne lo sviluppo longitudinale

previsto 30 .

Suo padre, tuttavia, appena ventitreenne e novello sposo, non si era occupato direttamente

dell’impresa, delegandone la realizzazione e la cura allo zio, il canonico Francesco

Maria (1687-1761), che era allora anche amministratore dell’intero patrimonio familiare

indiviso 31 .

Era stato quest’ultimo a far “disegnare, fare in pianta, e rilevare in legno la surriferita fabbrica

di palazzo da prete Raffaello Ulivi, cittadino, e ingegnere pistoiese” 32 (fig. 11). “Con la direzione

dunque di prete Ulivi e del capo maestro muratore Domenico Pinotti della Villa, paese vicino

a Lugano, l’anno 1749 principiò la costruzione di tale fabbrica”, prosegue la nostra fonte 33 .

Il canonico Francesco Maria dei Rossi aveva allora sessantadue anni, ed aveva avuto modo di apprezzare

la preparazione professionale e le capacità progettuali di Raffaello Ulivi (1692-1759) 34 , che apparteneva

al novero di quei colti ecclesiastici, competenti in architettura, i quali furono protagonisti a

Pistoia del rinnovamento della scena urbana fra tardo Seicento e primi decenni del Settecento.

Raffaello Ulivi aveva allora cinquantasette anni ed era all’apice della sua carriera di architetto.

Egli aveva ricevuto per più di un trentennio importanti commissioni in città, di allestimento

scenografico-decorativo e di costruzione, ristrutturazione e ammodernamento di edifici di

notevole rilievo, sia della Chiesa che del patriziato, subentrando al molto apprezzato architetto

e canonico Francesco Maria Gatteschi dopo la morte di lui, avvenuta nel 1722 35 .

Gli splendidi risultati della riprogettazione nel 1731 dell’interno dell’Oratorio della Compagnia

dei Preti dello Spirito Santo, di cui era confratello 36 ; il nuovo disegno dato nel 1734

per l’Oratorio della Madonna dell’Umiltà alias di San Giuseppe presso la chiesa di Sant’Andrea,

realizzato da una scelta équipe di maestri costruttori e stuccatori 37 ; il rinnovamento

completo della Chiesa del Carmine, la cui volta egli aveva ideato nel 1741 38 ; il progetto a

lui attribuibile della Cappella del Crocifisso per le Monache da Sala (terminata nel 1753) 39 ,

che ripete, quasi miniaturizzandolo, l’elegantissimo effetto complessivo del Carmine, si

alternavano ad interventi di riqualificazione e adeguamento funzionale del Teatro dei Risvegliati

(1726-1733) 40 ; probabilmente dell’ultimo piano dell’antico Palazzo vescovile fra

1733 e 1736, su commissione dell’appena insediato vescovo Federigo Alamanni (1732-1775) 41 ;

del nuovo palazzetto Brunozzi, completamente ricostruito e già iniziato nel 1746 42 .

Francesco Maria dei Rossi doveva essere entrato direttamente in contatto con prete Raffaello

Ulivi durante i lavori di rifacimento della chiesa del Carmine, dove operava uno stuolo di

that might be of use to the lawsuit of the relatives against the interests of his father Vincenzo

and his other children. It must have been from this documentation that he drew most of the

information about the early stage in the construction of the new building.

Thus Tommaso reports that “the construction of the Palazzo had begun on the orders and at

the expense of Signor Vincenzio,” 28 who had bought an adjoining house, on the right of the

site on which the family residence was to be constructed, 29 and had set aside another building

he owned, on the left, to be used to extend it longitudinally as planned. 30

However, his father, only twenty-three and newlywed, did not take direct charge of the project,

delegating its implementation and supervision to his uncle, the canon Francesco Maria (1687-

1761), who at the time was also administrator of the entire undivided family assets. 31

It was the latter who had “the aforesaid building designed, planned and modeled in wood by

the priest Raffaello Ulivi, Pistoian citizen and engineer” (fig. 11). 32 “So under the direction of

the priest Ulivi and the master builder Domenico Pinotti from Villa, a town near Lugano, the

construction of said building commenced in the year 1749,” continues our source. 33

Canon Francesco Maria dei Rossi was sixty-two at the time, and had had the opportunity to

appreciate the professional training and design skills of Raffaello Ulivi (1692-1759), 34 one of

those learned clergymen and expert architects who played a leading role in the renewal of

the urban scene in Pistoia between the late 17th century and the early decades of the 18th.

Raffaello Ulivi was fifty-seven at the time and at the peak of his career as an architect. For more

than thirty years he had been receiving important commissions in the city, working on scenic

and decorative displays and on the construction, renovation and modernization of buildings

of considerable significance, for both the Church and the nobility, and taking the place of the

highly regarded architect and canon Francesco Maria Gatteschi after his death in 1722. 35

The splendid results of the redesign in 1731 of the interior of the oratory of the Compagnia dei

Preti dello Spirito Santo, of which he was a member; 36 the new design made in 1734 for the oratory

of the Madonna dell’Umiltà aka of San Giuseppe in the church of Sant’Andrea, implemented

by a select team of master builders and stuccoists; 37 the complete renovation of the church of

Il Carmine, whose vault he had designed in 1741; 38 the design of the chapel of the Crocifisso for

the nuns of Santa Maria di Sala (finished in 1753), 39 which can be attributed to him and repeats,

almost in miniature, the extremely elegant overall effect of Il Carmine: all these alternated with

interventions of renovation and functional adaptation of structures like those of the Teatro dei

Risvegliati (1726-33), 40 probably the top story of the old Bishop’s Palace between 1733 and 1736, to

a commission from the newly installed bishop Federigo Alamanni (1732-75) 41 and the new Palazzo

Brunozzi, where work had already begun on its complete reconstruction in 1746. 42

Francesco Maria dei Rossi must have made direct contact with Raffaello Ulivi during the

rebuilding of the church of the Carmine, on which a host of skilled practitioners of the arts

of masonry and pictorial and stucco decoration worked. 43 Canon Rossi, in his capacity as

representative and steward of the family, had overseen the construction and decoration of

the Rossi altar in that church and had had the family memorial tablet placed in front of the

altar, with an inscription that recorded his own name and the date of 1753 for posterity. 44

Just a few steps from the houses of the Rossi family at Porta Sant’Andrea stood the oratory of

Santa Maria dell’Umiltà, aka of San Giuseppe, renovated and adorned with stuccoes even before

Raffaello Ulivi’s 1734 project (figs. 12, 13): in which the decorations of the friezes above the

doors, the windows, the altars and the moldings of the small oval windows, as well as the overall

design of the architectural framework—however “simplified,” given the minor significance

of the religious building—speak the same language, revealing the same “taste” with which

Raffaello Ulivi designed the windows on the fronts of Palazzo de’ Rossi, and, more ambitiously,

the molding that runs around the building, separating the third floor from the top one.

It was to those designs that the canon Tommaso dei Rossi referred when he arranged for the

completion of the central part of the residence, between 1793 and 1794: 45 in the name of a

fidelity to tradition that took the form of a revival—at a time of marked classicism, when more

rigorous stylistic features were expected in architecture—of the late baroque composition and

38 39



ottimi professionisti dell’arte muraria e della decorazione pittorica e in stucco 43 . Il canonico

Rossi si era occupato, in qualità di rappresentante ed economo della sua famiglia, della realizzazione

strutturale e decorativa dell’altare dei Rossi in quella chiesa e dinanzi a tale altare

egli aveva fatto apporre la lapide del sepolcreto terragno per la sua gente, ivi facendo incidere

un’iscrizione che tramandava ai posteri il proprio nome e la data del 1753 44 .

A due passi dalle case dei Rossi presso Porta Sant’Andrea era invece quell’Oratorio di Santa

Maria dell’Umiltà alias di San Giuseppe, riqualificato e ornato di stucchi già prima del progetto

di prete Raffaello Ulivi del 1734 (figg. 12, 13): in cui le decorazioni delle cimase di porte,

finestre, altari e cornici di finestrelle ovali, il disegno complessivo delle membrature architettoniche

– per quanto ‘semplificate’, dato il rilievo minore dell’edificio religioso – parlano

lo stesso linguaggio, rivelano lo stesso ‘gusto’ con cui Raffaello Ulivi disegnò le finestre sugli

affacciamenti del palazzo de’ Rossi, ed elaborò, ma con più ambizione, il cornicione di rigiro

che stacca il secondo dall’ultimo piano di quest’ultimo.

A quei disegni si sarebbe rifatto il canonico Tommaso dei Rossi quando dispose il completamento

della parte centrale di tale residenza, fra 1793 e 1794 45 : in nome di una fedeltà

alla tradizione che si traduceva in riproposizione – ormai in epoca di classicismo avanzato,

che imponeva più rigorosi stilemi architettonici – dell’apparato compositivo e ornamentale

del tardo-barocco diffuso alla fine dell’età medicea in Toscana, ma anche attestato

altrove, nei primi decenni del Settecento. Facendo della porzione monumentale del

palazzo de’ Rossi un complesso sostanzialmente omogeneo dal punto di vista dello ‘stile’,

ma nettamente in contrasto – come controcorrente – rispetto alla coeva architettura.

Questo contrasto avrebbe segnato anche la qualità degli ambienti destinati, in tale edificio,

ai diversi appartamenti assegnati ai vari membri della famiglia: dove alcuni di essi, più

‘progressisti’ quanto all’arredo decorativo degli interni, procedettero nel tempo a radicali

trasformazioni eliminando stucchi barocchetti e pitture ormai ritenuti retaggio di un gusto

irrimediabilmente attardato 46 .

Ma forse di Raffaello Ulivi interessò il canonico Francesco Maria dei Rossi in particolare

il progetto, nuovo per Pistoia, del palazzetto Brunozzi allora in costruzione (figg. 14, 15), in

cui la configurazione della facciata (alta e relativamente stretta) era abilmente giocata sui

cinque assi – ciascuno caratterizzato da una sequenza di finestre, sui quattro piani da terra,

il cui diverso disegno segnalava all’esterno il differente tipo di utilizzo dei retrostanti ambienti

– e sul punto focale centrale, costituito dall’insieme dell’elegante portale di accesso

unito, come fosse una cimasa, al terrazzo aggettante dall’aggraziato profilo mistilineo e

dalla bella balconata “a paniera” in ferro battuto, in corrispondenza della porta-finestra

mediana del piano nobile: studiata per l’affaccio dal salone di dame e cavalieri curiosi di

cortei cittadini e altre manifestazioni pubbliche.

Strutturalmente, la facciata di palazzo Brunozzi non era che la riproposizione, se mai più briosa

e ‘leggera’, di modelli di riferimento tardo-manieristico fiorentino o ‘fiorentineggiante’, presenti

anche a Pistoia già nel Seicento. Ne mostrano le varianti palazzi come quello dei Cancellieri nella

“via di San Filippo”, dall’imponente, massiccia struttura 47 , o come il palazzo Bracciolini delle Api

al canto di piazza del Duomo 48 , in cui la breve facciata ornata dai ritratti dei granduchi Medici ha

il portale eccentrico, sormontato da un balcone che emerge in angolo dall’orditura compositiva.

Diverso linguaggio, più aulico, esprime invece lo straordinario palazzo Amati-Cellesi 49 , iniziato

nel 1718-1719 su progetto del sacerdote e architetto-decoratore Filippo Baldi: dove il

prospetto, qualificato dal raddoppio del portale di accesso con sovrapposto balconcino e

dall’originale soluzione mediana (destinata a rapportare alla facciata l’ingresso al vicolo esistente

fra i due blocchi della “fabbrica”), s’interna dal limite della piazza su cui si affaccia

verso l’imbocco di via Panciatichi.

Palazzo Brunozzi nasceva invece secondo un progetto che proponeva – com’è evidente nella

facciata – un’architettura forse meno ufficiale e sontuosa, più aderente ai modi di vita e

alla presenza della famiglia entro la società pistoiese: quasi ne esprimesse l’indubbia ma non

ostentata eleganza. L’effetto complessivo del fronte esterno di questa nobile residenza citta-

12. Pistoia, ex-Oratorio di Santa Maria dell’Umiltà alias di

San Giuseppe, porta con fastigio ornato di stucchi. Giovan

Domenico Rusconi, 1709.

13. Pistoia, ex-Oratorio di Santa Maria dell’Umiltà alias

di San Giuseppe, altare con coronamento decorato con

stucchi. Giovan Domenico Rusconi, 1709.

ornamentation that were widespread at the end of the Medicean period in Tuscany, but also

found elsewhere in the early decades of the 18th century. This made the monumental portion of

the Palazzo de’ Rossi an essentially homogeneous complex from the viewpoint of its “style,” but

one that was in sharp contrast to the architecture of that time, going against the general trend.

This contrast would also characterize, inside the building, the quality of the décor of the

apartments assigned to various members of the family: some of them, more “progressive”

in their attitude toward the decoration of interiors, would carry out radical transformations

over time, eliminating late baroque stuccoes and paintings considered hangovers from an

irremediably outdated taste. 46

But perhaps what Canon Francesco Maria dei Rossi found particularly interesting was

Raffaello’s design, new for Pistoia, for the small Palazzo Brunozzi, under construction at

the time (figs. 14, 15), in which the configuration of the façade (tall and relatively narrow)

cleverly turned around the five axes—each characterized by a sequence of windows, on the

four stories above ground, whose different design indicated on the outside the different use

to which the rooms behind were put—and around the central focal point, formed by the

ensemble of the elegant main entrance united, as if it were a frieze, with the projecting

terrace with a graceful mixtilinear profile and a fine wrought-iron “basket” balcony, in line

with the French window in the middle of the piano nobile or second floor: designed as a place

from which curious ladies and gentlemen could look out at parades and other public displays.

Structurally, the façade of Palazzo Brunozzi was nothing but a revival, although perhaps in

a more lively and “frivolous” form, of Florentine or “Florentine-like” late Mannerist models

already present in Pistoia in the 17th century. They can be seen in various buildings, such as

the Palazzo dei Cancellieri on “Via di San Filippo” with its imposing, massive structure 47 or

Palazzo Bracciolini delle Api on the corner of Piazza del Duomo, 48 in which the short façade

adorned with portraits of the Medici grand dukes has an eccentric portal, surmounted by a

balcony on the corner that stands out from the compositional scheme.

A different, more lofty language is expressed instead by the extraordinary Palazzo Amati-

Cellesi, 49 begun in 1718-19 to a design by the priest and architect-decorator Filippo Baldi:

where the front, distinguished by the duplication of main door with a small balcony on top

and the original solution for the middle section (intended to connect the entrance to the

alley running between the two blocks of the building to its façade), extends inward from the

edge of the square onto which it faces and toward the beginning of Via Panciatichi.

Palazzo Brunozzi on the other hand was the product of a design that proposed—as is evident

from the façade—a less official and sumptuous architecture, more in keeping with the family’s

ways of life and its position within Pistoian society: as if to express an indubitable but not

ostentatious elegance. The overall effect of the external front of this noble city residence was

due in part to the refined design of the architectural elements, but also and above all to the

careful balancing of their proportions and the distances between them.

Its designer had the qualities of a good structuralist, capable of overcoming the difficulties

presented by the radical reconstructions of the previous building, but also displayed the taste of

a sophisticated set designer in the way he related the external appearance to the urban spaces.

The design of the small balcony that is set on the second floor at the back of Palazzo de’

Rossi, above the arch leading into the garden that once existed here, 50 reflects Raffaello

Ulivi’s personality and mode of establishing a relationship with the surroundings (fig. 16). It

is also an indication of his ability to adapt in an intelligent way to the desires of the clients,

who had chosen to privilege the more salubrious rear of their residence and more luminous

and open views of more secluded parts of the city, away from prying and indiscreet eyes: in a

wholly private “perspective” that overthrew the preeminence—even conceptually—normally

given to the side facing onto the street as the main front of any noble residence.

The records tells us, however, that that balcony on the back of the house was installed much

later than the date on which Raffaello Ulivi drew up the overall plans for Palazzo de’ Rossi,

which was at least as early as 1748. 51

14. Veduta della facciata di palazzo Brunozzi, Pistoia, Via.

B. Buozzi, 14-22. Architetto p. Raffaello Ulivi, 1746-1754.

15. Palazzo Brunozzi, soluzione architettonica del portale

mediano con sovrapposta finestra balco nata, in facciata.

40 41



16. Palazzo de’ Rossi, fronte posteriore, veduta esterna

dell’arcata d’accesso dal vestibolo del piano terreno

all’area sul retro, con finestra balconata sovrapposta,

al primo piano. A tale ingresso manca, evidentemente,

l’incorniciatura architettonica.

dina era dovuto al raffinato disegno degli elementi architettonici, ma soprattutto all’attenta

calibratura di proporzioni e distanze fra di essi.

Chi l’aveva progettato aveva qualità di buon strutturalista, capace di risolvere le difficoltà

poste dai radicali rifacimenti del precedente edificio, ma dimostrava anche un fine gusto di

scenografo nel rapportarne l’aspetto esterno agli spazi urbani.

Il disegno del balconcino che, in palazzo de’ Rossi, dal piano nobile prospetta sul retro, al di

sopra dell’arcata di accesso all’orto-giardino ivi un tempo esistente 50 , rivela la personalità e lo

stesso modo di costruire il rapporto con l’esterno di Raffaello Ulivi (fig. 16). Ne indica anche

le doti di intelligente adattamento ai desiderata dei committenti, che avevano scelto di privilegiare

il più salubre fronte posteriore del loro palazzo e vedute più luminose e aperte verso

panorami della città più appartati e lontani da sguardi curiosi e indiscreti: in una ‘prospettiva’

del tutto privata, che rovesciava addirittura la preminenza – anche concettuale – data normalmente

al fronte stradale come principale affacciamento di ogni nobile sede.

Le notizie di cui disponiamo, peraltro, attestano che quel balconcino prospiciente sul retro

fu posto in opera assai più tardi rispetto alla data in cui Raffaello Ulivi elaborò il progetto

complessivo del palazzo de’ Rossi, da far risalire almeno al 1748 51 .

Come attesta infatti lo stesso autore del Taccuino, il memorialista e canonico Tommaso dei Rossi,

la stanza dotata di quella porta-finestra balconata non fu realizzata che intorno al 1774-1775 52 .

Sappiamo anche, però, che una parte dei disegni progettuali di Raffaello Ulivi si era salvata

dalla dispersione dovuta alla vendita all’asta di tutto il materiale della “fabbrica”, interrotta

e abbandonata all’inizio degli anni Sessanta del Settecento a causa delle eccessive spese e dei

troppi debiti 53 .

Sicuramente era stata conservata dalla famiglia dei Rossi quella parte delle elaborazioni di

progetto che ancora serviva per il futuro proseguimento della costruzione, come infatti avvenne

nel 1774 con l’intervento e la consulenza dell’architetto e decoratore d’interni Francesco

Maria Beneforti (1715-1802) 54 .

Che fosse venduta all’asta parte della documentazione progettuale aveva un preciso significato.

Innanzi tutto, l’acquisto di parte dei disegni della “fabbrica” dei Rossi presuppone la

loro appetibilità da parte dei collezionisti, dato l’apprezzamento di cui godeva in città Raffaello

Ulivi, morto da poco. In secondo luogo, indica che una parte dei disegni non serviva

più, in quanto già realizzati. La nostra fonte infatti ci informa che il palazzo nel 1760, pur

non essendo ancora abitabile, era a buon punto per la sua parte centrale, arrivata al completamento

del secondo piano, e alla prima configurazione della parte del cortile con stalla

e deposito delle carrozze, sulla destra del lotto destinato alla residenza patrizia dei Rossi 55 .

Ma la vendita all’asta del modellino ligneo che serviva per visualizzare l’intera costruzione

fa pensare: perché normalmente tale supporto al progetto non veniva ritenuto

inutile e spesso si conservava anche dopo la fine della “fabbrica”, come un vanto dei

committenti.

L’alienazione volontaria – se così si può dire – di questo pezzo non può che essere, a mio

avviso, indizio che al momento della vendita, fra 1762 e 1764, i Rossi, sgomenti per le ingenti

spese che solo “un terzo” 56 della loro nuova sede aveva comportato, dovevano aver rinunciato

a realizzare un progetto forse più grandioso, compatibile con un eventuale ampliamento

simmetrico della parte monumentale del palazzo, dalla parte opposta (nella “casa vecchia dei

Rossi” e fino al cantone del crocicchio di Porta Sant’Andrea), oltre la zona d’ingresso la cui

costruzione doveva attuarsi in un secondo momento.

Un esame delle planimetrie e della facciata stessa dell’edificio (tavv. I-IV, IXa: pp. 16-17, 47) –

dal portale di accesso fuori centro e spostato tutto a sinistra – pare confermare questa ipotesi.

Peraltro suffragata dalla presenza (che altrimenti non avrebbe giustificazione, a meno che

non si voglia credere che non sia se non un mero ornamento della parete) del profilo di un’arcata

cieca sul muro sinistro del “terreno” che formava l’ingresso: esattamente uguale e simmetrica

rispetto a quella che incornicia l’arcata di accesso, sulla destra, allo scalone (fig. 17).

Comunque, l’arcata sul lato sinistro di tale ambiente, probabilmente tamponata nella sud-

17. Palazzo de’ Rossi, atrio d’ingresso, foto di cantiere

relativa alla messa a nudo dell’orditura mu raria nella zona

dell’arcata tamponata, sulla parete sinistra.

In fact we know from the author of the Taccuino, the memorialist and canon Tommaso dei

Rossi, that the room with the French window and balcony was not added until around 1774-75. 52

We also know, however, that a part of the plans drawn up by Raffaello Ulivi was saved from

dispersion as a result of the auction of all the material of the “construction,” interrupted and

then abandoned at the beginning of the 1790s owing to an excess of expenditure and debt. 53

There can be no doubt that the Rossi family had retained the part of the plans that would be needed

for continuation of the construction in the future, as in fact happened in 1774 with the intervention

and advice of the architect and interior decorator Francesco Maria Beneforti (1715-1802). 54

The fact that part of the plans had been sold at auction had a precise significance. In the first

place, the acquisition of some of the designs for the Rossi’s residence implies they were attractive

to collectors, given the esteem in which Raffaello Ulivi, who had died shortly beforehand, was

held in the city. Secondly, it indicates that some of the plans were no longer needed, in that

they had already been put into effect. In fact our source tells us that in 1760 the building, while

not yet inhabitable, was progressing well as far as its central part was concerned, with the

completion of the third floor and the first configuration of the part of the courtyard with the

stable and carriage house, on the right of the lot intended for the noble residence of the Rossi. 55

But the auction of the wooden model that was used to represent the whole construction makes

you think: because normally such a design aid was considered useful and often preserved even

when the work of construction was at an end, as an object that clients could show off with pride.

The voluntary sale—if that’s what we can call it—of this piece can only be, in my opinion,

an indication that at the moment of the sale, sometime between 1762 and 1764, the Rossi,

dismayed at the enormous cost of building just “a third” 56 of their new residence, must have

decided to renounce a perhaps even more grandiose project, compatible with the possibility

of a symmetrical doubling of the monumental part of the palazzo on the opposite side (in

the “old house of the Rossi” and as far as the corner of the crossroads at Porta Sant’Andrea),

beyond the area of entrance, which was supposed to be constructed at a later stage.

An examination of the plans and the façade of the building (pls. I-IV; IXa: pp. 16-17;47)—

with its off-center doorway shifted all the way to the left—seems to confirm this hypothesis.

A hypothesis also borne out by the presence (which would otherwise have no justification,

unless we wish to conclude that it is nothing but an ornamentation of the wall) of the outline

of a blind arch on the left-hand wall of the area called the terreno which formed the entrance:

exactly the same and symmetrical with respect to the one that frames the archway leading,

on the right, to the main staircase (fig. 17).

In any case, the arch on the left-hand side of this space, probably walled up when the property

was subdivided in the 19th and 20th centuries, really provided access to the interior of the

building known as “the old house of the Rossi,” where some of the basic services of the

palazzo, such as the granary, kitchen, storeroom for firewood and, for a certain period, the

family archives, were to be located, as well as the servants’ quarters. 57

Raffaello Ulivi was able to brilliantly overcome the constraints and problems caused both by

the nature of the ground and the urban location on which the new residence was to be built

and by the requirements of his clients.

The marked incline of the ground, which sloped down toward Porta Sant’Andrea along the

street onto which the construction was to face; 58 the not very large space available for the

layout of the building in depth; 59 the greater height of the area at the back with respect to the

level on which ran the street at the front; 60 variations in the bearing capacity of the ground,

in which some imposing and very old walls were buried—and undoubtedly brought to light

during the digging of the foundations—which to some extent conditioned the plan of the

building; 61 all these presented undeniable difficulties to be overcome.

Problems were also created by the old houses of the Rossi built along the street since the

Middle Ages without any alignment as far as the “Canto.” 62 Not counting the fact that—as

has already been pointed out—the project was constrained by the imposing flank of Palazzo

Sozzifanti, which overshadowed the old and narrow street from the opposite side, with the

42 43



TAVOLE FUORI TESTO

Planimetrie del palazzo de’ Rossi relative allo stato

antecedente all’ultimo restauro. Studio arch. Adolfo

Natalini e Associati.

Tav. I – Piano terreno

Tav. II – Cantine

Tav. III – Piano primo

Tav. IV – Piano secondo

Tav. V – Piano terzo

Tav. VI – Tetto e verone.

44

45



divisione delle proprietà fra Otto e Novecento, dava realmente accesso interno a quel casamento,

detto “la casa vecchia dei Rossi”, dov’erano stati previsti alcuni del fondamentali

servizi del palazzo, come il granaio, la cucina e il deposito della legna da ardere, ma anche,

per un certo periodo, l’archivio di famiglia, oltre che gli alloggi della servitù 57 .

Raffaello Ulivi seppe brillantemente superare i condizionamenti e i problemi imposti sia

dalla natura del suolo, sia dall’area urbana su cui doveva sorgere il nuovo palazzo, sia dalle

esigenze dei committenti.

La notevole pendenza del terreno, che si abbassava verso Porta Sant’Andrea lungo la via su

cui doveva prospettare la costruzione 58 ; il non amplissimo spazio di cui era possibile disporre

in profondità per l’impianto dell’edificio 59 ; la quota maggiore dell’area posteriore rispetto a

quella dove correva la strada d’affaccio 60 ; la diversificata portanza del suolo, al cui interno

esistevano imponenti e antiche muraglie – messe sicuramente in luce durante lo scavo delle

fondamenta – tali da condizionare in qualche modo lo stesso assetto planimetrico 61 , ponevano

difficoltà innegabili da superare.

Problemi creavano anche gli antichi casamenti di proprietà Rossi sorti fin dal Medioevo

lungo la via, privi di allineamento fino al “Canto” 62 . Senza contare che – come già segnalato –

condizionava il progetto l’incombente fiancata del palazzo Sozzifanti, che dalla parte opposta

oscurava la stretta e antica via, con i due effetti negativi di impedire la veduta della facciata

del nuovo palazzo de’ Rossi e di pregiudicare la salubrità degli ambienti che si affacciavano,

in basso, su quella strada.

Per quanto riguarda le esigenze dei committenti, era previsto che tutti i membri della famiglia

cointeressati alla costruzione concentrassero la loro residenza nella nuova sede e che i

capitali da investire nella “fabbrica” fossero messi in comune e dovessero provenire solo dal

surplus delle rendite fondiarie di ciascuno dei componenti, senza intaccare il patrimonio familiare

63 .

Pertanto, anche per rendere possibile questo finanziamento ‘a scorporo’ progressivo, il protwin

negative effects of blocking the view of the façade of the new Palazzo de’ Rossi and

impairing the salubrity of the rooms on the lower floors that faced onto that street.

As far as the requirements of the clients were concerned, the intention was for all the members

of the family involved in the construction to make their residence in the new building and

that the capital to be invested in it should be pooled and should come solely from the surplus

of the land revenue of each of the members, without eating into the family fortune. 63

Consequently, and in part to make this progressive “parceled-out” funding possible, the

project approached the whole of the nobile residence as an organic sum of blocks to be built

gradually and separately, each of them statically independent. They were to be constructed

“progressively,” according to the needs of the Rossi and the financial resources that could be

devoted to the construction on an annual basis.

Priority was given naturally to the central block, set aside for the homes of those who had

decided to live in it. Next to it was to be built—together with the monumental part—the more

modest section on the right, with the stable and the carriage house laid out around a small

courtyard separated from the street by a wall. On the left instead would be located the grand

entrance, to be erected at a later date, whose vaulted roof would have permitted the raising and

completion of the palazzo on that side. The entrance also had the role of providing a scenic

access not just to the residential block, but also to the area behind, whose transformation from

prosaic “vegetable garden” into a proper garden must have already been planned. 64

Owing to the length of its front (almost the same as that of the east wing with the stables

and the carriage house), the old “house at the Canto de’ Rossi,” used at the time for various

amenities and the servants’ quarters, could lend itself in the future, as has already been

pointed out, to a symmetrical extension of the building, to the left of the residential block

and the area of the entrance. In such an eventuality, which no attempt was made to put into

effect, the old structure would have to be completely replaced—at not non inconsiderable

cost—given the differences in the levels of the floor and the roofs of the various rooms. 65

getto comprese il totale della nobile residenza come organica somma di corpi di fabbrica

da edificare via via separatamente, ciascuno staticamente autonomo. Essi dovevano essere

costruiti a “stati di avanzamento”, secondo le necessità dei Rossi e le loro disponibilità economiche

annuali da stanziare per il cantiere.

La priorità fu data naturalmente al blocco centrale, destinato alle residenze di quanti

avevano deciso di abitarvi. A fianco doveva essere realizzato – insieme con la parte

monumentale – il più modesto settore di destra, con la stalla e la rimessa delle carrozze

intorno ad un cortiletto separato dalla via con un muro. A sinistra doveva invece sorgere

l’ingresso d’onore, da erigere in un secondo tempo, la cui copertura in volta avrebbe

consentito la sopraelevazione e il completamento del palazzo da quella parte. L’ingresso

aveva anche il compito di dare scenografico accesso non solo al blocco residenziale, ma

anche all’area retrostante, di cui doveva essere già prevista la trasformazione da prosaico

“orto” in giardino 64 .

La vecchia “casa al Canto de’ Rossi”, destinata allora ad ospitare i servizi e gli alloggi della

servitù, per la lunghezza del suo prospetto (pressocché pari a quello dell’ala est con la stalla

e la rimessa delle carrozze) poteva in futuro prestarsi, come già osservato, a un ampliamento

simmetrico del palazzo, a sinistra del blocco residenziale e della zona d’ingresso. In questa

eventualità, che peraltro non ebbe mai attuazione, l’antico immobile avrebbe dovuto

essere totalmente sostituito – con una spesa non indifferente – data la disomogeneità delle

quote pavimentali e dei sistemi di copertura dei vani a i vari livelli 65 .

Le planimetrie rivelano la chiarezza simmetrica e la razionalità strutturale dell’impianto

distributivo progettato per il settore centrale: caratterizzato dalla presenza, sui fronti anteriore

e posteriore, rispettivamente di una coppia di stanze, sostanzialmente simili, sovrapposte

per ciascun lato sui diversi piani. Al piano terreno esse potevano avere usi diversi

– come infatti accadde – ma al primo e al secondo piano formavano mini-unità abitative

composte da un’anticamera e da una camera da letto, dotate di servizi igienici: questi ultimi

The plans reveal the symmetrical clarity and structural rationality of the layout for the central

sector: it is characterized by the presence, at the front and rear, of a pair of rooms, essentially

identical and located one above the other, on each side and on all four floors. On the ground

floor they could be put to different uses—as in fact happened—but on the second and third

floor they formed mini-apartments made up of an antechamber and a bedroom, along with

sanitary facilities: these last divided, in a refined and wholly unusual manner for the period

and for the city of Pistoia, into a luogo comune (what we would call a WC) and a toilette for the

care and cleanliness of the body. 66

The corresponding rooms on the fourth floor had a certain flexibility in their use over time,

but also had appropriate sanitary facilities. 67

Between the two sets of pairs of rooms had been placed, in parallel to the longitudinal

direction of the façade and the road system, the grand staircase, initially with just a short

passageway 68 that was intended to eventually connect up with the planned monumental

entrance (pl. VII, p. 22).

There can be no doubt that, in addition to plans and elevations, Raffaello Ulivi had provided

drawings of the main architectural elements of the building.

In the first place the staircase, which ends on the third floor in an open double flight

surmounted by a depressed vault, finely adorned with stuccoes and a central medallion that

was once painted. 69 Illuminated by oblique light from the large windows in the southern end

of the building, which enters at a raked angle and shows to advantage the extremely elegant

embellishment of the stuccoes as well as the depth and extent of the space, the staircase

reflects Raffaello Ulivi’s refined sense of ambience, which allowed him to create a permanent,

atmospheric and intimate internal spectacle (figs. 18-23).

But Raffaello Ulivi had also designed the framings of the windows in the fronts of the palazzo,

giving them a graduated importance in relation to the floor (figs. 24, 25). The taller ones on the piano

nobile have elegant transitional forms, although ornamental flourishes are still used to embellish

18. Ripiano superiore dello scalone, decorazioni in stucco,

particolare con grottesca. Tommaso Cre mona, 1755-1760.

19. Mascherone, particolare delle decorazioni in stucco

relative all’arrivo al secondo piano dello scalone. Tommaso

Cremona, 1755-1760.

46 47



20. Soluzione delle due porte in angolo nel ripiano superiore dello

scalone, prima dell’ultimo re stauro.

22. Veduta assiale della volta sopra lo scalone, con stucchi e medaglione centrale un tempo affresca to. Stato antecedente

all’ultimo restauro. Progetto di Raffaello Ulivi, 1748-1756; decorazioni di Tommaso Cremona, 1755-1760.

21. Aspetto del ripiano superiore dello scalone, con

particolari architettonici e decorativi, prima dell’ultimo

restauro.

48

the stone moldings. The quadrangular ones on the upper floors repeat, although with diminishing

projection, the pediment with an upside-down central conch flanked by two short inverted volutes

in a graceful and simplified late-baroque style. In keeping with what the artistic and monumental

panorama of the early 18th century could offer even in Pistoia, as a distant echo of the architectural

glories of Rome, Florence or Northern Italy. I’m thinking of the polychrome marble crowning of

the altar carved between 1700 and 1705 by the sculptor Andrea Vaccà for the chapel of Sant’Agata

in the Palazzo Comunale (fig. 27), 70 or the stucco ornaments executed in 1709 by the Sienese Giovan

Domenico Rusconi for the oratory of the Madonna dell’Umiltà aka of San Giuseppe in the church

of Sant’Andrea as part of the renovation planned for it in 1734 by Raffaello Ulivi (fig. 26). 71

I’m also thinking of the ideas, more remote in time and space, that well-known baroque

buildings could offer, even through the medium of architectural manuals and treatises: such

as the model of the quadrangular window, with a pediment with an inverted conch, installed

on the third level of the west façade of Palazzo Barberini in Rome between 1629 and 1632; 72

and of the architecture painted, in extreme perspective, by Andrea Pozzo (1642-1709); 73 but

also of the innumerable testimonies to the popularity of this motif provided by decorators

and stuccoists up until the middle of the 18th century.

Raffaello Ulivi’s inventiveness was put to its greatest test in the design of the molding that,

running around the top of the third floor of Palazzo de’ Rossi, ennobled the building with its

“grandeur,” interspersing the sequence of pairs of classical brackets “in the Roman style” with

female protomes, inverted conches and festoons alternating with smooth rectangles (figs. 28-33).

However, while the ornamental repertoire executed by skilled workers from Lugano 74 to Raffaello

Ulivi’s design could by this time add little that was new in the field of late-baroque architectural

decoration, apart from the clarity of their relations and proportions, the architect should instead

be given the credit for a wholly personal articulation of the various parts of the building and

their mutual connections with the lucid and rational capacity of a structuralist, and above all for

having identified the best routes for internal circulation, in relation to their purpose.

23. Veduta della sistemazione, effettuata nel dicembre

1802, della statua di Mercurio sul pianerotto lo dello

scalone, fra il primo e il secondo piano del palazzo. Dopo

l’ultimo restauro.

49



TAVOLE VII, VIII

Sezioni del palazzo eseguite secondo i rilievi effettuati

prima dell’ultimo restauro. Studio arch. Adolfo Natalini e

Associati.

Sezione A-A, con profilo in elevato dello scalone.

Sezione D-D, con profilo della “scala a chiocciola segreta”

distinti, in modo raffinato e del tutto inconsueto per l’epoca e la città di Pistoia, in “luogo

comune” (il nostro wc) e “toilette” per la cura e la pulizia del corpo 66 .

Al terzo piano i vani corrispondenti ebbero nel tempo una certa flessibilità nel loro utilizzo,

ma non vi mancarono gli opportuni servizi igienici 67 .

Fra le due serie di coppie di stanze era stato collocato, parallelamente alla direzione longitudinale

della facciata e del relativo assetto viario, lo scalone d’onore, dotato inizialmente solo

di un breve accesso 68 , destinato a connettersi con l’ingresso monumentale previsto (tav. VII,

p. 22).

Senza dubbio Raffaello Ulivi doveva aver dato i disegni, oltre che delle planimetrie e degli

alzati, anche dei principali elementi architettonici che qualificano il palazzo.

Innanzi tutto dello scalone, che al secondo piano termina a doppia rampa aperta sormontata

da volta ribassata, finemente ornata da stucchi e da un medaglione centrale un

tempo dipinto 69 . Illuminato dalla luce radente proveniente dai finestroni aperti sulla testata

minore a sud, che lo penetra d’infilata e ne mette in risalto l’elegantissimo ricamo

degli stucchi oltre che la profondità e lo sviluppo volumetrico, lo scalone rivela la raffinata

sensibilità ambientale di Raffaello Ulivi, che con esso creò un permanente, suggestivo e

segreto spettacolo interno (figg. 18-23).

Ma Raffaello Ulivi aveva disegnato anche le mostre delle finestre che si aprono sugli affacciamenti

del palazzo, di graduata importanza a seconda dei piani (figg. 24, 25). Quelle

che danno luce al piano nobile, più alte, mostrano eleganti forme di transizione, pur senza

che il loro disegno rinunci a divertissements ornamentali che arricchiscono le cornici in

pietra. Quelle ai piani alti, quadrangolari, ripetono, via via con minore aggetto rispetto

alle prime, il fastigio con conchiglione centrale rovesciato affiancato da due brevi volute

rovesce, in uno stile tardo-barocco grazioso e semplificato. In assonanza con quanto

poteva offrire il panorama artistico-monumentale di primo Settecento anche a Pistoia,

come lontana eco dei fasti architettonici romani, fiorentini o settentrionali. Penso al co-

24. Palazzo de’ Rossi, facciata, zona costruita su progetto

di Raffaello Ulivi. Fine stra al “piano nobile”.

25. Palazzo de’ Rossi, facciata, zona costruita su progetto

di Raffaello Ulivi. Fine stra al secondo piano.

50 51



26. Pistoia, ex-Oratorio di Santa Maria dell’Umiltà alias di

San Giuseppe, finestra laterale del pre sbiterio, con cornice

in stucco.

ronamento dell’altare in marmi policromi realizzato fra 1700 e 1705 dallo scultore Andrea

Vaccà per la cappella di Sant’Agata in Palazzo Comunale 70 (fig. 27), o agli ornati in stucco

eseguiti nel 1709 dal senese Giovan Domenico Rusconi per l’Oratorio della Madonna

dell’Umiltà alias di San Giuseppe presso la chiesa di Sant’Andrea, ricompresi nel rinnovamento

progettato per esso nel 1734 dallo stesso Raffaello Ulivi 71 (fig. 26).

Penso anche a suggerimenti, più lontani nel tempo e nello spazio, che “fabbriche” barocche

ben note, anche attraverso la manualistica e la trattatistica di architettura, potevano offrire:

come, ad esempio, la tipologia della finestra quadrangolare, con fastigio a conchiglione rovesciato,

posta al terzo livello della facciata occidentale di palazzo Barberini a Roma fra 1629 e

1632 72 ; o all’architettura dipinta, in vertiginose prospettive, da Andrea Pozzo (1642-1709) 73 ; ma

anche alle innumerevoli testimonianze della fortuna di questo motivo offerte da decoratori e

stuccatori fino alla metà del Settecento.

L’estro inventivo di Raffaello Ulivi dovette soprattutto mettersi alla prova disegnando il cornicione

che, a coronamento del secondo piano del palazzo de’ Rossi, ne nobilitava la “fabbrica”

con “fare grande”, ritmando la sequenza delle coppie di mensole classiche ‘alla romana’ con

protomi femminili, conchiglioni rovesciati e festoni alternati a campi rettangolari (fig. 28-33).

Tuttavia, se ormai poco di nuovo poteva aggiungere, nell’ambito della decorazione architettonica

tardo-barocca, il repertorio ornamentale messo in opera da esperte maestranze

luganesi 74 su disegno di Raffaello Ulivi, se non la nitida evidenza di rapporti e proporzioni,

va riconosciuto all’architetto invece il merito, del tutto personale, di aver articolato con

lucida, razionale capacità di strutturalista le varie parti dell’edificio e la loro reciproca

connessione, e soprattutto di aver individuato i percorsi ottimali per le comunicazioni

interne, a seconda del loro scopo.

Se lo scalone d’onore doveva servire a sottolineare la pompa ‘ufficiale’ dell’andare e venire

dei membri della famiglia dentro e fuori la loro nobile dimora, la “scala a chiocciola

segreta” (ricavata con accortezza presso l’angolo di sud-est dell’originario primo nucleo

edilizio costruito) (tav. VIII) consentiva invece spostamenti destinati a rimanere sconosciuti

e comunque privati, vie di fuga avventurose da uscite appartate, attraverso usciolini

che si aprivano, dissimulati, nell’“orto” posteriore o nel cortile della stalla. Consentiva,

quella “scala segreta” che collegava in verticale tutti i piani, anche di rimanere nascosti

per qualche tempo, in attesa di qualche scampato pericolo, in stanzini abilmente ricavati,

fra un piano e l’altro, entro l’intercapedine intermedia dei passaggi, ad ogni piano, fra

una stanza e l’altra. Tale scala però, durante il tempo, fu usata per le visite tra familiari

nella vita quotidiana o come sistema di comunicazione usuale fra i vari appartamenti del

palazzo.

Essa prendeva luce, con gli stanzini nascosti, da piccoli oblò aperti sul fronte posteriore

dell’edificio, accortamente dissimulati entro finte finestre simmetriche alle altre 75 .

Un uso più pratico e promiscuo, anche per la servitù, aveva invece il corridoio ricavato, al

piano terreno, lungo la parete sinistra dello scalone, che metteva in comunicazione l’ingresso

con il cortile laterale della stalla, sulla destra della parte monumentale.

I servizi di cucina, il deposito di cibarie e di legna, l’uso dei cavalli e delle carrozze, il guardaroba

erano in comune, dislocati nelle aree laterali.

Le vicende della costruzione fino al 1774

Nel 1760, un anno dopo la morte di Raffaello Ulivi e una diecina di anni dopo l’inizio della

nuova “fabbrica”, era stata realizzata una considerevole parte dell’edificio progettato, che era

anche quella di maggior impegno economico e di più alta qualità artistica nella decorazione

degli interni.

Il palazzo era arrivato al completamento del secondo piano; erano stati allestiti, con lo scalone

d’onore, gli appartamenti del primo e del secondo piano sia dal lato dell’“orto” che della

strada; mancavano comunque le rifiniture ai vani del piano terreno – gli ultimi nell’elenco

28. Cornicione di sottogronda al secondo piano in facciata di

palazzo de’ Rossi, particolare con fe stone classico.

29. Cornicione di sottogronda al secondo piano in facciata di

palazzo de’ Rossi, particolare con campitura ‘a scartocci’.

27. Palazzo del Comune, Cappella di Sant’Agata, altare.

Andrea Vaccà, 1700-1705.

If the grand staircase was intended to emphasize the “official” pomp of the coming and going of

members of the family in and out of their noble residence, the “secret spiral staircase” (skillfully

installed in the southeast corner of the original nucleus of the building) (pl. VIII) allowed them to

move around without notice and in any case in a private manner, taking adventurous escape routes

though secluded exits, concealed little doors that opened onto the orto at the rear or the stable

yard. That “secret stair” linking all the floors vertically also made it possible to remain hidden for

a while, waiting for some danger to pass, in small rooms cleverly created between one floor and

the next, in the intermediate hollow space of the passageways leading, on each floor, from one

room to the next. But this staircase, over time, came to be used for visits by family members on a

daily basis or as the usual means of movement between the building’s various apartments.

It was illuminated, along with the concealed rooms, by small round openings in the back of

the building, cleverly disguised inside fake windows symmetrical with the others. 75

The corridor running along the left wall of the grand staircase on the ground floor was put to

more practical and common use, by the servants as well, linking the entrance with the stable

yard on the right-hand side of the monumental section.

The kitchens, the storerooms for food and firewood, the areas used for horses and carriages

and the linen room were shared and located at the sides of the building.

The Story of the Construction up until 1774

By 1760, a year after the death of Raffaello Ulivi and many years after the start of work on the

new building, a considerable part of the planned construction had been completed. It was

also the part that had required the greatest financial investment and in which artistic quality

of the interior decoration was highest.

The palazzo had arrived as far as the third floor; the apartments on the second and third floor on

both the side of the garden and of the street had been fitted out, along with the grand staircase;

30. Palazzo de’ Rossi, prospettiva dell’ornato cornicione di sottogronda al secondo piano in faccia ta. Su disegno di p. Raffaello Ulivi, 1748-1756.

52 53



31. Cortiletto, particolare decorativo del cornicione di

sottogronda, con festoni classici.

32. Cortiletto, cornicione di sottogronda, compositura

sormontata da testina femminile.

Nella pagina a fianco

33. Veduta laterale del cortiletto sulla destra del palazzo.

delle priorità – che erano ancora al grezzo. Anche il settore a destra, della stalla con la rimessa

delle carrozze, sui due lati di un cortile che sarebbe stato lastricato, doveva essere ancora

al grezzo. Mancava l’ingresso monumentale e dovevano essere ancora scavate le cantine 76 .

Il principale committente, Vincenzo dei Rossi, aveva una gran fretta di far terminare la parte

abitabile del palazzo. Vi dovevano risiedere lo zio, il canonico Francesco Maria (che sarebbe

morto nel 1761), i fratelli di Vincenzo, il canonico Giovan Battista (1728-1775) 77 e Girolamo

Alessandro (1734-1799) 78 e anche lui stesso con la moglie Giulia Nencini, che nel frattempo gli

aveva dato due figli maschi: il primogenito Tommaso – il nostro memorialista – nato nel 1750 79 ,

e il secondogenito Giulio, nato nel 1754 80 . Il terzogenito, Francesco, non era ancora arrivato 81 .

Si prospettava quindi la necessità di avere a disposizione prima possibile e completamente

sistemati i “quartieri” necessari, di cui i migliori erano considerati, per la luminosità e la salubrità

dell’aria, quelli esposti ad oriente, sul lato posteriore.

Vincenzo aveva riservato per sé e il suo nucleo familiare l’appartamento più pregevole, quello

ubicato al primo piano est. Questa scelta avrebbe fatto sì che nel tempo si attuasse un

progressivo ampliamento degli ambienti annessi a quel “quartiere”, che si estesero fino alla

testata minore sud della proprietà e portarono a sopraelevazioni nella zona della stalla e poi

della rimessa delle carrozze con soprastante fienile, e anche si prolungarono più tardi in senso

opposto, fino al salotto della “Musica” 82 .

Nel 1760 risultava aggiunta a tale unità abitativa una “galleria”, salone di rappresentanza dai

molti usi, che probabilmente era anche destinato ad accogliere oggetti d’arte 83 .

La “galleria bassa”, come la chiamava il canonico Tommaso 84 , non poteva che essere stata

allora impostata sul sottostante volume della stalla (attigua in basso sulla destra, al piano terreno),

con un arrangiamento non canonico, che senza dubbio presentava qualche svantaggio,

per la presenza così vicina dei cavalli e per gli effluvi dello stallatico. Tale situazione avrebbe

condotto ben presto ad un primo trasferimento della stalla stessa 85 .

Su questa “galleria” ne era stata impostata un’altra, al secondo piano, annessa al relatihowever

the rooms on the ground floor—the last on the list of priorities—were still in a rough

state, lacking the finishing touches. The section on the right, that of the stable and carriage

house, on each side of a courtyard that was yet to be paved, must also have been left in the

rough. The monumental entrance had not yet been built and the cellars were still to be dug. 76

The main client, Vincenzo dei Rossi, was in a hurry to get the habitable part of the building

finished. Its residents were supposed to be his uncle, Canon Francesco Maria (who died in

1761), Vincenzo’s brothers, Canon Giovan Battista (1728-75) 77 and Girolamo Alessandro (1734-

99) 78 and himself and his wife Giulia Nencini, who in the meantime had given birth to two

sons: the elder Tommaso—our memorialist—in 1750, 79 and the younger, Giulio, in 1754. 80 The

third-born, Francesco, had not yet arrived. 81

So the need was felt to get the required “quarters” completely ready and fit for habitation as

soon as possible. The best of these were considered, for the light and the salubrity of the air,

to be the ones with an eastern exposure, at the rear.

Vincenzo had reserved the best apartment, located on the east side of the second floor, for

himself and his immediate family. This choice would lead over time to a progressive expansion

of the spaces annexed to that quartiere, as Tommaso calls the apartment, which extended as

far as the southern end of the property, with the addition of extra stories in the area of the

stable and then the carriage house with a hayloft on top, and later in the opposite direction

too, as far as the drawing room decorated with a personification of Music. 82

In 1760 a “gallery” appears to have been added to this apartment: a reception room with

many uses, it was probably also intended to house objects of art. 83

The “lower gallery,” as Canon Tommaso called it, 84 could only have been built on top of

the volume of the stable (adjoining the ground floor on the right), in an unconventional

arrangement that had some undoubted disadvantages, owing to the presence of the horses

so close by and the smell of the stable manure. This situation would soon lead to the first

transfer of the stable. 85

54 55



34. Palazzo de’ Rossi, primo piano, ala est, tracce

recuperate di sovrapporta con ‘Paesino’, databile al 1750-

1760.

vo appartamento orientale, chiamata dal canonico Tommaso “galleria alta” 86 .

Dal lato opposto, prospiciente sulla strada, non era stato realizzato per il momento nulla di simile.

Nonostante i lavori in corso e il continuo andirivieni degli operai del cantiere, allora in piena

attività, Vincenzo aveva fatto ornare di stucchi e pitture gli ambienti più importanti del

“quartiere” riservato a sé, alla moglie ed ai figli ancora piccoli al “piano nobile”, e quelli dei

due appartamenti destinati in futuro, al secondo piano, ai due figli Tommaso e Giulio (figg.

34-37), nonché il soffitto dello scalone d’onore.

Raffaello Ulivi gli aveva procurato i più accreditati ed apprezzati decoratori e pittori allora

sulla piazza, da lui ben conosciuti perché all’opera anche in altre “fabbriche” erette sotto la

sua direzione.

Particolare cura era stata messa nel rifinire ed adornare di finissimi stucchi, in stile tardobarocco/rococò,

la volta superiore dello scalone, ad opera del luganese Tommaso Cremona,

giovane artista molto quotato 87 ; al pittore fiorentino Vincenzo Meucci (1694-1766) 88 era stato

dato l’incarico di affrescare, entro un mistilineo medaglione al centro della volta sopra la

doppia rampa che conduceva al secondo piano, probabilmente un’allegoria che celebrava le

fortune della famiglia 89 (fig. 22).

Anche i tre appartamenti sopra indicati, al primo e al secondo piano, erano stati ornati di stucchi

e anche dei dipinti dell’allora ricercato pittore pistoiese Ippolito Matteini (1720-1796) 90 .

È di nuovo la nostra fonte, il canonico Tommaso, ad indicare con precisione dove quelle pitture,

attualmente scomparse, si trovassero 91 . Nell’appartamento dei genitori, al piano nobile, era

stato affrescato il salone o “galleria” 92 ; al secondo piano, nel “quartiere” est destinato a Tommaso

come primogenito, per il quale si prospettava un precoce ingresso nello stato ecclesiastico 93 , Ippolito

Matteini aveva dipinto sia la “galleria” che la camera da letto 94 . In quest’ultimo ambiente

erano state raffigurate, nella più austera tecnica del monocromo, allora molto apprezzata, Storie

della Sacra Scrittura 95 ad affresco. Sullo stesso piano, nel “quartiere” ovest che sarebbe stato del

secondogenito Giulio, anch’esso promesso alla carriera ecclesiastica 96 , le Storie della Sacra Scrit-

35. Palazzo de’ Rossi, primo piano, ala est, stanza con

sovrapporta e ‘Paesino’ recuperato.

36. Palazzo de’ Rossi, secondo piano, ala ovest, sovrapporta

con ‘Paesino’ incorniciato in stucco, databile al 1750-1760.

37. Altra sovrapporta allo stesso piano, con ‘Paesino’

incorniciato in stucco, databile al 1750-1760.

On top of this “gallery” had been set another, on the third floor, attached to the eastern

apartment and called the “upper gallery” by Canon Tommaso. 86

For the moment nothing of the kind had been built on the opposite side, facing onto the street.

Despite the work under way and the continual coming and going of workers on the construction

site, in full swing at the time, Vincenzo had the more important rooms of the “quarters”

reserved for himself, his wife and his still young children on the piano nobile and those of the

two apartments on the third floor destined for his sons Tommaso and Giulio in the future,

as well as the ceiling of the grand staircase, adorned with stuccoes and paintings (figs. 34-37).

Raffaello Ulivi had got hold of the most reliable and highly regarded decorators and painters

in the business, well known to him because they were also at work on other buildings erected

under his supervision.

Particular care had been taken over the finishing and decoration of the upper vault of the

grand staircase with elegant stuccoes, still in late-baroque style, by Tommaso Cremona, a

young and highly rated artist from Lugano. 87 The Florentine painter Vincenzo Meucci (1694-

1766) 88 had been given the job of frescoing, inside a mixtilinear medallion at the center of

the vault above the double flight leading to the third floor, what was probably an allegory

celebrating the fortunes of the family (fig. 22). 89

The three apartments mentioned above, on the second and third floor, had also been adorned

with stuccoes and with paintings by the then sought-after Pistoian artist Ippolito Matteini

(1720-96). 90

Once again it is our source, Canon Tommaso, who indicates with precision where those now

vanished paintings were located. 91 In his parents’ apartment, on the second floor, the salone

or “gallery” had been frescoed; 92 on the third floor, in the eastern “quarters” set aside for the

older Tommaso, who was destined for an early entry into the Church, 93 Ippolito Matteini

had painted both the “gallery” and the bedroom. 94 Scenes from the Holy Scriptures had been

frescoed in the latter, using the more austere technique of monochrome, highly valued at the

56 57



38. Pistoia, palazzo Forteguerri in via Ricciardetto, salone,

particolare della decorazione dipinta per una porta, con

finto fastigio di coronamento di tipo classico. Ippolito

Matteini, 1764-1767.

tura a monocromo erano state dipinte nella camera da letto con la particolare tecnica della stesura

dei soggetti raffigurati su tela, poi applicata sul muro mediante una cornice fissa dorata 97 .

Altre opere, tuttora conservatesi in palazzi, ville, chiese e oratori di Pistoia e territorio, possono

suggerire l’effetto ricco e solenne di questi ambienti, decorati secondo una sintassi classicheggiante

di riferimento ‘antico’, che era propria dell’abile “quadraturista” e “figurista”

Ippolito Matteini allora nella sua piena maturità artistica 98 (figg. 38-40).

Il canonico Tommaso nulla riferisce circa la presenza di analoghi ornamenti nell’appartamento

al primo piano prospiciente la strada, che spettava al fratello di suo padre Vincenzo, il canonico

Giovanni Battista. Ciò sta ad indicare in primo luogo che la decorazione interna di ogni “quartiere”

era di competenza di ciascuno dei detentori (e dunque ne rifletteva gusti e cultura), in

secondo luogo che molto probabilmente costui non l’aveva ancora fatto entro il 1760, dato lo

stato dei lavori. Peraltro, poco dopo il tempo in cui i membri della famiglia Rossi, nel settembre

1774, erano potuti entrare ad abitare nel loro palazzo (dopo la ripresa della costruzione di

esso pochi mesi prima) 99 , il canonico Giovan Battista era morto. Non sappiamo comunque se

allora il suo appartamento di due stanze più servizi avesse già ricevuto quegli adornamenti di

stucchi e pitture che lo avrebbero reso abitabile per l’altro fratello che gli subentrò, Girolamo

Alessandro 100 .

La storia delle sedimentazioni pittoriche in palazzo de’ Rossi dipende da questi avvicendamenti;

con l’andar del tempo i diversi membri del casato ebbero modo, ciascuno nella sua

residenza entro il nobile edificio, di sostituire o sovrapporre, talvolta, veri e propri palinsesti

pittorici e decorativi 101 . Questo serve a spiegare la (già da qualcuno avvertita) 102 disparità di

orientamenti di gusto e di interessi artistici fra le mura di tale importante testimonianza

dell’architettura tardo-settecentesca a Pistoia.

All’inizio del 1774 l’architetto e pittore-decoratore Francesco Maria Beneforti ricevette l’incarico,

da parte di Giulia Nencini, la madre del canonico Tommaso, di “rivedere e riscontrare

i disegni vecchi della fabbrica”, di fare “un disegno per il terreno e suo ingresso” e “il disegno

per la porta principale”, con “il disegno per la loggia a terreno con le sue rispettive elevazioni”

e “altro disegno per tirar su sopra la loggia un tamburlano a matton sopr’alto per cavarci tutti

i comodi necessari”, con eventuali varianti 103 (figg. 41-45, 47-51).

Il 29 maggio di quell’anno l’architetto veniva saldato per il suo avere 104 ; i compiti di proseguire

la costruzione erano stati affidati ai maestri luganesi specializzati Luigi Malfanti e suo zio

Antonio 105 .

La zona dell’ingresso monumentale era di cruciale importanza per il completamento del palazzo

così come esso è arrivato fino a noi (fig. 46). Ad un’analisi strutturale risulta la stretta connessione

del grande accesso all’edificio con le sottostanti fondamenta e con il soprastante salone d’onore a

doppio volume, con cui si completava anche la facciata. Tutto era stato pensato insieme.

Le fondamenta, massicce e scavate in profondità, seguivano un tracciato che contemporaneamente

disegnava nel sottosuolo la disposizione delle future cantine 106 .

Al piano terreno il nobile atrio centrale era formato in modo da fornire i necessari elementi

di rinfianco e di controspinta, sui due lati maggiori dell’area rettangolare, al grave peso

dell’erigendo soprastante salone a doppio volume e dei sovrapposti ambienti del terzo piano.

Sulle due testate minori di tale area sopperiva alle necessità statiche il già costruito: a destra

il blocco residenziale del nuovo edificio; a sinistra la “casa vecchia al Canto de’ Rossi”.

Le due strutture che completano il vano d’ingresso – detto “terreno”, coperto con volta “alla volterrana”

107 – avevano funzioni diverse e diversa conformazione architettonica, ma un uguale ruolo

nel compensare le spinte laterali che dall’alto avrebbero gravato sulle muraglie d’imposta. Si tratta

di due costruzioni tripartite, coperte a volta come a formare ciascuna un insieme resistente.

La prima di esse, oggi con volta a botte sopra il passaggio centrale, ma originariamente a

crociera come le volte sui due vani laterali, componeva il “ricetto”, all’entrata dalla strada,

fiancheggiato da due stanzette (adibite nel tempo a scopi diversi) 108 ; la seconda era stata concepita

come un loggiato interno a tre luci con volte a crociera, in comunicazione con l’area

esterna retrostante dell’“orto” 109 .

40. Palazzo Forteguerri, finto medaglione con bassorilievo

a trompe l’oeil al di sotto dell’imposta della volta, con la

scena dell’Introduzione entro le mura di Troia del cavallo

lasciato dai Greci. Ippolito Matteini, 1764-1767.

39. Palazzo Forteguerri, salone, decorazione parietale

affrescata a finta architettura, con le figure a trompe l’oeil

della statua di Atena con ara antistante, fiancheggiata da

tripode e anfora per liba gioni. Ippolito Matteini, 1764-

1767.

time. 95 On the same floor, in the western “quarters” intended for the younger son Giulio, also

pledged for an ecclesiastical career, 96 monochrome Scenes from the Holy Scriptures had been

painted in the bedroom by the distinctive technique of depicting the subjects on canvas and

then applying them to the wall with a fixed gilded frame. 97

Other works that can still be seen in the townhouses, villas, churches and oratories of Pistoia

and its environs can give an idea of the rich and majestic effect of these spaces, decorated in

a classicizing style based on “antiquity” that was typical of the skilled trompe-l’oeil and figure

painter Ippolito Matteini, then at the height of his artistic maturity (figs. 38-40). 98

Canon Tommaso says nothing about the presence of similar ornaments in the second-floor

apartment facing onto the street, which belonged to the brother of his father Vincenzo, Canon

Giovanni Battista. This suggests in the first place that the interior decoration of each part of

the building was left up to its owner (and so reflected his tastes and culture), and secondly

that it had very probably not yet been done in 1760, given the state of the work. However, it

was not long after the time, in September 1774, when the members of the Rossi family had

been able to move into their residence (after the resumption of its construction a few months

earlier), 99 that the canon Giovan Battista died. But we do not know whether his apartment of

two rooms plus amenities had already received the decoration of stuccoes and paintings that

would make it habitable for the other brother who took it over, Girolamo Alessandro. 100

The history of the layers of decoration in Palazzo de’ Rossi is shaped by these successions.

With the passing of time different members of the family had the opportunity, each in his

own quarters in the building, to replace or sometimes superimpose genuine palimpsests

of painting and decoration. 101 This serves to explain the disparity (to which attention has

already been drawn) 102 of taste and artistic interests inside this important example of late

18th-century architecture in Pistoia.

At the beginning of 1774 Giulia Nencini, Canon Tommaso’s mother, gave the architect and

painter-decorator Francesco Maria Beneforti the job of “reexamining and comparing the old

plans of the building,” making “a plan for the site and its entrance” and “the design for the

main door,” with “the design for the loggia on the ground floor with its respective elevations”

and “another plan for erecting on top of the loggia a brick drum in which to locate all the

necessary conveniences,” with any possible variations (figs. 41-45, 47-51). 103

On May 29 of that year the architect was paid what was due to him; 104 the task of continuing

the construction had been entrusted to the master masons from Lugano Luigi Malfanti and

his uncle Antonio. 105

The area of the monumental entrance was of crucial importance for the completion of the

Palazzo de’ Rossi we see today (fig. 46). A structural analysis reveals the close connection of

the large access to the building with the foundations beneath and with the double-height

main hall above, which also completed the façade. It had all had been conceived as one piece.

The deep and massive foundations were laid out according to a plan that at the same time

determined the arrangement of the underground cellars in the future. 106

The central entrance hall on the ground floor was formed in such a way as to provide the

support and counterthrust on both of the main sides of the rectangular area needed to

withstand the great weight of the double-height hall that was being erected on top and of the

rooms on the fourth floor above. On the two minor ends of this area the static requirements

were met by structures that already existed: the residential block of the new building on the

right; the “old house at the Canto de’ Rossi” on the left.

The two structures that complete the entrance area—called the terreno and covered with a volta alla

volterrana 107 —had different functions and a different architectural configuration, but the same role in

counterbalancing the lateral thrusts that would have discharged onto the impost walls from above.

They are both tripartite constructions, roofed with vaults so that each forms a resistant whole.

The first of them, with a tunnel vault over the central passageway and cross vaults above the

two spaces at the sides, made up the ricetto or “shelter” at the point of entry from the street,

flanked by two small rooms (used for different purposes over time); 108 the second had been

58 59



41. Palazzo de’ Rossi, veduta assiale dell’atrio d’ingresso,

prima dell’intervento restaurativo.

Né pare un caso che in questa fase edilizia sopra quel loggiato fossero stati realizzati ambienti

provvisori: sostituiti già nel corso del 1774-1775 da un “salotto” al primo piano est, con

altro uguale sovrapposto, al secondo 110 . Sopra il vano del “terreno” centrale, sempre nella zona

dell’ingresso, era stato innalzato intanto uno “stanzone per i fascini” e altra legna, di servizio

alla cucina, attigua sulla sinistra, ricavata nella “casa vecchia” 111 .

Il peso esercitato in verticale da questi volumi edificati era destinato infatti a compensare lo

squilibrio dinamico che l’imposta della grande volta del salone avrebbe prodotto – quando

fosse stato costruito – soprattutto sul lato dove non esistevano altri rinfianchi.

L’insieme funzionava (così come tuttora funziona), come una straordinaria, occulta ‘macchina’

continuamente attiva, dal sottosuolo al tetto, per garantire l’equilibrio statico di questa

porzione del palazzo.

Con lo stesso criterio funziona l’altro ‘congegno’, composto dalle interazioni fra spinte e

controspinte nei sistemi di copertura e nelle muraglie, nel lotto edilizio residenziale: che

consente l’imposta dell’ampio verone, sopra i tetti del terzo piano, al di sopra del grande vano

dello scalone d’onore 112 . Rivelando un’uguale concezione riguardo ai modi di procedere per

assicurare la statica della “fabbrica”.

Il compimento del palazzo

I lavori edilizi di completamento e le relative attività di addobbo decorativo all’interno sarebbero

proseguiti per un altro ventennio, dal 1774 al 1794. A quest’ultima data il palazzo

era stato sostanzialmente finito e coperto dai tetti, sopra i quali s’innalzava l’ampio verone a

vetrate, da cui la vista spaziava da ogni parte sulla città (tav. IXa, b, c, p. 47).

Il canonico Tommaso, come al solito, descrisse minutamente ogni intervento nel suo Taccuino,

anche se qualche notizia egli volle inserire nell’ampia cronaca dei tempi suoi redatta in tre

libri 113 fino alla morte, avvenuta nel 1817.

Fino al termine degli anni Ottanta del Settecento risulta il padre Vincenzo colui che teneva le

fila delle varie attività per sistemare gli ambienti incompleti o di cui cambiava intanto l’utilizzo.

Resa completamente funzionale, nel 1775, l’ala di servizio con stalla e deposito delle carrozze

con soprastante fienile, disposti sui due lati in angolo di un cortile lastricato con pozzo, Vincenzo

negli anni seguenti aveva fatto completare le stanze al piano terreno, prospicienti sia

sulla via che sul retro del palazzo 114 .

Dopo la vendita da parte degli eredi nel 1778 dell’altro palazzo dei Rossi “alle Stinche”, in

seguito alla morte nel 1777 degli zii paterni (l’abate Filippo Possente e Pietro Iacopo, che vi

abitavano e ivi custodivano l’archivio e la biblioteca di famiglia) 115 , Vincenzo aveva provveduto

a sistemare lo “scrittoio” e la raccolta di libri e filze nelle due stanze al piano terreno le cui

finestre prospettavano sulla strada 116 .

Fra il 1775 e il 1780 lo stesso capomaestro che dirigeva i lavori edilizi, Luigi Malfanti, aveva

eseguito la decorazione ancora mancante della zona d’ingresso e delle due prime branche

dello scalone, in stucco imitante incrostazioni in marmo 117 : segnando così la distanza ormai

evidente fra quei semplificati decori rispetto alla ricchezza tardo-barocca degli stucchi realizzati

entro il 1760 da Tommaso Cremona nella volta al di sopra dello scalone, al secondo piano.

In previsione di una divisione patrimoniale fra Vincenzo e suo fratello Girolamo, poi avvenuta

il 14 agosto 1780 118 , Luigi Malfanti fu incaricato, il 5 giugno di quell’anno, di stilare una

relazione descrittiva sullo stato del palazzo e sul suo valore 119 .

Una nuova relazione, sostanzialmente alla fine dei lavori di completamento della “fabbrica”,

era stata redatta in termini più sintetici ma precisi dallo stesso Luigi Malfanti il 20 maggio

1794, su richiesta del canonico Tommaso dei Rossi 120 .

Dal confronto fra le due descrizioni è possibile misurare il procedere delle attività del cantiere.

Nel 1794 erano state rifinite anche sei cantine nel sottosuolo, con una “coppaia” e una

“dispensa” 121 . Per assicurare un comodo accesso alle botti ivi alloggiate, nell’ottobre di

quell’anno sarebbe stata costruita una lunga rampa con cordonato che dal cortile della stal-

42. Veduta dell’atrio verso l’arcata di accesso all’area

esterna sul retro del palazzo de’ Rossi, prima del restauro.

conceived as an internal portico with three bays covered with cross vaults, connected with

the external area of the orto at the back. 109

Nor does it seem to be an accident that in this phase of the construction temporary rooms

had been built on top of that portico: over the course of 1774-75 they had already been

replaced by a “drawing room” on the second floor in the east, with an identical one above it,

on the third. 110 In the meantime, and still in the area of the entrance, a “room for faggots”

had been erected above the space of the central terreno. It was used to store firewood for the

kitchen, adjoining it on the left and located in the “old house.” 111

The weight exerted vertically by these volumes was in fact destined to compensate for the

dynamic imbalance that the impost of the hall’s large vault would have produced—when it

would be built—especially on the side where there were no other supports.

The whole thing functioned (as it still functions) as an extraordinary, hidden “machine,”

working continually, from the basement to the roof, to ensure the static balance of this

portion of the building.

The same principle holds with the other “mechanism,” consisting of the interactions between

thrusts and counterthrusts in the roofing systems and in the walls, on the residential building

lot: it is that made it possible to locate the ample balcony on top of the fourth-floor roofs,

above the large well of the grand staircase. 112 This reflects a similar conception with regard to

the modes of ensuring the statics of the construction.

The Completion of the Palazzo

The work of completion and the related activity of decoration of the interior would continue

for another twenty years, from 1774 to 1794. By the latter date the buildings was substantially

finished and had been covered with its roofs, above which stood the large glazed balcony,

offering views of the city on every side (pls. IXa, b, c, p. 47).

Canon Tommaso, as was his wont, described each intervention in detail in his Taccuino,

although he chose to insert some information in the extensive chronicle of the times compiled

in three books 113 up until his death in 1817.

Until the end of the 1780s his father Vincenzo was the one in charge of doing up the rooms

that were incomplete or whose use had been changed. With the service wing with the stable

and the carriage house and hayloft, arranged on two adjoining sides of a paved courtyard

containing a well, rendered completely functional by 1775, Vincenzo had concentrated over

the following years on completing the rooms on the ground floor, both the ones facing onto

the street and the ones at the rear. 114

After the sale of the Rossi’s other residence, the “Casa alle Stinche,” by the heirs in 1778

following the death in 1777 of his paternal uncles (Abbé Filippo Possente and Pietro Iacopo,

who lived in it and kept the family archives and library there), 115 Vincenzo had had the scrittoio

or “study” and the collection of books and files transferred to the two rooms on the ground

floor whose windows faced onto the street. 116

Between 1775 and 1780 the same master mason who was supervising the construction work,

Luigi Malfanti, had executed the decoration still missing from the area of the entrance and

the two first flights of the staircase, with mock marble inlays made of stucco: 117 the distance

between those simplified decorations and the late-baroque opulence of the stuccoes made

by Tommaso Cremona prior to 1760 on the vault above the staircase, on the third floor, is by

now evident.

In anticipation of a division of the estate between Vincenzo and his brother Girolamo, which

would take place on August 14, 1780, 118 Luigi Malfanti was asked, on June 5 of that year, to

draw up a report on the state of the building and its value. 119

A new report, with the work of completion of the building essentially at an end, had been

drawn up in more concise but still precise terms by Luigi Malfanti on May 20, 1794, at the

request of Canon Tommaso dei Rossi. 120

43. Veduta in diagonale dell’atrio d’ingresso, prima

dell’intervento di restauro.

44. Veduta in diagonale opposta dell’atrio d’ingresso,

prima dell’intervento di restauro.

45. Veduta dell’atrio verso il portale di accesso da via dei

Rossi, prima del restauro.

60 61



47. Facciata del palazzo de’ Rossi, finestra al piano terreno, a destra del portale, su

disegno di Fran cesco Maria Beneforti, 1774, a imitazione delle preesistenti, uguali

finestre al piano terreno sulla destra, eseguite su disegno dell’architetto Raffaello Ulivi,

1748-1756.

48. Disegno di finestra per il piano terreno in facciata del palazzo de’ Rossi, attribuibile

a Raffaello Ulivi, per la presenza della doppia variante del coronamento (Biblioteca

Comunale Forteguerriana, Archivio dei Rossi, 14, cc. 347v, 381r). Tale disegno fu

conservato per servire come modello delle finestre al piano terreno nel posteriore

completamento della zona d’ingresso, disegnate da France sco Maria Beneforti nel 1774.

49. Particolare della

giunzione tra il fastigio

lapideo del portale e la

finestra soprastante al primo

piano. In origine lo spazio

vuoto entro il frontone

spezzato era occupato dallo

stemma in pietra dei Rossi,

tolto dopo il 1850.

50. Palazzo de’ Rossi,

facciata, particolare del

portale monumentale di

accesso fiancheggiato da due

finestre al piano terreno,

su disegno dell’architetto

Francesco Maria Beneforti,

1774.

51. Portale di accesso in

facciata, veduta frontale, con

soluzione di collegamento

con la finestra sovrastante, al

primo piano.

46. Sistemazione attuale dell’area centrale dell’atrio, con gruppo in bronzo

dipinto, intitolato Oltre maniera, di Roberto Barni, 2009.

62 63



la scendeva fino al grande vano sotterraneo sul quale si affacciavano le porte delle cantine 122 .

Nello scavo di questi depositi erano emersi antichi muraglioni e strutture edificate – interpretate

allora come resti di vetuste fortificazioni – peraltro già messe in luce durante l’imposta

delle fondamenta (all’inizio del 1750) della parte residenziale del palazzo, la prima costruita 123 .

Questi rinvenimenti, insieme con quelli di “anticaglie” durante la realizzazione del palazzo,

attestavano la suggestiva presenza di un’ampia area di “vissuto” che dall’epoca imperiale romana

giungeva fino al primo Medioevo 124 .

Al piano terreno, nel 1794 risultava del tutto completato l’ingresso monumentale, ma le due

stanzette accanto al “ricetto” erano state adibite a più decorose funzioni rispetto a quelle iniziali

125 . Dal loggiato interno a tre arcate si accedeva all’“orto” retrostante, nel frattempo munito

di ben tre pozzi e convenientemente sgomberato da ogni residuo edilizio. La costruzione della

loggia come parte della struttura architettonica dell’ingresso serviva a creare un particolare effetto

scenografico e assicurava l’illuminazione giusta al grande ambiente d’accesso al palazzo 126 .

I due “quartieri” al piano terreno erano stati sistemati. In previsione del compimento della

maggiore età da parte del terzogenito Francesco 127 , il padre Vincenzo aveva fatto rifinire nel 1781

le due stanze più servizio sul lato di levante, destinate al figlio minore, e dipingerne le pareti nel

1782 dal pittore pistoiese Luigi Rafanelli (1742-1798) “con riquadri e piccole cose nei ripieni” 128 .

Nel 1788 Vincenzo aveva fatto decorare dallo stesso artista la prima stanza a destra rispetto

all’ingresso nel blocco residenziale del palazzo, al pianterreno verso la strada, allora adibita

ad ambiente di ricevimento dell’altro figlio, il canonico Giulio, nominato vicario ecclesiastico

dal vescovo riformatore Scipione de’ Ricci (1780-1791) 129 .

In conseguenza di questo nuovo utilizzo, l’archivio di famiglia era stato concentrato nell’altra

stanza sullo stesso lato, che aveva ricevuto un accesso autonomo 130 . Nel 1791 anche questo vano,

trasferito ulteriormente lo “scrittoio”, era passato nella disponibilità del canonico Giulio 131 .

Nell’ala situata a destra della porzione monumentale della nobile residenza, quella del cortile

interno con pozzo, stalla e deposito delle carrozze con soprastante fienile, era iniziato l’am-

pliamento delle sopraelevazioni richieste dai proprietari dell’appartamento principale. Essi

già entro il 1760 avevano fatto costruire sopra il volume della stalla la “galleria”, che aggiungeva

decoro al “quartiere” di levante al primo piano 132 .

Questo risultava composto, nel 1794, “di numero cinque stanze, e due piccoli stanzini con

luogo comune, tutte coperte di volta reale, ornate di stucchi e pitture, con due camminetti

alla francese, che uno di marmo e l’altro di stucco” 133 (figg. 52 a, b, c). Già in precedenza vi si

erano aggiunti sul lato settentrionale un nuovo “salotto” munito di caminetto in marmo e,

sulla testata opposta, a sud, una nuova camera da letto ricavata in angolo, con attiguo stanzino

per la “toilette”, realizzati riportando al piano dell’appartamento il sottostante livello del

fienile su cui poggiavano tali ambienti 134 .

Nel 1794, dopo la morte dei genitori, vi abitava il terzogenito Francesco, che presto si era rivelato

l’elemento propulsivo per l’attuazione di consistenti modifiche e cambiamenti nell’assetto

delle unità abitative del palazzo, e che anche nei decenni seguenti avrebbe atteso alle

trasformazioni e alle nuove decorazioni pittoriche di alcune di quelle stanze, in uno stile classicheggiante

più semplificato, spazzando via ogni residuo degli ornamenti tardo-barocchi 135 .

Gli appartamenti di Girolamo Alessandro e del canonico Giulio, rispettivamente al primo

e al secondo piano sul lato occidentale del palazzo, rimanevano intanto uguali, con la loro

decorazione in stile barocchetto, ancor oggi visibile in alcuni sovrapporta con “paesini” incorniciati

da volute in stucco 136 .

Ma l’evento architettonicamente più rilevante era stato quello della costruzione, per volontà

del canonico Tommaso 137 , del salone “magnifico” a doppio volume, dall’acustica perfetta 138 ,

adatto a feste e ricevimenti, e del contemporaneo completamento del terzo piano con soprastante

verone 139 (figg. 56-62, tav. IX, p. 47).

Dopo la morte del padre Vincenzo, avvenuta nel 1790, il canonico Tommaso aveva ereditato

una porzione consistente del patrimonio (che pure formalmente restava indiviso) e poteva

anche avvalersi dei cespiti derivanti dai diritti del “maggiorasco” 140 .

A comparison of the two descriptions makes it possible to gauge the progress of the

construction work.

In 1794 six cellars in the basement had been finished, with a “store for oil jars” and a “larder.” 121

To ensure easy access for the barrels kept in it, a long graded ramp would be built in October

of that year, running from the courtyard of the stable down to the large underground space

onto which the cellar doors opened. 122

The excavation of these storerooms had brought to light ancient walls and other structures—

seen at the time as the remains of old fortifications—that had already emerged during the

laying of the foundations (at the beginning of 1750) of the residential part of the building, the

first to have been constructed. 123 These finds, along with those of “old curiosities” during the

construction of the palazzo, attested to the presence of a large area of “habitation” stretching

from the time of the Roman empire until the early Middle Ages. 124

On the ground floor, the monumental entrance was completely finished by 1794, but the two small

rooms next to the ricetto had been adapted for more decorous uses than the initial ones. 125 The

internal portico with three arches provided access to the orto at the back, which in the meantime

had been provided with three wells and cleared of any remnants of buildings. The construction of

the loggia as part of the architectural structure of the entrance served to create a particular scenic

effect and ensured the right illumination for the large space of access to the building. 126

The two apartments on the ground floor had been completed. In 1781, in anticipation of the

coming of age of the youngest son Francesco, 127 his father Vincenzo had had the finishing touches

given to the two rooms and a bathroom on the east side intended for him, and the walls painted in

1782 by the Pistoian artist Luigi Rafanelli (1742-98) “with panels and small things in the fillings.” 128

In 1788 Vincenzo had the same artist decorate the first room on the right of the entrance to

the residential block of the building, facing onto the street on the ground floor, used at the

time as the reception room of the other son, Canon Giulio, appointed ecclesiastic vicar by

the Reformist bishop Scipione de’ Ricci (1780-91). 129

As a consequence of this new use, the family archives had been confined to the other room

on the same side, which had been given an independent entrance. 130 In 1791 this room too was

handed over to Canon Giulio, and the study transferred elsewhere. 131

In the wing on the right of the monumental section of the residence, that of the internal

courtyard with its well, stable and carriage house with hayloft, work had begun on enlargement

of the additional stories requested by the owners of the main apartment. By 1760 they had

already had the “gallery” built above the volume of the stable, adding a touch of grandeur to

the eastern “quarters” on the second floor. 132

These were composed, in 1794, “of five rooms in number, and two small rooms with luogo

comune, all covered with volte reali, adorned with stuccoes and paintings, with two fireplaces

in the French manner, one of marble and the other of stucco” (fig. 52 a, b, c). 133 A new “drawing

room” with a marble fireplace had already been added on the northern side and, at the opposite,

southern end, a new bedroom located in the corner, with an adjoining small room for toilette.

Both were created by bringing the level of the hayloft on which the rooms rested to the same

height as the apartment. 134

In 1794, after the death of his parents, the apartment was occupied by the youngest son

Francesco, who soon proved to be the driving force behind the implementation of subsequent

alterations and changes in the organization of the building’s apartments, and who in the

following decades would attend to the transformation and new pictorial decoration of some

of those rooms, in a more simplified classical style, sweeping away every trace of late-baroque

ornamentation. 135

Meanwhile, the decoration in a late-baroque style of the apartments of Girolamo Alessandro

and Canon Giulio, on the western side of the building, on the second and third floor

respectively, remained unaltered. It can still be seen today in some of the panels above the

doors with rustic scenes framed by stucco volutes. 136

But the most architecturally significant event had been the construction, at the bidding of

64 65



a

Poteva dunque permettersi questa impresa, nella quale avrebbe lasciato testimonianza del

suo culto per il prestigio e il decoro della famiglia, che doveva tradursi in omogeneità complessiva

della nobile residenza in cui i Rossi abitavano 141 .

La costruzione del salone a doppio volume, impostato al di sopra dell’ingresso monumentale

e iniziato il 29 aprile 1793 142 , era stata preceduta dai contatti, nel settembre dell’anno prima,

con “il celebre ingegnere signore Salvadore Piccioli di Pistoia, ed abitante per la professione

a Firenze” 143 ma anche dal carteggio intercorso dal 20 agosto 1792 al 9 aprile 1793 144 fra il canonico

Tommaso e lo stesso capomaestro Luigi Malfanti che era stato già incaricato nel 1774

della ripresa dei lavori al palazzo de’ Rossi.

Era necessario ricorrere ad un accreditato professionista ed esperto in scienza delle costruzioni,

com’era ritenuto allora Salvadore Piccioli 145 , gravitante verso la cultura accademica

leopoldina, per poter affrontare i problemi statici che la realizzazione del salone avrebbe

comportato; ma l’“ingegnere” non si mostrò interessato a soddisfare le aspettative del committente,

che desiderava partecipare di persona all’elaborazione del progetto di completamento

146 .

Costruire il salone era soprattutto un problema strutturale; il canonico Tommaso lo considerava

invece come il maggior ornamento della dimora del suo casato.

Per costruire il salone doveva esser tenuto conto non solo delle relative misure 147 , ma specialmente

di quanto vi si trovava sotto (l’ampio vano dell’ingresso) e di quanto doveva andarvi

sopra (l’altrettanto grande ambiente del guardaroba, col relativo peso del tetto), e insieme dei

vani che avrebbero completato il terzo piano con i suoi tre diversi livelli. Era infatti un problema

di equilibrio statico, di compensazione di forze contrastanti che s’imponevano sulle

strutture di sostegno.

È lo stesso canonico Tommaso a rivelare quali siano stati gli accorgimenti per garantire la stabilità

dell’insieme. Tuttavia, in modo significativo, ne scrive non a proposito, appunto, della

volta del salone (in tal caso avrebbe dimostrato di averne colto il rapporto di necessità strut-

b

52. Caminetti con incorniciatura marmorea decorata, fine Settecento-primi decenni dell’Ottocento, esistenti in palazzo de’ Rossi e attualmente collocati in ubicazione non originaria, dopo i

restauri: a) caminetto con frontale ornato da tralcio di fiori di tipo ‘rinascimentale’ e relativi particolari; b) caminetto a incorniciatu ra lineare; c) caminetto in stile classicheggiante con colonnine

ioniche.

c

Canon Tommaso, 137 of the “magnificent” double-height hall with perfect acoustics, 138 suitable

for balls and receptions, and the contemporary completion of the fourth floor with a balcony

on top (figs. 56-62, pl. IX, p. 47). 139

After the death of his father Vincenzo, in 1790, Canon Tommaso had inherited a substantial

portion of the estate (although it formally remained undivided) and was also entitled to the

income deriving from the “majorat,” or right of primogeniture. 140

So he could afford this undertaking, in which he would leave a mark of his devotion to

the prestige and the reputation of the family, which were to find expression in the overall

homogeneity of the noble building in which the Rossi resided. 141

The construction of the double-height hall, set on top of the monumental entrance and

begun on April 29, 1793, 142 had been preceded by contacts, in September of the previous year,

with “the renowned engineer Signore Salvadore Piccioli of Pistoia, resident for his profession

in Florence,” 143 as well as by an exchange of letters from August 20, 1792, to April 9, 1793, 144

between the canon Tommaso and the master builder Luigi Malfanti, who had already been

charged in 1774 with the resumption of the work on Palazzo de’ Rossi.

It was necessary to turn to a reliable professional and expert on the science of construction, as

Salvadore Piccioli was considered at the time to be, 145 moving within the orbit of Leopoldine

academic culture, in order to tackle the structural questions that the construction of the hall

would have entailed. But the “engineer” showed no interest in meeting the expectations of

the client, who wanted to be personally involved in drawing up the plans of completion. 146

Building the hall was above all a structural problem; but Canon Tommaso considered it the

greatest ornament of the residence of his family.

To construct the hall it was necessary to take account not just of its measurements, 147 but also and in

particular what was located underneath (the large space of the entrance) and what would go on top

(the equally large space of the wardrobe, with the weight of the roof), as well as the rooms that would

complete the fourth floor with its three different levels. It was in fact a problem of static equilibrium,

66 67



vante dall’intersezione in diagonale di due quadrati, quasi segno misteriosofico di perfezione.

Il quadrato è, nella fascia sopra la corsia, l’elemento centrale di ciascuna parete e serve da cornice

per paesaggi ‘alla classica’; le scansioni laterali, di tipo architettonico, formano incorniciature

rettangolari alle coppie di porte poste alle estremità di ogni lato. Un analogo sistema

ornamentale, giocato questa volta sul rettangolo, scandisce la parte, sottostante al ballatoio,

di ciascuna parete; il rettangolo centrale di ognuna era riservato ad un paesaggio affrescato

entro il campo, recuperato durante l’ultimo restauro. Nel muro di fronte alla controfacciata

l’asse centrale era qualificato da una nicchia – oggi sostituita da un’ulteriore, inutile apertura

mediana – destinata ad ospitare una statua 155 .

In alto al centro sopra il ballatoio, sulla medesima parete rimane – anch’essa restaurata di recente

156 – quella testa “all’eroica” di Grandonio che il canonico Tommaso vi aveva voluto come

rievocazione dei fasti antichi della sua famiglia (fig. 8).

Sobriamente disposti entro il rigoroso ordine delle campiture, non mancano nel vasto ambiente

di rappresentanza i consueti decori in quello stile classico-antiquario che precede il

vero e proprio stile neoclassico, che si andava elaborando da qualche tempo, con ricchezza

di riferimenti eruditi, nelle lussuose sedi granducali fiorentine, nelle corti, nelle regge, nei

principali palazzi in Italia.

Del pittore Luigi Rafanelli Francesco Tolomei scriveva nel 1821 – nel repertorio di artisti

pistoiesi degni di memoria che correda la sua Guida del forestiero dedicata a Pistoia – che era

“mediocre pittor di paesi, ma bravo per gli ornamenti, e per l’imitazione al naturale dei marmi

colorati” 157 .

Scomparse le pitture ornamentali da lui eseguite nelle stanze al pianterreno del palazzo de’

Rossi, commissionategli dal padre di Tommaso, Vincenzo, negli anni Ottanta del secolo

XVIII, restano di questo artista pistoiese i dipinti del salone nel medesimo palazzo.

Si apprezza in esso, più che la qualità effettiva della pittura, la sobria regìa ‘antichizzante’

degli elementi decorativi, volutamente senza lo sfarzo immaginativo del tardo-barocco, i cui

Nella pagina a fianco

53. Palazzo de’ Rossi, fronte posteriore, finestra al primo

piano, con incorniciatura lapidea più sem plificata rispetto

alla tipologia delle finestre in facciata.

54. Palazzo de’ Rossi, fronte posteriore, finestra

quadrangolare al secondo piano, con tipologia più

semplificata rispetto alle analoghe finestre in facciata.

55. Palazzo de’ Rossi, fronte posteriore, finestra

quadrangolare al terzo piano, con incorniciatura più

semplificata rispetto alle analoghe finestre in facciata.

In basso

56. Palazzo de’ Rossi, salone d’onore, paricolare di

riquadro con paesaggio, al di sopra del ballatoio. Luigi

Rafanelli, 1974. Stato prima del restauro.

turale), ma piuttosto della “guardarobba nuova” che vi era stata costruita sopra: come se i dati

forniti fossero un di più, fatto conoscere come qualcosa che arricchiva la ‘difficoltà’ e la rarità

della “fabbrica”, con i suoi nascondigli e i suoi occulti congegni. La nostra fonte così scrive:

“Terminata la scala si trova un nuovo guardaroba a tetto, che è sopra la volta della sala, e nel

centro di essa vi fu fatto un foro per tenere una lumiera in sala 148 . Sopra la volta reale della

sala, per non aggravare nel pareggiare, e fare il mattonato, vi furono fatte tante volterrane nei

rinfianchi, e fu lasciato in un rinfianco una buca fra le due volte reale e volterrana per servire

di nascondiglio. In guardaroba vi furono fatte tre finestre, che una alta, che guarda il levante,

e due basse a tramontana, e vi sono due uscetti per entrare sopra le soffitte. Fra la volta reale,

e la volterrana della sala, vi sono due lunghe, e grosse catene di ferro perché non sfianchi la

volta reale col muro scoperto verso tramontana” 149 .

Contestualmente, il canonico non mancava di magnificare i cornicioni e le finestre, con le

mostre uguali a quelle del primo impianto 150 . Per l’esecuzione fedele di quei modelli egli disponeva

addirittura del prezzario fornito dalle maestranze di scalpellini dell’impresa Malfanti,

in cui le finestre più importanti, quelle del piano nobile, avevano un costo maggiore

rispetto alle altre del secondo e del terzo piano 151 (figg. 53-55).

Il canonico Tommaso si curò soprattutto dell’adornamento pittorico della grande sala e della

sua volta, eseguito fra il gennaio e l’ottobre del 1794 dallo stesso pittore Luigi Rafanelli (figg.

56-58, 61, 62) che aveva lavorato negli anni Ottanta alla decorazione degli appartamenti al piano

terreno del palazzo 152 . Tommaso seguì anche la laboriosa esecuzione della già neoclassica

ringhiera in ferro lavorata “da Giovan Battista Betti fabbro di Pistoia”, su disegno dell’ingegnere

Salvadore Piccioli, terminata solo nel 1801 153 . Tale parapetto serviva per il ballatoio in

quota che percorreva le quattro pareti del salone ed era comunicante con il salotto realizzato

sull’angolo di nord-est al secondo piano e con il pianerottolo d’arrivo dello scalone, mediante

accessi simmetrici 154 .

Al culmine della volta è dipinto un classico rosone inserito entro una stella a otto punte, deriof

counterbalancing the opposing forces that were imposed on the supporting structures.

It is Canon Tommaso himself who reveals the measures taken to guarantee the stability of the

whole. It is significant, however, that he does so in connection not with the vault of the hall (in

which case he would have shown that he had grasped their structural necessity), but with the

“new wardrobe” that had been built on top of it: as if the information provided were an extra,

mentioned because it was something that increased the “difficulty” and rarity of the construction,

with its hiding places and concealed mechanisms. This is what our source has to say:

“With the staircase finished a new wardrobe has been located on the roof, that is above the

vault of the hall, and a hole was made in the center of it to hold a chandelier in the hall. 148

Above the volta reale of the hall, so as not to increase the weight in the balance, and to lay

the brick floor, many volterrane were made in the supports, and a hole was left in one support

between the volta reale and the volterrana for use as a hiding place. In the wardrobe three

windows were made, one high one, looking east, and two low ones facing west, and there are

two small doors leading to the attics. Between the volta reale and the volterrana of the hall

there are two long and thick iron chains to stop the volta reale from breaking through the

exposed west-facing wall.” 149

At the same time, the canon did not fail to praise the moldings and the windows, with

framings similar to those of the first structure. 150 For the faithful execution of those models

he was even supplied with a price list by the stonecutters of Malfanti’s concern, in which the

more important windows, those of the piano nobile, had a greater cost than the ones on the

third and fourth floor (figs. 53-55). 151

In particular Canon Tommaso supervised the painted decoration of the large hall and its

vault, executed between January and October of 1794 by the same Luigi Rafanelli (figs.

56-58, 61, 62) who had worked in the eighties on the decoration of the apartments on the

ground floor. 152 Tommaso also oversaw the laborious execution of the railing wrought in iron

in an already neoclassical style “by Giovan Battista Betti, blacksmith of Pistoia,” to a design by

68 69



57. Salone d’onore, particolare

della volta e della sua decorazione

pittorica, dipinta tra 1793 e 1794.

58. Salone d’onore, veduta della

volta e del ballatoio, in quota,

dopo il restauro.

59. Salone d’onore, veduta della

volta.

60. Salone d’onore, veduta

dell’allestimento come sala per

concerti e riunioni, dopo il restauro.

71



61. Salone, parete nord in basso, finto quadro con Paesaggio

e antiche costruzioni. Luigi Rafanelli, 1794. Recuperato

nell’ultimo restauro.

62. Salone, parete sud in basso, finto quadro con Rovine

classiche entro paesaggio. Luigi Rafanelli, 1794. Recuperato

nell’ultimo restauro.

effetti principali nascevano da una figuratività soverchiante. La volta e le pareti non sono

negate da “sfondati” e vertiginose prospettive dal sotto in su, ma ricondotte alle rispettive

dimensioni e alla concreta realtà della loro struttura.

Era il punto di svolta, anche a Pistoia, della cultura artistica di pittori, “ornatisti” e illustri

committenti: dal periodo del riformismo leopoldino e dell’episcopato di Scipione de’ Ricci

si richiedeva all’arte, piuttosto che travolgenti effetti scenografici e sfoggio di bravura prospettica,

un linguaggio chiaro e didascalico, improntato ad istanze razionali e morali, e un

impianto decorativo e figurativo al servizio dei contenuti da comunicare: mediante forme

depurate, un linearismo nitido combinato con effetti di luminosità diffusa, un colorismo raffinato

e attenuato fino a raggiungere spesso il monocromo.

Nelle commissioni artistiche dell’epoca si preferiva ingaggiare, insieme a qualche pittore attivo

nelle imprese granducali fiorentine, “giovani alle prime armi” 158 : per dare ai migliori di essi

occasione di distinguersi, ma anche per ottenere risultati graditi risparmiando le grosse cifre

che si dovevano per compensare l’opera degli artisti migliori e più richiesti 159 .

Ma Luigi Rafanelli non era un pittore “ornatista” agli esordi quando, nel 1794, fu richiamato

a decorare il salone d’onore del palazzo de’ Rossi.

La sua attività è documentata già nel 1763, nel palazzo di città dei Puccini 160 .

Prima della commissione per ornare il salone d’onore del palazzo de’ Rossi, nel 1794, egli

aveva partecipato anche, nel 1789-1790, alla decorazione pittorica degli ambienti del nuovo

palazzo vescovile di Scipione de’ Ricci 161 , dov’era all’opera anche il nuovo pittore emergente,

il pratese Luigi Catani (1762-1840) 162 , assai apprezzato poi dal granduca Ferdinando III 163 .

Catani era molto ricercato in ambienti culturalmente avanzati ed era ben conosciuto dal

direttore della Galleria degli Uffizi, Tommaso Puccini 164 : che l’avrebbe voluto all’opera anche

nel palazzo di città della sua famiglia, senza riuscirci a causa dei molti impegni del pittore 165 .

Luigi Rafanelli nella sua tarda attività era sicuramente entrato a far parte di quegli artisti che

gravitavano verso lo stile del Catani, a Pistoia e in Diocesi. Era presente, fra 1797 e 1798, insie-

the engineer Salvadore Piccioli, which was not finished until 1801. 153 This barrier was mounted

on the raised gallery that ran along all four walls of the hall and was connected with the

drawing room located on the northeast corner of the third floor and with the landing of the

staircase, by symmetrical routes. 154

At the top of the vault is painted a classical ceiling rose set inside an octagram or eight-pointed

star, formed by the diagonal intersection of two squares, almost an occult symbol of perfection.

In the band above the gallery, the square is the central element of each wall and serves as

a frame for landscapes “in the classical manner.” The lateral divisions, of an architectural

character, form rectangular frames for the pairs of doors located at the ends on each side. A

similar ornamental system, based this time on the rectangle, characterizes the part of each

wall underneath; the central rectangle on each side was reserved for a frescoed landscape,

brought back to light during the last restoration. On the wall opposite the counter-façade

the central axis was marked by a niche—today replaced by another, unnecessary opening—

intended to house a statue. 155

In the middle of the same wall, at the top, above the gallery, can still be seen—it too has

recently been restored 156 —that “heroic” head of Grandonio which Canon Tommaso had had

placed there as a reminder of the past glories of his family (fig. 8).

Also to be found in the large reception room, soberly arranged within the rigorous order of

the panels, are the customary decorations in the classical-antiquarian style that preceded the

true neoclassical style, something which had been evolving for some time, with a wealth of

erudite references, in the luxurious residences of the grand dukes of Florence, as well as at

the courts, royal palaces and principal townhouses of Italy.

In 1821 Francesco Tolomei wrote—in the list of Pistoian artists worthy of memory that he

included in his “Foreigner’s Guide” to Pistoia—of the artist Luigi Rafanelli that he was a

“mediocre painter of landscapes, but good at ornaments, and at the lifelike imitation of

colored marble.” 157

Now that the ornamental paintings he made in the rooms on the ground floor of the Palazzo de’

Rossi, commissioned from him by Tommaso’s father Vincenzo in the 1780s, have vanished, all

that remains of the work of this Pistoian artist are the paintings in the hall of the same building.

What can be appreciated in them, more than the actual quality of the painting, is the

sober and “classical” handling of the decorative elements, deliberately refraining from

the imaginative ostentation of the late baroque, whose main effects stemmed from an

overpowering figuration. The ceiling and the walls are not “broken through” by trompes-l’oeil

and vertiginous sotto in su perspectives, but brought back to their respective dimensions and

the concrete reality of their structure.

It was a turning point, in Pistoia too, in the artistic culture of painters, “ornamentalists”

and their illustrious clients: from the time of the Leopoldine reforms and the episcopate of

Scipione de’ Ricci it was no longer

overwhelming scenic effects and a display of virtuoso perspective that were expected from

art, but a clear and didactic language, rooted in rational and moral ideas, and a decorative

and figurative structure at the service of the message to be communicated: through purified

forms, a lucid linearity combined with effects of diffused luminosity and a refined and

subdued coloring often verging on monochrome.

The artistic commissions of the period showed a preference for engaging, alongside painters

who had been active in the enterprises of the grand dukes of Tuscany, “inexperienced

youngsters”: 158 to give the best of them an opportunity to distinguish themselves, but also to

obtain satisfactory results without having to spend the large sums that were required to pay

for the work of the best and most sought-after artists. 159

But Luigi Rafanelli was not an “ornamental” painter at the start of his career when he was

hired, in 1794, to decorate the main hall of Palazzo de’ Rossi.

He had begun his activity back in 1763, working in the townhouse of the Puccini family. 160

Before the commission to adorn the main hall of Palazzo de’ Rossi, in 1794, he had also taken

72 73



me col Catani, in palazzo Vaj a Prato 166 . Molto probabilmente si dovette riferire a quest’ultimo

(le cui competenze si estendevano allora anche a generi decorativi quali le “etruscherie” e

le “grottesche”) 167 , il figlio di Luigi Rafanelli, Filippo, artista pressoché sconosciuto, anch’egli

attivo in palazzo de’ Rossi sul finire del Settecento ed all’aprirsi dell’“età nuova” 168 , ma di cui

non conosco per il momento opere sicuramente attribuibili.

Sono attestati ancora nel pistoiese palazzo de’ Rossi pittori “ornatisti” quali Giuseppe Brizzi

(1734-1801) 169 e Luigi Cheli detto “Marzocco”, di cui è menzione fino al quarto decennio

dell’Ottocento almeno 170 .

L’ambito è sempre quello della cultura di riferimento granducale, trasmessa soprattutto dai

Puccini e dalla loro cerchia, a Pistoia. Ne furono importante occasione di coagulo, tra la fine

del Settecento ed i primi decenni dell’Ottocento, la ristrutturazione del Teatro dei Risvegliati,

la riconfigurazione della villa pucciniana di Scornio e la sistemazione urbanistica di piazza

San Francesco: ne fu protagonista l’architetto Cosimo Rossi Melocchi (1758-1820), protetto

da Tommaso Puccini e dalla famiglia di quest’ultimo 171 .

Giuseppe Brizzi – ingaggiato per decorare ambienti in palazzo de’ Rossi dal canonico Tommaso

172 – aveva qualità di scenografo teatrale e si era distinto nel 1789 e nel 1791 per gli allestimenti

eretti in piazza San Francesco per le rappresentazioni del Bajazet e della Despina. Nel

primo di essi la scena rappresentava la città di Ancira “in Galazia”, “arricchita di fabbriche di

greca architettura con colonne, statue e obelischi” 173 . Era stato maestro di disegno e ornato

nella prima formazione pistoiese di Cosimo Rossi Melocchi e nel 1796 si era fatto avanti a

proporre sue idee per la nuova decorazione di scenari e interni del Teatro dei Risvegliati, ristrutturato

su progetto assegnato allo stesso architetto Cosimo Rossi Melocchi da una commissione

di Accademici di cui allora faceva parte Francesco dei Rossi, fratello del canonico

Tommaso 174 .

Luigi Cheli, pittore gradito alla cerchia pucciniana e in seguito collaboratore di Luigi Catani

175 , era stato chiamato da Tommaso dei Rossi già nel 1794 a finire l’ornato di due stanze

TAVOLA IX

a. Restituzione grafica della facciata di

palazzo de’ Rossi. Studio arch. Adolfo

Natalini e Associa ti.

b. Restituzione grafica del fronte posteriore

del palazzo. Studio arch. Adolfo Natalini e

Associati.

c. Rendering computerizzato del totale

del fronte posteriore. Studio arch. Adolfo

Natalini e As sociati.

part, in 1789-90, in the pictorial decoration of the rooms of Bishop Scipione de’ Ricci’s new

palace, 161 where the up-and-coming new painter, Luigi Catani from Prato (1762-1840), 162 who

would later earn the regard of Grand Duke Ferdinand III, was also at work. 163 Catani was

much sought-after in culturally advanced circles and was well known to the then director

of the Galleria degli Uffizi, Tommaso Puccini, 164 who also wanted him to work in the his

family’s townhouse, but was unable to persuade him to do so owing to the painter’s many

commitments. 165

In the latter part of his career Luigi Rafanelli certainly became one of the artists in Pistoia and

its diocese who were drawn toward Catani’s style. He worked, between 1797 and 1798, with

Catani in Palazzo Vaj at Prato. 166 It is very likely that the latter (whose skills also extended to

decorative genres like etruscherie and “grotesques”) 167 was the son of Luigi Rafanelli, Filippo,

an almost unknown artist who was also active in Palazzo de’ Rossi toward the end of the 18th

century and at the beginning of the “new era,” 168 but for the moment I am unaware of any

works that can be reliably attributed to him.

Also active in the Pistoian Palazzo de’ Rossi were “ornamentalist” painters like Giuseppe

Brizzi (1734-1801) 169 and Luigi Cheli called “Marzocco,” who is mentioned in the documents

up until the 1830s at least. 170

The milieu was still that of grand ducal culture, introduced to Pistoia chiefly by the Puccini

and their circle. Important opportunities for the gelling of this culture were provided,

between the end of the 18th century and the early decades of the 19th, by the renovation

of the Teatro dei Risvegliati, the reconfiguration of the Puccini’s Villa di Scornio and the

rearrangement of Piazza San Francesco to plans drawn up by the architect Cosimo Rossi

Melocchi (1758-1820), a protégé of Tommaso Puccini and his family. 171

Giuseppe Brizzi—engaged to decorate rooms in Palazzo de’ Rossi by Canon Tommaso 172 —was

a talented set designer and had distinguished himself in 1789 and 1791 with the scenery put up in

Piazza San Francesco for the performances of Bajazet and Despina. In the first of these the scene

74 75



del suo appartamento al terzo piano dal lato di levante, commissionato nel 1790 a Giuseppe

Brizzi e da costui interrotto; di nuovo era venuto nel 1799, su richiesta dello stesso Tommaso,

per decorare una stanzetta nella “casa vecchia” e a dipingere infissi e un piccolo ambiente nel

medesimo appartamento di Tommaso al terzo piano del palazzo 176 .

Tommaso riferisce anche che nello stesso anno 1799 Luigi Cheli era stato incaricato dal canonico

Giulio di dipingere nel “quartiere” che allora stava ristrutturando, al primo piano

verso ponente. Qui il committente aveva fatto togliere le precedenti decorazioni in stucco,

“cosicché nella fine di maggio 1799 si vidde liscio in tutte le muraglie, che poi fece dipingere

da Luigi Cheli detto Marzocco di Pistoia [...]” 177 .

Attualmente nella prima stanza, originariamente d’ingresso, di questo “quartiere” si vedono

sulle pareti finti quadri con paesaggi toscani, fittamente distribuiti (figg. 63-68). Rinvenuti,

sotto forma di pallide tracce pittoriche, sotto l’intonaco durante i saggi compiuti in occasione

dell’ultimo restauro, i dipinti risultano integrati, tanto che non è possibile accertare se la

loro non eccelsa e discontinua qualità sia dovuta soltanto all’originario artista. In ogni caso,

quelle pitture (che oggi interferiscono troppo pesantemente e con effetto di disturbo visivo

sulla qualità ambientale della stanza, nobilitata nel 1828 dal dipinto di Nicola Monti sul soffitto

e dai vistosi decori d’incorniciatura realizzati allora da Ferdinando Marini) 178 sono diverse

da quelle che conosciamo di Luigi Cheli, dal linguaggio artistico colto e ‘antiquario’ attestato

sia nella villa pucciniana di Scornio, sia – a quanto credo – nei più tardi monocromi lasciati

nel palazzo Rossi-Cassigoli di Pistoia 179 .

Costituisce un problema ulteriore il rinvenimento, nei saggi esplorativi compiuti sulla parete

est della stessa stanza, a sinistra entrando dal salone, di un ampio “quadro” con paesaggio la

cui parte inferiore risultava interrotta dal profilo di una porta tamponata: dove attualmente

è stato posto il portellone di sicurezza anti-panico che immette sul pianerottolo del primo

piano dello scalone. Ciò indica con chiarezza che quando fu realizzata la decorazione a finti

quadri l’originaria porta di accesso al “quartiere” dal medesimo pianerottolo fu murata e

63. Veduta della stanza attigua al salone sul lato sinistro

guardando alla controfacciata, decorata con finti quadri

campestri e montani, al primo piano ovest (attuale foyer in

occasione di concerti musi cali); durante l’ultimo restauro.

64. Ivi, particolare con finto quadro con Paesaggio toscano;

dopo il restauro.

represented the city of Ancyra “in Galatia,” “embellished with works of Greek architecture

with columns, statues and obelisks.” 173 He had taught Cosimo Rossi Melocchi drawing and

ornamentation during the early stages of his training in Pistoia and in 1796 had come forward

with his ideas for new scenery and the decoration of interiors of the Teatro dei Risvegliati,

renovated to a design supplied to the architect Cosimo Rossi Melocchi by a commission of

members of the academy that also included Francesco dei Rossi, Canon Tommaso’s brother. 174

Luigi Cheli, a painter favored by the circle of the Puccini family and later an assistant of

Luigi Catani, 175 had been already been hired by Tommaso dei Rossi in 1794 to finish the

ornamentation of two rooms in his apartment on the eastern side of the fourth floor,

commissioned from Giuseppe Brizzi in 1790 and left incomplete; he was back in 1799, at the

request of Tommaso again, to decorate a small room in the “old house” and paint fixtures and

another small room in that apartment of Tommaso’s on the fourth floor of the building. 176

Tommaso also states that in the same year of 1799 Luigi Cheli had been commissioned by Canon

Giulio to paint in the “quarters” that he was renovating on the western side of the second floor. Here

the client had had the previous stucco decorations removed, “so that at the end of May 1799 all the

walls were smooth, and he then had them painted by Luigi Cheli called Marzocco of Pistoia [...].” 177

At present in the first room, originally the entrance, of this quartiere the walls are thickly

covered with mock pictures of Tuscan landscapes (figs. 63-68). Found in the form of faint

traces of paint under the plaster when samples were taken during the most recent restoration,

the pictures seem to have been retouched, so that it is not possible to tell whether their not

particularly high and uneven quality is due solely to the original artist. In any case, those

paintings (which today clash too heavily with the décor of the room, ennobled in 1828 by

Nicola Monti’s painting on the ceiling and the conspicuous ornamental framing created at

the time by Ferdinando Marini) 178 are different from the ones by Luigi Cheli, in a cultured

and “antiquarian” style, that we know of from the Puccini’s Villa di Scornio, as well—in my

view—as from the later monochromes in Palazzo Rossi-Cassigoli in Pistoia. 179

A further problem arises from the discovery, in the exploratory samples taken in the east wall of

the same room, on the left as you enter from the hall, of a large “picture” of a landscape whose

lower part had been cut off by the profile of a door that has been walled up: in the place where the

emergency exit with a panic bar leading onto the second-floor landing of the staircase has been

located. This indicates clearly that when the decoration with mock pictures was executed the

original door providing access to the apartment from the same landing had already been walled

up and the plaster of that wall had been painted over; but it also indicates that there must have

been another entrance on the second floor; and finally it tells us that the old door must have been

reopened later, cutting into the painted surface, and then walled up yet again, at an unknown date.

However, it was not possible to have had a different entrance to the apartment on the second

floor from the west side until the main hall had been completed, between 1793 and 1794; and it

must have been Luigi Rafanelli who decorated it in a sober antiquarian style, also making use

of panels at the center of the walls, where landscapes were painted. In 1793 there were six doors

providing access to the large space, arranged symmetrically: two on the south side, two on the

east side and two on the north side (the latter connecting it with the “old house” where the

services and servants’ quarters were located). Of the two doors on the southern side, the one on

the left, looking from the inside, served as the entrance from the staircase; the one on the right

led directly, just as it does today, into the first of the two rooms that once formed the lodgings

of Girolamo Alessandro and then, from 1799, of Canon Giulio. So it is possible that the latter

preferred (we do not know for how long) to have the entrance to his small apartment located

in the hall, eliminating the original one: as if he wished to take advantage of the splendid

impression created by the imposing setting to dignify his own home. This could have been a

plausible motive for his decision to fresco the entranceway with “pictures” of landscapes like

the ones that decorated the walls of the hall. However, in this way Canon Giulio established a

right of passage and use that the other members of the family had to take into account.

This may have been a good reason for the reinstatement, later on, without giving up

76 77



sull’intonaco di quel muro fu pitturato sopra; ma indica anche che allora dovette essere possibile

disporre di un’altra porta d’ingresso, al primo piano; e infine segnala che più tardi la

vecchia porta dovette essere riaperta, andando ad incidere sulla superficie dipinta, e poi di

nuovo murata, in un tempo imprecisato.

Non fu possibile comunque avere a disposizione un diverso ingresso all’appartamento al primo

piano dal lato di ponente se non quando il salone d’onore non fu completato, fra 1793

e 1794: ed era stato Luigi Rafanelli a decorarlo in sobrio stile antichizzante, che si avvaleva

anche di riquadri al centro delle pareti, dove figuravano paesaggi. Nel 1793 sei erano le porte

di accesso all’ampio ambiente, in posizione simmetrica: due sul lato sud, due sul lato est, due

sul lato nord (queste ultime lo collegavano con la “casa vecchia” per i servizi e l’alloggio della

servitù). Delle due porte sul lato meridionale, quella di sinistra, guardando dall’interno, era

d’ingresso dallo scalone; quella di destra immetteva direttamente, come ancor oggi, nella

prima delle due stanze che formavano un tempo l’alloggio di Girolamo Alessandro e poi del

canonico Giulio, dal 1799. È possibile dunque che il secondo abbia preferito (non sappiamo

quanto a lungo) l’accesso dal salone al suo piccolo appartamento, eliminando quello originario:

come volendo giovarsi dell’impressione grandiosa che suscitava il solenne ambiente per

nobilitare anche la sua dimora. Questo potrebbe essere stato un motivo plausibile per decidere

di affrescarne il vano d’ingresso con “quadri” a “paesi” analoghi a quelli che decoravano

le pareti del salone. Tuttavia, così il canonico Giulio creava una servitù di passo e d’uso con

cui si dovevano misurare gli altri familiari.

Questo potrebbe essere stato un buon motivo per ripristinare, in seguito, senza rinunciare

all’accesso allo stesso illustre ambiente di ricevimento, l’originario ingresso dal pianerottolo

dello scalone: troppo comodo per la libertà di movimento di chi risiedeva nel “quartiere” e

per quella dei suoi ospiti.

TAVOLA X

Palazzo de’ Rossi, fronte posteriore, esterno. Posizione

della “specola” sul tetto del terzo pia no, realizzatoda

Francesco dei Rossi fra 1797 e 1798. Particolare della

ricostruzione grafica dello Studio arch. Adolfo Natalini e

Associati.

65. Ivi, altro particolare con finto quadro con Veduta campestre e ponticello; dopo il restauro.

66. Ivi, altro particolare con finto quadro con Panorama alpestre, con casa colonica prospiciente su torrente attraversato da un ponticello; dopo il

restauro.

67. Ivi, altro particolare con finto quadro con ampio Panorama su un fiume con cascatella; dopo il restauro.

68. Ivi, altro particolare con finto quadro con Paesaggio alpestre e piccolo borgo sulle pendici di un monte, sotto un cielo tempestoso; dopo il

restauro.

79



tore quando, ancor giovane, aveva preso a narrare la storia del suo palazzo e insieme quella

del suo casato.

A ben guardare, quando egli riferisce dell’iniziale fase costruttiva dell’edificio e della sua prima

prosecuzione nel 1774 e oltre, omette di informare come e quando gli “zii” Giovanni

Battista e, in seguito, Girolamo Alessandro avessero fatto adornare il “quartiere” ovest al

primo piano dove, uno dopo l’altro, abitavano. Eppure il piccolo appartamento era decorato,

quando nel 1799 il fratello di Tommaso, il canonico Giulio, aveva fatto rasare le pareti, per

rinnovarne gli ornati 187 . In questo caso, la mancanza di informazioni era quasi certamente dovuta

al fatto che i due “zii” non dovevano finanziare i decori del loro ambiente di vita a spese

del patrimonio comune, ma con i propri denari: tenendo conseguentemente presso di sé la

nota spese dei lavori effettuati, che non poteva competere all’autore del Taccuino, il quale non

ne venne perciò a conoscenza o volle addirittura omettere di farne menzione.

Probabilmente qualcosa di analogo era accaduto fra Tommaso e il fratello Francesco, facendo

intuire che la mancanza di comunicazione fra i due e forse certi dissapori nati anche dai diversi

caratteri abbiano impedito a Tommaso di aggiornare il suo Taccuino nel decennio 1802-

1812, per le spese compiute da Francesco in modo autonomo. Tommaso si sarebbe dunque

limitato, per le innovazioni dal 1800, a registrare quanto atteneva ai pagamenti da farsi con il

patrimonio personale o con le disponibilità economiche a comune 188 .

Fra le nuove iniziative era compresa la ristrutturazione dell’ampio ambiente dell’originaria

stalla, nel cortile al piano terreno. Ivi, fra il marzo del 1800 ed il luglio del 1801 era stata ricavata

un’altra unità abitativa di due stanze più servizi, dotati di acqua calda e fredda. Essa

poi era stata fatta dipingere da Filippo di Luigi Rafanelli 189 . Tale intervento presuppone già il

progetto della costruzione, altrove, di una nuova stalla, con i relativi annessi.

L’ingresso del mini-appartamento si apriva nell’“anditino”, in prossimità dell’inizio dello scalone,

sulla sinistra di esso 190 . Non pare vi fosse tuttavia una comunicazione diretta, interna,

fra i nuovi ambienti realizzati per Francesco e quelli attigui, a lui destinati all’inizio dal

Completamenti, aggiunte, pitture dell’“età nuova”

Dagli ultimi anni del Settecento le maggiori iniziative per cambiamenti e innovazioni furono

prese dal terzogenito di Vincenzo dei Rossi, Francesco. Divenuto cavaliere di Santo Stefano

molto giovane, si era dato in un primo tempo alla vita militare, che sarebbe proseguita

nell’“età delle rivoluzioni” 180 . Molto amante dell’equitazione e dei cavalli, sicuramente dilettante

di studi scientifici ed astronomici – com’era proprio in quel tempo degli intellettuali

‘progressisti’ – aveva sostanzialmente imposto agli altri fratelli, entrambi ecclesiastici, la realizzazione

dei propri desideri: una “cavallerizza” nell’inverno 1794-1795, entro l’area dell’“orto”,

evidentemente per esercitare nel dressing le sue cavalcature; una “specola”, nel novembre

1798, costruita sul tetto, al terzo piano, opportunamente servita dalla “scala a chiocciola segreta”

che fin là arrivava, e da un mini-appartamento ricavato nell’attiguo stanzone 181 .

Dagli anni 1794-1795 Francesco si era messo a ristrutturare radicalmente l’appartamento dei genitori,

che a lui era passato dopo la loro morte, facendo toglier via da ogni ambiente i vecchi stucchi

e le antiquate pitture 182 . In particolar modo si curò della sistemazione definitiva della nuova camera

realizzata in precedenza nell’angolo di sud-est, con annesso “stanzino della tualetta”, ivi facendo

porre semplici incorniciature a porte e finestre, “ad imitazione del marmo bianco venato di nero” 183 .

Suo fratello, il canonico Tommaso, implicitamente lasciava trasparire il fastidio per questa ininterrotta

serie di innovazioni, per il costo che comportava e anche per lo spreco di porte, infissi

di finestre, “bussole” e quanto altro, ancora in buono stato ma destinati ad essere sostituiti 184 .

Nel suo Taccuino egli annotò quanto Francesco aveva fatto realizzare fino al 1802, per poi riprendere

la registrazione delle notizie sul palazzo solo nel 1812, e subito dopo interromperle

definitivamente 185 .

La lacuna di un decennio nell’annotazione delle vicende della nobile residenza dei Rossi parrebbe

inspiegabile, anche perché Tommaso, fino al termine dell’esistenza nel 1817, continuò

la compilazione delle parallele memorie manoscritte sui tempi suoi 186 .

Tuttavia una spiegazione può dedursi dal precedente modo di procedere del nostro informaaccess

to the sumptuous reception room, of the original entrance from the landing of

the staircase: it was too convenient for the freedom of movement of the occupant of the

“quarters” and his guests.

Completions, Additions and Paintings of the “New Era”

From the closing years of the 18th century onward the main initiatives for change and

innovation came from Vincenzo dei Rossi’s youngest son, Francesco. Made a knight of Saint

Stephen at a very young age, he had initially devoted himself to a military career, which he

would return to in the “age of revolutions.” 180 A great lover of riding and horses and known

to have dabbled in scientific and astronomical studies, as was only fitting in that time of

“progressive” intellectuals, he had essentially imposed on his brothers, both clergymen, the

realization of his own desires: the layout of a “riding arena” in the winter of 1794-95 in the

area of the orto, evidently for the purpose of training his horse; and an “observatory,” built

on the roof in November 1798 and served by the “secret spiral staircase” that climbed to the

fourth floor, along with a mini-apartment created in the adjoining room. 181

In the years 1794-95 Francesco started to make radical alterations to his parents’ apartment,

which had passed to him after their death, stripping every room of the old stuccoes and

antiquated paintings. 182 He devoted particular care to the finishing of the new bedroom that

had previously been created on the southeast corner, with an attached “little room for toilette,”

having simple frames set around the doors and windows, “in imitation of white marble veined

with black.” 183

His brother, Canon Tommaso, let his annoyance at this uninterrupted series of innovations

show through, complaining of the cost they entailed and of the waste of doors, window

frames, “inner doors” and many other things that were still in a good state but were to be

replaced. 184

He noted what Francesco had had done up until 1802 in his Taccuino, and then only resumed

recording developments in the palazzo in 1812, before ceasing definitively soon afterward. 185

The gap of a decade in the account of the history of the noble residence of the Rossi family

might seem inexplicable, especially in view of the fact that Tommaso continued with the

compilation of the manuscript chronicles of his times until the end of his life in 1817. 186

Yet an explanation can be deduced from the approach to telling the story of his home and his

family that he had adopted at the outset, when still young.

On close examination, when referring to the initial phase in the construction of the building

and its first continuation in 1774 and afterward, he neglects to say how and when his “uncles”

Giovanni Battista and, later, Girolamo Alessandro had decorated the west “quarters” on

the second floor in which, one after the other, they lived. And yet the small apartment was

decorated at the time, in 1799, when Tommaso’s brother, Canon Giulio, had the walls stripped

in order to renew the ornamentation. 187 In this case, the lack of information was almost

certainly due to the fact that the two “uncles” did not have to draw on the family estate to

fund the decoration of their living quarters, but used their own money: as a result they kept

the records of expenditure for the works carried to themselves and the author of the Taccuino

either knew nothing about them or deliberately chose not to mention them.

It is likely that something similar had occurred between Tommaso and his brother Francesco,

hinting that the lack of communication between the two and perhaps certain disagreements

stemming in part from their different characters prevented Tommaso from keeping his

Taccuino up to date in the decade from 1802 to 1812 and recording the interventions paid

for by Francesco with his own money. Thus Tommaso limited himself, for the changes made

from 1800 onward, to noting down what was funded with the family’s shared assets. 188

One of the new initiatives was the renovation of the large space of what had originally been

the stable, in the courtyard on the ground floor. Between March 1800 and July 1801 this had

been turned into another apartment with two rooms plus services, supplied with hot and

80 81



padre Vincenzo: le due stanze al piano terreno sul lato di levante, collegate anch’esse con

l’“anditino” e anche con il corridoio di servizio per il cortile della stalla. Ciò significa che,

pur essendo una pertinenza potenzialmente in relazione col nuovo “quartiere”, queste ultime

mantenevano una loro autonomia, forse per una precisa funzione allora attribuita loro.

La scelta di Francesco di ‘valorizzare’ il vano della stalla (che per criteri di igienicità non poteva

restare nell’area abitativa del palazzo) era comunque razionale. Risultava un inutile spreco

di spazio lasciare quell’ampio ambiente privo di un opportuno utilizzo. Nel nuovo bi-locale

ricavato entro di esso, le “volte reali” preesistenti furono nascoste allora da due “volterrane”

ivi costruite al di sotto 191 . L’attuale copertura unica, su un unico ambiente, fa pensare ad un

ulteriore intervento di modifica, in tempi attualmente non determinabili, ma forse già nel

tardo Ottocento, in conseguenza di un diverso uso di tale vano.

Sul lato meridionale del cortile restava la vasta rimessa delle carrozze, il cui portone si apriva

sul retro rispetto alla via de’ Rossi. Essa fu mantenuta nella sua funzione originaria a lungo,

nel secolo XIX, dato che serviva – finché furono adoperate carrozze a cavalli – anche alla palazzina

ottocentesca dei Rossi-Magnani, attigua sulla destra. Questo edificio era stato costruito

su progetto di Alessandro Gherardesca, redatto nel 1828 per Girolamo Alessandro iunior

(1802-1872), il figlio di Francesco 192 , che insieme con la moglie Luisa Magnani ne avrebbe fatto

la propria abitazione familiare.

La ristrutturazione della ex-stalla, come premesso, faceva parte di un più ampio progetto di

riordino e razionalizzazione sia delle funzioni e necessità della stalla stessa, per la quale era

perciò opportuna una diversa sede, sia del resede di pertinenza del palazzo, sul retro di esso,

confinante con il “prato di San Iacopino”; ma era attuata anche in vista di un molto vicino

utilizzo della camera da letto riallestita al primo piano nell’angolo di sud-est, per il prossimo

matrimonio di Francesco.

Il nuovo fabbricato per la stalla, un annesso di due piani progettato dall’ingegnere Antonio

Gamberai 193 , era stato costruito fra il 1800 e il 1801 su un’area acquistata da parte di Francesco

dei Rossi dalla Comunità Civica 194 . Durante lo scavo delle fondamenta erano stati rivenuti

resti di antiche muraglie e “ossi di morto”, rivelando antichi livelli di vita urbana con utilizzo

dell’area, in epoca alto-medioevale, come coemeterium relativo alla chiesa di San Iacopo in

Castellare 195 .

Il riassetto dell’“orto” fu completato nel 1802, con la sua trasformazione in “giardinetto” 196 .

Sul lato orientale del recinto che correva sul perimetro venne collocata all’interno un’esedra

rivestita di “tufi”, di tipologia ancora chiaramente settecentesca (che ha il suo preciso modello

nell’allestimento per fontana con statua, di riferimento al tardo-barocco romano, per il

giardino di palazzo Ricci a Pescia) 197 entro la cui nicchia centrale fu in un primo tempo collocata

una statua di Mercurio, formata nella malta 198 (fig. 69), poi quella in terracotta dipinta di

Grandonio in veste di guerriero romano 199 (fig. 70).

Non dovette essere estraneo a quella sostituzione e a quell’allestimento il canonico Tommaso,

attento custode delle memorie e del prestigio del suo casato, e soprattutto da ritenersi

l’ideatore della veduta scenografica, d’infilata, che si poteva godere dalla strada principale, a

portone del palazzo aperto, guardando verso il “giardino” 200 .

La statua di Mercurio, di non eccezionale fattura 201 , fu collocata invece, con un acconcio basamento

neoclassico, al centro del pianerottolo fra il primo e il secondo piano dello scalone

d’onore, fra i due finestroni: a suggerire là, opportunamente, le prospere fortune della famiglia

202 (cfr. fig. 23).

Erano i primi anni delle conquiste napoleoniche. Il canonico Tommaso annotava, fra le sue

memorie, la coraggiosa iniziativa del direttore degli Uffizi Tommaso Puccini, che nell’anno

1800 aveva sottratto alla cupidigia dei francesi la maggior parte della preziosa collezione d’arte

accumulata dai Medici e dai Lorena a Firenze, trasportandola temporaneamente a Palermo 203 .

Francesco il 20 ottobre 1801 si era intanto sposato, a trentanove anni, con la nobile e molto

più giovane Laura Sozzifanti 204 .

È credibile che sia stato Francesco, in occasione delle nozze – come di solito succedeva per

cold water. It had then been painted by Filippo di Luigi Rafanelli. 189 This intervention already

presupposed a plan for the construction, elsewhere, of a new stable and its annexes.

The entrance of the mini-apartment was located in the small passage near the bottom of the

staircase, on its left. 190 However, there was no direct, internal communication between the

new rooms created for Francesco and the adjacent ones earmarked for him from the beginning

by his father Vincenzo: the two rooms on the east side of the ground floor, also linked with

the small passage and with the service corridor of the stable courtyard. This means that,

despite being potentially an appurtenance of the new “quarters,” these last maintained their

independence, perhaps because they were assigned a precise function at the time.

In any case Francesco’s decision to “improve” the stable (which for hygienic reasons had to

be moved out of the residential area of the building) was a rational one. It was a pointless

waste of space to leave that large structure without a suitable use. In the new two-room

apartment made out of it, the preexisting volte reali were concealed by two volterrane

constructed underneath them. 191 The present roofing, spanning a single space, suggests a

further alteration, at a time that cannot currently be determined, but perhaps as early as the

late 19th century, as a consequence of its being put to a different use.

The large carriage house still stood on the southern side of the courtyard, its doors opening

at the back of the building instead of onto Via de’ Rossi. It had retained its original function

for a long time in the 19th century, given that it also served—for as long as horse-drawn

carriages remained in use—the small 19th-century Palazzina Rossi-Magnani, adjoining it on

the right. This building had been constructed to a design by Alessandro Gherardesca, drawn

up in 1828 for Francesco’s son Girolamo Alessandro Junior (1802-72), 192 for use as his and his

wife Luisa Magnani’s family residence.

The renovation of the former stable, as has been said, was part of a broader plan of reorganization

and rationalization both of the functions and needs of the stable itself, for which a different

location was more suitable, and of the grounds at the rear of the building, bordering on the

“prato di San Iacopino”. But it was also carried out in view of an imminent use of the bedroom

located in the southeast corner of the second floor following Francesco’s marriage.

The new building for the stable, a two-story annex designed by the engineer Antonio

Gamberai, 193 had been constructed between 1800 and 1801 on a site acquired by Francesco

dei Rossi from the Civic Community. 194 During the digging of the foundations the remains of

ancient walls and “bones of the dead” had been found, revealing the existence of old levels of

urban settlement with the use of the area, in the early Middle Ages, as a coemeterium for the

church of San Iacopo in Castellare. 195

The reorganization of the orto was completed in 1802, with its transformation into a giardinetto

or “small garden.” 196 On the inside of the eastern side of the wall running around its perimeter

was built an exedra faced with blocks of tuff of a still clearly 18th-century type (its precise

model was the setting for a fountain with a statue, based on the Roman late-baroque style,

for the garden of Palazzo Ricci in Pescia). 197 Its central niche originally housed a statue of

Mercury, modeled out of mortar (fig. 69), 198 later replaced by the painted terracotta one of

Grandonio in the guise of a Roman warrior (fig. 70). 199

Canon Tommaso, attentive custodian of the memories and prestige of his family, must have

played a part in the replacement of the statue. Above all he is likely to have been the person

who devised the scenic enfilade visible when looking toward the “garden” from the main road

through the building’s open doors. 200

The statue of Mercury, not of exceptional quality, 201 was located instead, on a suitable

neoclassical plinth, in the middle of the landing between the second and the third floor of the

grand staircase, between the two large windows: to suggest, perhaps, the prosperous fortunes

of the family (see fig. 23). 202

These were the early years of Napoleon’s conquests. Canon Tommaso took note, in his memoirs,

of the courageous initiative of the director of the Uffizi Tommaso Puccini, who in the year 1800

had kept the greater part of the precious collection of art accumulated by the Medici and the

69. Statua in “materiale” raffigurante Mercurio,

1802. Destinata inizialmente all’esedra del ‘giardino’

allestito un tempo sul retro del palazzo, alla fine

dello stesso anno venne collocata in mezzo ai due

finestroni dello scalone, sul pianerottolo fra primo e

secondo piano.

82 83



solennizzare il matrimonio e lasciarne memoria duratura, tra le famiglie patrizie – a far dipingere

sul soffitto della camera da letto l’allegoria de La Fedeltà coniugale 205 (figg. 71-77).

Meno probabile pare l’eventualità che il dipinto sia stato commissionato per le nozze del

figlio di Francesco, Gerolamo Alessandro iunior, con la ricca Luisa Magnani, di recente nobiltà,

celebrate poco dopo l’emancipazione di quest’ultimo, il 27 settembre 1823, da parte del

padre 206 . Diversa era allora la situazione familiare, diversi i caratteri e i modi di pensare dei

protagonisti, ma diversa era anche la temperie artistica del momento.

Non è peraltro pensabile che Francesco dei Rossi non abbia voluto ornare quella camera con

le suggestive immagini che vi volle porre in occasione del suo matrimonio: il primo nella propria

linea familiare da più di mezzo secolo 207 . Inoltre, quell’allegoria faceva parte integrante di

un fine programma di condizionamento psicologico del marito sulla giovane moglie.

La stanza conserva tuttora gli speciali caratteri che Francesco volle conferirle probabilmente

al termine della ristrutturazione da lui iniziata verso il 1794-1795 nell’appartamento da lui

abitato e che era stato dei genitori. Prima di sposarsi la camera – come testimoniava il canonico

Tommaso suo fratello – era convenientemente dotata di un’attigua toilette e anche della

vicina stanzetta per la cameriera e il guardaroba; l’ambiente principale era stato liberato dai

precedenti decori tardo-barocchi, secondo la nuova moda del tempo 208 .

Tuttavia il nostro informatore non aveva fatto caso, probabilmente, ad una caratteristica originale

che distingueva quella stanza da tutte le altre del palazzo: il vano, quasi cubico, coperto

da una volta modificata, risulta infatti trattato in modo da smussare spigoli e angoli fra le

pareti (come risulta anche dalla relativa planimetria) e fra queste e l’imposta del soffitto. Solo

una cornice rilevata in stucco bianco – forse richiesta dal pittore per staccare convenientemente

il riquadro dipinto dalla balza ornamentale di rigiro – interrompe quella continuità di

piani confluenti l’uno nell’altro.

L’ambiente così ‘costruito’ non offriva punti fermi allo sguardo, costretto ad un continuo movimento

per poi fermarsi sull’unico elemento fisso che lo poteva attrarre, la pittura allegorica

Nella pagina a fianco

70. Veduta complessiva dell’esedra con statua dipinta di

Grandonio, sul piazzale retrostante al pa lazzo, eretta nel

1802.

Lorraine in Florence out of the clutches of the French by moving it temporarily to Palermo. 203

In the meantime, on October 20, 1801, Francesco had married, at the age of thirty-nine, the

noble and much younger Laura Sozzifanti. 204

It is plausible that it was Francesco, on the occasion of his wedding—as was a common

practice among aristocratic families in order to celebrate the marriage and leave a lasting

memento of it—who had the allegory of Conjugal Fidelity painted on the bedroom ceiling

(figs. 71-77). 205

A less likely possibility is that the painting was commissioned for the marriage of Francesco’s

son, Gerolamo Alessandro Junior, to the wealthy noblewoman Luisa Magnani, which took

place shortly after her emancipation by her father, on September 27, 1823. 206 At the time the

family situation was different, as were the characters and ways of thinking of the people

involved, but different too was the artistic climate of the moment.

Moreover it is inconceivable that Francesco dei Rossi had not wished to adorn that room

with evocative images on the occasion of his marriage: the first in his line of the family for

more than half a century. 207 In addition, that allegory was an integral part of a subtle program

of psychological conditioning exercised by the husband on his young wife.

The room still has all the special characteristics that Francesco chose to bestow on it,

probably at the end of the renovation he had commenced around 1794-95 in the apartment

he occupied, the one that used to belong to his parents. Before he married the bedroom—as

his brother Tommaso tells us—was conveniently equipped with an adjoining toilette, along

with the nearby small room for the maid and the wardrobe; the main room had been stripped

of the previous late-baroque decorations, in accordance with the new fashion of the time. 208

However our informer had, probably not noticed an original characteristic that distinguished

that room from all the others in the building: the almost cubical space, covered by a modified

vault, has in fact been treated in such a way as to round off the edge and corners between

the walls and between them and the ceiling. Only a raised molding in white stucco—perhaps

84 85



72. Particolare dell’affresco precedente, con il gruppo centrale di Amore e Fedeltà uniti da Eros

pronubo. Attribuito a Luigi Cheli, 1800-1801.

73. Allegoria dell’Unione matrimoniale benedetta dalla Chiesa, nella parte superiore dell’affresco

precedente, dopo il restauro.

74. Particolare dell’affresco precedente, con la figura della Fedeltà coniugale e il cagnolino, suo attributo

allegorico, prima del restauro.

75. Particolare della figura precedente, con ‘ritratto’ del cagnolino.

71. Palazzo de’ Rossi, appartamento est al primo piano, camera matrimoniale d’angolo (attuale Pre sidenza della Fondazione), con affresco sulla volta raffigurante La Fedeltà coniugale. Attribuito a

Luigi Cheli detto Marzocco, 1800-1801.

76. Particolare della figura precedente, con Eros pronubo, prima del restauro.

77. Particolare dell’affresco precedente, con la figura di Amore, prima del restauro.

86 87



78. Prato, Canonica della Cattedrale di Santo Stefano,

Volta della Sala del Capitolo, La fede cristiana, particolare

del Trionfo della Chiesa. Luigi Catani, 1790-1792.

de La Fedeltà coniugale: sopraffino strumento educativo in funzione, nei confronti della giovane

moglie, suasivamente indotta, attraverso le luminose immagini, a riflettere sui suoi doveri

matrimoniali. Ma anche congegno – che si attivava con la curiosa conformazione architettonica

della stanza – per la significazione allegorica dell’opportunità del passaggio, da parte

della sposa, dalla varietas incostante dei suoi anni alla stabilitas del suo nuovo stato. Perché la

coppia andasse d’accordo, era necessario, del resto, ‘smussare gli spigoli’.

Uguali caratteristiche architettoniche, ‘a spigoli smussati’, possiede ancor oggi l’ambiente

del vicino boudoir, che deve essere stato reso omogeneo, intenzionalmente, alla particolare

conformazione della camera matrimoniale dopo un intervento sicuramente posteriore – non

sappiamo di quanto – alla ristrutturazione di quest’ultima, dato che al momento delle nozze

di Francesco e Laura esisteva ancora la stanzetta-guardaroba per la donna di servizio.

Sulla volta di questo ambiente, dedicato alla cura della bellezza da parte della sposa, campeggia

al centro, entro una sottile cornice circolare forse in origine ornata a cordoncino, un tempo

dorata, la figura sensuale de La Notte, che allude ai piaceri notturni ed ai sogni (figg. 80-83).

I due dipinti della camera matrimoniale e del boudoir – sui quali finora la critica non si è soffermata

209 – sono collocabili, sia pure con certi distinguo riguardo ai loro ignoti autori, entro

l’orizzonte della cultura artistica di ambito fiorentino compresa tra la fine del Settecento e i

primi quattordici anni circa dell’Ottocento, gli “anni francesi”.

Le pitture, a differenza delle altre posteriori, commissionate fra il 1824 e il 1831 a Bartolomeo Valiani

(1793-1858), a Nicola Monti (1781-1864) e a Giuseppe Bezzuoli (1784-1855), tutte firmate e datate,

non recano – a quanto almeno oggi risulti 210 – né il nome del loro autore né l’anno di esecuzione.

I due dipinti, di notevole raffinatezza, si differenziano comunque l’uno dall’altro non solo

perché si rivelano di due diverse mani, ma anche perché il secondo mostra con chiarezza

riferimenti al contemporaneo ambiente romano, connotato dall’antiquaria e dal raffaellismo,

assimilato nelle sue componenti sia direttamente che mediante i nuovi contatti stabiliti col

rifluire di artisti francesi da Roma nella capitale del Granducato nel 1793.

Al linguaggio artistico proprio della tarda attività giovanile di Luigi Catani appartiene l’ambito

espressivo e stilistico in cui si muove il pittore de La Fedeltà coniugale, le cui sigle figurative, compositive

e cromatiche si riferiscono ancora a dipinti di Catani quali Il trionfo della Chiesa sul soffitto

della Sala del Capitolo della cattedrale di Santo Stefano a Prato (1790-1792) 211 (fig. 78) ed a

figure del suo repertorio ripetute, con poche varianti, nel primo quindicennio dell’Ottocento 212 .

L’elegantissima, evanescente figura femminile che, sul soffitto della camera matrimoniale di

palazzo de’ Rossi, tenendo nella destra un serto d’alloro, addita sopra di sé il Tempio che si

libra radioso nei cieli, simbolo della Chiesa, nasce dalla stessa matrice ideativa (magari in

questo caso con un ‘di meno’ di definizione e di forza pittorica) che ha formato figure analoghe,

di Luigi Catani: come le – un po’ più tarde – immagini de La Primavera, sul soffitto

della galleria di palazzo Ramirez Montalvo a Firenze (1815-1820) 213 (fig. 79) o le Vittorie alate a

monocromo dipinte entro gli sguanci di un soffitto della Villa di Poggio Imperiale (1816) 214 .

Luigi Catani aveva riscosso apprezzamenti negli ambienti che allora contavano, a Pistoia.

Lo stesso Francesco dei Rossi l’aveva visto all’opera, insieme ad altri pittori emergenti che

piacevano a Tommaso Puccini e alla cerchia degli intellettuali e degli artisti che la componevano,

nel 1796, quando venne rinnovato, su progetto di Cosimo Rossi Melocchi, il Teatro dei

Risvegliati 215 ; ma certamente aveva potuto vedere anche quanto Catani aveva realizzato, poco

prima, nel nuovo Palazzo vescovile 216 .

Credo pertanto possa ipotizzarsi che il pittore de La Fedeltà coniugale possa essersi giovato, col

gradimento del committente, di un disegno di Catani stesso (al momento impegnato altrove),

per ornare il soffitto della nuova camera matrimoniale in palazzo de’ Rossi. In tal caso l’autore

dell’affresco, quale collaboratore fidato del maestro, potrebbe essere quel Luigi Cheli che, del

resto, era all’opera nello stesso edificio nel 1799. Un Luigi Cheli inconsueto di cui prendere

atto, non più indistinguibile rispetto all’opera di Catani, come nei monocromi e nelle altre

decorazioni del ciclo condotto, fra 1805 e 1810, nella villa di Scornio per volontà di Tommaso

Puccini e di suo fratello Giuseppe 217 .

80. Palazzo de’ Rossi, ambiente un tempo adibito a boudoir

annesso alla camera da letto matrimo niale, primo piano

est. Affresco nella volta raffigurante La Notte, entro cornice

circolare. Attribuito a Nicola Monti, primo decennio del

secolo XIX. Prima del restauro.

79. Firenze, Palazzo Ramirez Montalvo, soffitto della

Galleria, La Primavera. Luigi Catani, 1815-1820.

requested by the painter to separate the painted panel from the ornamental frieze—interrupts

that continuity of planes running one into the other.

“Constructed” in this way, the setting did not offer points on which the gaze could fix, but was

obliged to move continually until it settled on the only stable element that could attract it:

the allegorical painting of Conjugal Fidelity: a consummate educational device in its intention

to persuade the young wife, through the bright images, to reflect on her matrimonial duties.

But also a device —activated by the curious architectural configuration of the room—for the

allegorical signification of the advisability of the passage, on the part of the bride, from the

inconstant varietas of her years to the stabilitas of her new state. For the couple to get along

it was necessary, moreover, “to smooth the rough edges.”

Similar architectural characteristics, “with rounded edges,” can still be found today in the

nearby boudoir, which must have deliberately been rendered uniform with the particular

configuration of the bedroom after an intervention undoubtedly later—we do not know how

much—than the renovation of the latter, given that at the time of Francesco and Laura’s

wedding the small room-wardrobe for the maid still existed.

At the center of the vault of this room, devoted to the bride’s care of her beauty, is set, inside a

slender circular molding that may originally have had a cable decoration and was once gilded,

the sensual figure of The Night, alluding to nocturnal pleasures and dreams (figs. 80-83).

The two paintings of the nuptial chamber and the boudoir—on which the critics have not

dwelled up to now 209 —can be located, although with certain distinctions with regard to their

unknown authors, within the bounds of Florentine artistic culture comprised between the end

of the 18th century and roughly the first fourteen years of the 19th century, the “French years.”

The paintings, unlike the other later ones, commissioned between 1824 and 1831 from

Bartolomeo Valiani (1793-1858), Nicola Monti (1781-1864) and Giuseppe Bezzuoli (1784-1855),

all signed and dated, bear—at least as far as we can tell today 210 —neither the name of the

artist nor the year of execution.

88 89



81. La Notte, dopo l’ultimo restauro.

82. Particolare della parte superiore della figura del La

Notte, dopo l’ultimo restauro.

83. Particolare de La Notte, parte inferiore della figura,

sostenuta da putti in volo, dopo l’ultimo re stauro.

Un Luigi Cheli peraltro individuabile, in palazzo de’ Rossi, per una stesura pittorica forse

meno netta, più dolce e sfumata – non vorrei dire più debole rispetto al maestro – in cui la

limpidezza formale dell’incipiente neoclassicismo si stempera in un cromatismo elegante e

accuratamente accordato.

Particolarmente intrigante si rivela la questione attributiva de La Notte, dipinta sul soffitto

del boudoir. Per le riscontrabili differenze artistiche sia di linguaggio che di tecnica pittorica

rispetto all’autore de La Fedeltà coniugale, avevo formulato l’ipotesi che si trattasse di un altro

pittore, proponendo Nicola Monti 218 .

Ulteriori ricerche in proposito mi consentono ora di confermare l’attribuzione e di collocare

l’esecuzione dell’opera presubillmente intorno all’inizio del secondo decennio dell’Ottocento.

Allora il giovane Monti, ancor fresco di studi compiuti all’Accademia fiorentina sotto la

guida di Pietro Benvenuti (1769-1844), iniziava a farsi apprezzare in patria.

La datazione de La Notte (figg. 80, 81) è da collocare comunque, a mio avviso, in data anteriore

al 1814. Buona parte dello stesso anno fu trascorsa da Monti a Roma; più tardi fu assorbito da

altri impegni per poi partire nel 1818 per la Polonia e San Pietroburgo, ritornando a Firenze

solo nel 1822 219 . Tuttavia il diverso clima artistico di quel tempo e il prestigioso incarico di

professore all’Accademia fiorentina, ottenuto l’anno seguente 220 , non rendono probabile l’assegnazione

de La Notte a quel periodo: anche perché allora lo stile dell’artista era cambiato.

La commissione di questo incarico in palazzo de’ Rossi non dovrebbe essere troppo lontana

da una sua opera, assai apprezzata, quale il perduto Ritratto di Napoleone dipinto nel 1813 per

la Comunità Civica di Pistoia durante il governo granducale di Elisa Bonaparte Baciocchi

(1809-1814), realizzato dopo i festeggiamenti per le nuove nozze di Napoleone con Maria

Luisa d’Austria, celebrate il 2 aprile 1810: quello stesso quadro che venne dato alle fiamme

durante la sommossa anti-francese scoppiata a Pistoia fra il 2 e il 3 febbraio 1814 221 .

In seguito ai successi conseguiti a Firenze, il pittore aveva chiesto, il 3 dicembre 1812, di essere

iscritto al più importante consesso cittadino di intellettuali, l’Accademia pistoiese di Scienze,

However, the two paintings, of notable refinement, are differentiated from one another not just

by the fact that they appear to be the work of two different artists, but also because the second

displays clear references to the contemporary Roman milieu, characterized by antiquarianism and

Raphaelism, its components assimilated both directly and through the new contacts established

with the return of French artists from Rome to the capital of the Grand Duchy in 1793.

The expressive and stylistic language used by the painter of Conjugal Fidelity moved is typical

of the latter part of Luigi Catani’s early activity. Its figurative, compositional and chromatic

features still refer to paintings by Catani like The Triumph of the Church on the ceiling of the

Chapterhouse of the cathedral of Santo Stefano in Prato (1790-92) (fig. 76) 211 and to figures

of his repertoire repeated, with few variations, in the first fifteen years of the 19th century. 212

The elegant, evanescent female figure on the ceiling of Palazzo de’ Rossi’s nuptial chamber,

holding a laurel wreath in her right hand and pointing above her at the shining temple

hovering in the sky, a symbol of the Church, stems from the same conceptual source (perhaps

in this case with a bit less definition and pictorial force) as the one that shaped similar figures

painted by Luigi Catani: such as the—somewhat later—images of Spring, on the ceiling of the

gallery of Palazzo Ramirez Montalvo in Florence (1815-20) (fig. 77) 213 or the Winged Victories

painted in monochrome on the splays of a ceiling in the Villa di Poggio Imperiale (1816). 214

Luigi Catani had established a reputation in the circles that counted at the time in Pistoia.

Francesco dei Rossi himself had seen him at work, along with other up-and-coming painters

appreciated by Tommaso Puccini and the group of intellectuals and artists who gravitated

around him, in 1796, when the Teatro dei Risvegliati was renovated to a design by Cosimo

Rossi Melocchi. 215 But he had certainly also been able to see what Catani had done, a short

time before, in the new Bishop’s Palace. 216

So I think it is possible to hypothesize that the painter of Conjugal Fidelity made use, with the

client’s approval, of a drawing by Catani himself (busy somewhere else at the time), to adorn

the ceiling of the new bedroom in Palazzo de’ Rossi. In this case the author of the fresco, as a

trusted assistant of the master, may have been Luigi Cheli, who was moreover at work in the

same building in 1799. An unusual Luigi Cheli it has to be said, no longer indistinguishable from

Catani, as in the monochromes and other decorations of the cycle painted, between 1805 and

1810, in the Villa di Scornio at the behest of Tommaso Puccini and his brother Giuseppe. 217

A Luigi Cheli who can on the other hand be identified, in Palazzo de’ Rossi, by a handling of

the paint that is perhaps less clear-cut, softer and more blurred—I don’t want to say weaker

than his master—in which the limpidity of form of the incipient neoclassical style is toned

down in an emphasis on elegant and carefully harmonized coloring.

The question of the attribution of The Night, painted on the ceiling of the boudoir is a

particularly intriguing one. Owing to the noticeable differences in both style and technique

with respect to the Conjugal Fidelity, I had put forward the suggestion that it was the work of

another painter, Nicola Monti. 218

Further research into the subject now allows me to confirm the attribution and date the

execution of the work presumably to some time around the beginning of the second decade

of the 19th century. At that time the young Monti, still fresh from his studies at the Florentine

Accademia delle Belle Arti under the guidance of Pietro Benvenuti (1769-1844), had started

to earn a reputation for himself at home.

In any case The Night (figs. 80, 81) must in my view be dated to some time before 1814. Monti

spent much of that year in Rome; later he was occupied by other commitments, before

leaving in 1818 for Poland and St. Petersburg and not returning to Florence until 1822. 219 Yet

the different artistic climate of that time and the prestigious post of professor at the academy

in Florence, obtained the following year, 220 make it unlikely that The Night was painted in that

period; even more so because the artist’s style had changed at that time.

The commission for this painting in Palazzo de’ Rossi could not have been too distant from

that of a much admired work like the lost Portrait of Napoleon painted in 1813 for the Civic

Community of Pistoia during Elisa Bonaparte Baciocchi’s reign as grand duchess (1809-14).

90 91



84. Nicola Monti, Il Genio dell’Immortalità, con Minerva

e riferimenti a Pistoia (l’erma del poeta Cino; panorama

urbano con il campanile del Duomo; lo stemma a scacchi

del Comune di Pistoia e l’orsetto con mantellina a

scacchi, emblema araldico del Comune di Pistoia; il corso

del torrente Ombrone), allegoria dell’immortale gloria

della cultura pistoiese, con riferimento all’Accademia

Pi stoiese di Scienze, Lettere e Arti. Incisione su rame

di Carlo Lasinio su disegno di Nicola Monti, di cembre

1812-gennaio 1813.

Lettere ed Arti, costituita con tale denominazione nel luglio 1806 222 . Egli, probabilmente già

prima della sua richiesta, aveva ideato un disegno di soggetto allegorico, dedicandolo all’Accademia

stessa 223 . Vi compare, insieme con una Minerva in relazione con le insegne araldiche

di Pistoia, un Genio dell’Immortalità (in atto di indicare l’erma di Cino, poeta e giureconsulto

pistoiese) in cui la concezione del nudo – classico e, insieme, neo-cinquecentesco – non si

discosta peraltro da quella coeva di Luigi Catani per la sensuosa carnalità (fig. 84). Tale opera

di Monti risulta il più vicino termine di raffronto stilistico rispetto alla pittura de La Notte.

In quel periodo Francesco dei Rosssi aveva proseguito gli interventi nel palazzo avìto: dopo il

matrimonio doveva aver allestito per la moglie il nuovo boudoir, che voleva far dipingere con

un’immagine suggestiva, che riscattasse la modestia di quel vano. Nel 1812, inoltre, aveva fatto

costruire, sul lato ovest del primo piano, una nuova “galleria” 224 , anch’essa da ornare con pitture.

La figura de La Notte è rappresentata come una donna formosa e tornita, discinta e riversa

all’indietro, nell’atto di abbandonarsi all’ebbrezza di un volo fatato, sostenuta da putti neocinquecenteschi

entro l’ampio manto scuro, arcuato al di sopra e intorno al suo corpo (come,

nell’arte classica, tutte le personificazioni di divinità dell’aria).

Prima dell’ultimo restauro il dipinto – danneggiato dall’umidità 225 – rivelava comunque una tecnica

pittorica raffinatissima, a lievi velature chiaroscurali e cromatiche che tornivano quelle membra

femminili ed erano sovrapposte, a secco, su un impianto ad affresco in cui era stata impiegata la

tecnica antica della sovrapposizione di un tenue colore rosato ad una preparazione in “verdaccio”,

che garantiva profondità luminosa e dolcezza nel tono dell’incarnato. Tale effetto complessivo, riscontrabile

anche per gli altri cromatismi adottati per il dipinto, con preziosi effetti cangianti soprattutto

nel peplo – non a caso croceo, come il costume nuziale dell’antichità romana – è attualmente

scomparso a causa di un intervento di pulizia e restauro delle superfici che le ha totalmente

depauperate delle velature ed ha purtroppo messo in luce lo strato preparatorio verdastro 226 .

Perduto il completamento decorativo delle pareti e dell’attacco della volta, al cui centro un ampio

oculo doveva dare l’impressione di aprirsi sull’esterno, contribuendo all’effetto d’insieme in

modo suggestivo, resta oggi solo una pallida traccia dell’originaria bellezza dell’opera: dalla quale

è stato anche asportato quanto rimaneva del finissimo trattamento del fondo, con un cielo su cui

si librava la figura, un tempo animato dal trascorrere lieve di cirri nell’aria pallida dell’imbrunire.

Ma, a parte questo deprecabile ‘incidente di percorso’ (che pure fa parte della storia, quella

contemporanea, del palazzo de’ Rossi e delle opere d’arte che esso contiene), risulta particolarmente

interessante invece stabilire la genesi ideativa di questa immagine.

È riscontrabile il chiaro riferimento de La Notte al modello offerto dalla famosa scultura

ellenistica raffigurante l’Arianna addormentata (prima creduta Cleopatra) (fig. 86). Una delle

più belle copie della notissima e apprezzatissima opera faceva parte del patrimonio artistico

dei Medici fin dal Rinascimento ed era stata restaurata, con importanti integrazioni, dallo

scultore pistoiese Francesco Carradori (1747-1825) prima che, per volere del granduca Pietro

Leopoldo, la scultura con le altre della collezione fosse trasportata a Firenze, poco prima del

1787, dai Giardini di Villa Medici a Roma e destinata alla Galleria degli Uffizi 227 .

L’Arianna, come la Venere Medicea, era eloquente simbolo della cultura mecenatesca dei Medici

e del rilievo che per tutto il mondo dell’arte avevano le collezioni fiorentine: di cui lo stesso

Tommaso Puccini, come direttore degli Uffizi e responsabile di tutte le opere artistiche conservate

nei palazzi e nelle ville granducali, ribadiva con convinzione il ruolo fondamentale di

patrimonio pubblico e di testimonianza della ricchezza culturale della “Patria”, al momento

delle spoliazioni napoleoniche 228 .

L’integrazione apportata da Francesco Carradori alla statua dell’Arianna era stata una vera e

propria innovazione (che suscitò le critiche del Puccini e fu ritenuta da esso arbitraria: tanto

da indurlo ad escluderla dal novero delle opere d’arte degne di stare agli Uffizi, in quanto

troppo pesantemente restaurata) 229 . Il Carradori infatti aveva sostituito la cinquecentesca

testa d’integrazione dell’Arianna, reclina sul braccio sinistro piegato verso la spalla, come

nell’esemplare del Museo Pio-Clementino a Roma, con un’altra riversa all’indietro, accentuandone

così il languore nell’abbandonarsi al sonno 230 .

It was executed after the celebration of Napoleon’s marriage to his new wife, Maria Luisa

of Austria, on April 2, 1810: the same picture that was burnt during the uprising against the

French that broke out in Pistoia between February 2 and 3, 1814. 221

Following the success he had achieved in Florence, the painter had requested, on December

3, 1812, to be admitted to the city’s most important assembly of intellectuals, the Accademia

Pistoiese di Scienze, Lettere ed Arti, set up under this name in July 1806. 222 Probably already

prior to his request, he had made a drawing of an allegorical subject, dedicating it to the

academy. 223 In it appears, along with a Minerva related to the heraldic emblems of Pistoia, a

Spirit of Immortality (in the act of indicating the herm of Cino, Pistoian poet and jurist) in

which the conception of the nude—classical and, at the same time, a revival of the 16th-century

manner—does not differ from the contemporary one of Luigi Catani in its sensuality (fig. 84).

This work of Monti’s seems to offer the closest stylistic affinity with the painting of The Night.

In that period Francesco dei Rossi had continued with his alterations to the family residence:

he must have set up the new boudoir for his wife after the wedding, having it decorated with a

suggestive image that would make up for the modest size of the room. In 1812, moreover, he had

a new “gallery” 224 built on the west side of the second floor, also to be adorned with paintings.

The figure of The Night is represented as a buxom and shapely woman, scantily dressed and

lying on her back, abandoning herself to the thrill of an enchanted flight, supported by

16th-century-style putti in the ample dark cloak arched above and around her body (like all

personifications of deities in the air in classical art).

Before its most recent restoration the painting—damaged by damp 225 —still revealed an extremely

refined technique of painting, with light glazes of chiaroscuro and color that honed that female

body and were laid, a secco, on a fresco base in which the old technique of the superimposition

of a layer of pale pink over a preparation of “verdaccio” had been employed, lending luminous

depth and softness to the flesh tone. This overall effect, also discernible in the other colors used

in the painting, with precious effects of iridescence especially in the peplum—not coincidentally

a saffron yellow, the color of the bridal costume of the ancient Romans—has now been lost as a

result of an intervention of cleansing and restoration of the surface that has totally stripped it of

the glazes and unfortunately brought to light the greenish layer of underpainting. 226

Following the loss of the decorative finish of the walls and their junction with the vault, at

whose center a large oculus must have created the impression of an opening onto the world

outside, contributing to the overall effect in an evocative fashion, only a faint trace of the

work’s original beauty remains today: even what was left of the refined treatment of the

background, where the sky against which the figure hovered was once animated by the gentle

passage of cirrus clouds through the pale air of dusk, has been removed.

But, leaving aside this regrettable “mishap” (which is now part of the history, the contemporary

history, of the Palazzo de’ Rossi and the works of art contained in it), it is particularly

interesting to look at the genesis of the idea for this image.

It is possible to discern a clear reference of The Night to the model provided by the famous

Hellenistic sculpture of the Sleeping Ariadne (previously believed to represent Cleopatra) (fig.

86). One of the finest copies of the celebrated and highly regarded work had been in the art

collection of the Medici since the Renaissance and had been restored, with the replacement

of extensive missing parts, by the Pistoian sculptor Francesco Carradori (1747-1825) prior to

the transport of the sculpture, along with others in the collection, on the orders of Grand

Duke Peter Leopold, from the gardens of Villa Medici in Rome to Florence, shortly before

1787, where it was installed in the Galleria degli Uffizi. 227

The Ariadne, like the Medici Venus, was an eloquent symbol of the patronage of the Medici and

of the significance the collections in Florence had for the whole of the art world: collections

of which Tommaso Puccini himself, as director of the Uffizi and responsible for all the works

of art in the grand-ducal palaces and villas, reaffirmed with conviction the fundamental role

of public heritage and testimony to the cultural richness of the “Fatherland” at the time of

the Napoleonic depredations. 228

92 93



La Notte in palazzo de’ Rossi si riferisce esattamente a questo nuovo tipo figurativo, indicandone

il modello, che si distaccava dalle altre copie esistenti del capolavoro scultoreo antico:

ma ne rivela anche la sua evidente ibridazione – che ne accentuava le suggestioni oniriche

– con un altro modello, a sua volta libera e fantasiosa rielaborazione dell’Arianna/Cleopatra:

quello di Psiche trasportata dagli zefiri, dipinta nel 1792 a Roma dall’emergente artista francese

Bénigne Gagneraux e riprodotta in un’incisione dallo stesso, anche autore nel 1793 di un’ulteriore

versione ridotta eseguita a Firenze 231 (fig. 85).

Anche La Notte in palazzo de’ Rossi segnala, nella posa ‘inversa’ rispetto all’originale statuario,

la sua dipendenza dall’invenzione di Gagneraux 232 : forse messa a disposizione del committente

tramite le conoscenze fiorentine di Nicola Monti o anche grazie allo stesso Tommaso

Puccini, estimatore di Gagneraux, tanto da indicarne i disegni al tratto come modelli, nel

ciclo decorativo alla villa di Scornio realizzato fra 1805 e 1810, per i monocromi e le pitture

affidate a Luigi Catani e agli altri collaboratori di stile affine.

Che sia stato il giovane Monti l’autore de La Notte, ideata su famosi ed apprezzati modelli,

lo prova con certezza anche il fatto che (come veniamo a sapere dal carteggio fra Sebastiano

Ciampi e l’artista) il pittore aveva replicato quel soggetto, che evidentemente aveva incontrato

già un notevole apprezzamento in Italia, nella residenza polacca del conte Paolo Ciezkowski,

dove aveva dipinto, fra l’altro, Psiche trasportata dagli zefiri in un luogo di piacere 233 .

A quel che sappiamo, Francesco dei Rossi era stato favorevole al riformismo leopoldino e

ricciano; non era stato, però, un “giacobino” ma piuttosto, specialmente di fronte all’invasione

francese e all’Impero napoleonico, un “patriota” fautore dell’autonomia della Toscana

sotto il suo governo legittimo. Per questo motivo, dopo la ribellione anti-francese a Pistoia

del 2 e 3 febbraio 1814, si era dichiarato disponibile a ricoprire la carica di maire temporaneo

della città, in un momento di emergenza in cui Francesco Tolomei aveva assunto la carica di

sottoprefetto ed in cui, il 3 febbraio, la folla fra la quale erano anche dei nobili aveva assalito

il palazzo municipale dando alle fiamme il ritratto di Napoleone dipinto da Nicola Monti 234 .

85. Bénigne Gagneraux, Psiche trasportata dagli Zefiri,

quadro a olio su tela, firmato e datato 1792. Svezia,

Castello di Löfstad, Östergötlands Länsmuseum.

86. Scultura in marmo raffigurante Arianna addormentata,

un tempo ritenuta Cleopatra morente. Copia adrianea di

originale ellenistico di Scuola Pergamena (II secolo a.C.);

esemplare posseduto dai Medici, restaurato nel tardo

Settecento dallo scultore Francesco Carradori.

Francesco Carradori’s restoration of the statue of the Ariadne had been a genuine innovation

(which drew the criticism of Puccini, who regarded it as arbitrary, to the point of inducing

him to exclude it from the group of artworks worthy of remaining in the Uffizi, as it had been

too heavily altered). 229 Carradori had in fact replaced the head added to the Ariadne in the

16th century, propped against the left arm bent back over the shoulder, as in the example in

the Museo Pio-Clementino in Rome, with another bent backward, thereby accentuating the

impression of languor in the sleeping figure. 230

The Night in Palazzo de’ Rossi makes precise reference to this new figurative type, indicating its

model, which diverged from the other existing copies of the masterpiece of ancient sculpture.

But it also shows clear signs of hybridization—accentuating its dreamlike qualities—with

another model, in its turn a free and fanciful reworking of the Ariadne/Cleopatra: that of

Psyche Carried off by the Zephyrs, painted in Rome in 1792 by the up-and-coming French painter

Bénigne Gagneraux and reproduced in an engraving by the same artist, the author in 1793 of

yet another version executed in Florence (fig. 85). 231

The Night in Palazzo de’ Rossi also indicates, in its “inverted” pose with respect to that of

the original statue, its derivation from Gagneraux’s invention: 232 perhaps made known to the

client through the Florentine acquaintances of Nicola Monti or even Tommaso Puccini, who

rated Gagneraux highly enough to indicate his line drawings as models, in the decorative

cycle at the Villa di Scornio executed between 1805 and 1810, for the monochromes and

paintings entrusted to Luigi Catani and other collaborators of similar style.

Proof that the young Monti was the author of The Night, based on famous and highly

regarded models, is also provided by the fact that (as we know from the correspondence

between Sebastiano Ciampi and the artist) the painter had replicated the subject, which had

evidently already met with considerable success in Italy, in the Polish residence of Count

Paweł Ciezkowski, where he had painted, among other things, Psyche Carried off by the Zephyrs

in a Place of Pleasure. 233

94 95



87. Nicola Monti, Evangelista Matteo della serie di quattro

ideata tra secondo e terzo decennio del secolo XIX.

Incisione per stampa litografica. Biblioteca Nazionale

Centrale di Firenze, Nuove Accessioni, Cartella 16, 474.

88. Nicola Monti, Evangelista Marco della stessa serie.

Biblioteca Nazionale Centrale di Firenze, Nuove Accessioni,

Cartella 16, 477.

89. Nicola Monti, Evangelista Luca della stessa serie.

Biblioteca Nazionale Centrale di Firenze, Nuove Accessioni,

Cartella 16, 475.

90. Nicola Monti, Evangelista Giovanni della stessa serie.

Biblioteca Nazionale Centrale di Firenze, Nuove Accessioni,

Cartella 16, 476.

L’episodio, peraltro, aveva inciso notevolmente sulla vita e l’attività artistica di questo pittore:

che infatti poco dopo, nel corso dell’anno stesso, si sarebbe allontanato da Pistoia, successivamente

dalla Toscana e nel 1818 dall’Italia, sicuramente anche per timore dell’instabile

situazione politica.

È lo stesso Monti a farne criptico cenno nella sua composizione autobiografica intitolata Il

mio studio, edita nel 1833 235 . Egli vi riferiva un fatto che lo riguardava da vicino, ma senza offrire

indizi sufficienti tanto da permettere di contestualizzarlo cronologicamente e di individuare

le ragioni delle sue scelte. L’artista scriveva di aver dedicato una delle quattro litografie da lui

realizzate, raffiguranti I Quattro Evangelisti (figg. 87-90), a Francesco dei Rossi, “quando era

gonfaloniere di Pistoia”, e di aver dedicato le altre tre rispettivamente al “Principe Rospigliosi”,

a “Mons. Vescovo di Pistoia” e al “signor Pietro Benvenuti”, il suo maestro all’Accademia

fiorentina 236 . Quattro persone apparentemente non legate fra loro da un rapporto evidente.

In realtà egli si riferiva proprio al tumulto anti-francese scoppiato a Pistoia il 2 e 3 febbraio

1814: durante il quale Monti, fortemente compromesso per essere l’autore di quel quadro di

Napoleone allora dato alle fiamme, dovette avere bisogno di chi garantisse della sua lealtà al

governo legittimo di Toscana. Anche questo episodio (rispetto al quale acquista una nuova,

più significativa luce anche la posteriore realizzazione del dipinto ‘riparatore’ col Ritratto di

Ferdinando III) 237 , prova che già nel 1814 esisteva un rapporto di conoscenza e probabilmente

anche di fiducia, visto che si protrasse ulteriormente nel tempo, tra Francesco dei Rossi e il

pittore Nicola Monti, allora trentatrenne.

Con la Restaurazione vi erano stati anni di tranquillità; gli intellettuali “liberali” avevano modo

di esprimersi nelle Accademie e nell’istruzione; alcuni di loro erano iscritti a Società segrete 238 .

Francesco dei Rossi aveva nel frattempo acquistato prestigio e stima presso il governo granducale:

il 17 marzo 1815 Ferdinando III lo aveva insignito del titolo di “ciamberlano di corte”,

di cui ancora godeva il 14 marzo 1827, sotto il nuovo granduca Leopoldo II (1824-1859) 239 .

Le ristrutturazioni e i cambiamenti condotti per sua volontà nel palazzo di famiglia fin dal

96

As far as we know, Francesco dei Rossi had been in favor of the reforms introduced by Leopold

and Ricci; he had not been, however, a “Jacobin” but rather, especially in the face of the French

invasion and the Napoleonic empire, a “patriotic” supporter of the independence of Tuscany

under its legitimate government. For this reason, after the rebellion against the French

in Pistoia on February 2 and 3, 1814, he had declared himself ready to take up the post of

temporary maire of the city, at a time of emergency in which Francesco Tolomei had assumed

the position of subprefect and, on February 3, a mob that included members of the nobility

had assaulted the city hall, burning the portrait of Napoleon painted by Nicola Monti. 234

The episode, moreover, had a considerable effect on the painter’s life and artistic activity: in

fact shortly afterward, over the course of that same year, he moved away from Pistoia and

then from Tuscany, and in 1818 from Italy, undoubtedly partly out of fear induced by the

unstable political situation.

It was Monti himself who made a cryptic reference to this in his autobiographical writing

entitled Il mio studio, published in 1833. 235 In it he spoke of something that concerned him

closely, but without offering sufficient clues to allow us to date the event or understand the

reasons for his choices. The artist wrote of having dedicated one of the four lithographs he had

made of The Four Evangelists (figs. 87-90), to Francesco dei Rossi, “when he was gonfalonier of

Pistoia,” and of having dedicated the other three respectively to “Prince Rospigliosi,” “Mons.

Bishop of Pistoia” and “Signor Pietro Benvenuti,” his teacher at the academy in Florence. 236

Four people with no apparent connection between them.

In reality he was referring to the anti-French riot that broke out in Pistoia on February 2

and 3, 1814: during which Monti, heavily compromised for having painted the picture of

Napoleon burned at the time, must have needed someone to guarantee his loyalty to the

legitimate government of Tuscany. This episode (which also throws a new, more significant

light on his lature gesture of reparation, the painting of the Portrait of Ferdinand III, 237 shows

that Francesco dei Rossi and the painter Nicola Monti, thirty-three at the time, were already

97



In basso

91. Palazzo de’ Rossi, veduta esterna del volume aggiunto

nel 1812 al fronte del palazzo, per realizzare la “galleria

nuova”, dipinta a “grottesche”, al primo piano ovest, lato

destro.

Nella pagina a fianco

92. Veduta complessiva della volta decorata a “grottesche”,

nella “galleria nuova” al primo piano ovest.

tardo Settecento e all’inizio dell’Ottocento, lo sposalizio nel 1801, il tenore di vita che voleva

consono al suo rango, anche in seguito, lo avevano però coperto di debiti 240 . Nel frattempo,

la partenza da Pistoia del fratello Giulio, per andare a ricoprire l’incarico di vescovo di Pescia,

nel 1804, 241 aveva reso disponibili i due “quartieri” di ponente, rispettivamente al primo e al

secondo piano del palazzo 242 .

Francesco aveva fatto costruire, nell’appartamento ovest al piano nobile, una nuova “galleria”

(fig. 91), gemella a quella che nella prima fase edilizia era stata realizzata, per il “quartiere” dei

genitori, sulla stalla. L’intervento, avvenuto nel 1812, risulta l’unico, dal 1802, e l’ultimo di cui

il canonico Tommaso abbia fatto menzione nel suo Taccuino, informando anche che allora il

pittore pistoiese Bartolomeo Valiani era stato incaricato di dipingere all’esterno di quel nuovo

volume un finto cornicione in pietra riccamente ornato 243 .

La decorazione “a grottesche” della volta della “galleria nuova” (figg. 92-94, 96) ha dunque, come

terminus ante quem non la data in cui il nuovo volume edilizio fu completato, a fine luglio del 1812.

Il nome del pittore che la realizzò – che non può essere il giovane Bartolomeo Valiani, altrimenti

il canonico Tommaso non avrebbe mancato di riferirne – e la data in cui fu attuata non filtra dal

gioco delle omissioni, a questo punto da ritenere intenzionali, della nostra fonte memorialistica.

L’opera non risulta firmata né datata, come lo sono invece le posteriori pitture al piano nobile,

del ciclo compreso fra 1824 e 1831, di Bartolomeo Valiani stesso, ancora di Nicola Monti e

di Giuseppe Bezzuoli 244 .

Nella volta della nuova “galleria” un’ampia cornice esagonale, pesantemente sottolineata da

una balza perimetrale a finto ricamo dorato e disposta al centro dell’intero campo, contiene

l’allegoria della Giustizia come figura femminile accompagnata dagli attributi del suo compito

e del suo potere, affiancata da un putto che sorregge fra le mani un cartiglio, dove si legge:

“ius suum / [uni]cuique tribu[ere]” (fig. 96). Tale elemento separa e nello stesso tempo raccorda

due zone simmetriche, ciascuna delle quali è formata da tre trapezi uguali con all’interno

“grottesche”, uniti sulla base minore da una cornice quadrata contenente un velario

98

99



circolare multicolore, di riferimento classico 245 . In ogni campo trapezoidale è raffigurato al

centro un esile tempietto, con all’interno la figurina in finto bronzo di una divinità grecoromana,

affiancato da eroti cavalcanti animali fantastici. Ai due lati della sottile e orizzontale

base d’appoggio di ciascuna edicola sono collocati tripodi antichi accesi, posti su preziosi

panni trapezoidali ricamati, pendenti (fig. 93).

Lungo i lati maggiori d’imposta della volta ribassata si trova al centro di ognuno una lunetta,

simmetrica rispetto all’altra di fronte, dove è raffigurato un nervoso cavallo purosangue (fig.

94). Sulle testate minori del perimetro sono dipinti pittoreschi “paesini” nei sottarchi.

La presenza dei ‘ritratti’ dei due cavalli scalpitanti – che non sembra avere un nesso logico evidente

rispetto alle “grottesche” che caratterizzano il soffitto – è sicuramente intenzionale e si

deve, a mio avviso, ad una precisa richiesta del committente: che non può che essere Francesco

dei Rossi, di cui si conosce la passione fin dalla giovinezza per quelle nobili cavalcature 246 .

Colpisce, comunque, un particolare decorativo in quel dipinto “alla raffaella”: quel bizzarro

panno ricamato, a doppio trapezio ripiegato in due, pendente dal piano d’appoggio di ciascuno

dei due tripodi accesi che affiancano ogni tempietto in quelle “grottesche”. Un uguale

motivo si trova nell’impresa ornamentale realizzata già nel 1786 da Luigi Catani nella Stanza

della Badessa del Conservatorio di San Clemente a Prato 247 (fig. 95).

Ciò rimanda non solo alla cultura artistica acquisita dal Catani nel periodo della sua formazione

e prima maturazione, ma anche al diffondersi, attraverso la Scuola d’ornato granducale e la

relativa manualistica, dei motivi fantastici e bizzarri recuperati sia dalla Domus aurea neroniana

a Roma, fin dal Rinascimento, sia dai più recenti rinvenimenti pompeiani ed ercolanensi 248 .

Tale tipo di decorazione degli interni di rappresentanza ebbe grande fortuna, prolungandosi per buona

parte dell’Ottocento 249 . Il pistoiese Ferdinando Marini, vissuto fino al 1863 250 , eccelse in questa

tecnica ornamentale, lasciandone testimonianza in vari edifici importanti in Pistoia e suo territorio 251 .

Il soffitto dipinto della “galleria nuova” presenta comunque, a mio avviso, un evidente rima-

94. “Galleria a grottesche”, particolare dei dipinti,

lunetta laterale, Cavallino scalpitante. Attribuibile

al completamento pittorico della sala, eseguito da

Ferdinando Marini nel 1815..

93. Particolare della illustrazione precedente, con campo

trapezoidale ornato a “grottesche”. Attri buito a Nicola

Monti, seconda metà del 1812 – inizi 1813.

acquainted with one another in 1814 and that there was probably a relationship of trust

between them, seeing that it lasted over time.

The Restoration had brought years of peace and quiet; “liberal” intellectuals were able to

express their ideas in the academies and in education in general; some of them were members

of secret societies. 238

Francesco dei Rossi had in the meantime acquired prestige and esteem with the grand-ducal

government: on March 17, 1815, Ferdinand III had bestowed on him the title of “court chamberlain,”

which he still held on March 14, 1827, under the new grand duke Leopold II (1824-59). 239

However, the renovations and alterations carried out at his behest in the family residence

from the end of the 18th century and the beginning of the 19th onward, his marriage in 1801

and the standard of living that he wished to go on being in keeping with his rank, even after

that, had left him up to his ears in debt. 240 In the meantime, the departure of his brother

Giulio from Pistoia to take up the post of bishop of Pescia, in 1804, 241 had made available the

two western “quarters,” on the second and third floor of the building respectively. 242

Francesco had had a new “gallery” (fig. 91) built in the western apartment of the piano nobile,

a twin to the one that had been created for his parents’ “quarters” in the first phase of

construction, above the stable. The intervention, made in 1812, seems to have been the only

one since 1802, and is the last mentioned by Canon Tommaso in his Taccuino, where he also

informs us that the Pistoian artist Bartolomeo Valiani had been commissioned at the time to

paint a richly ornamented mock stone molding on the outside of the new volume. 243

So the decoration of the vault of the “new gallery” with “grotesques” (figs. 92-94, 96) could

not have been done before the date on which the new structure was completed, at the end

of July 1812. The name of the painter who executed it—who cannot have been the young

Bartolomeo Valiani, otherwise Canon Tommaso would not have failed to mention it—and

the date on which it was done do not filter through the web of omissions, which at this point

have to be considered intentional, by our source.

The work is not signed or dated, unlike the later paintings, on the piano nobile, of the cycle

executed between 1824 and 1831 by Bartolomeo Valiani himself, Nicola Monti again and

Giuseppe Bezzuoli. 244

On the vault of the new “gallery” a large hexagonal frame, heavily underlined by a frieze

around the perimeter of mock gilt embroidery and set at the center of the ceiling, contains

an allegory of Justice as a female figure accompanied by the attributes of her function and her

authority, flanked by a putto holding a scroll on which are written the words “ius suum / [uni]

cuique tribu[ere]” (fig. 96). This element separates and at the same time links two symmetrical

areas, each of which is made up of three identical trapezoids housing “grotesques,” united on

the shorter base by a square frame containing a multicolored circular velarium, of classical

inspiration. 245 At the center of each trapezoidal field is represented a small shrine housing the

mock bronze figurine of a Greco-Roman deity, flanked by erotes riding fantastic animals. At

the sides of the slender and horizontal base of each shrine are set flaming ancient tripods,

placed on precious embroidered trapezoidal pieces of cloth overhanging the edges (fig. 93).

In the middle of each of the longer sides of the base of the depressed vault is located a

lunette, symmetrical to the one opposite, in which a vigorous thoroughbred horse is depicted

(fig. 94). At the short ends of the perimeter picturesque “landscapes” are painted on the

underside of the arches.

The presence of the “portraits” of two horses pawing the ground—which have no apparent

logical connection with the “grotesques” on the ceiling—is undoubtedly intentional and is

the result, in my view, of a precise request on the part of the client: who cannot be anyone but

Francesco dei Rossi, known to have had a passion for such noble mounts since his youth. 246

There is, however, a striking decorative detail in that “Raphaelesque” painting: that bizarre

piece of embroidered cloth, in the shape of a double trapezoid folded in two and hanging

from the base of each of the two flaming tripods that flank each of the shrines in those

“grotesques.” A similar motif can be seen in the ornamental device Luigi Catani had painted

100 101



95. Prato, Conservatorio di S. Clemente, Stanza della

Badessa, porta dipinta a “grottesche”. Luigi Catani, 1786.

neggiamento, che altera e appesantisce la freschezza e il brio con cui sono state concepite

ed eseguite le figurine delle “grottesche”. L’allegoria della Giustizia, che si accampa al centro

di quella volta, entro la sua troppo pesante cornice, risulta infatti, nella conformazione e nel

ductus pittorico, di qualità assai diversa e inferiore al contesto (cfr. fig. 92).

Si deve pertanto ipotizzare, per questa nuova sala fatta costruire da Francesco dei Rossi,

almeno un parziale cambiamento dell’impresa ornamentale in un primo tempo non programmata.

Peraltro – se anche si consideri la coloritura delle pareti di questo ambiente, in rosso

simil-pompeiano (oggi reintegrato in base alle tracce rinvenute nell’ultimo restauro) – la sala

parrebbe inadatta come luogo familiare ed intimo.

La “galleria nuova” doveva fungere piuttosto, nel suo finale allestimento con la Giustizia, da

sala di ricevimento ‘ufficiale’ del cavalier Francesco, in qualità di tramite locale con il governo

granducale, nel periodo della Restaurazione. La grande stanza ha carattere schiettamente

maschile, che ben si adatta ad una funzione pubblica.

Tale funzione rendeva perciò necessaria l’eloquente immagine di una Giustizia imparziale,

che era quanto ci si doveva attendere da parte di un uomo politico nel prestare orecchio a chi

a lui si rivolgeva.

Potrebbe così precisarsi il ruolo acquistato in questo tempo dal “quartiere” al primo piano dal lato

di ponente, in rapporto agli altri ambienti che formavano l’appartamento di Francesco e della sua

famiglia: ormai ampliatosi, su quel piano, fino a comprendere le due ali riunite del palazzo.

Il “quartiere” – che era stato fino al 1804 del canonico, poi vescovo Giulio – ben si prestava

ad un uso specifico, cioè ad essere destinato ad ‘ufficio’ di Francesco (poi anche del figlio

Girolamo), dato che possedeva un accesso indipendente, dallo scalone, ed era dotato di una

stanza d’ingresso, di un’anticamera e di una sala di ricevimento: il tutto anche collegato, con

un passaggio, all’appartamento familiare a levante.

Si comprende meglio, in questa ipotesi, la ragione per cui il figlio di Francesco, ormai maggiorenne

ed emancipato dal padre nel 1823 252 , in grado qualche anno dopo di sostenere anche

96. “Galleria a grottesche”, particolare con la figura della

Giustizia. entro ampia cornice esagonale ornata e messa ad

oro. Attribuita a Ferdinando Marini, 1815.

in 1786 in the Stanza della Badessa of the Conservatorio di San Clemente in Prato (fig. 95). 247

The source of all this is not just the artistic culture imbibed by Catani in the period of his training

and early maturity, but also the diffusion, through the grand-ducal School of Ornamentation and

its manuals, of the fantastic and bizarre motifs uncovered both in Nero’s Domus Aurea in Rome,

at the time of the Renaissance, and in the more recent finds in Pompeii and Herculaneum. 248

This kind of decoration of formal interiors proved extremely popular, and remained in vogue

for much of the 19th century. 249 The Pistoian Ferdinando Marini, who lived until 1863, 250

excelled in this ornamental technique, leaving examples of it in various important buildings

in Pistoia and its environs. 251

In my view, however, the painted ceiling of the “new gallery” has clearly undergone a

reworking that has altered and blunted the freshness and vivacity with which the figurines

of the “grotesques” had been conceived and executed The allegory of Justice, located at the

center of that vault, in its overly heavy frame, appears in fact, in its configuration and in the

handling of the paint, of a very different and inferior quality to the rest (see fig. 92).

So we have to hypothesize, for this new room constructed by Francesco dei Rossi, at least a

partial change in the initially unplanned ornamental program. Moreover—if we consider the

coloring of the walls of this room, in a shade similar to Pompeiian red (today repainted on

the basis of the traces uncovered in the most recent restoration)—the room seems ill-suited

to be an intimate place for use by the family.

Rather the “new gallery” was intended to serve, in its final decoration with the figure of

Justice, as an “official” reception room for Cavalier Francesco, to be used in his capacity as a

local go-between with the grand-ducal government during the period of the Restoration. The

large room has a distinctly masculine character, well-suited to a public function.

Thus this function made necessary the eloquent image of an impartial Justice, representing

what was to be expected from a politician, the ability to listen to anyone who turned to him.

So the role acquired at this time by the “quarters” on the western side of the second floor is

97. Teodoro Matteini, La Giustizia, dipinta nel 1780 a Roma e inviata l’anno dopo alla Municipali tà pistoiese. Pistoia, Museo Civico.

102 103



rilevanti spese, abbia voluto farsi avanti nel commissionare a Nicola Monti, nel 1828, i due

dipinti di soggetto storico per i soffitti di quelle due stanze d’accesso, facendone una vera e

propria metafora del liberalismo patriottico, col riferirsi a temi anti-tirannici.

L’operazione di ridisegno del ‘carattere’ di quelle stanze comportò anche l’obliterazione, con

sovrapposto decoro, dei dipinti preesistenti 253 .

Nicola Monti vi ha affrescato, nel nuovo stile realistico dello storicismo romantico, due significativi

episodi della storia d’Italia: che allora venivano letti – quasi ‘manzonianamente’ 254 – come

manifestazioni della giusta nemesi storica contro l’oppressione tirannica dei popoli 255 .

Il motivo anti-tirannico infatti ispira sia l’episodio di Pier Capponi che straccia le condizioni di sottomissione

proposte al popolo fiorentino da CarloVIII (figg. 98, 100), sulla volta dell’ingresso, sia la scena con

Carlo VIII che nella sua discesa in Italia visita Gan Galeazzo Sforza morente (figg. 99, 101), sul soffitto

della stanza attigua 256 .

Il diretto coinvolgimento ideologico e ‘politico’ di Girolamo nel significato di quelle scene

risulta chiaramente dalla presenza dello stemma Rossi-Magnani sulla destra, nello spessore

della muraglia in cui si apre l’accesso alla sala nella quale si trovano i personaggi in drammatica

contrapposizione, nell’episodio di Pier Capponi. Quello stemma infatti era solo di

Girolamo e della sua discendenza, composto dopo il matrimonio, appunto, con la nobile

Luisa Magnani 257 , e là stava ad indicare anche chi fosse stato il reale committente di quelle

pitture.

Dal canto suo, Ferdinando Marini aveva eseguito allora l’appariscente completamento ornamentale,

con eccesso di fantasia decorativa, dei due “quadri” affrescati dal Monti, e, poco più

tardi, anche l’incorniciatura molto elaborata de La Danza della Prima Giornata del Decamerone

firmata e datata da Giuseppe Bezzuoli (1784-1855) nel 1831 258 .

Lo attesta lo stesso Marini, in una più tarda lettera – inedita – inviata a Giuseppe Tigri il 10

gennaio 1854, all’indomani dell’edizione da parte di quest’ultimo della sua Guida dedicata a

Pistoia e alla Valdinievole 259 .

98. Palazzo de’ Rossi, originario ingresso al quartiere ovest al primo piano, decorazione del soffit to con riquadro centrale

raffigurante Pier Capponi che straccia le condizioni di sottomissione pro poste al popolo fiorentino da Carlo VIII, di Nicola Monti, 1828, e

coevo completamento decorativo di Ferdinando Marini.

made clear in relation to the other rooms that made up the apartment of Francesco and his

family: which had by now expanded to comprise both wings of the building on that floor.

The “quarters”—which had belonged to the canon up until 1804, and then to bishop

Giulio—lent themselves well to a specific use as the “office” of Francesco (and later of his

son Girolamo), given that they had an independent means of access, from the staircase, as

well as an entrance hall, an antechamber and a reception room: all of it connected, through a

passageway, with the family apartment on the eastern side.

Such a hypothesis makes it easier to understand why Francesco’s son, who had by now come

of age, having been emancipated by his father in 1823 252 and able to spend significant sums just

a few years later, had wished to join with his father in commissioning from Nicola Monti, in

1828, the two paintings with historical “Renaissance” subjects for the ceilings of those two

rooms, turning them into a metaphor of patriotic liberalism and opposition to tyranny.

The operation of redesign of the “character” of those rooms also entailed the obliteration,

under a new layer of decoration, of the preexisting paintings. 253

In them Nicola Monti frescoed, in the new realistic style of Romantic historicism, two

significant episodes from the history of Italy that at the time were interpreted—almost in

“Manzonian fashion” 254 —as manifestations of a just historical retribution for the tyrannical

oppression of peoples. 255

The motif of struggle against tyranny in fact provided the inspiration for both the episode of

Piero Capponi Tearing Up the Conditions of Submission Proposed to the People of Florence by Charles VIII

(figs. 98, 100), on the vault of the entrance and the scene of Charles VIII Visiting the Dying Gian

Galeazzo Sforza on His Descent into Italy (figs. 99, 101), on the ceiling of the adjoining room. 256

Girolamo’s direct ideological and “political” endorsement of the meaning of those scenes

is clear from the presence of the Rossi-Magnani coat of arms on the right, on the end of

the wall in which is set the entrance to the room where the figures are depicted in dramatic

conflict, in the episode of Piero Capponi. The crest was in fact solely that of Girolamo and

his descendants, having been composed after his marriage with the noblewoman Luisa

Magnani, 257 and was there in part to indicate who had really commissioned those paintings.

For his part, Ferdinando Marini had completed the ostentatious ornamentation of the two

“pictures” frescoed by Monti, with an excess of decorative fantasy, and, only slightly later, the

highly elaborate framing of The Dance of the First Day of the Decameron, signed and dated by

Giuseppe Bezzuoli (1784-1855) in 1831. 258

Marini vouched for this himself, in a later—unpublished—letter sent to Giuseppe Tigri

on January 10, 1854, following the latter’s publication of his guidebook to Pistoia and the

Valdinievole. 259

In it the painter reproached the erudite abbé for a lack of accuracy in the information he had

provided on the artists at work in Palazzo de’ Rossi, declaring:

“However, you have not been very veracious on p. 174 of your Guidebook where you say that

the ornamentation in Palazzo Rossi is all mine. I have made no decorations in that building

apart from the ones in the rooms painted entirely by me and in the four rooms whose vaults

were painted, 3 by Sig. Monti and the other by Sig. Bezzuoli.” 260

This valuable piece of information makes it possible to confirm, by this means too, Ferdinando

Marini’s activity as a painter-decorator in Palazzo de’ Rossi, but above all it tells us something

new: that Monti had not painted two ceilings, as had previously been thought, but three.

Totting up the number of frescoed rooms in Palazzo de’ Rossi, and restricting our attention

to the ones in the second floor where an intervention was made in the 1820s and ’30s, we can

only conclude that the third room whose ceiling Monti had decorated was the “new gallery.”

The one with reworked “grotesque” paintings lacking a date and signature.

However, we know that Nicola Monti was in Palazzo de’ Rossi to paint The Night for the

boudoir of Laura Sozzifanti, Francesco’s wife, certainly prior to the insurrection against the

French on February 2-3, 1814, when he already knew his client. So the period in which the

painter could have carried out the decoration of the “new gallery,” with the requested genre

104 105



99. Palazzo de’ Rossi, seconda stanza dopo l’originario

ingresso al quartiere ovest al primo piano, decorazione del

soffitto con riquadro centrale raffigurante Carlo VIII che

nella sua discesa in Italia visita Gian Galeazzo Sforza morente,

di Nicola Monti, 1828, e coevo completamento decorativo

di Ferdinando Marini. Stato dopo il restauro.

Nella pagina a fianco

100. Affresco con la scena di Pier Capponi, particolare con

Pier Capponi in atto di stracciare le condizioni di sottomissione ai

francesi.

101. Particolare dell’affresco con Gian Galeazzo Sforza

morente, scena centrale.

Ivi il pittore rimproverava all’erudito abate di essere stato poco preciso nel fornire informazioni

sugli artisti all’opera in palazzo de’ Rossi, così scrivendo:

“Ella però non è stato troppo veridico alla pag. 174 della sua Guida dove dice che gli ornati del

Palazzo Rossi sono tutti miei. Io non ho fatto in quel palazzo altri ornati fuori di quelli delle

stanze da me totalmente dipinte, e delle quattro sale, le volte delle quali furono dipinte, 3 dal

Sig.e Monti e l’altra dal Sig.e Bezzuoli” 260 .

La preziosa informazione consente di confermare, anche per questa via, la presenza di Ferdinando

Marini come pittore-decoratore in palazzo de’ Rossi, ma soprattutto di acquisire un dato

nuovo: che i soffitti che Monti aveva dipinto non erano due, come finora è stato ritenuto, ma tre.

Facendo il conto del totale delle stanze affrescate in palazzo de’ Rossi, e restringendo l’analisi

a quelle del primo piano dove si intervenne nel terzo-quarto decennio del secolo XIX, non

resta che concludere che la terza stanza il cui soffitto Monti aveva decorato non può che essere

la “galleria nuova”. Quella con le pitture “a grottesca”, rimaneggiate e prive di data e di firma.

Tuttavia sappiamo che Nicola Monti era in palazzo de’ Rossi a dipingere La Notte per il boudoir

di Laura Sozzifanti, moglie di Francesco, certo prima della sommossa anti-francese del

2-3 febbraio 1814, quando già conosceva il suo committente. Dunque il periodo in cui il pittore

può aver dato mano alla decorazione della “galleria nuova”, con il richiesto genere delle

“grottesche”, non può che restringersi fra il 24 luglio 1812, data in cui la nuova sala era stata

finita di costruire 261 , e il 3 febbraio 1814, data dopo la quale Monti ebbe altro cui pensare 262 .

Sostanzialmente, la pittura sulla volta della “galleria” deve essere stata eseguita da Nicola Monti

fra la seconda metà del 1812 e l’inizio del 1813, forse con La Notte del boudoir. A causa della

partenza del pittore per Roma dopo l’insurrezione pistoiese del 1814 e per i successivi impegni

dell’artista il committente non aveva poi potuto fargli apportare i cambiamenti desiderati su

quel soffitto, con l’inclusione della figura allegorica della Giustizia: da lui reputata necessaria

per quella sala, destinata ai ricevimenti in veste di funzionario del governo, da quando nel 1815,

con la Restaurazione, Ferdinando III lo aveva nominato ciambellano della corte granducale 263 .

106

107



L’immagine che vi si trova, eseguita in modo maldestro, venne desunta da un’illustre copia

della Giustizia dipinta da Giulio Romano nella Sala di Costantino in Vaticano, per mano del

giovane Teodoro Matteini (1754-1831) e inviata da lui alla Municipalità di Pistoia da Roma nel

1781, come prova del suo profitto negli studi artistici 264 (fig. 97).

In effetti, la Giustizia dipinta al centro delle “grottesche” nella “galleria nuova” di palazzo de’ Rossi

ne ripete in modo inesperto, ma evidente, il disegno, ma rovesciato come per un’incisione. Tuttavia,

la scelta della posizione si deve principalmente al fatto che solo così la figura allegorica poteva

essere rivolta opportunamente verso chi veniva ricevuto in quella sala: esprimendo così metaforicamente

il concetto che la Giustizia doveva essere imparzialmente a disposizione di tutti.

La sala, pertanto, subito dopo la nomina a ciambellano di Francesco dei Rossi nel 1815, doveva

essere stata sistemata, nel modo in cui tuttora la vediamo, da un assai giovane Ferdinando

Marini 265 probabile autore di quell’inserto centrale, così diverso per ductus pittorico e per qualità

artistica dalle briose figurine ideate e realizzate per le “grottesche” di quella sala da Nicola

Monti presumibilmente fra la seconda metà del 1812 e l’inizio del 1813.

Nicola Monti in seguito, richiamato in palazzo de’ Rossi dopo il suo ritorno in patria, avrebbe

ricevuto nel 1828 l’ulteriore commissione – questa volta da parte del figlio di Francesco,

Girolamo – di attendere al nuovo arredo pittorico delle altre due stanze attigue alla “galleria

nuova”. La dichiarazione dunque di Ferdinando Marini nella lettera a Giuseppe Tigri del 10

gennaio 1854 asseriva il vero: ma la mano di Nicola Monti nelle “tre sale” vi si era esercitata

in tempi differenti, pur ricevendo i completamenti pittorici e decorativi, in tutte e tre, di

Ferdinando Marini, anch’essi in tempi diversi.

Ad ogni modo, questa volta Monti ebbe a dispiacersi dell’impresa in palazzo de’ Rossi, come

attestava lo stesso artista nel 1833, lamentando lo sfortunato esito di quel lavoro. Egli allora

aveva ancora nel suo studio il bozzetto del Galeazzo Sforza morente, scena che aveva riprodotto

anche in un quadro a parte, dipinto “per il signor Kitroff” 266 . L’artista osservava: “Furono tali,

e tante le disgraziate vicende che dal principio, e più alla fine, accompagnarono l’infelicissimo

lavoro, che cento volte sono stato tentato di gettare nel fuoco questo disegno, per perdere

così ogni memoria” 267 .

Si arguisce comunque dal contesto che con la definizione di “infelicissimo lavoro” egli si riferiva

a contrattempi e difficoltà incontrati nella realizzazione di questi dipinti: forse alla contrarietà

dell’artista non fu estranea la soverchiante decorazione d’incorniciatura di Ferdinando Marini 268 .

Le pitture che, fra il 1824 e il 1831, andarono ad aggiungersi a quelle già presenti nel palazzo,

sono in relazione con una situazione fluida, per quanto riguarda i relativi committenti.

Il 30 maggio 1817 il canonico Tommaso era morto 269 , lasciando erede universale il nipote

Girolamo Alessandro, nato da Francesco e Laura Sozzifanti il 26 novembre 1802 270 , e disponendo

per la suddivisione del palazzo di famiglia in tre parti, il cui usufrutto spettava sia

al fratello Giulio vescovo di Pescia, sia all’altro fratello Francesco, sia ancora al nipote 271 .

Girolamo Alessandro (chiamato di solito solo Girolamo) si era giudiziosamente sposato, nel

1824, con la ricca Luisa Magnani, di recente nobiltà manifatturiera pesciatina 272 , che gli aveva

messo a disposizione la cospicua dote di 13.000 scudi: consegnata da Girolamo al padre,

oberato come di consueto di debiti e sempre alla ricerca di nuovi denari da spendere. Ciò

comunque aveva avuto un costo assai pesante per Francesco, che aveva dato al figlio i suoi

beni in garanzia del ‘prestito’ ricevuto 273 . L’oculata accortezza di Girolamo aveva fatto sì che

ben presto egli avrebbe concentrato nelle sue mani l’intero patrimonio, mentre suo padre si

sarebbe contentato di un’adeguata rendita 274 .

Nella situazione complessiva, anche per le commissioni artistiche, non incideva l’altro erede

del canonico Tommaso, il vescovo Giulio, assente, che comunque sarebbe morto nel 1833 275 ,

lasciando i suoi beni di nuovo al nipote.

In un decennio dunque, fra il 1823 e il 1833, ingenti capitali sarebbero stati a disposizione di

Girolamo: sia per le ultime importanti imprese decorative nell’avìto palazzo, sia per la nuova

palazzina, attigua sulla destra al medesimo, costruita come residenza di famiglia dal 1828 (cfr.

fig. 110).

of “grotesques,” must fall between July 24, 1812, the date on which the construction of the

new room had been finished, 261 and February 3, 1814, a date after which Monti had other

things to think about. 262 In essence, the painting on the vault of the “gallery” had to have

been executed by Nicola Monti between the second half of 1812 and the beginning of 1813,

perhaps with The Night in the boudoir. Owing to the painter’s departure for Rome after the

insurrection in Pistoia of 1814 and the artist’s successive commitments, the client had not

been able to get him to make the changes he desired on that ceiling, with the inclusion of the

allegorical figure of Justice: something he considered necessary for that room, destined for

use for receptions in his capacity as a government official from the time when in 1815, with

the Restoration, Ferdinand III had appointed him chamberlain of the grand-ducal court. 263

The image, executed in clumsy fashion, was based on a copy of the illustrious allegory of

Justice painted by Giulio Romano in the Sala di Costantino in the Vatican, made by the young

Teodoro Matteini (1754-1831) and sent by him to the municipality of Pistoia from Rome in

1781 as a demonstration of what he had learned from his artistic studies (fig. 97). 264

Indeed, the Justice painted at the center of the “grotesques” in the “new gallery” of Palazzo

de’ Rossi is an unskilled but obvious reproduction of the drawing, although the other way

round as if for an engraving. However, the choice of the position is due mainly to the fact

that only in this way could the allegorical figure face toward anyone received in that room:

otherwise it would have been “turned away,” and thus express metaphorically the concept

that justice should be impartially available to all.

So the room must have been decorated in the manner in which we see it today immediately

after Francesco dei Rossi’s appointment as chamberlain in 1815, by a very young Ferdinando

Marini, 265 the probable author of that central insertion, so different in style and artistic quality

from the small and lively figures conceived and executed for the “grotesques” of that room by

Nicola Monti, presumably sometime between the second half of 1812 and the beginning of 1813.

Later Nicola Monti, called back to Palazzo de’ Rossi after his return to the grand duchy,

received another commission in 1828—this time also from Francesco’s son Girolamo—to

carry out the new painted decoration of the other two rooms adjoining the “new gallery.” So

what Ferdinando Marini said in the letter he wrote to Giuseppe Tigri on January 10, 1854, was

true: but Nicola Monti had worked in the “three rooms” at different times, while the pictorial

and decorative completion of all three was by Ferdinando Marini, again at different times.

In any case, this time Monti was not happy with what was done in Palazzo de’ Rossi, as the

artist himself declared in 1833, complaining of the ill-fated outcome of that work. At the time

he still had in his studio the sketch of the Dying Galeazzo Sforza, a scene that he had also

reproduced in a picture painted “for Signor Kitroff.” 266 The artist observed: “So great and so

many were the unfortunate events that accompanied the ill-starred work from the beginning

to the end that I was tempted a hundred times to throw this drawing in the fire, in order to

forget it completely.” 267

It can be gathered from the context, however, that by “ill-starred work” he was referring to

complications and difficulties encountered in the execution of these paintings: the artist’s

dislike may have been partly due to the overpowering framing painted by Ferdinando

Marini. 268

The situation with regard to the paintings that were added to the ones already present in the

building between 1824 and 1831 was unsettled, as far as their clients were concerned.

Canon Tommaso had died on May 30, 1817, 269 leaving all his possessions to his nephew

Girolamo Alessandro, born to Francesco and to Laura Sozzifanti on November 26, 1802, 270

and providing for the division of the family residence into three parts, held in usufruct by his

brother Giulio, bishop of Pescia, his other brother Francesco and his nephew. 271

In 1824 Girolamo Alessandro (usually just called Girolamo) had astutely married the wealthy

Luisa Magnani, from a recently ennobled family of manufacturers in Pescia 272 that had given

her a substantial dowry of 13,000 scudi: this was handed over by Girolamo to his father,

encumbered as usual with debt and always in search of new money to spend. However, this

108 109



seguirsi le committenze artistiche per rimodernarlo. Vi sono tuttora rimasti nei soffitti i

dipinti degli artisti-decoratori e dei pittori allora fra i più accreditati a Pistoia: chiamati probabilmente

prima da Francesco, poi dal solo Girolamo.

Le due allegorie de La Giustizia che illumina la Verità (figg. 102-105) e de La Fama che vince il

Tempo (figg. 106-109), che qualificano le volte delle prime due stanze a partire dall’originario

ingresso al “quartiere” di levante, firmate e datate al 1824 da Bartolomeo Valiani, possono

ritenersi commissionate ancora da Francesco, sia per l’attinenza a tematiche a lui care, sia

soprattutto per il riferimento ad una cultura artistica di tipo schiettamente accademico, sostanzialmente

ancora al di qua del neoclassicismo allora imperante 282 .

Le allegorie alludono a vicende, su cui siamo all’oscuro, che meglio possono adattarsi alla

stessa carriera di Francesco come personaggio pubblico. Il 1824 è l’anno in cui subentrava

al defunto Ferdinando III il granduca Leopoldo II e Francesco si attendeva anche da lui il

giusto riconoscimento della sua fedele attività al servizio del trono: che doveva avergli fatto

incontrare talvolta critiche, quando non l’ostilità di detrattori. I due dipinti, invece, non si

adattano al figlio Girolamo, che allora aveva solo ventidue anni.

Intorno al 1828 la situazione della convivenza tra figlio (sposatosi da quattro anni) e genitori doveva

essersi però modificata. Francesco, già dal 1825 almeno, si stava trasferendo con il resto della

famiglia 283 in altri ambienti di quella residenza, lasciando l’appartamento “buono” al primo piano

a levante a Girolamo ed a sua moglie Luisa. Ma già nel 1828 questi ultimi avevano commissionato

ad Alessandro Gherardesca il progetto di una diversa palazzina di abitazione 284 (figg. 108, 109).

Nel periodo compreso fra 1828 e 1831 cadono i dipinti di Monti e Bezzuoli, ad attestare

l’intenzione dei giovani sposi di continuare a servirsi di quegli eleganti ambienti nell’avìto

palazzo de’ Rossi, se non altro per le occasioni ufficiali 285 .

Altre figure, assegnabili a mio avviso allo stesso torno di tempo ed a Ferdinando Marini, andarono

a decorare i soffitti di alcune altre stanze del palazzo. Quella dell’allegoria della Musica 286

(figg. 112-115), dall’arguto sorriso, circondata da amorini in volo con strumenti musicali in mano

Prima che la nuova abitazione fosse pronta (presumibilmente qualche anno dopo) 276 , Girolamo

e sua moglie dovettero dividere il palazzo tardo-settecentesco con i genitori di lui.

Essi probabilmente non erano rimasti nell’appartamento “buono” al piano nobile, lasciandolo

alla nuova coppia e trasferendosi in altra zona del palazzo: è documentato che dal 1825

al 1837 vennero ristrutturati diversi ambienti nei quali sarebbero andati ad abitare Francesco

e la moglie Laura Sozzifanti. Dagli accenni che si trovano nel libro di amministrazione

di Francesco di quel periodo 277 si possono individuare due cicli di interventi: il primo compreso

fra il 1825 e il 30 giugno 1830, il secondo fra il primo luglio 1836 e il 30 giugno 1837.

Nel primo risultano lavori di riallestimento e arredo nei “quartieri” al piano terreno e al secondo

e terzo piano del palazzo, riferiti allora a Francesco; contemporaneamente, anche al

“quartier nuovo della nobil signora Laura”, detto anche “quartier nuovo sopra lo scrittoio”

– indicazione che lo localizza nella “casa vecchia dei Rossi” – per il quale furono all’opera

Bartolomeo Valiani e Ferdinando Marini 278 . La separazione degli interessi e dei luoghi di

vita, con i relativi servizi, pare risultare dall’allestimento nella nuova stalla (costruita per

volontà di Francesco fra 1800 e 1801) di un “granaino” per lo stesso Francesco e i suoi, fra

1829 e 1830 279 , evidentemente per distinguere quel deposito di grano dall’altro del figlio,

che restava nella “casa vecchia”. Il ciclo più tardo di interventi, fra 1836 e 1837, riguarda

l’“accomodatura di due stanze del quartiere buono”, cioè al secondo piano dal lato est nel

palazzo, dato che il piano nobile su quel versante era rimasto invece nella disponibilità di

Girolamo. Furono registrate allora le spese per i lavori dello scalpellino, del muratore e di

un non meglio specificato “Capponi pittore” 280 . Potrebbero essere stati, quelli, gli interventi

preliminari alla nuova decorazione pittorica delle due stanze con i medaglioni “a ricami”

e a volute sulle volte, rispettivamente con piccole vedute riferentisi al parco pucciniano di

Scornio e con figurine di personaggi del mito classico, databili a mio avviso appunto agli

anni finali del quarto decennio del sec. XIX 281 .

Nell’appartamento principale, al piano nobile, negli anni Venti dell’Ottocento dovettero sushad

come at a very heavy cost for Francesco, who had given his son his property in guarantee

of the “loan” he had received. 273 Girolamo’s shrewdness very soon meant that he got his hands

on the entire estate, while his father had to content himself with an adequate income. 274

Canon Tommaso’s other heir, Bishop Giulio, had no say in this situation, even where artistic

commissions were concerned, being absent, and in any case was to die in 1833, 275 he too leaving

his property to his nephew.

Thus over the course of a decade, between 1823 and 1833, Girolamo found himself with large

amounts of capital at his disposal, which he was able to use for the latest major works of

decoration in the ancestral residence and for the new building adjoining it on the right-hand

side, constructed for his family from 1828 onward (see fig. 110).

Before the new house was ready (presumably several years later), 276 Girolamo and his wife had

to share the late 18th-century building with his parents.

They had probably not remained in the “good” apartment on the piano nobile, leaving it to the

new couple and moving to another part of the palazzo: the documents show that between

1825 and 1837 several rooms were renovated that would later be occupied by Francesco and

his wife Laura Sozzifanti. From the entries in Francesco’s record of expenses for that period 277

it is possible to identify two series of interventions: the first between 1825 and June, 30, 1830,

and the second between July 1, 1836, and June 30, 1837. In the former works of refurbishment

and decoration were carried out in the “quarters” on the ground floor and on the third and

fourth floor of the building, belonging at the time to Francesco; at the same time work was

done in the “new quarters of the noble lady Laura,” also known as the “new quarters above

the study”—a description that locates them in the “old house of the Rossi”—by Bartolomeo

Valiani and Ferdinando Marini. 278 The fact that there had been a separation of interests and

living quarters, with their services, seems to be indicated by the installation in the new stable

(built at Francesco’s behest between 1800 and 1801) of a “small granary” for Francesco and his

family between 1829 and 1830, 279 evidently to distinguish that store of grain from the other

102. Palazzo de’ Rossi, primo piano est, soffitto della stanza un

tempo adibita a ingresso o antica mera, con Allegoria della Giustizia

che illumina la Verità. Bartolomeo Valiani, affresco firmato e datato

al 1824.

103. Particolare dell’illustrazione precedente, con firma e data

apposte da Bartolomeo Valiani.

104. Particolare dell’illustrazione precedente, col ritratto

del personaggio femminile impersonante la Giustizia. Stato

antecedente al restauro, luce radente.

105. Particolare della stesura pittorica del velo trasparente che

copre parte del corpo della Giustizia, Bartolomeo Valiani, 1824.

Stato antecedente al restauro, luce radente.

Particolare del bordo del velo trasparente di cui si ammanta la

Giustizia. Bartolomeo Valia ni, 1824. Stato antecedente al restauro,

luce radente.

110 111



110. Alessandro Gherardesca, Fronte della palazzina o “Casino de’

Rossi”, secondo il progetto del 1828.

111. Stemma in rilievo Rossi-Magnani, in terracotta un tempo

dipinta, entro la lunetta di corona mento della porta-finestra

mediana, al primo piano della palazzina ottocentesca, eretta

su disegno di Alessandro Gherardesca del 1828, attigua al

settecentesco palazzo de’ Rossi.

106. Palazzo de’ Rossi, seconda stanza verso destra dopo

l’ingresso, al primo piano est, in origine camera da letto

matrimoniale. Affresco sul soffitto, con l’Allegoria della

Fama che vince il Tempo. Bartolomeo Valiani, firmato e

datato al 1824.

107. Particolare dell’Allegoria della Fama, con ritratto

del personaggio femminile impersonante la Fama. Stato

antecedente al restauro, luce radente.

108. Particolare dell’illustrazione precedente, con firma e

data segnate dall’artista.

109. Particolare dell’affresco precedente, con la figura del

Tempo. Stato antecedente al restauro.

one belonging to his son, which remained in the “old house.” The later series of interventions,

between 1836 and 1837, regards the “fixing up of two rooms of the good quarters,” i.e. on the

east side of the third floor, given that the second floor on that side had remained for the use of

Girolamo. At that time the expenditure for the works of the stonecutter, mason and a certain

“painter Capponi” were recorded. 280 These could have been the interventions preliminary

to the new painted decoration of the two rooms with medallions framed with “tracery” and

volutes on the vaults, with small views of the park of the Villa di Scornio and small figures from

classical mythology respectively, datable in my view to that same period, the end of the 1830s. 281

A series of artistic interventions to modernize the main apartment, on the piano nobile, must

have been carried out in the 1820s. Still visible on their ceilings are paintings by some of the

most highly regarded decorators and painters in Pistoia at the time: probably commissioned

first by Francesco, then by father and son together, and finally by Girolamo.

The two allegories of Justice Illuminating Truth (figs. 100-103) and Fame Overcoming Time

(figs. 104-107), painted on the vaults of the first two rooms after the original entrance to

the eastern “quarters,” signed by Bartolomeo Valiani and dated 1824, are likely to have still

been commissioned by Francesco, both for their representation of themes dear to him and

above all for the reference to an artistic culture of a distinctly academic character, essentially

predating the neoclassicism prevalent at the time. 282

The allegories allude to events, about which we know nothing, that could have been conducive to

Francesco’s career as a public figure. The year 1824 was the one in which Leopold II took the place

of the deceased Ferdinand III as grand-duke and Francesco expected from him a due recognition

of his loyal activity in the service of the throne: which must sometimes have earned him the

criticism, when not the downright hostility, of detractors. The subjects of the two paintings, on

the other hand, were not suited to his son Girolamo, who was only twenty-two at the time.

By 1828, however, the situation of the cohabitation of the son (married for four years) and

his parents must have changed. Francesco, since 1825 at least, had been moving with the rest

of his family 283 into other rooms in that residence, leaving the “good” apartment on the east

side of the second floor to Girolamo and his wife Luisa. But by 1828 the couple had already

commissioned the plans for a new home from Alessandro Gherardesca (figs. 110, 111). 284

Monti and Bezzuoli’s paintings fall into the period between 1828 and 1831, attesting to the

young couple’s intention to go on using those elegant rooms in the ancestral Palazzo de’

Rossi, if only for official occasions. 285

The ceilings of several more rooms in the building were decorated with other figures, which

can in my opinion be assigned to the same period of time and to Ferdinando Marini. That of

the allegory of Music (figs. 112-115), 286 a figure with a witty smile surrounded by flying cupids

holding musical instruments on the vault of the drawing-room adjoining the main hall, and

those of Zephyrus and the Dawn (figs. 116, 117), respectively on the vaults of the entrance

room and the adjoining one on the ground floor, to the east. 287

Girolamo de’ Rossi’s passion for music is well known: he was the patron of Teodulo Mabellini

(1817-97) at the beginning of his career. 288 Nor could he have failed to notice the perfect

acoustics of the hall, which was probably used to hold concerts, initiating a tradition that was

revived in the second half of the 20th century and continues to this day. 289

The elegant and sinuous image of Music, in the way that it suggests almost figuratively the

“stirring of the emotions” that music, like poetry, produces, seems to be a sister of the other

and equally alluring female figures painted between 1819 and 1823 in Palazzo Puccini by the

then rising star Ferdinando Marini for Domenico and his brother Niccolò. 290

The other two figures painted in the two rooms on the ground floor facing onto the garden

probably imply a different use (which is not known at present) that they were supposed to

reflect. The subjects—although fairly generic—seem in fact more suited to boys or girls than

to a man already getting on in years like Francesco was at the time: however, we know nothing

about which rooms in the building were used by Girolamo as a boy and by Francesco’s two

daughters, Giulia born on November 16, 1803, 291 and Maria Giuseppa born on October 2, 1805. 292

112 113



sulla volta del salotto attiguo al salone d’onore, e quelle di Zefiro e de l’Alba (figg. 116, 117), rispettivamente

sulle volte della stanza d’ingresso e di quella attigua al piano terreno, verso levante 287 .

È nota la passione per la musica di Girolamo de’ Rossi, che fu protettore di Teodulo Mabellini

(1817-1897) ai suoi esordi 288 ; né gli poteva essere sfuggita la perfetta acustica del salone, che

probabilmente ospitò concerti, iniziando una tradizione ripresa nella seconda metà del ‘900

e continuata finora 289 .

L’immagine elegante e sinuosa della Musica, nel suggerire quasi icasticamente la ‘mozione degli

affetti’ che la musica, come la poesia, produce, pare sorella delle altre creature femminili,

ugualmente affascinanti, realizzate già fra il 1819 e il 1823 nel palazzo Puccini di città dall’allora

astro nascente Ferdinando Marini, per Domenico e suo fratello Niccolò 290 .

Le altre due figure, dipinte nelle due stanze al piano terreno prospicienti sul giardino, presuppongono

probabilmente un diverso utilizzo di quei due ambienti (che al momento non è

noto), rispetto al quale esse dovevano rapportarsi. I soggetti – per quanto abbastanza generici

– risultano infatti adatti piuttosto a giovani o fanciulle che ad un uomo già attempato qual’era

allora Francesco: peraltro, non sappiamo nulla su dove abitassero Girolamo da ragazzo e le due

figlie di Francesco, Giulia nata il 16 novembre 1803 291 e Maria Giuseppa nata il 2 ottobre 1805 292 .

Tuttavia mi pare evidente l’autografia pittorica di Ferdinando Marini, se si confronti lo Zefiro

e l’Alba con le figure dipinte pochi anni prima dall’artista in palazzo Puccini ancora sotto la

forte influenza di Luigi Catani, che volentieri replicava anche, mediante apprezzate copie,

celebri capolavori del Seicento italiano e francese 293 .

Ma la maggiore corposità e pesantezza, quasi plebea, di queste due personificazioni in palazzo

de’ Rossi appartengono solo a Ferdinando Marini, che si avvicina qui, se mai, al linguaggio

figurativo di quel collaboratore di Catani che dipinse la figura di Flora – anch’essa dalle forme

opulente e poco ‘aristocratiche’ – in palazzo Martini a Prato, qualche tempo dopo l’inizio

della costruzione di tale edificio, progettato nel 1818 dall’architetto Giuseppe Valentini 294 .

Un’altra importante sedimentazione artistica nel settecentesco palazzo de’ Rossi risulta La

112. Particolare del dipinto a lato, Putto alato con flauto e

spartito musicale. Dopo il restauro.

113. Particolare dello stesso dipinto, Putto alato danzante.

Dopo il restauro.

114. Particolare dello stesso dipinto, con La Musica con in

mano la lira, baciata da Eros. Dopo il restauro.

Yet it seems evident to me that the Zephyrus and the Dawn are the work of Ferdinando

Marini, if they are compared with the figures painted by the artist in Palazzo Puccini a

few years earlier while still under the strong influence of Luigi Catani, who was happy to

replicate, through highly regarded copies, celebrated Italian and French masterpieces of the

17th century. 293

But the greater solidity and almost plebeian heaviness of these two personifications in

Palazzo de’ Rossi are typical of Ferdinando Marini, who here, if anything, comes close to

the figurative language of the assistant of Catani’s who painted the figure of Flora—also

with voluptuous and not very “aristocratic” forms —in Palazzo Martini at Prato, sometime

after work had begun on the construction of that building, designed in 1818 by the architect

Giuseppe Valentini. 294

Another important contribution to the artistic embellishment of the 18th-century Palazzo

de’ Rossi is The Dance of the First Day of the Decameron, signed and dated by Giuseppe Bezzuoli

in 1831 and used to decorate the ceiling of the “gallery” on the eastern side of the second

floor in a more “modern” style (figs. 118-122). 295 It seems almost as if it were intended to serve

as a pendant to the one on the opposite side, decorated with “grotesques” and the figure of

Justice, in an apparent contrast between “private” and “public.”

Indeed, the markedly Renaissance style of the figurative language and the atmosphere of

a graceful, dreamy historic idyll that characterize The Dance seem suited to a room used

for tranquil entertainments with music and dancing, as contemporaries did not fail to

note. 296 This helped to shift the attention from the ideological significance of the reference

to Giovanni Boccaccio to the superficially agreeable character of the figures, gestures and

setting. Boccaccio at the time was regarded by “patriotic” intellectuals as one of the fathers of

the civil, linguistic and cultural formation of the Italian nation: as had already been declared

figuratively in the subversive but cryptic iconographic program drawn up for his study by the

young Niccolò Puccini, a decade earlier. 297

115. Salotto antistante al salone d’onore, quartiere est

del primo piano, volta affrescata con La Mu sica baciata

da Eros e puttini volanti in atto di suonare il flauto e danzare.

Attribuito a Ferdinando Marini, terzo decennio del secolo

XIX. Dopo il restauro.

114 115



Danza della Prima Giornata del Decamerone, firmata e datata da Giuseppe Bezzuoli nel 1831,

posta a decorare in stile più ‘moderno’ il soffitto della “galleria” al primo piano, dal lato di

levante 295 (figg. 118-122). Quasi a fare da intenzionale pendant all’altra sul lato opposto, con le

“grottesche” e la Giustizia, in un’apparente contrapposizione fra ‘privato’ e ‘pubblico’.

In effetti, lo spiccato linguaggio figurativo neo-quattrocentesco e il clima di grazioso, trasognato

idillio storicizzante che caratterizzano La Danza paiono adattarsi appunto ad una sala

per sereni intrattenimenti con musica e balli, come non mancarono di notare i contemporanei

296 . Ciò contribuiva a spostare l’attenzione dal significato ideologico del riferimento a

Giovanni Boccaccio all’esteriore gradevolezza di personaggi, gesti, ambiente. Boccaccio era

considerato allora dagli intellettuali ‘patrioti’ uno dei padri della formazione civile, linguistica

e culturale della nazione italiana: come già figurativamente si dichiarava nell’eversivo ma criptico

programma iconografico messo a punto per il suo studiolo dal giovane Niccolò Puccini,

un decennio prima 297 .

L’allusione, anche in palazzo de’ Rossi e per volontà del committente Girolamo – la cui profonda

affinità con il pensiero di Niccolò Puccini è nota 298 – era, ancora una volta, ‘patriottica’;

ma oltrepassava anche questo significato, prefigurando copertamente anche un’umanità perfetta,

secondo l’ideologia massonica. Tuttavia questa volta il riferimento esoterico, così come

quello ‘patriottico’, erano celati prudentemente con un’apparente piacevolezza narrativa, con

una sognante rievocazione storica esclusivamente appartenente al mondo letterario: dunque,

almeno a quel che sembrava, non compromessa con pericolose idee politiche, in quell’anno

1831 in cui la polizia granducale aveva inasprito il controllo sui “liberali” e sospeso le riunioni

della pistoiese “Società degli Onori Parentali ai Grandi Italiani” 299 .

Non è dato sapere, per il momento, se e in che modo siano state abitate, durante l’Ottocento,

le numerose stanze del palazzo. Alcuni ‘appartamenti’ del tardo-settecentesco edificio

dovettero rimanere a lungo vuoti e inutilizzati, come suggerisce l’assenza di trasformazioni e

ammodernamenti interni specialmente al secondo piano dal lato di ponente 300 .

116. Palazzo de’ Rossi, quartiere est al piano terreno, stanza attualmente d’ingresso alla sede della Fondazione Cassa di Risparmio di Pistoia e Pescia, affresco

sulla volta con la figura di Zefiro. Attri buito a Ferdinando Marini, terzo decennio del secolo XIX. Antecedente al restauro.

117. Piano terreno, seconda stanza dopo l’ingresso, sul lato est, affresco sulla volta con la figura dell’Alba. Attribuito a Ferdinando Marini, terzo decennio del

secolo XIX. Antecedente al restauro.

The allusion, in Palazzo de’ Rossi too and at the behest of the client Girolamo—whose deep

affinity with the ideas of Niccolò Puccini is known 298 —was, once again, “patriotic’; but it

also went beyond this sense, covertly prefiguring a perfect humanity, in line with Masonic

ideology. This time, however, the esoteric reference, as well as the “patriotic” one, were

prudently concealed under the guise of a pleasing narrative, with a dreamy evocation of a

story belonging exclusively to the world of literature: and so, at least in appearance, not

tainted by dangerous political ideas, in that year of 1831 in which grand-ducal policy had

tightened its control over “liberals” and suspended the meetings of the Pistoian “Società

degli Onori Parentali ai Grandi Italiani.” 299

We do not know, for the moment, if and in what way the numerous rooms of the Palazzo

de’ Rossi were inhabited during the 19th century. Some “apartments” in the late 18thcentury

building must have long remained empty and unused, judging by the lack of internal

alterations and modernizations, especially on the western side of the third floor. 300

The elegant figured medallions that adorn the modified cross vaults of the two rooms leading

into the east-facing “quarters” on the third floor can be ascribed to sometime prior to the

death of Francesco dei Rossi, at the age of eighty, on April 20, 1850. 301

This was the last artistic intervention of significance in Palazzo de’ Rossi in the 19th century, fruit

of a mature “classicizing” academic culture expressed with skill as far as drawing and color are

concerned, but not averse to using serial craft techniques to achieve the end result finale. In fact

stamped decorations, the latest vernacularization of a tired late-baroque suited to more habitual and

“familiar” settings, adorn the frames around the painted subjects with minute tracery or elaborate

volutes. They appear to belong to two different thematic series, one for each room. On the four

segments of the cross vault of the first room as you enter are set tiny landscapes of a “Romanticpicturesque”

type (figs. 123-126); on the rounded edges of the four vaulting cells in the next room we

see mixtilinear medallions containing elegant depictions in miniature of figures from the classical

world, on a reddish brown background, in pairs: Zeus/Eros; Paris/Aphrodite (figs. 130-133). 302

118. Particolare dell’affresco de La danza, Pampinea, ‘regina’

della Prima Giornata del Decamero ne, figura-ritratto di

gentildonna sotto un pergolato di viti, all’estrema sinistra,

in piedi e di profilo. Dopo il restauro.

119. Particolare dello stesso affresco, Lauretta che guida la

danza tenendo lo spartito musicale in mano, figura-ritratto di

gentildonna all’estrema destra, di profilo, presso la figura

di Boccaccio.

116 117



Ad una data certo anteriore alla morte di Francesco dei Rossi, a ottantotto anni, avvenuta

il 20 aprile 1850 301 , sono da ascrivere gli eleganti medaglioni figurati che ornano le crociere

modificate delle due stanze d’ingresso al “quartiere” del secondo piano verso levante.

È l’ultimo apporto artistico ottocentesco di un certo rilievo in palazzo de’ Rossi, frutto di una

matura cultura accademica ‘antichizzante’, espressa con sicuro mestiere quanto a disegno e

colore, ma non aliena dal ricorrere a tecniche artigianali seriali per arrivare al risultato finale.

Decori a stampiglia, ultima volgarizzazione di un estenuato barocchetto adattato ad ambienti

più consueti e ‘familiari’, adornano infatti di minuti ricami o di elaborate volute le cornici

entro le quali sono inclusi i soggetti raffigurati. Essi risultano appartenere a due diverse serie

tematiche, in rapporto con il relativo ambiente. Sui quattro spicchi della crociera della prima

stanza, d’ingresso, si trovano minuscoli paesaggi di tipo “romantico-pittoresco” (figg. 123-126);

sulle profilature smussate delle quattro vele della stanza seguente spiccano medaglioni mistilinei

contenenti figure eleganti e miniaturizzate di personaggi del mondo classico, su uno

sfondo rosso-bruno, a coppie: Zeus/Eros; Paride/Afrodite 302 (figg. 130-133).

Tali pitture rivelano una cultura in cui la concezione neoclassica di perfezione formale della

figura non esclude di accogliere, per il paesaggio, caratteri romantici.

Le immagini, ridotte intenzionalmente al formato e all’aspetto di “medaglioni” miniati su

porcellana o smaltati (quasi a imitazione dell’encausto), da privata Wunderkammer di un collezionista

d’arte, riproducono opere note in più grandi formati o in materia anche diversa dalla

pittura – quasi sfidando chi le guarda ad identificarne l’originale, o il soggetto – allora replicate

in molti modi per il mercato e diffuse tramite oggetti d’arredo o personali di gran lusso.

Le due serie figurative, a mio avviso, potrebbero essere assegnate, in questo particolare

contesto, ai tardi anni Trenta dell’Ottocento: e ancora far parte del riallestimento di

vari ambienti (al secondo piano), per Francesco ed i suoi, già iniziato nel 1825 e documentato

fino al 1837 303 , in cui furono utilizzate stanze sia della “casa vecchia” che del

palazzo stesso 304 .

120. “Galleria” al primo piano est, soffitto dipinto con riquadro centrale in cui è raffigurata La dan za della Prima Giornata del Decamerone, dipinta da Giuseppe Bezzuoli nel 1831,

con i coevi com pletamenti decorativi di Ferdinando Marini. Prima del restauro.

121. Particolare dell’affresco, con Gruppo di tre danzatori. Prima del restauro.

118

These paintings reflect a culture in which the neoclassical conception of the formal perfection

of the figure did not exclude the adoption of proto-Romantic characteristics in the landscape.

The images, deliberately reduced in size and given the appearance of miniature “medallions”

painted on porcelain or in enamel (almost in imitation of the encaustic painting), typical of

the private Wunderkammer of an art collector, reproduced well-known works on a larger scale

or in a different medium from paint—as if challenging the viewer to identify the original,

or the subject—replicated at the time in many ways for the market and diffused through

furnishings or personal objects of great luxury.

In this particular context, the two figurative series could, in my view, be assigned to the

late 1830s; and still be part of the refurbishment of various rooms (on the third floor) for

Francesco and his family, already begun in 1825 and documented until 1837, 303 in which rooms

both in the “old house” and in the palazzo itself were utilized. 304

The room with the medallions containing landscapes may have retained its function as an entrance,

while the adjoining one, on the right as you enter, decorated with figures from classical myth—

archly but covertly alluding to the power of eros and female beauty even over beings as powerful as

Zeus—may suggest a more private and personal use on the part of the master of the house.

The small and beautifully crafted landscapes contained in the four medallions “with tracery”

in the first room are unmistakably views of the park of the Villa di Scornio (in which we can

identify the Temple of Pythagoras and the Gothic Castle) 305 and present the same conception

of the relationship between wild clumps of trees and human figures as was typical of Niccolò

Puccini. Who had planned, for the original layout of his English-style garden, views in which

the—seemingly natural—disorder of the vegetation was combined with mysterious, evocative

constructions, as a metaphor for the possibility of an arbitrary revival of any time and culture,

in a precise design intended to show the hidden relations between Humanity and Nature.

Thus it went beyond the “view” typical of the 18th century, still basically analytical and

descriptive, even if already animated by subtle emotions roused by the quality of the

122. Particolare dell’affresco. Figura assisa di Giovanni

Boccaccio, in veste di ‘poeta laureato’ e in atto di guardare la

scena. Dopo il restauro.

Nelle pagine seguenti

123. Quartiere al secondo piano est, prima stanza

d’ingresso, particolare della decorazione della volta con

medaglioni ‘a paesi’: primo medaglione con l’Isola con il

Tempio di Pitagora del parco pucciniano di Scornio, prima

del restauro. Attribuito a Ferdinando Marini, fine del

quarto decennio del secolo XIX.

124. Particolare della decorazione della stessa volta:

secondo medaglione con Veduta del Castello gotico nel parco

di Scornio, prima del restauro. Attribuito a Ferdinando

Marini, fine del quarto decennio del secolo XIX.

125. Particolare della decorazione della stessa volta:

terzo medaglione con Veduta di paesaggio. Attribuito a

Ferdinando Marini, fine del quarto decennio del secolo

XIX. Prima del restauro.

126. Ivi: quarto medaglione con Veduta di paesaggio.

Attribuito a Ferdinando Marini, fine del quarto decennio

del secolo XIX. Prima del restauro.

119



120 121



L’ambiente con i medaglioni a paesaggi potrebbe aver mantenuto la funzione d’ingresso,

mentre quello attiguo, sulla destra entrando, decorato con figure del mito classico – maliziosamente

ma copertamente alludenti al potere dell’eros e della bellezza femminile sull’animo

anche di personaggi potenti come Zeus – potrebbe suggerirne un uso più privato e personale

da parte del padrone di casa.

I “paesaggini”, di fine fattura, contenuti nei quattro medaglioni “a ricami” della prima stanza,

si riferiscono a certe inconfondibili vedute del parco di Scornio (di cui vengono puntualmente

citati il Tempio di Pitagora e il Castello Gotico) 305 e mostrano lo stesso modo di concepire il

rapporto fra selvagge macchie d’alberi e presenze umane che era proprio di Niccolò Puccini.

Il quale aveva ideato, per l’originario impianto del suo giardino all’inglese, vedute in cui al

disordine – apparentemente naturale – della vegetazione si univano misteriose, evocatrici

costruzioni, come metafora della recuperabilità arbitraria di qualsiasi tempo e cultura, in un

preciso disegno didascalico sui riposti rapporti fra Uomo e Natura.

Veniva oltrepassata, così, la “veduta” tipica del Settecento, ancora in fondo analitica e descrittiva,

anche se ormai animata da sottili emozioni suscitate dalla qualità ambientale, dall’ora e

dal tempo della percezione stessa: in questo caso, il paesaggio creava suggestioni più inquietanti,

indefinibili e irrazionali, in modo che la Natura (quasi leopardianamente) si facesse

anch’essa ospite del Sublime.

Le figurine miniaturizzate del mondo classico, che ornano le crociere modificate della seconda

stanza, suggeriscono, per il loro aspetto “statuino” – come qualcuno ha felicemente

definito tale tipo di figurazioni, comparse già da tempo come particolare ornamento di “grottesche”

306 – il riferimento a repertori illustri di modelli.

Per tali immagini (della cui autografia ad opera di Ferdinando Marini non vi sono dubbi,

grazie ai confronti che si possono stabilire con le figure con scene classiche nei medaglioni “a

ricami” – del tutto analoghi – eseguiti di sua mano in palazzo Rossi-Cassigoli) 307 i modelli possono

forse essere stati procurati dal committente, Francesco dei Rossi, attraverso qualche sua

127. Isola con il Tempio di Pitagora, Angiolo Gamberai, 1845,

incisione.

128. Veduta del Castello Gotico, Ferdinando Marini, prima

del 1841, litografia.

129. Veduta del Castello Gotico, Angiolo Gamberai, 1845,

incisione.

122

environment and the time of the perception itself: in this case, the landscape produces more

disquieting, indefinable and irrational impressions, so that Nature (in an almost Leopardian

fashion) is also made part of the Sublime.

The miniaturized figures of the classical world that adorn the modified cross vaults of the

second room suggest by their “statue-like” appearance—as someone has aptly described

this kind of figuration, which had emerged some time earlier as a distinctive ornament of

“grotesques” 306 —a reference to well-known collections of models.

The models for these images (which we can be sure to be the work of Ferdinando Marini,

thanks to the comparisons that can be made with the figures with classical scenes in the—

entirely similar—medallions decorated with “tracery” that he painted in Palazzo Rossi-

Cassigoli) 307 may have been procured by the client, Francesco dei Rossi, through some

acquaintance in artistic circles: it is not unlikely that this was Nicola Monti, whom he knew

well, who was in Pistoia in 1838, painting in Palazzo Vivarelli-Colonna. 308

The principal artist to whom people made reference at the time may have been the Danish

sculptor Bertel Thorvaldsen (1770-1844), who had been living in Rome until 1837 and was one

of the main exponents of the culture of a markedly “antiquarian” and aestheticizing taste. 309

Ferdinando Marini, a protean artist ready to take on different identities as a painter to meet

the desires of his client, but at the same time highly skilled technically, could not have received

such a cultural grounding, of cosmopolitan breadth, from his training. Not long afterward

Marini would again draw inspiration from Thorvaldsen for the paintings of mythological

themes from Greco-Roman antiquity that were requested from him, as a late example of

that cult of “Ideal Beauty”—in an age that was turning toward an art with a greater grip on

contemporary life—by his new client, Filippo Rossi Cassigoli.

In the case of the Palazzo de’ Rossi, the completion of the Temple of Pythagoras for the park

of the Villa di Scornio by the end of the first half of 1825 and of the Gothic Castle in 1830 310

(figs. 127, 128, 129)—of which Ferdinando Marini made the drawing, turned into an engraving in

130. Quartiere al secondo piano est, seconda stanza, particolare della decorazione della volta, primo medaglione con la figura classica di Zeus, prima del restauro. Attribuito a

Ferdinando Marini, fine del quarto decennio del secolo XIX.

131. Ivi, secondo medaglione con la figura classica di Eros che tende l’arco, dopo il restauro. Attri buito a Ferdinando Marini, fine del quarto decennio del secolo XIX.

132. Ivi, terzo medaglione con la figura classica di Paride, prima del restauro. Attribuito a Ferdi nando Marini, fine del quarto decennio del secolo XIX.

133. Ivi, quarto medaglione con la figura classica di Afrodite anadiomene, prima del restauro. Attri buito a Ferdinando Marini, fine del quarto decennio del secolo XIX.

123



amicizia in ambiente artistico: non è improbabile che ciò sia avvenuto tramite Nicola Monti,

da lui ben conosciuto, che nel 1838 era a dipingere a Pistoia, in palazzo Vivarelli-Colonna 308 .

Il principale maestro cui fare riferimento poteva essere allora lo scultore danese Bertel Thorvaldsen

(1770-1844), che fino al 1837 si era trattenuto a Roma ed era uno dei principali poli

della cultura di gusto spiccatamente ‘antiquario’ ed estetizzante 309 .

Ferdinando Marini, artista proteiforme pronto ad assumere identità diverse come pittore a

seconda dei desideri del committente, ma tecnicamente allora abilissimo, non avrebbe potuto

avere, comunque, una simile attrezzatura culturale, dal respiro cosmopolita, nel suo bagaglio

formativo. Poco più tardi Marini si sarebbe di nuovo ispirato a Thorvaldsen per i soggetti a

lui richiesti su temi mitologici dell’antichità greco-romana, come estrema attestazione di quel

culto del “Bello ideale” – in un’epoca che ormai volgeva ad un’arte di maggiore presa sulla contemporaneità

– richiesto dal gusto e dalla cultura del committente, Filippo Rossi Cassigoli.

Nel caso del palazzo de’ Rossi, il completamento del Tempio di Pitagora per il parco di Scornio

entro il primo semestre del 1825 e del Castello Gotico nel 1830 310 (figg. 127, 128, 129) – di cui lo

stesso Ferdinando Marini fece il disegno, poi inciso già nel 1841 311 – possono fornire buoni

supporti per attribuire l’impresa decorativa, per quelle due stanze al secondo piano verso

levante, alla fine degli anni Trenta del secolo XIX. Essa andò a trasformare la suggestione di

ambienti nei quali esistono tracce di almeno tre differenti sedimentazioni pittoriche, di cui

questa risulta l’ultima 312 .

Verso la contemporaneità

Dopo la morte del padre Francesco, nel 1850, Girolamo, divenuto un importante uomo politico

313 , aveva ereditato l’intera proprietà dei Rossi e, con essa, l’avìto palazzo settecentesco.

La costruzione della palazzina ottocentesca progettata nel 1828 segnava intanto un netto

spartiacque rispetto al passato, dato che, con essa, risultavano ormai del tutto superate le potenzialità

della precedente sede del casato, che ne avrebbero consentito l’ampliamento simmetrico

verso il “Canto de’ Rossi”. Girolamo deve aver considerato innanzi tutto la maggiore

‘visibilità’ e salubrità dell’aria per un’abitazione più spostata a destra 314 e, in secondo luogo,

deve aver manifestato il suo apprezzamento per ambienti nuovi e più adeguati ai tempi suoi.

Il palazzo de’ Rossi, in definitiva, rappresentava il passato: il suo prestigio architettonico poteva,

se mai, essere speso per le occasioni ufficiali e gli incontri di rappresentanza.

A questo proposito, pare significativa l’asportazione dello stemma dei Rossi, che un tempo

doveva campeggiare al centro dell’architrave del portale d’ingresso disegnato nel 1774 dall’architetto

Francesco Beneforti: come dimostra ancora la traccia del perno in ferro destinato a

sostenerlo (cfr. fig. 49). Tale atto corrisponde, come credo, ad una deliberata volontà di Girolamo

(dato che era proibito fin da Cosimo I togliere le insegne gentilizie dalle facciate) 315 : cui

dovette essere data attuazione non prima della morte del padre, che abitava nella nobile sede

del suo casato.

Si trattava di una particolare ‘rilettura’, rispetto alla “modernità”, delle vicende storiche della

nobile famiglia dei Rossi e del ruolo del settecentesco palazzo, che un tempo assicurava visibilità

a quella stirpe.

Per l’“età moderna” esso era superato e poteva restare solo come testimonianza di una storia

cittadina in continua evoluzione verso il presente e il “progresso”. Il “presente” di Girolamo

de’ Rossi era la palazzina ottocentesca in cui abitava con i suoi.

Il collegamento di essa con l’edificio monumentale attiguo è indubbio: sia attraverso passaggi

ricavati nella muraglia di contatto, sulla testata meridionale (oggi scomparsi) 316 , sia anche

mediante la scala ottocentesca che si diparte dal primo pianerottolo dello scalone d’onore del

vecchio palazzo per condurre al livello del primo piano (fig. 135).

Non ho potuto finora rintracciare quando essa sia stata realizzata, né quando sia stato aperto

l’oblò/spioncino che, dalla parete sinistra, traguarda verso il relativo ingresso 317 .

134. Statua marmorea di Afrodite anadiomene di Siracusa.

1841 311 —provides good support for assigning the decoration of those two rooms on the east side

of the third floor to the end of the 1830s. It was used to transform the atmosphere of settings

in which there are traces of at least three different layers of painting, of which this is the last. 312

Toward the Contemporary World

After the death of his father Francesco, in 1850, Girolamo, now an important politician, 313

had inherited the entire estate of the Rossi family and, with it, the ancestral 18th-century

residence.

In the meantime the construction of the 19th-century palazzina designed in 1828 marked

a clear watershed with respect to the past, given that it meant that the potential for a

symmetrical doubling of the family’s previous residence in the direction of the “Canto de’

Rossi” had now been completely superseded. Girolamo must have taken into consideration

first of all the greater “visibility” and salubrity of the air for a building shifted further to the

right, 314 and, secondly, must have expressed an appreciation for new décor better suited to

his own times.

Palazzo de’ Rossi, in short, represented the past: its architectural prestige could, if anything,

be exploited for official occasions and meetings.

In this connection, the removal of the Rossi coat of arms that must once have been set in the

middle of the lintel of the entrance designed in 1774 by the architect Francesco Beneforti,

as can still be seen from the trace of the iron pin used to support it, seems significant (see

fig. 49). This act represented, I believe, a conscious decision on the part of Girolamo (given

that it had been prohibited since the time of Cosimo I to take aristocratic crests down from

façades): 315 a decision that had to wait for its implementation until the death of his father,

who lived in the seat of the noble family.

It was a particular “reinterpretation,” with respect to “modernity,” of the history of the noble

family of the Rossi and the role of the 18th-century building that once ensured its visibility.

In the “modern era” it was outdated and could remain only as a vestige of a civic history in

continual evolution toward the present and “progress.” Girolamo de’ Rossi’s “present” was

the 19th-century palazzina in which he lived with his family.

It’s connection with the adjoining monumental building is indubitable: both through

passageways opened in the party wall, at the southern end (now vanished), 316 and through the

19th-century stairway that leads from the landing of the grand staircase of the old building

to the level of the second floor (fig. 135).

I have not so far been able to find out when it was built, nor when the round window/

peephole that looks onto the entrance from the left wall was opened. 317

In the end, we can say that by the latter half of the 19th century, the Palazzo de’ Rossi had essentially

become an annex of the Palazzina Rossi-Magnani. The memory of the Rossi’s monumental

residence was now entrusted solely to the papers in the family archives, jealously preserved and

handed down to our own day, including the Taccuino, our irreplaceable source of information. 318

The beginning of the story of the Rossi dynasty as a force in the history of the commune

of Pistoia was still recorded, with its medieval coats of arms, on the “Canto” that took its

name from the family; the late 18th and early 19th century, the period in which the residence

had been built and adorned, constituted one stage in that story and a time of transition; the

“modern era” had opened up new prospects in Italian civil, political and cultural life, leaving

the legacy of the past behind.

The documents in the land register allow us to reconstruct the succession of owners of the

building in the 19th and 20th century, along with those of the buildings adjoining it with

which it was once linked, through a series of subdivisions and transfers of property. In the

post-Unification era Girolamo’s oldest son Giulio, his brothers and Girolamo’s second wife,

although living in Florence, were still the owners of the late 18th-century family residence. 319

In the 1930s the well-known archivist Renato Piattoli had been able to examine the collection

124 125



135. Palazzo de’ Rossi, porta d’entrata dal primo

pianerottolo dello scalone alla rampa interna di scale,

ottocente sca, che conduce al primo piano, nella zona est

dell’edificio.

In definitiva, possiamo ritenere che, durante il secolo XIX avanzato, il palazzo sia in sostanza

divenuto una dépendance della palazzina Rossi-Magnani. La memoria della monumentale residenza

dei Rossi restava ormai solo affidata alle carte dell’archivio di famiglia, gelosamente

custodite e tramandate fino ad oggi, fra le quali si trovava anche il Taccuino, la nostra insostituibile

fonte d’informazione 318 .

L’ incipit della storia dei Rossi come dinastia emergente nella storia comunale di Pistoia rimaneva,

con i suoi stemmi medioevali, sul “Canto” che dai Rossi prendeva il nome; il tardo

Settecento e il primo Ottocento, l’epoca in cui era stato costruito ed adornato il palazzo, ne

costituivano una tappa e un periodo di passaggio; l’“età moderna” volgeva ormai verso ulteriori

prospettive nella vita civile, politica e culturale italiana, lasciandosi indietro il retaggio

del passato.

I documenti catastali consentono di ricostruire il succedersi dei proprietari del palazzo fra

Ottocento e Novecento, insieme con quelli degli edifici ad esso attigui con cui era un tempo

collegato, attraverso una serie di frazionamenti e di passaggi di proprietà. In età post-unitaria

il figlio primogenito di Girolamo, Giulio, i fratelli e la seconda moglie di Girolamo residenti

a Firenze, risultavano ancora in possesso della tardo-settecentesca residenza di famiglia 319 .

Nel quarto decennio del secolo XX Renato Piattoli, noto archivista, aveva potuto consultare

il fondo documentario e diplomatico dei Rossi presso i discendenti, redigendone un sommario

inventario in cui, insieme con la ricchezza di quell’archivio nobiliare privato, indicava

come numerosa altra documentazione esistesse nell’Archivio degli Istituti Raggruppati 320 .

In ultimo il palazzo de’ Rossi, acquistato il 19 ottobre 1955 da don Mario Lapini 321 , divenne

non solo ben nota sede di stagioni concertistiche di alto livello, ma anche luogo di ricordi

giovanili di chi ancor oggi può testimoniarne i differenziati, ulteriori usi: come sede del “Circolo

Pio X”; come luogo di riunioni del “Circolo Postelegrafonici”; come sala cinematografica

all’aperto, intitolata ancora a Grandonio, sul retro del palazzo. E poi ancora, più di recente,

come sede di una apprezzata Scuola di danza diretta da Loris Gai, al terzo piano, e anche

come sede della Redazione locale del quotidiano “Il Tirreno”, al secondo piano di levante,

nell’appartamento che era stato all’inizio del nostro canonico Tommaso.

L’ultima, significativa testimonianza del senso di appartenenza ad un illustre casato e alle sue

tradizioni è stata data ai nostri tempi, quando la famiglia Cecchi-Rossi di Pescia fece provvedere

al restauro e alla successiva ricollocazione della scultura in serpentino raffigurante la testa di Grandonio,

proprio entro l’incasso in cui l’aveva fatta porre nel 1793 il canonico Tommaso dei Rossi.

Infine, la donazione da parte del canonico Lapini alla allora Cassa di Risparmio di Pistoia e

Pescia (formalizzata con atto del 9 dicembre 1993 in cui il prof. Ivano Paci, penultimo Presidente

della omonima Fondazione, figurava come Presidente e legale rappresentante dell’ente

bancario) 322 , è stata la condizione di base per il successivo passaggio del palazzo alla stessa

Fondazione, come propria sede.

Nel riaccendersi dell’interesse per l’architettura del nobile edificio e per l’arte in esso contenuta –

che ha portato a nuovi studi specifici 323 – si maturava intanto l’intenzione di procedere al restauro

funzionale del palazzo, attuato su progetto dello Studio arch. Adolfo Natalini e Associati 324 .

I saggi effettuati per l’occasione nel sottosuolo e nelle aree limitrofe a cura della Soprintendenza

Archeologica della Toscana hanno contribuito a chiarire la sotterranea configurazione

delle più antiche presenze nell’habitat di Pistoia, fra l’epoca imperiale romana e le età successive

325 : di cui, peraltro, dava importanti testimonianze, già al tempo della costruzione del

palazzo e dei suoi annessi, il canonico Tommaso dei Rossi nel suo Taccuino 326 .

Né si è interrotta la tradizione di scelte stagioni concertistiche, che la Fondazione finanzia

ottemperando ai patti stipulati per la donazione del palazzo con il canonico Lapini.

L’intero palazzo de’ Rossi dunque, con le sue plurisecolari vicende, riflette la storia cittadina

fino al presente, e insieme ‘parla’ dei suoi abitatori, quelli antichi e quelli contemporanei.

Come sede della Fondazione, ha acquisito un nuovo aspetto soprattutto nei vani interni e nel loro

arredo artistico, nel mentre che ne rappresenta l’attività istituzionale mirante alla promozione

della società, delle risorse e delle iniziative, della cultura e dell’arte di Pistoia e del suo territorio 327 .

126

of the Rossi’s documents and records kept by the family’s descendants, drawing up a brief

inventory in which, along with the richness of that private archive, he indicated the existence

of many other documents in the Archivio degli Istituti Raggruppati. 320

More recently the Palazzo de’ Rossi, acquired on October 19, 1955, by Don Mario Lapini, 321

became not just a well-known venue for concerts of a high standard, but also a focus of the

youthful memories of those who are still able to recall its various further uses today: as the

location of the “Circolo Pio X”; of a meeting place for the “Circolo Postelegrafonici”; of an

open-air movie theater, named after Grandonio, at the back of the building. And then again,

more recently still, as the seat of a highly regarded dance school run by Loris Gai, on the

fourth floor, and as the local editorial office of the newspaper Il Tirreno, on the eastern side of

the third floor, in the apartment that had originally belonged to Canon Tommaso.

The last, significant testimony to the sense of belonging to an illustrious lineage and its traditions

has been provided in our own time, when the Cecchi-Rossi family of Pescia arranged for the

restoration of the serpentine sculpture of the “head of Grandonio” and its subsequent return to

its original location, in the niche in which Canon Tommaso dei Rossi had had it placed in 1793.

Finally, the donation by Canon Lapini to what was then the Cassa di Risparmio Pistoia e Pescia

(formalized with the deed of December 9, 1993, in which Prof. Ivano Paci, president of the

foundation of the same name until May 2016, appeared as president and legal representative

of the bank), 322 has been the basic condition for the subsequent transfer of the building to the

foundation, for use as its seat.

With the revival of interest in the architecture of Palazzo de’ Rossi and the art contained in it—

which has led to new, specific studies 323 —the decision was taken to carry out a functional restoration

of the building, implemented to a design by the Studio Arch. Adolfo Natalini e Associati. 324

The explorations carried out on the occasion in the subsoil and adjoining areas by the

Archeological Service of Tuscany have helped to clarify the underground configuration of

the oldest presences in the built-up area of Pistoia, between the imperial Roman era and later

ages: 325 of which, moreover, Canon Tommaso dei Rossi provided important evidence, at the

time of the construction of the building and its annexes, in his Taccuino. 326

Nor has there been an interruption of the tradition of first-rate concert programs, funded by

the foundation in fulfilment of the agreements made with Canon Lapini for the donation of

the building.

Thus the whole of Palazzo de’ Rossi, with its centuries of history, reflects that of the city

itself right down to the present, and “speaks” of its inhabitants, those of the past and those

of our own day.

As seat of the Fondazione Cassa di Risparmio di Pistoia e Pescia, it has taken on a new

appearance, especially in the interiors and their artistic decorations, as it now represents the

activities of the institution, aimed at promotion of the society, the resources and initiatives,

the culture and the art of Pistoia and its region. 327

New furnishings in the old rooms, new works of modern and contemporary art, hold a dialogue

with what remains from the past; they are combined, with unprecedented results, with the

paintings and the decorations of the 18th and 19th centuries that have been recovered and

restored. 328

In the exhibition rooms created on the ground floor (fig. 137), in the area of the former stable

and internal courtyard (fig. 136)—once also frequented by rural wagons bringing wine for the

“masters” from their estates to be stored in the capacious casks of the cellar, along with all

the other produce of the land—a select and important collection of works of art dating from

between the late Middle Ages and the 20th century, of Pistoian interest, but not solely, is

currently on display to visitors and scholars. 329

In this way the pun coined by Niccolò Puccini to celebrate the conversion of the former

stables on the ground floor of his Villa di Scornio into a place to be used to honor distinguished

artists, has been made once again relevant to the present day: “olim mulis, hodie musis.” 330

Palazzo de’ Rossi, a palazzo in the city, has in our time become a palazzo for the city.

127



Nuovi arredi nelle antiche stanze, nuove opere d’arte moderna e contemporanea dialogano

e si confrontano con quanto il passato ha sedimentato in quegli ambienti; si combinano, con

inediti risultati, con le pitture e le decorazioni sette-ottocentesche ivi recuperate 328 .

Nelle sale espositive allestite al piano terreno (fig. 137), entro l’area della ex-stalla e del cortile

interno (fig. 136) – frequentato un tempo anche dai rurali carriaggi che dai poderi di proprietà

trasportavano il vino per i “signori”, da conservare nelle capaci botti delle cantine, e

tutti gli altri prodotti della terra – si offre attualmente ai visitatori e agli studiosi una scelta e

importante raccolta di opere d’arte comprese fra tardo Medioevo e Novecento, di interesse

pistoiese, ma non solo 329 .

Si rende così, di nuovo, attuale il calembour coniato da Niccolò Puccini per celebrare il riallestimento,

come luogo destinato ad onorare artisti illustri, delle ex-stalle al piano terreno della

sua villa di Scornio: “olim mulis, hodie musis” 330 .

Il palazzo de’ Rossi, un palazzo nella città, si presenta ai tempi nostri come un palazzo per la

città.

Nella pagina a fianco

136. Cortiletto interno al piano terreno del palazzo, un

tempo facente parte dell’annesso con cortile, stalla e

deposito delle carrozze, attualmente adibito ad ambienti

espositivi di opere d’arte di proprie tà della Fondazione.

Allestimento con scultura in bronzo dipinto di Roberto

Barni, intitolata Vian dante.

In basso

137. Palazzo de’ Rossi, Sale espositive, corridoio di accesso

nell’attuale configurazione dopo il re stauro.

128 129



NOTE

1 . Il presente saggio si riferisce, per la documentazione e il

contenuto, al mio precedente studio, edito quando ancora

non era stato effettuato l’intervento di restauro e riadattamento

del palazzo de’ Rossi come sede della Fondazione

Cassa di Risparmio di Pistoia e Pescia, compiuto su progetto

dello Studio arch. Adolfo Natalini e Associati e conclusosi

nel 2012; cfr. L. Gai, Il palazzo dei Rossi. Architettura e decorazione

d’interni a Pistoia fra Sette e Ottocento, in “Storialocale”,

11, 2008, pp. 4-120. Per i continui rimandi ad esso, che qui si

rendono necessari, in deroga alle norme editoriali adottate

nel presente volume tale studio verrà citato di seguito con:

Palazzo dei Rossi. In questa occasione il contenuto è stato

integrato e talvolta modificato, specialmente per alcune

attribuzioni di pitture. La bibliografia ulteriore sul tema è

scarsa e si riduce a menzioni generalmente ridotte o tematiche.

Fece ricordo del palazzo per primo Giuseppe Tigri:

cfr. G. Tigri, Pistoia e il suo territorio. Pescia e i suoi dintorni.

Guida del forestiero a conoscere i luoghi e gli edifici più notevoli per

l’istoria e per l’arte, Pistoia, Tipografia Cino, 1854, pp. 174-175.

L’edificio patrizio non era ancora compreso nella silloge di

N. Andreini Galli, Palazzi Pistoiesi, Lucca, M. Pacini Fazzi/

Cassa di Risparmio di Pistoia e Pescia, 1991. In seguito, si

vedano: G.C. Romby, Nobili dimore del Barocco. Spazi pubblici

e ambienti segreti nei palazzi pistoiesi del ‘600 e ‘700, Pistoia,

Settegiorni Editore, 2005, pp. 42-43, 107, 140-149, 206-207;

Eadem, L’architettura nella Toscana del Barocco: tra “resistence

élastique”, magnificenza e grande decorazione, in Firenze e il

Granducato. Province di Grosseto, Livorno, Pisa, Pistoia, Prato,

Siena (“Atlante del Barocco in Italia”, Toscana/1), a cura di

M. Bevilacqua, G.C. Romby, Roma, De Luca Editori d’Arte,

2007, pp. 99-100; Eadem, Palazzo de’ Rossi, ivi (Schedatura

dei centri urbani. Provincia di Pistoia, a cura di G.C. Romby,

pp. 537-545), p. 545, n. 31; M. Bevilacqua, Scaloni Monumentali

(Spazi e strutture del Barocco. Atlante tematico, a cura di M.

Bevilacqua, M. Fagiolo, G.C. Romby), ivi, p. 314. Nel presente

contributo l’apparato bibliografico e documentario è

stato peraltro ridotto all’essenziale, senza alcuna pretesa di

esaustività. Analogamente, le notizie sugli architetti e gli artisti

pistoiesi in qualche modo coinvolti nella costruzione o

nella decorazione del palazzo de’ Rossi sono state fornite in

modo proporzionale rispetto al loro rilievo per l’argomento

trattato, anche in considerazione del fatto che, su di essi,

per lo più mancano tuttora singole monografie o approfondimenti.

2. In L. Gai, Centro e periferia: Pistoia nell’orbita fiorentina

durante il ‘500, in Pistoia: una città nello stato mediceo, Pistoia,

Edizioni del Comune di Pistoia, 1980, p. 69; sulla datazione

della Relazione del commissario Giovan Battista Tedaldi sopra la

città e il Capitanato di Pistoia cfr. ivi, p. 95 nota 160.

3 . Cfr. G.C. Romby, Nobili dimore del Barocco, cit., passim; Eadem,

L’architettura nella Toscana del Barocco, cit., pp. 95-108;

Eadem, Palazzo de’ Rossi, in Provincia di Pistoia, cit., pp. 542-

545; Settecento illustre. Architettura e cultura artistica a Pistoia

nel secolo XVIII, a cura di L. Gai e G.C. Romby, Pistoia, Gli

Ori/Cassa di Risparmio di Pistoia e Pescia, 2009, pp. 112-

115 (M.C. Pagnini, Palazzo del barone Bracciolini); 168-178 (S.

Romagnoli, Palazzo Sozzifanti del Duomo); 212-239 (C. Becarelli,

P. Benassai, Palazzo Amati Cellesi, già Amati); 270-283

(L. Gai, Palazzo Brunozzi); 387-394 (G.C. Romby, Palazzo

Marchetti Feri); 446-455 (G.C. Romby, Palazzo Forteguerri);

456-461 (P. Benassai, Palazzo Pazzagli Galeotti); inoltre: N.

Andreini Galli, Palazzi Pistoiesi, cit.; O. Agostini, Il Palazzo

Bracciolini delle Api, in F. Gurrieri et al., La piazza del duomo a

Pistoia, a cura di F. Gurrieri, Bergamo, Edizioni Bolis/Cassa

di Risparmio di Pistoia e Pescia, 1995, pp. 178-181; F. Ceccanti,

“La casa ove nel 10 giugno 1799 veniva alla luce del mondo

Niccolò Puccini”: il palazzo di via del Can Bianco a Pistoia, in

Le dimore di Pistoia e della Valdinievole. L’arte dell’abitare tra

ville e residenze urbane, a cura di E. Daniele, Firenze, Alinea

Editrice/Associazione Dimore Storiche Italiane. Sezione

Toscana, 2004, pp. 71-79; L. Gai, Il Palazzo Puccini a Pistoia.

Profilo storico, Pistoia, Gli Ori/Istituti Raggruppati, 2008;

G.C. Romby, Palazzo Forteguerri. Architettura e magnificenza

in un palazzo pistoiese del Settecento, Pistoia, Settegiorni Editore/Automobil

Club Pistoia, 2009; P. Cappellini, Il Palazzo

Pazzaglia. Memorie di una residenza pistoiese, in Un metodo per

l’antico e per il nuovo. In ricordo di Chiara d’Afflitto, a cura di F.

Falletti, F. Fiorelli Malesci, M.L. Strocchi, Firenze, Edizioni

Mandragora, 2011, pp. 129-133; C. Becarelli, L. Di Zanni, Il

palazzo Montemagni già Dal Gallo a Pistoia (“Schede per un

catalogo dell’architettura e della pittura pistoiese”), in “Bullettino

storico pistoiese” (d’ora in poi BSP), CXIV, 2012,

pp. 231-242; C. Becarelli, L. Di Zanni, Il palazzo e la famiglia

Rossi Cassigoli, in “Storialocale”, 19, 2012, pp. 42-93.

4. L. Gai, Architettura cinquecentesca a Pistoia: il palazzo del

Monte di Pietà, in “Il tremisse pistoiese”, I, 1, 1976, pp. 20-

22; Palazzo dei Rossi, p. 25 nota 46. Sul passaggio di proprietà

ai Sozzifanti nel 1582 cfr. R. Breschi, Modificazioni della scena

urbana: i palazzi dei Cancellieri e dei Sozzifanti, in Pistoia, una

città nello stato mediceo, cit., pp. 185-195: 192.

5. Palazzo dei Rossi, p. 5 nota 2; p. 29 nota 54; p. 38 nota 90;

p. 51.

6. Cfr. F. Gurrieri et al., La piazza del duomo, cit.; Piazza del

Duomo, in Settecento illustre, cit., pp. 32-123: schede di L. Gai,

Chiesa cattedrale di San Zeno. Canonica. Campanile, pp. 34-84;

Eadem, Loggia del Giuramento, pp. 85-89; S. Romagnoli, Palazzo

vescovile antico, pp. 90-102; L. Gai, Battistero, pp. 103-

111; M.C. Pagnini, Palazzo del barone Bracciolini, pp. 112-115;

G.C. Romby, Palazzo Comunale, pp. 116-123. Cfr. anche L.

Gai, Il Palazzo pretorio di Pistoia, in “Il tremisse pistoiese”,

XIII, 1988, 1 (nn. 35-37), pp. 32-43.

7. Palazzo dei Rossi, p. 5 nota 2; p. 38 nota 90; p. 51 nota 121;

cfr. Biblioteca Comunale Forteguerriana di Pistoia (d’ora in

poi BCF), Archivio dei Rossi (d’ora in poi Rossi), 15, Taccuino

per la Fabbrica de’ Rossi (d’ora in poi Taccuino), cc. 6v-7r, numerazione

originaria interna.

8. Palazzo dei Rossi, pp. 5-9, 13-14.

9. Ibidem, pp. 7-14.

10. La presenza di possenti strutture murarie nel sottosuolo

del palazzo dovette sicuramente essere riscontrata fin dallo

scavo delle prime fondamenta, iniziato nel primo semestre

del 1750: cfr. Palazzo dei Rossi, p. 34. Ad un esame delle planimetrie

dell’edificio, redatte in occasione dell’intervento

di restauro e riadeguamento affidato allo Studio arch. Adolfo

Natalini e Associati, risulta con chiarezza dai maggiori

spessori delle mura d’imposta nel sottosuolo la presenza di

preesistenti muraglie ortogonali rispetto all’asse dell’attuale

via de’ Rossi, inglobate nelle sostruzioni: cfr. Palazzo dei Rossi,

p. 64, planimetria delle cantine e, nel presente volume, la

tav. II. Al piano terreno appare attuata una regolarizzazione

degli spessori murari sottostanti, eccetto che per la parte

a destra rispetto allo scalone, sulla testata minore settentrionale:

ibidem, p. 21, planimetria del piano terreno e, nel

presente volume, la tav. I. Le muraglie nel sottosuolo avevano

impedito a lungo di scavare del tutto alcune cantine,

dal 1785, che solo più di un decennio dopo poterono essere

sistemate, ricorrendo quand’era necessario alla lunga, faticosa

e costosa opera di eliminazione a scalpello dei muri antichi

ivi rinvenuti: ibidem, p. 55; Taccuino, cc. 9v-10r, 13r, 24v.

Nello scavo delle fondamenta del muro di cinta del terreno

comprato da parte dei Rossi dal governo municipale pistoiese

nel 1762, per ampliare il resede posteriore alle proprietà

su cui doveva sorgere il nuovo palazzo, era stato rinvenuto

un bronzetto raffigurante un Marte promachos, allora ritenuto

antichissimo dagli esperti. Nella stessa zona, denominata

“orto”, erano state trovate in vari tempi altre “anticaglie”,

mentre nell’area dell’ingresso monumentale, iniziato nel

1774, era stata ritrovata una moneta “dell’imperatore Gordiano

3° ed il nipote, e nel rovescio un Marte guerriero”.

E ancora, nello scavare le fondamenta delle nuove stalle,

nel “prato di San Iacopino” (lo spiazzo esistente sul lato

meridionale della chiesa medioevale di San Iacopo in Castellare),

nell’aprile 1800, erano state rinvenute altre tracce

di mura, ma anche ossa di inumati: ibidem, rispettivamente

alle pp. 36-37 (Taccuino, c. 3r); 81-82 (Taccuino, c. 27v). Si veda

anche, in questo volume, il contributo, relativo alle indagini

archeologiche nell’area del palazzo e zone limitrofe, di Paola

Perazzi, Giovanni Millemaci, Giuseppa Incammisa.

11. Palazzo dei Rossi, pp. 7-8, 14-15.

12. Ibidem, p. 15 ill.; cfr. anche L. Gai, Aspetti della civiltà figurativa

comunale a Pistoia (“Incontri pistoiesi di storia, arte,

cultura”, 32), Pistoia, Società pistoiese di storia patria, 1985,

pp. 5-10, figg. 1, 2, 3; Eadem, La memoria storica e le sue immagini

nella civiltà comunale di Pistoia: alcuni esempi dei secoli

XII-XIII, in Il senso della storia nella cultura medioevale italiana

(1100-1350), XIV Convegno di Studi del Centro Italiano di

Studi di Storia e d’Arte di Pistoia, (Pistoia, 14-17 maggio

1993), Pistoia, presso la sede del Centro, 1995, pp. 361-396:

395-396, figg. 30, 31, 32.

13. Palazzo dei Rossi, p. 7 nota 6; p. 14 note 24, 25.

14. Ibidem, pp. 58-63, 66-68, 72-73.

15. Ibidem, p. 83. Cfr. anche le note 196-200 nel presente

studio.

16. È lo stesso canonico Tommaso dei Rossi a riferire che

nel 1802, per l’allestimento del “giardinetto”, “fu fatto un

prospetto da vedersi fino nella strada, aperti i portoni” del

palazzo e dell’ingresso interno all’area del vecchio “orto” allora

ridisegnato: Taccuino, c. 28r.

17. Ibidem, p. 65 e nota 170 pp. 65-66; Taccuino, c. 17v.

18. Ibidem, pp. 11-15.

19. Ibidem, pp. 8-9; 13: dell’ubicazione al “Canto de’ Rossi”

delle più antiche residenze del casato “ne vedi testimonio

irrefragabile la moltitudine dell’Armi poste ad ornamento

di detta cantonata et, alla medesima proportione dell’Arme,

l’Arme del Re di Sicilia e Gierusalem Protettore della

città e fautore di quella Repubblica [...]”: BCF, Rossi, 25, c.

84v. Così aveva a scrivere il canonico Vincenzo memorialista

dei Rossi, di cui si hanno notizie fra il 1622 e il 1694:

Palazzo dei Rossi, p. 11 nota 9. L’apposizione del blasone angioino

– perciò guelfo – insieme alle ripetute insegne dei

Rossi, in quella casa a Porta Sant’Andrea, significava che

quel ramo del casato, a differenza degli altri esistenti in Pistoia

(fieramente ghibellini) nella prima metà del Trecento

aveva aderito al partito del Papato ed era stato quindi accettato

entro la compagine politica comunale. Attualmente

lo stemma degli Angiò conservato presso la cantonata, alla

base del quale due cagnolini sono simbolo di fedeltà, è pressoché

illeggibile, perché il degrado della superficie in arenaria

ha quasi completamente cancellato i gigli di Francia in

rilievo un tempo esistenti nel campo, in origine dipinti in

oro su fondo blu, così come erano colorite alternativamente

di rosso e giallo/oro le bande verticali degli stemmi Rossi.

20. Si veda la scheda biografica di Tommaso di Vincenzo dei

Rossi in BCF, Rossi, 15, allegato, cc. 50r-51r; cfr. anche Palazzo

dei Rossi, p. 20 nota 44, p. 31 nota 65 (su Vincenzo di Girolamo

Alessandro di Vincenzo dei Rossi e la sua famiglia).

Sul suo intervento nel 1774 cfr. ivi, p. 45. Sugli infortuni in

tarda età cfr. ivi, p. 83 nota 231.

21. Palazzo dei Rossi, pp. 16-17. La permanenza di Vincenzo

dei Rossi, quattordicenne, alla corte fiorentina dell’Elettrice

Palatina Anna Maria Luisa de’ Medici era durata dal 7

marzo 1740 al 31 marzo 1743: cfr. ibidem, p. 17 nota 34.

NOTES

130

1. This essay draws, in its documentation and contents, on

my earlier study, published prior to the intervention of restoration

of Palazzo de’ Rossi and its adaptation as seat of

the Fondazione Cassa di Risparmio Pistoia e Pescia, carried

out to a design by the Adolfo Natalini e Associati architectural

studio and concluded in 2012; see L. Gai, “Il palazzo

dei Rossi. Architettura e decorazione d’interni a Pistoia fra

Sette e Ottocento,” Storialocale, 11 (2008), 4-120. Owing to

the continual references to it that are necessary here, as

an exception to the editorial rules adopted in this volume

this study will henceforth be cited as “Palazzo dei Rossi.”

On this occasion the contents have been supplemented and

modified here and there, especially where some attributions

of paintings are concerned. Additions to the literature

on the subject are scanty and generally confined to brief or

thematic mentions. The first to refer to the building was

Giuseppe Tigri: see G. Tigri, Pistoia e il suo territorio. Pescia e

i suoi dintorni. Guida del forestiero a conoscere i luoghi e gli edifici

più notevoli per l’istoria e per l’arte (Pistoia: Tipografia Cino,

1854, 174-75). The noble residence was not yet included in

N. Andreini Galli’s compilation Palazzi Pistoiesi (Lucca: M.

Pacini Fazzi/Cassa di Risparmio Pistoia e Pescia, 1991). Later

publications include: G.C. Romby, Nobili dimore del Barocco.

Spazi pubblici e ambienti segreti nei palazzi pistoiesi del ‘600 e

‘700 (Pistoia: Settegiorni Editore, 2005, 42-43, 107, 140-49,

206-07); idem, “L’architettura nella Toscana del Barocco: tra

“?resistence? élastique”, magnificenza e grande decorazione,”

in Firenze e il Granducato. Province di Grosseto, Livorno, Pisa,

Pistoia, Prato, Siena (vol. 1 of the “Atlante del Barocco in

Italia” series), ed. M. Bevilacqua and G.C. Romby (Rome:

De Luca Editori d’Arte, 2007, 99-100); idem, “Palazzo de’

Rossi,” ibidem (“Schedatura dei centri urbani. Provincia di

Pistoia,” ed. G.C. Romby, 537-45, 545, no. 31); M. Bevilacqua,

“Scaloni Monumentali,” ibidem, (“Spazi e strutture del

Barocco. Atlante tematico,” ed. M. Bevilacqua, M. Fagiolo

and G.C. Romby, 314). For this publication, moreover, the

bibliography and list of documents have been reduced to a

minimum, making no pretense to exhaustiveness. Likewise,

information on the Pistoian artists and architects involved

in some way in the construction or decoration of the Palazzo

de’ Rossi has been provided in a manner proportional

to their significance for the subject tackled, partly in view

of the fact that in general there are as yet no individual

monographs on them or analyses of their work.

2. In L. Gai, “Centro e periferia: Pistoia nell’orbita fiorentina

durante il ‘500,” in Pistoia: una città nello stato mediceo

(Pistoia: Edizioni del Comune di Pistoia, 1980, 69); on the

dating of the Relazione del commissario Giovan Battista Tedaldi

sopra la città e il Capitanato di Pistoia see ibidem, 95 note 160.

3. See Romby, Nobili dimore del Barocco, passim; idem,

L’architettura nella Toscana del Barocco, 95-108; idem, “Palazzo

de’ Rossi,” in Provincia di Pistoia, 542-45; M.C. Pagnini,

“Palazzo del barone Bracciolini,” in Settecento illustre.

Architettura e cultura artistica a Pistoia nel secolo XVIII, ed.

L. Gai and G.C. Romby (Pistoia: Gli Ori/Cassa di Risparmio

Pistoia e Pescia, 2009), 112-15; S. Romagnoli, “Palazzo

Sozzifanti del Duomo,” ibidem, 168-78; C. Becarelli and P.

Benassai, “Palazzo Amati Cellesi, già Amati,” ibidem, 212-

39; L. Gai, “Palazzo Brunozzi,” ibidem, 270-83; G.C. Romby,

“Palazzo Marchetti Feri,” ibidem, 387-94; G.C. Romby,

Palazzo Forteguerri,” ibidem, 446-55; P. Benassai, “Palazzo

Pazzagli Galeotti,” ibidem, 456-61. See too: Andreini Galli,

Palazzi Pistoiesi; O. Agostini, “Il Palazzo Bracciolini delle

Api,” in F. Gurrieri et al., La piazza del duomo a Pistoia, ed.

F. Gurrieri (Bergamo: Edizioni Bolis/Cassa di Risparmio

Pistoia e Pescia, 1995), 178-81; F. Ceccanti, “‘La casa ove nel

10 June 1799 veniva alla luce del mondo Niccolò Puccini’:

il palazzo di via del Can Bianco a Pistoia,” in Le dimore di

Pistoia e della Valdinievole. L’arte dell’abitare tra ville e residenze

urbane, ed. E. Daniele (Florence: Alinea Editrice/Associazione

Dimore Storiche Italiane. Sezione Toscana, 2004), 71-

79; L. Gai, Il Palazzo Puccini a Pistoia. Profilo Storico (Pistoia:

Gli Ori/Istituti Raggruppati, 2008); G.C. Romby, Palazzo

Forteguerri. Architettura e magnificenza in un palazzo pistoiese

del Settecento (Pistoia: Settegiorni Editore/Automobil Club

Pistoia, 2009); P. Cappellini, “Il Palazzo Pazzaglia. Memorie

di una residenza pistoiese,” in Un metodo per l’antico e per il

nuovo. In ricordo di Chiara d’Afflitto, ed. F. Falletti, F. Fiorelli

Malesci and M.L. Strocchi (Florence, Edizioni Mandragora,

2011), 129-33; C. Becarelli and L. Di Zanni, “Il palazzo Montemagni

già Dal Gallo a Pistoia” (“Schede per un catalogo

dell’architettura e della pittura Pistoian”), Bullettino storico

pistoiese (henceforth BSP), CXIV (2012), 231-42; C. Becarelli

and L. Di Zanni, “Il palazzo e la famiglia Rossi Cassigoli,”

Storialocale, 19 (2012), 42-93.

4. L. Gai, “Architettura cinquecentesca a Pistoia: il palazzo

del Monte di Pietà,” Il tremisse pistoiese, I, 1 (1976), 20-22;

“Palazzo dei Rossi,” 25 note 46. On the transfer of ownership

to the Sozzifanti in 1582 see R. Breschi, “Modificazioni

della scena urbana: i palazzi dei Cancellieri e dei Sozzifanti,”

in Pistoia, una città nello stato mediceo, 185-95: 192.

5. “Palazzo dei Rossi,” 5 note 2; 29 note 54; 38 note 90; 51.

6. See Gurrieri et al., La piazza del duomo; “Piazza del Duomo,”

in Settecento illustre, 32-123: entries by L. Gai, “Chiesa

cattedrale di San Zeno. Canonica. Campanile,” 34-84; idem,

“Loggia del Giuramento,” 85-89; S. Romagnoli, “Palazzo

vescovile antico,” 90-102; L. Gai, “Battistero,” 103-11; M.C.

Pagnini, “Palazzo del barone Bracciolini,” 112-15; G.C. Romby,

“Palazzo Comunale,” 116-23. See too L. Gai, “Il Palazzo

pretorio di Pistoia,” Il tremisse pistoiese, XIII (1988), 1 (nos.

35-37), 32-43.

7. “Palazzo dei Rossi,” 5 note 2; 38 note 90; 51 note 121; see

Biblioteca Comunale Forteguerriana di Pistoia (henceforth

BCF), Archivio dei Rossi (henceforth Rossi), 15; Taccuino per

la Fabbrica de’ Rossi (henceforth Taccuino), ff. 6 v -7 r , original

internal numbering.

8. “Palazzo dei Rossi,” 5-9, 13-14.

9. Ibidem, 7-14.

10. The presence of massive masonry structures in the

ground under the palazzo must have become evident as

soon as work started on digging the foundations, in the

first half of 1750: see “Palazzo dei Rossi,” 34. An examination

of the building’s plans, drawn up on the occasion of the

restoration and adaptation work entrusted to the architectural

practice Adolfo Natalini e Associati, shows clearly the

greater thickness of the foundation walls in the subsoil, indicating

the presence of preexisting walls set at right angles

to the axis of what is now Via de’ Rossi, incorporated into

the substructures: see “Palazzo dei Rossi,” 64, plan of the

cellars. There seems to have been a regularization of the

thickness of the walls beneath the ground floor, except in

the part on the right of the main stairs, at the northern end

of the building: ibidem, 21, ground floor plan. For a long time

after 1785 the walls in the subsoil had completely blocked

the excavation of some cellars, and it was not until over a

decade later that they could be sorted out, resorting where

necessary to the lengthy, laborious and costly work of eliminating

the old walls with a chisel: ibidem, 55; Taccuino, ff. 9 v -

10 r , 13 r , 24 v . During the digging of the foundations for the

boundary wall of the piece of land bought by the Rossi from

the municipal government of Pistoia in 1762, in order to

enlarge the area at the back of the plots on which the new

building was to be constructed, a small bronze had been

found representing a Mars Promachos, considered extremely

ancient by experts at the time. Other “old curiosities” had

been found in the same area, called the orto or “vegetable

garden,” at various times, while in that of the monumental

entrance, on which work started in 1774, a coin “of the

emperor Gordian III and his nephew, and on the reverse a

warrior Mars” had been found. And again, while digging the

foundations of the new stables in April 1800 other traces of

constructions, as well as bones from graves, had been uncovered

in the “meadow of San Iacopino” (the open space

on the southern side of the medieval church of San Iacopo

in Castellare): “Palazzo dei Rossi,” 36-37 (Taccuino, f. 3 r ) and

81-82 (Taccuino, f. 27 v ) respectively. See too, in this volume,

the essay on the archeological investigations in the area

of the palazzo and its environs by Paola Perazzi, Giovanni

Millemaci and Giuseppa Incammisa.

11. “Palazzo dei Rossi,” 7-8, 14-15.

12. Ibidem, 15, ill.; see too L. Gai, Aspetti della civiltà figurativa

comunale a Pistoia (“Incontri pistoiesi di storia, arte, cultura,”

32) (Pistoia: Società Pistoiese di Storia Patria, 1985), 5-10,

figs. 1, 2, 3; idem, “La memoria storica e le sue immagini

nella civiltà comunale di Pistoia: alcuni esempi dei secoli

XII-XIII,” in Il senso della storia nella cultura medievale italiana

(1100-1350), proceedings of the 14th Study Conference

of the Centro Italiano di Studi di Storia e d’Arte di Pistoia,

Pistoia, May 14-17, 1993 (Pistoia: Centro Italiano di Studi di

Storia e d’Arte, 1995), 361-96: 395-96, figs. 30, 31, 32.

13. “Palazzo dei Rossi,” 7 note 6; 14 notes 24, 25.

14. Ibidem, 58-63, 66-68, 72-73.

15. Ibidem, 83. See too notes 196-200 in this study.

16. It is Canon Tommaso dei Rossi himself who tells us that

in 1802, for the laying out of the “little garden,” “a view was

created all the way onto the street, with the main doors

open”; the doors, that is, of the palazzo and the internal

entrance to the area of the old garden that was redesigned

at the time: Taccuino, f. 28 r .

17. Ibidem, 65 and note 170, 65-66; Taccuino, f. 17 v .

18. Ibidem, 11-15.

19. Ibidem, 8-9; 13: of the location of the family’s oldest

residences at the “Canto de’ Rossi,” “incontrovertible evidence

is provided by the multitude of Arms ornamenting

said corner and, in the same proportion as the Arms, the

Arms of the King of Sicily and Jerusalem, Protector of the

city and champion of that Republic [...]”: BCF, Rossi, 25, f.

84 v . These are the words of Canon Vincenzo, memorialist

of the Rossi, whose name appears in the records between

1622 and 1694: “Palazzo dei Rossi,” 11 note 9. The presence

of the Angevin—and therefore Guelph—blazon alongside

the repeated devices of the Rossi in that house at Porta

Sant’Andrea signified that that branch of the family, unlike

the others in Pistoia (proudly Ghibelline) in the first half of

the 14th century, had espoused the party of the papacy and

had thus been accepted into the political structure of the

commune. The Angevin coat of arms on the street corner,

with two small dogs at its base as a symbol of loyalty, is now

almost illegible since the deterioration of the surface of the

sandstone has almost completely obliterated the French

fleurs-de-lis in relief once visible on the field, originally

painted in gold on a blue ground, just as the vertical bands

of the Rossi coats of arms were colored alternately red and

yellow/gold.

20. See the biographical entry on Tommaso di Vincenzo

dei Rossi in BCF, Rossi, 15, attachment, ff. 50 r -51 r ; see too

“Palazzo dei Rossi,” 20 note 44, 31 note 65 (on Vincenzo di

Girolamo Alessandro di Vincenzo dei Rossi and his family).

On his intervention in 1774 see ibidem, 45. On the accidents

he suffered in old age see ibidem, 83 note 231.

21. “Palazzo dei Rossi,” 16-17. The stay of the 14-year-old

Vincenzo dei Rossi at the Florentine court of Palatine

131



22. Ibidem, p. 17 nota 35.

23. Il canonico Tommaso, oltre ad essere autore del citato

Taccuino (inserito all’interno della filza BCF, Rossi, 15), scrisse

fra l’altro una ricchissima cronaca dei suoi tempi in tre

volumi, tuttora inedita. Sulla data di redazione del Taccuino,

cfr. Palazzo dei Rossi, p. 33 nota 74; p. 36. Un cenno alle altre

opere manoscritte di Tommaso è, in questo saggio, alla nota

186.

24. Ibidem, p. 33 nota 74; p. 83 nota 231. Per un tentativo di

spiegare la lacuna delle notizie fra 1802 e inizi del 1813, si

vedano anche nel presente studio le note 185, 187.

25. Il canonico Tommaso era nato il 12 novembre 1750, circa

un anno dopo l’inizio della nuova “fabbrica”; in gioventù

era stato mandato a studiare alle Scuole Pie di Urbino, dove

aveva frequentato il Collegio dei Nobili e l’Università Pontificia;

compiuta la maggiore età, era ritornato in patria nel

1772: ibidem, p. 20 nota 44; p. 45 nota 106.

26. Ibidem, pp. 19 nota 42, 20 nota 43, 31-32, 41-43. I debiti

con i creditori ammontavano a circa 10.000 scudi; la spesa

per la causa legale, durata dal 1764 al 1774, era stata pari a

16.693 scudi: Taccuino, c. 4v.

27. Palazzo dei Rossi, p. 50 nota 116; Taccuino, c. 6v. Il fatto

che tutti i membri della famiglia dei Rossi cointeressati ad

abitare nella nuova “fabbrica” vi si fossero stabiliti già il 5

settembre del 1774, a lavori terminati, non solo attesta la

rapidità degli operai del cantiere sotto la direzione degli

esperti capomaestri muratori Luigi Malfanti e suo zio Antonio,

oriundi da Villa di Lugano (Taccuino, c. 5r), all’opera

dagli inizi di quell’anno, ma anche che ai primi di settembre

dello stesso anno l’intero lotto destinato ad abitazione doveva

essere sostanzialmente terminato, salvo qualche particolare:

cfr. anche Palazzo dei Rossi, pp. 47, 49-50.

28. Palazzo dei Rossi, p. 18 nota 40; BCF, Rossi, 22, c. 523r. Lo

stesso canonico Tommaso descrive lo stato di avanzamento

del palazzo nel 1760: Palazzo dei Rossi, pp. 38, 40, 41; Taccuino,

c. 3r-v.

29. Vincenzo dei Rossi, che già si era impegnato nel 1748

a sposare la nobile Giulia Nencini, doveva aver deciso di

costruire il nuovo palazzo di famiglia in quell’anno, prendendo

contatti con l’architetto Raffaello Ulivi, consigliatogli

dallo zio, il canonico Francesco Maria (cfr. in questo

saggio le successive note 31 e 32). L’acquisto da parte sua

dell’abitazione del cavalier Ranieri Rossi Melocchi, la quale

restava a destra dell’area su cui il palazzo doveva sorgere (e

che sarebbe stata abbattuta per le necessità della nuova costruzione),

perfezionato il 31 luglio 1749, presupponeva una

serie di contatti e permessi risalenti all’anno prima e non

avrebbe avuto alcun senso se già nel 1748 l’architetto non

avesse sottoposto a Vincenzo, almeno in linea di massima,

lo sviluppo planivolumetrico della nuova “fabbrica”: Palazzo

dei Rossi, pp. 17-18.

30. Ibidem, p. 18 nota 40; BCF, Rossi, 22, c. 523r. Anche questo

casamento doveva essere abbattuto per far posto alla

nobile residenza dei Rossi nuovamente progettata.

31. Palazzo dei Rossi, p. 16; p. 19 nota 42. Il canonico Francesco

Maria dei Rossi tenne l’amministrazione patrimoniale

della famiglia anche all’inizio della “fabbrica”, dal 1749 al

1754; poi, con l’accusa di poco avveduta gestione degli affari

comuni, fu di fatto esautorato e sostituito col fratello

Pietro Iacopo (1702-1777), che continuò a seguire i lavori

del cantiere in qualità di economo del gruppo di parenti

cointeressati alla costruzione; cfr. ivi, pp. 31-32.

32. Ibidem, p. 33; Taccuino, c. 2v.

33. Ibidem. Il capomaestro muratore del nuovo cantiere,

Domenico Pinotti, apparteneva – come i Malfanti – ad una

dinastia di esperti maestri costruttori oriundi dalla Valdilugano;

la sua attività in Pistoia nella prima metà del Settecento

è documentata in diverse importanti “fabbriche”,

in cui metteva all’opera la sua competenza anche come

stuccatore: cfr. Settecento illustre, cit., pp. 203 (M.C. Pagnini,

Chiesa di San Pier Maggiore, pp. 201-206); 356, 362 (L. Gai,

Teatro dell’Accademia dei Risvegliati, pp. 349-363). Delle maestranze

provenienti da Lugano, diffuse fin dal Seicento in

tutta l’Italia centro-settentrionale, è stata particolarmente

indagata l’attività in Piemonte: cfr. Luganensium Artistarum

Universitas. L’archivio e i luoghi della Compagnia di Sant’Anna

tra Lugano e Torino, a cura di V. Comoli Mandracci, Lugano,

G. Casagrande Editore, 1992. A Torino le maestranze ticinesi-luganesi

concorsero “alla traduzione del disegno dinastico

[dei Savoia] nella realtà concreta della città e del territorio”,

dando prova “di indubbie capacità applicandosi a un

disparato ventaglio di problemi di architettura militare e di

edilizia civile”: G. Dardanello, Il Piemonte sabaudo, in Storia

dell’architettura italiana. Il Seicento, a cura di A. Scotti Tosini,

Milano, Electa, 2003, pp. 470-495: 470. Si veda anche F.

Quinterio, Quattro secoli di stucco in Toscana. II. Dall’Accademia

medicea al contributo dei maestri luganesi, in “Bollettino della

Società di Studi Fiorentini”, VI, 2000, pp. 65-81.

34. Su Raffaello Ulivi cfr. S. Romagnoli, La chiesa di San Leone

nel Settecento: una testimonianza architettonica della realtà

pistoiese pre-ricciana, tesi di laurea, 2003-2004, Università

degli Studi di Firenze, Facoltà di Architettura, pp. 135-147;

Eadem, Chiesa di S. Leone, in Settecento illustre, cit., pp. 188-

200: 191-195, da cui risulta un’attività compresa fra il 1727 e

il 1756 almeno; oltre questa data l’architetto iniziò ad avere

problemi di salute per poi morire l’11 settembre 1759.

Fra le opere note: 1726-33, subentra a padre Filippo Baldi

(incaricato fra il 1719 e il 1725 di seguire l’adeguamento e

la ristrutturazione del Teatro dell’Accademia dei Risvegliati)

specialmente dopo la morte del canonico e architetto

Francesco Maria Gatteschi (1656-1722) che ne aveva fatto

il progetto (L. Gai, Teatro dell’Accademia dei Risvegliati, cit.,

p. 353); 1727, disegna l’apparato funebre del cardinale Carlo

Agostino Fabroni per l’Oratorio dello Spirito Santo della

Compagnia dei Preti cui apparteneva; dal 1731 alla fine del

1749, si occupa della trasformazione interna dello stesso

Oratorio (S. Romagnoli, Chiesa di S. Leone, cit. pp. 191-194);

1733-1736, probabilmente ristruttura l’ultimo piano del Palazzo

vescovile antico all’inizio dell’episcopato di Federigo

Alamanni (1732-1775), come pare dimostrato dalla tipologia

delle finestre, ancora conservate nel 1841, quando Hope J.

Stuart raffigurò la facciata del palazzo in un acquerello (cfr.

Settecento illustre, cit., p. 91, ill.; l’ipotesi è formulata da L.

Gai, Palazzo Brunozzi, cit., pp. 270-283: 283 nota 102); 1734,

ridisegna l’interno dell’Oratorio della Madonna dell’Umiltà

alias di San Giuseppe presso la chiesa di Sant’Andrea (P.

Benassai, Oratorio della Madonna dell’Umiltà o di S. Giuseppe,

in Settecento illustre, cit., pp. 440-445: 444); 1738, disegna

probabilmente la nuova configurazione della mostra

dell’organo di San Bartolomeo, allora rifatto (P. Benassai,

Chiesa e monastero di San Bartolomeo, in Settecento illustre, cit.,

pp. 126-135: 127); 1741-1753, progetta la ristrutturazione interna

della chiesa del Carmine (P. Benassai, Chiesa e convento

di Santa Maria del Carmine, in Settecento illustre, cit., pp.

462-473: 465-466); 1744-1745, rinnova per la Compagnia dei

Preti della SS. Trinità due edifici prospicienti sulla omonima

piazzetta (oggi piazza Gavinana) (L. Gai, Palazzo Brunozzi,

cit., p. 277); 1746-1754, progetta e segue i lavori di palazzo

Brunozzi (L. Gai, Palazzo Brunozzi, cit., pp. 276-277);

1753, è attribuibile all’Ulivi la progettazione della Cappella

del Crocifisso per le Monache di Santa Maria degli Angioli

da Sala, terminata nel 1753 (cfr. M.C. Pagnini, Cappella del

SS. Crocifisso, in Settecento illustre, cit., pp. 402-408: 406, in

cui l’autrice preferisce attribuire l’opera a quelle maestranze

degli Arrighi – p. 408 nota 11 – che erano attive anche al

Carmine, cfr. P. Benassai, Chiesa e convento di Santa Maria del

Carmine, cit., p. 465); 1748-1749, progetta il nuovo palazzo

de’ Rossi, di cui probabilmente segue anche la decorazione

pittorica e in stucco all’interno almeno fino al 1756. Ultimamente

è stato reso noto sulla stampa (“La Vita”, 31, 10

settembre 2017, p. 9) che, secondo le ricerche documentarie

di Giulia Anabasi, Raffaello Ulivi avrebbe diretto anche

i lavori di ristrutturazione della chiesa pistoiese del Tempio.

35. Un sintetico cenno sull’attività del canonico e architetto

Francesco Maria Gatteschi, dal 1692 alla morte nel 1722 è

in G.C. Romby, L’architettura e la città. Tra grandeur privata,

pubblica utilità, cultura dell’antico e memorie patrie, in Settecento

illustre, cit., pp. 20-28: 23 nota 23.

36. Cfr. la nota 34 nel presente studio.

37. Ibidem.

38. Ibidem.

39. Ibidem. A questo proposito, a mio avviso occorre distinguere

il progettista – che sempre c’è, specialmente nell’età

moderna – e le maestranze incaricate di eseguirne il “disegno”

approvato dai committenti; esse qualche volta potevano

essere in grado di lavorare anche in modo praticamente

autonomo, talaltra continuavano ad essere seguite dall’architetto.

Nel caso della chiesa del Carmine e dell’Oratorio

del SS. Crocifisso delle Monache da Sala, omogenei per concezione

architettonica e per decoro artistico, la maestranza

degli Arrighi – costruttori e stuccatori – non può che essere

in relazione operativa con l’unico progettista, ravvisabile in

prete Raffaello Ulivi.

40. Ibidem.

41. Ibidem.

42. Ibidem.

43. Ibidem.

44. Cfr. P. Benassai, Chiesa e convento di Santa Maria del Carmine,

cit., p. 470 e p. 472 nota 73, con trascrizione del testo

inciso sulla lapide del sepolcreto dei Rossi.

45. Palazzo dei Rossi, pp. 58-75; Taccuino, cc. 11v-19r.

46. Soprattutto il fratello minore del canonico Tommaso,

Francesco (1762-1850), ma anche l’altro fratello mezzano, il

canonico Giulio (1754-1833), si sarebbero distinti per avere

apportato nei rispettivi appartamenti le maggiori innovazioni

interne, fra l’ultimo decennio del secolo XVIII e i

primi decenni del seguente, come si vedrà più oltre.

47. Di molti palazzi pistoiesi costruiti o riconfigurati specialmente

fra Seicento e Sette-Ottocento mancano tuttora

studi approfonditi. Il più recente palazzo dei Cancellieri

(meglio noto come Ganucci-Cancellieri, nell’attuale

via Curtatone e Montanara), eretto all’inizio del Seicento

dall’architetto pistoiese Iacopo Lafri in forme ancora tardomanieristiche,

mostra significative rispondenze nell’impostazione

della facciata con portale e sovrapposto balcone

rispetto al cosiddetto palazzo “del Priorino”, dei Sozzifanti,

nell’attuale Corso Silvano Fedi: cfr. R. Breschi, Modificazioni

della scena urbana, cit., pp. 191-192; V. Franchetti Pardo, Ruolo

operativo e linguaggio architettonico di Jacopo Lafri, in Pistoia:

una città nello stato mediceo, cit., pp. 160-184: figg. pp. 180-183;

cfr. anche N. Andreini Galli, Palazzo Cancellieri, in Palazzi

Pistoiesi, cit., pp. 135-141.

48. Cfr. O. Agostini, Il Palazzo Bracciolini delle Api, cit., pp.

178-181; G.C. Romby, Nobili dimore del Barocco, cit., soprattutto

le pp. 20, 110-113; breve scheda descrittiva del palazzo,

caratterizzato in facciata dai busti-ritratto dei Medici, in

G.C. Romby, Provincia di Pistoia, cit., in “Atlante del Barocco”,

cit., p. 542. Sull’uso di apporre in facciata dei palazzi

toscani le immagini dei granduchi, cfr. M. Fagiolo, Architettura

“cortigiana”, “araldica” e “parlante”, in “Atlante del Barocco”,

cit., pp. 347-351: 347 e fig. 11 p. 350.

49. Si rimanda al più recente studio sul palazzo: cfr. C. Be-

Electress Anna Maria Luisa de’ Medici lasted from March 7,

1740, to March 31, 1743: see ibidem, 17 note 34.

22. Ibidem, 17 note 35.

23. As well as being the author of the Taccuino referred to

below (included in the BCF file, Rossi, 15), Canon Tommaso

wrote a number of other things, including a detailed

chronicle of his times in three volumes that has still not

been published. On the date on which the Taccuino was

compiled, see “Palazzo dei Rossi,” 33 note 74; 36. A reference

to other manuscripts by Tommaso can be found, in

this essay, in note 186.

24. Ibidem, 33 note 74; 83 note 231. For an attempt to explain

the gap in the records between 1802 and the beginning of

1813, see too notes 185 and 187 in this study.

25. Canon Tommaso was born on November 12, 1750, about

a year after the beginning of the work. In his youth he had

been sent to study at the Scuole Pie in Urbino, where he

had attended the Collegio dei Nobili and the Università

Pontificia. Coming of age, he returned home in 1772. Ibidem,

20 note 44; 45 note 106.

26. Ibidem, 19 note 42, 20 note 43, 31-32, 41-43. The debts

to creditors amounted to around 10,000 scudi; the cost of

litigation, which lasted from 1764 to 1774, had been 16,693

scudi: Taccuino, f. 4 v .

27. “Palazzo dei Rossi,” 50 note 116; Taccuino, f. 6 v . The fact

that all the members of the Rossi family who wished to live

in the new building had already moved into it by September

5, 1774, on its completion, not only attests to the rapidity

of the work carried out on the site under the direction of

the master builders Luigi Malfanti and his uncle Antonio,

from Villa di Lugano (Taccuino, f. 5 r ), on the job since the

beginning of that year, but also to the fact that by early September

of the same year work on the entire lot destined for

the construction must have essentially been finished, apart

from a few details: see too “Palazzo dei Rossi,” 47, 49-50.

28. Palazzo dei Rossi, 18 note 40; BCF, Rossi, 22, f. 523 r . It was

Canon Tommaso again who described the progress of work

on the building in 1760: “Palazzo dei Rossi,” 38, 40, 41; Taccuino,

f. 3 r-v .

29. Vincenzo dei Rossi, who was already engaged to the

noblewoman Giulia Nencini in 1748, must have decided to

build the new family residence that year, making contact

with the architect Raffaello Ulivi, recommended to him by

his uncle, Canon Francesco Maria (see notes 31 and 32 of

this essay). His acquisition of the home of Cavalier Ranieri

Rossi Melocchi, which stood on the right of the area

on which the palazzo was to be built (and which would be

demolished to make room for the new construction), completed

on July 31, 1749, presupposed a series of contacts

and permits dating from the year before and it would have

made no sense if in 1748 the architect had not already submitted

to Vincenzo at least a general plan of the new building:

“Palazzo dei Rossi,” 17-18.

30. Ibidem, 18 note 40; BCF, Rossi, 22, f. 523 r . This building

must also have been demolished to make room for the newly

planned noble residence of the Rossi.

31. “Palazzo dei Rossi,” 16; 19 note 42. Canon Francesco

Maria dei Rossi continued to administer the family fortune

once the construction got underway, from 1749 to 1754. But

then, accused of poor management of its affairs, he was

relieved of his duties and replaced by his brother Pietro

Iacopo (1702-77), who took over supervision of the work

in his capacity as steward of the group of family members

involved in the construction; see ibidem, 31-32.

32. Ibidem, 33; Taccuino, f. 2 v .

33. Ibidem. The master builder of the new palazzo, Domenico

Pinotti, belonged—like the Malfanti—to a family of expert

masons from the Lugano Valley. He is documented as

having been active on several important constructions in

Pistoia in the first half of the 18th century, in which he also

made use of his skills as a stucco decorator: see Settecento

illustre, 203 (M.C. Pagnini, “Chiesa di San Pier Maggiore,”

201-06); 356, 362 (L. Gai, “Teatro dell’Accademia dei Risvegliati,”

349-63). The skilled workers from Lugano were active

in the whole of Central and Northern Italy from the 17th

century onward, but particular attention has been focused

on their activity in Piedmont: see V. Comoli Mandracci

(ed.), Luganensium Artistarum Universitas. L’archivio e i luoghi

della Compagnia di Sant’Anna tra Lugano e Torino (Lugano: G.

Casagrande Editore, 1992). In Turin masons from Lugano

and other parts of Ticino contributed “to the translation of

the dynastic design [of the Savoy] into the concrete reality

of the city and its territory,” displaying “undoubted abilities

and applying them to a disparate range of problems of military

architecture and civil construction”: G. Dardanello,

“Il Piemonte sabaudo,” in Storia dell’architettura italiana. Il

Seicento, ed. A. Scotti Tosini (Milan: Electa, 2003), 470-95:

470. See too F. Quinterio, “Quattro secoli di stucco in Toscana.

II. Dall’Accademia medicea al contributo dei maestri

luganesi,” in Bollettino della Società di Studi Fiorentini, VI

(2000), 65-81.

34. On Raffaello Ulivi see S. Romagnoli, La chiesa di San Leone

nel Settecento: una testimonianza architettonica della realtà

pistoiese pre-ricciana, dissertation, 2003-04, Department of

Architecture, University of Florence, 135-47; idem, “Chiesa

di S. Leone,” in Settecento illustre, 188-200: 191-95, from

which he appears to have been active between 1727 and

1756 at least; after this date the architect started to have

problems with his health and died on September 11, 1759.

Among his known works: in 1726-33 he took over from Father

Filippo Baldi (commissioned to supervise the adapta-

tion and renovation of the Teatro dell’Accademia dei Risvegliati

from 1719 to 1725), especially after the death of the

canon and architect Francesco Maria Gatteschi (1656-1722)

who had drawn up the plans (Gai, “Teatro dell’Accademia

dei Risvegliati,” 353); in 1727 he designed the decorations

for the funeral of Cardinal Carlo Agostino Fabroni in the

oratory of the Spirito Santo of the Society of Priests to

which he belonged; from 1731 until the end of 1749, he

worked on the transformation of the interior of the same

oratory (Romagnoli, “Chiesa di S. Leone”, 191-94); in 1733-

36 he probably renovated the top floor of the old Bishop’s

Palace at the beginning of Federigo Alamanni’s episcopate

(1732-75), as appears to be demonstrated by the form of the

windows, still present in 1841 when Hope J. Stuart depicted

the building’s façade in a watercolor (see Settecento illustre,

91, ill.; the hypothesis is put forward by L. Gai in “Palazzo

Brunozzi,” 270-83: 283 note 102); in 1734 he redesigned the

interior of the oratory of the Madonna dell’Umiltà, aka of

San Giuseppe, in the church of Sant’Andrea (P. Benassai,

“Oratorio della Madonna dell’Umiltà o di S. Giuseppe,”

in Settecento illustre, 440-45: 444); in 1738 he probably designed

the new configuration of the façade of the organ in

San Bartolomeo, repaired at the time (P. Benassai, “Chiesa

e monastero di San Bartolomeo,” in Settecento illustre, 126-35:

127); in 1741-53, he renovated the interior of the church of

Il Carmine (P. Benassai, “Chiesa e convento di Santa Maria

del Carmine,” in Settecento illustre, 462-73: 465-66); in 1744-

45 he renovated for the Society of Priests of the Santissima

Trinità two buildings facing onto the small square of the

same name (now Piazza Gavinana) (Gai, “Palazzo Brunozzi,”

277); in 1746-54 he planned and supervised the work

on Palazzo Brunozzi (Gai, “Palazzo Brunozzi,” 276-77); in

1753 the design of the chapel of the Crocifisso for the nuns

of Santa Maria degli Angioli da Sala, finished in 1753, can be

attributed to Ulivi (see M.C. Pagnini, “chapel del SS. Crocifisso,”

in Settecento illustre, 402-08: 406, in which the author

prefers to assign it to the Arrighi masons—408 note 11—

who were also active in Il Carmine; see Benassai, “Chiesa e

convento di Santa Maria del Carmine,” 465); in 1748-49 he

designed the new Palazzo de’ Rossi, where he probably also

supervised the pictorial and stucco decoration of the interior

until at least 1756. According to a recent publication

(La Vita, 31, September 10, 2017, 9) documentary research

by Giulia Anabasi has shown that Raffaello Ulivi had also

supervised the renovation of the Pistoian church of San

Giovanni Battista al Tempio.

35. A concise account of the activity of the canon and architect

Francesco Maria Gatteschi from 1692 until his death in

1722 can be found in G.C. Romby, “L’architettura e la città.

Tra grandeur privata, pubblica utilità, cultura dell’antico e

memorie patrie,” in Settecento illustre, 20-28: 23 note 23.

36. See note 34 of this study.

37. Ibidem.

38. Ibidem.

39. Ibidem. In this connection, it is necessary in my view to

distinguish the designer—and there always is one, especially

in the modern era—and the skilled builders given the job

of executing the “design” approved by the clients. Sometimes

these were able to work in a practically autonomous

manner, at others they were supervised by the architect. In

the cases of the church of Il Carmine and the oratory of

the Santissimo Crocifisso delle Monache da Sala, similar in

their architectural conception and artistic decoration, the

Arrighi masons and stuccoists have to be seen as working

under the guidance of a single architect, who can be identified

as the priest Raffaello Ulivi.

40. Ibidem.

41. Ibidem.

42. Ibidem.

43. Ibidem.

44. See Benassai, “Chiesa e convento di Santa Maria del

Carmine,” 470 and 472 note 73, with a transcription of the

text carved on the memorial tablet of the Rossi family.

45. “Palazzo dei Rossi,” 58-75; Taccuino, ff. 11 v -19 r .

46. Above all the youngest brother of Canon Tommaso,

Francesco (1762-1850), but also the other, middle brother,

Canon Giulio (1754-1833), stood out for having made the

greatest changes to the interiors of their respective apartments,

between the last decade of the 18th century and the

early decades of the next one, as we will see further on.

47. Detailed studies of many Pistoian palazzi, especially

those built or remodeled between the 17th and 18th-19th

century are still lacking. The more recent Palazzo dei Cancellieri

(better known as Ganucci-Cancellieri, on what is

now Via Curtatone e Montanara), erected at the beginning

of the 17th century by the Pistoian architect Iacopo Lafri in

a still late Mannerist style, displays significant parallels in

the design of its façade, with a portal topped by a balcony,

with the so-called “Palazzo del Priorino,” belonging to the

Sozzifanti family, on today’s Corso Silvano Fedi: see Breschi,

“Modificazioni della scena urbana,” 191-92; V. Franchetti

Pardo, “Ruolo operativo e linguaggio architettonico di

Jacopo Lafri,” in Pistoia: una città nello stato mediceo, 160-84:

180-83 (figs.); see too N. Andreini Galli, “Palazzo Cancellieri,”

in Palazzi Pistoiesi, 135-41.

48. See Agostini, “Il Palazzo Bracciolini delle Api,” 178-181;

Romby, Nobili dimore del Barocco, especially 20, 110-13; a

brief description of the building, characterized by portrait

busts of the Medici on its façade, is in Romby, “Provincia

di Pistoia,” in Firenze e il Granducato, 542. On the custom of

placing effigies of the grand dukes on the façades of Tuscan

132

133



carelli, P. Benassai, Palazzo Amati Cellesi, cit., pp. 212-239.

50. L’antico “orto” sul retro del palazzo fu trasformato in

“giardinetto” nel 1802: si rimanda alle seguenti note 196-

200. Dopo gli ultimi lavori di ristrutturazione, che qui hanno

portato ad un profondo scavo con sbancamento delle

preesistenze in tutta l’area, per l’alloggiamento di volumi

tecnici, l’intera zona è stata pavimentata con un astratto disegno

bicolore che – a quanto mi si è detto – dovrebbe fare

ricordo del precedente giardino all’italiana che vi esisteva.

51. Si veda, nel presente contributo, quanto si osserva alla

nota 29.

52. L’incarico di Francesco Beneforti nel 1774 (cfr. anche

più oltre la nota 54) comprendeva il riscontro della fattibilità,

oltre che dell’ampio ingresso accanto alla parte già

costruita, della relativa sopraelevazione, già prevista, in cui

erano compresi, sul lato di levante, i due “salotti” sovrapposti

attigui all’erigendo salone, rispettivamente al primo e al

secondo piano, che insistevano sulla piattaforma superiore

del loggiato interno da cui l’ingresso doveva prendere luce.

Cfr. Palazzo dei Rossi, p. 45; BCF, Rossi, 14, raccolta di ricevute

rilegate alle cc. 647-654: l’architetto, fra l’altro, doveva

dare “il disegno per la loggia a terreno con le sue rispettive

elevazioni”. Nella “Relazione” compilata il 5 giugno 1780 da

Luigi Malfanti (Palazzo dei Rossi, pp. 51-52; Taccuino, cc. 7v-

9r) si dichiara che il salotto al primo piano verso levante era

stato munito di “camminetto alla francese […] dopo l’anno

1774”, e quello al secondo piano “dopo l’anno 1775”: il che

circoscrive nel tempo l’esecuzione e l’allestimento interno

di tali ambienti.

53. Palazzo dei Rossi, pp. 31-32, 41; BCF, Rossi, 15, cc. 269r-

270v: cfr. anche la nota 26 nel presente studio.

54. Palazzo dei Rossi, pp. 45-47. Il fatto che nel suo Taccuino

Tommaso dei Rossi non abbia ricordato Francesco Beneforti

come consulente nel 1774 per la ripresa dei lavori alla

nuova “fabbrica” può essere indizio del tipo di impegno richiesto

all’architetto, il cui conto fu saldato il 29 maggio

dello stesso anno (ibidem, p. 46 nota 109: ivi, un breve cenno

all’attività di questo professionista, che ebbe notevole rilievo

soprattutto nel periodo dell’episcopato di Scipione de’

Ricci e durante il granducato di Pietro Leopoldo).

55. Palazzo dei Rossi, pp. 38, 40-41; Taccuino, c. 3r-v.

56. All’inizio del suo Taccuino il canonico Tommaso dichiarava

che suo zio, il canonico Francesco Maria, aveva incaricato

l’architetto Raffaello Ulivi di “disegnare, fare in pianta,

e rilevare in legno la surriferita fabbrica di palazzo […]; qual

rilievo, e parte de’ disegni furono poi venduti alla tromba

nelle divisioni, e differenze di famiglia seguire nel 1762”:

Palazzo dei Rossi, p. 33; Taccuino, c. 2v. Lo stesso Tommaso

specificava che fra il 1749 e il 1764 dell’“intrapresa fabbrica

[…] ne fu solamente edificato un terzo”: Palazzo dei Rossi, pp.

37-38; Taccuino, c. 3r. Naturalmente, la nostra fonte giudicava

solo ex post sull’ampiezza progettata originariamente per

il palazzo, che a mio avviso Raffaello Ulivi aveva lasciato

aperta ad un eventuale ampliamento, come la stessa struttura

planivolumetrica rivela.

57. L’edificio doveva essere, prima dell’intervento di costruzione

della nuova nobile sede dei Rossi, il risultato dell’accorpamento

durante il tempo di almeno tre case-torri medioevali:

di cui quella più a destra (modificata nel tempo),

attigua un tempo all’area del palazzo e destinata ad essere

abbattuta per far posto alla zona dell’ingresso monumentale,

era precocemente rovinata fra il 1772 e il 1773, invadendo

parzialmente con le macerie il già costruito: Palazzo dei Rossi,

pp. 43-45. Nella presente occasione si omette di riferire

quanto riguarda gli interventi compiuti, nel periodo, nella

“casa vecchia al Canto de’ Rossi” (peraltro puntualmente

descritti dal canonico Tommaso), eccetto nel caso in cui

qualcosa abbia avuto attinenza con il nuovo palazzo de’

Rossi. La “casa vecchia” era comunque allora considerata

parte essenziale della nuova “fabbrica”, in quanto in essa

erano concentrati tutti i servizi del palazzo, escluso quello

della stalla e rimessa delle carrozze (cui era stata destinata la

zona da edificare alla destra della nuova costruzione) e poi,

in parte, il servizio delle cantine (presenti, peraltro, anche

nella “casa vecchia”).

58. Le sezioni longitudinali del palazzo de’ Rossi, elaborate

dallo Studio arch. Adolfo Natalini e Associati durante

il recente restauro, mostrano con chiarezza l’entità del

dislivello. Nelle stesse misurazioni preliminari all’impianto

del palazzo dovette in origine essere usato l’accorgimento

di rapportare al piano orizzontale, con una proiezione ortogonale,

tutte le misure prese direttamente lungo la pendenza,

per ‘costruire’ così i presupposti necessari al disegno

planimetrico. Quando si arrivò ad impostare e realizzare la

parte relativa all’ingresso monumentale, il dislivello fra il

piano d’imposta del pianterreno e la pendenza della strada

dovette esser colmato con uno scalino, tuttora esistente, in

corrispondenza del portale: Palazzo dei Rossi, p. 46 nota 109.

59. L’antico “orto”, composto dalla somma dei ridotti appezzamenti

di terreno esistenti sul retro delle medioevali

case-torri dei Rossi, non aveva un’estensione in profondità

sufficiente per organizzare il nuovo edificio su un asse ortogonale

rispetto alla via principale. Dopo l’ingresso monumentale,

infatti, lo scalone d’onore e la relativa struttura

abitativa non avrebbero avuto un bastante sviluppo in lunghezza,

e il cortile con la stalla e la rimessa delle carrozze

sarebbe andato ad interferire sul terreno pubblico e sulle

relative vie minori di accesso pertinenti alla Pia Casa di Sapienza

e alla chiesa di San Iacopo in Castellare.

60. A causa della quota più alta del terreno, sul retro del palazzo,

era stato necessario prevedere l’acquisto di una fascia

di suolo di proprietà pubblica, nel “prato di San Iacopino”,

per poter procedere ai necessari sbancamenti. Per evitare che

le finestre del piano terreno sul fronte posteriore – come richiedeva

alle autorità Pietro Iacopo dei Rossi anche a nome

dei fratelli e nipoti il 4 agosto 1754 – non “gli restino chiuse in

detto orto, e non gli restino basse, e poco meno che sotterrate”:

BCF, Rossi, 10, cc. 558r-v, 562r. L’acquisto dell’area necessaria

fu perfezionato, dopo una serie di difficoltà burocratiche,

il 28 aprile 1762: Palazzo dei Rossi, p. 35; Taccuino, c. 2v. Dunque

in un primo tempo l’imposta del piano terra della facciata a

levante dovette rapportarsi ad uno scomodo spalto di terreno

che s’innalzava sulla trincea, scavata fino al piano orizzontale

sul quale poggiava il palazzo.

61. Cfr. la nota 10.

62. Sui problemi di carattere tecnico affrontati per la nuova

costruzione cfr. Palazzo dei Rossi, pp. 28-31. Il 12 maggio 1751

il canonico Francesco Maria dei Rossi richiedeva al Magistrato

dei Fiumi e Strade di poter acquistare una striscia di

suolo pubblico nella via, dirimpetto al palazzo Sozzifanti,

“per mettere in dirittura la facciata e la muraglia in piombo”,

allegando per chiarire una planimetria: ibidem, p. 34;

BCF, Rossi, 10, c. 571r. Già allora era richiesta un’analoga

acquisizione sul retro.

63. Palazzo dei Rossi, pp. 20, 37-38; Taccuino, c. 3r: “L’intrapresa

fabbrica […] si faceva con gli annuali avanzi dell’amministrazione

senza alienare i fondi patrimoniali [...]”.

64. Il giardino era uno dei requisiti richiesti per un palazzo

nobiliare. Per il palazzo de’ Rossi fu possibile un –

peraltro modesto – allestimento simile solo nel 1802, che

doveva dividersi lo spazio disponibile con la “cavallerizza”

fatta realizzare dal fratello minore del canonico Tommaso,

Francesco, nell’inverno 1794-1795: Palazzo dei Rossi, pp. 77,

83. Elemento qualificante per quel “giardinetto” fu l’esedra

ornata “di tufi” con la nicchia contenente la statua di Grandonio:

cfr. anche, più oltre, le note 181, 196-200.

65. Ciò risulta più volte dal Taccuino; soprattutto i dislivelli –

rimasti all’interno del casamento come relitto architettonico

delle antiche case-torri accorpate – ponevano problemi

di adeguamento dei vari ambienti ad una pavimentazione

che si cercava di rendere omogenea, facendo anche ricorso

a scale e scalette. È comunque molto interessante – e meriterebbe

uno studio a sé – la concezione complessiva dei

Rossi circa l’abitare, la vita del personale di servizio del palazzo

e i rapporti con i contadini e i fittavoli che garantivano

l’approvvigionamento ordinato e ben condotto di vino,

grano, olio, legna e altri generi alimentari per la mensa dei

Rossi. Cfr. comunque Palazzo dei Rossi, pp. 49, 65.

66. Il “luogo comune” era chiamato a Pistoia anche “necessario”,

per ovvi motivi; ma non se ne comincia a parlare

nei documenti prima del secolo XVII avanzato. Anche

i palazzi pubblici, come quello municipale o quello del

Tribunale, erano serviti nel Settecento e oltre con metodi

molto antiquati, con una commode nascosta dentro un

apposito armadio, da far comparire alla bisogna e da far

svuotare dalla servitù. La toilette – che nel Taccuino è scritta

come si pronuncia in francese, “tualette/tualetta” – era

entrata in Italia come moda francese adottata nei palazzi

più lussuosi e rappresentativi, specialmente nel “secolo dei

lumi”.

67. La nostra fonte ha cura di indicarne l’ubicazione, descrivendo

minutamente i miglioramenti apportati al terzo

piano del palazzo.

68. Il primo impianto della nuova “fabbrica”, che consisteva

nel nucleo abitativo eretto a partire dal 1750, coesisté fino

al 1772 con un edificio di cui era proprietario Vincenzo dei

Rossi, attiguo sulla sinistra, che doveva essere abbattuto in

un secondo momento per realizzare la parte dell’ingresso

monumentale. Pertanto, l’accesso all’interno, fino all’“anditino”

dello scalone d’onore, dovette avvenire – almeno fino

a che quella casa non fu crollata fra 1772 e 1773 – passando

dentro quell’abitazione: forse attraverso un ingresso a loggiato

interno, come sembra di capire dai materiali di crollo

sgombrati nel 1774.

69. Se ne vedeva qualche traccia illeggibile sotto la coloritura

a “rossaccio” del campo interno al medaglione (dipinto

prima del 1760 dal pittore fiorentino Vincenzo Meucci) fino

all’anno 2008, quando ebbi modo di far effettuare una campagna

fotografica per documentare il mio studio sul palazzo

de’ Rossi. Attualmente al centro di tale campo, ridipinto in

colore chiaro, è stato applicato un lampadario in vetro; cfr.

anche le note 88 e 89 in questo contributo. Per l’aspetto della

volta con stucchi e medaglione dipinto, prima dell’ultimo

intervento restaurativo, cfr. Palazzo dei Rossi, p. 40.

70. Cfr. ultimamente G.C. Romby, Palazzo Comunale, cit.,

pp. 117, 119-120.

71. P. Benassai, Oratorio della Madonna dell’Umiltà o di S. Giuseppe,

cit., pp. 440-444.

72. Tale tipo di finestra fu disegnato da Francesco Borromini

per Carlo Maderno impegnato per palazzo Barberini

a Roma: cfr. A. Antinori, Roma: Palazzo Barberini alle Quattro

Fontane, in Storia dell’architettura italiana. Il Seicento, cit.,

pp. 140-145, fig. a p. 143. L’influsso a Pistoia di questo palazzo

tipologicamente innovativo si riscontra nell’imbotte

‘in prospettiva’ del portale di accesso del palazzo Sozzifanti

del Duomo (ill. in S. Romagnoli, Palazzo Sozzifanti

del Duomo, cit., fig. p. 168), ristrutturato nel terzo venticinquennio

del Settecento e ancora dagli anni Ottanta del

secolo: in questo caso riprendendo l’idea già elaborata in

palazzo Barberini a Roma, molto tempo prima, delle ‘finestre

prospettiche’: cfr. F. Camerota, L’architettura illusoria,

in Storia dell’architettura italiana. Il Seicento, cit., pp. 34-47:

fig. a p. 42. Un analogo motivo ‘scenografico’ venne messo

in opera nel 1796 nel rifacimento del Teatro dei Risveglia-

palazzi, see M. Fagiolo, “Architettura ‘cortigiana’, ‘araldica’

e ‘parlante,’” in Firenze e il Granducato, 347-51: 347 and fig.

11, 350.

49. The reader is referred to the most recent study of the

palazzo: Becarelli and Benassai, “Palazzo Amati Cellesi,”

212-39.

50. The old orto or vegetable garden at the rear of the palazzo

was turned into a giardinetto in 1802: see notes 196-200

below. After the latest renovation work, which entailed a

deep excavation for the installation of technical plant, laying

bare preexisting structures in the whole area, the entire

zone has been paved with an abstract pattern in two colors

that—I have been told—is supposed to be a reminder of

the Italian-style garden that used to be located here.

51. See the observations made in note 29.

52. The task assigned to Francesco Beneforti in 1774 (see

too note 54 below) included checking the feasibility not

only of the wide entrance next to the part already constructed

but also of the addition of the planned extra story

above it, in which were comprised, on the eastern side, two

“drawing rooms” next to the hall that was being erected, on

the second and third floor respectively, which stood on the

platform of the internal portico from which the entrance

was supposed to be illuminated. See “Palazzo dei Rossi,”

45; BCF, Rossi, 14, collection of receipts bound with ff. 647-

54: the architect, among other things, had to provide “the

design for the loggia on the ground floor with its respective

elevations.” In his “Report” compiled on June 5, 1780 (“Palazzo

dei Rossi,” 51-52; Taccuino, ff. 7 v -9 r ) , Luigi Malfanti states

that the drawing room on the second floor facing east had

been fitted with a “fireplace in the French manner […] after

the year 1774,” and the one on the third floor “after the year

1775”: this circumscribes in time the execution and interior

decoration of these rooms.

53. “Palazzo dei Rossi,” 31-32, 41; BCF, Rossi, 15, ff. 269 r -270 v :

see too note 26 of this study.

54. “Palazzo dei Rossi,” 45-47. The fact that in his Taccuino

Tommaso dei Rossi did not mention Francesco Beneforti

as a consultant for the resumption of work on the building

in 1774 may be an indication of the type of engagement

requested from Beneforti, whose account was settled on

May 29 of the same year (ibidem, 46 note 109: a brief outline

of the activity of this architect, who attained considerable

prominence, especially during the episcopate of Scipione

de’ Ricci and the grand duchy of Peter Leopold).

55. “Palazzo dei Rossi,” 38, 40-41; Taccuino, f. 3

56. At the beginning of his Taccuino Canon Tommaso declared

that his uncle, Canon Francesco Maria, had commissioned

the architect Raffaello Ulivi to “design, plan and

model in wood the aforesaid building […]; this model, and

part of the drawings were then sold by auction as a result

of the divisions, and differences in the family that followed

in 1762”: “Palazzo dei Rossi,” 33; Taccuino, f. 2 v . Tommaso explicitly

stated that between 1749 and 1764 “only a third [of

the] building was constructed”: “Palazzo dei Rossi,” 37-38;

Taccuino, f. 3 r . Of course, it was only in retrospect that our

source was judging the size of the palazzo that had originally

been planned, something which in my view Raffaello

Ulivi had left open to a possible doubling, as the very structure

of the building suggests.

57. Before the construction of the Rossi’s new noble residence,

the building must have been the product of the amalgamation

over time of at least three medieval tower-houses.

The one furthest to the right, once adjoining the site of

the palazzo and destined for demolition to make room for

the monumental entrance, collapsed prematurely between

1772 and 1773, its rubble spilling over into part of what had

already been constructed: “Palazzo dei Rossi,” 43-45. Here

no reference will be made to the interventions carried out,

over this period, in the “old house at the Canto de’ Rossi”

(although they are carefully described by Canon Tommaso),

except where they had something to do with the new Palazzo

de’ Rossi. At the time, however, the “old house” was

considered an essential part of the new construction, in

that all the facilities of the palazzo were concentrated in it,

apart from that of the stable and carriage house (for which

the area on the right of the new construction had been set

aside) and, in part, that of the cellars (present, however, in

the “old house” too).

58. The longitudinal sections of the Palazzo de’ Rossi,

drawn up by the Adolfo Natalini e Associati architectural

practice during the recent restoration, show clearly the

extent of the difference in height. When surveys were

carried out preliminary to the construction of the building,

they must have used the device of referring all the

measurements taken directly along the slope to the horizontal

plane, with an orthogonal projection, in order to

“construct” the preconditions needed for the drawing of

a plan. When it came to planning and realizing the part

with the monumental entrance, the difference in height

between the base of the ground floor and the level of

the sloping street must have been bridged with a flight

of steps in front of the doorway: “Palazzo dei Rossi,” 46

note 109.

59. The old orto, created by unifying the small plots of land

at the back of the Rossi’s medieval tower-houses, did not

have an extension in depth sufficient to organize the new

building on an axis at right angles to the main street. After

the monumental entrance, in fact, the grand staircase

and the relative structure of the house would not have had

enough space, and the courtyard with the stable and carriage

house would have impinged on public land and on the

small streets providing access to the Pia Casa di Sapienza

and the church of San Iacopo in Castellare.

60. Owing to the higher level of the ground at the rear of

the building, it had been necessary to purchase a strip of

publicly owned land, in the “prato di San Iacopino,” in order

to carry out excavations. Excavations that were needed

to avoid the windows on the ground floor at the back—as

ran the request made to the authorities by Pietro Iacopo dei

Rossi in the name of his brothers and nephews on August 4,

1754—“remaining closed in said garden, and remaining low,

and almost underground”: BCF, Rossi, 10, ff. 558 r-v , 562 r . The

acquisition of the necessary area was completed, after a series

of bureaucratic difficulties, on April 28, 1762: “Palazzo

dei Rossi,” 35; Taccuino, f. 2 v . So at first the base of the ground

floor on the eastern façade had to cope with an inconvenient

earthwork that was raised above the trench dug down

to the horizontal plane on which the building stood.

61. See note 10.

62. On the problems of a technical character encountered

by the new construction see “Palazzo dei Rossi,” 28-31. On

May 12, 1751, Canon Francesco Maria dei Rossi applied to

the Board of Rivers and Roads for permission to acquire

a strip of public land in the street, opposite Palazzo Sozzifanti,

“to make the façade straight and bring the wall into

plumb,” enclosing a plan to make things clear: ibidem, 34;

BCF, Rossi, 10, f. 571 r . A request had already been made for a

similar acquisition at the back.

63. “Palazzo dei Rossi,” 20, 37-38; Taccuino, f. 3 r : “The construction

undertaken […] was done with the annual surplus

of the administration without alienating the family assets

[...].”

64. The garden was one of the requisites of an aristocratic

home. For the Palazzo de’ Rossi such a feature—and a

modest one at that—only became possible in 1802, and

even then it had to share the space available with the “riding

arena” laid out by Canon Tommaso’s younger brother

Francesco in the winter of 1794-95: “Palazzo dei Rossi,” 77,

83. The key element of that small garden was the exedra

adorned with blocks of tuff and a niche containing the statue

of Grandonio: see notes 181 and 196-200 below.

65. This is stated several times in the Taccuino; above all

the differences in height—which had remained inside the

building as an architectural hangover from the unification

of the old tower-houses—posed problems when it came

to adapting the various rooms to a flooring that attempts

were made to render homogeneous, partly by resorting to

stairs and flights of steps. Of great interest in any case—

and worthy of study in itself—is the Rossi’s overall conception

of the life and living conditions of their servants and

the family’s relations with the peasants and tenant farmers

who ensured a constant and reliable supply of wine, grain,

oil and other foodstuffs, as well as firewood, for the Rossi’s

table. See “Palazzo dei Rossi,” 49, 65.

66. The luogo comune or “common place” was also called

a “necessary” in Pistoia, for obvious reasons, but it is not

mentioned in documents until well into the 17th century.

Even public buildings, like the City Hall and the Courthouse,

were served in the 18th century and even later by

very antiquated methods, such as a commode hidden inside

a special closet, to be brought out when needed and

emptied by the servants. The toilette—which in the Taccuino

is written the way it is pronounced in French, “tualette/

tualetta”—had entered Italy as a French fashion that was

adopted in the more luxurious and exemplary of residences,

especially in the “Age of Enlightenment.”

67. Our source is careful to indicate their location, describing

in detail the improvements made to the fourth floor of

the building.

68. The first part of the new construction , which consisted

of the residential complex erected from 1750 onward, coexisted

until 1772 with a building owned by Vincenzo dei

Rossi, adjoining it on the left, that had to be demolished

later to make room for the monumental entrance. Consequently,

access to the interior, as far as the “small passage”

of the grand staircase, required passing—at least until it

collapsed between 1772 and 1773—through that house: perhaps

through an entrance with an inner porch, as the rubble

cleared in 1774 seems to suggest.

69. A few illegible traces could be made out under the “reddish”

coloring of the area around the medallion (painted

prior to 1760 by the Florentine Vincenzo Meucci) up until

the year 2008, when I had a series of photographs taken to

document my study of Palazzo de’ Rossi. Currently a chandelier

of Murano glass hangs from the center of this area,

which has been repainted in a pale color. See notes 88 and

89. For the appearance of the vault with its stuccoes and

painted medallion, prior to the most recent restoration, see

“Palazzo dei Rossi,” 40.

70. See most recently Romby, “Palazzo Comunale,” 117, 119-

20.

71. Benassai, “Oratorio della Madonna dell’Umiltà o di S.

Giuseppe,” 440-44.

72. This type of window was designed by Francesco Borromini

for Carlo Maderno when he was working on Palazzo

Barberini in Rome: see A. Antinori, “Roma: Palazzo

Barberini alle Quattro Fontane,” in Storia dell’architettura

italiana. Il Seicento, 140-45, 143 (fig.). The influence of this

typologically innovative building can be seen in Pistoia in

the under-arch “in perspective” of the doorway of Palazzo

Sozzifanti del Duomo (ill. in Romagnoli, “Palazzo Sozzifanti

del Duomo,” 168, fig.), renovated in the third quarter

of the 18th century and again in the 1780s: in this case

134

135



ti, progettato dall’architetto Cosimo Rossi Melocchi (cui

era subentrato pro forma l’ingegner Giuseppe Manetti):

dove il proscenio – come riferisce l’architetto Giuliano

Gatteschi – fu disegnato appunto ‘in prospettiva’ su suggerimento

proprio di Filippo Sozzifanti, uno degli Accademici

Risvegliati, che aveva dato a Cosimo Rossi Melocchi

“un disegno della porta principale della sua Casa, che abita

attualmente, e detto signor Cosimo Rossi ha procurato

d’arricchirla con quattro pilastri corinti striati con capitelli

dal medesimo rilevati colle proprie mani colle forme nel

Panteon a Roma [...]”: cfr. L. Gai, Teatro dell’Accademia dei

Risvegliati, cit., p. 358.

73. Non è possibile in questa occasione approfondire l’argomento.

Si veda comunque, su Andrea Pozzo, V. De Feo,

Andrea Pozzo, in Storia dell’architettura italiana. Il Seicento, cit.,

pp. 262-277: pp. 262-265, ridisegno interno della chiesa di

San Francesco Saverio a Mondovì, 1676, volta della navata

centrale con Ascensione in gloria di San Francesco Saverio.

74. Fra il 1749 e il 1760 le maestranze in palazzo de’ Rossi

furono dirette dal ‘luganese’ Domenico Pinotti (Palazzo dei

Rossi, p. 33); più tardi, dai ‘luganesi’ Luigi e Antonio Malfanti

(ibidem, pp. 47, 58-59, 61).

75. Tuttora si vede, sul fronte posteriore del palazzo, l’asse

con piccole aperture entro finte finestre (probabilmente un

tempo dipinte entro le cornici lapidee omogenee alle altre

di ciascun piano) che individuano la presenza degli stanzini

nascosti in relazione con la “scala a chiocciola segreta”: cfr.

es. tav. IX, b, c.

76. Palazzo dei Rossi, pp. 38-41; Taccuino, c. 3r-v.

77. Palazzo dei Rossi, p. 31 nota 65.

78. Ibidem.

79. Ibidem, p. 20 nota 44, p. 31 nota 65, p. 45, p. 83 nota 231,

p. 99 nota 266.

80. Ibidem, p. 31 nota 65, p. 57 nota 137, pp. 84-85, 88, p. 100

nota 266.

81. Ibidem, p. 31 nota 65, p. 57 nota 139, pp. 89-91, p. 96 nota

261, pp. 99-100 nota 266. Francesco di Vincenzo dei Rossi

era nato l’8 novembre 1762.

82. Il “salotto” era stato allestito fra il 1774 e il 1775: cfr. la

nota 52 nel presente studio. Essendo di accesso, dalla parte

interna dell’ala est, al salone d’onore (dove evidentemente

si davano feste da ballo), l’ampio ambiente doveva servire

anche all’orchestra; né è un caso che l’allegoria della Musica,

attribuibile a Ferdinando Marini verso la fine del terzo

decennio dell’Ottocento, ne orni il soffitto: Palazzo dei Rossi,

pp. 93, 108; si rimanda anche, nel presente studio, alle note

277, 286.

83. Giuseppe Tigri menziona nel 1853-1854, nella sua “Guida”

dedicata a Pistoia, p. 175, “due piccoli gruppi di figure in

creta dello scultor pistoiese Francesco Carradori” esistenti

nel palazzo de’ Rossi in quel tempo, come indizio di un collezionismo

d’arte che certamente doveva completarsi con

quadri, preziosi soprammobili, mobilio di pregio e che doveva

arricchire ambienti come le “gallerie”, a ciò destinate

secondo la moda francese. Sul ruolo di queste sale cfr. G.C

Romby, Gallerie, in Spazi e strutture del Barocco. Atlante tematico,

in “Atlante del Barocco”, cit., p. 319: dalla esemplificazione

addotta risulta comunque che la particolare densità

ornamentale sulle pareti e sui soffitti di queste “gallerie”

poteva anche essere sostitutiva di una eventuale raccolta di

oggetti artistici ivi sistemati.

84. Palazzo dei Rossi, p. 40; Taccuino, c. 3r-v.

85. Palazzo dei Rossi, pp. 68-69 note 175, 176. Cfr. Taccuino,

c. 9v: già nel 1775 Vincenzo e sua moglie Giulia, i genitori

di Tommaso, avevano fatto realizzare una più piccola stalla

di servizio “nella casa vecchia”, “per due cavalli”, con attigua

“selleria” (con accesso dall’“orto”) “perché i cavalli nella

stanza grande del palazzo infastidivano i sonni della detta

signora Giulia”.

86. Palazzo dei Rossi, p. 40; Taccuino, c. 3r-v.

87. Manca tuttora un esaustivo repertorio degli artisti (pistoiesi

e non) operosi a Pistoia fra Sei e Settecento, insieme

con un’aggiornata analisi sull’orizzonte della cultura e dei

gusti condivisi da artefici e committenti. Su Tommaso Cremona,

attivo per tutta la seconda metà del Settecento, si

rimanda per ora alle brevi annotazioni in Palazzo dei Rossi,

pp. 39-40 nota 91 e agli items di Settecento illustre, cit., pp. 21,

22, 23, 51, 68, 140, 144, 149, 150, 151, 214, 229, 252, 253, 255,

263, 264, 266, 272, 274, 276, 278, 283, 317, 332, 342, 355, 361,

383, 453, 455, 471. Il 3 febbraio 1783 il patrizio Iacopo Maria

Montemagni Buonaccorsi gli affittava una casa di tre piani,

di nove stanze e “terreno”; lo stuccatore-architetto risultava

allora domiciliato in Pistoia presso la consorte Maddalena

Berducci, in Cappella di Santa Maria dell’Umiltà, in via

dell’Ospizio n. 753 (numerazione del Catasto Granducale):

ASP, Catasto Granducale, 28, Giustificazioni di Volture 1782-

1792, n. 63.

88. Palazzo dei Rossi, p. 38 e nota 91; Taccuino, c. 3r-v. Un rimando

all’elenco delle principali opere di Vincenzo Meucci

in Pistoia si trova alla stessa nota 91. Un’esauriente scheda

sull’attività del pittore – che non ho attualmente la possibilità

di aggiornare – è di S. Meloni Trkulja, Vincenzo Meucci, in

La pittura in Italia. Il Settecento, a cura di G. Briganti, Milano,

Electa, seconda edizione accresciuta e aggiornata (rispetto

alla prima del 1989), 1990, pp. 793-794. Cfr. anche gli items

di Settecento illustre, pp. 32, 47, 49, 65, 66, 67, 68, 74, 75, 78,

79, 94, 194, 195, 196, 212, 214, 226, 228, 238, 283, 284, 292, 295,

298, 299, 384, 404, 406, 407, 408, 452, 468, 470.

89. Per il soggetto dell’opera, perduta, si può solo ipotizzare,

per analogia con quanto di solito si trova in simili scaloni,

che si trattasse di uno “sfondato” prospettico con la

Gloria del Blasone dei Rossi, innalzato da putti in volo o figure

allegoriche.

90. Palazzo dei Rossi, p. 40; Taccuino, c. 3r-v. Un breve cenno

all’attività di Ippolito Matteini è ivi alla nota 92 p. 41.

L’artista pistoiese è menzionato in alcune pubblicazioni.

Ne fanno sintetico ricordo gli storiografi d’arte fra tardo

Settecento e prima metà dell’Ottocento autori di “Guide

di Pistoia”: Bernardino Vitoni, Innocenzo Ansaldi,

Francesco Tolomei, Giuseppe Tigri; cfr. Pistoia inedita. La

descrizione di Pistoia nei manoscritti di Bernardino Vitoni e Innocenzo

Ansaldi, edizione critica e commento a cura di L.

di Zanni ed E. Pellegrini, Pisa, Edizioni ETS/Fondazione

Cassa di Risparmio di Pistoia e Pescia, 2003, pp. 96, 201,

202, 203, 220, 254, 261, 266, 285, 319, 363, 365; F. Tolomei,

Guida di Pistoia per gli amanti delle belle arti con notizie degli

architetti, scultori, e pittori pistoiesi, Pistoia, Bracali, 1821, pp.

17, 186; G. Tigri, Pistoia e il suo territorio, cit., pp. 351, 352.

Cfr. anche V. Capponi, Biografia pistoiese, o Notizie della vita

e delle opere dei pistoiesi, Pistoia, Tipografia Rossetti, 1878,

p. 269. Più recentemente: N. Andreini Galli, Ville pistoiesi,

Pisa, Litografia Varo/Cassa di Risparmio di Pistoia e Pescia,

1989, pp. 169-181: 177 e figg. alle pp. 176, 178-179, 180,

181 (Villa Ippoliti al Merlo); pp. 183-193: 191-192, ill. pp.

190-191 (Villa Forteguerri a Spazzavento); P. Cappellini, La

decorazione sei-settecentesca nei palazzi pistoiesi, in Le dimore

di Pistoia, cit., pp. 249-256: 255; N. Gori Bucci, Il pittore

Teodoro Matteini (1754-1831), Venezia, Istituto Veneto di

Scienze, Lettere ed Arti, 2006, pp. 3-4; L. Gai, Il Palazzo

Puccini, cit., pp. 66, 145 nota 155, 157; G.C. Romby, Palazzo

Forteguerri. Architettura, cit., pp. 34, 35-40 ill.; Settecento illustre,

cit., pp. 51, 52, 67-68 nota 231 (L. Gai, Chiesa cattedrale

di S. Zeno, pp. 34-70); 84 (L. Gai, Campanile, pp. 79-84);

200 (S. Romagnoli, Chiesa di S. Leone, pp. 188-200); 263,

264 (C. Bruni, Chiesa e convento dei Servi, pp. 256-267); 276,

280, 283 (L. Gai, Palazzo Brunozzi, pp. 270-283); 343 (G.C.

Romby, Palazzo vescovile nuovo, pp. 337-344); 356, 362 (L.

Gai, Teatro dell’Accademia dei Risvegliati, pp. 349-363); 449,

451, 452 (G.C. Romby, Palazzo Forteguerri, pp. 446-455). Ultimamente

P. Cappellini, La Villa Forteguerri a Candeglia, in

BSP, CXII, 2010, (“Archivum pistoriense”), pp. 209-216:

210-211 nota 6. Vittorio Capponi menziona soltanto il figlio

Teoodoro in V. Capponi, Studi, notizie e documenti per

servire alla Storia della Pittura in Pistoia, a cura di N. Lepori,

Pistoia, Settegiorni Editore, 2017, pp. 199-200. Ricordato

finora soprattutto come padre del più noto pittore Teodoro

Matteini (1754-1831), Ippolito era comunque, nella seconda

metà del Settecento, uno dei più apprezzati pittori

“quadraturisti” e “ornatisti” in Pistoia, come risulta dalle

numerose e spesso importanti commissioni d’arte finora

note. Era “figlio d’arte”: un suo diretto parente – forse il

nonno o lo zio – era maestro d’intaglio in legno ed era

all’opera, fra 1682 e 1706, per costruire le residenze lignee

degli Ufficiali dell’Oratorio della Congregazione della SS.

Concezione attiguo alla chiesa dei Gesuiti (cfr. P. Benassai,

Chiesa dello Spirito Santo, in Settecento illustre, cit., pp.

378-386: 380), ed era menzionato col nome più familiare di

“Polito”; anche il nostro Ippolito sarebbe stato chiamato,

in modo analogo, col diminutivo “Politino” nei rapporti

con i Servi di Pistoia e altrove. In gioventù e nella prima

maturità risulta in relazione con l’ambiente culturale

e artistico bolognese e i disegnatori di scenografie teatrali

dell’Accademia Clementina. Su tale ambiente, ricchissimo

di innovazioni e di contatti esterni, cfr. A.M. Matteucci,

Figuristi, quadraturisti, ornatisti, in Eadem, I decoratori

di formazione bolognese tra Settecento e Ottocento. Da Mauro

Tesi ad Antonio Basoli, Milano, Electa, rist. 2003 (prima ed.

2002), pp. 13-34. Inizialmente lo troviamo all’opera come

decoratore nel 1755 nella ristrutturazione del Teatro dei

Risvegliati progettata da Antonio Galli Bibbiena; a Ippolito

sono da attribuire i finissimi monocromi con scene

mitologiche erotiche nei sovrapporta del salone di palazzo

Brunozzi; prima del 1760 aveva dipinto alcune stanze al

primo e secondo piano di palazzo de’ Rossi; nel 1764-1765

aveva ornato con quadrature e figure la rinnovata cappella

del Crocifisso in duomo, su disegno del bolognese Petronio

Fancelli (1737-1800), venuto a Pistoia come consulente

per la ristrutturazione e nuova decorazione dell’Oratorio

della Compagnia dei Preti dello Spirito Santo; fra il

1764 e il 1767 era impegnato in palazzo Forteguerri, nella

grandiosa scenografia pittorica con Storie dell’Iliade e divinità

olimpiche a monocromo nel nuovo salone, dove

la scena con l’Incendio di Troia nello “sfondo” della volta

veniva realizzata dal fiorentino Giuseppe Gricci; nel 1769

dipingeva nella Villa Forteguerri a Spazzavento e intorno

a quegli anni anche nella Villa Ippoliti al Merlo, insieme

al pistoiese Giuseppe Valiani (1730-1800), di formazione

bolognese, zio, quest’ultimo, di Bartolomeo Valiani attivo

poi anche in palazzo de’ Rossi; nel 1770 risulta autore del

modello della volta “sfondata” sopra la nuova scala di palazzo

Forteguerri e, nello stesso anno, elaborava il progetto

per la perduta decorazione a quadrature e “statue” per

la foresteria nuova nel convento dei Servi; tornava anche

in quell’anno a dipingere in palazzo Brunozzi gli infissi ed

altri arredi lignei; nel 1771 ridipingeva la mostra dell’orologio

pubblico sulla torre campanaria del duomo; ripuliva

e rinfrescava con l’assistenza dell’architetto Francesco Beneforti

le due cappelle del Sacramento e di San Rocco in

duomo, nel 1773; nel 1776 era ricevuto con un “rinfresco”

dai Servi, probabilmente per prospettare nuove iniziative

decorative; fra il 1788 e il 1790 operava, nel Palazzo

vescovile nuovo, alla decorazione dell’appartamento del

vescovo, nei vani al piano superiore e nelle “gallerie” a

tramontana e a mezzogiorno, insieme con altri artisti capeggiati

dal pittore Francesco Sforzi; nel 1793 dipingeva il

“cielo” della “galleria” al secondo piano dell’ala orientale

taking up the idea already developed for Palazzo Barberini

in Rome, much earlier, of “perspective windows”: see F.

Camerota, “L’architettura illusoria,” in Storia dell’architettura

italiana. Il Seicento, 34-47: 42 (fig.). A similar “scenic” motif

was adopted in 1796 in the reconstruction of the Teatro

dei Risvegliati, to a design by the architect Cosimo Rossi

Melocchi (who had formally taken the place of the engineer

Giuseppe Manetti): where the proscenium—as we are informed

by the architect Giuliano Gatteschi—was designed

“in perspective” at the suggestion of Filippo Sozzifanti, one

of the members of the Accademia dei Risvegliati, who had

given Cosimo Rossi Melocchi “a drawing of the main door

of his House, in which he currently lives, and said Signor

Cosimo Rossi has had it enriched it with four fluted Corinthian

pillars with capitals that he took with his own hands

with their forms from the Pantheon in Rome [...]”: see Gai,

“Teatro dell’Accademia dei Risvegliati,” 358.

73. It is not possible to go further into the subject here.

See however, on Andrea Pozzo, V. De Feo, “Andrea Pozzo,”

in Storia dell’architettura italiana. Il Seicento, 262-77: 262-65,

redesign of the interior of the church of San Francesco

Saverio at Mondovì, 1676, vault of the nave with Ascension in

Glory of Saint Francis Xavier.

74. Between 1749 and 1760 the workers in Palazzo de’ Rossi

were supervised by Domenico Pinotti from Lugano (“Palazzo

dei Rossi,” 33); later, by Luigi and Antonio Malfanti, also

from Lugano (ibidem, 47, 58-59, 61).

75. Still visible, at the back of the palazzo, is the line of

small openings in mock windows (probably once painted

inside stone moldings resembling the others on each floor)

that indicate the presence of the hidden rooms served by

the “secret spiral staircase”: see pls. IX, b, c.

76. “Palazzo dei Rossi,” 38-41; Taccuino, f. 3 r-v .

77. “Palazzo dei Rossi,” 31 note 65.

78. Ibidem.

79. Ibidem, 20 note 44, 31 note 65, 45, 83 note 231, 99 note

266.

80. Ibidem, 31 note 65, 57 note 137, 84-85, 88, 100 note 266.

81. Ibidem, 31 note 65, 57 note 139, 89-91, 96 note 261, 99-

100 note 266. Francesco di Vincenzo dei Rossi was born on

November 8, 1762.

82. The salotto had been fitted out between 1774 and 1775:

see note 52. As it provided access, from the inside of the

east wing, to the reception hall (where evidently balls were

held), the large room was used by the orchestra; nor is it a

coincidence that its ceiling was decorated with an allegory

of Music that can be attributed to Ferdinando Marini toward

the end of the 1820s: “Palazzo dei Rossi,” 93, 108; the

reader is also referred to notes 277 and 286 of this study.

83. In 1853-54, Giuseppe Tigri mentioned on p. 175 of his

“Guide” to Pistoia, “two small groups of clay figures by the

Pistoian sculptor Francesco Carradori” present in Palazzo

de’ Rossi at that time, suggesting that it housed an art collection

which must also have included pictures, precious

ornaments and fine pieces of furniture and was used to

embellish rooms like the “galleries” set aside for the purpose

in the French manner. On the role of these rooms see

G.C Romby, “Gallerie,” in Spazi e strutture del Barocco. Atlante

tematico, “Atlante del Barocco,” 319: from the example given,

however, it appears that the particular density of ornamentation

on the walls and ceilings of these “galleries” may have

taken the place of any actual collection of artistic objects

arranged in them.

84. “Palazzo dei Rossi,” 40; Taccuino, f. 3 r-v .

85. “Palazzo dei Rossi,” 68-69 notes 175, 176. See Taccuino, f.

9 v : as early as 1775 Vincenzo and his wife Giulia, Tommaso’s

parents, had installed a small secondary stable “in the old

house,” “for two horses,” with an adjoining “harness room”

(with access from the vegetable garden) “because the horses

in the large room of the palazzo disturbed the sleep of the

aforesaid Signora Giulia.”

86. “Palazzo dei Rossi,” 40; Taccuino, f. 3 r-v .

87. No one has yet compiled an exhaustive list of the artists

(Pistoian and otherwise) working in Pistoia in the 17th and

18th centuries, or carried out an informed analysis of the

culture and tastes shared by artists, craftsmen and clients.

On Tommaso Cremona, active throughout the second half

of the 18th century, the reader is referred for now to the

brief annotations in “Palazzo dei Rossi,” 39-40 note 91, and

the mentions in Settecento illustre, 21, 22, 23, 51, 68, 140, 144,

149, 150, 151, 214, 229, 252, 253, 255, 263, 264, 266, 272, 274,

276, 278, 283, 317, 332, 342, 355, 361, 383, 453, 455, 471. On February

3, 1783, the nobleman Iacopo Maria Montemagni Buonaccorsi

rented him a three-story house, with nine rooms

and “land”; the stuccoist and architect seemed to have been

living in Pistoia at the time at the home of his wife Maddalena

Berducci, in the chapel of Santa Maria dell’Umiltà,

at Via dell’Ospizio no. 753 (numbering of the Grand-Ducal

Cadaster): ASP, Catasto Granducale, 28, Giustificazioni di

Volture 1782-1792, no. 63.

88. “Palazzo dei Rossi,” 38 and note 91; Taccuino, f. 3 r-v . A reference

to the list of Vincenzo Meucci’s main works in Pistoia

can be found in the aforementioned note 91. An exhaustive

record of the painter’s activity—which I do not at present

have the possibility to update—is in S. Meloni Trkulja, “Vincenzo

Meucci,” in La pittura in Italia. Il Settecento, ed. G. Briganti

(Milan: Electa, second expanded and updated edition,

with respect to the first of 1989, 1990), 793-94. See too the

references in Settecento illustre, 32, 47, 49, 65, 66, 67, 68, 74, 75,

78, 79, 94, 194, 195, 196, 212, 214, 226, 228, 238, 283, 284, 292,

295, 298, 299, 384, 404, 406, 407, 408, 452, 468, 470.

89. For the subject of the work, now lost, we can only speculate,

by analogy with what is usually found on staircases of

this kind, that it was a trompe-l’oeil in perspective depicting

the Glory of the Rossi Family, held aloft by flying putti or allegorical

figures.

90. “Palazzo dei Rossi,” 40; Taccuino, f. 3 r-v . A brief account

of the activity of Ippolito Matteini can be found in “Palazzo

dei Rossi,” 41 note 92. The Pistoian artist is mentioned in

some publications. Succinct references to him were made

by the art historians who wrote “Guides to Pistoia” between

the late 18th century and the first half of the 19th,

Bernardino Vitoni, Innocenzo Ansaldi, Francesco Tolomei

and Giuseppe Tigri: see Pistoia inedita. La descrizione di Pistoia

nei manoscritti di Bernardino Vitoni e Innocenzo Ansaldi, critical

edition and commentary by L. di Zanni and E. Pellegrini

(Pisa: Edizioni ETS/Fondazione Cassa di Risparmio Pistoia

e Pescia, 2003), 96, 201, 202, 203, 220, 254, 261, 266, 285, 319,

363, 365; F. Tolomei, Guida di Pistoia per gli amanti delle belle

arti con notizie degli architetti, scultori, e pittori pistoiesi (Pistoia:

Bracali, 1821), 17, 186; Tigri, Pistoia e il suo territorio, 351, 352.

See too V. Capponi, Biografia pistoiese, o Notizie della vita e

delle opere dei pistoiesi (Pistoia: Tipografia Rossetti, 1878),

269. More recently: N. Andreini Galli, Ville pistoiesi (Pisa:

Litografia Varo/Cassa di Risparmio Pistoia e Pescia, 1989),

169-81: 177 and figs. on 176, 178-79, 180, 181 (Villa Ippoliti al

Merlo); 183-93: 191-92, ill., 190-91 (Villa Forteguerri a Spazzavento);

P. Cappellini, “La decorazione sei-settecentesca

nei palazzi pistoiesi,” in Le dimore di Pistoia, 249-56: 255; N.

Gori Bucci, Il pittore Teodoro Matteini (1754-1831) (Venice: Istituto

Veneto di Scienze, Lettere e Arti, 2006), 3-4; Gai, Il

Palazzo Puccini, 66, 145 note 155, 157; Romby, Palazzo Forteguerri.

Architettura, 34, 35-40 ill.; Settecento illustre, 51, 52, 67-

68 note 231 (Gai, “Chiesa cattedrale di S. Zeno,” 34-70); 84

(Gai, “Campanile,” 79-84); 200 (Romagnoli, “Chiesa di S.

Leone,” 188-200); 263, 264 (C. Bruni, “Chiesa e convento

dei Servi,” 256-67); 276, 280, 283 (Gai, “Palazzo Brunozzi,”

270-83); 343 (G.C. Romby, “Palazzo vescovile nuovo,” 337-

44); 356, 362 (Gai, “Teatro dell’Accademia dei Risvegliati,”

349-63); 449, 451, 452 (Romby, “Palazzo Forteguerri,” 446-

55). Most recently: P. Cappellini, “La Villa Forteguerri a

Candeglia,” BSP, CXII, 2010 (“Archivum pistoriense”),

209-16: 210-11 note 6. Vittorio Capponi only mentions his

son Teodoro in V. Capponi, Studi, notizie e documenti per servire

alla Storia della Pittura in Pistoia, ed. N. Lepori (Pistoia:

Settegiorni Editore, 2017), 199-200. Most often referred to

up to now as father of the better-known painter Teodoro

Matteini (1754-1831), Ippolito was nevertheless, in the second

half of the 18th century, one of the most highly regarded

painters of trompes-l’oeil and “ornamentalists” in Pistoia,

as is evident from the numerous and often important

commissions he is known to have received. He was born

into an artistic family: one of his close relatives—perhaps

his grandfather or uncle—was a master woodcarver and

worked from 1682 to 1706 on the wooden residences of the

officials of the oratory of the Congregazione della Santissima

Concezione adjoining the church of the Jesuits (see

Benassai, “Chiesa dello Spirito Santo,” in Settecento illustre,

378-86: 380), and was known by the more familiar name of

“Polito”; Ippolito too seems to have been referred to by the

diminutive “Politino” in his relations with the Servites of

Pistoia and elsewhere. In his youth and early maturity he

seems to have been connected with the cultural and artistic

milieu of Bologna and the theatrical scenery designers

of the Accademia Clementina. On these highly innovative

circles and their extensive contacts with the outside world,

see A.M. Matteucci, “Figuristi, quadraturisti, ornatisti,” in

idem, I decoratori di formazione bolognese tra Settecento e Ottocento.

Da Mauro Tesi ad Antonio Basoli (Milan: Electa, reprint

2003; 1st ed. 2002), 13-34. Initially we find him working as

a decorator in 1755 on the renovation of the Teatro dei Risvegliati

to a design by Antonio Galli Bibbiena; the refined

monochromes with erotic scenes from mythology in the

panel above the door of the hall of Palazzo Brunozzi can

be attributed to Ippolito; before 1760 he had painted some

rooms on the second and third floors of Palazzo de’ Rossi;

in 1764-65 he had adorned with trompes-l’oeil and figures the

chapel of the Crucifixion in the cathedral, renovated to a

design by the Bolognese Petronio Fancelli (1737-1800), who

had come to Pistoia as an adviser on the renovation and

new decoration of the oratory of the Compagnia dei Preti

dello Spirito Santo; between 1764 and 1767 he was at work

in Palazzo Forteguerri, on the imposing monochrome depiction

of Stories from the Iliad and Olympian gods in the

new reception room, where the trompe-l’oeil scene with the

Burning of Troy on the vault was painted by the Florentine

Giuseppe Gricci; in 1769 he was painting in Villa Forteguerri

a Spazzavento and around the same time in Villa Ippoliti

al Merlo, along with the Pistoian Giuseppe Valiani (1730-

1800), trained in Bologna and uncle of Bartolomeo Valiani,

who was also active later in Palazzo de’ Rossi; in 1770 he

seems to have been the author of the design for the trompel’oeil

on the vault above the new staircase of Palazzo Forteguerri

and, in the same year, drew up the plans for the lost

decoration with trompes-l’oeil and “statues” of the new quest

quarters in the Servite monastery; in that year he was also

back in Palazzo Brunozzi, painting the frames and other

wooden fittings; in 1771 he repainted the setting of the public

clock on the cathedral’s bell tower; with the assistance

of the architect Francesco Beneforti he cleaned and brightened

up the two chapels of the Sacrament and San Rocco

in the cathedral in 1773; in 1776 he was given a “reception”

by the Servites, probably to discuss new decorative initiatives;

between 1788 and 1790 he was working, in the new

Bishop’s Palace, on the decoration of the bishop’s apartment,

in the rooms on the upper floor and in the north and

136

137



del palazzo Puccini (decorazioni poi sostituite dai dipinti

di Ferdinando Marini). Di altre opere non si conosce per il

momento la data, come le grisailles nella pieve di San Pietro

a Casalguidi e le – perdute – figure di angeli nell’arco

d’incorniciatura di uno dei due altari laterali della chiesa

pistoiese di Santa Maria Nuova. Fu anche maestro di disegno

nelle scuole pubbliche cittadine, e questo suo incarico

è sicuro indizio di successo e competenza. Purtroppo,

come in altri casi, le sue pitture a monocromo in palazzo

de’ Rossi, con Storie della Sacra Scrittura, eseguite per le

camere da letto rispettivamente dei “quartieri” di levante

e di ponente al secondo piano, insieme con la “galleria”

del primo piano a levante e quella sovrapposta al secondo

piano – i cui soggetti ci sono sconosciuti – sono andati

perduti, per sostituzione con altri, più recenti affreschi.

Tuttavia le attestazioni documentarie in proposito indicano

come l’originaria decorazione ideata complessivamente

per la prima parte del palazzo (eretta dal 1750 e sostanzialmente

conclusa, fino al secondo piano compreso, verso il

1760) fosse dovuta alla grande ambizione dei proprietari di

procurarsi artisti, sia locali che non, di notevole rilievo, le

cui opere essi potevano apprezzare in città.

91. Palazzo dei Rossi, p. 40; Taccuino, c. 3r-v. Cfr. anche, nel

presente contributo, la nota precedente.

92. Ibidem.

93. BCF, Rossi, 15, allegato al Taccuino, scheda biografica del

canonico Tommaso dei Rossi, cc. 50r-51v: nel 1762 è nominato

canonico, con dispensa papale, a 11 anni e 7 mesi; nel

1772 tornato a Pistoia lascia il canonicato; nel 1775 riprende

l’abito clericale ed è consacrato ai quattro ordini minori; il

26 maggio 1776 riottiene il canonicato; il primo giugno dello

stesso anno è ordinato sacerdote; il 6 febbraio 1787 prende

possesso del primiceriato fra i canonici della cattedrale di

Pistoia.

94. Palazzo dei Rossi, p. 40; Taccuino, c. 3r-v. Attualmente

la “galleria” al secondo piano di levante, nel “quartiere”

un tempo di Tommaso, si presenta solo intonacata. Nelle

altre due stanze di quell’appartamento oggi si trovano,

nelle due crociere che le coprono, due serie – più tarde –

ciascuna di quattro medaglioni: dedicati a “paesaggi” (con

riferimento al parco pucciniano di Scornio) nell’ingresso,

e con figure di personaggi della mitologia classica nella

stanza attigua: su cui cfr., più oltre, le note 302, 305-308. I

saggi compiuti durante il recente intervento restaurativo

hanno messo in luce, in questi due ambienti, almeno tre

sedimentazioni successive di dipinti, di cui l’ultima appartenente

al repertorio ornamentale, già ottocentesco, di

Ferdinando Marini. Precedenti decorazioni a monocromo,

consistenti in cornici e ghirlande di tipo classicheggiante,

sono affiorate al colmo delle due crociere; nella “galleria”

attigua i molto ridotti accertamenti hanno rimesso in luce

la sottostante presenza di stesure cromatiche.

95. Ibidem. Maggiormente conveniva, data l’austerità che si

voleva conferire ai temi religiosi trattati, l’adozione della

tecnica a grisaille, che suggeriva, col finto bassorilievo e col

ritorno ad una maggiore semplificazione figurativa, un voluto

allontanamento dai sensuali ed immaginifici fasti del

tardo-barocco.

96. Giulio, secondogenito di Vincenzo dei Rossi, avrebbe

fatto maggiormente carriera, rispetto al primogenito Tommaso,

dato che nel 1804 sarebbe stato nominato vescovo di

Pescia. A ventitré anni Giulio, il 21 settembre 1777, avrebbe

celebrato la sua prima messa a Roma: cfr. BCF, Rossi, 28, c.

17r (= 79r). Sul prelato cfr. P. Contrucci, Elogio di monsignor

Giulio de’ Rossi da Pistoia, vescovo di Pescia, Prato, Fratelli Giachetti,

1833; Idem, Elogio di monsignor Giulio de’ Rossi, vescovo

di Pescia, in Opere edite e inedite, in due tomi, Pistoia, Tipografia

Cino, 1841-1842, vol. III (1841), pp. 1-40.

97. Non è infrequente, in tale periodo, l’uso di questa particolare

tecnica nei palazzi del patriziato; si trattava di veri e

propri quadri su tela, la cui cornice era fissa, realizzata generalmente

in stucco a rilievo sulla parete, rendendoli inamovibili

fin tanto che l’arredo decorativo doveva rimanere

immutato, ma esportabili in caso di cambiamento. Talvolta

si ricorreva a questo accorgimento quando il muro, o l’ambiente,

poteva essere umido o poco arieggiato.

98. Si veda la nota 90.

99. Palazzo dei Rossi, p. 44 nota 104; Taccuino, c. 6r. La ripresa

dei lavori avvenne nel marzo 1774, e per prima cosa furono

sgombrate le macerie della casa attigua, sulla sinistra, e consolidata

opportunamente l’altra accanto, verso il “Canto de’

Rossi”, che doveva essere adibita ad ospitare i servizi del

nuovo palazzo: cfr. ivi, p. 49. L’ingresso della famiglia nella

nuova dimora avvenne il 5 settembre successivo, circa sette

mesi dopo: ivi, p. 50; Taccuino, c. 6v.

100. Si rimanda a quanto viene osservato di seguito, alla

nota 177 e seguenti.

101. Nel palazzo risultano pluri-stratificati i cicli decorativi

e pittorici al primo e secondo piano dal lato di levante e

al primo piano dal lato di ponente. I saggi condotti dalla

Società ICONOS s.r.l. di Firenze, cui sono stati affidati i

restauri dei dipinti, hanno comunque privilegiato il primo

piano – attualmente destinato a fungere da sede di rappresentanza

della Presidenza e del Consiglio di Amministrazione

della Fondazione Cassa di Risparmio di Pistoia e

Pescia – mentre al piano terreno e al secondo non hanno

portato al recupero delle pitture sotto l’intonaco: forse per

una comprensibile scelta della committenza, data anche

l’estensione notevole delle superfici complessivamente da

trattare.

102. Palazzo dei Rossi, p. 101; cfr. Chiara d’Afflitto, Le arti

figurative dal periodo neoclassico alla stagione macchiaiola, in Sto-

ria di Pistoia, IV. Nell’età delle rivoluzioni (1777-1940), a cura di

G. Petracchi, Firenze, Le Monnier/Cassa di Risparmio di

Pistoia e Pescia, 2000, pp. 289-318: 309.

103. Palazzo dei Rossi, pp. 45-46 nota 109; BCF, Rossi, 14,

raccolta di ricevute non numerate, rilegate alle cc. 647-654

(anni 1774-1775). Cfr. anche le note 52 e 54 nel presente contributo.

104. Ibidem.

105. Palazzo dei Rossi, p. 47; Taccuino, c. 5r.

106. Cfr. la nota 10 e la tavola grafica II. Era prassi consueta

fondare prima le mura d’ambito e appoggiare le volte

sopra terra, riservando ad un secondo momento lo scavo

del terreno esistente all’interno di ciascun perimetro; una

volta asportato il materiale, si poteva procedere alla rifinitura

della cantina con la pavimentazione, l’intonacatura

di pareti e volta, la sistemazione degli infissi di chiusura

dell’ambiente e di aerazione con finestrelle. Su questa tecnica

di realizzazione delle cantine il canonico Tommaso

dava precise informazioni sotto l’anno 1774: allora erano

state “fatte le volte sopra la terra, per poi votarle a suo

tempo per uso di cantine”: Palazzo dei Rossi, p. 50 nota 119;

Taccuino, c. 6v.

107. La terminologia usata nel Taccuino per indicare la conformazione

delle volte costruite per il palazzo de’ Rossi si

riferisce ai soli due tipi della “volterrana” e della “volta reale”.

La prima era composta a sezione d’arco ribassato con

unghiature agli angoli e lungo il perimetro d’imposta e facilitava

lo scarico del peso sullo stesso perimetro del vano

coperto, in base al principio della scomposizione delle forze.

La seconda – sostanzialmente una crociera – scaricava

il peso sui quattro angoli del volume voltato, i quali perciò

dovevano essere rinforzati o avere elementi murari di controspinta.

Altri tipi di copertura, come le volte “a padiglione”

o “a cielo di carrozza” (ma anche la stessa volta a botte

attualmente sovrastante il “ricetto” d’ingresso) risultano

pertanto derivati da interventi di riadattamento o modifica,

che consentivano di poter disporre, al centro della volta

stessa, di un’ampia superficie piana per estese figurazioni in

pittura. Ciò avvenne nel palazzo, senza eccezione, per tutti

i vani del primo piano con affreschi sui soffitti, realizzati fra

gli anni Venti e Trenta dell’Ottocento. Una vera e propria

controsoffittatura a “volterrane” di una precedente “volta

reale” fu eseguita in occasione dell’allestimento, all’interno

dell’originaria ex-stalla, di un appartamentino di due stanze

per Francesco dei Rossi, fra 1800 e 1801: Palazzo dei Rossi, p.

80 nota 220; Taccuino, c. 26v; cfr. nel presente studio, le note

189-191. La volta a botte ribassata della “galleria nuova”, costruita

nel 1812 sul lato di ponente del primo piano (cfr. qui

la nota 243), rivela il più tardo intervento anche per la sua

tipologia.

108. All’inizio (prima dello scavo delle cantine, cominciato

nel 1785, cfr. Palazzo dei Rossi, p. 55), la prima stanzetta

a destra entrando – coperta da crociera – era destinata

provvisoriamente a “dispensa”, funzione poi assegnata alla

sottostante cantinetta; dal 1787 fu messa in comunicazione

con la stanza al piano terreno dal lato di ponente mediante

un ingresso interno (cfr. la planimetria del piano terreno,

ibidem, p. 21 e, nel presente volume, la tavola grafica I), con

funzione di guardaroba (ibidem, p. 55 nota 133), nei lavori di

allestimento dell’attigua stanza come luogo di ricevimento

per il canonico Giulio, divenuto vicario ecclesiastico di Scipione

de’ Ricci (ibidem, p. 54): completati con le decorazioni

pittoriche di Luigi Rafanelli nel 1788, di cui non è traccia

attualmente. L’altra stanzetta, sulla sinistra del “ricetto”,

anch’essa un tempo coperta da crociera, era adibita inizialmente

a “coppaia dell’olio” e fu sistemata solo nel 1793,

quando vi furono alloggiati servizi igienici (ibidem, pp. 55-56

e nota 134 p. 56). Fu destinata a “coppaia”, analogamente, la

cantinetta sottostante.

109. Palazzo dei Rossi, pp. 45, 50; Taccuino, c. 6r.

110. Ibidem. Lo stato di avanzamento dei lavori al 1774-1775

risulta dalla “Relazione” redatta dal capomaestro Luigi Malfanti,

il 5 giugno 1780: Palazzo dei Rossi, pp. 51-52; Taccuino,

cc. 7v-9r. Nel 1780 tuttavia del loggiato interno a tre arcate

nell’ingresso era stata realizzata la sola luce centrale, ancora

al rustico, anch’essa coperta da “volta reale”: perciò allora

tutto era rimasto, in tale zona, com’era dal 1774. La “mostra”

esterna del portale che immetteva nell’“orto” non fu mai

completata, probabilmente.

111. La nostra fonte precisa, “fra i lavori dell’anno 1774”:

“Sopra il terreno fu fatto uno stanzone a tetto per tenerci

le legna per uso di cucina, che fu fatta in una saletta della

casa vecchia […]. Fu fatta una scala di legno per andare

nelle stanze superiori, che non avevano ingresso, per servirsi

per conservare frutte d’inverno, e fascini per la cucina”

(Taccuino, c. 6r-v). Nella “Relazione” Malfanti del 1780

(cfr. la nota precedente) in tale zona poco era cambiato: al

primo piano si trovava “Uno stanzone a tetto tutto fatto di

nuovo, ed una camera con luogo comune coperta a palco, e

sopra due stanze a tetto, alle quali vi si sale con la scala di

legno, con esservi stata fatta di nuovo detta scala”: Taccuino,

c. 8v. Queste ultime strutture sarebbero state sostituite

in seguito; al posto dello “stanzone a tetto” nel 1793 sarebbe

stato impostato l’ampio volume del salone: cfr. le note

138-156 più oltre.

112. In questo lotto edilizio la duplice serie di stanze, sui

due lati dello scalone, ai piani terreno, primo e secondo fino

all’imposta della prima copertura dei tetti del palazzo, fungeva

anche da ottimo ancoraggio, con il suo peso, rispetto

alle spinte laterali dovute alle strutture soprastanti, che si

scaricavano soprattutto sui lati più lunghi dell’edificio, cioè

sui due fronti di ponente e di levante: cfr. le tavole grafiche

I, III e IV.

south “galleries,” along with other artists under the direction

of the painter Francesco Sforzi; in 1793 he painted the

ceiling of the “gallery” on the third floor of the east wing of

Palazzo Puccini (decorations later replaced with paintings

by Ferdinando Marini). For the moment we do not know

the date of other works, such as the grisailles in the parish

church of San Pietro at Casalguidi and the—lost—figures

of angels on the arch framing one of the two side altars of

the Pistoian church of Santa Maria Nuova. He also taught

drawing in the city’s public schools, a post that was a sure

indication of success and ability. Unfortunately, as in other

cases, his monochrome paintings in Palazzo de’ Rossi, with

Scenes from the Holy Scriptures, executed in the bedrooms

of the eastern and western “quarters” on the third floor,

along with the “gallery” in the eastern part of the second

floor and the one above it on the third floor—whose subjects

are unknown to us—have been lost, replaced by other,

more recent frescoes. However, the references in the documents

indicate that the original decoration conceived for

the whole of the first part of the Palazzo de’ Rossi (erected

from 1750 onward and substantially completed, up to the

third floor, by 1760) was due to the owners’ grand ambition

to make use of artists, both local and from outside, of

considerable prominence, whose works they were able to

admire in the city.

91. “Palazzo dei Rossi,” 40; Taccuino, f. 3 r-v . See too the previous

note to this essay.

92. Ibidem.

93. BCF, Rossi, 15, attachment to the Taccuino, biographical

profile of Canon Tommaso dei Rossi, ff. 50 r -51 v : in 1762

he was made a canon, by papal dispensation, at the age of

11 years and 7 months; returning to Pistoia in 1772, he left

the canonicate; in 1775 he donned the clerical habit again

and received the four minor orders; on May 26, 1776 he was

restored to the canonicate; on June 1 of the same year he

was ordained a priest; on February 6, 1787, he was given the

title of primicerius among the canons of Pistoia Cathedral.

94. “Palazzo dei Rossi,” 40; Taccuino, f. 3 r-v . Currently the

walls of the “gallery” on the third floor of the east block, in

what were once Tommaso’s “quarters,” are just plastered.

Today we find in the other two rooms of that apartment,

on the two cross vaults of the ceiling, two—later—series of

four medallions each: devoted to “landscapes” (based on the

park of Villa Puccini di Scornio) in the entrance and with

figures from classical mythology in the adjoining room: see

notes 302 and 305-08 below. The samples taken during the

recent restoration have revealed the presence, in these two

rooms, of at least three successive layers of paintings, the

last of which belongs to the already 19th-century ornamental

repertoire of Ferdinando Marini. Earlier monochrome

decorations, consisting of frames and garlands in a classical

style, have emerged on the ridge of the two cross vaults;

much reduced checks made in the adjoining “gallery” have

revealed the existence of underlying coats of paint.

95. Ibidem. The use of the grisaille technique was better

suited to the austere handling of religious themes called for

at that time. Along with the mock bas-relief and the return

to a greater figurative simplification, this suggested a deliberate

move away from the sensual and highly imaginative

splendor of the late baroque.

96. Giulio, second-born son of Vincenzo dei Rossi, was to

go further in his career than his older brother Tommaso,

given that he would be appointed bishop of Pescia in 1804.

On September 21, 1777, Giulio celebrated his first Mass in

Rome, at the age of twenty-three: see BCF, Rossi, 28, f. 17 r

(= 79 r ). On the prelate see P. Contrucci, Elogio di monsignor

Giulio de’ Rossi da Pistoia, vescovo di Pescia (Prato: Fratelli Giachetti,

1833); idem, “Elogio di monsignor Giulio de’ Rossi,

vescovo di Pescia,” in Opere edite e inedite (Pistoia: Tipografia

Cino, 1841-42), vol. 3 (1841), 1-40.

97. The use of this technique was not uncommon in the

nobile residences of this period: it entailed painting proper

pictures on canvas, with fixed frames, generally made out of

stucco in relief on the wall. This meant that they could not

be moved as long as the décor remained unchanged, but allowed

them to be taken away if a change were desired. This

system was sometimes used when the wall, or the room, was

damp or not well aired.

98. See note 90.

99. “Palazzo dei Rossi,” 44 note 104; Taccuino, f. 6 r . Work

was resumed in March 1774, and the first thing that was

done was to clear the rubble of the adjacent house, on the

left, and the consolidation of the one next to it, in the

direction of the “Canto de’ Rossi,” which was to be used

to house the services of the new building: see ibidem, 49.

The family moved into its new home on September 5 next,

about seven months later: ibidem, 50; Taccuino, f. 6 v .

100. The reader is referred to the information given below,

in notes 177 et seq.

101. The decorative and pictorial cycles on the second and

third floor of the east side of the building and on the second

floor of the west side have many layers. However, the

investigations carried out by Iconos s.r.l. of Florence, which

has been entrusted with the restoration of the paintings,

have focused on the second floor—where the offices of

the President and Board of Governors of the Fondazione

Cassa di Risparmio Pistoia e Pescia will be located—while

on the ground and third floor no attempt has been made

to recover the paintings underneath the plaster: perhaps a

comprehensible choice on the part of the clients, given the

considerable extent of the surfaces that would have to be

restored.

102. “Palazzo dei Rossi,” 101; see Chiara d’Afflitto, “Le arti

figurative dal periodo neoclassico alla stagione macchiaiola,”

in Storia di Pistoia, IV. Nell’età delle rivoluzioni (1777-1940),

ed. G. Petracchi (Florence: Le Monnier/Cassa di Risparmio

Pistoia e Pescia, 2000), 289-318: 309.

103. “Palazzo dei Rossi,” 45-46 note 109; BCF, Rossi, 14,

collection of unnumbered receipts, bound with ff. 647-54

(years 1774-75). See too note 52 of this essay.

104. Ibidem.

105. “Palazzo dei Rossi,” 47; Taccuino, f. 5 r .

106. See note 10. It was standard practice to first lay the

foundations of the outside wall and build the vaults above

ground on top of them, waiting until later to dig out the

earth inside each perimeter. Once this material had been

removed, the finishing touches could be given to the cellar,

with the laying of a floor, the plastering of walls and ceiling

and the installation of frames for the door and small

windows for ventilation. Canon Tommaso gave precise information

about this technique for the construction of the

cellar in his entry for the year 1774: it was then that the “the

vaults had been built above ground, to be dug out later for

use as a cellar”: “Palazzo dei Rossi,” 50 note 119; Taccuino,

f. 6 v .

107. The terminology used in the Taccuino to describe the

structure of the vaults constructed for the Palazzo de’

Rossi refers to just two types, the volterrana and the volta

reale. The first consisted of a section of depressed arch

with chamfers at the corners and along the edge of the impost

and facilitated the discharge of the weight onto the

perimeter of the covered space, on the basis of the principle

of the resolution of forces. The second—basically a

cross vault—discharged its weight on the four corners of

the vaulted space, which therefore had to be reinforced or

have buttresses to provide counterthrust. Thus other types

of roofing, such as “cloister” or “elliptical” vaults (but perhaps

even the tunnel vault that now covers the ricetto or

“shelter” of the entrance) were introduced during interventions

of adaptation or alteration, as they provided a large

flat surface for painting at the center of the vault. This

happened in the Palazzo de’ Rossi, without exception, in

all the spaces on the second floor with frescoes on the ceilings,

painted between the 1820s and 1830s. A false ceiling

of volte alla volterrana was installed underneath what had

previously been a volta reale on the occasion of the fitting

out of a small two-room apartment for Francesco dei Rossi

in what was originally the stable, between 1800 and 1801:

“Palazzo dei Rossi,” 80 note 220; Taccuino, f. 26 v ; see notes

189-91 of this study. The depressed tunnel vault of the “new

gallery,” constructed in 1812 on the west side of the second

floor (see note 243), is revealed as a later intervention by its

form as well.

108. Initially (before the excavation of the cellar, begun

in 1785, see “Palazzo dei Rossi,” 55), the first room on the

right as you enter—roofed with a cross vault—was used

temporarily as a “larder,” a function later assigned to the

small cellar underneath. In 1787 it was connected with the

ground-floor room on the west side by an internal entrance

(see the plan of the ground floor, ibidem, 21 and, in this volume,

tavola grafica I),) and given the function of a wardrobe

(ibidem, 55 note 133) when the adjoining room was fitted out

as a place of reception for Canon Giulio, who had become

Scipione de’ Ricci’s ecclesiastical vicar (ibidem, 54): completed

with decorations painted by Luigi Rafanelli in 1788,

of which there is now no trace. The other small room, on

the left of the ricetto, which also used to be covered with a

cross vault, was used at first as a “store for oil jars” and was

not fitted out until 1793, when toilets were installed (ibidem,

55-56 and 56 note 134). The small cellar underneath was then

used to store oil.

109. “Palazzo dei Rossi,” 45, 50; Taccuino, f. 6 r .

110. Ibidem. We know how the work was progressing in

1774-75 from the “Report” drawn up by the master mason

Luigi Malfanti on June 5, 1780: “Palazzo dei Rossi,” 52; Taccuino,

ff. 7 v -9 r . In 1780, however, all that had been built of the

internal portico with three arches in the entrance was the

central bay, still in a rough state and also roofed by a volta reale:

so everything in that area had remained as it was in 1774.

111. Our source specifies, “among the works of the year

1774”: “Above the terreno was built a large room with a roof

to store the firewood for the kitchen, which had been installed

in a room of the old house […]. A wooden staircase

was built to provide access to the rooms above, which had

no entrance, so that they could be used to store fruit in winter,

and faggots for the kitchen” (Taccuino, f. 6 r-v ). According

to the Malfanti “Report” of 1780 (see previous note) little

had changed in that area: on the second floor was located

a “completely new large room with a roof and a bedroom

with a luogo comune covered with boarding, and above it two

rooms with a roof, served by the wooden staircase, with

said staircase having been rebuilt”: Taccuino, f. 8 v . These last

structures would later be replaced; in 1793 the place of the

“large room with a roof” would be taken by the ample volume

of the hall: see notes 138-56 below.

112. On this building lot the dual series of rooms, on each

side of the staircase, on the ground, second and third floors

and up to the impost of the first level of the palazzo’s roofs

also acted as an excellent anchorage, with its weight, for

the lateral thrusts due to the structures above, which discharged

chiefly on the longer sides of the building, i.e. on

the two west and east fronts: see tavole grafiche I, III and

IV.

113. I have been working on this manuscript for some time,

seeking to make at least a sufficient summary of it.

138

139



113. Di quest’opera manoscritta mi occupo da tempo, per

cercare di darne almeno un sufficiente rendiconto.

114. Si trattava di ambienti ancora da rifinire, perché probabilmente

nel 1774 non vi era stata urgenza di occuparli:

Palazzo dei Rossi, pp. 53-54; Taccuino, cc. 9v-10r. La coppia di

stanze verso levante, al piano terreno, venne sistemata fra

il 1781 e il 1782 e in quest’ultimo anno il pittore pistoiese

Luigi Rafanelli vi fece decorazioni “con riquadri e piccole

cose nei ripieni”. Ciò presuppone che fossero state interessate

le sole pareti ed esclude quindi che i dipinti allegorici

che tuttora si vedono al colmo delle rispettive volte

siano coevi a tale fase, com’è evidente anche per ragioni

stilistiche (ma si veda quanto si osserva relativamente alle

note 277, 287 più oltre in questo saggio). Il piccolo appartamento

venne probabilmente allestito da Vincenzo dei

Rossi in previsione del compimento della maggiore età del

figlio terzogenito Francesco, nato nel 1762. Le due stanze

che formavano il “quartiere” di ponente, sempre al piano

terreno, dopo essere state adibite a sede dell’archivio

familiare (cfr. le seguenti note 115 e 116), passarono progressivamente,

fra il 1787 e il 1791, al secondogenito, il canonico

Giulio, nominato vicario ecclesiastico dal vescovo

Scipione de’ Ricci (1780-1791). Di esse la prima, d’ingresso,

era stata fatta dipingere da parte del padre Vincenzo dallo

stesso Luigi Rafanelli nel 1788, perché allora destinata a

stanza di ricevimento del canonico. Per questo nuovo uso

essa fu collegata allo stanzino attiguo, esistente a destra

del “ricetto”, che fu adibito allora a guardaroba: cfr. la nota

108. Non sappiamo se anche il secondo ambiente, passato

a Giulio nel 1791 dopo il trasferimento dello “scrittoio”,

abbia mai ricevuto qualche ornamento pittorico. È comunque

scomparsa ogni traccia, almeno a quanto sembra,

di pitture ornamentali nella prima stanza (che attualmente

serve di accesso alle Sale espositive della Collezione d’arte

della Fondazione).

115. Palazzo dei Rossi, p. 51; Taccuino, c. 6v: “L’anno 1778 nelle

due stanze terrene diverso la strada dirimpetto ai Sozzifanti

vi furono fatte le ferrate, e chiuse le tre finestre con imposte,

e vetrate, e fatti due usci per chiudere dette stanze,

che servirono per l’Archivio, e Scrittojo della Famiglia, e vi

furono portati tutti i tavolini, scaffali, libri e scritture levate

dalla Casa Rossi alle Stinche [...]”.

116. Nel 1760 le mostre delle tre finestre di queste due

stanze, al pian terreno verso la strada, esistevano già, ma

erano prive di inferriate e, per il momento, tamponate:

Palazzo dei Rossi, p. 40; Taccuino, c. 3r-v. Ciò significa che il

modello di esse era stato disegnato da Raffaello Ulivi. Le

due finestre gemelle, ai lati del portale di accesso all’ampio

vestibolo del palazzo eretto nel 1774 con l’assistenza

dell’architetto Francesco Maria Beneforti, pur risalendo

ovviamente a tale anno non fecero che conformarsi alle

altre tre già esistenti sulla destra. Se ne è salvato casualmente

il disegno, in BCF, Rossi, 14, cc. 347v, 381r, rilegato

per traverso come copertina di un inserto riordinato dal

canonico Tommaso; cfr. per la sua riproduzione Palazzo dei

Rossi, p. 48 e anche nel presente volume. Questo significa

che esso era stato in possesso del medesimo e che era stato

conservato per attuare l’omogeneità della facciata al livello

del piano terreno.

117. Palazzo dei Rossi, p. 51; Taccuino, c. 7r.

118. Ibidem.

119. Palazzo dei Rossi, pp. 51-52; Taccuino, cc. 7v-9r. Nel 1777,

nel generale censimento delle proprietà immobiliari della

città di Pistoia, il palazzo dei Rossi, allo stato in cui era,

era stato valutato 1.150 scudi, insieme con l’attigua “casa

vecchia”: ASP, Catasto granducale, 1, cura di San Iacopino, n°

932. L’edificio era descritto con questi confini: “Una casa, di

proprietà e abitazione del signore Vincenzio e fratelli Rossi

con altra casa annessa con orto valutato, confina via detta

dal Canto de’ Rossi, che va a S. Andrea, a 2° via che va al

Carmine, a 3° sdrucciolo di S. Iacopino, a 3° (sic) Prato di S.

Iacopino, a 4° via che va alla Sapienza, a 5° e 6° signori Conversini,

salvo etc., stimato scudi 1.150”. La stessa notizia in

Taccuino, c. 7r. Nel 1780 la medesima proprietà, dopo le migliorie

apportate, valeva 2.400 scudi: Taccuino, c. 9r; Palazzo

dei Rossi, p. 51.

120. Palazzo dei Rossi, pp. 74-75; Taccuino, cc. 19r-20v. Dopo il

sostanziale completamento del palazzo, esso veniva stimato

6.000 scudi.

121. Palazzo dei Rossi, p. 74; Taccuino, c. 19r. Cfr. anche, nel

presente saggio, la nota 108.

122. Palazzo dei Rossi, p. 65; Taccuino, c. 13r. Sarebbero rimaste

da completare soltanto, a spese del canonico Giulio, le due

cantine più a destra, che nel 1797 furono coperte di “volta

reale” e fatte scavare dal capomaestro pistoiese Luigi Biagini.

Munite di sfogatoi con inferriate al livello del piano

stradale (attualmente tamponati), durante la loro pavimentazione

nella più piccola “fu trovato un pozzo già ripieno”

(Taccuino, c. 24v): a testimonianza di un più antico livello di

“vissuto” di epoca per il momento non accertabile.

123. Si rimanda alla nota 10 del presente studio.

124. La presenza, nel sito, di un’area archeologica importante

ed estesa fino al sottosuolo della chiesa di San Iacopo

in Castellare è confermata dalle indagini ivi compiute dal

personale della Soprintendenza Archeologica della Toscana

in vari periodi: cfr., in questo stesso volume, il contributo di

Paola Perazzi, Giovanni Millemaci, Giuseppa Incammisa.

125. Cfr. le note 108 e 121.

126. Palazzo dei Rossi, pp. 60, 74; Taccuino, cc. 11v-12r, 19r-

20v. L’attuale chiusura delle due arcate laterali della loggia,

per l’allestimento di ambienti di servizio, ripete una simile

trasformazione già attuata da tempo, in epoca imprecisata.

In tal modo l’ampio ingresso non riceve una sufficiente luce

naturale, come in origine da quelle aperture, evidentemente

destinate ad essere chiuse con vetrate.

127. Francesco dei Rossi, nato nel 1762, avrebbe compiuto 21

anni nel 1783.

128. Palazzo dei Rossi, p. 53; Taccuino, c. 9v. Non mi risulta che,

in questi due ambienti, siano stati compiuti sufficienti saggi

sulle pareti allo scopo di rinvenire un eventuale sottostante

strato di decorazioni pittoriche, durante gli ultimi restauri

del palazzo. Attualmente le due stanze servono di accesso

all’ascensore della sede della Fondazione, alloggiato entro

l’andito della “scala a chiocciola segreta”, che perciò non è

più accessibile.

129. Cfr. la nota 114.

130. Palazzo dei Rossi, p. 54; Taccuino, c. 10r. L’ingresso esterno

alla stanza adibita a “scrittoio” dei Rossi era stato realizzato

in modo da sboccare sul ridotto passaggio, attiguo al

cortile della stalla, che sarebbe servito anche per la rampa

cordonata di accesso alle cantine: Palazzo dei Rossi, planimetria

del piano terreno, p. 21; cfr. anche la tav. I nel presente

volume.

131. Cfr. la nota 114.

132. Cfr. la nota 84 e le relative considerazioni, in questo

studio.

133. La “Relazione” Malfanti del 1794 conferma che tutte le

cinque stanze dell’appartamento al primo piano di levante,

già assai ampliato, erano allora coperte da crociere (“volte

reali”). Perciò la loro modifica, per renderle atte alle pitture

nei soffitti, realizzate negli anni Venti-Trenta dell’Ottocento,

come già indicato, si deve ad un intervento successivo

al 1794. Cfr., in proposito, anche la nota 107. Eliminati da

tempo i caminetti in stucco – alcuni addirittura già da allora

– quelli, pregevoli, in marmo o altro materiale analogo, rimasti

in loco, in deposito presso la ditta di costruzioni Zarri

durante l’ultimo restauro, sono stati da poco ricollocati al

primo piano del palazzo, senza rispettarne le originarie ubicazioni.

134. Ancora una volta, è il canonico Tommaso ad indicare

con precisione le varie fasi attraverso le quali vennero allestite

la nuova camera da letto e l’annessa toilette: Palazzo dei

Rossi, p. 52; Taccuino, c. 8v. Elencando poi quanto era stato

realizzato nel palazzo fra il 1793 e il 1794 Tommaso faceva

memoria di quella trasformazione: “[...] Ritornando ora al

piano buono, della galleria già fatta dagli zii, s’entrava nel

fienile della paglia, ridotto a piccolo spogliatoio dalla signora

Giulia Rossi; per entrarvi si scendeva uno scalero di sei

scalini di legno, però bisognò fare un palco morto, e ridurre

il piano pari a quello della galleria, dalla quale si passa in una

nuova bella stanza da letto, ornata di lambrì, e mostre agli

usci, e finestre di rilievo e stucco colorito di marmo bianco;

quindi fu fatta una stanzina per comodo della tualette, ed

un’altra per tenerci una persona di servizio, con suo stanzino

da luogo comune, ed un comodo armadio nel muro

per tenerci vestiti”: Palazzo dei Rossi, p. 69; Taccuino, c. 15r. I

vani erano stati allora coperti da “volterrane” e pavimentati

a mattoni. Più tardi i due ambienti principali, la camera

e la stanzetta per la servitù dov’era l’armadio-guardaroba,

sarebbero stati ulteriormente modificati, in un modo del

tutto originale e inconfondibile, che li distingue da tutte le

altre stanze del palazzo. La modifica, su cui si tornerà più

avanti, è, architettonicamente, inconsueta e intenzionale.

Sia nella nuova camera da letto matrimoniale, allestita per

Francesco dei Rossi in vista del suo sposalizio con la giovane

e nobile Laura Sozzifanti, che sarebbe stato celebrato nel

1801 (cfr. la nota 204), sia nell’annesso boudoir, ricavato dallo

stanzino di servizio, l’incontro ad angolo retto delle quattro

pareti risulta smussato in modo da annullarne gli spigoli;

analogamente, manca lo stacco fra la volta e la sua imposta

sul perimetro della stanza, con un effetto sottilmente spaesante.

Francesco dei Rossi, in qualità di committente, si

rivela una personalità dai molto interessanti risvolti psicologici,

non privi di originalità anti-conformista. Sulle pitture

che ornano le volte dei due ambienti cfr., più oltre, quanto

si osserva in relazione alle note 209-237.

135. Palazzo dei Rossi, p. 56 nota 135, p. 68 nota 175, p. 78 nota

213; Taccuino, cc. 14v-15r, 23r.

136. I “paesini” incorniciati da volute in stucco dei sovrapporta,

rimasti intatti nel “quartiere” al secondo piano dal

lato di ponente, sono stati rimessi in luce durante i recenti

restauri anche nel “quartiere” di levante, al primo piano, pur

privi degli stucchi che in origine li completavano, eliminati

nel 1794-1795 per volontà di Francesco dei Rossi, cfr. le note

135 e 182. Il recupero, pur interessante come testimonianza

delle diverse stratificazioni pittoriche e decorative documentate

nell’edificio, crea, almeno nell’ultimo caso, un evidente

disturbo visivo rispetto all’omogeneità stilistica del

ri-arredo figurativo e ornamentale ottocentesco.

137. Lo stesso Taccuino, iniziato a lavori di completamento

architettonico sostanzialmente finiti, attesta la volontà da

parte del suo autore di portare a termine la grande opera

iniziata al tempo di suo padre, cui fin dal 1774 il canonico

Tommaso aveva così ampiamente contribuito, nel modo

più opportuno e “analogo” rispetto al progetto iniziale. Il

salone d’onore era il luogo più rappresentativo del palazzo e

ne costituiva il cuore, come illustre parte a comune di tutti

coloro che vi abitavano.

138. Cfr. P. Santini, Palazzo de’ Rossi e la vita musicale a Pistoia

nel XX secolo, in Le dimore di Pistoia, cit., pp. 301-305: 304-

305.

139. Il verone era già stato costruito entro il 1780, come risulta

dalla “Relazione” Malfanti di quell’anno; mancavano

tuttavia le rifiniture esterne dei cornicioni, dei sottogronda

114. These were rooms that still needed to be finished,

probably because in 1774 there had been no urgency to occupy

them: “Palazzo dei Rossi,” 53-54; Taccuino, ff. 9 v -10 r .

Work on the pair of rooms facing east, on the ground floor,

was completed between 1781 and 1782 and in the latter year

the Pistoian painter Luigi Rafanelli decorated them “with

panels and small things in the fillings.” This implies that

only the walls had been decorated and that the allegorical

paintings which can still be seen on their respective ceilings

were not contemporary with this phase, something that is

clear for stylistic reasons as well (but see what is said on the

subject in notes 277 and 287 below). The small apartment

was probably done up by Vincenzo dei Rossi in anticipation

of the coming of age of his third son Francesco, born

in 1762. The two rooms that formed the western quartiere,

again on the ground floor, after being used to house the

family archives (see notes 115 and 116), passed progressively,

between 1787 and 1791, to the second son, Canon Giulio,

appointed ecclesiastical vicar by Bishop Scipione de’ Ricci

(1780-91). His father Vincenzo had had the first of these,

the entrance, painted by Luigi Rafanelli again in 1788, as it

was then set aside for use as a reception room by the canon.

For this new use it was connected to the small adjoining

room on the right of the ricetto, which had the function

of a wardrobe at the time: see note 108. We do not know

whether the second room, handed over to Giulio in 1791 after

the transfer of the “study,” had ever been given a painted

decoration. In any case all traces of ornamental paintings in

the first room (which now serves as a means of access to the

rooms in which the foundation’s art collection is displayed)

seem to have vanished.

115. “Palazzo dei Rossi,” 51; Taccuino, f. 6 v : “In the year 1778

the iron gratings were installed in the two ground-floor

rooms facing the street opposite the Sozzifanti, and the

three windows closed with shutters, and panes of glass, and

two doors made to close said rooms, which were used for

the Archives, and Study of the Family, and to them were

brought all the tables, shelves, books and documents taken

from the Casa Rossi alle Stinche [...].”

116. In 1760 the frames around the three windows of these

two rooms, on the ground floor facing onto the street, already

existed but lacked gratings and had been walled up

temporarily: “Palazzo dei Rossi,” 40; Taccuino, f. 3 r-v . This

means that the model for them had been designed by Raffaello

Ulivi. Although the windows on each side of the palazzo’s

doorway with its large entrance hall erected in 1774

with the assistance of the architect Francesco Maria Beneforti

obviously date from that year, they simply match the

other three already in existence on the right. By chance the

drawing has survived: in BCF, Rossi, 14, ff. 347 v , 381 r , bound

crosswise as cover of an insert rearranged by Canon Tommaso;

for its reproduction see “Palazzo dei Rossi,” 48, and

this volume. This means that he had been in possession of

the drawing and that it had been kept to ensure the uniformity

of the façade on the ground floor.

117. “Palazzo dei Rossi,” 51; Taccuino, f. 7 r .

118. Ibidem.

119. “Palazzo dei Rossi,” 51-52; Taccuino, ff. 7 v -9 r . In 1777, in

the general census of property in the city of Pistoia, the

residence of the Rossi family had been valued, in the state

in which it was at the time, at 1,150 scudi, together with

the adjoining “old house”: ASP, Catasto granducale, 1, cura

di San Iacopino, no. 932. The building was described with

the following boundaries: “A house, property and home of

Signore Vincenzio Rossi and brothers with assessed other

attached house with vegetable garden, abuts onto the street

called Via dal Canto de’ Rossi, which goes to S. Andrea, to

2nd street that goes to the Carmine, to 3rd Sdrucciolo di S.

Iacopino, to 3rd [sic] Prato di S. Iacopino, to 4th street that

goes to the Sapienza, to 5th and 6th Signori Conversini,

subject to etc., valued at 1,150 scudi.” The same information

is given in the Taccuino, f. 7 r . In 1780 the same property,

after improvements had been made, was worth 2,400 scudi:

Taccuino, f. 9 r ; “Palazzo dei Rossi,” 51.

120. “Palazzo dei Rossi,” 74-75; Taccuino, ff. 19 r -20 v . After its

substantial completion, the building was valued at 6,000

scudi.

121. “Palazzo dei Rossi,” 74; Taccuino, f. 19 r . See too, in this

essay, note 108.

122. “Palazzo dei Rossi,” 65; Taccuino, f. 13 r . All that remained

to be completed, at the expense of Canon Giulio, were the

two cellars on the right, which in 1797 were covered with

a volta reale and excavated by the Pistoian master builder

Luigi Biagini. Fitted with vents covered by gratings at street

level, “a well that had already been filled in was found” in

the smaller one during their paving (Taccuino, f. 24v): evidence

for an older level of “habitation” from a date that for

the moment cannot be ascertained.

123. See note 10.

124. The presence of an important archeological site extending

as far as the basement of the church of San Iacopo

in Castellare is confirmed by the investigations carried out

there by the staff of the Tuscan Archeological Service at

various times: see, in this volume, the essay by Paola Perazzi,

Giovanni Millemaci and Giuseppa Incammisa.

125. See notes 108 and 121.

126. “Palazzo dei Rossi,” 60, 74; Taccuino, ff. 11 v -12 r , 19 r -20 v .

The present closure of the two lateral arches of the loggia,

so they can be used as service areas, repeats a similar

alteration made some time ago, at an unknown date. As

a result the spacious entrance does not receive sufficient

natural light, in the way it originally did from those open-

ings, which obviously ought to have been closed with glass.

127. Francesco dei Rossi, born in 1762, would have been 21

in 1783.

128. “Palazzo dei Rossi,” 53; Taccuino, f. 9 v . See note 114 of

this study. I do not think that sufficient samples were taken

from the walls of these two rooms during the most recent

restoration of the building to establish whether there is a

layer of painted decoration underneath. Currently the two

rooms are used to provide access to the elevator of the

foundation offices, located in the passageway of the “secret

spiral staircase,” which is therefore no longer accessible.

129. See note 114.

130. “Palazzo dei Rossi,” 54; Taccuino, f. 10 r . The external

entrance to the room used as the Rossi’s “study” had been

located in such a way as to open onto the small passage

adjoining the stable courtyard that would also be used for

the graded ramp leading to the cellars: “Palazzo dei Rossi,”

ground floor plan, 21.

131. See note 114.

132. See note 84 and the considerations on this subject.

133. The Malfanti “Report” of 1794 confirms the fact that

all five rooms of the east apartment on the second floor,

already greatly enlarged, were then roofed with cross vaults

(volte reali). So their alteration, to make them suitable for

paintings on the ceilings, was carried out at a later date,

in the 1820s-30s, as has already been indicated. See, in this

connection, note 107. With the stucco fireplaces eliminated

earlier—some of them even at that time—the fine ones,

made of marble or a similar material, left in place and then

placed in storage at the Zarri construction firm during the

most recent restoration, have now been installed on the

second floor of the palazzo, showing no respect for their

original locations.

134. Once again, it is Canon Tommaso who describes with

precision the various phases in which the new bedroom and

adjoining toilette were built: “Palazzo dei Rossi,” 52; Taccuino,

f. 8 v . Going on to list what had been done in the palazzo between

1793 and 1794, Tommaso recalled that transformation:

“[...] Returning now to the second floor, that of the gallery

already built by my uncles, you entered the hayloft, turned

into a small dressing room by Signora Giulia Rossi; to enter it

you went down a stairway of six wooden steps, but a loft had

to be built, and the story reduced to the same level as that of

the gallery, from which you passed into a fine new bedroom,

adorned with dados, and frames around the doors, and prominent

windows and stucco colored with white marble; then a

small room was made to be used for toilette, and another for a

servant, with its little luogo comune, and a convenient closet in

the wall to keep clothes in”: “Palazzo dei Rossi,” 69; Taccuino,

f. 15 r . At the time the rooms had been covered with volterrane

and paved with bricks. Later the two main rooms, the

bedroom and the servant’s room with the closet-wardrobe

would be further modified in a wholly original and unmistakable

way, distinguishing them from all the other rooms in

the building. The alteration, to which we will return later, is

architecturally unusual and intentional. Both in the new master

bedroom, prepared for Francesco dei Rossi in view of his

marriage to the young noblewoman Laura Sozzifanti, which

would take place in 1801 (see note 204), and in the adjoining

boudoir, originally a service room, the meeting of the four

walls at a right angle is rounded off to eliminate the corners;

in similar fashion, there is no break between the vault and

its impost on the perimeter of the room, producing a subtly

unsettling effect. Francesco dei Rossi, as a client, proved to

be a personality with many interesting psychological aspects,

not devoid of unconventional originality. On the paintings

that adorn the vaults of the two rooms see the observations

made in notes 209-37.

135. “Palazzo dei Rossi,” 56 note 135, 68 note 175, 78 note 213;

Taccuino, ff. 14 v -15 r , 23 r .

136. Rustic scenes or paesini framed by stucco volutes above

the doors, left intact in the “quarters” on the third floor on

the western side, were also brought to light during the recent

restoration work in the eastern “quarters,” on the second

floor, although without their original complement of

stuccoes, eliminated in 1794-95 at the behest of Francesco

dei Rossi; see notes 135 and 182. The recovery of these images,

while interesting as a testimony of the different layers

of painting and decoration to be found in the building, results,

at least in this last case, in a notable visual clash with

the stylistic homogeneity of the 19th-century figurative and

ornamental redecoration.

137. The Taccuino, begun at a time when the work of completion

of the building was substantially at an end, is in itself

evidence of its author’s desire to finish the great undertaking

that had commenced in his father’s time, to which

Canon Tommaso had made such an extensive contribution

since 1774, in the most suitable way and “in keeping” with

the initial plan. The main hall was the most representative

place in the palazzo and constituted its heart, as a prestigious

part shared by all those who lived in it.

138. See P. Santini, “Palazzo de’ Rossi e la vita musicale a Pistoia

nel XX secolo,” in Le dimore di Pistoia, 301-05: 304-05.

139. The balcony had already been built by 1780, as is evident

from the Malfanti “Report” of that year. However,

the external finishings of the moldings, eaves and frames

around the windows on the upper floors were still lacking:

“Palazzo dei Rossi,” 52; Taccuino, f. 8 v ; see too ibidem, 71-72;

Taccuino, f. 16 r-v . The entire building had been roofed by October

19, 1793.

140. Before the death of Vincenzo dei Rossi, on November

2, 1790, decisions on the expenditure of the three Rossi

140

141



e delle mostre delle finestre ai piani alti: Palazzo dei Rossi,

p. 52; Taccuino, c. 8v; anche ivi, pp. 71-72; Taccuino, c. 16r-v.

L’intera “fabbrica” era stata coperta il 19 ottobre 1793.

140. Prima della morte di Vincenzo dei Rossi, avvenuta

il 2 novembre 1790, le decisioni di spesa, almeno formalmente,

dei tre fratelli Rossi dipendevano dal padre, che

non li aveva ancora “emancipati”. Ciò risulta anche, per

quanto riguarda il canonico Tommaso, da quello che egli

riferisce circa i suoi interventi nel 1790 al quartiere che

abitava al terzo piano di levante, che aveva iniziato a rimodernare

con le pitture di Giuseppe Brizzi “con denari

rispiarmati (sic) al suo vestiario, essendo ancora sotto la

paterna potestà”: Palazzo dei Rossi, p. 75; Taccuino, c. 20v. Il

contratto di divisione del palazzo tra i fratelli Tommaso,

Giulio e Francesco fu rogato dal notaio Luigi Alessandro

Dini il successivo 23 novembre, ma fu solo pro forma, dato

che tale proprietà restò indivisa; le leggi granducali vigenti,

che davano accesso alle pubbliche magistrature locali

solo ai possidenti, li avevano indotti a questo atto legale:

BCF, Rossi, 15, allegato 3, c. 644v. Il palazzo, valutato

2.400 scudi, toccò per un terzo a ciascuno, per un valore

di 800 scudi per uno. Cfr. anche ASP, Catasto Granducale,

28, Giustificazioni di volture dal 1782 al 1792, nn. 40, 41, 42: 23

novembre 1790. Peraltro, erano state modificate da poco,

con le leggi leopoldine del 1789, le disposizioni circa i “fidecommissi”

e i “maggioraschi” nelle divisioni ereditarie,

ristabilendo l’uguaglianza di tutti gli eredi rispetto all’asse

patrimoniale: cfr. C. Cipriani, Dai Medici ai Lorena. Politica,

cultura, vita cittadina, in Storia di Pistoia, III. Dentro lo Stato

fiorentino. Dalla metà del XIV alla fine del XVIII secolo, a cura

di G. Pinto, Firenze, Le Monnier/Cassa di Risparmio di

Pistoia e Pescia, 1999, pp. 81-154: 153. In realtà, da quanto

è dato dedurre dai vari documenti amministrativi che in

quegli anni riguardavano il canonico Tommaso e il fratello

minore Francesco, essi continuarono a distinguere fra i

diversi cespiti economici di cui potevano disporre: quelli

del “Maggiorasco” – che teoricamente in precedenza dovevano

spettare a Tommaso, che però con le nuove leggi

sarebbero dovuti passare al primo degli aventi diritto che

non fosse stato ecclesiastico, cioè, appunto, a Francesco

–, quelli del “Minorasco” – cioè spettanti sia al canonico

Giulio che allo stesso Francesco – ed infine quelli del patrimonio

personale di ciascuno. L’amministrazione di casa

Rossi non doveva essere facilmente gestibile; tuttavia, pur

restando non definita la questione fra i tre fratelli perché

il patrimonio restò sostanzialmente a comune almeno per

gli interessi principali, Francesco da allora dovette avere

una maggiore forza impositiva, che avrebbe fatto valere

con decisione.

141. Più volte il canonico Tommaso sottolinea nel Taccuino

la sua volontà che l’intera costruzione fosse realizzata

in modo omogeneo, se mai migliorandola, rispetto all’originaria

conformazione: Palazzo dei Rossi, p. 71; Taccuino, c.

16r. Tommaso aveva espressamente richiesto al progettista

del completamento del palazzo di poter avere “la direzione”

dei lavori, “per far fare bene il nuovo muramento analogo”:

Palazzo dei Rossi, p. 59 nota 149; Taccuino, c. 11r. Tommaso

ebbe allora ad appoggiarsi con totale fiducia al capomaestro

luganese Luigi Malfanti: che lo contentò appieno e si guadagnò

l’ammirazione del nostro canonico per gli spettacolari

ponteggi costruiti tutto intorno all’edificio, dotati di rampe

di scale talmente sicure “che molte dame, venute a vedere la

fabbrica, le salirono fino alla cima senza timore”: Palazzo dei

Rossi, p. 61; Taccuino, c. 12r-v.

142. Palazzo dei Rossi, pp. 59, 66-67; Taccuino, cc. 11v-19r: 14r.

143. Palazzo dei Rossi, p. 59; Taccuino, c. 11r. Si noti come i

committenti, per il palazzo dei Rossi, abbiano costantemente

preferito architetti e artisti pistoiesi o a lungo operosi

in città.

144. Palazzo dei Rossi, pp. 58-59; le cinque lettere del carteggio

fra il canonico Tommaso dei Rossi e il capomaestro Luigi

Malfanti sono rilegate in BCF, Rossi, 15, cc. 732v, 726r, 732r,

728r, 729r (numerazione recente): sono rispettivamente del

20 e del 27 agosto 1792, dell’11 e 19 marzo e del 9 aprile 1793.

145. Lo stesso Tommaso lo definisce “celebre ingegnere”:

Taccuino, c. 11r. Di questo professionista è nota la collaborazione

nel 1806 con l’ingegnere Gaspero Pampaloni, progettista

del Teatro di S. Marco a Livorno: cfr. C. Cresti, L.

Zangheri, Architetti e ingegneri nella Toscana dell’Ottocento, Firenze,

uniedit, 1978, p. 173.

146. Palazzo dei Rossi, p. 59 nota 149; Taccuino, c. 11v: “[...] il

29 Aprile [1793] fu principiata la fabbrica senza vedersi in

carta quello che si doveva fare, cosa che disgustò assai il

Primicerio Tommaso dei Rossi, che desiderava dal Piccioli

tutto il disegno delle sue idee, che li comunicò, per esaminarle

poi da sé, e da suoi amici, e dopo fissare quel tanto,

che fosse sembrato più bello, comodo, ed economico”.

147. Il comportamento rigorosamente professionale dell’ingegnere

risulta, paradossalmente, da quanto ne riferisce con

disappunto la nostra fonte: Salvatore Piccioli era venuto,

con un giovane di studio come aiuto, il 6 marzo 1793 “per

misurare, e levar la pianta della casa nuova, e vecchia”, proseguendo

le misurazioni per altri cinque giorni: Palazzo dei

Rossi, p. 59; Taccuino, c. 11r. Che la costruzione del salone

implicasse non indifferenti problemi di statica lo rivela la

necessità da parte di Piccioli di disporre di una precisa documentazione

circa le strutture con cui aveva a che fare:

anche della “casa vecchia”, che doveva servire di rinfianco

rispetto al muro settentrionale d’imposta della volta del salone.

148. Si trattava, evidentemente, di un congegno a saliscendi,

azionato dalla soprastante stanza del guardaroba, per alzare

ed abbassare la grande lumiera, quando i suoi lumi ad olio

dovevano essere accesi dalla servitù in occasione di feste e

ricevimenti.

149. Taccuino, cc. 15v-16r. In modo ‘classico’, il peso della

grande volta di copertura del salone era stato diviso in due

distinte calotte: di cui la più interna (una volta “alla volterrana”)

scaricava prevalentemente sulle mura perimetrali,

mentre l’esterna (una crociera o “volta reale”, l’unica visibile)

convogliava le spinte laterali sui quattro angoli. Tale

struttura non aveva allora sufficiente appoggio sul lato

settentrionale del grande vano, dato che da quella parte

il muro era ancora libero, al di sopra del tetto dell’attigua

“casa vecchia” (la quale ancora non era stata sopraelevata

e ampliata su via del Carmine, come risulta da posteriori

documenti catastali). Per assicurare perciò la tenuta di

questo muro ed evitare che si sfiancasse, nell’intercapedine

fra le due calotte erano state fatte passare due lunghe

catene in ferro, applicate sui due muri contrapposti rispettivamente

a sud e a nord nel perimetro del salone. Si noti,

comunque, che fornendo questi dettagli di tecnica delle

costruzioni il canonico Tommaso dimostrava di avere assiduamente

seguito i lavori e di essersi fatto spiegare la

necessità di quanto veniva messo in opera.

150. Palazzo dei Rossi, p. 71; Taccuino, c. 16r: “le finestre

[…] hanno ornati esterni simili all’antiche, e similmente

all’esterno furono fatti i cornicioni alto, e basso, che guardano

oriente, o sia levante”; anche ad occidente le finestre

erano “con ornati esterni simili agli antichi del palazzo, e

furono fatti anche i due cornicioni alto, e basso. Il primo

cornicione, che è pieno di lavori, insieme con l’altro diverso

oriente […] hanno li sgocciolatoi grandi di pietra, e tutti i

lavori li fece il prelodato maestro Luigi Malfanti”.

151. Palazzo dei Rossi, p. 63 nota 161; Taccuino, allegato 70.

152. Cfr. le note 114 e 128 del presente studio.

153. L’esecuzione della ringhiera in ferro che serviva da parapetto

alla “corsia” che correva in quota sulle pareti del salone,

commissionata nel 1793, ebbe un iter difficoltoso per

vari contrattempi, non ultimo il mancato accordo sul valore

dell’opera; per cui era sorta una controversia, terminata con

la collocazione della ringhiera solo il 10 ottobre 1801: Palazzo

dei Rossi, pp. 66, 81.

154. Palazzo dei Rossi, p. 67; Taccuino, c. 14r. Attualmente il

salone, arredato per concerti e riunioni con palcoscenico

e poltroncine di un fastoso rosso in stile tardo Ottocentoprimo

Novecento (come nei teatri), non restituisce l’originario

effetto complessivo, dovuto al colorismo smorzato ed

all’articolato gioco di luci provenienti dalle sei finestre in

facciata e dagli ingressi, un tempo variamente aperti o chiusi

per le diverse occorrenze.

155. Ibidem. L’apertura mediana in basso, nella parete opposta

alla controfacciata, appare intervento tardivo (di cui non

conosco la data di attuazione) con il quale dovrebbe essere

stata sostituita la nicchia realizzata nel 1793 per ospitare

una statua.

156. Il recente restauro ha recuperato e consolidato la decorazione

pittorica esistente nel salone, sia quella ancora in

vista che quella che era rimasta sotto l’intonaco. Soprattutto

la zona inferiore, compresa fra il piano del ballatoio e il

pavimento, era stata danneggiata da una ridipintura in un

azzurro diverso dall’originario, che aveva ricoperto anche i

campi affrescati entro i riquadri (con paesaggi, oggi ritornati

in luce), e che aveva occultato la perdita delle decorazioni

dei sovrapporta, in cui erano “pitture rappresentanti teste

di imperatori antichi”.

157. F. Tolomei, Guida di Pistoia, cit., p. 194.

158. Cfr., per una sintesi generale sull’età leopoldina e sul

riformismo ricciano nei loro riflessi sulle arti, le ancora insostituibili

pagine scritte nel 1986 da Chiara d’Afflitto sul

ruolo assegnato in quel tempo agli artisti come illustratori

di contenuti didascalici ed educativi: C. d’Afflitto, La cultura

artistica del vescovo e la questione del patrimonio artistico ecclesiastico,

in Scipione de’ Ricci e la realtà pistoiese della fine del Settecento.

Immagini e documenti, Catalogo della mostra, Pistoia,

Edizioni del Comune di Pistoia, 1986, pp. 167-175: 169. Cfr.

anche: Eadem, Le arti figurative dal periodo neoclassico, cit.,

pp. 289-291.

159. L’esigenza didascalica e l’“urgenza contenutistica” (C.

d’Afflitto, La cultura artistica del vescovo, cit., p. 69) venivano

allora privilegiate, anche a detrimento della qualità artistica;

non era infrequente, allora, che si scegliessero giovani

all’inizio della carriera anche per spendere di meno: l’arte

era ridotta a pregiato “mestiere” che doveva adeguarsi soprattutto

al committente: il quale ne indicava i contenuti e

spesso anche i modi figurativi. Questa era la mentalità anche

del canonico Tommaso dei Rossi.

160. Il pittore pistoiese Luigi Rafanelli (1742-1798), figlio di

Giovan Francesco, nel 1763 – a ventun’anni – aveva collaborato

con lo stuccatore Tommaso Cremona alla decorazione

del “salotto dipinto” al primo piano del palazzo Puccini a

Pistoia (L. Gai, Il Palazzo Puccini, cit., pp. 42, 156); nel 1778

eseguiva “ornati e quadrature” nella cappella nuovamente

realizzata all’interno del palazzo Forteguerri (G.C. Romby,

Palazzo Forteguerri. Architettura, cit., p. 35; Eadem, Palazzo

Forteguerri, in Settecento illustre, cit., p. 452); nel settembre

del 1789 veniva retribuito per la decorazione “con pitture di

marmi e ornati” delle pareti della originaria cappella vescovile,

al secondo piano del Palazzo episcopale nuovo, ornata

con un’Assunzione della Vergine di Luigi Catani (G.C. Romby,

Palazzo vescovile nuovo, cit., p. 343 e nota 22 p. 344; ma cfr.

anche E. Guscelli, Il nuovo palazzo vescovile di Scipione de’ Ricci,

in BSP, CVII, 2005, pp. 89-109: 94, 103); il 24 luglio 1793

veniva retribuito dagli Operai dei SS. Giovanni e Zeno per

aver dipinto una lastra in finto marmo, con iscrizione, de-

brothers were made, at least formally, by their father, who

had not yet “emancipated” them. We also know this, as far

as Canon Tommaso is concerned, from the fact that he

says the interventions he made in 1790 in the quarters he

lived in on the fourth floor in the east, which he had begun

to modernize with the paintings of Giuseppe Brizzi, were

paid for “with money saved from his spending on clothes,

being still under paternal authority”: “Palazzo dei Rossi,”

75; Taccuino, f. 20 v . The deed of division of the building

between the brothers Tommaso, Giulio and Francesco was

drawn up by the notary Luigi Alessandro Dini on November

23 of the same year, but was only pro forma, given that

the property remained undivided; the grand-ducal laws in

force at the time, which allowed access to the local public

magistracies only to property owners, had induced them

to take this legal step: BCF, Rossi, 15, attachment 3, f. 644 v .

One third of the building, valued at 2,400 scudi, went to

each of the brothers, so that each was due 800 scudi. See

too ASP, Catasto Granducale, 28, Giustificazioni di volture dal

1782 al 1792, nos. 40, 41, 42: November 23, 1790. Moreover,

the dispositions on “entailments” and “majorats” in the

division of inheritances had recently been modified, with

the Leopoldine laws of 1789, reestablishing the parity of

all the heirs with respect to the estate: see C. Cipriani,

“Dai Medici ai Lorena. Politica, cultura, vita cittadina,”

in Storia di Pistoia, III. Dentro lo Stato fiorentino. Dalla metà

del XIV alla fine del XVIII secolo, ed. G. Pinto (Florence: Le

Monnier/Cassa di Risparmio Pistoia e Pescia, 1999, 81-154:

153). In reality, from what can be deduced from the various

administrative records that regarded Canon Tommaso and

his younger brother Francesco in those years, they continued

to distinguish between the different incomes to which

they were entitled: those of the “Majorat,” which theoretically

would previously have gone to Tommaso, but under

the new laws would have had to go instead to the oldest

142

of those entitled who was not a member of the clergy, i.e.

Francesco; those of the “Minorat” or the right of postremogeniture,

going to both Canon Giulio and Francesco—

and finally those of the personal estate of each brother.

The administration of the Rossi family fortune could not

have been easy; however, while the question remained undefined

between the three brothers because the estate was

essentially held in common, at least as far as the principal

interests were concerned, Francesco must from then on

have had a greater power to impose his will, a power that

he seems to have wielded decisively.

141. More than once in the Taccuino Canon Tommaso

stressed his desire for the entire construction to be done

in a homogeneous manner, if anything improving on the

original structure: “Palazzo dei Rossi,” 71; Taccuino, f. 16 r .

Tommaso had expressly requested the man responsible

for the planning of the building’s completion to be given

“supervision” of the work, “in order to make have the new

walling done well”: “Palazzo dei Rossi,” 59 note 149; Taccuino,

f. 11 r . Tommaso then had to place his complete trust

in the master builder Luigi Malfanti from Lugano: who

satisfied him fully and earned the canon’s admiration for

the spectacular scaffolding erected all around the building,

fitted with flights of stairs so safe “that many ladies,

come to see the work, climbed to the top without fear”:

“Palazzo dei Rossi,” 61; Taccuino, f. 12 r-v .

142. “Palazzo dei Rossi,” 59, 66-67; Taccuino, ff. 11 v -19 r : 14 r .

143. “Palazzo dei Rossi,” 59; Taccuino, f. 11 r . It can be noted

that the clients, where the Rossi family residence was concerned,

consistently preferred Pistoian architects and artists

or those who had long been active in the city.

144. “Palazzo dei Rossi,” 58-59; the five letters of the correspondence

between the canon Tommaso dei Rossi and the

master builder Luigi Malfanti are bound in BCF, Rossi, 15,

ff. 732 v , 726 r , 732 r , 728 r , 729 r (recent numbering): they date

respectively from August 20 and 27, 1792, March 11 and 19

and April 9, 1793.

145. Tommaso himself described him as a “renowned engineer”:

Taccuino, f. 11 r . He is known to have collaborated in

1806 with the engineer Gaspero Pampaloni, designer of the

Teatro di San Marco in Livorno: see C. Cresti and L. Zangheri,

Architetti e ingegneri nella Toscana dell’Ottocento (Florence:

Uniedit, 1978), 173.

146. “Palazzo dei Rossi,” 59 note 149; Taccuino, f. 11 v : “[...]

on April 29 [1793] the construction was begun without seeing

on paper what had to be done, something that greatly

disgusted the Primicerius Tommaso dei Rossi, who wanted

from Piccioli all the drawing of his ideas, that he should

communicate to him, to be examined by himself, and his

friends, and after establishing what seemed most beautiful,

convenient and economic.”

147. The rigorously professional approach of the engineer

is clear, paradoxically, from what our source recounts with

annoyance: Salvadore Piccioli had come, with a young

student as assistant, on March 6, 1793, “to measure, and

draw the plan of the new house, and the old one,” continuing

to take measurements for five more days: “Palazzo

dei Rossi,” 59; Taccuino, f. 11 r . That the construction of the

hall entailed substantial problems of statics is revealed by

Piccioli’s need for precise documentation of the structures

that he had to deal with: including those of the “old

house,” which had to serve as a support for the north wall

on which the vault of the hall would stand.

148. This was, evidently, a device operated from the room

of the wardrobe above that could be used to raise and lower

the large chandelier when its oil lamps had to be lit by

servants on the occasion of balls and receptions.

149. Taccuino, ff. 15 v -16 r . In “classic” fashion, the weight of

the large vault of the hall had been divided into two distinct

segments: the innermost of which (a volta alla volterrana)

discharged mostly on the outer walls, while the outer one (a

cross vault with the structure of a volta reale, the only one

visible) distributed the lateral thrusts onto the four corners.

At the time this structure did not have sufficient support

on the northern side of the large space, given that on that

side the wall was still free, rising above the roof of the adjoining

“old house” (which had still not been raised and enlarged

on Via del Carmine, as is clear from later documents

in the land register). So to ensure the solidity of this wall

and avoid it caving in, two long iron chains were passed

through the gap between the two vaults and attached to

the two opposite walls, to the south and north of the hall.

Note, nevertheless, that by providing these technical details

of the construction Canon Tommaso showed that he

had kept a close eye on the work and had the necessity of

what was being done explained to him.

150. “Palazzo dei Rossi,” 71; Taccuino, f. 16 r : “the windows

[…] have external ornaments like the old ones, and similarly

on the outside were made the upper and lower cornices,

that face east”; in the west too the windows were “with external

ornaments resembling the old ones of the building,

and two upper and lower cornices were also made. The first

cornice, which is filled with carvings, along with the other

facing east […] have large dripstones, and all the work was

done by the aforementioned master mason Luigi Malfanti.”

151. “Palazzo dei Rossi,” 63 note 161; Taccuino, attachment

70.

152. See notes 114 and 128.

153. The execution of the iron railing of the elevated “passageway”

that ran around the walls of the hall, commissioned

in 1793, encountered a series of difficulties, not least

the failure to agree on the value of the work; the dispute

over this only came to an end with the installation of the

railing on October 10, 1801: “Palazzo dei Rossi,” 66, 81.

154. “Palazzo dei Rossi,” 67; Taccuino, f. 14 r . Currently the

hall, fitted out for concerts and meetings with a stage and

sumptuous red seating in late 19th-/early 20th-century style

(of the kind found in theaters), no longer offers the original

overall effect, which was due to the subdued coloring and

the varied play of light coming through the six windows

on the façade and from the entrances, once kept open or

closed for different occasions.

155. Ibidem. The opening in the middle at the bottom of the

wall opposite the counter-façade appears to be a late alteration

(of which I do not know the date), taking the place of

the niche made in 1793 to house a statue.

156. The recent restoration has recovered and consolidated

the painted decoration of the hall, both the part that was

still visible and the part that had been covered with plaster.

Above all the lower area, between the level of the gallery

and the floor, had been damaged by a repainting in a different

shade of blue from the original that had also covered

the frescoed scenes inside panels (with landscapes, brought

back to light today), and that had concealed the loss of the

decorations in the panels above the doors, which housed

“paintings representing heads of ancient emperors.”

157. Tolomei, Guida di Pistoia, 194.

158. For an overview of the effects of the Leopoldine era and

Ricci’s reforms on the arts, see the still unsurpassed pages

written by Chiara d’Afflitto in 1986 on the role assigned to

artists at that time as illustrators of didactic and educational

contents: C. d’Afflitto, “La cultura artistica del vescovo e

la questione del patrimonio artistico ecclesiastico,” in Scipione

de’ Ricci e la realtà pistoiese della fine del Settecento. Immagini

e documenti, exhibition catalogue (Pistoia: Edizioni del Comune

di Pistoia, 1986), 167-75: 169. See too: idem, “Le arti

figurative dal periodo neoclassico,” 289-91.

159. Educational requirements and the “needs of the content”

(d’Afflitto, “La cultura artistica del vescovo,” 69) were

given preference at the time, even to the detriment of the

quality of the art. Nor was it uncommon to pick young artists

at the beginning of their career in order to save money:

art was reduced to that status of a “craft,” however fine,

that had above all to adapt to the demands of the client,

who indicated the content and often the mode of figuration

as well. This was also the way Canon Tommaso dei

Rossi thought.

160. In 1763—at the age of twenty-one—the Pistoian

painter Luigi Rafanelli (1742-98), son of Giovan Francesco,

had worked with the stuccoist Tommaso Cremona on the

decoration of the “painted drawing room” on the second

floor of Palazzo Puccini in Pistoia (Gai, Il Palazzo Puccini,

42, 156); in 1778 he executed “ornaments and quadrature”

in the newly built chapel of Palazzo Forteguerri (Romby,

Palazzo Forteguerri. Architettura, 35; idem, “Palazzo Forteguerri,”

in Settecento illustre, 452); in September 1789 he was

paid for the decoration “with paintings of marbles and ornaments”

of the walls of the original episcopal chapel, on

the third floor of the new Bishop’s Palace, adorned with an

Assumption of the Virgin Mary by Luigi Catani (Romby, “Palazzo

vescovile nuovo,” 343 and 344 note 22; but see too E.

Guscelli, “Il nuovo palazzo vescovile di Scipione de’ Ricci,”

BSP, CVII, 2005, 89-109: 94, 103); on July 24, 1793, he was

paid by the Opera dei Santi Giovanni e Zeno for painting

a slab in mock marble, with an inscription, to cover the

cavity, left empty, for the silver urn of St. Atto (transferred

by Scipione de’ Ricci to the former chapel of San Rocco)

in the 17th-century altar-monument in the cathedral (Gai,

“Chiesa cattedrale di S. Zeno,” 70 note 267); from the end

of January to October 1794 he painted the main hall in

143



stinata a coprire l’incasso, rimasto vuoto, dell’urna argentea

di Sant’Atto (fatta trasportare da Scipione de’ Ricci nella

ex-cappella di San Rocco) nell’altare-monumento seicentesco

in duomo (L. Gai, Chiesa cattedrale di S. Zeno, cit., p. 70

nota 267); dalla fine di gennaio all’ottobre 1794 dipingeva il

salone d’onore in palazzo de’ Rossi; nello stesso anno veniva

di nuovo chiamato in palazzo Forteguerri per “riquadrare”

e ornare, insieme col pittore pistoiese Giuseppe Vannacci

(1748-post 1821), allievo e collaboratore di Francesco Maria

Beneforti, il nuovo appartamento realizzato per Caterina

Ippoliti, moglie del padrone di casa: nel muro della cui anticamera

era stato incassato un quadro dipinto fin dal 1780

da Teodoro Matteini, che era una copia “fedelissima” “delle

Nozze Aldobrandine così chiamate perché esse furono

dalla detta famiglia Aldobrandini ricavate negli scavi della

Domus Aurea di Nerone” (G.C. Romby, Palazzo Forteguerri.

Architettura, cit., pp. 47, 60; Eadem, Palazzo Forteguerri, in

Settecento illustre, cit., p. 454); fra il 1797 e il 1798 dipingeva,

con Luigi Catani ed altri, in palazzo Vaj a Prato (G.A. Centauro,

P. Puggelli, La casa comune degli studi e delle professioni

a Prato. Restauro e riabilitazione funzionale di Palazzo Vaj, in

“Prato storia e arte”, 110, dicembre 2011, pp. 69-91: 87-88; vi

aveva decorato la nuova cappella – per la quale Luigi Catani

aveva dipinto la cupoletta con un’Assunta, i pennacchi e le

relative lunette – con “scagliole à trompe-l’oeil imitative di

preziosi marmi e motivi architettonici (lesene, fregi della

trabeazione, balza, ecc.)”, definite “bell’opera del pistoiese

Luigi Rafanelli”. Cfr. anche C. Morandi, Luigi Catani pittore

neoclassico, in “Prato storia e arte”, 108, dicembre 2010, pp.

5-118: 39-40.

161. Cfr. la nota precedente.

162. Cfr. C. Morandi, Luigi Catani, cit., pp. 34-37. Oltre a

questo studio complessivo su Luigi Catani, varie altre notizie

sull’attività del pittore e di suo padre Stefano, discendente

da una famiglia svizzera di decoratori, sono comprese

in vari contributi editi in Il Settecento a Prato, a cura di R.

Fantappiè, Milano, Skira Editore/Cariprato, 1999 ed in particolare

alle pp. 27 (ill. della volta dipinta da Luigi Catani

nella sala di lettura della Biblioteca Roncioniana di Prato);

149-153 (G. Lenzi Iacomelli, I Vannetti, Stefano Gaetano Neri,

i Catani, pp. 147-154, in cui rivestono particolare interesse i

riferimenti dell’ambiente progressista pratese, durante l’episcopato

di Scipione de’ Ricci e il riformismo leopoldino,

ai nuovi poli della cultura classicizzante quali la Villa di Poggio

Imperiale e la Sala della Niobe agli Uffizi, e anche la segnalazione

della copia eseguita a monocromo – e attribuita

a Luigi Catani – di una Prospettiva con atrio di edificio classico

desunta dal volume di incisioni Prima parte di architetture e

prospettive di Giovan Battista Piranesi (1720-1778), edito nel

1743, eseguita nella cappellina dell’Educandato istituito con

le riforme leopoldine nell’ex-convento di San Niccolò a Prato,

ivi, p. 152); 182-185 (G. Morandi, Quadraturisti e quadrature,

pp. 181-186); p. 207 (C. Cerretelli, Interventi territoriali,

edifici pubblici e palazzi, pp. 189-210); 250-252 (C. Cerretelli,

Gli edifici sacri, pp. 233-270, schede sugli ex-monasteri di San

Niccolò e di San Clemente).

163. Cfr. C. Morandi, Luigi Catani, cit., pp. 39-49, 85, 89-92,

97-108.

164. Cfr. F. Ceccanti, Tommaso Puccini e Pistoia, in Tommaso

Puccini, 1811-2011. Nel bicentenario della morte, Pistoia, Settegiorni

Editore, 2014, pp. 9-30: 15-17. Tommaso Puccini

nell’estate del 1796 aveva proposto Luigi Catani per attuare

il progetto di riarredo pittorico e decorativo dell’appartamento,

al primo piano del palazzo Puccini in città, per il

fratello Giuseppe e sua moglie Maddalena Brunozzi, elaborato

in base alle idee dello stesso Tommaso e con il contributo

dell’architetto e amico di famiglia Cosimo Rossi

Melocchi. Luigi Catani era il principale esponente, allora,

di uno stile decorativo raffinato, di tipo neoclassico, in voga

nella capitale del Granducato: che gli sarebbe valso ad ottenere

la commissione – fra 1805 e 1810 – del rinnovamento

pittorico e ornamentale della villa pucciniana di Scornio:

cfr. C. Morandi, Luigi Catani, cit., pp. 44-49, 56-62. La bibliografia

su quest’ultimo tema è assai ampia. Per le pitture

in palazzo Puccini cfr. anche L. Gai, Il Palazzo Puccini, cit.,

pp. 67-78 per questa fase di riallestimento. In quel periodo,

pertanto, anche altri artisti pistoiesi si fecero imitatori dello

stile decorativo di Luigi Catani, assicurandosi così vantaggiose

commissioni artistiche. Luigi Rafanelli fu uno di

questi, nella sua tarda attività professionale: cfr. la nota 160.

Un altro, più tardi, fu Ferdinando Marini, attivo dal secondo

decennio ai primi anni Sessanta dell’Ottocento, operoso

anche in palazzo de’ Rossi.

165. F. Ceccanti, Tommaso Puccini, cit., p. 17: fra il novembre

1796 e i primi di gennaio 1797 lo stesso Tommaso Puccini

dovette ammettere l’indisponibilità del Catani, allora “occupatissimo”

(specialmente per i lavori commissionatigli

dal granduca Ferdinando III). Si ripiegò allora sul pittoreornatista

Luigi Mecherini, che forse fu presentato dallo

stesso Tommaso, come colui che era in grado di assicurare

uno stile ‘simil-Catani’. Il Mecherini poco più tardi, nel

1805, questa volta in veste di mercante di oggetti di scavo,

vendette con l’assenso del Puccini diciotto vasi etruschi “di

terra invetriata nera” alla Galleria degli Uffizi: cfr. E. Spalletti,

Direttore degli Uffizi. Il Regno d’Etruria: agosto 1801-dicembre

1807, in E. Spalletti, R. Viale, Tommaso Puccini (1749-

1811). Conoscitore delle Arti e Direttore degli Uffizi (“Gli Uffizi.

Studi e ricerche”, 27), Firenze, Centro Di, 2014, pp. 139-173:

157.

166. Cfr. la nota 160.

167. Luigi Catani era indubbiamente un punto di riferimento

per tutti i suoi emuli nei vari generi di “ornato”: per la

decorazione “alla raffaella” (praticata fin dalla gioventù); per

il genere del monocromo ‘metallico’ o a finto bronzo dorato;

per le grisailles a similitudine di bassorilievi antichi; per i

decori in stile “etrusco”. Egli ebbe modo di sfoggiare la sua

competenza come pittore di grisailles nel 1796, nella decorazione

della nuova Sala della Musica realizzata nel quartiere

d’inverno di Palazzo Pitti, abitazione del granduca

Ferdinando III: il cui “complesso e ricercato” programma

iconografico era stato ideato dallo stesso Tommaso Puccini,

in qualità di direttore degli Uffizi ed esperto cultore d’arte,

con la collaborazione dell’erudito antiquario romano Ennio

Quirino Visconti: cfr. C. Morandi, Luigi Catani, cit., p. 43 e

ivi nota 59. Un anno dopo, Catani sarebbe stato nominato

professore d’ornato di Prima Classe all’Accademia fiorentina

di Belle Arti (ibidem, p. 44).

168. Cfr., più oltre, la nota 189.

169. Del pittore-decoratore Giuseppe Brizzi resta qualche

notizia. Ne fece cenno per primo Francesco Tolomei,

nell’elenco degli artisti pistoiesi in appendice alla sua Guida

di Pistoia: cfr. F. Tolomei, Guida di Pistoia, cit., pp. 157-158.

Era figlio dell’attrezzista teatrale Francesco, collaboratore

nel 1755, nel Teatro dei Risvegliati, dell’architetto-scenografo

Antonio Galli Bibbiena, di formazione bolognese: cfr. L.

Gai, Teatro dell’Accademia dei Risvegliati, cit., p. 362 nota 115.

Giuseppe avrebbe partecipato più tardi alla preparazione

del rinnovamento del medesimo Teatro presentando, nel

1796, il preventivo di spesa per il rifacimento degli scenari

(ivi, p. 357 e nota 116 p. 362) alla Commissione di Accademici

di cui faceva parte anche Francesco dei Rossi (ivi, p.

358). Descrivono gli allestimenti teatrali di Giuseppe Brizzi

in piazza San Francesco, nel 1789 e nel 1791, F. Tolomei,

Guida di Pistoia, cit., pp. 157-158; G. Tigri, Pistoia e il suo territorio,

cit., p. 264. Il grande anfiteatro che racchiudeva le

gradinate per i due spettacoli all’aperto, in stile pastiche, sia

classico che neo-medioevale, progettato dal Brizzi, nel 1791

fu riprodotto in un’incisione, allora posta in vendita: cfr.

M. Lucarelli, Iconografia di Pistoia nelle stampe dal XV al XIX

secolo, nuova edizione ampliata, Firenze, Edizioni Polistampa,

2008, pp. 54-55. Si fa cenno ai due spettacoli, allestiti in

occasione delle feste patronali di San Iacopo del 25 luglio,

in G. Cipriani, Dai Medici ai Lorena. Politica, cultura, vita cittadina,

in Storia di Pistoia, III, cit., pp. 81-154: 153; la stampa

è riprodotta, a proposito delle trasformazioni di primo Ottocento

della piazza San Francesco, in G.L. Chelucci, Cultura

e realizzazioni architettoniche a Pistoia dagli anni francesi al

periodo unitario, in Storia di Pistoia, IV, cit., pp. 319-345: 322.

170. Di Luigi Cheli detto “Marzocco” si conosce soprattutto

l’attività di pittore-decoratore su commissione dei

Puccini, sia per quanto atteneva il palazzo di città che per

la villa di Scornio. Nel 1805 figurava come assistente del

pittore Luigi Catani a Scornio, dove Cheli aveva dipinto

il salotto da pranzo a nord con finti quadri a monocromo

sulle pareti, con Storie della vita di Bacco e con una veranda

a cielo aperto sul soffitto: cfr. L. Dominici, La villa Puccini

di Scornio a Pistoia. Contributi per una storia, in BSP, XCVI,

1994, pp. 97-118: 116-118, tavv. VII-VIII. Luigi Cheli aveva

anche dipinto, per l’apparato di una festa tenutasi in piazza

della Sala, un pannello collocato sul “pozzo del Leoncino”,

dov’era raffigurata “la bellissima città di Parigi, quando le

tre potenze alleate fanno il felice ingresso con tutta la soldatesca

con acclamazione del popolo parigino”, secondo

un inedito memorialista del tempo, T. Civinini (ivi, p. 117

nota 65). Questa notizia, se non altro, offre un indizio sulle

capacità del pittore di raffigurare panorami urbani. Nel

1805 Cheli aveva dipinto una Vergine col Figlio (attualmente

illeggibile) entro un’edicoletta realizzata sulla facciata di un

edificio, di fronte al palazzo di città, comprato nel 1803 da

Giuseppe Puccini: cfr. L. Gai, Il Palazzo Puccini, cit., pp. 85-

87. Più tardi, fra 1833 e 1834, il pittore veniva retribuito da

Francesco dei Rossi per un’immagine della Madonna dipinta

“alle Scuole” (non meglio specificate): BCF, Rossi, 32, c.

134v. Pertanto, le notizie relative alla sua attività in palazzo

de’ Rossi, fra 1794 e 1799 (cfr. le note 176-177) sarebbero le

prime testimonianze di una ancora pochissimo conosciuta

carriera artistica.

171. Questa valutazione sulle imprese urbanistiche e territoriali

allora più importanti è anche in G.L. Chelucci,

Cultura e realizzazioni architettoniche, cit., pp. 319-345: 320.

Sulla personalità e l’attività dell’architetto Cosimo Rossi

Melocchi – di cui si trovano menzioni in tutti gli studi

che riguardano Tommaso Puccini e la storia degli Uffizi,

nonché in quelli sulle committenze artistiche dei Puccini,

soprattutto nella villa e nel parco di Scornio – si vedano

comunque: F. Tolomei, Delle fabbriche incominciate alla memoria

degli Uomini Illustri pistoiesi nella piazza di S. Francesco

a Pistoia. Lettera del cav. Francesco Tolomei, Pisa, Amoretti,

1816; Idem, Guida di Pistoia, cit., pp. 129-130, 195-197; G.

Tigri, Pistoia e il suo territorio, cit., pp. 263-265: 265; V. Capponi,

Biografia pistoiese, cit., pp. 345-346; più recentemente:

G.L. Chelucci, L’identità perduta. Il complesso di S. Francesco

nel XIX e XX secolo tra ipotesi di destinazione civica e recupero

“mistico-devozionale”, in S. Francesco. La chiesa e il convento in

Pistoia, a cura di L. Gai, Ospedaletto (Pisa), Pacini Editore/

Cassa di Risparmio di Pistoia e Pescia, 1993, pp. 227-246:

227-231; F. Ceccanti, La progettazione e la costruzione del Pantheon

di piazza S. Francesco (1810-1828), in “Farestoria”, XVI,

1997, 30, pp. 24-40; Idem, Cosimo Rossi Melocchi di Pistoja.

Architetto e incisore tra ‘700 e ‘800, Pistoia, Brigata del Leoncino,

1998; G.L. Chelucci, Cultura e realizzazioni architettoniche,

cit., pp. 319-321, 323-325; F. Ceccanti, Tommaso Puccini,

cit., pp. 11-14, 18-19, 21-28.

172. Palazzo dei Rossi, pp. 75-76; Taccuino, c. 20v; nel 1790 il

canonico Tommaso aveva commissionato a Giuseppe Brizzi

Palazzo de’ Rossi; in the same year he was called back to

Palazzo Forteguerri to paint, together with the Pistoian

Giuseppe Vannacci (1748-post 1821), pupil and assistant of

Francesco Maria Beneforti, the friezes and baseboards of

the new apartment for Caterina Ippoliti, wife of the master

of the house: in the wall of its antechamber had been set a

picture painted in 1780 by Teodoro Matteini, which was a

“very faithful” copy “of the Aldobrandini Wedding, so-called

because it was found by the Aldobrandini family during the

excavations of Nero’s Domus Aurea” (G.C. Romby, Palazzo

Forteguerri. Architettura, 47, 60; idem, “Palazzo Forteguerri,”

in Settecento illustre, 454); between 1797 and 1798 he painted,

with Luigi Catani and others, in Palazzo Vaj in Prato (G.A.

Centauro and P. Puggelli, “La casa comune degli studi e

delle professioni a Prato. Restauro e riabilitazione funzionale

di Palazzo Vaj,” Prato storia e arte, 110 [December 2011],

69-91: 87-88); in it he had decorated the new chapel—for

which Luigi Catani had painted the cupola with an Assumption,

the pendentives and their lunettes—with “trompe-l’oeil

scagliola imitating precious marble and architectural motifs

(pilasters, friezes of the entablature, ledge, etc.),” described

as “fine work of the Pistoian Luigi Rafanelli.” See too Morandi,

“Luigi Catani pittore neoclassico,” Prato storia e arte,

108 (December 2010), 5-118: 39-40.

161. See the previous note.

162. See Morandi, “Luigi Catani,” 34-37. In addition to this

comprehensive study of Luigi Catani, other information on

the activity of the painter and his father Stefano, descendant

of a Swiss family of decorators, can be found in various

essays published in Il Settecento a Prato, ed. R. Fantappiè,

(Milan, Skira Editore/Cariprato, 1999) and in particular on

p. 27 (ill. of the vault painted by Luigi Catani in the reading

room of the Biblioteca Roncioniana in Prato); 149-53 (G.

Lenzi Iacomelli, “I Vannetti, Stefano Gaetano Neri, i Catani,”

147-154, in which there are particularly interesting references

to the progressive milieu of Prato during the episcopate

of Scipione de’ Ricci and the period of Leopoldine

reforms and to the new centers of classicizing culture like

the Villa di Poggio Imperiale and the Sala della Niobe in the

Uffizi, as well as a mention of the monochrome copy—attributed

to Luigi Catani—of a Perspective with Atrium of a

Classical Building from Giovan Battista Piranesi’s volume of

engravings Prima parte di architetture e prospettive (1720-78),

published in 1743, executed in the small chapel of the girls’

boarding school set up under the Leopoldine reforms in

the former convent of San Niccolò at Prato, ibidem, 152);

182-85 (G. Morandi, “Quadraturisti e quadrature,” 181-86);

207 (C. Cerretelli, “Interventi territoriali, edifici pubblici e

palazzi,” 189-210); 250-52 (C. Cerretelli, “Gli edifici sacri,”

233-70, entries on the former monasteries of San Niccolò

and San Clemente).

163. See Morandi, “Luigi Catani,” 39-49, 85, 89-92, 97-108.

164. See F. Ceccanti, “Tommaso Puccini e Pistoia,” in Tommaso

Puccini, 1811-2011. Nel bicentenario della morte (Pistoia:

Settegiorni Editore, 2014), 9-30: 15-17. In the summer of

1796 Tommaso Puccini had proposed Luigi Catani to carry

out the project of pictorial and decorative refurbishment

of the apartment on the second floor of Palazzo Puccini in

the city for his brother Giuseppe and his wife Maddalena

Brunozzi, drawn up on the basis of the ideas of Tommaso

himself and with the contribution of the architect and

friend of the family Cosimo Rossi Melocchi. Luigi Catani

was the principal exponent, at the time, of a refined decorative

style of a neoclassical character that was in vogue in

the capital of the Grand Duchy: this was sufficient to earn

him the commission—between 1805 and 1810—for the renewal

of the paintings and ornamentation in the Puccini

family’s Villa di Scornio: see Morandi, “Luigi Catani,” 44-

49, 56-62. The literature on this last subject is extensive.

For the paintings in Palazzo Puccini see too Gai, Il Palazzo

Puccini, 67-78, for this phase of redecoration. In that period,

therefore, other Pistoian artists began to imitate the decorative

style of Luigi Catani, thereby earning themselves advantageous

commissions. Luigi Rafanelli was one of these,

toward the end of his career: see note 160. Another, later

on, was Ferdinando Marini, active from the second decade

to the early sixties of the 19th century, who also worked in

Palazzo de’ Rossi.

165. F. Ceccanti, “Tommaso Puccini,”, 17: between November

1796 and the beginning of January 1797 Tommaso Puccini

had to accept the unavailability of Catani, “extremely

busy” at the time (especially on the works commissioned

from him by Grand Duke Ferdinand III). So he fell back on

the painter-ornamentalist Luigi Mecherini, who may have

been presented to him by Tommaso himself, as a man capable

of working in a style resembling Catani’s. Not much

later, in 1805, Mecherini, this time in the guise of a dealer

in excavated objects, sold with Puccini’s consent eighteen

Etruscan pots “of black-glazed clay” to the Galleria degli

Uffizi: see E. Spalletti, “Direttore degli Uffizi. Il Regno

d’Etruria: agosto 1801-dicembre 1807,” in E. Spalletti and

R. Viale, Tommaso Puccini (1749-1811). Conoscitore delle Arti e

Direttore degli Uffizi (“Gli Uffizi. Studi e ricerche,” 27) (Florence:

Centro Di, 2014), 139-73: 157.

166. See note 160.

167. Luigi Catani was undoubtedly a point of reference for

all his rivals in the various types of “ornamentation”: for

decoration “in the manner of Raphael” (practiced since

his youth); for the genre of the “metallic” monochrome or

mock gilded bronze: for grisailles imitating classical basreliefs;

and for decorations in “Etruscan” style. He was able

to show off his skill as a painter of grisailles in 1796, in the

decoration of the new Music Room set up in the winter

quarters of Palazzo Pitti, the residence of Grand Duke Ferdinand

III: its “complex and sophisticated” iconographic

program had been devised by Tommaso Puccini himself, in

his capacity as director of the Uffizi and connoisseur of art,

with the collaboration of the erudite Roman antiquarian

Ennio Quirino Visconti: see Morandi, “Luigi Catani,” 43

and ibidem note 59. A year later, Catani would be appointed

First Class Professor of Ornamentation at the Accademia

di Belle Arti in Florence (ibidem, 44).

168. See note 189 below.

169. Some records of the activity of the painter-decorator

Giuseppe Brizzi have survived. He is first mentioned by

Francesco Tolomei in the list of Pistoian artists in the appendix

of his Guide to Pistoia: see Tolomei, Guida di Pistoia,

157-58. He was the son of the theatrical property master

Francesco Brizzi, who collaborated in 1755 with the architect

and set designer Antonio Galli Bibbiena, trained in

Bologna, on the Teatro dei Risvegliati: see Gai, “Teatro

dell’Accademia dei Risvegliati,” 362 note 115. Giuseppe

later took part in the preparations for the renovation of the

same theater, submitting, in 1796, a cost estimate for the repainting

of the scenery (ibidem, 357 and 362 note 116) to the

Board of Academy Members on which Francesco dei Rossi

also sat (ibidem, 358). Giuseppe Brizzi’s theatrical scenery

in Piazza San Francesco, in 1789 and 1791, are described in

Tolomei, Guida di Pistoia, 157-58, and Tigri, Pistoia e il suo territorio,

264. The large amphitheater that enclosed the tiers

of seating for the two open-air performances, designed by

Brizzi in a pastiche of the classical and the medieval, was reproduced

in an engraving in 1791 that was then put on sale:

see M. Lucarelli, Iconografia di Pistoia nelle stampe dal XV al

XIX secolo, new expanded edition (Florence, Edizioni Polistampa,

2008), 54-55. The two performances, both staged

on the feast day of the city’s patron saint, James the Great,

on 25 July, are mentioned in G. Cipriani, “Dai Medici ai

Lorena. Politica, cultura, vita cittadina,” in Storia di Pistoia,

III, 81-154: 153; the print is reproduced, in connection with

the changes made to Piazza San Francesco in the early 19th

century, in G.L. Chelucci, “Cultura e realizzazioni architettoniche

a Pistoia dagli anni francesi al periodo unitario,” in

Storia di Pistoia, IV, 319-45: 322.

170. With regard to Luigi Cheli called “Marzocco,” we know

chiefly of his work as a painter-decorator for the Puccini

family, in both Palazzo Puccini in the city and the Villa

di Scornio. In 1805 he is mentioned as an assistant to the

painter Luigi Catani at Scornio, where Cheli had painted

the dining room in the northern section of the house with

mock monochrome pictures on the walls representing

Scenes from the Life of Bacchus and an open-air veranda on the

ceiling: see L. Dominici, “La villa Puccini di Scornio a Pistoia.

Contributi per una storia,” BSP, XCVI (1994), 97-118:

116-18, pls. VII-VIII. Luigi Cheli had also painted, for the

scenery of a festival held in Piazza della Sala, a panel set

on the well called the “pozzo del Leoncino” depicting “the

beautiful city of Paris, at the time the three allied powers

make their joyful entrance with all their troops and the acclamation

of the Parisian people,” according to an unpublished

memorialist of the time, T. Civinini (ibidem, 117 note

65). If nothing else, this offers a clue to the painter’s ability

to represent urban panoramas. In 1805 Cheli had painted a

Virgin Mary with Child (now illegible) in a small niche on the

façade of a building opposite Palazzo Puccini that had been

bought by Giuseppe Puccini in 1803: see Gai, Il Palazzo Puccini,

85-87. Later, between 1833 and 1834, the artist was paid

by Francesco dei Rossi for an image of the Madonna painted

“at the Schools” (with no clearer identification): BCF, Rossi,

32, f. 134 v . Consequently, the information regarding his activity

in Palazzo de’ Rossi between 1794 and 1799 (see notes

176-77) provides the first testimony to a still little known

artistic career.

171. This assessment of the most important undertakings

in the city and its surroundings is shared by G.L. Chelucci

in “Cultura e realizzazioni architettoniche,” 319-45: 320. On

the personality and activity of the architect Cosimo Rossi

Melocchi—who is mentioned in all the studies of Tommaso

Puccini and the history of the Uffizi, as well as in those of

the artistic commissions of the Puccini family, especially

in the Villa di Scornio and its park—see however: F. Tolomei,

Delle fabbriche incominciate alla memoria degli Uomini Illustri

pistoiesi nella piazza di S. Francesco a Pistoia. Lettera del

cav. Francesco Tolomei (Pisa: Amoretti, 1816); idem, Guida di

Pistoia, 129-30, 195-97; Tigri, Pistoia e il suo territorio, 263-65:

265; Capponi, Biografia pistoiese, 345-46; more recently: G.L.

Chelucci, “L’identità perduta. Il complesso di S. Francesco

nel XIX e XX secolo tra ipotesi di destinazione civica e

recupero ‘mistico-devozionale,’” in S. Francesco. La chiesa e

il convento in Pistoia, ed. L. Gai (Ospedaletto, Pisa: Pacini

Editore/Cassa di Risparmio Pistoia e Pescia, 1993), 227-46:

227-31; F. Ceccanti, “La progettazione e la costruzione del

Pantheon di piazza S. Francesco (1810-1828),” Farestoria,

XVI, 30 (1997), 24-40; idem, Cosimo Rossi Melocchi di Pistoja.

Architetto e incisore tra ‘700 e ‘800 (Pistoia: Brigata del Leoncino,

1998); Chelucci, “Cultura e realizzazioni architettoniche,”

319-21, 323-25; F. Ceccanti, “Tommaso Puccini,”

11-14, 18-19, 21-28.

172. “Palazzo dei Rossi,” 75-76; Taccuino, f. 20 v ; in 1790

Canon Tommaso had commissioned from Giuseppe Brizzi

the ornamentation of two rooms on the eastern side of the

fourth floor with figures and decorative elements. However,

the artist had left them unfinished and they would be completed

by Luigi Cheli in 1794: see too note 176 below. No

trace of these paintings now survives.

144 145



l’ornato di due stanze al terzo piano dal lato di levante, che

comprendevano figure ed elementi decorativi. Tuttavia l’artista

li aveva lasciati interrotti e sarebbero stati completati

da Luigi Cheli nel 1794: cfr. anche la successiva nota 176.

Attualmente non è traccia di questi dipinti.

173. Cfr. la nota 169. La citazione è da G. Cipriani, Dai Medici

ai Lorena, cit., p. 153.

174. Cfr. la nota 169.

175. Cfr. la nota 170.

176. Palazzo dei Rossi, pp. 75-76; Taccuino, c. 20v: Luigi Cheli

aveva completato i decori del Brizzi nell’anticamera e nella

camera del “quartiere” di Tommaso dei Rossi al terzo piano,

nel 1794, dipingendo “tutti li canestrini, fiorami, tralci,

uccellami etc. che vi sono. Fece – aggiunge la nostra fonte

– l’ornato al camminetto nuovo di marmi, e tutto il medaglione

con figura intera rappresentante l’Inverno, e fece il

ripieno del medaglione tra le due finestre, lasciato dal Brizzi.

E dipinse il parafoco del camminetto suddetto”. Nel

1799 il pittore era ritornato in palazzo de’ Rossi a dipingere

per Tommaso e suo fratello, il canonico Giulio. Per il primo

aveva decorato un ambiente realizzato nella “casa vecchia”

in una parziale ristrutturazione effettuata fra l’aprile e il luglio

1799 all’interno del casamento: era una stanzetta ottenuta

dalla suddivisione di un ambiente più grande, che dava

sulla via de’ Rossi: “tale stanzetta fu imbiancata e riquadrata

e poi dipinta dal predetto Luigi Cheli”: Taccuino, c. 26r. Al

terzo piano del palazzo, dal lato di levante, il canonico Tommaso

aveva fatto collegare col suo appartamento l’ingresso

“e stanzina” dov’era la scala secondaria per il guardaroba e

il verone e l’aveva poi fatta decorare dallo stesso artista il 31

maggio 1799: Taccuino, c. 25r. Evidentemente Luigi Cheli allora

non rifiutava incarichi anche di modesto rilievo, come

dovevano essere quelli sopra indicati.

177. Palazzo dei Rossi, p. 81; Taccuino, c. 25v. In precedenza tale

quartiere, che era stato dello zio di Tommaso, Girolamo

Alessandro morto nel 1799, “era tutto adornato di lambry,

e cornici rilevate a stucchi”; ibidem. Si noti che la nostra

fonte, in questo caso, curandosi di annotare la presenza di

decorazioni in stucco a rilievo nell’appartamento, rivela

indirettamente che prima della ristrutturazione, in seguito

alla quale questi tipici ornamenti tardo-barocchi sarebbero

stati tolti, gli ambienti dovevano essere molto simili a quelli

tuttora conservatisi al secondo piano dal lato di ponente,

con graziosi sovrapporta con “paesini” incorniciati da volute

in stucco a rilievo e pareti libere per i quadri. La nuova

moda per la decorazione d’interni prevedeva invece di occupare

le pareti con pitture e ornati, privilegiando la tecnica à

trompe-l’oeil, con cui si risparmiavano sia quadri che mobilio.

Ancora più tardi, sarebbero stati preferiti i soffitti dipinti,

lasciando di nuovo libere le mura perimetrali di ciascuna

stanza.

178. Cfr. la nota 253 e le relative osservazioni.

179. Alcune illustrazioni dei dipinti tuttora esistenti in palazzo

Rossi-Cassigoli e attribuibili a Luigi Cheli, a mio avviso,

sono in C. Becarelli, L. Di Zanni, Il palazzo e la famiglia

Rossi Cassigoli, cit., pp. 69-71, 74. In particolare, gli eleganti

monocromi delle pareti e del soffitto della ex-cappella al

secondo piano, con Storie del Vecchio Testamento (la cui cultura

artistica, secondo le autrici, è appunto circoscrivibile

all’ambito di Luigi Catani e del suo collaboratore e imitatore

Luigi Cheli, all’opera nella villa pucciniana di Scornio fra

1805 e 1810, cfr. ivi, p. 69) e i rilievi à trompe-l’oeil raffigurati

sulle pareti di una stanza posta all’estremità di nord-ovest

del primo piano con Storie di Ercole ed Enea – di accentuato

classicismo ‘antiquario’ – sono, a quanto credo, da ascrivere

a Luigi Cheli e da datare intorno al 1831, quando un particolare

incentivo alla ristrutturazione e nuova decorazione

del palazzo – ivi compreso il salone centrale al primo piano,

probabilmente di Ferdinando Marini – potrebbe essere stato

dato dal matrimonio, celebratosi in quell’anno, fra Bartolomeo

Rossi Cassigoli e Luisa Pierotti (ivi, p. 71).

180. Francesco dei Rossi era stato addobbato cavaliere di

Santo Stefano a diciassette anni, il 13 novembre 1779, nella

chiesa di Santa Maria delle Grazie di Pistoia: Palazzo dei

Rossi, p. 89; BCF, Rossi, 28, c. 29r. Il primo novembre 1780

era partito per le “carovane” – cioè il servizio miliare sulle

navi – a Pisa e il 3 luglio 1783 ne era tornato: BCF, Rossi, 28,

cc. 36v, 58v. Più tardi, nel 1796 – come veniamo a sapere indirettamente

dal fratello, il canonico Tommaso, mediante le

sue registrazioni sul Taccuino – il granduca “a fine marzo” di

quell’anno lo aveva nominato Capitano delle Bande a Pistoia,

per comandare una squadra di arruolati locali per la difesa

dell’ordine pubblico nell’imminenza della prima discesa

in Italia di Napoleone, che fra il 23 e il 27 giugno 1796 passò

per Pistoia con le sue truppe, diretto a Livorno. Fu allora

allestito nella “casa vecchia” dei Rossi l’ufficio di coordinamento

per tale incarico, col relativo archivio, e un’armeria

“accanto alla stallina”: Taccuino, c. 24r; BCF, Rossi, 15, biglietto

allegato, rilegato per traverso a c. 765r. Cfr. anche, per la

situazione storica, L’età rivoluzionaria e napoleonica nel diario

di Bernardino Vitoni, 1789-1811 (“Fonti storiche pistoiesi”, 9),

a cura di N. Rauty, Pistoia, Società pistoiese di storia patria,

1989, pp. 33-36 (dove non è cenno al sopra citato provvedimento

granducale di difesa interna); cfr. anche G. Petracchi,

Pistoia dalle riforme leopoldine al riassetto amministrativo postunitario

(1777-1877), in Storia di Pistoia, IV, cit., pp. 3-98: 17-

18, dove si segnalano solo i movimenti dei francesi.

181. Per la cavallerizza, ricavata sul retro del palazzo e separata

dal resto del terreno con un setto divisorio su pilastri,

cfr. Palazzo dei Rossi, p. 77; Taccuino, c. 21r. Per l’unità abitativa

di due stanze, ricavate nello stanzone al terzo piano

sul lato est, attiguo all’appartamento dove allora abitava il

canonico Tommaso, e sulla realizzazione della “specola”,

sul tetto e in corrispondenza della “scala a chiocciola segreta”

che fin là arrivava, cfr. Palazzo dei Rossi, p. 76 e nota

202 pp. 76-77; Taccuino, cc. 24v-25r; nel presente contributo

cfr. la tav. X. La costruzione di questo stanzone non è documentata,

ma è presumibile che esso sia stato eretto con il

completamento del palazzo entro il 1794 al più tardi, perché

nella “Relazione” del 20 maggio di quell’anno, compilata

dal capomaestro Luigi Malfanti, al primo livello del terzo

piano sono elencate “numero otto stanze tutte assoffittate”:

Palazzo dei Rossi, p. 75; Taccuino, c. 19v, e il conto delle

stanze non tornerebbe senza quello stanzone, oltretutto

necessario allo sviluppo totale del fronte posteriore del

palazzo. Diversa era la situazione della facciata principale

ad ovest, che mancava di omogeneità architettonica sulla

destra, dove la “galleria nuova” al primo piano ovest non fu

realizzata, mediante una sopraelevazione, che nel 1812 (cfr.

nel presente studio, la nota 243 e la tav. IX, a). Il sovrapposto

stanzone, dal pavimento più basso rispetto al livello

del secondo piano, dalle finestre senza cornice ornamentale

esterna e dalla copertura a travicelli in vista, con caratteri

quindi di provvisorietà – peraltro rimasti immutati fino ad

oggi – fu forse impostato già con la costruzione nel 1812

della “galleria nuova”, per una futura dotazione dell’appartamento

al secondo piano ovest di un’analoga sala, cosa che

però non fu realizzata. Anche Tommaso dei Rossi, per il

“quartiere” che abitava al terzo piano, non aveva ritenuto

di allestire conveniente mente una “galleria” nello stanzone

attiguo (passando attraverso l’andito della interposta “scala

a chiocciola segreta”), che era servito soprattutto come volume

di completamento del fronte posteriore esterno del

palazzo. Di questo vasto ambiente si era servito il fratello

Francesco per realizzarvi l’appartamentino a lato della scala

per salire alla “specola”. La nuova unità abitativa era stata

fatta decorare nel 1797 dal pittore Luigi Rafanelli con “riquadrature”,

di cui è stata trovata traccia sotto l’intonaco

durante i saggi effettuati con l’ultimo restauro del palazzo

(pur senza portare al recupero della decorazione, peraltro

molto semplice). È fra le ultime attività di Luigi Rafanelli,

che sarebbe morto l’anno seguente, a cinquantasei anni. La

“specola”, eretta fra il 12 e il 29 novembre 1798, fu dipinta

dal figlio del pittore, Filippo, subentrato al padre defunto:

Palazzo dei Rossi, nota 202 pp. 76-77.

182. Palazzo dei Rossi, pp. 68-69, 78-79; Taccuino, cc. 14v-15r,

23r. Cfr. anche, nel presente studio, la nota 134.

183. Palazzo dei Rossi, p. 78; Taccuino, c. 23r. Sulla decorazione

pittorica di questi ambienti cfr., più oltre, le note 205, 208-

210, 218.

184. Giudiziosamente, Tommaso cercò di reimpiegare

quanto poteva di questi infissi facendoli accortamente

riadattare per il completamento del salone e per i due appartamenti

dove abitava, al secondo e al terzo piano di

levante: Palazzo dei Rossi, p. 79 nota 215; Taccuino, c. 22r-v:

“Siccome il signore cavaliere Francesco vole il quartiere

buono tutto quanto chiuso di nuovo, e alla moderna sì

per le finestre, che per gli usci, così fu cercato di ridurre

il tutto per il piano de’ mezzanini. Però n° 5 bussole sono

state adattate agli usci della corsia, o sia ballatojo della

Sala […]. Alle tre finestre del ballatojo, o sia Corsia della

Sala, sono state fatte nuove le vetrate, e sono state ridotte

[cioè riadattate] altre tre con suoi scuretti alle tre finestre

del piano di detta Sala […]. Tre vetrate alla veneziana

sono state ridotte per le tre finestre de’ mezzanini, che

guardano levante, che due con scuretti in salotto […] e

l’altra alla finestra che illumina il contiguo stanzino, e la

nuova scala di pietra, che finisce nella Guardaroba [...]”.

Terminati anche gli infissi del salone, dov’erano state

messe alle finestre vetrate “alla veneziana”, Tommaso intese

celebrare solennemente, a suo modo, l’inaugurazione

di questo grandioso ambiente, subito il giorno dopo in

cui i lavori erano finiti: “poiché il 2 detto [aprile 1795],

che fu il giovedì santo, vi fu fatto il desinare de’ poveri

con magnificenza” (Taccuino, c. 22v). Dal canto suo, anche

Tommaso non era stato inattivo, in quello scorcio di

secolo: oltre ad aver fatto decorare, fra 1790 e 1794, le

due stanze del suo appartamento al terzo piano dai pittori

Giuseppe Brizzi e Luigi Cheli (cfr. le note 169, 172 e 176),

nel 1799 aveva richiamato quest’ultimo per interventi di

minore entità (cfr. la nota 176). Per sé – e questo ne rivela

il carattere – aveva fatto realizzare fra il 1797 e il 1798

nell’appartamento al terzo piano di levante un “oratorio

domestico”, facendo dividere in due la camera da letto.

Ciò gli era possibile in quanto egli poteva disporre sia

dell’appartamento al secondo piano che di quello al terzo,

sul lato est, collegati con la “scala a chiocciola segreta”.

Tommaso, perciò, dormiva ancora nella sua antica camera

da letto, nel “quartiere” destinatogli dal padre, al secondo

piano. La cappelletta, dov’era stato costruito un altare

in muratura sul quale venne posto un quadro raffigurante

La Santissima Vergine dell’Umiltà e San Giuseppe suo sposo (la

stessa intitolazione dell’Oratorio attiguo alla vicina chiesa

di Sant’Andrea ristrutturato dall’architetto Raffaello

Ulivi), era stata decorata per mano del pittore Filippo di

Luigi Rafanelli, appena subentrato al padre morto: Palazzo

dei Rossi, p. 76; Taccuino, c. 25r e allegato 71. Il piccolo

oratorio domestico, di cui sussistono tuttora le strutture

murarie che lo delimitavano, restava dalla parte più interna

della stanza entro la quale era stato ricavato e prendeva

luce, mediante un’arcata praticata nel setto murario, dalla

zona attigua (dotata di finestra sulla sinistra) che doveva

fungere da sagrestia. Tale vano comunicava attraverso

una porta con il piccolo andito dove sboccava la “scala a

chiocciola segreta” – a comune con l’insieme bilocale/spe-

173. See note 169. The quotation is from Cipriani, “Dai

Medici ai Lorena,” 153.

174. See note 169.

175. See note 170.

176. “Palazzo dei Rossi,” 75-76; Taccuino, f. 20 v : Luigi Cheli

had completed Brizzi’s decorations in the antechamber

and bedchamber of Tommaso dei Rossi “quarters” on the

fourth floor in 1794: painting “all the baskets, flower patterns,

sprays, birds, etc. in it. He did,” adds our source, “the

ornamentation on the new marble fireplace, and the whole

medallion with a full-length figure representing Winter,

and filled in the medallion between the two windows, left

by Brizzi. And he painted the firescreen of the aforementioned

hearth.” In 1799 the painter had returned to Palazzo

de’ Rossi to paint for Tommaso and his brother, Canon Giulio.

For the former he had decorated a room created in the

“old house” in a partial renovation carried out inside the

building between April and July 1799: it was made by the

subdivision of a larger room that faced onto Via de’ Rossi:

“this small room was whitewashed, its friezes and baseboards

painted and then decorated by the aforesaid Luigi

Cheli”: Taccuino, f. 26 r . On the east side of the building’s

fourth floor, Canon Tommaso had had his apartment connected

with the entrance “and small room” in which the

secondary staircase for the wardrobe and the balcony was

located and had then had it decorated by the same artist

on May 31, 1799: Taccuino, f. 25 r . Evidently Luigi Cheli at the

time did not turn down even such modest commissions as

the ones described above must have been.

177. “Palazzo dei Rossi,” 81; Taccuino, f. 25 v . Previously this

apartment, which had belonged to Tommaso’s uncle Girolamo

Alessandro, who had died in 1799, “was all adorned

with dados, and stucco molding in relief”; ibidem. Note that

in this case our source, by noting the presence of stucco

decorations in relief in the apartment, indirectly reveals

that before the renovation, when these typical late-baroque

ornaments were removed, the settings must have been very

similar to the ones still visible on the west side of the third

floor, with attractive panels above the doors with landscapes

framed by stucco volutes in relief and walls left free

for the pictures. But the new fashion for interior decoration

was to fill the walls with paintings and ornaments, favoring

the trompe-l’oeil technique, making it possible to save

both on pictures and on furniture. Still later, there would

be a vogue for painted ceilings, leaving the walls of each

room free again.

178. See note 253 and the observations on the subject.

179. Some illustrations of the paintings still visible in Palazzo

Rossi-Cassigoli and that in my opinion can be attributed

to Luigi Cheli are in Becarelli and Zanni, “Il palazzo e

la famiglia Rossi Cassigoli,” 69-71, 74. In particular, the elegant

monochromes on the walls and ceiling of the former

chapel on the third floor, with Scenes from the Old Testament

(whose artistic culture, according to the authors, can in fact

be ascribed to the circles of Luigi Catani and his assistant

and imitator Luigi Cheli, at work in the Villa di Scornio

between 1805 and 1810, see ibidem, 69) and the trompe-l’oeil

reliefs depicted on the walls of a room located at the northwest

end of the second floor with Scenes from the Legends of

Hercules and Aeneas—markedly “antiquarian” in their classicism—can,

I believe, be attributed to Luigi Cheli and dated

to sometime around 1831, when a particular incentive for

the renovation and redecoration of the building—including

the central hall on the second floor, probably by Ferdinando

Marini—may have been provided by the wedding, held

that year, between Bartolomeo Rossi Cassigoli and Luisa

Pierotti (ibidem, 71).

180. Francesco dei Rossi had been raised to the Order of

Saint Stephen at the age of seventeen, on November 13,

1779, in the Pistoian church of Santa Maria delle Grazie:

“Palazzo dei Rossi,” 89; BCF, Rossi, 28, f. 29 r . On November

1, 1780, he had left for the “convoys”—i.e. military service

aboard ship—in Pisa and returned on July 3, 1783: BCF, Rossi,

28, ff. 36 v , 58 v . Later, in 1796—as we are informed indirectly

by his brother, Canon Tommaso, through his entries in

the Taccuino—the grand duke “at the end of March” of that

year had appointed him Capitano delle Bande in Pistoia, in

command of a squad of local recruits responsible for the

defense of public order shortly before the first descent into

Italy of Napoleon, who between June 23 and 27, 1796, passed

through Pistoia with his troops, on his way to Livorno. The

office of coordination for this post, with its archives, was

located at that time in the “old house” of the Rossi, along

with an armory “next to the little stable”: Taccuino, f. 24 r ;

BCF, Rossi, 15, attached note, bound crosswise to f. 765 r . See

too, for the historical situation, L’età rivoluzionaria e napoleonica

nel diario di Bernardino Vitoni, 1789-1811 (“Fonti storiche

pistoiesi,” 9), ed. N. Rauty (Pistoia: Società Pistoiese di Storia

Patria, 1989), 33-36 (where there is no mention of the

grand ducal home-defense measure referred to above); see

too G. Petracchi, “Pistoia dalle riforme leopoldine al riassetto

amministrativo post-unitario (1777-1877),” in Storia di

Pistoia, IV, 3-98: 17-18, in which only the movements of the

French are reported.

181. For the riding arena, laid out at the rear of the building

and separated from the rest of the area by a partition wall

raised on pillars, see “Palazzo dei Rossi,” 77; Taccuino, f. 21 r .

For the two-room apartment into which the large room on

the east side of the fourth floor, adjoining the apartment

in which Canon Tommaso lived at the time, was converted,

and for the construction of the specola or “observatory” on

the roof at the top of the “secret spiral staircase”, see “Palazzo

dei Rossi,” 76 and 76-77 note 202; Taccuino, ff. 24 v -25 r ;

see pl. X in this volume). The construction of this room is

not documented, but it can be presumed that it was erected

during the completion of the building and by 1794 at

the latest, as in the “Report” of May 20 of that year, compiled

by the master builder Luigi Malfanti, “eight rooms

all with ceilings” are listed on the first level of the fourth

floor: “Palazzo dei Rossi,” 75; Taccuino, f. 19 v . The number

of rooms would not add up without that one, which was

also required for the rear of the building to reach its full

length. Different was the situation of the main front facing

to the west, which lacked architectural homogeneity

on the right, where the “new gallery” on the west side of

the second floor was not built, by the addition of an extra

story, until 1812 (see note 243 to this study). The large

room on top, whose floor was lower than the level of the

third floor, whose windows lacked ornamental frames on

the outside and whose ceiling was left with open rafters,

and thus had features of a temporary character—but which

have remained unchanged down to the present day—may

have been created at the time of the construction of the

“new gallery” in 1812 with the idea of giving the apartment

on the west side of the third floor a similar room in the

future, although this was never done. Tommaso dei Rossi,

for the “quarters” he lived in on the fourth floor, had also

not thought it worth fitting out a “gallery” in the adjoining

room (passing through the passageway of the intervening

“secret spiral staircase”), which had served chiefly as

a volume of completion of the building’s rear façade. His

brother Francesco had used this large room to make the

small apartment next to the stairs leading to the “observatory.”

The friezes and baseboards of the new apartment

had been painted in 1797 by Luigi Rafanelli, and traces of

this decoration were found under the plaster when samples

were taken during the latest restoration of the building

(but without bringing it back to light, even though this

would have been very simple). It was one of the last works

carried out by Luigi Rafanelli, who died the following year,

at the age of fifty-six. The specola, erected between November

12 and 29, 1798, was painted by the artist’s son Filippo,

who took over from his dead father: “Palazzo dei Rossi,”

76-77 note 202.

182. “Palazzo dei Rossi,” 68-69, 78-79; Taccuino, ff. 14 v -15 r , 23 r .

See too note 134 of this study.

183. “Palazzo dei Rossi,” 78; Taccuino, f. 23 r . On the painted

decoration of these rooms see notes 205, 208-10 and 218

below.

184. Sensibly, Tommaso tried to reutilize as many of these

fixtures as he could, having them cleverly adapted for the

completion of the hall and the two apartments in which he

lived, on the east side of the third and fourth floors: “Palazzo

dei Rossi,” 79 note 215; Taccuino, f. 22 r-v : “Since Signor

Cavaliere Francesco wanted all of the good quarters closed

again, and its windows and doors modernized, an attempt

was made to use everything for the mezzanine floor. But

5 inner doors have been adapted for the doors of the passageway,

or for the gallery of the Hall […]. The panes of

glass of the three windows of the gallery, or the Passageway

of the Hall, have been replaced, and three more with

their shutters have been adapted to the three windows of

the floor of said Hall […]. Three windows with Venetianstyle

glazing have been adapted for the three windows of

the mezzanines, which face east, two with shutters in the

drawing room […] and the other for the window that illuminates

the small adjoining room, and the new stone staircase,

that leads to the Wardrobe [...].” Once the fixtures

of the hall, where the “Venetian-style” windows had been

placed, had been finished, Tommaso wanted to celebrate

solemnly, in his own way, the inauguration of this magnificent

setting straightaway, the day after the work was completed:

“so on the 2nd [of April 1795], which was Maundy

Thursday, a meal was served to the poor with munificence”

(Taccuino, f. 22 v ). For his part, Tommaso had not been inactive

either, at the close of the century: as well as having the

two rooms of his fourth-floor apartment decorated, between

1790 and 1794, by the painters Giuseppe Brizzi and

Luigi Cheli (see notes 169, 172 and 176), he had brought the

latter back in 1799 to carry out interventions on a lesser

scale (see note 176). For himself—and this is revealing of

his character—he had had a “private oratory” made between

1797 and 1798 in the apartment on the east side of

the fourth floor by dividing the bedroom in two. This was

possible in so far as he was able to make use both of the

apartment on the third floor and the one on the fourth,

on the east side, connected by the “secret spiral staircase.”

So Tommaso still slept in his old bedroom, in the “quarters”

set aside for him by his father on the third floor. The

small chapel, where a picture of The Holy Virgin of Humility

and Her Husband Saint Joseph (the same figures to which

the oratory adjoining the nearby church of Sant’Andrea,

renovated by the architect Raffaello Ulivi, was dedicated)

had been set on an altar built of masonry, had been decorated

by the painter Filippo di Luigi Rafanelli, who had just

taken the place of his deceased father: “Palazzo dei Rossi,”

76; Taccuino, f. 25 r and attachment 71. The small private oratory,

of which the surrounding walls still stand, was in the

innermost part of the room in which it had been built and

was illuminated through an archway made in the partition

wall from the adjoining area (which had a window on the

left) that was supposed to serve as a sacristy. This space

communicated through a door with the small passageway

where the “secret spiral staircase” ended—shared with the

two-roomed apartment/observatory that Francesco would

have built immediately afterward—and so that access was

fitted with a lock to separate the two properties, whose

146

147



cola che vi sarebbe stato realizzato subito dopo da Francesco

– e perciò quell’accesso fu dotato di serratura per

separare le due diverse proprietà, il cui carattere era del

tutto differente. In questo modo, comunque, a fine Settecento

la scala a chiocciola era divenuta elemento fondamentale

di collegamento anche per tutte le unità abitative

spettanti a Francesco: presenti e future. All’ampio

appartamento dei genitori, che Francesco abitava al piano

nobile a levante, si sommavano il bi-locale e la “specola”,

al terzo piano; poco dopo si sarebbe aggiunto il quartiere

ricavato, fra 1800 e 1801, nell’ampio vano dell’originaria

stalla, al piano terreno (cfr. le note 189-191) e più tardi,

con la costruzione della “galleria nuova” al primo piano

nel 1812 (cfr. la nota 243), collegata con opportuni passaggi

in quota, sopra il vano scoperto della corte, con l’ala

est dell’appartamento che Francesco occupava, si sarebbe

realizzata la riunione sotto la sua proprietà delle due ali

del palazzo.

185. Oltre alla spiegazione che qui di seguito si propone, che

ha peraltro un suo fondamento oggettivo, va tenuto conto

del caratteristico modo di procedere del canonico Tommaso,

il quale in caso di dissapori o disparità di vedute con

qualcuno (fosse anche un parente oppure il fratello Francesco)

ometteva totalmente di dare notizia dell’argomento

su cui verteva il contrasto: specialmente quando si trattava

di iniziative autonomamente prese, senza metterlo a parte

della decisione. Nel Taccuino così come nelle altre sue memorie

vi sono diversi esempi di queste volontarie omissioni,

in cui il silenzio gli evitava di formulare giudizi certamente

non positivi.

186. Cfr. le note 23 e 113. Oltre a questa importante e documentata

opera di registrazione di fatti contemporanei, volutamente

priva di giudizi e ridotta alla pura memoria degli

eventi, Tommaso si era interessato durante la sua esistenza

alle opere d’arte e alle testimonianze di fede religiosa nella

cattedrale di Pistoia, al cui Collegio canonicale apparteneva,

ed aveva scritto operette di teologia e di morale cattolica,

sparse in alcuni fondi archivistici conservati nella Biblioteca

Comunale Forteguerriana di Pistoia.

187. Cfr. la nota 177 e quanto vi si argomenta di seguito.

Normalmente, le ‘omissioni’ da parte di Tommaso o la sua

mancanza di informazioni documentate e circostanziate

risultano dipendere da non buoni o non del tutto confidenziali

rapporti con le persone: anche con gli “zii” – e non va

dimenticato che essi erano stati in causa legale con Vincenzo

e i suoi figli, fra 1764 e 1774 – e molto probabilmente il

fratello minore, Francesco.

188. Esistono, fra le carte dell’archivio dei Rossi, diversi

documenti amministrativi che provano come la gestione a

comune del patrimonio fosse in realtà distinta fra quanto

competeva al “Maggiorasco”, al “Minorasco” ed ai singoli

patrimoni da amministrare in modo personale e autonomo:

di cui in questo caso non posso comunque fornire una dettagliata

esemplificazione.

189. Palazzo dei Rossi, p. 80 e, ivi, nota 220; Taccuino, c. 26v.

Questo appartamentino, ricavato per volontà di Francesco

dei Rossi nel locale dell’ampia stalla, è sicuramente in relazione

con l’imminente, nuovo stato matrimoniale di Francesco,

sposatosi nel 1801 (cfr. la nota 204). Esso serviva a

soddisfare le sue esigenze quando si dedicava all’equitazione.

Prima di rientrare nel suo “quartiere” grande, al piano

nobile dal lato est – usando la “scala a chiocciola” attigua

al nuovo pied-à-terre – per evitare di andarvi magari sudato,

sporco di polvere o con addosso l’odore dei cavalli, egli

aveva voluto poter smontare dalla sua cavalcatura per lavarsi

e cambiarsi d’abito: e non a caso suo fratello Tommaso

specificava, in modo del tutto inconsueto, che in quel

nuovo mini-appartamento “vi è lo stanzino con suo bagno

corredato di tutti i comodi per avere l’acqua calda, e fredda”

(Taccuino, c. 26v). Nei recenti restauri i saggi condotti in

tali ambienti hanno portato al rinvenimento di consistenti

tracce pittoriche sotto intonaco, specialmente sulle pareti,

che però non sono state messe in luce né recuperate, e devono

ritenersi quanto rimane dell’opera di Filippo di Luigi

Rafanelli. In particolare, nella documentazione fotografica

effettuata durante il restauro, i “lambrì” (o zoccoli basamentali)

di una stanza rivelavano decori “alla pompeiana”

a vivaci colori, con lunghe cornici rettangolari orizzontali

contenenti pannelli (sagomati alle estremità con triangoli

dai lati leggermente convessi) campiti di nero con sottili

volute bianche sopradipinte.

190. Ibidem: “Questo quartiere ha l’ingresso con una piccola

scaletta composta di n° [bianco] scalini di pietra, che mette

nell’anditino”.

191. Ibidem: le due nuove stanze al piano terreno erano “coperte

di volterrane poste sotto la volta reale della stalla”.

192. Palazzo dei Rossi, pp. 99-101 (ill. p. 101). La palazzina,

progettata dall’architetto Alessandro Gherardesca nel 1828,

fu costruita a destra del tardo-settecentesco palazzo de’

Rossi, entro l’area di alcuni edifici comprati da Luisa Magnani,

moglie di Girolamo figlio di Francesco dei Rossi; per

questo motivo essa ne mantenne la proprietà, registrata catastalmente,

fino alla morte, avvenuta a Verona il 2 maggio

1841; dopo di che anche questo immobile passò in proprietà

al marito (ibidem, p. 100, nota 266). Sui caratteri della palazzina

e sul suo architetto cfr. la nota 276 nel presente saggio.

193. Palazzo dei Rossi, pp. 81-82 e, ivi, nota 228 pp. 82-83; Taccuino,

c. 27v. Era una struttura su due piani: al piano terreno

si trovavano la stalla grande, la stalla piccola e una rimessa;

al piano superiore erano ricavate quattro stanze: il fienile,

la stanza della paglia, la camera del cocchiere e la selleria. Il

progettista, Antonio Gamberai, era un personaggio molto

competente e allora assai in vista: era architetto e perito,

nonché ingegnere “comunitativo”, tra la fine del Settecento

e gli inizi dell’Ottocento, ed in relazione con alcuni dei

principali committenti del tempo, come gli Amati e i Puccini.

Fra il 1789 e il 1794 Antonio Gamberai, su commissione

di Giulio Giuseppe Amati, si era occupato del riordino

del progetto del “salvatico” e dell’ingresso monumentale al

parco della villa La Magia, in base alle preesistenti idee di

Giuseppe Salvetti, e con carattere esplicitamente riferentesi

all’architettura romana: cfr. G.L. Chelucci, Cultura e realizzazioni

architettoniche, cit., pp. 321-322. Nella sistemazione

urbanistica di piazza San Francesco, con il progetto del Pantheon,

che ebbe successivi sviluppi e mutamenti fra il 1811 e

il 1827 e si deve sostanzialmente ad un’idea di Cosimo Rossi

Melocchi, Antonio Gamberai sarebbe stato coinvolto con

Bartolomeo Valiani e Marco Gamberai (ibidem, p. 324).

194. Palazzo dei Rossi, pp. 81-82. Cfr. anche Taccuino, cc. 27r-

28r e BCF, Rossi, 15, allegato 74: la Comunità Civica dette

l’assenso alla vendita del terreno necessario a costruire la

nuova stalla e annessi il 13 dicembre 1799, confermato dal

governo centrale il 17 marzo 1800.

195. Palazzo dei Rossi, p. 82 nota 228; Taccuino, c. 27v. Cfr. ora,

in proposito, l’analisi dei reperti, rivenuti entro il sottosuolo

dell’area interessata, nel contributo sugli scavi archeologici

di Paola Perazzi, Giovanni Millemaci, Giuseppa Incammisa,

in questo volume.

196. Palazzo dei Rossi, p. 83; Taccuino, c. 28r. Comunque, la

configurazione di un piccolo “giardino all’italiana” sul retro

del palazzo de’ Rossi era già iniziata fra il marzo e l’aprile

del 1795, poco dopo l’allestimento della “cavallerizza” (cfr. la

nota 181); allora erano state murate le basi per vasi di agrumi

e contestualmente rassettati i muri di cinta, demolito uno

dei pozzi, sistemata la pergola con sottostanti sedili in muratura:

Palazzo dei Rossi, p. 78 nota 209; Taccuino, c. 21r.

197. Cfr. B. Giannessi, D. Lamberini, Verde pubblico e privato

nel centro storico di Pescia, in Le dimore di Pistoia, cit., pp.

141-155: 151 (giardino di palazzo Ricci). Il palazzo era stato

iniziato nel 1635 da mons. Giovanni Ricci, protetto dalla

famiglia Barberini e nominato proposto della cattedrale di

Pescia al suo ritorno da Roma. Nel tardo Settecento il relativo

giardino fu decorato da una fontana ‘alla romana’, con

struttura architettonica, nicchia centrale contenente una

statua e pareti ricoperte da incrostazioni a “mosaico rustico”

eseguite con scaglie di pietra policrome. Nel giardino

di palazzo de’ Rossi, tuttavia, non esisteva nella vasca sottostante

alla statua un’adduzione dell’acqua con impianto

idraulico apposito ed essa doveva essere attinta a mano dal

vicino pozzo: Palazzo dei Rossi, p. 83 nota 230.

198. Palazzo dei Rossi, p. 83 nota 229; Taccuino, c. 28r. La grande

statua di Mercurio, probabilmente realizzata in solida

malta composta anche con polvere di marmo e armata con

filo di ferro all’interno, simile esteriormente ad una statua

in stucco, presuppone l’attività – forse anche nella stessa

Pistoia – di maestranze esperte nella formatura di modelli

di grandi dimensioni per ottenere simili sculture, meno costose

di quelle in marmo. Tali opere erano richieste soprattutto

dalla ‘generazione leopoldina’ che mirava, più che alla

qualità effettiva di un’opera, soprattutto al suo significato e

al suo effetto ambientale, stabilito con un’accurata analisi

scenografica. Statue in materiale povero, come la terracotta

dipinta, sarebbero state eseguite (analogamente al Grandonio

di palazzo de’ Rossi) per ‘segnare’ particolari tappe di

quell’itinerario didascalico, dai riposti significati, ideato

poco dopo da Niccolò Puccini per il parco di Scornio: cfr.

Monumenti del giardino Puccini. Un luogo del Romanticismo in

Toscana, a cura di C. Sisi, Firenze, Polistampa, 2010.

199. Il Mercurio, collocato entro l’esedra del nuovo giardino

il 31 agosto 1802, fu sostituito dalla statua in terracotta

di Grandonio, più resistente alle intemperie, nel successivo

dicembre: Palazzo dei Rossi, p. 83; Taccuino, c. 28r. Anche

quest’ultima si rivela di fattura artigianale.

200. Cfr. in questo contributo la nota 16. L’attuale sistemazione

dell’atrio monumentale del palazzo impedisce la

percezione dell’originario effetto prospettico e, insieme,

allegorico.

201. Cfr. la nota 198. Il canonico Tommaso, che non fornisce

più precise informazioni sulle due statue, rivela così,

indirettamente, che tali opere dovevano essere facilmente

reperibili sul mercato della produzione corrente.

202. L’immagine di Mercurio, in quel tempo specialmente,

era molto frequente nelle imprese decorative aristocratiche,

con intento celebrativo del successo economico del casato.

203. Come di consueto, Tommaso dei Rossi preferisce riferire

l’evento piuttosto che metterne in luce il protagonista,

specialmente quando si fosse trattato di un fatto di

interesse generale e non di una storia di privati. Dopo il 24

settembre 1800 egli annotava: “Pregievole della R. Galleria

portato a Livorno. Negli scorsi giorni sono state portate in

deposito a Livorno molte casse piene del più pregievole, che

era nella R. Galleria di Firenze del Gran Duca, che in caso

d’invasione de’ Francesi della Toscana, imbarcate si portino

in luogo sicuro. Come di fatto furono portate a Palermo”

(BCF, Rossi, 26, c. 170v). Cfr. in proposito C. Pasquinelli, La

Galleria in esilio. Il trasferimento delle opere d’arte da Firenze a

Palermo a cura del Cavalier Tommaso Puccini (1800-1803), Pisa,

Edizioni ETS/Fondazione Cassa di Risparmio di Pistoia e

Pescia, 2008, documenti n. 20 pp. 69-70; 23 p. 71; 24 e 25 pp.

71-72 sull’imbarco a Livorno delle 75 casse di opere d’arte

dagli Uffizi e da Pitti la notte del 23 settembre 1800; sulla

partenza di Tommaso Puccini il 14 ottobre seguente per accompagnare

la preziosa spedizione; sull’incarico a Cosimo

Rossi Melocchi di direttore vicario degli Uffizi in assenza

characters were entirely different. In this way, however, at

the end of the 18th century the spiral staircase had also

become a fundamental connecting element for all the parts

of the building belonging to Francesco: in the present and

future. To the large apartment of his parents on the east

side of the piano nobile, in which Francesco now lived, were

added the two-roomed apartment and the “observatory”

on the fourth floor; shortly afterward these would be

joined by the apartment created, between 1800 and 1801,

in the large space of the original stable, on the ground floor

(see notes 189-91); and later, with the construction of the

“new gallery” on the second floor in 1812 (see note 243),

connected with suitable elevated passageways, running

above the open space of the courtyard, with the east wing

of the apartment occupied by Francesco, the two wings of

the building would be united under his ownership.

185. In addition to the explanation proposed below, which

has an objective basis in fact, we need to bear in mind

Canon Tommaso’s characteristic way of doing things: in

the case of a misunderstanding or disagreement with someone

(be it his brother Francesco or some other relative) he

completely failed to mention the matter on which the conflict

turned, especially when it was a question of initiatives

taken independently, without making him part of the decision.

In the Taccuino as well as in his other memoirs there

are several examples of these deliberate omissions, in which

silence allowed him to refrain from expressing views that

would certainly not have been positive.

186. See notes 23 and 113. As well as this important and welldocumented

activity of recording contemporary events, deliberately

free of judgments and confined to a plain account

of developments, Tommaso had shown an interest during

his life in the works of art and testimonies of religious faith

in Pistoia Cathedral, where he was a member of the College

of Canons, and written some short works on theology and

Catholic morality, now in a number of archival collections

at the Biblioteca Comunale Forteguerriana in Pistoia.

187. See note 177 and the argument put forward below.

Normally, the “omissions” on Tommaso’s part or his failure

to provide substantiated and detailed information seem

to stem from poor or not entirely friendly relations with

people: including his “uncles”—and it should not be forgotten

that they had been embroiled in a legal dispute with

Vincenzo and his sons between 1764 and 1774—and very

likely his younger brother Francesco.

188. Among the papers in the Rossi archives there are several

administrative documents that show how the common

management of the estate was in reality divided between

what pertained to the “Majorat,” the “Minorat” and individual

assets to be administered in a personal and autonomous

manner: of which in this case I am unable to provide

a detailed account.

189. “Palazzo dei Rossi,” 80 and, ibidem, note 220; Taccuino,

f. 26 v . This small apartment, created at the behest of Francesco

dei Rossi on the spacious premises of the former

stable, can undoubtedly be connected with Francesco’s imminent

marriage, celebrated in 1801 (see note 204). It was

intended to meet his needs when he was riding his horses.

Before returning to his large quartiere, on the east side of

the second floor—using the “spiral staircase” next to the

new pied-à-terre—perhaps to avoid going there sweaty,

dusty or smelling of horse, he wanted to be able to wash

and change his clothing on dismounting. And it is no accident

that his brother Tommaso specified, in a wholly

unusual manner, that in that new mini-apartment “there is

the little room with its bath equipped with all the conveniences

to have hot, and cold water” (Taccuino, f. 26 v ). The

samples taken in these rooms in the recent restorations

have led to the discovery of substantial traces of paintings

under the plaster, especially on the walls, but these have not

been brought to light completely and have to be considered

what remains of the work of Filippo di Luigi Rafanelli. In

particular, in the photographic documentation carried out

during the restoration, the “dados” (or lower parts of a wall)

of one room have “Pompeian-style” decorations in bright

colors, with long horizontal rectangular frames around panels

(with triangles with slightly convex sides at the ends)

that are painted black with slender white volutes on top.

190. Ibidem: “These quarters have an entrance with a small

staircase composed of [blank] in number stone steps, that

leads to the small passage.”

191. Ibidem: the two new rooms on the ground floor were “covered

with volterrane set under the volta reale of the stable.”

192. “Palazzo dei Rossi,” 99-101 (ill. on 101). The small building,

designed by the architect Alessandro Gherardesca in

1828, was constructed on the right of the late 18th-century

Palazzo de’ Rossi, on the site of some buildings bought by

Luisa Magnani, wife of Girolamo, son of Francesco dei

Rossi; for this reason she remained its owner, inscribed in

the land register, until her death, in Verona, on May 2, 1841;

after that it became the property of her husband (ibidem,

100, note 266). On the characteristics of the townhouse and

its architect see note 276 of this essay.

193. “Palazzo dei Rossi,” 81-82 and, ibidem, note 228, 82-83;

Taccuino, f. 27 v . It was a structure on two stories: on the

ground floor were located the large stable, the small stable

and a coach-house; on the upper floor there were four

rooms: the hayloft, a room for the storage of straw, the

coachman’s bedroom and the harness room. The designer,

Antonio Gamberai, was a highly competent and very wellknown

figure at the time: he was an architect and surveyor,

as well as a “municipal” engineer between the end of the

18th century and the beginning of the 19th, working for

some of the most important clients of the time, such as

the Amati and Puccini families. Between 1789 and 1794

Antonio Gamberai was commissioned by Giulio Giuseppe

Amati to reorganize the “wild place” and the monumental

entrance to the park of the villa La Magia, on the basis of

plans already drawn up by Giuseppe Salvetti and with a

character referring explicitly to Roman architecture: see

G. L. Chelucci, “Cultura e realizzazioni architettoniche,”

321-22. Antonio Gamberai would be involved, along with

Bartolomeo Valiani and Marco Gamberai, in the layout

of Piazza San Francesco, with the plan of the Pantheon,

which underwent a series of developments and alterations

between 1811 and 1827 and was essentially based on an idea

of Cosimo Rossi Melocchi’s (ibidem, 324).

194. “Palazzo dei Rossi,” 81-82. See too Taccuino, ff. 27 r -28 r

and BCF, Rossi, 15, attachment 74: the Civic Community

gave its consent for the sale of the land needed to build the

new stable and its annexes on December 13, 1799, a decision

confirmed by the central government on March 17, 1800.

195. “Palazzo dei Rossi,” 82 note 228; Taccuino, f. 27 v . See now,

in this connection, the analysis of the finds made in the

subsoil of the area concerned in the essay on the archeological

excavations by Paola Perazzi, Giovanni Millemaci

and Giuseppa Incammisa, in this volume.

196. “Palazzo dei Rossi,” 83; Taccuino, f. 28 r . However, the

layout of a small “Italian-style garden” at the rear of Palazzo

de’ Rossi had already begun between March and April

of 1795, shortly after the creation of the “riding arena” (see

note 181); bases had been built for the pots of citrus plants

and at the same time the boundary walls repaired, one of

the wells demolished and masonry seats built under the

pergola: “Palazzo dei Rossi,” 78 note 209; Taccuino, f. 21 r .

197. See B. Giannessi and D. Lamberini, “Verde pubblico

e privato nel centro storico di Pescia,” in Le dimore di Pistoia,

141-55: 151 (garden of Palazzo Ricci). Construction of

the building had been initiated in 1635 by Mons. Giovanni

Ricci, a protégé of the Barberini family who had been appointed

provost of Pescia Cathedral on his return from

Rome. In the late 18th century its garden was decorated

with a fountain “in the Roman manner,” with an architectural

structure, a central niche containing a statue and walls

covered with “rustic mosaic” encrustations made out of

flakes of colored stone. In the garden of Palazzo de’ Rossi,

however, the basin underneath the statue had no system for

the supply of water and it had to be drawn by hand from the

nearby well: “Palazzo dei Rossi,” 83 note 230.

198. “Palazzo dei Rossi,” 83 note 229; Taccuino, f. 28 r . The

large statue of Mercury, probably made out of mortar containing

powdered marble, reinforced with iron mesh on

the inside and looking like a stucco statue on the outside,

implies the activity—perhaps even in Pistoia itself—of

workers skilled in the molding of models of large size to

produce sculptures of this kind, less expensive than ones

carved from marble. Such works were in demand chiefly by

the “Leopoldine generation,” which was not so much interested

in the actual quality of a statue as in its significance

and the effect it produced, something achieved by means

of careful analysis of the setting. Statues made of humble

materials like painted terracotta would be made (like the

one of Grandonio in Palazzo de’ Rossi) to “mark” particular

stages in the educational itinerary, with hidden meanings,

conceived by Niccolò Puccini for the park of the Villa

di Scornio: see C. Sisi (ed.), Monumenti del giardino Puccini.

Un luogo del Romanticismo in Toscana (Florence: Polistampa,

2010).

199. The Mercury erected in the exedra of the new garden

on August 31, 1802, was replaced by the statue of Grandonio,

made of terracotta, a more weather-proof material, the

following December: “Palazzo dei Rossi,” 83; Taccuino, f. 28 r .

This too was made by an artisan and not by a sculptor.

200. See note 16. The current layout of the palazzo’s monumental

entrance hall prevents perception of the original

perspective and, at the same time, allegorical effect.

201. See note 198. Canon Tommaso, by giving no more precise

information on the two statues, indirectly reveals that

such works must have been easy to obtain on the market

at the time.

202. The image of Mercury, especially at that time, appeared

frequently in aristocratic decorative programs, with

the intention of celebrating the economic success of the

family.

203. As usual, Tommaso dei Rossi preferred to simply report

the event rather than focus on its protagonist, especially

when it was a fact of general interest and not a private

matter. After September 24, 1800, he noted: “Valuables of

the R. Gallery taken to Livorno. In the last few days many

chests filled with the most valuable [objects] that were in

the Grand Duke’s Royal Gallery of Florence have been

taken for storage in Livorno, so that in case of the invasion

of Tuscany by the French, they can be shipped to a

safe place. And in fact they were taken to Palermo” (BCF,

Rossi, 26, f. 170 v ). See in this connection C. Pasquinelli, La

Galleria in esilio. Il trasferimento delle opere d’arte da Firenze a

Palermo a cura del Cavalier Tommaso Puccini (1800-1803) (Pisa:

Edizioni ETS/Fondazione Cassa di Risparmio Pistoia e Pescia,

2008, documents nos. 20, 69-70; 23, 71; 24 and 25, 71-72,

on the loading of 75 chests of works of art from the Uffizi

and Pitti in Livorno aboard ship on the night of September

23, 1800; on the departure of Tommaso Puccini on October

14 next to accompany the precious shipment; on the appointment

of Cosimo Rossi Melocchi as substitute director

148

149



del titolare. Cfr. anche E. Spalletti, R. Viale, Tommaso Puccini,

cit., pp. 127-131.

204. Palazzo dei Rossi, p. 90; BCF, Rossi, 21, cc. 4v, 5r. Laura

Sozzifanti, nata il 19 marzo 1780, aveva allora ventun anni

ed era più giovane di diciotto anni rispetto al marito: cfr.

BCF, Rossi, 28, c. 32r (=94r).

205. È la stanza attualmente destinata a ufficio del Presidente

della Fondazione. Sulla costruzione e sull’allestimento di

questi ambienti cfr. le note 134, 183. La figurazione, che si

raccoglie al centro della volta, lasciando intorno un ampio

spazio libero, consiste in una composizione triangolare che

comprende in basso a sinistra la figura apollinea dell’Amore

assiso sulle nubi, coronato da un serto di fiori, che tiene nella

destra una face accesa e dà la sinistra al sovrastante Cupido;

quest’ultimo completa l’amoroso legame tenendo con

la sinistra la mano della Fedeltà biancovestita, seduta dalla

parte opposta all’Amore e accompagnata dal fido cagnolino

bianco di casa, che si affaccia, da una nuvola, sul lato destro.

Al di sopra dei due personaggi allegorici si libra in volo la

gentile figura femminile dell’Unione matrimoniale, dal cuore

radiante e in atto di tenere con la destra una corona d’alloro

e di additare con la sinistra un luminoso ed evanescente

Tempio che compare in alto nel cielo, simbolo della Chiesa e

della sua plurisecolare Sapienza ispirata da Dio. Una simile

immagine di Tempio, in prospettiva dal sotto in su, compariva

peraltro nell’Allegoria della Fama e della Sapienza dipinta

nel 1787 da Luigi Catani sulla volta della Sala delle Colonne

nel Conservatorio di San Niccolò a Prato: cfr. C. Morandi,

Luigi Catani, cit., pp. 27-29. Né pare un caso che l’architettura

a pianta centrale di quel Tempio rimandi ad evidentiam

al celebre tempietto bramantesco di San Pietro in Montorio

e, in senso lato, alla capitale della Cristianità e della cultura

classica. L’allegoria della Concordia, dell’Amore e della Fedeltà

coniugale che rendono duraturo il matrimonio consacrato

è completata dalla balza ornamentale di rigiro intorno alla

base della volta stessa. La decorazione è organizzata col ripetersi

dei motivi della corona d’alloro, della face accesa e

della faretra contenente frecce, alternati a mazzi di steli e

foglie con triplice infiorescenza a bacche di papavero, alludenti

al Sonno: con evidente riferimento alle funzioni cui

era adibita quella camera matrimoniale. Le caratteristiche

stilistiche, chiaramente analoghe a quelle proprie a Luigi

Catani nel decennio precedente al 1800, si riferiscono anche

a sue particolarità illustrative sia nelle figure che nelle

nubi: queste ultime dal tipico aspetto soffice, ma compatto

e quasi quadrato, piane nella parte superiore come a far da

sedile per le figure dell’Amore e della Fedeltà coniugale. Sulla

pittura di Catani cfr. anche le successive note 211-216.

206. Palazzo dei Rossi, p. 90 nota 251 e pp. 99-100 nota 266.

207. Prima di quello di Francesco dei Rossi si era registrato

solo il matrimonio di suo padre Vincenzo, avvenuto il 22

ottobre 1749: Palazzo dei Rossi, p. 17 nota 35.

208. Sulla precedente situazione della camera con annessa

toilette e stanzetta per la cameriera cfr. le note 134, 182, 183.

Si deve sicuramente al riassetto, verso il 1799-1800, delle

prime due in occasione del prossimo matrimonio di Francesco,

oltre che l’affresco sulla volta della camera nuziale,

anche l’ornato à trompe-l’oeil che abbellisce il piccolo vano

dell’attigua toilette, fatto dipingere con un finto rivestimento

architettonico ‘alla classica’, recuperato nell’ultimo restauro.

209. Soltanto Chiara d’Afflitto si era soffermata, fino a qualche

tempo fa, a considerare con una certa attenzione i dipinti

al primo piano del palazzo de’ Rossi: cfr. C. d’Afflitto,

Le arti figurative dal periodo neoclassico, cit., pp. 299, 309. La

studiosa menzionava come autori degli affreschi dei primi

decenni dell’Ottocento Bartolomeo Valiani, Nicola Monti

e Giuseppe Bezzuoli (per le opere firmate e datate), attribuendo

la decorazione “alla raffaella” della “galleria nuova”

a Ferdinando Marini (che l’avrebbe dipinta nel 1830) e le

pitture con la Musica e la Notte a Bartolomeo Valiani. In quel

sintetico profilo non era cenno alle altre pitture esistenti

nel palazzo, neppure all’allegoria della Fedeltà coniugale.

210. Né ad un riscontro diretto, né dalla documentazione

fotografica disponibile sul restauro dei dipinti della Fedeltà

coniugale e de La Notte risultano firme o date o iscrizioni di

alcun genere.

211. Cfr. C. Morandi, Luigi Catani, cit., pp. 32-36. A conclusione

dell’attività giovanile il pittore poté giovarsi di

importanti commissioni facenti capo al vescovo di Pistoia

Scipione de’ Ricci e all’ambiente ecclesiastico in contatto

con lui: la decorazione del soffitto della sala di lettura della

Biblioteca Roncioniana di Prato (dove nel 1789 riprodusse,

nell’allegoria di Pallade che strappa l’Adolescenza agli ozi di Venere,

l’analoga scena dipinta da Pietro da Cortona nel 1641

nella Sala di Venere in Palazzo Pitti); gli affreschi nel nuovo

Palazzo vescovile di Pistoia fra 1789 e 1790, ed in particolare

il Trionfo della Religione con i ritratti degli Asburgo-Lorena

nella grande sala dell’Udienza, compiuto nel 1790 (su cui cfr.

anche la seguente nota 216); ancora un Trionfo della Chiesa,

eseguito fra 1790 e 1792, sul soffitto della Sala del Capitolo

della cattedrale pratese di S. Stefano. Questa pittura aggiornata

sul gusto della corte granducale, dove Catani avrebbe

a lungo lavorato per Ferdinando III, ebbe in Pistoia imitatori

e seguaci, come già osservato. Allora soprattutto il

colto Tommaso Puccini, in qualità di direttore degli Uffizi

e di fine conoscitore d’arte, avrebbe fatto da tramite fra gli

orientamenti artistici della capitale del Granducato e la sua

città natale.

212. Ibidem, pp. 85-92.

213. Ibidem, pp. 86-89.

214. Ibidem, pp. 90-92. Dalla fine del Settecento fino alla

Restaurazione lo stile di Luigi Catani si sarebbe maturato in

senso neoclassico, spiritualizzando ed alleggerendo figure

e colorismi, sotto l’influenza della contemporanea pittura

francese; ma si sarebbe anche ulteriormente arricchito

guardando alle coeve rielaborazioni dei rilievi e della statuaria

romana antica e agli esempi della pittura raffaellesca.

Sul repertorio ornamentale di Luigi Catani cfr., in questo

studio, la nota 167. Sulla sua impresa decorativa e pittorica

nella villa di Scornio, coadiuvato da Luigi Cheli ed altri

collaboratori fra 1805 e 1810 (fino al 1807 direttamente) cfr.

L. Dominici, Gli affreschi del Villone di Scornio dal primo Settecento

al 1842, in La villa e il parco Puccini di Scornio (“Quaderni

pistoiesi di storia dell’arte”, 10), Pistoia, Cassa di Risparmio

di Pistoia e Pescia, 1992, pp. 9-54, tavv. I-XVI: 39-42; Eadem,

La villa Puccini di Scornio, cit., pp. 97-118: 116.

215. Cfr. L. Gai, Teatro dell’Accademia dei Risvegliati, cit., p.

358. Un testimone coevo, l’abbastanza malevolo architetto

Giuliano Gatteschi, aveva a riferire che nel rinnovamento

del 1796 nel sipario del Teatro era stata dipinta “l’Aurora di

Guido [Reni] dal Catani pittor fiorentino, che dipinse anche

il Parnasso delle Muse all’Accademia dei Cittadini di Pistoia,

donde escano gl’attori a recitare”: si trattava dell’Aurora

di Guido Reni dipinta nel 1613 nel Casino dell’Aurora

di Palazzo Rospigliosi a Roma e del celebre affresco del

neoclassico Anton Raphael Mengs (1728-1779) raffigurante

il Parnaso dipinto fra il 1760 e il 1761 sulla volta della Galleria

di Villa Albani a Roma. Spesso con la sua abilità tecnica

Luigi Catani veniva incontro ai desiderata dei committenti,

che ambivano avere una riproduzione di opere celebri nelle

loro dimore. Sulla copia di Ferdinando Marini dell’Aurora

desunta da Catani da un dipinto di Guido Reni, cfr. la nota

287.

216. Sull’attività di Luigi Catani nel nuovo Palazzo vescovile

di Pistoia, cfr. R. Roani Villani, La decorazione del Seminario

e del Palazzo Vescovile, in Scipione de’ Ricci, cit. pp. 179-184:

182-184 (dove l’autrice non manca di rilevare le “suggestioni

neo-seicentesche” del vasto dipinto con il Trionfo della Religione

nella Sala dell’Udienza, realizzato da Catani nel 1790,

e specialmente “nel gruppo dell’Eresia in cui la donna è direttamente

esemplata su una delle Parche dipinte da Giovanni

da San Giovanni sul soffitto del Salone degli Argenti

in Palazzo Pitti”, ivi, p. 183); C. d’Afflitto, Le arti figurative

dal periodo neoclassico, cit., p. 291; E. Guscelli, Il nuovo palazzo

vescovile, cit., p. 94, 103; G.C. Romby, Palazzo vescovile nuovo,

cit., pp. 341-343; C. Morandi, Luigi Catani, cit., pp. 32-35

(dove però la studiosa colloca la Sala dell’Udienza non –

come sarebbe stato corretto – nel nuovo palazzo episcopale

pistoiese, ma nel “vasto complesso del Seminario Vescovile”).

217. Cfr. la nota 214.

218. Nella prima sistemazione critica sull’argomento avevo

attribuito ad un “pittore della Fedeltà coniugale” l’omonimo

dipinto ed a Nicola Monti la più tarda raffigurazione de La

Notte: cfr. Palazzo dei Rossi, pp. 96-97, 111-112; collocando comunque

le due opere in relazione con i primi tempi della

vita matrimoniale di Francesco dei Rossi, dato che esse risultavano

confacenti a quanto è stato possibile conoscere

sul carattere di questo personaggio, ardito e impulsivo, sagace

e anticonformista. Né potrebbe in alcun modo adattarsi

alla diversa indole del figlio di Francesco, Girolamo,

la committenza di un’immagine così sensuale come quella

de La Notte, suggestiva evocatrice dei riti pagani dell’eros

bacchico collegati al mito di Arianna e, insieme, della favola

antica di Amore e Psiche. Sulla storia del modello servito per

l’elaborazione dell’immagine, la scultura ellenistica un tempo

ritenuta Cleopatra, poi dal 1805 correttamente identificata

con Arianna, e sulla sua trasformazione ideata da Bénigne

Gagneraux, cfr. le seguenti note 227-233.

219. Cfr., fra la tuttora non molto ampia saggistica su Nicola

Monti, C. Sisi, Niccola Monti, in Cultura dell’Ottocento

a Pistoia. La collezione Puccini, Catalogo del Museo Civico, a

cura di C. Mazzi, C. Sisi, Firenze, La Nuova Italia Editrice,

1977, pp. 99-101: 100; più di recente R. Giovannelli, Piccolo

viaggio al centro della Toscana, 3, in Piccolo viaggio al centro della

Toscana. Da Montecatini per luoghi d’incanto, tra arte, storia,

architettura, paesaggio e tradizioni popolari, a cura di R. Giovannelli,

Pistoia, Gli Ori / Fondazione Cassa di Risparmio

di Pistoia e Pescia, 2004, pp. 119-136; Idem, Memorie di un

convalescente pittore di provincia. Appunti autobiografici di Niccola

Monti, pittore pistojese, scritti dal 1839 al 1841, Firenze, Edizioni

Polistampa, 2016, con profilo biografico del pittore e

relativa bibliografia.

220. C. Sisi, Niccola Monti, cit., p. 100. Si veda anche, dello

stesso autore, il contributo edito nel presente volume.

221. Effettivamente l’ordine superiore di festeggiare anche a

Pistoia le nozze dell’imperatore Napoleone con Maria Luisa

d’Austria era stato impartito con un volantino stampato il

18 aprile 1810, a firma del maire Francesco Tolomei: le celebrazioni

erano state indette per il seguente 22 dello stesso

mese: cfr. L’età rivoluzionaria e napoleonica, cit., p. 88 nota 3.

Sulla distruzione del quadro di Napoleone cfr. C. Sisi, Niccola

Monti, cit., p. 100. Cfr. anche A. Zucchi O.P., Una lettera

inedita del pittore Niccola Monti, in BSP, XXXII, 1930, pp.

94-96: nota 2 pp. 95-96. Secondo l’abate Pietro Contrucci,

testimone coevo, durante la sollevazione anti-francese del

1814 i pubblici magistrati, per evitare l’assalto al Palazzo

Civico, non trovarono di meglio che gettare dalla finestra

alla folla il quadro di Napoleone dipinto da Monti; il ritratto

venne così distrutto. Cfr. anche G. Petracchi, Pistoia dalle

riforme leopoldine, cit., pp. 44, 46-47 e R. Giovannelli, Piccolo

viaggio, cit., pp. 129-131; Idem, Memorie di un convalescente,

cit., pp. 26-27, 29.

of the Uffizi in the incumbent’s absence. See too Spalletti

and Viale, Tommaso Puccini, 127-31.

204. “Palazzo dei Rossi,” 90; BCF, Rossi, 21, ff. 4 v , 5 r . Laura

Sozzifanti, born on March 19, 1780, was twenty-one at the

time and eighteen years younger than her husband: see

BCF, Rossi, 28, f. 32 r (=94 r ).

205. On the construction and decoration of these rooms

see notes 134 and 183. The painting, which is located at the

center of the vault, leaving ample free space around it, is a

triangular composition with the classically handsome figure

of Eros at bottom left, seated on clouds and crowned with a

garland of flowers, holding a lit torch in his right hand and

extending his left to the Cupid above; the latter completes

the bond of love by holding with his left hand the hand

of Fidelity, dressed in white, seated on the opposite side to

Eros and accompanied by a faithful family pet, a white dog,

which peeps out of a cloud, on the right. Above the two allegorical

personifications hovers the graceful female figure

of Matrimonial Union, with a radiant heart and holding a laurel

wreath in her right hand while pointing with the left at

a luminous and evanescent Temple that appears high up in

the sky, a symbol of the Church and its centuries of Wisdom

inspired by God. A similar image of a Temple, represented

in sotto in su perspective, appeared in the Allegory of Fame

and Wisdom painted in 1787 by Luigi Catani on the vault of

the Sala delle Colonne in the Conservatorio di San Niccolò

in Prato: see Morandi, “Luigi Catani,” 27-29. Nor does it

seem to be a coincidence that the central-plan structure of

that temple is an obvious reference to Bramante’s celebrated

Tempietto di San Pietro in Montorio and, in a broader

sense, to the capital of Christendom and classical culture.

The allegory of the Harmony, the Love and the Conjugal Fidelity

that make marriage last is completed by an ornamental

frieze running around the base of the vault. The decoration

consists of a repetition of the motifs of the laurel

wreath, the blazing torch and the quiver filled with arrows,

alternating with bunches of stems and leaves with a triple

inflorescence of poppy heads, alluding to Sleep: evidently a

reference to the functions for which that marriage chamber

was used. The stylistic features, clearly akin to those of Luigi

Catani’s work in the decade preceding 1800, also include

some illustrative peculiarities in both the figures and the

clouds: the latter have a typically soft appearance, but are

compact and almost square, with a flattened upper part as if

to serve as a seat for the figures of Eros and Conjugal Fidelity.

On Catani’s painting see too notes 211-16.

206. “Palazzo dei Rossi,” 90 note 251 and 99-100 note 266.

207. The only marriage recorded before Francesco dei Rossi’s

was that of his father Vincenzo, on October 22, 1749:

“Palazzo dei Rossi,” 17 note 35.

208. On the previous situation of the bedroom with attached

toilette and maid’s room see notes 134, 182 and 183.

In addition to the fresco on the vault of the bridal chamber,

the trompe-l’oeil ornamentation of the small toilette, painted

with a mock architectural facing “in the classical manner,”

brought back to light in the latest restoration, undoubtedly

dated from the reorganization, around 1799-1800, of the

first two on the occasion of Francesco’s marriage.

209. Until not long ago, only Chiara d’Afflitto had chosen

to pay a certain amount of attention to the paintings

on the second floor of Palazzo de’ Rossi: see C. d’Afflitto,

“Le arti figurative dal periodo neoclassico,” 299, 309. The

scholar names the authors of the frescoes painted in the

early decades of the 19th century as Bartolomeo Valiani,

Nicola Monti and Giuseppe Bezzuoli (for the signed and

dated works), attributing the decoration “after the style

of Raphael” of the “new gallery” to Ferdinando Marini (in

1830) and the paintings of Music and the Night to Bartolomeo

Valiani. She made no mention in that concise sketch

of the other paintings in the building, not even the allegory

of Conjugal Fidelity.

210. Neither direct examination of the paintings of Conjugal

Fidelity and The Night nor the photographic documentation

of their restoration reveals signatures or dates or inscriptions

of any kind.

211. See Morandi, “Luigi Catani,” 32-36. At the end of the

early part of his career the young painter received important

commissions from Bishop Scipione de’ Ricci of Pistoia

and the ecclesiastic circles in contact with him: the decoration

of the ceiling of the reading room of the Biblioteca

Roncioniana in Prato (where in 1789 he reproduced, in the

allegory of Pallas Tearing Adolescence Away from the Idleness of

Venus, the scene painted by Pietro da Cortona in the Sala

di Venere of Palazzo Pitti in 1641); the frescoes in the new

Bishop’s Palace of Pistoia between 1789 and 1790, and in

particular the Triumph of Religion with the portraits of members

of the Habsburg-Lorraine dynasty in the large Audience

Chamber, completed in 1790; another Triumph of the

Church, painted between 1790 and 1792 on the ceiling of

the Chapterhouse of the cathedral of San Stefano in Prato.

This style of painting in line with the taste of the grand ducal

court, where Catani had long worked for Ferdinand III,

had imitators and followers in Pistoia, as has already been

pointed out. At the time the cultivated Tommaso Puccini,

in his capacity as director of the Uffizi and art connoisseur,

would have acted as an intermediary between the artistic

orientations of the capital of the grand duchy and the city

of his birth.

212. Ibidem, 85-92.

213. Ibidem, 86-89.

214. Ibidem, 90-92. From the end of the 18th century until

the Restoration Luigi Catani’s style took a neoclassi-

cal turn, growing more idealized and lightening its figures

and coloring under the influence of contemporary French

painting; but it would be further enriched by his encounter

with current reworkings of ancient Roman reliefs and

statuary and examples of Raphaelesque painting. On Luigi

Catani’s ornamental repertoire see note 167 to this study.

On his decorative work and paintings in the Villa di Scornio,

with the assistance of Luigi Cheli and others between

1805 and 1810 (and his direct involvement up until 1807) see

L. Dominici, “Gli affreschi del Villone di Scornio dal primo

Settecento al 1842,” in La villa e il parco Puccini di Scornio

(“Quaderni pistoiesi di storia dell’arte,” 10) (Pistoia: Cassa

di Risparmio Pistoia e Pescia, 1992), 9-54, pls. I-XVI: 39-42;

idem, “La villa Puccini di Scornio,” 97-118: 116.

215. See Gai, “Teatro dell’Accademia dei Risvegliati,” 358.

A contemporary witness, the somewhat malicious architect

Giuliano Gatteschi, tells us that in the renovation of 1796

the theater curtain had been painted with “Guido [Reni]’s

Aurora by the Florentine painter Catani, who also painted

the Parnassus of the Muses at the Accademia dei Cittadini in

Pistoia, from where the actors come out to perform”: the

reference is to the Aurora painted by Guido Reni in 1613

in the Casino dell’Aurora of Palazzo Rospigliosi in Rome

and to the famous fresco of the Parnassus by the neoclassical

artist Anton Raphael Mengs (1728-79), painted between

1760 and 1761 on the ceiling of the Gallery of Villa Albani in

Rome. Luigi Catani often used his technical skills to fulfill

the desires of his clients, who wanted to have reproductions

of celebrated works in their homes. On Ferdinando

Marini’s copy of the Aurora derived by Catani from a painting

by Guido Reni, see note 287.

216. On Luigi Catani’s activity in the new Bishop’s Palace of

Pistoia, see R. Roani Villani, “La decorazione del Seminario

e del Palazzo Vescovile,” in Scipione de’ Ricci e la realtà pistoiese,

179-84: 182-84 (where the author does not fail to point

out the “influences of the 17th century revival” on the huge

painting of the Triumph of Religion in the Audience Chamber,

executed by Catani in 1790, and especially “in the group

of Heresy where the woman is based directly on one of the

Fates painted by Giovanni da San Giovanni on the ceiling

of the Salone degli Argenti in Palazzo Pitti,” ibidem, 183); C.

d’Afflitto, “Le arti figurative dal periodo neoclassico,” 291;

E. Guscelli, “Il nuovo palazzo vescovile,” 94, 103; Romby,

“Palazzo vescovile nuovo,” 341-43; Morandi, “Luigi Catani,”

32-35 (in which, however, the scholar places the Audience

Chamber not—as would have been correct—in the new

Bishop’s Palace of Pistoia but in the “grand complex of the

Episcopal Seminary”).

217. See note 214.

218. In my first critical analysis of the question I had attributed

the painting to a “painter of the Conjugal Fidelity”

and the later representation of The Night to Nicola Monti:

see “Palazzo dei Rossi,” 96-97, 111-12; placing, however, the

two works in relation with the early part of Francesco dei

Rossi’s married life, given that they seemed to be in keeping

with what it has been possible to find out about the

character of this bold and impulsive, sharp-witted and unconventional

person. Nor could the commission of an image

as sensual as The Night, evocative of the pagan rites of

Bacchic eros linked to the myth of Ariadne and, at the same

time, the ancient legend of Cupid and Psyche, have been in

any way suited to the different disposition of Francesco’s

son Girolamo. On the history of the model used for the

image, the Hellenistic sculpture once thought to represent

Cleopatra, and then from 1805 correctly identified as Ariadne,

and its transformation by Bénigne Gagneraux, see

notes 227-33 below.

219. See, amongst the still not very extensive literature

on Nicola Monti, C. Sisi, “Niccola Monti,” in Cultura

dell’Ottocento a Pistoia. La collezione Puccini, catalogue of

the Museo Civico, ed. C. Mazzi and C. Sisi (Florence: La

Nuova Italia Editrice, 1977), 99-101: 100; more recently R.

Giovannelli, “Piccolo viaggio al centro della Toscana, 3,” in

Piccolo viaggio al centro della Toscana. Da Montecatini per luoghi

d’incanto, tra arte, storia, architettura, paesaggio e tradizioni popolari,

ed. R. Giovannelli (Pistoia: Gli Ori / Fondazione Cassa

di Risparmio di Pistoia e Pescia, 2004), 119-36; idem, Memorie

di un convalescente pittore di provincia. Appunti autobiografici

di Niccola Monti, pittore pistojese, scritti dal 1839 al 1841 (Florence:

Edizioni Polistampa, 2016), with biographical profile

of the painter and relative bibliography.

220. See Sisi, “Niccola Monti,” 100. See too the essay by the

same author in this volume.

221. In fact the order to celebrate Emperor Napoleon’s marriage

to Maria Luisa of Austria in Pistoia too had been given

in a handbill printed on April 18, 1810, and signed by the

maire Francesco Tolomei: the celebrations had been scheduled

for the 22nd of the same month: see L’età rivoluzionaria

e napoleonica, 88 note 3. On the destruction of the picture of

Napoleon see Sisi, “Niccola Monti,” 100. See too A. Zucchi

O.P., “Una lettera inedita del pittore Niccola Monti,” BSP,

XXXII (1930), 94-96: 95-96 note 2. According to the abbé

Pietro Contrucci, a contemporary witness, during the uprising

against the French in 1814 the magistrates could find

no better way to avoid an assault on the City Hall than to

throw Monti’s portrait of Napoleon out of the window to

the crowd below; as a result the picture was destroyed. See

too Petracchi, “Pistoia dalle riforme leopoldine,” 44, 46-47,

and Giovannelli, “Piccolo viaggio,” 129-31; idem, Memorie di

un convalescente, 26-27, 29.

222. Sisi, “Niccola Monti,” 100. On the “refoundation,” in

July 1806, of the “Accademia di varia letteratura” as “Acca-

150

151



222. C. Sisi, Niccola Monti, cit., p. 100. Sulla ‘rifondazione’,

nel luglio 1806, dell’“Accademia di varia letteratura” come

“Accademia pistoiese di Scienze, Lettere ed Arti”, cfr. G.

Petracchi, Pistoia dalle riforme leopoldine, cit. p. 30.

223. L’acquaforte è riprodotta in G. Petracchi, Pistoia dalle riforme

leopoldine, cit., fig. 4 p. 31. Cfr. anche M. Lucarelli, Iconografia

di Pistoia, cit., pp. 104-105: Carlo Lasinio (1759-1838)

ne trasse un’incisione per la stampa, utilizzata in seguito

come emblema dall’Accademia nella sua carta intestata.

Sull’iscrizione di Nicola Monti all’Accademia pistoiese di

Scienze, Lettere ed Arti e la sua frequentazione cfr. anche

C. d’Afflitto, Le arti figurative dal periodo neoclassico, cit., p.

295. R. Giovannelli, Memorie di un convalescente, cit., p. 21,

pubblica l’incisione calcografica datandola al 1804.

224. Palazzo dei Rossi, p. 84 note 232, 233; p. 89 nota 242; Taccuino,

cc. 28v-29r. Cfr. anche, più oltre nel presente studio, la nota 243.

225. Fa parte dei ricordi personali sul palazzo de’ Rossi anche

quello del locale adibito a bar del “Circolo Pio X” al

tempo del canonico Mario Lapini. Per tale funzione era stata

scelta proprio la stanzetta con La Notte dipinta sulla volta,

perché si trovava all’ingresso al primo piano (dove risiedeva

il Circolo) venendo dalla rampa di scale ottocentesca

che iniziava dal primo pianerottolo dello scalone, a partire

dal basso: era quello allora il consueto accesso all’interno

del palazzo, anche in occasione della stagione concertistica

annuale. Il bar funzionava a pieno ritmo e i grossi sbuffi di

vapore che uscivano dalla macchina da caffè espresso, allora

collocata dietro il bancone che chiudeva verso l’esterno

tale vano, investivano quella figura sulla volta: facendo

ammuffire inevitabilmente la sua superficie e danneggiando

le preziose velature a secco del colore (per le quali, com’è

noto, nella tecnica antica il collante-solvente doveva essere

vegetale o animale, quindi deteriorabile con l’umidità per la

proliferazione dei batteri).

226. Per la tecnica di esecuzione pittorica de La Notte si rimanda

a quanto sopra osservato e alla precedente nota. Le

fotografie effettuate da personale della Società ICONOS

di Firenze che ne ha curato il restauro, prima e dopo l’intervento

– ed anche l’ulteriore documentazione fotografica

in mio possesso, realizzata nel 2008, prima del restauro –

attestano quanto qui si lamenta. Oltre tutto, l’immagine

evocatrice de La Notte è stata mortificata da una pesante

ridipintura ‘integrativa’, che ha anche modificato il disegno

del bordo e delle pieghe del manto che l’avvolge e perfino

reso flaccido il seno scoperto, prima di perfetta forma rotonda.

227. Esiste tutta una letteratura artistica specializzata su

tale capolavoro ellenistico attribuito alla Scuola Pergamena

del III-II secolo a.C. e sulle sue varie riproduzioni in epoca

romana. Dei non molti esemplari rimasti a testimonianza

dell’originale, perduto, erano allora notissimi i due migliori:

quello esistente al Museo Pio-Clementino e l’altro rimasto

fino a poco prima del 1787 entro un’apposita edicola di

gusto pittoresco-antiquario nei Giardini di Villa Medici a

Roma. La scultura era nota come Cleopatra, raffigurata nel

momento della volontaria morte per il veleno dell’aspide, a

cui si riteneva alludesse il serpente riprodotto nel monile

avvolto intorno all’avambraccio sinistro della figura femminile.

Per primo Johann Joachim Winckelmann (1717-1768)

ne aveva messo in dubbio l’identificazione, nella sua Lehrgebaüde

der Geschichte der Kunst des Altertums, edita nel 1764 a

Dresda e poi conosciuta, già a fine Settecento, in versione

italiana (Storia delle Arti del Disegno presso gli Antichi, aumentata

da C. Fea, Roma, 1783); successivamente Ennio Quirino

Visconti – amico di Tommaso Puccini – l’aveva sicuramente

identificata come Arianna addormentata in base a riscontri

iconografici effettuati su gemme intagliate antiche e rilievi

su sarcofagi. Lo stesso Ennio Quirino Visconti aveva dedicato

ai capolavori antichi della scultura conservati nel nuovo

Museo Pio-Clementino una monumentale opera in sette

volumi, intitolata appunto al Museo Pio-Clementino, edita a

Roma fra il 1782 e il 1802, corredata da belle tavole con incisioni:

in cui la XXXIV del II volume (edito nel 1784), su disegno

del pistoiese Teodoro Matteini (1754-1831), raffigurava

appunto l’esemplare della supposta Cleopatra di tale Museo:

cfr. N. Gori Bucci, Il pittore Teodoro Matteini, cit., nota 35 pp.

49-50: 50. L’importante collana era presente, già ai primi del

nuovo secolo, anche nella biblioteca granducale fiorentina:

cfr., per il rilievo di questo canale culturale per l’aggiornamento

del neoclassicismo toscano, C. Morandi, Luigi Catani,

cit., p. 69 nota 122. L’esemplare dell’Arianna/Cleopatra

del Museo Pio-Clementino, celebre fin dall’inizio del Cinquecento

(e ne sono evidente riflesso la figura femminile

nuda de La Notte michelangiolesca nella Sagrestia Nuova di

San Lorenzo a Firenze, ma anche la fanciulla nuda, distesa e

riversa, nel Baccanale di Tiziano) era rimasto in precedenza

nel Cortile del Belvedere, insieme ad altri sommi capolavori

dell’antichità come il Laocoonte e l’Apollo del Belvedere e,

da metà Cinquecento, aveva fatto parte di un allestimento

per una fontana, collocata su un sarcofago classico come

basamento. Era così celebre che spesso compariva, insieme

alla raffigurazione delle altre famose sculture antiche, negli

splendidi ritratti eseguiti dal notissimo Pompeo Batoni per

ricchi ed aristocratici forestieri protagonisti del Grand Tour,

come ‘ricordo’ della visita a Roma: fra cui il Ritratto di Charles

Crowle del 1762 (ora al Louvre); il Ritratto del Conte Kirill

Grigoriewitsch Razumovsky, facoltoso e potente personaggio

della corte di Caterina II di Russia, del 1766 (in collezione

privata); il Ritratto di Thomas Dundas, ricchissimo inglese poi

primo barone Dundas (in Aske Hall, Richmond, Yorkshire),

del 1763-1764; il Ritratto di Thomas William Coke, poi primo

conte di Leicester (a Norfolk), del 1773-1774: cfr. Il Settecento

a Roma, a cura di A. Lo Bianco, A. Negro, Cinisello Balsamo

(Milano), Silvana Editoriale, 2005, pp. 188-189, n. 69;

Pompeo Batoni, 1708-1787. L’Europa delle Corti e il Grand Tour,

catalogo della mostra (Lucca, Palazzo Ducale, 6 dicembre

2008-29 marzo 2009), a cura di L. Barroero e F. Mazzocca,

Cinisello Balsamo (Milano), Silvana Editoriale, 2008, pp.

154-155, 272-273, 160-161. Non meno celebre era l’esemplare

dell’Arianna/Cleopatra Medici, acquistato dal cardinale

Ippolito d’Este nel 1572 per i suoi Giardini al Quirinale e

passato nello stesso anno, per la morte del prelato, nella collezione

di Ferdinando dei Medici (che sarebbe poi stato il

terzo granduca di Toscana). Egli fece sistemare la scultura –

cui peraltro era stata sostituita la testa, danneggiata – entro

una piccola loggia elegantemente decorata nei Giardini di

Villa Medici a Roma, come documenta in modo suggestivo

il quadro che, verso il 1630, le aveva dedicato Diego Velázquez

(oggi al Prado). Negli anni Settanta del Settecento

la scultura era stata fatta restaurare a Roma, per volontà di

Pietro Leopoldo granduca di Toscana, dallo scultore pistoiese

Francesco Carradori ed entro il 1787 essa, come tutte le

altre opere d’arte dell’antichità conservate a Villa Medici,

era stata trasportata a Firenze. Sull’attività romana di Francesco

Carradori come restauratore di sculture classiche e

sui suoi contatti con Tommaso Puccini cfr. N. Gori Bucci,

Il pittore Teodoro Matteini, cit., pp. 9, 19-20. Francesco Carradori

aveva sostituito alcune parti dell’Arianna/Cleopatra,

liberamente interpretandone, con una sensibilità di gusto

arcadico, il complessivo aspetto: cfr. E. Marconi, Francesco

Carradori. Bacco e Arianna, 1776, in Il fasto e la ragione. Arte

del Settecento a Firenze, a cura di C. Sisi, R. Spinelli, Firenze,

Giunti/Firenze Musei, 2009, p. 296. Nel 1790 la statua era

stata portata agli Uffizi e sistemata nella sala detta allora

“dell’Ermafrodito”, attirando l’attenzione soprattutto di artisti

e membri dell’Accademia di Belle Arti, fondata nel 1784.

Tommaso Puccini, divenuto direttore della Galleria nel

gennaio 1793 per volontà di Ferdinando III, aveva criticato

il restauro non filologico del Carradori (che aveva scolpito

per l’Arianna/Cleopatra una testa rovesciata all’indietro,

dall’intensa espressione patetica, e aveva sostituito la parte

inferiore delle gambe incrociate diminuendone la piegatura,

per conferire alla figura una posizione più abbandonata

e slanciata) e nel 1794 aveva giudicato la scultura, troppo

integrata, non degna di rimanere agli Uffizi: cfr. E. Spalletti,

R. Viale, Tommaso Puccini, cit., pp. 56, 82, 87, 89 (ill.),

93 (relazione del 20 dicembre 1797 di Tommaso Puccini a

Francesco Carradori, in cui definiva “poco felici invenzioni”

quelle messe in opera, fra l’altro, nella cosiddetta Cleopatra).

Portata prima nella Villa di Poggio Imperiale, poi sistemata

a Pitti, poi al Museo Archeologico fiorentino, infine, dopo

l’alluvione di Firenze del 1966, nei depositi di Villa Corsini

a Castello, dove fu temporaneamente esposta in un parziale

allestimento museale di opere di scultura antica nei primi

anni Duemila, ultimamente è stata di nuovo portata agli

Uffizi dove è stata collocata, dopo un ultimo restauro, nella

sala 35, di recente sistemazione, dedicata a Michelangelo,

inaugurata il 17 dicembre 2012. L’Arianna Medici fu comunque

una delle opere di scultura antica più apprezzate, all’inizio

dell’Ottocento, a Firenze: tanto più che l’esemplare del

Museo Pio-Clementino a Roma era stato requisito dai francesi

e fatto portare a Parigi, insieme alla Venere Medicea degli

Uffizi che Tommaso Puccini non era allora riuscito a salvare

dalle spoliazioni napoleoniche delle opere d’arte.

228. Sul valore come ‘patrimonio comune’, disponibile per

tutti i cultori dell’arte, delle collezioni custodite agli Uffizi

– ma anche, idealmente, di quelle esistenti nei palazzi

granducali – la nobile figura di Tommaso Puccini ebbe ad

esprimersi più volte, al tempo dell’invasione francese del

1799 e nel successivo periodo della conquista napoleonica

e delle requisizioni allora effettuate di importanti opere

d’arte: cfr. C. Pasquinelli, La Galleria in esilio, cit., p. 26 e

passim; E. Spalletti, R. Viale, Tommaso Puccini, cit., pp. 121,

144. Si veda anche, sulla personalità di Tommaso Puccini, il

penetrante contributo di Nina Gori Bucci in N. Gori Bucci,

Il pittore Teodoro Matteini, cit., pp. 14-19. Più in generale, cfr.

L’arte contesa nell’età di Napoleone, Pio VII e Canova, a cura di

R. Balzani, Cinisello Balsamo (Milano), Silvana Editoriale/

Comune di Cesena, Istituzione Biblioteca Malatestiana,

Fondazione Cassa di Risparmio di Cesena, 2009.

229. Cfr. E. Spalletti, Direttore degli Uffizi, in E. Spalletti, R.

Viale, Tommaso Puccini, cit., pp. 56, 89, 93.

230. Cfr. la nota 227. Con queste modifiche Francesco Carradori

aveva dato all’Arianna/Cleopatra Medici un ulteriore

significato espressivo, quasi ‘personalizzandola’ in chiave

psicologica secondo la sensibilità dei suoi tempi. Con l’oltrepassare

la posa classica dell’abbandono al sonno testimoniata

dall’esemplare del Museo Pio-Clementino – in cui il

personaggio femminile è semi-sdraiato di lato come su un

letto triclinare, al modo dell’etrusca Larthia Seianti raffigurata

sul sarcofago fittile del Museo Archeologico di Firenze

– la figura esprimeva indefinibili tensioni, al confine tra eros

e thànatos. Così elaborata, l’immagine scultorea poteva offrirsi

ad ulteriori ‘invenzioni’ iconografiche: come era stato

fatto dal pittore francese Bénigne Gagneraux, cfr. la successiva

nota 231. Tuttavia va segnalato un altro utilizzo – assai

tempestivo – della celebre immagine, mediata dall’ulteriore

elaborazione di Gagneraux, in palazzo Aldini a Bologna. La

nobile residenza (cfr. A.M. Matteucci, Palazzo Aldini, in Eadem,

I decoratori di formazione bolognese, cit., pp. 244-257) era

stata acquistata nel 1795 dal ricchissimo e potente conte e

avvocato Antonio Aldini, dalla brillante carriera e di orientamenti

massonici, che sarebbe stato segretario del Regno

d’Italia nel 1805. Negli ultimi anni del secolo egli, nel quadro

di una generale riorganizzazione della decorazione pittorica

e ornamentale dei vari ambienti del piano nobile del suo

palazzo, aveva commissionato anche le pitture della prima

sala nell’ala di levante, la Sala di Enea, al colto e raffinato

demia pistoiese di Scienze, Lettere ed Arti” see Petracchi,

Pistoia dalle riforme leopoldine, 30.

223. The etching is reproduced in Petracchi, “Pistoia dalle

riforme leopoldine,” 31 fig. 4. See too Lucarelli, Iconografia

di Pistoia, 104-05: Carlo Lasinio (1759-1838) made an engraving

of it for printing that was later used by the academy

as an emblem on its headed notepaper. On Nicola Monti’s

enrolment in and frequentation of the Accademia Pistoiese

di Scienze, Lettere ed Arti see too d’Afflitto, “Le arti figurative

dal periodo neoclassico,” 295. Giovannelli, Memorie

di un convalescente, 21, publishes the copperplate engraving,

dating it to 1804.

224. “Palazzo dei Rossi,” 84 notes 232, 233; 89 note 242; Taccuino,

ff. 28 v -29 r . See too, further on in this study, note 243.

225. One of my personal memories of Palazzo de’ Rossi is

that of the room used as the coffee bar of the club called

the “Circolo Pio X” in Canon Mario Lapini’s time. It was

the little room with The Night painted on the ceiling that

had been chosen for this function, because of its position

at the entrance to the second floor (where the club was located)

coming from the 19th-century flight of stairs that

started from the first landing from the bottom of the grand

staircase: at the time that was the usual means of access

to the building, even during the annual season of concerts.

The bar worked at full capacity and the great puffs of steam

that used to come out of the espresso coffee machine, then

located behind the counter that closed off the space on the

outside, struck that figure on the vault: inevitably this led

to the formation of mold on its surface and damaged the

coats of paint laid on a secco (an old technique in which, as is

well-known, the binder-solvent had to be of plant or animal

origin, and thus was prone to deterioration under humid

conditions owing to the growth of bacteria).

226. For the technique of execution of The Night the reader

is referred to the observations made above and to the previous

note. The photographs taken by staff of the ICONOS

company in Florence that was responsible for the restoration

before and after the intervention—as well as the additional

photographic documentation in my possession, carried

out in 2008, prior to the restoration—attest to what is

complained of here. In addition, the evocative image of The

Night has been ruined by a clumsy “integrative” repainting

that has also modified the drawing of the border and folds

of the cloak and even made the bare breast, previously of a

perfectly round shape, look flaccid.

227. There is an extensive body of specialized artistic literature

on this Hellenistic masterpiece attributed to the Pergamene

school of the 3rd-2nd century BC and its various

reproductions in the Roman era. Of the not many copies of

the lost original that have survived, the two best were very

well-known at the time: one in the Museo Pio-Clementino

and another that was still located until just prior to 1787

in a specially built kiosk of picturesque-antiquarian taste

in the gardens of Villa Medici in Rome. The sculpture was

known as Cleopatra, represented at the moment of her suicide

by the bite of an asp, to which the snake reproduced

in the bracelet around the female figure’s upper left arm

was thought to allude. Johann Joachim Winckelmann (1717-

68) was the first to cast doubt on this identification, in his

Lehrgebaüde der Geschichte der Kunst des Altertums, published

in Dresden in 1764 and already translated into Italian at the

end of the 18th century, (Storia delle Arti del Disegno presso gli

Antichi, expanded ed. by C. Fea, Rome, 1783). Subsequently

Ennio Quirino Visconti—a friend of Tommaso Puccini’s—

had confidently identified it as a representation of the

Sleeping Ariadne on the basis of iconographic comparisons

with ancient carved gems and reliefs on sarcophagi. Ennio

Quirino Visconti had devoted a monumental work in seven

volumes to the masterpieces of ancient sculpture in the new

Museo Pio-Clementino. Entitled simply Museo Pio-Clementino

and published in Rome between 1782 and 1802, it was

illustrated with fine engravings, of which plate XXXIV of

the 2nd volume (published in 1784), based on a drawing by

the Pistoian Teodoro Matteini (1754-1831), represented the

supposed figure of Cleopatra in that museum: see Gori Bucci,

Il pittore Teodoro Matteini, 49-50 note 35: 50. The important

series was present, at the beginning of the new century,

in the grand-ducal library in Florence: see, for a discussion

of this cultural channel for the updating of Tuscan neoclassicism,

Morandi, “Luigi Catani,” 69 note 122. The copy of

the Ariadne/Cleopatra in the Museo Pio-Clementino, famous

since the beginning of the 16th century (and clearly

reflected in the nude female figure of Michelangelo’s Night

in the New Sacristy of San Lorenzo in Florence, as well as

in the nude girl, lying on her back, in Titian’s Bacchanal) had

previously been located in the Belvedere Courtyard, along

with other great masterpieces of antiquity like the Laocoön

and the Apollo Belvedere and, from the middle of the 16th

century, had been part of the scenery for a fountain, set on

a classical sarcophagus. It was so celebrated that it often

appeared, along with representations of other famous ancient

sculptures, in the splendid portraits painted by Pompeo

Batoni for rich and aristocratic foreigners on the Grand

Tour as “souvenirs” of their visit to Rome, including the

Portrait of Charles Crowle of 1762 (now in the Louvre); the

Portrait of Count Kirill Grigorjewitsch Razumovsky, a wealthy

and powerful figure at the court of Catherine II of Russia,

of 1766 (in a private collection); the Portrait of Thomas

Dundas, an extremely rich Englishman who later became

1st Baron Dundas (at Aske Hall, Richmond, Yorkshire), of

1763-64; the Portrait of Thomas William Coke, later 1st Earl of

Leicester (in Norfolk), of 1773-74: see A. Lo Bianco and A.

Negro (eds.), Il Settecento a Roma (Cinisello Balsamo, Milan:

Silvana Editoriale, 2005), 188-89, no. 69; L. Barroero and F.

Mazzocca (eds.), Pompeo Batoni, 1708-1787. L’Europa delle Corti

e il Grand Tour, catalogue of the exhibition at the Palazzo

Ducale, Lucca, December 6, 2008-March 29, 2009 (Cinisello

Balsamo, Milan: Silvana Editoriale, 2008), 154-55, 272-73,

160-61. No less renowned was the Medici Ariadne/Cleopatra,

acquired by Cardinal Ippolito d’Este in 1572 for his gardens

on the Quirinal and transferred the same year, on the death

of the prelate, to the collection of Ferdinando dei Medici

(who would become the third grand duke of Tuscany). He

had the sculpture—whose damaged head had been replaced—located

in a small and elegantly decorated loggia

in the gardens of Villa Medici in Rome, as is evocatively

documented in the picture Diego Velázquez painted of it

around 1630 (now in the Prado). In the 1770s Grand Duke

Peter Leopold of Tuscany had the statue restored in Rome

by the Pistoian sculptor Francesco Carradori and by 1787 it,

like all the other works of art from antiquity in Villa Medici,

had been transported to Florence. On Francesco Carradori’s

activity in Rome as a restorer of classical sculptures

and on his contacts with Tommaso Puccini see Gori Bucci,

Il pittore Teodoro Matteini, 9, 19-20. Francesco Carradori had

replaced some parts of the Ariadne/Cleopatra, freely interpreting

its overall appearance along Arcadian lines: see E.

Marconi, “Francesco Carradori. Bacco e Ariadne, 1776,” in

Il fasto e la ragione. Arte del Settecento a Firenze, ed. C. Sisi and

R. Spinelli (Florence: Giunti/Firenze Musei, 2009), 296. In

1790 the statue was taken to the Uffizi and placed in the

room known at the time as the “Sala dell’Ermafrodito,” attracting

the attention in particular of artists and members

of the Accademia di Belle Arti, founded in 1784. Tommaso

Puccini, who was appointed director of the gallery by Ferdinand

III in January 1793, had criticized the authenticity of

the restoration carried out by Carradori (who had sculpted

a head tilted backward and with an intense expression of

pathos for the Ariadne/Cleopatra and replaced the lower

part of the crossed legs, diminishing the folds of the drapery,

to give the figure a limper and more svelte pose) and

in 1794 had declared the excessively altered sculpture not

worthy of remaining in the Uffizi: see Spalletti and Viale,

Tommaso Puccini, 56, 82, 87, 89 (ill.), 93 (report of 20 December

1797 from Tommaso Puccini to Francesco Carradori, in

which he described as “unfortunate inventions” the additions

and alterations he had made in, among other things,

the so-called Cleopatra). Taken first to the Villa di Poggio

Imperiale, then to Pitti, then to Florence’s Archeological

Museum and finally, after the flooding of Florence in 1966,

to the storerooms of Villa Corsini in Castello, where it was

temporarily put on show in a display of part of the collection

of ancient sculpture in the early years of the 21st century,

it has lately been returned to the Uffizi where it has been

placed, after another restoration, in the recently renovated

Sala 35, devoted to Michelangelo and opened on December

17, 2012. In any case, the Medici Ariadne was one of the most

highly regarded works of ancient sculpture in Florence at

the beginning of the 19th century: all the more so given that

the copy in the Museo Pio-Clementino in Rome had been

requisitioned by the French and taken to Paris, along with

the Medici Venus of the Uffizi, which Tommaso Puccini had

not been able to spare from the Napoleonic plundering of

works of art.

228. The nobleman Tommaso Puccini spoke of the value of

the collections in the Uffizi—but also, ideally, of the ones in

the grand-ducal residences— as a “common heritage,” accessible

to all art lovers, on several occasions, at the time of

the French invasion in 1799 and during the subsequent period

of the Napoleonic conquest and the requisitions of important

works of art made at the time: see Pasquinelli, La

Galleria in esilio, 26 and passim; Spalletti and Viale, Tommaso

Puccini, 121, 144. See too, on the personality of Tommaso

Puccini, Nina Gori Bucci’s perceptive essay in Gori Bucci,

Il pittore Teodoro Matteini, 14-19. More in general, see L’arte

contesa nell’età di Napoleone, Pio VII e Canova, ed. R. Balzani

(Cinisello Balsamo: Silvana Editoriale/Comune di Cesena,

Istituzione Biblioteca Malatestiana, Fondazione Cassa di

Risparmio di Cesena, 2009).

229. See E. Spalletti, “Direttore degli Uffizi,” in Spalletti

and Viale, Tommaso Puccini, 56, 89, 93.

230. See note 227. With these modification Francesco Carradori

had given the Medici Ariadne/Cleopatra an additional

expressive significance, almost “personalizing” the figure in

a psychological sense in accordance with the sensibility of

his times. With the transformation of the classical pose of

abandonment in sleep testified by the version in the Museo

Pio-Clementino—in which the woman is half-reclining on

her side as if on a triclinium, in the manner of the Etruscan

Larthia Seianti represented on the fired-clay sarcophagus

in Florence’s Archeological Museum—the figure expressed

indefinable tensions, on the borderline between Eros and

Thanatos. Reworked in this way, the sculpted image could

lend itself to further iconographic “inventions”: as had been

done by the French painter Bénigne Gagneraux (see note

231 below). However, it is also worth mentioning another—

and highly opportune—use of the celebrated image, mediated

by Gagneraux’s elaboration, in Palazzo Aldini in Bologna.

The noble residence (see A.M. Matteucci, “Palazzo

Aldini,” in idem, I decoratori di formazione bolognese, 244-57)

had been acquired in 1795 by the extremely wealthy and

powerful count and lawyer Antonio Aldini, with Masonic

connections, whose brilliant career culminated in his appointment

as Secretary of State of the kingdom of Italy in

1805. In the last years of the century, within the framework

of a general reorganization of the pictorial and ornamental

decoration of the various rooms on the piano nobile of

his residence, he had also commissioned the paintings in

152

153



artista Pelagio Palagi sul tema dell’Eneide e di Enea come

eroe del dovere verso la Patria. Ivi, in uno dei due pannelli

con cornice centrale figurata, a mandorla, affrontati sui lati

lunghi della sala, il pittore aveva raffigurato, su fondo nero,

Didone sulla pira, a fare da pendant ad Enea addormentato (ibidem,

pp. 247-248, ill. p. 248 n. 14). Anna Maria Matteucci

opportunamente segnala come l’immagine di Didone sia

stata ricollegata alla Psiche trasportata dagli zefiri, di Bénigne

Gagneraux, da C. Poppi, Pelagio Palagi pittore, in Pelagio Palagi

pittore. Dipinti dalle raccolte del Comune di Bologna, catalogo

della mostra a cura di C. Poppi, Milano, Electa, 1996, pp. 15-

60: 28-29. In questo caso, a mio avviso, sull’interpretazione

sentimentale/onirica del prototipo, da parte di Gagneraux,

avevano fatto aggio le potenzialità espressive più ‘forti’ – al

limitare appunto fra eros e thànatos – del modello scultoreo

dell’Arianna/Cleopatra Medici. Altre copie ottocentesche in

Emilia di Psiche trasportata dagli zefiri di Bénigne Gagneraux

segnala recentemente Filippo Silvestro: cfr. F. Silvestro, Due

affreschi inediti di Prospero Minghetti (Reggio Emilia 1786-1853),

in “Bollettino storico reggiano”, 142, 2010, pp. 135-144.

231. Bénigne Gagneraux, come osservato nella nota precedente,

ne aveva fornito un’interpretazione più sentimentale

e sensuale, inventando la nuova immagine dell’animo femminile

in preda al languore amoroso e abbandonato ai sogni

notturni, nel suo quadro con Psiche trasportata dagli zefiri,

tema poi replicato anche in un’incisione: cfr. Bénigne Gagneraux

(1756-1795) un pittore francese nella Roma di Pio VI, catalogo

della mostra (Roma, Galleria Borghese, aprile-giugno

1983), Roma, De Luca Editore, 1983, pp. 134-135, 149, 157. La

figura montiana de La Notte, che impreziosisce il boudoir del

palazzo de’ Rossi, replica – addirittura con maggiore finezza

cromatica – la figura dipinta da Gagneraux: evocatrice del

sonno che nella notte si impadronisce della sposa dopo i

piaceri del talamo immergendola in sogni voluttuosi, mentre

putti raffaelleschi sono protagonisti dell’onirico volo in

cui, come portata da un dolce vento, non ha più peso la

formosa protagonista. Ed era, quella, una splendida ‘invenzione’

per alludere, facendo ricorso all’Antico ed all’aureo

Cinquecento, al legame molto personale ed intimo che univa

la coppia di sposi.

232. La riproduzione al rovescio dell’immagine de La Notte,

rispetto all’originario modello dell’Arianna/Cleopatra, deriva

dall’elaborazione di Gagneraux per la Psiche. In questo caso,

la posizione volta a destra era quanto mai opportuna, dato

che la fonte di luce naturale, che poteva debolmente illuminare

il boudoir, allora proveniva da aperture sulla destra,

esternamente al vano, attualmente non più esistenti.

233. Cfr. I. Gonfiantini (Maya), Nicola Monti, in BSP, XXX,

1928, pp. 171-186:178; C. Sisi, Niccola Monti, cit., p. 100. Della

Psiche fece cenno lo stesso Monti in Poliantea di Niccola Monti

pittore pistojese, Lucca, Tipografia Bertini, 1829, p. 38. Sulle

opere del ‘periodo polacco’ (1818-1821) cfr. R. Giovannelli,

Trattatello sul nudo di Niccola Monti, in “Labyrinthos”, VII-

VIII, 13-16, 1989, pp. 397-435 : 412-413.

234. Cfr. la nota 221.

235. N. Monti, Il mio studio. Scritto di Niccola Monti pittore pistoiese,

Firenze, L. Ciardetti, 1833, p. 40; cfr. anche Palazzo

dei Rossi, p. 102 nota 274.

236. I tre caposaldi dell’ordine pubblico che in tal frangente

evitarono probabilmente un sanguinoso caos erano stati il

principe Giuseppe Rospigliosi, in qualità di rappresentante

di fatto del governo legittimo da restaurare: Francesco

dei Rossi, esponente autorevole del patriziato, che si era

coraggiosamente prestato a ricoprire ad interim la carica di

maire della città (e si noti che nel menzionare tale incarico

Monti aveva perfino evitato di usare il termine francese,

preferendo quello istituzionalmente legittimo di “gonfaloniere”);

il vescovo Francesco Toli (1803-1833) quale referente

dell’autorità ecclesiastica a Pistoia e Diocesi, che di solito

interveniva per quietare gli animi in caso di sollevazioni popolari.

Cfr., per l’episodio, anche la nota 221. Al terzetto si

aggiungeva la figura di Pietro Benvenuti, maestro di Monti

all’Accademia fiorentina, che forse per l’occasione aveva garantito

per l’allievo, assicurando che altra cosa era un’opera

d’arte e altra cosa la fede politica. Grazie ai buoni uffici di

queste persone, Monti doveva così essere stato riabilitato

per avere dipinto l’odiata immagine dell’imperatore francese

e, a suo modo, aveva voluto ringraziare offrendo opere

d’arte di propria mano in segno di riconoscenza: dedicando

le quattro litografie con gli Evangelisti ai diretti referenti in

tale pericolosa circostanza. Esse si conservano nella Biblioteca

Nazionale Centrale di Firenze, Nuove Accessioni, Cartella

n. 16, ai numeri 474 (S. Matteo, dedicato a Pietro Benvenuti),

475 (S. Luca, dedicato a “don Giuseppe Rospigliosi”),

476 (S. Giovanni Evangelista, dedicato al vescovo Francesco

Toli), 477 (S. Marco, dedicato a Francesco de’ Rossi). Le

quattro figure sono riprodotte, senza questa collocazione,

in R. Giovannelli, Memorie di un convalescente, cit., pp. 32-

35. Il ritratto del sovrano legittimo Ferdinando III, dipinto

nel 1824, fu commissionato per la Municipalità di Pistoia da

Francesco de’ Rossi, di nuovo “gonfaloniere”.

237. Su Nicola Monti, il perduto quadro con Napoleone, l’attività

artistica del 1814 e degli anni immediatamente successivi

(cui erano assegnati sia l’affresco con il Caino maledetto da

Dio per l’atrio della basilica pistoiese dell’Umiltà “eseguito

nel 1814”, sia il Ritratto di Ferdinando III di Lorena, “databile

fra 1814 e 1818”) e sui rapporti di Monti con Niccolò Puccini

e Girolamo de’ Rossi, cfr. C. D’Afflitto, Le arti figurative dal

periodo neoclassico, cit., pp. 295-299. Carlo Sisi collocava il Ritratto

di Ferdinando III dopo la restaurazione dell’aprile 1814

e prima della partenza del pittore per la Polonia nel tardo

1818 e ne sottolineava l’intento di intenzionale sostituzione

del Ritratto di Napoleone, come per una voluta ‘palinodia’

politica: cfr. C. Sisi, Niccola Monti. Ritratto di Ferdinando III

di Lorena, in Cultura dell’Ottocento a Pistoia, cit., Catalogo, n.

9, pp. 41-42: dove non si mancava di notare il contrassegno

con una E, sul trono del granduca, apposto da Monti (come

nascosta allusione al nome della donna amata dall’artista, la

contessa Eleonora Nencini Pandolfini) nelle opere di pittura

da lui ritenute ben riuscite.

La stessa E risulta segnata sul seggio di Carlo VIII che assiste

all’agonia di Gian Galeazzo Sforza, scena dipinta dal Monti in

palazzo de’ Rossi nel 1828, di cui sarà trattato di seguito. Il

tema fu replicato in un quadro di cui era entrato in possesso

il conte Kitroff: cfr. Palazzo dei Rossi, p. 103, dove va corretta

in questo senso la mia interpretazione di tale contrassegno.

R. Giovannelli, Piccolo viaggio, cit., pp. 131-132 : 131 e Idem,

Memorie di un convalescente, cit., pp. 38-39, 150-153, data al 13

febbraio 1824 la commissione del Ritratto di Ferdinando III,

ad opera del “gonfaloniere” in carica Francesco de’ Rossi, in

base ai ricordi manoscritti dell’artista.

238. Cfr. G. Petracchi, Pistoia dalle riforme leopoldine, cit., pp.

51-52. Non ritengo sufficientemente provata la tesi di Renato

Risaliti, che Nicola Monti sarebbe stato iscritto alla

Carboneria italiana: cfr. R. Risaliti, Nicola Monti, un pittore

piccolo piccolo, agente dello zar e carbonaro, in Intellettuali pistoiesi

nell’Impero Russo (Russia, Lituania, Polonia), Firenze, Centro

Stampa “Toscana Nuova 2”, 2009, pp. 39-42, 122-158.

239. Palazzo dei Rossi, p. 91; BCF, Rossi, 21, c. 169v; ASP, Catasto

granducale, 150, Giustificazioni di volture di Porta al Borgo,

1828, n. 121, 14 marzo 1827.

240. Palazzo dei Rossi, p. 90 e note 251-253 pp. 90-91.

241. Palazzo dei Rossi, pp. 84-85.

242. Nella divisione del 17 ottobre 1804, intervenuta fra i tre

fratelli Tommaso, Giulio e Francesco dei Rossi in occasione

della partenza di Giulio come vescovo di Pescia, quest’ultimo

preferì riservarsi il suo “quartiere” al piano terreno

ovest del palazzo, con l’uso delle cantine e “di carrozza”: cfr.

ibidem, pp. 87-88.

243. Ibidem, p. 84 note 232, 233; Taccuino, cc. 28v-29r. Il cornicione

dipinto à trompe-l’oeil “nel muro della nominata Galleria

nel tratto che guarda la strada” era “adorno di pitture

in muro fresco, ideate da Bartolomeo Valiani”. Dovette

trattarsi di un’imitazione dei motivi realizzati in rilievo sul

ricco cornicione che segnava il livello del tetto al secondo

piano del palazzo, ritenuta opportuna per dare un aspetto

consono al resto della facciata anche alla sopraelevazione

con cui fu costruita, al primo piano sul lato ovest, la “galleria

nuova”. Per la tipologia della sua volta, cfr. la nota 107. È

comunque probabile che sopra di essa sia stato eretto anche

uno stanzone al secondo piano (che peraltro rimase privo

dei necessari completamenti all’interno, com’è tuttora), per

arrivare quasi alla quota cui era giunto il corpo di fabbrica

centrale, terminato per volontà del canonico Tommaso, nel

suo aspetto esterno, nel 1794. Sulla sopraelevazione del secondo

piano, sopra la “galleria nuova”, per il momento non

sono state rinvenute notizie. In questa parte del palazzo,

comunque, le finestre hanno un profilo semplice: con coronamento

centinato, ad arco ribassato, al primo piano; di

tipo rettangolare al secondo. Si deduce – considerando che

le omissioni del canonico Tommaso circa le relative notizie

significavano in questo caso che l’opera edilizia era stata

compiuta a spese di Francesco e senza preventivamente

accordarsi col fratello – che Francesco non si fosse preoccupato

di armonizzarne l’aspetto esterno con il resto della

facciata principale del tardo-settecentesco palazzo: evidenziando

così una notevole disparità di vedute tra i due.

Dev’essere stato quindi Tommaso ad ingaggiare un giovane

pittore emergente, anch’egli della cerchia degli artisti di

ambito pucciniano, qual’era Bartolomeo Valiani, per fargli

eseguire l’opera decorativa del “cornicione”, allo scopo di

rendere meno evidente lo stacco. La minore disponibilità

economica tuttavia – su cui potrebbe aver inciso il diniego

di Francesco di partecipare all’adornamento – deve aver

consigliato di ripiegare su tale soluzione, piuttosto che far

eseguire il pezzo mancante del cornicione in materia durevole.

In questa ipotesi, il finto cornicione affrescato lungo

il sottogronda del secondo piano (di cui oggi non è traccia)

farebbe pensare che le finestre del secondo livello in questa

parte aggiunta dovessero essere state in un primo tempo

quadrangolari, come le altre della parte monumentale attigua,

e solo in seguito siano state allungate, per ottenere

più luminosità all’interno, con un intervento al momento

cronologicamente non determinabile. Altrimenti non vi sarebbe

stato spazio sufficiente nel sottotetto per una balza

dipinta pari all’ampiezza del reale “cornicione”. Cfr. anche

la nota 181.

244. Su tali affreschi si rimanda più oltre nel testo e alle note

256-258, 282, 295-296.

245. Il velarium classico, a chiusura di un’apertura circolare

sull’esterno, faceva parte delle figurazioni illusive desunte

dall’antica pittura romana nel genere della “grottesca”. Un

velario finemente decorato, aperto sul cielo, aveva dipinto

Ferdinando Marini in palazzo Puccini, fra 1819 e 1823, sul

soffitto di un “camerino” al secondo piano dell’ala est, affacciato

sul fronte ovest: cfr. L. Gai, Il Palazzo Puccini, cit.,

p. 117. Questo tipo di decorazione aveva, fin dagli anni Settanta

del Settecento, una valenza ‘progressista’ in quanto

anti-barocca e anche nascostamente polemica nei confronti

del ‘trionfalismo’ clericale, nel riferimento alla cultura artistica

‘pagana’. Ne offre un esempio eclatante il ciclo di

nuove decorazioni pittoriche che cambiarono aspetto al secondo

piano del Palazzo Pubblico a Bologna, in precedenza

appartamento privato e di rappresentanza del Cardinal Legato,

divenuto sede del Direttorio esecutivo dopo la pro-

the first room in the east wing, the Sala di Enea, from the

learned and refined artist Pelagio Palagi on the theme of the

Aeneid and Aeneas as an emblem of duty to the Fatherland.

Here, in one of the two panels with a figured central molding,

in the shape of a mandorla, facing one another on the

opposite long sides of the room, the painter had depicted,

on a black ground, Dido on the Pyre, as a companion piece

to the Sleeping Aeneas (ibidem, 247-48, 248 ill. no. 14). Anna

Maria Matteucci rightly points out that the image of Dido

has been linked with Bénigne Gagneraux’s Psyche Carried off

by the Zephyrs by C. Poppi: “Pelagio Palagi pittore,” in Pelagio

Palagi pittore. Dipinti dalle raccolte del Comune di Bologna,

exhibition catalogue ed. C. Poppi (Milan: Electa, 1996), 15-

60: 28-29. In this case, in my view, Gagneraux’s sentimental/

oneiric interpretation of the prototype had been influenced

by the more “powerful” expressive potentialities—poised as

has been said between Eros and Thanatos—of the sculptural

model of the Medici Ariadne/Cleopatra. Filippo Silvestro

has recently drawn attention to other 19th-century copies

of Gagneraux’s Psyche Carried off by the Zephyrs in Emilia: see

F. Silvestro, “Due affreschi inediti di Prospero Minghetti

(Reggio Emilia 1786-1853),” Bollettino storico reggiano, 142

(2010), 135-44.

231. Bénigne Gagneraux, as was pointed out in the previous

note, had come up with a more sentimental and sensual

interpretation, inventing a new image of the feminine

spirit in the grip of an amorous languor and abandoned to

nocturnal dreams, in his picture of Psyche Carried off by the

Zephyrs, a subject he then replicated in an engraving: see

Bénigne Gagneraux (1756-1795): un pittore francese nella Roma

di Pio VI, catalogue of the exhibition at the Galleria Borghese,

Rome, April-June 1983 (Rome: De Luca, 1983), 134-35,

149, 157. Monti’s figure of The Night, which embellishes the

boudoir of Palazzo de’ Rossi, replicates—with even greater

refinement of color—the figure painted by Gagneraux: an

evocation of the slumber into which the bride sinks at night

after the pleasures of the nuptial bed, immersing her in voluptuous

dreams, while Raphaelesque putti support her on

an oneiric flight in which, as if carried by a gentle breeze,

the buxom figure has no longer any weight. And it was a

splendidly “inventive” allusion, harking back to antiquity

and the golden age of the Cinquecento, to the very personal

and intimate bond between the married couple.

232. The reproduction of the image of the original model of

the Ariadne/Cleopatra in reverse in The Night derives from

Gagneraux’s version of it for the Psyche. In this case, the

reversal of the position from left to right was highly appropriate,

given that the source of the natural light that weakly

illuminated the boudoir was from openings on the right,

outside the room, that no longer exist.

233. See I. Gonfiantini (Maya), “Nicola Monti,” BSP, XXX

(1928), 171-86: 178; Sisi, “Niccola Monti,” 100. Monti himself

mentioned the Psyche in Poliantea di Niccola Monti pittore pistojese

(Lucca: Tipografia Bertini, 1829), 38. On the works of

his ‘Polish period’ (1818-21) see R. Giovannelli, “Trattatello

sul nudo di Niccola Monti,” in Labyrinthos, VII-VIII, 13-16

(1989), 397-435: 412-13.

234. See note 221.

235. N. Monti, Il mio studio. Scritto di Niccola Monti pittore pistoiese

(Florence: L. Ciardetti, 1833), 40; see too “Palazzo dei

Rossi,” 102 note 274.

236. The three cornerstones of public order who were probably

responsible for the avoidance of bloody mayhem in

that situation had been Prince Giuseppe Rospigliosi, in his

capacity as de facto representative of the legitimate government

to be restored: Francesco dei Rossi, an authoritative

member of the aristocracy, who had courageously agreed to

take up the post of caretaker maire of the city (and note that

in his reference to that post Monti had even avoided using

the French term, preferring the institutionally legitimate

one of gonfaloniere); and Bishop Francesco Toli (1803-33) as

representative of the Church authorities in Pistoia and its

diocese, who was wont to intervene to calm tempers at the

time of popular uprisings. See, for the episode, note 221 as

well. To the trio was added the figure of Pietro Benvenuti,

Monti’s teacher at the Accademia di Belle Arti, who may

have vouched for his pupil on that occasion, reassuring people

that a work of art was one thing and political allegiance

another. Thanks to the good offices of these people, Monti

must have been forgiven for having painted the hated effigy

of the French emperor and wanted to thank them, in

his own way, by offering them some of his works of art as

a token of gratitude: he dedicated the four lithographs of

the Evangelists to the people directly involved in extricating

him from this dangerous situation. They are now in the

Biblioteca Nazionale Centrale di Firenze, Nuove Accessioni,

Cartella n. 16, at numbers 474 (St. Matthew, dedicated to Pietro

Benvenuti), 475 (St. Luke, dedicated to “Don Giuseppe

Rospigliosi”), 476 (St. John the Evangelist, dedicated to Bishop

Francesco Toli), 477 (St. Mark, dedicated to Francesco

de’ Rossi). The four figures are reproduced, without this

giving this location, in Giovannelli, Memorie di un convalescente,

32-35. The portrait of the legitimate ruler Ferdinand

III, painted in 1824, was commissioned for the municipality

of Pistoia by Francesco de’ Rossi, again “gonfalonier.”

237. On Nicola Monti, the lost picture of Napoleon, his artistic

activity in 1814 and the years immediately afterward (to

which were attributed both the fresco with Cain Cursed by

God for the atrium of the Pistoian basilica of the Madonna

dell’Umiltà, “painted in 1814,” and the Portrait of Ferdinand

III of Lorraine, “datable to between 1814 and 1818”) and on

Monti’s relations with Niccolò Puccini and Girolamo dei

Rossi, see d’Afflitto, “Le arti figurative dal periodo neoclassico,”

295-99. Carlo Sisi dated the Portrait of Ferdinand

III of Lorraine to some time after the restoration in April

1814 and before the painter’s departure for Poland in late

1818 and stressed that it was intended as a replacement for

the Portrait of Napoleon, as if in a deliberate political “recantation”:

see C. Sisi, “Niccola Monti. Ritratto di Ferdinando

III di Lorena,” in Cultura dell’Ottocento a Pistoia, 41-42,

where he did not fail to note the mark with an E on the

grand duke’s throne, something that was placed by Monti

(as a cryptic allusion to the name of the woman he was in

love with, Countess Eleonora Nencini Pandolfini) on what

he considered his most successful paintings. The same E

can be found on the seat in Charles VIII with the Dying Gian

Galeazzo Sforza, a scene painted by Nicola Monti in Palazzo

de’ Rossi in 1828, of which more will be said later. The

theme was replicated in a picture which had been acquired

by Count Kitroff (see “Palazzo dei Rossi,” 103) where my

interpretation of the mark should be amended to take this

into account. Giovannelli, in “Piccolo viaggio,” 131-32: 131,

and Memorie di un convalescente, 38-39, 150-53, dates the commission

of the Portrait of Ferdinand III to February 13, 1824,

by the “gonfalonier” in office Francesco de’ Rossi, on the

basis of the artist’s manuscript memoirs.

238. See Petracchi, “Pistoia dalle riforme leopoldine,” 51-52.

I do not think there is sufficient evidence to back up Renato

Risaliti’s claim that Nicola Monti had become a member

of the Carbonari: see R. Risaliti, “Nicola Monti, un pittore

piccolo piccolo, agente dello zar e carbonaro,” in Intellettuali

pistoiesi nell’Impero Russo (Russia, Lituania, Polonia) (Florence:

Centro Stampa “Toscana Nuova 2,” 2009), 39-42, 122-158.

239. “Palazzo dei Rossi,” 91; BCF, Rossi, 21, f. 169 v ; ASP,

Catasto granducale, 150, Giustificazioni di volture di Porta al

Borgo, 1828, no. 121, March 14 ,1827.

240. “Palazzo dei Rossi,” 90 and 90-91, notes 251-53.

241. Ibidem, 84-85.

242. In the division of the property between the three

brothers Tommaso, Giulio and Francesco dei Rossi that

took place on October 17, 1804, on the occasion of Giulio’s

departure for Pescia, the latter preferred to keep his “quarters”

on the ground floor of the west side of the building,

along with the use of the cellar and “of the carriage”: see

ibidem, 87-88.

243. Ibidem, 84 notes 232-33; Taccuino, ff. 28 v -29 r . The trompel’oeil

molding painted “on the wall of said Gallery in the section

that faces onto the street” was “adorned with fresco

paintings, designed by Bartolomeo Valiani.” This must have

been in imitation of the motifs sculpted in relief on the rich

cornice that marked the level of the roof on the third floor

of the building, considered necessary to give an appearance

in keeping with the rest of the façade to the added story of

the “new gallery” built onto the second floor on the west

side, For the type of vaulting used, see note 107. In any case

it is likely that a large room was also built above it on the

third floor (but whose interior was left unfinished, as it still

is today), to arrive at almost the same height as the central

block, whose external appearance was completed on the orders

of Canon Tommaso in 1794. On the raising of the third

floor, above the “new gallery,” no information has been uncovered

up to now. In this part of the building, however, the

windows have a simple profile: with a curved crown, in the

shape of a flat arch, on the second floor and rectangular on

the third. It can be deduced—in consideration of the fact

that Canon Tommaso’s omission of information on the subject

signified that in this case the work had been carried out

at the expense of Francesco and without any prior agreement

with his brother—that Francesco had not taken the

trouble to harmonize its external appearance with the rest

of the main façade of the late 18th-century building: this

hints at a notable disparity of views between the two. So it

must have been Tommaso who hired a young and promising

painter, another member of the circle of artists around

Puccini, like Bartolomeo Valiani, to do the decorative work

of the “cornice” with the aim of making the difference less

obvious. However, the reduced amount of funds available—

in which Francesco’s refusal to contribute to the adornment

may have played a part—must have made it necessary to fall

back on this solution, instead of having the missing piece of

the molding made from durable material. In this hypothesis,

the mock cornice frescoed under the eaves of the third

floor (of which no trace remains today) suggests that the

windows of the second level in this added part must have

once been quadrangular in shape, like the others of the adjoining

monumental section, and only later were elongated

to let more light into the building, an intervention whose

date cannot be ascertained at the moment. Otherwise

there would not have been sufficient space underneath the

eaves for a painted frieze of the same width as the real “cornice.”

See too note 181.

244. On these frescoes see further on in the text and notes

256-58, 282 and 295-96.

245. The classical velarium, used to close a circular opening

on the outside, was part of the illusory representations derived

from the “grotesque” genre of ancient Roman painting.

Ferdinando Marini had painted a finely decorated velarium,

opening onto the sky, in Palazzo Puccini between 1819 and

1823, on the ceiling of a small room on the third floor of the

east wing, facing onto the west front: see Gai, Il Palazzo Puccini,

117. Since the 1770s this kind of decoration had acquired

a “progressive” value in so far as it was anti-baroque and even

covertly critical with regard to clerical “triumphalism” in its

reference to “pagan” artistic culture. A striking example of

this is provided by the cycle of new pictorial decorations

that changed their appearance on the third floor of the Palazzo

Pubblico in Bologna, previously the private apartment

154

155



clamazione, nel 1797, della Repubblica Cispadana. Ivi, sulla

volta della terza sala, il pittore-decoratore Serafino Barozzi

dipinse uno splendido velario, attualizzandone il motivo decorativo:

cfr. F. Lui, Palazzo Pubblico in Piazza Maggiore a Bologna,

in A. M. Matteucci, I decoratori di formazione bolognese,

cit., pp. 394-397: 394, ill. 212. Tale tipologia ornamentale

era divenuta di moda nella Parigi del Direttorio e si riferiva

alle ideologie giacobine. Per Pistoia, il pittore pistoiese

Giuseppe Valiani (1731-1800), di formazione bolognese, zio

di Bartolomeo Valiani e attivo anche nello stesso Palazzo

Pubblico di Bologna (cfr. F. Lui, Palazzo Pubblico, cit., p.

396), forse poté essere tramite, in patria, di questo particolare

significato del motivo decorativo: con allusione ad

ideologie anti-aristocratiche, anti-clericali e talvolta anche

massoniche. Non a caso lo stesso Niccolò Puccini avrebbe

fatto dipingere una stanza, destinata alle segrete riunioni

dei suoi sodali, di tipo progressista e massonico, nella sua

villa di Scornio, col motivo della “Tenda cispadana”: fu Luigi

Sabatelli con il figlio Luigi che vi realizzò la suggestiva Stanza

della Tenda Romana nel più tardo 1840: cfr. L. Dominici,

Gli affreschi del Villone di Scornio, cit., pp. 51-52, ill. tav. XIV.

È significativo, comunque, che le nuove decorazioni “alla

pompeiana” siano entrate a Pistoia molto più tardi che a Firenze

e Bologna, dov’erano attestate già dagli anni Settanta

del secolo XVIII, come innovazioni (non ‘neutre’) contro

l’armamentario figurativo e concettuale dell’ancien régime.

Per la Villa di Poggio Imperiale, la cui decorazione d’interni

fu mutata per decisione del granduca riformatore Pietro

Leopoldo, cfr. O. Panichi, Il rinnovamento dell’architettura e

della decorazione di interni a Firenze nell’età leopoldina, in Florence

et la France. Rapports sous la Révolution et l’Empire, Atti del

Convegno (Firenze, 2-4 giugno 1977), Firenze-Paris, Centro

Di-Ediart Quatre-Chemins, 1979, pp. 15-37.

246. La vita militare condotta in gioventù come cavaliere

di Santo Stefano aveva fatto divenire Francesco un buon

cavallerizzo e un appassionato di cavalli, fino a ‘collezionarli’:

cfr. Palazzo dei Rossi, p. 96 nota 261; BCF, Rossi, 26, c.

52v (=165v), con osservazioni critiche (del 1794) da parte del

canonico Tommaso su questa dispendiosa passione. È possibile,

comunque, che le immagini dei cavallini scalpitanti

e ‘senza freno’ facciano parte dell’adeguamento figurativo

della sala “a grottesche”, come allegoria (ben nota dal Medioevo)

dell’Indisciplina, da sottoporre ai rigori delle leggi e

della Giustizia.

247. L’ideazione di Luigi Catani delle “grottesche” dipinte

sui peducci della volta e sulle porte della Camera della Badessa

nel Conservatorio di San Clemente a Prato, nel 1786,

si rivela di grande raffinatezza anche nelle ‘citazioni’ antiquarie:

cfr. C. Morandi, Luigi Catani, cit., pp. 20-23: ill. n.

4 p. 23 per il particolare segnalato, cui pare ispirarsi la più

tarda decorazione nella volta della “galleria nuova” in palazzo

de’ Rossi. Le nugae ornamentali di tale ambiente pratese,

con deliziose figurine da ‘collezionista’ ancora memori delle

pitture raffaellesche d’ornamento nelle Logge Vaticane, sarebbero

state ulteriormente elaborate da Luigi Catani poco

più tardi, con l’inclusione di finti medaglioni e gemme antiche,

come attesta la porta dipinta nella Sala dell’Aurora del

Conservatorio di San Niccolò (1787) e l’analoga nello Studio

del Vescovo nel Palazzo vescovile, sempre a Prato (1786-

1789): ibidem, pp. 22-28. La qualità artistica di queste prove

valse a Luigi Catani, com’è noto, commissioni importanti

anche a Pistoia: l’incarico di dipingere un Parnaso in una delle

sale dell’Accademia degli Armonici nel 1788 (ibidem, p. 28)

e l’ulteriore commissione da parte del vescovo Scipione de’

Ricci di decorare il suo nuovo palazzo episcopale a Pistoia.

Occorre comunque riflettere, come già osservato, sulla

qualità consapevolmente non ‘neutra’, dal punto di vista illustrativo

e ideologico, del riarredo pittorico a “grottesche”

(di riferimento paganeggiante) di ambienti che erano stati

monastici o comunque sede di comunità di vita regolare,

quali San Clemente e San Niccolò a Prato. Si trattava, a mio

avviso, di un recupero intenzionale della valenza ‘civile’ del

mondo classico pagano, da contrapporre alle chiusure oscurantiste

che si presupponevano proprie della vita conventuale

e monastica, specialmente femminile.

248. All’argomento è dedicata un’ampia letteratura storiografia

e artistica. In questa occasione, si preferisce fare riferimento

solo alle chiare pagine di A.M. Matteucci, Figuristi,

quadraturisti, ornatisti, cit., pp. 27-30, dove è delineato, per

l’ambiente bolognese, quanto accadde anche altrove e in

Toscana, col subentrare del gusto archeologizzante di origine

romana – prevalentemente dovuto alla ri-frequentazione

della Domus Aurea ed ai nuovi scavi compiuti sotto il pontificato

di Pio VI Braschi – alla decorazione detta “alla raffaella”.

249. Ne è esempio la decorazione “a grottesche” realizzata,

dopo il 1858, da Pietro Pezzati ed Eustachio Turchini sulla

volta della sala destinata allora come Galleria Comunale nel

Palazzo Pubblico a Prato (oggi sala del sindaco): cfr. F. Nenci,

Gaetano Guasti: un erudito dimenticato, in “Prato storia e

arte”, 110, dicembre 2011, pp. 93-107: 95-97, ill. n. 4 p. 97. Si

veda anche, in proposito, la nota 251.

250. Devo questa notizia a Claudia Becarelli, che ringrazio.

Ferdinando Marini, figlio di Luigi, risulta morto l’8 novembre

1863: cfr. ASP, Catasto, n. 71, 1864, Arroti di volture, n.

72, Voltura di varie frazioni di proprietà a favore di Giosuè,

Torello e Daniele di Luigi Marini, eredi del defunto Ferdinando

loro fratello. Non è stata per il momento rintracciata

la data di nascita di Ferdinando.

251. Cenni all’attività e alla biografia del pittore-decoratore,

non ancora studiato per quanto noto all’epoca, sono in C.

Becarelli, L. Di Zanni, Il palazzo e la famiglia Rossi Cassigoli,

cit., pp. 69-70 nota 140. Era figlio di un ciabattino di Porta

al Borgo di Pistoia; le notizie sulla sua attività comprendo-

no il periodo 1818-1859. Giuseppe Tigri, Pistoia e il suo territorio,

cit., pp. 328-329, segnalava l’attività di Ferdinando Marini

come pittore-decoratore, ma anche ideatore di forme

architettoniche ispirate al revival gotico del romanticismo:

come nella villa Fabroni, allora Caselli, a Celle. Ristrutturata

per volere di Carlo Fabroni su disegno dell’architetto

Manetti, e di nuovo riconfigurata dall’ultimo proprietario,

la villa fu allora decorata all’interno anche con “grottesche”

di Ferdinando Marini. L’artista contribuì alla trasformazione

dell’annesso parco in giardino romantico, che era stato

arricchito con “fabbriche d’ornamento”; fra queste Marini

aveva disegnato e ornato con pitture la Fonte gotica. Sui dipinti

di Ferdinando Marini a Celle cfr. anche F. Ceccanti,

“La casa ove nel 10 giugno 1799...”, cit., p. 79 nota 67. Peraltro,

lo stesso artista risulta impegnato con Bartolomeo Valiani

nella decorazione all’interno del Castello Gotico nel parco

di Scornio, fra 1826 e 1830: cfr. G. Bonacchi Gazzarrini, Fabbriche

pittoresche, feste e simulacri nel parco romantico di Scornio,

in Le dimore di Pistoia, cit., pp. 91-101: 92 fig. 3, pp. 98-99.

Ferdinando Marini pare essere stato attivo anche a Monsummano,

alla decorazione degli interni di casa Giusti. Cfr.

C. Sisi, Casa Giusti: decorazioni di un interno borghese, in Casa

Giusti. Decorazioni, documenti, restauri, a cura di A. Calvani

e F. Gurrieri, Monsummano Terme, 1984, pp. 11-26 : 21; I.

Ciseri, Il Museo Nazionale di Casa Giusti: curiosità da tempi lontani,

in Piccolo viaggio al centro della Toscana, cit., pp. 107-117 :

117; nell’appartamento al secondo piano, un tempo abitato

dallo zio di Giuseppe Giusti, Giovacchino, morto nel 1843,

“un ciclo più uniforme di pitture mostra [...] il riflesso di

una tradizione in voga nella prima metà del secolo, fatta di

decorazioni a grottesca, medaglioni con figurine mitologiche

o delicate scene di paesaggio [...]”.

Ad alcune altre notizie note su Ferdinando Martini si aggiungono

altre inedite: ma non ritengo sia opportuno in

questa occasione fornire un dossier completo sull’artista.

252. Palazzo dei Rossi, pp. 90, 99 nota 266.

253. Sulle pareti della prima stanza, corrispondente all’originario

ingresso al “quartiere” ovest al primo piano, erano

dipinti quadri con paesaggi à trompe-l’oeil (di cui è stato

trattato in precedenza); al sommo delle porte interne, da

cui il canonico Giulio aveva fatto togliere i tardo-barocchi

ornamenti in stucco a rilievo nel 1799, erano dipinte finte

trabeazioni con cornici piane di tipo classico, anch’esse

recuperate nell’ultimo restauro: cfr. comunque anche le

considerazioni in relazione alla nota 177. La riemersione da

sotto l’intonaco di tale stratificazione pittorica ha portato

attualmente alla disarmonica coesistenza di due diversi

modi, non coevi, di concepire l’arredo decorativo interno,

come è stato già osservato. Della fase 1828 sussistono tuttora

sul soffitto il riquadro dipinto da Nicola Monti con il Pier

Capponi, la ricca incorniciatura complementare dipinta da

Ferdinando Marini e anche, di quest’ultimo, il lambrì o zoccolo

decorativo in basso sulle pareti. A causa della scelta restaurativa

sopra indicata, non è possibile conoscere il modo

in cui erano state dipinte nel 1828 le pareti della stanza.

Migliore risulta invece la situazione nell’ambiente attiguo,

accanto alla “galleria nuova”. Ivi ricche decorazioni d’incorniciatura,

opera anche qui di Ferdinando Marini, intorno

al “quadro” dipinto da Nicola Monti con il Gian Galeazzo

Sforza morente, risultano ora completate, nell’effetto finale

progettato fin dal principio, col recupero del finto panno

a righe verticali gialle e rosso-arancio (i colori araldici del

blasone dei Rossi)che ricopriva illusivamente le pareti, con

l’originaria balza in basso. Un discorso a parte, più analitico,

meriterebbe l’ornato ideato da Ferdinando Marini intorno

ai due “quadri” di Monti nelle due stanze, in cui il primo

fece sfoggio, anche eccessivo, di bravura tecnica, dimensionando

i suoi decori in una scala troppo grande rispetto alla

scena principale, dando motivo anche per questo – come

credo – al rammarico di Monti: cfr. la nota 267. Tali scelte

ovviamente non potevano che essere autorizzate dal committente,

Girolamo de’ Rossi, più propenso forse a sottolineature

contenutistiche e formali più appariscenti. Il risultato

finale della decorazione complessiva delle due stanze

nel 1828 segna l’affermarsi, a mio avviso, di Girolamo sulle

diverse vedute artistiche del padre. È l’anno in cui si era

consumata la definitiva separazione fra i due, anche con la

commissione della nuova residenza di Girolamo e della sua

famiglia, la palazzina progettata dall’architetto Alessandro

Gherardesca, da costruire accanto al tardo-settecentesco

palazzo avìto.

254. Alessandro Manzoni (1785-1873) era uno dei letterati

cui Niccolò Puccini e la sua cerchia prestavano attenzione

per le tematiche che trattava. Il suo storicismo di tipo

romantico era espresso in varie opere: fra il 1820 e il 1822

componeva l’Adelchi, cui si aggiungeva il Discorso sopra alcuni

punti della storia longobardica in Italia, del 1822; sono coevi gli

inni del Cinque Maggio e del Marzo 1821, insieme con i cori

dell’Adelchi, in cui si esprime la profonda riflessione manzoniana

sulla storia e sul destino dei popoli e dei grandi personaggi

del passato e del presente.

255. In quegli anni gli intellettuali ‘patriottici’ a Pistoia, riuniti

periodicamente nelle Accademie, volgevano i loro interessi

dall’antichità greco-romana (come metafora dei valori

eterni che dovevano formare ogni ‘cittadino’) ai più concreti

esempi della storia italiana medioevale e rinascimentale,

fra i quali larga parte avevano le tematiche anti-tiranniche,

anche nelle coeve commissioni e nelle opere pittoriche dei

principali esponenti della cultura artistica accademica.

256. I due dipinti furono eseguiti da Nicola Monti nell’estate

del 1828. Da una lettera del pittore a Niccolò Puccini del

10 (o 11) febbraio di quell’anno risulta che il primo aveva

già in programma di recarsi nel successivo mese di giugno a

dipingere “a Casa Rossi”: nel chiedere un prestito all’illustre

and reception rooms of the Cardinal Legate, made the seat

of the Executive Directorate after the proclamation of the

Cispadane Republic in 1797. Here the painter-decorator Serafino

Barozzi painted a splendid velarium on the ceiling of

the third room, bringing its decorative motif up to date: see

F. Lui, “Palazzo Pubblico in Piazza Maggiore a Bologna,” in

Matteucci, I decoratori di formazione bolognese, 394-97: 394, ill.

212. This type of ornamentation had become fashionable in

the Paris of the Directoire and drew on Jacobin ideologies.

The Pistoian painter Giuseppe Valiani (1731-1800), trained

in Bologna, the uncle of Bartolomeo Valiani and also active

in Bologna’s Palazzo Pubblico (see Lui, “Palazzo Pubblico,”

396), may have been the one who brought this particular significance

of the decorative motif to Pistoia: with its allusion

to anti-aristocratic, anticlerical and sometimes even Masonic

ideologies. It is no coincidence that Niccolò Puccini had

a room in his Villa di Scornio, used for secret meetings of his

society, of a progressive and Masonic character, painted with

the motif of the Tenda cispadana, or “Cispadane Tent”: it was

Luigi Sabatelli and his son, also called Luigi, who created the

evocative Room of the Roman Tent there later, in 1840: see

L. Dominici, “Gli affreschi del Villone di Scornio,” 51-52, pl.

XIV. It is significant, however, that the new decorations “in

the Pompeiian manner” appeared in Pistoia much later than

in Florence and Bologna, where they had already been introduced

in the 1770s, as innovations (and not “neutral” ones)

in contrast to the figurative and conceptual arsenal of the

ancien régime. For the Villa di Poggio Imperiale, whose interior

decoration was altered at the behest of the reformist

grand duke Peter Leopold, see O. Panichi, “Il rinnovamento

dell’architettura e della decorazione di interni a Firenze

nell’età leopoldina,” in Florence et la France. Rapports sous la

Révolution et l’Empire, proceedings of the convention held in

Florence, June 2-4, 1977 (Florence-Paris: Center Di-Ediart

Quatre-Chemins, 1979), 15-37.

246. The time he spent in the military in his youth as a

knight of Saint Stephen had turned Francesco into an excellent

rider and lover of horses, to the point where he became

a “collector” of them: see “Palazzo dei Rossi,” 96 note

261; BCF, Rossi, 26, f. 52 v (=165 v ), with critical remarks (from

1794) by Canon Tommaso on the subject of this expensive

enthusiasm.

247. Luigi Catani’s conception of the “grotesques” painted

on the corbels of the vault and the doors of the Stanza della

Badessa in the Conservatorio di San Clemente at Prato in

1786 was of great refinement even in its antiquarian “citations”:

see Morandi, “Luigi Catani,” 20-23: 23, ill. no. 4, for

the detail in question, from which the later decoration on

the vault of the “new gallery” in Palazzo de’ Rossi seems

to have taken its inspiration. The ornamental nugae of the

room in Prato, with their delightful “collector’s” figurines

still reminiscent of Raphael’s ornamental paintings in the

Vatican Logge, would be further elaborated by Luigi Catani

slightly later, with the inclusion of mock medallions and antique

gems, as on the painted door of the Sala dell’Aurora

in the Conservatorio di San Niccolò (1787) and the similar

one in the Studio del Vescovo of the Bishop’s Palace,

again in Prato (1786-89): ibidem, 22-28. The artistic quality

of these works earned Luigi Catani, as is known, important

commissions in Pistoia too: the painting of a Parnassus in

one of the rooms of the Accademia degli Armonici in 1788

(ibidem, 28) and another commission from Bishop Scipione

de’ Ricci to decorate his new palace in Pistoia. In any case

it is necessary to reflect, as has already been pointed out,

on the deliberately non “neutral,” from the illustrative and

ideological viewpoint, quality of the redecoration with

“grotesques” (referring to paganism) of rooms that had once

been monastic or at any rate used by communities that followed

monastic rules, such as San Clemente and San Niccolò

in Prato. It was, in my opinion, an intentional harking

back to the “civil” values of the classical pagan world, to

be contrasted with the obscurantist isolation that was presumed

to be typical of life in monasteries and especially in

nunneries.

248. There is an extensive historical and artistic literature

on the subject. Here we prefer to refer the reader solely to

A.M. Matteucci’s clear outline in “Figuristi, quadraturisti,

ornatisti,” 27-30, of what happened in Bolognese circles, as

well as in Tuscany and elsewhere, under the influence of the

archeological taste of Roman origin—largely due to a revival

of interest in the Domus Aurea and the new excavations

carried out under the pontificate of Pius VI Braschi—to

the style of decoration known as “Raphaelesque.”

249. An example is the decoration “with grotesques” painted,

after 1858, by Pietro Pezzati and Eustachio Turchini on

the ceiling of the room used at the time as the Municipal

Gallery in the Palazzo Pubblico in Prato (now the mayor’s

room): see F. Nenci, “Gaetano Guasti: un erudito dimenticato,”

Prato storia e arte, 110 (December 2011), 93-107: 95-97,

97, ill. no. 4. See too, in this connection, note 251.

250. I owe this information to Claudia Becarelli, whom I

thank. Ferdinando Marini, son of Luigi, died on November

8, 1863: see ASP, Catasto, no. 71, 1864, Arroti di volture, no.

72, Registration of a transfer deed for various fractions of

property in favor of Giosuè, Torello and Daniele di Luigi

Marini, heirs of their deceased brother Ferdinando. For the

moment the date of Ferdinando’s birth has not been traced.

251. References to the activity and biography of the painter-decorator,

not yet studied despite being well-known at

the time, can be found in Becarelli and Di Zanni, “Il palazzo

e la famiglia Rossi Cassigoli,” 69-70 note 140. He was

the son of a cobbler living at Porta al Borgo in Pistoia; the

information on his activity covers the period from 1818

to 1859. Giuseppe Tigri, in Pistoia e il suo territorio, 328-29,

speaks of Ferdinando Marini’s activity as a painter-decorator,

but also as an inventor of architectural forms inspired

by the Gothic revival of early Romanticism: as in Villa

Fabroni, then Caselli, at Celle. Renovated at the behest

of Carlo Fabroni to a design by the architect Manetti, and

refurbished again by its latest owner, the interior of the

villa was decorated with “grotesques” at the time by Ferdinando

Marini. The artist contributed to the transformation

of the grounds into a garden in the Romantic style,

which had been embellished with “ornamental structures”;

among these Marini had designed a Gothic Fountain and

adorned it with paintings. On Ferdinando Marini’s paintings

at Celle see too F. Ceccanti, “‘La casa ove nel 10 giugno

1799...,’” 79 note 67. Moreover, the same artist worked with

Bartolomeo Valiani on the decoration of the interior of the

Gothic Castle in the park of the Villa di Scornio between

1826 and 1830: see G. Bonacchi Gazzarrini, “Fabbriche pittoresche,

feste e simulacri nel parco romantico di Scornio,”

in Le dimore di Pistoia, 91-101: 92 fig. 3, 98-99. Ferdinando

Marini seems also to have been active at Monsummano, on

the decoration of the interiors of Casa Giusti. See C. Sisi,

“Casa Giusti: decorazioni di un interno borghese,” in Casa

Giusti. Decorazioni, documenti, restauri, ed A. Calvani and F.

Gurrieri (Monsummano Terme, 1984), 11-26: 21; I. Ciseri,

“Il Museo Nazionale di Casa Giusti: curiosità da tempi

lontani,” in Piccolo viaggio al centro della Toscana, 107-17:

117; in the apartment on the third floor, once occupied by

Giuseppe Giusti’s uncle Giovacchino, who died in 1843, “a

more uniform cycle of paintings reflects [...] the tradition in

vogue in the first half of the century, consisting of grotesque

decorations, medallions with small mythological figures or

delicate landscapes [...]”.

There is additional information on Ferdinando Marini,

some of it unpublished, but I do not think this is the place

to present a complete dossier on the artist.

252. “Palazzo dei Rossi,” 90, 99 note 266.

253. On the walls of the first room, corresponding to the

original entrance to the western “quarters” on the second

floor, were painted pictures of trompe-l’oeil landscapes

(which have already been described); at the top of the inner

doors, from which Canon Giulio had had the late-baroque

stucco ornaments in relief removed in 1799, were painted

mock entablatures with flat moldings of the classical type,

also brought back to light in the most recent restoration:

see, however, the observations on this in note 177. The reemergence

of this layer of paint from under the plaster has

led to a clash between two different, and not contemporary,

manners of interior decoration, as has already been pointed

out. Still visible from the 1828 phase on the ceiling are the

panel painted by Nicola Monti with a picture of Piero Capponi,

the rich complementary frame painted by Ferdinando

Marini and, again by Marini, the dado or decorative base

running along the bottom of the walls. As a result of the

aforementioned choice made during the restoration, it is

not possible to tell how the walls of the room had been

painted in 1828. The situation is better in the adjoining

room, next to the “new gallery.” Here the rich decorative

framings, again the work of Ferdinando Marini, around the

“picture” of the Dying Gian Galeazzo Sforza painted by Nicola

Monti, have now been completed, with the final effect

that had been planned from the outset, with the restoration

of the mock cloth covering of the walls with vertical yellow

and reddish-orange stripes, together with the original

flounce at the bottom. Worthy of a separate, more analytical

discussion, is the ornamentation conceived by Ferdinando

Marini around two of Monti’s “pictures” in the two

rooms, in which he made too much of a display of his technical

skills, giving his decorations a disproportionately large

scale with respect to the main scene, and thereby providing

another motivation—I believe—for Monti’s complaint: see

note 267. Obviously such choices must have been authorized

by the client Girolamo de’ Rossi, perhaps inclined to a

more marked and ostentatious emphasizing of content and

form. The end result of the overall decoration of the two

rooms in 1828 indicates, in my opinion, the predominance

of Girolamo over the artistic sensibilities of his father. This

was the year which saw the definitive separation of the two

men, with the commission of the new residence for Girolamo

and his family, the smaller building designed by the

architect Alessandro Gherardesca, to be constructed next

to the late 18th-century ancestral residence.

254. Alessandro Manzoni (1785-1873) was one of the writers

to whom Niccolò Puccini and his circle paid attention for

the subjects he tackled. His historicism of a Romantic character

found expression in various works: between 1820 and

1822 he wrote Adelchi, to which he added the essay entitled

Discorso sopra alcuni punti della storia longobardica in Italia in

1822. Around the same time he published Il cinque maggio

and Marzo 1821 which, along with the choruses of Adelchi,

express Manzoni’s profound reflection on the history and

destiny of the peoples and the great figures of the past and

the present.

255. In those years the focus of the interest of “patriotic” intellectuals

in Pistoia, meeting periodically in the academies,

shifted from Greco-Roman antiquity (as metaphor for the

eternal values that should mold any “citizen”) to more concrete

examples from the Italian history of the Middle Ages

and Renaissance, in which the theme of the struggle against

tyranny played a large part, including in the contemporary

commissions and pictorial works of the principal exponents

of academic artistic culture.

256. The two paintings were executed by Nicola Monti in

the summer of 1828. From a letter written by the painter

to Niccolò Puccini on February 10 (or 11) of that year we

156

157



mecenate, Monti assicurava appunto che l’avrebbe restituito

quando fosse venuto a Pistoia per l’occasione indicata:

cfr. BCF, Raccolta Puccini, Corrispondenza a Niccolò Puccini,

Cass. XVII, Nicola Monti, 5, Firenze, 10 (o 11) febbraio 1828.

Nello stesso mese di febbraio 1828 Monti, alla ricerca di

facoltosi committenti, aveva preso contatto a Pescia con

Camilla Lucchesini, vedova da poco di Agostino Magnani:

ottenendo commissioni artistiche in tale centro nei palazzi

Sainati e Magnani. In quest’ultimo avrebbe dipinto Storie

di Buondelmonte de’ Buondelmonti, tema caro alla pittura di

storia romantica: cfr. E. Pellegrini, Storia d’immagini e immagini

di una storia, in Pescia, città tra confini in terra di Toscana,

a cura di A. Spicciani, Cinisello Balsamo (Milano), Silvana

Editoriale/Cassa di Risparmio di Pistoia e Pescia, 2006, pp.

157-237: 227. Sugli affreschi pesciatini eseguiti da Monti fra

1828 e 1829 cfr. ora R. Giovannelli, Piccolo viaggio, cit., pp.

120-121; Idem, Memorie di un convalescente, cit., pp. 41-45, 176

n. 26. Nella scena del Pier Capponi, affidata all’accurata rievocazione

di costumi e ambienti ‘quattrocenteschi’ e allo

studio delle armature del periodo, il celebre episodio della

storia fiorentina (che aveva portato alla cacciata dei Medici,

troppo proni per ignavia ai desideri dell’invasore, il re di

Francia Carlo VIII, contro gli interessi della “patria”) viene

risolto a freddo, come in un teatrino, e i sentimenti risultano

affidati all’animato gesticolare dei protagonisti, mentre

fra gli astanti si possono individuare ritratti di contemporanei.

La firma del pittore e la data del 1828 sono vergate di

suo pugno alla base della colonna in primo piano a destra.

La committenza del dipinto, sicuramente da riferire a Girolamo

dei Rossi, è attestata intenzionalmente dalla presenza

del suo nuovo stemma, quello partito con i Magnani (il casato

della moglie Luisa), che compare sulla testata della muraglia

sulla destra. Esso risulta aver sostituito uno stemma

“a scudo” dei Rossi, che affiora poco al di sotto. Lo stesso

stemma dei Rossi-Magnani, rilevato in terracotta e un tempo

dipinto, si trova tuttora entro la lunetta di coronamento

della porta-finestra centrale, al primo piano, dell’attigua palazzina

progettata per la coppia da Alessandro Gherardesca

nel 1828: sulla quale cfr. più oltre la nota 276. L’evento storico,

rimasto a lungo anche nelle tradizioni orali del popolo

fiorentino, poco dopo sarebbe stato presentato in chiave

proto-risorgimentale da Emanuele Repetti: cfr. E. Repetti,

Dizionario geografico, fisico, storico della Toscana, Firenze,

Tofani, 1835, vol. II, pp. 193-194. Il tema trattato, tuttavia,

suggerisce a mio avviso anche l’esistenza, allora, di una divergenza

ideologica del figlio rispetto al padre Francesco,

fedele funzionario granducale: e anche la differenziazione

mediante lo stemma evocato pittoricamente pare indicarlo.

La scena significava in sostanza che dalla parte del ‘giusto’

non era chi mostrava fedeltà cieca al suo sovrano ma invece

chi – come a fine Quattrocento Pier Capponi – perseguiva

col potere di rappresentanza a lui conferito unicamente il

bene del suo popolo. Perché anche i granduchi possono tradire

quel bene, o non volerlo o saperlo attuare. La Giustizia,

come tema ideale diversamente declinato da Francesco e da

Girolamo, era soggetto ripetuto nelle stanze dove i due, con

le rispettive famiglie, ancora abitavano insieme: al centro

del soffitto della “galleria nuova” decorato “a grottesche” sul

lato ovest del primo piano del palazzo de’ Rossi, e ancora al

colmo della volta della stanza d’ingresso all’appartamento

nobiliare a levante: dipintavi nel 1824 da Bartolomeo Valiani.

L’altra scena affrescata da Monti, con L’agonia di Gian

Galeazzo Sforza dinanzi a Carlo VIII, risulta artisticamente

meglio riuscita perché animata da un sottile, mesto pathos

e dall’austera riflessione sul memento mori che anche i potenti

devono affrontare. Vi si trova infatti il contrassegno

della iniziale E, disegnata à trompe-l’oeil, come fosse incisa

nel legno, alla base del bracciolo del seggio sul quale è assiso

Carlo VIII (sul significato di questo contrassegno, usato dal

pittore per indicare opere che riteneva ben riuscite, cfr. la

nota 237). Anche qui, il pittore ha esercitato la sua abilità

nell’evocare fattezze di personaggi contemporanei noti,

come partecipi dell’episodio storico, quasi a volerlo rendere

attualizzabile di nuovo nella coscienza dei testimoni del suo

tempo. La firma del pittore, in questo affresco, è vergata

con la data del 1828 all’estremità in basso a destra della scena,

entro una lista del pavimento marmoreo.

257. Palazzo dei Rossi, p. 99 nota 266.

258. Sul dipinto di Giuseppe Bezzuoli del 1831 cfr. più oltre

le note 295-296. Qui piuttosto pare opportuno osservare

come, anche in questo caso, l’ornato eseguito da Ferdinando

Marini appaia sovrabbondante e addirittura composto

da generi decorativi disparati: finti pannelli a bassorilievo

imitanti il marmo, a girali classici e strumenti musicali;

lunghe balze con figure di sfingi desunte dal genere delle

“grottesche”; zone angolari con tralci fioriti su fondo nero;

altre fasce di riempitivo, dato che il formato del riquadro

con La Danza non bastava a ricoprire l’intera superficie disponibile

del soffitto. Questo vero e proprio accumulo ornamentale

disturba e sminuisce la scena principale. Anche

in questo caso, quindi, dobbiamo presupporre che sia stato

Girolamo, come committente, a dare carta bianca al Marini,

dimostrando scarsa sensibilità rispetto alla necessaria

coerenza dell’insieme, in cui la decorazione d’incorniciatura

non doveva soverchiare il soggetto figurativo principale.

259. G. Tigri, Pistoia e il suo territorio, cit., pp. 174-175: 175.

260. Biblioteca Nazionale Centrale di Firenze, Fondo Rossi

Cassigoli, Misc. 14, ins. III, cc. 773 e 775: indirizzo a c.

775v, “Al Chiarissimo e Illustre Sig.e abate Giuseppe Tigri,

S.P.M.”; testo della lettera a c. 773r, in data 10 gennaio 1854 a

firma di Ferdinando Marini. Devo alla generosità di Claudia

Becarelli di aver potuto conoscere l’importante documento

inedito.

261. Cfr. le note 181 e 243. È comunque evidente che l’arredo

pittorico di completamento della “galleria nuova” non poteva

che essere attuato poco dopo la costruzione di tale vano,

che solo così poteva essere abitabile, secondo i concetti del

tempo.

262. Le notizie di cui disponiamo fanno pensare ad una

decisione presa da Nicola Monti di allontanarsi temporaneamente

dall’ambiente locale, comunque insicuro fino a

che la situazione politica non si fosse definita stabilmente

a favore del governo granducale legittimo. Non va dimenticato

che il 2 aprile 1814 il Senato parigino aveva dichiarato

la decadenza di Napoleone, restaurando la monarchia nella

persona di Luigi XVIII. L’imperatore il seguente 6 aprile

aveva abdicato e, con il Trattato di Fontainebleau dell’11 di

quel mese, era andato in esilio all’isola d’Elba. Il nuovo assetto

europeo era stato stabilito con il Congresso di Vienna

del primo novembre 1814, ma l’avventura napoleonica del

“Cento giorni” (21 marzo-22 giugno 1815) aveva rimesso in

forse la situazione generale: fino alla nuova e definitiva abdicazione

di Napoleone il 22 giugno di quell’anno e alla ricostituzione

dei vari stati nazionali. Sulla situazione di Nicola

Monti nel 1814 cfr. la nota 237.

263. Cfr. la nota 239.

264. La corretta attribuzione del quadro a Teodoro Matteini

si deve a C. d’Afflitto, Le arti figurative dal periodo neoclassico,

cit. p. 293 e fig. 3 p. 294. Cfr. anche N. Gori Bucci, Il

pittore Teodoro Matteini, cit., pp. 9, 142-143, 175, ill. p. 373 n.

16. L’opera era stata eseguita dal pittore nel 1780, durante il

suo perfezionamento nella pittura a Roma.

265. L’attribuzione del rimaneggiamento di questa volta decorata

a “grottesche” (da Nicola Monti), con la figura della

Giustizia per mano di Ferdinando Marini, presumibilmente

nel 1815, deriva dalle affermazioni stesse di quest’ulti mo

– peraltro né dettagliate né esplicite – come si legge nella

sua lettera del 10 gennaio 1854 a Giuseppe Tigri: cfr. la nota

260. A quell’epoca Ferdinando Marini (di cui, come indicato,

non è stata finora rintracciata la data di nascita) doveva

essere ancora assai giovane e poco esperto di disegno anatomico,

visto il modo in cui ha restituito il bel modello di

Teodoro Matteini (cfr. la nota 264). Una preziosa notizia,

fornita da Tommaso dei Rossi, consente di conoscere che

“Ferdinando Marini pittore” l’11 febbraio 1813 era dovuto

partire per Firenze fra i cavalleggeri della coscrizione obbligatoria:

BCF, Rossi, 21, c. 147r. Egli dunque poteva avere fra i

18 e i 21 anni, e perciò doveva essere nato fra il 1792 e il 1795.

Le sue capacità tecniche e disegnative, dopo circa tre anni,

erano divenute già molto sicure e brillanti, nell’impresa decorativa

condotta fra 1819 e 1823 in palazzo Puccini. Questa

nuova messa a punto peraltro va a correggere quanto, a questo

proposito, è scritto in Palazzo dei Rossi, p. 96.

266. Palazzo dei Rossi, p. 103; cfr. anche, nel presente saggio,

la nota 237.

267. Ibidem.

268. Su questo aspetto cfr. quanto si osserva nella precedente

nota 256.

269. Palazzo dei Rossi, p. 20 nota 44; p. 31 nota 64; p. 84.

Sul testamento del canonico Tommaso, del 26 maggio 1817,

cfr. ibidem, pp. 99-100 nota 266: ASP, Catasto granducale, 150,

Giustificazioni di volture di Porta al Borgo, 1828, n. 121.

270. Palazzo dei Rossi, p. 90 nota 250; ASP, Catasto granducale,

150, Giustificazioni di volture di Porta al Borgo, 1828, n. 120.

Girolamo Alessandro, figlio di Francesco dei Rossi e di Laura

Sozzifanti, era nato il 26 novembre 1802: cfr. Palazzo dei

Rossi, p. 90 nota 251: BCF, Rossi, 21. c. 19v.

271. Palazzo dei Rossi, p. 99 nota 266.

272. Luisa Magnani celebrò fastosamente il suo matrimonio

con Girolamo il 19 ottobre 1824, nella cappella della Villa

Magnani al Belvedere, in Valdinievole: cfr. BCF, Rossi, 15, c.

58r (numerazione recente), documento 20: scheda biografica

di Girolamo dei Rossi. La famiglia Magnani, trasferitasi a

Pescia intorno al 1770 dalla Liguria, si era considerevolmente

arricchita, soprattutto nel periodo napoleonico, con l’industria

cartaria ed ai primi dell’Ottocento aveva acquistato

terreni, oltre che sulle colline pesciatine, entro l’ampio feudo

feroniano di Bellavista: cfr. L. Bernardini, Pescia dalla fine

del Medioevo alle soglie della seconda guerra mondiale, in Pescia,

città tra confini, cit., pp. 85-155: 127, 137 nota 449.

273. Nel lungo documento, stilato a garanzia del grosso prestito

ricevuto dal figlio, Francesco dei Rossi elencava tutti

i suoi beni dati per questo scopo e le condizioni cui aveva

accettato di sottostare, secondo la volontà del figlio Girolamo.

Cfr. Palazzo dei Rossi, p. 99 nota 266. Sulla preliminare

emancipazione di Girolamo nel 1823 cfr. la nota 206.

274. Nel “Libbro di Amministrazione del Patrimonio del

Nobile signor Cavalier Francesco de’ Rossi, dal primo luglio

1825”, che comprende il periodo 1° luglio 1825-30 giugno

1837, è memoria dell’assegnamento annuale da parte del figlio

Girolamo, registrato nell’anno amministrativo 1° luglio

1832-30 giugno 1833: BCF, Rossi, 32, c. 122 a sinistra, “Da

annua prestazione. Dal nobile signore cavaliere Girolamo

de’ Rossi lire settemila in tre quadrimestri anticipati, cioè

primo luglio 1832, primo novembre detto, e primo marzo

1833, da contratto al quale etc.”.

275. Palazzo dei Rossi, pp. 99-100: 100 nota 266. Il vescovo

Giulio, zio di Girolamo, era morto il 2 febbraio 1833; nel testamento,

del 30 gennaio di quell’anno, aveva lasciato il nipote

erede universale dei suoi beni. ASP, Catasto granducale,

Pistoia, 27, Arroti di volture, 1833, nn. 12, 13. Il solo usufrutto

della quota-parte di Giulio del palazzo di famiglia spettava

per metà a Girolamo e per metà a suo padre Francesco.

276. Giuseppe Tigri, Pistoia e il suo territorio, cit., p. 175 indicava

che la palazzina ottocentesca progettata da “Alessan-

know that the former had already made plans to go and

paint “in Casa Rossi” in the following month of June: asking

his illustrious patron for a loan, Monti assured him in

fact that he would repay it when he came to Pistoia on that

occasion: see BCF, Raccolta Puccini, Corrispondenza a Niccolò

Puccini, box XVII, Nicola Monti, 5, Florence, February 10

(or 11), 1828. In the same month of February 1828 Monti, in

search of wealthy clients, had made contact in Pescia with

Camilla Lucchesini, the recently widowed wife of Agostino

Magnani: out of this came commissions in Palazzo

Sainati and Palazzo Magnani in the center of that city. In

the latter he painted Scenes from the Story of Buondelmonte de’

Buondelmonti, a favorite subject of early Romantic history

painting: see E. Pellegrini, “Storia d’immagini e immagini

di una storia,” in Pescia, città tra confini in terra di Toscana, ed.

A. Spicciani (Cinisello Balsamo, Milan: Silvana Editoriale/

Cassa di Risparmio Pistoia e Pescia, 2006), 157-237: 227. On

the frescoes painted in Pescia by Monti between 1828 and

1829 see now Giovannelli, “Piccolo viaggio,” 120-21; idem,

Memorie di un convalescente, 41-45, 176 no. 26. In the scene of

Pier Capponi, with its accurate evocation of “15th-century”

costumes and settings and study of the armor of the period,

the famous episode from Florentine history (which had led

to the expulsion of the Medici, too willing to submit to the

desires of the invader, King Charles VIII of France, against

the interests of the “Fatherland”) is handled coolly, as if it

were a theatrical performance, and the expression of feelings

entrusted to the animated gesticulation of the main

figures, while portraits of contemporaries can be identified

among the bystanders. The painter’s signature and the date

1828 are written in his own hand at the base of the column

in the foreground on the right. The commissioning of the

painting by Girolamo dei Rossi is deliberately made clear

by the presence of his new coat of arms, the one in which

the shield is parted with the Magnani (the family of his wife

158

Luisa), which is set on the end of the wall on the right. It

appears to have replaced a coat of arms with an escutcheon

of the Rossi family, which can be discerned just underneath.

The same device of the Rossi-Magnani, molded in

terracotta and once painted, can still be seen in the lunette

over the central French window on the second floor of the

adjoining building designed for the couple by Alessandro

Gherardesca in 1828: see note 276 below. The historic event,

its memory long kept alive in the oral traditions of the

people of Florence, would shortly afterward be presented

in a proto-Risorgimento key by Emanuele Repetti: see E.

Repetti, Dizionario geografico, fisico, storico della Toscana (Florence:

Tofani, 1835), vol. II, 193-94. In my view, however, the

theme represented also suggests the existence, at the time,

of an ideological divergence between the son and his father

Francesco, a loyal grand-ducal official; and the differentiation

by means of the painted coat of arms seems to indicate

this too. The scene signified in essence that “right” was not

on the side of he who showed blind loyalty to his sovereign

but he who—like Piero Capponi at the end of the 15th century—sought

to use the power of representation bestowed

on him solely for the good of his people. For even the grand

dukes could act against that good, or not wish or be able to

bring it about. Justice, as an ideal theme treated in different

ways by Francesco and Girolamo, was a repeated subject in

the rooms where the two men, with their respective families,

still lived together: at the center of the ceiling of the

“new gallery” decorated with “grotesques” on the west side

of the second floor of the Palazzo de’ Rossi, and again at the

top of the vault of the entrance hall of the apartment in the

east, where it was painted in 1824 by Bartolomeo Valiani.

The other scene frescoed by Monti, with Charles VIII with

the Dying Gian Galeazzo Sforza, is more successful artistically

as it is animated by a subtle, mournful pathos and an austere

reflection on the memento mori that even the powerful

have to face. In it in fact we find the mark of the initial E,

drawn in trompe-l’oeil as if it had been carved it on the wood,

at the base of the arm of the chair on which Charles VIII is

seated (on the meaning of this mark, used by the painter to

indicate works he considered to have turned out well, see

note 237). Here too, the painter has exercised his skill in the

evocation of the features of well-known contemporary figures,

as participants in the historical event, almost as if he

wished to make it relevant again in the eyes of the viewers

of his time. The painter’s signature, in this fresco, is written

along with the date 1828 at bottom right of the scene, on a

strip of the marble flooring.

257. “Palazzo dei Rossi,” 99 note 266.

258. On Giuseppe Bezzuoli’s painting of 1831 see notes 295-

96. Here instead it seems worth pointing out how, in this

case too, Ferdinando Marini’s ornamentation looks overblown

and even composed of disparate decorative genres:

mock bas-relief panels imitating marble, with classical

plant volutes and musical instruments; long friezes with

figures of sphinxes drawn from the “grotesque” genre; corner

sections with flowering shoots on a black ground; other

bands of filling, given that the format of the panel with The

Dance was not enough to cover the whole available surface

of the ceiling. This genuine surfeit of ornamentation disturbs

and diminishes the main scene. Here too, therefore,

we have to assume that it was Girolamo, as client, who gave

carte blanche to Marini, displaying little sensitivity with

regard to the necessary coherence of the whole, in which

the framework of decoration ought not to overwhelm the

principal figurative subject.

259. Tigri, Pistoia e il suo territorio, 174-75: 175.

260. Biblioteca Nazionale Centrale di Firenze, Fondo Rossi

Cassigoli, Misc. 14, ins. III, ff. 773 and 775: address on f.

775 v , “To the Most Eminent and Distinguished Sig. Abbé

Giuseppe Tigri, S.P.M.”; text of the letter on f. 773 r , dated

January 10, 1854, and signed by Ferdinando Marini. I have

to thank Claudia Becarelli for having drawn my attention to

this important unpublished document.

261. See notes 181 and 243. In any case it is evident that the

pictorial decoration of the “new gallery” could only have

been done shortly after the construction of the room, as

only then could it have been considered inhabitable, according

to the concepts of the time.

262. The information available to us suggests that Nicola

Monti decided to temporarily leave the area, which in any

case remained unsafe until the political situation tilted permanently

in favor of the legitimate grand-ducal rule. It should

not be forgotten that on April 2, 1814, the Senate in Paris had

declared Napoleon deposed, restoring the monarchy in the

person of Louis XVIII. The emperor had abdicated the following

April 6 and, with the Treaty of Fontainebleau signed

on the 11th of that month, had gone into exile on the island

of Elba. The new European order had been established by

the Congress of Vienna on November 1, 1814, but Napoleon’s

adventure of the “Hundred Days” (March 2-June 22, 1815) had

placed the general situation in doubt again, until Napoleon’s

new and definitive abdication on June 22 of that year and

the reconstitution of the various nation states. On Nicola

Monti’s situation in 1814 see note 237.

263. See note 239.

264. The correct attribution of the picture to Teodoro Matteini

was made by Chiara d’Afflitto in “Le arti figurative dal

periodo neoclassico,” 293 and 294 fig. 3. See too Gori Bucci,

Il pittore Teodoro Matteini, 9, 142-43, 175, 373 ill. no. 16. The

work had been done by the painter in 1780, at the time he

was studying painting in Rome.

265. The attribution of the reworking of this vault decorated

with “grotesques” (by Nicola Monti), with the figure

of Justice painted by Ferdinando Marini, presumably in

1815, derives from the statements—neither detailed nor unequivocal—the

latter made in his letter of January 10, 1854,

to Giuseppe Tigri: see note 260. At the time Ferdinando

Marini (whose date of birth, as has already been stated,

has not yet been traced) must still have been very young

and not very skilled at anatomical drawing, given the manner

in which he reproduced Teodoro Matteini’s fine model

(see note 264). A valuable piece of information, supplied by

Tommaso dei Rossi, tells us that on February 11, 1813, “Ferdinando

Marini painter” had had to leave for Florence with

the draft of conscripted troopers: BCF, Rossi, 21, f. 147 r . So

he must have been between 18 and 21, and thus born between

1792 and 1795. Some three years later, his technical

abilities and draftsmanship had already improved greatly

in the decorative work carried out between 1819 and 1823

in Palazzo Puccini. This new information serves to correct

what was written on this subject in “Palazzo dei Rossi,” 96.

266. “Palazzo dei Rossi,” 103; see too, in this essay, note 237.

267. Ibidem.

268. On this see the remarks in note 256 above.

269. “Palazzo dei Rossi,” 20 note 44; 31 note 64; 84. On

Canon Tommaso’s will, dated May 26, 1817, see ibidem, 99-

100 note 266: ASP, Catasto granducale, 150, Giustificazioni di

volture di Porta al Borgo, 1828, no. 121.

270. “Palazzo dei Rossi,” 90 note 250; ASP, Catasto granducale,

150, Giustificazioni di volture di Porta al Borgo, 1828, no.

120. Girolamo Alessandro, the son of Francesco dei Rossi

and Laura Sozzifanti, was born on November 26, 1802: see

“Palazzo dei Rossi,” 90 note 251: BCF, Rossi, 21. f. 19 v .

271. “Palazzo dei Rossi,” 99 note 266.

272. Luisa Magnani celebrated her marriage to Girolamo

with a lavish wedding on October 19, 1824, in the chapel of

Villa Magnani al Belvedere, in Valdinievole: see BCF, Rossi,

15, f. 58 r (recent numbering), document 20: biographical profile

of Girolamo dei Rossi. The Magnani family, which had

moved to Pescia from Liguria around 1770, had amassed a

considerable fortune, especially in the Napoleonic period,

through the papermaking industry and at the beginning of

the 19th century had acquired land not only on the hills

around Pescia, but also in the Marchesi Feroni’s large estate

of Bellavista: see L. Bernardini, “Pescia dalla fine del Medioevo

alle soglie della seconda guerra mondiale,” in Spicciani

(ed.), Pescia, città tra confini, 85-155: 127, 137 note 449.

273. In the long document drawn up to guarantee the large

loan received from his son, Francesco dei Rossi listed all the

assets he had offered as security and the conditions he had

accepted, in accordance with the wishes of his son Girolamo.

See “Palazzo dei Rossi,” 99 note 266. On Girolamo’s

emancipation in 1823 see note 206.

274. In the “Libbro di Amministrazione del Patrimonio del

Nobile signor Cavalier Francesco de’ Rossi, dal primo luglio

1825,” which covers the period from July 1, 1825, to June 30,

1837, there is a record of the annual award made by his son

Girolamo, recorded in the financial year from July 1, 1832-

30, to June 1833: BCF, Rossi, 32, f. 122 on the left, “As annual

benefit. From the noble knight Girolamo de’ Rossi seven

thousand lire in three four-monthly payments in advance,

i.e. July first 1832, November first said year, and March first,

1833, as per contract etc.”

275. “Palazzo dei Rossi,” 99-100: 100 note 266. Bishop Giulio,

Girolamo’s uncle, had died on February 2, 1833; in his

will, drawn up on January 30 of that year, he had made his

nephew sole heir to his property. ASP, Catasto granducale,

Pistoia, 27, Arroti di volture, 1833, nos. 12, 13. The usufruct of

Giulio’s share of the family residence was divided equally

between Girolamo and his father Francesco.

159



dro Gherardeschi” si era aggiunta al palazzo de’ Rossi nel

1830: è perciò probabile che l’erudito scrittore di notizie

patrie ne volesse, con tale espressione, indicare l’abitabilità,

a due anni dalla stesura del progetto. L’architetto pisano

era un importante professionista dei suoi tempi: cfr. Alessandro

Gherardesca. Architetto toscano del Romanticismo (Pisa,

1777-1852), a cura di G. Morolli, Pisa, Edizioni ETS, 2002,

con notizie biografiche (S. Barandoni, I Gherardeschi. Una

famiglia di artisti, pp. 27-35: 30-33) e alcuni saggi sulla produzione

progettuale e architettonica (fra cui G.L. Bianchini,

Le ville e i giardini, pp. 67-79 ed in particolare pp. 72-74 sul

Pantheon per il parco pucciniano di Scornio, sostanzialmente

coevo alla nuova residenza di Girolamo e progettato

dall’architetto ‘in stile ionico’, secondo le richieste di

Niccolò Puccini; pp. 75-77 sulla palazzina ideata nel 1828,

il cui elegante ed armonioso prospetto era così descritto,

nell’incisione che ne documentava il disegno: “Prospetto

della facciata principale del Casino che il Nobile Sig. Cav.

Girolamo de Rossi ha recentemente costruito in continuazione

del suo antico e magnifico Palazzo in Pistoja”). L’incisione

faceva parte, come tavola XXXI, dell’opera dell’architetto

La Casa di Delizia, il Giardino e la Fattoria, progetto

seguito da diverse esercitazioni architettoniche del medesimo genere

di Alessandro Gherardesca, nell’edizione ampliata con 60 tavole

edita nel 1838 a Pisa col medesimo frontespizio della

prima edizione uscita a Pisa, Nistri, 1826, con 20 tavole. Su

tale pubblicazione cfr. ibidem, pp. 241-252: 246 n. 171 e ill. p.

248. La configurazione della facciata della palazzina Rossi-

Magnani, secondo l’incisione XXXI della Casa di Delizia,

risponde a quella felice definizione coniata da Gabriele

Morolli per la produzione architettonica pubblica e privata

di Gherardesca, improntata ad un “classicismo ad un tempo

algido e ‘insostenibilmente’ leggero”, con un “‘retrogusto’

di dimesso Empire intenerito dalle grazie quotidiane della

provincia” (G. Morolli, Sense and Sensibility. Il classicismo romantico

di Alessandro Gherardesca, in Alessandro Gherardesca,

cit., pp. 1-25: 6). In particolare, l’architetto vi mostra intanto

di aver ottemperato alle richieste del committente,

che desiderava che la sua nuova abitazione fosse collegata,

anche internamente e in orizzontale sui due piani superiori,

all’attiguo tardo-settecentesco palazzo de’ Rossi, al di sopra

dell’originario deposito delle carrozze, a comune – come già

indicato – con la sede monumentale di famiglia. Un altro

requisito che la palazzina doveva avere era l’omogeneità

in altezza non con il primo livello del tetto che copriva il

secondo piano del tardo-settecentesco palazzo, ma – in

modo significativo – con la quota della copertura nel volume

aggiunto a quest’ultimo edificio con la costruzione della

“galleria nuova” del 1812. Questo volume sicuramente comprendeva

anche il soprastante rialzamento fino al secondo

piano, al momento della progettazione della palazzina, dato

che la quota di copertura di essa si rivela la stessa rispetto

al corpo di fabbrica aggiunto al palazzo dal 1812. Inoltre,

ed in modo architettonicamente significativo, l’elemento di

continuità fra palazzo e palazzina veniva attuato mediante

l’allineamento orizzontale e la rispondenza dimensionale, al

primo e secondo piano, delle finestre sia nel nuovo corpo

di fabbrica aggiunto al palazzo dal 1812 (cfr. la nota 243),

sia dell’attigua palazzina. L’architettura del prospetto risulta

volutamente rispondente ai nuovi ideali ‘borghesi’ di semplificazione

– anche dei costi – nella scelta di più modeste

proporzioni rispetto alla sede monumentale dei Rossi e

nella preferenza per una tecnica edilizia attuata con materiali

‘poveri’: la muratura ad intonaco, appena animata dal

liscio bugnato (attuato ‘a cassaforma’) al piano terreno, che

collega porte e finestre centinate, refrain di un casto primo

Quattrocento toscano; il ricorso a prefabbricati seriali per

cornici di sottogronda e fastigi di finestre; l’utilizzo della

terracotta per la realizzazione plastica dello stemma Rossi-

Magnani che campeggia entro la lunetta di coronamento

della porta-finestra centrale delle tre che si affacciano sul

balconcino con semplice ringhiera in ferro. L’equilibrata ed

elegante composizione della facciata – che non valgono ad

alterare le più tarde aperture al piano terreno per accesso a

negozi praticate più tardi, fra Otto e Novecento – si fonda

su una precisa tripartizione a corpi verticali, di cui quello

centrale, caratterizzato da un finto avancorpo (probabilmente

previsto nel progetto, ma non attuato) le cui dimensioni

in ampiezza sono segnate dalla lunghezza del balcone

pensile, si differenzia dalle due ali laterali per le dimensioni

leggermente maggiori delle tre porte-finestre centinate che

vi si affacciano al centro. Tuttavia, quel che pare significativo

è proprio la struttura tripartita della facciata della palazzina,

organizzata sul numero ‘perfetto’ dei nove assi: quasi

a sostituire definitivamente e ‘inverare’ le antiche potenzialità

architettoniche del settecentesco palazzo de’ Rossi,

anch’esse organizzate sul triplice ripetersi dei tre assi in facciata,

previste dal suo progettista Raffaello Ulivi a metà del

secolo XVIII, come si è ipotizzato, ma mai attuate. Tutto

ciò ha un senso, per così dire, ‘polemico’ rispetto all’antica

sede nobiliare, ne significa la precisa volontà di sostituzione:

che si completò, dopo il 1850, anno della morte di Francesco

dei Rossi padre di Girolamo, con l’asportazione dello

stemma lapideo del casato, al centro del fastigio del portale

in pietra disegnato nel 1774 dall’architetto Francesco Maria

Beneforti per il palazzo, per lasciare solamente in vista, al

centro della palazzina, lo stemma Rossi-Magnani. Su questo

aspetto della vicenda edilizia del palazzo cfr. Palazzo dei

Rossi, pp. 100-101 nota 268; cfr. anche le note 314 e 315 nel

presente saggio.

277. BCF, Rossi, 32, Libro di amministrazione di Francesco

de’ Rossi 1825-1837. È da segnalare che ivi le registrazioni

relative a commissioni artistiche e all’attività di pittori, decoratori,

arredatori non sono mai precise: si tratta piuttosto

di cenni a quanto già conosciuto dal committente, annotati

come promemoria delle spese fatte. Si ha l’impressione che

le varie impegnative con gli artisti siano state trattate verbalmente,

senza alcun contratto formalmente vincolante, e

in modo complessivo, à forfait, per opere diverse retribuite

tutte insieme mediante acconti progressivi. Pertanto, l’attività

ivi documentata, nel periodo, di Bartolomeo Valiani e

Ferdinando Marini potrebbe riguardare anche le pitture di

tali artisti eseguite in palazzo de’ Rossi nelle parti del palazzo

rimaste di competenza di Francesco: come il “quartiere”

est al piano terreno (quello di due stanze, in origine a lui

riservate dal padre, dove appunto Ferdinando Marini in tale

periodo dovette dipingere sui relativi soffitti lo Zefiro e l’Alba,

cfr. la nota 287) e le figurine entro medaglioni nelle due

prime stanze dell’appartamento al secondo piano est, cfr. le

note 302-312. Meno sicura è la committenza dell’allegoria

della Musica, anch’essa dovuta al pennello di Ferdinando

Marini, trattandosi di un ambiente che fungeva da antisala

del salone d’onore, che fin dall’origine era la parte in comune

di quanti abitavano nel palazzo: ma cfr. la nota 286.

278. Palazzo dei Rossi, p. 91 note 257 e 258; BCF, Rossi, 32:

“A spese del Quartier nuovo sopra lo scrittoio”, 1826, pagamento

a Bartolomeo Valiani di lire 413 “per lavori a detto

quartiere” e di lire 50 “al suddetto Valiani […] per uscita

d’un quadro per detto quartiere” (c. 27 sin.); a “spese diverse”

registrate fra 1826 e 1827, pagamento a Bartolomeo

Valiani di lire 26, soldi 13 e denari 4 “per lavori in Pistoia”

(c. 51dx.). Fra le spese dell’anno amministrativo 1827-1828 “al

quartier nuovo della nobile signora Laura”, risultano versate

“al Marini pittore” 390 lire “per saldo di lavori fatti ai pavimenti

del quartier nuovo”, lire 49 per 140 libbre di olio di

lino “servito per detti lavori” e 10 lire di gratifica “a’ giovani

del sopradetto Marini”, “de’ detti lavori” (c. 65 sin.).

279. BCF, Rossi, 32, c. 91 dx., “spese di riattamento e resarcimenti”

fra il 1° luglio 1829 e il 30 giugno 1830: “a maestro

Pietro Parri lire settantaquattro s. 9.8 per fare il nuovo granaino

nella Fabbrica separata, ad uso di stalla nel Palazzo di

Pistoia, uscite legate insieme in n° di cinque, in filza”. Ma

non mancò l’annotazione di spesa, registrata fra il 1° luglio

1831 e il 30 giugno 1832, pari a otto lire “di due statue di

Sovrani comperate a Firenze” (c. 114 sin.). Tale libro di amministrazione,

per le notizie contenute circa l’arredo degli

ambienti di vita di Francesco e dei suoi, è di notevole interesse.

280. Ibidem, c. 167 dx., “mantenimenti e risarcimenti” dal

1° luglio 1836 al 30 giugno 1837: “al Capponi pittore per accomodatura

di due stanze del quartiere buono, lire 8”. Si

tratta forse di Luigi Capponi, pittore-decoratore già attivo

negli anni Ottanta del Settecento, nell’ambiente legato al

vescovo riformatore Scipione de’ Ricci: cfr. E. Guscelli, Un

architetto pistoiese d’età ricciana: il percorso professionale di Stefano

Ciardi, in BSP, CVIII, 2006, pp. 113-139: 115, 116, 125, 126,

127, 130, 131, 133, 135.

281. Le registrazioni amministrative del Libro sopra indicato

si interrompono probabilmente con i lavori preliminari

alle due stanze del “quartiere buono” al secondo piano

est, che potrebbero essere state decorate subito dopo con

i “medaglioni” figurati, cfr. più oltre le note 302-312. Sui palinsesti

pittorici rinvenuti in tali ambienti, cfr. la nota 94 nel

presente saggio.

282. Palazzo dei Rossi, p. 91 nota 259. Si tratta a mio avviso di

una cultura artistica di solida formazione accademica per

disegno, colorito e chiaroscuro, ma priva ancora della raffinata

levigatezza e della tenuità cromatica che spiritualizza

le immagini del neoclassicismo. Su Bartolomeo Valiani,

nato a Pistoia nel 1793 – secondo le notizie dei memorialisti

– e ivi morto nel 1858, contemporaneo di Ferdinando

Marini e spesso operoso con lui, cfr. F. Tolomei, Guida di

Pistoia, cit., pp. 202-203; V. Capponi, Biografia pistoiese, cit.,

p. 382. Sul pittore, molto attivo a Pistoia e nel suo territorio,

non esiste ancora uno studio monografico completo. Cfr.

comunque, sulla sua attività, F. Cosi, A. Repossi, Orsigna,

gli affreschi ritrovati. Tre secoli d’arte e di storia della chiesa di

Sant’Atanasio, Pistoia, Settegiorni Editore, 2010, pp. 33, 51-

89. In entrambe le allegorie le figure femminili, fortemente

caratterizzate, sono ritratti. La firma dell’artista, con la data

del 1824 in entrambe le pitture, è vergata rispettivamente

sulle pagine del libro aperto su cui è appoggiato lo specchio,

emblema de La Giustizia che illumina la Verità (nel soffitto

della prima stanza, d’ingresso, dell’appartamento al primo

piano est del palazzo) e sul foglio di carta su cui poggia un

libro aperto ai piedi della figura de La Fama che vince il Tempo

(sulla volta della stanza attigua, a destra). Nelle due stanze i

completamenti ornamentali eseguiti a monocromo in finto

rilievo sono probabilmente del medesimo pittore, adeguatosi

alla moda allora imperante.

283. Lo dimostrano le spese di riallestimento e di arredo

delle parti del palazzo a lui riservate, cfr. le note 278 e 279.

284. Cfr. la nota 276.

285. In tal modo in futuro, quando sarebbero venuti a mancare

il padre di Girolamo, Francesco, la madre Laura Sozzifanti

e le due sorelle, l’intero palazzo de’ Rossi – come

poi in realtà avvenne – sarebbe passato completamente in

proprietà a Girolamo: che gli avrebbe dato il preciso ruolo

di sede di ricevimento ufficiale, distinta dalla residenza

familiare, che sarebbe stata quella della palazzina attigua.

In definitiva, con le due proprietà più gli ulteriori annessi

sarebbe stato a disposizione di Girolamo e della propria

famiglia un enorme numero di vani, sicuramente sovradimensionati

anche rispetto al relativo tenore di vita, tanto

da portare per un certo tempo all’abbandono di fatto degli

ambienti meno necessari o meno richiesti. Le scelte documentabili

compiute fra gli anni Venti e l’inizio degli anni

276. Giuseppe Tigri, Pistoia e il suo territorio, 175, stated that

the building designed by “Alessandro Gherardeschi” in the

19th century was added to Palazzo de’ Rossi in 1830: it is

likely that the erudite chronicler of his homeland’s history

wished, by these words, to indicate its habitability, two

years after the plans were drawn up. The Pisan architect

was an important figure in his time: see G. Morolli (ed.),

Alessandro Gherardesca. Architetto toscano del Romanticismo

(Pisa, 1777-1852) (Pisa: Edizioni ETS, 2002), with biographical

notes (S. Barandoni, “I Gherardeschi. Una famiglia di artisti,”

27-35: 30-33) and several essays on his planning and architecture

(including G.L. Bianchini, “Le ville e i giardini,”

67-79 and in particular 72-74 on the Pantheon for the park

of the Villa di Scornio, basically contemporary with Girolamo’s

new residence and designed by the architect “in Ionic

style” as requested by Niccolò Puccini; 75-77 on the palazzina

designed in 1828, whose elegant and harmonious front

was described as follows, in the engraving that recorded the

design: “Elevation of the main façade of the Lodge that the

Noble Sig. Cav. Girolamo de Rossi has recently constructed

in continuation of his old and magnificent Palazzo in Pistoja”).

The engraving was used to illustrate, as plate XXXI,

the architect’s work La Casa di Delizia, il Giardino e la Fattoria,

progetto seguito da diverse esercitazioni architettoniche del

medesimo genere di Alessandro Gherardesca, in the enlarged

edition with 60 plates published in Pisa in 1838 with the

same title page as the first edition, also published in Pisa,

by Nistri, in 1826, with 20 plates. On this publication see

ibidem, 241-52: 246 no. 171 and ill. on 248. The configuration

of the façade of the Palazzina Rossi-Magnani, according to

engraving XXXI of the Casa di Delizia, corresponds to Gabriele

Morolli’s apt description of Gherardesca’s public and

private architecture, marked by a “classicism at once icy and

‘unbearably’ light,” with an “‘aftertaste’ of unobtrusive Empire

softened by the everyday graces of the province” (G.

Morolli, “Sense and Sensibility. Il classicismo romantico di

Alessandro Gherardesca,” in Alessandro Gherardesca, 1-25: 6).

In particular, the architect shows in it that he has complied

with the requests of the client, who wanted his new home

to be connected, internally and horizontally on the two upper

stories, with the adjoining late 18th-century Palazzo de’

Rossi, above the original carriage house, shared—as has already

been stated—with the monumental family residence.

Another requisite that the palazzina had to have was a uniformity

of height, not with the first level of the roof that

covered the third floor of the older building, but—significantly—with

that of the roof of the new volume added to

this building with the construction of the “new gallery” in

1812. This volume certainly also included the elevation up

to the third floor at the moment of design of the palazzina,

given that the level of its roof is the same as that of the

block added to the palazzo from 1812 onward. In addition,

and in an architecturally significant manner, the continuity

between palazzo and palazzina was achieved through the

horizontal alignment and the matching size, on the second

and third floor, of the windows in both the new block added

to the palazzo from 1812 on (see note 243) and the adjoining

palazzina. The architecture of the front was intentionally

in accordance with the new “bourgeois” ideals of simplification—and

reduction of costs—in the choice of more modest

proportions than those of the monumental Palazzo de’

Rossi and in the preference for a technique of construction

using “poor” materials: plastered walls, slightly enlivened

by smooth rustication (produced with “formwork”) on the

ground floor, connecting arched doors and windows, refrain

of a sober early 15th-century Tuscan style; the recourse to

prefabricated elements for moldings under the eaves and

pediments of windows; the use of terracotta for the Rossi-

Magnani coat of arms set in the lunette above the middle

French window of the three facing onto the small balcony

with a simple iron railing. The balanced and elegant composition

of the façade—which has not been altered by the

later openings made on the ground floor to provide access

to stores in the 19th and 20th century—is based on a precise

tripartition in vertical blocks, of which the central one,

characterized by a mock avant-corps (probably provided for

in the plans, but not built) whose width is marked by the

length of the suspended balcony, is differentiated from the

two lateral wings by the slightly larger dimensions of the

three arched French windows that are set in the middle.

However, what appears significant is precisely the tripartite

structure of the palazzina’s façade, based on the “perfect”

number of nine axes: as if to definitively replace and “realize”

the architectural potentialities of the 18th-century

Palazzo de’ Rossi, also organized around the threefold repetition

of the three axes on the façade, planned by its designer

Raffaello Ulivi in the middle of the 18th-century, as

has been hypothesized, but never implemented. All this has

a “provocative” sense, as it were, with respect to the older

residence. It indicated a precise desire for substitution:

which was completed, after 1850, the year of the death of

Girolamo’s father Francesco dei Rossi, with the removal of

the family crest carved from stone at the center of the pediment

of the stone portal designed for the palazzo in 1774 by

the architect Francesco Maria Beneforti, leaving only the

Rossi-Magnani coat of arms in view, at the center of the

palazzina. On this aspect of the story of the construction

of the building see “Palazzo dei Rossi,” 100-01 note 268; see

too notes 314 and 315 in this essay

277. BCF, Rossi, 32, “Libbro di Amministrazione” of Francesco

de’ Rossi 1825-37. It should be pointed out that the

records of expenses relating to artistic commissions and the

activity of painters and decorators in this book are never

precise: rather they are just mentions of what was already

known to the client, noted down as reminders of the sums

spent. One gets the impression that the various agreements

with the artists were made verbally, without any formally

binding contract, and payment made on a lump-sum basis,

with different works paid for together in running accounts.

So the activity of Bartolomeo Valiani and Ferdinando

Marini in the period recorded in it may also include the

paintings made by these artists in the parts of Palazzo de’

Rossi for which Francesco was still responsible: such as the

eastern “quarters” on the ground floor (the two rooms originally

reserved for him by his father, where in that period

Ferdinando Marini must have painted the Zephyrus and

Dawn on their ceilings; see note 287) and the small figures in

medallions in the first two rooms of the eastern apartment

on the third floor; see notes 302-12. It is less sure who commissioned

the allegory of Music, also painted by Ferdinando

Marini, as it is in a room that served as antechamber of the

main hall, which from the outset was the part shared by

everyone who lived in the building; but see note 286.

278. “Palazzo dei Rossi,” 91 notes 257 and 258; BCF, Rossi,

32: “Expenses of the new Quarters above the study,” 1826,

payment of 413 lire to Bartolomeo Valiani “for works in said

quarters” and 50 lire “to the aforesaid Valiani […] outlay

for a picture for said quarters” (f. 27 left); for “sundry expenses”

recorded between 1826 and 1827, payment to Bartolomeo

Valiani of 26 lire, 13 soldi and 4 denari “for works

in Pistoia” (f. 51 right). Among the expenses of the financial

year 1827-28 “in the new quarters of the noble lady Laura,”

390 lire were paid “to Marini painter” “for settlement of

works done to the floors of the new quarters,” 49 lire for

140 pounds of linseed oil “used for said works” and 10 lire

of bonus “to” assistants of the aforesaid Marini,” “for the

above works” (f. 65 left).

279. BCF, Rossi, 32, f. 91 right, “costs of refurbishment and

repairs” between July 1, 1829 and June 30, 1830: “to master

Pietro Parri seventy-four lire 9.8 s. to build the new small

granary in the separate Building, used as a stable in the Pistoia

Palazzo, outlays bound together in no. of five, in series.”

But there was also a note of expenditure, registered

between July 1, 1831, and June 30, 1832, of eight lire “for two

statues of Monarchs bought in Florence” (f. 114 left). The

information on the furnishings of the living quarters of

Francesco and his family it contains makes this record of

expenses of notable interest.

280. Ibidem, f. 167 right, “maintenance and repairs” from

July 1, 1836, to June 30, 1837: “to the painter Capponi for the

doing up of two rooms in the good quarters, 8 lire.” This

may have been Luigi Capponi, the painter-decorator who

had already been active in the 1780s, in the circles linked

to the reformist bishop Scipione de’ Ricci: see E. Guscelli,

“Un architetto pistoiese d’età ricciana: il percorso professionale

di Stefano Ciardi,” BSP, CVIII, 2006, 113-39: 115,

116, 125, 126, 127, 130, 131, 133, 135.

281. The records of expenses in the “Libbro” referred to

above probably ended with the preliminary works in the

two rooms of the “good quarters” on the east side of the

third floor, which may have been decorated with the figured

“medallions” immediately afterward; see notes 302-12

below.

282. “Palazzo dei Rossi,” 91 note 259. It is in my view an

artistic culture with a solid academic grounding as far as

drawing, coloring and chiaroscuro are concerned, but still

lacking the refined polish and delicacy of color that give

the images of neoclassicism their spiritual character. On

Bartolomeo Valiani, born in Pistoia in 1793—according to

the writers of memoirs—and dying there in 1858, who was

a contemporary of Ferdinando Marini and often worked

with him, see Tolomei, Guida di Pistoia, 202-03; Capponi,

Biografia pistoiese, 382. On the painter, very active in Pistoia

and its environs, no complete monographic study exists.

See however, on his activity, F. Cosi and A. Repossi,

Orsigna, gli affreschi ritrovati. Tre secoli d’arte e di storia della

chiesa di Sant’Atanasio (Pistoia: Settegiorni Editore, 2010),

33, 51-89. In both allegories the highly characterized female

figures are portraits. The artist’s signature, with the

date 1824 in both paintings, is written respectively on the

pages of the open book on which is set the mirror, emblem

of Justice Illuminating Truth (on the ceiling of the first

room as you enter the apartment on the east side of the

second floor) and on the sheet of paper on which rests an

open book at the feet of the figure of Fame Overcoming

Time (on the vault of the adjoining room, to the right).

In both rooms the monochrome ornamental trimmings in

mock relief are probably by the same painter, adapting his

style to the fashion of the day.

283. This is evident from the records of expenditure for the

refurbishment and decoration of the parts of the building

reserved for him; see notes 278 and 279.

284. See note 276.

285. In this way in the future, when Girolamo’s father

Francesco, mother Laura Sozzifanti and two sisters had

all passed away, the whole of Palazzo de’ Rossi—as in fact

happened—would become the property of Girolamo, who

would give it the precise role of a location for official receptions,

distinct from the family residence, which would be

in the adjoining building. In the end, with the two properties

plus their annexes, an enormous number of rooms

would have been at the disposal of Girolamo and his family,

undoubtedly far too many even with respect to their standard

of living. This resulted for a certain amount of time

in the de facto abandonment of the rooms that were less

necessary or less in demand. The documentable choices

made between the 1820s and the beginning of the 1830s

160

161



Trenta dell’Ottocento per la decorazione pittorica nel palazzo

rivelano che in effetti venne privilegiato da Girolamo

il solo piano nobile, le cui due ali erano state riunificate e si

saldavano con il salone d’onore a doppio volume.

286. Non è possibile arguire chi sia stato il committente

dell’allegoria della Musica nel salotto attiguo al salone

d’onore: vi sono infatti motivi che fanno propendere sia per

Francesco che per Girolamo. Potrebbe essere stato ancora

Francesco, verso la metà del terzo decennio dell’Ottocento,

soprattutto perché pare adattarsi di più al suo carattere

quella figura maliziosa e seducente e la sua collocazione studiata,

al centro del soffitto del salotto, in modo da essere

rivolta verso chi entrava o dal salone o dall’appartamento

principale del primo piano est. Peraltro, è nota la passione

per la musica da parte di Girolamo: cfr. la seguente nota

288. La Musica con i putti con strumenti musicali che l’attorniano

volando, con vivacissimi movimenti, ha i suoi precisi

riscontri stilistici in alcune pitture eseguite dallo stesso

Ferdinando Marini fra 1819 e 1823 in palazzo Puccini. Per

la Musica il raffronto più pertinente risulta quello con la

personificazione dell’America che incorona Washington per la

tipologia dell’immagine, il suo disegno, le proporzioni e gli

stilemi adottati: cfr. L. Gai, Il Palazzo Puccini, cit., p. 109; i

putti vivaci che volano intorno alla Musica sono concepiti e

realizzati come quelli che, recandone gli emblemi relativi,

simboleggiano le Arti Belle (Pittura, Poesia, Scultura, Architettura)

sul soffitto della camera da letto di Niccolò Puccini

nel suo palazzo di città: ivi, pp. 100-101.

287. La figurina dello Zefiro, di idilliaca ma corposa grazia,

campeggia al centro della volta modificata della prima stanza

d’ingresso del “quartiere” di due stanze al piano terreno

dal lato di levante e mostra tutti i caratteri propri al linguaggio

illustrativo di Ferdinando Marini. In corrispondenza

dell’ombelico del putto con le ali di farfalla, che volando intreccia

un serto di rose, era un gancio in ferro per l’attacco

della lumiera. Durante gli ultimi interventi restaurativi tale

zona è stata sfondata per farvi passare alcune tubature per

fili elettrici e per potervi attaccare un lampadario. Dopo

l’intervento si è proceduto alla chiusura e alla ridipintura

della lacuna. La figura dell’Alba (dalle forme giunoniche

e forse il ritratto di una delle due figlie di Francesco) ha

ricevuto analogo trattamento per l’installazione dell’impianto

d’illuminazione centrale. L’immagine si avvicina per

stile pittorico agli anni Trenta dell’Ottocento e risponde ai

medesimi criteri figurativi con cui Ferdinando Marini riproduceva,

nella “galleria” dell’appartamento di Domenico

Puccini, nel palazzo di città, la figurazione dell’Aurora che

precede il carro del Sole, copia del celebre affresco di Guido

Reni eseguito nel 1613 nel Casino dell’Aurora di palazzo Rospigliosi

a Roma o, più probabilmente, copia della copia di

Luigi Catani di quella famosa pittura, eseguita da quest’ultimo

per il sipario del Teatro dei Risvegliati rinnovato nel

1796: cfr. la nota 215. Cfr. L. Gai, Il Palazzo Puccini, cit., pp.

112-114 (per l’Aurora); p. 116 (per i raffronti con i putti alati

reggi-velario in una delle camere del secondo piano dell’ala

est del medesimo palazzo Puccini). Cfr. anche, nel presente

saggio, la nota 277. È possibile che l’appartamentino al piano

terreno dal lato di levante del palazzo de’ Rossi fosse stato

destinato da Francesco ad una delle figlie: di Giulia (cfr.

la nota 291) sappiamo che si era sposata col nobile lucchese

Antonio Forti; dell’altra, Maria Giuseppa (cfr. la nota 292), è

annotato che si era maritata il 17 aprile del 1826 con il nobile

lucchese Carlo Villani, era andata a risiedere a Lucca e nel

luglio 1828 aveva avuto un figlio: BCF, Rossi, 32, cc. 24 dx.,

76 dx. Cfr. anche BCF, MSS., Libro del Patriziato, documenti

di corredo alla tav. XLVI. È possibile che la vivace figurina

di Zefiro sia il ‘ritratto’ del figlio di Maria Giuseppa, e che

l’allegoria dell’Alba riproduca le sembianze di lei.

288. Cfr. J. Grundy Fanelli, La musica a Pistoia (1800-1940), in

Storia di Pistoia, IV, cit., pp. 267-288: 267; C. Paradiso, Teodulo

Mabellini: la vita, in Teodulo Mabellini, il protagonista dell’Ottocento

musicale toscano, a cura di C. Paradiso, Pistoia, Brigata

del Leoncino/Lions Club Pistoia, s.d., pp. 37-195: 44-45 e ivi

nota 36, con breve scheda biografica su Girolamo de’ Rossi

e i suoi incarichi pubblici.

289. Cfr. P. Santini, Palazzo de’ Rossi e la vita musicale a Pistoia

nel XX secolo, in Le dimore di Pistoia, cit., pp. 301-305; Idem,

Il “salone dei concerti” e la cameristica pistoiese, in “Pistoia rivista”,

11, 1989, nn. 45-47, pp. 61-65, con elenco delle stagioni

concertistiche tenutesi nel Salone di Palazzo de’ Rossi dalla

prima, del 1961/1962, a quella del 1989/1990. In seguito serviva

puntualmente ad informare sui successivi programmi

musicali la rivista “Il tremisse pistoiese”, edita dalla Cassa

di Risparmio di Pistoia e Pescia e ora cessata.

290. Cfr. la nota 286.

291. BCF, Rossi, 28, allegato 1, foglio sciolto dal titolo “Ricordi”,

dove fra l’altro sono elencati i tre figli di Francesco

dei Rossi: “Girolamo Alessandro del sig.re cav.re Francesco

Rossi, nato il 26 novembre 1802, fu allevato in casa dalla

Maria Rosa Pazzagli contadina a Groppoli del sig. Amerigo

Cellesi”; “signora Giulia del suddetto cavaliere Francesco

Rossi, nata il 16 novembre 1803. Fu mandata ad allevare alla

villa del sig. cav.re Onofrio Conversini in un suo podere,

luogo detto Riccorello, alla Maria Teresa Niccoli”; “Signora

Giuseppa del suddetto cav.re Rossi, nata il dì 2 ottobre 1805;

fu mandata ad allevare a Groppoli alla Maria Rosa Pazzagli

che allevò il sig.re Girolamo suddetto”.

292. Cfr. la nota precedente.

293. Cfr. le note 286, 287. Anche Ferdinando Marini si era cimentato

con l’attività di copia di capolavori celebri in palazzo

Puccini: dove per la “galleria” di Domenico aveva dipinto

– fra 1819 e 1823 – la copia de Il carro del Sole realizzato da

Guido Reni per il Casino dell’Aurora in palazzo Rospigliosi

a Roma. Tuttavia, la sua restituzione figurativa appare più

greve e materica rispetto al modello, lontana dall’eleganza

con cui Luigi Catani copiava famosi dipinti per chi ne desiderava

la replica nel suo palazzo: fra i quali anche questo,

per il Teatro dei Risvegliati.

294. Cfr. C.N. Grandin, Palazzo Martini e la pittura murale

dell’800: inediti ritrovamenti ancora tutti da svelare, in “Prato

storia e arte”, 110, dicembre 2011, pp. 33-41, fig. p. 38. Ritengo

che nel palazzo possano essere stati all’opera Bartolomeo

Valiani e Ferdinando Marini, per puntuali evidenze

stilistiche.

295. In precedenza, la volta di tale “galleria” era stata dipinta,

verso il 1760, da Teodoro Matteini, cfr. le note 90 e

92. Sia delle pitture di Bartolomeo Valiani eseguite nel 1824

che di quelle realizzate da Nicola Monti nel 1828, che infine

della Danza di Giuseppe Bezzuoli nel 1831 mancano notizie

d’archivio.

296. È l’interpretazione – non so dire quanto volutamente

‘ingenua’ – che pare darne Giuseppe Tigri: cfr. G. Tigri, La

danza della prima giornata del Decamerone di Giovanni Boccaccio

dipinto a fresco del Prof. Giuseppe Bezzuoli, Pistoia, Bracali,

1838. Nell’operetta, uscita con la sola sigla G.T. ad indicarne

l’autore, vengono magnificate le qualità del dipinto, realizzato

da Bezzuoli in “una Sala destinata alle danze e al

canto”, su commissione dell’“Egregio Cav. Girolamo De-

Rossi” per il suo palazzo in Pistoia (p. 7). Lo scrittore mette

in evidenza la “purità dello stile, e que’ suoi contorni sempre

delicatissimi; le movenze di grazia senza essere di maniera,

e quelle forme caratteristiche dei personaggi che

rappresenta; perocché in tutte queste si ravvisano di bel

primo fisionomie Fiorentine” (p. 14). L’autore ha parole di

elogio anche per l’evocazione dell’ambiente mediante l’azzurro

diafano del cielo qual’era sui colli fiesolani, a fare da

cornice a giovani e fanciulle intenti a piacevoli passatempi

e ad intrecciare racconti di varia umanità, lontano dalla peste

che imperversava nel 1348 a Firenze, così come li aveva

immaginati Boccaccio. La presenza dello scrittore del Decamerone

nel “quadro” di Bezzuoli, come “figura nobile e

grandiosa di stile, cinta il capo della corona d’alloro”, in

atto di guardare verso la scena stessa (p. 13) – pur contravvenendo

alle classiche regole dell’unità di tempo, di luogo e

di azione che bisognava usare nel ‘racconto’ – veniva giustificata,

piuttosto banalmente, come garanzia di corretta interpretazione

del soggetto del dipinto (p. 13). Tigri, nel

concludere che l’affresco, dalla “composizione meravigliosa

per tante figure legate con sì poche linee di paese”, per le

sue qualità artistiche si sarebbe conquistato un posto di

rilievo nella pittura contemporanea, si dimostrava comunque

ben informato sulle circostanze della sua realizzazione,

asserendo che l’opera era stata compiuta in soli ventotto

giorni: “[...] io non dubito d’affermare, che pochi saranno

gli affreschi che potrà contare per ora il secolo decimonono

così felicemente in ventotto dì dirò improvvisati, eppure

con tanto magistero toccati e finiti” (p. 14). In effetti,

Bezzuoli aveva dipinto La Danza nel mese di giugno 1831, in

ventotto giorni: cfr. A. Caputo Calloud, Giuseppe Bezzuoli,

in Cultura dell’Ottocento a Pistoia, cit., Biografie, pp. 90-92:

90. L’operetta, in cui la critica ha notato l’interpretazione

‘purista’ delle figure ideate da Bezzuoli per La Danza, oltre

che il giudizio ivi espresso sulle tematiche fino ad allora in

auge della mitologia classica, ritenute “aride” e sorpassate

in confronto ai più attuali temi storici, dove le passioni e

gli ideali degli uomini tessevano le vicende del passato e del

presente, è stata ritenuta testimonianza della consapevolezza

di un cambiamento culturale dell’arte e della letteratura

italiana: del quale faceva parte anche l’apprezzamento

per il Decamerone, “orditura del grande Romanzo Storico”

ai tempi della “peste nera” (G. Tigri, La danza, cit., p. 9). Lo

stesso Tigri, nel medesimo anno 1838, aveva dato più larga

diffusione all’opuscolo ripubblicandone il testo su “L’Ape

Italiana delle Belle Arti” (anno IV, vol. IV, Roma, Tipografia

Salviucci, pp. 48-50), che fu corredato dall’incisione al

tratto di G. Mitterpock, su disegno del “giovanissimo pittore

(sic!) pistoiese Pietro Ulivi”: cfr. R. Giovannelli, Piccolo

viaggio, cit., pp. 125-129 : 125. Tuttavia, a ben guardare, questo

testo pare degno di nota non tanto per quello che esprime,

quanto piuttosto per quello che esplicitamente non

rivela. Se è vero – come è vero – che il dipinto de La Danza

fu noto ed apprezzato fin da subito, non si comprendono,

intanto, le ragioni per cui Tigri non gli abbia dedicato tempestivamente

il suo testo laudativo, ma abbia aspettato

fino al 1838 per pubblicarlo firmandosi poi nel primo opuscolo

(come se fosse un po’ reticente a ‘mostrarsi’ di persona)

con le sole sue iniziali. Ciò non può che spiegarsi, a

quanto credo, con le condizioni politiche del tempo: in cui

nel 1831 vi era stata una recrudescenza dei controlli della

polizia politica granducale sugli intellettuali e la cultura,

tanto da portare alla chiusura della pistoiese “Società degli

Onori Parentali ai Grandi Italiani” (cfr. la nota 299) e nel

1838 invece un allentamento della severità di tale controllo,

che aveva portato alla riapertura dell’Accademia di Scienze,

Lettere ed Arti. Cfr. A. Chiti, Pistoia nei primordi del Risorgimento

Nazionale, in BSP, XXX, 1928, pp. 12-80: 29; G.

Petracchi, Pistoia dalle riforme leopoldine, cit., p. 59 e seguenti,

per la situazione politica fino al 1848. L’anno 1838 fu definito

da Nicola Monti “anno beato”, proprio per la maggiore

libertà di espressione degli intellettuali, quando si era

firmato nei dipinti raffiguranti L’Italia in mezzo ai più illustri

figli suoi, la Salute, l’Onore, la Virtù commissionatigli dai Vivarelli-Colonna

(sodali di Niccolò Puccini) per il loro palazzo:

cfr. A. Chiti, Pistoia nei primordi del Risorgimento, cit.,

p. 29 nota 2; cfr. anche C. Mazzi, C. Sisi, La collezione di

Niccolò Puccini, in Cultura dell’Ottocento a Pistoia, pp. 13-20:

16-17; C. Sisi, Niccola Monti, ivi, p. 100. C. Sisi, N. Monti,

for the painted decoration of the palazzo show that in fact

Girolamo focused his attention solely on the piano nobile,

whose two wings had been united and fused together with

the double-height main hall.

286. It is not possible to tell who commissioned the allegory

of Music in the drawing room adjoining the main hall:

arguments can in fact be put forward for it having been either

Francesco or Girolamo. It could have been Francesco,

around the middle of the 1820s, especially because that mischievous

and seductive figure and its studied location, at

the center of the drawing room ceiling, in such a way that it

faced toward anyone entering either from the hall or from

the main apartment on the eastern side of the second floor,

seem more suited to his character. Yet Girolamo’s passion

for music is well known: see note 288 below. The figure

of Music, ringed by putti with musical instruments flying

through the air in lively attitudes, has precise stylistic parallels

with some paintings executed by Ferdinando Marini

in Palazzo Puccini between 1819 and 1823. For the Music

the most pertinent comparison is with the personification

of America Crowning Washington, for the type of image, the

drawing, the proportions and the stylistic features adopted:

see Gai, Il Palazzo Puccini, 109; the lively putti flying around

the figure of Music are conceived and executed in a similar

way to the ones that, bearing their respective emblems,

symbolize the Fine Arts (Painting, Poetry, Sculpture, Architecture)

on the ceiling of Niccolò Puccini’s bedroom in his city

residence: ibidem, 100-01.

287. The small figure of Zephyrus, of idyllic but solid grace,

is set at the center of the modified vault of the first room

of the two rooms of the “quarters” on the eastern side of

the ground floor and displays all the typical characteristics

of Ferdinando Marini’s illustrative language. At the point

of the navel of the putto with butterfly wings, weaving a

garland of roses as he flies, was set an iron hook from which

to hang the chandelier. During the most recent restoration

work a hole was made in this area through which to pass

pipes for wires and attach an electric light. After the intervention

the hole was filled up and repainted, reproducing

the original image. The figure of the Dawn (with Junoesque

forms and perhaps a portrait of one of Francesco’s two

daughters) has received a similar treatment to permit the

installation of the central lighting system. The style of the

image is close to that of the paintings of the 1830s and answers

to the same figurative criteria with which Ferdinando

Marini executed, in the “gallery” of Domenico Puccini’s

apartment in the family’s city residence, the image of Aurora

Leading the Chariot of the Sun, a copy of Guido Reni’s famous

fresco painted in 1613 in the Casino dell’Aurora of Palazzo

Rospigliosi in Rome or, more likely, of Luigi Catani’s copy

of that painting, executed by the latter for the curtain of

the Teatro dei Risvegliati, renovated in 1796; see note 215.

See Gai, Il Palazzo Puccini, 112-14 (for the Aurora); 116 (for

the comparisons with the winged putti bearing a velarium

in one of the bedrooms on the third floor of the east wing

of the same Palazzo Puccini). See too note 277 in this essay.

It is possible that the small apartment on the eastern side

of the ground floor of Palazzo de’ Rossi had been allocated

by Francesco to one of his daughters: we know that Giulia

(see note 291) was married to the nobleman Antonio Forti

of Lucca; of the other, Maria Giuseppa (see note 292), it is

recorded that on April 17, 1826, she married the nobleman

Carlo Villani, also of Lucca, had gone to live in that city

and in July 1828 had had a son: BCF, Rossi, 32, ff. 24 right, 76

right. See too BCF, MSS., Libro del Patriziato, documents accompanying

plate XLVI. It is possible that the lively figure

of Zephyrus is a “portrait” of Maria Giuseppa’s son and that

the allegory of the Dawn reproduces her features.

288. See J. Grundy Fanelli, “La Musica a Pistoia (1800-

1940),” in Storia di Pistoia, IV, cit., 267-88: 267; C. Paradiso,

“Teodulo Mabellini: la vita,” in Teodulo Mabellini, il protagonista

dell’Ottocento musicale toscano, ed. C. Paradiso (Pistoia:

Brigata del Leoncino/Lions Club Pistoia, n.d.), 37-195: 44-45

and note 36, with a brief biographical profile of Girolamo

de’ Rossi and his public positions.

289. See P. Santini, “Palazzo de’ Rossi e la vita musicale a

Pistoia nel XX secolo,” in Le dimore di Pistoia, 301-05; idem,

“Il ‘salone dei concerti’ e la cameristica pistoiese,” Pistoia

rivista, 11 (1989), nos. 45-47, 61-65, with a list of the seasons

of concerts in the Salone of Palazzo de’ Rossi from the first,

in 1961/62, to that of 1989/90. Regular information on the

subsequent programs of music was provided by the magazine

Il tremisse pistoiese, published by the Cassa di Risparmio

Pistoia e Pescia and now discontinued.

290. See note 286.

291. BCF, Rossi, 28, attachment 1, loose sheet with the title

“Ricordi,” where among other things the three children of

Francesco dei Rossi are listed: “Girolamo Alessandro of

Sig. Cav. Francesco Rossi, born November 26, 1802, was

raised at home by Maria Rosa Pazzagli countrywoman at

Groppoli of Sig. Amerigo Cellesi”; “Signora Giulia of the

aforesaid Cavaliere Francesco Rossi, born November 16,

1803. Was sent to be raised at the villa of Sig. Cav. Onofrio

Conversini on a farm of his, at a place called Riccorello, by

Maria Teresa Niccoli”; “Signora Giuseppa of the aforesaid

Cav. Rossi, born on October 2, 1805; was sent to be raised at

Groppoli by the same Maria Rosa Pazzagli that raised the

aforesaid Sig. Girolamo.”

292. See the previous note.

293. See notes 286 and 287. Ferdinando Marini too had tried

his hand at the copying of famous masterpieces in Palazzo

Puccini, where in Domenico’s “gallery” he had painted—

between 1819 and 1823—a copy of Guido Reni’s The Chariot

of the Sun in the Casino dell’Aurora of Palazzo Rospigliosi

in Rome. However, his version of the image looks coarser

than the model and is remote from the elegance with which

Luigi Catani reproduced celebrated paintings for those

who desired copies of them in their residences: including

Guido’s picture, for the Teatro dei Risvegliati.

294. See C.N. Grandin, “Palazzo Martini e la pittura murale

dell’800: inediti ritrovamenti ancora tutti da svelare,” Prato

storia e arte,” 110 (December 2011), 33-41, fig. 38. The stylistic

evidence leads me to believe that Bartolomeo Valiani and

Ferdinando Marini were at work in the building.

295. Previously the vault of this “gallery” had been painted,

around 1760, by Teodoro Matteini; see notes 90 and 92.

There is no record in the archives of Bartolomeo Valiani’s

paintings, executed in 1824, of those of Nicola Monti in 1828

or finally of the Dance executed by Giuseppe Bezzuoli in 1831.

296. This is the interpretation—I cannot tell how deliberately

“ingenuous”—that Giuseppe Tigri seems to give it: see

G. Tigri, La danza della prima giornata del Decamerone di

Giovanni Boccaccio dipinto a fresco del Prof. Giuseppe Bezzuoli

(Pistoia: Bracali, 1838). In this short work, published with

the initials G.T. as the sole indication of its author, he extols

the qualities of the painting, executed by Bezzuoli in “a

Room intended for dancing and singing” to a commission

from the “Eminent Cav. Girolamo De-Rossi” for his residence

in Pistoia (7). The writer stresses the “purity of the

style, and its always delicate outlines; the attitudes that are

graceful without being affected, and those forms characteristic

of the figures it represents; since in all these fine Florentine

features are evident” (14). The author also has words

of praise for the evocation of the setting through the diaphanous

blue of the sky over the hills of Fiesole, as a backdrop

to young men and women engaged in pleasant pastimes

and weaving tales of varied human nature, far away

from the plague that raged in Florence in 1348, as Boccaccio

had imagined them. The presence of the author of the

Decameron in Bezzuoli’s “picture,” as a “noble figure in grand

style, his head wreathed in laurel,” gazing at the scene itself

(13)—while contravening the classic rules of unity of time,

place and action that were supposed to be used in “narrative”—was

justified, rather banally, as a guarantee of the

correct interpretation of the painting’s subject (13). Tigri, in

concluding that the artistic qualities of the fresco, with its

“marvelous composition of many figures bound together

with so few lines of landscape,” would earn it a significant

place in contemporary painting, showed himself to be well

informed with regard to the circumstances of its realization,

declaring that the work had been done in just twentyeight

days: “[...] I have no doubt in asserting that few frescoes

will have been so well painted so far in the nineteenth

century in just twenty-eight days, and yet done and finished

with such mastery” (14). And Bezzuoli had indeed painted

The Dance in the month of June, 1831, in twenty-eight days:

see A. Caputo Calloud, “Giuseppe Bezzuoli,” in Cultura

dell’Ottocento a Pistoia, Biografie, 90-92: 90. Tigri’s short text,

in which the critic noted the “purist” interpretation of the

figures conceived by Bezzuoli for The Dance, as well as the

judgment expressed in it on the themes of classical mythology

in vogue up until that time, considered “arid” and outmoded

in comparison with more up-to-date historical

themes, in which the passions and ideals of men shaped the

events of the past and the present, has been regarded as

evidence of the awareness of a cultural change in Italian art

and literature: a change of which the appreciation of the

Decameron, an example of a “great Historical Romance” set

at the time of the “Black Death” (Tigri, La danza, 9), was

also part. Tigri himself, in the same year of 1838, had drawn

wider attention to the booklet by republishing its text in

L’Ape Italiana delle Belle Arti (year IV, vol. IV; Rome: Tipografia

Salviucci, 48-50), accompanied by a line engraving by G.

Mitterpock after a drawing by the “very young Pistoian

painter [sic!] Pietro Ulivi”: see Giovannelli, Piccolo viaggio,

125-129: 125. However, on close examination, this text seems

worthy of note not so much for what it says as for what it

explicitly does not reveal. If it is true—and it is—that the

painting of The Dance was noticed and appreciated straightaway,

then it is hard to understand why Tigri did not devote

his laudatory text to it promptly, but waited until 1838 before

publishing it, signing it with just his initials in the first

booklet (as if somewhat reticent to “show himself” in person).

This can only be explained, in my view, by the political

situation at the time: in 1831 there had been an escalation of

the control exercised by the grand-ducal security police

over intellectuals and culture, leading to the closure of the

Pistoian Società degli Onori Parentali ai Grandi Italiani

(“Society of Memorial Celebrations for Great Italians,” see

note 299), while in 1838 there had been a relaxation in the

severity of this control, resulting in the reopening of the

Academy of Sciences, Letters and Arts. See A. Chiti, “Pistoia

nei primordi del Risorgimento Nazionale,” BSP, XXX

(1928), 12-80: 29; Petracchi, “Pistoia dalle riforme leopoldine,”

59 et. sqq., for the political situation up until 1848. The

year 1838 was defined by Nicola Monti as a “blessed year,”

precisely for the greater freedom of expression allowed to

intellectuals, when he signed the paintings depicting Italy in

the Midst of Her Most Illustrious Sons, Health, Honor and Virtue

commissioned from him by the Vivarelli-Colonna family

(associates of Niccolò Puccini) for their residence: see Chiti,

“Pistoia nei primordi del Risorgimento,” 29 note 2; see

too C. Mazzi and C. Sisi, “La collezione di Niccolò Puccini,”

in Cultura dell’Ottocento a Pistoia, 13-20: 16-17; Sisi, “Niccola

Monti,” ibidem, 100. C. Sisi, “N. Monti, Italia,” in Raffaello:

elementi di un mito. Le fonti, la letteratura artistica, la

pittura di genere storico, catalogue of the exhibition at the

162

163



Italia, in Raffaello: elementi di un mito. Le fonti, la letteratura

artistica, la pittura di genere storico, Catalogo della mostra (Firenze,

Biblioteca Medicea Laurenziana, 4 febbraio-15 aprile

1984), Firenze, Centro Di, 1984, p. 197; R. Giovannelli,

Memorie di un convalescente, cit., pp. 59-60. Pertanto, il tema

de La Danza dipinto da Bezzuoli in palazzo de’ Rossi doveva

aver comunque un rilievo che andava al di là di una semplice

citazione letteraria e del riferimento all’aureo protoumanesimo

fiorentino, di cui lo stesso Boccaccio faceva

parte. Il Decamerone del Boccaccio era infatti allora (e lo

sarebbe stato a lungo, fino al Novecento) un libro all’Indice.

E questo l’abate Tigri lo sapeva sicuramente: ma ha

omesso di farne cenno. Il Decamerone era all’Indice non

tanto per la spregiudicatezza di certe “novelle” erotiche,

ma perché l’umanità che vi compare e vi agisce resta costantemente

entro la dimensione mondana ed effettuale ed

è agnostica – se non addirittura atea – circa la trascendenza

divina e le verità della fede cristiano-cattolica. Gli stessi –

pochi – esempi di virtù e di nobiltà d’animo che vi si trovano

esprimono una moralità tutta umana e laica; la religione

compare, talvolta con risvolti umoristici o grotteschi,

come credenza buona per il popolo o addirittura come

strumento d’inganni. È una concezione del tutto consona

all’umanitarismo massonico e filantropico che accomunava

allora Girolamo de’ Rossi e il suo sodale Niccolò Puccini:

maestro, quest’ultimo, di “parlar coperto” e, quando fosse

stato necessario, anche di dissimulazione (come dichiarava

nelle lettere familiari) per evitare di far conoscere ad ‘estranei’

ciò che veramente gli interessava. Boccaccio, in questa

chiave, era maestro di un’umanità diversa, perfetta fin dalle

origini, libera e ignara del peccato ‘originale’, aperta ad

ogni conoscenza ed esperienza, ‘figura’ dell’Uomo divinizzato

che il pensiero massonico mirava a disvelare sulla terra.

La gioventù bella, sana, serena entro la bella natura, segno

essa stessa di naturalità perfetta si era presentata la

prima volta nel Decamerone. La figura di Boccaccio rivolto

verso la scena dipinta con La Danza (in cui il canto e il ballo

significano anche, copertamente, l’unisono con l’armonia

universale che fa parte del pensiero massonico) indica

in realtà che è proprio lui la ‘guida’ alla corretta interpretazione

del significato del “quadro”. Boccaccio allora veniva

richiamato, negli ambienti culturalmente avanzati del tempo

(e nonostante la messa all’Indice del suo capolavoro) a

proposito della questione della lingua, intesa come mezzo

di riunificazione della Nazione italiana, prima che se ne

attuasse l’unità politico-istituzionale. L’affresco de La Danza

in palazzo de’ Rossi segna comunque a Pistoia una chiara

divergenza rispetto alle tematiche della coeva ‘pittura di

storia’ del periodo romantico. Il dipinto era stato preceduto

nella capitale del Granducato di Toscana dal soggetto

storico dell’Entrata di Carlo VIII a Firenze, commissionato

dal granduca Leopoldo II tramite Antonio Ramirez Montalvo

a Giuseppe Bezzuoli nel 1827 e terminato nel 1829,

molto ammirato da Niccolò Puccini: cfr. E. Marconi, Giuseppe

Bezzuoli, Niccolò Puccini e la pittura di storia, in Monumenti

del giardino Puccini, cit., pp. 249-279: 258. Pare opportuno

sottolineare la sostanziale contemporaneità dei due

affreschi eseguiti da Nicola Monti per il palazzo de’ Rossi

nel 1828, entrambi dedicati a due episodi della medesima

discesa in Italia del re di Francia Carlo VIII (evento con

cui si voleva alludere allora alla recente discesa in Italia di

Napoleone). Il soggetto de La Danza, a soli tre anni di distanza,

pare abbandonare i temi strettamente storici per

attingere ispirazione dall’ambito letterario: dunque, apparentemente,

in modo più ‘rassicurante’ rispetto all’implicito

riferimento anti-tirannico che allora guidava la scelta

dei fatti più significativi della storia italiana come tema delle

espressioni artistiche ‘patriottiche’. Ma il contenuto de

La Danza era in realtà più profondamente ideologizzato.

Tale raffigurazione presupponeva, insieme, due diversi livelli

di lettura: uno apparentemente diretto, l’altro iniziatico.

Il primo livello, quello più immediato, era offerto, in

modo che sembrava legittimo, da un soggetto desunto da

una grande opera letteraria del passato, il cui autore era

considerato uno dei ‘padri’ della lingua italiana. Il secondo

livello poteva essere attinto solo da chi poteva possederne

la nascosta ‘chiave di lettura’: la quale presupponeva una

concezione della natura umana che il committente condivideva

con Boccaccio e si riferiva ad un nuovo umanesimo

laico, che avrebbe formato una generazione diversa, cosmopolita

e libera da impacci metafisici e da pastoie moralistiche

e clericali. I giovani e le fanciulle de La Danza ne

rappresentavano il prototipo e il modello per la società

nuova, in un’ottica che andava oltre l’ideale nazionale per

aprirsi ad orizzonti più ampi e diversi, universali. Era

un’umanità che poteva raggiungere sulla terra il massimo

delle sue potenzialità in bellezza, salute, perfezione di capacità,

secondo le idee massoniche. Da questo punto di

vista, l’evidente presenza dei numerosi ritratti, specialmente

muliebri, ne La Danza, potrebbe assumere un più pregnante

significato, nell’offrire, in concreto, l’esemplificazione

di quell’auspicata generazione nuova mediante i suoi

primi protagonisti. Tale contenuto oltrepassava dunque

l’ambito dello stesso storicismo romantico ‘libresco’, che

attingeva i suoi temi dall’historia, di nuovo proposta come

magistra vitae. Più tardi Vittorio Capponi, nel 1878 (cfr. V.

Capponi, Biografia pistoiese, cit., ad vocem Ulivi Pietro, pp.

431-433 : 432), utilizzando le notizie di Giuseppe Tigri, riferiva

al 1839 [con informazione errata], “la copia in più piccole

proporzioni del bell’affresco La Danza della prima giornata

del Decamerone ‘esistente’” in una sala del Palazzo Rossi”.

Il pittore pistoiese Pietro Ulivi (1806-1880) era stato

allievo prima alle scuole comunali di Bartolomeo Valiani,

poi all’Accademia di Belle Arti di Firenze dello stesso Giuseppe

Bezzuoli.

297. Già nel gennaio 1823 Niccolò Puccini in un suo scritto

definiva Dante, “lo scandaloso Boccaccio” e Petrarca

come “benedetto triumvirato”, ed in particolare Dante e

Boccaccio “due colonne della civiltà italiana”: cfr. P. Contrucci,

Biografia di Niccolò Puccini, Pistoia, Tipografia Cino,

1852, p. 111; G. Capecchi, Intellettuali e letterati nel Circolo

di Scornio, in Monumenti del giardino Puccini, cit., pp. 57-81:

59. Era il tempo in cui lo stesso Niccolò faceva decorare a

Ferdinando Marini il suo studiolo in palazzo Puccini (fra

1819 e 1823), proprio con le immagini esemplari dei grandi

letterati italiani raffigurati à trompe-l’oeil a finto bassorilievo

su monumenti funebri, quasi eco viva dei foscoliani Sepolcri

(1806-1807): Dante, Petrarca, Boccaccio, Machiavelli, cui si

univano le teste clipeate sulle due porte, all’interno della

stanza, dei padri della classicità, Virgilio e Orazio. Cfr. L.

Gai, Il Palazzo Puccini, cit., pp. 96-98.

298. Girolamo di Francesco dei Rossi condivideva le idee

e gli orientamenti degli intellettuali ‘liberali’ raccolti intorno

all’Accademia pistoiese di Scienze, Lettere ed Arti e del

Circolo pucciniano di Scornio: cfr. P. Paolini, Una illustre

istituzione culturale pistoiese del passato: l’Accademia di Scienze,

Lettere ed Arti (1803-1891), in BSP, LXII, 1960 (N.S., II), pp.

71-94: tra i soci fondatori dell’Accademia, nel 1803, figuravano

lo zio di Girolamo, il canonico Tommaso dei Rossi,

e il padre Francesco, p. 74. Sul Circolo di Scornio cfr. G.

Bonacchi Gazzarrini, Il “Circolo di Scornio” e la cultura toscana

dell’Ottocento, Poggibonsi, A. Lalli Editore, 1979. Girolamo

dei Rossi sarebbe stato uno dei quattro cittadini pistoiesi

che avrebbe accompagnato la salma di Niccolò Puccini,

morto il 13 febbraio 1852, nei solenni funerali del successivo

giorno 14: cfr. D. Negri, La vita e la morte di Niccolò Puccini

pistoiese nelle pagine del giornale “La Speranza” (con le cronache

di un monumento funebre dimenticato), in Niccolò Puccini. Un

intellettuale pistoiese nell’Europa del primo Ottocento, Atti del

convengo di studio (Pistoia, 3-4 dicembre 1999) a cura di

E. Boretti, C. d’Afflitto, C. Vivoli, Firenze, Edifir, 2001, pp.

173-182: 175. Cfr. anche Palazzo dei Rossi, pp. 85-86 nota 238,

p. 100 nota 267. Sul ruolo di uomo politico e personaggio

pubblico di Girolamo cfr. in questo studio la seguente nota

313. Sulle sue idee massoniche cfr. la nota 296. Sulla situazione

della cultura pistoiese nel Risorgimento cfr. ultimamente

E. Donati, Niccolò Puccini e il Risorgimento a Pistoia, in

Monumenti del giardino Puccini, cit., pp. 13-55: 16-22.

299. Cfr. P. Paolini, Una illustre istituzione culturale, cit., pp.

85-86; G. Petracchi, Pistoia dalle riforme leopoldine, cit., pp.

57-59; cfr. anche le note 296, 298 nel presente studio.

300. Come è stato osservato, quando di fatto, intorno agli

anni Trenta dell’Ottocento, buona parte del palazzo de’

Rossi – eccetto quanto era stato riservato a Francesco ed ai

suoi – era ormai di proprietà del figlio Girolamo, l’evidente

decisione di utilizzare tale prestigiosa sede come luogo di

rappresentanza e di ricevimento ufficiale aveva portato ad

un accentuarsi dell’interesse per il solo piano nobile, dato

che Girolamo disponeva già, per abitazione privata della

propria famiglia, della palazzina ottocentesca attigua. Ne è

prova la mancanza di completamento della sopraelevazione

effettuata con un ulteriore volume edilizio sulla “galleria

nuova”, al secondo piano di ponente, tuttora priva del

rialzamento pavimentale necessario per arrivare al pari del

livello degli ambienti su quel piano, e della soffittatura a

volta che coprisse il tetto a travicelli a vista. Oltre che, naturalmente,

lo dimostra la persistenza nei sovrapporta, su

quel lato, delle originarie decorazioni tardo-barocche con

cornici in stucco e “paesini” inclusi.

301. Palazzo dei Rossi, p. 31 nota 65, pp. 99-100 nota 266; ASP,

Vecchio Catasto Terreni, Pistoia città, A 59, Arroti di volture,

1851, c. 117v.

302. Nelle due stanze del secondo piano dal lato di levante,

destinate a Francesco dei Rossi, le due crociere origina-

rie risultano modificate, in modo da smussarne gli spigoli

e renderne piano il colmo. Al centro delle volte e altrove

sono emersi nei saggi di restauro livelli pittorici sottostanti:

dunque, per attuare anche quest’ultimo ciclo ornamentale

fu necessario sistemare ed imbiancare quei soffitti; pare che

a questo si stesse attendendo su commissione dello stesso

Francesco nel 1837: cfr. le note 277, 280. I quattro medaglioni

con paesaggi risultano dipinti al centro di ciascuno

spicchio, mentre – in modo bizzarro – quelli con figurine di

personaggi classici sono stati affrescati sul profilo di ciascuno

degli spigoli smussati.

303. Cfr. le note 277-281.

304. Ibidem. L’indicazione che il nuovo “quartiere” da riallestire

per la moglie di Francesco, Laura Sozzifanti, si trovava

“sopra lo scrittoio” permette di localizzarlo al secondo

piano del casamento attiguo sulla sinistra al palazzo, detto

anche “casa vecchia”. Lo “scrittoio” e archivio dei Rossi

era stato sistemato dal 1791 al primo piano di tale edificio:

una serie di modifiche e riadattamenti effettuati nel tempo

dal canonico Tommaso, che vi si recava spesso, consentiva

di raggiungerlo dall’interno, dal secondo piano della sede

principale, mediante una scaletta a chiocciola con scalini in

mattoni. Ivi il canonico era caduto, il 29 aprile 1806, fratturandosi

la rotula del ginocchio destro: cfr. Palazzo dei Rossi,

p. 83 nota 231. Né risulta che in quei tempi l’archivio abbia

cambiato sede. Sui lavori compiuti per volontà di Francesco

per il nuovo allestimento e arredo della sua residenza cfr.

anche ibidem, p. 91.

305. Si tratta, a mio avviso, delle prime raffigurazioni pittoriche

di quelle ‘vedute’ che verso la metà degli anni Quaranta

dell’Ottocento sarebbero divenute celebri: per le visite

dei molti amici, conoscenti e forestieri al parco di Scornio

e per l’importante mezzo divulgativo della pubblicazione

che lo stesso Niccolò Puccini volle dedicare alla sua vera,

Biblioteca Medicea Laurenziana, Florence, February

4-April 15, 1984 (Florence: Centro Di, 1984), 197; Giovannelli,

Memorie di un convalescente, 59-60. So the theme of The

Dance painted by Bezzuoli in Palazzo de’ Rossi must have

had a significance that went beyond a mere literary citation

and reference to the golden age of early Florentine Humanism,

to which Boccaccio belonged. At the time Boccaccio’s

Decameron was in fact a book on the Index (and was to remain

on it for a long time, up until the 20th century). And

the abbé Tigri certainly knew this, but failed to mention it.

The Decameron was on the Index not so much for the audacity

of some of its erotic “stories,” but because the people

who appear and act in it remain constantly in a worldly and

real dimension and are agnostic—if not downright atheistic—with

regard to divine transcendence and the truth of

the Christian-Catholic faith. Even the—few—examples of

virtue and nobility of spirit to be found in it express a wholly

human and secular morality; religion is presented, sometimes

with humorous or grotesque aspects, as a belief good

for the common people or even as a means of deception. It

is a conception totally in keeping with the Masonic and

philanthropic humanitarianism that Girolamo de’ Rossi

and his associate Niccolò Puccini shared at the time: the

latter was a master of “ambiguous discourse” and, when

necessary, of dissimulation (as he admitted in family letters)

in order to keep “outsiders” from knowing what he was really

interested in. Boccaccio, from this perspective, was the

paragon of a different humanity, perfect from its origins,

free and innocent of “original” sin, open to all kinds of

knowledge and experience, a “figure” of the deified man

that Freemasonry aimed to bring into being on the Earth.

Beautiful, healthy youth, serene in the glory of nature, a

mark itself of perfect naturalness, was presented for the

first time in the Decameron. The figure of Boccaccio facing

the painted scene of The Dance (in which song and dance

also signify, covertly, unison with the universal harmony

that is part of Masonic thinking) indicates in reality that he

is the “guide” to correct interpretation of the meaning of

the “picture.” Boccaccio was cited, in the culturally progressive

circles of the time, and notwithstanding the placing

of his masterpiece on the Index, in connection with the

question of language, seen as a means of unifying the Italian

nation even before its political and institutional unity could

be attained. In any case the fresco of The Dance in Palazzo

de’ Rossi was a mark in Pistoia of a clear divergence from

the themes of the “history painting” of the Romantic period.

The painting had been preceded in the capital of the

Grand Duchy of Tuscany by the historical subject of the

Entry of Charles VIII into Florence, commissioned from Giuseppe

Bezzuoli by Grand Duke Leopold II through Antonio

Ramirez Montalvo in 1827 and finished in 1829, a picture

much admired by Niccolò Puccini: see E. Marconi,

“Giuseppe Bezzuoli, Niccolò Puccini e la pittura di storia,”

in Monumenti del giardino Puccini, 249-79: 258. It seems worth

stressing the essential contemporaneity of the two frescoes

painted by Nicola Monti for the Palazzo de’ Rossi in 1828,

both devoted to episodes from the same invasion of Italy by

King Charles VIII of France (an event which was used to

allude to Napoleon’s recent descent into Italy). The Dance,

just three years later, seems to have abandoned strictly historical

subjects in order to draw inspiration from the realm

of literature: apparently, therefore, a more “reassuring”

theme than the implicit criticism of tyranny that guided

the choice of the most significant events in Italian history

as the focus of “patriotic” artistic expressions. But the message

of The Dance was in reality more profoundly ideological.

The representation presupposed two different levels of

interpretation: one seemingly straightforward, the other

esoteric. The first, more immediate level, was offered, in a

way that seemed legitimate, by a subject drawn from a great

literary work of the past, whose author was considered one

of the “fathers” of the Italian language. The second level

was accessible only to those who were in possession of its

hidden “key”: which implied a view of human nature that

the client shared with Boccaccio and referred to a new and

secular humanism that would have formed a different generation,

cosmopolitan and free from metaphysical encumbrances

and moralistic and clerical fetters. The young men

and women of The Dance represented the prototype and

model for the new society, in a vision that went beyond the

ideals of nationalism to open up to different and broader,

universal horizons. It was a humanity that could reach the

maximum of its potential in beauty, health and perfection

of capacities on earth, according to Masonic ideas. From

this point of view, the obvious presence of numerous portraits,

especially of women, in The Dance, might assume a

more pregnant significance, by offering, in concrete, an exemplification

of that hoped-for new generation through its

first members. Such a content went beyond the realm of

“bookish” Romantic historicism, which drew its themes

from historia, again proposed as magistra vitae. Later on, in

1878, Vittorio Capponi (see the entry “Ulivi Pietro” in Capponi,

Biografia pistoiese, 431-33: 432), drawing on incorrect

information supplied by Giuseppe Tigri, dated to 1839, “the

copy in smaller proportions of the fine fresco The Dance of

the First Day of the Decameron [...] in a room of Palazzo Rossi.”

The Pistoian painter Pietro Ulivi (1806-80) had studied

first at the municipal schools of Bartolomeo Valiani and

then at the Accademia di Belle Arti in Florence, under Giuseppe

Bezzuol himself.

297. As early as January 1823 Niccolò Puccini in one of his

writings described Dante, “the scandalous Boccaccio” and

Petrarch as a “blessed triumvirate,” and Dante and Boccaccio

in particular as “two pillars of Italian civilization”: see

P. Contrucci, Biografia di Niccolò Puccini (Pistoia: Tipografia

Cino, 1852), 111; G. Capecchi, “Intellettuali e letterati nel

Circolo di Scornio,” in Monumenti del giardino Puccini, 57-

81: 59. This was the time when Niccolò had Ferdinando

Marini decorate his study in Palazzo Puccini (between 1819

and 1823) with images exemplary of great Italian writers

depicted in trompe-l’oeil on sepulchral monuments in mock

bas-relief, in what was almost an echo of Foscolo’s Dei Sepolcri

(1806-07): Dante, Petrarch, Boccaccio and Machiavelli,

together with the heads of the fathers of classical literature,

Virgil and Horace, on clipei set on the two doors inside the

room. See Gai, Il Palazzo Puccini, 96-98.

298. Girolamo di Francesco dei Rossi shared the ideas and

positions of the “liberal” intellectuals gathered around the

Accademia Pistoiese di Scienze, Lettere ed Arti and Puccini’s

“Circolo di Scornio”: see P. Paolini, “Una illustre istituzione

culturale pistoiese del passato: l’Accademia di Scienze,

Lettere ed Arti (1803-1891),” BSP, LXII (1960), n.s. II, 71-

94: among the founding members of the academy, in 1803,

were Girolamo’s uncle, Canon Tommaso dei Rossi, and his

father Francesco, 74. On the “Circolo di Scornio” see G.

Bonacchi Gazzarrini, Il “Circolo di Scornio” e la cultura toscana

dell’Ottocento (Poggibonsi: A. Lalli Editore, 1979). Girolamo

dei Rossi is said to have been one of the four citizens of Pistoia

who accompanied the body of Niccolò Puccini at his

solemn funeral the day after his death on February 13, 1852:

see D. Negri, “La vita e la morte di Niccolò Puccini pistoiese

nelle pagine del giornale “La Speranza” (con le cronache

di un monumento funebre dimenticato),” in Niccolò Puccini.

Un intellettuale pistoiese nell’Europa del primo Ottocento, proceedings

of the study convention (Pistoia, December 3-4,

1999) ed. E. Boretti, C. d’Afflitto and C. Vivoli (Florence:

Edifir, 2001), 173-82: 175. See too “Palazzo dei Rossi,” 85-86

note 238, 100 note 267. On Girolamo’s role as a politician

and public figure see note 313 below in this study. On his

Masonic ideas see note 296. On the situation of Pistoian

culture in the Risorgimento see most recently E. Donati,

Niccolò Puccini e il Risorgimento a Pistoia, in Monumenti del

giardino Puccini, 13-55: 16-22.

299. See Paolini, “Una illustre istituzione culturale,” 85-86;

Petracchi, “Pistoia dalle riforme leopoldine,” 57-59; see too

notes 296 and 298 of this study.

300. As has been pointed out, when in fact, sometime

around the 1830s, much of Palazzo de’ Rossi—apart from

what had been reserved for Francesco and his family—had

become the property of his son Girolamo, the evident decision

to utilize the prestigious location as an official place of

representation and reception had led to a focusing of interest

on the piano nobile alone, given that Girolamo was already

able to make use of the adjoining 19th-century building

as a private home for his family. Proof of this comes

from the failure to complete the elevation of the building

with an additional volume above the “new gallery,” on the

western side of the third floor, where the floor has still not

been raised to bring it level with the rooms on that story,

and to build a vaulted ceiling to cover the exposed rafters

of the roof. As well, of course, as the persistence above the

door, on that side, of the original late-baroque decorations

with stucco frames around “landscapes.”

301. “Palazzo dei Rossi,” 31 note 65, 99-100 note 266; ASP,

Vecchio Catasto Terreni, Pistoia città, A 59, Arroti di volture,

1851, f. 117 v

302. In the two rooms on the eastern side of the third floor,

allocated to Francesco dei Rossi, the two original cross

vaults have been modified in such a way as to round off the

corners and flatten the ceiling. However, this cannot have

been done to permit their decoration with the painted medallions

containing figures, given that sampling during the

restoration process has revealed the presence of levels of

paint underneath at the center of the vaults. Nevertheless,

it must have been necessary to repair and whitewash those

ceilings before applying the last set of ornaments; it seems

that this was done at the behest of Francesco himself in

1837: see notes 277 and 280. The four medallions with landscapes

were painted at the center of each segment, while—

bizarrely—those with figures from classical antiquity were

frescoed on the profile of each of the rounded-off corners.

303. See notes 277-81.

304. Ibidem. The statement that the new “quarters” to be

done up for Francesco’s wife, Laura Sozzifanti, were located

“above the scrittoio” allows us to place them on the third

floor of the building adjoining Palazzo de’ Rossi on the left,

also known as the “old house.” The “scrittoio” or study and

the archives of the Rossi family had been located since 1791

on the second floor of this building: a series of alterations

and adaptations made over time by Canon Tommaso, who

went there often, had made it possible to reach the rooms

from the inside, from the third floor of the main building,

by means of a spiral staircase with brick steps. It was on this

that the canon had fallen, on April 29, 1806, breaking his

right kneecap: see “Palazzo dei Rossi,” 83 note 231. Nor does

it seem that the archives had changed location in those

times. On the works carried out on Francesco’s orders for

the refurbishment of his residence see too ibidem, 91.

305. They are, in my opinion, the earliest depictions of those

“views,” which were to become celebrated around the middle

of the 1840s as a result of the visits paid by many friends,

acquaintances and foreigners to Scornio and through the

medium of the publication that Niccolò Puccini chose

to devote to what he saw as his most important creation:

the Monumenti del giardino Puccini, printed in Pistoia by the

Tipografia Cino in 1845. Niccolò Puccini was the true conceiver

and designer of that singular “garden of Armida” (the

description is that of G. Bonacchi Gazzarrini, in Fabbriche

164

165



principale creazione: i Monumenti del giardino Puccini, edita

a Pistoia dalla Tipografia Cino nel 1845. Fu Niccolò Puccini

l’autentico progettista, ideatore e scenografo di quel singolare

“giardino di Armida” (la definizione è di G. Bonacchi

Gazzarrini, Fabbriche pittoresche, cit., p. 91) per realizzare il

quale diresse, dal 1822, uno stuolo di architetti, pittori, scultori,

costruttori, giardinieri. Fra le prime realizzazioni era

stato il complesso del Lago e Isola con il Tempio e la Grotta in

rovina di Pitagora, già compiuto nel 1825, cui era seguito il

Castello Gotico, le cui decorazioni interne ad opera di Bartolomeo

Valiani e di Ferdinando Marini erano state terminate

nel 1830: cfr. G. Bonacchi Gazzarrini, Fabbriche pittoresche,

cit., pp. 94-95, 96, 98-99. Cfr. anche, più recentemente, L.

Dominici, “Italia sia pure una volta sul serio”. Il sogno di Niccolò

Puccini nel giardino di Scornio, in Monumenti del giardino Puccini,

cit., pp. 109-149 (con riferimento alla bibliografia sull’argomento):

124, 126. La veduta del Lago col Tempio di Pitagora

in palazzo de’ Rossi, da assegnare con sicurezza a Ferdinando

Marini verso la fine degli anni Trenta del secolo XIX –

quindi a pochissimi anni di distanza dalla costruzione del

suggestivo fulcro di tutto il parco di Scornio – è perciò antecedente

all’incisione disegnata da Angiolo Gamberai dello

stesso soggetto per i Monumenti editi nel 1845 (cfr. anche in

M. Lucarelli, Iconografia di Pistoia, cit., p. 123), peraltro molto

più ‘descrittiva’ e molto meno suggestiva di quel piccolo

capolavoro di féerie dipinto solo per Francesco de’ Rossi

(evidentemente dotato ancora di buona vista, pur essendo

assai attempato, dato il piccolo formato dell’immagine). Lo

stesso si può dire per la ‘veduta’ miniaturizzata del Castello

Gotico (edificio realizzato fra 1826 e 1830): di cui in palazzo

de’ Rossi pare attestata una versione molto più pittoresca,

‘arcaica’ e suggestiva rispetto alla costruzione quale poi fu

completata e adattata alle esigenze di Niccolò Puccini che

dal 1836 vi andò ad abitare: diversa e anteriore rispetto al

disegno che ne aveva fatto forse allora lo stesso Ferdinando

Marini. Di esso esiste una stampa di prova uscita dalla litografia

Ridolfi, definita da L. Dominici in Niccolò Puccini. Un

intellettuale pistoiese, cit., p. 47, “immagine di tono onirico,

tanto da far pensare ad una veduta di fantasia”, che “rappresenta

un castello più piccolo di quello disegnato dal Gamberai,

mancante del fabbricato addosso al corpo centrale ad

ovest, ma […] fedele nel restituire l’edificio nei minimi dettagli”.

La litografia, riprodotta in M. Lucarelli, Iconografia

di Pistoia, cit., p. 106, fu usata poi da Niccolò Puccini come

testatina nella carta da lettere per la sua corrispondenza,

dato che sotto la figura si trova la “data topica”: “Dal Castello.

Giardino Puccini”. Di quella carta da lettere esiste

un esemplare, spedito con la data del 2 giugno 1841 (ritenuta

la data del disegno e relativa incisione, che peraltro possono

anche essere un po’ anteriori), in BCF, Raccolta Puccini,

Carte, cass. IX, n. 3, Lettera di Niccolò Puccini a Capitolino

Mutti, alla data indicata). Questo disegno deve comunque

essere successivo alla ‘vedutina’ di palazzo de’ Rossi, perché

in essa è riportato uno stadio progettuale che prevedeva

forse di lasciare allo stato di finta rovina la parte superiore

del torrione medioevale, poi invece ‘regolarizzata’ con merli

ghibellini e torricelle ai quattro angoli del coronamento,

come risulta dal più ‘oggettivo’ disegno di Angiolo Gamberai

inciso da Antonio Verico per l’edizione dei Monumenti del

giardino Puccini del 1845: cfr. anche M. Lucarelli, Iconografia

di Pistoia, cit., p. 120. Buone riproduzioni dell’Isola e Tempio

di Pitagora e del Castello Gotico sono anche in L. Dominici,

“Italia sia pure una volta...”, cit., alle pp. 124, 126.

306. La felice espressione è di Anna Maria Matteucci, Palazzo

Aldini, cit., p. 246.

307. Cfr. C. Becarelli, L. Di Zanni, Il palazzo e la famiglia

Rossi Cassigoli, cit., p. 76, ill. p. 79. Filippo Rossi-Cassigoli

riferiva, nei suoi Ricordi di viaggio, in cui aveva annotato

memorie relative ad un suo viaggio in Italia settentrionale

compiuto nel 1863, di aver visto nella Biblioteca Ambrosiana

di Milano i rilievi in marmo di “Horvatosen”, le cui

copie fedeli erano state riprodotte in pittura da Ferdinando

Marini nei medaglioni ‘a ricamo’ eseguiti nella volta del

“salotto buono” al primo piano del suo palazzo, con scene

del mito classico, così come dallo scultore danese derivava

anche il riquadro centrale con Venere e Amore. Tali modelli

erano stati realizzati da Thorvaldsen fra il 1807 e il 1810, e

il tramite doveva essere stato, probabilmente, un repertorio

di incisioni a stampa.

308. Circa i soggetti classici da far raffigurare entro medaglioni

nella seconda delle stanze al secondo piano del palazzo

de’ Rossi, verso la fine degli anni Trenta dell’Ottocento,

Francesco poteva avere come referenti per una consulenza

artistica o Niccolò Puccini e gli stessi pittori che lavoravano

per lui alla villa e al parco di Scornio (che potevano essere

tramite con la più aggiornata cultura accademica fiorentina

o con l’ambiente romano); oppure amici e conoscenti in

contatto col mondo dell’arte perché a loro volta committenti

di imprese decorative e figurative per i loro palazzi;

oppure anche artisti noti per contatti diretti avvenuti in

precedenza. Il rapporto con l’orizzonte dei progetti e delle

realizzazioni promossi da Niccolò Puccini – questa volta

anche tramite Ferdinando Marini – è innegabile per quanto

riguarda il parco di Scornio (di cui sono ‘citate’ due delle

più caratteristiche vedute); meno probabile risulta però per

quanto riguarda soggetti afferenti ad un gusto ‘antiquario’

con preferenze per un “Bello ideale”, quali prescelse Francesco,

dato che in quel tempo Niccolò Puccini era stato del

tutto conquistato dalla ‘pittura di storia’ con forti valenze

ideologiche, anti-tiranniche e patriottiche. La situazione

delle committenze artistiche a Pistoia fra gli anni Venti e gli

anni Quaranta del secolo XIX risulta attraversare un periodo

di sostanziale rarefazione di iniziative importanti, anche

per il ricambio sociale dei ceti allora al potere in seguito

alle riforme leopoldine e napoleoniche, che con la Restaurazione

non erano state annullate nelle loro conseguenze

economiche e politiche. Figurine squisitamente disegnate

rielaborando celebri statue classiche (come l’Eros saettante

lisippeo, il Pothos di Skopas, il Satiro in riposo prassitelico,

l’Afrodite anadiomene, lo Zeus Capitolino – noti attraverso copie

antiche per lo più esistenti nei musei di Roma) oppure

desunte da originali o riproduzioni di repertorio dei grandi

crateri italioti (per il modello del Paride col cappello frigio),

quali furono dipinte in palazzo de’ Rossi, presuppongono

una profonda e aggiornata conoscenza della classicità ed

una grande cultura artistica: che non credo possa attribuirsi

a Ferdinando Marini, forse geniale autodidatta all’inizio della

sua attività, cui in seguito deve essere stata data una conveniente

istruzione accademica. In particolare, l’Afrodite

anadiomene del palazzo de’ Rossi ha come suo eloquente modello

la splendida scultura marmorea dello stesso soggetto

rinvenuta in pezzi nel 1804 alla periferia di Siracusa e subito

ricomposta, pur restando mutila dell’avambraccio destro e

della testa. La scoperta suscitò allora molto scalpore e a lungo

poeti e scrittori dell’Ottocento menzionarono con ammirazione

questa variante dell’Afrodite Cnidia di Prassitele:

cfr. F. Grillo, Siracusa, Milano, Mondadori-Electa/Il Sole 24

Ore, 2007, p. 136. Contatti con la grande cultura ‘antiquaria’

romana di fine Settecento-inizi Ottocento, però, poteva

averli avuti Nicola Monti – ben noto a Francesco dei Rossi

– che a Roma nel 1814 aveva avuto modo di conoscere,

fra i grandi maestri del neoclassicismo, anche quello scultore

danese Bertel Thorvaldsen (cfr. C. Sisi, Niccola Monti,

cit., p. 100) che – pur non essendo conosciuto da Filippo

Rossi-Cassigoli, committente delle pitture del suo palazzo,

che ne storpiava il cognome, cfr. la nota 307 nel presente

studio – risulta l’autore delle sculture prese a modello, fra

gli anni Quaranta e gli anni Cinquanta dell’Ottocento, da

Ferdinando Marini per le scene dei medaglioni dipinti in un

salotto del palazzo medesimo. Peraltro, Nicola Monti non

si era mai del tutto distaccato dall’ambiente pistoiese, dove

ambiva di ricevere commissioni d’arte e dove, proprio nel

1838, era tornato per affrescare in palazzo Vivarelli-Colonna

(famiglia amica dei Puccini) l’Italia e le allegorie dell’Onore,

della Salute e della Virtù: cfr. ibidem, p. 100. Potrebbe essere

stato Monti ad aver fornito una consulenza e i modelli,

ispirati alla produzione artistica di Thorvaldsen, per le eleganti

figurine di personaggi del mito classico da inserire nei

medaglioni, poi dipinti da Ferdinando Marini sulla volta di

quella stanza in palazzo de’ Rossi.

309. Thorvaldsen si poneva, a differenza di Antonio Canova

(1757-1822) e della sua personalissima interpretazione

dell’Antico, come assertore di un “Bello ideale” da attingere

all’ineguagliabile bacino di esempi di perfezione che

la scultura antica greco-romana offriva, con una posizione

intellettualmente molto simile a quella di Johann Joachim

Winckelmann. Rimasto a Roma dal 1797 al 1837, Thorvaldsen

era allora uno dei massimi referenti del gusto ‘antiquario’

e vi ricevette onori e riconoscimenti. Dopo la morte,

avvenuta nel 1844, gli venne dedicato in patria un museo

che raccolse la maggior parte dei modelli, dei calchi e delle

opere di scultura. Cfr. Bertel Thorvaldsen 1770-1844, scultore

danese a Roma, catalogo della mostra a cura di E. di Majo,

B. Jørnaes, S. Susinno (Roma, 1989-1990), Roma, De Luca

Editore, 1989.

310. Cfr. la nota 305.

311. Ibidem.

312. La documentazione fotografica dei saggi effettuati da

tecnici della società fiorentina ICONOS al di sotto dell’intonaco

delle due stanze, durante gli ultimi restauri (conservata

presso la Fondazione Cassa di Risparmio di Pistoia e Pescia)

attesta la presenza di queste stratificazioni pittoriche, su cui

cfr. anche le note 101 e 302 nel presente contributo.

313. Girolamo Alessandro, comunemente chiamato Girolamo,

aveva esordito in giovinezza prendendo una precisa

posizione culturale e ideologica ‘liberale’ e progressista,

attestata anche con la scelta dei temi delle pitture commissionate

in palazzo de’ Rossi fra il 1828 e il 1831: di cui quello

de La Danza della prima giornata del Decamerone (anomalo

rispetto alla “pittura di storia” del nascente romanticismo

artistico) rivela, a mio avviso, già appieno l’umanitarismo

teistico cosmopolita proprio della massoneria (cfr. la nota

296). L’affinità con il pensiero filantropico di Niccolò Puccini

si era palesata proprio in quell’anno: nel 1831 Girolamo

era stato infatti, con quest’ultimo, uno dei fondatori della

Cassa di Risparmio di Pistoia (cfr. G. Petracchi, Pistoia dalle

riforme leopoldine, cit., p. 65). Ne era stato presidente dal 1831

al 1834 e dal 1838 al 1840 (cfr. C. Paradiso, Teodulo Mabellini,

cit., p. 45 nota 36). Girolamo dei Rossi viene comunemente

ascritto alla corrente dei moderati riformisti che avevano

preso parte ai cambiamenti politici e costituzionali del 1848

in Toscana. Nel dicembre 1847 aveva partecipato, in qualità

di vice-comandante e col grado di maggiore, alla direzione

dell’allora costituita Guardia Civica; nel giugno del 1848

aveva fatto parte del comitato elettorale per l’elezione dei

deputati alla Camera del Parlamento toscano ed era stato

uno dei tre eletti, per il Collegio di Porta al Borgo e Porta

Lucchese. Nel 1861 aveva contribuito alla fondazione della

Società di mutuo soccorso fra gli operai e alla redazione

dello statuto di questa, partecipandone alla direzione: cfr.

F. Conti, Dalla sociabilità d’élite all’associazionismo di massa: società

civile e riti della modernità a Pistoia nell’età liberale, in Storia

di Pistoia, IV, cit., pp. 513-548: 522. In epoca post-unitaria

nel 1862 era divenuto gonfaloniere di Pistoia per nomina

regia: cfr. G. Petracchi, Pistoia dalle riforme leopoldine, cit.,

pp. 69, 73-74, 89. Anche il figlio primogenito Giulio si era

impegnato nella vita politica ed economica della città, con

le sue competenze in economia pubblica. Vittorio Capponi

pittoresche, 91) on whose realization he employed, from 1822,

a host of architects, painters, sculptors, builders and gardeners.

Among the first constructions had been the complex

of the Lake and Island with the Ruined Temple and Grotto

of Pythagoras, already complete by 1825, followed by the

Gothic Castle, whose interior decoration had been finished

by Bartolomeo Valiani and Ferdinando Marini in 1830: see

Bonacchi Gazzarrini, Fabbriche pittoresche, 94-95, 96, 98-99.

See too, more recently, L. Dominici, “‘Italia sia pure una

volta sul serio’. Il sogno di Niccolò Puccini nel giardino di

Scornio,” in Monumenti del giardino Puccini, 109-49 (with reference

to the literature on the subject): 124, 126. The view

of the Lake with the Temple of Pythagoras in Palazzo de’ Rossi,

which we can be confident was painted by Ferdinando Marini

toward the end of the 1830s—and thus just a few years

after the construction of the picturesque hub of the whole

park—therefore predates the engraving of the same subject

made by Angiolo Gamberai for the Monumenti, published in

1845 (see too Lucarelli, Iconografia di Pistoia, 123), moreover

much more “descriptive” and less atmospheric than that

little masterpiece of féerie painted just for Francesco de’

Rossi (who evidently still had good eyesight, despite his age,

given the small size of the image). The same can be said for

the miniaturized “view” of the Gothic Castle (built between

1826 and 1830), of which the version in Palazzo de’ Rossi

is much more “picturesque” than the construction that was

completed and adapted to the needs of Niccolò Puccini,

who went to live in it from 1836 onward: different from and

predating the drawing that may have been made of it at the

time by Ferdinando Marini himself. There is a test print of

it from the Litografia Ridolfi, described by L. Dominici in

Niccolò Puccini. Un intellettuale pistoiese, 47, as an “image of

dreamy tone, to the point where it can be considered an

imaginary view” that “represents a smaller castle than the

one that was drawn by Gamberai, lacking the structure built

onto the western side of the central block, but […] faithful

in its representation of the building down to the smallest

detail.” The lithograph, reproduced in Lucarelli, Iconografia

di Pistoia, 106, was later used by Niccolò Puccini as a heading

for his notepaper, given that the location is given under the

figure: “From the Castle. Puccini Garden.” There is a specimen

of that notepaper, used for a letter sent with the date

of June 2, 1841 (considered the date of the drawing and its

engraving, but they may also date from a short time earlier),

in BCF, Raccolta Puccini, Carte, box IX, no. 3, Letter from

Niccolò Puccini to Capitolino Mutti, on the date indicated).

Yet this drawing must be later than the view in Palazzo de’

Rossi, since it presents it at a stage in its design when the

plan may have been to leave the upper part of the medieval

keep in a state of mock ruin, whereas it would be “regularized”

with swallow-tailed merlons and turrets at the four

corners of the coping, as can be seen in the more “objective”

drawing by Angiolo Gamberai engraved by Antonio Verico

for the 1845 edition of the Monumenti del giardino Puccini: see

too Lucarelli, Iconografia di Pistoia, 120. Good reproductions

of the Island and Temple of Pythagoras and the Gothic Castle can

also be found in Dominici, “‘Italia sia pure una volta sul serio’,”

124, 126.

306. The apt expression is Anna Maria Matteucci’s, in

“Palazzo Aldini,” 246.

307. See Becarelli and Di Zanni, “Il palazzo e la famiglia

Rossi Cassigoli,” 76, ill. on 79. Filippo Rossi-Cassigoli mentioned

in his Ricordi di viaggio, a recollection of a journey

made in Northern Italy in 1863, having seen in the Biblioteca

Ambrosiana of Milan the marble reliefs by “Horvatosen”

(Thorvaldsen) which had been faithfully reproduced in

paint by Ferdinando Marini in the medallions with “tracery”

on the vault of the drawing room on the second floor

of his residence, containing scenes from classical myth, just

as the central panel with Venus and Cupid was based on a

work by the Danish sculptor. These models had been made

by Thorvaldsen between 1807 and 1810, and the means of

their distribution was probably a printed collection of engravings.

308. For the classical subjects to be represented in the medallions

in the second of the rooms on the third floor of

Palazzo de’ Rossi, toward the end of the 1830s, Francesco

may have turned for advice to Niccolò Puccini and the

painters who were working for him in the Villa di Scornio

and its park (who may have acted as intermediaries with the

more up-to-date culture of the Florentine academy or with

the Roman milieu); or to friends and acquaintances in contact

with the art world because they had themselves commissioned

decorative and figurative works for their residences;

or even artists he knew as a result of direct contacts

made earlier. The relationship with the projects and realizations

promoted by Niccolò Puccini—through Ferdinando

Marini this time as well—is undeniable as far as the park of

the Villa di Scornio (of which two of the most characteristic

views are “cited”) is concerned; it is less likely, however,

with regard to subjects pertaining to an “antiquarian” taste

with preferences for an “Ideal Beauty,” like the ones chosen

by Francesco, given that at that time Niccolò Puccini had

been wholly won over by “history painting” with its strong

ideological, anti-tyrannical and patriotic values. The number

of important artistic commissions in Pistoia between

the 1820s and 1840s underwent a substantial reduction,

partly as a result of the social mobility of the classes in

power following the Leopoldine and Napoleonic reforms,

whose economic and political consequences had not been

nullified with the Restoration. Exquisitely drawn figures

reworking famous classical statues (such as Lysippos’s Eros

Stringing the Bow, Scopas’s Pothos, Praxiteles’s Resting Satyr,

the Aphrodite Anadyomene, the Aphrodite of Cyrene, the Ju-

piter Capitolinus—known through ancient copies, most of

them in museums in Rome) or based on original examples

or reproductions of the great South Italian kraters (for the

model of Paris with a Phrygian cap), like the ones painted

in Palazzo de’ Rossi presuppose a profound knowledge of

classical antiquity and a great artistic culture: things that

I do not believe can be attributed to Ferdinando Marini,

who may have been a gifted autodidact at the beginning of

his career, and only later have received suitable academic

training. In particular, the Aphrodite Anadyomene in Palazzo

de’ Rossi took as its eloquent model the splendid marble

sculpture of the same subject found in pieces in 1804 on

the outskirts of Syracuse and immediately reassembled, although

the right forearm and head were missing. The discovery

caused a sensation at the time and for a long time

19th-century poets and writers continued to refer with

admiration to this version of Praxiteles’s Cnidian Aphrodite:

see F. Grillo, Siracusa (Milan: Mondadori-Electa/Il Sole 24

Ore, 2007), 136. But Nicola Monti—well known to Francesco

dei Rossi—may have had contacts with the great Roman

culture of the late 18th century-early 19th century. In Rome

in 1814, he would have had an opportunity to get to know,

among the great exponents of Neoclassicism, that Danish

sculptor Bertel Thorvaldsen (see Sisi, “Niccola Monti,” 100)

who—while not familiar to Filippo Rossi-Cassigoli, client

of the paintings in his residence, who misspelled his name;

see note 307 to this study—was the author of the sculptures

used as models by Ferdinando Marini, between the

1840s and 1850s, for the scenes of the medallions painted

in a drawing room of the same building. Moreover, Nicola

Monti had never completely cut his ties with Pistoia, where

he aspired to receive commissions and where, in that very

year of 1838, he had returned to fresco the Italy and allegories

of Honor, Health and Virtue in Palazzo Vivarelli-Colonna

(belonging to a family friendly with the Puccini): see ibidem,

100. It may have been Monti who gave advice and provided

the models, inspired by the work of Thorvaldsen, for the

elegant representations of figures from classical myth to be

inserted in the medallions painted by Ferdinando Marini on

the vault of that room in Palazzo de’ Rossi.

309. Thorvaldsen saw himself, unlike Antonio Canova

(1757-1822) and his very personal interpretation of antiquity,

as the champion of an “Ideal Beauty” to be based on the

incomparable stock of examples of perfection offered by

ancient Greco-Roman sculpture, taking a stand that was

intellectually very similar to that of Johann Joachim Winckelmann.

Living in Rome from 1797 to 1837, he was one of

the main exponents of the “antiquarian” taste and received

many honors and marks of recognition. After his death,

in 1844, a museum was dedicated to him in his homeland

that houses the majority of his models, casts and works of

sculpture. See Bertel Thorvaldsen 1770-1844, scultore danese a

Roma, catalogue of the exhibition in Rome, 1989-90, ed. E.

di Majo, B. Jørnaes and S. Susinno (Rome: De Luca Editore,

1989).

310. See note 305.

311. Ibidem.

312. The photographic documentation of the samples taken

by technicians of the Florentine ICONOS company from

underneath the plaster in the two rooms during the most

recent restoration work (of which is there a copy is also

preserved at the Fondazione Cassa di Risparmio Pistoia e

Pescia) attests to the presence of these layers of paint, on

which see notes 101 and 302 as well.

313. In his youth Girolamo Alessandro, commonly called

Girolamo, had taken a precise “liberal” and progressive

cultural and ideological position, reflected in his choice of

the themes for the paintings commissioned in Palazzo de’

Rossi between 1828 and 1831: of which that of The Dance of

the First Day of the Decameron (anomalous even with respect

to the “history painting” of emerging artistic Romanticism)

is already a full expression, in my view, of the cosmopolitan

theistic humanitarianism typical of Freemasonry (see note

296). His affinity with the philanthropic ideas of Niccolò

Puccini was made clear in that year: in 1831 he had in fact

been, with the latter, one of the founders of the Cassa di

Risparmio di Pistoia (see Petracchi, “Pistoia dalle riforme

leopoldine,” 65). He had been its president from 1831 al 1834

and from 1838 to 1840 (see Paradiso, “Teodulo Mabellini,”

45 note 36). Girolamo dei Rossi is generally ascribed to the

current of moderate reformists that had played a part in

the political and constitutional changes of 1848 in Tuscany.

In December 1847 he had participated, in the capacity of

deputy commander and with the rank of major, in the supervision

of the Guardia Civica or Home Guard that was

set up at the time; in June 1848 he had been a member of

the electoral committee for the selection of the members

of the Tuscan House of Parliament and had been one of the

three men elected, for the constituency of Porta al Borgo

and Porta Lucchese. Following Unification he was made

gonfalonier of Pistoia by royal appointment in 1862: see

Petracchi, “Pistoia dalle riforme leopoldine,” 69, 73-74, 89.

In 1861 he had contributed to the founding of a mutual aid

association among workers and the drawing up of its statute,

playing a part in its management: see F. Conti, “Dalla

sociabilità d’élite all’associazionismo di massa: società civile

e riti della modernità a Pistoia nell’età liberale,” in Storia di

Pistoia, IV, 513-48: 522. His oldest son Giulio was also involved

in the political and economic life of the city, putting

his expertise in public finances to work. In 1878 Vittorio

Capponi mentioned him as one of his contemporaries and

referred to a writing of his on Le Banche di Emissione in Italia

and his drafting of the statute of a mutual savings bank that

he wanted to set up (Capponi, Biografia pistoiese, 467). Giulio

166

167



nel 1878 lo menzionava fra i contemporanei e ne indicava

uno scritto su Le Banche di Emissione in Italia e la stesura

dello Statuto di una costituenda Banca mutua popolare (V.

Capponi, Biografia pistoiese, cit., p. 467). Giulio di Girolamo

de’ Rossi nel 1879 era consigliere del consiglio di amministrazione

della Cassa di Risparmio di Pistoia, nello stesso

anno in cui uno dei fratelli minori, Guido (cfr. in questo

studio la seguente nota 319) era consigliere del Consiglio comunale

di Pistoia insieme con Filippo Rossi-Cassigoli: cfr.

A. Ottanelli, Gli anni del cambiamento (1878-1914), in Storia di

Pistoia, IV, cit., pp. 361-402: 364, 366. Dopo la costituzione,

nel 1883, della Banca mutua popolare che aveva in precedenza

auspicato, nel 1887 Giulio fu chiamato a presiederne

il consiglio di amministrazione. Nel 1891 egli pubblicava un

opuscolo contro la lotta di classe operaia, le false dottrine

del socialismo e a favore del solidarismo mutualistico: cfr. F.

Conti, Dalla sociabilità d’élite, cit., pp. 525-526.

314. Cfr. la nota 276. Era la scelta più razionale ed, in fondo,

obbligata. La nuova palazzina fu realizzata mediante l’acquisto

e l’abbattimento successivo di un edificio di proprietà

Conversini, che la moglie di Girolamo dei Rossi, Luisa

Magnani, aveva provveduto a comprare ed era poi passata

al marito dopo la morte di lei, avvenuta a Verona il 2 maggio

1841: cfr. Palazzo dei Rossi, p. 100 nota 266.

315. “Legge contro a chi rimovesse o violasse Armi, Inscrizioni,

o Memorie esistenti apparentemente nelli Edifizi

così pubblici come privati. Ottenuta nell’amplissimo Senato,

et Consiglio del dì 30 Maggio 1571 ab Incarnat.”, in L.

Cantini, Legislazione toscana, VII, Firenze 1803, pp. 311-313;

cfr. L. Gai, Centro e periferia, cit., p. 27 e nota 148 p. 94. Tale

legge non era stata mai abrogata: ma poteva allora ben essere

disattesa, dato che era stata emanata dal granducato

mediceo 279 anni prima.

316. Evidentemente l’utilizzo ulteriore, per i ricevimenti

ufficiali e la vita pubblica di Girolamo dei Rossi, del settecentesco

palazzo de’ Rossi e della relativa rimessa delle

carrozze, attigua alla nuova palazzina ottocentesca, presuppongono

collegamenti orizzontali fra i due edifici ad

ogni piano, scomparsi nel tempo con i frazionamenti ottonovecenteschi

della proprietà. Peraltro, l’esame delle planimetrie

del palazzo consente di notare le tracce residue

di questi passaggi, al piano terreno, al primo e al secondo

piano: particolarmente evidenti a quest’ultimo livello, dove

sul lato meridionale di testata alcuni vani di servizio (fra cui

quello destinato attualmente ad archivio della Fondazione)

invadono l’area relativa alla palazzina. Cfr. Palazzo dei Rossi,

pp. 21-23.

317. L’apertura di ispezione e controllo nei confronti di chi

si fosse presentato alla porta che dal primo pianerottolo

dello scalone dava ingresso alla branca di scala ottocentesca

che conduceva al primo piano in direzione sud, deve essere

stata praticata quando tale scalinata venne costruita. Lo

spioncino si apriva nel vano della “scala a chiocciola segreta”

che metteva in comunicazione, in verticale, tutti i piani

del palazzo.

318. Il contenuto del Taccuino di Tommaso dei Rossi, senza

il quale non sarebbe stato possibile conoscere le vicende del

palazzo de’ Rossi almeno fra 1748 e 1812, custodito nell’attuale

filza 15 dell’archivio Rossi, oggi passato nella Biblioteca

Comunale Forteguerriana di Pistoia, era rimasto del

tutto sconosciuto fino al mio precedente contributo edito

nel 2008, cui di frequente si è fatto riferimento anche in

questo saggio.

319. Dopo la morte di Girolamo dei Rossi, avvenuta il 3

giugno 1872, con atto di successione del 27 gennaio 1873 ne

divennero eredi i figli Giulio, Guido, Francesco ed Eugenio

e usufruttuaria per un quinto dei beni la seconda moglie

Maddalena Pazzi, residenti a Firenze: cfr. ASP, Catasto, Pistoia

città, Supplemento al Campione Catasto terreni, tomo 11,

c. 3115, anno 1873, voltura n. 18. Vi figuravano il palazzo, la

palazzina ottocentesca, il casamento “al Canto de’ Rossi”,

il giardino e gli annessi. La vendita del palazzo e della palazzina

ottocentesca furono attuati nei primi decenni del

Novecento.

320. Cfr. Guida storica e bibliografica degli Archivi e delle Biblioteche

d’Italia, diretta da P. Fedele, II, Parte I, Pistoia, a cura

di R. Piattoli, Roma, R. Istituto Storico Italiano/La Libreria

dello Stato, 1934, pp. 88-89. Nella Biblioteca Comunale

Forteguerriana di Pistoia esiste buona parte dell’Archivio

dei Rossi, recentemente inventariato e riordinato (il cui inventario

cartaceo – da me in precedenza consultato – non

risulta però attualmente disponibile); del fondo pergamenaceo

molto pregevole, ivi anch’esso conservato, esiste un

elenco con le sole date. Nell’Archivio di Stato di Pistoia si

trova, nel fondo Istituti Raggruppati, anch’esso riordinato

e inventariato, con catalogo a stampa, anche una parte

dell’Archivio di tale famiglia. Diversi altri pezzi sono conservati

nel Fondo Rossi-Cassigoli custodito nella Biblioteca

Nazionale Centrale di Firenze e, sempre nella Biblioteca

Comunale Forteguerriana di Pistoia, nei Fondi di diversi

collezionisti pistoiesi dell’Otto-Novecento.

321. Cfr. ASP, Catasto, Registro Partite, 6095 s°, con frazionamento

e redistribuzione della proprietà passata agli stessi

precedenti proprietari, il principale dei quali figura dal

1937 Baldi Sergio fu Azelio; con voltura del 12 marzo 1957 n°

1054/56 il palazzo e annessi sono accatastati a Mario Lapini,

per l’atto di compravendita del 19 ottobre 1955.

322. La proposta di donazione, inoltrata da don Mario Lapini

con atto legale alla Cassa di Risparmio di Pistoia e Pescia

in data 23 luglio 1990, rogato dal notaio pistoiese Giulio Cesare

Cappellini e registrato il successivo 30 luglio (Ufficio

Registro, Rep. 35196/11436), venne accettato a determinate

condizioni dall’Ente bancario il 9 dicembre 1993 con atto

rogato dal notaio Raffaele Lenzi di Montecatini, trascritto

presso la Conservatoria dei Registri immobiliari di Pistoia

il 24 dicembre 1993, g. gen. 7854, part. 5369. L’impegno prevedeva

che la Cassa di Risparmio di Pistoia e Pescia provvedesse,

sia durante la vita di don Mario Lapini che dopo la

sua morte, a continuare le stagioni concertistiche di Musica

da Camera; in modo che “ciascuna stagione musicale dovrà

allestire e programmare concerti che dovranno mantenere,

o per quanto possibile migliorare, il livello artistico attuale,

salvo cause di forza maggiore” (Atto di modifica di convenzione,

9 dicembre 1993, registrato a Pescia il 23 dicembre

1993, Ufficio Registro n° 1080 serie I).

323. Si veda in apertura di questo saggio la panoramica bibliografica

indicata; nel presente volume, il contributo di

Carlo Sisi sulle pitture di Nicola Monti e Giuseppe Bezzuoli.

324. Si rimanda all’illustrazione dell’intervento di restauro

e nuova funzionalizzazione del palazzo, da parte dell’arch.

Adolfo Natalini e architetti associati, nel presente volume.

325. Si veda il contributo di Paola Perazzi, Giovanni Millemaci,

Giuseppa Incammisa, in questo libro.

326. Cfr. la nota 10.

327. La Fondazione pubblica dal 2001 un proprio notiziario

quadrimestrale sull’attività svolta, dal titolo: “Società & territorio”,

utile strumento d’informazione per documentare

le scelte compiute di anno in anno: cfr. l’Editoriale a firma

dell’allora Presidente Ivano Paci in “Società & territorio”,

23, marzo-aprile 2008, p. 2.

328. Si rimanda al saggio di Roberto Cadonici, curatore del

presente volume, in cui sono illustrate le collezioni d’arte

della Fondazione.

329. Cfr. 1910-2010. Un secolo d’arte a Pistoia. Opere dalla Collezione

della Fondazione della Cassa di Risparmio di Pistoia e Pe-

scia, a cura di Lara-Vinca Masini, in occasione della mostra

(Pistoia, Palazzo Fabroni, 23 maggio-25 luglio 2010), Pistoia,

Gli Ori/Fondazione Cassa di Risparmio di Pistoia e Pescia

– Comune di Pistoia, 2010; Toscana ‘900. Guida ai Musei, Milano,

Skira, 2015, pp. 222-223.

330. Il gioco di parole coniato da Niccolò Puccini (“In passato

per i muli, oggi per le Muse”) è stato più volte citato in

bibliografia: cfr. ad esempio L. Dominici, Gli affreschi del

Villone di Scornio, cit., p. 43.

di Girolamo de’ Rossi in 1879 was a member of the board of

directors of the Cassa di Risparmio di Pistoia, in the same

year in which one of his younger brothers, Guido (see note

319 below) had a seat on the city council of Pistoia along

with Filippo Rossi-Cassigoli: see A. Ottanelli, “Gli anni del

cambiamento (1878-1914),” in Storia di Pistoia, IV, 361-402:

364, 366. After the constitution, in 1883, of the mutual savings

bank that he had earlier worked to create, Giulio was

called on to chair its board of directors in 1887. In 1891 he

published a pamphlet opposing class struggle and the false

doctrines of socialism and in favor of mutualistic solidarism:

see F. Conti, “Dalla sociabilità d’élite,” 525-26.

314. See note 276. It was the more rational choice and, when

all is said and done, an inevitable one. The construction of

the new palazzina was made possible by the purchase and

subsequent demolition of a building owned by the Conversini

family that Girolamo dei Rossi’s wife, Luisa Magnani,

had bought and that had then passed into her husband’s

hands after her death in Verona on May 2, 1841: see “Palazzo

dei Rossi,” 100 note 266.

315. “Law against anyone removing or damaging Coats of

Arms, Inscriptions, or Vestiges that appear in public and

private Buildings. Passed in the full Senate, and Council

on the day of May 30, in the year of our Lord 1571,” in L.

Cantini, Legislazione toscana, VII (Florence: 1803), 311-13; see

Gai, “Centro e periferia,” 27 and 94 note 148. This law had

never been abrogated but may have been disregarded at the

time, as it had been promulgated by the Medicean Grand

Duchy all of 279 years earlier.

316. Evidently the continuing use, for official receptions

and Girolamo dei Rossi’s public life, of the 18th-century

Palazzo de’ Rossi and its carriage house, adjoining the new

19th-century palazzina, presupposed horizontal connections

between the two buildings on every floor, which later

disappeared with the subdivisions of the property in the

19th and 20th century. An examination of the building’s

plans reveals traces of these passageways, on the ground,

second and third floor: they are particularly evident on this

last level, where at the southern end some rooms (including

the one that currently houses the archives) encroach on the

area relating to the palazzina. See “Palazzo dei Rossi,” 21-23.

317. The opening that allowed inspection of whoever presented

himself at the door that led from the first landing

of the staircase to the 19th-century flight of steps that led

southward to the second floor must have been made when

those stairs were built. The peephole opened onto the well

of the “secret spiral staircase” that connected all the floors

of the building vertically.

318. The contents of Tommaso dei Rossi’s Taccuino, without

which it would not have been possible to reconstruct the

history of the Palazzo de’ Rossi, at least from 1748 to 1812,

kept in what is now file 15 of the Rossi archives, today in the

Biblioteca Comunale Forteguerriana of Pistoia, were completely

unknown until my previous writing on the subject,

published in 2008, to which frequent reference has been

made in this essay.

319. After the death of Girolamo dei Rossi, on June 3, 1872,

a declaration of estate on January 27, 1873, made his sons

Giulio, Guido, Francesco and Eugenio his heirs and his second

wife Maddalena Pazzi usufructuary for a fifth of the

property, all of whom were resident in Florence: see ASP,

Catasto, Pistoia città, Supplemento al Campione Catasto terreni,

vol. 11, f. 3115, year 1873, registration no. 18. In it are listed

the palazzo, the 19th-century palazzina, the building “at the

Canto de’ Rossi,” the garden and the annexes. The palazzo

and the 19th-century palazzina were sold in the early decades

of the 20th century.

320. See Guida storica e bibliografica degli Archivi e delle Biblioteche

d’Italia, directed by P. Fedele, II, Part I, Pistoia, ed. R.

Piattoli (Rome: R. Istituto Storico Italiano/La Libreria dello

Stato, 1934), 88-89. The Biblioteca Comunale Forteguerriana

of Pistoia houses much of the Rossi archives, recently

inventoried and reorganized (although its inventory on paper—which

I had previously been able to consult—can no

longer be traced); there is a list of the extremely valuable

collection of parchments also preserved there, but it gives

only the dates. Another part of the family’s archives is in

the Archivio di Stato di Pistoia, in the Fondo Istituti Raggruppati,

also reorganized and inventoried, with a printed

catalogue. Several other papers can be found in the Fondo

Rossi-Cassigoli at the Biblioteca Nazionale Centrale in

Florence and, again in the Biblioteca Comunale Forteguerriana

of Pistoia, among the documents assembled by several

Pistoian collectors of the 19th and 20th century.

321. See ASP, Catasto, Registro Partite, 6095 s°, with subdivision

and redistribution of the property passed on to its previous

owners, the principal of whom from 1937 onward was

Baldi Sergio, son of the late Azelio; with registration no.

1054/56 of March 12, 1957, the building and its annexes were

recorded in the cadaster under the name of Mario Lapini,

on the basis of the deed of sale of October 19, 1955.

322. The proposal of donation of the building to the Cassa

di Risparmio Pistoia e Pescia, made by Don Mario Lapini in

a deed dated July 23, 1990, drawn up by the Pistoian notary

Giulio Cesare Cappellini and registered on the following

July 30 (Ufficio Registro, Rep. 35196/11436), was accepted

subject to certain conditions by the bank on December 9,

1993, with a deed drawn up by the notary Raffaele Lenzi of

Montecatini and transcribed at the Conservatoria dei Registri

Immobiliari of Pistoia on December 24, 1993, g. gen.

7854, part. 5369. The proposal required the Cassa di Risparmio

Pistoia e Pescia to continue, both during the lifetime of

Don Mario Lapini and after his death, staging the programs

of chamber music concerts; in such a way that “each season

of music will put on concerts that maintain, or if possible

improve, the current artistic level, except in cases of force

majeure” (Deed of modification of agreement, December

9, 1993, registered in Pescia on December 23, 1993, Ufficio

Registro no. 1080 series I).

323. See the overview of the literature at the beginning of

this essay; in this volume, Carlo Sisi’s essay on the paintings

of Nicola Monti and Giuseppe Bezzuoli.

324. The reader is referred to the illustration of the intervention

of restoration and new functionalization of the

building part by the architect Adolfo Natalini and his partners

in this volume.

325. See the essay by Paola Perazzi, Giovanni Millemaci and

Giuseppa Incammisa in this book.

326. See note 10.

327. Since 2001 the foundation has published a four-monthly

newsletter on the activities it carries out, under the title

Società & territorio. It is a useful means of documenting and

informing people about the choices made from year to year:

see the “Editoriale” signed by President Ivano Paci in Società

& territorio, 23 (March-April 2008), 2.

328. Readers are referred to the essay by Roberto Cadonici,

editor of this volume, in which the foundation’s art collections

are illustrated.

329. See 1910-2010. Un secolo d’arte a Pistoia. Opere dalla Collezione

della Fondazione della Cassa di Risparmio di Pistoia e Pescia,

ed. Lara-Vinca Masini, published on the occasion of the

exhibition at Palazzo Fabroni, Pistoia, May 23-July 25, 2010

(Pistoia: Gli Ori/Fondazione Cassa di Risparmio Pistoia e

Pescia-Comune di Pistoia, 2010); Toscana ‘900. Guida ai Musei

(Milan: Skira, 2015), 222-23.

330. Niccolò Puccini’s play on words (“Once for the mules,

today for the Muses”) has been cited several times in the

literature: see for example Dominici, “Gli affreschi del Villone

di Scornio,” 43.

168

169



PALAZZO DE’ ROSSI

Aurelio Amendola

170















184 185





188 189







194 195



196 197



198 199



200 201











SAGGIO 3

2009/10

20

SAGGIO 4

2009/10

LO SCAVO ARCHEOLOGICO

Paola Perazzi, Giovanni Millemaci, Giuseppa Incammisa, Cristina Taddei

N

15

14

3

5

6

C

15

4

16

STRADA ROMANA

18

11

B

5

12 13

SAGGIO 2

2009/10

18

17

19

5

5

A

21

SAGGIO 1

2009/10

22

SAGGIO 2012

The interest in Palazzo de’ Rossi and its courtyard shown by the Tuscan Archaeological

Heritage Department took shape in the early 2000s following repair and restoration

work on the external walls and the loggia around the courtyard, conducted by the owner

of the property, the Fondazione Cassa di Risparmio di Pistoia e Pescia 1 .

7

On that occasion, the 4.8m deep excavations carried out on the northern part of the

SAGGIO 2002

courtyard near Via del Carmine (Table 1, Excavation 2000) highlighted, as had nonetheless

emerged years before in the vegetable garden of the adjacent complex of San Iacopo

in Castellare 2 , a large fill that contained materials from different eras 3 , which was probably

8

created during the construction of the palazzo for the realisation of the terrace.

9

1

In 2002, in the centre of the courtyard, another trial excavation was carried out 4 (Table

10

1, Excavation 2002) which brought to light, below the remains of the nineteenth century

garden, flattened and destroyed by a modern asphalt surfacing, a terracing construction

23 24

in masonry and a water channelling system. All of the medieval living floors, in this excavation,

0 2 mt.

had been completely removed by modern-day interventions.

The terracing wall, running east-west and built using different kinds of rocks bound

2

together with mortar, was to contain the bank that sloped down to the valley where the

SAGGIO 2010

old course of the Brana river once flowed, and dates back to a period before the terrace

Fase 1 (I sec. a.C. - 15 d.C.)

Fase 2 (15-70 d.C.)

was built (Table 1, 23).

Fase 3 (70 d.C. - inizio III sec. d.C.)

Behind this structure, set in the yellow Pliocene clay which forms the natural soil, were

Fase 4 (IV-V sec. d.C.)

two channels from the Roman Imperial period, perpendicular to each other and with

Fase 6 (IX-XV sec. d.C.)

sides in cobbles or gravel bound together with clay or with mortar (Table 1, 8 and 10).

Fase 7 (XVI-XVII sec. d.C.)

SAGGIO 2000

Fase 8 (XVIII-XX secolo)

210 211

Tav. 1. Planimetria generale

L’interesse per Palazzo de’ Rossi e il suo cortile da parte della Soprintendenza per i Beni

Archeologici della Toscana si manifesta agli inizi degli anni 2000 a seguito di lavori di

risanamento e restauro delle murature esterne e del loggiato che delimita il cortile, condotti

dalla Fondazione Cassa di Risparmio di Pistoia e Pescia proprietaria dell’immobile 1 .

In questa occasione gli scavi eseguiti nella porzione settentrionale del cortile prospiciente via

del Carmine (Tav. 1, Saggio 2000) per una profondità di circa 4,80 m evidenziarono, come del

resto era emerso anni prima nell’area ortiva dell’adiacente complesso di San Iacopo in Castellare

2 , un poderoso riempimento che restituiva materiali di epoche diverse 3 probabilmente accumulatosi

in occasione della costruzione del palazzo proprio per la realizzazione della terrazza.

Nel 2002, al centro del cortile, veniva praticato un altro saggio 4 (Tav. 1, Saggio 2002) che metteva

in luce, al di sotto dei resti del giardino degli inizi dell’ottocento spianato e obliterato da una

pavimentazione moderna in asfalto, una struttura muraria di terrazzamento e un sistema di

canalizzazioni per la regolamentazione delle acque. Tutti i piani di vita di età medievale, in questo

settore d’indagine, erano stati completamente asportati dagli interventi di epoca moderna.

La struttura muraria di terrazzamento, con andamento est-ovest, costruita con pietrame

eterogeneo legato con malta, era destinata a contenere la scarpata verso valle dove scorreva

l’antico corso del torrente Brana ed è da riferire ad un periodo anteriore a quello

della realizzazione della terrazza (Tav. 1, 23).

A monte di questa struttura, fondate nell’argilla gialla pliocenica che costituisce il suolo

naturale, si conservavano due canalette di età imperiale fra loro perpendicolari, con spallette

in ciottoli o ghiaie legati con argilla o con malta (Tav. 1, 8 e 10).

THE ARCHAEOLOGICAL EXCAVATION

Paola Perazzi, Giovanni Millemaci, Giuseppa Incammisa, Cristina Taddei



Successivi lavori di restauro al settecentesco edificio di palazzo de’ Rossi hanno reso necessaria

l’esecuzione di indagini archeologiche di tipo stratigrafico che si sono svolte in modo non

continuativo dal 2009 al 2012, sia all’interno dell’immobile che nell’area del cortile retrostante,

compresa tra via de’ Rossi e sdrucciolo del Castellare 5 .

All’interno del palazzo tra il 2009 e il 2010 sono stati eseguiti tre saggi (Tav. 1, Saggi 1, 3 e 4) che

hanno restituito porzioni di strutture murarie e resti di una strada di periodo medievale 6 (Tav.

1, 21). Contemporaneamente è stato praticato il Saggio 2 nella porzione meridionale del cortile

dove sono emersi, al di sotto di stratificazioni e sepolture di età medievale, i resti di una strada

romana e di edifici ad essa contemporanei databili dall’età tiberiana al periodo tardo antico.

Sempre nel 2010, in adiacenza al Saggio del 2002 è stata scavata un’altra porzione del cortile

mettendo in luce i resti di un pozzo romano di età augustea (Tav. 1, 1 e 9).

Ultimo intervento in ordine di tempo è stato un piccolo saggio eseguito nel 2012 in corrispondenza

del disimpegno che dal cortile immette nel palazzo, dove sono emerse modeste

strutture murarie di periodo romano imperiale (Tav. 1, 7).

E’ stata questa un’occasione unica che ha consentito di leggere le stratificazioni della porzione

settentrionale della città dall’età augustea all’età moderna, documentarne con foto e rilievi

le diverse fasi, recuperare materiali di particolare interesse per tutti i periodi rappresentati.

P. P.

Epoca romana: la tarda repubblica e il periodo imperiale (I sec. a.C.-III sec. d.C.)

Fase 1: la tarda repubblica e l’età augustea (I sec. a.C.-15 d.C.)

Il suolo più antico, sul quale nei secoli si è andata sviluppando la città di Pistoia, è costituito

da un compatto deposito di argilla, di formazione alluvionale, eroso dai torrenti Brana e

Ombroncello. Fra i due corsi d’acqua, il terreno argilloso originario si dispone a formare un

dosso, di quota progressivamente decrescente da nord-ovest verso sud-est 7 . L’area dove nel

Settecento sarebbe stato edificato il palazzo de’ Rossi si trova sul declivio nordorientale di

tale dosso, modellato dall’impluvio dell’antico corso del torrente Brana e compreso fra i 71 ed

i 69 metri sul livello del mare 8 .

L’argilla che costituisce il livello di base del complesso archeologico documentato nel sottosuolo

di palazzo de’ Rossi e del suo cortile ha un colore giallo ocra, sul quale spiccano in modo

netto le tracce delle più antiche attività prodotte dall’uomo. Come si è riscontrato anche

altrove nel centro storico, queste sono riferibili non ad un vero e proprio abitato strutturato,

ma ad un utilizzo del suolo di tipo prevalentemente agricolo: tagli di buche, fossi e piccoli

canali di irrigazione e di regimentazione delle acque piovane 9 . I fossi e le canalizzazioni non

sono disposti in modo casuale, ma sono orientati in senso nord-est/sud-ovest, oppure in senso

perpendicolare, nord-ovest/sud-est: è evidente l’intento di regolarizzare il deflusso delle acque

tenendo conto della morfologia del terreno naturale 10 . Sembrano databili fra la tarda età repubblicana

e l’età augustea, sulla base dei rapporti stratigrafici e degli scarsi materiali rinvenuti

nello strato di terreno limo-sabbioso che riempiva uno dei fossi del saggio 1 (2009-2010): fra

di essi in particolare, un’olletta frammentaria in ceramica a vernice nera ed un frammento

di lucerna a volute. Un bicchiere in ceramica a pareti sottili, databile non oltre l’inizio del I

secolo d.C., documenta il termine cronologico entro il quale il fosso venne definitivamente

obliterato (Tav. 2, n. 3).

Il terreno agricolo di epoca romana, bruno e piuttosto friabile, copriva direttamente il banco

di argilla. Conteneva pochi materiali ceramici, compresi fra la tarda età repubblicana ed

almeno l’iniziale I secolo d.C. 11 .

In un momento forse di poco successivo, al di sopra del terreno agricolo è stata realizzata

una massicciata di ciottoli fluviali di medie dimensioni 12 : potrebbe trattarsi di una struttura

di drenaggio, oppure di una rudimentale massicciata stradale, non particolarmente regolare.

Un frammento di coppa in ceramica sigillata italica con bollo in cartiglio rettangolare dell’officina

di Crestus (fig. 1), recuperata fra le pietre, consente di riferire la struttura ad un periodo

1. Frammento di ceramica sigillata italica con bollo

rettangolare (F… Crest), dalla massicciata di primo periodo

imperiale (saggio 2, 2009-2010).

Subsequent restoration of the eighteenth century building of Palazzo de’ Rossi made it necessary

to conduct archaeological stratigraphic research, which was carried out sporadically

between 2009 and 2012, both inside the building as well as in the courtyard area behind,

between Via de’ Rossi and Sdrucciolo del Castellare 5 .

Inside the palazzo, three trial excavations were carried out (Table 1, Excavations 1, 3 and 4)

between 2009 and 2010, bringing to light portions of masonry constructions and the ruins of

a road dating back to the Middle Ages 6 (Table 1, 21). At the same time, trial excavation 2 was

carried out in the south portion of the courtyard, where beneath stratifications and medieval

graves, the ruins of a Roman road and buildings emerged, probably dating to between the

Tiberian age and Late Antiquity.

Again in 2010, next to the trial excavation of 2002, another portion of the courtyard was

excavated, revealing the ruins of a Roman well from the Augustan age (Table 1, 1 and 9).

The last intervention was the small trial excavation carried out in 2012 in the hall leading

from the courtyard into the palazzo, where modest masonry constructions from the Roman

imperial period were found (Table 1, 7).

This was a unique opportunity which allowed the stratifications of the northern portion

of the city from the Augustan age to the modern age to be read, the different phases to be

documented with photos and findings, and materials of special interest for all of the periods

in question to be recovered.

P.P.

The Roman era: the late republic and the imperial period (1st c. B.C.-3rd c. A.D.)

Phase 1: the Late Republic and the Augustan age (1st century B.C.-A.D. 15)

The oldest soil, on which the city of Pistoia grew over the centuries, is made up of a compact alluvial

clay deposit, eroded by the rivers Brana and Ombroncello. Between the two waterways, the

original clayey soil formed a hill, sloping down northwest to southeast 7 . The area where Palazzo de’

Rossi would be built in the eighteenth century is on the northeast slope of that hill, shaped by the

watershed of the old course of the Brana river and with an altitude of between 71 and 69 metres 8 .

The clay that makes up the base level of the archaeological complex documented beneath

Palazzo de’ Rossi and its courtyard has a yellow ochre colour, in which traces clearly stand out

of man’s most ancient activities. As found elsewhere in the old city centre, these do not point

to an actual inhabited area, but to a mainly agricultural use of the soil: holes, ditches and

small channels for irrigation and rainwater drainage 9 . The ditches and channelling are not arranged

randomly, but run northeast/southwest, or perpendicularly, northwest/southeast: the

intention to regulate the outflow of the waters in keeping with the natural terrain is clear 10 .

They would appear to date back to between the Late Republic and the Augustan age, on the

basis of the stratigraphic relationships and the few materials found in the sandy-lime layer of

soil that filled one of the ditches in trial excavation 1 (2009-2010): these included, in particular,

a fragmented black glaze jar and a fragment of a volute oil lamp. A thin-walled ceramic

drinking vessel, datable to no later than the beginning of the 1st century A.D., documents the

chronological limit by which the ditch was destroyed definitively (Table 2, 3).

The Roman farmland, dark and rather crumbly, directly covered the bed of clay. It contained

little in the way of ceramic materials, dating between the late Roman Republic and the beginning

of the 1st century A.D. 11 .

At a time perhaps shortly after, above the farmland, a medium-sized ballast of river cobbles

was built 12 : it may have been a drainage structure, or a rudimentary and not particularly even

road embankment. A fragment of a terra sigillata cup with a rectangular stamp of the Crestus

workshop (fig. 1), recovered amidst the stones, dates the structure back to a period between

the mid Augustan age and the Tiberian age, therefore to the decades spanning the end of the

1st century B.C. and the beginning of the 1st century A.D.

Probably also attributable to this phase is the cylindrical well (Table 1, 1) for collecting ground-

212 213



compreso tra la media età augustea e l’età tiberiana, quindi ai decenni a cavallo tra la fine del

I sec. a.C. e l’inizio del I sec. d.C.

Va probabilmente attribuito ancora a questa fase un pozzo cilindrico (Tav. 1, 1) di raccolta delle

acque di falda, rinvenuto in prossimità del limite settentrionale dell’area archeologica (figg. 2, 3).

Scavato nell’argilla naturale, esso presenta nella parte alta del taglio un rivestimento interno in

ciottoli, legati con semplice terra 13 . Il riempimento, costituito da scaglie di pietra e terreno sabbioso

fortemente compattato, è risultato assolutamente sterile. In base alle relazioni stratigrafiche, e

pure in assenza di reperti indicativi dal relativo riempimento, possiamo datare il pozzo alla tarda

età repubblicana o al primo periodo imperiale, al più tardi entro il I sec. d.C. Il pozzo, che ha un

diametro di 1,80 m ed è scavato in profondità per quasi tre metri nella sua parte conservata, doveva

probabilmente intercettare le acque di falda, effettivamente ancora oggi presenti e attive 14 . Non è

possibile determinare quanto esattamente proseguisse in elevato la struttura in ciottoli che riveste

parzialmente l’interno del pozzo, dal momento che in questa zona i livelli di vita di età romana sono

stati completamente asportati all’epoca della realizzazione del cortile del palazzo settecentesco 15 .

2. Pozzo di raccolta delle acque di falda, al termine dello

scavo.

Fase 2: l’età tiberiana e l’età claudia (15-70 d.C.)

Nel corso del primo periodo imperiale, l’area viene urbanizzata con la realizzazione di opere

anche a destinazione pubblica, la più importante delle quali è un piano stradale (Tav. 1, 3) orientato

in senso nord-est/sud-ovest, rinvenuto nel settore meridionale del cortile del palazzo de’

Rossi. La strada, larga circa 2,00-2,10 m e documentata per una lunghezza di circa dodici, è in

leggera pendenza da ovest verso est (secondo il naturale declivio del suolo antico) ed è costituita

da una massicciata di ciottoli e laterizi frammentari (fig. 4), cui sono frammiste diverse

ceramiche comprese tra la fine del I sec. a.C. e l’inizio del I sec. d.C. 16 . La pavimentazione è

realizzata al di sopra di una massicciata analoga ma meno strutturata, dalla quale provengono

i frammenti di una bella coppa in ceramica sigillata italica, decorata a rilievo con una figura

umana incedente verso sinistra, recante una gerla e seguita da un mulo: la coppa si data entro

water, found near the northern boundary of the archaeological area (fig. 2, 3). Dug into the

natural clay, in the upper part of the cut it has an inner cobble cladding, bound together with

just earth 13 . The filling, made up of rubble and highly compacted sandy earth, yielded nothing.

Based on the stratigraphic relationships, and even in the absence of indicative findings

in its filling, we can date the well to the Late Republic or Early Imperial period, at the latest

before the 1st century A.D. The well, which has a diameter of 1.8m and is almost three metres

deep in its conserved part, was probably supposed to intercept the water table, still present

and active in fact today 14 . It is not possible to determine exactly how far up the cobble cladding

that partially lined the inside of the well continued, since the Roman living levels were

completely when the courtyard of the eighteenth century palazzo was built 15 .

3. Veduta dall’alto del saggio 2010, nell’area del cortile di

palazzo de’ Rossi. Sulla destra, il pozzo di epoca romana

e, al centro, una canaletta di regimentazione delle acque

piovane, di fase imperiale. Sulla sinistra, il pozzo di epoca

moderna che attinge alla medesima acqua di falda di età

antica.

Phase 2: the Tiberian age and the Claudian age (15-70 A.D.)

During the Early Imperial period, the area was urbanised with the realisation of public works,

the most significant being a roadway (Table 1, 3) running northeast to southwest, found in the

southern portion of the courtyard of Palazzo de’ Rossi. The road, about 2 - 2.1 m wide and

documented up to a length of about twelve metres, slopes slightly from west to east (according

to the natural inclination of the ancient terrain) and is made of a ballast of cobbles and

brick fragments (fig.4), which included several ceramics datable to between the end of the 1st

century B.C. and the beginning of the 1st century A.D. 16 . The surface was built over a similar

but less structured ballast, which revealed fragments of a fine pottery cup in terra sigillata,

relief decorated with a human figure advancing left, holding a conical wicker basket and followed

by a mule: the cup is dated to within the Augustan age and represents the chronological

time after which the road was built (fig. 5).

On the south side, it is bordered by a small channel (Table 1, 4) with bottom and sides built in

Roman concrete (opus caementicium, fig. 6) 17 . To the north, instead, a porticoed area faces the road,

which revealed the bases of four quadrangular pillars 18 (Table 1, 5) in cobbles bound together with

214 215



4. Dettaglio della massicciata stradale del primo periodo

imperiale.

l’età augustea e costituisce il termine cronologico dopo il quale viene costruita la strada (fig. 5).

Sul lato meridionale, essa è delimitata da una canaletta (Tav. 1, 4) con fondo e spallette costruiti

in opera cementizia (opus caementicium, fig. 6) 17 . A nord, invece, sulla strada si affaccia

un’area porticata, della quale sono stati rinvenuti i basamenti di quattro pilastri quadrangolari

18 (Tav. 1, 5), in ciottoli legati con malta, disposti a formare un quadrilatero di 3,20 m per 2,10

(fig. 7). La pavimentazione del portico è costituita da un consistente livello di piccoli ciottoli

fluviali fortemente pressati, che originariamente presentava un rivestimento cementizio (con

ghiaia più fine allettata in abbondante calce biancastra), successivamente eroso e consunto a

causa di un utilizzo molto prolungato.

A sud della strada viene costruito un edificio abitativo, del quale si conserva solo un modesto

tratto di muro (Tav. 1, 6), in ciottoli legati con argilla. All’interno di esso sono stati documentati

due modesti battuti pavimentali in terra 19 .

A nord dell’area porticata, risalgono a questa fase altre due strutture murarie (Tav. 1, 7), probabilmente

pertinenti ad un’abitazione, legate a formare un angolo retto. Entrambe sono

realizzate in ciottoli fluviali di medie dimensioni, legati con calce 20 .

Nel settore settentrionale del cortile del palazzo settecentesco, poco a monte del pozzo di

età augustea viene costruita in questa fase una canaletta (Tav. 1, 8) orientata in senso nordovest/sud-est,

in pendenza da sud verso nord, le cui spallette sono costruite con scaglie di

pietra e ghiaia legate con malta, e il cui fondo è scavato direttamente nell’argilla naturale. Tipologicamente,

la struttura assomiglia ad una rinvenuta nel sottosuolo della limitrofa chiesa

di S. Iacopo in Castellare, attribuita alla fase di I sec. d.C. 21 .

Il rivestimento interno del pozzo (Tav. 1, 9), originariamente realizzato con l’uso esclusivo di

ciottoli legati con terra, viene adesso parzialmente restaurato e sostituito da una struttura in

laterizi frammentari e ciottoli di piccole dimensioni, legati con una malta, analoga a quella

utilizzata nella vicina canaletta.

Tra i materiali sporadici riferibili all’età Claudia si segnala un asse di Nerone, databile al 67 d.C. (fig. 8).

mortar, arranged to form a 3.2 by 2.1 m quadrangle (fig. 7). The paving of the portico is made up

of a thick layer of highly compacted river pebbles, which originally had a cement cladding (with

finer gravel set in plenty of lime), later eroded and consumed due to prolonged use.

South of the road, a house was erected, of which only a modest stretch of wall (Table 1, 6) remains,

in cobbles bound with clay. Inside, two modest beaten earth floors were documented 19 .

To the north of the porticoed area, two other masonry constructions date back to this phase

(Table 1, 7), probably belonging to a house and joining together to form a right angle. Both

were built in medium-sized river cobbles, bound together with lime 20 .

In the northern part of the eighteenth century palazzo courtyard, just before the Augustan

age well, a channel (Table 1, 8) was built during this phase, running northwest to southeast,

sloping from south to north, whose sides were built with rubble and gravel bound together

with mortar, and whose bottom was dug directly into the natural clay. In terms of type, the

structure resembles one found beneath the neighbouring church of S. Iacopo in Castellare,

attributed to the 1st century A.D. phase 21 . The inner cladding of the well (Table 1, 9), originally

realised using only cobbles bound together with earth, was then partially restored and

replaced by a structure in brick fragments and small cobbles, bound together with mortar,

similar to that used in the nearby channel.

Like in the previous case, the dates pertaining to this phase tally with those obtained from

the excavation of the ground beneath Palazzo dei Vescovi, where a ballast was built in the

Tiberian age and houses in the Claudian age 22 . In the same period, also the domus of Piazza

del Duomo was built, excavated by Pellegrini in 1903 23 .

6. La strada di periodo imperiale è delimitata verso sud da

una canaletta funzionale al deflusso delle acque.

7. Veduta dall’alto dell’area porticata che delimita verso

nord la strada di primo periodo imperiale. Sulla destra,

in evidenza due dei pilastri e, a ridosso, il margine

settentrionale della pavimentazione stradale.

5. Frammento di coppa in ceramica sigillata italica decorata a rilievo, dalla massicciata stradale.

Phase 3: from the Flavian age to the 3rd century (A.D. 70- 3rd century)

Following a small flood, the road was surfaced again with a ballast similar to the previous

one 24 , while north of it, the porticoed area was still in use, with the relative pavings of the

Early Imperial period.

216 217



Come nel caso della precedente, i dati pertinenti a questa fase concordano con quanto noto

dallo scavo del sottosuolo del palazzo dei Vescovi, dove in età tiberiana viene costruito un

piano stradale e in età claudia compaiono strutture abitative 22 . Nello stesso periodo viene

edificata anche la domus di piazza del Duomo, scavata dal Pellegrini nel 1903 23 .

Fase 3: dall’età flavia al III secolo (70 d.C.-III sec. d.C.)

Dopo un modesto fenomeno alluvionale, la strada viene nuovamente pavimentata con una

massicciata di tipo analogo alla precedente 24 , mentre a nord di essa risulta ancora in uso l’area

porticata, con le relative pavimentazioni del primo periodo imperiale.

Più a nord, nell’area del pozzo, viene costruita una nuova canaletta (Tav. 1, 10), orientata in senso

est/ovest: le sue spallette sono realizzate con scaglie di arenaria e ciottoli fluviali grossolanamente

sbozzati, legati con argilla, mentre il suo fondo è in opera cementizia 25 . La nuova canalizzazione

taglia perpendicolarmente quella della prima età imperiale, ormai completamente in disuso.

Probabilmente nel corso del II secolo, l’edificio a sud della strada viene distrutto da un incendio

26 , mentre la pavimentazione stradale viene fortemente erosa e poi coperta da un consistente

deposito sabbioso di origine alluvionale. Anche il portico settentrionale subisce forti

danni, forse con un parziale crollo.

Successivamente, la strada viene nuovamente pavimentata con massicciate che coprono in parte

l’antica area porticata e addirittura uno dei pilastri, ormai rasato 27 . I due pilastri settentrionali

del porticato vengono invece inglobati nella costruzione di un edificio abbastanza esteso, le

cui dimensioni originarie travalicano i limiti dell’area indagata e del quale sono stati scavati tre

ambienti (A, B, C), disposti in sequenza est-ovest, in senso parallelo al percorso viario 28 .

Il muro perimetrale sud dell’edificio (Tav. 1, 11) è costruito in ciottoli e frammenti di laterizi

legati con argilla, disposti in corsi abbastanza regolari al di sopra di un’assisa di fondazione,

costituita da blocchi di calcare e arenaria grossolanamente squadrati, che si appoggia ai due

pilastri del portico, ormai obliterati 29 . Sulla relativa faccia a vista meridionale sono addossate

due lesene, poste in corrispondenza degli originari pilastri del portico. All’interno, al muro

si addossano due tramezzi ad esso perpendicolari, realizzati l’uno in laterizi frammentari e

pietre (Tav. 1, 12), l’altro in ciottoli e frammenti di pareti di anfore (Tav. 1, 13). Le due strutture

delimitano tra loro i tre ambienti A, B e C.

Il più occidentale, l’ambiente A, è quello in peggiore stato di conservazione. A ridosso del

muro che lo delimita verso est si trovavano solo due modesti lacerti pavimentali, sovrapposti

l’uno all’altro (in cocciopesto slegato quello inferiore, ed in cocciopesto legato a calce quello

superiore), almeno in parte riferibili ad una precedente costruzione non meglio definibile. Un

mattone si trovava in prossimità dell’angolo formato con il muro perimetrale meridionale,

forse a costituire la base di una delle travi di sostegno della copertura.

L’ambiente centrale (B), interamente scavato, è delimitato da strutture murarie rinvenute in

fondazione 30 . Una struttura di tramezzo, in semplice terra frammista a spezzoni di laterizi

e in ciottoli e laterizi, costituisce una partizione interna in senso nord-sud. Il pavimento è

stato più volte rialzato, con una sequenza di semplici battuti in terra 31 , all’interno dei quali era

interrata la parte inferiore di un’anfora ispanica da garum, la cui porzione superiore (fig. 9) è

stata rinvenuta interrata verticalmente, con la bocca rivolta verso il basso, all’interno di una

piccola buca scavata all’esterno dell’ambiente, poco a sud di una delle lesene del muro perimetrale,

nella pavimentazione in ciottoli del vecchio porticato 32 . L’ambiente B potrebbe essere

stato destinato ad un uso lavorativo, per quanto questo non sia meglio definibile (fig. 10).

Nell’ambiente C non si è conservato alcun piano di calpestio correlabile con la prima fase di

vita dell’edificio 33 : qui il muro di fondazione taglia il suolo agricolo ed è impostato al di sopra

di una grande buca riferibile alla fase 1 (fig. 11). Fra i materiali sporadici riferibili agli inizi del

II secolo è un sesterzio dell’imperatore Traiano, coniato fra il 103 e il 111 d.C. (fig. 12).

A sud del percorso stradale, prosegue anche in questa fase l’utilizzo della canaletta che lo delimita

a meridione. In fregio ad esso viene costruito un nuovo edificio, che sostituisce quello precedente,

distrutto dall’incendio. Alla nuova costruzione appartengono alcune strutture murarie costruite

9. Parte superiore di un’anfora da garum (salsa per

condimento dei cibi, a base di pesce), di produzione

ispanica.

8. Moneta in bronzo (asse) dell’imperatore Nerone (67

d.C.), dall’area del cortile di palazzo de’ Rossi (RIC 368,

Cohen 300). Diritto: imp nero caesar avg germanic.

Rovescio: sc.

More north, in the area of the well, a new channel (Table 1, 10) was built, running east to west:

its sides were made in sandstone rocks and river cobbles, roughly hewn and bound together

with clay, while its bottom was in Roman concrete 25 . The new channel ran perpendicular to

the one from the Early Imperial age, then completely disused.

Probably during the 2nd century, the building south of the road was destroyed by a fire 26 ,

while the road surfacing was heavily eroded and then covered with a thick sandy alluvial deposit.

The northern portico suffered considerable damage, perhaps partial collapse.

Subsequently, the road was surfaced again with ballasts that covered part of the old porticoed

area and even one of the pillars, then cut 27 . The two northern pillars of the portico were

instead incorporated into the construction of a rather large building, whose original dimensions

stretch beyond the limits of the excavated area and of which three rooms (A, B, C),

were excavated, arranged east to west, parallel to the road 28 .

The south perimeter wall of the building (Table 1, 11) is made in cobbles and brick fragments

bound together with clay and arranged in rather regular lines above a foundation bed, built in

roughly hewn blocks of limestone and sandstone, which rests on the two pillars of the portico,

then destroyed 29 . Against the relative south facing front are two pilasters, set where the original

pillars of the portico once were. Inside, perpendicular against the wall are two partition

walls, one made in brick fragments and stones (Table 1, 12), the other in cobbles and amphora

wall fragments (Table 1, 13). The two structures divide up the three rooms A, B and C.

The most westerly, room A, is in the worst state of conservation. Next to the eastern perimeter

wall only two modest floor fragments were found, one on top of the other (the lower

one in untempered opus signinum, the upper in signinum tempered with lime), at least partially

attributable to some kind of previous construction. A brick was found near the corner

formed with the south perimeter wall, perhaps acting as the base of one of the supporting

beams of the roof.

The central room (B), completely excavated, is delimited by masonry constructions, found in

their foundation 30 . A partition wall, in simple earth mixed with brick fragments and in cobbles

and brick, constitutes an internal partition running north-south. The floor was raised a

number of times, with a series of simple beaten earth floors 31 , inside which the lower part of

a Spanish garum amphora was buried, whose upper part (fig. 9) was found buried vertically,

with the neck turned downwards, inside a small hole dug outside of the room, just south of

the pilasters of the perimeter wall, in the cobbled floor of the old portico 32 . Room B may have

been used for working, insofar as this cannot be better defined (fig. 10).

In room C no ground surface pertaining to the building’s first phase of life 33 was conserved: here,

the foundation wall cuts the farm land and is set above a large pit belonging to phase 1 (fig. 11).

South of the roadway, this phase also sees the use of the channel to delimit it to the south.

Alongside this, a new building was erected, which replaced the previous one destroyed by

fire. Belonging to the new building are some masonry constructions built using stone and

clay elements bound together with mortar: a probable pillar, partially documented at the

eastern boundary of the excavation, near the side of the channel; a wall built on the cut-off

previous perimeter wall (Table 1, 14), also running northwest/southeast; a wall perpendicular

to it (Table 1, 15), parallel to the course of the channel, of which only the first foundation layer

is conserved, without the use of binders; a channel (Table 1, 16) to collect and run off rainwater

(?), built in an L shape behind the latter wall and flowing into the oldest channel alongside

the road (fig. 13), then cut for that purpose on the south side. The new channel, covered by

large sloping tiles fixed with wedges of stone and terracotta 34 , was made with sides in fragments

of tile arranged with wings at the visible inner side or with bricks arranged edgeways,

bound together with the same mortar used in contemporary masonry constructions; the bottom,

sloping and converging with the channel along the road, was instead made using bricks

laid in sequence on their short side (fig. 14).

This building too was surfaced inside by a series of beaten earth floors, the most recent of

which was made of untempered opus signinum 35 .

218 219



10. Ambiente B dell’edificio costruito a nord della strada

glareata. La buca circolare scavata all’interno è risalente ad

epoca medievale.

con elementi litici e fittili legati con malta: un probabile pilastro, parzialmente documentato presso

il margine orientale dello scavo, in prossimità della spalletta della canaletta; un muro costruito

sulla rasatura di quello perimetrale precedente (Tav. 1, 14), come questo orientato in senso nordovest/sud-est;

un muro ad esso perpendicolare (Tav. 1, 15), parallelo all’andamento della canaletta,

del quale si conserva però solo la prima assisa di fondazione, priva dell’uso di leganti; una canaletta

(Tav. 1, 16) destinata alla raccolta e allo smaltimento delle acque piovane (?), costruita in forma di L

alle spalle di quest’ultimo muro e confluente nella più antica canaletta in fregio alla strada (fig. 13),

ora a tale scopo tagliata sul lato meridionale. La nuova canaletta, coperta da grandi tegole disposte

nel modo cosiddetto alla cappuccina e stabilizzate con zeppe di pietra e fittili 34 , è realizzata con

spallette in tegole frammentarie disposte con le ali in corrispondenza della faccia a vista interna

o con mattoni posti per taglio, legati con la medesima malta utilizzata nelle coeve strutture murarie;

il fondo, inclinato e confluente nella canaletta che delimita la strada, è invece realizzato con

l’impiego di mattoni disposti in sequenza per il lato corto (fig. 14).

Anche questo edificio era pavimentato all’interno da una sequenza di battuti, il più recente

dei quali costituito da un cocciopesto privo di legante 35 .

La fase insediativa si chiude con un lungo periodo di crisi, documentato dall’obliterazione delle

canalette correlate con la strada, da uno strato di deposito alluvionale che oblitera la massicciata

stradale, dalla distruzione o comunque dall’abbandono dell’edificio posto a nord di essa 36 .

Anche in questo caso, i dati archeologici desunti dallo scavo di palazzo de’ Rossi concordano

con quanto noto dal sottosuolo di palazzo dei Vescovi. Qui, ad una serie di innalzamenti e restauri

della massicciata stradale corrisponde un progressivo rialzamento dei piani pavimentali

interni agli edifici costruiti in fregio alla strada, in età flavia e per tutto il II secolo. Nuove,

importanti costruzioni vengono edificate a partire dalla prima metà del II secolo, a riprova di

un periodo piuttosto florido che si conclude nei decenni iniziali del III, con una crisi che determina

un relativo abbandono del sito e che sarà superata solo nel secolo seguente inoltrato 37 .

G. M.

11. Gli ambienti B e C (in primo piano) dell’edificio

costruito a nord della strada romana, al termine dello

scavo.

12. Moneta in bronzo (sesterzio) dell’imperatore Traiano,

databile tra il 103 ed il 111 d.C., dall’area del cortile di

palazzo de’ Rossi (RIC 459, Cohen 7). Diritto: imp caes

nervae traiano avg ger dac p m tr p cos v p p. Rovescio:

spqr optimo principi s c.

13. Dettaglio della copertura della canaletta dell’edificio

costruito a sud della strada.

220 221



14. Dettaglio del fondo della canaletta dell’edificio

costruito a sud della strada.

Dal tardoantico ai giorni nostri (IV sec. d.C.- XX secolo)

Fase 4: periodo tardoimperiale (IV - V sec. d.C.)

Dopo un lungo periodo di crisi, nella seconda metà del IV secolo viene rimesso in uso l’edificio

costruito a sud della strada (Tav. 1, Saggio 2), dove adesso viene impiantata una manifattura

di tipo artigianale, destinata alla lavorazione del metallo 38 . Nella parte occidentale

del settore, al di sopra della canaletta in opus caementicium, ormai spoliata e obliterata 39 , viene

costruito un grande muro (Tav. 1, 17), realizzato con l’impiego di grandi ciottoli, di bozze in

pietra grossolanamente squadrate e di laterizi frammentari, legati con argilla (fig. 15). Alcuni

dei materiali recuperati nei relativi piani di calpestio, in terra battuta, orientano verso una

datazione compresa nella seconda metà del IV secolo 40 (Tav. 5, n. 1; fig. 20).

Una nuova serie di massicciate pavimentano il percorso stradale, ancora in uso con il medesimo

andamento, stavolta delimitato verso sud da un modesto allineamento di ciottoli, solo

parzialmente conservato.

Un altro edificio viene in questo momento costruito a nord della strada, in luogo del precedente

ormai obliterato: le successive distruzioni e attività di spoglio ne hanno risparmiato

solo un lacerto murario orientato in senso nord-ovest/sud-est costruito con pietre e laterizi

frammentari legati con argilla, nonché alcuni battuti pavimentali 41 .

Dopo un ennesimo fenomeno alluvionale, che come di consueto si configura con un apporto

di terreno sabbioso con lenti di ossidazione, tra la fine del IV e l’iniziale V secolo la strada

viene ripavimentata con una regolare massicciata (fig. 16) realizzata con piccoli ciottoli fluviali

e frammenti di laterizi, contenente diverse monete tardoimperiali: quelle leggibili sono

comprese tra l’impero di Graziano (367-383 d.C.) e quello di Arcadio (383-408 d.C.) (fig. 17).

In questa fase viene realizzata, verso nord, una costruzione di non chiara destinazione, che sfrutta

parzialmente i lacerti murari di epoca precedente ancora in vista, ma che è sostenuta da una intelaiatura

lignea, della quale si conservano una serie di buche (Tav. 1, 18) per l’alloggiamento di pali (fig. 18).

A sud della strada, ancora tra la fine del IV e gli inizi del V secolo, prosegue l’attività della

struttura artigianale: un muro in ciottoloni e frammenti di laterizi commessi a secco sostituisce

la precedente struttura, probabilmente crollata o danneggiata.

E’ appartenente probabilmente ad epoca tardoimperiale anche la fondazione di un pilastro

circolare (Tav. 1, 19), del diametro di 1,20 m, rinvenuto a ridosso del muro costruito nella

parte orientale del Saggio 2 42 : non è purtroppo databile con precisione, dal momento che i

relativi piani di vita sono stati completamente rasati in epoca successiva (fig. 19). Una analoga

struttura, rinvenuta al limite occidentale dello scavo nella limitrofa chiesa di S. Jacopo in

Castellare, è stata riferita al IV-V secolo d.C. 43 .

L’ultimo intervento di scavo, eseguito nel 2012, ha permesso di mettere in luce un ulteriore,

modesto lacerto della fondazione di una struttura muraria riferibile a questa fase storica.

Poco dopo l’inizio del V secolo si data un nuovo momento di distruzione con conseguente, lungo

periodo di abbandono. L’edificio a sud della strada viene distrutto da un forte incendio, cui è

riferibile un consistente strato caratterizzato da una forte concentrazione di carboni 44 , nel quale

è stato recuperato un piatto frammentario in ceramica dipinta tarda, di produzione fiesolana a decorazione

lineare, databile tra la seconda metà del IV e gli inizi del V secolo 45 (fig. 20). Forse contestualmente

viene distrutto nuovamente anche l’edificio posto a nord della strada, che adesso viene

obliterata da un consistente apporto di terreno alluvionale e perde definitivamente la sua funzione.

In questa fase troviamo delle analogie con quanto emerso nello scavo della domus di piazza

del Duomo, dove dopo l’età imperiale si assiste ad un rinnovamento edilizio tra la fine del IV

e gli inizi del V secolo, ben documentato anche nella vicina area archeologica del palazzo dei

Vescovi 46 .

Fase 5: periodo altomedioevale (VI-IX sec. d.C.)

Dopo un lungo periodo di abbandono, una struttura muraria con andamento nord-sud, costruita

con mattoni di epoca romana di riutilizzo e connessa con almeno una struttura in

15. Grande struttura muraria in ciottoli e bozze di pietra di

periodo tardo imperiale.

16. Dettaglio della massicciata stradale di epoca

tardoimperiale.

The settlement phase ended with a long period of crises, documented by the destruction of

the channels along the road, by a layer of flood deposit that destroyed the roadbed, by the

destruction or nonetheless by the abandonment of the building standing north of the same 36 .

Also in this case, the archaeological data obtained from the excavation of Palazzo de’ Rossi

tally with that obtained from the subsurface of Palazzo dei Vescovi. Here, corresponding to a

series of raisings and restorations of the roadbed is a progressive raising of the floor levels inside

the buildings erected along the road, in the Flavian age and throughout the 2nd century.

New, large constructions were built from the first half of the 2nd century, as confirmation of

a rather prosperous period which ended in the first decades of the 3rd century, with a crisis

that caused a relative abandonment of the site and which would be overcome only after the

following century 37 .

G. M.

From Late Antiquity to the present day (4 th century A.D.- 20 th century)

Phase 4: late imperial period (4th – 5th century A.D.)

After a long period of crisis, in the second half of the 4th century, the building erected south

of the road (Table 1, Trial excavation 2) was in use once again, where then an artisan’s workshop

was set up, for metal working 38 . In the western part of the sector, above the channel in

opus caementicium, then stripped down and destroyed 39 , a large wall (Table 1, 17) was built using

large cobbles, roughly hewn blocks of stone and stone fragments, bound together with clay

(fig. 15). Some of the materials recovered in the relative floor surfaces, in beaten earth, point

towards a date within the second half of the 4th century 40 (Table 5, 1; fig. 20).

A new series of ballasts surfaced the roadway, still in use with the same course, this time delimited

on the south by a modest alignment of cobbles, only partially conserved.

Another building was erected at this time north of the road, on the site of the previously

222 223



17. Monete tardoimperiali comprese fra l’impero

di Graziano (367-383) e quello di Arcadio (383-408),

provenienti dall’ultima pavimentazione della strada

romana (a. fronte; b. retro).

ciottoli ad essa perpendicolare 47 , occupa parte dell’antica sede stradale. Un prezioso termine

cronologico di riferimento viene offerto da alcuni frammenti di bottiglia in ceramica decorata

ad incisione con motivi a pettine e impressioni puntiformi, databile ad epoca longobarda

(circa VII sec. d.C.), proveniente dal soprastante livello di disfacimento (fig. 21).

Uno strato di terreno sabbioso di colore grigio-giallastro, di natura probabilmente alluvionale,

sigillava tale livello di distruzione documentando un momento di abbandono.

In seguito, l’area viene destinata a sepolcreto, con tre tombe scavate in semplice fossa (fig.

22). La tomba 1 (fig. 23), alloggiata in una fossa poco profonda, orientata grosso modo in senso

est-ovest, è risultata tagliata al di sotto del torace dalla costruzione del muro che in epoca

moderna avrebbe delimitato verso ovest il giardino del palazzo 48 . L’ inumato, identificabile

con un individuo di sesso maschile adulto maturo, era stato deposto nella fossa in posizione

supina, con le braccia aderenti ai fianchi.

Diverso appare l’orientamento, probabilmente nord-sud, della tomba 2 (fig. 24), posta in

prossimità dell’angolo sud-orientale del Saggio 2, di cui si conserva solo il cranio essendo

stata fortemente compromessa in epoca contemporanea.

La tomba 3, infine, rinvenuta nel settore centrale dello scavo, era orientata in senso est-ovest

come la 1 ed era pertinente ad un adulto di sesso femminile (fig. 25). Anche in questo caso il

corpo dell’inumato, l’unico conservato nella sua integrità, era stato posto in posizione supina,

con le braccia lungo il corpo e le mani adagiate sul bacino. Sul torace è stato rinvenuto un

anello di epoca romana in bronzo, nel quale è incastonata una pietra corniola di forma ellittica,

sulla quale è raffigurato ad incisione un personaggio stante verso sinistra, recante lancia

e scudo e identificabile con il dio Marte. La stilizzazione della figura rimanda alla produzione

glittica del II-III secolo d.C. 49 (fig. 26). La posizione del ritrovamento fa ipotizzare che

l’anello fosse portato dal defunto come ciondolo, probabilmente con una collana in materiale

deperibile di cui non abbiamo traccia.

Mancando in tutti e tre i casi i relativi piani d’imposta, non è facile datare le tombe stratigraficamen-

18. Buche di palo relative alla intelaiatura lignea

dell’edificio tardo antico ai margini della strada romana.

building destroyed one: the subsequent demolition and stripping out operations left just a

fragment of masonry running northwest to southeast, built with stones and brick fragments

bound together with clay, as well as some beaten earth floors 41 . After the umpteenth flood,

which as usual brought a quantity of sandy earth with oxidising lenses, the road was resurfaced

between the end of the 4th and the beginning of the 5th century with an even ballast (fig. 16)

made from small river pebbles and brick fragments, containing several late imperial coins: the

legible ones include emperor Gratian (367-383 A.D.) and Arcadius (383-408 A.D.) (fig. 17).

In this phase, towards the north, a construction of unclear purpose was built, which partially

used the masonry fragments from the previous era, but supported by a wooden frame, of

which a series of holes (Table 1, 18) for slotting the posts (fig. 18) remain.

South of the street, still between the end of the 4th and the beginning of the 5th century,

the activity of the artisans workshop continued: a dry wall in cobbles and brick fragments

replaced the previous structure, which probably collapsed or was damaged.

Also probably belonging to late antiquity is the foundation of a circular pillar (Table 1, 19),

1.2m in diameter, found next to the wall built in the eastern part of Trial excavation 2 42 : unfortunately

it cannot be dated with precision, since the relative living floors were completely

removed the following era (fig. 19). A similar structure, found on the western boundary of the

excavation in the neighbouring church of S. Jacopo in Castellare, is attributable to the 4-5th

century A.D. 43 .

The last excavation, conducted in 2012, brought to light another, modest fragment of the

foundation of a masonry construction pertaining to this phase in history. Shortly after the

beginning of the 5th century came another time of destruction with a resulting, long period

of abandonment. The building south of the road was destroyed by a big fire, deducible from

a substantial layer marked by a high concentration of charcoal 44 , in which a fragmented dish

in late painted ceramic with linear decorations, made in Fiesole, was found, datable to between

the second half of the 4th and the beginning of the 5th century 45 (fig. 20). Perhaps also

224 225



19. Fondazione del pilastro di epoca tardoantica.

20. Frammento di piatto a vernice rossa tarda, proveniente

dagli strati di IV-V sec.

te. Tuttavia, le analisi archeometriche al radiocarbonio effettuate sui resti della tomba 3 hanno restituito

una datazione compresa tra il 692 e l’875 d.C., quindi tra l’età longobarda e l’età carolingia 50 .

Fase 6: il medioevo (IX-XV sec. d.C.)

All’interno del palazzo, nel Saggio 4, un livello di terreno databile ad epoca posteriore alla fine del

I-II sec. d.C., risulta tagliato dalla fossa di fondazione di una struttura muraria in ciottoli legati

con argilla (Tav. 1, 20), fondata su un livello di laterizi frammentari posti per taglio inclinato (figg.

27-28). Orientata in senso est-ovest, con un andamento che ricalca quello delle strutture di età

romana, la muratura era conservata solo per una lunghezza di 1,20 m ed era stata asportata verso

est da un profondo taglio. Presso il suo margine occidentale era conservato un lacerto di battuto

pavimentale in terra e ghiaia, databile tra il IX e il XII secolo, sulla base dei reperti ceramici associati.

Conferma la datazione della struttura la tecnica costruttiva tipica di questo periodo.

Pur in mancanza di diretti rapporti stratigrafici, potrebbero riferirsi a questa fase anche i resti

di due strutture murarie in ciottoli connessi a secco, rinvenute nell’area del cortile (Saggio

2). La loro funzione non è definibile, in quanto erano conservate solo in fondazione, essendo

state quasi interamente rasate in occasione dei lavori di costruzione del palazzo (fig. 22).

Almeno nella prima parte della fase 6, tuttavia, l’area sembra aver continuato a possedere una

destinazione di tipo insediativo. Oltre alle due strutture murarie precedentemente indicate, sono

attribuibili a questa fase una massicciata pavimentale in ciottoli e frammenti di laterizi ed un battuto

di argilla pertinenti ad una struttura in materiale deperibile con copertura in tegole. Segue

un fenomeno di incendio con conseguente crollo della struttura in laterizi. Allo stesso periodo

si riferisce anche una grande buca circolare (fig. 22 in alto a sinistra), molto profonda, che è stata

rinvenuta ricolma di pietre, cui erano frammisti diversi frammenti ceramici pertinenti a olle, testi

e boccali (Tav. 10).

Nel Saggio 1, all’interno del palazzo, è stata rinvenuta una massicciata (Tav. 1, 21) probabilmente

stradale (fig. 29 a destra) in ciottoli di fiume di piccole e medie dimensioni e fram-

destroyed at the same time was the building north of the road, which was then obliterated

by a substantial quantity of alluvial earth and thus lost its function for good. In this phase

we find analogies with that emerging from the excavation of the domus in Piazza del Duomo,

which after the Imperial age witnessed a new period of construction between the end of the

4th and the beginning of the 5th century, well documented also in the nearby archaeological

area of Palazzo dei Vescovi 46 .

21. Frammento di ceramica di epoca longobarda,

proveniente dai livelli di obliterazione della strada romana.

22 . Pianta delle fasi medievali (V e VI), con le tombe 1, 2, 3.

Phase 5: early medieval period (6th-9th century A.D.)

Following a long period of abandonment, a masonry construction running north to south,

built with reused Roman bricks and connected with at least one perpendicular structure in

cobbles 47 , occupied part of the old roadway. A valuable chronological term of reference was

offered by some fragments of ceramic bottle engraved with scalloped motifs and speckled

impressions, datable to the Longobard era (approx. 7th century A.D.), from the destruction

level above (fig. 21).

A layer of sandy earth, yellowish-grey in colour, probably alluvial, sealed that level of destruction,

documenting a time of abandonment.

Later, the area was used as a cemetery, with three tombs dug in a simple pit (fig. 22). Tomb 1

(fig. 23), set in a shallow grave, basically oriented east-west, was cut off below the chest by the

construction of the wall which in modern times would border westwards the garden of the

palazzo 48 . The body, identifiable as a male sub-adult, had been buried in the grave in a supine

position, with his arms by his sides.

The orientation of tomb 2 (fig. 24) appears different, probably north-south, set near the

southeast corner of trial excavation 2, of which only the cranium remains, having been seriously

compromised in the contemporary era.

Tomb 3, lastly, found in the central sector of the excavation, was oriented east-west like 1 and

was of an adult male (fig. 25). In this case too, the body, the only one conserved in its entirety,

226 227



menti di laterizi. La massicciata era impostata su un livello di argilla molto compatta e la

sua datazione è desumibile dai reperti archeologici in essa contenuti 51 fra cui è da segnalare

la presenza di un denaro enriciano purtroppo non perfettamente leggibile, ma riferibile ad

uno degli imperatori Enrico III, IV o V (fig. 30) 52 . Diversi frammenti sono riferibili a forme

di vasellame in ceramica nuda, di uso quotidiano da mensa, cucina o dispensa: si tratta di

frammenti di testi, olle e boccali che trovano confronto, ad esempio, nei reperti rinvenuti nel

sottosuolo dell’antico palazzo dei Vescovi, in livelli datati tra il IX ed il XII secolo 53 (Tav. 10).

Sia la massicciata, sia gli strati ad essa sottostanti erano tagliati da un possente muro in ciottoli,

bozze e scaglie di arenaria legati da malta (Tav. 1, 22) 54 . Non si conserva alcuna traccia dei relativi

piani di calpestio: solo sulla base di considerazioni stratigrafiche e topografiche e in base al tipo

di tecnica costruttiva, la struttura sembrerebbe da riferirsi ai secoli centrali del medioevo o al

tardo medioevo (fig. 31). Analoghe strutture murarie sono state individuate in vari ambienti posti

al piano terreno e nel piano interrato del palazzo, inglobate nelle sue fondazioni: pertinenti

a costruzioni di epoca basso medievale, esse sono riferibili alle case-torri già di proprietà della

famiglia de’ Rossi. Durante lo scavo delle cantine del palazzo (1785) si ha in effetti notizia che

furono rinvenute «forti muraglie, che eran i fondamenti d’una torre» e ancora, successivamente

(1794), «fu demolita una fortissima muraglia, che era il fondamento di una torre» 55 .

Nell’area del cortile del palazzo i livelli bassomedievali hanno lasciato traccia solamente in

strati di terreno forse destinati ad uso agricolo e, soprattutto, in una serie di frammenti di

maiolica arcaica, rinvenuti in giacitura secondaria.

23. Dettaglio della tomba 1: in primo piano il muro

settecentesco che ha tagliato la sepoltura.

Fase 7: il postmedioevo ed il periodo anteriore alla costruzione del palazzo (XVI – XVII sec.)

Nell’area del cortile sono riferibili al periodo rinascimentale alcuni scassi rinvenuti colmi

di pietre e laterizi, con numerosi frammenti ceramici residuali e alcuni elementi marmorei

architettonici di epoca romana.

Gli interventi di livellamento e riempimento dell’area hanno probabilmente asportato intehad

been placed in a supine position, with his arms along his body and hands placed on his

pelvis. On his chest, a Roman ring in bronze was found, set with an elliptical carnelian stone

bearing an engraved figure standing towards the left, holding a spear and shield and identifiable

as the god Mars. The stylisation of the figure recalls the engraved gems of the 2-3rd

century A.D. 49 (fig. 26). The position of the artefact would suggest that the ring was worn by

the deceased as a pendant, probably with a necklace in some perishable material of which no

trace remains. Since the springing lines in all three cases are missing, it is not easy to date the

tombs stratigraphically. However, the archeometric radiocarbon analysis carried out on the

remains of tomb 3 gave a date of between 692 and 875 A.D., therefore between the Longobard

era and the Carolingian era 50 .

24. Dettaglio della tomba 2: in evidenza porzione della

calotta cranica.

25. Veduta della tomba 3.

Phase 6: the middle ages (IX-XV century A.D.)

Inside the palazzo, in Trial Excavation 4, a level of soil datable to the era after the end of the

1st – 2nd century A.D., was cut by the foundation trench of a masonry structure in cobbles

bound together with clay (Table 1, 20), set on a level of brick fragments arranged at an angle

(fig. 27-28). Running east to west, with a course following that of the Roman structures, the

wall was conserved only for a length of 1.2m and had been removed eastwards by a deep cut.

Near its western edge, a part of beaten earth and gravel floor was conserved, datable to between

the 9th and the 12th century, on the basis of associated pottery findings. The dating of

the structure is confirmed by the construction technique typical of this period.

Despite the lack of direct stratigraphic relationships, possibly also pertaining to this phase are

the remains of two masonry constructions in dry shingle, found in the courtyard area (Trial

Excavation 2). Their function cannot be defined, insofar as only their foundations are conserved,

having been almost entirely levelled during the construction of the palazzo (fig. 22).

At least in the first part of phase 6, however, the area seems to have continued to have been

used as a settlement. Besides the two previously mentioned masonry constructions, also at-

228 229



ramente la stratigrafia di epoca medievale, nonché determinato la rasatura di una struttura

muraria con andamento est-ovest (Tav. 1, 23), costruita in pietrame eterogeneo a contenimento

dell’originaria scarpata naturale del terreno, verso nord.

28. Strutture murarie rinvenute nel Saggio 4: in

ciottoli il muro medievale, in mattoni i resti della stalla

settecentesca.

26. Anello di epoca romana rinvenuto sul torace dello

scheletro della tomba 3: sulla pietra corniola è incisa la

figura del dio Marte.

27. Particolare della struttura muraria rinvenuta all’interno

del Saggio 4.

Fase 8: costruzione e vita del palazzo (XVIII-XX secolo)

E’ nel corso del XVIII secolo che viene costruito il palazzo de’ Rossi. La prima fase costruttiva

si data con precisione dal 1749 al 1760, con diverse menzioni dell’avvio dei lavori e dell’approvvigionamento

dei materiali da costruzione 56 .

È noto che durante gli scavi per le fondazioni del muro di recinzione del terreno adibito alla costruzione

del palazzo, vennero rinvenuti importanti oggetti archeologici presumibilmente di epoca

romana 57 . La cosa suscitò un certo scalpore, e se ne interessarono perfino le autorità granducali. Dei

ritrovamenti è accurato testimone il canonico Tommaso, nel suo “Taccuino”: «Comprato i Rossi il

surriferito Praticcio, lo chiusero di muro nell’istesso anno 1762, e nello scavo de’ fondamenti dai lavoratori

fu ritrovato casualmente un idoletto figurante il dio della guerra, protettore delle milizie, e

fortezze, nominato il dio Marte. E di fatti ivi anticamente era una fortezza, che diede nome al luogo

di Castellare, qual fortezza rovinò per una terribile scossa di terremoto, seguita circa 200 anni avanti

la nascita del Redentore, ed ivi erano le mura della città di Pistoia, avanti li suoi ingrandimenti. L’antichità

di questo idoletto marte è ragguardevole, essendo anni 2594 fino a questo corrente anno 1794.

Questa statuetta, o idoletto Marte è stato considerato di gran valore dagli Antiquari, e fra

questi … Merlini pistoiese, quali fino lo stimarono 100 zecchini, per le qualità ben mantenute

fino a’ tempi presenti, essendo idolo antichissimo, e compagno a Minerva nella distruzione

d’Atene, avanti la nascita di Gesù Cristo 800 anni, e degno di stare in qualche Galleria. E

però il signore Pietro Rossi lo portò alla galleria di S.A.R. in Firenze, dove per grazia singolare

li fu reso, avendo grandissimo piacere di conservarlo nella galleria privata della famiglia.

Nell’orto poi di questa suddetta fabbrica sono state trovate varie anticaglie in diversi tempi, e nell’anno

1774 nel fare il fondamento del terreno furono trovate diverse monete, e fra queste una di Roma

tributable to this phase is a floor bed in cobbles, brick fragments and beaten clay pertaining

to a building in a perishable material with tiled roofing. A fire followed with the resulting

collapse of the brick structure. Also belonging to the same period is a large circular pit (fig.

22 top left), very deep, which was found filled with stones, mixed with different pottery fragment

belonging to jars, pots and jugs (Table 10).

In Trial Excavation 1, inside the palazzo, a ballast (Table 1, 21) was found, probably for a road

(fig. 29), in small and medium river cobbles and in brick fragments. It was set on a level of

very compact clay and its dating can be inferred from the archaeological findings it contained

51 including in particular the presence of a coin not perfectly legible unfortunately, but

pertaining to one of the emperors Henry III, IV or V (fig. 30) 52 . Several fragments can be

related to kinds of earthenware in bare ceramic, for everyday use at the table, in the kitchen

or pantry: they are fragments of pots, jars and jugs which are comparable, for example, with

the findings unearthed beneath the ancient Palazzo dei Vescovi, in levels dated to between

the 9th and the 12th century 53 (Table 10).

Both the ballast as well as the levels below it were cut by a large wall in cobbles, masonry

pieces and fragments of sandstone bound together with mortar (Table 1, 22) 54 . No trace of the

relative floor surfaces were conserved: only on the basis of stratigraphic and topographic relationships

and on the basis of the type of construction technique, the structure would seem

to date to the mid centuries of the middle ages or to the late middle ages (fig. 31). Similar masonry

constructions have been identified in various places on the ground floor and the basement

of the palazzo, incorporated into its foundations: pertinent to constructions of the late

medieval era, they can be attributed to tower-houses formerly belonging to de’ Rossi family.

During the excavation of the palazzo (1785) cellars, it was recorded that “strong walls, which

were the foundations of a tower” and again, later (1794), “a very heavy wall was demolished,

once the foundation of a tower” 55 , were found.

In the palazzo courtyard area, the late medieval levels have left traces only in strata of earth

230 231



dell’imperatore Gordiano 3° ed il nipote, e nel rovescio un Marte guerriero, ma di poco valore.»

Nel 1802 l’“orto” retrostante il palazzo venne trasformato in “giardinetto” 58 , con aiole rettangolari

delimitate da pianelle in cotto infisse nel terreno per taglio, alternate a piccole basi

quadrangolari in pianelle legate con malta, pertinenti probabilmente a colonnine porta-vasi o

simili (fig. 32). Il terreno che costituiva il suolo del giardino ha restituito numerose ceramiche

databili tra la fine del XVIII e gli inizi del XIX secolo. Di esso faceva parte anche una vasca

ubicata grosso modo al centro dell’attuale cortile, della quale si conservano solo una piccola

porzione della parete e la conduttura di afflusso dell’acqua 59 .

Nell’angolo nord-ovest del Saggio 2010 è stata inoltre rinvenuta una struttura che lo scavo ha

permesso di identificare come possibile rampa di servizio, discendente in direzione dell’attuale

via del Carmine a cui si addossa, nella parte est, una struttura muraria realizzata con

pietre sbozzate legate con malta cementizia (Tav. 1, 24).

Verso ovest, nel Saggio 2, il giardino era delimitato da un muro in mattoni, abbastanza ben

conservato nel tratto meridionale. Esso costituiva anche il limite orientale della rampa di accesso

al cortile dal portale di ingresso da vicolo de’ Rossi, nell’angolo sudoccidentale dell’area.

Alle stesse fasi di epoca moderna, all’interno del palazzo (Saggio 4), appartengono anche la

struttura di alloggiamento di una trave lignea ed una canaletta coperta da una bassa volta di

laterizi, pertinenti probabilmente alla stalla che venne realizzata nella parte destra del palazzo

tra il 1774 ed il 1780 60 (fig. 28).

Lo scavo ha messo in luce anche i resti del giardino novecentesco, sovrapposti a quelli di inizio

‘800, consistenti in una vasca circolare in muratura originariamente circondata da un marciapiede

in malta cementizia, delimitato da mattoni posti di taglio; il giardino presentava, inoltre,

vialetti inghiaiati e aiuole delimitate da pianelle di cotto poste in opera anch’esse in posizione

di taglio. Tali strutture riutilizzano anche precedenti aiuole, definite da vasche di calce pura.

G. I.

31. Veduta del possente muro

medievale rinvenuto nel Saggio 1

(sulla sinistra).

32. Panoramica dei resti del giardino

ottocentesco.

perhaps destined for farming and, particularly, in a series of fragments of archaic majolica,

found in secondary context.

Phase 7: the post medieval period and the period before the construction of the palazzo (16 th – 17 th century)

Pertaining to the Renaissance period, in the courtyard area, are some channels found filled

with stones and bricks, with numerous residual fragments of ceramic and some architectural

marble elements from the Roman era.

Levelling and filling interventions in the area probably completely destroyed the medieval

stratigraphy, and also caused the levelling off of a masonry construction running east-west

(Table 1, 23), built in different stones to contain the original earth embankment, northwards.

29. Massicciata stradale di epoca medievale, rinvenuta nel

Saggio 1.

30. Denaro in mistura ( enriciano) riferibile ad uno degli

imperatori Enrico III, IV oV ( 1039-1125), proveniente

dalla massicciata stradale di epoca medievale.

Phase 8: construction and life of the palazzo (18 th -20 th century)

It was during the 18th century that Palazzo de’ Rossi was built. The first phase can be precisely

dated from 1749 to 1760, with several mentions of the commencement of works and of

the supply of construction materials 56 .

It is known that during the excavations for the foundations for the boundary wall of the land

used for the construction of the palazzo, important archaeological objects were found, presumably

from Roman times 57 . This caused quite a stir, and even the grand ducal authorities

became involved. The cleric Tommaso gave accurate testimony to the findings in his “Taccuino”

(notebook):

“The Rossi family, having purchased the abovementioned Praticcio, walled it in the same

year 1762, and in the foundation pit, workers happened to find a statuette of the god of war,

protector of the military, and of fortresses, called Mars. And in fact in ancient times it was

once the site of a fortress, which gave its name to the place Castellare, and that fortress was

destroyed by a terrible earthquake, about 200 years before the birth of the Redeemer, and

there were the walls of the city of Pistoia, before it expanded. The antiquity of this statuette

232 233



Le ceramiche 61

Lo studio dei reperti ha riservato una maggiore attenzione ai numerosi frammenti ceramici,

rinvenuti nelle stratigrafie di Palazzo de’ Rossi, rispetto a quello di altri reperti mobili. I

frammenti sono stati suddivisi in classi funzionali e in produzioni, analizzando poi, in modo

più dettagliato, alcuni tipi diagnostici.

Le ceramiche sono risultate riconducibili a produzioni che vanno dal periodo tardo repubblicano

all’epoca moderna. Si tratta per lo più di frammenti di manufatti utilizzati per il consumo

di cibi solidi e liquidi, per la trasformazione, la conservazione o per la loro distribuzione

commerciale.

Le classi ceramiche e i tipi riconosciuti hanno confermato il quadro di presenze già delineato

per i siti del territorio pistoiese, descritti da ultimo nel volume della Carta archeologica della

provincia di Pistoia 62 , e, in particolare, nel vicino sito dell’Antico Palazzo dei Vescovi nella

Piazza del Duomo, scavato tra il 1973 e il 1980 e oggetto di un’accuratissima pubblicazione 63 .

Ceramiche fini da mensa (Tav. 2)

• Vernice nera e ceramica grigia

Sono stati riconosciuti rari frammenti di ceramica a vernice nera riconducibili alla «cerchia

della campana B» 64 . Il repertorio formale di questa classe è riferimento anche per le produzioni

locali e regionali di vernice nera con corpo ceramico grigio alle quali è, probabilmente, da

ascrivere un frammento di orlo di patera (tav. 2, n. 1) avvicinabile alla serie Morel 2255 diffusa

nella seconda metà del II sec. a.C. 65 Ceramiche analoghe a questa sono state riconosciute

anche nel sottosuolo dell’Antico Palazzo dei Vescovi, dove compaiono, anche in questo caso,

in percentuale ridotta e in uno stato frammentario e fluitato 66 .

Al repertorio della ceramica a vernice nera s’ispira anche la patera di ceramica grigia (tav. 2, n.

2) avvicinabile alla serie Morel 2271 67 diffusa tra il II e il I sec. a.C. Il frammento di Palazzo de’

Rossi si avvicina alle produzioni di ceramica grigia rinvenute in altri siti pistoiesi: nell’Antico

Palazzo dei Vescovi 68 , in piazza della Sapienza e ad Agliana 69 , confrontabili con la produzione

documentata anche a Fiesole e ad Artimino 70 .

• Ceramica a pareti sottili

La ceramica a pareti sottili, con cui si realizzarono, per lo più, vasi per uso potorio, è documentata

da frammenti di piccole dimensioni sia lisci sia decorati. Alcuni di essi (tav. 2, n. 3)

ricompongono in buona misura un esemplare riconducibile al bicchiere tipo Ricci I/19 – Marabini

IV in uso dalla seconda metà del II sec. al I sec. a.C. 71 .

• Terra sigillata italica e tardo italica (tav. 3)

Frammenti di Terra sigillata italica e tardo italica provengono da numerosi contesti indagati

in Palazzo de’ Rossi. Sono state riconosciute, per il momento, solo forme aperte come piatti,

coppe, calici, a pareti lisce o decorate.

Un numero considerevole di frammenti deve essere riferito a piatti con labbro verticale concavo

(tav. 16, n. 1) o diritto avvicinabili rispettivamente al tipo Conspectus 18 72 , prodotto dall’ultima

decade del I sec. a.C. fino alla prima del I sec. d.C. 73 , e al tipo Conspectus 20 74 , diffuso

dall’età augustea al 50 d.C. almeno 75 .

Sono stati riconosciuti anche alcuni frammenti di piatto con labbro a tesa pendente riferibili

alle produzioni di sigillata tardo italica Conspectus 39-42 76 diffusi dalla metà del I sec. alla metà

del II sec. d.C. In un caso si può osservare la caratteristica decorazione fitomorfa alla barbottina

del piatto tipo Conspectus 39. Un secondo esemplare, avvicinabile per la sola forma del

labbro al tipo Pucci XII 77 , si contraddistingue per un arricchimento della decorazione fitomorfa

ottenuto con una fila di perle alla borbottina applicate sull’orlo, (tav. 3, n. 2) per il quale si

può indicare un valido riscontro in un esemplare rinvenuto nell’Antico Palazzo dei Vescovi 78 .

Le coppe sono rappresentate dalla coppa troncoconica tipo Conspectus 23 79 , diffusa tra il secondo

e il terzo quarto del I sec. d.C. (tav. 3, n. 3) 80 , dalla coppa emisferica tipo Conspectus 36 81

of Mars is considerable, 2594 years having passed until this current year of 1794.

This statuette, or idol of Mars was highly valued by antiquarians, and of these ... Merlini of

Pistoia, who estimated it at 100 sequins for its quality so well preserved until present times,

it being a very ancient idol, who accompanied Minerva in the destruction of Athens 800

years before the birth of Jesus Christ, and worthy of a place in some gallery. However Mister

Pietro Rossi took it to the S.A.R. gallery in Florence, where it was miraculously returned to

him, since he very much wanted to keep it in the private family gallery.

In the vegetable garden of the said building various pieces of old junk were found at different

times, and in the year 1774, while making the foundations, several coins were found, including

one from Rome of emperor Gordian III and his nephew, and one the other side a warrior

Mars, but of little value.”

In 1802 the “vegetable patch” behind the palazzo was transformed into a “small garden” 58 ,

with rectangular flowerbeds bordered by terracotta tiles set edgeways into the earth, alternating

with small quadrangular bases in tiles bound together with mortar, probably pertaining

to small columns for flower pots or similar (fig. 32). The land which constituted the garden

surface revealed numerous ceramics datable to between the end of the 18th and the

beginning of the 19th century. Also forming part of the same is a basin located more or less

in the centre of the present-day courtyard, of which only a small portion of wall remains and

the water supply pipe 59 .

In the northwest corner of Trial Excavation 2010, a structure was also found which the dig

allowed to be identified as a possible entrance stairway, descending in the direction of the

present-day Via del Carmine which it rests against, on the eastern part; a masonry construction

made in roughly-hewn stones bound together with cement mortar (Table 1, 24).

Westward, in Trial Excavation 2, the garden was delimited by a wall in brick, quite well conserved

in the southern part. It also was the eastern boundary of the entrance to the courtyard

from the gate from Vicolo de’ Rossi, in the south-eastern corner of the area.

Also belonging to the same phases, inside the palazzo (Trial Excavation 4), is the housing for

a wooden beam and a channel covered by a low brick vault, probably pertaining to the stable

which was created in the right part of the palazzo between 1774 and 1780 60 (fig. 28).

The excavation also brought to light the remains of a 20th century garden, on top of those

from the early 1800, consisting in a circular masonry basin originally surrounded by a pathway

in cement mortar, bordered by bricks laid edgeways; the garden also had gravelled pathways

and flowerbeds bordered by terracotta tiles, also arranged edgeways. These structures

also reused previous flowerbeds, defined by basins in pure lime.

G. I.

The pottery 61

This part dedicates more attention to the study of numerous fragments of pottery, found in the

stratifications of Palazzo de’ Rossi, than to other finds. The fragments were first classified according

to function and production, followed by a more detailed analysis of some diagnostic types.

The pottery is attributable to wares ranging from the late Roman republic period to the

modern era. They are mainly fragments of wares used for the consumption of solid and liquid

foods, for the transformation and conservation of food and for the sale/distribution of the

latter.

The identified ceramic classes and types have confirmed the framework of presences already

outlined for the sites in the area of Pistoia, recently described in the volume of the Carta

Archeologica of the province of Pistoia 62 , and, in particular, in the nearby site of Antico Palazzo

dei Vescovi in Piazza del Duomo, excavated between 1973 and 1980 and the subject of a

highly detailed publication 63 .

Fine ceramic table wares (table 2)

• Black glaze and grey pottery

234 235



Tav. 2. Ceramiche fini da mensa. Vernice nera con corpo

ceramico grigio: 1. ; Ceramica grigia: 2.; Pareti sottili: 3.

Tav. 3. Terra sigillata italica e tardo italica.

(tav. 3, n. 5), attestata dall’età tiberiana fino alla fine del I sec., e dalla coppa emisferica con

listello Conspectus 34 82 (tav. 3, n. 4), che compare in età tardo tiberiana ed è ancora in auge nelle

produzioni di sigillata tardo italica dall’età flavia fino all’inizio del II sec. d.C. La forma è documentata

a Pistoia anche dai ritrovamenti dei siti di San Iacopo in Castellare 83 e dell’Antico

Palazzo dei Vescovi 84 .

I calici sono documentati da alcuni frammenti: un piede ricostruibile da tre frammenti (tav.

3, n. 6) e avvicinabile forse al tipo Conspectus R. 1.1.1 85 e dodici frammenti, in parte contigui,

con decorazione figurata a rilievo da riferire con certezza a un unico esemplare (fig. 33). Di

questo rimane una brevissima porzione dell’orlo arrotondato e decorato a rotella, sottolineato

da un piccolo listello che lo separa da una fascia liscia delimitata in basso da due solcature

parallele. Sotto a queste, una fila di perle a rilievo e una fascia di ovuli e lancette sovrastano

una scena figurata, che occupa tutto il campo delle pareti e della vasca del vaso. Vi si possono

riconoscere due personaggi maschili che incedono verso sinistra tenendo per una corda un

animale (equide? bovino?) e recano appesi ad un bastone o forse a una clava, appoggiata sulla

spalla sinistra, l’uno un canestro con serti vegetali (?) e nastri, l’altro due drappi (?) annodati.

I due personaggi dai volti glabri e dal naso prominente hanno identico abbigliamento: un

copricapo apicato o forse un mantello con cappuccio decorato con motivo a rete, una tunica

succinta, alti calzari (?) (conservati da un solo personaggio). La scena, come mostra un frammento

isolato ma certamente pertinente allo stesso esemplare, è definita in basso da due

lunghi tralci sinuosi che fuoriescono dal terreno in direzioni contrapposte a marcare la linea

di terra sulla quale poggiano due zampe animali (ungulati).

Il calice, al quale appartengono i frammenti appena descritti, sembra attribuibile alle produzioni

aretine decorate a matrice, delle quali costituisce, al momento, la più importante

attestazione in territorio pistoiese 86 . Non si sono rintracciati, sin qui, confronti puntuali che

riconducano il calice a una specifica bottega. L’elegante motivo a ovuli e lancette che delimita

la scena del vaso pistoiese trova confronti nei prodotti di varie officine aretine 87 . La tipologia

33. Frammenti di Terra sigillata decorata a matrice.

Rare fragments of black glaze pottery were identified, attributable to the “Circle of Campana

B” 64 . The formal repertory of this class becomes a reference also for the local and regional

productions of black glaze wares with grey ceramic body to which a fragment of patera rim

(table 2, no. 1) can most likely be attributed, similar to the Morel 2255 series, widespread in

the second half of the 2nd century B.C. 65 Similar ceramics were identified also in the subsoil

of the Antico Palazzo dei Vescovi, occurring, in this case too, in a low quantity and in a fragmented

and fluitato state 66 .

Also inspired by the repertory of black painted ceramics is the grey ceramic patera (table

2, no. 2) which is similar to the Morel 2271 series 67 , popular between the 2nd and the 10th

century B.C. The fragment from Palazzo de’ Rossi can be related to the grey pottery found

in other sites in Pistoia: in the Antico Palazzo dei Vescovi 68 , in Piazza della Sapienza and in

Agliana 69 , comparable with the wares documented also in Fiesole and in Artimino 70 .

• Thin-walled pottery

Thin-walled pottery, with which drinking vessels were mainly made, are documented by small

fragments, both smooth as well as decorated. Some of them (table 2, no. 3) make up a good

part of one example which can be related to Ricci I/19 – Marabini IV type goblets used from

the second half of the 2nd century to the 1st century B.C. 71 .

• Italic and Late Italic terra sigillata (table 3, tab. 1)

Fragments of Italic and Late Italic terra sigillata come from numerous contexts studied in

Palazzo de’ Rossi. For the moment, only open forms have been identified, such as plates,

bowls and goblets, with smooth or decorated walls.

A considerable number of fragments belong to plates with a vertical concave (table 3, no. 1)

or straight rim similar respectively to the Conspectus 18 type 72 , produced from the last decade

of the 1st century B.C. until the first of the 1st century A.D. 73 , and to the Conspectus 20 type 74 ,

widespread from the Augustan era until at least 50 A.D. 75 .

Also identified were some fragments of plate with a horizontal pendant rim attributable to

Conspectus 39-42 76 Late Italic sigillata wares, widespread from the mid 1st century to the mid

2nd century A.D. In one case, the characteristic barbotine decoration with phytomorphic

patterns of the Conspectus 39 type plate can be seen. A second example, comparable only for

the shape of the Pucci XII type rim 77 , stands out for its enriched phytomorphic decoration,

obtained by a barbotine row of beads applied to the edge, (table 3, no. 2) for which there is

valid comparison in an example found in the Antico Palazzo dei Vescovi 78 .

The cups are represented by the funnel-shaped Conspectus 23 type 79 cup, widespread between

the second and the third quarter of the 1st century A.D. (table 3, no. 3) 80 , by the hemispherical

Conspectus type cup 36 81 (table 3, no. 5), documented from the Tiberian age until the end of the

1st century, and by the hemispherical Conspectus 34 82 (table 3, no. 4) cup with strip , which

appears in the late Tiberian age and is again popular in Late Italic sigillata wares produced

from the Flavian age until the beginning of the 2nd century A.D. The shape is documented in

Pistoia also by the findings in the sites of San Iacopo in Castellare 83 and of the Antico Palazzo

dei Vescovi 84 .

The goblets are documented by just a few fragments: a stem made up of three fragments

(table 3, no. 6) and perhaps similar to the Conspectus R. 1.1.1 type 85 , and twelve fragments,

partially matching, with figurative relief decoration, which definitely belong to one example

(fig. 33). Of this there survives a very small portion of the rounded edge, with rouletted decorated,

accentuated by a small strip that separates it from a smooth band delimitated on the

bottom by two parallel grooves. Under these, a row of relief beads and a band of egg and dart

crown a figurative scene, which occupies all of the walls and the body of the vase. Two male

characters can be identified, advancing left, holding an animal by a tether (horse? ox?) and

carrying a rod or perhaps a club, resting on the left shoulder, one with a basket with wreaths

of plants (?) and ribbons, the other with two knotted drapes (?). The two figures with hairless

236 237



34. Frammenti di Terra sigillata decorata a matrice.

Tav. 4. Terra sigillata africana

del canestro con serti vegetali e nastri ritorna su alcune coppe con bolli di C. Cispius 88 , dove il

canestro è sospeso a un bastone tenuto sulle spalle da uno scheletro, e su ceramiche attribuite

alla bottega di Rasinius o degli Annii 89 .

A calici o a coppe di produzione tardo italica si possono riferire alcuni frammenti con decorazioni

a stampo con motivi a pannelli, ad archi e a corde. Due frammenti contigui di parete (fig.

34) assegnabili forse a un calice del tipo Dragendorff-Watzinger I, conservano una estesa decorazione,

organizzata in un unico registro, con erme itifalliche, personaggi maschili seduti su anfore

e bolli decorativi retrogradi in planta pedis sex[...] non completamente leggibili, dove si può

congetturare forse l’abbreviazione sex m fes retrograda da positivo, Sex(tus) M(urrius) Fes(tus) 90 ,

sulla base del confronto con un esemplare conservato presso il Museo di Rosignano Marittimo 91 .

L’esemplare di Palazzo de’ Rossi viene quindi ad aggiungersi all’ampia produzione di Murrius

Festus (attivo a Pisa tra il 60 e il 150 d.C.) ben documentata anche nel territorio pistoiese sia

nei siti urbani sia in quelli rurali 92 .

Le sigillate recuperate nello scavo hanno restituito anche altri bolli che rimandano a botteghe

sia aretine sia pisane. All’ambito aretino riconduce il bollo centrale in cartiglio rettangolare t .

rf male impresso sul fondo di una coppa (tav. 3, n. 7) da riferire a Titus Rufrenus, attivo ad Arezzo

nel primo quarantennio del I sec. d.C. 93 Ancora alle produzioni aretine rimanda il bollo centrale

in cartiglio rettangolare rasn di Rasinius 94 impresso su un fondo di coppetta, rinvenuto insieme

a un fondo di coppa con bollo centrale in cartiglio rettangolare evhodi di Evhodus, presente

a Pisa dal 5 a.C. al 40 d.C. 95 Oltre a quest’ultimo, rimandano alle produzioni pisane 96 il bollo

centrale in cartiglio rettangolare bipartito evhod/crest, impresso su un fondo con attacco di

piede su stelo attribuibile a un calice (tav. 3, n. 8; fig. 1), dove compaiono congiuntamente i nomi

di Evhodus e Crestus 97 , e il bollo centrale in cartiglio rettangolare atei ma[...] di Ateius Mahes 98 .

A questi si devono aggiungere anche un bollo in planta pedis, entro solcatura circolare, sex m

ca(.) riferito a Sex(tus) M(urrius) Cal(...) 99 presente su un piede ad anello di coppa sporadico 100 ,

e infine il bollo in planta pedis male impresso e parzialmente conservato c. h( ) fes( ) 101 .

• Terra sigillata africana (tav. 4)

Non abbondantissime risultano le attestazioni di ceramiche fini di produzione africana. Sono

riconoscibili alcuni frammenti di orlo non decorato da riferire a piatti con orlo pendulo tipo

Lamboglia 4/Hayes 3c 102 (tav. 4, n. 1, produzione D), mentre al tipo «Atlante» I, tav. XLVIII,

7» 103 potrebbe essere avvicinato il frammento di labbro svasato con orlo arrotondato estroflesso

(tav. 5, n. 2) che ricorda anche la conformazione dell’orlo della coppa Lamboglia 7, documentata

nella produzione A, tra la fine del I e la fine del III sec. d.C. Il frammento di labbro

diritto leggermente svasato con orlo indistinto e smussato verso l’interno (tav. 4, n. 3) ricorda,

infine, la forma «Atlante» tav. XLVIII, 10» 104 . La caratteristica dell’orlo indistinto e smussato

verso l’interno ricorre anche nelle coppe Lamboglia 3b presenti nella produzione A2 (fine del

II sec. – prima metà del III sec. d.C.).

• Ceramiche a vernice rossa tarda (tav. 5)

Sono presenti anche alcuni frammenti di ceramiche imitanti le produzioni di sigillata africana.

Si tratta di contenitori con corpo ceramico arancione abbastanza depurato, tenero e

polveroso al tatto con un rivestimento arancione abbastanza denso e poco aderente, oppure

con corpo ceramico nocciola chiaro con ingobbio rosso molto liquido e poco aderente o di

colore beige rasato con vernice rossa opaca, stesa a pennello.

A quest’ultima produzione è da ricondurre il piatto frammentario (tav. 5, n. 1; fig. 18) con orlo

rientrante decorato con vernice rosso-bruna molto diluita. L’esemplare di Palazzo de’ Rossi è

avvicinabile ad alcuni frammenti che provengono dall’Antico Palazzo dei Vescovi 105 e da San Iacopo

in Castellare (Pistoia) 106 . Il piatto in esame rientra nelle produzioni di ceramica dipinta che

si rifanno al repertorio delle sigillate africane e, in particolare, è avvicinabile al variegato gruppo

delle imitazioni della forma Hayes 61 (A-B) e trova più precisi confronti negli esempi fiesolani 107 .

Appartiene, invece, al gruppo delle ceramiche rivestite di vernice rossa 108 un frammento di

vaso a listello (tav. 18, n. 2) riconducibile alle numerose imitazioni della forma Hayes 91,

2

3

1

faces and prominent noses have the same clothing: a pointed headdress or perhaps a hooded

cloak decorated with a grid motif, a scanty tunic, and high sandals (?) (worn by just one of the

figures). The scene, as shown by a single fragment, definitely belonging to the same example

however, is defined by two long sinuous branches that emerge from the soil in opposite directions,

marking the line of the earth on which two animal legs rest (hoofs).

The goblet, to which the fragments just described belong, seems attributable to mould-decorated

Arretine wares, currently representing the largest findings in the Pistoia area 86 . To date,

no precise references have been found that can attribute the goblet to a specific workshop. The

elegant egg and dart motif that frames the scene on the Pistoiese vase is found on the wares of

various Arretine workshops 87 . The type of basket with plant wreaths and ribbons reappears on

some cups with C. Cispius 88 stamps, where the basket is hanging from a rod held on the shoulders

by a skeleton, and on pottery attributed to the Rasinius workshop or to those of Annii 89 .

Possibly attributable to late Italian goblets or cups are some fragments with moulded panel,

arch and rope motifs. Two matching wall fragments (fig. 34) perhaps attributable to a

Dragendorff-Watzinger I type goblet, present extensive decoration, organised in one single

register, with ithyphallic male figures sitting on amphorae and retrograde decorative planta

pedis stamps sex[...] not fully discernable, where one can perhaps conjecture the positive

retrograde abbreviation sex m fes, Sex(tus) M(urrius) Fes(tus) 90 , based on comparison with an

example kept at the Museum of Rosignano Marittimo 91 .

The example from Palazzo de’ Rossi thus joins the extensive production of Murrius Festus

(active in Pisa between A.D. 60-150), well documented also in the territory of Pistoia, in both

urban as well as rural sites 92 .

The sigillata wares found in the excavation also bore other stamps which refer to workshops

in both Pisa as well as Arezzo. Attributable to Arretine workshops is the central stamp in a

rectangular scroll t . rf badly impressed on the bottom of a cup (table 3, no. 7) and attributable

to Titus Rufrenus, active in Arezzo in the first forty years of the 1st century A.D. 93 Again

238 239



presenti in contesti databili tra V e VII sec. d.C., che in alcuni casi sembrano sostituire nei

servizi da tavola il grande piatto con orlo rientrante (tav. 18, n. 1). Il breve listello rivolto verso

l’alto potrebbe avvicinare l’esemplare di Palazzo de’ Rossi ai tipi più tardi individuati nella

villa di Aiano-Torraccia (Siena) 109 .

Tav. 5. Ceramica a vernice rossa tarda.

• Ceramica ingobbiata (tav. 6)

Alcuni ampi frammenti ricompongono quasi per intero una coppa con orlo estroflesso (tav.

6) con corpo ceramico beige chiaro, depurato con piccoli vacuoli e superficie rivestita da un

sottile ingobbio dello stesso colore del corpo ceramico, liscio e poco aderente. La forma può

essere avvicinata forse alle coppe in ceramica verniciata di rosso che imitano il repertorio delle

sigillate africane di produzione D. Un confronto è offerto, ad esempio, dalla coppa tipo 6.11

di Santa Maria della Scala 110 . L’esemplare pistoiese ricorda anche i più grandi piatti da portata

riconosciuti nella villa di Aiano-Torraccia (Siena) 111 e potrebbe essere avvicinato in generale

alle forme da mensa profonde destinate ai cibi semiliquidi che si affermano tra VI e VII sec.

Dallo stesso contesto proviene anche un frammento di forma chiusa, boccale o bottiglia (fig.

19), con decorazione incisa che trova un confronto prezioso nel complesso dei reperti altomedievali

provenienti dal pozzo dell’Antico Palazzo dei Vescovi, datato al VI-VII secolo 112 .

1

Ceramiche comuni

Si raccolgono in questo paragrafo le ceramiche da mensa, da cucina e da dispensa prodotte

in ceramica grezza, semidepurata o depurata seguendo la definizione elaborata da Tiziano

Mannoni 113 , ripresa da Simonetta Menchelli nella classificazione delle ceramiche comuni nordetrusche

114 .

2

referable to Arretine wares is the central stamp in rectangular scroll rasn of Rasinius 94 impressed

on the base of a cup, found together with another cup base with central rectangular

scroll stamp evhodi di Evhodus, present in Pisa from 5 B.C. to A.D. 40 95 Besides the latter,

the central stamp in rectangular bipartite scroll evhod/crest, impressed on the bottom with

stem-base attachment attributable to a goblet (table 3, no. 8), where both the names of Evhodus

and Crestus 97 appear, and the central stamp in rectanglar scroll atei ma[...] of Ateius Mahes

98 , both resemble Pisan productions 96

In addition to these is also in planta pedis stamp, within a circular groove, sex m ca(.) referring

to Sex(tus) M(urrius) Cal(...) 99 on the lone footring of a cup 100 , and lastly the poorly impressed

and partially preserved planta pedis stamp, c. h( ) fes( ) 101 .

• African red slip ware (table 4)

Fine African red slip ware findings are few. Some undecorated rim fragments from plates

with hanging Lamboglia 4/Hayes 3c 102 type rim (table 4, no. 1, production D) are identifiable,

while possibly similar to the “Atlante” I type, table XLVIII, 7” 103 is the splayed rim fragment

with rounded outcurving edge (table 4, no. 2) which also recalls the structure of the rim of

the Lamboglia 7 cup, documented in production A, between the end of the 1st and the end

of the 3rd century A.D. The fragment of straight lip, slightly outcurving with indistinct rim,

rounded towards the inside (table 4, no. 3), recalls the “Atlante” shape table XLVIII, 10” 104 .

The characteristic of the indistinct and rounded rim also recalls the Lamboglia 3b cups in

production A2 (end of 2nd century – first half of 3rd century A.D.).

• Late red painted pottery (table 5)

There are also some pottery fragments imitating African red slip wares. They are containers

with a rather refined orange ceramic body, soft and dusty to the touch with a rather dense

and non-adherent orange slip, or with a light hazel ceramic body and with a very liquid and

non-adherent red slip, or smooth beige with matt red brush-applied paint.

Attributable to the latter wares is the fragmented plate (table 5, no. 1) with incurving rim

decorated with a very diluted brown-red paint. The example from Palazzo de’ Rossi is similar

to some fragments from the Antico Palazzo dei Vescovi 105 and from San Iacopo in Castellare

(Pistoia) 106 . The plate in question belongs to the painted ceramics that appear in African red

slip wares and, specifically, is comparable to the varied group of imitations of the Hayes 61

(A-B) shape, similar also to examples from Fiesole 107 .

Belonging, instead, to the group of red slip ceramics 108 is a fragment of a vase with strip (table

5, no. 2) attributable to the numerous imitations of the Hayes 91 shape, present in contexts

datable to between the 5th and the 7th century A.D., which in some cases seem to replace the

large dish with incurving rim (table 5, no. 1) in tableware. The thin, upturned strip could link

the example from Palazzo de’ Rossi to later types identified in the villa of Aiano-Torraccia

(Siena) 109 .

• Slip glazed pottery (table 6)

Some large fragments almost completely make up a cup with outcurving rim (table 19), light

beige ceramic body, refined with small pores and with surface covered by a thin slip in the

same colour as the ceramic body, plain and non-adherent. The shape can perhaps be compared

to the red-painted ceramic cups that imitate the D production African red slip ware. A

comparison is offered, for example, by the 6.11 type cup from Santa Maria della Scala 110 . The

Pistoia example also recalls the larger serving plates identified in the villa di Aiano-Torraccia

(Siena) 111 and could be generally linked to the deep table wares used for semi-liquid food,

popular between the 6th and the 7th century.

From the same context comes a closed shape fragment, from a beaker or bottle (fig. 21), with

carved decoration, which has a valuable comparison with the group of Early Medieval findings

from the well of the Antico Palazzo dei Vescovi, dated to the 6th-7th century 112 .

240 241



Tav. 6. Ceramica ingobbiata.

• Ceramica da mensa (tav. 7)

Fra i numerosi frammenti di ceramica comune da mensa si segnalano in questa sede due

frammenti di parete (tav. 7, n. 1 e n. 2) da riferire a contenitori di piccole dimensioni con funzioni

probabilmente potorie che conservano interamente un’ansa verticale a sezione quadrata

culminante in un apice. Entrambi i frammenti presentano una superficie esterna nocciola

con fiammature più scure, lisciata in modo irregolare, e corpo ceramico dello stesso colore,

compatto e ruvido al tatto con inclusi bianchi, rossicci e marroni di piccole e medie dimensioni.

Questi frammenti si distinguono dalle produzioni maggiormente attestate nel territorio

pistoiese proprio per la particolare conformazione delle anse e per il tipo di impasto.

Un tale tipo di ansa, infatti, sembra trovare confronti a breve raggio, anche se non del tutto

puntuali, esclusivamente nella necropoli di età imperiale individuata a San Marcello Pistoiese

in loc. Basilica 115 , diversamente potrebbe ricordare, in modo molto suggestivo, la caratteristica

conformazione delle anse dei boccali monoansati di produzione corsa, diffusi e imitati nella

penisola italiana e all’Isola d’Elba a partire dalla fine del IV-inizio III sec. a.C. fino al I sec.

d.C. 116 . Gli esemplari di Palazzo de’ Rossi, che provengono da contesti con residui di epoca tardo

repubblicana, potrebbero avvicinarsi alle produzioni corse anche per il peculiare impasto

nocciola con fiammature più scure sulla superficie, ma se ne discosterebbero per la foggiatura

al tornio e per l’assenza della caratteristica decorazione a pettine.

1

Tav. 7. Ceramica da mensa.

• Ceramica da cucina (tavv. 8-9)

I frammenti di contenitori da cucina, recuperati nello scavo di Palazzo de’ Rossi, sono da

riferire a olle, pentole, teglie e coperchi.

Le olle, usate sia per la bollitura dei cibi che per la conservazione in dispensa, sono caratterizzate

da un corpo ovoide o globulare e da un’imboccatura abbastanza stretta con orlo a

tesa o estroflesso variamente conformato. Da uno scarico di materiali della fase 2 (15-70 d.C.)

provengono numerosi frammenti riferibili a un unico esemplare di olla con orlo arrotondato

2

Common pottery

This paragraph brings together tableware, cooking ware and pantry ware produced in

coarse, semi-fine or fine ceramic in line with the definition elaborated by Tiziano Mannoni

113 , repeated by Simonetta Menchelli in the classification of north Etruscan common

pottery 114 .

• Table ware (table 7)

Specified among the numerous table wares here are two wall fragments (table 7, no. 1, no.

2) belonging to small containers probably for drinking, which still preserve a whole vertical

square-section handle culminating in a point opposite the joint with the wall. Both fragments

have an exterior brown surface, irregularly smoothed and with darker mottling and ceramic

body in the same colour, compact and rough to the touch with small and medium white, reddish

and brown inclusions. These fragments are distinct from the main wares found in the

area of Pistoia precisely for the unusual structure of the handles and for the type of fabric.

This type of handle, in fact, would seem to be comparable though not so precisely to examples

found nearby, exclusively in the Imperial age necropolis identified in San Marcello

Pistoiese in loc. Basilica 115 , Otherwise, it could very strikingly recall the characteristic

shape of the handles of the single-handled beakers made in Corsica, widespread and imitated

on the Italian peninsula and on Elba Island from the end of the 4th-beginning of the

3rd century B.C. until the 1st century A.D. 116 . The examples in Palazzo de’ Rossi, which are

from areas with Late Republican period residues, may be comparable to Corsican wares

also for their unusual brown fabric with darker mottling on the surface, but vary for the

wheel forming and for the absence of the characteristic comb decoration.

• Cooking wares (tables 8-9)

242 243



ed estroflesso, corpo ovoide e fondo piatto (tav. 21, nn. 1-2), mentre da stratificazioni riferibili

alla fase 3 (70 d.C.-III sec.) provengono due frammenti di olla con collo distinto e breve labbro

estroflesso con orlo rettilineo (tav. 8, nn. 3-4), simili alle olle di tipo A dell’Antico Palazzo

dei Vescovi 117 . Un’olla globulare compressa con labbro estroflesso, orlo arrotondato e fondo

piatto (tav. 9 nn. 1-2) è stata rinvenuta, infine, in un contesto riferito alla fase 4 (IV-V sec.).

All’orizzonte tardoantico è riconducibile, forse, anche una pentola frammentaria e lacunosa

caratterizzata da un largo orlo ingrossato e distinto, aggettante sia all’esterno che all’interno,

segnato da sottili solcature nella parte interna, e parete verticale leggermente convessa con

presa orizzontale a linguetta impostata sulla parete. I frammenti della pentola sono stati recuperati

in un battuto pavimentale di fase 4 (IV-V sec.) (tav. 9, n. 3) che ha restituito insieme

a molti residui di epoca imperiale anche frammenti di uno spatheion e di ceramica comune dipinta

tarda. La pentola per la conformazione dell’orlo e della presa ricorda le olle globulari con

presa a linguetta che si diffondono alla fine del IV sec. recependo modelli e modalità produttive

che provengono dal Mediterraneo di cui la Pantellerian ware è un esempio emblematico 118 .

Il corredo da cucina è completato da contenitori di produzione africana dei quali rimangono

limitati frammenti.

2

1

Tav. 8. Ceramica da cucina.

Tav. 9. Ceramica da cucina.

• Ceramica da cucina di epoca medievale (tav. 10)

Nelle fasi medievali il servizio da cucina è contraddistinto dalla presenza di testi con orlo

arrotondato, parete bassa e base piana di fattura accurata (tav. 10, nn. 1 e 2) 119 ai quali sono

associate olle con orlo triangolare, breve collo cilindrico e scanalature sulla spalla (tav. 10, n.

3) tipiche dell’area compresa tra Pistoia e Firenze 120 , che trovano confronti puntuali ad esempio

in contesti di XI sec. dell’Antico Palazzo dei Vescovi 121 dove le olle scanalate con orlo sia

a becco di civetta sia triangolare sono in associazione con testi e boccali con orlo trilobato.

3

The fragments of cooking vessels, recovered from the excavation of Palazzo de’ Rossi, include

jars, pots, pans and lids.

The ollas, used for both boiling food as well as for storage in the larder, are marked by a

ovoid or globular body and by quite a narrow opening with a horizontal or outcurving rim in

various forms. Coming from materials found during from phase 2 (A.D. 15-70) are numerous

fragments belonging to one single olla with rounded and outcurving rim, ovoid body and flat

bottom (table 8, nos. 1-2), while from stratifications attributable to phase 3 (A.D. 70-3 rd ) come

two fragments of olla with distinct neck and short outcurving lip with straight rim (table 8,

nos. 3-4), similar to the type A ollas from the Antico Palazzo dei Vescovi 117 . Lastly, a globular

compressed olla with outcurving lip, rounded rim and flat bottom (table 9, nos. 1-2) was

found, in a context belonging to phase 4 (4 th -5 th century).

Perhaps referable to late antiquity is also a fragmented and incomplete pot characterised by

a fat, wide rim, protruding both internally and externally, marked by thin grooves inside, and

slightly convex vertical wall with horizontal tongue-shaped handle attached to the wall. The

fragments of the pot were recovered in a beaten earth floor from phase 4 (4 th -5 th century)

(table 9, no. 3) which brought to light together with many residues from the Imperial age also

fragments of a spatheion and late painted pottery. The pot, for the shape of the rim and the

handle, recalls the globular ollas with tongue-shaped handle which became widespread at the

end of the 4th century, taking in models and production methods from the Mediterranean,

of which Pantellerian ware is an emblematic example 118 .

The kitchen ware is completed by African wares of which few fragments survive.

2

1

4

• Medieval cooking wares (table 10)

In the medieval phase, cooking ware is marked by the presence of carefully made utensils with

rounded rim, low walls and flat bottom (table 10, nos. 1 and 2) 119 together with ollas having a

triangular rim, short cylindrical neck and fluting on the shoulder (table 10, no. 3), typical of

244 245

3



Mortaria (tav. 11)

Accanto a tipi molto diffusi come i mortai con beccuccio di scolo 122 sono presenti tipi per i

quali non si è riusciti a trovare confronti puntuali. È il caso di un mortaio lenticolare con orlo

rientrante inclinato verso l’alto e decorato da cerchielli impressi disposti in modo irregolare

123 . L’esemplare presenta tracce di un rivestimento in vernice rossa scura poco aderente e

mal conservata (tav. 11).

1

Tav. 10. Ceramica da cucina

Contenitori commerciali (tav. 12)

I frammenti di contenitori commerciali sono abbondanti nelle stratigrafie di Palazzo de’

Rossi. Alcuni di essi denunciano impieghi secondari o una prolungata esposizione ad agenti

di degrado come il frammento di anfora tipo Camulodunum 184 (tav. 12, n. 3) con un lato significativamente

consunto. Molti dei frammenti provengono, infatti, dalle massicciate stradali

dove furono reimpiegati unitamente a pietrame e a terra per allestire la via glareata individuata

durante le operazioni di scavo.

Le anfore di produzione italica sono rappresentate da frammenti di Dressel 1 (II-I sec. a.

C.) 124 e da frammenti di Dressel 2-4 analoghi a quelli rinvenuti negli strati di età tiberiana

dell’Antico Palazzo dei Vescovi 125 .

Alle produzioni ispaniche sono da assegnare frammenti di anfore vinarie di tipo Haltern 70, presenti

anche negli strati della fase IV dell’Antico Palazzo dei Vescovi 126 , e frammenti di anfore per

le conserve di pesce, rappresentate dalla famiglia delle Dressel 7-11, prodotte tra I e II sec. d.C.,

(tav. 12, n. 1, nn. 2a-2b; fig. 9) abbondanti anche nelle stratigrafie dell’Antico Palazzo dei Vescovi 127 .

Alcuni frammenti di anse a gomito tipo Camulodunum 184, Ostia LXV, diffuso dalla fine del

I sec. d.C. ai primissimi anni del II sec (tav. 12, n. 3) sembrano da ricondurre alle produzioni

di anfore egee o alle loro imitazioni italiche 128 . Il tipo è attestato a Pistoia anche tra i ritrovamenti

di Ripa del Sale 129 e dell’Antico Palazzo dei Vescovi dove compare nella fase della

media età augustea 130 .

2

3

the area taking in Pistoia and Florence 120 , which find precise comparisons for example in 11 th

century contexts at the Antico Palazzo dei Vescovi 121 where the fluted ollas with hawksbeak as

well as triangular rim were found together with utensils and beakers with trilobite rim.

Mortaria (table 11)

Next to very widespread types like the mortaria with spout 122 , types are present for which

precise comparisons have not been found. A case in point is a lenticular mortarium with upward

incurving rim, decorated with stamped rings arranged in an irregular manner 123 . The

example presents traces of a coating in dark red paint, non adherent and poorly conserved

(table 11).

Containers for transport and storage (table 12)

The fragments of commercial vessels are abundant in the stratifications of Palazzo de’ Rossi.

Some of them had secondary uses or have been subjected to lengthy exposure to agents of

deterioration, like the fragment of a Camulodunum 184 type amphora (table 12, no. 3) with

a significantly worn side. Many of the fragments in fact come from the road ballasts where

they were reused together with stones and earth to prepare the via glareata identified during

the excavations.

The Italic amphorae are represented by fragments of Dressel 1 (II-I sec. B. C.) 124 and by

fragments of Dressel 2-4 similar to those found in the Tiberian age stratifications at Antico

Palazzo dei Vescovi 125 .

Attributable to southern Spanish wares are fragments of Haltern 70 type wine amphorae,

present also in the phase 4 stratifications of Antico Palazzo dei Vescovi 126 , and fragments of

amphorae for storing fish, represented by the Dressel 7-11 group, produced between the 1st

and the 2nd century A.D. (table 12, no. 1, nos. 2a-2b) abundant also in the stratifications of

the Antico Palazzo dei Vescovi 127 .

Some fragments of Camulodunum 184 type Ostia LXV with peaked handles, widespread from

the end of the 1st century A.D. and the early years of the 2nd century (table 12, no. 3) would

seem to refer to Aegean amphorae or to their Italic imitations 128 . The type is seen in Pistoia

also among the finds of Ripa del Sale 129 and Antico Palazzo dei Vescovi where it appears in

the phase of the mid Augustan age 130 .

The African amphorae are documented by the Tripolitana II type 131 used from the Trajan age

to the 3rd century A.D. (table 25, no. 4) 132 , and by the Spatheia, the small sized amphorae used

to transport olives, fish sauces and perhaps also wine, as observed for the Spatheion 1 A 133

present from the end of the 4th century to the beginning of the 5th century A.D., to which

the fragment of rim from Palazzo de’ Rossi (table 12, no. 5) 134 is comparable.

C.T.

Anthropological study of the graves

The excavation, as we have seen, brought to light three graves from the early Middle Ages, in

simple earthy pits, whose study has enabled us to increase our knowledge of the “people of

Pistoia back then” 135 . Probably the excavation crossed one of the boundaries of the burial area

that belonged to the church of S. Jacopo in Castellare. The absence of further archaeological

confirmation does not allow, to date, for definite judgement; but the possibility undoubtedly

has great allure, insofar as it could bear witness to a religious destination of the area previous

to what we know to date 136 .

In its effort to understand and shine light on past events, archaeology has always relied on many

other disciplines, and by flanking and merging with those is thus enriched, allowing for a better

comprehension of the past. Standing out among these is archeoanthropology, which allows

for a specialist and technical study of the human remains that are frequently brought to light

in excavations. This is precisely what we will deal with in the pages ahead: the reconstruction,

246 247



Tav. 11. Mortaria

Tav. 12. Contenitori commerciali

Le anfore africane sono documentate dai tipi della Tripolitana II 131 utilizzati dall’epoca traianea

al III sec. d.C. (tav. 25, n. 4) 132 , e dagli spatheia, le anfore di piccole dimensioni destinate al

trasporto di olive, salse di pesce e, forse, anche di vino come è stato osservato per lo spatheion

1 A 133 presente dalla fine del IV sec. agli inizi V sec. d.C., al quale si avvicina il frammento di

orlo proveniente da Palazzo de’ Rossi (tav. 12, n. 5) 134 .

C.T.

1

4

Studio antropologico degli inumati

Lo scavo, come abbiamo visto, ha messo in luce tre sepolture di periodo altomedievale, in

semplici fosse terragne, il cui studio ha permesso di incrementare la conoscenza sui “pistoiesi

d’allora” 135 . Probabilmente lo scavo ha intaccato uno dei limiti dell’area cimiteriale che

faceva riferimento alla chiesa di S. Jacopo in Castellare. La mancanza di ulteriori conferme

archeologiche non permette, ad ora, un giudizio sicuro; ma l’ipotesi possiede certamente un

notevole fascino, in quanto potrebbe testimoniare una destinazione religiosa dell’area precedente

a quanto fino ad ora conosciuto 136 .

L’archeologia, nel suo cercare di capire e fare luce sugli eventi passati, può fare affidamento

da tempo su molte altre discipline che, accostandosi ed ibridandosi con questa, la arricchiscono,

consentendo una migliore comprensione del passato. Tra esse spicca l’archeoantropologia,

che permette uno studio specialistico e tecnico dei resti umani che sovente vengono

alla luce in contesti di scavo. Ed è proprio questo l’argomento che verrà trattato nelle pagine

seguenti: la ricostruzione, per quanto possibile, di chi fossero ed in che condizioni abbiano

vissuto coloro che abitarono nella Pistoia dell’alto medioevo. I reperti osteologici recuperati

nel corso degli scavi di palazzo de’ Rossi si presentano mal conservati, incompleti e frammentari

in conseguenza delle condizioni chimico-fisiche del terreno di giacitura e dei danneggiamenti

meccanici subiti nel corso di interventi antropici successivi. Essi sono stati sottoposti

2

5

3

insofar as possible, of who and in what conditions people lived in the early Middle Ages in Pistoia.

As regards the current site, the bones are poorly preserved, incomplete and fragmentary

as a result of the chemical and physical conditions of the earth and of the mechanical damage

suffered during subsequent anthropic interventions. The bone findings were subject to cleaning

and recomposition treatments at the Laboratorio di Archeoantropologia della Soprintendenza,

where they are currently kept. Their analysis sought to determine the sex, age at death, stature,

biomechanical stress conditions and lastly, the state of health of the deceased. That all this is

possible is no surprise, insofar as our skeletons carry traces of the surrounding environment,

thus allowing, for those capable of identifying them and studying them, the different aspects of

the individual to be recognised 137 . Furthermore, an assessment was also made of the position and

taphonomy of the graves: the study of the most important post-mortem modifications to be able

to reconstruct the exact position in which the deceased were laid to rest, which in turn provides

information on the adopted burial ritual. Burial practices have always had deep cultural roots; in

fact, each culture has developed its own ritual to accompany its loved ones in their eternal rest.

Before going further, it would seem appropriate to explain, insofar as possible, how the study

is carried out. The diagnosis of the sex based on the visual assessment of the decisive morphological

characteristics 138 . The age at death defined by way of the division into three classes

according to International Standards 139 , namely young adult, mature adult and old adult, based

on certain morphological features related to ageing: auricular surface of the ilium 140 , arthritic

degeneration, degree of osteoporosis, tooth wear, cranial sutures 141 . The age at death is therefore

intentionally “vague” and not because the study has not been detailed or has been hindered

by poor conservation of the material but because there is a considerable individual variability in

the ageing process. The height of the deceased is calculated, when possible, using the formulas

of Olivier et alii 142 , based on the dimensions of the long bones. The quantity of tartar and the

degree of periodontitis are determined on the basis of indications by Brothwell 143 .

248 249



a trattamenti di pulitura e ricomposizione presso il Laboratorio di Archeoantropologia della

Soprintendenza, dove sono attualmente custoditi. La loro analisi ha cercato di determinare il

sesso, l’età della morte, la statura, le condizioni di stress biomeccanico ed infine, lo stato di

salute degli inumati. Non ci si deve stupire che tutto questo sia possibile, in quanto il nostro

scheletro porta in sé le tracce dell’ambiente circostante, permettendo così, per chi è in grado

di coglierle e studiarle, il riconoscimento dei diversi aspetti dell’individuo 137 . Inoltre, si è

cercato anche di valutare la giacitura e la tafonomia delle inumazioni: lo studio delle modificazioni

post-mortem è di fondamentale importanza per riuscire a ricostruire l’esatta posizione

di sepoltura, che, a sua volta, fornisce informazioni sul rituale funerario adottato. Le pratiche

funerarie, da sempre, hanno profonde radici culturali: infatti ogni cultura ha sviluppato uno

specifico rituale per accompagnare i propri cari nell’eterno riposo.

Prima di procedere oltre sembra opportuno spiegare, per quanto possibile, come si è affrontato

lo studio. La diagnosi del sesso è basata sulla valutazione visiva dell’insieme dei caratteri

morfologici discriminanti 138 . L’età alla morte è stata definita mediante la ripartizione in tre

classi come propongono gli standard internazionali 139 , ovvero adulto giovane, adulto maturo

ed adulto senile, ed è basata su alcuni caratteri morfologici più o meno correlati all’invecchiamento:

superficie auricolare dell’ileo 140 , degenerazioni artrosiche, grado di osteoporosi, usura

dentaria, suture craniche 141 . L’età alla morte è quindi volutamente “vaga” e questo non perché

lo studio sia stato poco approfondito o ostacolato dalla cattiva conservazione del materiale

ma perché esiste una notevole variabilità individuale nei processi di invecchiamento. La

statura del vivente è stata calcolata, quando possibile, mediante le formule di Olivier et alii 142 ,

basate sulle dimensioni delle ossa lunghe. La quantità di tartaro ed il grado di parodontopatia

sui denti sono stati determinati in base alle indicazioni di Brothwell 143 .

Tomba 1

• Giacitura e osservazioni tafonomiche. La sepoltura conteneva un solo individuo. L’orientamento

del defunto era est-nord-est/ovest-sud-ovest, con il cranio posto ad ovest. I dati

raccolti portano ad ipotizzare una giacitura originaria non perfettamente supina, ma leggermente

reclinata sul lato destro; successivamente si è verificata la supinazione del tronco per

assestamento dovuto alla pressione del terreno. La sepoltura è avvenuta probabilmente in

terra piena, non essendo stata trovata alcuna traccia che denoti l’utilizzo di sudari o bare 144 .

• Stato di conservazione. L’individuo risulta mal conservato: la maggior parte degli elementi

ossei è incompleta e frammentaria. Lo scheletro appare tagliato nella metà inferiore e di conseguenza

non tutti i distretti scheletrici appaiono rappresentati 145 . Sono presenti 20 denti, di

cui, 3 mascellari e 6 mandibolari in situ, e 11 (8 mascellari e 3 mandibolari) avulsi.

• Sesso. Maschile. Nonostante l’incompletezza dei resti lasci un margine di dubbio, l’osservazione

attenta dei caratteri conservatisi consente di supporre ragionevolmente il sesso dell’inumato 146 .

• Età alla morte. Adulto maturo (35-50 anni): la stima ha tenuto conto dello stato di saldatura

delle suture craniali 147 e dei segni artrosici evidenti e diffusi sui frammenti osservabili delle

vertebre cervicali. Conferme arrivano dalla lieve artrosi del gomito destro (unico presente) e

dall’assenza di osteoporosi sulle aree osservabili di tessuto spugnoso (corpi vertebrali, testa

dell’omero). Lo stato frammentario dei resti ha precluso un’osservazione completa.

• Indicatori di stress biomeccanico. Da quanto emerso si può ritenere che l’individuo fosse

destrimano, visto il maggiore sviluppo dell’arto superiore destro rispetto al sinistro. La clavicola

destra presenta segni di entesopatia dell’inserzione del muscolo deltoide ed una marcata

impronta del muscolo grande pettorale; a sinistra quest’ultima è meno sviluppata, mentre

l’inserzione del deltoide non è conservata; bilateralmente si osserva un’entesopatia moderata

del legamento costoclavicolare e del legamento conoide. Gli omeri sono caratterizzati da una

notevole asimmetria 148 . Le entesi dell’omero destro nel loro complesso denotano un’intensa

attività muscolare a carico dell’arto superiore. L’ulna destra conferma quanto detto finora 149 .

Tomb 1

Position and taphonomic observations. The grave contained one individual. The orientation

of the deceased was east-north-east/west-south-west, with the cranium positioned westward.

The data collected point to an original position not perfectly supine, but slightly reclined

to the right; later the supination of the trunk was verified, caused by adjustment due to soil

pressure. Burial probably occurred in plain earth, since no trace was found to denote the use

of shrouds or coffins 144 .

State of conservation. The individual is poorly preserved: most of the bone elements are

incomplete and fragmentary. The skeleton appears cut off on the lower half, meaning not all

parts of the same are represented 145 . There are 20 teeth, of which 3 upper and 6 lower are in

situ, and 11 (8 upper and 3 lower) are detached. Sex. Male. Although the incompleteness of the

remains leaves a margin of doubt, careful observation of the elements preserved allow one to

reasonably suppose the sex of the deceased 146 .

• Age at death. Mature adult (35-50 years): the assessment took into account the state of suture

closure 147 and the clear and widespread signs of arthritis on the examinable fragments

of the cervical vertebrae. Confirmation is provided by the slight arthritis of the right elbow

(the only one present) and by the absence of osteoporosis on the observable areas of spongy

tissue (body of the vertebrae, head of the humerus). The fragmented state of the remains

precluded however a complete examination. Biomechanical stress indicators. It can be said

from what emerged that the individual was right-handed, given the greater development of

the upper right limb compared to the left. The right clavicle shows signs of enthesopathy of

the insertion of the deltoid muscle and a marked impression of the pectoralis major muscle;

the latter was less developed on the left, while the insertion of the deltoid is not preserved;

bilaterally moderate enthesopathy of the costoclavicular ligament and the conoid ligament

was observed. The humeri are marked by considerable assymetry 148 . The enthesis of the right

35. Tomba 1. Particolare che mostra le degenerazioni

artrosiche a livello delle vertebre cervicali e in particolare

del dente dell’epistrofeo.

250 251



Un’ulteriore convalida è data dalle degenerazioni artrosiche della spalla e del gomito, per la

probabile componente di stress tra i fattori causali di questa patologia.

• Aspetti patologici. Dal punto di vista della patologia dentaria, siamo in presenza di una situazione

critica, sia riguardo alla carie che alla perdita di denti in vita. L’individuo ha probabilmente

perso durante la propria vita almeno 4 denti (tutti molari mandibolari, per lo più inferiori); degli

altri 12 mancanti, almeno 3 sono andati perduti post mortem 150 . Tale perdita ha portato ad una

masticazione anormale, con conseguenze sull’usura dei denti restanti: si nota infatti che, mentre

i molari superiori hanno solo un lieve grado di usura, dovuto alla mancanza degli antagonisti inferiori,

i denti anteriori (incisivi, canini e premolari) hanno tutti un’usura molto marcata, che arriva

in alcuni casi quasi ad esporre la radice 151 . Le caratteristiche descritte sono compatibili anche con

un uso extramasticatorio, quindi strumentale, della dentatura anteriore. Dei 20 denti osservabili,

ben 9 sono colpiti da carie, di cui una distruttiva 152 . Si rileva una lieve presenza di tartaro,

localizzato solo su pochi denti, e gli esiti di una parodontopatia di grado medio limitata al terzo

molare mandibolare destro 153 . Vista la straordinaria abbondanza di carie, è abbastanza probabile

che la perdita in vita di denti sia avvenuta proprio a seguito di carie distruttive.

• Segni artrosici. L’unica patologia scheletrica osservata è rappresentata da alcune manifestazioni

artrosiche. La glenoide della scapola destra presenta il bordo osteofitico, la superficie

porosa ed una fossetta al centro, con margini netti. Segni artrosici sono presenti anche a

livello del gomito destro 154 . Per quanto riguarda le vertebre cervicali, è osservabile la presenza

di osteofitosi sul dente dell’epistrofeo, su alcune faccette intervertebrali e su alcuni tratti dei

margini somatici. Le altre vertebre sono state lasciate nelle condizioni di giacitura per non

comprometterne la precaria conservazione e non sono state pertanto esaminate.

Tomba 2

• Giacitura e osservazioni tafonomiche. La posizione e l’orientamento del defunto non sono

rilevabili, essendo pervenuti soltanto pochi frammenti di vertebre cervicali ed il cranio, dislocati

all’esterno della fossa originaria.

• Stato di conservazione. Il cranio, frammentario, è stato in parte ricomposto 155 . Si sono poi

conservati 11 denti avulsi, di cui 3 mascellari ed 8 mandibolari, una radice di molare e due

frammenti dell’atlante.

• Sesso. Femminile. La valutazione si basa solo sui pochi tratti cranici osservabili 156 . Risulta

interessante in particolare l’osservazione dei processi mastoidei: grandi e globosi, decisamente

di tipo maschile. Il fatto che anche il soggetto della tomba 3, sicuramente femminile in

base ad una serie ben più affidabile di indicatori, abbia una simile espressione della mastoide

potrebbe suggerire una valenza popolazionistica del carattere.

• Età alla morte. Adulto di età almeno matura, e probabilmente anziana. Nell’analisi si è tenuto

conto dello stato di saldatura delle suture craniche 157 , dei segni artrosici 158 e dell’usura

dentaria 159 ; unici caratteri osservabili a causa della cattiva conservazione.

• Aspetti patologici. Per quanto riguarda l’analisi della dentatura, sui 4 molari superstiti sono presenti

3 carie distruttive, che lasciano supporre una patologia in stadio avanzato, probabile causa

dell’usura di gran lunga maggiore che si riscontra sui denti anteriori rispetto ai molari stessi. Il

canino inferiore sinistro presenta un’usura anomala, molto marcata ed obliqua, forse connessa

ad un uso strumentale della dentatura. L’analisi dei resti osteologici ha consentito inoltre di

stabilire la probabile presenza di uno stato anemico pregresso 160 , ed una possibile infiammazione

cronica in corrispondenza del mento 161 . Si sono rilevate infine le tracce di un’artrosi cervicale 162 .

Tomba 3

• Giacitura e osservazioni tafonomiche. L’orientamento del defunto era est-nord-est/ovest-sudovest,

con il cranio posto ad ovest. Dalle osservazioni eseguite si suppone che l’individuo fosse

deposto sul fianco destro ed abbia conseguito una supinazione in seguito, a causa dell’assesta-

humerus generally points to intense muscular activity of the upper limb. The right ulna confirms

all of the aforementioned 149 . Further proof is provided by arthritis of the shoulder and

of the elbow, the stress component probably being one of the causes of this pathology.

• Pathological aspects. As regards dental pathology, here we have a critical situation, both

regarding decay as well as loss of teeth prior to death. The individual probably lost at least

4 teeth (all mandibular molars, mainly inferiori) during his life; of the other missing 12, at

least 3 were lost post mortem 150 . This loss led to abnormal mastication, with consequent wear

of the remaining teeth: in fact, it is seen that while the upper molars have only a slight degree

of wear, due to the absence of the lower antagonists, the front teeth (incisors, canines

and premolars) all present extreme wear, which in some cases even exposes the root 151 . The

characteristics described are compatible also with an extra-masticatory, and therefore instrumental,

use of the front dentition. Of the 20 teeth studied, 9 are affected by decay, one

distructive 152 . There is a slight presence of tartar, localised on just a few teeth, and medium

level periodontitis limited to the third right mandibular molar 153 . Given the extraordinary

abundance of decay, it is quite likely that the loss of teeth prior to death occurred due to

destructive decay.

• Signs of arthritis. The only skeletal pathology observed is represented by a some signs of

arthritis. The glenoid of the right shoulder has an osteophytic edge, porous surface and a

depression in the centre, with sharp margins. Signs of arthritis are present also on the right

elbow 154 . As regards the cervical vertebrae, the presence of osteophytes can be observed on

the dens of the axis, on some intervertebral facet joints and on some parts of the vertebral

body margins. The other vertebrae were left in situ so as not to compromise preservation and

thus were not examined.

Tomb 2

• Position and taphonomic observations. The position and orientation of the deceased cannot

be identified, having found just a few fragments of cervical vertebrae and the cranium,

located outside of the original grave.

• State of preservation. The fragmentary cranium was partially recomposed 155 . Also preserved

were 11 detached teeth, 3 upper and 8 lower, a root of a molar and two fragments of the atlas.

• Sex. Female. The assessment is based obviously on just a few parts of what can observed of

the cranium 156 . Particularly interesting is the examination of the mastoid process: large and

globular, decidedly masculine. The fact that also the subject of tomb 3, definitely a female,

based on a much more reliable series of indicators, has a similar expression of the mastoid,

could suggest it was a characteristic of the population group.

• Age at death. Adult, at least mature, probably elderly. The analysis took into account the

state of the cranial suture closure 157 , of the signs of arthritis 158 and of dental wear 159 ; the only

characteristics that could be examined due to poor preservation.

• Pathological aspects. As regards dental analysis, on the 4 surviving molars, 3 destructive

caries are present, which point to advanced stage disease, probably caused by considerable

wear found on the teeth in front of the said molars. The left inferior canine has abnormal

wear, very marked and oblique, perhaps related to the instrumental use of the teeth. From

the analysis of the bone remains, the likely presence of a history of anemia 160 was discovered,

and possible chronic inflammation of the chin 161 . Traces of cervical arthritis were found 162 .

Tomb 3

• Position and taphonomic observations. The orientation of the deceased was east-northeast/west-south-west,

with the cranium positioned westward. The examinations conducted

point to the supposition that the individual was buried on the right side and later underwent

252 253



mento tafonomico 163 . Nella fotografia di scavo gli arti superiori appaiono distesi (angolo al gomito

180°), gli omeri sono intraruotati cosicché a destra il radio incrocia l’ulna ed a sinistra, è caduto

in posizione mediale rispetto all’ulna; le mani, le cui ossa sono un po’ dislocate e non ben visibili,

dovevano trovarsi in posizione prona. Gli arti inferiori sono distesi e paralleli, con le ginocchia

vicine, come pure le caviglie. A conferma della posizione dell’anello in bronzo rinvenuto sopra il

torace 164 , durante il restauro si sono trovati vari frammenti di coste dal colore verdastro.

• Stato di conservazione. Tutti i distretti scheletrici sono rappresentati, ma quasi tutte le

ossa risultano incomplete, prive delle estremità con superfici erose 165 . Sono presenti 11 denti

mandibolari in situ ed 1 mascellare avulso.

• Sesso. Femminile 166 .

• Età alla morte. Adulto maturo, in base ad un buon numero di caratteri indicativi 167 .

• Caratteristiche antropologiche, costituzione fisica e indicatori di stress biomeccanico. La statura

è 154 cm 168 . La costituzione fisica è minuta. Ciò nonostante tutte le ossa lunghe degli arti

superiori sono ben sagomate e molte inserzioni muscolari appaiono ben espresse, alcune addirittura

entesopatiche, indicando uno stile di vita caratterizzato da attività faticose a carico delle

braccia e delle mani 169 . Al contrario, le ossa degli arti inferiori non denotano eccessivi sforzi

muscolari. È assente il solco preauricolare sul bacino, indicativo di assenza di gravidanze 170 .

• Aspetti patologici. Per quanto riguarda lo stato della dentatura, dei 5 denti mandibolari mancanti,

3 risultano perduti in vita 171 , mentre per il terzo molare destro non si può stabilire il

motivo dell’assenza, considerando anche che il controlaterale sinistro è mancante per agenesia

o per inclusione. Sui denti mandibolari presenti si riscontrano 6 carie 172 . La perdita in vita dei

denti posteriori può essere la causa del grado più avanzato di usura dei denti anteriori rispetto

ai posteriori superstiti. Sullo scheletro si sono individuati segni di anomalie circolatorie 173 .

F. F., S. G., E. P.

Conclusioni

Le ricerche archeologiche hanno prodotto una serie di dati importanti dal punto di vista

sia dello specifico contesto, sia soprattutto in relazione alla generale forma urbis pistoiese

di età romana e medievale. In primo luogo è stato confermato che nella più antica età

romana, fino a tutta l’età augustea, come è stato documentato nel resto della città (piazza

della Sala 174 , palazzo dei Vescovi), è prevalente un utilizzo del suolo di tipo agricolo: a

questo uso sono riferibili tracce di coltivazioni e attività di regimentazione delle acque

piovane e di falda (canali, fossi e un pozzo). È con gli inizi del I secolo d.C. (età tiberiana)

che si hanno le prime tracce di una urbanizzazione che comprende costruzioni murarie e,

soprattutto, infrastrutture pubbliche legate alla viabilità. In particolare è in questo momento

che viene realizzata una strada, orientata in senso est-ovest, dotata di una canaletta

per il deflusso delle acque e sulla quale si apriva un porticato di probabile destinazione

pubblica, cui sono pertinenti i quattro basamenti quadrangolari. Questo percorso viario

è coevo a quello rinvenuto nel sottosuolo di palazzo dei Vescovi, ma ha un orientamento

diverso, più o meno coincidente con quello della via pubblica nota in letteratura come via

Cassia, che all’interno della città di Pistoia coincide con l’attuale andamento di via degli

Orafi.

Di rilievo è anche la sostanziale coincidenza nella sequenza di eventi con quanto noto dallo

scavo archeologico di palazzo dei Vescovi: ad un periodo di vivace attività edilizia, e quindi

economica, tra I e II secolo d.C., testimoniata dagli edifici costruiti sui due lati della strada

romana, fa seguito un lungo periodo di crisi e di relativo abbandono dell’area fra il pieno III e

la metà del IV secolo d.C. Si ha poi una ripresa abbastanza consistente fra la seconda metà e

la fine del IV secolo d.C., quando si assiste all’ultimo ripristino del selciato stradale e a nuove

costruzioni a sud della strada.

In età longobarda questo settore della città sembra di nuovo frequentato, ma con una diversa

destinazione degli spazi rispetto all’età antica: una piccola struttura muraria occupa

supination, due to taphonomic adjustments 163 . In the photograph of the excavation, the upper

limbs seem distended (180 degree elbow angle), the humeri are intra-rotated so that on the

right the radius crosses the ulna and on the left has fallen into a medial position in relation to

the ulna; the hands, whose bones are slightly displaced and not clearly visible, were originally

in a prone position. The lower limbs are distended and parallel, with the knees close to each

other, as are the ankles. Confirming the position of the bronze ring found above the chest 164 ,

various fragments of rib with a greenish colour were found during the restoration.

• State of preservation. All of the skeletal parts are represented, but almost all of the bones

are incomplete, lacking the ends, and with jagged surfaces 165 . There are 11 lower teeth in situ

and 1 detached upper tooth.

• Sex. Female 166 .

• Age at death. Mature adult, based on a considerable number of indicators 167 .

• Anthropological characteristics, physical constitution and biomechanical stress indicators.

Height 154 cm 168 . Small physical constitution, despite the fact that all of the long bones of

the upper limbs are wellshaped and many muscle insertions look well impressed, some being

even enthesopathic, indicating a lifestyle marked by heavy physical activities involving the

arms and hands 169 . On the contrary, the bones of the lower limbs do not denote excessive

muscular effort. The groove on the preauricular sulcus of the pelvis was absent, indicating

absence of pregnancies 170 .

• Pathological aspects. As regards the state of dentition, of the 5 lower missing teeth, 3 were

lost before death 171 , while the cause of loss cannot be determined for the third right molar,

considering also that the left contralateral tooth is missing due to agenesis or impaction. The

upper lower present 6 caries 172 . The loss before death of the back teeth may have been caused

by the more advanced degree of wear of the front teeth compared to the surviving back

teeth. Signs of circulatory anomalies were identified on the skeleton 173 .

F. F., S. G., E. P

Conclusions

Archaeological research produced a series of important data from the viewpoint of both the

specific context, as well as above all Pistoia’s general forma urbis in the Roman and medieval

ages. First of all, it was confirmed that in the most ancient Roman age, right up to and

throughout the Augustan age, as was documented in the rest of the city (Piazza della Sala 61 ,

Palazzo dei Vescovi), the land was mainly used for farming: relating to this use are traces of

cultivations and of rainwater and groundwater management activities (channels, ditches and

a well). It is with the beginning of the 1st century A.D. (Tiberian age) that there are the first

traces of an urbanisation that includes masonry constructions and, above all, public infrastructures

related to roadways. In particular, it is at that time that a road is built, running

east-west, complete with a channel to drain water and onto which opened a probably public

portico, which the four quadrangular basements belong to. This road is contemporary to

the one found beneath Palazzo dei Vescovi, but it has a different orientation, more or less

coinciding with that of the public road known in literature as Via Cassia, which in the city of

Pistoia coincides with the present-day course of Via degli Orafi.

Of note is also the considerable coincidence in the sequence of events with that known from

the archaeological excavations of Palazzo dei Vescovi: a busy period of construction, and

therefore also of economic activity between the 1st and the 2nd century A.D., demonstrated

by the buildings erected on the two sides of the Roman road, is followed by a long period of

crisis and of relative abandonment of the area between the mid 3rd and the mid 4th century

A.D. Then there is quite a substantial recovery between the second half and the end of the

4th century A.D., when the latest renovation of the road surface and new constructions

south of the road are witnessed.

In the Longobard period, this sector of the city seems to have been busy once again, but

with a different use of spaces compared to the ancient era: a small masonry construction occupied

what had been the surface of the Roman road and subsequently, between the end of

254 255



quello che era stato il pavimento della strada di epoca romana e successivamente, tra la

fine del periodo longobardo e l’età carolingia, l’area è destinata a sepolcreto, forse in concomitanza

con la più antica fase della vicina chiesa di S. Jacopo in Castellare, o con una sua

preesistenza. I resti antropologici rinvenuti nel contesto di palazzo de’ Rossi costituiscono

ad oggi i più antichi noti dalla città di Pistoia, datati con sicurezza.

Al pieno XI secolo risale la costruzione di un nuovo percorso viario, stavolta orientato in senso

nord-ovest/sud-est, rinvenuto all’interno del palazzo: la sua prosecuzione verso sud coincide

con l’attuale andamento di via Bracciolini e quindi presuppone la convergenza verso la

cattedrale pistoiese; verso nord, invece, la strada proseguiva di fronte alla chiesa di Sant’Andrea

per poi dare origine alla viabilità transappenninica diretta a Bologna e a Modena.

Sempre all’interno del palazzo sono state rinvenute numerose strutture murarie pertinenti a

case torri di epoca medievale che, con ogni probabilità, devono essere messe in relazione con

le “case al canto de’ Rossi”, di proprietà della famiglia, ricordate nei documenti archivistici

per i secoli XII-XIII.

Dopo un trentennio dalla conclusione delle indagini archeologiche nel sottosuolo di palazzo

dei Vescovi, questo scavo viene a fornire un nuovo ampio tassello per la ricostruzione della

città di Pistoia in età antica e medievale. I dati raccolti offrono, senza dubbio, nuovi spunti

per ulteriori approfondimenti ed una rilettura delle notizie già acquisite per quanto riguarda

la porzione settentrionale della città. Ad esempio, l’assenza assoluta di strutture murarie riferibili

alla cinta urbica di periodo altomedievale, per altro nota nel sottosuolo dell’adiacente

chiesa di S. Jacopo in Castellare, pone interessanti quesiti in merito all’andamento della prima

cerchia delle fortificazioni cittadine.

NOTE

1. I lavori, diretti dall’arch. Giovan Battista Bassi, furono seguiti

per l’aspetto archeologico, da personale della Soprintendenza

Archeologica: Anna Wentkowska, Elia Vargiu sotto la

direzione scientifica di Paola Perazzi.

2. A. Patera, P. Perazzi, Pistoia. Censimento e documentazione delle

emergenze pre-protostoriche e di età antica: appunti sul complesso di

San Iacopo in Castellare, in “Notiziario della Soprintendenza

per i Beni Archeologici della Toscana”, 2007, pp. 42-45.

3. P. Perazzi, Palazzo de’ Rossi, in “Bullettino Storico Pistoiese”,

CIII, 2001, p. 271.

4. Il saggio di 8x4 m fu motivato dall’esigenza di verificare la

possibilità di creare un vano sotterraneo al cortile. Lo scavo

fu effettuato grazie all’interessamento dell’Ing. Natale Rauty

e fu condotto dalla società SACI srl sotto la direzione scientifica

di Paola Perazzi. Brevi notizie si trovano in P. Perazzi,

G. Millemaci, Pistoia. Palazzo de’ Rossi: resti della città romana e

medievale, in “Notiziario della Soprintendenza per i Beni Archeologici

della Toscana”, 2009, pp. 175-176; Carta archeologica

della Provincia di Pistoia, a cura di P. Perazzi, Firenze, Istituto

Geografico Militare, 2010, pp. 394-400, sito Pt36 (G. Millemaci,

P. Perazzi). Lo scavo è ora edito in P. Perazzi, G. Millemaci,

G. Incammisa, C. Taddei, E. Pacciani, F. Fineschi, S.

Gori, Pistoia, Palazzo de’ Rossi: nuovi dati archeologici sulla città

romana e medievale, in “Notiziario della Soprintendenza per i

Beni Archeologici della Toscana”, 2015, pp. 137-176.

5. Le indagini sono state interamente finanziate dalla Fondazione

Cassa di Risparmio di Pistoia e Pescia ed eseguite dalla

società SACI srl con il supporto della ditta edile ZG, sotto la

direzione scientifica di Paola Perazzi.

6. G. Millemaci, Note di topografia urbana:la parte settentrionale

di Pistoia tra l’alto medioevo e la prima età comunale, in “Bullettino

Storico Pistoiese”, CXIII, 2011, pp.43-59.

7. Si veda la pianta del centro storico di Pistoia con sovrapposizione

delle curve di livello del paleosuolo, in N. Rauty, Storia

di Pistoia, I, Dall’alto medioevo all’età precomunale (406-1105), Firenze,

Le Monnier, 1988, p. 5, fig. 2.

8. Precisamente, fra i 70,30 m del saggio 4 (2009-2010) e i

69,53 m del saggio 2 (2009-2010). Notizie preliminari sullo

scavo dell’area archeologica di palazzo de’ Rossi sono in P.

Perazzi, G. Millemaci, Pistoia. Palazzo de’ Rossi, cit.; Carta archeologica,

cit., pp. 394-400, sito Pt36 (G. Millemaci, P. Perazzi).

9. In particolare, si rimanda alle indagini archeologiche condotte

nel sottosuolo dell’antico palazzo dei Vescovi, in piazza

del Duomo: L’antico palazzo dei Vescovi a Pistoia, II, 1, Indagini

archeologiche, a cura di G. Vannini, Firenze, Olschki, 1985, p.

20 e nota 45 (G. Vannini), pp. 41-42 (G. De Tommaso). Tracce

evidenti di un utilizzo agricolo del suolo sono state documentate

anche lungo il lato meridionale di piazza della Sala e

nell’area adiacente il vicolo S. Atto: Carta archeologica, cit., p.

368, sito Pt24-1 (G. Millemaci), p. 411, sito Pt45 (P. Perazzi).

Cfr. anche C. Taddei, Il popolamento del territorio in epoca romana,

ibidem, pp. 77-103: 82; P. Perazzi, C. Taddei, Pistoria: resti

della città romana, in Pistoia tra età romana e alto medioevo, Giornata

di Studio in memoria di Natale Rauty, Bologna CISSA,

2015, pp. 13-46.

10. Larghi fra 0,60 e 1,60 m, presentano una sezione a forma

di V, oppure pareti dritte e fondo piano. Questo tipo di fossi

agricoli è ampiamente documentato in età repubblicana e in

quella augustea nel limitrofo agro lucchese: Gli Agri Divisi di

Lucca. Ricerche sull’insediamento negli agri centuriati di Lucca fra

Tarda Repubblica e Tarda Antichità, a cura di G. Ciampoltrini,

Siena, Nuova Immagine, 2004, pp. 17, 19-21.

11. Accanto a pochissimi frammenti di ceramica a vernice nera

sono stati raccolti alcuni frammenti di ceramica sigillata aretina.

12. Larga circa 1,20 m, è documentata per una lunghezza di

3,60 m.

13. Anche l’unica struttura muraria della tarda età repubblicana,

rinvenuta nel sottosuolo di palazzo dei Vescovi, è realizzata

in ciottoli legati con terra: G. De Tommaso, in Indagini

archeologiche, cit., pp. 41-42, fig. 8.

14. Poco a nord del pozzo di epoca romana si trova un pozzo

in mattoni di epoca moderna (Tav. 1, 2). Per assicurarsi

sull’eventuale prosecuzione in profondità della struttura, è

stato deciso di effettuare un carotaggio, esattamente al centro

del pozzo, fino alla profondità di 8 m. Il campione così

ottenuto ha pienamente confermato la natura geologica del

terreno sottostante, costituito da sabbie e ghiaie di deposito

(fino a 4 m circa) e poi da un nuovo livello di argilla plastica di

colore giallo ocra. Anche il flottaggio dei suoli, finalizzato al

recupero di eventuali semi, non ha dato alcun esito.

15. L’area retrostante il palazzo era, in origine, in consistente

rilievo rispetto a quella frontale, tanto che si dovettero prevedere

lavori di sterro per ripianare e livellare il terreno: cfr. L.

Gai, Il palazzo dei Rossi. Architettura e decorazione d’interni a Pistoia

fra Sette e Ottocento, in “Storia locale”, 2008, pp. 4-120: 29, 35.

Esso fu acquistato dalla famiglia dei Rossi con contratto del

28 aprile 1762; successivamente, il terreno venne recintato con

la costruzione di un muro (ibidem, pp. 35-36): in tale occasione,

il canonico Tommaso de’ Rossi ricorda che vennero portati

alla luce alcuni reperti archeologici di epoca romana, tra i quali

«un idoletto figurante il dio della guerra […] nominato il dio

Marte». Ancora, fra il 1800 ed il 1801 Francesco de’ Rossi fece

costruire un nuovo annesso nella parte posteriore del palazzo,

nel «Prato di S. Iacopo in Castellare»: «furono trovati sassi, e

terra smossa, ossi di morto, e de’ muri che attraversavano le

linee dei fondamenti disegnati» (in L. Gai, Il palazzo dei Rossi,

cit., p. 30, nota 59 e p. 82, nota 228).

16. Si segnalano, tra gli altri, frammenti di anfore di tipo Dressel

1B e frammenti di ceramica sigillata italica. Per il tipo di

pavimentazione stradale, oltre che al caso di palazzo dei Ve-

the Longobard period and the Carolingian period, the area was used as a cemetery, perhaps

coinciding with the oldest phase of the nearby church of S. Jacopo in Castellare, or with a

pre-existing church. The anthropological remains found in the area of Palazzo de’ Rossi still

today constitute the most ancient known in the city of Pistoia, dated with certainty.

Dating back to the mid 11th century is the construction of a new road, this time running

northwest/southwest, and found inside the palazzo: its continuation southwards coincides

with the current course of Via Bracciolini and therefore points to a convergence towards Pistoia

cathedral; northwards, instead, the road continued in front of the church of Sant’Andrea,

to then give origin to the trans-Apennine road in the direction of Bologna and of Modena.

Again, inside the palazzo, numerous masonry constructions were found, pertinent to

tower houses from the medieval age which, most probably, should be put in relation with

the “case al canto de’ Rossi”, belonging to the family and recorded in archives for the

12th-13th centuries.

Thirty years after the conclusion of the archaeological investigations into the subsurface of

Palazzo dei Vescovi, this excavation provides a new and broad element for the reconstruction

of the city of Pistoia in the ancient and medieval ages. The data collected offer, undoubtedly,

new cues for further research and a reinterpretation of the information already obtained as

regards the northern portion of the city. For example, the absolute absence of masonry constructions

pertaining to the early medieval city walls, noted, moreover, in the subsurface of

the adjacent church of S. Jacopo in Castellare, asks interesting questions regarding the course

of the first circle of the city’s fortifications.

NOTES

1. The works, directed by Giovan Battista Bassi, architect,

were followed archaeologically by the staff of the Tuscan

Archaeological Department: Anna Wentkowska, Elia Vargiu

and under the technical direction of Paola Perazzi.

2. A. Patera, P. Perazzi, Pistoia. Censimento e documentazione

delle emergenze pre-protostoriche e di età antica: appunti sul complesso

di San Iacopo in Castellare, in “Notiziario della Soprintendenza

per i Beni Archeologici della Toscana”, 2007, pp.

42-45.

3. P. Perazzi, Palazzo de’ Rossi, in “Bullettino Storico Pistoiese”,

C III, 2001, p. 271.

4. The trial excavation of 8x4 m was carried out in order

to verify whether an underground room could be created

beneath the courtyard. The excavation was conducted

thanks to the involvement of Natale Rauty, engineer, and

by the company SACI srl under the technical direction of

Paola Perazzi. Some references can be found in P. Perazzi,

G. Millemaci, Pistoia. Palazzo de’ Rossi: resti della città romana

e medievale, in “Notiziario della Soprintendenza per i Beni

Archeologici della Toscana”, 2009, pp. 175-176; Carta archeologica

della Provincia di Pistoia, by P. Perazzi, Florence, Istituto

Geografico Militare, 2010, pp. 394-400, site Pt36 (G.

Millemaci, P. Perazzi).

5. The investigations were entirely funded by Fondazione

Cassa di Risparmio di Pistoia e Pescia and carried out by

the company SACI srl with the support of the construction

company ZG, under the technical direction of Paola Perazzi.

6. G. Millemaci, Note di topografia urbana:la parte settentrionale

di Pistoia tra l’alto medioevo e la prima età comunale, in “Bullettino

Storico Pistoiese”, CXIII, 2011, pp.43-59.

7. See the plan of the old city centre of Pistoia with overlap

of the curves in the paleosol level, in N. Rauty, Storia di Pistoia,

I, Dall’alto medioevo all’età precomunale (406-1105), Florence,

Le Monnier, 1988, p. 5, fig. 2.

8. Specifically, between 70.3m of excavation 4 (2009-2010)

and 69.53m of excavation 2 (2009-2010). Preliminary information

regarding the excavation of the archaeological area

of Palazzo de’ Rossi can be found in P. Perazzi, G. Millemaci,

Pistoia. Palazzo de’ Rossi, cit.; Carta archeologica, cit., pp. 394-

400, site Pt36 (G. Millemaci, P. Perazzi).

9. In particular, reference is made to the archaeological investigations

conducted beneath the old Palazzo dei Vescovi,

in Piazza del Duomo: L’antico palazzo dei Vescovi a Pistoia, II, 1,

Indagini archeologiche, by G. Vannini, Florence, Olschki, 1985,

p. 20 and note 45 (G. Vannini), pp. 41-42 (G. De Tommaso).

Clear traces of an agricultural use of the land were documented

also along the southern side of Piazza della Sala and

in the area next to Vicolo S. Atto: Carta archeologica, cit., p.

368, site Pt24-1 (G. Millemaci), p. 411, site Pt45 (P. Perazzi).

Cf. also C. Taddei, Il popolamento del territorio in epoca romana,

ibidem, pp. 77-103: 82; P. Perazzi, C. Taddei, Pistoria: resti della

città romana, in Pistoia tra età romana e alto medioevo, Giornata

di Studio in memoria di Natale Rauty, c.s.

10. Between 0.6 and 1.6m wide, they have a V-shaped section,

or straight walls and flat bottom. This type of agricultural

ditches is widely documented in the republican age

and the Augustan age in the neighbouring ager of Lucca:

Gli Agri Divisi di Lucca. Ricerche sull’insediamento negli agri

centuriati di Lucca fra Tarda Repubblica e Tarda Antichità, by G.

Ciampoltrini, Siena, Nuova Immagine, 2004, pp. 17, 19-21.

11. Next to very few fragments of black-glaze ceramic some

fragments of Arretine sigillata ware were found.

12. About 1.2m wide, it is documented for a length of 3.6m.

13. Also the only masonry structure from the late republic,

found in the ground beneath Palazzo dei Vescovi, is made

in cobbles bound together with earth: G. De Tommaso, in

Indagini archeologiche, cit., pp. 41-42, fig. 8.

14. Just north of the Roman well is a modern-day brick well

(Table 1. 2). To check for the possible continuation of the

depth of the structure, it was decided to carry out a core

survey, right in the centre of the well, to a depth of 8 m. The

sample thus obtained fully confirmed the geological nature

of the underlying soil, made of alluvial sand and gravel (up

to about 4 m) and then by a new level of plastic clay, yellow

ochre in colour. Also the soil flotation, to recover any seeds,

had no outcome.

15. The area behind the palazzo was, originally, quite raised

compared to the front, to the point where excavation works

were carried out to flatten and level out the ground: cf. L.

Gai, Il palazzo dei Rossi. Architettura e decorazione d’interni a Pistoia

fra Sette e Ottocento, in “Storia locale”, 2008, pp. 4-120:

29, 35. It was purchased by the Rossi family by deed dated

28 April 1762; later, the land was enclosed by a wall (ibidem,

pp. 35-36): on that occasion, the cleric Tommaso de’ Rossi

recalls that some Roman archaeological findings were

brought to light, including “a statuette of the god of war […]

called Mars”. Again, between 1800 and 1801 Francesco de’

Rossi had a new annex built at the rear of the palazzo, in

the “Prato di S. Iacopo in Castellare”: “stones, disturbed soil

and bones of the dead were found, and walls that crossed

the lines of the planned foundations” (in L. Gai, Il palazzo dei

Rossi, cit., p. 30, note 59 and p. 82, note 228).

16. In particular, fragments of Dressel 1B amphorae and

fragments of sigillata ware. For the type of road surface,

besides the case of Palazzo dei Vescovi, reference is also

made to the examples from the ager of Lucca: P. Perazzi, Su

alcuni rinvenimenti archeologici a Pieve a Nievole. Nota preliminare

sull’area di Via Cosimini, in “Bullettino Storico Pistoiese”,

CVII, 2005, pp. 111-124: 113-114, fig. 2-3; Glarea stratae. Vie

256 257



scovi si rimanda agli esempi dell’agro lucchese: P. Perazzi, Su

alcuni rinvenimenti archeologici a Pieve a Nievole. Nota preliminare

sull’area di Via Cosimini, in “Bullettino Storico Pistoiese”, CVII,

2005, pp. 111-124: 113-114, figg. 2-3; Glarea stratae. Vie etrusche e

romane della piana di Lucca, a cura di G. Ciampoltrini, Firenze,

Alinea, 2006; Ad limitem. Paesaggi d’età romana nello scavo degli

Orti del San Francesco in Lucca, a cura di G. Ciampoltrini, Lucca,

Menegazzo, 2007. Un esempio di strada glareata, in uso tra la

fine del I sec. a.C. e almeno la fine del I sec. d.C., è noto anche

dall’area del nuovo ospedale di Prato, a Galciana: G. Millemaci,

Prato. Galciana, nuovo Presidio Ospedaliero: un’area produttiva

di epoca romana, in “Notiziario della Soprintendenza per i Beni

Archeologici della Toscana”, 2009, pp. 188-189: 188, fig. 4.

17. La canaletta, larga al suo interno circa 0,30 m, è conservata

per un’altezza massima di 0,40 m. La copertura, spoliata

probabilmente già almeno in epoca tardoantica, doveva essere

costituita da una serie di mattoni disposti in sequenza

per taglio obliquo: di essi sono state rinvenute le impronte

impresse nell’argilla utilizzata come legante alla sommità delle

spallette.

18. Il lato dei pilastri è di circa 0,90 m.

19. Fra i materiali contenuti nei due battuti si annoverano

frammenti di ceramica sigillata italica e di ceramica a pareti

sottili.

20. Oltre che dalla tecnica costruttiva utilizzata, la datazione

delle due strutture è confermata da un frammento di coppa in

ceramica sigillata italica, decorata a rilievo, che proviene dalla

fossa di fondazione di uno dei due muri, nonché dai frammenti

ceramici provenienti dallo strato di terreno associato,

pertinenti a vasellame in ceramica sigillata italica.

21. Cfr. Carta archeologica, cit., sito Pt33, fig. 1 a p. 388.

22. Cfr. G. De Tommaso, in Indagini archeologiche, cit., pp. 43-

44. Anche le prime strutture murarie rinvenute nel sottosuolo

della chiesa di S. Iacopo in Castellare sono attribuite al I sec.

d.C.: Carta archeologica, cit., pp. 387-390 (P. Perazzi, G. Millemaci),

in particolare fig. 1 a p. 388.

23. G. Pellegrini, Pistoia. Scavi archeologici in piazza del Duomo,

in “Notizie degli Scavi di antichità”, 1904, pp. 241-270: 246,

253; G. De Tommaso, in Indagini archeologiche, cit., pp. 50-52;

Carta archeologica, cit., pp. 348-355, sito Pt19 (C. Taddei).

24. Dalla massicciata di questa fase provengono alcuni frammenti

di ceramica sigillata tardo italica, tra i quali uno con

bollo frammentario Sex. […].

25. Lo strato di riempimento della canaletta conteneva frammenti

di ceramica sigillata tardo italica e di ceramica sigillata

africana.

26. Nello strato di distruzione sono stati raccolti numerosi

frammenti di olle in ceramica acroma grezza, che qualificano

l’edificio come abitativo.

27. Le massicciate riferibili a questa fase sono costituite in

massima parte da una grande quantità di frammenti di parete

di anfore, soprattutto di produzione ispanica e africana e

contengono anche frammenti di ceramiche sigillate tardo italiche,

nonché un frammento di lucerna del tipo firmalampen.

28. Per quanto è stato possibile verificare, l’edificio è lungo oltre

10,30 m in senso est-ovest; in senso nord-sud, la dimensione

massima documentata coincide con la larghezza dell’ambiente

centrale (B), pari a 2,60 m.

29. Sulla rasatura del pilastro nord-ovest si imposta uno dei

corsi di frammenti di laterizi che costituiscono il muro perimetrale

del nuovo edificio.

30. Non è chiaro dove si trovasse l’accesso all’ambiente: la soglia,

probabilmente, si trovava ad una quota più alta rispetto

a quella documentata.

31. Insieme a ceramica sigillata tardo italica e a ceramica africana

da cucina, è stato rinvenuto in questi battuti pavimentali

un frammento di coppa in ceramica sigillata africana riferibile

alla tarda produzione A.

32. I due frammenti (Tav. 12, 2) appartengono probabilmente

ad una stessa anfora di forma Dressel 7/13, tipologia ampiamente

presente anche nel complesso archeologico del palazzo

dei Vescovi: L’antico palazzo dei Vescovi a Pistoia, II, 2, I documenti

archeologici, a cura di G. Vannini, Firenze, Olschki, 1987, pp.

236-243, 261, 743-745, 751 (G. De Tommaso).

33. In questo settore sono stati profondi e pesanti gli interventi

di spoglio riferibili ad epoca tardoantica e medievale;

una profonda fossa scavata in epoca rinascimentale occupava,

inoltre, quasi l’intera superficie indagata all’interno dell’ambiente.

34. Ne restano in posto solo due, preservate dal successivo

inserimento di questo tratto della canaletta all’interno di una

struttura muraria tardoantica.

35. È stata documentata una sequenza di tre battuti pavimentali

sovrapposti. Da quello intermedio provengono un

frammento di ceramica sigillata africana di produzione A2 e

una moneta che, trattandosi di un antoniniano, assicura una

datazione entro il III secolo d.C.

36. Il sito, comunque, non dovette essere completamente abbandonato:

nel Taccuino per la Fabbrica de’ Rossi (BCF, Rossi, 15,

c. 3r, in L. Gai, Il palazzo dei Rossi, cit., p. 37), il canonico Tommaso

ricorda che, in occasione dei lavori di sterro effettuati

nel 1774 per costruire le fondamenta del palazzo «furono trovate

diverse monete, e fra queste una di Roma dell’imperatore

Gordiano 3° ed il nipote, e nel rovescio un Marte guerriero».

37. G. De Tommaso, in Indagini archeologiche, cit., pp. 45-48.

38. A partire da questo periodo tutti i livelli di vita di questo

settore hanno restituito un grosso numero di scorie ferrose.

39. È probabilmente in questo momento che la copertura

in mattoni della canaletta viene completamente asportata;

un consistente livello di riporto, derivato probabilmente dal

recupero di contesti precedenti, sigilla definitivamente la

conduttura. Oltre a numerosi frammenti ceramici residuali,

lo strato conteneva frammenti di ceramica a vernice rossa

tarda e diverse piccole scaglie di marmo, tutte più o meno

della stessa dimensione: è probabile che derivino da più antichi

elementi lapidei di rivestimento, ormai anch’essi spoliati e

frantumati in previsione della loro cottura entro una fornace

da calce (non rinvenuta).

40. Da uno dei piani di calpestio proviene un frammento di

labbro di grande piatto con orlo rientrante, in ceramica dipinta

tarda riconducibile a tale periodo.

41. I modesti residui pavimentali conservati, ottenuti probabilmente

riportando terreno dall’esterno, contenevano solo

frammenti ceramici residuali.

42. Il pilastro, in ciottoli e frammenti di mattoni legati con

abbondante malta grigiastra, presuppone senz’altro l’esistenza

del muro realizzato con grandi ciottoli, bozze in pietra

grossolanamente squadrate e laterizi frammentari, legati con

argilla, al cui lato settentrionale si appoggia: una delle pietre

del muro è inglobata al suo interno.

43. A. Patera, P. Perazzi, Pistoia. Censimento e documentazione, it.;

Carta archeologica, cit., p. 387, sito Pt33 (P. Perazzi).

44. È noto come la fase tardoantica si concluda, in molti casi,

con massicce distruzioni delle strutture precedenti, spesso

con tracce di incendi. Può essere interessante ricordare come

Pistoia sembri aver subito una distruzione all’epoca dell’incursione

dei Goti di Radagaiso, all’inizio del V secolo, prima

del loro annientamento da parte di Stilicone presso Fiesole. Si

veda in particolare Indagini archeologiche, cit., p. 53 e nota 32

(G. Vannini).

45. Oltre ai reperti ceramici, provengono da questo strato di

abbandono ancora numerose scorie ferrose e vetrose.

46. S. Leporatti, La vicenda archeologica dello «scavo della Domus»

di Pistoia (1903) e la topografia dell’area della cattedrale di San Zeno

fra tarda antichità ed altomedioevo, in “Bullettino Storico Pistoiese”,

CXVI, 2014, pp. 77-108; G. Capecchi, G. De Tommaso,

Per la più antica storia della cattedrale pistoiese, in “Bullettino Storico

Pistoiese”, LXXXIV, 1982, pp. 7-36: 31.

47. Nella fondazione è stato rinvenuto un frammento di piatto

in ceramica dipinta tarda databile, sulla base di confronti

fiesolani, alla seconda metà IV-inizi V sec. d.C.: il frammento

è congruente con il piatto frammentario proveniente dallo

strato di incendio precedentemente citato (fig. 21).

48. Nell’aprile del 1800 il cav. Francesco de’ Rossi avviò i lavori

nell’area retrostante il palazzo per costruire nuove stalle e una

rimessa: lo scavo fece affiorare «ossa di morto», oltre a muri

antichi (L Gai, Il palazzo dei Rossi, cit., pp. 29-30).

49. A.R. Mandrioli Bizzarri, La collezione di gemme del Museo

Civico Archeologico di Bologna, Bologna, Comune di Bologna,

1987, pp. 85 ss.

50. Le analisi sono state effettuate presso il laboratorio archeometrico

dell’Università di Tübingen.

51. Lo strato conteneva pochissimi frammenti ceramici, fra i

quali una parete di olla in ceramica nuda, con grossolane solcature

orizzontali, di epoca medievale (IX-XII sec.).

52. G. Millemaci, Note di topografia urbana, cit., pp. 52-54.

53. G. Vannini, in I documenti archeologici, cit., pp. 366 ss.

54. La struttura, larga circa 0,90-1,10 m, è conservata per

un’altezza massima di 1,50 m.

55. Ibidem, p. 55.

56. Ibidem, pp. 16-20.

57. Ibidem, pp. 36-37.

58. Ibidem, p. 83.

59. Nel maggio 1803, nel giardino vennero sistemate due vasche,

«una delle quali dirimpetto alla statua [di Grandonio

Rossi], e portone di fuori», con «fonte», ossia zampillo d’acqua:

L. Gai, Il palazzo dei Rossi, cit., p. 83.

60. Ibidem, p. 50.

61. I contenuti del presente contributo, cui in questa sede si

aggiungono alcune integrazioni, sono stati pubblicati anche

in C. Taddei, Le ceramiche, in P. Perazzi et alii, Pistoia, Palazzo de’

Rossi: nuovi dati archeologici sulla città romana e medievale, in Notiziario

della Soprintendenza Archeologica della Toscana, vol. VIII/

2015 (2016), pp.

62. P. Perazzi, Carta archeologica della provincia di Pistoia, Firenze,

2010.

63. G. Vannini (a cura di), L’Antico Palazzo dei Vescovi a Pistoia,

II.2 I documenti archeologici, Firenze, 1987.

64. J. P. Morell, L’étude des céramiques à vernis noire, entre archéologie

et archéometrie, in P. Frontini, M. T. Grassi, Indagini

archeometriche relative alla ceramica a vernice nera: nuovi dati sulla

provenienza e la diffusione, Como, 1998, pp. 9-22; F. Cibecchini,

J. Principal, Per chi suona la campana B?, in E. C. de Sena, H.

Dessales (a cura di), Metodi e approcci archeologici: l’industria e

il commercio nell’Italia antica/ Archaeologicol Methods and Approaches:

Industry and Commerce in Ancient Italy, BAR (British Archaeological

Report), Oxford, 2004, pp. 159-172.

65. J. P. Morell, Céramique campanienne: les formes, Roma 1981,

tav. 40, p. 154.

66. G. Vannini (a cura di), L’Antico Palazzo dei Vescovi a Pistoia,

II.2 cit., pp. 3-5, 119-120, 681-683 (G. De Tommaso).

67. J. P. Morell, Céramique campanienne cit., tav. 42, pp. 157-158.

68. G. Vannini (a cura di), L’Antico Palazzo dei Vescovi a Pistoia,

II.2 cit., pp. 5-6, 121-123, 683-685: Gruppo II (G. De Tommaso).

69. P. Perazzi, Carta archeologica cit., p. 372, p. 124 (G. Millemaci).

etrusche e romane della piana di Lucca, by G. Ciampoltrini, Florence,

Alinea, 2006; Ad limitem. Paesaggi d’età romana nello

scavo degli Orti del San Francesco in Lucca, by G. Ciampoltrini,

Lucca, Menegazzo, 2007. An example of cobbled road, in

use between the end of the 1st c. B.C. and the at least the

end of the 1st c. A.D., is also known from the area of the new

Prato hospital, in Galciana: G. Millemaci, Prato. Galciana,

nuovo Presidio Ospedaliero: un’area produttiva di epoca romana,

in “Notiziario della Soprintendenza per i Beni Archeologici

della Toscana”, 2009, pp. 188-189: 188, fig. 4.

17. The channel, with an internal width of about 0.3m, is

conserved up to a maximum height of 0.4m. Its covering,

probably already removed in Late Antiquity, must have been

made of a series of bricks laid diagonally: of these, the prints

made into the clay that was used as a binding have been

found, at the top of the sides.

18. The side of the pillar is approx. 0.9m.

19. The materials contained in the two beaten earth floors

included fragments of terra sigillata ware and thin-walled

pottery.

20. Apart from the construction technique used, the dating

of two structures is confirmed by a fragment of cup in reliefdecorated

sigillata, which comes from the foundation pit of

one of the two walls, as well as by fragments of ceramics

from the relative stratum, belonging to sigillata ware.

21. Cf. Carta archeologica, cit., site Pt33, fig. 1a p. 388.

22. Cf. G. De Tommaso, in Indagini archeologiche, cit., pp. 43-

44. Also the first masonry constructions found beneath the

church of S. Iacopo in Castellare are attributed to the 1st

century A.D.: Carta archeologica, cit., pp. 387-390 (P. Perazzi,

G. Millemaci), in particular fig. 1a p. 388.

23. G. Pellegrini, Pistoia. Scavi archeologici in piazza del

Duomo, in “Notizie degli Scavi di antichità”, 1904, pp. 241-

258

270: 246, 253; G. De Tommaso, in Indagini archeologiche, cit.,

pp. 50-52; Carta archeologica, cit., pp. 348-355, site Pt19 (C.

Taddei).

24. Found in the embankment of this phase are some fragments

of late Italian terra sigillata, including one with a partial

stamp Sex. […].

25. The fill layer of the channel contained fragments of late

Italian terra sigillata and of African red slip ware.

26. In the destruction layer numerous fragments of jars in

raw colourless ceramic, which confirm the building as residential.

27. The ballasts attributable to this phase are mainly made

of a large quantity of fragments of amphora walls, mainly of

Spanish and African production and contain also fragments

of late Italian terra sigillata ware, as well as a fragment of a

firmalampen type oil lamp.

28. Insofar as it was possible to verify, the building was more

than 10.3m long east-west; north-south, the maximum dimension

documented coincides with the width of the central

room (B), equal to 2.6 m.

29. Set on the cut-off northwest pillar is one of the lines of

brick fragments which make up the perimeter wall of the

new building.

30. It is not clear where the entrance to the room was: the

threshold, probably, was higher than that documented.

31. Together with late Italian terra sigillata and African ceramic

cookware, the beaten earth floor revealed a fragment

of a cup in African red slip ceramic attributable to late production

A.

32. The two fragments (Table 12, 2) probably belong to the

same Dressel 7/13 shape amphora, a type largely present also

in the archaeological complex of Palazzo dei Vescovi: L’antico

palazzo dei Vescovi a Pistoia, II, 2, I documenti archeologici, by G.

Vannini, Florence, Olschki, 1987, pp. 236-243, 261, 743-745,

751 (G. De Tommaso).

33. In this sector, the stripping out activities pertaining to

Late Antiquity and the medieval age were deep and thorough;

moreover, a deep pit dug in the Renaissance period

occupied almost the entire surface investigated inside the

room.

34. Only two remain in situ, preserved by the subsequent

insertion of this stretch of channel inside a late antiquity

masonry construction.

35. A sequence of three beaten floors one on top of the other

was documented. From the middle one comes a fragment

of African A2 production red slip ware and a coin which,

being an Antoninianus, confirms dating within the 3rd century

A.D..

36. The site, however, cannot have been completely abandoned:

in Taccuino per la Fabbrica de’ Rossi (BCF, Rossi, 15, c. 3r,

in L. Gai, Il palazzo dei Rossi, cit., p. 37), the cleric Tommaso

recalls that, during the excavation work carried out in 1774

to build the foundation of the palazzo “several coins were

found, including from Rome of emperor Gordian III and

his nephew, and the warrior Mars on the other side”.

37. G. De Tommaso, in Indagini archeologiche, cit., pp. 45-48.

38. From this period, all the living levels in this sector revealed

a large quantity of waste iron.

39. This is when the brick covering of the channel was probably

completely destroyed; a substantial fill level, probably

deriving from the recovery of previous contexts, sealed the

channel for good. Besides numerous residual ceramic fragments,

the level contained fragments of late red gloss ceramic

and several small shards of marble, all more or less

the same size: they probably derived from older coverings,

then stripped and crushed before being fired in a lime kiln

(not found).

40. From one of the floor surfaces comes a fragment of the

incurved rim of a large dish, in late painted ceramic attributable

to that period.

41. The modest floor residues conserved, probably obtained

by bringing in earth from outside, contained only residual

ceramic fragments.

42. The pillar, in cobbles and brick fragments bound together

with abundant greyish mortar, undoubtedly points to the

existence of the wall built with large cobbles, roughly hewn

stone blocks and brick fragments, bound together with clay,

whose northern side it rests against: one of the stones of the

wall is incorporated into it.

43. A. Patera, P. Perazzi, Pistoia. Censimento e documentazione,

it.; Carta archeologica, cit., p. 387, site Pt33 (P. Perazzi).

44. It is known that late antiquity ended, in many cases,

with mass destruction of previous structures, often with

traces of fire. It may be interesting to remember how Pistoia

seems to have suffered destruction at the time of the

raid by the Goths of Radagaisus, at the beginning of the 5th

century, before their annihilation by Stilicho in Fiesole. See

in particular Indagini archeologiche, cit., p. 53 and note 32 (G.

Vannini).

45. Besides the ceramic findings, numerous waste iron and

glass pieces come from this abandonment layer.

46. S. Leporatti, La vicenda archeologica dello «scavo della

Domus» di Pistoia (1903) e la topografia dell’area della cattedrale

di San Zeno fra tarda antichità ed altomedioevo, in “Bullettino

Storico Pistoiese”, CXVI, 2014, pp. 77-108; G. Capecchi, G.

De Tommaso, Per la più antica storia della cattedrale pistoiese, in

“Bullettino Storico Pistoiese”, LXXXIV, 1982, pp. 7-36: 31.

47. In the foundation, a fragment of late painted ceramic

dish was found and datable, on the basis of comparative Fie-

sole production, to the second half of the 4th-early 5th century

A.D.: the fragment is congruent with the fragmented

dish from aforementioned fire layer (fig. 21).

48. In April 1800 Francesco de’ Rossi commenced works in

the area behind the palazzo to build new stables and a shed:

the excavation revealed “bones of the dead”, as well as ancient

walls (L Gai, Il palazzo dei Rossi, cit., pp. 29-30).

49. A.R. Mandrioli Bizzarri, La collezione di gemme del Museo

Civico Archeologico di Bologna, Bologna, Municipality of Bologna,

1987, pp. 85 ss.

50. The analyses were carried out at the archeometric laboratory

of Tübingen University.

51. The stratum contained very few fragments of ceramic,

including the wall of a bare ceramic jar, with large horizontal

grooves, from the middle ages (9th-12th century).

52. G. Millemaci, Note di topografia urbana, cit., pp. 52-54.

53. G. Vannini, in I documenti archeologici, cit., pp. 366 ss.

54. The structure, about 0.9-1.1m wide, is conserved for a

maximum height of 1.5m.

55. Ibidem, cit., p. 55.

56. Ibidem, pp. 16-20.

57. Ibidem, pp. 36-37.

58. Ibidem, p. 83.

59. In May 1803, two basins were installed in the garden,

“one of which is opposite the statue [of Grandonio Rossi],

and the outside gate”, with “font”, namely a water fountain:

L. Gai, Il palazzo dei Rossi, cit., p. 83.

60. Ibidem, p. 50.

61. The contents of this contribution, to which some integrations

are added here, were also published in C. Taddei,

Le ceramiche, in P. Perazzi et alii, Pistoia, Palazzo de’ Rossi: nuovi

dati archeologici sulla città romana e medievale, in Notiziario

della Soprintendenza Archeologica della Toscana, vol. VIII/ 2015

(2016), pp.

62. P. Perazzi, Carta archeologica della provincia di Pistoia, Florence,

2010.

63. G. Vannini (edited by), L’Antico Palazzo dei Vescovi a Pistoia,

II.2 Archaeological documents, Florence, 1987.

64. J. P. Morell, L’étude des céramiques à vernis noire, entre

archéologie et archéometrie, in P. Frontini, M. T. Grassi, Indagini

archeometriche relative alla ceramica a vernice nera: nuovi

dati sulla provenienza e la diffusione, Como, 1998, pp. 9-22; F.

Cibecchini, J. Principal, Per chi suona la campana B?, in E. C.

de Sena, H. Dessales (edited by), Metodi e approcci archeologici:

l’industria e il commercio nell’Italia antica/ Archaeologicol

Methods and Approaches: Industry and Commerce in Ancient

Italy, BAR (British Archaeological Report), Oxford, 2004,

pp. 159-172.

65. J. P. Morell, Céramique campanienne: les formes, Rome 1981,

table 40, p. 154.

66. G. Vannini (edited by), L’Antico Palazzo dei Vescovi a Pistoia,

II.2 cit., pp. 3-5, 119-120, 681-683 (G. De Tommaso).

67. J. P. Morell, Céramique campanienne cit., table 42, pp. 157-

158.

68. G. Vannini (edited by), L’Antico Palazzo dei Vescovi a Pistoia,

II.2 cit., pp. 5-6, 121-123, 683-685: Gruppo II (G. De Tommaso).

69. P. Perazzi, Carta archeologica cit., p. 372, p. 124 (G. Millemaci).

70. G. Capecchi (edited by) Artimino (Firenze). Scavi 1974.

L’Area della Paggeria medicea: relazione preliminar, Florence,

1987, pp. 118, 120 (G. De Tommaso).

71. A. Ricci, I vasi potori a pareti, in Atlante delle forme ceram-

259



70. G. Capecchi (a cura di) Artimino (Firenze). Scavi 1974. L’Area

della Paggeria medicea: relazione preliminar, Firenze, 1987, pp. 118,

120 (G. De Tommaso).

71. A. Ricci, I vasi potori a pareti, in Atlante delle forme ceramiche

II, supplemento a Enciclopedia dell’Arte Anticae Orientale,

Roma, 1985, pp. 231-353, tav. LXXIX, n. 5.

72. E. Ettinger et alii (a cura di), Conspectus formarum terrae sigillatae

italico modo confectae, Bonn1990, p. 82 (Kenrich); G. Pucci,

Terra sigillata italica, in Atlante delle forme ceramiche II, supplemento

a Enciclopedia dell’Arte Anticae Orientale, Roma,

1985, pp. 362-408, pp. 382-383, tipo IX.var 2.

73. Il tipo è documentato anche tra i materiali dell’Antico

Palazzo dei Vescovi G. Vannini (a cura di), L’Antico Palazzo dei

Vescovi a Pistoia, II.2 cit., pp. 145-146: Goudineau 28 (M.L. Degli

Innocenti).

74. E. Ettinger et alii (a cura di), Conspectus cit., p. 85 (Kenrich).

75. Il tipo è presente anche in contesti assegnati alle fasi IV-V

dell’Antico Palazzo dei Vescovi (terza decade del I sec.-fine

del II sec. d.C.) (G. Vannini (a cura di), L’Antico Palazzo dei

Vescovi a Pistoia, II.2 cit., p. 22: Goudineau 39 (M. L. Degli

Innocenti).

76. E. Ettinger et alii (a cura di), cit., pp. 139-140 (Zabehlicky-

Scheffenegger).

77. G. Pucci, Terra sigillata italica cit., p. 396, tav. CXXXI, nn.

12-13.

78. G. Vannini (a cura di), L’Antico Palazzo dei Vescovi a Pistoia,

II.2 cit., pp. 164, n. 874 (Draghendorff 36), pp. 169, 874 (M. L.

Degli Innocenti).

79. E. Ettinger et alii (a cura di), Conspectus cit., pp. 92-93,

23.2.2. (Kenrich).

80. Il tipo è presente anche tra i reperti dell’Antico Palazzo

dei Vescovi G. Vannini, L’Antico Palazzo dei Vescovi a Pistoia, II.2

cit., p. 711 (M. L. Degli Innocenti).

81. E. Ettinger et alii (a cura di), Conspectus cit., pp. 114-115, 36.4

(Zabehlicky-Scheffenegger); Pucci XXXI (G. Pucci, Terra sigillata

italica cit., p. 394, tav CXXXI.5.

82. E. Ettinger et alii (a cura di), Conspectus cit., pp. 112-113

(Zabehlicky-Scheffenegger)-Pucci XXXVII (G. Pucci, Terra

sigillata italica cit., p. 396, tav. CXXXI, n. 8).

83. P. Perazzi, Carta archeologica cit., p. 389, fig. 3, n. 1 (G. Millemaci).

84. G. Vannini (a cura di), L’Antico Palazzo dei Vescovi a Pistoia,

II.2 cit., p. 20: Goudineau 38, p. 712, fase IV, fine dell’età

tiberiana-terzo ventennio del I sec. d.C., e fase V, prima età

flavia-fine del II sec. d.C (G. De Tommaso).

85. E. Ettinger et alii (a cura di), Conspectus cit., p. 166, diffuso

nell’ultima decade del I sec. a.C. (Kernick).

86. Durante gli scavi nell’Antico Palazzo dei Vescovi sono

stati recuperati solo frammenti di piccole dimensioni riferiti

per lo più alle produzioni di terra sigillata decorata a matrice

(G. Vannini (a cura di), L’Antico Palazzo dei Vescovi a Pistoia, II.2

cit., pp. 28-30, pp. 35-36, punzoni di Rasinius e Perennius, pp.

160-163; p. 170, nn. 841-875: produzione tarde di Bargathes e

di Ateius (età tiberiana); pp. 707-714 [M. L. Degl’Innocenti]).

87. A. Vannini, Museo Nazionale Romano. Le Ceramiche, V, 2.

Matrici di ceramica aretina decorate, Roma, 1988, ovulo tipo 2,

corrisponde a tipo 11 e tipo 26 di H. Dragendorff, C. Watzinger,

Arretinische Reliefkeramik mit Beschreibung der Sammlung

in Tübingen, Reutlingen, 1948, p. 18 tav. 1. Alcuni confronti

riportano alle fasi iniziali della produzione di Publius Cornelius

(A. Vannini, Museo Nazionale Romano. Le Ceramiche, V, 2.

Matrici di ceramica aretina decorate, Roma, 1988, nelle attestazioni

del Museo Nazionale Romano riferite alla bottega di

Cornelius la resa del motivo risulta più rigida e seriale, anche

i bottoncini sono sempre circolari e mai semicircolari come

nel nostro caso (MNR cat. 233 a-b p. 201, n. inv. 261772, giro di

bottoncini, giro di ovuli (tipo 2); C. Troso, Il Ceramista aretino

Publius Cornelius. La produzione decorata a rilievo, Firenze, 1991,

p. 29, tav. 24. n. 136 a-b (punzone 148) produzione con firma P.

Corneli (C)); F. P. Porten Palange, La ceramica arretina a rilievo

nell’Antiquarium del Museo Nazionale Romano, Firenze, 1966, tav.

XVI, 82, pp. 57-58, T. S. 142 (n. inv. 128077), tav. XVI, coppa

ricomposta con decorazione a teste caprine motivi floreali,

ovuli tipo Draghendorff-Watzinger 26 con firma incompleta

in tabula ansata P. Cornelius (tav. XXXIV i). Nel repertorio di

Cornelius si possono trovare anche alcuni confronti, sebbene

non stringenti, per la composizione con personaggi maschili

gradienti verso destra, in questo caso, e per i drappi (C. Troso,

Il Ceramista aretino Publius Cornelius cit., tav. 25, 142-143; tav. 26.

151).

88. F. P. Porten Palange, Katalog der Punzenmotive in de arretinischen

Reliefkeramik, 2004, tav. 117, Ske (Skelett) 10a, pag. 220,

Bottega di C. Cispius (?) e ibidem 11a.

89. Un confronto per il canestro è rintracciabile tra gli esemplari

del Museo Nazionale Romano (A. Vannini, Museo Nazionale

Romano, p. 354 cat. 396 a-b, p. 348, tav. XVIII, tipo 201:

canestro appeso con nastri a un bastone, matrice attribuita

per le caratteristiche tecniche e stilistiche a Rasinius o ad officina

anniana. Arezzo, Museo (Stenico, 1968, 461, Anm. 15.

90. A. Oxé, H. Comfort, Ph. Kenrick, Corpus vasorum Arretinorum:

a Catalogue of the Signatures, Shapes and Chronology of

Italian Sigillata. 2 nd ed., Bonn, 2000, 1212.18.91. S. Marini, Sigillata

italica, sigillata africana e lucerne dal Museo di Rosignano

Marittimo, in Fastionline Documents and Researchs, 2012 n. 258.,

p. 6, tav. IV n. 8. Un esemplare anche da Roma, M. Brando,,

in F. Filippi (a cura di), Horti et Sordes, uno scavo alle falde del

Gianicolo, Roma 2008, pp.127-174, p. 155, n. 205.

92. G. Vannini (a cura di), L’Antico Palazzo dei Vescovi a Pistoia,

II.2 cit., tab. 5c, p. 839; tab. 36c, p. 853; tab 71c, p. 879 (G. De

Tommaso); P. Perazzi, Carta archeologica cit., pp. 443-446.

93. A. Oxé, H. Comfort, Corpus Vasorum Arretinorum: a Catalogue

of the Signatures, Shapes and Chronology of Italian Sigillata,

Bonn, 1968, 1600; A. Oxé, H. Comfort, Ph. Kenrick, Corpus

cit. 1730.

94. A. Oxé, H. Comfort, Corpus Vasorum Arretinorum cit., 1485;

A. Oxé, H. Comfort, Ph. Kenrick, Corpus cit., 1623, documentato

ad Arezzo dall’ultimo quindicennio del I sec. a.C. al primo

quarantennio del I sec. d.C.

95. A. Oxé, H. Comfort, Corpus Vasorum Arretinorum cit.,161;

A. Oxé, H. Comfort, Ph. Kenrick, Corpus cit., 787.

96. S. Menchelli, Ateius e gli altri: produzioni ceramiche in Pisa e

nell’ager pisanus tra tarda repubblica e primo impero, in S. Bruni (a

cura di), Ateius e le sue fabbriche. La produzione di sigillata ad Arezzo,

Pisa e nella Gallia Meridionale, Atti del convegno, Pisa, Annali

della Scuola Normale Superiore di Pisa, 1995, vol. XXV, 1-2,

pp. 333-350, pp. 338-339.

97. A. Oxé, H. Comfort, Corpus Vasorum Arretinorum cit.,182;

A. Oxé, H. Comfort, Ph. Kenrick, Corpus cit., 286, per l’attività

di Evodus si veda la nota 95; Crestus risulta presente a Pisa

dal 5 a.C. al 10 d.C.

98. A. Oxé, H. Comfort, Corpus Vasorum Arretinorum cit., 168;

A. Oxé, H. Comfort, Ph. Kenrick, Corpus cit., 299, Ateius

Mahes, presente a Pisa dal 5 a.C. al 20 d.C.; M. Paoletti, Cn

Ateius a Pisa: osservazioni preliminari all’edizione dello scarico di

fornace in via San Zeno, in Annali della Scuola Normale Superiore

di Pisa, 1995, Vol. XXV, 1-2; pp. 319-331; tav. XXXIII.1.

99. A. Oxé, H. Comfort, Corpus Vasorum Arretinorum cit., 1052,

a; A. Oxé, H. Comfort, Ph. Kenrick, Corpus cit., 1210, attivo a

Pisa nell’ultimo ventennio del I sec. d.C.

100. P. Perazzi, Carta archeologica cit., p. 397 (G. Millemaci).

101. A. Oxé, H. Comfort, Corpus Vasorum Arretinorum cit.,

1054; A. Oxé, H. Comfort, Ph. Kenrick, Corpus cit., 905, attivo

a Pisa (?) dopo il 50 d.C.; G. Ciampoltrini, Pacatus a tavola.

Le sigillate di un abitato della piana lucchese, «Annali della Scuola

Normale Superiore di Pisa», XXXV, 1995, pp. 439-449, p. 446,

nota 18; M. Brando, Samia Vasa, cit., p. 136, n. 194.

102. Atlante delle forme ceramiche, I, Ceramica fine romana nel bacino

mediterraneo (medio e tardo impero), Roma 1981, p. 24, tav. XII,

13: fine del II sec. - III sec. d.C.

103. Atlante delle forme ceramiche, I, cit., p. 104, tav. XLVIII, 7:

fine IV- inizio V d.C.

104. Atlante delle forme ceramiche, I, cit., p. 105, tav. XLVIII, 10:

prodotta in africana D, cronologia non determinata.

105. G. Vannini (a cura di), L’Antico Palazzo dei Vescovi a Pistoia,

II.2 cit., p. 204, nn. 1148, p. 733, n. 4252 (M.L. Degl’Innocenti).

106. P. Perazzi, Carta archeologica cit., pp. 389-390, n. 5, fig. 3,

n. 5 (G. Millemaci).

107. M. Filippi, La ceramica dipinta tarda dal centro storico di Empoli:

i rinvenimenti “Montefiori” e Piazza della Propositura, in Milliarium,

2014, vol. 7, pp. 7-27: produzione empolese, inizio IV

prima metà V sec. d.C.; S. Menchelli, Vasi comuni nell’Etruria

settentrionale costiera, C. Batigne Vallet (a cura di), Les céramiques

communes comprises dans leur contexte régional. Faciès de consommation

et mode d’approvisionnement, Actes de la table ronde organisée

à Lyon les 2 et 3 février 2009 à la Maison de l’Orient et

de la Méditerranée, Lione, 2012, pp. 91-118, p. 103, forma 45:

IV-VI sec.; F. Cantini, Dall’economia complessa al complesso di economie

(Tuscia V-X secolo), in PCA, Postclassicalarchaeologies, 2011,

vol. 1, pp. 159-194, pp. 165-167; M. Cygelman, G. Millemaci,

Vetulonia, via Garibaldi (Castiglione della Pescaia, Gr): scavi 2003-

2006, in L. Bottarelli, M. Coccoluto, M.C. Mileti, Materiali

per Populonia, 6, Pisa, 2007, pp. 345-386; M. Valenti, La ceramica

comune nel territorio settentrionale senese tra V – inizi X secolo, in

G. P. Brogiolo, S. Gelichi (a cura di), Le ceramiche altomedievali

(fine VI-X secolo) in Italia settentrionale: produzione e commerci, 6°

seminario sul tardoantico e l’altomedioevo in Italia centrosettentrionale,

Monte Barro-Galbiate (Lecco), 21-22 aprile 1995,

Documenti di Archeologia, 7, Mantova, 1996, pp.143-169: bacini

emisferici con labbro rientrante.

108. A. Fumo, Le ceramiche rivestite di rosso della villa di Aiano-

Torraccia di Chiusi (San Gimignano, Siena): uno studio archeologico

e archeometrico, Fastionline Documents and Research, 2010, n.

178; S. Lupi, La ceramica a vernice rossa nel Volterrano, L. Saguì,

Ceramica in Italia: VI-VII secolo. Atti del Convegno in onore di

John W. Hayes (Roma 1995), Firenze, 1998, pp.

109. A. Fumo, Le ceramiche rivestite di rosso della villa di Aiano-

Torraccia cit., pp. 9-11.

100. F. Cantini, Archeologia urbana a Siena. L’area dell’Ospedale

di Santa Maria della Scala prima dell’Ospedale. Altomedioevo, Firenze,

2004, p. 157, tav. 39: produzione ceramica verniciata di

rosso, ceramica da mensa, fine IV inizio V d.C., proveniente

da un contesto stratigrafico di VII sec., simile alla forma Hayes

78, Atlante, tav. L, n. 5, p. 108, sigillata D2: 360-440 d.C.

111. A. Fumo, Le ceramiche rivestite di rosso della villa di Aiano-

Torraccia cit., piatti vassoio tipo VIII.

112. G. Vannini (a cura di), L’Antico Palazzo dei Vescovi a Pistoia,

II.2 cit., pp. 419-424.

113. T. Mannoni, La ceramica comune in Liguria prima del XIX

secolo (prime notizie per una classificazione) in La ceramica dell’Ottocento,

Atti del III convegno internazionale della Ceramica,

Albissola (Savona), 1971, pp. 297-335.

114. S. Menchelli, Per una classificazione delle ceramiche comuni

di età romana nell’Etruria settentrionale costiera, in Rei Cretariae

Romanae Fautorum, 2003, Acta 38, pp. 109-117.

115. Anse verticali con apici sono osservabili in un vaso cinerario

di forma ovoidale a fondo piano e in un vasetto biansato

« di leggerissima terra». I due contenitori furono riportati alla

luce in occasione di un rinvenimento fortuito nel XVIII sec.

iche II, supplement to Enciclopedia dell’Arte Anticae Orientale,

Rome, 1985, pp. 231-353, table LXXIX, no. 5.

72. E. Ettinger et alii (edited by), Conspectus formarum terrae

sigillatae italico modo confectae, Bonn1990, p. 82 (Kenrich); G.

Pucci, Terra sigillata italica, in Atlante delle forme ceramiche II,

supplement to Enciclopedia dell’Arte Anticae Orientale,

Rome, 1985, pp. 362-408, pp. 382-383, type IX.var 2.

73. The type is also documented among the materials of

Antico Palazzo dei Vescovi G. Vannini (edited by), L’Antico

Palazzo dei Vescovi a Pistoia, II.2 cit., pp. 145-146: Goudineau

28 (M.L. Degli Innocenti).

74. E. Ettinger et alii (edited by), Conspectus cit., p. 85 (Kenrich).

75. The type is present also in contexts belonging to phases

IV-V of Antico Palazzo dei Vescovi (third decade of the 1 st

century-end of the 2 nd century A.D.) (G. Vannini (edited by),

L’Antico Palazzo dei Vescovi a Pistoia, II.2 cit., p. 22: Goudineau

39 (M. L. Degli Innocenti).

76. E. Ettinger et alii (edited by), cit., pp. 139-140 (Zabehlicky-Scheffenegger).

77. G. Pucci, Terra sigillata italica cit., p. 396, table CXXXI,

nos. 12-13.

78. G. Vannini (edited by), L’Antico Palazzo dei Vescovi a Pistoia,

II.2 cit., pp. 164, no. 874 (Draghendorff 36), pp. 169, 874 (M.

L. Degli Innocenti).

79. E. Ettinger et alii (edited by), Conspectus cit., pp. 92-93,

23.2.2. (Kenrich).

80. The type is present also among the finds from Antico

Palazzo dei Vescovi G. Vannini, L’Antico Palazzo dei Vescovi a

Pistoia, II.2 cit., p. 711 (M. L. Degli Innocenti).

81. E. Ettinger et alii (edited by), Conspectus cit., pp. 114-115,

36.4 (Zabehlicky-Scheffenegger); Pucci XXXI (G. Pucci,

Terra sigillata italica cit., p. 394, table CXXXI.5.

82. E. Ettinger et alii (edited by), Conspectus cit., pp. 112-113

(Zabehlicky-Scheffenegger)-Pucci XXXVII (G. Pucci, Terra

sigillata italica cit., p. 396, table CXXXI, no. 8).

83. P. Perazzi, Carta archeologica cit., p. 389, fig. 3, no. 1 (G.

Millemaci).

84. G. Vannini (edited by), L’Antico Palazzo dei Vescovi a Pistoia,

II.2 cit., p. 20: Goudineau 38, p. 712, phase IV, end of the

Tiberian age-third two-year period of the 1 st century A.D.,

and phase V, early Flavian age-end of 2 nd century A.D. (G.

De Tommaso).

85. E. Ettinger et alii (edited by), Conspectus cit., p. 166, widespread

in the last decade of the 1 st century B.C. (Kernick).

86. During the excavations in Antico Palazzo dei Vescovi,

only small fragments were recovered, mainly belonging to

mould-decorated terra sigillata wares (G. Vannini (edited

by), L’Antico Palazzo dei Vescovi a Pistoia, II.2 cit., pp. 28-30,

pp. 35-36, prints by Rasmould décorinius e Perennius, pp. 160-

163; p. 170, nos. 841-875: late wares by Bargathes and by Ateius

(Tiberian age); pp. 707-714 [M. L. Degl’Innocenti]).

87. A. Vannini, Museo Nazionale Romano. Le Ceramiche, V, 2.

Matrici di ceramica aretina decorate, Rome, 1988, ovule type

2, corresponds to type 11 and type 26 in H. Dragendorff,

C. Watzinger, Arretinische Reliefkeramik mit Beschreibung

der Sammlung in Tübingen, Reutlingen, 1948, p. 18 table 1.

Some comparisons point to the initial phases of the work by

Publius Cornelius (A. Vannini, Museo Nazionale Romano. Le Ceramiche,

V, 2. Matrici di ceramica aretina decorate, Rome, 1988,

in the examples from the Museo Nazionale Romano referring

to the workshop of [qui manca qualcosa?] the motif is

more rigid and serial, and the buttons are always circular

and never semi-circular like in our case (MNR cat. 233 a-b p.

201, no. inv. 261772, ring of buttons, ring of ovules (type 2);

C. Troso, Il Ceramista aretino Publius Cornelius. La produzione

decorata a rilievo, Florence, 1991, p. 29, table 24. no. 136 a-b

(print 148) wares by P. Corneli (C)); F. P. Porten Palange, La

ceramica arretina a rilievo nell’Antiquarium del Museo Nazionale

Romano, Florence, 1966, table XVI, 82, pp. 57-58, T. S. 142

(no. inv. 128077), table XVI, recomposed cup with decoration

with goats’ heads, floral motifs, ovules Draghendorff-

Watzinger 26 type with incomplete tabula ansata signature

P. Cornelius (table XXXIV i). In the Cornelius repertoire

some comparisons, though not precise, can be found in the

composition with male figures advancing rightwards, in this

case, and for the drapes (C. Troso, Il Ceramista aretino Publius

Cornelius cit., table 25, 142-143; table 26. 151).

88. F. P. Porten Palange, Katalog der Punzenmotive in de arretinischen

Reliefkeramik, 2004, table 117, Ske (Skelett) 10a, pag.

220, Bottega of C. Cispius (?) and ibidem 11a.

89. A comparison for the basket can be found among the examples

in the Museo Nazionale Romano (A. Vannini, Museo

Nazionale Romano, p. 354 cat. 396 a-b, p. 348, table XVIII,

type 201: basket hanging by ribbons to a stick, matrix attributable

for its technical and style characteristics to Rasinius

or to the Annii workshop. Arezzo, Museo (Stenico, 1968, 461,

Anm. 15.

90. A. Oxé, H. Comfort, Ph. Kenrick, Corpus vasorum Arretinorum:

a Catalogue of the Signatures, Shapes and Chronology

of Italian Sigillata. 2 nd ed., Bonn, 2000, 1212.18.91. S. Marini,

Sigillata italica, sigillata africana e lucerne dal Museo di Rosignano

Marittimo, in Fastionline Documents and Researchs, 2012 no.

258., p. 6, table IV no. 8. An example also from Rome, M.

Brando,, in F. Filippi (edited by), Horti et Sordes, uno scavo alle

falde del Gianicolo, Rome 2008, pp.127-174, p. 155, no. 205.

92. G. Vannini (edited by), L’Antico Palazzo dei Vescovi a Pistoia,

II.2 cit., tab. 5c, p. 839; tab. 36c, p. 853; tab 71c, p. 879 (G.

De Tommaso); P. Perazzi, Carta archeologica cit., pp. 443-446.

93. A. Oxé, H. Comfort, Corpus Vasorum Arretinorum: a Catalogue

of the Signatures, Shapes and Chronology of Italian Sigillata,

Bonn, 1968, 1600; A. Oxé, H. Comfort, Ph. Kenrick, Corpus

cit. 1730.

94. A. Oxé, H. Comfort, Corpus Vasorum Arretinorum cit., 1485;

A. Oxé, H. Comfort, Ph. Kenrick, Corpus cit., 1623, documented

in Arezzo from the last fifteen years of the 1 st century

B.C. to the first forty years of the 1 st century A.D.

95. A. Oxé, H. Comfort, Corpus Vasorum Arretinorum cit.,161;

A. Oxé, H. Comfort, Ph. Kenrick, Corpus cit., 787.

96. S. Menchelli, Ateius e gli altri: produzioni ceramiche in Pisa e

nell’ager pisanus tra tarda repubblica e primo impero, in S. Bruni

(edited by), Ateius e le sue fabbriche. La produzione di sigillata ad

Arezzo, Pisa e nella Gallia Meridionale, Records of the convention,

Pisa, Annali della Scuola Normale Superiore di Pisa,

1995, vol. XXV, 1-2, pp. 333-350, pp. 338-339.

97. A. Oxé, H. Comfort, Corpus Vasorum Arretinorum cit.,182;

A. Oxé, H. Comfort, Ph. Kenrick, Corpus cit., 286, for the

work of Evodus see the note ***; Crestus was present in Pisa

from 5 B.C. to 10 A.D.

98. A. Oxé, H. Comfort, Corpus Vasorum Arretinorum cit.,

168; A. Oxé, H. Comfort, Ph. Kenrick, Corpus cit., 299,

Ateius Mahes, present in Pisa from 5 B.C. to 20 A.D.; M.

Paoletti, Cn Ateius a Pisa: osservazioni preliminari all’edizione

dello scarico di fornace in via San Zeno, in Annali della Scuola

Normale Superiore di Pisa, 1995, Vol. XXV, 1-2; pp. 319-331;

table XXXIII.1.

99. A. Oxé, H. Comfort, Corpus Vasorum Arretinorum cit.,

1052, a; A. Oxé, H. Comfort, Ph. Kenrick, Corpus cit., 1210,

active in Pisa in the last two decade of the 1 st century A.D.

100. P. Perazzi, Carta archeologica cit., p. 397 (G. Millemaci).

101. A. Oxé, H. Comfort, Corpus Vasorum Arretinorum cit.,

1054; A. Oxé, H. Comfort, Ph. Kenrick, Corpus cit., 905, active

in Pisa (?) after 50 A.D.; G. Ciampoltrini, Pacatus a tavola.

Le sigillate di un abitato della piana lucchese, “Annali della Scuola

Normale Superiore di Pisa”, XXXV, 1995, pp. 439-449, p.

446, note 18; M. Brando, Samia Vasa, cit., p. 136, no. 194.

102. Atlante delle forme ceramiche, I, Ceramica fine romana nel

bacino mediterraneo (medio e tardo impero), Rome 1981, p. 24,

table XII, 13: end of the 2 nd century – 3 rd century A.D.

103. Atlante delle forme ceramiche, I, cit., p. 104, table XLVIII,

7: late 4 th - early 5 th century A.D.

104. Atlante delle forme ceramiche, I, cit., p. 105, table XLVIII,

10: produced in African D, chronology not known.

105. G. Vannini (edited by), L’Antico Palazzo dei Vescovi

a Pistoia, II.2 cit., p. 204, nos 1148, p. 733, no. 4252 (M.L.

Degl’Innocenti).

106. P. Perazzi, Carta archeologica cit., pp. 389-390, no. 5, fig.

3, no. 5 (G. Millemaci).

107. M. Filippi, La ceramica dipinta tarda dal centro storico di

Empoli: i rinvenimenti “Montefiori” e Piazza della Propositura, in

Milliarium, 2014, vol. 7, pp. 7-27: wares produced in Empoli,

early 4th to first half of 5th century A.D.; S. Menchelli, Vasi

comuni nell’Etruria settentrionale costiera, C. Batigne Vallet (edited

by), Les céramiques communes comprises dans leur contexte

régional. Faciès de consommation et mode d’approvisionnement,

Actes de la table ronde organisée à Lyon les 2 et 3 février

2009 à la Maison de l’Orient et de la Méditerranée, Lione,

2012, pp. 91-118, p. 103, form 45: 4th-6th century; F. Cantini,

Dall’economia complessa al complesso di economie (Tuscia V-X

secolo), in PCA, Postclassicalarchaeologies, 2011, vol. 1, pp. 159-

194, pp. 165-167; M. Cygelman, G. Millemaci, Vetulonia, via

Garibaldi (Castiglione della Pescaia, Gr): scavi 2003-2006, in L.

Bottarelli, M. Coccoluto, M.C. Mileti, Materiali per Populonia,

6, Pisa, 2007, pp. 345-386; M. Valenti, La ceramica comune

nel territorio settentrionale senese tra V – inizi X secolo, in G. P.

Brogiolo, S. Gelichi (edited by), Le ceramiche altomedievali

(fine VI-X secolo) in Italia settentrionale: produzione e commerci,

6° seminar on late antiquity and early Middle Ages in central

north Italy, Monte Barro-Galbiate (Lecco), 21-22 April 1995,

Documenti di Archeologia, 7, Mantua, 1996, pp.143-169:

semi-spherical basins with incurving lip.

108. A. Fumo, Le ceramiche rivestite di rosso della villa di Aiano-

Torraccia di Chiusi (San Gimignano, Siena): uno studio archeologico

e archeometrico, Fastionline Documents and Research,

2010, n. 178; S. Lupi, La ceramica a vernice rossa nel Volterrano,

L. Saguì, Ceramica in Italia: VI-VII secolo. Records of the Convention

in honour of John W. Hayes (Rome 1995), Florence,

1998, pp.

109. A. Fumo, Le ceramiche rivestite di rosso della villa di Aiano-

Torraccia cit., pp. 9-11.

100. F. Cantini, Archeologia urbana a Siena. L’area dell’Ospedale

di Santa Maria della Scala prima dell’Ospedale. Altomedioevo,

Florence, 2004, p. 157, table 39: red painted pottery wares,

pottery table wares, late 4th early 5th century A.D., from

a stratification of the 7th century, similar to the Hayes 78,

Atlante, table L, no. 5, p. 108, sigillata D2: 360-440 A.D.

111. A. Fumo, Le ceramiche rivestite di rosso della villa di Aiano-

Torraccia cit., VIII type flat plates.

112. G. Vannini (edited by), L’Antico Palazzo dei Vescovi a Pistoia,

II.2 cit., pp. 419-424.

113. T. Mannoni, La ceramica comune in Liguria prima del

XIX secolo (prime notizie per una classificazione) in La ceramica

dell’Ottocento, Records from the 3 rd International Ceramics

convention, Albissola (Savona), 1971, pp. 297-335.

114. S. Menchelli, Per una classificazione delle ceramiche comuni

di età romana nell’Etruria settentrionale costiera, in Rei Cretariae

Romanae Fautorum, 2003, Acta 38, pp. 109-117.

115. Vertical handle with peaks can be observed in an ovoid

260

261



documentato esclusivamente da alcune tavole di disegni dei

materiali e da un breve resoconto, conservati presso la biblioteca

Marucelliana di Firenze tra le carte di Anton Francesco

Gori (P. Perazzi, Carta archeologica cit., pp. 443-446, fig. 3, n.

2.3).

116. K. Peche-Quilichini, Technological Approach of Ceramic

Production at the End of the Iron Age at I Palazi (North-

Eastern Corsica), in The Old Potter’s Almanack, 2015, 20, pp.

1-10. (produzioni corse e attestazioni nella penisola italiana);

V. Acconcia, M. Milletti, 2011, Populonia e la Corsica: alcune riflessioni,

in Materiali per Populonia, 10, a cura di Facchin G., Milletti

M., Pisa, 2011, pp. 446-447 (attestazioni da Populonia);

P. Pallecchi, 2001, Indagini mineralogico-petrografiche sui boccali

di tipologia corsa, in A. Romualdi (a cura di), Le rotte nel Mar

Tirreno: Populonia e l’emporio di Aleria in Corsica, catalogo della

mostra (Piombino, 24 febbraio-30 aprile 2001), Suvereto,

2001, pp. 22-23 (imitazioni dall’Isola d’Elba).

117. G. Vannini (a cura di), L’Antico Palazzo dei Vescovi a Pistoia,

II.2 cit., p. 50, p. 204-205, n. 1168, p. 733 (M. L. Degl’Innocenti).

118. S. Menchelli, Per una classificazione cit.

119. G. Vannini (a cura di), L’Antico palazzo dei Vescovi a Pistoia,

II, 1, Indagini archeologiche, Firenze, 1985, pp. 390-396; S. Menchelli,

cit.; E. Pruno, La diffusione dei testelli nell’alto-Tirreno tra

XI-XIV sec., in Atti del III Congresso SAMI (Società Archeologica

dei Medievisti Italiani), Firenze, 2003, pp. 71-77.

120. F. Cantini, Ritmi e forme della grande espansione economica

dei secoli XI-XIII nei conresti ceramici della toscana settentrionale,

in Archeologia Medievale, 2010, vol. XXXVII, pp. 113-127, p.

118 e nota 54.

121. G. Vannini (a cura di), L’Antico palazzo dei Vescovi a Pistoia,

II.2 cit., p. 793, p. 801, n. 4600. Le olle scanalate sono presenti

anche nei contesti rurali pistoiesi e della Valdinievole (F. Cantini,

Ritmi e forme della grande espansione economica dei secoli XI-

XIII nei conresti ceramici della toscana settentrionale, Archeologia

Medievale, 2010, vol. XXXVII, pp. 113-127; p. 119; S. Lupi, C.

Taddei, N. Terrenato, Castelluccio, Lancisa (San Marcello P.se;

Pistoia) IGM 1: 25.000 F 97 II SO, in Notiziario della Soprintendenza

Archeologica della Toscana, vol. III/ 2007.

122. Un frammento di beccuccio proviene ad esempio dall’US

146 ed è puntualmente confrontabile con altre attestazioni pistoiesi

(G. Vannini (a cura di), L’Antico Palazzo dei Vescovi a Pistoia,

II.2 cit., p. 731, n. 4227: I sec. d. C. [M.L. Degl’Innocenti]).

123. Il contesto di provenienza dell’esemplare in esame, della

fase 3 (70 d.C.-III sec.), scoraggia confronti con le ciotole di

produzione africana tipo Hayes 61 simili da un punto di vista

meramente formale (per la relazione tra le produzioni di ceramica

fine e i mortaria si può vedere quanto osservato per le

coppe Hayes 91 in G. Olcese, Le ceramiche comuni di Albintimilium.

Indagine archeologica e archeometrica sui materiali dell’area del

cardine, Firenze, 1993, pp. 103-105).

124. Il tipo è presente anche nelle stratigrafie delle fasi I-V

– fine II sec. a.C.-inizio III sec. d.C. – dell’Antico Palazzo

dei Vescovi (G. Vannini (a cura di), L’Antico palazzo dei Vescovi a

Pistoia, II.2 cit., pp. 57-56, 226-228, 739 [G. De Tommaso]). Per

una sintesi delle caratteristiche del tipo e per la bibliografia

precedente si veda University of Southampton 2014, [dataset].

York: Archaeology Data Service [distributor] (http://

dx.doi.org/10.5284/1028192), .

125. G. Vannini (a cura di), L’Antico palazzo dei Vescovi a Pistoia,

II.2 cit., pp. 58, 228-232, 739-741 (G. De Tommaso). Per una

sintesi delle caratteristiche del tipo e per la bibliografia precedente

si veda Roman Amphorae cit., Dressel 2-4 Italian.

126. G. Vannini (a cura di), L’Antico palazzo dei Vescovi a Pistoia,

II.2 cit., pp. 59-60, 234, 741-742 (G. De Tommaso).

127. G. Vannini (a cura di), L’Antico palazzo dei Vescovi a Pistoia,

II.2 cit., pp. 236-243, 260 (G. De Tommaso). Per una sintesi

delle caratteristiche dei tipi e per la bibliografia precedente si

veda C. Carreras Monfort, Dressel 7-11 (Guadalquivir Valley), in

Amphorae ex Hispania. Landscapes of production and consumption,

2015, (http://amphorae.icac.cat/tipol/view/54); E. García Vargas,

D. Martín-Arroyo, L. G. Lagóstena Barrios, Dressel 10 (Baetica

coast), in Amphorae ex Hispania. Landscapes of production and

consumption, 2012, (http://amphorae.icac.cat/tipol/view/10).

128. C. Panella, Oriente ed occidente: considerazioni su alcune anfore

“egee” di età imperiale ad Ostia, in Y. J. Empereur, Y. Garlan,

Recherches sur les amphores greques, Bullettin de Corrispondance

Hellénique, supplemento, XIII, Parigi, 1986, pp. 609-636. Per

una sintesi delle caratteristiche del tipo e per la bibliografia

precedente si veda Roman Amphorae cit., Rhodian type.

129. P. Perazzi, Carta archeologica cit., p. 382 (G. Millemaci).

130. G. Vannini (a cura di), L’Antico Palazzo dei Vescovi a Pistoia,

II.2 cit., pp. 249, 747, 748 (G. De Tommaso).

131. Per una sintesi delle caratteristiche del tipo e per la bibliografia

precedente si veda Roman Amphorae cit., Tripolitanian 1.

132. G. Vannini (a cura di), L’Antico Palazzo dei Vescovi a Pistoia ,

II.2 cit., pp. 63, 250, 748 (G. De Tommaso).

133. M. Bonifay, Etudes sur la céramique romaine tardive d’Afrique,

BAR (British Archaeological Report) International Series

1301, Oxford, 2004. Per una sintesi delle caratteristiche del

tipo e per la bibliografia precedente si veda Roman Amphorae

cit. Spatheion 1.

134. L’esemplare in esame trova confronti tra i reperti degli

strati di fase VI e VII dell’Antico Palazzo dei Vescovi (inizio

del III sec.-fine dell’età antica) (G. Vannini (a cura di), L’Antico

Palazzo dei Vescovi a Pistoia, II.2 cit., pp. 63, 251: contenitori

cilindrici di tarda età imperiale produzione nord-africana (G.

De Tommaso).

135. Si ringrazia chi ha curato lo scavo in cantiere di queste

inumazioni, permettendo così uno studio migliore in laboratorio;

la nostra riconoscenza va quindi a I. Baldi, S. Gori, G.

Incammisa, G. Millemaci.

136. La chiesa di San Jacopo in Castellare infatti compare nei

documenti ufficiali solo a partire dal XII secolo, in un momento

successivo alla fondazione, come hanno potuto confermare

gli scavi, per lo più ancora inediti, che vi si sono svolti.

Per maggiori informazioni vedi A. Patera, P. Perazzi, Pistoia.

Censimento e documentazione delle emergenze pre-protostoriche e di

età antica: appunti sul complesso di San Jacopo in Castellare, in “Notiziario

della Soprintendenza per i Beni Archeologici”, vol. 2,

2006, Firenze, 2007, pp. 42-45.

137. Proprio da questa considerazione prende avvio il manuale

di T.D. White e A.P. Folkens, The human bone manual, Amsterdam,

2005.

138. I caratteri sono quelli definiti da G. Acsádi, J. Nemeskéri,

History of human life span and mortality, Budapest, 1970. Consistono

grosso modo in una valutazione pesata di caratteri

cranici (ad esempio morfologia della mandibola, del margine

sopraorbitario, la grandezza dei processi mastoidei, ed altri),

caratteri metrici (quindi dimensioni di intere ossa, o di loro

segmenti), e soprattutto la morfologia delle ossa del bacino,

principale elemento discriminante tra sesso maschile e femminile.

139. J. E. Buikstra, D. H. Ubelaker, Standards for data collection

from human skeletal remains, Fayetteville, 1994; M. Brickley J.I.

McKinley, Guidelines to the Standards for Recording Human Remains,

Southampton, 2004. Non avendo nel campione esaminato

sub-adulti, si è evitato qualsiasi riferimento ad essi, per

i quali si hanno metodi d’indagine diversi. Le classi sono così

suddivise: adulto giovane (20-35 anni), adulto maturo (35-50

anni), adulto senile (oltre i 50 anni).

140. C. O. Lovejoy, R. S. Meindl, T. R. Pryzbeck, R. P. Mensforth,

Chronologival metamorphosis of the auricular surface of the

ilium: a new method for the determination of adult skeletal age at

death, in “American Journal of Physical Anthropology”, vol.

68, 1985, pp. 15-28.

141. Per quanto si sia a conoscenza che l’analisi delle suture

craniche non rappresenti più un metodo completamente affidabile,

essa è stata usata sopratutto nel caso di tb. 2, in quanto

il cranio era l’unico distretto scheletrico valutabile.

142. G. Olivier, C. Aaron, G. Fully, G. Tissier, New estimation of

stature and cranial capacity in moden man, in “Journal of Human

Evolution, vol. 7, 1978, pp. 513-518.

143. D. R. Brothwell, Digging up bones, Londra, 1981.

144. Tali informazioni si sono dedotte dall’analisi dello stacco

del tronco e dalle fotografie di scavo. Dallo stacco parziale si

evidenziano le vertebre in connessione lassa, con lieve disassamento

di alcuni segmenti e presenza di iati tra i corpi vertebrali;

vi è poi un’evidente asimmetria nella posizione delle

coste destre e sinistre; infine l’omero e l’ulna destri risultano

in connessione stretta tra loro. Nella fotografia di scavo il cranio

appare ruotato sul lato destro, con la mandibola ancora in

connessione anatomica e chiusa; il tratto toracico della colonna

vertebrale presenta una curvatura con convessità a sinistra;

le clavicole sono disposte obliquamente rispetto all’asse del

corpo; entrambi gli omeri sono intraruotati; l’avambraccio

destro è disteso ed in connessione stretta al gomito mentre

quello sinistro non si è conservato.

145. In dettaglio, risultano conservati: il cranio, il cingolo scapolare,

il torace, gli omeri, il terzo prossimale dell’ulna destra,

un quarto metacarpo destro. Della teca cranica, i cui numerosi

frammenti sono stati in parte ricomposti, si conserva l’osso

temporale e quello parietale destri quasi completi, l’osso temporale

sinistro incompleto, parte del frontale, comprendente

la regione orbitaria destra, la squama dell’occipitale incompleta,

il processo frontale di entrambi gli zigomatici, un frammento

di mascellare, la mandibola incompleta.

146. Mastoide grande e globosa, inion e linee nucali piuttosto

marcate, mento squadrato, gonion everso, dente dell’epistrofeo

di grandi dimensioni, testa dell’omero di grande diametro;

per contro, si deve annotare un margine sopraorbitario

sottile.

147. Sutura lambdoidea pervia, sutura coronale e sagittale quasi

obliterate sul versante endocranico ed in corso di saldatura

su quello esocranico.

148. L’inserzione del deltoide e dei muscoli flessori comuni appare

più sviluppata sul destro, ed anche il diametro della diafisi

si presenta maggiore a destra. Sull’omero destro appaiono

molto sviluppate anche le inserzioni dei muscoli brachioradiale

ed estensore radiale lungo del carpo, non osservabili su

quello sinistro.

149. Nella parte conservata infatti risultano particolarmente

pronunciate le inserzioni del tricipite e del supinatore.

150. Sui restanti, data la mancanza degli alveoli relativi, ci si

astiene dal formulare ipotesi.

151. Per la verità, un’usura marcata è presente anche sull’unico

molare mandibolare in situ, il terzo destro, che sembra spiegabile

solo con un’anomalia occlusale che lo avrebbe contrapposto

al secondo mandibolare mascellare, la cui usura non è

però rilevabile, essendo mancante.

152. Le altre sono localizzate nella zona del colletto in posizione

interprossimale tranne una buccale.

153. D. R. Brothwell, Digging up bones, cit..

154. Purtroppo la mancanza del sinistro preclude un’osservazione

completa. Sul gomito destro si nota: un bordo osteofitico

sul capitello omerale, un’area rimaneggiata nella fossa olecranica

ed un’ampia cresta esostosica sul becco dell’olecrano.

155. Pertinenti al cranio sono presenti l’osso temporale e il parietale

sinistri pressoché completi, parte del frontale sinistro

(regione orbitaria), parte della squama dell’occipitale, l’osso

shaped funeral urn with flat bottom and in a “very light clay”

two-handled jar. The two containers were brought to light

by chance in the 18th century, documented exclusively by

some drawings of the materials and by a brief summary, kept

at the Marucelliana library in Florence among the papers of

Anton Francesco Gori (P. Perazzi, Carta archeologica cit., pp.

443-446, fig. 3, n. 2.3).

116. K. Peche-Quilichini, Technological Approach of Ceramic

Production at the End of the Iron Age at I Palazi

(North-Eastern Corsica), in The Old Potter’s Almanack,

2015, 20, pp. 1-10. (Corsican wares and examples on the Italian

peninsula); V. Acconcia, M. Milletti, 2011, Populonia e la

Corsica: alcune riflessioni, in Materiali per Populonia, 10, edited

by Facchin G., Milletti M., Pisa, 2011, pp. 446-447 (examples

from Populonia); P. Pallecchi, 2001, Indagini mineralogicopetrografiche

sui boccali di tipologia corsa, in A. Romualdi (edited

by), Le rotte nel Mar Tirreno: Populonia e l’emporio di Aleria

in Corsica, exhibition catalogue (Piombino, 24 February-30

April 2001), Suvereto, 2001, pp. 22-23 (imitation from Elba

Island).

117. G. Vannini (edited by), L’Antico Palazzo dei Vescovi

a Pistoia, II.2 cit., p. 50, p. 204-205, n. 1168, p. 733 (M. L.

Degl’Innocenti).

118. S. Menchelli, Per una classificazione cit.

119. G. Vannini (edited by), L’antico palazzo dei Vescovi a Pistoia,

II, 1, Indagini archeologiche, Florence, 1985, pp. 390-396;

S. Menchelli, cit.; E. Pruno, La diffusione dei testelli nell’alto-

Tirreno tra XI-XIV sec., in Atti del III Congresso SAMI (Società

Archeologica dei Medievisti Italiani), Florence, 2003,

pp. 71-77.

120. F. Cantini, Ritmi e forme della grande espansione economica

dei secoli XI-XIII nei conresti ceramici della toscana settentrionale,

in Archeologia Medievale, 2010, vol. XXXVII, pp. 113-127,

p. 118 and note 54.

121. G. Vannini (edited by), L’antico palazzo dei Vescovi a Pistoia,

II.2 cit., p. 793, p. 801, no. 4600. The scanalate ollas are

present also in rural contexts in Pistoia and in Valdinievole

(F. Cantini, Ritmi e forme della grande espansione economica dei

secoli XI-XIII nei conresti ceramici della toscana settentrionale,

Archeologia Medievale, 2010, vol. XXXVII, pp. 113-127;

p. 119; S. Lupi, C. Taddei, N. Terrenato, Castelluccio, Lancisa

(San Marcello P.se; Pistoia) IGM 1: 25.000 F 97 II SO, in Notiziario

della Soprintendenza Archeologica della Toscana,

vol. III/ 2007.

122. A fragment of spout comes for example from US 146 and

can be precisely related to other examples from Pistoia (G.

Vannini (edited by), L’Antico Palazzo dei Vescovi a Pistoia, II.2

cit., p. 731, no. 4227: 1 st century A.D. [M.L. Degl’Innocenti]).

123. The original context of the example in question, from

phase 3 (70 A.D.-3rd century), discourages comparisons

with the Hayes 61 type African bowls, similar only from a

formal viewpoint (for the relationship between fine pottery

wares and the mortaria see that observed regarding

the Hayes 91 cups in G. Olcese, Le ceramiche comuni di Albintimilium.

Indagine archeologica e archeometrica sui materiali

dell’area del cardine, Florence, 1993, pp. 103-105).

124. The type is present also in the stratifications of phases

I-V – late 2 nd century B.C.- early 3 rd century A.D. – from the

Antico Palazzo dei Vescovi (G. Vannini (edited by), L’antico

palazzo dei Vescovi a Pistoia, II.2 cit., pp. 57-56, 226-228, 739

[G. De Tommaso]). For a summary of the characteristics of

the type and for the previous bibliography see University

of Southampton 2014, [data-set]. York: Archaeology Data

Service [distributor] (http://dx.doi.org/10.5284/1028192), .

125. G. Vannini (edited by), L’antico palazzo dei Vescovi a Pistoia,

II.2 cit., pp. 58, 228-232, 739-741 (G. De Tommaso). For

a summary of the characteristics of the type and for the

previous bibliography see Roman Amphorae cit., Dressel 2-4

Italian.

126. G. Vannini (edited by), L’antico palazzo dei Vescovi a Pistoia,

II.2 cit., pp. 59-60, 234, 741-742 (G. De Tommaso).

127. G. Vannini (edited by), L’antico palazzo dei Vescovi a Pistoia,

II.2 cit., pp. 236-243, 260 (G. De Tommaso). For a summary

of the characteristics of the types and for the previous bibiography

see C. Carreras Monfort, Dressel 7-11 (Guadalquivir

Valley), in Amphorae ex Hispania. Landscapes of production and

consumption, 2015, (http://amphorae.icac.cat/tipol/view/54);

E. García Vargas, D. Martín-Arroyo, L. G. Lagóstena Barrios,

Dressel 10 (Baetica coast), in Amphorae ex Hispania. Landscapes

of production and consumption, 2012, (http://amphorae.

icac.cat/tipol/view/10).

128. C. Panella, Oriente ed occidente: considerazioni su alcune

anfore “egee” di età imperiale ad Ostia, in Y. J. Empereur, Y.

Garlan, Recherches sur les amphores greques, Bullettin de Corrispondance

Hellénique, supplement, XIII, Paris, 1986, pp.

609-636. For a summary of the characteristics of the type

and for the previous bibliography see Roman Amphorae cit.,

Rhodian type.

129. P. Perazzi, Carta archeologica cit., p. 382 (G. Millemaci).

130. G. Vannini (edited by), L’Antico Palazzo dei Vescovi a Pistoia,

II.2 cit., pp. 249, 747, 748 (G. De Tommaso).

131. For a summary of the characteristics of the type and for

the previous bibliography see Roman Amphorae cit., Tripolitanian

1.

132. G. Vannini (edited by), L’Antico Palazzo dei Vescovi a Pistoia

, II.2 cit., pp. 63, 250, 748 (G. De Tommaso).

133. M. Bonifay, Etudes sur la céramique romaine tardive

d’Afrique, BAR (British Archaeological Report) International

Series 1301, Oxford, 2004. For a summery of the characteristics

of the type and for the previous biography see

Roman Amphorae cit. Spatheion 1.

134. The example in question can be compared to the finds

from the stratifications of phases VI and VII at Antico Palazzo

dei Vescovi (start of III century-end of antiquity) (G.

Vannini (edited by), , II.2 cit., pp. 63, 251: late Imperial cylindrical

vessels, north African wares [G. De Tommaso]).

135. Thanks of course go to those who carried out the excavation

of these graves, allowing for better study in the

laboratory; so thanks to I. Baldi, S. Gori, G. Incammisa and

G. Millemaci.

136. In fact, the church of San Jacopo in Castellare appears

in official documents only from the 12th century, after its

erection, as confirmed by the excavations carried out there,

still for the most part unpublished. For more information

see A. Patera, P. Perazzi, Pistoia. Censimento e documentazione

delle emergenze pre-protostoriche e di età antica: appunti sul complesso

di San Jacopo in Castellare, in “Notiziario della Soprintendenza

per i Beni Archeologici”, vol. 2, 2006, Florence,

2007, pp. 42-45.

137. Precisely this consideration gave rise to the manual by

T.D. White and A.P. Folkens, The human bone manual, Amsterdam,

2005.

138. The elements are those defined by G. Acsádi, J.

Nemeskéri, History of human life span and mortality, Budapest,

1970. They basically consist of a balanced assessment of cranial

characteristics (for example, morphology of the mandible,

of the supraorbital margin, the size of the mastoid processes,

etc), metric elements (measurements of full bones,

or their segments), and particularly the morphology of the

bones of the pelvis, the main element that distinguishes between

male and female.

139. J. E. Buikstra, D. H. Ubelaker, Standards for data collection

from human skeletal remains, Fayetteville, 1994; M. Brickley

J.I. McKinley, Guidelines to the Standards for Recording Human

Remains, Southampton, 2004. Since there were no sub adults

in the sample, all references to the latter, for which there are

different examination methods, were avoided. The classes

are divided as follows: young adult (age 20-35), mature adult

(age 35-50), old adult (over age 50).

140. C. O. Lovejoy, R. S. Meindl, T. R. Pryzbeck, R. P. Mensforth,

Chronologival metamorphosis of the auricular surface of the

ilium: a new method for the determination of adult skeletal age at

death, in “American Journal of Physical Anthropology”, vol.

68, 1985, pp. 15-28.

141. Since it is known that analysis of the sutures is no longer

a completely reliable method, it was used mainly in the case

of tb. 2, since the cranium was the only part of the skeleton

that could be examined.

142. G. Olivier, C. Aaron, G. Fully, G. Tissier, New estimation

of stature and cranial capacity in moden man, in “Journal of Human

Evolution, vol. 7, 1978, pp. 513-518.

143. D. R. Brothwell, Digging up bones, London, 1981.

144. This information was deduced from the analysis of the

block lift containing the trunk and from the excavation

photographs. From the partial block lift, the vertebrae are

clearly detached, with slight off-axis position of certain segments

and the presence of openings between the vertebral

bodies; then there is clear asymmetry in the position of the

right and left ribs; lastly, the right humerus and ulna are in

close connection. In the excavation photos, the cranium appears

rotated rightwards, with the mandible still connected

and closed; the thoracic section of the vertebral column is

curved convexly to the left; the clavicles are positioned obliquely

to the axis of the body; both humeri are intra-rotated;

the right forearm is distended and in connection with

the elbow, while the left one was not preserved.

145. In detail, the following are preserved: the cranium, the

shoulder girdle, the thorax, the humeri, the proximal third

of the right ulna, a fourth right metacarpal bone. Surviving

from the skull, whose numerous fragments were partially

recomposed, is the right temporal and parietal bones, almost

in their entirety, incomplete left temporal bone, part

of the frontal bone, including the right orbital part, incomplete

squamous part of the occipital bone, the frontal process

of both zygomatic bones, a fragment of maxilla, and incomplete

mandible.

146. Large and globular mastoid, inion and considerably

marked nuchal lines, square chin, everted gonion, large sized

dens of the axis, large diameter of the head of the humerus;

on the contrary, the thin supraorbital margin must be noted.

147. Patent lambdoid suture, coronal and sagittal suture

amost obliterated on the on the endocranial side and in fusion

on the exocranial side.

148. The insertion of the deltoid and flexor muscles appears

more developed on the right, and the diameter of the diaphysis

is larger on the right. On the right humerus, the insertions

of the brachioradialis and extensor carpi radialis brevis

muscles appear to be very developed, which is not observed

on the left humerus.

149. The insertions of the triceps and the supinator are particularly

pronounced in the part preserved.

150. Regarding the remaining ones, no hypothesis have been

formulated given the absence of relative alveoli.

151. In truth, evident wear is present also on the only mandibular

molar in situ, the third right, which could only be

explained by an occlusal anomaly in opposition with the

second maxillar molar, whose wear is not identifiable since

it is missing.

152. The others are located in the collar area in an interproximal

position, apart from one on the vestibular surface.

153. D. R. Brothwell, Digging up bones, cit..

262 263



zigomatico sinistro, un alveolo mascellare con un dente in

situ, il corpo della mandibola incompleto.

156. Margine sopraorbitario piuttosto sottile, orbita rotonda,

linee nucali e inion poco marcati, mento piuttosto arrotondato,

osso zigomatico basso.

157. Sutura lambdoidea pervia; suture coronale e sagittale

obliterate sul versante endocranico e in corso di saldatura su

quello esocranico.

158. Segni artrosici avanzati sulle vertebre cervicali.

159. La sua analisi, al successivo paragrafo, conferma la stima

dell’età avanzata.

160. Lo spessore cranico, reso visibile per lunghi tratti dalle

fratture, è alto; la diploe ha una trabecolatura di aspetto normale,

ma in alcune zone appare espansa a spese del tavolato

esterno; sulla superficie esocranica vi corrispondono aree di

cribra cranii in fase riparata. Il quadro che emerge da tali osservazioni

è quello di iperostosi porotica, interpretabile come

segno di una condizione pregressa di anemia.

161. La mandibola presenta infatti un’area di neoapposizione

ossea e cribrosità, che potrebbe essere interpretata proprio

come risultato di un’infiammazione cronica.

162. Si osserva un vistoso bordo osteofitico ed una piccola

area di eburneazione sul margine superiore dell’articolazione

tra l’atlante e il dente dell’epistrofeo, con porosità e slabbramento

delle sole due faccette intervertebrali superstiti

163. Il torace, recuperato mediante stacco e poi scavato in

laboratorio, presenta una curvatura nel tratto toracico della

colonna vertebrale con marcata convessità a sinistra. Le vertebre

risultano fortemente ruotate verso destra ed in connessione

stretta tra loro, tranne un distanziamento tra i corpi in due

punti, sul tratto cervicale e su quello toracico. Le coste dei

due lati sono in posizione asimmetrica: quelle di sinistra presentano

la faccia esterna rivolta verso l’alto e le loro estremità

154. Unfortunately, the absence of the left elbow precludes a

complete observation. Identified on the right elbow: an osteophytic

edge on the head of the humerus, an altered area

in the olecranon fossa and a wide exostosis on the tip of the

olecranon.

155. As regards the cranium, present is the left temporal and

parietal bone, practically in their entirety, a part of the left

frontal bone (orbital part), part of the squamous part of the

occipital bone, the left zygomatic bone, a maxillary alveolus

with a tooth in situ, and incomplete mandible.

156. Rather thin supraorbital margin, round orbital, little

marked nuchal lines and inion, rather rounded chin, low zygomatic

bone.

157. Patent lambdoid suture; coronal and sagittal sutures

obliterated on the endocranial side and in fusion on the exocranial

side.

158. Advanced signs of arthritis on the cervical vertebrae.

159. Its analysis, in the subsequent paragraph, confirms the

estimation of advanced age.

160. The thickness of the cranium, visible on extended parts

from the fractures, is high; the diploë has what appears to be

a normal trabeculation, but in some areas looks swollen at

the expense of the external table; on the exocranial surface

there are corresponding areas of repair phase cribra crania.

The picture emerging from these observations is of porotic

hyperostosis, which can be interpreted as a sign of a history

of anaemia.

161. In fact, the mandible has an area of neo-apposition

and porosity, which could be interpreted as the result of a

chronic inflammation.

162. A clear osteophytic edge and a small area of eburnation

on the upper margin of the articulation between the atlas

and the dens of the axis, with porosity and jagged margins

vertebrali si vanno a sovrapporre ai corpi vertebrali, mentre le

coste del lato destro si trovano ad una quota inferiore e presentano

la faccia interna rivolta verso l’alto. Nella fotografia di

scavo si rileva la posizione finale supina, con il cranio ruotato

verso destra e la mandibola in connessione stretta e chiusa. Le

coste dei due lati appaiono fortemente asimmetriche.

164. V. supra, p. 16.

165. Del cranio è presente la squama dell’occipitale, la porzione

posteriore dei parietali, la regione mastoidea e piramidale

di destra e la mandibola quasi completa.

166. Inion non prominente, gonion mandibolare non everso,

notevole ampiezza della grande incisura ischiatica, presenza

di arco composto, ridotte dimensioni della testa del femore.

alcuni caratteri hanno però un’espressione di tipo maschile o

intermedia: mastoide grande e di forma globosa, corpo mandibolare

di grande spessore e mento squadrato.

167. Superficie auricolare dell’ileo di grado 5; spessore cranico

piuttosto alto; suture lambdoidea e porzione posteriore della

sagittale completamente pervie, presenza di lievi segni artrosici

solo sulle vertebre cervicali (piccolo bordo osteofitico sui

margini anteriori dei piatti somatici); assenza di osteoporosi;

usura dentaria compatibile con l’età scheletrica.

168. Calcolata sul radio sinistro, unico osso lungo integro.

169. Ad esempio su entrambe le clavicole si osserva una marcata

area di inserzione del muscolo grande pettorale e una

forte impronta del deltoide (a destra anche entesopatica).

Questi due muscoli si ritrovano ben espressi anche sugli omeri,

insieme al muscolo grande rotondo e al brachioradiale. Su

entrambi i radii si evidenzia il tubercolo del bicipite e l’inserzione

dei muscoli flessori delle dita, mentre sulle ulne quelle

dei muscoli brachiale, pronatore quadrato, abduttore lungo

del pollice ed estensore lungo del pollice.

170. P. Houghton, The relationship of the pre-auricolar groove of

of the two single intervertebral facet joints

163. The thorax, recovered by block lifting and excavated

later in the laboratory, presents curvature in the thoracic

oart of the vertebral column with marked convexity to

the left. The vertebrae are strongly rotated rightwards and

closely connected, apart from a gap between the elements

in two points, on the cervical part and on the thorax. The

ribs on the two sides are in an asymmetrical position: those

on the left have the external facet turned upwards and their

extremities superimpose the vertebrae, while the ribs on

the right side are lower down with their inner facet turned

upwards. The photograph of the excavation shows the final

supine position, with the cranium rotated right and the

mandible closed and closely connected. The ribs on both

sides appear highly asymmetrical.

164. Supra, p. 16.

165. Of the cranium, there is the squamous part of the occipital

bone, the back portion of the parietal bones, the

mastoid and right pyramidal process and the mandible, almost

in its entirety.

166. Non prominent inion, non everted gonion, considerable

width of the greater sciatic notch, presence of compound

pubic arch, reduced size of the head of the femur. Some

elements however have a male or intermediate expression:

large and globular mastoid, thick mandible and square chin.

167. Auricular surface of the ilium, grade 5; rather high thickness

of the cranium; completely patent lambdoid suture and

back portion of the sagittal suture, presence of slight signs

of arthritis only on the cervical vertebrae (small osteophytic

edge on the front of the vertebral bodies); absence of osteoporosis;

dental wear compatible with the age of the skeleton.

168. Calculated on the left radius, the only long bone intact.

the ilium to pregnancy, in “American Journal of Physical Anthropology,

vol. 41, 1974, pp. 381-389.

171. Per la precisione il secondo premolare, il primo molare e

il secondo molare destri.

172. Una buccale ed una mesiale sul secondo molare sinistro,

una distale ed una mesiale sul primo molare sinistro, una distruttiva

sul secondo premolare sinistro con fistola di ascesso

vestibolare, una distale sul primo premolare sinistro.

173. Un’evidente asimmetria circolatoria venosa endocranica

è segnalata dal solco del seno sigmoideo, che ha dimensioni

assai maggiori e margini acuminati a destra; il carattere denota

un’anomalia non necessariamente patologica. Sull’atlante il

solco dell’arteria vertebrale è ampio e profondo e presenta il

margine posteriore acuminato bilateralmente.

174. Carta archeologica, cit., pp. 368-369, sito Pt24-1 (P. Perazzi,

G. Millemaci).

169. For example, on both clavicles there is a marked insertion

of the pectoralis major muscle and a strong impression

of the deltoid (also enthesopathic on the right). These two

muscles are well marked also on the humeri, together with

the Teres major muscle and the brachioradialis. On both radii

the tubercle of the biceps is clear and the insertion of the

flexor muscles of the fingers, while on the ulnas, there are

those of the brachialis, pronator quadratus, abductor pollicis

and extensor pollicis longus muscles.

170. P. Houghton, The relationship of the pre-auricolar groove of

the ilium to pregnancy, in “American Journal of Physical Anthropology,

vol. 41, 1974, pp. 381-389.

171. Specifically, the second premolar, first molar and second

molar on the right.

172. A vestibular and mesial caries on the second left molar, a

distal and a mesial on the first left molar, destructive on the

second left premolar with vestibular fistula from an abscess,

a distal on the first left premolar.

173. Clear endocranial vein asymmetry is marked by the

hollow of the sigmoid sinus, which is much larger and with

acuminated margins on the right; this denotes an anomaly

not necessarily pathological. On the atlas, the hollow of the

vertebral artery is large and deep and has bilaterally acuminated

margins.

174. Carta archeologica, cit., pp. 368-369, site Pt24-1 (P. Perazzi,

G. Millemaci).

BIBLIOGRAFIA

BIBLIOGRAPHY

V. Acconcia, M. Milletti, Populonia e la Corsica: alcune

riflessioni, in “Materiali per Populonia, 10”, a cura di Facchin

G., Milletti M., Pisa, 2011.

Ad limitem. Paesaggi d’età romana nello scavo degli Orti del

San Francesco in Lucca, a cura di G. Ciampoltrini, Lucca,

Menegazzo, 2007.

Gli Agri Divisi di Lucca. Ricerche sull’insediamento negli agri

centuriati di Lucca fra Tarda Repubblica e Tarda Antichità, a

cura di G. Ciampoltrini, Siena, Nuova Immagine, 2004.

L’antico palazzo dei Vescovi a Pistoia, II, 1, Indagini archeologiche,

a cura di G. Vannini, Firenze, Olschki, 1985.

L’antico palazzo dei Vescovi a Pistoia, II, 2, I documenti archeologici,

a cura di G. Vannini, Firenze, Olschki, 1987.

G. Baldelli, V. Lani, Gli ultimi lavori a San Michele e l’Arco

d’Augusto, in Gianni Volpe (a cura di), Il Complesso Monumentale

di San Michele a Fano, Fano, ed. Fondazione Cassa

di Risparmio di Fano, 2008.

M. Bonifay, Etudes sur la céramique romaine tardive d’Afrique,

“BAR (British Archaeological Report) “International

Series 1301, Oxford, 2004.

M. Brando, Samia Vasa, i Vasi “di Samo”, in F. Filippi (a

cura di), Horti et Sordes, uno scavo alle falde del Gianicolo,

Roma, 2008, pp.127-174.

F. Cantini, Archeologia urbana a Siena. L’area dell’Ospedale

di Santa Maria della Scala prima dell’Ospedale. Altomedioevo,

Firenze, 2004.

F. Cantini, Dall’economia complessa al complesso di economie

(Tuscia V-X secolo), in “PCA, Postclassic Archaeologies”,

2011, 1; pp. 159-194.

F. Cantini, Ritmi e forme della grande espansione economica

dei secoli XI-XIII nei conresti ceramici della toscana settentrionale,

“Archeologia Medievale”, 2010, XXXVII, pp.

113-127.

G. Capecchi (a cura di), Artimino (Firenze). Scavi 1974,

Firenze, 1987.

G. Capecchi, G. De Tommaso, Per la più antica storia

della cattedrale pistoiese: l’area del duomo e le sue adiacenze.

Contributo ad una comparazione stratigrafica del nucleo urbano

di Pistoia romana, in “Bullettino Storico Pistoiese”,

LXXXIV, 1982, pp. 7-36.

Carta archeologica della Provincia di Pistoia, a cura di P. Perazzi,

Firenze, Istituto Geografico Militare, 2010.

C. Carreras Monfort, Dressel 7-11 (Guadalquivir Valley),

in Amphorae ex Hispania. Landscapes of production and consumption

(http://amphorae.icac.cat/tipol/view/54), 2015.

F. Cibecchini, J. Principal, Per chi suona la campana B?,

in Eric C. de Sena, Hélène Dessales (a cura di), Metodi

e approcci archeologici: l’industria e il commercio nell’Italia

antica/ Archaeologicol Methods and Approaches: Industry and

Commerce in Ancient Italy, “BAR (British Archaeological

Report)”, Oxford, 2004, pp. 159-172.

M. Cygelman, G. Millemaci, Vetulonia, via Garibaldi (Castiglione

della Pescaia, Gr): scavi 2003-2006, in L. Bottarelli,

M. Coccoluto, M.C. Mileti, “Materiali per Populonia,

6”, Pisa, 2007, pp. 345-386.

H. Dragendorff, Terra Sigillata, Ein Beitrag zur. Geschichte

der griechischen und römischen Keramik, Bonn, 1895.

E. Ettinger et alii (a cura di), Conspectus formarum terrae

sigillatae italico modo confectae, Bonn, 1990.

M. Filippi, La ceramica dipinta tarda dal centro storico di

Empoli: i rinvenimenti “Montefiori” e Piazza della Propositura,

in “Milliarium”, vol. 7, 2014, pp. 7-27.

A. Fumo, Le ceramiche rivestite di rosso della villa di Aiano-

Torraccia di Chiusi (San Gimignano, Siena): uno studio archeologico

e archeometrico, “Fastionline Documents and

Research”, n. 178, 2010.

N. Lamboglia, Gli scavi di Albintimilium e la cronologia

della ceramica romana. Campagne di scavo 1938-1940, Bordighera,

1950.

L. Gai, Il palazzo dei Rossi. Architettura e decorazione d’interni

a Pistoia fra Sette e Ottocento, “Storia locale”, 2008,

pp. 4-120.

E. García Vargas, D. Martín-Arroyo, L. G. Lagóstena

Barrios, Dressel 10 (Baetica coast), in Amphorae ex Hispania.

Landscapes of production and consumption (http://amphorae.icac.cat/tipol/view/10),

2012.

Glarea stratae. Vie etrusche e romane della piana di Lucca, a cura

di G. Ciampoltrini, Firenze, Alinea, 2006.

S. Leporatti, La vicenda archeologica dello «scavo della Domus»

di Pistoia (1903) e la topografia dell’area della cattedrale di San

Zeno fra tarda antichità ed altomedioevo, in “Bullettino Storico

Pistoiese”, CXVI, 2014, pp. 77-108.

S. Lupi, La ceramica a vernice rossa nel Volterrano in L. Saguì,

Ceramica in Italia: VI-VII secolo, Atti del Convegno in onore

di John W. Hayes (Roma 1995), Firenze, 1998, pp.

T. Mannoni, La ceramica comune in Liguria prima del XIX secolo

(prime notizie per una classificazione) in La ceramica dell’Ottocento,

Atti del III convegno internazionale della Ceramica, Albissola

(Savona), 1971, 297-335.

A.R. Mandrioli Bizzarri, La collezione di gemme del Museo Civico

Archeologico di Bologna, Bologna, Comune di Bologna, 1987.

S. Marini, Sigillata italica, sigillata africana e lucerne dal Museo

di Rosignano Marittimo, in “Fastionline Documents and Researchs”,

2012 n. 258.

S. Menchelli, Ateius e gli altri: produzioni ceramiche in Pisa e

nell’ager pisanus tra tarda repubblica e primo impero, in S. Bruni

S. (a cura di), Ateius e le sue fabbriche. La produzione di sigillata

ad Arezzo, Pisa e nella Gallia Meridionale, Atti del convegno,

Pisa, Annali della Scuola Normale Superiore di Pisa, XXV;

1-2, 1995., pp. 333-350.

S. Menchelli, Per una classificazione delle ceramiche comuni di

età romana nell’Etruria settentrionale costiera, in “Rei Cretariae

Romanae Fautorum”, Acta 38, 2003, pp. 109-117.

S. Menchelli, Vasi comuni nell’Etruria settentrionale costiera, C.

Batigne Vallet (a cura di), Les céramiques communes comprises

dans leur contexte régional. Faciès de consommation et mode d’approvisionnement,

Actes de la table ronde organisée à Lyon les

2 et 3 février 2009 à la Maison de l’Orient et de la Méditerranée,

Lione, 2012; pp. 91-118.

G. Millemaci, Prato. Galciana, nuovo Presidio Ospedaliero:

un’area produttiva di epoca romana, in “Notiziario della Soprintendenza

per i Beni Archeologici della Toscana”, 2009,

pp. 188-189.

G. Millemaci, Note di topografia urbana:la parte settentrionale

di Pistoia tra l’alto medioevo e la prima età comunale, in “Bullettino

Storico Pistoiese”, CXIII, 2011, pp.43-59.

M. Medri, Terra sigillata tardo italica decorata, Roma, 1992.

J. P. Morell, Céramique campanienne: les formes, Roma 1981.

J. P. Morell, L’étude des céramiques à vernis noire, entre archéologie

et archéometrie, in P. Frontini, M. T. Grassi, Indagini archeometriche

relative alla ceramica a vernice nera: nuovi dati sulla

provenienza e la diffusione, Como, 1998; pp. 9-22.

G. Olcese 1993, Le ceramiche comuni di Albintimilium. Indagine

archeologica e archeometrica sui materiali dell’area del cardine,

Firenze, 1993

A. Oxé, H. Comfort, Corpus Vasorum Arretinorum: a Catalogue

of the Signatures, Shapes and Chronology of Italian Sigillata,

Bonn, 1968.

A. Oxé, H. Comfort, Ph. Kenrick, Corpus vasorum Arretinorum:

a Catalogue of the Signatures, Shapes and Chronology of

Italian Sigillata, 2nd ed., Bonn, 2000.

P. Pallecchi, Indagini mineralogico-petrografiche sui boccali di

tipologia corsa, in A. Romualdi (a cura di), Le rotte nel Mar

Tirreno: Populonia e l’emporio di Aleria in Corsica, catalogo della

mostra (Piombino, 24 febbraio-30 aprile 2001), Suvereto,

2001, pp. 22-23.

A. Patera, P. Perazzi, Pistoia. Censimento e documentazione

delle emergenze pre-protostoriche e di età antica: appunti sul

complesso di San Iacopo in Castellare, in “Notiziario della Soprintendenza

per i Beni Archeologici della Toscana”, 2006

[2007], pp. 42-45.

C. Panella, Oriente ed occidente: considerazioni su alcune anfore

“egee” di età imperiale ad Ostia, in Y. J. Empereur, Y. Garlan,

Recherches sur les amphores greques, Bullettin de Corrispndance

Hellénique, supplemento, XIII, Parigi, 1986, pp. 609-636.

M Paoletti, Cn Ateius a Pisa: osservazioni preliminari all’edizione

dello scarico di fornace in via San Zeno, in “Annali della

Scuola Normale Superiore di Pisa”, 1995, Vol. XXV, 1-2; pp.

319-331.

C. Pavolini, Le lucerne romane fra il III sec. a.C. e il III sec. d.C,

in J. P. Morel, P. Lévêque (a cura di), Ceramiques hellenistiques

et romaines II, Besançon: Centre des recherches d’histoire ancienne,

1987, pp. 139-165.

K. Peche-Quilichini, Technological Approach of Ceramic Production

at the End of the Iron Age at I Palazi (North-Eastern

Corsica), in “The Old Potter’s Almanack”, 2015, 20, pp. 1-10.

G. Pellegrini, Pistoia. Scavi archeologici in piazza del Duomo, in

“Notizie degli Scavi di antichità”, 1904, pp. 241-270.

P. Perazzi, Palazzo de’ Rossi, in “Bullettino Storico Pistoiese”,

CIII, 2001, p. 271.

P. Perazzi, Su alcuni rinvenimenti archeologici a Pieve a Nievole.

Nota preliminare sull’area di Via Cosimini, in “Bullettino Storico

Pistoiese”, CVII, 2005, pp. 111-124.

P. Perazzi, G. Millemaci, Pistoia. Palazzo de’ Rossi: resti della

città romana e medievale, in “Notiziario della Soprintendenza

per i Beni Archeologici della Toscana”, 2009, pp. 175-176.

P. Perazzi, G. Millemaci, G. Incammisa, C. Taddei, E. Pacciani,

F. Fineschi, S. Gori, Pistoia. Palazzo de’ Rossi: nuovi dati

sulla città romana e medievale, in “Notiziario della Soprintendenza

per i Beni Archeologici della Toscana”, 2016, pp. 137-

264 265

176.

P. Perazzi, C. Taddei, Pistoria: resti della città romana, in “Pistoia

tra età romana e alto medioevo”, Atti della Giornata

di studio in memoria di Natale Rauty, Centro Italiano di

studi di storia e d’arte, Pistoia, Biblioteca Forteguerriana,

26 settembre 2014; Roma, Viella, 2016, pp. 17-46.

A. Pittari, Testimonianze archeologiche nel territorio di Empoli

dall’arcaismo alla romanizzazione, in “Milliarium”, 2013, vol. 6;

pp. 20-27.

E. Pruno, La diffusione dei testelli nell’alto-Tirreno tra XI-XIV

sec., in Atti del III Congresso SAMI (Società Archeologica dei Medievisti

Italiani), Firenze, 2003; pp. 71-77.

G. Pucci, Terra sigillata italica, in Atlante delle forme ceramiche

II, supplemento a “Enciclopedia dell’Arte Antica e Orientale”,

Roma, 1985, pp. 362-408.

J.A. Quirós Castillo, Interpretación histórica y arqueológica de

las transformaciones de las técnicas constructivas medievales de la

Valdinievole (Toscana), in “Archeologia dell’Architettura”, II,

1997, pp. 113-120 (anche in http://www.vc.ehu.es/quiros/publicaciones2/AA2%20(2).pdf).

N. Rauty, Storia di Pistoia, I, Dall’alto medioevo all’età precomunale

(406-1105), Firenze, Le Monnier, 1988.

A. Ricci, I vasi potori a pareti sottili, in Atlante delle forme ceramiche

II, supplemento a “Enciclopedia dell’Arte Antica e

Orientale”, Roma, 1985, pp. 231-353

Roman Amphorae, University of Southampton 2014, Roman

Amphorae: a digital resource [data-set]. York: Archaeology

Data Service [distributor]

G. Roncaglia, I materiali ceramici dell’insediamento di Acquerino

(secoli XI-XII), in L’insediamento medievale nella Riserva

Naturale Biogenetica dell’Acquerino, Sambuca Pistoiese-Pistoia,

Atti della giornata di studio (Rifugio dell’Acquerino 2005),

Pistoia, 2007, pp. 53-76.

C. Taddei, Il popolamento del territorio in epoca romana, in Carta

archeologica, pp. 77-103.

M. Valenti 1996, La ceramica comune nel territorio settentrionale

senese tra V – inizi X secolo, in G. P. Brogiolo, S. Gelichi (a

cura di), Le ceramiche altomedievali (fine VI-X secolo) in Italia

settentrionale: produzione e commerci, 6° seminario sul tardoantico

e l’altomedioevo in Italia centrosettentrionale, Monte Barro-Galbiate

(Lecco), 21-22 aprile 1995, Documenti di Archeologia,

7, Mantova, 1996, pp.143-169.



L’ARCHITETTURA E IL RESTAURO

Adolfo Natalini, Marco Matteini, Mario Bechi, Mirko Bianconi, Alessandro Lelli

1. Il Palazzo rinnovato

Il palazzo ha una storia antica. Fu edificato verso la metà del settecento sul Canto de’

Rossi dove questa nobile famiglia aveva case fin dal medioevo su un’area in cui gli scavi

archeologici hanno portato in luce resti di varie età fino ai reperti tardo romani del III-

IV sec. d.C.

Nel 1748 Padre Raffaello Ulivi, cittadino ed ingegnere pistoiese, iniziava il progetto per

il Palazzo de’ Rossi realizzato tra il 1749 e il 1760 inglobando le case torri già di proprietà

della famiglia. Più tardi, Francesco Maria Boniforti sarà responsabile della seconda parte

dei lavori tra il 1774 e il 1780 e altri lavori saranno eseguiti successivamente fino al 1812.

Il “Libro della Fabbrica” del canonico Tommaso de’ Rossi ne riporta puntualmente le

vicende e, su questa base, la storia del palazzo viene magistralmente ricostruita da Lucia

Gai all’interno di questo volume.

Il palazzo, la cui architettura è di chiaro stampo settecentesco, è decorato da una serie

di pittori del ‘700 e dell’800 tra i quali Luigi Rafanelli nel salone, Bartolomeo Valiani,

Ferdinando Marini, Nicola Monti e Giuseppe Belloli. Un accurato restauro pittorico ha

ridato luce alle loro pitture e a tutti gli apparati decorativi, alle cornici e agli stucchi con

diversi straordinari ritrovamenti come i paesaggi apparsi in una delle stanze al primo

piano, completamente ricoperti da strati sovrapposti di tinteggiature.

Le facciate, intonacate, furono decorate da elementi in pietra riccamente elaborati, e

questi, insieme allo scalone monumentale, alla sequenza di sale con decori a stucco, alle

ARCHITERTURE AND RESTORATION

Adolfo Natalini, Marco Matteini, Mario Bechi, Mirko Bianconi, Alessandro Lelli

1. The renovated Palazzo

The palazzo has an ancient history. It was erected around the mid eighteenth century

in Canto de’ Rossi where this noble family had lived since medieval times, on an area in

which archaeological excavations brought to light remains from various ages, back as far

as late Roman findings from the 3rd-4th century A.D.

In 1748, Father Raffaello Ulivi, an engineer from Pistoia, began the project for Palazzo

de’ Rossi, built between 1749 and 1760, by incorporating the tower houses already

belonging to the family. Later, Francesco Maria Boniforti would be responsible for the

second part of the works carried out between 1774 and 1780, and other works would be

subsequently executed until 1812.

The “Libro della Fabbrica” by the clergyman Tommaso de’ Rossi gives an accurate report

of such events, on whose basis the history of the palazzo is masterfully reconstructed by

Lucia Gai in this volume.

The palazzo, whose architecture is clearly eighteenth century style, was decorated by

a series of painters from the 18th and 19 th century, including Luigi Rafanelli in the hall,

Bartolomeo Valiani, Ferdinando Marini, Nicola Monti and Giuseppe Belloli. Careful restoration

has shed new light on their paintings and to all the decorative features, the

mouldings and the stucco work, with several extraordinary findings such as the landscapes

that appeared in one of the rooms on the first floor, hitherto completely covered

by layers of paint.

266 267



pitture e agli affreschi all’interno, ne fecero un tipico esempio di dimora signorile dell’epoca

con importanti affreschi di scuola settecentesca e ottocentesca.

Questo contesto architettonico di fondamentale interesse storico-artistico è stato restituito

alla dignità originaria attraverso un attento restauro con interventi volti principalmente a

salvaguardare quegli episodi che sono riferimento definitivo, e di fatto assoluto, nel riconoscimento

della struttura storica e fisica della città. Un intervento nel quale la variazione di

destinazione d’uso del Palazzo, sebbene compatibile nelle sue conseguenze spaziali e distributive

con quella di origine, non poteva e non doveva in alcun modo alterarne la gerarchia

degli spazi e la loro struttura distributiva costituita dalla sequenza di stanze tra loro comunicanti,

nella maggior parte dei casi, senza soluzione di continuità.

2. Il restauro

Il restauro è stato preceduto da dettagliate indagini storiche, filologiche, sui materiali e sulle

strutture del palazzo ed accompagnato in fase progettuale da una campagna di saggi che, riducendo

il rischio di possibili imprevisti e incompatibilità, hanno consentito di indirizzare le

scelte progettuali nella conservazione e valorizzazione dell’identità stilistica della struttura.

La stessa identità, nel progetto, è stata contrapposta al rigore essenziale dei nuovi elementi

pensati in ogni dettaglio per essere inseriti in specifiche parti dell’edificio e perlopiù determinati

e resi indispensabili dai nuovi usi e dai conseguenti adeguamenti funzionali e normativi.

Seguendo questi criteri di conservazione e attenzione al testo architettonico, è stato definito

il nuovo impianto distributivo del palazzo con la diversa dislocazione delle funzioni ai diversi

piani e nelle singole stanze e, allo stesso modo, sono state progettate e dirette le opere di

restauro, i consolidamenti statici e le opere strutturali, i lavori di adeguamento impiantistico

e tutte le opere di finitura: Palazzo De’ Rossi è oggi un nuovo luogo per la cultura ed ospita

nella maniera più appropriata e funzionale gli spazi per i nuovi uffici della Fondazione Cassa

di Risparmio di Pistoia e Pescia.

In questo contesto architettonico di particolare pregio hanno così trovato la loro collocazione

lo spazio per la musica nello splendido saloncino dove continua a svolgersi l’attività

musicale iniziata da decenni, gli spazi per gli uffici e le sale riunioni, ma anche gli spazi per le

esposizioni, i nuovi spazi all’aperto e quelli a disposizione per le associazioni.

L’edificio, rinnovato dalle cantine fino alla splendida loggia – un’altana belvedere da cui scoprire

Pistoia – è ora pronto alla sua nuova vita: la Fondazione l’ha riportato alla sua primigenia

bellezza restituendolo alla città.

Adesso, Palazzo De’ Rossi potrà essere di nuovo attraversato dalla gente nella successione

delle sue stanze e vissuto nelle diverse attività e nei diversi momenti del giorno e, nel trascorrere

del tempo, potranno essere nuovamente apprezzate le variazioni delle atmosfere col

mutare della luce e delle stagioni.

In questa ritrovata ed organica unitarietà, tutto ha trovato al suo interno la più appropriata

collocazione sia per l’uso degli spazi in relazione alle diverse caratteristiche architettoniche

delle stanze ed alla loro ubicazione all’interno dell’edificio, sia in relazione ai flussi di attività

che in esso si svolgono.

Al piano interrato sono stati collocati i locali tecnici e di servizio alla struttura, al piano terra

le aree di ingresso al palazzo dalla via De’ Rossi e dall’omonimo vicolo, le sale espositive per

la collezione permanente della Fondazione ed i servizi di prima accoglienza, al piano primo,

la sala polifunzionale destinata alla musica, alle conferenze ed ai convegni, e le sale maggiormente

rappresentative riservate al Board della Fondazione, al piano secondo gli uffici

direzionali ed operativi ed infine, al terzo, gli altri spazi connettivi e comuni con la grande

sala sottotetto per gli eventi ed il verone al quarto piano, vero e proprio belvedere sulla città

e sulle colline.

La sala da musica

The plastered façades were decorated with sumptuously detailed elements in stone, and

these, together with the monumental staircase, the sequence of rooms with stucco decorations,

the paintings and frescoes within, made the palazzo a typical example of a noble residence

of the time with important frescoes of the eighteenth and nineteenth century school.

This architectural context of fundamental historical and artistic interest was restored to its

original dignity by way of careful restoration, with work aiming mainly to safeguard the episodes

which are definitive references and actual fact in the identification of the city’s historical

and physical make up. Work in which the change in the Palazzo’s use, though compatible

with the original one in its spatial and distributive consequences, could not and should not

have in any way altered its hierarchy of spaces and their layout, constituted by the sequence

of rooms, connected to one another, for the most part, without interruption.

2. The restoration

The restoration was preceded by detailed historical and philological investigations into the

materials and the structures of the palazzo, and accompanied in the planning phase by a series

of tests which, by reducing the risk of possible unforeseen circumstances and incompatibilities,

enabled the design decisions to be steered towards the conservation and enhancement

of the building’s stylistic identity. The same identity, in the project, was set against the

essential simplicity of the new elements, studied in every detail to be inserted in specific

parts of the building, mainly determined and made indispensable by new uses and resulting

functional and statutory adjustments.

Following these criteria of conservation and attention to the architectural fabric, a new layout

of the palazzo was defined with the functions located on different floors and in each room

and, in the same way, the restoration work, the static consolidation and structural work, the

upgrading of installations and all the finishing works were planned and directed: Palazzo De’

Rossi is today a new cultural venue and home in the most appropriate and functional manner

to the spaces for the new offices of the Fondazione Cassa di Risparmio di Pistoia e Pescia.

This particularly valuable architectural setting thus became home to the space for music,

in the splendid hall, where musical activity begun decades ago still continues, to offices and

meeting rooms, as well as to exhibition spaces, new outdoor areas and those available for

associations.

The building, renovated from the basement right up to the splendid loggia –a roof terrace

overlooking Pistoia – is now ready for its new life: the Fondazione has restored it to its former

beauty, giving it back to the city.

Now, Palazzo De’ Rossi can once again be passed through by people in the succession of

its rooms and experienced in the different activities, times of day and, as time passes, the

changes in its atmosphere can be appreciated anew, with the variations in light and seasons.

Within this newfound and organic unity, everything has found its most appropriate location

both in terms of use of the spaces in relation to the different architectural features of the

rooms and of their location within the building, as well as in terms of the flow of activities

taking place in the same.

In the basement floor are the building’s technical and utility rooms, on the ground floor the

entrance areas from Via De’ Rossi and from the eponymous laneway, the exhibition rooms

for the permanent collection of the Fondazione and the reception areas. The first floor is

home to the multipurpose room for music, conferences and conventions, and the mainly official

function rooms reserved for the Board of the Fondazione, the second floor to the executive

and operational offices and lastly, the third floor, other spaces connected to and shared

with the hall below the roof for events, and the roof terrace on the fourth floor, a veritable

belvedere on the city and the hills.

268 269



Questa dislocazione di funzioni e usi diversi si è resa possibile sia per interventi di restauro

finalizzati a restituire decoro e bellezza allo splendido spartito architettonico e decorativo

del palazzo, sia per le approfondite ed attente analisi di compatibilità con le nuove esigenze

strutturali ed impiantistiche che, pur nella complessità del sistema, ci hanno consentito di

individuare le soluzioni di minor impatto sulla struttura esistente.

All’interno del progetto di restauro del palazzo, gli interventi di pulitura, consolidamento

e restauro delle pitture sono stati puntualmente individuati e classificati per ogni singola

stanza, parete e soffitto, ne è stato rilevato il loro stato di conservazione, ovvero la presenza

di eventuali patologie di degrado, ed è stata definita la specifica indicazione delle tecniche

più appropriate di restauro successivamente dirette durante tutto lo svolgimento dei lavori.

Hanno poi completato l’intervento le opere di restauro e ripristino di tutte le parti ammalorate

o fatiscenti oltre alla realizzazione di opere di consolidamento, agli interventi di risanamenti

delle murature, alla sostituzione di infissi, alla realizzazione di servizi ad uso degli

utenti e di spazi per il personale così come l’adeguamento e messa a norma degli impianti

elettrico, termico, sanitario e di condizionamento e tutti gli adeguamenti igienico sanitari.

Il cortile esterno, restituito con la demolizione delle superfetazioni post belliche alla sua dimensione

originaria, è stato interessato da una campagna di scavi che ha portato a notevoli ritrovamenti

archeologici ed è stato ridisegnato con una nuova pavimentazione, evocazione di un

antico giardino, mentre al di sotto dello stesso, nella zona sterile contigua alla loggia che dà su via

Abbi Pazienza, sono stati ricavati i locali tecnici , vero e proprio cuore tecnologico del palazzo.

La grande statua di Grandonio, il nume tutelare di de’ Rossi, dalla sua edicola nella grande

corte può guardare il palazzo con orgoglio e augurarsi che la vita del palazzo continui serena

e operosa.

I SOFFITTI AFFRESCATI

La statua di Grandonio

Prof. Arch. Adolfo Natalini

Arch. Marco Matteini

This layout of different functions and uses was made possible both by restoration work aimed

at restoring decorum and beauty to the palazzo’s splendid architectural and decorative score,

as well as by the in-depth and careful compatibility analysis with the new structural and installation

requirements, which, though taking into account the building as a whole, enabled

us to identify the solutions with the least impact on the existing structure.

As part of the palazzo’s restoration project, the cleaning, consolidation and restoration work

on the paintings was individually identified and classified for each room, wall and ceiling,

assessing their state of preservation, that is, the presence of any deterioration, and defining

the specific approach for the most appropriate restoration techniques subsequently carried

out during the execution of the works.

The intervention was then completed by the restoration and repair of all the damaged or

crumbling parts as well as by consolidation works, masonry repairs, replacement of fixtures

and fittings, the realisation of staff bathrooms and spaces for personnel, as well as by the upgrading

and compliance with standards/regulations of the electrical, heating, plumbing and

air conditioning systems, and all sanitary improvements.

The outdoor courtyard, restored to its original size with the demolition of the post war

excrescences, was involved in a series of excavations which led to significant archaeological

findings, and was redesigned with new paving to evoke an ancient garden. Below it, the sterile

area next to the loggia that leads onto Via Abbi Pazienza was made home to the technical

rooms, the veritable technological heart of the palazzo.

The large statue of Grandonio, the de’ Rossi , from its aedicule in the large courtyard, can

behold the palazzo with pride and hope that the building’s life will continue peacefully and

productively.

Prof. Adolfo Natalini, architect

Marco Matteini, architect

Piano Primo

Piano Secondo

270

271



4. Interventi strutturali a Palazzo De’ Rossi

Uno dei criteri di fondo per una progettazione strutturale coerente col contesto architettonico

di un edificio storico quale Palazzo De’ Rossi è il rispetto delle caratteristiche statiche

particolari e di sistema del fabbricato e l’attuazione di interventi, non invasivi, che non apportino

modifiche al suo assetto generale e che, ancor meno, siano in contrasto con la sua

estetica e architettura.

Molte tecniche oggi consentono l’utilizzo di nuovi materiali compatibili con le caratteristiche

di quelli esistenti e determinano, tra gli altri effetti, una significativa riduzione delle

opere che potrebbero variare la rigidezza del fabbricato sotto l’effetto dell’azione sismica

orizzontale.

Prima dell’intervento di restauro, il fabbricato si presentava pressoché integro nelle strutture

e privo di evidenti segni di instabilità quali cedimenti o lesioni.

Sviluppato su tre piani completi fuori terra oltre ad un’altana nella zona centrale, in coincidenza

con lo scalone principale, ed un piano interrato, il palazzo ha struttura in muratura portante

di pietrame di vario spessore con orizzontamenti costituiti da volte a botte e solai piani ed è

coperta da una struttura lignea a travi e travicelli, mezzane e manto di tegole e coppi.

La maglia muraria dell’ edificio presenta una geometria regolare, con un grande vano scala al

centro e spessori di parete notevoli, specie ai piani inferiori e non mostrava segni di lesioni

o dissesti in atto.

Le volte che costituiscono la maggior parte degli orizzontamenti, non presentavano dissesti

conseguenti a particolari problemi statici e anche la buona tenuta dei muri d’imposta e l’assenza

di spostamenti relativi fra le pareti era tale da garantire la stabilità delle volte.

Gli interventi strutturali sono quindi stati circoscritti alla soluzione di situazioni critiche

puntuali o a tutte le lievi modifiche strutturali conseguenti per lo più agli adeguamenti normativi

e impiantistici.

Via del Carmine

2

1

Via De’ Rossi

3

Piazzetta

delle Scuole Normali

4

Vicolo De’ Rossi

4. Structural work on Palazzo De’ Rossi

One of the basic criteria for a structural project in keeping with the architectural context of

a historical building like Palazzo De’ Rossi is respect for the building’s detailed and systemic

structural characteristics and the implementation of non invasive measures which do not

alter its general layout and which, to an even lesser extent, are inconsistent with its aesthetic

and architecture.

Many techniques today allow for the use of new materials compatible with the characteristics

of existing ones and determine, among other effects, a significant reduction in works that

could affect the stiffness of the building under the effect of horizontal seismic action.

Prior to the restoration work, the building was for the most part structurally intact and devoid

of clear signs of instability such as collapse or cracks.

Covering three floors completely above ground as well as a roof terrace in the central area

above the main staircase, and a basement floor, the palazzo has a structure in load-bearing

rock walls of different thicknesses with horizontal elements made of barrel vaults and flat

floor slabs, roofed by a wooden beam and rafter structure with flat tiles and a roof covering

of terracotta tiles and curved tiles.

The building’s walls, geometrically uniform with a large stairwell in the centre and considerably

thick, particularly on the lower floors, showed no signs of cracking or instability.

The vaults which constitute most of the floors and roofs did not show any instability resulting

from static problems, and the soundness of the springing lines and absence of shifting

between the walls were such as to guarantee the stability of the vaults.

The structural interventions were thus confined either to solving isolated critical situations

or to all the slight structural alterations required mainly by statutory and installation

upgrading.

More generally, the design and realisation of the structural interventions regarded chang-

es to the building’s individual structural elements which did not involve either variations

in use or increases of the original loads (permanent and accidental), with the exception

of the realisation, in the outdoor courtyard and inside the embankment that faces Via

del Carmine, of a new building, completely below ground, to be used as a central heating

plant and ENEL electrical cabin. The construction of the underground central heating

plant and the electrical cabin meant the embankment had to be contained using piling on

three sides, made of a series of closely set posts, measuring two hundred and fifty millimetres

externally and reinforced with tubular steel, later cast with suitable mortar.

Of the various interventions, it is worth remembering the realisation of foundations

and the complete restoration of the basement floor, the realisation of a new lift shaft

with the foundation works on some stretches of supporting masonry for the creation

of the extended lift shaft, the formation of new openings with frame rings in structural

steel connected to the walls, the demolition of some floor slabs made in normal profiles,

hollow blocks and composite slabs and their replacement with floor slabs in fretted galvanised

steel elements duly fixed to the supporting structure in beams with wide toothed

wings in the supporting wall.

Furthermore, as mentioned, to comply with regulations – and particularly to allow outflow

from the function room on the first floor and create a link between the third floor and the

roof terrace – it was necessary to create a new indoor emergency staircase in structural

steel with sides in wide winged beams and steps in sheet metal, connected to the external

supporting wall.

Special attention was also paid to the ceiling of the “Salone delle Feste”, built as a highly

unusual domical vault, with an almost square base measuring about ten by ten metres and

a crown of about two metres sixty, made in 12cm thick bricks for the meridians and 24cm

ones near the imposts, stiffened by a series of buttresses in solid bricks set on the reins of

the vault and raised as far as the extrados as supports for the bracing countervaults.

Piano terra

Legenda

1. Ingresso

2. Atrio delle sculture

3. Portineria

4- Sale espositive

272 273



Piano Primo

Legenda

1. Foyer

2. Sala della musica

3. Sala di regia

4. Sala del Consiglio

5. Uffici di presidenza

6. Sala riunioni

7. Attesa e servizi

Piano Secondo

Legenda

1. Area accoglienza

2. Area direzionale / uffici

3. Servizi

1

1

1 1

4 5

2 1 1

2

2

3

2

3

5 6

7

2 2 2

Sezione longitudinale

274

Prospetto su Via De’ Rossi

275



Piano Terzo

Legenda

1. Area accoglienza

2. Area direzionale / Uffici

3. Area meeting

4. Biblioteca

5. Servizi

Piano quarto

Legenda

1. Altana panoramica

2 1

2

3

5

4

1

Sezione trasversale

Prospetto sul cortile interno

276

277



Piano interrato

Legenda

1. Cantine

2. Cisterna antincendio

3. Sala quadri

4. Centrale Termica / Sala apparati

5. Cabina elettrica

6. Locale di trasformazione

6

5

4

2

3 3 3

1

1 1 1 1 1

Più in generale la progettazione e la realizzazione di interventi strutturali ha riguardato le

modifiche di singoli elementi strutturali dell’edificio che non comportano né variazioni di

destinazione né incrementi dei carichi originali (permanenti e accidentali) ad eccezione

della realizzazione, nel cortile esterno, nella sagoma del terrapieno che prospetta sulla via

del Carmine, di un nuovo corpo di fabbrica completamente interrato, da adibire a centrale

termica e cabina ENEL. La realizzazione della centrale termica interrata e della cabina

elettrica ha comportato la necessità di contenere il terrapieno mediante una palificata su

tre lati, costituita da una serie di pali ravvicinati, delle dimensioni esterne di duecentocinquanta

millimetri ed armati con tubolare in acciaio, successivamente gettati con idonea

malta cementizia.

Tra i vari interventi merita ricordare la realizzazione di sottofondazioni ed il completo

risanamento del piano interrato, la realizzazione di nuovo vano ascensore con le opere di

sottofondazione di alcuni tratti di muratura portante per la realizzazione del vano extra

corsa, la formazione di nuove aperture con cerchiatura a mezzo di telai in carpenteria metallica

collegati alla muratura, la demolizione di alcuni solai in normali profili, tavellonato

e soletta collaborante e la loro sostituzione con solai ad elementi grecati in acciaio zincato

opportunamente fissati alla struttura di sostegno in travi ad ali larghe ammorsate nella

muratura portante.

Inoltre come detto, per adeguamenti normativi – ed in particolare per consentire l’esodo

dalla sala di rappresentanza al piano primo e per il collegamento tra piano terzo e verone – è

stato necessario provvedere alla realizzazione di nuove scale di sicurezza interne in carpenteria

metallica con cosciali costituiti da travi ad ali larghe e gradini in lamiera, ammorsate nella

muratura portante perimetrale.

Particolare attenzione è stata inoltre rivolta alla copertura del “Salone delle Feste”, costituita

da una particolarissima volta a padiglione, con base pressoché quadrata, delle dimensioni in

pianta di circa dieci metri per dieci, con una monta di circa due metri e sessanta, realizzata

Sezione Trasversale

Particolare sulla corte del secondo piano

Sezione nuova scala di sicurezza

278

279



con laterizi dello spessore di una testa per i meridiani di chiave e di due teste in prossimità

delle imposte, irrigidita da una serie di frenelli in mattoni pieni impostati sulle reni della volta

ed alzati fino all’estradosso quali appoggi delle controvolte di irrigidimento.

Sebbene la forma planimetrica pressoché quadrata, faccia sì che il comportamento della volta

sia vicino a quello di una cupola con tutti i vantaggi statici che ne conseguono, si è reso

necessario un particolarissimo intervento di compartimentazione per il rispetto della normativa

antincendio. In questo contesto, a separazione della sala polifunzionale sottostante,

è stato realizzato un nuovo impalcato ligneo, desolidarizzato rispetto alla struttura voltata

e con idonea resistenza al fuoco, in modo tale da rispondere alle specifiche prescrizioni del

Comando dei Vigili del Fuoco.

Questo nuovo solaio misto in legno–calcestruzzo, realizzato in condizioni di particolare difficoltà

di progettazione e di realizzazione è costituito da travi principali a sezione rettangolare,

in legno lamellare, ancorate alle pareti murarie mediante apposite piastre in carpenteria metallica

e da un’orditura secondaria di travi a sezione rettangolare, anch’essi in legno lamellare

a sostegno del pacchetto di solaio in getto di calcestruzzo alleggerito posato con le adeguate

soluzioni per garantire la compartimentazione del vano sottostante.

Più in generale ed in maniera più estesa sono state infine consolidate tutte le “volte a foglio”,

relegate al ruolo di semplici soffittature, presenti in alcuni locali del secondo e del terzo livello

dell’edificio, mediante applicazione di rete in fibra di vetro più malta cementizia.

Ing. Mario Bechi

Ing. Mirko Bianconi

5. Gli Impianti di Palazzo De’ Rossi

L’integrale ristrutturazione del Palazzo ha comportato il rifacimento di tutti gli impianti

tecnologici termici, idrici, elettrici ed affini per soddisfare le nuove e diversificate funzioni

dell’edificio nonché tutte le stringenti normative ad esso applicate.

La definizione del nuovo assetto impiantistico ha accompagnato la ristrutturazione edilizia

in tutte le sue fasi, integrandosi e costituendo con essa una unica attività, dalla ideazione e

progettazione – di massima ed esecutiva – alla direzione dei lavori con una stretta collaborazione

tra la Fondazione ed i tecnici ed un notevole sforzo di coordinamento di tutte le figure

professionali e gli operatori intervenuti nel progetto e nella realizzazione.

La sfida più impegnativa è stata quella di trovare la migliore integrazione degli impianti con le

caratteristiche architettoniche, storiche ed artistiche del Palazzo senza rinunciare alla completezza

ed alla funzionalità degli stessi.

La destinazione di Palazzo De’ Rossi a sede della Fondazione con gli spazi per uffici, area

espositiva, sale riunioni e zone di rappresentanza, ha richiesto infatti una diversificazione

dell’architettura impiantistica tale da soddisfare le differenti esigenze delle varie aree con le

più aggiornate ed adeguate funzionalità.

L’edificio è stato dotato di impianto di climatizzazione per il riscaldamento invernale e il

condizionamento estivo tramite due gruppi frigoriferi a pompa di calore della potenzialità

di circa 100 kW ciascuno con recupero del calore di condensazione, che come noto, garantiscono

una notevole efficienza energetica a fronte di una resa ottimale sia per il riscaldamento

che per il condizionamento anche senza l’utilizzo di caldaie a gas.

Nella zona espositiva, è stato installato un impianto di riscaldamento e raffrescamento con pannelli

radianti a pavimento ed aria primaria, per favorire la libertà negli allestimenti e garantire

livelli ottimali di umidità dell’aria necessari per la buona conservazione delle opere esposte.

Nella sala concerti, per far fronte alla notevole altezza ed affollamento e mantenere inalterate

280

While a mainly square plan means that the vault behaves similar to a dome, with all of

the static advantages that ensue, a very special compartmentalisation intervention was

necessary to comply with fire prevention standards. In this regard, and to separate the

multi-purpose room below, a new wooden deck was built, separated from the vaulted

structure and suitably fire resistant, so as to meet the specific requirements of the Fire

Station.

This new floor deck in wood-concrete mix, made in particularly difficult design and realisation

conditions, is composed of mainly rectangular beams in plywood, anchored to the walls

by way of special plates in structural steel, and of a secondary structure of rectangular beams,

also in plywood to support the floor deck section in lightweight concrete with the proper

solutions to guarantee the compartmentalisation of the room below.

More generally and extensively, all of the “Catalan vaults” were consolidated, relegated to the

role of simple ceilings, present in some rooms of the second and third floors of the building,

by applying a fibreglass grid cast with mortar.

Mario Bechi, engineer

Mirko Bianconi, engineer

5. The installations in Palazzo De’ Rossi

The comprehensive renovation of the Palazzo involved the upgrading of all the heating,

plumbing, electrical and similar systems to meet the new and diversified functions of the

building as well as the strict regulations regarding the same.

The definition of the new installation structure accompanied the building renovation in all

of its phases, being integrated into the same to become one single activity, from conception

to design – preliminary and final – right down to the supervision of the works, with close

collaboration between the Fondazione and technical experts and a remarkable coordination

effort by all of the professional figures and the workers involved in the design and realisation.

The most difficult challenge was to find the best integration of the installations with the architectural,

historical and artistic characteristics of the Palazzo without sacrificing the completeness

and the functionality of the same.

In fact, the use of Palazzo De’ Rossi as the Fondazione premises with offices, exhibition area,

meeting rooms and function rooms, required a diversification of the installation architecture

that would meet the different requirements of the various areas with the most up-to-date and

adequate functions.

The building was fitted with a climate control system for heating in winter and air conditioning

in summer through two heat pump refrigeration units of about 100 kW each with condensing

heat recovery, which guarantee considerable energy efficiency as well as an excellent

performance for heating and air conditioning even without using gas boilers.

In the exhibition area, a heating and cooling system was installed with radiant floor panels

and primary air to facilitate greater freedom of display and to guarantee optimum levels of

air humidity necessary to preserve the works exhibited.

In the concert room, to deal with the considerable ceiling height and crowding, and to maintain

the room’s excellent acoustics, radiant floor panels were installed as well as a ventilation

281



le ottime caratteristiche acustiche del locale, sono stati installati pannelli radianti a pavimento

ed un impianto di ricambio d’aria con caratteristiche acustiche specifiche e possibilità

di regolazione del regime di ventilazione in base alle condizioni d’uso.

Un sistema di regolazione e supervisione di ultima generazione consente inoltre, la gestione

ed il monitoraggio anche da remoto di tutti gli impianti termici e di condizionamento, della

centrale termica e dei suoi componenti – gruppi frigoriferi, pompe, valvole ecc. – e segnala

guasti e disfunzioni di impianto. Attraverso tale sistema vengono gestiti i parametri climatici

di ogni singolo ambiente e zona mediante il controllo della relativa impiantistica, viene

suddiviso in zone l’impianto termico in modo del tutto flessibile e programmabile e inoltre,

vengono controllati anche altri impianti speciali connessi con il funzionamento dell’ impianto

di condizionamento. Il sistema può essere gestito tramite LAN dai computer degli uffici

ed può essere controllato anche da remoto via Internet.

Gli impianti elettrici ed affini hanno costituito una parte rilevante del progetto sia per la

grande varietà di tipologie impiantistiche necessarie alla funzionalità e sicurezza dell’ edificio

sia per la capillarità e complessità che li caratterizza. A partire dalla cabina elettrica di

trasformazione (media tensione – bassa tensione) appositamente costruita per sopperire alla

potenza elettrica richiesta, tutti gli impianti sono stati progettati e realizzati a partire dalle

esigenze funzionali della Fondazione e via via approfonditi con importanti studi di dettaglio

per garantirne la compatibilità con le caratteristiche architettoniche del palazzo. Anche l’impianto

di illuminazione è stato progettato in base alle diverse esigenze illuminotecniche ed

architettoniche e lo stesso dicasi per altri dispositivi quali l’ attivazione automatica mediante

sensori di presenza ed il controllo centralizzato a zone tramite computer.

La rete di trasmissione dati è stata estesa a molti punti dell’ edificio e non solo alle postazioni

di lavoro degli uffici ed oltre alle funzioni principali di accesso al WEB e di gestione della

telefonia, ad essa è affidata anche la comunicazione e l’interazione fra gli impianti: videocitofonia,

controllo accessi, controllo illuminazione e videosorveglianza. Questa in particolare

è costituita da una rete di telecamere situate nei punti strategici o sensibili dell’ edificio ed è

visualizzabile, oltre che sui computer interni, anche da remoto tramite Internet ed è integrata,

ai fini della sicurezza, da un sistema antintrusione, che interessa tutte le parti dell’ edificio

con una particolare cura dell’area espositiva per la protezione delle opere d’ arte normalmente

presenti.

Un ultima ma fondamentale nota sull’impianto di rivelazione fumi ed allarme incendio che

assolve ad una importantissima funzione di sicurezza sia per il controllo dei locali ordinari

che di quelli a maggior rischio di incendio – centrali, cavedi, controsoffitti e i volumi tecnici

nascosti e provvede ad inserire gli allarmi di segnalazione acustica, le chiusure delle porte

antincendio e a rendere operativi tutti i provvedimenti necessari tra cui, a solo titolo di

esempio, l’ attivazione automatica dell’ impianto di diffusione sonora, che guida le persone

presenti nell’ edificio verso le vie di fuga, tramite messaggi vocali mirati e differenziati per

zona, facilitando una veloce ed ordinata evacuazione dell’ edificio in caso di pericolo.

Nota a margine

Ing. Alessandro Lelli

Per l’inaugurazione di Palazzo de’ Rossi a Pistoia

Ogni volta che ci confrontiamo come architetti con un edificio antico (o un pezzo di città storica) ci troviamo

di fronte a un palinsesto : un antico documento su cui molte mani hanno scritto in tempi diversi

frammenti di storie. Ogni volta cerchiamo di leggere queste storie nei segni sovrapposti. Spesso siamo

richiesti di aggiungere a tutte queste un’altra storia, auspicabilmente in una continuità, così aggiungiamo

nuovi segni ai vecchi con mano leggera. Cerchiamo di ritrovare e render leggibile il senso dell’edificio o

system with specific acoustic characteristics and the option of adjusting the ventilation regime

based on the conditions of use.

A cutting-edge control and supervision system also allows for the remote management

and monitoring of all heating and air conditioning systems, of the central heating plant

and its components – refrigeration units, pumps, valves etc – and reports plant breakdowns

and malfunctions. The same system is used to manage the climate control parameters

for each and every room and area by controlling the relative installation, to divide the

heating plant by areas in a completely flexible and programmable way and also to control

other special systems connected to the functioning of the air conditioning system. The

system can be managed by LAN from the computers in the offices and can be controlled

also remotely by internet.

The electrical and other similar systems represented a major part of the project both due

to the large variety of installation types necessary for the building’s functionality, safety and

security as well as to the capillarity and complexity of the same. Starting from the electrical

substation (medium voltage – low voltage) specially built to provide the electrical power

required, all the installations were designed and created on the basis of the functional needs

of the Fondazione and gradually analysed with important detailed studies to guarantee their

compatibility with the architectural characteristics of the palazzo. Even the lighting system

was designed according to different lighting and architectural needs and the same went for

other devices such as automatic activation using presence sensors and centralised zone

control by computer.

The data transmission network was extended to many points of the building and not

just to the work stations in the offices, and besides the main web access and telephone

functions management functions, it is also used for communication and interaction between

systems: video intercom, access control, lighting control and video surveillance.

The latter is composed of a circuit of cameras situated in strategic or sensitive points

in the building and can be viewed, not only on internal computers, but also remotely

through the internet and it is integrated, for security purposes, with an anti-intrusion

system, which covers all parts of the building with special care of the exhibition area to

protect the artworks normally present.

A final but fundamental note about the smoke detection and fire alarm system, which

carries out an extremely important safety function in monitoring both ordinary areas as

well those with a greater risk of fire – plants, light wells, false ceilings and hidden plant

rooms. It sets audible alarms, fire escape door closure and launches all necessary measures

including, by way of mere example, the automatic activation of the PA system, which

guides the people in the building to the emergency escape routes, through targeted and

area specific vocal messages, promoting a speedy and orderly evacuation of the building

in the event of danger.

Nota a margine

Alessandro Lelli, engineer

For the opening of Palazzo de’ Rossi in Pistoia

Each time we, as architects, engage with an old building (or a part of a historical town ) we find ourselves before

a palimpsest : an ancient document on which many hands have written fragments of history in different eras.

Each time, we try to read these histories in the layers of signs. We are often asked to add another history to all of

these, hopefully in continuity, and so we add new signs to old ones with a moderate hand. We try to discover and

make legible the sense of the building or the monument and we work so that it can exist and function once again.

Hence every building is a time machine, capable of exploring the past and of projecting itself into the future.

282 283



del monumento e ci adoperiamo affinché possa ulteriormente esistere e operare. Così ogni edificio è una

macchina del tempo, capace di esplorare il passato e di proiettarsi nel futuro.

Il palazzo in cui ci troviamo ha una storia antica. Edificato verso la metà del settecento sul Canto de’ Rossi

dove questa nobile famiglia aveva case fin dal medioevo su un’area in cui gli scavi archeologici hanno

portato in luce resti di varie età fino ai reperti tardo romani del III-IV sec. d.C.

Nel 1748 Padre Raffaello Ulivi, cittadino ed ingegnere pistoiese, iniziava il progetto per il Palazzo de’

Rossi, costruito tra il 1749 e il 1760. Francesco Maria Boniforti è responsabile della seconda parte dei

lavori tra il 1774 e il 1780...e altri lavori vengono eseguiti fino al 1812.

Il “Libro della Fabbrica” del canonico Tommaso de’ Rossi ne riporta puntualmente le vicende e la storia

del palazzo è stata magistralmente ricostruita da Lucia Gai e pubblicata nel n° 12 della rivista “Storia

Locale”.

Il palazzo, la cui architettura è di chiaro stampo settecentesco, è decorato da una serie di pittori del 700

e dell’800 tra i quali Luigi Rafanelli nel salone, Bartolomeo Valiani, Ferdinando Marini, Nicola Monti

e Giuseppe Belloli. Un accurato restauro pittorico ha ridato luce alle loro pitture e a tutti gli apparati

decorativi, cornici e stucchi con diversi straordinari ritrovamenti come i bei paesaggi apparsi nella stanza

al primo piano, alcuni dei quali sembrano prefigurare certi quadri del Bugiani.

Ho citato diversi nomi di architetti e pittori degli ultimi 250 anni.

Altri ne devo aggiungere perchè ogni architettura è un’opera collettiva a cui prendono parte una gran

quantità di persone di cui almeno tre devono essere ricordate: il committente, il progettista, il costruttore.

Il committente è la Fondazione Cassa di Risparmio di Pistoia; un committente illuminato, partecipe ed

esigente nelle persone del suo presidente Ivano Paci e del direttore Umberto Guiducci.

Il progettista è Adolfo Natalini (che vi sta parlando) e Marco Matteini con l’ing. Mario Bechi per le

opere strutturali e l’ing. Alessandro Lelli per gli impianti. Marco Matteini ha diretto i lavori.

Il costruttore è l’impresa Zetagi del geom. Guido Zarri che, con Diddi, Iconos e Illuminotecnica, ha

eseguito i lavori durante i tre anni del cantiere sotto gli occhi e le indicazioni delle Sovrintendenze Archeologiche

e ai Monumenti.

Certo aggirandosi per le sale, gran parte di questi lavori sono invisibili perchè l’architettura e specialmente

i restauri sono come un iceberg: solo la punta è visibile. I consolidamenti ed adeguamenti per render l’edificio

antisismico e sicuro, gli impianti per renderlo confortevole ed adatto al nuovo uso sono invisibili...

come forse sono invisibili le mani dei restauratori delle pitture e apparati decorativi.

Il palazzo appare nell’architettura e negli apparati com’era nel suo momento di massimo splendore...ma

naturalmente gli arredi lo rendono adatto al nuovo uso e ci dicono che qualcosa è cambiato: non più dimora

nobiliare e poi ad uso misto (tra uffici, negozi, sede di un giornale e scuola di ballo), ma sede di una

Fondazione, con uffici e sale riunioni, ma anche spazi per esposizioni, spazi per l’associazionismo, spazi per

la musica: questo splendido saloncino dove continua l’attività musicale iniziata dal canonico Lapini-Don

Mario per quelli della mia età.

Il palazzo è stato rinnovato dalle cantine fino alla splendida loggia e, un belvedere da cui scoprire Pistoia,

è ora pronto alla sua nuova vita.

La Fondazione l’ha riportato alla sua primigenia bellezza e l’ha recuperato alla città.

Ora la grande statua di Grandonio, il nome tutelare di de’ Rossi, dalla sua edicola nella grande corte può

guardare il palazzo con orgoglio e si augura che la vita del palazzo continui serena e operosa.

E questo è ciò che mi auguro anch’io, ringraziando tutti coloro che l’hanno reso possibile.

Adolfo Natalini 28.09.12

The palazzo we are in has a ancient history. It was erected around the mid eighteenth century in Canto de’

Rossi where this noble family had lived since medieval times, on an area in which archaeological excavations

brought to light remains from various ages, back as far as late Roman findings from the 3rd-4th century A.D.

In 1748, Father Raffaello Ulivi, an engineer from Pistoia, began the project for Palazzo de’ Rossi, built

between 1749 and 1760. Francesco Maria Boniforti was responsible for the second part of the works between

1774 and 1780… and other works were executed until 1812.

The “Libro della Fabbrica” by the clergyman Tommaso de’ Rossi gives an accurate report of such events,

on whose basis the history of the palazzo is masterfully reconstructed by Lucia Gai and published in issue

no. 12 of the magazine “Storia Locale”.

The palazzo, whose architecture is clearly eighteenth century style, was decorated by a series of painters from

the 18th and 19th century, including Luigi Rafanelli in the hall, Bartolomeo Valiani, Ferdinando Marini,

Nicola Monti and Giuseppe Belloli. Careful restoration has shed new light on their paintings and to all the

decorative features, the mouldings and stucco work, with several extraordinary findings such as the landscapes

that appeared in one of the rooms on the first floor, some of which seem to prefigure certain paintings

by Bugiani.

I have mentioned different names of architects and painters from the past 250 years.

I must add others, since every building is a collective work in which a large quantity of people take part,

and of these at least three should be remembered: the client, the architect and the builder.

The client is the Fondazione Cassa di Risparmio di Pistoia; an enlightened, involved and discerning

client in the persons of its president Ivano Paci and director Umberto Guiducci.

The architect is Adolfo Natalini (speaking) and Marco Matteini with Mario Bechi, engineer, for the structural

work and Alessandro Lelli, engineer, for the installations. Marco Matteini was the supervisor of works.

The builder is the company Zetagi, belonging to surveyor Guido Zarri, which, with Diddi, Iconos and

Illuminotecnica, carried out the work over the three years of renovations under the supervision and

guidelines of the Archaeology and Monuments Superintendences.

Of course, wandering around the rooms, much of these works are invisible, since architecture and particularly

restoration are like an iceberg: only the tip can be seen. The consolidation and upgrading to make

the building anti-seismic and safe, the installations to make it comfortable and suitable for new uses, are

all invisible...as are the hands of the restorers of the paintings and decorative features.

The palazzo appears in its architecture and decorations as it was in its time of great splendour...of course

the furnishings make it suitable for its new use and tell us that something has changed: no longer a noble

residence, which was later used for a range of activities (offices, shops, newspaper headquarters and

dancing school), but the premises of a Fondazione, with offices and meeting rooms, as well as exhibition

spaces, spaces for associations and for music: this splendid hall where the musical activity launched by the

clergyman Lapini-Don Mario for those of my age still continues.

The palazzo, renovated from its basements right up to its splendid loggia and belvedere overlooking

Pistoia, is now ready for its new life.

The Fondazione has restored it to its original splendour and has given it back to the city.

Now, the large statue of Grandonio, nume tutelare of the de’ Rossi family, from his aedicule in the large

courtyard, can behold the palazzo with pride and hope that its life continues peacefully and productively.

And this is what I hope for too, thanking all those who have made it possible.

Adolfo Natalini 28.09.12

284 285



CRONOLOGIA

- Progetto preliminare: 2005-2006

- Progetto Definitivo: 2006-2012

- Progetto Esecutivo: 2009-2012

- Inizio / fine lavori: 2009 / 2012

DIREZIONE LAVORI e

COORDINAMENTO

Arch. Marco Matteini / Matteini + Associates

Arch. Roberto Mercanti Assistente

Coll. Arch.tti: Riccardo Guidi

Elisa Allegri

COLLAUDI STATICI

Ing. Giovanni Becattini

DIREZIONE ARTISTICA

Arch. Adolfo Natalini

Arch. Nazario Scelsi Assistente

TAPPEZZERIA PIEROZZI DINO & C.

s.n.c. – Agliana (PT)

GRUPPO ELLE – Calenzano (FI)

DATI DIMENSIONALI

- Palazzo de’ Rossi superficie lorda

complessiva mq. 2.975

- Corti interne e esterne superficie complessiva

mq. 652

PROGETTO GENERALE E

ARCHITETTONICO

Arch. Adolfo Natalini/ Natalini Architetti

Arch. Marco Matteini / Matteini + Associates

Coll. Arch.tti: Riccardo Guidi

Giacomo Bechini

Giancarlo Bucciero

Elisa Fedi

Laura Aiello

Roberto Mercanti

Annalisa Orsi

Fabio Tridenti

PROGETTO E DIREZIONE LAVORI

STRUTTURE

Ing. Mario Bechi / Studio Bechi Bianconi

Ing. Mirko Bianconi

PROGETTO E DIREZIONE LAVORI

IMPIANTI ELETTRICI E MECCANICI

Studio Tecnico Rauty e Lelli – via Cavour, 37 –

51100 Pistoia

Ing. Alessandro Lelli

CONSULENZA ANTINCENDIO

Ing. David Lattari

RESPONSABILE DEI LAVORI E

COORDIANAMENTO SICUREZZA

Ing. Mario Bechi / Studio Bechi Bianconi

Ing. Mirko Bianconi

IMPRESE ESECUTRICI

OPERE EDILI ED IMPIANTISTICHE:

ASSOCIAZIONE TEMPORANEA DI

IMPRESE

Impresa mandataria: ZETAGI

Costruzioni Edili S.a.s. – Pistoia

Imprese mandanti: DIDDI S.r.l. –

Impianti Meccanici – Pistoia

ILLUMINOTECNICA PISTOIESE S.r.l. –

Impianti Elettrici – Pistoia

ICONOS RESTAURI S.n.c. – Firenze

RICORDI S.r.l. – Castelfranco Veneto (TV)

OPERE DI ARREDO:

LOGOS FORNITURE S.r.l. – Pistoia

ILLUM S.r.l. – Firenze

CHRONOLOGY

- Preliminary project: 2005-2006

- Final project: 2006-2012

- Executive Project: 2009-2012

- Commencement/completion of works: 2009

/ 2012

MEASUREMENTS

- Palazzo de’ Rossi total surface area 2,975 m 2

- Inner and external courtyards total surface

area 652m 2

GENERAL AND ARCHITECTURAL

DESIGN

Adolfo Natalini, architect/Natalini Architetti

Marco Matteini, architect / Matteini +

Associates

Architects:

Riccardo Guidi

Giacomo Bechini

Giancarlo Bucciero

Elisa Fedi

Laura Aiello

Roberto Mercanti

Annalisa Orsi

Fabio Tridenti

SUPERVISION and COORDINATION OF

WORKS

Marco Matteini, architect / Matteini +

Associates

Assistant Roberto Mercanti, architect

Architects: Riccardo Guidi

Elisa Allegri

STRUCTURAL WORKS, DESIGN AND

SUPERVISION

Mario Bechi, engineer / Studio Bechi Bianconi

Mirko Bianconi, engineer

DESIGN AND SUPERVISION,

ELECTRICAL AND MECHANICAL

INSTALLATION WORKS

Studio Tecnico Rauty e Lelli – Via Cavour, 37 –

51100 Pistoia

Alessandro Lelli, engineer

FIRE PREVENTION CONSULTANCY

David Lattari, engineer

SECURITY/SAFETY WORKS AND

COORDINATION

Mario Bechi, engineer / Studio Bechi Bianconi

Mirko Bianconi, engineer

STATIC INSPECTION

Giovanni Becattini, engineer

ARTISTIC DIRECTION

Adolfo Natalini, architect

Assistant Nazario Scelsi, architect

CONTRACTORS

BUILDING AND INSTALLATION

WORKS:

TEMPORARY ASSOCIATION OF

COMPANIES

Principal company: ZETAGI

Costruzioni Edili S.a.s.– Pistoia

Agent companies: DIDDI S.r.l.–

Impianti Meccanici – Pistoia

ILLUMINOTECNICA PISTOIESE S.r.l.–

Impianti Elettrici – Pistoia

ICONOS RESTAURI S.n.c. – Florence

RICORDI S.r.l. – Castelfranco Veneto

(Treviso)

FURNISHINGS:

LOGOS FORNITURE S.r.l. – Pistoia

ILLUM S.r.l. – Florence

TAPPEZZERIA PIEROZZI DINO & C.

s.n.c. – Agliana (Pistoia)

GRUPPO ELLE – Calenzano (Florence)

286 287



UN CANTIERE PISTOIESE

FRA NEOCLASSICISMO E ROMANTICISMO

Carlo Sisi

Anche a Pistoia, come nel resto della Toscana, la svolta biedermeier favorita dal ritorno

dei Lorena si riflette nello stile dell’abitare e negli scenari illusivi che i pittori, chiamati a

decorare le nuove dimore, ricavavano dai repertori del Neoclassicismo, ancora in voga, ma

soprattutto dalle recenti suggestioni del genere storico precocemente innervato nei sentimenti

romantici alimentati dalla riscoperta dei ‘primitivi’ e dalla rilettura, anche in chiave

nazionalistica, dei principali autori della letteratura italiana. Il palazzo della famiglia Puccini

in via del Can Bianco si può considerare matrice stilistica di questa nuova stagione

dal momento che il gusto aggiornato dei fratelli Giuseppe e Tommaso seppe aggregare

nella decorazione delle stanze la declinazione lirica e sepolcrale pertinente al genere ‘boschereccio’,

i fregi ‘all’etrusca’ di suggestione pompeiana, le piane allegorie riferite al prescritto

circolo delle convenzioni domestiche, il metro epico dell’allegoria civica 1 . Per parte

sua Niccolò Puccini, che il 10 agosto 1820 è eletto all’unanimità Socio Ordinario dell’Accademia

di Scienze, Lettere ed Arti, trasferisce nelle sue scelte iconografiche l’indirizzo

ideologico che stava alla base della Società dei Parentali commissionando a Ferdinando

Martini, fra il 1819 e il 1823, la decorazione del suo gabinetto di studio con “le immagini

di Dante, Petrarca, Boccaccio e Machiavelli in atto di scrivere le immortali pagine sulle

deche di Tito Livio”. Nelle lunette di una sala “fece effigiare Franklin che a nome della sua

patria addimanda soccorso al re di Francia, e La Fayette vibrante la lancia contro il leone

britanno” e in un’altra faceva dipingere “Wasington (sic) coronato dall’America” con “la

libertà ritta su di un cocchio da due cavalli tratto” a “somiglianza delle carrette da guerra

A PISTOIESE WORKSITE

BETWEEN NEOCLASSICISM AND ROMANTICISM

Carlo Sisi

Also in Pistoia, like in the rest of Tuscany, the Biedermeier trend favoured by the return of the

Lorena dynasty is reflected in the home living style and in the illusive scenarios that painters,

called upon to decorate the new residences, borrowed from still-in-vogue Neoclassicism, but

above all from the recent influences of the historical genre that stimulated romantic sentiments

at an early stage, fed by the rediscovery of the ‘primitives’ and by the reinterpretation,

also from a nationalistic viewpoint, of leading authors in Italian literature. The palazzo of the

Puccini family in Via del Can Bianco could be considered the style matrix of this new movement,

insofar as that the up-to-date taste of brothers Giuseppe and Tommaso successfully

combined in the decoration of the rooms the lyrical and sepulchral form pertaining to the

‘boschereccio’ genre, the Pompeiian ‘Etruscan style’ friezes, the simple allegories associated

with the circle of domestic conventions, the epic tone of civic allegory. 1 On his part, Niccolò

Puccini, who on 10 August 1820 was unanimously elected an Ordinary Member of the Academy

of Science, Literature and Art, transferred the ideological trend that lay at the foundation

of the “Società dei Parentali” into his iconographical choices by commissioning Ferdinando

Martini, between 1819 and 1823, to decorate his study with “images of Dante, Petrarch, Boccaccio

and Machiavelli in the act of writing the immortal pages in the decades of Titus Livy”.

In the lunette of a room “he had Franklin portrayed, who in the name of his homeland sought

help from the King of France, and Lafayette waving his spear against the British lion” and in

another he had painted “Wasington (sic) crowned by America” with “Liberty standing on a

two horse drawn coach rendered similar to Achaean war chariots” (fig. 1), showing on the one

288 289



Achee” (fig. 1), dimostrando da un lato il suo temperamento militante che avrebbe in seguito

dato origine alla coinvolgente allegoria del Giardino Puccini, dall’altro ammettendo la feconda

matrice classicistica della sua prima formazione nel voler rappresentare la libertà dell’America

“sotto l’apparenza e le armature di una Minerva, con frigio berretto in testa in luogo di elmo,

da una mano la clava, da l’altra un aperto volume, con rotte corone, e reali verghe ai piedi” 2 .

Non potè certo sfuggire, a chi ebbe il privilegio di osservare quel ciclo di dipinti, il singolare

amalgama di ideologia e di stile che faceva definitivamente superare la mitologia e l’Arcadia

trionfanti, in palazzo Tolomei, negli affreschi omerici di Jean-Baptiste Fréderic Desmarais e

nei paesaggi neopussiniani di Nicolas Didier Boguet, convocato quest’ultimo anche da Giuseppe

Puccini per un progetto di decorazione, non realizzato, nel palazzo di città dove la presenza

del quadro con le Danze vendemmiali (o, come appare nei documenti, Un festoso ritorno

dalla vendemmia nella campagna romana, e sull’ore ventidue della sera) (Pistoia, Museo Civico) del

pittore francese segnalava le aspirazioni non provinciali del committente e, di riflesso, le

frequentazioni internazionali del fratello Tommaso sempre vigile sui destini culturali della

sua città d’origine 3 . A questo proposito gli interessi da lui rivolti alle espressioni dell’arte

più recente consentono di ragionare su uno degli affreschi che decorano le stanze allestite

da Francesco de Rossi e dal figlio Girolamo Alessandro nel loro palazzo di Pistoia, dove si

intuisce, rispetto a quello dei Puccini, la stessa aspirazione a coniugare il resistente sedimento

classicista con i contenuti e lo stile che, all’altezza degli anni Venti, davano sostanza alle

teorie del Purismo e ai prodromi della sensibilità romantica. Sul soffitto del boudoir annesso

alla camera da letto di Francesco e Laura Sozzifanti è dipinta una figura femminile sospesa

in aria da una corona di putti annidati entro un panno che, quasi vela gonfiata dal vento, fa

da sfondo al gruppo volante forse alludendo, con la sua tonalità bruna, al sopravvenire della

notte. Il pittore sembra dunque figurare un’allegoria conveniente al luogo cui veniva destinata,

la Notte appunto (fig. 2), anche se l’iconografia scelta è ricavata da un celebre dipinto di

Bénigne Gagneraux con altro soggetto, Psiche sollevata in aria dagli zefiri, (Castello di Lofstad,

2. Niccola Monti, attribuito, La Notte. Pistoia, Palazzo de’

Rossi.

1. Ferdinando Marini, Apoteosi di Washington. Pistoia,

palazzo Puccini.

hand his military temperament which would then give rise to the engaging allegory of the Giardino

Puccini, and on the other acknowledging the fertile classicist matrix of his initial education

in wanting to represent the freedom of America “with the appearance and armour of a Minerva,

with Phrygian cap on her head instead of a helmet, in one hand a club, in the other an open book,

with broken crowns and royal sceptres at her feet”. 2

Whoever had the privilege to behold that cycle of paintings could not miss the unique combination

of ideology and style that saw mythology and Arcadia rule supreme, in Palazzo Tolomei,

in the Homeric frescoes by Jean-Baptiste Fréderic Desmarais and in the neo-Poussinian

landscapes by Nicolas Didier Boguet, the latter also drafted by Giuseppe Puccini for a decoration

project, not realised, in the city palazzo where the presence of the painting with the

Danze vendemmiali (or, as per records, Un festoso ritorno dalla vendemmia nella campagna romana,

e sull’ore ventidue della sera) (Pistoia, Civic Museum) by the French painter marked the nonprovincial

aspirations of the client and, by reflection, the international travels of his brother

Tommaso, always attentive to the cultural destiny of his home town. 3 In this regard, the attention

he paid to the expressions of more recent art enable us to contemplate one of the

frescoes that decorate the rooms by Francesco de Rossi and by his son Girolamo Alessandro

in their palazzo in Pistoia, where one can sense, compared to that of the Puccini family, the

same desire to combine the resistant classicist sediment with content and style which, in the

1920s, gave substance to the theories of Purism and to the precursors of romantic sensibility.

Painted on the ceiling of the boudoir adjoining the bedroom of Francesco and Laura Sozzifanti

is a female figure suspended in the air by a crown of putti wrapped in a cloth which, almost

billowing in the wind, provides the backdrop to the group in flight and perhaps alludes,

with its dark tonality, to nightfall. The painter thus seems to depict an allegory, Notte (fig. 2),

or Night, in keeping with its location, even if the chosen iconography is borrowed from a

famous painting by Bénigne Gagneraux with another subject, Psyche carried off by the zephyrs,

(Lofstad Castle, Ostergotlands, Lansmuseum) (fig. 3), executed in 1792 and soon becoming a

290 291



3. Bénigne Gagnereaux, Psiche sollevata in aria dagli zefiri.

Castello di Lofstad (Svezia), Ostergotlands Lansmuseum.

Ostergotlands, Lansmuseum) (fig. 3) firmato nel 1792 e divenuto ben presto un modello di

riferimento per il perfetto ‘montaggio’ della fonte antica – l’Arianna o Cleopatra ellenistica

– con il Dio michelangiolesco che compare nella Creazione di Adamo nella volta sistina 4 . Il

quadro fu del resto dipinto a Roma con immediata risonanza (lo stesso pittore ammetteva:

“questa composizione mi fa onore per la sua novità”) da cui dipesero una versione di minori

dimensioni dipinta a Firenze nel 1793 e un’incisione a tratto all’acquaforte compresa nella

raccolta Dix-huit Estampes au trait composte et gravées à Rome par Gagnereaux 5 (fig. 4).

La citazione pistoiese fornisce un’ulteriore testimonianza della fortuna di quella iconografia

e, nello stesso tempo, conferma la maturazione in città di un gusto modellato sugli indirizzi

proposti dal milieu pucciniano, in questo veicolati dalla passione di Tommaso per le opere

dei transfughi francesi che infatti volle ospitare nella propria collezione, a cominciare dalla

copia dello Choc de chevalier di Gagnereaux da lui stesso acquistato in originale per la ‘Camera

francese’ della Real Galleria e poi affidato ad un copista di fiducia per assicurarne la

memoria nell’ambito del patrimonio familiare 6 . L’artista che ha dipinto il soffitto in palazzo

de Rossi partecipa dunque a questa temperie di gusto accogliendo l’illustre modello, probabilmente

mediato dall’incisione, con varianti mirate a diminuire il grappolo degli zefiri e ad

amplificare, proprio in vista della mutazione allegorica, il panno dello sfondo: correttamente

interpretata vi risulta la morbidezza del profilo disegnativo con una grazia che ancora sottoscrive

i dettati del canone neoclassico. L’attribuzione dell’opera a Niccola Monti avanzata in

un primo tempo da Lucia Gai sembra quella più plausibile 7 , tanto più se si confronta la figura

dell’affresco con quelle egualmente lievitanti nel dipinto Francesca d’Arimini nell’Inferno (Collezione

privata) (fig. 5) eseguito da Monti nel 1810, dove la ritmica ridondanza dei panni mossi

nella sospensione aerea dei due amanti assume uno stesso valore dinamico e sentimentale 8 .

Scorrendo il catalogo di Gagnereaux vien fatto poi di riflettere su un’ulteriore tangenza fra le

idee compositive dei due pittori, dal momento che un disegno attribuito all’artista francese

raffigurante la Maledizione di Caino 9 (Collezione privata) (fig. 6) trova precisi riscontri nell’af-

4. Bénigne Gagnereaux, Psiche sollevata in aria dagli zefiri,

incisione da Dix-huit Estampes au trait composte et gravées à

Rome par Gagnereaux.

5. Niccola Monti, Francesca d’Arimini nell’Inferno,

particolare. Collezione privata.

292

model of reference for the perfect ‘montage’ of the ancient source – Ariadne or Hellenistic

Cleopatra – with the Michelangesque God who appears in the Creation of Adam in the Sistine

chapel ceiling. 4 Moreover, the painting was executed in Rome, and gained instant interest

(the painter himself admitted: “this composition has brought me credit for its novelty”),

which gave rise to a smaller version painted in Florence in 1793 and an etching included in the

collection Dix-huit Estampes au trait composte et gravées à Rome par Gagnereaux 5 (fig. 4).

The Pistoia example bears further witness to the success of that iconography and, at the same

time, confirms the development in the city of a taste modelled on the influences proposed by

the Puccini milieu, driven by Tommaso’s passion for works by the French defectors, which he

in fact wanted to keep in his own collection, starting with the copy of the Choc de chevalier by

Gagnereaux he himself bought in its original version for the ‘French room’ of the Real Galleriae

and then entrusted to a copyist to ensure its presence within the realm of the family

assets. 6 The artist who painted the ceiling in Palazzo de Rossi thus took part in this climate by

referring to the famous model, probably through the etching, with versions aiming to reduce

the group of zephyrs and to amplify, precisely in light of the allegorical mutation, the cloth in

the background: correctly interpreted, the softness of the line has a grace that still endorses

the dictates of the neoclassical canon. The attribution of the work to Niccola Monti initially

put forward by Lucia Gai seems to be the most plausible, 7 and even more so if we compare

the figure in the fresco with those equally afloat in the painting Francesca da Rimini in Inferno

(Private collection) (fig. 5) executed by Monti in 1810, where the rhythmic overabundance of

the billowing cloths around the two suspended lovers assumes the same dynamic and sentimental

value. 8 Looking through Gagnereaux’s catalogue begs reflection on another tangent

between the compositional ideas of the two painters, insofar as a drawing attributed to the

French artist portraying the Maledizione di Caino 9 (Curse of Cain, Private collection) (fig. 6) has

precise comparisons with the fresco of the same subject painted by Monti in the atrium of the

Basilica della Madonna dell’Umiltà where the scene is set with the same drama that counters

293



6. Bénigne Gagnereaux, Dio maledice Caino dopo l’uccisione di

Abele. Collezione privata.

fresco di analogo soggetto dipinto da Monti nell’atrio della basilica della Madonna dell’Umiltà

dove, in controparte, la scena è impostata sulla stessa drammaturgia che contrappone il

Dio michelangiolesco al Caino fuggitivo entro uno spazio di desolante astrazione (fig. 7).

Il temperamento irrequieto del pittore pistoiese poteva senz’altro ammettere divagazioni stilistiche

così eccentriche ma, come detto, integrabili nel clima determinato dal contesto culturale

pucciniano e dalla convergenza di ideali classici e propensione alle “istorie” che lo stesso Monti

saprà enunciare in palazzo de Rossi con un certo anticipo sulla definitiva affermazione in Toscana

della pittura di genere storico. Nonostante gli orientamenti neoclassici saldamente presidiati

dall’Accademia di Belle Arti di Firenze diretta con autorità da Pietro Benvenuti, l’evoluzione

in senso romantico della cultura figurativa si avvertiva comunque nello svolgersi del dibattito

sull’arte sia nelle sedi ufficiali che nei circoli intellettuali d’apertura internazionale, come quello

raccolto intorno all’ ‘Antologia’ di Giovan Pietro Vieusseux. Cresceva infatti l’interesse per l’arte

del Rinascimento testimoniato in special modo dagli argomenti scelti per accompagnare, in

Accademia, il giorno della solenne distribuzione dei premi maggiori: nel 1816 Giovan Battista

Niccolini tenne un elogio di Andrea Orcagna in cui si dice “vorrei, o giovani studiosi, che

la riverenza ai Greci esemplari non vietasse che qualche volta rivolgeste lo sguardo a questi

splendidi monumenti dell’ingegno toscano”; e , nel 1819, ancora Niccolini pronunciava l’elogio

di Leon Battista Alberti additando nei “Gotici templi” la traduzione visibile del “sublime” 10 ,

categoria che il letterato chiamerà definitivamente in causa nell’orazione del 1825, intitolata appunto

Del Sublime e Michelangelo, nella quale l’oratore si contrapponeva apertamente alle teorie

di Mengs criticando di conseguenza la pervicace osservanza classicista di Pietro Benvenuti 11 . La

carriera di Niccola Monti costeggia queste dialettiche ideologiche e stilistiche concentrandosi,

al tempo della sua giovinezza, sul bello ideale ed eroico espresso da Desmarais negli affreschi

di palazzo Tolomei e quindi da Benvenuti nelle lezioni in Accademia, dove Monti esponeva nel

1812 la sua prima opera di invenzione; esperienza formativa che lo porterà in seguito a Roma,

dove copia la Scuola di Atene di Raffaello, a Venezia per studiare Tiziano, quindi in Polonia al se-

Michelangelo’s God with the fleeing Cain set within a space of bleak abstraction (fig. 7).

The restless temperament of the Pistoiese painter could definitely allow for such eccentric

stylistic digressions but is, as said, in keeping with the climate determined by the Puccini

cultural context and by the convergence of classical ideals and bent for history which Monti

himself would successfully express in Palazzo de Rossi somewhat before historical painting in

Tuscany gained popularity. Despite the neoclassical doctrine firmly espoused by the Academy

of Fine Arts in Florence directed with authority by Pietro Benvenuti, the evolution in a romantic

sense of the figurative culture was nonetheless perceived in the debate on art both in

official as well as in intellectual circles, like that which surrounded the ‘Antologia’ by Giovan

Pietro Vieusseux. In fact, the interest in Renaissance art grew, evidenced in particular by the

subjects chosen to accompany, in the Academy, the day of the solemn distribution of the major

awards: in 1816 Giovan Battista Niccolini gave a eulogy of Andrea Orcagna in which he said

“I wish, oh young scholars, that the reverence for the exemplary Greeks did not prevent you

from sometimes turning your gaze to these splendid monuments to Tuscan brilliance”; and, in

1819, again Niccolini spoke highly of Leon Battista Alberti, singling out “Gothic temples” as

the visual translation of the “sublime”, 10 a category which the scholar would definitively invoke

in his speech of 1825, in fact entitled Del Sublime e Michelangelo, where the speaker openly opposed

the theories of Mengs and consequently criticised the stubborn classicist observance

of Pietro Benvenuti. 11 Niccola Monti’s career flanked these ideological and stylistic dialectics,

concentrating, in his youth, on the ideal and heroic beauty expressed by Desmarais in the frescoes

of Palazzo Tolomei and then by Benvenuti in the lessons at the Academy, where Monti

exhibited his first work in 1812; an educational experience that would then take him to Rome,

where he copied Raphael’s School of Athens, to Venice to study Titian, and then to Poland with

Count Paolo Ciezkowski. He would return to Florence in 1822, when he received the commission

to decorate a ceiling in Palazzo Borghese and was appointed professor at the Academy in

1823, thus officially joining the teaching and cultural system promoted by the Grand Duke’s

Niccola Monti, Maledizione di Caino. Pistoia,

basilica della Madonna dell’Umiltà.

294 295



guito del conte Paolo Ciezkowski. Ritornerà a Firenze nel 1822, quando riceve la commissione

di decorare un soffitto in palazzo Borghese e viene nominato professore all’Accademia nel 1823

entrando così autorevolmente nel sistema didattico e culturale promosso dal governo del granduca,

che in quello stesso anno coinvolgeva Monti nella prestigiosa decorazione ad affresco

del Quartiere Borbonico in Palazzo Pitti 12 . In quelle stanze il pittore si troverà a contatto con i

protagonisti della pittura toscana del momento – Luigi Catani, Gaspero Martellini, Giuseppe

Bezzuoli – e con una pluralità di espressioni che manifestava la mutazione in atto a favore del

recupero del colorismo cinquecentesco, assunto come tramite di naturalismo, e della introduzione

di soggetti moderni narrati con precisioni storiche antitetiche al canone uniformante del

Neoclassicismo. Soprattutto le Storie degli scienziati e filosofi illustri di Catani (fig. 8) mostravano

l’avvenuta assimilazione delle istanze di verosimiglianza storica perorate dalla fazione romantica

e realizzate dal pittore mettendo in campo un campionario per allora inedito di costumi

ricavati dai quadri del Cinquecento e del Seicento, come pure di architetture medioevali e rinascimentali

delineate con la precisione allora consentita dalla diffusione dei repertori a stampa 13 :

strumenti figurativi cui presiedeva non soltanto l’esigenza d’una mutazione stilistica ma anche

l’istanza ‘politica’ di avvicendare alle “pazze e laide avventure della mitologia”, per dirla con

Defendente Sacchi, i “gravi ammaestramenti” della storia invitanti a “pingere le azioni generose

de’padri nostri, ad innalzare col loro esempio gli animi alla virtù” 14 .

Quando Niccola Monti è chiamato da Girolamo de Rossi, nel 1828, a dipingere nel rinnovato

palazzo di città sembra ricordarsi di quell’esempio che ebbe agio di seguire entro un cantiere

fruttuosamente condiviso, dal momento che i due episodi storici affrescati nelle stanze del

primo piano mostrano la stessa vena narrativa che anche in Catani enunciava fedeltà storicistiche

nell’llustrazione dei costumi , delle architetture, degli arredi e, per quanto concerne lo

stile, il raffinato arcaismo derivante dal gusto troubadour introdotto in Italia dagli ammiratissimi

dipinti di soggetto medioevale di Ingres. Nell’intraprendere il lavoro Monti non trascura,

come si richiedeva del resto al moderno pittore di storia, di ricorrere alle fonti documentarie

government, which in the same year involved Monti in the prestigious fresco decoration of

the Quartiere Borbonico in Palazzo Pitti. 12 In those rooms, the painter would find himself in

contact with leading Tuscan painters of the time – Luigi Catani, Gaspero Martellini, Giuseppe

Bezzuoli – and with a wealth of expression which manifested the changes underway in favour

of recovering sixteenth century colourism, assumed as conduit for naturalism, and the introduction

of modern subject matter narrated with historical precision in opposition to the

standardising canon of Neoclassicism. In particular, the Storie degli scienziati e filosofi illustri by

Catani (fig. 8) showed the assimilation of the historical accuracy advocated by the romantic

faction and realised by the painter by presenting a hitherto unseen collection of costumes borrowed

from sixteenth and seventeenth century paintings, as well as medieval and renaissance

buildings outlined with the precision then permitted by the spread of printed works: 13 figurative

tools presided not only by the need for a change in style but also by the ‘political’ requirement

of alternating the “crazy and obscene affairs of mythology”, in the words of Defendente

Sacchi, with the “grave lessons” of history, which invited one to “use the generous actions of

our forefathers to raise, with their example, our souls to virtue”. 14

When Niccola Monti was called upon in 1828 by Girolamo de Rossi to paint the renovated

city palazzo he seemed to recall that example which he was comfortable to follow within a

successfully shared worksite, insofar as the two historical episodes frescoed in the rooms on

the first floor show the same narrative vein that also in Catani expressed historical fidelity

in the illustration of the garments, the buildings, the furnishings and as regards style, the

refined archaism deriving from the troubadour style introduced to Italy by the much admired

paintings of medieval subjects by Ingres. Embarking on the work, Monti did not fail, as

moreover required of the modern historical painter, to refer to documented sources and also

the advice of trusted friends as he did by writing to Pietro Giordani, on 24 June 1828, about

a detail in the subject matter Giovan Galeazzo Sforza malato nel castello di Pavia visitato da Carlo

VIII di Francia (Giovan Galeazzo Sforza ill in Pavia castle, visited by Charles VIII of France)

8. Luigi Catani, Alfonso re di Leone discute il sistema del mondo con gli astronomi ebrei. Firenze, Galleria d’arte moderna di Palazzo Pitti.

296 297



9. Niccola Monti, Giovan Galeazzo Sforza malato nel castello

di Pavia visitato da Carlo VIII di Francia. Pistoia.

298



ed anche al consiglio di amici fidati come fa scrivendo a Pietro Giordani, il 24 giugno 1828, a

proposito di un dettaglio riferibile al soggetto Giovan Galeazzo Sforza malato nel castello di Pavia

visitato da Carlo VIII di Francia (fig. 9), ottenendone questa risposta: “ … M’hai tutto consolato

dicendomi che la fortuna abbia cominciato a guardarti di buon occhio; e datoti occasione di

impegnare con profitto e piacere. Bravo il mio caro Monti: io me ne rallegro di cuore veramente.

Non trovo alcuna difficoltà all’introdurre il Cardinale nella tua pittura: perché il pittore non

dee rappresentar cose mai opposte manifestamente al vero e al verisimile; e quasi mai cose

notoriamente contrarie alla storia: ma circa il verisimile tengo che abbia spazi molto larghi e

liberi. Or se ti fa bene metticelo per dio quel Cardinale. Forse allora il Vescovo di S. Malò non

aveva ancora avuto dal Santissimo Alessandro il Cappello: ma ciò che importa? Qualche mese

più o meno che fanno? E poi ci era il Cardinale di Roano. Metti metti tutto il Cardinalume

che vuoi; e dagli la sua faccia d’ambizione, lussuria, impudenza, egoismo” 15 . Grazie al dialogo

epistolare viene alla luce il procedimento ideativo del pittore che sente l’esigenza di introdurre

nella scena un personaggio non contemplato dalla fonte principale alla quale non si poteva non

attingere, la Storia d’Italia di Francesco Guicciardini: “Giaceva nel castello di Pavia, oppresso

di gravissima infermità, Giovan Galeazzo duca di Milano…; il quale il re, passando per quella

città e alloggiato nel medesimo castello, andò benignissimamente a visitare. Le parole furono

generali per la presenza di Lodovico, dimostrando molestia del suo male, e confortandolo a

attendere con buona speranza alla recuperazione della salute; ma l’affetto dell’animo non fu

senza grande compassione così del re come di tutti coloro che erano con lui … E si accrebbe

molto più per la presenza di Isabella sua moglie; la quale, ansia non solo della salute del marito

e di uno piccolo figliuolo che aveva di lui, ma mestissima oltre a questo per il pericolo del padre

e degli altri suoi, si gittò molto miserabilmente, nel cospetto di tutti, a’ piedi del re, raccomandandogli

con infinite lacrime il padre e la casa sua di Aragona” 16 .

L’esigenza di Monti fu dunque quella di aggiungere alla scena un ulteriore dato narrativo che

possiamo immaginare non privo, nelle intenzioni dell’artista notoriamente temperamentoso , di

spunti polemici nei confronti dell’ingerenza ecclesiastica; mentre non sappiamo se Monti fosse

a conoscenza dell’analogo soggetto dipinto intorno al 1821 da Pelagio Palagi (Lodi, Museo Civico),

quadro che ebbe una notevole risonanza anche attraverso un articolo del ‘Kunst Blatt’ dove

si auspicava maggiore fortuna al tema storico e si lodava la capacità dell’artista di inscenare in

modo così espressivo un passo di Guicciardini favorendo la “sensazione di un avvenimento reale

e tragico” 17 . Monti accentua nell’affresco l’osservazione sui dettagli dell’arredo, sulla varietà dei

tessuti, sull’effetto teatrale (implicito nel sincretismo che caratterizzava al suo nascere il laboratorio

del pittore storico) determinato dalla sapiente scansione delle incidenze luminose; mentre

non tralascia di coinvolgere nella rappresentazione dell’evento l’omaggio, divenuto costante

nella sua opera, all’amata contessa Eleonora Nencini Pandolfini riconoscibile nella E dipinta nel

fusto della poltrona su cui è seduto Carlo VIII 18 . Nel 1832 Monti esporrà all’Accademia di Firenze,

quale replica o variante dell’affresco pistoiese, un quadro di stesso soggetto (posseduto in seguito

dal conte Zaccaria Kitroff) segnalato per “la bontà della composizione, le varie passioni che

desta, e l’effetto che produce nel suo totale”, dal quale il pittore ricavò un disegno all’acquarello

da lui stesso menzionato nel 1833 fra le opere appese sulle pareti dello studio ma commentandolo

con enigmatiche parole di sconforto: “Furono tali, e tante le disgraziate vicende, che dal principio,

e più alla fine, accompagnarono l’infelicissimo lavoro, che cento volte sono stato tentato

gettare al fuoco questo Disegno, per perderne così ogni memoria” 19 .

Nella seconda stanza di palazzo de Rossi Niccola Monti dipingeva Pier Capponi che innanzi a

Carlo VIII straccia gli iniqui capitoli imposti alla città di Firenze (fig. 10), un soggetto che risulta

essere stato particolarmente apprezzato in ambito artistico sin dal 1816, quando quel tema

era stato assegnato per la prova di disegno al Concorso triennale dell’Accademia di Belle

Arti 20 con precoce anticipo rispetto alla ribalta del genere storico e, si può supporre, senza

le implicazioni politiche che la vicenda di Pier Capponi assumerà alla vigilia dei moti risorgimentali.

Anche Monti dipinge la scena senza attribuirle valenza ideologica ma scegliendo

di narrare il fatto con l’impassibile, e un po’ attonita, oggettività che caratterizzava in quegli

(fig. 9), and obtaining this reply: “… You really comforted me by telling me that fortune has

begun to look favourably on you; and given you the chance to work profitably and with pleasure.

Well done my dear Monti: I am really pleased. I have some problems with you putting

the Cardinal in your painting: because the painter must never represent things clearly opposite

to what is true or plausible; and rarely things generally contrary to history: but as regards

the plausible, I think that gives you lots of scope and freedom. Or if you feel like it, put the

Cardinal in, for God’s sake. Perhaps back then the Bishop of Saint Malò had not yet received

the cardinal’s hat from his Holiness Alexander: but what does that matter? What difference

does a few months later or earlier make? And then there was the Cardinal of Rouen. Go

ahead, put all of the cardinals you want; and give them that look of ambition, lust, impudence

and egoism”. 15 This letter sheds light on the conceptual process of the painter, who felt the

need to introduce into the scene a figure not provided for by the main source to which one

could not but adhere, Storia d’Italia by Francesco Guicciardini: “[the king] came to Pavia, and

lodged in the castle where Giovanni [Galeazzo, Duke of Milan] lay dangerously ill. The King

made him a friendly visit. The conversation was general due to the presence of Lodovico; he

expressed his sorrow for his bad state of health, and wished him a speedy recovery; but everyone

perceived the inward compassion his majesty and his attendants had for him; … And they

were more confirmed in this notion when Isabella, the Duke’s wife, anxious not only for her

husband, but also for her infant son, and for her father’s kingdom, threw herself at the king’s

feet, and with a flood of tears begged he would have compassion on her father and family.” 16

Thus Monti needed to add an additional narrative detail to the scene, one which we can

imagine was not lacking, in the intentions of the notoriously temperamental artist, in controversial

suggestions regarding ecclesiastical interference; but we do not know whether Monti

knew about a similar subject painted at around 1821 by Pelagio Palagi (Lodi, Museo Civico), a

painting that had stirred considerable interest also through an article del ‘KunstBlatt’ which

hoped for greater fortune for the historical theme and praised the artist’s ability to stage a

passage from Guicciardini in such an expressive way , favouring the “feeling of a real and

tragic event.” 17 In the fresco, Monti accentuates the observation of the details of the furniture,

of the various textiles, of the theatrical effect (implicit in the syncretism that characterised

the historical painter’s workshop when it opened) determined by the masterful rendering of

the light effects; and he does not fail to include in the representation of the event, a tribute,

which had become a constant feature of his work, to the beloved countess Eleonora Nencini

Pandolfini, identifiable in the E painted on the leg of the armchair on which Charles VIII is

seated. 18 In 1832 Monti would exhibit at the Academy in Florence, as a copy or variation of the

Pistoia fresco, a painting of the same subject matter (later owned by count Zaccaria Kitroff)

noted for “the good composition, the various passions it arouses, and the effect it produces

as a whole”, from which the painter created a watercolour drawing mentioned by himself in

1833 among the works hanging on the walls of his studio but commenting on it with enigmatic

words of despondency: “It was those, and so many unlucky events, that from the beginning,

and more at the end, accompanied the wretched work, that one hundred times I was tempted

to throw this drawing on the fire, to destroy all traces of it”. 19

In the second room in Palazzo de Rossi, Niccola Monti painted Pier Capponi che innanzi a Carlo

VIII straccia gli iniqui capitoli imposti alla città di Firenze (Pier Capponi tears up the unfair terms

imposed on the City of Florence in front of Charles VIII) (fig 10), a subject which seems to

have been particularly popular in the artistic field from 1816, when that very theme was assigned

for the drawing test at the Triennial Competition of the Academy of Fine Arts, 20 in

advance of the rise of the historical genre and, it can be supposed, without the political implications

that the actions of Pier Capponi would assume on the eve of the Italian Risorgimento.

Even Monti painted the scene without giving it ideological value, but choosing to narrate the

event with the impassive, and slightly astonished, objectivity that marked in those years the

troubadour style– for example, in the miniatures of Giovanni Battista Gigola – with precision

in garments and furnishings that confirm the painter’s greater interest in the costumes of the

300 301



10. Niccola Monti, Pier Capponi che innanzi a Carlo VIII

straccia gli iniqui capitoli imposti alla città di Firenze. Pistoia,

palazzo de Rossi

302



anni lo stile troubadour – ad esempio, nelle miniature di Giovanni Battista Gigola – con precisioni

di costume e di arredo che confermano l’interesse rivolto dal pittore più ai costumi del

tempo che non al significato dei fatti, richiamando per questo il rimprovero che il ricordato

‘Kuns Blatt’ rivolse al dipinto di Palagi dove l’artista aveva impiegato “tutti i mezzi del suo

talento” senza però esprimervi “un giudizio” 21 . Con questo affresco Niccola Monti si poneva

tuttavia in buona posizione entro il ‘catalogo’ che enumera la fortuna di quel soggetto storico

se si pensa che nel 1827 Giuseppe Bezzuoli riceveva da Leopoldo II l’incarico di dipingere

L’entrata di Carlo VIII a Firenze, opera che sarà cruciale per gli sviluppi della pittura romantica

in Toscana ancora una volta per meriti stilistici e non per qualità civiche 22 ; e, nel 1830, Luigi

Sabatelli presentava a Brera il quadro non ancora ultimato di Pier Capponi che straccia i capitoli

di Carlo VIII destinato alla collezione di Gino Capponi e noto attraverso la celebre incisione

del 1832, opera di stile sublime per l’eroica emergenza del protagonista ma, a giudizio di Giuseppe

Mazzini, ancora acerba nell’esprimere il “sentimento del collettivo” che l’appassionato

esegeta della pittura romantica riteneva dominante sul concetto di storia 23 .

Nelle Memorie raccolte e pubblicate da alcuni scolari ed amici intorno alla vita e alle opere

di Giuseppe Bezzuoli si legge un’efficace recensione dell’affresco commissionato al pittore

per la ‘galleria’ (Giuseppe Tigri la definisce “una Sala destinata alle danze e al canto” 24 ) nell’ala

est del primo piano del palazzo: “Nel 1830 chiamato il Bezzoli a Pistoja, il Cav. Rossi di quella

città vago di possedere anch’egli un’opera che gli rammentasse il Pittore venuto in tanta

fama; gli dette gentile commissione di un dipinto a buon fresco in una delle sale del suo Palazzo.

Il nostro concittadino corrispose al grazioso invito, ponendoci sott’occhio coi colori,

una delle liete giornate descritte dal Boccaccio. Fra le sue opere a fresco questa può dirsi una

delle più felicemente condotte: non vi è figura in questo dipinto che non porti il carattere e

la vita del Certaldese descritta. Vi si ritrova maestria di disegno nei moti delle figure, varietà

di caratteri per modo che facile ti è riconoscere il nome di ciascuna donzella; ed infine un

colore lucido e trasparente da non ottenersi maggiore in una pittura a olio” 25 . Sull’onda del

time than in the significance of the events, thus meeting with the reproach that the aforementioned

‘KunsBlatt’ aimed the painting by Palagi, where the artist employed “all the means

of his talent” but without expressing therein “an opinion”. 21 With this fresco, Niccola Monti

nonetheless put himself in a good position within the ‘catalogue’ that enumerates the fortune

of that historical subject matter if you think that in 1827 Giuseppe Bezzuoli received from

Leopoldo II the job of painting L’entrata di Carlo VIII a Firenze (Charles VIII entering Florence),

a work that would be crucial to the development of romantic painting in Tuscany again

for its style and not for its civic qualities; 22 and, in 1830, Luigi Sabatelli presented at Brera the

not yet finished painting of Pier Capponi che straccia i capitoli di Carlo VIII (Pier Capponi tearing

up the treaty of Charles VIII) for Gino Capponi’s collection and known through the famous

engraving of 1832, a work of sublime style for the heroic emergence of the protagonist but,

according to Giuseppe Mazzini, not as yet expressing the “collective sentiment” which the

passionate commentator of romantic painting believed dominated the concept of history. 23

In the Memorie collected and published by some scholars and friends about the life and works

of Giuseppe Bezzuoli is a valuable review of the fresco commissioned from the painter for the

‘galleria’ (Giuseppe Tigrila defines it as “a Room for singing and dancing” 24 ) in the east wing of the

first floor of the palazzo: “In 1830, Bezzoli was called to Pistoia, by Cav. Rossi from that city, who

wanted to own a work that would recall the famous Painter; he gave him the kind commission for

a buon fresco painting in one of the rooms of his Palazzo. Our fellow citizen met the kind invitation

by presenting us with one of the happy days described by Boccaccio, in colour. Of his frescoes,

this can be said to be one of the most successfully executed: there is no figure in this painting

that does not express the character and life of the Certaldo maiden described. The movement

of the figures is skilfully drawn, with a variety in the characters such that each damsel is easily

identifiable; and lastly a bright and transparent colour that could not be better achieved in an oil

painting”. 25 On the wave of the success achieved by the Charles VIII, which he finished painting

in 1829, Bezzuoli was then called to a worksite which though smaller revived Florentine experisuccesso

procuratogli dal Carlo VIII, finito di dipingere nel 1829, Bezzuoli era dunque convocato

in un cantiere che pur in dimensione ridotta rinverdiva esperienze fiorentine condivise

con Niccola Monti: insieme si erano infatti trovati ad operare nel ricordato Quartiere

Palatino della reggia di Pitti, ma anche nella decorazione della galleria del palazzo di Camillo

Borghese in via Ghibellina, prima del 1822, dove Bezzuoli aveva dipinto l’Educazione di Bacco

e Monti Bacco e Arianna nell’isola di Nasso, opere entrambe in cui il paesaggio dominava con le

analogie seicentesche garanti, in quegli anni, di moderno naturalismo 26 . Lo stesso che ravviva

di fresca atmosfera la scena della Danza in palazzo de Rossi, realizzata a buon fresco nel 1831

(fig. 11), nella quale Bezzuoli si esercita a tradurre in forme nuove i modelli che sin dai suoi

viaggi giovanili tra Roma e Bologna gli avevano indicato la giusta maniera di contemperare

l’osservazione d’après nature con il suggestivo classicismo di Poussin e di Lorrain. Tanto più

che alcuni anni dopo la commissione degli affreschi per il palazzo di via Ghibellina, Camillo

Borghese aveva ricercato Bezzuoli per affidargli la decorazione di una galleria posta al piano

nobile della sua villa di Quinto, restaurata e riallestita entro il 1831, per la quale il pittore

ideava un’allegoria centrale, Follia che guida il carro d’Amore, e due specchiature laterali con le

allegorie della Musica e della Danza, invenzioni entrambe di leggerezza formale e di elegante

dinamismo, ben apprezzabili in special modo nei curatissimi disegni preparatori che sembrano

già appartenere al laboratorio ideativo del palazzo pistoiese 27 .

Dimostrando di ben conoscere la situazione artistica contemporanea e di voler assicurare alla

sua dimora una firma di grande prestigio, Luisa Magnani, moglie di Girolamo de Rossi si era

rivolta a Bezzuoli probabilmente consigliata dal circuito degli aristocratici committenti fiorentini

che avevano instaurato col pittore ormai famoso legami di cordiale confidenza, come

dimostra un dettaglio della Danza messo in evidenza da Didaco Macciò quando, descrivendo

l’affresco, segnala in esso il ritratto della “illustre signora Ottavia figlia di Gino Capponi, che fu

consorte del Marchese Attilio Incontri, in quella figura in piedi appoggiata e rivolta di profilo

con la testa a sinistra” 28 . Il brano del Decamerone tradotto in figure era quindi un elegante preences

shared with Niccola Monti: both found themselves working in the previously mentioned

Quartiere Palatino of Pitti Palace, as well as on the decoration of the gallery of the palazzo of

Camillo Borghese in Via Ghibellina, before 1822, where Bezzuoli had painted the l’Educazione di

Bacco (Education of Bacchus) and Monti Bacco e Arianna nell’isola di Nasso (Bacchus and Ariadne on the

Island of Naxos), both works dominated by the landscape, with seventeenth century analogies that

guaranteed, in those years, modern naturalism. 26 The same that brings a fresh atmosphere to the

scene of the Danza in Palazzo de Rossi, a buon fresco executed in 1831 (fig. 11), in which Bezzuoli

translated into new forms the models that since his travels as a youth between Rome and Bologna

had shown him the right way to reconcile d’après nature with the suggestive classicism of Poussin

and of Lorrain. So much so that a few years after the commission for the frescoes in the palazzo

in Via Ghibellina, Camillo Borghese sought Bezzuoli to entrust him with the decoration of a gallery

on the piano nobile of his villa di Quinto, restored and renovated by 1831, for which the painter

conceived a central allegory, Follia che guida il carro d’Amore, and two side panels with the allegories

of Musica and of Danza, both expressions of formal lightness and elegant dynamism, which can be

easily and particularly appreciated in the carefully executed preparatory drawings, which seem to

already belong to the conceptual laboratory of the Pistoia palazzo. 27

Showing that she knew the contemporary artistic situation well and to ensure a prestigious

name for her residence, Luisa Magnani, wife of Girolamo de Rossi had turned to Bezzuoli

probably on the recommendation of the Florentine aristocratic group of clients who had

by then established a friendship with the painter, as shown by a detail of Danza highlighted

by Didaco Macciò when, describing the fresco, pointed out the portrait of the “illustrious

Madam Ottavia daughter of Gino Capponi, who was the wife of Marchese Attilio Incontri,

in that standing figure, leaning and with her head turned to her left”. 28 The passage from

the Decameron translated into figures was thus an elegant pretext for introducing into the

rooms of the palazzo the ‘elective affinity’ referring to the family’s circle of friends, and extending

also to include the popular literary sources which, in the case at hand, through the

11. Giuseppe Bezzuoli, La Danza della prima giornata del

Decamerone. Pistoia, Palazzo de’ Rossi

304 305



12. Giuseppe Bezzuoli, Allegoria della danza. Firenze,

Gabinetto Disegni e Stampe degli Uffizi (n. 109516).

testo per introdurre nelle stanze del palazzo le ‘affinità elettive’ sia riferite al circolo amicale

della famiglia, sia estese alle condivisioni letterarie che, nel caso specifico, attraverso le pagine

di Boccaccio consentivano di comporre quel perfetto amalgama fra le ‘arti sorelle’ peculiare

della civiltà della Restaurazione e riconoscibile appunto nell’armonia figurativa e sentimentale

che connotava gli interni di quella felice stagione. Un esempio significativo di tale consonanza

fra arte e letteratura si ritrova, ad esempio, nella stanza che Carlotta Medici Lenzoni fece

affrescare nel suo palazzo di Firenze da Pietro Benvenuti 29 che in quell’occasione piegava la

sua vena classicista al moderato naturalismo introdotto dal purismo nazareno con esiti convenienti

all’evocazione di un Medioevo ornato e gentile. Anche qui il Decamerone fornisce materia

per brani di natura che fanno da sfondo all’allegra brigata e a un Boccaccio pensoso nel

paesaggio di Certaldo, mentre la novella di Griselda si svolge fra le mura di una sala neogotica

da repertorio, vale a dire un’architettura semplice e austera come se la figuravano gli artisti

romantici che si stavano appassionando nel riscoprire epoche romanzesche e molto fruttuose

per le immaginazioni pittoriche. Qualche anno dopo le imprese di Benvenuti e di Bezzuoli,

Baldassarre Calamai esporrà all’Accademia, nel 1836, un Episodio della peste di Firenze del 1348,

descritta dal Boccaccio 30 : soggetto tratto dal Decamerone ma questa volta scelto per assecondare

l’ambientazione notturna ispirata dai quadri secenteschi a lume di notte che erano la passione

del granduca Leopoldo II, acquirente dell’opera insieme ad un’altra, dipinta dallo stesso

Calamai nel 1844 (ma ideata per il granduca almeno dieci anni prima) e raffigurante Boccaccio

che sotto il nome di Dioneo rallegra con una sua novella la brigata raccolta nella villa di Schifanoia (fig.

13), anch’essa ambientata in ore notturne con effetti di grande suggestione ricavati, come scrive

Enrico Montazio componendo una sorta di ecfrasi letteraria, “dalla varia luce delle lampade

che ardono sulla mensa, dal lume che traluce dalle interne stanze e che si frange sulla faccia

del servo, dalla lanterna del villico, e infine dal pallido chiarore della luna il cui raggio trapassa

fra le colonne e si riflette sul pavimento, sulle splendide vesti dei commensali sulle pareti ….” 31 .

Non si deve dimenticare, a margine di questa antologia di traduzioni pittoriche, che il De-

camerone ebbe in Toscana una costante fortuna editoriale affidata a volumi di varia qualità e

destinazione 32 fra i quali interessa qui citare, per coincidenza di data, quello pubblicato nel

1831 da Passigli Borghi e Compagni, arricchito dalle sapide illustrazioni di Francesco Nenci

che si adeguavano alla cordiale narrazione della pittura di genere, la più adatta per accompagnare

la vena boccaccesca in volumetti destinati alla ‘Biblioteca portatile del viaggiatore’ 33 .

E a proposito di fortuna iconografica e di tradizione letteraria la meta di Certaldo fu nuovamente

segnalata e nobilitata da Carlotta Lenzoni con l’acquisto, nel 1825, della casa natale

dello scrittore dove la nobildonna, frequentatrice di intellettuali e scrittori da lei invitati nel

suo celebre salotto fiorentino, fece dipingere da Pietro Benvenuti, già impegnato nella decorazione

delle stanze del palazzo di città, un affresco con l’immagine domestica e accostante

di Giovanni Boccaccio nel suo studio 34 .

Come si può dunque constatare il soffitto di palazzo de Rossi dipinto da Bezzuoli si inscrive

in un contesto artistico e letterario inteso a far dialogare fra loro le ‘arti sorelle’ e favorito da

un’aggiornata committenza che, anche a Pistoia, dava spazio ai protagonisti di una stagione

che stava segnando il definitivo superamento del canone accademico in favore della “temperata”

verità del Purismo e di un vivere borghese confortato dalle molteplici risorse dell’arte.

Per questo la Danza di Bezzuoli non sfuggì alle rinomate pagine de ‘L’Ape Italiana delle Belle

Arti’ dove, nel 1838, la descrizione di Giuseppe Tigri era accompagnata da una bella incisione

al tratto dell’affresco eseguita su disegno dell’allora giovanissimo Pietro Ulivi 35 ; una lettura

entusiasta dell’opera pistoiese che sarà pubblicata a parte, nello stesso anno, dall’editore Bracali

in un raffinato volumetto che consacrava definitivamente l’impresa della famiglia de Rossi:

“… io non dubito d’affermare – vi scrive l’autore rammentando anche la proverbiale celerità

dell’artista – che pochi saranno gli affreschi che potrà contare per ora il secolo decimo nono

così felicemente in ventotto dì dirò improvvisati, eppure con tanto magistero toccati e finiti;

per modo che queste orme che il genio creatore del Carlo VIII segnava franche e sicure sulla

fresca calce, belle di splendida gloria dureranno a perpetuo decoro della scuola Italiana” 36 .

306

words of Boccaccio, allowed for the perfect amalgamation between the ‘sister arts’ peculiar

to the Restoration and identifiable in fact in the figurative and sentimental harmony that

marked the interiors of that fine era. A significant example of such consonance between

art and literature can be found, for example, in the room which Carlotta Medici Lenzoni

had frescoed in her palazzo in Florence by Pietro Benvenuti, 29 who on that occasion bowed

his classicist vein to moderate naturalism introduced by Nazarene purism with results that

evoke an ornate and graceful version of the Middle Ages. Here too the Decameron provided

material for natural scenes which formed the background to a lively group of figures and to

a pensive Boccaccio in the countryside of Certaldo, while the tale of Griselda took place

within the walls of a stock neo-gothic room , that is, a simple and austere building as depicted

by the romantic artists who were developing a passion for rediscovering Romanesque

eras, rich in cues for pictorial concepts. A few years after the undertakings of Benvenuti and

Bezzuoli, Baldassarre Calamai would exhibit at the Academy, in 1836, a Episodio della peste di

Firenze del 1348 (Episode from the 1348 plague in Florence), as described by Boccaccio. 30 This

was a subject taken from the Decameron, but this time chosen to tie in with the nocturnal

setting inspired by seventeenth century illuminated night scenes, which were the passion

of the Grand Duke Leopoldo II, buyer of the work along with another, painted by Calamai

himself in 1844 (but conceived for the Grand Duke at least ten years before) and depicting

Boccaccio che sotto il nome di Dioneo rallegra con una sua novella la brigata raccolta nella villa di

Schifanoia (Boccaccio, who under the name of Dioneo, treats the group gathered in the villa

of Schifanoia to one of his novellas), (fig. 12) it too set at night, with highly evocative effects,

as described by Enrico Montazio, thus creating a sort of literary ekphrasis , “from the varied

light of the lamps burning on the table, from the light shining through from the inner rooms

and on the servant’s face, from the peasant’s lantern, and lastly from the pale light of the

moon, whose rays pass between the columns and are reflected on the floor, on the splendid

garments of the table companions, on the walls ….”. 31

307



13. Baldassarre Calamai, Boccaccio che sotto il nome di Dioneo

rallegra con una sua novella la brigata raccolta

nella villa di Schifanoia. Firenze, Gabinetto Disegni

e Stampe degli Uffizi (n. 109549)

NOTE

1. L. Gai, Il Palazzo Puccini a Pistoia.Profilo Storico, Pistoia,

Gli Ori, 2008, pp. 63-117.

2. C. Mazzi e C. Sisi, La collezione di Niccolò Puccini, in Cultura

dell’Ottocento a Pistoia. La collezione Puccini, catalogo della

mostra a cura di C. Mazzi e C. Sisi, Firenze, La Nuova Italia

Editrice, 1977, p.14; L. Gai, Il Palazzo Puccini cit., pp. 105-111.

3. L. Gai, Il Palazzo Puccini cit., pp.83-85; C. Sisi, La collezione

di Tommaso, in Tommaso Puccini 1811-2011 nel bicentenario

della morte, Pistoia, Settegiorni Editore, 2014, pp.46-50.

4. Si veda in Bénigne Gagnereaux (1756-1795) un pittore francese

nella Roma di Pio VI, catalogo della mostra, Roma, De Luca

Editore, 1983, pp. 134-135

5. Ivi, pp.149, 157.

6. Si veda la scheda relativa a cura di C. Sisi in Cultura

dell’Ottocento cit., pp. 39-40.

7. L. Gai, Il palazzo dei Rossi. Architettura e decorazione d’interni

a Pistoia fra Sette e Ottocento, in “Storialocale. Quaderni pistoiesi

di cultura moderna e contemporanea”, 11, 2008, p. 97.

8. Piccolo viaggio al centro della Toscana. Da Montecatini per luoghi

d’incanto, tra arte, storia, architettura, paesaggio e tradizioni

popolari, a cura di R. Giovannelli, Pistoia, Gli Ori, p. 130.

9. Bénigne Gagneraux cit., p. 162.

10. Si veda Introduzione in Pietro Benvenuti 1769-1844. Mostra

di opere inedite nel secondo centenario della nascita, catalogo della

mostra, Firenze, Tipografia Giovacchini, 1969, p. 25.

11. Ivi, p. 28.

12. Si veda la scheda biografica del pittore a cura di C. Sisi,

in Cultura dell’Ottocento cit., pp. 99-101; R. Giovannelli, Trattatello

su Nudo di Niccola Monti, in “Labyrinthos”, VII-VIII,

13/16, pp. 397-427.

13. S. Condemi, Guida breve alle sale e alle collezioni, in Quar-

tiere Borbonico o Nuovo Palatino. Sale restaurate. Cultura toscana

dell’Unità (1859-1870) e primi cenacoli dei Macchiaioli. Le collezioni

Banti e Martelli – Sala da Ballo del Quartiere da Inverno.

Collezioni del Novecento. Intorno a Rosai. Tracce per un percorso

dell’arte toscana, catalogo della mostra a cura di C. Sisi, Livorno,

Sillabe, 1995, pp. 16-18; C. Morandi, Palazzo Pitti. La

decorazione pittorica dell’Ottocento, Livorno, Sillabe, 1995, pp.

18-20.

14. D. Sacchi, Un provinciale a Milano.Visita allo studio di Hayez,

in ‘Miscellanea di lettere ed arti, Pavia, Bazzoni, p. 155.

15. Si veda in R.Giovannelli, Piccolo viaggio cit., pp. 119-120.

16. F. Guicciardini, Storia d’Italia, a cura di S. Seidel Menchi,

Torino, Einaudi, vol. I.

17. Si veda in R. Grandi, Un pittore tra Rivoluzione e Restaurazione,

in Pelagio Palagi artista e collezionista, catalogo della

mostra, Bologna, Grafis Industrie Grafiche, 1976, pp. 50.

18. R. Giovannelli, Piccolo viaggio cit., p. 122.

19. Ivi, pp. 122-124.

20. Pietro Benvenuti cit., p. 26.

21. R.Grandi, Un pittore cit., p. 50.

22. Si veda la scheda a cura di F. Mannu in Cultura neoclassica

e romantica nella Toscana Granducale. Collezioni lorenesi, acquisizioni

posteriori, depositi, catalogo della mostra a cura di S.

Pinto, Firenze, Centro Di, 1972, pp. 140-141.

23. L. Bassignana, Gli stili della Restaurazione, in Storia delle

arti in Toscana. L’Ottocento, a cura di C. Sisi, Firenze, Edifir,

p. 79.

24. G. Tigri, La Danza della prima giornata del Decamerone di

Giovanni Boccaccio dipinto a fresco del prof. Giuseppe Bezzuoli,

Pistoia, Bracali, 1838, p. 7.

25. Della vita e delle opere del professore Cav. Giuseppe Bezzuoli

maestro di pittura nell’I. e R. Accademia di Firenze e membro delle

più celebri Accademie di Europa. Memorie raccolte da alcuni scolari

ed amici, Firenze, Tipografia Galletti, 1855, p. 28.

26. C. Sisi, Disegni dell’Ottocento dalla collezione Batelli, catalogo

della mostra, Firenze, Leo S. Olschki Editore, 1987, pp.

60-61, n. 37.

27 Ivi, pp. 71-72.

28. D. Macciò, Giuseppe Bezzuoli pittore fiorentino, estratto

dagli ‘Atti della Società Colombaria di Firenze degli anni

1910-1911 e 1911-1912, Firenze, Tipografia ‘L’arte della stampa’

Successori Landi, 1912, p. 14.

29. L. Fornasari, P. Benvenuti, Firenze, Edifir, 2004, pp. 380-

385.

30. Si veda la scheda a cura di C. Nuzzi, in Cultura neoclassica

cit., pp. 90-91.

31 Ivi, p.91; C. Sisi, Disegni dell’Ottocento cit., pp. 67-68.

32. Serie delle edizioni delle opere di Giovanni Boccacci latine,

volgari, tradotte e trasformate, Bologna, Gaetano Romagnoli,

1875.

33. C. Sisi, Disegni dell’Ottocento cit., pp. 54-55, n. 30.

34. L. Fornasari, Pietro Benvenuti cit., p. 385.

35. Si veda in R. Giovannelli, Piccolo viaggio cit., pp. 125-126.

36. G. Tigri, La Danza cit., p. 14.

One must not forget, as an aside to this anthology of pictorial translations, that in Tuscany, the

Decameron had enjoyed ongoing publishing success in the form of books of varied quality and

use, 32 of which here it is interesting to mention, for its date of publication, the 1831 edition

issued by Passigli Borghi e Compagni, embellished with Francesco Nencichesi’s rich illustrations,

which adapted the warm narrative tone of genre painting, the most suited to accompanying

that of Boccaccio, to small volumes destined for the ‘Portable library of the traveller’. 33

And as regards iconographical fortune and literary tradition, Certaldo was again marked and

elevated by Carlotta Lenzoni with the purchase, in 1825, of the writer’s birth home, where the

noble woman, frequenter of intellectuals and writers she invited to her famous Florentine salon,

had Pietro Benvenuti, already engaged in the decoration of the rooms of the city palazzo,

paint a fresco with the domestic and affable image of Giovanni Boccaccio in his study. 34

The ceiling of Palazzo de Rossi painted by Bezzuoli thus forms part of an artistic and literary

context aiming to create a dialogue between the ‘sister arts’ and favoured by an up-to-date

clientele which, even in Pistoia, gave room to the protagonists of an era that was heralding

the definitive passing of the academic canon in favour of the “tempered” truth of Purism,

and of a middle class comforted by the many forms of art. That is why Danza by Bezzuoli was

included in the renowned pages of ‘L’Ape Italiana delle Belle Arti’ where, in 1838, the description

by Giuseppe Tigri was accompanied by a fine line engraving of the fresco, executed by

the then very young Pietro Ulivi 35 . An enthusiastic reading of the Pistoia work which would

be published separately, in the same year, by the publisher Bracali in a refined volume which

definitively consecrated the endeavours of the de Rossi family: “… I can certainly declare –

writes the author, recalling also the proverbial speed of the artist – that the nineteenth century

will be able to count few frescoes so successfully improvised, yet executed and finished

with so much skill in just twenty-eight days; so that these marks which the brilliant creator

of Charles VIII made honestly and confidently on fresh plaster, beautiful in all their splendid

glory, shall forever be a fitting example of the Italian school”. 36

NOTES

1. L. Gai, Il Palazzo Puccini a Pistoia. Profilo Storico, Pistoia,

Gli Ori, 2008, pp.63-117.

2. C. Mazzi and C. Sisi, La collezione di Niccolò Puccini, in Cultura

dell’Ottocento a Pistoia. La collezione Puccini, catalogue for

the exhibition curated by C. Mazzi and C. Sisi, Florence,

La Nuova Italia Editrice, 1977, p.14; L. Gai, Il Palazzo Puccini

cit., pp.105-111.

3. L. Gai, Il Palazzo Puccini cit., pp. 83-85; C. Sisi, Tommaso’s

collection, in Tommaso Puccini 1811-2011 nel bicentenario della

morte, Pistoia, Settegiorni Editore, 2014, pp. 46-50.

4. See Bénigne Gagnereaux (1756-1795) un pittore francese nella

Roma di Pio VI, catalogue for the exhibition, Rome, De

Luca Editore, 1983, pp. 134-135.

5. Ivi, pp. 149, 157.

6. See the relative information sheet by C. Sisi in Cultura

dell’Ottocento cit., pp. 39-40.

7. L. Gai, Il palazzo dei Rossi. Architettura e decorazione d’interni

a Pistoia fra Sette e Ottocento, in ‘Storialocale. Quaderni pistoiesi

di cultura moderna e contemporanea’, 11, 2008, p. 97.

8. Piccolo viaggio al centro della Toscana. Da Montecatini per

luoghi d’incanto, tra arte, storia, architettura, paesaggio e tradizioni

popolari, by R. Giovannelli, Pistoia, Gli Ori, p. 130.

9. Bénigne Gagneraux cit., p. 162.

10. See Introduzione in Pietro Benvenuti 1769-1844. Mostra di

opere inedite nel secondo centenario della nascita, exhibition catalogue,

Florence, Tipografia Giovacchini, 1969, p. 25.

11. Ivi, p. 28.

12. See the biography of the painter by C. Sisi, in Cultura

dell’Ottocento cit., pp. 99-101; R. Giovannelli, Trattatello su

Nudo di Niccola Monti, in ‘Labyrinthos’, VII-VIII, 13/16, pp.

397-427.

13. S. Condemi, Guida breve alle sale e alle collezioni, in Quartiere

Borbonico o Nuovo Palatino. Sale restaurate. Cultura toscana

dell’Unità (1859-1870) e primi cenacoli dei Macchiaioli. Le

collezioni Banti e Martelli Sala da Ballo del Quartiere da Inverno.

Collezioni del Novecento. Intorno a Rosai. Tracce per un percorso

dell’arte toscana, exhibition catalogue by C. Sisi, Livorno, Sillabe,

1995, pp. 16-18; C. Morandi, Palazzo Pitti. La decorazione

pittorica dell’Ottocento, Livorno, Sillabe, 1995, pp. 18-20.

14. D. Sacchi, Un provinciale a Milano.Visita allo studio di Hayez,

in ‘Miscellanea di lettere ed arti’, Pavia, Bazzoni, p. 155.

15. See in R. Giovannelli, Piccolo viaggio cit., pp. 119-120.

16. F. Guicciardini, Storia d’Italia, edited by S. Seidel

Menchi, Turin, Einaudi, vol. I.

17. See in R. Grandi, Un pittore tra Rivoluzione e Restaurazione,

in Pelagio Palagi artista e collezionista, exhibition catalogue,

Bologna, Grafis Industrie Grafiche, 1976, pp. 50.

18. R. Giovannelli, Piccolo viaggio cit., p. 122.

19. Ivi, pp. 122-124.

20. Pietro Benvenuti cit., p. 26.

21. R. Grandi, Un pittore cit., p. 50.

22. See the info sheet by F. Mannu in Cultura neoclassica e

romantica nella Toscana Granducale. Collezioni lorenesi, acquisizioni

posteriori, depositi, exhibition catalogue by S. Pinto,

Florence, Centro Di, 1972, pp. 140-141.

23. L. Bassignana, Gli stili della Restaurazione, in Storia delle

arti in Toscana. L’Ottocento, by C. Sisi, Florence, Edifir, p. 79.

24. G. Tigri, La Danza della prima giornata del Decamerone di

Giovanni Boccaccio dipinto a fresco del prof. Giuseppe Bezzuoli,

Pistoia, Bracali, 1838, p. 7.

25. Della vita e delle opere del professore Cav. Giuseppe Bezzuoli

maestro di pittura nell’I. e R. Accademia di Firenze e membro delle

più celebri Accademie di Europa. Memorie raccolte da alcuni scolari

ed amici, Florence, Tipografia Galletti, 1855, p. 28.

26. C. Sisi, Disegni dell’Ottocento dalla collezione Batelli, exhibition

catalogue, Florence, Leo S. Olschki Editore, 1987,

pp. 60-61, no. 37.

27. Ivi, pp. 71-72.

28. D. Macciò, Giuseppe Bezzuoli pittore fiorentino, taken

from the ‘Atti della Società Colombaria di Firenze degli

anni 1910-1911 e 1911-1912’, Florence, Tipografia ‘L’arte della

stampa’ Successori Landi, 1912, p. 14.

29. L. Fornasari, P. Benvenuti, Florence, Edifir, 2004, pp.

380-385.

30. See the info sheet by C. Nuzzi, in Cultura neoclassica cit.,

pp. 90-91.

31. Ivi, p. 91; C. Sisi, Disegni dell’Ottocento cit., pp. 67-68.

32. Serie delle edizioni delle opere di Giovanni Boccacci latine,

volgari, tradotte e trasformate, Bologna, Gaetano Romagnoli,

1875.

33. C. Sisi, Disegni dell’Ottocento cit., pp. 54-55, no. 30.

34. L. Fornasari, Pietro Benvenuti cit., p. 385.

35. See R.Giovannelli, Piccolo viaggio cit., pp. 125-126.

36. G. Tigri, La Danza cit., p. 14.

308

309



LA COLLEZIONE D’ARTE E IL SUO ALLESTIMENTO

Roberto Cadonici

Sono i viandanti di Oltremaniera (fig. 1), il gruppo in bronzo dipinto realizzato da Roberto Barni

nel 2009 appositamente per quello spazio 1 , ad accogliere chiunque varchi la porta d’accesso del

palazzo de’ Rossi. Le tre figure seriali in solitario cammino ne sostengono una quarta e sembrano

indicare altrettante direzioni possibili per chi sosti indeciso nell’atrio. Ci si può sollevare

verso le sommità più elevate, rappresentate in questo caso da un’altana che, insospettatamente,

apre una visione a tutto tondo su tetti, chiese e impianto urbanistico della città. Si può procedere

in avanti, in direzione della terracotta che raffigura Grandonio 2 : è l’accesso alla terrazza

esterna, un ampio spazio retrostante il palazzo che nel corso del tempo è stato sagrato 3 , orto,

giardino, rimessa, arena estiva, pista da ballo, campo da tennis e chissà cosa altro ancora.

Si può prendere a destra e guadagnare la discesa negli scantinati; ma anche salire come

per raggiungere un quinto viandante collocato subito fuori dal pianerottolo della prima

rampa dello scalone d’accesso, su un ballatoio che sembra fatto apposta per accoglierlo

(fig. 2). È l’accesso al piano nobile del palazzo, e la collocazione di queste tre opere traccia

una direttrice inequivoca: il gruppo di Barni è il perno tra Grandonio e il viandante solitario,

andando a formare la lineare geometria di un angolo retto, sorvegliata dalla coppia

di due giganteschi volti (certo involontario ma suggestivo riferimento alle mitiche dimensioni

corporee del presunto eroe eponimo della famiglia) che l’artista ha progettato

e realizzato su tela per le pareti laterali dell’atrio.

La quarta direzione supposta non c’è, ma è come se i personaggi di Barni (qui come

altrove ormai senza benda ma sempre privi di occhi, estranei tra loro e come incapaci

2. Roberto Barni, Viandante – Ballatoio

THE ART COLLECTION AND ITS DISPLAY

Roberto Cadonici

1. Roberto Barni, Oltremaniera – Atrio

The wayfarers of Oltremaniera (fig. 1), the painted bronze group created by Roberto Barni in

2009 specifically for that space 1 , welcome whoever comes through the main door of Palazzo

de’ Rossi. The three identical figures, each walking its own way, hold up a fourth figure and

seem to point out as many possible directions to whoever stops, undecided, in the atrium.

You climb to the highest point of the building, in this case to a roof terrace which unexpectedly

reveals a panoramic view over the rooftops, churches and the layout of the city. You can

go forwards, towards the terracotta of Grandonio 2 : there is the door to the outdoor terrace, a

large space behind the palazzo which over the years has been a church forecourt 3 , a vegetable

patch, a garden, a storage area, an open air cinema, a dance floor, a tennis court and who knows

what else.

You can take a right down to reach the basements, or go up to the fifth wayfarer situated just

off the landing of the first flight of stairs, on a gallery that seems specially made to hold him

(fig. 2). It is the access way to the main floor or piano nobile of the palazzo, and the position of

these three works traces a clear line: Barni’s group is the pivot between Grandonio and the

lone wayfarer, forming the geometric line of a right angle, watched by the pair of two giant

faces (an unwitting but nonetheless evocative reference to the mythical bodily dimensions

of the family hero) which the artist designed and executed on canvas for the side walls of the

atrium.

There is no fourth direction, but it’s as if Barni’s figures (here, like elsewhere, without a

blindfold but still eyeless, strangers to one another and incapable of interacting) can see

much more than we can, as if they were party to the secret of the building’s design and

310 311



3. Sala Gemignani – Palazzo Sozzifanti di interagire) sapessero vedere molto più di noi, come se fossero dentro ai segreti della progettazione

e della costruzione: una loro peculiare “veggenza che non si attua con l’occhio” 4 .

Volgendo lo sguardo a sinistra, infatti, nella direzione opposta a quella dello scalone, ci si

imbatte in un grande arco cieco, collocato in perfetta simmetria con i suoi tre corrispondenti

realizzati. Si tratta, con tutta evidenza, di un disegno preciso della progettazione iniziale, da

subito organizzata in modo da consentire di procedere nella costruzione per stralci funzionali

5 . Il “ricetto” sul quale immette il portone d’ingresso avrebbe potuto avere sbocco non

soltanto in avanti e in direzione del monumentale scalone realizzato a destra, ma anche sul

fronte opposto, con piena simmetria, verso gli spazi già occupati dalle antiche dimore del casato,

cioè nel vero e proprio canto de’ Rossi, la residenza originaria della famiglia 6 . Si sarebbe

trattato, se portato interamente a compimento il progetto, di una vera e propria reggia, di

un palazzo dalle dimensioni e ambizioni inusitate per la città. In tal modo si spiega inoltre la

singolare ubicazione del portone principale, del tutto asimmetrica rispetto allo sviluppo della

costruzione 7 . Così non è stato, ma il gruppo scultoreo collocato nel “ricetto”, con le molteplici

direzioni che accenna 8 , sembra quasi conservarne involontaria memoria.

Il percorso nel palazzo comincia inevitabilmente di lì, con il cammino perenne dei quattro viandanti

più uno. Subito a destra, superato l’arco che immette sullo scalone, troviamo la porta d’accesso

alle sale espositive, che meriteranno a breve un ragionamento tutto per loro. La conclusione

del restauro (il palazzo è stato inaugurato il 28 settembre 2012), ha consentito di mostrare

alla città, spesso per la prima volta, una parte significativa della collezione della Fondazione. Una

cospicua selezione è confluita appunto nelle sale a piano terra, ma anche le numerose pareti ai

diversi piani, quando disponibili in relazione alla presenza di decori e di arredi, hanno permesso

di esporre una discreta parte di quanto raccolto nei venticinque anni di vita della Fondazione 9 .

Va detto subito, seppure solo per cenni, che la collezione è ospitata anche in altre sedi. Della

sala Gimignani in palazzo Sozzifanti (fig. 3) ci sarà modo di dare brevemente conto più

avanti, parlando della terza sala del piano terreno; ma ci sono anche i diversi depositi delle

4. Aula Magna – Uniser Pistoia

construction: a special “sight that doesn’t require eyes” 4 . In fact, looking left, in the opposite

direction to the staircase, we see a large blind arch, situated in perfect symmetry with the

other three corresponding arches. It is, quite clearly, a precise outline of the original plan,

organised in such a way as to allow for the construction of different functional sections 5 . The

“reception” led to by the main door could not only have had an exit straight ahead and in

the direction of the monumental staircase on the right, but also on the opposite wall, in full

symmetry, towards the spaces then occupied by the old family buildings, that is, in the real

Canto de’ Rossi, the site of family’s original residence 6 . If the plan had been completed in

full, it would have been a veritable palace, one of such size and ambition unseen in the city.

This also explains the unusual position of the main door, which is completely asymmetrical

with regard to the length of the building 7 . The sculptural group situated in the “reception”,

with the many directions it suggests 8 , almost seems, albeit unwittingly, to serve as a reminder.

The journey though the palazzo begins inevitably there, with the eternal passage of the four

wayfarers plus one. Immediately on the right, through the arch that leads to the staircase,

we find the entrance door to the exhibition rooms, which deserve a brief discussion in their

own right. The conclusion of the restoration work (the palazzo was opened on 28 September

2012), meant the city could be shown a significant part of the Foundation’s collection, often

for the very first time. In fact, a large selection is displayed in the rooms on the ground floor,

and the many walls of the different floors, when free from decorations and furnishings, enabled

a sizeable part to be displayed from that collected over the Foundation’s twenty-five

years 9 .

It must be mentioned, however, that the collection is also hosted in other sites. The Gimignani

room in Palazzo Sozzifanti (fig. 3) will be briefly dealt with later on with the third room of the

ground floor, while another part of the collection is kept in the vault of Cassa di Risparmio di

Pistoia e della Lucchesia, in Palazzina Lapini. There is then a permanent exhibition, opened

in 2011 at the Uniser (figg. 4, 5 e 6) campus, displaying more works from the collection: though

312 313



5. Silvio Pucci, Mietitura – Aula Magna di Uniser Pistoia

opere, presso la sede, nel caveau della Cassa di Risparmio di Pistoia e della Lucchesia, nella

palazzina Lapini. C’è soprattutto un vero e proprio allestimento permanente realizzato nel

2011 presso la sede di Uniser (figg. 4, 5 e 6) con opere provenienti dalla collezione: per quanto

di modeste dimensioni (è costituito da soli 20 pezzi, ma tutti abbastanza importanti) si

tratta di una vetrina di rilievo perché offre uno spaccato fedele del modo di lavorare messo

in atto nella costruzione della raccolta 10 . Fin dal titolo, Antichi e moderni nel Novecento pistoiese,

l’allestimento mette in risalto l’attenzione prevalente che è stata dedicata al secolo da poco

trascorso: un’attenzione ovviamente connessa a banali fattori contingenti (costo e reperibilità

delle opere), ma legata anche a profondi convincimenti sull’incisività del ruolo, nel campo

delle arti figurative, giocato dalla città soprattutto nei primi decenni, come più avanti si avrà

modo di ricordare e motivare. La scelta insisteva inoltre sulla ricorrente contrapposizione tra

figurativo e non figurativo che così larga parte ha avuto nel dibattito, anche aspro, del tempo,

andando a costruire un percorso certo eccessivamente contratto ma altrettanto sicuramente

efficace. L’ulteriore elemento significativo è costituito dalla particolare collocazione: non una

mostra, un’esposizione, un’occasione temporanea o stabile ma comunque fine a sé stessa, destinata

ai soli visitatori interessati. La presenza di opere organizzate secondo un disegno in un

luogo di studio, di formazione, di preparazione per il futuro, è un andare incontro alle nuove

generazioni in modo non impositivo, leggero. È un’offerta tacita e non invasiva, un invito che

si può raccogliere o declinare ma che è impossibile ignorare del tutto. È infine una restituzione

alla città in modo permanente, oltre che un contributo di trasparenza che consente da

parte di chi ne abbia voglia una valutazione di quanto è stato operato nel settore.

C’era stata, l’anno precedente, un’occasione assai più ampia e organica per offrirsi alla valutazione:

l’organizzazione a Palazzo Fabroni della bella mostra 1910-2010. Un secolo d’arte a Pistoia,

curata da Lara Vinca Masini 11 . Erano esposti numerosi pezzi della collezione, ovviamente con

le limitazioni cronologiche dichiarate nel titolo, gran parte dei quali incontravano il pubblico

per la prima volta. Anche in quel caso, tuttavia, trattandosi di un’esposizione temporanea, ci

si riferiva a un’utenza di addetti ai lavori o comunque di visitatori interessati. Naturalmente

non c’è niente di male in questo, tutt’altro; ma è cosa diversa da quando si riesce a proporre un

manufatto artistico non come un’appendice più o meno adeguata allo spazio cui la destiniamo,

bensì come connaturata, integrata alla progettazione, nata assieme. È fuori di dubbio che in

quel caso l’arte torna più facilmente a parlare in modo diretto, senza mediazioni: un po’ come

avveniva con gli affreschi di palazzi pubblici, chiese e ospedali, affreschi che non si limitavano

a decorare pareti, ma raccontavano storie e si proponevano un’utilità morale e sociale.

Nel corso degli anni la Fondazione ha cercato di fare anche questo, con una serie non piccola

di interventi. Prima di riprendere il viaggio appena iniziato per descrivere l’allestimento del palazzo

sarà necessario gettare uno sguardo fuori da queste stanze; uno sguardo rapidissimo, poco

più di un elenco, perché non è il tema specifico da affrontare, ma quanto realizzato è davvero

notevole per qualità e quantità e non può essere ignorato parlando della collezione, visto che fa

parte della stessa storia, ne rappresenta una costola che non si può né ignorare né sottovalutare.

Dal 1998, anno della realizzazione del Duetto d’acqua di Susumu Shingu nel parco delle Terme a

Montecatini, fino ad arrivare al recentissimo Giardino volante di Villa Capecchi a Pistoia con i

suoi giochi d’artista 12 , sono state create oltre una ventina di installazioni 13 , coinvolgendo in questo

caso solo parzialmente gli artisti locali 14 , ma rivolgendosi preferibilmente ai nomi di maggiore

rilievo del panorama artistico internazionale, da Dani Karavan fino ad Anselm Kiefer 15 .

Non solo: se questi sono esempi di iniziative proprie della Fondazione, in altre situazioni

l’intervento è stato di sostegno a proposte che provenivano dal territorio: è il caso dell’installazione

dei Richiami di Gianni Ruffi ad Agliana 16 , del monumento bronzeo Unità di Domenico

Viggiano a Monsummano nel 2011, oppure del restauro nel 2012 della statua Le cinque classi

elementari di Marcello Guasti nel complesso scolastico di Valchiusa a Pescia.

Di particolare impegno e di assoluto impatto è stata naturalmente la realizzazione ex novo del

Padiglione di Emodialisi, improntato al principio dell’arte terapeutica. Sette artisti di chiara

fama hanno accolto l’invito a misurarsi con un progetto che risultava al contempo innovativo

6. Remo Gordigiani, Omaggio a Coppo di Marcovaldo – Aula

Magna di Uniser Pistoia

small (made up of just 20, but all rather important, pieces), it is a nonetheless important showcase

insofar as it offers a real glimpse of how the collection was built 10 . In line with its title,

Antichi e moderni nel Novecento pistoiese, the exhibition highlights the great attention paid to the

century just past: attention that is obviously linked to banal contingency factors (cost and availability

of the works), but is also connected to the firm belief in the incisive role played by the

city in the field of the figurative arts, particularly in the early decades, which we will look into

further on. The selection also focused on the recurring opposition between figurative and nonfigurative

art, which was the subject of much, and often heated, debate at the time, to build

an exhibition that is undoubtedly too restricted, yet still highly effective. The other significant

element is represented by the unusual location: not a display, an exhibition, a temporary or

permanent occasion yet an end in itself, destined for just interested visitors. The presence

of works organised according to a plan in a place of study, of training, of preparation for the

future, is an undemanding, subtle way of approaching the new generations. It is a tacit, noninvasive

proposal, an invitation you can accept or decline, but not ignore completely. It is lastly

a permanent rendering to the city, as well as a clear contribution allowing whoever so wishes to

evaluate what has been done in the sector.

The previous year saw a much more wide ranging and organic occasion for such evaluation: the

organisation in Palazzo Fabroni of the fine exhibition 1910-2010. Un secolo d’arte a Pistoia, curated

by Lara Vinca Masini 11 .Numerous pieces from the collection were displayed, obviously within

the chronological limits declared in the title, of which a large part of were seen by the public

for the first time. Also in that case, however, being a temporary exhibition, it addressed experts

in the field or visitors with an interest. There is nothing wrong with this, of course; but it is a

completely different thing when an art work can be presented not just as an exhibit that may

or may not be suited to the space in which it is displayed, but rather as something inherent and

integrated into the space. It is beyond doubt that in such a case art can more easily speak directly,

without mediations: a little like the frescoes of public buildings, churches and hospitals,

314 315



7. Anselm Kiefer, Die Grosse Fracht,

Biblioteca San Giorgio

317



al capolavoro di Anselm Kiefer (fig. 7) progettato per la nuova Biblioteca San Giorgio e collocato

nella grande sala di lettura 20 . Come si vede, un vasto e organico programma che ha coinvolto

gran parte del territorio di riferimento; ma è tempo di rientrare nel palazzo e nelle sue sale.

quanto antichissimo: quello di assegnare una specifica “funzione” al proprio prodotto artistico,

che doveva mantenere i requisiti dell’opera d’arte inserendosi con naturalezza in un ambiente

ospedaliero, in un luogo di sofferenze e di cura, cercando di portare il proprio contributo 17 .

Anche tutti gli altri interventi hanno avuto ed hanno il loro rilievo, e sono destinati a rimanere,

nel tempo, testimonianza di questa intensa stagione: dalle vetrate realizzate da Sigfrido Bartolini

nella chiesa dell’Immacolata 18 e da quelle realizzate da Umberto Buscioni a San Paolo fino

alle numerose installazioni del parco delle Terme a Montecatini e di quello di Villa La Magia a

Quarrata; dall’incommensurabile cesello di Edoardo Salvi per la Casa di Gello 19 (figg. 8 e 11) fino

Riservando il finale alla raccolta esposta nelle sale del piano terra, lasciamo alle nostre spalle

il quinto viandante di Barni e saliamo la seconda rampa per accedere al piano nobile. Tutta

l’area è destinata alla rappresentanza, con gli uffici di Presidenza e Vicepresidenza, nonché

alle riunioni degli organismi, all’attività musicale e agli incontri pubblici. È il piano che accoglie

il doppio volume della Sala delle Assemblee ed è decisamente quello nel quale le decorazioni

pittoriche sono prevalenti, con soffitti tutti riccamente e significativamente affrescati.

La zona della Sala è saturata da grandi cornici di stucco che racchiudono gli affreschi di

Luigi Rafanelli (fig. 9), per cui l’allestimento ha inizio nei primi due locali a destra salendo lo

scalone, cioè sul lato est dell’immobile. Gli affreschi a soffitto, le coloriture molto marcate,

la ricchezza dei decori e la funzione di stanza di passaggio di entrambi i vani, relativamente

piccoli, hanno suggerito grande parsimonia nell’impegno delle pareti, che infatti nel primo

disimpegno vedono la presenza di due sole opere, e non di grandi dimensioni, di Remo Gordigiani.

Si tratta di un acquarello del progetto “Mare” e del relativo disegno preparatorio,

intitolato Mattino sul mare, del 1976 21 . La ripartizione orizzontale dei segni e una sostanziale

assenza di profondità, assieme alle tenui variazioni cromatiche e al grande fascino che da

questo monocromatismo deriva, hanno fin da subito fatto apprezzare la collocazione: le due

opere – come ovvio – parlano tra loro e si inseriscono perfettamente nel contesto, in quanto

sono pienamente percepibili senza risultare invasive degli spazi. Ancora più intonato all’ambiente

è Il pianto di Narciso di Umberto Buscioni 22 , un grande olio su tela che campeggia solitario

nella stanza successiva (fig. 10). Anche in questo caso la collocazione è risultata pressoché

obbligatoria: per quanto il fatto sia del tutto casuale, le tonalità di questo lavoro di Buscioni,

del 1997, sembrano costruite appositamente per quelle pareti, e viceversa.

10. Umberto Buscioni, Il pianto di Narciso

11. Edoardo Salvi, La solitudine del satiro – Casa di Gello

8. Edoardo Salvi, Ricordo di un sogno – Casa di Gello

9. Luigi Rafanelli, Paesaggio – affresco della Sala delle

Assemblee

frescoes that didn’t just decorate walls, but told stories and had a moral and social function.

This is what the Foundation has tried to do over the years, through a series of many different

initiatives. Before continuing the journey just begun to describe the exhibition layout of the palazzo,

we need to take a look outside of these rooms; a quick look, no more than a list, since it is

not the specific subject at hand, but what has been achieved is really quite remarkable both in

quality and quantity, and must be considered when speaking of the collection, since it forms part

of the same story, a branch that can be neither ignored nor underestimated. From 1998, the year

of Duetto d’acqua fountain by Susumu Shingu in Parco delle Terme, Montecatini, up to the very

recent Giardino volante in Villa Capecchi in Pistoia with its artists’ playground installations 12 , over

twenty odd projects have been realised 13 , involving in this case only some local artists 14 , preferring

to draft in leading names from the international art scene, from Dani Karavan to Anselm Kiefer 15 .

That is not all: while the above are examples of the Foundation’s own initiatives, in other

situations the projects supported proposals that came from the local area: such cases include

the Richiami installation by Gianni Ruffi in Agliana 16 , the bronze monument Unità by Domenico

Viggiano in Monsummano in 2011, or the restoration in 2012 of the statue Le cinque

classi elementari by Marcello Guasti in the Valchiusa school complex in Pescia.

One particularly challenging and high impact initiative was the realisation ex novo of the

Hemodialysis Pavilion, characterised by the principle of therapeutic art. Seven famous artists

accepted the invitation to take part in a project that was as innovative as it was ancient:

assigning a specific “function” to their artistic product, which had to maintain the requisites

of the art work, all the while blending naturally in with the hospital setting, in a place of suffering

and care, and seeking to make its own contributions 17 .

All of the other projects have had and still have their importance, and are destined to remain,

with time, a testament to this intense period: from the windows executed by Sigfrido Bartolini

in the church of the Immacolata 18 and those created by Umberto Buscioni in San Paolo,

down to the many installations in Parco delle Terme, Montecatini and in Villa La Magia,

318 319



12. Sala del Consiglio Dopo avere superato l’ascensore si arriva nella sala destinata alle riunioni del Consiglio di

Amministrazione (fig. 12), sovrastata dalla luminosa e ariosa Danza della prima giornata del Decamerone

di Giuseppe Bezzuoli 23 . Quasi a significare la necessaria molteplicità di pensiero di un

organismo collegiale, qui le presenze si moltiplicano e sfuggono all’uniformità, presentando

generi, autori, supporti e dimensioni diversi. Spicca decisamente la presenza del genius loci,

Marino Marini, con un olio, una tempera e una testa in bronzo; per dimensioni si impone Roberto

Barni, con l’immensa tela Orientamento; ma ci sono ancora il fascino dell’incompiuto nel

riuscitissimo Autoritratto di Corrado Zanzotto; la silenziosa, robusta, asciutta, spirituale arcaicità

del mondo contadino ne L’attesa di Pietro Bugiani 24 ; e infine la raffinata descrizione di una

scena del XXXIII del Purgatorio che Ruggero Focardi eseguì per il celebre concorso Alinari 25

del 1900-1902. Tutte cose diversissime tra di loro. La necessaria sintesi la troviamo in un collage

di schizzi e disegni preparatori degli artisti che hanno lavorato al Padiglione di Emodialisi,

incorniciati tutti assieme a testimonianza del lavoro individuale per un obbiettivo comune.

Quella che era la camera matrimoniale della residenza 26 (non a caso l’affresco nella volta rappresenta

un’allegoria della Concordia, dell’Amore e della Fedeltà coniugale) è adesso l’ufficio

di Presidenza. Dietro la scrivania campeggia l’opera di Giacomo Balla Ballucecolormare (fig. 13);

a fronteggiarlo sulla parete opposta non poteva esserci che Omaggio a Balla, il bel collage che

Remo Gordigiani ha saputo creare ispirandosi all’esponente del Futurismo. Le pareti laterali

propongono un identico incontro-scontro: su di un lato le vibrazioni emozionali di Mario

Nigro, di fronte la tranquilla sicurezza figurativa del Querciolo di Bugiani. In entrambi i casi si

intreccia il rapporto tra un palcoscenico assai ampio, che si apre a sguardi lontanissimi dalla

piccola città (Balla e Nigro) e il lavoro intellettualmente arioso, ma al contempo svolto al riparo

della tranquillità provinciale, portato avanti per tutta l’esistenza da Gordigiani e Bugiani.

Una sorta di metafora “glocale”: l’idea di un ente che lavora sul territorio, che ha presente la

concretezza del quotidiano e delle cose vicine, ma che nell’affrontarle cerca sempre di avere

lo sguardo proiettato anche lontano.

13. Giacomo Balla, Ballulecolormare

Quarrata; from the invaluable engraving by Edoardo Salvi for Casa di Gello 19 (figg. 8 e 11) down

to the masterpiece by Anselm Kiefer (fig. 7) designed for the new San Giorgio Library and

located in the grand reading room 20 . As we can see, a vast and organic programme involving

much of the local territory; but now it’s time to go back to the palazzo and its rooms.

Keeping the finale for the collection on display in the rooms of the ground floor, let’s leave Barni’s

fifth wayfarer behind and climb the second flight of stairs to the piano nobile. The entire area is dedicated

to official functions, with the offices of the Presidency and Vice Presidency, as well as to board

meetings, musical activities and public events. It is the floor that accommodates the double volume

of the Meeting Room and is definitely the one with the most painted decorations, with ceilings all

sumptuously and significantly frescoed. The Meeting Room is filled with large stucco mouldings

that surround the frescoes by Luigi Rafanelli (fig. 9), so the display begins in the first two rooms

on the right going up the staircase, that is, on the east side of the building. The ceiling frescoes,

the strong coloration, the rich decorations and the ante-room function of both areas, which are

relatively small, suggests great restraint as regards the walls, which, in fact, in the first ante-room are

home to just two works, and not large ones, by Remo Gordigiani. A watercolour from the “Mare”

project and the relative preparatory drawing, entitled Mattino sul mare, from 1976 21 . The horizontal

division of the signs and the substantial absence of depth, together with the subtle colour variations

and the great allure that this monochrome effect creates, make their location instantly appealing:

the two works – quite clearly – converse with each other and are perfectly integrated into the setting,

insofar as they are fully perceptible without seeming to invade the space. Even more in tune

with its setting is Il pianto di Narciso by Umberto Buscioni 22 , a large oil on canvas that stands out on

its own in the next room (fig. 10). Also in this case the location is practically obligatory: the tones of

this work from 1997 by Buscioni, indeed seem specially chosen for those walls, and vice-versa.

Once past the lift we enter the room for Board of Directors’ Meetings (fig. 12), overlooked by the

bright and airy Danza della prima giornata del Decamerone by Giuseppe Bezzuoli 23 . Almost suggestive

of the multiple viewpoints associated with a board of directors, here the works are many and var-

320 321



14. Atrio della Presidenza, con opere di Marino Marino,

Sol Lewitt e Fernando Melani

La zona di passaggio tra lato est e ovest, cioè il pianerottolo della scala secondaria e l’antico

vestibolo a servizio della camera (adesso sala d’attesa) è tra le più intriganti (fig. 14). Dal

pianerottolo si ha una visione dall’alto dei viandanti di Barni, ma la volta a crociera doppia

porta i segni illustri dell’unica decorazione contemporanea del palazzo, quella realizzata da

Sol Lewitt nel 2004. Chi arriva salendo quelle scale se alza gli occhi incrocia nell’angolo un

superbo Arlecchino di Marino Marini, su cui però è difficile trattenere lo sguardo da quella

posizione, perché non può non colpire la vicinanza e la contiguità di intenti tra il piccolo olio

di Fernando Melani posto sulla parete e la decorazione di Sol Lewitt, realizzata mezzo secolo

più tardi. Una contiguità evidente, che già Lara Vinca Masini – seppure con riferimento ad

un’opera diversa di Melani – aveva saputo cogliere con acume 27 .

Le meraviglie non sono finite, ma si esaltano nell’attiguo spogliatoio, locale dal quale si poteva

transitare, fino a tempi recenti, nella confinante palazzina progettata da Alessandro Gherardesca

per Girolamo de’ Rossi 28 . Sul soffitto è raffigurata La Notte, un affresco che Lucia Gai

attribuisce a Nicola Monti. Le figure del dipinto sono iscritte in un tondo ampio e monocromo,

che sulla superficie piatta del soffitto vuole simulare la concavità di una volta: nello spazio

ristretto dell’ambiente, quasi una grotta. Nessuna destinazione migliore potevano avere

i cartoni di preparazione eseguiti da Bugiani per l’Adorazione dei pastori. Uno spazio intimo,

protetto da fonti luminose dirette, stondato nei suoi quattro angoli, sia in basso che in alto:

esattamente una grotta predisposta per la natività. Il pittore del Mulino della Bure, della Casa

rosa, di precedenti Natività (tra cui la cosiddetta “Madonna Roatta”) e di tanti altri capolavori

misconosciuti, realizzò tra il 1932 e il 1933 quest’opera, facendone poi dono al Capitolo del

Convento di San Domenico nel 1963 29 . Inizialmente collocato nel refettorio del Convento,

attualmente l’affresco si trova, staccato, nel Coro, al primo piano, in apparente buono stato

di conservazione ma scarsamente leggibile per la particolare esposizione luminosa.

Qui invece trovano spazio i due cartoni realizzati su poverissima carta da scena, a sanguigna

e pigmento rosso steso a pennello, che andranno a comporre l’affresco di San Domenico 30 .

ied, with a range of different genres, authors, supports and sizes. Standing out is the presence of the

genius loci, Marino Marini, with an oil, a tempera and a bronze head; in terms of size, the enormous

canvas Orientamento by Roberto Barni is impressive ; yet there is still the allure of the incomplete in

the excellent Autoritratto by Corrado Zanzotto; the silent, strong, sharp, spiritual archaic feel of the

rural world in L’attesa by Pietro Bugiani 24 ; and lastly the refined description of a scene from canto

XXXIII of Dante’s Purgatory, which Ruggero Focardi executed for the famous Alinari competition

25 of 1900-1902. One very different from the next, but the necessary synthesis can be found

in a collage of sketches and preparatory drawings by the artists who worked at the Hemodialysis

Pavilion, framed all together and bearing witness to individual work for a common goal.

What was once the master bedroom of the residence 26 (by no coincidence the fresco in the

vault represents an allegory of Harmony, of Love and conjugal Fidelity) is now the office of

the Presidency. Standing out behind the desk is Ballucecolormare (fig. 13) by Giacomo Balla; on

the opposite wall, what could there be only Omaggio a Balla, the beautiful collage that Remo

Gordigiani created by drawing inspiration from the exponent of Futurism. The side walls

offer an identical juxtaposition: on one, the emotional vibrations of Mario Nigro, opposite,

the calm figurative security of Querciolo by Bugiani. In both cases the relationship between a

very large stage, which opens into far flung views from the small city (Balla and Nigro), is interlaced

with the intellectually airy work pursued for their entire existence by Gordigiani and

Bugiani, yet carried out in the shelter of provincial quietude. A kind of “glocal” metaphor: the

idea that an organisation working in the area, that understands the reality of everyday life

and things, yet in facing them always strives to keep its gaze projected even far afield.

The transition area between the east and west side, namely the landing of the secondary staircase

and the old vestibule serving the bedroom (now the waiting room) is one of the most intriguing

(fig. 14). From the landing is a view of Barni’s wayfarers from above, but the groin vault bears the

illustrious signs of the palazzo’s only contemporary decoration, that executed by Sol Lewitt in

2004. Whoever climbs those stairs and looks up, sees a magnificent Arlecchino by Marino Marini

322 323



Sono due lavori bellissimi (figg. 15 e 16); l’impatto percettivo della monocromia dei cartoni è

decisamente superiore a quello del corrispondente affresco realizzato. In San Domenico le

coloriture appesantiscono e incupiscono le figure e la scena, e si ha l’impressione che non si

tratti semplicemente della difficoltà di leggere adeguatamente l’affresco, ma proprio dell’esito

del lavoro. Qui la sanguigna traccia ancora gli identici segni netti e corposi, ma l’esito è

delicato, freschissimo, l’atmosfera leggera, soffusa. Silenzio e stasi dominano incontrastati,

come in tante altre sue opere. Può apparire paradossale, vista l’identità totale del segno, ma

sembra quasi di essere di fronte a due distinti lavori. Siamo ancora negli anni “buoni” del

pittore, per quanto la fase dedicata agli affreschi rappresenti già un cedimento rispetto alla

lineare e magica purezza degli ultimi anni ’20. Una riflessione sul soggetto e sulla sua realizzazione

fa tornare alla mente la definizione che Gianfranco Contini assegnava alla poesia

pascoliana: umile epos rustico 31 . La pittura di Bugiani ne è l’equivalente pittorico, per quanto

a volte qualcuno – del tutto comprensibilmente – possa avervi al contrario individuato tracce

liriche: niente di più epico del Mulino della Bure, che trasfigura casa e torrente, inventando

per loro una prospettiva che ingigantisce; si guardi il modesto pagliaio della Casa rosa, grande

come le montagne di altri sfondi, tenendo in nessun conto la prospettiva; o perfino le diverse

Madonne in preghiera, con quel manto rosso che non può fare a meno di esaltarle, di staccarle

dallo sfondo come un’apparizione. Può essere colto ogni volta come una vena di lirismo

crepuscolare 32 , ma nel fondo è un’esaltazione epica: umile e rustica, naturalmente. “Il tempo

è una dimensione cromatica” 33 , dice altrove Contini sempre a proposito della poesia pascoliana;

la stessa cosa potremmo dirla di ogni quadro di Bugiani. Qui pastori di primo Novecento

si calano con naturalezza in una vicenda antica di venti secoli, con un tempo cristallizzato,

immobile, eterno. L’evento non è epico di per sé, ma per la composta spiritualità dei protagonisti.

Sono gli umili pastori che adorano il bambino, la scena è tutta per loro 34 . Non c’è spazio

neppure per i genitori, né tanto meno per i consueti asino e bue; una scelta forte e chiara. Lo

stesso bambino, paffutello e con la cuffia, scompare dentro una cesta troppo piccola, oggetto

15. Pietro Bugiani, cartone per l’Adorazione dei pastori

in the corner, but it is difficult to rest one’s gaze on it from that position without being struck

by the proximity and the contiguity between the small oil painting by Fernando Melani on the

wall and the decoration by Sol Lewitt, executed fifty years later. A clear contiguity, which Lara

Vinca Masini- albeit with reference to another work by Melani – captured with great insight 27 .

The wonders, far from ending here, are in fact exalted in the adjacent changing room, a room from

which one could move, until recently, into the adjoining building designed by Alessandro Gherardesca

for Girolamo de’ Rossi 28 . Depicted on the ceiling is La Notte, a fresco which Lucia Gai attributes

to Nicola Monti. The figures in the painting are depicted inside a large monochrome tondo, which

on the flat surface of the ceiling aims to simulate the concavity of a vault, making the confined space

of the room almost like a cave. The preparatory cartoons executed by Bugiani for the Adorazione dei

pastori could have no better destination. An intimate space, protected from sources of direct daylight,

rounded in its four corners, at the bottom as well as at the top: exactly like the cave that sets the

scene for the nativity. The painter of Mulino della Bure, of Casa rosa, of previous Natività (including the

so-called “Madonna Roatta”) and of many other underestimated masterpieces, executed this work

between 1932 and 1933, making it then a gift to the Chapterhouse of the Convent of San Domenico

in 1963 29 . Initially situated in the convent refectory, the fresco is now found, detached, in the Choir,

on the first floor, in an apparently good state of conservation but difficult to read due to the particular

light exposure.

Here instead 30 are the two cartoons executed in sanguine and red pigment applied with a brush on

simple scenery paper, which would render the fresco in San Domenico. They are two very fine works

(fig. 15 and 16); the perceptual impact of the monochrome of the cartoons is decidedly superior to the

corresponding fresco. In San Domenico, the colouring weighs down and darkens both the figures as

well as the scene, and the impression is that it is the actual result of the fresco itself, rather than just

a case of difficulty in reading it. Here, the sanguine traces again the same sharp and robust signs, but

the result is delicate, extremely fresh, the atmosphere light, suffuse. Silence and stillness dominate

16. Pietro Bugiani, cartone per l’Adorazione dei pastori

324 325



rustico quant’altri mai, lasciando che i protagonisti siano i rappresentanti del mondo agreste.

Un terzo cartone che ha le stesse dimensioni in altezza, lo stesso sfondo neutro, che usa

identica carta e identica tecnica, fa pensare a un progetto di affresco leggermente più ampio

rispetto a quello realizzato: rappresenta due figure femminili borghesi, madre e figlia, che

assistono alla scena in disparte, senza potervi partecipare direttamente (fig. 17). Una sottolineatura

plateale dell’estraneità del mondo rispetto a un evento che è soltanto per gli ultimi. Tra

l’altro, per fornire un ulteriore supporto a questa ipotesi, si può aggiungere che la presenza

di queste figure, con l’ampliamento della scena, collocherebbe al centro la cesta col bambino,

come sarebbe del tutto naturale nella rappresentazione 35 .

Sorveglia religiosamente l’evento, posto sul piano di un mobile d’epoca, L’artista e il suo angelo

custode dello scultore pesciatino Libero Andreotti.

Tutto il lato ovest è rimasto a lungo completamente privo di opere. La splendida galleria, con

il suo lungo soffitto a padiglione, è un tripudio di colori e decori, grottesche, figure mitologiche

e rappresentazioni metaforiche. Nella stanza successiva, adibita adesso a Vicepresidenza,

sono riemersi con il restauro finti tendaggi che coprono l’intera superficie delle pareti; la

saletta che precede la Sala delle Assemblee è interamente saturata da cornici e dipinti. Sui

soffitti gli affreschi di Nicola Monti. Era assolutamente impensabile aggiungere qualcosa, per

impossibilità e per inopportunità. Solo la galleria, per quanto decoratissima, presenta pareti

libere, ma il restauro ha restituito loro una colorazione rossa molto forte, impegnativa, per

cui a suo tempo venne del tutto naturale il totale rispetto degli spazi. Solo di recente, con l’acquisizione

delle note fotografie di Aurelio Amendola che ritraggono Alberto Burri durante le

sue Combustioni, si è avuto il coraggio di riempire la parete che guarda verso via de’ Rossi (fig.

18). Il contrasto netto tra vecchio e nuovo, tra decoro pittorico e fotografia, sembra funzionare

alla perfezione, ed è l’ultimo tassello del lavoro svolto al primo piano.

Molto meno impegnativo l’allestimento di secondo e terzo piano; sia per una presenza di

decori ancora importante ma completamente diversa da quella del piano sottostante, sia per

18. Aurelio Amendola, Combustioni – Galleria

17. Pietro Bugiani, cartone con due figure femminili

unchallenged, like in many other works of his. Though it may appear paradoxical, given that the sign

is identical, it is almost like being before two completely different art works. We are still in the painter’s

“good” years, insofar as the phase devoted to the frescoes already represents a lapse compared to

the linear and magical purity of the late 1920s. Reflecting on the subject matter and on the realisation,

reminds us of Gianfranco Contini’s definition of Pascoli’s poetry: humble rustic epos 31 . The painting

by Bugiani is its pictorial equivalent, insofar as someone at times – most understandably – might have

instead identified a lyrical quality there: nothing more epic than Mulino della Bure, which depicts a

house and a river, giving them a perspective that magnifies; then the modest haystack of Casa rosa, as

large as mountains from other backgrounds, without any regard for perspective; or even the various

Madonnas in prayer, with that red mantel that cannot but exalt them, detaching them from the background

like an apparition. It can be taken each time as a vein of twilight lyricism 32 , but it is basically an

epic exaltation: humble and rustic, of course.“Time is a colour dimension” 33 , Contini says elsewhere

again about Pascoli’s poetry; we could say the same thing about every painting by Bugiani. Here,

early twentieth century shepherds drop down in what is a twenty century-old event, a crystallised,

immobile, eternal moment. The episode is not epic in itself, but it is the composed spirituality of the

protagonists. The scene is all for the humble shepherds who adore the child 34 . There is no room even

for the parents, nor for the usual ox and ass; a strong and clear choice. The child himself, plump and

wearing a bonnet, disappears inside a basket that is too small, not a rustic object like others, allowing

the protagonists alone to represent that world. A third cartoon with the same height, the same

neutral background, using the same paper and technique, points to a fresco slightly larger than that

realised: it represents two middle class female figures, mother and daughter, who watch the scene

from the side, without being able to take part in it directly (fig. 17). A clear emphasis of the world’s

removal from an event that is only for the latter. Moreover, further supporting this idea, we can add

that the presence of these figures, with the expansion of the scene, would put the basket with the

child in the centre, as would be completely normal in such a representation 35 .

Religiously watching the event, and placed on the surface of a piece of period furniture,

L’artista e il suo angelo custode by the Pescia-born sculptor Libero Andreotti.

The whole west side was completely devoid of art works for a long time. The splendid gallery, with

its long pavilion ceiling, is a triumph of colours and decorations, grotesques, mythological figures

and metaphorical representations. Restoration work in the next room, now used as the office of

the Vice Presidency, revealed mock covering the entire surface of the walls; the room preceding the

Meeting Room is completely saturated with mouldings and paintings. On the ceilings, frescoes

by Nicola Monti. To add anything else was absolutely unthinkable, it being both impossible and

unsuitable. Only the gallery, though highly decorated, has bare walls, which restoration returned

to their original strong red colour, and it came naturally at the time to fully respect those spaces.

Only recently, with the acquisition of the well-known photographs by Aurelio Amendola portraying

Alberto Burri during his Combustioni, was the courage found to fill the wall facing Via de’ Rossi

(fig. 18). The stark contrast between old and new, between painted decoration and photography,

seems to work perfectly, and it is the final chapter in the work carried out on the first floor.

The display layout of the second and third floor is a lot less challenging; due both to the presence

of decorations, which are still important but completely different from those on the

floor below, as well as to the fact that both levels are used as offices, and as such are cluttered

with the relative equipment and different kind of furnishings. The size of the spaces, however,

is such to allow for the display of many works, which we must look at far more quickly

than those on the piano nobile, but nonetheless giving them full account.

The transition to the second floor presents the finest point of the great staircase, with the

statue of Mercury guarding the two flights; while the actual workmanship might be of little

value, knowing the statue came from the family, that it was the de’ Rossi who bought it and

placed it there 36 , means that, also thanks to the classic elegance of the figure, it can be viewed

with a certain regard (fig. 19). In any case, the staircase is truly impressive, having far more

light than the stairs leading to the first floor and in particular a breathtaking ceiling completely

decorated in stucco. To find the collection, one must pass the landing, right, towards the east

326 327



19. Scalone di accesso al secondo piano il fatto che entrambi i livelli sono adibiti ad uffici, e quindi ingombri di strumentazioni e arredi

di varia natura. La dimensione degli spazi, tuttavia, è tale che ha consentito di collocare

numerosissime opere della collezione, sulle quali di necessità si trascorrerà assai più rapidamente

rispetto a quanto fatto al piano nobile, pur dandone complessivamente conto.

Il passaggio al secondo piano presenta il punto più bello della grande scalinata, con quella

statua di Mercurio posta a guardia delle due rampe; magari la fattura della statua sarà di scarso

pregio, ma il saperla proveniente dalla famiglia, avere notizia che sono stati i de’ Rossi ad acquistarla

e posizionarla lì 36 , fa in modo che, anche grazie all’eleganza classica della figura, la si

consideri con un certo riguardo (fig. 19). In ogni caso la scalinata è davvero imponente, ha molta

più luce di quella che conduce al primo piano e soprattutto ha un soffitto interamente decorato

a stucchi che lascia senza fiato. Per ritrovare la collezione bisogna quindi superare il pianerottolo,

a destra, verso il lato est, tenendo conto che la zona nord di questo livello è interessata per

tre quarti dal doppio volume della sala delle Assemblee. Il disimpegno iniziale è tutto dedicato

all’astrattismo “fiorentino” di Gualtiero Nativi, mentre l’ufficio del Direttore, l’unico a nord,

accoglie un piccolo nucleo di opere dei pittori della scuola di Pistoia e della generazione di

mezzo: Pietro Bugiani, Alberto Caligiani, Giuseppe Gavazzi, Mirando Iacomelli. Proseguendo

invece ancora sul lato est si incontrano opere di Mario Nigro e nuovamente Nativi, che risulta

il vero protagonista di questi spazi, per numero e dimensione di opere. Superato il disimpegno

dell’ascensore, troviamo lavori di Gordigiani, Iacomelli, Nigro, Umberto Brunelleschi (fig. 20)

e Alfredo Fabbri.

Anche l’ala ovest raccoglie esclusivamente Novecento pistoiese: in rapida carrellata, Alfiero

Cappellini, Corrado Zanzotto, Vasco Melani, Alberto Giuntoli, Aldo Frosini, Roberto Barni,

Romeo Costetti.

Usciti di nuovo sul pianerottolo e riguadagnato il disimpegno dedicato a Nativi, imbocchiamo

a sinistra la scala che sale al terzo piano. Su queste rampe decisamente più strette veniamo

a contatto con opere di Frosini, Cappellini e Gordigiani.

side, bearing in mind that the north area of this floor is three quarters occupied by the double

volume of the Meeting Room. The first ante-room is completely dedicated to the “Florentine”

abstractionism of Gualtiero Nativi, while the Director’s office, the only one north, is home to

a small nucleus of works by painters from the Pistoia school and by the generation in between:

Pietro Bugiani, Alberto Caligiani, Giuseppe Gavazzi and Mirando Iacomelli. Continuing to

the east side, we come across works by Mario Nigro and Nativi, again, who is the real protagonist

of these spaces, in terms of number and size of the works. Past the lift area, we find works

by Gordigiani, Iacomelli, Nigro, Umberto Brunelleschi (fig. 20) and Alfredo Fabbri.

Even the west wing is home to exclusively twentieth century Pistoia artists, listed quickly as

Alfiero Cappellini, Corrado Zanzotto, Vasco Melani, Alberto Giuntoli, Aldo Frosini, Roberto

Barni and Romeo Costetti.

Back out again on the landing and through the ante-room dedicated to Nativi, we take a left

up the stairs to the third floor. On these decidedly narrower flights of steps we come into

contact with works by Frosini, Cappellini and Gordigiani.

On the third floor the series of local twentieth century artists continues, with works by Marino

Marini, Pietro Bugiani, Achille Lega (fig. 21), Giulio Innocenti, Luigi Bruno Bartolini,

Renato Bolcioni and Alberto Caligiani. All of these works constitute, without particular intent

or design, a showcase of a certain part of the collection and its nature. Two rooms remain

where the display continues to have a mainly furnishing function, but more designed and

constructed for reasons of space: the mezzanine of the third floor and the roof terrace (fig. 22).

The mezzanine is a very large room but with a pitched roof, sloping down low to the back

wall. Its size and complete lack of decorations meant that quite a significant group of works

could be displayed there, to give yet another glimpse of the twentieth century: Nativi, Barni

and Cappellini again, plus Zanzotto and Caligiani, but also Egle Marini, Sigfrido Bartolini,

Plinio Nomellini 37 as well as two examples of Giuseppe Magni’s nineteenth century work.

On the terrace, characterised by much light streaming in through the large windows, and un-

20. Umberto Brunelleschi, Maschere a Venezia

328 329



Al terzo piano prosegue la rassegna di Novecento pistoiese, con lavori di Marino Marini, Pietro

Bugiani, Achille Lega (fig. 21), Giulio Innocenti, Luigi Bruno Bartolini, Renato Bolcioni

e Alberto Caligiani. Tutte queste opere rappresentano, senza particolari velleità o disegni,

una vetrina di parte della collezione e della sua natura. Rimangono invece due locali dove

l’allestimento continua ad avere prevalente funzione di arredo, ma per motivi di spazio risulta

maggiormente pensato e costruito: il mezzanino del terzo piano e l’altana (fig. 22).

Il mezzanino è una sala assai ampia ma con copertura spiovente, piuttosto bassa nella parete terminale.

Le sue dimensioni e l’assenza totale di decori hanno fatto sì che fosse possibile raggruppare

un nucleo abbastanza consistente di opere, un ulteriore spaccato sul Novecento: ancora

Nativi, Barni e Cappellini, ancora Zanzotto e Caligiani, ma anche Egle Marini, Sigfrido Bartolini,

Plinio Nomellini 37 nonché due testimonianze del lavoro ottocentesco di Giuseppe Magni.

Sull’altana, caratterizzata dalla grande luce che proviene dalle amplissime vetrate e arredata unicamente

con un lungo tavolo di cristallo, si è del tutto messo da parte il figurativo e selezionato cinque

opere di dimensione media e grande di taglio decisamente moderno. Accanto al Grande tondo

graficista di Massimo Biagi e Eternal Sunshine di Federico Gori, due contemporanei in piena attività,

si sono disposti tre lavori astratti di autori ormai scomparsi: Mario Nigro, Agenore Fabbri e

Aldo Frosini. Tre nomi che ritroveremo presto nell’affrontare la disposizione delle sale espositive.

21. Achille Lega, Paesaggio

Il vero nucleo della collezione è raggruppato nelle sale a piano terra, ed è questo il motivo per cui

gli è stata riservata la parte finale di questo scritto. La destinazione a spazio espositivo ha natura

progettuale: fin dal primo momento, pensando al restauro del palazzo, si è ipotizzato che queste

sale fossero destinate alla collezione, e così è stato. I tempi per il progetto di allestimento sono

stati molto brevi 38 , ma il disegno era già chiaro perché era il medesimo che aveva improntato la

costruzione della collezione, e quindi i problemi da affrontare sono stati principalmente quelli di

natura logistica, di rapporto con gli spazi a disposizione per la collocazione delle opere 39 .

Già nel nome della collezione, Arte pistoiese attraverso i secoli, sta racchiuso il motivo conusually

furnished with a long glass table, the figurative part is completely put aside in favour of

five medium and large works with a decidedly modern spin. Next to the Grande tondo graficista

by Massimo Biagi and Eternal Sunshine by Federico Gori, two contemporaries at their height,

are three abstract works by the now late artists Mario Nigro, Agenore Fabbri and Aldo Frosini.

Three names we will soon come back to when we deal with the layout of the exhibition rooms.

The real nucleus of the collection is brought together in the rooms on the ground floor, which is

why they have been reserved the final part of this piece. Their use as exhibition space was planned:

right from the start, when considering the restoration of the palazzo, it was imagined that these

rooms would be destined for the collection, and that is indeed how it was. The timeframe for the

exhibition design was very short 38 , but the plan was already clear since it was the same that had

characterised the construction of the collection, and therefore the problems faced were mainly

logistical, regarding the relationship with the spaces available for displaying the works 39 .

Within the name of the collection itself, Arte pistoiese attraverso i secoli (Art in Pistoia through

the centuries) lies the leitmotif of the selection, which refers to the local area and to the

documented time span. The criteria adopted was thus to use the five available rooms and

the long corridor to build a chronologically organised layout. In that way it was possible to

display a large part of the collection, while at the same time offering the chance to transform

the visit into a journey through the last seven centuries of art production in the area. A journey

by selection, by no means exhaustive yet with no particularly serious gaps, being able to

count on large spaces and a sizeable number of works to choose from 40 .

The division into four sections is rather unbalanced, and this derives from the fact that most

of the collection is devoted to the last century. The clear reasons for this have already been

mentioned, going way beyond the belief in the major importance of local twentieth century art:

later works are easier to acquire and generally cost a lot less than art works from the less recent

past. That is why the first section brings together works from the fourteenth to the sixteenth

centuries; the second, those from the seventeenth to the nineteenth centuries; the third is

devoted to the early twentieth century, and the last section to the second half of the twentieth

century 41 . The disproportion in favour of the most recent century is already quite clear.

The first section is situated in the first two rooms, the smallest ones 42 ; the oldest works are fourteenth

century, since there is nothing from the previous period. Moreover, thirteenth century

art in Pistoia is linked to the Coppo Crucifix by Marcovaldo and Salerno di Coppo, preserved

in the Cathedral and recently restored by Alfio Del Serra at the behest of the Foundation. The

production in that period, furthermore, is mainly in stone, and it is thus no coincidence that the

century concludes with the most important creation, the pulpit in the church of Sant’Andrea.

It is undoubtedly the weakest section: the local area in fact offers so much more than what can

be found in these two rooms. The highly notable heritage of the Civic Museum, the Diocesan

Museum, the churches, the oratories and the convents together document that long and fervid

period 43 in much more detail. However, points of interest and quality works are still here;

though small, the glimpse offered by these two rooms presents essential documentation for

whoever wishes to study that time. First, it photographs one aspect that has become, for the

fourteenth century in Pistoia, a definitive historical fact: the concurrence of a local and highly

characteristic “school”, and contributions which the city received from artists coming from

other places 44 .In fact, the collection presents works undoubtedly produced by local artists,

but also works executed in and for Pistoia by Florentine artists. Another element to be underlined

is the documentation of painters who left even widespread traces in the area. Just think,

limiting ourselves to two fourteenth century examples, of the artist known as the “Master of

the Bracciolini Chapel”, author of large, important cycles such as those in San Francesco 45 and

in the Oratorio di Serravalle 46 ; or of Niccolò di Tommaso, the Florentine painter of the cycle

in the church of Tau 47 , who had also worked in SS Annunziata. Here both are present, respectively

with a large lunette and a tabernacle , and with a highly valuable wood panel.

These general considerations aside, the first two rooms do offer many points of interest. In the

330 331

22. Altana



24. Amadeo Laini da Pistoia, Madonna in trono fra i santi

Simone e Taddeo

23. Maestro della Cappella Bracciolini, Madonna col bambino

first room we find, for example, what is called the “lunettone”, an impressive local work depicting

the Madonna and Child surrounded by the two saints Bartholomew and James (fig. 23): the

fresco, attributable almost certainly to the master of the Bracciolini Chapel, comes from the

entrance of the old twelfth century hospital of “San Bartolomeo dell’Alpi”, also known as Pratum

Episcopi 48 . We have the Madonna con angeli musicanti by Bartolomeo di Andrea Bocchi (fig.

26), a local fourteenth century painter, active in Prato, Pistoia and Lucca 49 ; the Incoronazione della

Vergine by Lorenzo di Niccolò Gerini, with its finely crafted cusped gold leaf background which

takes us back to the 14 th century 50 . The most valuable piece is perhaps the Vergine col bambino (fig.

25), un a marble bas-relief by Domenico Rosselli, fascinating for its freshness, sharpness and

elegance. The sculptor, from the Florentine school but born in Pistoia, was one of the leading

artists of the Renaissance. Also attributed to his hand is the portrait of Battista Sforza, wife of

Duke Federico da Montefeltro 51 .

The second room offers some strong pieces from the collection, starting with the magnificent Madonna

in trono by Amadeo Laini (fig. 24), still in its original tabernacle with the coat-of-arms of the

Gatteschi family, which for centuries kept it in Montegattoli villa, just before Vinacciano 52 . It is

almost unique, given that you would have to travel to New Jersey, to the Museum of Rutgers University

to view another work by this artist 53 . Also of note is the Annunciazione by Fra’ Paolino, a classic

example of Renaissance composure by one of the local protagonists in that flourishing period.

Another lunette, this time much smaller but no less interesting, is displayed opposite the Amadeo,

and is the work of another very poorly documented local painter from the 16th century: Giuliano

Panciatichi. The explicitly allegorical representation, with the presence of the hourglass and death

with the sickle next to a crucified Christ, is underlined by the quote from Ecclesiasticus, which is a

variation on the classic Memento mori 54 . Also in this case, like with Amadeo and others, we have before

us a work that stands as a strong point of the collection in terms of local art history, precisely for

the fact that all that remains of the work by Giuliano is the Immacolata Concezione in the church of

SS Annunziata, as well as the Madonna e Santi kept in Palazzo dei Vescovi, which Alessandro Nesi at-

duttore delle scelte, che si richiama al territorio di riferimento e all’evoluzione temporale

documentata. Il criterio adottato è stato dunque quello di utilizzare le cinque sale disponibili

e il lungo corridoio per costruire un percorso organizzato cronologicamente. In tale modo

diventa possibile offrire un ampio spaccato della raccolta, ma si offre al contempo la possibilità

di trasformare la visita in un viaggio all’interno degli ultimi sette secoli della produzione

artistica del nostro territorio. Un viaggio, ovviamente, per campionatura, senza pretese di

esaustività; ma anche senza vuoti particolarmente clamorosi, potendo contare su spazi importanti

e su una cospicua possibilità di scelta 40 .

La ripartizione in quattro sezioni è abbastanza squilibrata, e ciò deriva dal fatto che la parte

di gran lunga prevalente della raccolta è quella dedicata al secolo scorso. Si è già fatto cenno

delle ovvie motivazioni, che vanno assai al di là del convincimento di un Novecento pistoiese

di grandissimo rilievo: le opere vicine a noi sono più facilmente reperibili e costano generalmente

molto meno rispetto ai prodotti artistici del passato meno recente. Per questo motivo

la prima sezione raggruppa opere dal Trecento al Cinquecento; la seconda quelle che vanno

dal Seicento all’Ottocento; la terza è dedicata al primo Novecento; l’ultima al secondo Novecento

41 . Fin troppo evidente la sproporzione tutta a vantaggio del secolo più recente.

La sezione iniziale è collocata nelle prime due sale, le più piccole 42 ; le opere più antiche sono

trecentesche, non si conserva niente del periodo precedente. Del resto l’arte del Duecento

a Pistoia è legata al Crocefisso di Coppo di Marcovaldo e Salerno di Coppo, conservato in

Duomo e recentemente restaurato da Alfio Del Serra proprio su iniziativa della Fondazione.

La produzione del periodo, inoltre, è opera prevalentemente lapidea: non è un caso che il

secolo si chiuda con la realizzazione più significativa, quella del pulpito di Sant’Andrea.

Si tratta senza dubbio della sezione più debole: il territorio conserva ben altro rispetto a

quanto si può trovare in queste due sale. Il notevolissimo patrimonio del Museo Civico, il

Museo Diocesano, le chiese, gli oratori e i complessi conventuali nel loro insieme documentano

in maniera assai più articolata quel lungo e fervido periodo 43 . Tuttavia non mancano motributes

to Panciatichi for its clear stylistic consistencies. Before the lunette is the precious Madonna

del latte, a fourteenth century cusped wooden panel by the aforementioned Niccolò di Tommaso.

In the third room 55 , that is, the section that includes works dating to between the seventeenth and

the nineteenth century, a certain weakness could likewise be found, particularly for the lack and

poor significance of seventeenth century works, represented here only by the rather uninspiring

canvas by the Pescia-born painter Lazzaro Baldi, author of San Francesco di Sales che predica. But this

claim would in fact be undeserved, since in reality the section can count on the important collection

in the Gimignani Room of the adjoining Palazzo Sozzifanti. The room, mainly destined for

Foundation board meetings, contains a sizeable and important group of works by Giacinto Gimignani,

purchased over the years and becoming a specific section of the collection in its own right.

The Pistoia painter, also thanks to the patronage of the Rospigliosi family (particularly Giulio, who

became pope in 1667 under the name Clement IX), was highly successful both in Rome as well as

in Florence, besides his own native city, receiving commissions from the most important families

of the time, and from public and religious institutions. Still today, Pistoia is home to a considerable

collection of his vast oeuvre, distributed here and there 56 . The room that has taken his name brings

together ten works of different sizes as well as the preparatory drawing for one of the canvases 57 .

Returning to the room, however, it can be described in part as a proper tribute to the highly

skilled painters who between the eighteenth and nineteenth centuries focused part of their

artistic efforts on the walls or the ceiling of the palazzo. Three of these, Teodoro Matteini,

Giuseppe Bezzuoli and Bartolomeo Valiani, are now represented also in the exhibition rooms

of the building in which they once worked, about two centuries ago, to masterfully decorate

the noble residence. Matteini is there with a unique and truly beautiful work, a portrait of

Pius VII which is a copy of another piece by Jacques-Louis David kept in the Louvre (fig. 29):

unique because the painter (who was no stranger to copying) had independently portrayed

the pope on at least four other occasions 58 ; it is particularly beautiful for the great facial expression,

veiled by a clear melancholy which is completely absent in the original work.

332 333



25. Domenico Rosselli, Vergine col bambino

tivi di interesse e non mancano opere di qualità; nel suo piccolo, lo spaccato che queste due

sale sono capaci di offrire presenta una documentazione irrinunciabile per chiunque voglia

studiare quella stagione. Per prima cosa fotografa un aspetto che è diventato, per il Trecento

pistoiese, un dato storiografico acquisito: la compresenza di una “scuola” locale fortemente

connotata e di contributi che la città riceve da artisti provenienti da altre realtà 44 . Infatti la

raccolta presenta opere sicuramente prodotte da artisti pistoiesi, ma anche lavori eseguiti a

Pistoia e per Pistoia da artisti fiorentini. Un altro elemento da sottolineare è quello della documentazione

di pittori che sul territorio hanno lasciato tracce anche molto vaste. Si pensi,

limitandosi a due esempi trecenteschi, al cosiddetto “Maestro della Cappella Bracciolini”,

autore di cicli ampi e importanti come quelli in San Francesco 45 e nell’Oratorio di Serravalle 46 ;

oppure a Niccolò di Tommaso, il pittore fiorentino del ciclo del Tau 47 , che aveva lavorato tra

l’altro anche alla SS. Annunziata. Qui sono presenti rispettivamente con una grande lunetta e

una tavola tabernacolo il primo, con una pregevolissima tavoletta l’altro.

A prescindere da queste considerazioni generali, sono davvero molteplici gli spunti che si possono

cogliere nelle due prime sale. Restando in quella iniziale troviamo ad esempio il cosiddetto

“lunettone”, imponente opera pistoiese che riproduce la Madonna col bambino contornata

dai due santi Bartolomeo e Jacopo (fig. 23): l’affresco, attribuibile con una certa sicurezza al

maestro della Cappella Bracciolini, proviene dall’accesso dell’antico ospedale duecentesco di

“San Bartolomeo dell’Alpi”, detto anche di Pratum Episcopi 48 . Abbiamo la Madonna con angeli

musicanti di Bartolomeo di Andrea Bocchi (fig. 26), pittore locale quattrocentesco, attivo tra

Prato, Pistoia e Lucca 49 ; l’Incoronazione della Vergine di Lorenzo di Niccolò Gerini, un fondo oro

cuspidato di eccellente fattura che ci fa ritornare verso il XIV secolo 50 . Il pezzo di maggiore

pregio è forse la Vergine col bambino (fig. 25), un bassorilievo in marmo di Domenico Rosselli davvero

affascinante per freschezza, eleganza, incisività. Lo scultore, di scuola fiorentina ma nato a

Pistoia, è uno tra i protagonisti del Rinascimento. Si attribuisce alla sua mano anche il ritratto

di Battista Sforza, consorte del duca Federico da Montefeltro 51 .

La seconda sala presenta alcuni pezzi forti della collezione, a partire dalla magnifica Madonna

in trono di Amadeo Laini (fig. 24), ancora iscritta nel proprio tabernacolo originale con gli

stemmi della famiglia Gatteschi, che per secoli l’ha conservata nella villa di Montegattoli, poco

prima di Vinacciano 52 . Quasi un unicum, visto che per prendere visione di un’altra opera di questo

autore sarebbe necessario recarsi nel New Jersey, nel Museo dell’Università di Rutgers 53 . Di

rilievo anche l’Annunciazione di Fra’ Paolino, classico esempio di compostezza rinascimentale

di uno dei protagonisti locali di quella floridissima stagione. Un’altra lunetta, stavolta molto

più piccola ma non meno interessante, la incontriamo di faccia ad Amadeo, ed è opera di

un altro pittore pistoiese del ‘500 assai scarsamente documentato: Giuliano Panciatichi. La

rappresentazione esplicitamente allegorica, con la presenza della clessidra e della morte con

la falce a fianco di un Cristo crocefisso, viene sottolineata dalla citazione dall’Ecclesiastico, che

replica in variante il classico Memento mori 54 . Anche in questo caso, come per Amadeo e per

altri, siamo di fronte a una presenza che segna un punto di forza della collezione per la storia

dell’arte locale, proprio per il fatto che dell’opera di Giuliano è rimasta soltanto l’Immacolata

Concezione della SS. Annunziata, oltre a una Madonna e Santi conservata in Palazzo dei Vescovi

che Alessandro Nesi attribuisce al Panciatichi per consonanze stilistiche evidenti. Precede

la lunetta la preziosa Madonna del latte, una tavoletta cuspidata trecentesca del già ricordato

Niccolò di Tommaso.

Alla terza sala 55 , cioè la sezione che comprende opere tra Seicento e Ottocento, si potrebbe

ugualmente imputare una qualche debolezza, in particolare per la scarsa presenza e significatività

di opere secentesche, di fatto rappresentate soltanto dalla poco entusiasmante tela del pittore

pesciatino Lazzaro Baldi, autore del San Francesco di Sales che predica. L’imputazione risulterebbe

ingenerosa, perché in realtà la collezione può contare sulla rilevante raccolta della sala Gimignani

del contiguo Palazzo Sozzifanti. Nella sala, principalmente destinata alle riunioni del Consiglio

Generale della Fondazione, è infatti collocato un nutrito e importante gruppo di lavori di Giacinto

Gimignani, acquistati nel tempo e divenuti una specifica sezione della collezione. Il pittore

A recent purchase is the canvas by Bezzuoli depicting Cerere in cerca di Proserpina (fig. 28): a classic subject,

a classic arrangement and typical product of the early Italian nineteenth century which brings

together great representational skill and complete immersion in a mythological past. The contemporary

and history, the other branch of the “stupid 19 th century”, return with the work by Bartolomeo

Valiani, which depicts the face of Niccolò Puccini, indisputable protagonist in the city’s political-cultural

tensions at that time, on a large bas-relief medallion . The taste for representing everyday life is

instead expressed in a canvas by Giuseppe Magni, Focolare domestico; a work that can easily be accused

of being academic, outmoded, maybe even rhetorical, yet beautiful in its living and dignified realism.

The rest of the room is mainly occupied by just two artists, each one present with three works:

Luigi Garzi and Antonio Puccinelli. By the former, and standing out for its prominence and

representational quality, is Il ritorno del figlio prodigo; but the real protagonist of these spaces

is the painter from Castelfranco di Sotto, who can be rightfully considered Pistoiese through

his second marriage and for his long and active presence in the city 59 . His works, each one

finer than the one before, include three genuine masterpieces, starting with the little gem of

the sketch for La bagnante, one of the most successful canvases and the most famous by this

painter. Moreover the works are all local even in their original destination, insofar as the canvas

(not the sketch, as far as is known) formed part of the Ganucci Cancellieri collection since the

nineteenth century. The second painting, La signora Costanza Comparini Papini, comes originally

from the family of the figure portrayed, the Baldi Papinis; the third, recently acquired by the

Asilo Regina Margherita, to which it was donated, belonged to Isabella Bovani, aunt of Puccinelli’s

wife. It is Un episodio della strage degli innocenti, a painting from his mature phase which

continues, with outstanding results, a subject already dealt with in his youth as a test for the

scholarship received from the Florence Academy of Fine Arts. The President of the judging

committee, to close the circle, was his drawing teacher, Giuseppe Bezzuoli, who now seems

almost to be paying him tribute by occupying the corner of the room with his Proserpina.

All of the remaining spaces are devoted to the twentieth century: the corridor and the two

largest rooms (figg. 27 and 35). The route begins in the left wing of the corridor 60 , which is

chronologically linked to room IV 61 with the works documenting the first half of the century.

It is definitely the best room for the arts in Pistoia 62 and what it dared to produce. It succeeded

in creating itself a role, playing a part in the events of the time in an active, dynamic

way. Instead of living off reflected glory, it was, for a certain period, proactive and attractive.

It claimed its own identity, it had its own character; not that the proportions of things

changed suddenly, which was impossible, but the relations did. It is not the big and the small

that establish the validity of a pathway, of a process, and therefore of a result, but rather the

intensity and the awareness of actions, together with the ability to govern them. This happened

in Pistoia in the first two decades of the century (particularly between the end of the

first and not long after Italy’s entry in the war) and its fruits are evident and clearly traceable.

How could one otherwise explain how two young men, who both unfortunately passed away

at an early age, could breathe such an international air by barely moving from home? The

work of Andrea Lippi is miles away from the usual local production; it is edgy and innovative,

it is anchored to the finest tradition of the past and yet at the same time stimulated

by European symbolism. Mario Nannini is the “incognito futurist ” from Buriano, capable

of keeping up with the best in intuition and representational skill right in the movement’s

dynamic phase. The former died in 1916, at age twenty-eight; the latter two years later, at age

twenty-three. Yet in both cases we don’t feel the need to evaluate what could have been and

was not: they are two complete and concluded experiences, both of major importance 63 . Two

jewels in the crown, as opposed to minor figures of more of less insignificance.

It is easy to add the name of another two sons of the same scene. Giovanni Michelucci is

definitely among the main players, being one of those who also for age reasons helped to sow,

to spread the right instructions, to facilitate fitting relationships, to create a better cultural

climate. Marino Marini is the enfant prodige who captured the right stimuli of what was a fervid

scene, made use of them and thanks to that and to his own talents, would build a formidable

26. Bartolomeo Bocchi, Madonna con angeli musicanti

334 335



27. Sala del primo Novecento

pistoiese, anche grazie al favore della famiglia Rospigliosi (in particolare di Giulio, divenuto papa

nel 1667 col nome di Clemente IX), ebbe un grande successo sia a Roma che a Firenze, oltre che

nella città natale, ricevendo commesse dalle più importanti famiglie del tempo, da istituzioni

pubbliche e religiose. A Pistoia si conserva ad oggi, variamente distribuita, una messe non piccola

della sua vasta produzione 56 . Nella sala che è stata a lui intitolata sono adesso raccolte dieci

opere di varia dimensione nonché il disegno preparatorio di una delle tele 57 .

Ritornando invece alla sala, si potrebbe in parte descriverla come un doveroso omaggio ai valentissimi

pittori che tra Sette e Ottocento hanno destinato parte dei loro sforzi produttivi proprio

alle pareti o alle volte del palazzo. Ben tre di questi, Teodoro Matteini, Giuseppe Bezzuoli

e Bartolomeo Valiani, sono adesso rappresentati anche nelle sale espositive dell’edificio che li

ha visti all’opera, circa due secoli orsono, per decorare sapientemente quella dimora signorile.

Matteini è presente con un’opera singolare e davvero bella, un ritratto di Pio VII che è la copia

del lavoro di Jacques-Louis David conservato al Louvre (fig. 29): singolare perché il pittore (che

pure non era nuovo all’esercizio della copia) aveva autonomamente ritratto il pontefice almeno

in quattro altre circostanze 58 ; bella in particolare per una maggiore espressività del volto, velato

da una trasparente malinconia che nell’opera originale è quasi del tutto assente.

Del Bezzuoli è stata di recente acquistata la tela che illustra Cerere in cerca di Proserpina (fig.

29): classico il tema, classica la stesura, un tipico prodotto di primo Ottocento italiano in

cui convivono grandissima abilità pittorica e totale immersione in un passato mitologico. La

contemporaneità e la storia, altra costola dello “stupido XIX secolo”, ritornano invece con

l’opera di Bartolomeo Valiani, che raffigura in un grande medaglione a bassorilievo il volto

di Niccolò Puccini, indiscusso protagonista delle tensioni politico-culturali cittadine del suo

tempo. Il gusto per la rappresentazione del quotidiano è invece affidato a una tela di Giuseppe

Magni, Focolare domestico; un lavoro che si potrà facilmente accusare di essere accademico,

sorpassato, magari anche retorico, ma bello nel suo vivo e composto realismo.

Il resto della sala è principalmente occupato da due soli autori presenti ciascuno con tre

opere: Luigi Garzi e Antonio Puccinelli. Del primo spicca per imponenza e qualità pittorica

Il ritorno del figliol prodigo; ma il vero protagonista di questi spazi è il pittore di Castelfranco

di Sotto, a buon diritto anche pistoiese per il secondo matrimonio e per la sua lunga e attiva

presenza in città 59 . Le opere sono una più bella dell’altra, tre autentici capolavori, a partire

dal piccolo gioiello costituito dal bozzetto per La bagnante, una delle tele più riuscite e più

note di questo pittore. Tra l’altro le opere sono tutte pistoiesi anche per destinazione iniziale,

in quanto la tela (non il bozzetto, che si sappia) faceva parte della collezione Ganucci Cancellieri

fin dall’Ottocento. Il secondo dipinto, La signora Costanza Comparini Papini, proviene

originariamente dalla famiglia del personaggio ritrattato, i Baldi Papini; il terzo, di recente

acquistato dall’Asilo Regina Margherita, cui era giunto per donazione, era di proprietà di Isabella

Bovani, zia della moglie di Puccinelli. Si tratta di Un episodio della strage degli innocenti (fig.

30), un dipinto della maturità che riprende con eccellenti risultati un tema già affrontato in

epoca giovanile quale saggio per la borsa di studio ricevuta dall’Accademia fiorentina di Belle

Arti. Presidente della commissione giudicatrice, per chiudere il cerchio, era il suo insegnante

di disegno, quel Giuseppe Bezzuoli che adesso sembra quasi rendere omaggio facendogli

angolo nella sala con la sua Proserpina.

Al Novecento sono dedicati tutti gli importanti spazi successivi, il corridoio e le due sale più

vaste (figg. 27 e 35). Il percorso inizia nel braccio sinistro del corridoio 60 (fig. 32), che cronologicamente

è collegato alla sala IV 61 con le opere che documentano la prima metà del secolo.

Si tratta decisamente della migliore stagione per le arti a Pistoia 62 , quella che non si è limitata a

produrre, a realizzare; è riuscita a crearsi un ruolo, a stare dentro le vicende del tempo in modo

attivo, dinamico. Anziché vivere di luce riflessa, è stata per un certo periodo propositiva e attrattiva.

Ha conquistato una propria identità, ha avuto una fisionomia; non che improvvisamente siano

cambiate le proporzioni delle cose, era impossibile, ma le relazioni sì. Non sono il piccolo e il grande

che stabiliscono la validità di un percorso, di un processo, e quindi di un esito, quanto piuttosto

l’intensità e la consapevolezza delle azioni, unitamente alla capacità di governarle. Nei primi due

career. Like that of Michelucci. Right afterwards, practically at the same time, came the “Pistoia

school”, with many high level players, such as Bugiani, Agostini, Caligiani, Cappellini and

more: a recognisable and recognised school, even a great distance from the city walls.

It could not have been an accident, of course, but the result of a complex work of preparation

that found in Renato Fondi and Giovanni Costetti’s “Tempra” – with the system of relationships

it could produce – the pivot upon which the entire system revolved. The small Pistoia magazine

cannot be simplistically reduced to a banal importation of a phenomenon which then made a

school and a movement in the main city: it was an independent product, a driving force, alive, and

therefore capable of producing life blood. And it did produce life blood, as we have just seen 64 .

Without delving any more into a theory already discussed elsewhere, there is nothing to do but

sum things up: room IV (fig. 27) is the feather in the cap of the entire collection, presenting a series

of exemplary works , selected with precision and values 65 . A room which, regardless of its location,

would always cut a fine figure. The armless Giocoliere by Marino, a work dated 1944, is at the

centre of a magical space that contains genuine masterpieces by Bugiani, such as the famous “man

fishing”, namely Pomeriggio domenicale, the Madonna col manto rosso and the Casa rosa (also known as

Sera nell’aia). The series of futurist paintings by Nannini (fig. 34) in fact represent the most largest

testament in circulation of absolute skill 66 . The self portrait by Galileo Chini, the oils by Giulio

Innocenti, Alberto Caligiani, Renzo Agostini, Alfiero Cappellini and Achille Lega also form a most

worthy crown for Marino’s sculpture. The work that performs the miracle of synthesis is, however,

the portrait of the sculptor in his youth, which Giovanni Costetti executed in 1926 (fig. 31). It is

not just a tribute to he who would become the best of the batch, but was actually painted by the

most authentic driving force, together with Renato Fondi and to a lesser extent Michelucci, of this

little golden age. In one single piece we have the excellent sower and the most prized fruit of the

crop, Costetti, who for his age, ability, prestige, role and knowledge, was the veritable god in the

Pistoia of that time. Marino Marini was undoubtedly the product of major success, who came a

long way, and what a way. The established master paints an ambitious and determined youth, who

28. Giuseppe Bezzuoli, Cerere in cerca di Proserpina

29. Teodoro Matteini, Ritratto di Pio VII

336 337



30. Antonio Puccinelli, Un episodio della strage degli innocenti

decenni del secolo (ma particolarmente a cavallo tra la fine del primo e poco oltre l’ingresso in

guerra dell’Italia) a Pistoia questo è successo e i frutti sono evidenti e chiaramente rintracciabili.

Come si potrebbe spiegare diversamente che due ragazzini, entrambi purtroppo morti assai

prematuramente, possano respirare un’aria internazionale quasi senza muoversi da casa? Il lavoro

di Andrea Lippi è lontanissimo dalla consuetudine provinciale, è inquieto e innovativo,

è ancorato alla migliore tradizione del passato e al tempo stesso innervato da pulsioni simboliste

di respiro europeo. Mario Nannini è il “futurista in incognito” di Buriano, capace di stare

all’altezza dei migliori per intuizione e capacità realizzativa proprio nella fase propulsiva del

movimento. Il primo muore nel 1916, a ventotto anni; il secondo due anni dopo, a ventitré.

Eppure in entrambi i casi non siamo portati a valutare tutto quello che avrebbe potuto essere

e non è stato: si tratta di due esperienze concluse e di grande rilievo 63 . Si tratta di due punte

di diamante, non di comprimari più o meno trascurabili.

È facile aggiungere il nome di altri due figli di quello stesso scenario. Giovanni Michelucci è

proprio tra gli attori protagonisti, è tra quelli che anche per motivi anagrafici hanno contribuito

a seminare, a diffondere le indicazioni opportune, a consentire le relazioni appropriate,

a creare il clima culturale più idoneo. Marino Marini è l’enfant prodige che cattura gli stimoli

giusti di un ambiente in ebollizione, sa servirsene e grazie a quelli e alle proprie doti saprà

costruire una carriera formidabile. Come è stata formidabile quella di Michelucci. Subito di

seguito, praticamente assieme, la “scuola di Pistoia”, con numerosi protagonisti di alto livello,

quali Bugiani, Agostini, Caligiani, Cappellini e non solo: una scuola riconoscibile e riconosciuta,

anche a grande distanza dalle mura cittadine.

Non può trattarsi di frutti del caso, ovviamente, ma di un complesso lavoro di preparazione

che ha nella “Tempra” di Renato Fondi e Giovanni Costetti – con il sistema di relazioni che

è capace di produrre – il perno su cui ruota l’intero sistema. La piccola e stentata rivista pistoiese

non può essere ridotta semplicisticamente a banale importazione di un fenomeno che

nel capoluogo faceva scuola e tendenza: è un prodotto autonomo, vivo e propulsivo, capace

quindi di produrre linfa e di quella buona. E linfa buona ha prodotto, come si è appena visto 64 .

Senza approfondire ulteriormente una tesi già elaborata altrove, non resta che tirare le somme

del ragionamento: la sala IV (fig. 27) è il fiore all’occhiello dell’intera collezione, presentando

una serie di opere esemplari, di rigore e valore selezionato 65 . Una sala che, ovunque

volessimo collocarla, non mancherebbe di fare la sua figura. Il Giocoliere senza braccia di Marino,

opera del 1944, sta al centro di uno spazio magico che racchiude autentici capolavori di

Bugiani quali il celebre “omino che pesca”, ovvero Pomeriggio domenicale, la Madonna col manto

rosso e la Casa rosa (detta anche Sera nell’aia). La serie di dipinti futuristi di Nannini (fig. 34)

rappresenta di fatto la testimonianza più ampia in circolazione di un’esperienza di livello assoluto

66 . L’autoritratto di Galileo Chini, gli oli di Giulio Innocenti, Alberto Caligiani, Renzo

Agostini, Alfiero Cappellini e Achille Lega fanno anch’essi corona degnissima alla scultura di

Marino. L’opera che compie il miracolo della sintesi è però il ritratto dello scultore da giovane

che Giovanni Costetti eseguì nel 1926 (fig. 31). Non è soltanto l’omaggio a colui che diverrà il

migliore del lotto, ma viene dipinto proprio dal propulsore più autentico, assieme a Renato

Fondi e in parte minore Michelucci, di questa piccola età dell’oro. In un unico pezzo abbiamo

l’eccellente seminatore e il frutto più pregiato della semina. Costetti, per età, abilità, prestigio,

ruolo e conoscenze, fu il vero e proprio nume tutelare nella Pistoia di quegli anni. Marino

Marini è stato indubbiamente il prodotto di maggiore successo, quello che ha fatto più

strada, e strada migliore. Il maestro affermato dipinge un giovane ambizioso e determinato,

che sa quello che vuole. Il ritratto, bellissimo, coglie la regalità dell’atteggiamento, la matura

consapevolezza, la tensione vibrante per l’agire: una radiografia resa più esplicita dalla raffinata

semplicità della veste con gli alamari e dalla scelta di un azzurro creativo e comunicativo.

Una lezione, quella dell’indagine psicologica, che il ritrattato saprà ottimamente mettere a

frutto nella innumerevole serie dei volti in bronzo che verrà realizzando.

Il ragionamento preliminare ci ha portato subito, di necessità, nell’aura della sala, facendoci

saltare il corridoio. Le opere raccolte nel braccio sinistro sono un’anticipazione necessaria e

knows what he wants. The fine portrait captures the regality of his attitude, his mature awareness,

the vibrant tension to act: an x-ray made more explicit by the refined simplicity of frogged garment

and by the choice of a creative and communicative blue. A lesson in psychological insight which

the sitter would brilliantly make use of in the countless series of bronze faces he would create.

The initial logic instantly took us, by necessity, to the aura of the room, skipping the corridor.

The works brought together in the left wing are a necessary and important preview, which

besides offering another contribution by Marino (fig. 33) and one by Caligiani 67 , allowing us to

wander through the other protagonists from the period, starting with Umberto Mariotti to

finish with the Breda industrial sheds by Melani. Along this short journey we can encounter

Egle Marini, Marino’s twin, in a dual role: as the author and as the subject, in the fine portrait

executed by her husband Alberto Giuntoli. One’s gaze can then linger on works by Giulio

Pierucci, Antonio Guidotti, Silvio Pucci and Silvano Palandri (apart from the latter, slightly

younger, all twenty-six took part in the famous Provincial Exhibition of 1928), while looming

in the background is the shining Madonna del grano executed by Luigi Mazzei in 1934.

The corridor on the right, according to the logic of the exhibition route, is taken upon leaving

the last room, the one devoted to the second half of the twentieth century 68 . It is the most

spacious area, making it possible to bring together a rather large number of works there. In

selecting the works for display in this room and in the previous ones, considering the spaces

available, it was decided to represent each author with one single piece, with some exceptions

69 . The most obvious one, together with Mario Nannini’s futuristic series, is reserved for

the work of Fernando Melani, to whom an entire wall is dedicated. It is a group of nine works,

all dating back to the second half of the 1950s and stylistically quite similar, representing just a

part of that acquired in recent years for the collection. The selection has several reasons behind

it, starting with the quality of the work and with due recognition for what was an undoubtedly

singular figure, as isolated and sharp in his convictions as he was attractive and fecund beyond

appearances. The basic motivation, however, is linked to his breakaway and at the same time

31. Giovanni Costetti, Ritratto di Marino Marini

32. Corridoio dedicato al primo Novecento

33. Marino Marini, Acrobata

338 339



doverosa, che oltre a proporre un’altra prova di Marino (fig. 33) e una di Caligiani 67 consentono

di spaziare sugli altri protagonisti del periodo, a partire da Umberto Mariotti per finire con

i capannoni della Breda di Francesco Melani. Lungo questo breve viaggio abbiamo modo

di incontrare Egle Marini, la gemella di Marino, in doppia versione: come autrice e come

soggetto, nel bel ritratto che le fece il marito Alberto Giuntoli. Lo sguardo può soffermarsi

poi su opere di Giulio Pierucci, Antonio Guidotti, Silvio Pucci e Silvano Palandri (a parte

quest’ultimo, leggermente più giovane, tutti tra i ventisei protagonisti della celebrata Mostra

Provinciale del 1928), mentre giganteggia sullo sfondo la luminosa Madonna del grano eseguita

da Luigi Mazzei nel 1934.

Il corridoio di destra, nella logica del percorso, si percorre all’uscita dall’ultima sala, quella

dedicata al secondo Novecento 68 . Si tratta dell’ambiente più spazioso, e quindi è stato possibile

raggruppare un numero abbastanza importante di lavori. Nel costruire la selezione di

opere ospitata in questa sala e nelle precedenti, dovendo fare i conti con gli spazi, si è fatto

ricorso al criterio di rappresentare ciascun autore con un solo pezzo; criterio che naturalmente

registra le sue brave eccezioni 69 . Quella più vistosa, assieme alla serie futurista di Mario

Nannini, è riservata al lavoro di Fernando Melani, cui viene dedicata un’intera parete. Si tratta

di un gruppo di nove opere, tutte risalenti alla seconda metà degli anni ’50 e stilisticamente

abbastanza omogenee, che rappresentano solo una parte di quanto acquisito in questi anni

per la collezione. La scelta ha diverse motivazioni, a partire dalla qualità del lavoro e dal riconoscimento

doveroso nei confronti di un personaggio sicuramente singolare, tanto isolato e

reciso nelle convinzioni quanto attrattivo e fecondo al di là delle apparenze. La motivazione

di fondo, tuttavia, è legata al suo ruolo di rottura e di cerniera al tempo stesso, appartenendo

anagraficamente alla generazione primo-novecentesca, ma risultando proiettato del tutto in

avanti, tanto da risultare il punto di riferimento per molta parte delle generazioni successive 70 .

La composizione del resto della sala è assai eterogenea, dovendo rappresentare un periodo particolarmente

complesso e variegato. Estremizzando si potrebbe dire che le uniche opere tra loro

contigue sono quelle della seconda “scuola di Pistoia”, vale a dire il periodo legato alla Pop Art e

ai nomi di Barni, Buscioni, Ruffi e Natalini, ciascuno rappresentato qui da un’opera significativa.

Ci sono i Chiodi per Ruffi, una Fiat Cinquecento per Barni, camicia e cravatta di Buscioni e il

Satchmo di Natalini: opera che nel 2013 prese il volo per l’Olanda, per l’esposizione Pop Art in

Western Europe che si tenne nel museo di Nijmegen.

Per il resto si spazia tra l’astrattismo di Nativi e l’espressionismo sarcastico di Iacomelli e

Salvi; si incontrano la leggerezza soffusa di Landini e l’umanità dolente di Agenore Fabbri; la

reinvenzione del collage in Gordigiani e la bianca delicatezza di Aldo Frosini; il dramma esistenziale

di Nigro e l’ironico tabernacolo di Chiavacci; l’elegante postimpressionismo fuori

stagione di Cammilli e il campionario in miniatura di Iorio Vivarelli.

Per chi non si accontenta di una mescolanza di espressioni così disparata, rimane ancora la

possibilità di imboccare il corridoio per tornare indietro verso l’uscita. Ne troverà di ulteriori:

paesaggi realistici, memoriali, metafisici, d’impressione e perfino semi-naïf, introdotti da

una Mappa di Franco Bovani che sembra soffrire questo tipo di vicinanza, ma non riesce più

a illudersi di dipanare gli intrecciati fili del proprio percorso 71 .

Il percorso che invece si snoda e si scioglie è quello del viaggio all’interno di queste sale:

prima di uscirne si può gettare uno sguardo sul vetro che lascia intravedere il percorso della

scala a chiocciola, adesso interclusa, immancabile nei palazzi d’epoca. Un’ampia porta a vetri

impedisce l’accesso agli scantinati, ma è chiaramente visibile la spaziosa e leggera gradonatura

che tuttora lo contraddistingue.

Guadagnato nuovamente il “ricetto”, con un percorso a ritroso che fa attraversare una seconda

volta le prime due sale, uno dei viandanti indicherà l’uscita su via de’ Rossi: una strada che

con certezza assoluta la parte maggiore degli artisti rappresentati nel palazzo ha calpestato

ripetutamente, e in epoche davvero molto distanti tra loro.

35. Sala del secondo Novecento

34. Mario Nannini, Rose

pivotal role, belonging by birth to the generation of the early twentieth century, but so forward

looking as to become a point of reference for a large part of subsequent generations 70 .

The composition of the rest of the room is rather mixed, representing as it does a particularly

complex and varied period. One could even say that the only contiguous works are those

from the second “Pistoia school”, in other words the period associated with Pop Art and

the names of Barni, Buscioni, Ruffi and Natalini, each one here represented by a significant

work. There is Chiodi for Ruffi, a Fiat Cinquecento for Barni, shirt and tie by Buscioni and

the Satchmo by Natalini: a work which travelled to Holland in 2012, for the Pop Art in Western

Europe exhibition held in the Nijmegen museum.

Otherwise it ranges between the abstractionism of Nativi and the sarcastic expressionism of

Iacomelli and Salvi; it brings together the suffuse lightness of Landini and the painful humanity

of Agenore Fabbri; the reinvention of the collage in Gordigiani and the white delicateness

of Aldo Frosini; the existential drama of Nigro and the ironic tabernacle by Chiavacci; the elegant

post Impressionism of Cammilli and the miniature sample collection by Iorio Vivarelli.

For those still not satisfied with the varied mix of expression, there still remains the chance

to take the corridor to go back towards the exit. Here there is even more: realistic landscapes,

memorials, metaphysical, impressionist and even semi-naïf art, introduced by a Mappa by

Franco Bovani, which seems to suffer this type of proximity, but can no longer delude itself

in thinking it can untangle the intertwining threads of its pathway 71 .

The route that instead winds and unwinds is in fact the journey through these rooms: before

leaving, one can catch a glimpse through a window of the winding staircase, an essential element

in period buildings. A large glass door blocks access to the basements, but the light,

spacious stairs that still sets it apart are clearly visible.

Having returned to the “reception”, with an itinerary that takes us back through the first two rooms

for the second time, one of the wayfarers will indicate the exit onto Via de’ Rossi: a street that was

definitely and repeatedly trodden by most of the artists represented here, and in very different eras.

340 341



NOTE

1. Le statue in bronzo di Oltremaniera sono state collocate

nell’atrio del palazzo de’ Rossi, cioè il luogo per il quale erano

state commissionate e progettate, solo dopo i lavori di restauro,

conclusi con l’inaugurazione che si è tenuta il 28 settembre

2012. Nel periodo intercorso dalla loro realizzazione

hanno avuto una collocazione temporanea negli spazi a piano

terreno della Biblioteca San Giorgio di Pistoia, dal 20 novembre

2009, giorno della loro presentazione pubblica.

2 .Secondo la ricostruzione storica portata avanti da memorialisti

de’ Rossi nel Seicento, Grandonio sarebbe un antenato

della famiglia. Si tratta del gigantesco capitano che al

servizio della repubblica di Pisa conquistò le isole Baleari

combattendo contro i Mori nel 1114 (cfr. L. Gai, Il palazzo

dei Rossi. Architettura e decorazione d’interni a Pistoia fra Sette e

Ottocento, in “Storia locale”, 2008, n. 11, pp. 14 e 82-83).

3. Si tratta del “Prato di S. Iacopino”, cioè lo spazio antistante

la chiesa di S. Iacopo in Castellare, che la famiglia

de’ Rossi acquisì nel 1762 dalla Pia Casa della Sapienza per

ampliare il resede di pertinenza della dimora di famiglia

(ivi, pp. 34-36).

4. Le parole sono di Bruno Corà (Di linguaggio, di metafore

di senso e d’altro, conversazione tra Bruno Corà e Roberto

Barni, in Roberto Barni, a cura di Alberto Boatto, Firenze,

Siena, Maschietto & Musolino, 1997, p. 43).

5. “(… ) il progetto del padre Raffaello Ulivi consisteva nella

formulazione di un’ampia residenza signorile da attuare per

vari stadi di avanzamento dei lavori, in modo che via via,

con una sequenza ben precisa dipendente dalle interconnessioni

funzionali della ‘fabbrica’, potessero essere costruiti

i diversi blocchi edilizi che componevano il palazzo” (L.

Gai, Il palazzo dei Rossi, cit., p. 20). Naturalmente la costruzione,

realizzata effettivamente in più fasi con appalti distinti

e tra loro lontani, procedeva soprattutto in relazione

alle disponibilità economiche dei committenti.

6. Ne sono tuttora visibile testimonianza la testa in serpentino

che raffigurerebbe Grandonio e i due stemmi della

famiglia che le fanno corona (per quanto Lucia Gai ci avverta

che tale posizionamento risale al 1793-94). La testa è

collocata proprio in cantonata, mentre i due stemmi sono

sistemati rispettivamente su via del Carmine e su via de’

Rossi. La discendenza da Grandonio dei Rossi è molto sentita

dalla famiglia: la sua testa ricompare infatti anche nelle

decorazioni del Salone, oggi Sala delle Assemblee.

7. Cfr. L. Gai, Il palazzo dei Rossi, cit., p. 27.

8. “Le figure di Oltremaniera stavano camminando ognuna

per suo conto, quando si sono ritrovate unite insieme in

una costruzione babelica che non avevano previsto. Pensavano

forse di perdersi nella folla ma non di inerpicarsi incomprensibilmente

verso l’alto”. Sono parole tratte da una

breve comunicazione dattiloscritta che l’artista ha diffuso

in occasione della presentazione dell’opera, il 20 novembre

2009, quando fu provvisoriamente collocata nella Biblioteca

San Giorgio di Pistoia.

9. Il patrimonio artistico raccolto in questi venticinque anni

assomma ormai ad alcune centinaia di pezzi, diversi tra loro

per tipologia, dimensione, rilievo, supporto e provenienza

(Cfr. l’editoriale Le donazioni di opere d’arte, “Società & Territorio”,

2015, n. 39). La raccolta ha tuttavia ricercato una

propria uniformità tenendo fermi due principi ispiratori. Il

primo e principale criterio è ovviamente quello della territorialità,

in ossequio alla funzione e alla vocazione dell’ente,

nonché alle relative regole statutarie. Sulla base di questo criterio

(l’unica eccezione significativa è rappresentata dall’acquisizione

di un’opera di Giacomo Balla, Ballucecolormare) ci

si è rivolti esclusivamente in direzione di artisti pistoiesi o

comunque collegati in vario modo al territorio. Il secondo

criterio è quello che si può definire della documentazione,

intendendo con questo che non ci si è limitati a costruire

una collezione, costituita esclusivamente da pezzi selezionatissimi,

ma si è cercato di conservare per il territorio anche

il percorso, la storia più diffusa, appunto la documentazione.

In questo senso hanno trovato spazio nella nostra ricerca

non solo autori e pezzi anche minori, grafica e disegni, ma

lettere, archivi, pubblicazioni, fotografie e altro.

10. Cfr. R. Cadonici, Antichi e moderni nel Novecento pistoiese,

Pistoia, Fondazione Cassa di Risparmio di Pistoia e Pescia,

2011. Questo l’elenco delle opere collocate presso Uniser. In

Aula Magna: Silvio Pucci, Mietitura (1940 ca.), Gianni Ruffi,

Rimbalzo (1967), Giovanni Costetti, Ritratto di Mai Sewell

Costetti (1928), Umberto Buscioni, Motocicletta (1967), Roberto

Barni, Isola felice (1964), Umberto Mariotti, Natura morta

(1964), Mario Nannini, Piero Sabelli (1917), Pietro Bugiani,

Ponte sulla Bure (1928), Giulio Innocenti, Sant’Alessio (1960),

Corrado Zanzotto, Natura morta (s. d.), Alberto Caligiani, Paesaggio

nell’Appennino pistoiese (1937),Remo Gordigiani, Omaggio

a Coppo di Marcovaldo (1970) – Luigi Mazzei, Chanteclair

(1937), Gualtiero Nativi, Lacerazione (1960-64). In Presidenza:

Franco Bovani, Solitudine (1972), Sandro Cammilli, Segheria di

marmo (1949), Franco Balleri, Nevicata sui monti (1972), Fernando

Melani, Composizione 1621 (1960), Alfiero Cappellini,

Paesaggio all’Elba (1956),Sigfrido Bartolini, Casale (1984).

11. 1910-2010. Un secolo d’arte a Pistoia. Opere dalla collezione

della Fondazione Cassa di Risparmio di Pistoia e Pescia, a cura

di Lara Vinca Masini, Pistoia, Gli Ori, 2010. La mostra di

Palazzo Fabroni è rimasta aperta al pubblico dal 23 maggio

al 25 luglio 2010. Il titolo della mostra non corrisponde al

titolo del catalogo pistoiese, in quanto si trattava in realtà

di un abbinamento con altra esposizione e altro catalogo:

Venezia e il secolo della Biennale. Dipinti, vetri e fotografie dalla

collezione della Fondazione di Venezia, a cura di Enzo Di Mar-

tino, Torino, Umberto Allemandi, 2010 3 . La riproposizione

della mostra veneziana (che dopo l’esordio originario aveva

toccato prima la città di Palermo, poi Verona e infine

Roma) aveva stimolato l’analogo allestimento pistoiese. Il

titolo complessivo era il seguente: Arte del XX secolo nelle collezioni

delle Fondazioni bancarie di Venezia e Pistoia.

12. I giochi sono stati realizzati da Andrea Balzari, Alessandro

e Francesco Mendini, Luigi Mainolfi, Gianni Ruffi.

13. Un repertorio completo delle installazioni fino al 2011 è affidato

a un numero monografico di “Società & Territorio” (2011,

n. 32). Restavano esclusi soltanto gli ultimi due allestimenti, in

quanto posteriori rispetto alla pubblicazione: quello ad opera

di Edoardo Salvi per la Casa di Gello e gli interventi del Giardino

volante. Riferimenti significativi a molte installazioni erano

già presenti, con le relative schede redatte da Lara Vinca Masini,

anche nel catalogo 1910-2010. Un secolo d’arte a Pistoia, cit.

14. La scelta non contraddice in alcun modo né le regole

statutarie né quanto perseguito finora nella raccolta d’arte,

perché si tratta di installazioni destinate al nostro territorio

di riferimento. Del resto l’identico principio vale anche per

le opere del passato. Fanno parte della collezione, a solo

titolo d’esempio, opere del fiorentino Niccolò di Tommaso,

di Antonio Puccinelli, di Galileo Chini oppure del quasi

apolide Giovanni Costetti. Artisti non pistoiesi, ma che

hanno lavorato a lungo a Pistoia, hanno interagito col nostro

territorio e vi hanno lasciato solide tracce.

15. Questo l’elenco completo delle installazioni, in ordine di

esecuzione. Montecatini Terme, viale Verdi, 1998: Susumu

Shingu, Duetto d’acqua – Montecatini Terme, viale del Rinfresco,

2004: Pol Bury, Scultura d’acqua – Quarrata, piazza Agenore

Fabbri, 2004: Vittorio Corsini, Le parole scaldano – Pistoia,

Padiglione di Emodialisi, 2005: Daniel Buren, Porte e divisori

– Pistoia, Padiglione di Emodialisi, 2005: Dani Karavan, Cabane

de paix, Pistoia, Padiglione di Emodialisi, 2005: Sol Lewitt,

Wall Drawing # 1155, Pistoia, Padiglione di Emodialisi, 2005:

Robert Morris, Bronze Gate, Pistoia, Padiglione di Emodialisi,

2005: Hidetoshi Nagasawa, Tre giardini, Pistoia, Padiglione

di Emodialisi, 2005: Claudio Parmiggiani, Mosaico, Pistoia, Padiglione

di Emodialisi, 2005: Gianni Ruffi, Lunatica, Quarrata,

Villa La Magia: Fabrizio Corneli, 2005, Micat in vertice, Quarrata,

Villa La Magia, 2006: Anne e Patrick Poirier, La fabbrica

della memoria, Pistoia, Chiesa dell’Immacolata, 2006: Sigfrido

Bartolini, Quattordici vetrate moderne, Quarrata, Villa La Magia,

2007: Marco Bagnoli, Io x te – Paesaggio, Pistoia, Biblioteca San

Giorgio, 2007: Anselm Kiefer, Die grosse Fracth, Quarrata, Villa

La Magia, 2008: Hidetoshi Nagasawa, Giardino rovesciato,

Pistoia, Chiesa di San Paolo, 2009: Umberto Buscioni, Vetrate,

Quarrata, Villa La Magia, 2009: Something Happened, Montale,

Villa Smilea, 2010: Sandra Tomboloni, Prezzemolina, Quarrata,

Villa La Magia, 2011: Daniel Buren, Muri fontane per un esagono,

Gello (Pistoia), Casa di Gello, 2013-2014: Edoardo Salvi, La

casa di Gello illustrata, Pistoia, Villa Capecchi, 2015: Luigi Mainolfi,

Collina seno scivolo, Ziggurat maschio (espressione), Ziggurat

femmina (ricerca), Pistoia, Villa Capecchi, 2015: Atelier Mendini

con Andrea Balzari, Pagoda, Pistoia, Villa Capecchi, 2015:

Gianni Ruffi, Tappeto volante, Artelena, Pistoia a dondolo. A tutte

queste va aggiunto naturalmente il lavoro di Barni (2009) per

l’atrio del palazzo de’ Rossi, di cui si è già detto; oltre agli interventi

fatti in collaborazione con enti di cui si dice a testo.

16. Cfr. G. Ruffi, Richiami, Pistoia, Gli Ori, 2012.

17. Cfr. Il nuovo Padiglione di Emodialisi all’Ospedale di Pistoia.

Scienza e arte a servizio dell’uomo, Pistoia, Gli Ori / Fondazione

Cassa di Risparmio di Pistoia e Pescia, 2005-2006. Cfr.

inoltre “Società & Territorio”, 2011, n. 32.

18. Cfr. Quattordici vetrate moderne di Sigfrido Bartolini, a cura

di Siliano Simoncini, Firenze, Polistampa / Fondazione Cassa

di Risparmio di Pistoia e Pescia, 2007.

19. Cfr. E. Salvi, La Casa di Gello illustrata, Pistoia, Fondazio-

ne Cassa di Risparmio di Pistoia e Pescia, 2014. Cfr. inoltre

“Società & Territorio”, 2014, n. 37; e ancora più recentemente

R. Cadonici, Avvolti nell’arte, in “NaturArt”, n. 19, 2015,

pp. 76-81.

20. Cfr. A. Kiefer, Die Grosse Fracht, Pistoia, Gli Ori, 2007.

21. Scrive in proposito A. Iacuzzi: “Il progetto, che solo pretestualmente

s’incentra sul tema del mare, si articola in ventiquattro

tavole a disegno in seguito trasposte in altrettante

ad acquarello, eseguite in tempi diversi: nel 1974 i disegni,

tra il 1975 e il 1976 gli acquarelli. Risulta interessante il processo

operativo qualora si consideri come esso sia principalmente

fondato sull’esecuzione del bozzetto a matita dove,

in bianco e nero tutto, è preventivamente calcolato: linee,

segni, proporzione e strutturazione dei piani, intensità cromatica

e luminosa. Solo successivamente si passa alla realizzazione,

in dimensioni maggiori, della tavola ad acquarello

che in alcuni casi contempla anche una ‘prova’ cromatica

intermedia” (Remo Gordigiani. Il futuro nel passato, a cura di

Annamaria Iacuzzi, Pistoia, Gli Ori, 2008, p. 143).

22. Cfr. Umberto Buscioni. Nostre ombre. Dipinti 1990-2005, a

cura di Marco Cianchi, Pistoia, Gli Ori, 2006.

23. Scherzandoci sopra si potrebbe chiosare: undici personaggi

in alto (i dieci giovani del Decameron più Boccaccio

che li osserva), undici al tavolo delle riunioni (sette consiglieri,

tre sindaci revisori, più il direttore).

24. “La prima notevole prova di questo nuovo linguaggio

è offerta dall’affresco Attesa, esposto a Firenze nel ’32: in

esso il riferimento all’Ines di Soffici, pubblicata anni prima

su “Valori Plastici” appare evidente, tuttavia la silenziosa figura

dipinta da Bugiani anziché chiamare in causa lo spettatore,

guarda quietamente davanti a sé, le mani inerti dietro

la schiena, e con questo gesto da nulla, rafforzato dalla luce

declinante che illumina gli immobili volumi del cipresso e

della casa, ribalta l’aspetto di monumentale istantanea pro-

NOTES

1. The Oltremaniera statues in bronze were located in the

atrium of Palazzo de’ Rossi, that is, in the place for which

they were commissioned and designed, only after the restoration

work, which concluded with the inauguration held

on 28 September 2012. In the meantime they were temporarily

located in the spaces on the ground floor of the San

Giorgio Library in Pistoia, from 20 November 2009, the

day of their public presentation.

2. According to the historical reconstruction pursued by de’

Rossi memorialists in the seventeenth century, Grandonio

was family ancestor. He was the gigantic captain who, at the

service of the republic of Pisa, captured the Balearic islands

by fighting against the Moors in 1114 (cf. L. Gai, Il palazzo

dei Rossi. Architettura e decorazione d’interni a Pistoia fra Sette e

Ottocento, in “Storia locale”, 2008, no. 11, pp. 14 and 82-83).

3. It is the “Prato di S. Iacopino”, namely the space opposite

the church of S. Iacopo in Castellare, which the de’ Rossi

family acquired in 1762 from the Pia Casa della Sapienza

to expand the court yard of the family residence (ivi, pp.

34-36).

4. The words of Bruno Corà (Di linguaggio, di metafore di senso

e d’altro, conversation between Bruno Corà and Roberto

Barni, in Roberto Barni, edited by Alberto Boatto, Florence,

Siena, Maschietto &Musolino, 1997, p. 43).

5. “(… ) the plan by the father Raffaello Ulivi consisted in

the formulation of a large noble residence to be completed

in various stages, so that little by little, with a specific

sequence depending on the functional connections of the

‘building’, the different blocks that made up the palazzo

could be built” (L. Gai, Il palazzo dei Rossi, cit., p. 20). Naturally

the building, completed in different phases with separate

and distant contracts, proceeded above all in relation

to the economic means of the owners.

6. Still bearing witness to them is the head in serpentine

representing Grandonio and the two family coat-of-arms

that crown them (whose position Lucia Gai tells us dates

back to 1793-94). The head is situated right on the corner,

while the two coat-of-arms are set on Via del Carmine and

on Via de’ Rossi respectively. The de’ Rossi’s descendence

from Grandonio was important to the family: in fact, his

head reappears also in the decorations of the Hall, the present-day

Meeting Room

7. Cf. L. Gai, Il palazzo dei Rossi, cit., p. 27.

8. “The figures of Oltremaniera were each walking in their

own direction, when they found themselves together in a

Babelesque construction they had never expected. They perhaps

thought they would get lost in the crowd, but not clamber

incomprehensibly upwards”. Words taken from a short

typewritten communication which the artist released for the

presentation of the work, on 20 November 2009, when it

was temporarily placed in the San Giorgio Library in Pistoia.

9. The artistic heritage collected in these past twenty-five

years comes to a few hundred pieces, all different from one

another in type, size, importance, support and provenance

(Cf. the editorial Le donazioni di opere d’arte, “Società & Territorio”,

2015, no. 39). The collection however has its own

uniformity in terms of two basic principles of inspiration.

The first and main criterion is of course the place of origin,

with respect to the function and vocation of the foundation,

as well as to its relative statutes. On the basis of this

criterion (the only significant exception is the acquisition

of a work by Giacomo Balla, Ballucecolormare) it is exclusively

focused on artists from Pistoia or nonetheless connected

in different ways to the area. The second criterion is

what we can define from documentation, meaning that the

collection was not built only by choosing the most select

pieces, but an attempt was made to preserve for the area

also the pathway, the most widespread history, namely the

documentation. In this way, our research also included not

just minor artists and works, graphics and drawings, but letters,

archives, publications, photographs etc.

10. Cf. R. Cadonici, Antichi e moderni nel Novecento pistoiese,

Pistoia, Fondazione Cassa di Risparmio di Pistoia e Pescia,

2011. This is the list of works kept at Uniser. In the Aula

Magna: Silvio Pucci, Mietitura (1940 ca.), Gianni Ruffi, Rimbalzo

(1967), Giovanni Costetti, Ritratto di Mai SewellCostetti

(1928), Umberto Buscioni, Motocicletta (1967), Roberto

Barni, Isola felice (1964), Umberto Mariotti, Naturamorta

(1964), Mario Nannini, Piero Sabelli (1917), Pietro Bugiani,

Ponte sulla Bure (1928), Giulio Innocenti, Sant’Alessio (1960),

Corrado Zanzotto, Natura morta (s. d.), Alberto Caligiani,

Paesaggio nell’Appennino pistoiese (1937), Remo Gordigiani,

Omaggio a Coppo di Marcovaldo (1970) – Luigi Mazzei, Chanteclair

(1937), Gualtiero Nativi, Lacerazione(1960-64). In

Presidenza: Franco Bovani, Solitudine (1972), Sandro Cammilli,

Segheria di marmo (1949), Franco Balleri, Nevicata sui

monti (1972), Fernando Melani, Composizione 1621 (1960), Alfiero

Cappellini, Paesaggio all’Elba (1956), Sigfrido Bartolini,

Casale(1984).

11. 1910-2010. Un secolo d’arte a Pistoia. Opere dalla collezione

della Fondazione Cassa di Risparmio di Pistoia e Pescia, by Lara

Vinca Masini, Pistoia, Gli Ori, 2010. The exhibition at

Palazzo Fabroni was open to the public from 23 May to 25

July 2010. The title of the exhibition does not correspond

to the title of the Pistoia catalogue, insofar as it was actually

a combination with another exhibition and another

catalogue: Venezia e il secolo della Biennale. Dipinti, vetri e fotografie

dalla collezione della Fondazione di Venezia, by Enzo Di

Martino, Turin, Umberto Allemandi, 2010 3 . The repeat of

the exhibition in Venice (which after its original debut had

first opened in Palermo, then Verona and lastly Rome) had

prompted the similar Pistoia exhibition. The full title was

as follows: Arte del XX secolo nelle collezioni delle Fondazioni

bancarie di Venezia e Pistoia.

12. The playground installations were created by Andrea

Balzari, Alessandro and Francesco Mendini, Luigi Mainolfi

and Gianni Ruffi.

13. A complete repertoire of the installations up to 2011

can be found in a monographic issue of “Società & Territorio”

(2011, no. 32). Only the last two exhibitions were

excluded, since they post-dated the publication: the one by

Edoardo Salvi for Casa di Gello and the Giardino volante

installations. Important references to many installations

were already present, with their relative notes drawn up by

Lara Vinca Masini, also in the catalogue 1910-2010. Un secolo

d’arte a Pistoia, cit.

14. The choice does not in any way contradict either the

statutes or that pursued until now in the art collection,

since they are installations destined for our local area.

Moreover, the same principle governs also the works from

the past. Forming part of the collection, to give a mere example,

are works by the Florentine Niccolò di Tommaso,

by Antonio Puccinelli, by Galileo Chini or by the almost

stateless Giovanni Costetti. Non local artists who worked

at length in Pistoia, interacted with the area and left lasting

marks.

15. Here is a complete list of the installations, in order of

execution. Montecatini Terme, Viale Verdi, 1998: Susumu

Shingu, Duetto d’acqua – Montecatini Terme, Viale del

Rinfresco, 2004: PolBury, Scultura d’acqua – Quarrata, Piazza

Agenore Fabbri, 2004: Vittorio Corsini, Le parole scaldano

– Pistoia, Hemodialysis Pavilion, 2005: Daniel Buren, Porte

e divisori – Pistoia, Hemodialysis Pavilion, 2005: Dani Karavan,

Cabane de paix, Pistoia, Hemodialysis Pavilion, 2005:

Sol Lewitt, Wall Drawing # 1155, Pistoia, Hemodialysis Pavilion,

2005: Robert Morris, Bronze Gate, Pistoia, Hemodialysis

Pavilion, 2005: Hidetoshi Nagasawa, Tre giardini,

Pistoia, Hemodialysis Pavilion, 2005: Claudio Parmiggiani,

Mosaico, Pistoia, Hemodialysis Pavilion, 2005: Gianni Ruffi,

Lunatica, Quarrata, Villa La Magia: Fabrizio Corneli, 2005,

Micat in vertice, Quarrata, Villa La Magia, 2006: Anne and

Patrick Poirier, La fabbrica della memoria, Pistoia, Church of

the Immacolata, 2006: Sigfrido Bartolini, Quattordici vetrate

moderne, Quarrata, Villa La Magia, 2007: Marco Bagnoli, Io

x te – Paesaggio, Pistoia, San Giorgio Library, 2007: Anselm

Kiefer, Die grosse Fracth, Quarrata, Villa La Magia, 2008:

Hidetoshi Nagasawa, Giardino rovesciato, Pistoia, Church

of San Paolo, 2009: Umberto Buscioni, Vetrate, Quarrata,

Villa La Magia, 2009: Something Happened, Montale, Villa

Smilea, 2010: Sandra Tomboloni, Prezzemolina, Quarrata,

Villa La Magia, 2011: Daniel Buren, Muri fontane per un esagono,

Gello (Pistoia), Casa di Gello, 2013-2014: Edoardo

Salvi, La casa di Gello illustrata, Pistoia, Villa Capecchi, 2015:

Luigi Mainolfi, Collina seno scivolo, Ziggurat maschio (espressione),

Ziggurat femmina (ricerca), Pistoia, Villa Capecchi,

2015: Atelier Mendini con Andrea Balzari, Pagoda, Pistoia,

Villa Capecchi, 2015: Gianni Ruffi, Tappeto volante, Artelena,

Pistoia a dondolo. In addition to all of these of course is the

work by Barni (2009) for the atrium of Palazzo de’ Rossi,

already mentioned; as well as the initiatives carried out in

conjunction with the organisations previously cited.

16. Cf. G. Ruffi, Richiami, Pistoia, Gli Ori, 2012.

17. Cf. Il nuovo Padiglione di Emodialisi all’Ospedale di Pistoia.

Scienza e arte a servizio dell’uomo, Pistoia, Gli Ori / Fondazione

Cassa di Risparmio di Pistoia e Pescia, 2005-2006. Cf.

as well as “Società & Territorio”, 2011, no. 32.

18. Cf. Quattordici vetrate moderne di Sigfrido Bartolini, by

Siliano Simoncini, Florence, Polistampa / Fondazione Cassa

di Risparmio di Pistoia e Pescia, 2007.

19. Cf. E. Salvi, La Casa di Gello illustrata, Pistoia, Fondazione

Cassa di Risparmio di Pistoia e Pescia, 2014. Cf. plus

“Società & Territorio”, 2014, no. 37; and more recently R.

Cadonici, Avvolti nell’arte, in “NaturArt”, no. 19, 2015, pp.

76-81.

20. Cf. A. Kiefer, Die Grosse Fracht, Pistoia, Gli Ori, 2007.

21. A. Iacuzzi writes on the subject: “The project, which

only pretextually focuses on the subject of the sea, takes

the form of twenty-four drawings later transposed into as

many watercolours, executed at different times: the drawings

in 1974, the watercolours between 1975 and 1976. The

working process is interesting if one considers how it is

mainly based on the execution of the sketch in pencil where

lines, signs, proportion and structure of the planes, colour

and light intensity is calculated before in black and white.

Only later does the actual creation begin, in larger scale, of

the watercolour which in some cases also contemplates an

intermediate colour ‘test’” (Remo Gordigiani. Il futuro nel passato,

by Annamaria Iacuzzi, Pistoia, Gli Ori, 2008, p. 143).

22. Cf. Umberto Buscioni. Nostre ombre. Dipinti 1990-2005, by

Marco Cianchi, Pistoia, Gli Ori, 2006.

23. If you wanted to joke about it, you might say eleven figures

above (the ten youths from the Decameron plus Boccaccio,

who watches them), eleven at the boardroom table

(seven directors, three auditors, plus the chairman).

24. “The first notable proof of this new language is offered

by the fresco Attesa, exhibited in Florence in ’32:

the reference to Ines by Soffici, published years before in

“Valori Plastici” seems clear, yet the silent figure painted

by Bugiani, instead of summoning the viewer, looks quietly

ahead, his hands inert behind his back, and with this empty

gesture, reinforced by the declining light that illuminates

342

343



prio del dipinto sofficiano per assumere un intenso valore

tutto interiore di contemplazione” (S. Ragionieri, Pietro Bugiani:

itinerario di uno spirito che si cerca, in Pietro Bugiani (1905-

1992). Gli anni tra le due guerre, a cura di Susanna Ragionieri,

Firenze, Siena, Maschietto & Musolino, 1998, p. 42).

25. Nel 1900 Vittorio Alinari bandì il concorso rivolto agli artisti

italiani destinato a illustrare l’Inferno dantesco, completando

l’opera nel 1902 con le altre due cantiche della Commedia

(cfr. La Commedia Dipinta. I concorsi Alinari e il Simbolismo in

Toscana, a cura di Carlo Sisi, Firenze, Fratelli Alinari, 2002). Tra

i protagonisti del concorso anche nomi – oltre quello di Focardi

– che si ritrovano nel palazzo: Galileo Chini, Plinio Nomellini,

Giovanni Costetti, Libero Andreotti. L’intero corpus fu

alienato nel 1964 tramite asta e poi pervenne, tramite alcuni

passaggi, nella collezione pistoiese di G. B. Risaliti e A. Valiani.

26. Cfr. L. Gai, Il palazzo dei Rossi, cit. p. 96 , p. 111 e passim.

27. “Ho davanti la riproduzione di questa opera di Sol

Lewitt, una sua caratteristica operazione sullo spazio, che

da piatto si trasforma in tridimensionale, attraverso la

successione, gli incroci, la sovrammissione delle linee di

colore diverso che percorrono questo soffitto. / Accanto a

questa riproduzione ho quella di un piccolo lavoro di Fernando

Melani del ’57. E mi rendo conto di quanto queste

due esperienze si avvicinino, al di là delle dimensioni e dei

tempi in cui sono state realizzate. Che significato può avere

una coincidenza simile, scaturita da esperienze diverse per

tempo e per luogo? / Da parte di Melani significa, penso,

come ho accennato anche nel suo profilo, che egli, nel suo

lavoro di continua, aperta, libera ricerca, ha anticipato molte

esperienze artistiche a lui successive, dall’Arte Povera al

Concettualismo: / Per quanto riguarda Sol Lewitt questo

lavoro fa parte della sua felice, continua analisi dello spazio.

Si pensi anche al bel lavoro di cui si dirà, sulla parete di

entrata al Nuovo Padiglione di Emodialisi a Pistoia” (1910-

2010. Un secolo d’arte a Pistoia, cit., p. 304).

28. L. Gai, Il palazzo dei Rossi, cit., pp. 99-101.

29. La notizia della donazione e della cerimonia alla presenza

del Vescovo di Pistoia, Mons. Mario Longo Dorni, è

riportata da Pietro Bellasi nella sua recensione comparsa su

“L’Osservatore Romano” del 17 marzo 1963. L’affresco viene

normalmente riferito al 1933, ma nel medesimo articolo Bellasi

lo colloca nell’anno precedente, così come i padri domenicani

I. Camporeale e F. Verde nell’intervista al pittore

comparsa nel n. 4-5 di “Vita sociale” del 1967. In altro scritto

lo stesso Bellasi data l’affresco 1931-1932. Pare pertanto congruo

attribuire i cartoni al 1932.

30. Si tratta di due degli otto cartoni recentemente restaurati,

tutti estremamente delicati e di grandi dimensioni.

Dopo la necessaria autorizzazione della Soprintendenza

sono stati montati con passepartout a sportello su supporto

in carton plume e incorniciati. Questi due lavori di preparazione

per l’affresco di San Domenico sono adesso collocati

nello spazio che, in attesa del restauro, era stato occupato

da due bei disegni monumentali dello stesso Bugiani, L’appuntatore

di pali e Viandanti. prima della loro collocazione

definitiva i disegni sono stati presentati (accanto all’affresco

di San Domenico) all’interno di una mostra dedicata all’artista

che si è tenuta a Palazzo Sozzifanti dal 4 dicembre 2015

al 31 gennaio 2016 (Pietro Bugiani. Il colore e il tempo) a cura

di Roberto Cadonici ed Edoardo Salvi, Pistoia, Fondazione

Cassa di Risparmio di Pistoia e Pescia, 2015).

31. La definizione è coniata da Contini nel profilo di Pascoli

affidato alle pagine di Letteratura dell’Italia unita, 1861-1968,

Firenze, Sansoni, 1968, p. 249.

32. L’aspetto lirico, fortemente soggettivo, naturalmente

convive nella pittura di Bugiani: esattamente come nella

poesia di Pascoli.

33. G. Contini, Il linguaggio di Pascoli, in G. Pascoli, Poesie,

Milano, Mondadori, 1968, vol. I, p. LXXX.

34.Pur senza parlare esplicitamente di epica, nella sua recensione

Bellasi di fatto la evoca, riferendosi ad una “sublimazione

estasiata della normalità”. Un diverso modo di definire

l’umile epos rustico. Di seguito la parte più interessante del

pezzo: “Nella Natività l’atmosfera metafisica circola intorno

ai corpi grandi, massicci, pesantemente diritti, appoggiati,

inginocchiati o seduti e conferisce, sommandosi a queste

masse scolpite in profonde scanalature prevalentemente

verticali, un senso di calma intimità paesana, che il tono

basso dei colori rinchiude in una serena dolcezza serale; l’incanto

metafisico, invece di disperdersi subito sugli elementi

di paesaggio, nasce e si accentra nel Gesù, verso cui tende

anche tutta la composizione in quel suo disegno largo e plastico,

e da cui le figure rinascono pietrificate in profondissima

semplicità e umanità. L’avvenimento è quasi normale

ed in questa calma normalità è il miracolo più vero della incarnazione

del Verbo; il Cristo di Bugiani non è il Cristo dei

grandi miracoli sfolgoranti, ma il Cristo che nasce e muore

con noi ogni giorno. Per questo la Natività ha pochi e poveri

spettatori, poca e povera gente ed è anzitutto miracolo di

fede di questa poca e povera gente; il miracolo, la eccezionalità,

nascono in questo affresco dalla sublimazione estasiata

della normalità, un po’ come accade nelle ‘Storie della Croce’

di Piero della Francesca” (P. Bellasi, art. cit.).

35. Che il cartone faccia parte del progetto originario dell’affresco

è semplicemente un’ipotesi priva di riscontri inequivoci,

per quanto fondata su alcuni dati di rilievo. A me piace

pensarla corrispondente al vero. Se così fosse, potrebbe essersi

trattato di un “pentimento” d’autore o più semplicemente

di una riduzione della complessità di realizzazione.

36. L. Gai, Il palazzo dei Rossi, cit., p. 83 n.

37. Il pezzo che si assegna a Nomellini non è firmato, ma

l’attribuzione appare solida. Si tratta, come nel caso di Focardi,

di opera proveniente dalla collezione Valiani, appartenente

al gruppo di lavori eseguiti in occasione del concorso

Alinari (cfr. nota 25).

38. I locali sono risultati accessibili, cioè pressoché ultimati

e in ogni caso definiti quanto ad opere murarie, nel corso

dell’estate 2012. Il palazzo è stato aperto al pubblico il 28

settembre dello stesso anno, con le sale allestite.

39. L’allestimento attuale corrisponde pressoché integralmente

(con l’eccezione del corridoio) a quello iniziale. Qualche

modifica è intervenuta nel corso di questi tre anni, soprattutto

per il sovraggiungere di nuove acquisizioni (Baldi,

Bezzuoli, Chiappelli, Frosini, Lega, Matteini, Salvi) che sono

andate a completare spazi o, più raramente, a sostituire alcuni

pezzi dell’allestimento originario. I tre soli pezzi sostituiti

(Innocenti, Nigro, Ruffi) appartenevano ad autori che erano

presenti con almeno più di un’opera, e che quindi sono rimasti

rappresentati. Nel caso di Frosini si è semplicemente

cambiato il quadro, sostituendo Impalcatura, ora sulle scale

di accesso al terzo livello, con Gioia di vivere. Diverso invece

il discorso per il corridoio, che nella fase iniziale era rimasto

del tutto libero per una scelta dovuta anche all’esiguità degli

spazi, ma soprattutto per lo scarso tempo a disposizione per

progettarne la collocazione. Il completamento è stato effettuato

già nel corso dell’anno successivo, alla fine del 2013.

40. Va subito ricordato che l’allestimento delle sale espositive

è stato realizzato anche grazie ad alcune opere della

collezione della Cassa di Risparmio di Pistoia e della Lucchesia,

che con la dizione originaria ”Pistoia e Pescia” aveva

dato origine alla raccolta nei tempi precedenti all’istituzione

delle Fondazioni di origine bancaria. Nel 1992, nell’atto

di separare le attività bancarie da quelle di beneficienza,

tale raccolta è rimasta proprietà della banca. È in corso da

tempo una trattativa per trasferirne la proprietà alla Fon-

dazione, quale istituto che ne prosegue la missione culturale.

Al momento, pertanto, alcune opere presenti nelle sale

espositive figurano come prestito dalla Cassa alla Fondazione:

se ne darà conto sala per sala.

41. Naturalmente nell’ultima sezione è presente anche qualche

pezzo prodotto nel secolo attuale: ma si tratta di eccezioni

del tutto sporadiche, e comunque opera di autori

solidamente radicati nel XX secolo.

42. Questa l’intera disposizione delle prime due sale. Sia per

queste che per la sale successive si parte dalla parete di destra,

con l’indicazione “CRPL” in presenza di opere in prestito

dalla Cassa di Risparmio di Pistoia e della Lucchesia.

Sala I:

Maestro della Cappella Bracciolini, Madonna col bambino,

fine sec. XIV.

Domenico Rosselli, Vergine col bambino, sec. XV.

Lorenzo di Niccolò Gerini, Incoronazione della Vergine, fine

sec. XIV-inizi XV (CRPL).

Bartolomeo di Andrea Bocchi, Madonna con angeli musicanti,

prima metà sec. XV.

Maestro della Cappella Bracciolini, Madonna con bambino e

santi Bartolomeo e Jacopo, fine sec. XIV.

Sala II:

Niccolò di Tommaso, Madonna del latte, sec. XIV (CRPL).

Giuliano Panciatichi, Crocifissione, sec. XVI.

Fra Paolino, Annunciazione, prima metà sec. XVI (CRPL)

Amadeo Laini da Pistoia, Madonna in trono fra i santi Simone

e Taddeo, 1° decennio sec. XVI.

Leonardo da Pistoia, Madonna con bambino, prima metà sec.

XVI

Gerino da Pistoia, Madonna col bambino, prima metà sec.

XVI.

43. Sarebbe sufficiente a dimostrarlo da solo il catalogo

delle collezioni del Museo Civico, curato da Maria Cecilia

Mazzi nel 1982 (Firenze, La Nuova Italia); ma anche, per

quanto si riferisca a due unici episodi cittadini, Il museo e

la città. Vicende artistiche pistoiesi del Trecento, a cura di Elena

Testaferrata, Pistoia, Gli Ori / Comune di Pistoia, 2012.

44. Scrive Enrica Neri Lusanna che agli inizi del Trecento

“si afferma in città una corrente pittorica pistoiese dai

caratteri distintivi, in grado di esprimersi con la forza e la

continuità di una scuola. Fatta di forti succhi espressivi,

tuttavia ricca di opere ben connotate anche rispetto ad analoghi

e altrettanto umorali esiti fiorentini, correrà parallela

nei tempi anche a più importanti eventi artistici d’importazione”

(E. Neri Lusanna, Le arti figurative a Pistoia, in Storia

di Pistoia. L’età del libero comune, II, a cura di Giovanni Cherubini,

Firenze, Le Monnier, 1998, p. 273).

45. Cfr. E. Neri Lusanna, La pittura in San Francesco dalle origini

al Quattrocento, in San Francesco. La chiesa e il convento in

Pistoia, a cura di Lucia Gai, Pistoia, Cassa di Risparmio di

Pistoia e Pescia, 1993, pp. 160-164.

46. Cfr. L’Oratorio della Compagnia della Vergine Assunta di

Serravalle Pistoiese, a cura di Lucia Fiaschi, Firenze, Siena,

Maschietto & Musolino, 1999.

47. Cfr. U. Feraci e L. Fenelli, Gli affreschi di Niccolò di Tommaso

nella chiesa del Tau: una rilettura iconografica, in Il museo e

la città. Vicende artistiche pistoiesi del Trecento, cit.

48. L’affresco, ritrovato in tempi recenti in cattivo stato di

conservazione e con varie lacune a causa di infiltrazioni di

umidità, era collocato sopra la porta d’ingresso dell’antico

ospedale, in via della Sapienza. La presenza dei due santi

si spiega con facilità, in quanto Bartolomeo era il titolare

dell’ospizio, che a sua volta ricadeva nella parrocchia della

vicina chiesa di San Jacopo in Castellare. Tutte le informazioni

in materia sono dovute alla competente cortesia di Lucia

Gai.

the immobile volumes of the cypress tree and the house,

overturns the monumental instantaneous aspect of Soffici’s

painting to take on an intense air of inner contemplation”

(S. Ragionieri, Pietro Bugiani: itinerario di uno spirito che si

cerca, in Pietro Bugiani (1905-1992). Gli anni tra le due guerre,

by Susanna Ragionieri, Florence, Siena, Maschietto &Musolino,

1998, p. 42).

25. In 1900, Vittorio Alinari launched the competition for

Italian artists to illustrate Dante’s Inferno, completing the

work in 1902 with the other two canticles of the Divine

Comedy (cf. La Commedia Dipinta. I concorsi Alinari e il Simbolismo

in Toscana, by Carlo Sisi, Florence, Fratelli Alinari,

2002). The competition entrants included names – besides

Focardi – that reappear in the Palazzo: Galileo Chini, Plinio

Nomellini, Giovanni Costetti and Libero Andreotti. The

entire corpus was sold off in 1964 by auction and later arrived,

after a few transitions, to the Pistoia collection of G.

B. Risaliti and A. Valiani.

26. Cf. L. Gai, Il palazzo dei Rossi, cit. p. 96 , p. 111 and passim.

27. “I have in front of me a copy of this work by Sol Lewitt,

one of his signature works on space, which from flat

becomes three-dimensional, through the successions, the

intersections, the addition of the different coloured lines

that run along this ceiling. / Next to this reproduction, I

have that of a small work by Fernando Melani from ’57. And

I realise how similar these two works are, apart from the

size and the time in which they were executed. What could

such a coincidence mean, deriving from different experiences

in terms of time and place? / For Melani it means,

I think, as I mentioned also in his profile, that he, in his

ongoing, free and open experimentation, anticipated many

artistic movements that came after him, from Arte Povera

to Conceptualism: / As regards Sol Lewitt, this work forms

part of his successful and ongoing analysis of space. Think

also of the fine work which we will mention later, on the

entrance wall of the new Hemodialysis Pavilion in Pistoia”

(1910-2010. Un secolo d’arte a Pistoia, cit., p. 304)

28. L. Gai, Il palazzo dei Rossi, cit., pp. 99-101.

29. News of the donation and the ceremony attended by the

Bishop of Pistoia, Mons. Mario Longo Dorni, is reported

by Pietro Bellasi in his review published in “L’Osservatore

Romano” of 17 March 1963. The fresco is normally dated to

1933, but in the same article Bellasi dates it one year earlier,

as do the Dominican fathers I. Camporeale and F. Verde in

the interview with the painter published in no. 4-5 of “Vita

sociale” in 1967. In another piece Bellasi himself dates the

fresco to 1931-1932. It would therefore seem fitting to attribute

the cartoons to 1932.

30. In reality the two cartoons were destined for that space,

but as I write they are located, having returned to Florence

a few days ago, in a room in Palazzo Sozzifanti, to be soon

exhibited to the public. Their place is temporarily occupied

by two fine monumental drawings by Bugiani himself,

L’appuntatore di pali and Viandanti. The restoration of the

extremely delicate paper, after the necessary authorisation

from the local heritage department, has been completed

with a passepartout mount with openable window on a

foam board support . Now that the framing phase has been

finished, the eight cartoons (the two in question and six

others of the same importance and size), once finally back

in Pistoia, will be displayed with other works by Bugiani.

31. The definition is coined by Contini in Pascoli’s profile

found in the pages of Letteratura dell’Italia unita, 1861-1968,

Florence, Sansoni, 1968, p. 249.

32. The lyrical aspect, highly subjective, coexists naturally in

Bugiani’s painting: just like in the poetry of Pascoli.

33. G. Contini, Il linguaggio di Pascoli, in G. Pascoli, Poesie,

Milan, Mondadori, 1968, vol. I, p. LXXX.

34. Though he does not explicitly mention epic in his review,

Bellasi in fact evokes it, referring to an “ecstatic sublimation

of normality”, a different way to define the humble

rustic epos. The most interesting part of the piece is as

follows: “In the Nativity, the metaphysical atmosphere circulates

around large, solid bodies, heavily upright, leaning,

kneeling or sitting, and it bestows, together with these volumes

sculpted in deep, mainly vertical grooves, a sense of

calm rural intimacy, which the soft tone of the colours enclose

in a serene evening gentleness; the metaphysical spell,

instead of instantly dissipating in the elements of the landscape,

springs from and focuses on Jesus, towards whom

the whole composition gravitates in this wide, plastic

drawing, and from which the figures are reborn, solidified

in the most profound simplicity and humanity. The event

is almost normal, and in this calm normality lies the real

miracle of the Word made flesh; Bugiani’s Christ is not the

Christ of the great and spectacular miracles, but the Christ

who is born and dies with us every day. That is why the

Nativity has few and poor spectators, few and poor people

and it is above all a miracle of the faith of these few, poor

people; the miracle, the exceptionality, in this fresco stems

from the ecstatic sublimation of normality, a little like what

happens in the ‘Story of the True Cross’ by Piero della Francesca”

(P. Bellasi, art. cit.).

35. That the cartoon forms part of the original design for

the fresco is simply an idea, devoid of any clear evidence,

though founded on some important information. I like to

think of it as true. If it were, it could have been a case of a

“second thought” on the part of the artist or more simply a

reduction in the complexity of representation.

36. L. Gai, Il palazzo dei Rossi, cit., p. 83 n.

37. The piece assigned to Nomellini is not signed, but the

attribution appears sound. It is, as in the case of Focardi,

a work from the Valiani collection, belonging to the group

of works executed for the Alinari competition (cf. note 25).

38. The rooms were found to be accessible, that is, almost

completed and in any case defined in terms of masonry, during

the summer of 2012. The palazzo was opened to the public

on 28 September of the same year, with the rooms fitted out.

39. The current layout corresponds almost fully (with the

exception of the corridor) with the original one. Some

changes were made over the course of these three years,

particularly due to the arrival of new acquisitions (Baldi,

Bezzuoli, Chiappelli, Frosini, Lega, Matteini, Salvi) which

completed spaces or, more seldom, replaced some pieces in

the original display. The only three pieces replaced (Innocenti,

Nigro, Ruffi) belonged to authors who featured with

at least more than one work, and who thus remained represented.

In the case of Frosini, only the painting changed,

replacing Impalcatura, now on the stairs to the third floor,

with Gioia di vivere. The case was different however for the

corridor, which in the initial phase was completely free due

to a choice based also on the lack of space, but above all to

the short time available to plan their location. The display

was completed in the subsequent year, at the end of 2013.

40. It should be immediately pointed out that the display

in the exhibition rooms was carried out also thanks to

some works from the collection of the Cassa di Risparmio

di Pistoia e della Lucchesia, which under its original name

”Pistoia e Pescia” had given rise to the collection before

the establishment of banking foundations. In 1992, when

separating banking from charity activities , the collection

remained the property of the bank. Negotiations have been

underway for some time to transfer the ownership to the

Foundation, as an institute that pursues a cultural mission.

At the moment, therefore, some works present in the exhibition

rooms appear as on loan from the Cassa to the Foundation:

they will be listed room by room.

41. The last section also includes some pieces produced

in the current century, but they are totally sporadic exceptions,

and nonetheless works by artists firmly rooted in the

20th century.

42. Here is the entire layout of the first two rooms. For

these as well as for the subsequent rooms, we begin from

the right-hand wall, with “CRPL” indicating a work on loan

from the Cassa di Risparmio di Pistoia e della Lucchesia.

Room I:

Maestro della Cappella Bracciolini, Madonna col bambino,

late 14th c.

Domenico Rosselli, Vergine col bambino, 15th c.

Lorenzo di Niccolò Gerini, Incoronazione della Vergine, late

14th-early 15th c. (CRPL).

Bartolomeo di Andrea Bocchi, Madonna con angeli musicanti,

first half of 15th c.

Maestro della Cappella Bracciolini, Madonna con bambino e

santi Bartolomeo e Jacopo, late 14th c.

Room II:

Niccolò di Tommaso, Madonna del latte, 14th c. (CRPL).

Giuliano Panciatichi, Crocifissione, 16th c.

Fra Paolino, Annunciazione, first half of 16th c. (CRPL).

Amadeo Laini da Pistoia, Madonna in trono fra i santi Simone

e Taddeo, 1st decade of 16th c.

Leonardo da Pistoia, Madonna con bambino, first half of 16t h c.

Gerino da Pistoia, Madonna col bambino, first half of 16th c.

43. It would be sufficient to just show the catalogue of the

collection of the Civic Museum, edited by Maria Cecilia

Mazzi in 1982 (Florence, La Nuova Italia); but also, insofar

as it refers to two unique episodes in the city, Il museo e la

città. Vicende artistiche pistoiesi del Trecento, by Elena Testaferrata,

Pistoia, Gli Ori / Comune di Pistoia, 2012.

44. Enrica Neri Lusanna writes that in the early 14th century

“a local artistic movement was established in the city of

Pistoia, with distinctive characteristics, capable of expressing

itself with the power and continuity of a school. Made

of strong expressive essences, yet rich in distinguished

works even compared to similar and equally expressive

Florentine production, it would run parallel over the years

also to more important imported artistic events” (E. Neri

Lusanna, Le arti figurative a Pistoia, in Storia di Pistoia. L’età

del libero comune, II, by Giovanni Cherubini, Florence, Le

Monnier, 1998, p. 273).

45. Cf. E. Neri Lusanna, La pittura in San Francesco dalle origini

al Quattrocento, in San Francesco. La chiesa e il convento in

Pistoia, by Lucia Gai, Pistoia, Cassa di Risparmio di Pistoia

e Pescia, 1993, pp. 160-164.

46. Cf. L’Oratorio della Compagnia della Vergine Assunta di Serravalle

Pistoiese, by Lucia Fiaschi, Florence, Siena, Maschietto

&Musolino, 1999.

47. Cf. U. Feraci and L. Fenelli, Gli affreschi di Niccolò di Tommaso

nella chiesa del Tau: una rilettura iconografica, in Il museo e

la città. Vicende artistiche pistoiesi del Trecento, cit.

48. The fresco, found recently in poor state of conservation

and with several cracks caused by humidity, was situated

above the entrance door of the old hospital, in Via della

Sapienza. The presence of the two saints is easily explained,

insofar as Bartholomew was the owner of the hospital,

which in turn fell within the parish of the nearby church

of San Jacopo in Castellare. All of the information on the

matter is kindly provided by Lucia Gai.

49. Works by Bocchi in the area include the fine Triptych

of San Michele a Serravalle, a part of his work in San Domenico

and the frescoes of the Anchiano tabernacle (currently

in storage in Florence).

344

345



49.Del Bocchi si conservano sul territorio il bel Trittico di

San Michele a Serravalle, parte dei suoi lavori in San Domenico

e gli affreschi del tabernacolo di Anchiano (attualmente

in deposito conservativo a Firenze).

50. La tavola è stata di recente (15 aprile - 30 giugno 2014)

esposta a Milano, alla galleria San Fedele, in occasione di

Oltre. Le soglie dell’invisibile, una mostra promossa dal gruppo

Intesa-San Paolo.

51. Infatti lo scultore, che risulta nato nei dintorni di Pistoia

nel 1439 e formato nella bottega dei Rossellino, ha lavorato

molto nel Palazzo Ducale di Urbino. In Toscana si conservano

suoi lavori almeno a Scarperia e a Colle Val d’Elsa.

52. Cfr. F. Baldassari, La Madonna in trono fra i santi Simone e

Taddeo, Pistoia, Fondazione Cassa di Risparmio di Pistoia

e Pescia, 2006.

53. Si tratta della pala Matrimonio mistico di Santa Caterina

(The Fine Arts Collection of Rutgers, The State University. A selection,

New Jersey, 1966, pp. 8-9). L’opera, a differenza di

quella di Montegattoli, non è firmata ma semplicemente attribuita.

Francesca Baldassari, in una scheda tecnica redatta

per la Fondazione e non ancora edita, ha però ritenuto del

tutto attendibile l’attribuzione.

54. “M[e]M[e] (nto) ET QUONIA[M] MORS NO[N]

TARDAT”. Ormai in parte difficilmente leggibile, la frase è

stata decrittata e riconosciuta da Alessandro Nesi nell’expertise

redatta per conto della galleria antiquaria di Montecatini

Terme presso la quale la lunetta è stata acquistata nel 2012.

55. Questa la disposizione della Sala III:

Antonio Puccinelli, Strage degli innocenti, 1878.

Giuseppe Bezzuoli, Ratto di Proserpina, 1836.

Giuseppe Magni, Focolare domestico, seconda metà sec. XIX.

Luigi Garzi, Il ritorno del figliol prodigo, fine sec. XVII-inizi

XVIII (CRPL).

Bartolomeo Valiani, Ritratto di Niccolò Puccini, sec. XIX.

Luigi Garzi, Santo diacono, fine sec. XVII-inizi XVIII

(CRPL).

Franz Werner von Tamm e Luigi Garzi, Natura morta con cacciagione,

sec. XVIII.

Antonio Puccinelli, La signora Costanza Comparini Papini,

1866-72 (CRPL).

Francesco Chiappelli, Ritratto d’uomo, 1910.

Sulla colonna al centro della sala:

Antonio Puccinelli, Bozzetto per “La bagnante”, 1853-54

Teodoro Matteini, Pio VII, post 1805.

Giuseppe Valiani, Ritratto, seconda metà sec. XVIII.

56. Il nucleo più importante dei suoi lavori è naturalmente

costituito dai ventisei dipinti che gli furono commissionati

dai Rospigliosi e che si conservano tuttora nel loro palazzo

di Ripa del Sale, sede del Museo Clemente Rospigliosi e del

Museo Diocesano. Qualcosa è conservato nelle chiese cittadine,

ma anche il Museo Civico possiede cinque importanti

tele. Infine, proprio di recente, si è potuto prendere visione

di tre insospettati suoi lavori, molto belli, nel palazzo Panciatichi

di via Curtatone e Montanara.

57. Queste le opere possedute dalla Fondazione e collocate

nella Sala Gimignani: Venere e Cupido; Clorinda libera Sofronia

e Olindo; Allegoria della vita contemplativa e attiva; Cena in Emmaus;

Monaca in preghiera; San Sebastiano curato da sant’Irene;

Apparizione della Madonna dell’Umiltà ai santi Eulalia e Rocco

sullo sfondo della città di Pistoia; Natività di Maria; Il tempo lacera

la bellezza; La fugacità dell’amore; e infine il disegno preparatorio

per la Clorinda. Per le prime sette opere cfr. F. Baldassari,

Giacinto Gimignani, “Società & Territorio”, 2013, n. 35.

58. Cfr. N. Gori Bucci, Il pittore Teodoro Matteini (1754-1831),

Venezia, Istituto Veneto di Scienze, Lettere ed Arti, 2006,

p. 383. I tre ritratti di Pio VII e lo schizzo preparatorio del

ritratto in trono sono tutti conservati a Venezia, in Ca’ Pesaro,

al Museo Correr e in San Giorgio Maggiore.

59. Cfr. L. Bernardini, L. Dinelli, Antonio Puccinelli, l’uomo e

l’artista, Pistoia, Edizioni di Via del Vento, 2010.

60. Disposizione delle opere nel corridoio sinistro:

Marino Marini, Acrobata, 1952.

Alberto Caligiani, Autoritratto, 1944.

Umberto Mariotti, Natura morta, s. d.

Alberto Giuntoli, Ritratto di Egle, s.d.

Egle Marini, Paesaggio toscano (1950 ca).

Luigi Mazzei, La Madonna del grano, 1934.

Giulio Pierucci, Interno, anni ‘50.

Silvano Palandri, Paesaggio pistoiese, s.d.

Antonio Guidotti, Paesaggio, s.d.

Silvio Pucci, Il pittore nel paesaggio, s.d.

Francesco Melani, Capannoni alla San Giorgio, 1949.

61 Disposizione delle opere nella Sala IV, cui va aggiunta La

casa rosa di Bugiani, su cavalletto:

Giovanni Costetti, Ritratto di Marino Marini, 1926 (CRPL).

Giulio Innocenti, Figura sul mare, 1927 ca (CRPL).

Giulio Innocenti, Deposizione, 1929.

Achille Lega, Case a Rovezzano, 1921.

Pietro Bugiani, Madonna col manto rosso, 1931.

Pietro Bugiani, Pomeriggio domenicale, 1928 (CRPL).

Pietro Bugiani, Contadini al lavoro, 1930 ca.

Mario Nannini, Rose, 1917.

Mario Nannini, Scomposizione di figura (Zia Ester con l’ombrellino),

1917.

Mario Nannini, Strada + casa, 1916-17.

Mario Nannini, Sintesi di paese, 1916.

Mario Nannini, Natura morta, 1916 (CRPL).

Galileo Chini, Autoritratto, 1901 (CRPL).

Alberto Caligiani, Bambina che scrive, 1936 (CRPL).

Alfiero Cappellini, Paesaggio a Vinci, 1954 (CRPL).

Renzo Agostini, La chiesa di Candeglia, 1928 (CRPL).

Al centro: Marino Marini, Giocoliere, 1944.

62. Numerosissime le pubblicazioni, le mostre e i relativi

cataloghi che hanno indagato lo sviluppo artistico del secolo.

La ricognizione più ampia e completa è sicuramente Arte

del Novecento a Pistoia, a cura di Carlo Sisi, Pistoia, Cassa di

Risparmio di Pistoia e Pescia, 2007.

63. Si può tranquillamente affermare di Lippi “che la sua

esperienza possa dirsi risolta e conclusa come quella di ogni

vero artista e, al tempo stesso, aperta e suscettibile degli sviluppi

propri ad ogni organismo creativo” (R. Morozzi, Menabò

per Andrea Lippi, in Il linguaggio della passione in Lorenzo

Viani e Andrea Lippi, a cura di Claudio Giorgetti e Rosanna

Morozzi, Lucca, Maria Pacini Fazzi editore, 1995, p. 142).

Identico ragionamento si potrebbe applicare, con altrettanta

facilità, a Nannini. Impossibile non ricordare che la

valorizzazione dei due giovanissimi artisti si deve prioritariamente

agli studi e alla passione di Alessandro Parronchi:

Artisti toscani del primo Novecento, Firenze, Sansoni, 1958.

64. Sull’argomento cfr.: R. Cadonici, La grafica e “La Tempra”,

Pistoia, Libreria dell’Orso, 2000; G. Capecchi, L’ambiente

letterario e C. d’Afflitto, Le arti figurative dall’Esposizione del

1899 alla Prima Mostra Provinciale del 1928, in Storia di Pistoia,

IV. Nell’età delle rivoluzioni, 1777-1940, a cura di Giorgio Petracchi,

Firenze, Le Monnier, 2000; E. Salvi, R. Cadonici,

R. Morozzi, Il cerchio magico. Omaggio a Renato Fondi, Pistoia,

Comune di Pistoia, 2002; S. Ragionieri, Il circolo di Lanza

del Vasto e E. Salvi, La stampa a Pistoia: polemiche artistiche e

letterarie, in Arte del Novecento a Pistoia, cit.

65. Parte non secondaria del merito di questa selezione va

attribuito alla consulenza di Sigfrido Bartolini negli anni

che hanno preceduto la nascita delle Fondazioni. Ne fa

fede, tra gli altri, Raccolta di autori pistoiesi del Novecento, il

piccolo catalogo di un’esposizione organizzata nel Palazzo

dei Vescovi nel 1989, con la presenza di alcuni dei pezzi

adesso raccolti in questa sala.

66. Si tratta di cinque pezzi, due dei quali dipinti anche nel

verso, cui va aggiunto il Piero Sabelli collocato nell’Aula Magna

di Uniser. Su Lippi e Nannini vedi fra gli altri il lavoro di

R. Morozzi, Gli anni delle avanguardie. Andrea Lippi e Mario

Nannini, in Arte del Novecento a Pistoia, cit.

67. Si tratta dell’Acrobata di Marino del 1952 e dell’autoritratto

di Caligiani del 1944. Quest’ultimo è stato esposto di

recente a Lucca, nella Casermetta del Museo Nazionale di

Villa Guinigi, tra il 18 giugno e il 31 luglio di quest’anno. Le

altre opere della collezione esposte nell’occasione erano le

seguenti: Francesco Chiappelli, Ritratto d’uomo, 1910; Pietro

Bugiani, Ritratto del pittore Umberto Mariotti, 1927; Marino

Marini, Ritratto del pittore Alberto Caligiani, 1929; Giulio Innocenti,

Autoritratto, s. d.; Corrado Zanzotto, Autoritratto,

s. d.; Pietro Bugiani, Ritratto di Francesco Paci (Il suocero), s.

d., tutti con schede critiche redatte da Edoardo Salvi (Illustrissimi.

Il ritratto tra vero e ideale nelle collezioni delle Fondazioni

di origine bancaria della Toscana, a cura di Emanuele

Barletti, Firenze, Edizioni Polistampa, 2015).

68. Disposizione delle opere nella Sala V:

Fernando Melani, Composizione 707, 1955.

Fernando Melani, Composizione 1273, 1958-59.

Fernando Melani, Composizione 682, 1954.

Fernando Melani, Composizione 1405, 1959.

Fernando Melani, Composizione 672, 1954.

Fernando Melani, Composizione 705, 1956.

Fernando Melani, Composizione 1227, 1960.

Gianfranco Chiavacci, Opera 873, 1992.

Lando Landini, Bambini al mare, 1976 (CRPL).

Lando Landini, Bambini, 1976 (CRPL).

Mirando Iacomelli, Giudici, 1975 (CRPL).

Adolfo Natalini, Armstrong a righe rosse e blu, 1964.

Agenore Fabbri, Personaggio, 1962.

Aldo Frosini, Gioia di vivere, 1994.

Remo Gordigiani, Cercando con amore, 1970.

Mario Nigro, Senza titolo 1956, 1956.

Edoardo Salvi, Allegoria dell’Accademia, 2012.

Umberto Buscioni, Grandi particolari, 1967.

Gianni Ruffi, Chiodi, 1969-1973.

Sergio Cammilli, Marina, anni ‘50.

Gualtiero Nativi, Costruzione pluridimensionale, 1948.

Roberto Barni, Da Piazzetta con furore, 1965.

Al centro:

Iorio Vivarelli, Cristo risorto, 1964.

Iorio Vivarelli, Proposta per fontana, 1966.

Iorio Vivarelli, Il vinto, 1960-61.

69. Le eccezioni sono relative, oltre che a Fernando Melani,

a Mario Nannini, Pietro Bugiani, Giulio Innocenti, Marino

Marini, Lando Landini, Iorio Vivarelli e Alberto Caligiani

per quello che riguarda il Novecento; a Luigi Garzi e Antonio

Puccinelli nella Sala III; al Maestro della Cappella

Bracciolini nella Sala I.

70. Sull’opera di Fernando Melani cfr. almeno Fernando Melani.

La casa-studio, le esperienze, gli scritti, dal 1945 al 1985, a cura

di Bruno Corà, Milano, Electa, 1990 e D. Giuntoli, Fernando

Melani. Un’esperienza bio-artistica, Pistoia, Gli Ori, 2010.

71. Disposizione delle opere nel corridoio di destra, percorrendolo

in entrata prima sulla parete destra e a ritroso

sull’altra:

Sigfrido Bartolini, Autunno, 1960

Salvatore Magazzini, Paesaggio, s. d.

Alfredo Fabbri, Il paese (Barba), s. d.

Marcello Scuffi, Lavori sul mare, s. d.

Franco Bovani, Mappa, 1975.

Sergio Beragnoli, N. 3, s. d.

Franco Balleri, Albero d’estate con cercatore di nidi, 2010.

Luigi Bruno Bartolini, Paesaggio sotterraneo, 1971.

50. The panel was recently (15 April - 30 June 2014) exhibited

in Milan, at the San Fedele gallery for Oltre. Le soglie

dell’invisibile, an exhibition promoted by the Intesa-San

Paolo group.

51. In fact the sculptor, born in the outskirts of Pistoia in

1439 and trained at the Rossellino workshop, worked at

length in the Palazzo Ducale in Urbino. In Tuscany, some of

his works are conserved in Scarperia and in Colle Val d’Elsa.

52. Cf. F. Baldassari, La Madonna in trono fra i santi Simone e

Taddeo, Pistoia, Fondazione Cassa di Risparmio di Pistoia

e Pescia, 2006.

53. It is the Matrimonio mistico di Santa Caterina altarpiece

(The Fine Arts Collection of Rutgers, The State University. A selection,

New Jersey, 1966, pp. 8-9). The work, unlike that by

Montegattoli, is not signed but simply attributed. Francesca

Baldassari, in an as yet unpublished information sheet

drawn up for the Foundation, deemed it to be a fully reliable

attribution.

54. “M[e]M[e] (nto) ET QUONIA[M] MORS NO[N]

TARDAT”. Now difficult to read in parts, the phrase was

deciphered and recognised by Alessandro Nesi in expertise

drawn up on behalf of the antiques gallery in Montecatini

Terme where the lunette was purchased in 2012.

55. Here is the layout of Room III:

Antonio Puccinelli, Strage degli innocenti, 1878.

Giuseppe Bezzuoli, Ratto di Proserpina, 1836.

Giuseppe Magni, Focolare domestico, second half of 19th c.

Luigi Garzi, Il ritorno del figliol prodigo, late 17th-early 18th

c. (CRPL).

Bartolomeo Valiani, Ritratto di Niccolò Puccini, 19th c.

Luigi Garzi, Santo diacono, late 17th-early 18th c. (CRPL)

Franz Werner von Tamm and Luigi Garzi, Natura morta con

cacciagione, 18th c.

Antonio Puccinelli, La signora Costanza Comparini Papini,

346

1866-72 (CRPL).

Francesco Chiappelli, Ritratto d’uomo, 1910

On the column in the centre of the room:

Antonio Puccinelli, Bozzetto per “La bagnante”, 1853-54.

Teodoro Matteini, Pio VII, post 1805.

Giuseppe Valiani, Ritratto, second half of 18th c.

56. The most important nucleus is made up of twenty-six

paintings which were commissioned by the Rospigliosi

family and are still kept in the eponymous palazzo in Ripa

del Sale, home of the Clemente Rospigliosi Museum and

the Diocesan Museum. Some of his work is kept in the

churches of the city, and the Civic Museum also owns five

important canvases. Lastly, and recently, three unsuspected

works of his, all very fine, were on display in Palazzo Panciatichi

in Via Curtatone and Montanara.

57. Here are the works owned by the Foundation and located

in the Gimignani Room: Venere e Cupido; Clorinda

libera Sofronia e Olindo; Allegoria della vita contemplativa e

attiva; Cena in Emmaus; Monaca in preghiera; San Sebastiano

curato da sant’Irene; Apparizione della Madonna dell’Umiltà ai

santi Eulalia e Rocco sullo sfondo della città di Pistoia; Natività

di Maria; Il tempo lacera la bellezza; La fugacità dell’amore; and

lastly the preparatory drawing for the Clorinda. For the first

seven works cf. F. Baldassari, Giacinto Gimignani, “Società &

Territorio”, 2013, no. 35.

58. Cf. N. Gori Bucci, Il pittore Teodoro Matteini (1754-1831),

Venice, Istituto Veneto di Scienze, Lettere ed Arti, 2006,

p. 383. The three portrait of Pius VII and the preparatory

sketch for the portrait on the throne are all kept at the

Correr Museum in Ca’ Pesaro, Venice and in San Giorgio

Maggiore.

59. Cf. L. Bernardini, L. Dinelli, Antonio Puccinelli, l’uomo e

l’artista, Pistoia, Edizioni di Via del Vento, 2010.

60. Layout of the works in the left corridor:

Marino Marini, Acrobata, 1952.

Alberto Caligiani, Autoritratto, 1944.

Umberto Mariotti, Natura morta, undated.

Alberto Giuntoli, Ritratto di Egle, undated.

Egle Marini, Paesaggio toscano (1950 ca).

Luigi Mazzei, La Madonna del grano, 1934.

Giulio Pierucci, Interno, 1950s.

Silvano Palandri, Paesaggio pistoiese, undated.

Antonio Guidotti, Paesaggio, undated.

Silvio Pucci, Il pittore nel paesaggio, undated.

Francesco Melani, Capannoni alla San Giorgio, 1949.

61. Layout of the works in Room IV, in addition to La casa

rosa by Bugiani, on an easel:

Giovanni Costetti, Ritratto di Marino Marini, 1926 (CRPL).

Giulio Innocenti, Figura sul mare, 1927 ca (CRPL).

Giulio Innocenti, Deposizione, 1929.

Achille Lega, Case a Rovezzano, 1921.

Pietro Bugiani, Madonna col manto rosso, 1931.

Pietro Bugiani, Pomeriggio domenicale, 1928 (CRPL).

Pietro Bugiani,Contadini al lavoro, 1930 ca.

Mario Nannini, Rose, 1917.

Mario Nannini, Scomposizione di figura (Zia Ester con

l’ombrellino), 1917.

Mario Nannini, Strada + casa, 1916-17.

Mario Nannini, Sintesi di paese, 1916.

Mario Nannini, Natura morta, 1916 (CRPL).

Galileo Chini, Autoritratto, 1901 (CRPL).

Alberto Caligiani, Bambina che scrive, 1936 (CRPL).

Alfiero Cappellini, Paesaggio a Vinci, 1954 (CRPL).

Renzo Agostini, La chiesa di Candeglia, 1928 (CRPL).

In the centre: Marino Marini, Giocoliere, 1944.

62. A great number of publications, exhibitions and relative

catalogues have investigated the artistic development

of the century. The most wide ranging and complete is

definitely Arte del Novecento a Pistoia, by Carlo Sisi, Pistoia,

Cassa di Risparmio di Pistoia e Pescia, 2007.

63. It can be easily said of Lippi that “his work can be said

to be resolved and concluded like that of every real artist

and yet, like all creative living entities, open and susceptible

to development” (R. Morozzi, Menabò per Andrea Lippi,

in Il linguaggio della passione in Lorenzo Viani e Andrea Lippi,

by Claudio Giorgetti and Rosanna Morozzi, Lucca, Maria

Pacini Fazzi editore, 1995, p. 142). The same could be said,

and with as much ease, of Nannini. It is impossible not to

point out that the valorisation of the two very young artists

is owed primarily to the studies and the passion of Alessandro

Parronchi: Artisti toscani del primo Novecento, Florence,

Sansoni, 1958.

64. On the this subject cf.: R. Cadonici, La grafica e “La

Tempra”, Pistoia, Libreria dell’Orso, 2000; G. Capecchi,

L’ambiente letterario and C. d’Afflitto, Le arti figurative

dall’Esposizione del 1899 alla Prima Mostra Provinciale del 1928,

in Storia di Pistoia, IV. Nell’età delle rivoluzioni, 1777-1940, by

Giorgio Petracchi, Florence, Le Monnier, 2000; E. Salvi,

R. Cadonici, R. Morozzi, Il cerchio magico. Omaggio a Renato

Fondi, Pistoia, Comune di Pistoia, 2002; S. Ragionieri, Il

circolo di Lanza del Vasto and E. Salvi, La stampa a Pistoia: polemiche

artistiche e letterarie, in Arte del Novecento a Pistoia, cit.

65. Credit for this selection is also primarily owed to the

consultancy of Sigfrido Bartolini in the years before the

birth of Foundations. A testament to this is also the small

catalogue Raccolta di autori pistoiesi del Novecento of an exhibition

organised in Palazzo dei Vescovi in 1989, with the

presence of some pieces now displayed in this room.

66. There are five pieces, two of which are painted also on

the verso, with the addition of Piero Sabelli located in the

Aula Magna of Uniser. On Lippi and Nannini see also the

work of R. Morozzi, Gli anni delle avanguardie. Andrea Lippi e

Mario Nannini, in Arte del Novecento a Pistoia, cit.

67. It is the Acrobata by Marino of 1952 and the self portrait

by Caligiani from 1944. The latter was recently exhibited

in Lucca, in the National Museum of Villa Guinigi, from

18 June to 31 July this year. The other works in the collection

exhibited on the occasion were as follows: Francesco

Chiappelli, Ritratto d’uomo, 1910; Pietro Bugiani, Ritratto

del pittore UmbertoMariotti, 1927; Marino Marini, Ritratto del

pittore Alberto Caligiani, 1929; Giulio Innocenti, Autoritratto,

undated; Corrado Zanzotto, Autoritratto, undated; Pietro

Bugiani, Ritratto di Francesco Paci (Il suocero), undated, all

with critical notes by Edoardo Salvi (Illustrissimi. Il ritratto

tra vero e ideale nelle collezioni delle Fondazioni di origine bancaria

della Toscana, by Emanuele Barletti, Florence, Edizioni

Polistampa, 2015).

68. Layout of works in Room V:

Fernando Melani, Composizione 707, 1955.

Fernando Melani, Composizione 1273, 1958-59

Fernando Melani, Composizione 682, 1954.

Fernando Melani, Composizione 1405, 1959.

Fernando Melani, Composizione 672, 1954.

Fernando Melani, Composizione 705, 1956.

Fernando Melani, Composizione 1227, 1960.

Gianfranco Chiavacci, Opera 873, 1992.

Lando Landini, Bambini al mare, 1976 (CRPL).

Lando Landini, Bambini, 1976 (CRPL).

Mirando Iacomelli, Giudici, 1975 (CRPL).

Adolfo Natalini, Armstrong a righe rosse e blu, 1964.

Agenore Fabbri, Personaggio, 1962.

Aldo Frosini, Gioia di vivere, 1994.

Remo Gordigiani, Cercando con amore, 1970.

Mario Nigro, Senza titolo 1956, 1956.

Edoardo Salvi, Allegoria dell’Accademia, 2012.

Umberto Buscioni, Grandi particolari, 1967.

Gianni Ruffi, Chiodi, 1969-1973.

Sergio Cammilli, Marina, 1950s.

Gualtiero Nativi, Costruzione pluridimensionale, 1948.

Roberto Barni, Da Piazzetta con furore, 1965.

In the centre:

Iorio Vivarelli, Cristo risorto, 1964.

Iorio Vivarelli, Proposta per fontana, 1966.

Iorio Vivarelli, Il vinto, 1960-61.

69. The exceptions are Fernando Melani, Mario Nannini,

Pietro Bugiani, Giulio Innocenti, Marino Marini, Lando

Landini, Iorio Vivarelli and Alberto Caligiani for the twentieth

century; Luigi Garzi and Antonio Puccinelli in Room

III; the Master of the Bracciolini Chapel in Room I.

70. On the work by Fernando Melani cf. at least Fernando

Melani. La casa-studio, le esperienze, gli scritti, dal 1945 al 1985,

by Bruno Corà, Milan, Electa, 1990 and D. Giuntoli, Fernando

Melani. Un’esperienza bio-artistica, Pistoia, Gli Ori, 2010.

71. Layout of the works in the right-hand corridor, going

first along the right-hand wall and then back along the opposite

wall:

Sigfrido Bartolini, Autunno, 1960.

Salvatore Magazzini, Paesaggio, undated.

Alfredo Fabbri, Il paese (Barba), undated.

Marcello Scuffi, Lavori sul mare, undated.

Franco Bovani, Mappa, 1975.

Sergio Beragnoli, N. 3, undated.

Franco Balleri, Albero d’estate con cercatore di nidi, 2010.

Luigi Bruno Bartolini, Paesaggio sotterraneo, 1971.

347



Finito di stampare nel mese di dicembre 2017 da Baroni e Gori, Prato per conto de Gli Ori, Pistoia

Hooray! Your file is uploaded and ready to be published.

Saved successfully!

Ooh no, something went wrong!