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1 Palin Reazione

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Scritto da Stefano Laddomada

#Area Warhol

Dissenso e

provocazione.

La strategia reazionaria del “purché (non) se ne parli”

#Area Warhol

“Don’t feed the troll” (Non alimentare il troll) è un’espressione familiare soprattutto ai nativi digitali in cui il

troll, demoniaca creatura delle fiabe scandinave, diventa l’utente di internet che trova piacere nell’alimentare

una polemica e provocare il proprio interlocutore. Lontanamente da quanto si possa credere, anche

il mondo dell’arte ha conosciuto i suoi troll con l’Entartete Kunst, l’ ‘arte degenerata’, nel pieno periodo di

propaganda nazista.

Così come in ogni fiaba scandinava che si rispetti,

anche il web ha i suoi trollt: quelli buoni, ossia

semplici utenti dal dubbio senso dell’umorismo

che durante un’accesa discussione, per esempio

sotto l’ultimo post del Presidente del Consiglio,

chiedono delucidazioni sulla preparazione dell’

orata all’acqua pazza, e i troll cattivi, creature

subdole e fameliche che si confondono nella

selva dell’internet e che si cibano della rabbia

e delle reazioni altrui per tornaconto personale

e ai quali è meglio non dar da mangiare. Il

trabocchetto che ci viene teso da quest’ultimi

è a volte così velato da trarre in inganno anche

il più abile dei leoni da tastiera.

Sembrerebbe quindi naturale pensare che i

troll siano frutto di usi e conseguenze della

rete, in cui lo spazio digitale viene condiviso da

tutti e in cui ognuno coltiva determinati gusti,

certezze e interessi che comunica con il mondo

virtuale generando conflitti e discussioni su siti

e social. Questo tipo di atteggiamento, tuttavia,

non vede la sua origine nell’era di Internet ma è

un fenomeno che esiste da ben più tempo con

dinamiche simili; lo stesso mondo dell’arte ha

dato vita a episodi degni dei più fastidiosi troll

dell’epoca contemporanea.

Il caso che più di tutti spicca è quello della cosiddetta

Entartete Kunst, l’arte definita ‘degenerata’,

che i più appassionati di arte e storia ricorderanno

come un movimento controverso e sadico.

Nel 1937, durante il picco di potere del Terzo

Reich, il ministro della Propaganda Joseph

Goebbels decise di sfruttare le opere confiscate

dalle truppe naziste a artisti etichettati come

sovversivi per comporne una mostra composta

da più di 600 pezzi, con lo scopo di una intenzionale

denigrazione nei confronti di tutti gli stili

(soprattutto moderni) e le rappresentazioni in

contrasto al Reich. L’atto di censurare gli artisti

e tutti coloro che in un qualsiasi altro modo

decidevano di comunicare il proprio dissenso,

venne ripensato e riadattato successivamente

dal ministro della Propaganda per comporre

quella che potremmo definire oggi una bacheca

di haters: sminuire l’altro, il diverso, per rafforzare

la propria identità e la propria visione, un

atto di cattivo gusto che ricorda, neanche così

difficilmente, un uso contemporaneo dei social

network da parte di alcuni utenti.

La mostra, della quale fecero parte, tra le altre,

opere di Klee, Chagall, Dix, Kandinsky e Picasso,

venne accompagnata da didascalie e slogan

provocatori, in un ambiente scarsamente illuminato

e reso volutamente inospitale e tedioso.

Inizialmente esposta a Monaco di Baviera, la

mostra divenne in seguito itinerante e attraversò

undici città tra Germania e Austria. Il biglietto

per visitarla era gratuito così da coinvolgere il

maggior numero di persone in questo spiacevole

teatrino dell’orrido.

Nonostante la Storia si sia poi giustamente

ritorta contro il regime nazista e una parte delle

opere sia comunque riuscita ad essere valorizzata

–grazie anche alla scoperta della collezione

Gurlitt di pochi anni fa – nei musei di tutta

Europa, quest’episodio dimostra la tragica attualità

di un comportamento e di un fenomeno

risalente non solo al periodo di digitalizzazione

in cui siamo ormai destinati a vivere, ma ad un

modo di agire insito nell’uomo con origini quasi

sicuramente primitive. Lo scherno suscitato

Fonti:

dal dissenso è ormai una pratica ‘propagandistica’

di uso comune soprattutto per chi fa

delle proprie idee l’unico, inconfutabile valore

da contemplare, con totale noncuranza delle

possibili sfaccettature delle credenze e delle

abilità altrui, cancellando gradualmente lo

spirito critico dei propri sostenitori.

In un periodo che premia i trend topic, il dissenso

costante a portata di schermo è una pratica in

cui il troll, sapendo di trollare, banchetta quotidianamente

senza mai saziarsi, spinto dalle

interazioni e dai commenti sia dei suoi sostenitori

che dei suoi dissidenti, generando così

un circolo vizioso di fastidiosi botta e risposta

basati su nient’altro che una provocazione.

Spuntarla è difficile ma non impossibile; è necessario

non inciampare sui contenuti pensati per

istigarci, tenersi strette le proprie briciole di

speranza (e la propria arte) e impegnarsi a sfruttarle

per un nutrimento più sano e morale, in

primis per noi stessi.

http://www.artspecialday.com/9art/2021/01/27/arte-degenerata-censura-1937/

https://www.finestresullarte.info/opere-e-artisti/entartete-kunst-mostra-nazista-arte-degenerata

https://www.treccani.it/enciclopedia/entartete-kunst/

https://www.youtube.com/watch?v=eDPQW5aP9Rc

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Dissenso e provocazione. La strategia reazionaria del “purché (non) se ne parli”

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