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360 | Settembre - 2020

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Una data rivoluzionaria, ricordata come l’inizio

delle rivendicazione LGBT+, il cui mese

è stato dedicato al pride, alla celebrazione

dell’orgoglio della comunità. Ma cosa avvenne

di preciso quella notte? Come purtroppo era

solito, lo Stonewall Inn, uno dei pochi locali

accessibili anche per drag queen e transessuali,

era stato oggetto di un’ennesima retata della

polizia: le irruzioni nei locali frequentati da

omosessuali erano frequenti all’epoca, in un

periodo in cui l’omosessualità era considerata

un “comportamento deviato” ed era illegale in

49 stati americani. Ma stavolta non li trovarono

arrendevoli e molte persone cominciarono

ad opporsi all’arresto. Bastò un gesto per cambiare

la storia: si dice che Marsha (la cui P.

nel nome sta per “Pay It No Mind”, fregatene,

come risposta alle domande sul suo genere) abbia

lanciato un bicchiere contro uno specchio,

urlando “I got my civil rights”, anche io ho i

miei diritti. Basta soprusi, basta oppressioni:

fu la scintilla dei “moti di Stonewall”. Marsha

e Sylvia Rivera, altra celebre attivista, furono

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tra le prime persone a caricare le forze dell’ordine.

Nelle ore successive gli scontri divennero

sempre più violenti e una folla di migliaia di

persone si ritrovò davanti al locale per alimentare

le proteste, che continuarono ad intermittenza

per cinque notti consecutive. Dopo

Stonewall, Marsha si unì al Gay Liberation

Front e a partire dal 1972 fondò con Rivera

la Street Transvestite Action Revolutionaries,

un’organizzazione che dava accoglienza a giovani

drag queen e transgender in difficoltà, la

prima negli Stati Uniti guidata da una donna

trans e nera. Negli anni successivi ebbe diversi

problemi di salute mentale e visse per strada

prostituendosi. Lo stress derivato dalle enormi

difficoltà e privazioni di una vita precaria, accompagnata

dai continui arresti (più di 100)

minarono nel profondo la sua salute fisica e

mentale. Il 6 luglio del 1992 il suo corpo fu

trovato mentre galleggiava nel fiume Hudson.

La polizia dichiarò la morte un suicidio, ma

diverse persone, compresa Rivera, propendono

per un’aggressione.

Marsha incarnava tutto ciò che disgustava

la benpensante società americana dell’epoca:

era gay, transgender, drag queen e nera.

Ma a soli 23 anni decise di dire no, di rivoltarsi

contro una società che le proibivano di

vivere la sua vita a modo suo, di esprimere

la sua sessualità, di essere libera. Un personaggio,

quello di Marsha, come un perfetto

crocevia delle rivolte che tutt’oggi, dopo più

di trent’anni da Stonewall, continuano ad infuocare

il mondo. Ed un coraggio, quello di

cambiarlo, il mondo, che non ha dimenticato

di tramandare alle nuove generazioni. Una figura

che avrebbe molto da dire su quello che

sta avvenendo in questi ultimi mesi nel mondo.

Nella sua America, che ha lottato tanto per

cambiare, sembra che la stessa police brutality

di cui aveva sofferto lo Stonewall Inc continui

ad imperversare. Ma, come nel ‘69, non ha tro-

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