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ML n6 2022 #3

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makinglife | novembre <strong>2022</strong> | numero sei<br />

DIVERSITY & INNOVATION<br />

PharmaFuture & Health


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nell’healthcare<br />

e ne governa il cambiamento


INDICE<br />

Pharma Novel<br />

Commenti<br />

01 02 03<br />

Management differente<br />

Singolarmente geniale<br />

10<br />

Diversità non è<br />

inclusione<br />

Il punteggio che<br />

predice lo stato di<br />

salute<br />

14<br />

16<br />

Diverso da chi?<br />

Strategie di inclusione<br />

nelle aziende Pharma<br />

Capire l’inclusione<br />

22<br />

26<br />

30<br />

I tempi della<br />

comunicazione<br />

18<br />

Multiculturalismo,<br />

e performance<br />

32<br />

Misurare D&I<br />

34<br />

4


makinglife | novembre <strong>2022</strong><br />

Scienza e genere<br />

Il valore del paziente<br />

Ricerca inclusiva<br />

Pharmatelling<br />

Origine ed evoluzione<br />

dei sessi<br />

Non è solo una<br />

questione di genere<br />

Dati sanitari per la<br />

medicina di genere<br />

40<br />

44<br />

48<br />

04 05 07<br />

Diversamente salute,<br />

advocacy di un riscatto<br />

Diversità al quadrato<br />

58<br />

60<br />

06<br />

Scienza e stereotipi<br />

La multiculturalità<br />

migliora la ricerca<br />

Diversity e tossicologia<br />

64<br />

66<br />

70<br />

Il premio “Graziella<br />

Molinari Award” per le<br />

donne nel Life science<br />

78<br />

Parità o potere<br />

rovesciato?<br />

50<br />

Non esistono razze,<br />

siamo composizioni<br />

52<br />

5


“<br />

Quotes<br />

& Data<br />

“<br />

COME È POSSIBILE MISURARE IL “RETURN ON<br />

INVESTEMENT” FORNITO DALLA DIVERSITÀ ALLA<br />

PRODUTTIVITÀ AZIENDALE?<br />

Gabriele Costantino<br />

a pag.14<br />

In un sondaggio effettuato ad aprile <strong>2022</strong>,<br />

l’82% del campione ha affermato di aver<br />

assistito a qualche forma di discriminazione<br />

nell’organizzazione in cui opera<br />

Nelle facoltà<br />

STEM si verificano<br />

disparità etniche<br />

non presenti in altri<br />

campi: la causa<br />

potrebbe risiedere in<br />

un comportamento<br />

non inclusivo da<br />

parte dei docenti<br />

Maura Bernini<br />

a pag.70<br />

Se sei milioni di decessi per Covid-19 non<br />

sono sufficienti per convincere un novax<br />

a cambiare idea, pensiamo davvero che<br />

spiegando il meccanismo d’azione del<br />

vaccino cambierà qualcosa?<br />

Monica Torriani<br />

a pag.20<br />

La diversità non<br />

dovrebbe essere vissuta<br />

come una parola alla<br />

moda: è un driver di<br />

prestazioni<br />

Caterina Lucchini<br />

a pag.20<br />

6


makinglife | novembre <strong>2022</strong><br />

Il sesso<br />

può essere<br />

inefficiente e<br />

costoso, ma<br />

comporta<br />

importanti<br />

vantaggi<br />

evolutivi<br />

Chiara Tonelli<br />

a pag.22<br />

Nelle aziende dove c’è una reale cultura di<br />

inclusione le persone sono maggiormente<br />

ingaggiate e produttive ma in Italia la<br />

discriminazione di genere e generazionale è<br />

ancora molto presente<br />

Debora Ghietti<br />

a pag.42<br />

Le aziende con maggiore diversità di<br />

genere nei team esecutivi hanno il 25%<br />

di probabilità in più di registrare una<br />

redditività superiore alla media<br />

Se non garantiamo<br />

a chi guarisce un<br />

ritorno alla vita<br />

normale, lavoro<br />

compreso, rischiamo<br />

Nel 2030 negli USA i due terzi della richiesta<br />

lavorativa sarà da parte di donne<br />

di generare pazienti di<br />

ritorno<br />

Laura Patrucco<br />

a pag.58<br />

Non possiamo esimerci dal riflettere<br />

sulla fine del maschio<br />

Carlo Alberto Redi<br />

a pag.58<br />

Attraverso la conoscenza delle altre culture e abbattendo<br />

i propri bias si possono trarre enormi benefici dal lavoro<br />

in team eterogenei<br />

Thomas Carganico<br />

a pag.33<br />

7


Quando la diversità<br />

fa la differenza<br />

14 ma conferenza mondiale di<br />

Fondazione Veronesi<br />

Paolo Pegoraro<br />

In questo numero di<br />

MakingLife PharmaFuture<br />

& Health affrontiamo il<br />

tema della diversità e lo<br />

facciamo a largo spettro,<br />

anche se il nostro focus è il<br />

pharma. Affrontiamo questo<br />

tema perché MakingLife<br />

appoggia, come media<br />

partner, Fondazione Veronesi<br />

nella sua 14 ma conferenza<br />

mondiale “Science for Peace<br />

and Health”, che quest’anno<br />

è dedicata alle prospettive<br />

della scienza su sesso,<br />

genere e diversità. E lo<br />

affrontiamo anche perché ci<br />

sembra davvero che si stia<br />

attraversando un momento<br />

storico critico: un momento<br />

in cui nel nostro Paese – al<br />

pari di quanto accade in<br />

Europa e nel mondo – ciò che<br />

è diverso è additato sempre<br />

più spesso come negativo e il<br />

termine “diverso” ha assunto<br />

ormai una connotazione<br />

quasi ostile. Proprio per<br />

questo è importante parlare<br />

e raccontare la diversità in<br />

termini di valore aggiunto. Di<br />

ricchezza, direi. E mi spiego.<br />

La diversità è una ricchezza<br />

perché ognuno di noi è<br />

unico: ma se io sono unico,<br />

questo significa che sono un<br />

qualcuno che altrove non c’è<br />

e quindi sono una ricchezza.<br />

Se parliamo d’industria,<br />

l’inclusione e la<br />

valorizzazione della diversità<br />

devono essere parte<br />

integrante della cultura<br />

aziendale. La diversità non<br />

è riferita solo al genere ma<br />

è un concetto che abbraccia<br />

tutte le caratteristiche, i<br />

talenti e le attitudini delle<br />

persone, come l’età, l’etnia,<br />

l’orientamento sessuale,<br />

le convinzioni politiche e<br />

religiose, l’educazione e i<br />

valori, le competenze e le<br />

esperienze. La diversità<br />

è fonte di vantaggio<br />

competitivo, perché in<br />

un’organizzazione aperta ed<br />

eterogenea – cioè inclusiva –<br />

la diversità non è un ostacolo<br />

o una complessità da gestire,<br />

bensì un fattore di successo.<br />

I benefici dell’inclusione sono<br />

enormi e sono rappresentati<br />

dall’avere sempre contributi<br />

diversi da persone diverse,<br />

che possono integrarsi tra<br />

loro e potenziarsi in maniera<br />

sinergica.<br />

Ci sono molti motivi per i<br />

quali un’azienda dovrebbe<br />

favorire la creazione di un<br />

ambiente inclusivo, del quale<br />

facciano parte e in cui creino<br />

valore persone di diversi<br />

generi, background, etnie,<br />

religioni e via discorrendo.<br />

Ci sono ovviamente motivi<br />

etici, sociologici e filosofici:<br />

ma anche, perché no, motivi<br />

di business. Quanto più<br />

un’azienda è diversificata,<br />

tanto maggiori saranno le<br />

possibilità di un successo<br />

duraturo.<br />

In effetti, un report di<br />

McKinsey molto noto<br />

(Diversity wins: how<br />

inclusion matters), che ha<br />

ormai parecchie edizioni,<br />

dimostra che le aziende<br />

con una maggiore diversità<br />

8


makinglife | novembre <strong>2022</strong><br />

di genere ed etnia nei ruoli<br />

dirigenziali sono quelle<br />

che riportano migliori<br />

performance finanziarie.<br />

Diversità, equità e inclusione<br />

contano nel bilancio<br />

aziendale in senso positivo<br />

e non è una faccenda di<br />

semplice intuizione – i<br />

“diversi” hanno imparato<br />

sulla loro pelle a essere<br />

necessariamente resilienti,<br />

duttili e creativi, tenaci e<br />

propositivi – ma lo dicono i<br />

numeri.<br />

Purtroppo, nonostante ogni<br />

buona pratica suggerisca<br />

la direzione da prendere,<br />

servirà forse un’altra<br />

generazione per vedere<br />

finalmente colmate le<br />

differenze di genere.<br />

È questa la conclusione a<br />

cui giunge il Global gender<br />

gap report 2021 del World<br />

economic forum, secondo cui<br />

a livello mondiale l’effettiva<br />

parità tra donne e uomini<br />

è stata raggiunta solo al<br />

68%. E nel pharma che cosa<br />

accade? Sembrerebbe che<br />

l’industria farmaceutica<br />

rappresenti un’isola felice.<br />

Secondo i dati rilasciati da<br />

Farmindustria lo scorso<br />

luglio, per esempio, dei<br />

65mila impiegati nel settore,<br />

il 42% è costituito da donne<br />

(contro il 29% dell’industria<br />

manufatturiera) e queste<br />

rappresenterebbero circa il<br />

40% dei dirigenti e quadri.<br />

Sempre nel nostro settore<br />

molte aziende dedicano<br />

sforzi e persone proprio al<br />

tema “diversity & inclusion”,<br />

prestando attenzione tanto<br />

alla disabilità quanto alle<br />

quote rosa e al discorso<br />

Lgbt. Giusto per non far<br />

nomi, per vari anni Pfizer<br />

è stata tra le aziende<br />

sostenitrici del Roma Pride<br />

e, a livello globale, il gruppo<br />

Open (Out Pfizer employee<br />

network), interamente<br />

dedicato all’inclusione della<br />

comunità Lgbt, è uno dei più<br />

attivi.<br />

Di questo e di molto altro<br />

discuteranno relatrici e<br />

relatori, di altissimo profilo<br />

nazionale e internazionale,<br />

nella conferenza mondiale<br />

Science for peace and health<br />

di Fondazione Veronesi, della<br />

quale – come dicevo sopra<br />

– siamo orgogliosi partner.<br />

Saranno approfondite<br />

le prospettive della<br />

scienza su sesso, genere<br />

e diversità. Organizzata<br />

in collaborazione con<br />

l’Università Bocconi, la<br />

conferenza desidera<br />

affrontare un tema delicato<br />

ed estremamente attuale: la<br />

valorizzazione della diversità<br />

e delle differenze sessuali<br />

e di genere. Il tema sarà<br />

esplorato e discusso con<br />

l’approccio multidisciplinare<br />

che è carattere distintivo di<br />

questo evento, prendendo in<br />

esame l’aspetto scientifico,<br />

sanitario, economico<br />

e sociale. Nell’ambito<br />

delle scienze della vita,<br />

in particolare, le nuove<br />

frontiere della medicina<br />

di genere e le esperienze<br />

sempre più diffuse di<br />

diversity management<br />

son lì a testimoniare<br />

importanti passi in avanti<br />

nella valorizzazione delle<br />

differenze. Nella direzione di<br />

una sanità che curi ciascun<br />

individuo per come è fatto,<br />

senza discriminazioni di<br />

nessun tipo.<br />

9


PHARMA<br />

NOVEL<br />

Mario Addis


makinglife | novembre <strong>2022</strong><br />

11


12


makinglife | novembre <strong>2022</strong><br />

13


DIVERSITÀ È ESSERE<br />

INVITATI ALLA FESTA,<br />

INCLUSIONE È QUANDO<br />

SI È INVITATI A BALLARE<br />

Gabriele Costantino<br />

Dipartimento di Scienze degli Alimenti e del Farmaco<br />

Università di Parma<br />

gabriele.costantino@unipr.it<br />

Il tema dell’inclusione delle diversità<br />

(diversity and inclusion – D&I) è<br />

largamente dibattuto e significativamente<br />

implementato nelle realtà industriali<br />

statunitensi. Gli Stati Uniti d’America<br />

nascono da colonie, hanno trovato<br />

nell’immigrazione una delle colonne<br />

portanti del loro sviluppo e dell’esportazione<br />

del loro modello culturale, hanno partecipato<br />

attivamente all’importazione violenta<br />

e forzata di manodopera da un altro<br />

continente.<br />

Non è sorprendente quindi che il<br />

tema dell’inclusione – che da un<br />

punto di vista etico vuol anche dire<br />

preservazione, nel cosiddetto meltingpot<br />

– delle diversità sia ampiamente<br />

sentito in quella parte del mondo<br />

occidentale. Un po’ meno ovvia è<br />

la spinta all’implementazione di<br />

pratiche di diversity and inclusion in<br />

Paesi molto più omogenei a livello di<br />

popolazione, quali alcuni stati europei<br />

– inclusa l’Italia – o, forse ancor di più il<br />

Giappone. E tuttavia ci sono pochi dubbi<br />

che una corretta implementazione delle<br />

D&I practices sia sempre più percepito<br />

dal management come elemento<br />

non surrogabile di innovazione<br />

e di competitività. In aziende<br />

intrinsecamente innovative, come<br />

lo sono le industrie farmaceutiche,<br />

l’inclusione delle diversità assolve<br />

fondamentalmente a due scopi che<br />

ricapitolano la missione aziendale.<br />

Il primo riguarda la “retention” dei<br />

talenti e la valorizzazione del capitale<br />

umano. Il secondo è l’ampliamento del<br />

mercato e la capacità di risposte rapide<br />

a bisogni continuamente diversi.<br />

Vediamo un po’ in dettaglio alcuni<br />

aspetti, con la speranza di fornire<br />

spunti di riflessione che troveranno<br />

ampia possibilità di approfondimento<br />

negli articoli di questo numero della<br />

rivista. La retention dei talenti è<br />

evidentemente legata al processo<br />

– apparentemente irreversibile –<br />

della globalizzazione e del cambio<br />

di struttura demografica del capitale<br />

umano. Nelle aziende, così come<br />

nelle istituzioni pubbliche, è in uscita<br />

professionale l’ultima generazione<br />

di coloro che hanno goduto (o subito)<br />

una organizzazione del lavoro, della<br />

struttura salariale, dell’accesso alla<br />

previdenza, non più riproducibile.<br />

A questa generazione si sta<br />

14


makinglife | novembre <strong>2022</strong><br />

sostituendo una forza lavoro di elevata<br />

qualificazione generalmente esposta<br />

alla mobilità, proveniente da ambiti<br />

culturali diversi che identificano nel<br />

mercato globale le migliori occasioni di<br />

crescita professionale e soddisfazione<br />

personale. Per motivi che non possono<br />

essere approfonditi in questa sede,<br />

un numero di persone solo 30 anni fa<br />

inimmaginabile è diagnosticata con una<br />

qualche forma di disabilità. Chi, come<br />

chi scrive, proviene dall’Università e<br />

come meglio ancora sanno i docenti di<br />

scuola superiore, i disturbi specifici di<br />

apprendimento hanno una prevalenza<br />

enorme. E come ben sa chi si occupa di<br />

formazione, questi tipi di diversità non<br />

sono ostacolo a una piena integrazione<br />

nel lavoro di team e non impediscono<br />

una proficua carriera scolastica prima,<br />

e professionale poi. Un’azienda che<br />

intende acquisire e poi trattenere il<br />

miglior capitale umano sa bene che<br />

l’inclusione di diversità paga non solo<br />

un credito reputazionale ma anche un<br />

effettivo aumento della produttività.<br />

Questo è un aspetto particolarmente<br />

interessante. Come è possibile<br />

misurare e definire l’effetto, il “return<br />

on investement” della diversità nella<br />

produttività aziendale? Ecco, garantire<br />

il RoI per le pratiche di inclusione delle<br />

diversità significa costruire processi<br />

effettivi di inclusione. Se misurare<br />

la diversità è semplice (diversità<br />

intrinseca: età, etnia, genere etc.,<br />

diversità acquisita: capacità culturali,<br />

lessicali, verbali, di mobilità), misurare<br />

il costo e il ritorno della loro inclusione<br />

è il punto chiave per la produttività<br />

delle organizzazioni – aziendali e<br />

pubbliche. Il titolo un po’ provocatorio<br />

di questo articolo (che è una citazione<br />

di Vernā Myers) vuole significare<br />

che non è sufficiente costruire un<br />

team includendo “different things”,<br />

ma è indispensabile promuovere<br />

un ambiente inclusivo. L’ambiente<br />

inclusivo è quello nel quale nessuno si<br />

sente in un qualche modo costretto o<br />

spinto a modificare qualunque propria<br />

attitudine culturale, religiosa, fisica al<br />

fine di sentirsi “adatto”.<br />

Se l’organizzazione aziendale – o il<br />

luogo di lavoro in genere – riesce a<br />

realizzare tali condizioni, ecco che<br />

l’ambiente inclusivo è generato. In<br />

questo modo, l’investimento iniziale<br />

di “non costruire sul conosciuto” è<br />

ripagato dall’avere luoghi di lavoro<br />

dove le diversità intrinseche portano<br />

alla discussione di molteplici punti<br />

di vista differenti tra loro e dove le<br />

diversità acquisite contribuiscono con<br />

skill non convenzionali. Naturalmente,<br />

le organizzazioni devono in qualche<br />

modo dotarsi di metriche che<br />

quantifichino il tasso di successo delle<br />

strategie D&I; ad esempio, la misura<br />

del tasso di “retention” del personale<br />

prima e dopo l’implementazione della<br />

misura può rispondere bene a questo<br />

scopo.<br />

Ma esiste un secondo motivo, oltre<br />

al “team retention” che suggerisce<br />

fortemente l’opportunità di<br />

politiche e strategie di inclusione di<br />

diversità, ed è l’ampliamento delle<br />

opportunità di mercato e di crescita.<br />

Questa è un’osservazione che<br />

attiene esplicitamente all’industria<br />

farmaceutica e alle biotech ed è legata<br />

alla necessità – etica prima ancora<br />

che di mercato – di abbandonare bias<br />

che hanno guidato, almeno a partire<br />

dagli anni ’80 dello scorso secolo, le<br />

strategie di sviluppo nel farmaceutico. È<br />

nozione comune oramai che i trial clinici<br />

riflettono sempre più raramente la<br />

struttura demografica della popolazione<br />

di riferimento.<br />

I bisogni terapeutici, e più in generale<br />

di benessere, di una buona parte del<br />

mondo sono diversi da quelli del mondo<br />

nord-occidentale. Questo è sempre<br />

stato, si dirà. Con la differenza però<br />

che ora la capacità di spesa di quella<br />

parte del mondo sta crescendo e la<br />

transizione epidemiologica che stiamo<br />

vivendo premierà chi sarà stato in<br />

grado di anticipare i nuovi bisogni.<br />

Anche la comunicazione che l’industria<br />

farmaceutica – e i sistemi sanitari in<br />

generale – produce relativamente ai<br />

propri prodotti deve adeguarsi alla<br />

necessità dell’inclusione.<br />

La pandemia Covid ne è stata esempio,<br />

largamente in negativo. La letteratura<br />

scientifica riporta numerosi, seppur non<br />

sistematici, studi sul diverso outcome<br />

della pandemia verso sottopopolazioni<br />

specifiche, largamente etniche<br />

(basti pensare alle comunità nativoamericane,<br />

oppure agli afro-americani,<br />

o alle comunità latine negli Stati Uniti).<br />

Ma il livello di comunicazione, prima<br />

ancora che gli specifici interventi, per<br />

rispondere a queste diverse risposte è<br />

stato molto modesto. A titolo di esempio<br />

possiamo citare le barriere linguistiche.<br />

La totalità di coloro che leggeranno<br />

queste poche righe daranno per<br />

scontato l’uso della lingua inglese come<br />

lingua veicolare universale.<br />

Il che è vero in strati di popolazione,<br />

ma non in altri. E per questi “altri” la<br />

diversità linguistica solo raramente è<br />

compensata da interventi inclusivi, e<br />

spesso si traduce in minor accesso a<br />

prestazioni e prodotti che sarebbero<br />

invece disponibili. Come detto sopra,<br />

ciò ha naturalmente implicazioni etiche<br />

non piccole (nel mondo anglosassone,<br />

l’acronimo impiegato è DEI, diversity,<br />

equity – o equality – and inclusion), ma<br />

attiene anche alla capacità aziendale<br />

di veicolare correttamente il proprio<br />

prodotto o il proprio servizio al mercato<br />

più ampio possibile.<br />

15


Un punteggio<br />

può predire il<br />

nostro stato di<br />

salute futuro?<br />

Antonio Maturo<br />

Professore di Sociologia della Salute<br />

Università di Bologna, Campus della Romagna<br />

Oggi, vi sono grandi aspettative sul Poligenic risk score, il<br />

“punteggio di rischio poligenico”, cioè sulla stima della probabilità<br />

di sviluppare una particolare condizione medica valutando<br />

le informazioni di più marcatori genetici e varianti.<br />

Ora, cosa accadrebbe se però noi potessimo sviluppare degli<br />

score, dei punteggi, anche nell’ambito dei fattori sociali?<br />

In altri termini, è possibile stimare l’effetto sulla fisiologia<br />

di una persona del suo livello scolastico, reddito, condizione<br />

famigliare, stili di vita, reti sociali, tipologia di consumi? Secondo<br />

un gruppo di scienziati, sì. In alcuni ambiti di ricerca<br />

accademica americana si lavora alacremente allo sviluppo<br />

del Polysocial risk score. Per capire meglio come stanno le<br />

cose dobbiamo introdurre due riferimenti: uno scientifico e<br />

uno di fantasia.<br />

Sappiamo che gran parte del nostro stato di salute è determinato<br />

da fattori sociali e psicosociali. Per fattori sociali<br />

possiamo intendere il reddito, il tipo di lavoro, il livello di<br />

istruzione, il capitale sociale, ma anche il quartiere dove<br />

viviamo. Questi fattori influenzano i nostri stili di vita – fumare,<br />

bere, l’alimentazione in genere, l’attività fisica – così<br />

come l’accesso ai servizi sanitari e la capacità di raggiungere,<br />

comprendere e utilizzare proficuamente le informazioni<br />

sulla salute. Epidemiologi e sociologi hanno prodotto<br />

un’enorme mole di ricerca quantitativa sulle relazioni tra<br />

determinanti sociali e salute. Le ricerche sono spesso molto<br />

raffinate: quanto pesa il livello di istruzione sulla capacità<br />

di smettere di fumare? C’è una relazione tra il quartiere di<br />

residenza e l’essere vegani? Perché tra le persone di alto<br />

status sociale ci sono pochi astemi ma anche pochissimi<br />

forti bevitori?<br />

Uno scenario di fantasia, anzi di fiction scientifica può darci<br />

qualche risposta.<br />

Il nostro scenario di fantasia lo sviluppiamo invece richiamando<br />

due film di grande successo: Gattaca (1997) e Minority<br />

Report (2002). Gattaca è ambientato in un futuro prossimo<br />

in cui la società si divide in due classi sociali: i “Validi” e i<br />

“Non Validi”. I Validi sono coloro che hanno un corredo genetico<br />

sano, frutto della selezione degli embrioni. I Non Validi<br />

sono quelli nati naturalmente che, quindi, hanno imperfezioni<br />

di vario tipo e grandezza. Sulla base dei test genetici è<br />

dunque possibile predire l’aspettativa di vita delle persone e<br />

così allocarle in lavori più o meno prestigiosi. Ovviamente, i<br />

Validi sono al top della scala sociale e i Non Validi sono relegati<br />

ai lavori più umili. Quindi, il corredo genetico, in Gattaca,<br />

predice la propria posizione nella società, agendo da fattore<br />

di inclusione o esclusione sociale. Non è un caso se il filone<br />

artistico a cui viene ascritto Gattaca è quello detto “biopunk”.<br />

In Minority Report siamo ancora in un futuro distopico. In<br />

16


makinglife | novembre <strong>2022</strong><br />

questo contesto sociale, i colpevoli vengono arrestati prima<br />

che commettano il crimine. La predizione viene elaborata<br />

da tre veggenti dotati di poteri supernaturali. Dunque, anche<br />

qui il posto della previsione è centrale.<br />

Fino ad oggi la maggior parte degli sforzi per quantificare<br />

l’influenza sull’individuo dei determinati di salute sono falliti:<br />

i nessi causali sono numerosi, interconnessi e complessi.<br />

Ma da alcuni anni c’è qualcosa di nuovo come scrivono<br />

Figueroa e i suoi colleghi di Harvard, nell’articolo “Addressing<br />

social determinants of health. Time for a Polysocial risk<br />

score”, uscito recentemente sul Journal of American medical<br />

association. Oggi l’enorme mole di dati che possono<br />

essere raccolti digitalmente sulla salute delle persone può<br />

segnare un turning point per lo sviluppo di stime precise sul<br />

rischio individuale di ammalarsi.<br />

Queste ricerche, negli Stati Uniti, sono spesso sponsorizzate<br />

da un nuovo tipo di assicurazione sanitaria. Si tratta di<br />

assicurazioni che fanno un tipo di polizza che guarda alle<br />

nostre abitudini di vita e ai nostri comportamenti, le Behavior-based<br />

insurance. Infatti, la riforma Obama, allo scopo di<br />

valorizzare la prevenzione, offrì l’opportunità alle assicurazioni<br />

sanitarie di praticare sconti a chi cercava di aderire a<br />

stili di vita sani. Di qui l’interesse delle assicurazioni alla vita<br />

e agli stili di vita dei propri assicurati. Alcune assicurazioni<br />

richiedono che i loro membri condividano i proprio dati fisiologici<br />

raccolti da un braccialetto elettronico. Un po’ come<br />

si può fare con l’assicurazione dell’auto. Ma ci sono anche<br />

altri indicatori dello stato di salute (futuro) di una persona<br />

come i comportamenti di acquisto, la partecipazione ai forum<br />

online, perfino i like lasciati sui social.<br />

I big data individuali offrono un enorme set di informazioni<br />

connessi ai determinanti sociali di salute. Questi big data<br />

possono essere sintetizzati in un punteggio (il Polysocial<br />

risk score, appunto) che misura la nostra probabilità di ammalarci.<br />

Si tratta di uno scenario ancora distante dall’essere realizzato<br />

ma gli investimenti finanziari sono cospicui e questo<br />

non fa dormire sonni tranquilli. Chiaramente i rischi di<br />

discriminazione sociale sono enormi. Le assicurazioni sanitarie<br />

tendono infatti a selezionare il maggior numero di<br />

persone sane, a discapito delle classi sociali non affluenti,<br />

che si ammalano di più. Del resto, non tutti possono andare<br />

in barca a vela e mangiare mirtilli per mantenersi sani. In<br />

secondo luogo, l’assicurazione diviene qualcosa di diverso<br />

dalla sua essenza: il rischio infatti viene individualizzato e<br />

non spalmato su tutti gli assicurati. Terzo, un algoritmo sorveglierà<br />

i nostri stati fisiologici: alla faccia della privacy!<br />

17


I tempi della<br />

comunicazione<br />

Monica Torriani<br />

Nel processo di<br />

sensibilizzazione<br />

sui concetti di<br />

inclusione e diversity<br />

la comunicazione può<br />

assumere una funzione<br />

davvero preziosa, a<br />

patto però di evitare<br />

analisi superficiali<br />

mirate a compiacere il<br />

pubblico<br />

Ai nostri giorni, parlare di diversity<br />

e inclusione è come percorrere<br />

un torrente di dolce pendenza:<br />

nessuno sforzo per andare avanti,<br />

solo un minimo di attenzione a<br />

non incappare in qualche intralcio.<br />

Parlare di diversity e inclusione<br />

con coerenza e curiosità, invece, è<br />

molto più complicato. La corrente,<br />

prima benevola, qui è riottosa<br />

e si mostra ben poco incline ad<br />

accogliere imbarcazioni, anche se<br />

“armate” di ottime intenzioni. Le<br />

ragioni per cui si incontra resistenza<br />

nell’integrazione di elementi estranei<br />

in una maggioranza rodata devono<br />

essere cercate in profondità. Tuttavia,<br />

l’analisi che più spesso siamo spinti<br />

a fare è frettolosa. Magari raccoglie<br />

i favori immediati del pubblico ma<br />

produce contenuti che raramente<br />

generano dibattito, con i quali non si<br />

può che essere d’accordo (chi mai<br />

potrebbe dire a viso aperto che una<br />

donna merita, a parità di ruolo, di<br />

essere pagata meno di un uomo?) e<br />

che non coglie tutti gli aspetti di una<br />

questione che ha radici antiche.<br />

Il timore di accogliere l’intruso, in<br />

qualsiasi forma esso si presenti, è<br />

legato alla paura di perdere l’identità,<br />

dileguandosi nel vuoto cosmico. Si<br />

tratta di una reazione ancestrale,<br />

irrazionale, che non può pertanto<br />

18


makinglife | novembre <strong>2022</strong><br />

trovare soluzione nell’applicazione di<br />

un decalogo, ma richiede un’attenta<br />

lettura, una adeguata declinazione<br />

che tenga conto del contesto in cui si<br />

sviluppa e alla quale occorre fornire<br />

una risposta specifica.<br />

Dobbiamo riconoscerlo: il mondo gira<br />

veloce e anche la comunicazione si<br />

è lasciata travolgere dal perverso<br />

meccanismo del chi-si-ferma-èperduto<br />

e ha fretta, troppa fretta.<br />

Ma certe tempistiche non possono<br />

essere abbreviate, a meno di<br />

rinunciare a uno degli scopi più<br />

nobili nel nostro lavoro, quello<br />

dell’analisi lucida e della volontà di<br />

scoperta, e imboccare la via di una<br />

disponibile superficialità. Ecco perché<br />

abbandonare la curiosità di capire<br />

le reali motivazioni e accontentarci<br />

di ricombinare quanto già detto<br />

e scritto per giungere alle stesse<br />

conclusioni non può portarci alcun<br />

vantaggio. Affannarci alla ricerca di<br />

colpevoli verso i quali scagliare strali<br />

di condanna, siano essi maschi alfa<br />

o patriottici difensori dell’integrità<br />

nazionale, non ci aiuta a capire come<br />

uscire dalla spirale di maschilismo e<br />

razzismo che rischia di inghiottire la<br />

nostra società. È utile sostenere che<br />

la comunicazione non deve essere<br />

ostile verso i soggetti che meritano<br />

di essere protetti perché vittime<br />

di discriminazione? Forse sarebbe<br />

più vantaggioso affermare che la<br />

comunicazione non deve essere<br />

ostile punto. E laddove non può<br />

spendere parole di apprezzamento,<br />

almeno provi a descrivere i fatti con<br />

chiarezza e completezza e a porsi le<br />

giuste domande.<br />

AFFRONTARE<br />

L’IRRAZIONALE<br />

Se ci guardiamo intorno e<br />

analizziamo i problemi più impattanti<br />

della nostra epoca scopriamo<br />

che nessuno di essi si regge su<br />

basi razionali. Pensiamo alla<br />

vaccine hesitancy, ad esempio, o<br />

al negazionismo climatico o virale.<br />

Questioni che continuano a generare<br />

perdite produttive ed economiche<br />

ingenti e a determinare ogni giorno<br />

la morte di migliaia di persone. Se<br />

sei milioni e passa di decessi per<br />

Covid-19 non sono sufficienti per<br />

convincere un novax a cambiare idea,<br />

pensiamo davvero che spiegando il<br />

meccanismo d’azione del vaccino<br />

qualcosa cambierà? Se sette<br />

milioni di morti ogni anno a causa<br />

dell’inquinamento atmosferico non<br />

riescono a esprimere l’urgenza di<br />

adottare abitudini più eco-friendly,<br />

come possiamo credere che sia<br />

l’ennesimo studio del blasonato<br />

centro di ricerca a farlo?<br />

La gravità di certi quadri è sotto<br />

gli occhi di tutti ma siamo soggetti<br />

a una forza interiore che ci spinge<br />

senza tregua a trovare scorciatoie,<br />

letture semplificate. Se vogliamo<br />

vincere, dobbiamo essere più forti,<br />

contrapporci all’istinto, spostarci a<br />

un livello più elevato, più consono<br />

a quello di un animale evoluto e<br />

razionale quale è l’uomo. Risalire<br />

la corrente, appunto. Se scriviamo<br />

assecondando l’istinto continueremo<br />

a versare inchiostro lamentandoci<br />

di mondi ingiusti e minoranze<br />

svantaggiate, senza mai cogliere il<br />

problema e proporre soluzioni.<br />

Parlando di gender inclusion in<br />

azienda, è difficile non andare con<br />

il pensiero a migliaia di anni di<br />

supremazia del genere maschile<br />

negli ambienti professionali. Se alle<br />

donne viene garantita la possibilità<br />

(esercitabile o meno) di diventare<br />

madri, cioè creatrici di nuove vite,<br />

con gli uomini la natura non si<br />

mostra altrettanto magnanima.<br />

Perché allora, vien da dire se sei un<br />

uomo, non approfittarne per crearsi<br />

altre nicchie di soddisfazione? Perché<br />

non inventarsi il ruolo invincibile del<br />

breadwinner, in modo da aggiungere<br />

in maniera neanche troppo forzata<br />

la propria figura nell’idilliaco<br />

quadro della maternità? Perché non<br />

trasformare una debolezza sulla<br />

quale, almeno al momento, si può<br />

fare ben poco in un punto di forza che<br />

può invece portare enormi benefici?<br />

Certo, di acqua sotto i ponti ne è<br />

passata dall’epoca in cui le donne<br />

avevano come unica prospettiva di<br />

realizzazione il matrimonio. Ma la<br />

biologia, si sa, ha tempi lunghissimi<br />

(ancora più lunghi di quelli della<br />

comunicazione) e imparare a<br />

metabolizzare una simile rivoluzione<br />

non è certo cosa da poco.<br />

COSTRUIRE<br />

UN’ALLEANZA<br />

La domanda è: cosa possiamo fare<br />

per accelerare questo percorso?<br />

L’analisi degli scenari ci mostra che<br />

non abbiamo ampia scelta. Costruire<br />

barriere, alzare muri, incolpare<br />

gli uomini, o peggio le madri che<br />

non li educano a dovere, ci farebbe<br />

sentire ancora più sole. Questo non<br />

significa rinunciare a rivendicazioni<br />

che riteniamo legittime ma ci apre<br />

una prospettiva più serena, quella di<br />

gettare ponti, far germogliare semi<br />

di speranza. Provare a costruire<br />

un’alleanza in cui tutti i protagonisti<br />

traggono vantaggio, una simbiosi.<br />

La comunicazione può così assumere<br />

una funzione davvero preziosa.<br />

Il primo passo è quello di sforzarsi<br />

di considerare anche le opinioni che<br />

non incontrano le nostre simpatie,<br />

di uscire dal malinterpretato<br />

senso di giustizia ed equità che<br />

ci impedisce di vedere ciò che<br />

non ci piace. Potremmo trovarci<br />

di fronte una versione antipatica<br />

della realtà, sterilmente polemica<br />

ma non dobbiamo dimenticare che<br />

la gestione del conflitto è parte<br />

degli scopi più raffinati della nostra<br />

attività.<br />

19


20


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DIVERSO DA CHI?<br />

Debora Ghietti<br />

Sustainability and CSR advisor<br />

22<br />

Scrivere di diversità e inclusione mi<br />

riporta subito alla mente “diverso da<br />

chi?”, il titolo di un film italiano del 2009<br />

di Umberto Carteni, che all’epoca vinse<br />

molti premi. Oggi il tema dell’inclusione<br />

di categorie – che non definirei<br />

“diverse” ma meno rappresentate e con<br />

meno diritti riconosciuti – è finalmente<br />

entrato a pieno titolo nelle agende<br />

delle istituzioni e delle aziende, queste<br />

ultime chiamate da diversi stakeholder<br />

a rispondere su questo tema. Molteplici<br />

studi e pubblicazioni hanno ormai<br />

dimostrato che l’inclusione di tutte<br />

le categorie di lavoratori e lavoratrici<br />

rappresenta un vantaggio per<br />

l’impresa, un vantaggio competitivo<br />

e di incremento del business, perché<br />

nelle aziende dove c’è una reale<br />

cultura di inclusione le persone sono<br />

maggiormente ingaggiate e produttive.<br />

Nel 2020 Coqual ha ulteriormente<br />

esplorato i fattori che influenzano il<br />

senso di appartenenza di un o una<br />

dipendente attraverso un sondaggio<br />

su 3.711 professionisti negli Stati Uniti.<br />

I risultati sono stati analizzati in base<br />

a genere, etnia, generazione, identità<br />

LGBTQI+ e status di genitore, veterano<br />

e immigrazione. L’appartenenza<br />

è risultata legata a quattro fattori<br />

chiave: se i e le dipendenti si sentono<br />

riconosciuti, premiati e rispettati dai<br />

colleghi; se hanno interazioni positive<br />

e autentiche con i loro colleghi e<br />

manager; se sentono il supporto nel<br />

loro lavoro quotidiano e nello sviluppo<br />

della carriera; infine, se si sentono<br />

allineati allo scopo, alla visione e ai<br />

valori dell’azienda in cui lavorano (fonte:<br />

ILO). Il Gruppo Cegos ha pubblicato a<br />

ottobre <strong>2022</strong> i risultati di una ricerca<br />

internazionale “Diversity&Inclusion<br />

nelle aziende: le competenze legate alle<br />

sfide di una trasformazione culturale.”<br />

UN QUADRO<br />

DESOLANTE<br />

Ad aprile <strong>2022</strong>, Cegos ha intervistato<br />

4.000 dipendenti (di cui 501 italiani)<br />

e 420 direttori e manager delle<br />

risorse umane (di cui 60 italiani) di<br />

aziende private e pubbliche in sette<br />

Paesi europei (Francia, Germania,<br />

Italia, Spagna, Gran Bretagna,<br />

Portogallo) e America Latina (Brasile)<br />

chiedendo loro di rispondere a<br />

domande relative alla D&I nel<br />

loro ambiente lavorativo. Obiettivi<br />

principali dell’indagine è capire: qual<br />

è il livello di discriminazione attuale<br />

nelle organizzazioni? Che livello di<br />

conoscenza e chi è maggiormente


makinglife | novembre <strong>2022</strong><br />

coinvolto tra gli stakeholder? Quali<br />

azioni e pratiche sono attuate per<br />

promuovere e rafforzare il commitment<br />

aziendale? Il quadro, ancora molto<br />

desolante, mostra un livello ancora<br />

troppo elevato di discriminazione in<br />

ambito professionale: sebbene l’84%<br />

dei dipendenti sostenga che l’inclusione<br />

sia un criterio importante per la scelta<br />

del nuovo datore e il 65% si dica<br />

convinto che le politiche sulla diversity<br />

contribuiscano positivamente alle<br />

prestazioni complessive dell’azienda,<br />

l’82% del campione afferma di<br />

aver assistito a qualche forma di<br />

discriminazione nell’organizzazione<br />

in cui opera. Ma quali sono le forme<br />

di discriminazione più frequenti<br />

riscontrate in azienda? Dal sondaggio<br />

le più diffuse risultano: età (25%),<br />

condizioni di salute (19%), genere (18%),<br />

aspetto fisico (16%), livello scolastico e<br />

status sociale (16%). La discriminazione<br />

basata sull’età sembra particolarmente<br />

diffusa in Italia (40%), così come quella<br />

di genere (27%). Assumono rilevanza<br />

anche l’identità di genere, che raccoglie<br />

un 18% a fronte del 10% a livello<br />

globale, e la situazione famigliare, 17%<br />

vs 11%. In Italia la discriminazione di<br />

genere e generazionale appare ancora<br />

come un pregiudizio che in azienda<br />

porta all’esclusione di alcune categorie<br />

di persone.<br />

PASSI AVANTI<br />

NORMATIVI<br />

Per le questioni di genere, da<br />

diversi anni si sta lavorando con<br />

varie iniziative culturali e non solo.<br />

Con la legge 162/2021, infatti, è<br />

stato introdotto lo strumento della<br />

certificazione della parità di genere,<br />

con l’obiettivo di incentivare le aziende<br />

ad adottare politiche adeguate a<br />

ridurre il gap di genere. A marzo <strong>2022</strong><br />

è stata presentata la norma UNI/<br />

PdR 125:<strong>2022</strong>, uno strumento per<br />

misurare, valutare e rendicontare la<br />

parità di genere in azienda attraverso<br />

KPI: una certificazione che consente di<br />

avviare un percorso di cambiamento<br />

culturale nella propria organizzazione<br />

per raggiungere la parità di genere e<br />

beneficiare di vantaggi concreti, tra<br />

cui sgravi fiscali e punteggi premiali<br />

in gare di appalto. Purtroppo, per la<br />

discriminazione generazionale, che<br />

rappresenta il 42% delle discriminazioni<br />

subite in azienda, soprattutto nella<br />

fascia 50-64 anni, non sembrano essere<br />

evidenti politiche aziendali volte a<br />

includere i senior. La base normativa<br />

su questi temi non manca. La prima<br />

norma è l’articolo 3 della nostra<br />

Costituzione, che stabilisce un principio<br />

di uguaglianza e non discriminazione;<br />

inoltre, un D.L. del 2006 che sancisce<br />

le pari opportunità tra uomo e donna e<br />

vieta discriminazioni dirette o indirette<br />

sul luogo di lavoro. Esistono anche<br />

normative sul collocamento delle<br />

persone disabili. Tuttavia, la cultura<br />

aziendale, che riflette la cultura del<br />

Paese, ha ancora molto lavoro da fare<br />

perché l’inclusione sia un dato di fatto<br />

e non solo un dato “di facciata”. Diventa<br />

centrale il ruolo del o della “diversity<br />

manager”, nuova figura aziendale che<br />

ha l’obiettivo di diffondere praticamente<br />

e concretamente con azioni chiare e<br />

misurabili la cultura dell’inclusione in<br />

azienda.<br />

L’INCLUSIONE INIZIA DALLA SELEZIONE<br />

L’inclusione è un concetto differente dalla semplice assenza di discriminazione e comporta un approccio attivo che mira<br />

non solo a coinvolgere e valorizzare le diversità presenti fuori e dentro un’organizzazione ma anche ad attirarne di nuove.<br />

Un esempio di questo modello arriva da Sephora, multinazionale di profumerie del gruppo LVMH, che ha introdotto una<br />

procedura di “selezione inclusiva” per la scelta del nuovo personale. Una decisione che rende conto di un preciso focus<br />

sul concetto di inclusione, come Alessandra Andé, head of HRBP retail Sephora Italia: «Diversity e inclusion per noi si<br />

esprimono con la valorizzazione dell’unicità – e quindi della diversità – di ciascuno, analizzando quello che ci rende unici<br />

per metterlo a disposizione della comunità. Guardiamo a quel tratto distintivo come a qualcosa di prezioso che possa<br />

essere appreso e valorizzato, qualcosa che unisce invece di dividere».<br />

Cos’è la selezione inclusiva e come si applica concretamente?<br />

«L’idea di una modalità di selezionare le persone più inclusiva e meno classica è nata qualche anno fa in seno al gruppo<br />

LVMH che ha come grande merito quello di valorizzare e riconoscere le unicità. Dalla definizione della job, alla lettura del<br />

curriculum, al primo contatto telefonico e fino all’intervista, mettiamo in atto dei processi inconsci che ci guidano, anzi<br />

ci pilotano. Con questo training offriamo alle persone la possibilità di riconoscere il pre-giudizio e di farlo divenire un<br />

alleato più che un nemico. L’applicazione è fondamentale in tutti i processi ma nell’ambito della selezione del personale<br />

è sicuramente un tratto distintivo di un’azienda che vuole avere voce in capitolo sulla valorizzazione del singolo e dal<br />

rendere la scelta obiettiva, tecnica e per quanto possibile scevra da sovra strutture inconsce».<br />

Perché avete sentito il bisogno di introdurre questo approccio?<br />

«Perché siamo pionieri nell’inclusione, nel concetto di bellezza che non segue i canoni classici che per anni l’hanno<br />

etichettata e ingabbiata, perché come azienda vogliamo e dobbiamo dare voce a tutti i nostri clienti, a tutta la community<br />

e abbiamo il dovere di far sentire ogni persona accettata, valorizzata e potenziata».<br />

23


L’osservatorio<br />

D&I del Global<br />

compact network<br />

delle Nazioni<br />

Unite<br />

UN Global Compact<br />

Network (Ungcn) Italia fa<br />

capo all’iniziativa globale<br />

per lo sviluppo sostenibile<br />

denominata “Global Compact<br />

delle Nazioni Unite” e ha<br />

l’obiettivo di divulgare a<br />

livello nazionale la cultura<br />

della corporate sustainability,<br />

promuovendo i 10 principi<br />

dell’UN Global Compact<br />

afferenti a quattro aree<br />

(diritti umani, lavoro, clima<br />

e anticorruzione) e i 17 SDG<br />

dell’Onu. In questa azione di<br />

promozione dello sviluppo<br />

sostenibile, Ungcn Italia<br />

coinvolge primariamente le<br />

imprese – ma anche istituzioni,<br />

università, mondo non profit<br />

e associazioni della società<br />

civile – per dar vita a una<br />

partnership ampia e concreta<br />

per la realizzazione dell’Agenda<br />

2030. Tra le iniziative del<br />

network sono stati istituiti un<br />

osservatorio D&I e un percorso<br />

di formazione denominato<br />

“Target gender equality”.<br />

Ne parliamo con Daniela<br />

Bernacchi, segretario generale<br />

e direttore esecutivo dell’UN<br />

Global Compact Network Italia.<br />

Dopo un anno di osservatorio<br />

D&I che quadro si sta<br />

delineando?<br />

Stanno emergendo una<br />

crescente sensibilità sul<br />

tema della diversity da parte<br />

del mondo delle imprese e<br />

la consapevolezza di dover<br />

lavorare sulla cultura aziendale<br />

in modalità pervasiva e<br />

coinvolgendo tutte le funzioni.<br />

Partendo ad esempio da un<br />

ri-orientamento del linguaggio<br />

e dei termini verso il gender<br />

neutral. La sfide attuali sono<br />

anche quelle di un’attivazione<br />

verso la D&I di tutta la catena<br />

del valore, inclusi quindi<br />

i fornitori aziendali, e del<br />

monitoraggio dei risultati<br />

fissando KPI’s misurabili.<br />

A oggi, non c’è uno standard<br />

per la D&I e ogni azienda si<br />

costruisce i propri modelli<br />

rendendo anche difficilmente<br />

comparabile l’informazione.<br />

L’adesione delle aziende<br />

all’Osservatorio è su base<br />

volontaria o vengono<br />

selezionate da voi?<br />

Un po’ entrambe le modalità:<br />

alcune aziende aderenti che<br />

volevano approfondire il tema<br />

si sono proposte per migliorare<br />

il loro percorso; altre sono<br />

state sollecitate da noi proprio<br />

perché magari più avanzate<br />

e di stimolo in termini di<br />

benchmarking per le altre. Per<br />

il 2023, il Network sta valutando<br />

anche le candidature di PMI che<br />

si sono distinte sui temi della<br />

D&I, per estendere l’impatto<br />

del proprio programma anche<br />

ad aziende di piccole e medie<br />

dimensioni, che sono una<br />

componente importantissima<br />

del nostro tessuto<br />

imprenditoriale nazionale.<br />

A proposito del percorso di<br />

formazione “Target gender<br />

equality” quali sono i benefici<br />

per le aziende che hanno<br />

aderito? In che situazione si<br />

trovano oggi le imprese su<br />

questa tematica?<br />

Il percorso finirà a febbraio<br />

2023. Le 39 aziende che hanno<br />

aderito beneficiano già da ora di<br />

una condivisione di difficoltà e<br />

opportunità comuni, di momenti<br />

di riflessione e sottogruppi di<br />

lavoro, e di strumenti pratici di<br />

monitoraggio come il WEP’s<br />

gender gap analysis tool,<br />

che permette loro di capire<br />

Daniela Bernacchi, segretario generale e direttore<br />

esecutivo dell’UN Global Compact Network Italia<br />

se il percorso che stanno<br />

attuando è in una fase di<br />

beginner, moderato o avanzato<br />

per poi fissare obiettivi di<br />

miglioramento.<br />

Lo strumento è basato sui<br />

Women empowerment<br />

principles, sette principi<br />

che coprono le aree della<br />

leadership, della formazione,<br />

dei percorsi di carriera,<br />

del sexual harrasment, del<br />

marketing e delle pratiche di<br />

filiera. L’analisi viene effettuata<br />

rispetto alla dimensione<br />

interna dell’azienda ma anche<br />

considerando il mercato<br />

esterno e la comunità.<br />

Il programma di accelerazione<br />

Target gender equality prevede<br />

l’affiancamento del Network e<br />

di consulenti lungo un percorso<br />

che va dalla determinazione di<br />

obiettivi ambiziosi alle strategie<br />

di successo, alle modalità,<br />

infine, per misurare gli obiettivi<br />

pre-fissati e valutare KPI<br />

comuni.<br />

Qual è la situazione del settore<br />

farmaceutico sulle tematiche<br />

D&I dal vostro punto di vista?<br />

Nel mondo hanno aderito<br />

al network 725 aziende del<br />

segmento healthcare, di<br />

cui una ventina in Italia. Le<br />

grandi multinazionali sono<br />

sicuramente più avanti, per<br />

una questione di “grado<br />

di maturità dell’azienda”<br />

tenuto conto che la diversity<br />

comprende tematiche<br />

amplissime: disabili, migranti,<br />

donne, LGBTQ+plus, giovani,<br />

ma anche silver… I settori<br />

che più beneficiano di un<br />

intervento pro-D&I sono<br />

sicuramente quelli tecnicomanifatturieri,<br />

considerando<br />

la più scarsa partecipazione<br />

delle donne rispetto agli<br />

uomini a percorsi di studi<br />

nelle discipline STEM. Quindi,<br />

sicuramente, come obiettivo<br />

nazionale possiamo porci<br />

quello di favorire la diffusione<br />

della cultura STEM fra la<br />

componente femminile, in<br />

partnership con le università,<br />

e garantire una formazione<br />

adeguata, mentoring e pari<br />

opportunità quando le persone<br />

vengono assunte nelle<br />

organizzazioni.<br />

24


Strategie di inclusione<br />

nelle aziende Pharma<br />

Molte aziende del settore farmaceutico hanno<br />

intrapreso percorsi strutturati per promuovere<br />

diversità, equità e inclusione tra il personale<br />

delle loro aziende. Dirigenti compresi<br />

Caterina Lucchini<br />

26


makinglife | novembre <strong>2022</strong><br />

La società dei nostri tempi<br />

è di fronte a una sfida<br />

sociale che riflette decenni<br />

di disuguaglianze relative<br />

a gruppi etnici, genere,<br />

orientamento sessuale,<br />

età, capacità e condizione<br />

socioeconomica. Questa<br />

sfida si ripercuote anche<br />

nel mondo del lavoro, dove<br />

sempre più prepotentemente<br />

si sente parlare di diversità,<br />

equità e inclusione (DE&I)<br />

come di una importante<br />

opportunità per aziende,<br />

pubblica amministrazione e<br />

accademia. I luoghi di lavoro<br />

più diversificati e inclusivi<br />

dimostrano un impegno<br />

maggiore dei dipendenti, più<br />

elevati livelli di innovazione,<br />

qualità delle assunzioni,<br />

migliori tassi di fidelizzazione<br />

dei dipendenti e maggiori<br />

profitti.<br />

Con questa introduzione si<br />

apre il report statunitense “The<br />

biopharmaceutical industry:<br />

improving diversity & inclusion<br />

in the workforce”, pubblicato<br />

nel 2020. Cosa significa in<br />

pratica e qual è lo scenario<br />

attuale nel mondo delle<br />

aziende del farmaco?<br />

RISORSE PER I<br />

DIPENDENTI…<br />

Per prima cosa è importante<br />

parlare di definizioni, come<br />

proposto nel box dedicato ai<br />

concetti fondamentali che<br />

ruotano intorno ai principi<br />

di diversità e inclusione. Le<br />

aziende che stanno sposando<br />

tali principi permettono e<br />

favoriscono la nascita di<br />

diverse realtà. Una di queste<br />

è rappresentata dai gruppi<br />

ERG (Employee resource<br />

groups). Si tratta, come si<br />

legge ad esempio sul sito di<br />

Abbvie, di “gruppi di risorse<br />

per dipendenti che uniscono<br />

persone accomunate dallo<br />

stesso interesse. Non si<br />

limitano a promuovere un<br />

ambiente lavorativo diverso<br />

e inclusivo, ma organizzano<br />

anche attività di mentoring,<br />

networking, sviluppo<br />

professionale, attrazione dei<br />

talenti, senza trascurare il<br />

divertimento”. In Abbvie, giusto<br />

per citarne una, i gruppi ERG<br />

attualmente attivi sono: black<br />

business network, Ahora<br />

hispanic/latino network, asian<br />

leadership network, Abbvie<br />

pride (lesbian, gay, bisexual,<br />

transgender and allies),<br />

veterans, women leaders in<br />

action (WLA). Ma Abbvie non è<br />

l’unica azienda del farmaco ad<br />

aver creduto nel valore della<br />

DE&I all’interno dell’azienda.<br />

Chiesi, ad esempio, per il terzo<br />

anno consecutivo ha ricevuto<br />

il “Diversity leaders award”<br />

<strong>2022</strong> rientrando tra le prime<br />

50 aziende europee (36°<br />

posizione) su un campione di<br />

850 prese in esame.<br />

Il Gruppo si è posizionato 2° tra<br />

le 24 aziende farmaceutiche<br />

esaminate nell’indagine. Chiesi<br />

è stata premiata per la sua<br />

attenzione su cinque aspetti<br />

principali: equilibrio di genere,<br />

orientamento sessuale, età,<br />

etnia e disabilità.<br />

...E DIPENDENTI<br />

COME RISORSA<br />

“Le persone sono il patrimonio<br />

più grande di ogni azienda”:<br />

con questo claim MSD Italia<br />

presenta il suo programma<br />

sul tema. “Siamo convinti<br />

che la nostra missione di<br />

scoprire, sviluppare e rendere<br />

disponibili farmaci, vaccini e<br />

servizi innovativi che salvino<br />

e migliorino la vita possa<br />

realizzarsi solo attraverso<br />

una reale collaborazione tra<br />

persone diverse”. MSD Italia<br />

27


Strategie<br />

aziendali DE&I<br />

1. Favorire i gruppi ERG<br />

2. Supportare formazione<br />

ed educazione inclusiva<br />

3. Istituzionalizzare<br />

posizioni DE&I<br />

4. Collaborare con le<br />

organizzazioni nelle<br />

comunità locali per<br />

guidare il cambiamento<br />

sistemico correlato alla<br />

DE&I verso l’equità<br />

sanitaria e l’istruzione<br />

STEM<br />

5. Pianificare degli obiettivi<br />

di DE&I e seguirne gli<br />

avanzamenti<br />

vanta il 50% di quote rosa nei<br />

leadership team e tra i dirigenti.<br />

Anche in Takeda, dei 50.000<br />

dipendenti del Gruppo, il 52%<br />

è donna. Gli ultimi tre AD in<br />

Italia sono state donne e anche<br />

la metà dei ruoli dirigenziali<br />

è coperto da donne. “Quello<br />

che conta per noi in fase<br />

di colloquio – si legge nelle<br />

interviste rilasciate dall’azienda<br />

– non è il genere ma le hard<br />

e soft skill acquisite”. Takeda,<br />

inoltre, promuove l’ascolto dei<br />

propri dipendenti attraverso<br />

delle survey interne utili per<br />

migliorare l’equilibrio dei tempi<br />

di vita personale e lavorativa.<br />

Anche Sanofi si è fatta notare,<br />

lanciando ad aprile <strong>2022</strong> il<br />

suo DE&I board, il primo nel<br />

suo genere nell’industria<br />

farmaceutica ad avere<br />

consulenti esterni.<br />

Il Consiglio DE&I di Sanofi<br />

include tre delle voci più<br />

influenti nello spazio DE&I<br />

come membri del consiglio<br />

nominati per tre anni: lo<br />

psicologo John Amaechi,<br />

l’imprenditrice sociale Caroline<br />

Casey e la pioniera DE&I e<br />

rinomata leader di pensiero<br />

Rohini Anand. Il Consiglio DE&I<br />

è composto da undici membri,<br />

tra cui sette membri della<br />

leadership di Sanofi, si riunirà<br />

tre volte all’anno e comunicherà<br />

i progressi sugli obiettivi 2025<br />

su base trimestrale.<br />

UN VANTAGGIO<br />

COMPETITIVO<br />

Le realtà qui citate sono solo<br />

alcune: il tema dell’inclusione<br />

e della diversità è trattato da<br />

molte aziende che pubblicano<br />

sui propri siti comunicati<br />

stampa o manifesti in cui<br />

sintetizzano i loro valori<br />

e i loro obiettivi. Angelini,<br />

Zentiva, ViiV healthcare e<br />

GSK sono solo alcune di<br />

esse. Secondo McKinsey<br />

e Co., più un’azienda è<br />

diversificata, maggiori sono<br />

le possibilità di successo<br />

duraturo. La diversità non<br />

dovrebbe essere vissuta solo<br />

come una parola alla moda:<br />

è un driver di prestazioni<br />

che supporta le aziende nel<br />

prendere decisioni rapide e<br />

accurate. In particolare nel<br />

settore sanitario, la diversità è<br />

sinonimo di rappresentazione,<br />

comprensione e condivisione<br />

di ciò per cui si sta lavorando.<br />

28


makinglife | novembre <strong>2022</strong><br />

Il vocabolario DE&I<br />

Sebbene ci siano molte definizioni e concetti intorno alla diversità e all’inclusione, proponiamo di seguito alcuni significati<br />

generali.<br />

• DIVERSITÀ<br />

La diversità è spesso indicata in termini di gruppi etnici, genere e identità sessuale, età, capacità fisiche e orientamento<br />

sessuale rappresentati all’interno di un gruppo definito.<br />

• INCLUSIONE<br />

L’inclusione si riferisce generalmente alle pratiche che coinvolgono e autorizzano le persone a partecipare, essere<br />

riconosciute e realizzare il loro potenziale.<br />

• DIVERSITÀ SUL POSTO DI LAVORO<br />

La diversità sul posto di lavoro si riferisce spesso alla coltivazione del talento e alla promozione della piena inclusione<br />

dell’eccellenza in tutto lo spettro sociale. Ciò include persone provenienti da contesti tradizionalmente sottorappresentati<br />

in aree come la forza lavoro manageriale, scientifica e STEM, nonché quelli provenienti da contesti tradizionalmente ben<br />

rappresentati.<br />

• UGUAGLIANZA<br />

L’uguaglianza in genere si riferisce all’applicazione di metodi di trattamento identici per tutti e alla garanzia che ognuno<br />

possa accedere alle stesse opportunità, status e diritti.<br />

• EQUITÀ<br />

L’equità si riferisce comunemente alla nozione di giustizia e rappresentanza proporzionale. Si tratta di un fattore che<br />

consente l’attribuzione o il riconoscimento di ciò che spetta al singolo in base a una interpretazione umana e non letterale<br />

della giustizia.<br />

29


Capire l’inclusione<br />

Per il<br />

coinvolgimento<br />

delle diversità<br />

nei posti di lavoro,<br />

oltre ad alcune<br />

difficoltà pratiche,<br />

vi sono diverse<br />

questioni teoriche<br />

ancora poco<br />

dibattute<br />

Alberto Bobadilla<br />

Come in tanti altri ambiti, anche nelle aziende le posizioni di<br />

potere tendono a escludere certe categorie di persone. È ben<br />

noto che le donne ai vertici nelle diverse professioni restano<br />

una minoranza un po’ in tutto il mondo; allo stesso modo,<br />

alcune etnie risultano sistematicamente sottorappresentate e il<br />

problema si manifesta in modo ancor più evidente in quei Paesi<br />

in cui la popolazione generale è invece fortemente multietnica.<br />

Quanto alle minoranze dal punto di vista dell’orientamento o<br />

dell’identità sessuale, solo di recente e solo in alcune parti del<br />

mondo hanno ottenuto diritti sociali, ma assai raramente sono<br />

venute alla luce le difficoltà che incontrano nel mondo del lavoro.<br />

Le disabilità e le disuguaglianze socio-economiche sono altri<br />

fattori che creano ostacoli spesso insormontabili alla piena<br />

realizzazione professionale.<br />

INCLUSIONE, CREATIVITÀ<br />

E PROFITTI<br />

Già da tempo, le aziende più importanti hanno iniziato a<br />

interrogarsi sulla gestione delle diversità e a muoversi in<br />

direzione di una maggiore inclusione. È tuttavia un percorso<br />

lungo, in cui l’Italia, e in particolare le piccole e medie imprese,<br />

scontano un grave ritardo.<br />

Il tema del diversity & inclusion management è molto complesso<br />

e difficile da mettere in pratica ma molti osservatori hanno fatto<br />

notare che un’organizzazione che si muove in direzione di una<br />

maggiore etica può ottenere in cambio anche importanti ricadute<br />

economiche, sostenute da un miglioramento dell’immagine<br />

aziendale, una maggiore fidelizzazione dei dipendenti e dei<br />

clienti e una forza lavoro sottoposta a minore stress e quindi in<br />

grado di lavorare meglio e generare una gamma più ampia di<br />

idee e soluzioni.<br />

I diversi punti di vista espressi da quei soggetti che<br />

tradizionalmente risultano esclusi dai processi decisionali<br />

contribuiscono all’innovazione e al cambiamento. Al giorno<br />

d’oggi, i cambiamenti tecnologici e sociali continuano a<br />

modificare gli scenari in ogni settore lavorativo. In questo<br />

contesto, le organizzazioni hanno un grande bisogno del giudizio<br />

umano, dell’empatia, della passione e della creatività di tutte le<br />

loro risorse umane di cui dispongono per affrontare le sfide di<br />

un mercato sempre più esigente. Studi accademici, così come<br />

il lavoro condotto da società di reclutamento e consulenza,<br />

mostrano che le organizzazioni che hanno implementato<br />

programmi di diversità e inclusione tendono a migliorare la<br />

propria competitività.<br />

Diversità e inclusione sono due concetti interconnessi, ma<br />

tutt’altro che intercambiabili. Un ambiente in cui sono presenti<br />

molte etnie, nazionalità e persone con orientamenti e identità<br />

sessuali diversi ma nel quale solo le prospettive di determinati<br />

gruppi sono valutate o hanno autorità e influenza può essere<br />

considerato diverso, ma non è certamente inclusivo, dato che<br />

l’inclusione riguarda il modo in cui i contributi, la presenza e<br />

le prospettive di diversi gruppi di persone sono integrati nei<br />

processi organizzativi. Un ambiente di lavoro diversificato e<br />

inclusivo fa sì che tutti, indipendentemente da chi siano o da<br />

cosa facciano per l’azienda, si sentano ugualmente coinvolti e<br />

supportati in tutte le aree del posto di lavoro. Che “tutte le aree”<br />

siano rappresentate è importante: se la metà dei dipendenti sono<br />

donne ma i dirigenti sono tutti uomini, evidentemente esiste un<br />

problema di inclusione.<br />

IL CONCETTO DI “DIVERSO”<br />

“Allo scopo di ampliare la partecipazione di gruppi storicamente<br />

confinati ai margini, occorre cambiare una logica che considera<br />

questi gruppi oggetti e non soggetti”. È questo il punto di<br />

partenza di un gruppo di studiose di diversi atenei brasiliani<br />

che si sono proposte di delineare un’agenda che porti a una<br />

trasformazione del mondo del lavoro più inclusiva e rispettosa<br />

delle numerose differenze tra le persone che formano le società<br />

del nostro tempo (*).<br />

Le autrici si richiamano al concetto di intersezionalità,<br />

storicamente utilizzato con accezioni differenti ma che in ogni<br />

caso tende ad analizzare le differenze e le divisioni presenti nella<br />

30


makinglife | novembre <strong>2022</strong><br />

società, a partire dalle “classi” ma estendendosi a numerosi altri<br />

elementi come il genere, l’etnia, le disabilità, la sessualità, l’età,<br />

talvolta combinati secondo modelli multifattoriali.<br />

«Inizialmente – scrivono – dobbiamo considerare che la nostra<br />

idea di ciò che è diverso si è formata a partire da coloro che,<br />

nelle nostre società, si sono configurati come “la norma”. Da una<br />

prospettiva intersezionale, quindi, quegli elementi che ci sono<br />

stati raccontati come “norma” hanno bisogno di essere snaturati.<br />

Questo tema dovrebbe essere aperto al dibattito, nella misura<br />

in cui anche la logica costitutiva delle istituzioni possa essere<br />

messa in discussione e mostrata come un punto di vista: quindi<br />

singolare e non universale».<br />

Molti studiosi si sono mossi in questa direzione: se Frantz Fanon<br />

ha affermato che “sono stati i bianchi a creare i neri”, Edward<br />

Said ha evidenziato le modalità con cui l’Occidente ha elaborato<br />

una rappresentazione dispregiativa dell’Oriente, mentre Maria<br />

Lugones ha denunciato una colonialità di genere che si è<br />

mantenuta nonostante il tramonto politico del colonialismo.<br />

faticano anche a essere riconosciute a livello teorico e quindi<br />

portate all’attenzione. Se, ad esempio, in gran parte come<br />

risultato di provocazioni dal campo del femminismo nero, i<br />

temi legati alle popolazioni nere sono stati oggetto di dibattito,<br />

così non è accaduto spesso riguardo alle popolazioni indigene<br />

presenti in varie parti del mondo e ad altri gruppi razziali<br />

minoritari. I conflitti nei territori arabi e asiatici sono ancora<br />

raramente rappresentati, sia nei media generalisti che nei<br />

dibattiti degli specialisti. Si discute poco, inoltre, degli effetti<br />

dell’invecchiamento nelle amministrazioni o di cosa significa<br />

invecchiare in un contesto in cui il tempo è considerato una<br />

variabile da controllare.<br />

Infine, molti degli studi sulla diversità si svolgono nel contesto<br />

urbano. Lavoratori rurali maschi e femmine, processi<br />

organizzativi che sono messi in atto nei lavori che si svolgono<br />

nelle campagne, e le differenze tra i vari contesti rurali sono<br />

ancora poco studiati relativamente al tema della diversità.<br />

INDIVIDUARE LA DISCRIMINAZIONE<br />

Non soltanto le pratiche di inclusione sono evidentemente<br />

carenti in molte organizzazioni, ma alcune discriminazioni<br />

Riferimenti<br />

(*) Teixeira, J. C., Oliveira, J. S. D., Diniz, A., & Marcondes, M. M. (2021). Inclusion<br />

and diversity in management: a manifesta for the future-now. Revista de<br />

Administração de Empresas, 61.<br />

Le grandi aziende che aprono la strada<br />

Che politiche aziendali inclusive possano riflettersi sui risultati economici è bene evidenziato da quanto accaduto alla Qantas.<br />

Nel 2013, la compagnia aerea australiana ha fatto registrare una perdita di 2,8 miliardi di dollari australiani (circa 1,8 miliardi<br />

di euro, al cambio attuale) e, dopo soli quattro anni, un profitto di 850 milioni (circa 550 milioni). L’amministratore delegato Alan<br />

Joyce, che si identifica apertamente come gay, ha dichiarato che tra i fattori di successo ha influito il fatto di «avere un ambiente<br />

molto diversificato e una cultura molto inclusiva». Secondo Joyce, quelle caratteristiche «ci hanno fatto attraversare tempi<br />

difficili, [...] la diversità ha generato una strategia migliore, una più efficace gestione del rischio, dibattiti più aperti e approfonditi<br />

e, in ultima analisi, risultati migliori».<br />

Diverse altre aziende di rilevanza internazionale, comunque, stanno aprendo nuovi orizzonti, mettendo in atto una varietà di<br />

strategie che pongono diversità, inclusione ed equità al centro delle loro organizzazioni.<br />

«Oggi il nostro comitato esecutivo, che comprende i riporti diretti all’amministratore delegato e al presidente, è composto per il<br />

38% da donne – ha affermato Tina Mylon, vicepresidente senior “Talento e diversità” presso la Schneider Electric. – Possiamo<br />

fare di meglio, ma siamo contenti dei progressi. Inoltre, vale la pena notare che tre dei nostri cinque mercati aziendali sono<br />

guidati da donne. Abbiamo circa 140.000 dipendenti. Sappiamo che diversità, equità e inclusione sono alcuni dei principali fattori<br />

di coinvolgimento della nostra forza lavoro. È per questo che vengono a lavorare per noi ed è per questo che rimangono».<br />

La multinazionale francese dichiara cinque priorità a livello globale in tema di inclusione, che riguardano genere, generazione,<br />

nazionalità/etnia, Lgbt+ e disabilità. Considerate alcune delle vicende accadute nel 2020 in mercati chiave come gli Stati Uniti,<br />

affrontare l’equità razziale e i temi del razzismo sistemico è diventato fondamentale per l’azienda. «Continueremo anche<br />

il nostro lavoro per migliorare l’inclusione dei dipendenti con disabilità, responsabilizzando donne e la crescente diversità<br />

generazionale», ha promesso Mylon.<br />

David Rodriguez, fino a un anno fa vicepresidente alla Marriott International, la multinazionale statunitense che gestisce e<br />

concede in franchising strutture alberghiere in tutto il mondo, ha dichiarato che la «nozione di opportunità inclusiva e rispetto<br />

per chi ha opinioni diverse è stata parte integrante dell’esistenza e della cultura dell’azienda fin dalla sua fondazione, nel 1927».<br />

Ma un tema come questo non si risolve una volta per tutte e richiede un aggiornamento continuo: in riferimento al riaccendersi<br />

della questione razziale ha detto che «gli eventi accaduti di recente sono uno scioccante promemoria per tutti che anche in un<br />

Paese grande come gli Stati Uniti, il successo non è mai acquisito in modo definitivo».<br />

31


Multiculturalismo,<br />

inclusività e<br />

performance<br />

aziendali<br />

32<br />

Thomas Carganico<br />

Marketing & communication director e<br />

Senior associate partner di PQE Group<br />

LE RICERCHE DICONO CHE<br />

UN ELEVATO LIVELLO DI<br />

DIVERSITÀ IN AZIENDA<br />

È ASSOCIATO A UNA<br />

MAGGIOR COMPETITIVITÀ.<br />

ALL’OPPOSTO,<br />

TRASCURARE LE<br />

DIFFERENZE CULTURALI<br />

PUÒ RAPPRESENTARE<br />

UN ERRORE FATALE,<br />

SOPRATTUTTO SE SI<br />

OPERA IN UN CONTESTO<br />

INTERNAZIONALE<br />

Profumi, accenti e insegne nei<br />

negozi: tutto nelle nostre città parla<br />

di multiculturalità. E da un mondo<br />

che vede i suoi confini sempre più<br />

assottigliarsi, le nostre aziende possono<br />

trarre considerevoli benefici così come<br />

incappare in notevoli rischi.<br />

Gestire un squadra è una grande<br />

responsabilità poiché ogni singolo team è<br />

essenziale per le performance aziendali.<br />

È necessario saper motivare, parlare<br />

con trasparenza e creare un ambiente<br />

di lavoro stimolante ma al contempo<br />

sfidante. E se non è una cosa semplice<br />

gestire un individuo singolo, gestire un<br />

team lo è ancora meno. Quando poi<br />

la propria squadra è eterogenea dal<br />

punto di vista culturale è fondamentale<br />

evitare di incappare in un grave pericolo:<br />

pensare che esista un solo approccio, il<br />

proprio, per rapportarsi e relazionarsi,<br />

applicandolo in maniera universale.<br />

Un errore grave.<br />

LA PUNTA<br />

DELL’ICEBERG<br />

Prima di tutto tracciare i confini della<br />

definizione di cultura non è un esercizio<br />

semplice. Siamo infatti di fronte a una<br />

nozione polimorfa, poiché si differenzia in<br />

base alle epoche e ai luoghi in cui viene<br />

studiata e, al contempo, relativa perché si<br />

analizza sempre a confronto con un’altra<br />

cultura. Non ci addentreremo oltre nello<br />

studio e nella storia della multiculturalità<br />

perché ciò che mi preme sottolineare in<br />

questa sede è la necessaria attenzione<br />

alla gestione delle differenze culturali.<br />

Ogni cultura, infatti, può essere<br />

rappresentata secondo il modello iceberg:<br />

solo una porzione molto piccola – circa<br />

il 10% – può essere vista al di sopra<br />

della linea di galleggiamento. Sono gli<br />

artefatti, costituiti da elementi facilmente<br />

individuabili tramite l’osservazione<br />

come vestiti, cibo, architettura e festività.<br />

Tuttavia questi fattori altro non sono che<br />

mera espressione della base dell’iceberg.<br />

Andando a cercare sotto la punta, emerge<br />

infatti un livello più profondo che giunge<br />

fino alla base dove si trovano i pilastri<br />

stessi della cultura: le idee e i valori<br />

condivisi dall’intera società, che plasmano<br />

il pensiero e il comportamento dei suoi<br />

membri. Una sezione più importante<br />

ma più difficilmente riconoscibile poiché<br />

si trova sommersa, sotto la linea di<br />

galleggiamento. Il modello dell’iceberg<br />

evidenzia come le parti visibili della<br />

cultura siano mera espressione delle<br />

parti invisibili mettendo in luce quanto<br />

sia difficile, a volte, comprendere<br />

persone con diversi background culturali.<br />

Possiamo individuare le parti visibili<br />

del loro “iceberg”, ma non possiamo<br />

immediatamente scorgere le basi su cui<br />

poggiano.<br />

TEAM<br />

MULTICULTURALI<br />

La cultura è un aspetto integrante di noi<br />

stessi e, più di quanto ci rendiamo conto,<br />

agiamo in accordo con i suoi paradigmi.<br />

Questo in azienda può portare a dei<br />

conflitti. Ad esempio, la gestione del<br />

tempo può variare in maniera sensibile<br />

a seconda del Paese in cui ci troviamo.<br />

In Germania è data grande rilevanza alla<br />

puntualità e il ritardo viene considerato<br />

irrispettoso. Così non avviene in altri<br />

Paesi, come in India, dove addirittura<br />

presentarsi in orario potrebbe essere<br />

considerato scortese. Anche le riunioni si<br />

svolgono in modo diverso a seconda della<br />

cultura. In Asia il leader è responsabile<br />

della riunione e la conduce. In paesi<br />

come il Canada o gli Stati Uniti, invece,<br />

i meeting sono più interattivi: tutti<br />

sono coinvolti e tutti danno pareri. In<br />

questo modo, un dipendente canadese<br />

in un’azienda asiatica potrebbe avere<br />

difficoltà a comprendere la cultura locale<br />

dell’azienda e apparire maleducato nei<br />

confronti del manager. Ma, d’altro canto,<br />

un collaboratore asiatico in un meeting<br />

canadese potrebbe essere etichettato<br />

come poco interessato o privo di idee. Una<br />

sfida comunicazionale davvero enorme<br />

per chi lavora con team multiculturali.


makinglife | novembre <strong>2022</strong><br />

LE INSIDIE<br />

DELLA LINGUA<br />

Infatti, molte problematiche possono<br />

accadere su un piano meramente<br />

linguistico poiché le persone<br />

semplicemente non parlano la stessa<br />

lingua. Per quanto nel mondo corporate<br />

sia utilizzato l’inglese per comunicare<br />

tra team, non tutti ne hanno conoscenza<br />

allo stesso livello. Da questo punto di<br />

vista ritengo importante sottolineare<br />

che le incomprensioni non nascono<br />

esclusivamente da chi ha una conoscenza<br />

linguistica meno approfondita. Ad<br />

esempio, come società di consulenza, ci<br />

è capitato più volte che clienti di lingue<br />

romanze ci richiedessero collaboratori<br />

non madrelingua inglese poiché questi<br />

erano di troppa difficile comprensione<br />

per via della velocità e dell’utilizzo di<br />

vocaboli non di uso comune. Questi tipi<br />

di malintesi, tuttavia, sono marginali e<br />

allocabili nella parte superiore e visibile<br />

dell’iceberg.<br />

Più difficilmente risolvibili, se non<br />

conosciute, sono invece le incomprensioni<br />

che nascono alla base del “nostro<br />

iceberg”. Culture differenti portano con<br />

sé un bagaglio di convenzioni e pratiche<br />

linguiste differenti, così come diversi<br />

stili e comportamenti comunicativi.<br />

Potremmo, ad esempio, suddividere<br />

la comunicazione in due tipologie: a<br />

basso contesto e ad alto contesto. La<br />

prima utilizza un linguaggio diretto ed<br />

esplicito e la chiarezza, qui, assume<br />

un ruolo fondamentale. Così, in Paesi<br />

come Scandinavia, Svizzera e Germania<br />

“viene esplicitato ciò che si vuole e si<br />

intende ciò che si vuole”. Mentre per<br />

quanto riguarda le culture che utilizzano<br />

una comunicazione ad alto contesto,<br />

come in Giappone, Medio Oriente, Sud<br />

America e l’Italia stessa, ciò che viene<br />

detto non è sempre ciò che si vuole. Anzi,<br />

di fondamentale importanza qui è saper<br />

legger il contesto in cui il dialogo avviene,<br />

sapendo cogliere tutte le cose non dette e<br />

gli sguardi impliciti.<br />

Esistono inoltre due stili di comunicazione<br />

differenti: affettivo e neutro. Mentre<br />

in Italia, Francia o nelle Filippine,<br />

tendenzialmente ritroviamo comunicatori<br />

affettivi che tendono a mostrare le proprie<br />

emozioni e i propri pensieri attraverso un<br />

linguaggio verbale e non, nei Paesi Bassi,<br />

in Polonia e in Svezia, i comunicatori<br />

preferiscono freddezza e autocontrollo ed<br />

evitano linguaggi non verbali come i gesti.<br />

INCLUSIVITÀ E<br />

PERFORMANCE<br />

AZIENDALI<br />

Le sfide che impone la multiculturalità<br />

in azienda sono tante. Ognuno di<br />

noi inevitabilmente porta con sé il<br />

proprio bagaglio culturale e una sorta<br />

di pregiudizio di natura innocente.<br />

Attraverso la conoscenza delle altre<br />

culture e abbattendo i propri bias<br />

cognitivi si possono tuttavia trarre<br />

enormi benefici dal lavoro in team<br />

eterogenei. Così come avviene per la<br />

diversità di genere. Dall’ultimo report<br />

in materia, condotto da McKenzey, si<br />

rileva che le aziende nel primo quartile<br />

di diversità di genere nei team esecutivi<br />

hanno il 25% di probabilità in più di<br />

registrare una redditività superiore<br />

alla media rispetto alle aziende di pari<br />

livello nel quarto quartile. Un dato in<br />

aumento rispetto alle due precedenti<br />

indagini dove si individuava il 21% nel<br />

2017 e il 15% nel 2014. Non solo. Lo<br />

stesso report ha riscontrato come un<br />

maggiore livello di diversità in azienda<br />

sia proporzionale alla probabilità di<br />

sovraperformance. Le aziende nei cui<br />

team esecutivi vi sono il 30% di donne<br />

hanno una probabilità significativamente<br />

maggiore di superare quelle con un<br />

numero di donne compreso tra il 10 e<br />

il 30%. Così come queste ultime hanno<br />

una probabilità maggiore di superare<br />

quelle aziende con un numero di donne<br />

dirigenti inferiore o nullo. Di fatto, c’è un<br />

sostanziale differenziale di performance<br />

(48%) tra le aziende dove è presente<br />

una maggiore o una minore diversità<br />

di genere. Ho deciso in questo breve<br />

intervento di non parlare di quelli che<br />

ritengo i pilastri necessari per ogni<br />

impresa quali la centralità dell’uomo, la<br />

dignità della persona e la costruzione<br />

di team che possano definirsi una<br />

comunità inclusiva, aperta e viva.<br />

Tuttavia mi piacerebbe concludere con<br />

una domanda posta da Adriano Olivetti,<br />

all’inaugurazione del suo stabilimento,<br />

nel 1955: “Può l’industria darsi dei<br />

fini? Si trovano questi semplicemente<br />

nell’indice dei profitti? Non vi è al di<br />

là del ritmo apparente qualcosa di<br />

più affascinante, una destinazione,<br />

una vocazione anche nella vita di una<br />

fabbrica?”. Oggi nel <strong>2022</strong>, prendendo<br />

in esame i rapporti sulle perfomance<br />

aziendali abbiamo una risposta certa: sì,<br />

anzi si deve.<br />

33


D&I<br />

se non le misuri,<br />

non le migliori<br />

Diversi studi hanno dimostrato<br />

l’importanza di diversità e<br />

inclusione per la competitività<br />

delle aziende ma questi due fattori<br />

vengono spesso trascurati nella<br />

misurazione delle performance<br />

Valentina Guidi<br />

34


makinglife | novembre <strong>2022</strong><br />

Non si può migliorare ciò che non si può misurare ma non<br />

è sempre semplice capire come quantificare un parametro,<br />

come nel caso della diversità e dell’inclusione, due concetti<br />

che sembrano ben lontani dagli strumenti di misura ma<br />

che sono allo stesso tempo sempre più importanti per il<br />

successo di un’azienda. Insieme a parole come leadership,<br />

performance e produttività, infatti, questi due termini<br />

ricorrono nel vocabolario dell’impresa che vuole essere<br />

aggiornata e competitiva nel XXI secolo.<br />

COMPETITIVITÀ NEL MONDO<br />

GLOBALIZZATO<br />

Viviamo in un mondo globalizzato. Questo è chiaro da<br />

decenni e recentemente è balzato agli occhi di tutti,<br />

quando in pochi mesi un virus ha raggiunto praticamente<br />

ogni punto del globo. Ma il modo profondo in cui questo<br />

fenomeno influenza la nostra società e i processi aziendali<br />

può a volte risultarci inedito. L’interconnessione tra Paesi<br />

e continenti non ha a che fare solo con le dinamiche<br />

commerciali delle aziende che si affacciano sul mercato<br />

globale, ma anche con i meccanismi aziendali interni di<br />

tutte le altre. Diversità e inclusione sono infatti concetti<br />

importanti per cercare le strategie giuste che soddisfino<br />

clienti culturalmente e geograficamente distanti, ma anche<br />

per trattenere i migliori talenti che possono essere persone<br />

sempre più diverse fra loro.<br />

Per comprendere il significato di diversità e inclusione<br />

bisogna innanzitutto distinguere tra i due termini<br />

che, anche se possono sembrare simili, sono invece<br />

essenzialmente differenti. La diversità ha a che fare<br />

con le caratteristiche visibili e invisibili che variano da<br />

persona a persona. Non si parla solo di età, genere e credo<br />

religioso. La diversità comprende anche nazionalità, etnia,<br />

orientamento sessuale, capacità fisiche, competenze<br />

tecniche, fino ad arrivare a caratteristiche inafferrabili<br />

come la mentalità e tutto quello che rende unico l’apporto<br />

al lavoro di ognuno di noi. L’inclusione è invece un concetto<br />

legato alla possibilità per ciascuno di essere coinvolto nei<br />

processi aziendali e decisionali e di accedere a risorse e<br />

informazioni, così da poter esprimere il proprio massimo<br />

potenziale.<br />

Diversi studi hanno dimostrato l’importanza di diversità e<br />

inclusione per le aziende, in particolare per la performance<br />

organizzativa. La capacità dell’azienda di raggiungere<br />

i propri obiettivi viene infatti influenzata da questi due<br />

parametri sia direttamente, sia indirettamente attraverso<br />

il loro peso su altri aspetti come i valori aziendali, i<br />

comportamenti, l’innovazione, la reputazione. Cambiare<br />

mentalità e riconoscere l’importanza di diversità e<br />

inclusione non è sempre facile ma capire e misurare questi<br />

due parametri può fare la differenza in termini di successo<br />

e competitività.<br />

L’ESEMPIO DI NOVARTIS<br />

Novartis è da anni impegnata sul fronte della diversità e<br />

dell’inclusione, tanto da farle rientrare nel proprio codice<br />

etico sotto forma di parametro D&I e da adottare un modello<br />

teorico per analizzare in modo qualitativo e quantitativo la loro<br />

influenza sugli indicatori della performance organizzativa.<br />

Lo strumento scelto da Novartis per condurre questo studio è<br />

un sondaggio somministrato periodicamente a livello globale.<br />

Le risposte al questionario vengono poi legate a una serie di<br />

indici e criteri: oltre a diversità e inclusione, vengono valutati<br />

quelli connessi alla performance organizzativa (OP) – cioè<br />

produttività, innovazione, performance individuale, qualità,<br />

persone – e quelli legati ai valori e ai comportamenti aziendali<br />

(V&B), vale a dire eccellenza, coraggio, raggiungimento degli<br />

obiettivi, collaborazione, pensiero creativo, integrità.<br />

A questo punto la valutazione dei parametri in modo incrociato,<br />

effettuata analizzando matematicamente le condizioni<br />

necessarie e sufficienti a produrre un certo esito, permette<br />

di ottenere una misurazione del peso dei vari criteri e in<br />

particolare quello di diversità e inclusione sugli altri parametri<br />

aziendali.<br />

Considerando il sondaggio somministrato tra aprile e giugno<br />

2020 in Svizzera, Austria, Olanda e Portogallo, i risultati<br />

dell’analisi mostrano matematicamente l’influenza di diversità<br />

e inclusione sulla performance organizzativa, in particolare<br />

sugli indicatori qualità e innovazione. I quattro Paesi scelti<br />

per l’analisi, inoltre, hanno caratteristiche che li rendono<br />

culturalmente differenti: questo si è riflesso sulle risposte<br />

al questionario e ha permesso di osservare come i fattori<br />

culturali influenzino il modo in cui si percepiscono la diversità e<br />

l’inclusione e come vengono perseguite a livello aziendale.<br />

UNA LUNGA STRADA<br />

DA PERCORRERE<br />

Nonostante l’importanza di diversità e inclusione, però, spesso<br />

le aziende preferiscono rimanere focalizzate su indicatori<br />

più tradizionali come la performance, la produttività e la<br />

qualità, ignorando che occuparsi di diversità e inclusione<br />

avrebbe un impatto positivo su quegli stessi indicatori. E<br />

anche quando i due parametri vengono gestiti attivamente, si<br />

tende ad applicarli solo a iniziative globali e di comunicazione<br />

mentre policy specifiche, ad esempio relative al percorso di<br />

reclutamento, vengono implementate più raramente. Oltre<br />

a comprendere l’importanza della misurazione di diversità<br />

e inclusione, quindi, forse occorre smarcarsi dalla logica,<br />

seppur importante, di incentivare un ambiente eterogeneo<br />

ed egualitario per evitare discriminazioni e passare a un<br />

atteggiamento attivo e positivo che comprende l’utilità e<br />

l’importanza di un simile ambiente.<br />

Nonostante in alcuni casi si sia ancora lontani da una sua piena<br />

attuazione, quello della diversità è un concetto che è approdato<br />

35


ormai da tempo nel mondo aziendale. Se pensiamo ad esempio<br />

all’età come fattore di diversità, al giorno d’oggi coesistono<br />

lavoratori attivi di almeno tre generazioni: baby-boomer (1946-<br />

1964), generazione X (1965-1980) e millenial (1981-1999).<br />

L’aspetto culturale è un altro fattore rilevante, se si pensa che<br />

in un Paese come gli Stati Uniti circa il 40% della forza lavoro<br />

appartiene a minoranze etniche. Anche l’orientamento sessuale<br />

è una fonte di diversità diffusa: sempre negli Stati Uniti si<br />

stima che dal 10 al 14% della forza lavoro sia omosessuale o<br />

bisessuale, che si parli di uomini o donne.<br />

Diversa è invece la questione per l’inclusione, concetto più<br />

recente e meno conosciuto. Le aziende possono essere<br />

popolate da persone ricche di differenze ma a ciascuna<br />

di loro è garantito lo stesso livello di coinvolgimento nelle<br />

dinamiche aziendali, la stessa possibilità di carriera e lo stesso<br />

riconoscimento per il lavoro svolto? Per sfruttare al massimo<br />

i vantaggi di un contesto aziendale diverso, l’inclusione è<br />

indispensabile: solo così si potrà trarre beneficio dalle capacità<br />

e dalle skill eterogenee a disposizione.<br />

RIFERIMENTI<br />

De Oliveira Ripado L. M. A. I., Diversity and Inclusion and its impact on<br />

organizational performance case study at Novartis. Tesi di dottorato - Istituto<br />

per la Ricerca e la Formazione Avanzata dell’Università di Evora. 2021<br />

Indici e criteri per misurare D&I<br />

Complessivo D&I (Diversità e inclusione)<br />

Diversità<br />

Inclusione<br />

L'insieme delle caratteristiche visibili e invisibili che variano da individuo a individuo<br />

come età, genere, credo religioso, nazionalità, etnia di appartenenza, orientamento<br />

sessuale, capacità fisiche, competenze tecniche, mentalità<br />

Possibilità per ciascuno di essere coinvolto nei processi aziendali e decisionali e di<br />

accedere a risorse e informazioni, in modo da poter esprimere il proprio massimo<br />

potenziale individuale a livello lavorativo<br />

V&B (Valori e comportamenti)<br />

Integrità<br />

Eccellenza<br />

Collaborazione<br />

Raggiungimento degli obiettivi<br />

Coraggio<br />

Pensiero creativo<br />

Essere professionali e avere valori morali e comportamentali virtuosi<br />

Focus sulla qualità nel lavoro e nei comportamenti<br />

Saper interagire positivamente e comunicare per creare un ambiente lavorativo<br />

collaborativo<br />

Avere una buona performance lavorativa e riuscire a raggiungere le proprie ambizioni<br />

Saper esprimere la propria opinione e fornire feedback, idee, suggerimenti, dubbi,<br />

opinioni<br />

Saper essere innovativi e accogliere il cambiamento<br />

OP (Performance organizzativa)<br />

Produttività<br />

Innovazione<br />

Performance individuale<br />

Qualità<br />

Persone<br />

Efficienza lavorativa, quanto si riesce a produrre a parità di input<br />

Saper cercare opportunità di cambiamento che creino valore<br />

Saper contribuire al raggiungimento degli obiettivi aziendali<br />

Saper rispondere ai bisogni di clienti e pazienti nel modo migliore possibile<br />

Sviluppo del proprio profilo professionale e personale, soddisfazione e tendenza a<br />

rimanere all'interno dell'organizzazione<br />

36


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makinglife | novembre <strong>2022</strong><br />

14° Edizione Conferenza<br />

Science for Peace and Health<br />

SONO, SEI, È.<br />

PROSPETTIVE DELLA SCIENZA<br />

SU SESSO, GENERE E IDENTITÀ<br />

11 novembre <strong>2022</strong><br />

Aula Magna Università Bocconi<br />

Conduzione a cura di Giulia Innocenzi, giornalista<br />

SALUTI ISTITUZIONALI | 9:00 - 9:30<br />

Francesco Billari, Rettore dell’Università Bocconi<br />

Paolo Veronesi, Presidente di Fondazione Umberto Veronesi e<br />

Direttore del Programma di Senologia e Direttore della Divisione di<br />

Senologia Chirurgica dell’Istituto Europeo di Oncologia<br />

Roberto Speranza, Ministro della Salute<br />

Kathleen Kennedy Townsend, Vice-Presidente Science for Peace<br />

KEYNOTE SPEECH<br />

Nadia Murad, Premio Nobel per la Pace 2018<br />

SESSIONE 1 - SESSO E NATURA | 9:30 - 10:30<br />

ORIGINE ED EVOLUZIONE DEI SESSI (round-table)<br />

Chiara Tonelli, Professore Ordinario di Genetica, Dipartimento<br />

di Bioscienze, Università degli Studi di Milano; Presidente del<br />

Comitato Scientifico Fondazione Umberto Veronesi.<br />

Carlo Alberto Redi, Professore di Zoologia, Università degli Studi di<br />

Pavia; Presidente del Comitato Etico Fondazione Umberto Veronesi<br />

Telmo Pievani, Professore Ordinario di Filosofia delle Scienze<br />

Biologiche, Università degli Studi di Padova<br />

DIFFERENZE SESSUALI E CERVELLO (intervento)<br />

Michela Matteoli, Professore ordinario di Farmacologia, Humanitas;<br />

Direttore dell’Istituto di Neuroscienze del CNR<br />

SESSIONE 2 - MEDICINA E GENERE | 10:30 – 12:30<br />

LA SFIDA DELLA MEDICINA DI GENERE (interviste)<br />

Flavia Franconi, già Professore di Farmacologia, Università di<br />

Sassari<br />

Fulvia Signani, Docente di Sociologia di genere, Università di<br />

Ferrara<br />

MEDICINA DI GENERE TRA STATO E IMPRESE (round-table)<br />

Paola Boldrini, Senatrice della Repubblica, Vice Presidente della<br />

Commissione Sanità<br />

Enrica Giorgetti, Direttore generale Farmindustria<br />

Nello Martini, Presidente Fondazione Ricerca & Salute<br />

IMPRESE FARMACEUTICHE E SPERIMENTAZIONI CLINICHE IN<br />

ONCOLOGIA E CARDIOLOGIA (interviste)<br />

Case History Sponsor (contributi video)<br />

PAUSA PRANZO<br />

SESSIONE 3 - DIVERSITÀ E INCLUSIONE | 14:00 – 16:00<br />

TUTELA DELLA SALUTE E DELL’IDENTITÀ DI GENERE (roud-table)<br />

Jiska Ristori, Psicologa psicoterapeuta SOD di Andrologia, Endocrinologia<br />

Femminile e Incongruenza di Genere AOU Careggi (Firenze)<br />

Alessandra D. Fisher, Endocrinologa presso SOD Andrologia,<br />

Endocrinologia e Incongruenza di Genere, AOU Careggi, Presidente<br />

Società Italiana Genere, Identità e Salute (SIGIS)<br />

Matteo Marconi, Istituto Superiore di Sanità Portale Infotrans.it<br />

IL VALORE DELLA DIVERSITÀ (intervista)<br />

Luca Trapanese, attivista, Assessore al Welfare del Comune di Napoli<br />

Cathy La Torre, avvocato, esperta in diritto antidiscriminatorio<br />

DIVERSITÀ E INCLUSIONE NELLE AZIENDE, IN ACCADEMIA,<br />

AMMINISTRAZIONE COMUNALE (roud-table)<br />

Domenico De Masi, Professore Emerito di Sociologia del Lavoro,<br />

Università di Roma “La Sapienza” (introduzione)<br />

Catherine De Vries, Dean and Professor of Political Science, Bocconi<br />

University<br />

Monica Romano, HR specialist e Diversity manager - Vicepresidente della<br />

Commissione Pari Opportunità e Diritti Civili per il Comune di Milano<br />

Case History Sponsor (contributi video)<br />

ART FOR PEACE AWARD <strong>2022</strong><br />

A cura di Denis Curti, Direttore artistico “Casa dei Tre Oci”, Venezia;<br />

Direttore della Galleria STILL, Milano; Presidente del Comitato Artistico<br />

Fondazione Umberto Veronesi<br />

Premio a Céline Sciamma, regista<br />

16:00 – 16:30<br />

SESSIONE 4 - DISEGUAGLIANZE E DIRITTI | 16:30 – 16:50<br />

GENDER EQUALITY IN THE GLOBAL SOCIETY (intervista)<br />

Raquel Fernández, Professor of Economics, New York University<br />

Paola Profeta, Full Professor of Public Economics and Director of the Axa<br />

Research Lab on Gender Equality, Bocconi University<br />

DISEGUAGLIANZE, DIRITTI E CONFLITTI NELLO SCENARIO GLOBALE<br />

(intervista)<br />

Alberto Martinelli, Professore Emerito di Scienza Politica e Sociologia,<br />

Università degli Studi di Milano; Vice Presidente Science for Peace and<br />

Health<br />

APPELLO FINALE 16:50 – 17:00<br />

39


ORIGINE<br />

ED EVOLUZIONE<br />

DEI SESSI<br />

Monica Torriani<br />

Quali sono i<br />

vantaggi della<br />

riproduzione<br />

sessuata che ne<br />

hanno permesso<br />

una così netta<br />

affermazione<br />

nel corso<br />

dell’evoluzione?<br />

Fra gli organismi eucarioti,<br />

categoria alla quale l’uomo<br />

appartiene, è schiacciante la<br />

prevalenza della riproduzione<br />

sessuata rispetto a quella<br />

non sessuata. Ciò suggerisce<br />

la presenza di un vantaggio<br />

evolutivo. Ma il sesso è<br />

associato anche a importanti<br />

costi per le specie: in che<br />

modo e perché abbiamo<br />

raggiunto l’attuale equilibrio,<br />

allora?<br />

Ne parliamo con la<br />

professoressa Chiara<br />

Tonelli, docente di genetica<br />

presso l’Università degli<br />

studi di Milano e presidente<br />

del comitato scientifico di<br />

Fondazione Veronesi.<br />

Sappiamo che il sesso<br />

esiste da almeno due<br />

miliardi di anni e che il<br />

99,9% degli organismi<br />

eucarioti si riproduce<br />

sessualmente. In cosa<br />

consiste il vantaggio<br />

evolutivo di questa<br />

modalità?<br />

Il sesso può essere visto<br />

come un processo che fonde<br />

il materiale genetico di<br />

due individui in un singolo<br />

individuo. Alla base di questa<br />

definizione è quindi presente<br />

lo scambio di materiale<br />

genetico, fenomeno che viene<br />

osservato nel ciclo sessuale<br />

di tutti gli eucarioti. Da un<br />

punto di vista evolutivo, e<br />

quindi anche della selezione<br />

naturale, il successo è<br />

determinato dalla capacità<br />

di un singolo soggetto di<br />

trasmettere i propri geni alle<br />

generazioni future.<br />

Il successo coincide dunque<br />

con la maggior fitness,<br />

intesa non solo come abilità<br />

nell’adattamento ma in<br />

generale come la capacità di<br />

produrre il maggior numero<br />

di figli a loro volta fertili.<br />

In questo quadro, i viventi<br />

hanno la possibilità di<br />

attuare diversi meccanismi<br />

di riproduzione. Esistono, ad<br />

esempio, organismi asessuati<br />

che si autoriproducono.<br />

Le femmine di alcune specie<br />

producono uova che non<br />

richiedono la fecondazione<br />

da parte del maschio. Altre<br />

specie si riproducono per<br />

gemmazione. Poi vi sono<br />

organismi, come la stella<br />

marina, che si riproducono<br />

per partizione: dal corpo<br />

dell’individuo si stacca una<br />

porzione che dà origine a un<br />

nuovo essere.<br />

Rispetto ai meccanismi<br />

finora citati, la riproduzione<br />

sessuale ha una serie di costi<br />

che potrebbero renderla<br />

inefficiente. Il primo costo è<br />

rappresentato dal fatto che la<br />

popolazione che si riproduce<br />

non è tutta quella esistente,<br />

ma solo quella femminile.<br />

In secondo luogo, esiste la<br />

possibilità che non tutte le<br />

femmine riescano a trovare<br />

un maschio per riprodursi.<br />

A questo proposito, vale la<br />

pena richiamare il concetto di<br />

ermafroditismo, caratteristica<br />

di individui che hanno<br />

sviluppato sia gli organi<br />

riproduttivi maschili che<br />

femminili e si riproducono<br />

autofecondandosi. Oltre<br />

a questo meccanismo, un<br />

organismo ermafrodita<br />

può incrociarsi con un altro<br />

ermafrodita: si stabilirà<br />

dunque un contatto fra la<br />

parte femminile del primo e<br />

quella maschile del secondo<br />

e fra la parte maschile del<br />

primo e quella femminile<br />

del secondo. Questo è un<br />

sistema che consente di<br />

massimizzare le possibilità di<br />

incontrare un altro individuo<br />

della stessa specie con cui<br />

riprodursi.<br />

40


makinglife | novembre <strong>2022</strong><br />

Chiara Tonelli, docente di genetica presso l’Università degli studi di Milano<br />

e presidente del comitato scientifico di Fondazione Veronesi.<br />

I costi associati alla<br />

riproduzione sessuale sono<br />

evidenti anche in alcuni<br />

animali, come il pavone<br />

o altri volatili dotati di<br />

un piumaggio variopinto<br />

che li rende più attrattivi<br />

agli occhi delle femmine.<br />

Oltre all’attrattività, questa<br />

caratteristica rende tali<br />

uccelli più riconoscibili<br />

anche da parte dei predatori,<br />

aumentando la probabilità<br />

che siano catturati e uccisi.<br />

Tutto ciò spiega perché il<br />

sesso può essere inefficiente<br />

e costoso, ma in esso è<br />

possibile trovare tracce degli<br />

importanti vantaggi evolutivi<br />

a esso correlati. Il primo<br />

beneficio consiste nella<br />

combinazione di due genomi<br />

provenienti da due genitori<br />

differenti, che consente la<br />

complementazione genica.<br />

Se nel patrimonio genetico<br />

di un genitore è presente<br />

un gene deleterio, l’incrocio<br />

con un individuo sano ne<br />

permette la compensazione.<br />

In secondo luogo, il sesso<br />

consente la messa a fattore<br />

comune di caratteristiche<br />

che offrono maggiore<br />

capacità di adattamento<br />

all’ambiente circostante. E la<br />

ricombinazione dei genomi<br />

permette la propagazione<br />

delle mutazioni favorevoli,<br />

con ricadute positive<br />

in termini di vantaggio<br />

adattativo.<br />

Tutto ciò è stato dimostrato<br />

con un esperimento<br />

condotto su un nematode,<br />

il Caenorhabditis elegans,<br />

un sistema che viene<br />

utilizzato come modello<br />

in laboratorio. I ricercatori<br />

hanno isolato elementi<br />

che si riproducevano<br />

sessualmente ed elementi<br />

in grado di autofecondarsi<br />

e li hanno infettati con la<br />

Serratia marcescens, un<br />

patogeno Gram-negativo.<br />

Dopo alcune generazioni, si è<br />

osservato che le popolazioni<br />

autofecondanti sono giunte<br />

rapidamente all’estinzione,<br />

al contrario di quelle con<br />

riproduzione sessuata,<br />

rimaste stabili malgrado<br />

la presenza del parassita.<br />

Il rimescolamento dei geni<br />

associato alla riproduzione<br />

sessuata ha consentito un<br />

vantaggio adattativo che ha<br />

permesso la sopravvivenza<br />

della specie. Questa è la<br />

ragione per cui da oltre due<br />

miliardi di anni il sesso si<br />

conferma elemento evolutivo<br />

di successo.<br />

Si parla della cosiddetta<br />

ipotesi “Red Queen” per<br />

41


spiegare l’evoluzione dei<br />

sessi: di cosa si tratta?<br />

Il nome deriva da un<br />

personaggio di “Alice nel Paese<br />

delle Meraviglie”, la Regina<br />

Rossa, che nel romanzo<br />

invita a correre per rimanere<br />

sempre nello stesso posto,<br />

ossia metaforicamente<br />

per sopravvivere. Per non<br />

estinguersi in presenza di<br />

competitori o parassiti, a loro<br />

volta in grado di evolvere,<br />

è necessario continuare<br />

a evolvere: è la stessa<br />

conclusione cui si è arrivati con<br />

l’esperimento su C. elegans.<br />

Questo fenomeno viene<br />

spiegato con la coevoluzione<br />

della specie, un fenomeno in<br />

base al quale l’adattamento<br />

di una specie è influenzato<br />

dall’evoluzione di altre.<br />

Possiamo capire meglio<br />

cosa sia la coevoluzione<br />

delle specie con un esempio.<br />

Immaginiamo che l’evoluzione<br />

abbia favorito la nascita di volpi<br />

che corrono più velocemente<br />

dei loro genitori e capaci<br />

quindi di cacciare i conigli<br />

con maggiore efficienza. Fra<br />

i conigli sopravviveranno di<br />

conseguenza gli esemplari<br />

in grado di scappare più<br />

rapidamente. Questo è un<br />

esempio di come l’evoluzione<br />

di una specie sia in grado<br />

di selezionare gli esemplari<br />

migliori anche in un’altra<br />

specie.<br />

L’ipotesi della Regina Rossa<br />

risale al 1973 ed è stata<br />

impiegata per spiegare la<br />

coevoluzione fra ospite e<br />

parassita: per non estinguersi,<br />

una specie deve continuare<br />

a evolvere, mutare. Una<br />

condizione, questa, più<br />

facilmente realizzabile negli<br />

individui a riproduzione<br />

sessuata.<br />

In questo contesto, cosa<br />

avvantaggia i batteri,<br />

organismi dalla capacità di<br />

adattamento così spiccata?<br />

I batteri sono caratterizzati da<br />

un genoma molto semplice,<br />

composto da molti meno<br />

geni rispetto agli organismi<br />

eucarioti: in essi una mutazione<br />

porta a un risultato in tempi<br />

molto più brevi. Inoltre, essi<br />

si riproducono mediante un<br />

meccanismo che potremmo<br />

definire “sessuale”, attraverso il<br />

processo della coniugazione.<br />

Il genoma batterico è formato<br />

da un grosso cromosoma e<br />

da un determinato numero<br />

di plasmidi, in grado di<br />

ricombinare con il cromosoma<br />

principale. I plasmidi possono<br />

essere scambiati con altri<br />

batteri.<br />

Attraverso il meccanismo della<br />

coniugazione, inoltre, il batterio<br />

può copiare e trasmettere<br />

una porzione del proprio<br />

cromosoma ad altri batteri:<br />

questo spiega la facilità con<br />

cui la resistenza a un certo<br />

antibiotico può diffondersi<br />

molto rapidamente in una<br />

popolazione batterica.<br />

I meccanismi che determinano<br />

il sesso nella progenie sono<br />

analoghi fra le diverse specie<br />

di organismi viventi?<br />

Gli organismi eucarioti<br />

possiedono geni che<br />

determinano il sesso.<br />

Ma il sesso può anche<br />

essere determinato da fattori<br />

ambientali che agiscono<br />

secondo diversi meccanismi.<br />

Uno di questi fattori è costituito<br />

dalla temperatura: ad esempio<br />

quella a cui vengono incubate<br />

le uova dei rettili è in grado di<br />

determinare la percentuale di<br />

femmine e di maschi nei piccoli.<br />

Un altro fattore è rappresentato<br />

dall’alimentazione.<br />

La femmina fecondata del<br />

cervo che non è in grado di<br />

alimentarsi a sufficienza<br />

abortisce selettivamente gli<br />

embrioni maschi. Cuccioli<br />

maschi di cervo nati sottopeso<br />

e denutriti non saranno mai<br />

competitivi con i maschi più<br />

robusti in termini riproduttivi.<br />

Cuccioli femmina di dimensioni<br />

limitate, invece, potranno<br />

comunque incrociarsi con<br />

maschi robusti e riprodursi.<br />

Prendiamo ora in<br />

considerazione la componente<br />

genetica della determinazione<br />

del sesso. Essa è basata<br />

sull’esistenza delle due<br />

tipologie di cromosomi, X e Y.<br />

In alcuni mammiferi, il sesso<br />

che porta la coppia di elementi<br />

XX è quello femminile, mentre<br />

l’XY è quello maschile. In<br />

alcuni rettili, uccelli, insetti e<br />

piante si verifica l’opposto.<br />

Nell’uomo, lo sviluppo<br />

dell’embrione è per default<br />

verso il sesso femminile, a<br />

meno che non venga trascritto<br />

un gene (definito SRY)<br />

localizzato sul cromosoma Y,<br />

responsabile dell’attivazione<br />

di una serie di geni a valle che<br />

bloccano il differenziamento<br />

in senso femminile e attivano<br />

quello in senso maschile.<br />

Il gene SRY è stato ritrovato,<br />

con sequenza molto simile<br />

anche se non identica, nelle<br />

alghe brune.<br />

È questa la ragione per<br />

cui le alghe brune sono<br />

un modello interessante<br />

per studiare le origini e<br />

l’evoluzione del meccanismo<br />

di determinazione dei sessi?<br />

In primo luogo, è importante<br />

ricordare che le alghe<br />

hanno riproduzione<br />

sessuata: esistono alghe<br />

di sesso femminile e alghe<br />

di sesso maschile. Un<br />

recente progetto di ricerca<br />

europeo si è concentrato<br />

sulle alghe proprio al fine<br />

di studiare i meccanismi di<br />

determinazione del sesso.<br />

Nel corso della ricerca si è<br />

osservata in questi organismi<br />

la presenza di un gene<br />

caratterizzato da importanti<br />

analogie con il SRY.<br />

Le alghe sono interessanti<br />

da questo punto di vista.<br />

Il loro sviluppo sessuale<br />

è indipendente da quello<br />

degli animali, dai quali si<br />

sono distanziate epoche<br />

prima. Tuttavia, seguono un<br />

meccanismo di riproduzione<br />

sessuale molto simile a<br />

quello dei mammiferi. Questo<br />

suggerisce che la natura<br />

possa avere limitato la scelta<br />

verso alcuni tipi di processi<br />

biologici. Ciò che succede è<br />

che nel corso dell’evoluzione<br />

emergono processi biologici<br />

nuovi, alcuni dei quali hanno<br />

grosso successo, mentre<br />

altri no e per questo vengono<br />

eliminati. Quello del sesso<br />

deve essersi presentato più<br />

volte, finendo con l’essere<br />

selezionato da più specie<br />

perché correlato al vantaggio<br />

maggiore. Sappiamo anche<br />

che la riproduzione sessuale<br />

non comporta un’estensione<br />

del genoma: attraverso gli<br />

studi sulle alghe la comunità<br />

scientifica ha dimostrato che<br />

è sufficiente la presenza di<br />

pochi geni per avviare un<br />

processo di questo tipo.<br />

42


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le ricerche di letteratura e le analisi statistiche incalzano?<br />

Il tempo non è mai sufficiente e le scadenze incombono?<br />

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Per saperne di più scrivi a:<br />

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NON È SOLO<br />

QUESTIONE<br />

DI GENERE<br />

Simone Montonati<br />

Tener conto delle differenze<br />

biologiche – e sociali – tra i due<br />

sessi è un passo fondamentale per<br />

tutte le specialità mediche ma è<br />

solo il primo di un lungo percorso.<br />

Destinazione finale: la medicina<br />

personalizzata<br />

Silvia De Francia, ricercatrice in farmacologia all’Università di Torino<br />

Sebbene comunità<br />

scientifica, istituzioni<br />

e autorità regolatorie<br />

internazionali continuino<br />

a ribadire l’importanza<br />

di un approccio clinico<br />

che tenga conto delle<br />

differenze fisiologiche<br />

e sociali tra i sessi, la<br />

medicina genere-specifica<br />

fatica ad affermarsi<br />

e persiste un chiaro<br />

divario nella prevenzione,<br />

nell’insorgenza, nei<br />

trattamenti e negli esiti<br />

delle malattie.<br />

“Vi è una scarsità di ricerca<br />

incentrata sui fattori<br />

razziali-etnici, socioeconomici,<br />

psicosociali e<br />

ambientali che perpetuano<br />

le disparità” afferma<br />

un recente articolo<br />

pubblicato sulla rivista<br />

scientifica “Cells”. Questi<br />

fattori multidimensionali<br />

interagiscono tra loro e<br />

possono influenzare la<br />

risposta farmacologica.<br />

Si tratta di differenze che<br />

coinvolgono sia aspetti<br />

biologici e fisiologici che<br />

psicologici e sociali e<br />

non riguardano solo la<br />

differenza tra i sessi.<br />

«Partiamo da un<br />

chiarimento, evidenziato<br />

anche dalla definizione<br />

che ne dà l’Organizzazione<br />

mondiale della sanità –<br />

spiega Silvia De Francia,<br />

ricercatrice in farmacologia<br />

all’Università di Torino<br />

e autrice del libro “La<br />

medicina delle differenze:<br />

Storie di donne uomini<br />

e discriminazioni”. – La<br />

medicina di genere, o<br />

meglio genere-specifica,<br />

non è una branca<br />

specialistica della<br />

medicina. È, invece, un<br />

diverso approccio che in<br />

tutte le discipline mediche<br />

tiene conto dell’influenza<br />

del sesso e del genere<br />

sullo stato di salute e<br />

di malattia di ciascun<br />

individuo. Questo concetto<br />

si applica naturalmente<br />

anche alla farmacologia,<br />

che rientra nel novero<br />

delle specialità mediche.<br />

Anche la farmacologia<br />

genere-specifica, dunque,<br />

considera l’accezione<br />

biologica – il sesso – e<br />

quella sociale – il genere –<br />

nel paradigma di cura».<br />

Iniziamo dalla biologia:<br />

dal punto di vista<br />

farmacologico che<br />

differenze osserviamo?<br />

Il movimento dei farmaci<br />

all’interno del corpo<br />

segue un percorso in<br />

quattro tappe definito<br />

44


makinglife | novembre <strong>2022</strong><br />

Adme: assorbimento,<br />

distribuzione, metabolismo<br />

ed eliminazione.<br />

Chiaramente le<br />

differenze tra un corpo<br />

biologicamente maschile<br />

e uno biologicamente<br />

femminile ci sono e devono<br />

essere tenute nella giusta<br />

considerazione.<br />

Spesso le discipline sociali<br />

tendono a eliminare le<br />

differenze ma dal punto di<br />

vista della farmacocinetica<br />

le differenze sono<br />

fondamentali perché il<br />

corpo maschile e il corpo<br />

femminile sono costituiti<br />

da componenti differenti<br />

che influiscono su tutte<br />

le tappe del percorso dei<br />

farmaci. Il diverso spessore<br />

e la differente componente<br />

acquosa dello strato<br />

cutaneo nei due sessi, ad<br />

esempio, determina diversi<br />

profili di assorbimento<br />

per la stessa molecola. A<br />

livello di distribuzione, le<br />

proteine carrier - albumina<br />

e glicoproteine – che<br />

trasportano i farmaci<br />

all’interno del corpo<br />

vengono espresse in<br />

modo diverso da uomini<br />

e donne. Anche la fase<br />

metabolica presenta due<br />

panorami profondamente<br />

differenti perché diversa<br />

è l’espressione genetica<br />

dei citocromi, i complessi<br />

multienzimatici che<br />

agiscono a livello epatico<br />

per metabolizzare i<br />

farmaci. Questo fa sì che<br />

la stessa molecola subisca<br />

un metabolismo differente<br />

in donne e uomini, come<br />

avviene, ad esempio,<br />

per la maggior parte dei<br />

farmaci impiegati in ambito<br />

cardiovascolare.<br />

L’eliminazione è un altro<br />

punto dolente: la donna<br />

possiede una minore<br />

capacità di filtrazione<br />

renale e ciò si traduce<br />

in tempi di eliminazione<br />

più lunghi e, quindi,<br />

in mantenimento di<br />

concentrazioni circolanti<br />

spesso più elevate. La<br />

conseguenza diretta,<br />

naturalmente, è una<br />

maggiore frequenza di<br />

eventi di tossicità. Non a<br />

caso le reazioni avverse<br />

da farmaco si riscontrano<br />

principalmente nella<br />

popolazione femminile.<br />

Su tutto questo pesa<br />

ovviamente anche la<br />

carenza di conoscenze<br />

relative alla risposta<br />

ai farmaci nel modello<br />

femminile, visto che gran<br />

parte delle sperimentazioni<br />

sono finora state effettuate<br />

principalmente sul modello<br />

maschile.<br />

Ora l’accezione sociale: in<br />

cosa differiscono sesso e<br />

genere?<br />

Il sesso è una caratteristica<br />

biologica, frutto della<br />

componente genetica che,<br />

fin dalla nascita, influenza<br />

la nostra risposta ai<br />

trattamenti farmacologici<br />

o la predisposizione allo<br />

sviluppo di malattie. In<br />

questo senso il nostro<br />

patrimonio genetico,<br />

caratterizzato da milioni<br />

di mutazioni diverse a<br />

livello interindividuale, ci<br />

differenzia in termini di<br />

salute, malattia e risposta<br />

alle terapie. Il genere,<br />

invece, è un costrutto molto<br />

più ampio, un’accezione<br />

che comprende una<br />

moltitudine di variabili che<br />

rientrano nella sfera socioeconomica<br />

e culturale,<br />

connotando i fattori di<br />

rischio di ciascuno in modo<br />

assolutamente peculiare: le<br />

abitudini di vita, le malattie<br />

concomitanti, il fumo, il<br />

livello di attività fisica ecc.<br />

Non in tutti casi, comunque,<br />

questi fattori sono frutto di<br />

una libera scelta.<br />

Nascere, ad esempio, in una<br />

grande città in un Paese<br />

avanzato rappresenta un<br />

evidente vantaggio per<br />

l’accesso alle cure rispetto<br />

a vivere in una zona meno<br />

fortunata del mondo, con<br />

il primo ospedale a 500<br />

chilometri di distanza.<br />

In che senso si parla<br />

di medicina “generespecifica”<br />

e non di<br />

medicina “di genere”?<br />

La medicina generespecifica<br />

è un approccio<br />

che mira a curare ciascun<br />

individuo secondo le<br />

sue singolarità, sia<br />

esso uomo, donna o<br />

transgender. Quest’ultimo<br />

caso è particolarmente<br />

emblematico perché mostra<br />

con chiarezza l’essenza del<br />

problema: un organismo in<br />

trasformazione, complesso,<br />

con un sistema ormonale<br />

misto, con componenti<br />

sia androgeniche sia<br />

estrogeniche. In questo<br />

contesto l’evoluzione delle<br />

malattie – ma anche le<br />

interazioni dei farmaci<br />

con l’organismo – diventa<br />

imprevedibile perché non<br />

studiata. Ciononostante al<br />

momento non sono previsti<br />

studi ad hoc per questi<br />

pazienti.<br />

Questo approccio<br />

tende alla medicina<br />

di personalizzazione:<br />

possiamo immaginarci una<br />

medicina per ceto sociale,<br />

area geografica o abitudini<br />

alimentari?<br />

È quello che mi piacerebbe<br />

avvenisse in un futuro,<br />

possibilmente non troppo<br />

remoto. Ciascuno di noi è<br />

diverso per come risponde<br />

alle cure e il fattore<br />

socio-economico incide<br />

pesantemente: in certe zone<br />

del mondo può curarsi solo<br />

chi può permetterselo; non<br />

dimentichiamo che negli<br />

Stati Uniti, ad esempio,<br />

un test per il Covid-19 è<br />

arrivato a costare oltre<br />

100 dollari. Un editoriale<br />

di Lancet pubblicato un<br />

anno e mezzo fa descrive la<br />

diffusione del coronavirus<br />

non come “pandemia” ma<br />

come “sindemia”, un termine<br />

che indica proprio l’intreccio<br />

sinergico tra problemi di<br />

salute, ambientali, sociali ed<br />

economici.<br />

Cosa ostacola lo sviluppo<br />

di farmaci mirati alla<br />

popolazione femminile, che<br />

sarebbero più efficaci e<br />

quindi potenzialmente più<br />

competitivi per le aziende<br />

farmaceutiche?<br />

Per i farmaci presenti sul<br />

mercato già da decenni non<br />

vi è alcun interesse delle<br />

case farmaceutiche a rifare<br />

completamente gli studi,<br />

riscrivere le linee guida,<br />

rimettere in discussione<br />

prodotti già affermati. Quasi<br />

nessuno, che io sappia,<br />

ha rivisto le indicazioni di<br />

farmaci datati come gli<br />

45


antipertensivi o le statine,<br />

poco efficaci, a volte, i primi,<br />

assolutamente tossiche, le<br />

seconde, per le donne. Per<br />

quanto riguarda i farmaci<br />

nuovi, c’è una duplice<br />

ragione. Innanzi tutto, come<br />

abbiamo visto nella recente<br />

sperimentazione per alcuni<br />

vaccini anti-Covid, su<br />

scala mondiale è più facile<br />

reperire volontari sani di<br />

sesso maschile. In secondo<br />

luogo, la sperimentazione<br />

clinica sul corpo femminile<br />

è necessariamente più<br />

elaborata e costosa.<br />

A differenza dell’uomo, che<br />

dal punto di vista ormonale<br />

resta sostanzialmente<br />

identico per 60-70 anni,<br />

l’organismo femminile<br />

presenta una situazione più<br />

articolata con moltissime<br />

variabili che entrano in<br />

gioco nel periodo di vita<br />

fertile, la gravidanza,<br />

l’allattamento, la<br />

contraccezione ormonale,<br />

la menopausa, nonché<br />

naturalmente le variazioni<br />

periodiche dovute al ciclo<br />

mestruale. Sono tutte<br />

situazioni che andrebbero<br />

investigate separatamente;<br />

quindi, per condurre studi<br />

clinici che coinvolgano il<br />

campione femminile in<br />

modo adeguato sarebbe<br />

necessario un numero<br />

molto superiore rispetto<br />

a quello utile per un trial<br />

tradizionale focalizzato<br />

sugli uomini. La situazione<br />

è anche peggiore nel caso<br />

della sperimentazione preclinica<br />

perché al momento<br />

non ci sono normative che<br />

obblighino i ricercatori<br />

pubblici o privati a testare le<br />

molecole su cavie femminili<br />

o linee cellulari provenienti<br />

da organi di donatrici.<br />

Dato quanto detto finora,<br />

e considerato che i fondi<br />

sono limitati, i ricercatori<br />

pubblici continuano a<br />

preferire studi impostati<br />

su un numero contenuto di<br />

animali maschi, che costano<br />

meno e sono più semplici<br />

da gestire dal punto di vista<br />

sperimentale.<br />

I dati sono spesso<br />

disponibili ma trascurati;<br />

in uno studio a cui lei<br />

ha collaborato avete<br />

messo in evidenza una<br />

differenza importante<br />

negli effetti collaterali<br />

della chemioterapia,<br />

senza necessità di nuovi<br />

esperimenti.<br />

Sì, noi abbiamo effettuato<br />

una semplice revisione<br />

delle cartelle cliniche per<br />

il Centro Oncoematologico<br />

Subalpino di Torino su<br />

pazienti con diagnosi<br />

di carcinoma al colon<br />

retto e di carcinoma<br />

al pancreas. Ci siamo<br />

resi conto che le donne,<br />

per poter sopportare la<br />

chemioterapia e avere una<br />

qualità di vita accettabile<br />

devono assumere molti più<br />

farmaci concomitanti. Del<br />

resto gli antineoplastici<br />

che ancora oggi vengono<br />

somministrati sono per<br />

lo più farmaci di vecchia<br />

generazione, molto robusti<br />

ma con un potere distruttivo<br />

enorme. Sono stati<br />

principalmente testati su<br />

individui di sesso maschile<br />

e quindi, sebbene gli effetti<br />

collaterali sulle donne<br />

siano gli stessi riportati per<br />

l’uomo, nella popolazione<br />

femminile si verificano<br />

più frequentemente.<br />

Quindi anche studi non<br />

sperimentali come quello<br />

sul pancreas confermano<br />

la necessità di considerare<br />

i malati individualmente.<br />

Dobbiamo garantire a<br />

tutti il diritto a cure che<br />

consentano una qualità di<br />

vita dignitosa.<br />

Com’è la situazione in<br />

Italia dopo la legge 3 del<br />

2018?<br />

A giugno 2019, la legge<br />

3 dell’11 gennaio 2018<br />

si è trasformata in piano<br />

attuativo per la diffusione e<br />

applicazione della medicina<br />

di genere all’interno del<br />

Sistema sanitario nazionale<br />

con, inoltre, l’istituzione di<br />

un osservatorio dell’Istituto<br />

superiore di sanità atto al<br />

monitoraggio del lavoro<br />

delle Regioni.<br />

Si tratta di una legge<br />

molto ben strutturata<br />

e, se fosse seguita,<br />

sarebbe ampiamente<br />

sufficiente a recuperare<br />

il gap esistente. Consta di<br />

quattro punti cardine, che<br />

prevedono l’applicazione<br />

della medicina di<br />

genere nei percorsi<br />

diagnostico terapeutici<br />

assistenziali, nella<br />

ricerca, nella formazione,<br />

nell’aggiornamento<br />

professionale e anche<br />

a livello mediatico per<br />

coinvolgere il grande<br />

pubblico.<br />

Purtroppo, solo poche<br />

Regioni finora si sono<br />

attivate in tal senso:<br />

tra queste, Piemonte,<br />

Lombardia, Emilia<br />

Romagna, Veneto e Lazio.<br />

In Piemonte, come anche<br />

in altre Regioni, è stato<br />

recentemente istituito,<br />

in recepimento della<br />

normativa vigente, un<br />

tavolo per la medicina di<br />

genere, con un gruppo<br />

tecnico di lavoro di cui<br />

anch’io faccio parte. In<br />

moltissime altre Regioni,<br />

però, la legge non è ancora<br />

stata neanche recepita. Su<br />

questo processo, il Covid<br />

ha avuto un doppio effetto:<br />

da un lato ha rallentato il<br />

processo di applicazione<br />

della legge, dall’altro ha<br />

contribuito a diffondere<br />

una maggior conoscenza<br />

del concetto di medicina di<br />

genere nella popolazione,<br />

grazie al differente impatto<br />

che il coronavirus ha avuto<br />

su uomini e donne.<br />

Non le chiedo che<br />

aspettative ha sul<br />

nuovo governo ma cosa<br />

chiederebbe alla prima<br />

prima ministra in Italia se<br />

ne avesse la possibilità?<br />

L’aspettativa ideale sarebbe<br />

che il nuovo governo<br />

continuasse il lavoro iniziato<br />

dalla ministra Beatrice<br />

Lorenzin e continuato dalla<br />

ministra Giulia Grillo che<br />

– con coraggio – hanno<br />

dato vita e siglato una<br />

legge in cui finalmente si<br />

considera il genere da tutti<br />

i punti di vista e si afferma<br />

l’importanza dell’identità di<br />

genere: una visione in cui<br />

contano gli omosessuali, i<br />

transgender, gli emarginati,<br />

le famiglie costituite da<br />

due genitori dello stesso<br />

sesso. Una medicina che<br />

curi ciascun individuo<br />

per come è fatto, senza<br />

discriminazioni, perché<br />

è fondamentale che il<br />

nostro Servizio sanitario<br />

nazionale continui a essere<br />

democratico e universale.<br />

46


Dati sanitari<br />

per lo sviluppo<br />

della medicina<br />

di genere<br />

L’applicazione dell’approccio di genere<br />

alla medicina richiede un profondo<br />

cambiamento di mentalità che sposti la<br />

prospettiva sulla persona e l’utilizzo di<br />

strumenti innovativi<br />

Monica Torriani<br />

Nello Martini, fondatore ed ex DG di Aifa e<br />

presidente di Fondazione ricerca e salute<br />

Le differenze di genere<br />

influenzano l’accesso<br />

alla cura e la qualità<br />

dell’assistenza che i<br />

cittadini ricevono. Per la<br />

rilevanza di tale impatto, la<br />

prevenzione degli stereotipi<br />

e delle disuguaglianze<br />

nell’assistenza è parte<br />

integrante del Piano<br />

nazionale di prevenzione<br />

(PNP) 2020-2025 ed<br />

è richiamata in una<br />

normativa specifica che<br />

identifica l’Italia come un<br />

Paese pioniere in questo<br />

ambito.<br />

Tuttavia, l’approccio alla<br />

complessità del tema<br />

non può limitarsi a un<br />

aggiornamento parziale<br />

dei PDTA, ma richiede un<br />

generale cambiamento<br />

di mentalità rispetto alla<br />

visione tradizionale della<br />

medicina, che sposti la<br />

prospettiva sulla persona<br />

e sull’utilizzo di strumenti<br />

nuovi. L’innovazione<br />

digitale può contribuire<br />

a implementare il<br />

cambiamento?<br />

Ne abbiamo parlato con<br />

Nello Martini, fondatore ed<br />

ex DG di Aifa e presidente<br />

48


makinglife | novembre <strong>2022</strong><br />

di Fondazione ricerca e<br />

salute (ReS).<br />

Qual è l’area terapeutica in<br />

cui le differenze di genere<br />

sono maggiormente<br />

sottovalutate?<br />

Per valutare le aree<br />

terapeutiche su cui le<br />

differenze di genere sono<br />

maggiormente evidenti e<br />

rilevanti, la Fondazione<br />

ricerca e salute (ReS), sulla<br />

base del proprio database<br />

costituito da oltre sei<br />

milioni di assistiti con dati<br />

anonimizzati, ha valutato<br />

la maggiore incidenza<br />

delle patologie per genere<br />

sulle principali categorie<br />

terapeutiche.<br />

Sulla base di tali analisi,<br />

le categorie terapeutiche a<br />

prevalenza femminile sono<br />

riferibili a patologie della<br />

tiroide, alle neoplasie e<br />

all’asma, mentre nei maschi<br />

prevalgono patologie<br />

cardio-metaboliche<br />

(diabete, cardiomiopatie,<br />

vasculopatie) e BPCO.<br />

Tuttavia, la modalità più<br />

adeguata per stabilire<br />

differenze di genere è la<br />

stratificazione per singola<br />

patologia, secondo cinque<br />

strati, sulla base della<br />

presenza del numero di<br />

comorbidità, perché le<br />

differenze di complessità<br />

clinica da essa derivanti<br />

richiedono un percorso<br />

assistenziale (PDTA) diverso<br />

e specifico per genere. Di<br />

conseguenza, adeguando e<br />

personalizzando i percorsi<br />

assistenziali in funzione del<br />

genere si garantisce la base<br />

per una presa in carico più<br />

equa e adeguata, che tiene<br />

conto delle differenze.<br />

In che modo l’innovazione<br />

digitale e l’utilizzo dei big<br />

data possono accelerare lo<br />

sviluppo della medicina di<br />

genere?<br />

Il modo più concreto per<br />

sviluppare la medicina di<br />

genere è quello di utilizzare<br />

i flussi sanitari (farmaciricoveri<br />

ospedalierispecialistica)<br />

che sono<br />

disponibili in maniera<br />

anonima per ogni singolo<br />

individuo a livello nazionale,<br />

regionale e di ASL: tali<br />

dati rappresentano uno<br />

strumento molto rilevante<br />

ai fini di una applicazione<br />

dell’assistenza di prossimità<br />

prevista dalla Missione 6 del<br />

Pnrr e dal DM 77, che tenga<br />

conto delle differenze di<br />

genere.<br />

Il Pnrr prevede il<br />

potenziamento della<br />

medicina territoriale:<br />

nell’ambito di questo<br />

epocale piano di<br />

investimenti esiste<br />

margine di azione per<br />

ridurre il gender gap<br />

nell’assistenza?<br />

Il punto chiave del Pnrr<br />

e del DM 77 nell’ambito<br />

della medicina territoriale<br />

è costituito dalla<br />

stratificazione degli assistiti<br />

in base alle comorbidità,<br />

che stabilisce il diverso<br />

grado di complessità clinica<br />

di ogni assistito e che<br />

risulta essere il parametro<br />

più affidabile attraverso<br />

cui collocare il paziente<br />

nel suo specifico setting<br />

assistenziale, secondo il<br />

modello organizzativo del<br />

DM 77: case di comunità,<br />

ospedali di comunità,<br />

hospice, assistenza<br />

domiciliare integrata (ADI –<br />

I,II,III livello), sulla base del<br />

coordinamento delle Centrali<br />

operative territoriali (Cot).<br />

In particolare, Fondazione<br />

ReS ha esaminato le<br />

stratificazioni per genere di<br />

diabete, BPCO e scompenso<br />

cardiaco evidenziando le<br />

diversità in generale e per<br />

singolo strato, che risultano<br />

rilevanti e richiedono un<br />

percorso assistenziale<br />

(PDTA specifico e diverso)<br />

per genere.<br />

Ritiene che un maggiore<br />

coinvolgimento delle<br />

associazioni di pazienti<br />

possa contribuire<br />

al miglioramento<br />

dell’inclusione nella cura?<br />

Il coinvolgimento<br />

dell’associazione dei<br />

pazienti risulta essenziale<br />

sia nella fase iniziale<br />

della programmazione<br />

dell’assistenza di prossimità,<br />

sia nella definizione di PDTA<br />

diversificati, sulla base del<br />

genere e sulle modalità di<br />

valutazione della assistenza<br />

secondo indicatori di<br />

processo e di esito.<br />

Un maggior coinvolgimento<br />

delle associazioni dei<br />

pazienti, ma anche dei<br />

caregiver, rende il processo<br />

assistenziale più vicino alle<br />

esigenze del paziente e<br />

favorisce la umanizzazione<br />

delle cure.<br />

L’Italia è stato il primo<br />

Paese al mondo ad<br />

aver approvato una<br />

normativa specifica per<br />

promuovere la medicina<br />

di genere: a che punto è<br />

il Paese sotto il profilo<br />

del coinvolgimento dei<br />

cittadini e degli operatori<br />

sanitari?<br />

La Legge n.3 del 2018 (la<br />

cosiddetta Legge Lorenzin)<br />

è la prima legge in Italia e<br />

nel mondo che prevede la<br />

promozione della medicina<br />

di genere, anche con<br />

specifico riferimento allo<br />

sviluppo di sperimentazioni<br />

cliniche in cui le donne<br />

siano adeguatamente<br />

rappresentate.<br />

In particolare, il decreto<br />

attuativo dell’art.3<br />

(Applicazione e diffusione<br />

della medicina di genere<br />

nel Ssn) prevede varie<br />

iniziative a sostegno<br />

della ricerca biomedica<br />

e farmacologica, di<br />

promozione e di sostegno<br />

all’insegnamento e anche<br />

dell’informazione pubblica<br />

della medicina di genere.<br />

Per capire a che punto<br />

è il Paese sotto il profilo<br />

del coinvolgimento dei<br />

cittadini e degli stessi<br />

operatori risulta essenziale<br />

la relazione, prevista dal<br />

decreto attuativo, che<br />

il ministro della Salute<br />

deve trasmettere alle<br />

Camere anche attraverso<br />

la istituzione di un<br />

osservatorio dedicato alla<br />

medicina di genere.<br />

49


Parità o potere rovesciato?<br />

Con il sociologo Domenico De Masi,<br />

un excursus su diversità e inclusione,<br />

dalla Mesopotamia alle moderne<br />

organizzazioni<br />

Caterina Lucchini<br />

50<br />

Domenico De Masi è<br />

professore emerito di<br />

sociologia del lavoro<br />

presso l’Università “La<br />

Sapienza” di Roma. Insieme<br />

a lui abbiamo affrontato<br />

il tema della diversità e<br />

inclusione nelle aziende,<br />

nella amministrazione<br />

pubblica e in accademia.<br />

In particolare, De Masi ha<br />

raccontato e analizzato il<br />

ruolo sociale della donna<br />

nelle diverse epoche della<br />

storia, fino ai giorni d’oggi,<br />

con uno sguardo al futuro.<br />

Riflessione sui tempi<br />

passati<br />

Il ruolo sociale della<br />

donna è notevolmente<br />

cambiato nel corso dei<br />

secoli. La prima epoca a<br />

cui è importante riferirsi è<br />

quella rurale, iniziata con<br />

la civiltà mesopotamica,<br />

ovvero circa 5mila anni fa,<br />

e arrivata fino all’inizio del<br />

1700. In questo periodo<br />

storico tutto ruotava<br />

intorno all’agricoltura e<br />

all’artigianato e la donna<br />

ricopriva uno status di<br />

alto prestigio. A essa era<br />

infatti riconosciuto un<br />

ruolo centrale nel regolare<br />

i ritmi familiari, in primo<br />

luogo essendo colei che<br />

permetteva di avere<br />

“braccia” per lavorare,<br />

e nel regolare anche i<br />

ritmi lavorativi, che erano<br />

saldamente concatenati a<br />

quelli familiari. A partire<br />

dalla fine del 1700 è<br />

iniziata una nuova epoca,<br />

quella industriale. È in<br />

questo periodo storico, che<br />

termina con la fine della<br />

seconda Guerra Mondiale,<br />

che è avvenuta la forte e<br />

netta distinzione di ruoli<br />

tra i due sessi. Il lavoro<br />

si è spostato fisicamente<br />

dalla dimora, venendo<br />

confinato nelle fabbriche,<br />

con orari e turni lavorativi<br />

ben scanditi; l’uomo si<br />

è ritrovato a svolgere<br />

il compito di produrre i<br />

beni, con conseguente<br />

remunerazione salariale,<br />

mentre la donna è stata<br />

investita del ruolo di tutrice<br />

della famiglia.<br />

È questo il periodo storico<br />

in cui si inizia dunque a<br />

creare una distinzione<br />

culturale che porta<br />

nella visione comune,<br />

unicamente inventata dalla<br />

società, l’errata convinzione<br />

che la donna possieda una<br />

Domenico De Masi, professore emerito di sociologia del<br />

lavoro presso l’Università degli Studi di Roma


makinglife | novembre <strong>2022</strong><br />

intelligenza inferiore e<br />

una maggiore propensione<br />

all’attività domestica<br />

rispetto all’uomo.<br />

L’epoca industriale<br />

sancisce dunque una<br />

differenza di potere, legata<br />

all’aspetto economico, che<br />

con difficoltà ancora oggi si<br />

cerca di combattere.<br />

Dopo la seconda Guerra<br />

Mondiale la nostra società<br />

è entrata in una terza<br />

nuova epoca, che ancora<br />

oggi viviamo, quella postindustriale.<br />

È iniziata<br />

la produzione dei beni<br />

immateriali e dei servizi<br />

e la tecnologia è entrata<br />

nella vita di tutti. È proprio<br />

questa tecnologia che ha<br />

fatto nascere il concetto<br />

di multitasking femminile,<br />

permettendo alle donne<br />

dedicate ai lavori domestici<br />

di avere più tempo a<br />

disposizione da dedicare al<br />

lavoro fuori casa: le stime<br />

indicano che la tecnologia<br />

casalinga equivalga al<br />

lavoro di 33 persone<br />

dell’epoca greco-romana.<br />

La ricerca di uno spazio e di<br />

un valore anche al di fuori<br />

delle mura domestiche<br />

ha incontrato la forte<br />

resistenza maschile: la<br />

posta in gioco è stata il<br />

potere e l’uomo, a seconda<br />

dei settori, ha opposto<br />

resistenze diverse (in<br />

genere maggiore potere<br />

ha chiamato maggiore<br />

resistenza). La scuola<br />

materna e primaria,<br />

ad esempio, sono state<br />

“facilmente colonizzate”<br />

dalle donne. Il basso salario<br />

e l’idea comune che fossero<br />

lavori ben conciliabili con la<br />

famiglia hanno fatto la loro<br />

parte.<br />

Ma per l’insegnamento<br />

universitario e le posizioni<br />

apicali all’interno<br />

dell’accademia la<br />

resistenza maschile è stata,<br />

ed è ancora, ben più forte.<br />

Le aziende, nate<br />

propriamente nell’epoca<br />

industriale come istituzioni<br />

maschiliste, hanno visto la<br />

massima rappresentazione<br />

della resistenza possibile,<br />

in particolare quelle di<br />

tipo industriale. Il divario<br />

diminuisce per le aziende<br />

post-industriali, che si<br />

occupano ad esempio di<br />

servizi e comunicazione<br />

in cui l’idea maschilista è<br />

stata meno radicata.<br />

Il problema centrale<br />

è infatti anche di tipo<br />

antropologico: di natura,<br />

l’essere umano abituato a<br />

un certo comportamento<br />

tende con difficoltà a<br />

distaccarsi da esso per<br />

intraprendere un nuovo<br />

percorso, sebbene anche<br />

i tempi e le esigenze<br />

possano essere cambiati.<br />

Non solo un problema<br />

di numeri<br />

La lotta femminile non<br />

dovrebbe solo basarsi<br />

sui numeri. Non è<br />

sufficiente, per parlare<br />

di parità, che uno stesso<br />

numero di uomini e donne<br />

siano impiegati in una<br />

professione o facciano<br />

parte della squadra che<br />

porta avanti il lavoro in<br />

una azienda. Quel che<br />

serve, e ancora manca<br />

enormemente, è la parità<br />

a livello salariale. I dati<br />

parlano chiaro, a parità<br />

di ruolo una donna<br />

percepisce circa il 30% in<br />

meno di stipendio di un<br />

uomo. Tuttavia, mentre per<br />

l’inclusione il movimento<br />

femminista si è e si sta<br />

ancora battendo molto,<br />

per la parità salariale il<br />

polverone alzato è ridotto.<br />

Come la Storia ha<br />

insegnato e insegna, solo<br />

le battaglie permetteranno<br />

alle donne di ottenere<br />

ciò che spetta loro, e se<br />

per l’aspetto economico<br />

non si batteranno tanto<br />

quanto hanno fatto per<br />

altri argomenti, non<br />

otterranno piena parità.<br />

D’altronde, sebbene ora si<br />

parli di opportunità per una<br />

migliore qualità del lavoro,<br />

la verità è che le aziende<br />

hanno dovuto assumere<br />

le donne per le insistenze<br />

della generazione passata.<br />

La lotta per i diritti deve<br />

dunque proseguire perché<br />

altrimenti, come è accaduto<br />

in America, gli uomini,<br />

resistenti a dividere il<br />

loro potere, non appena<br />

possibile tenteranno di<br />

riprendere il sopravvento.<br />

Proprio per questo sarebbe<br />

auspicabile fissare una data<br />

entro la quale la disparità<br />

di genere nel mondo del<br />

lavoro e a livello salariale<br />

dovrà essere appianata.<br />

Il futuro è donna<br />

Nel futuro si potrà<br />

osservare veramente una<br />

parità di genere o si può<br />

ipotizzare che assisteremo<br />

a un potere rovesciato? Non<br />

è dato a sapersi. Tuttavia è<br />

interessante ragionare su<br />

alcune proiezioni che sono<br />

state fatte per il futuro<br />

prossimo.<br />

Nel 2030 si stima che<br />

l’età media femminile<br />

supererà quella maschile<br />

di sei anni; negli USA si<br />

suppone che i due terzi<br />

della richiesta lavorativa<br />

sarà in mano alle donne,<br />

che rappresenteranno il<br />

60% dei laureati e che<br />

potranno avere figli senza<br />

necessariamente avere un<br />

compagno.<br />

Le donne, in pratica,<br />

saranno al centro<br />

del sistema sociale.<br />

Caratteristiche definite<br />

femminili quali l’estetica,<br />

l’emotività e la sensibilità<br />

colonizzeranno anche gli<br />

uomini.<br />

La propensione a innovare<br />

è fluida. Si tratta di<br />

un atteggiamento che<br />

contraddistingue chi è<br />

innovatore e in questo il<br />

regime politico di uno Stato<br />

ha un ruolo cruciale.<br />

51


Non esistono razze<br />

siamo tutti composizioni<br />

Monica Torriani<br />

Chi siamo e come<br />

lo siamo diventati?<br />

La biologia<br />

evoluzionistica ci<br />

fornisce una chiave<br />

di lettura scientifica<br />

e oggettiva per<br />

comprendere la<br />

realtà, il rapporto<br />

fra i sessi e la<br />

debolezza di molti<br />

pregiudizi<br />

Carlo Alberto Redi, professore di zoologia presso l’Università degli Studi di Pavia<br />

e presidente del comitato etico di Fondazione Umberto Veronesi<br />

In questa intervista, Carlo<br />

Alberto Redi, professore di<br />

zoologia presso l’Università<br />

degli Studi di Pavia e<br />

presidente del comitato etico di<br />

Fondazione Umberto Veronesi,<br />

ci parla di evoluzione bologica e<br />

meccanismi di scelta sessuale,<br />

spaziando dal lontanissimo<br />

passato ai giorni nostri.<br />

In tema di riproduzione<br />

sessuata e produzione di<br />

gameti in cosa consiste il<br />

“conflitto fra i sessi”?<br />

Si tratta di un aspetto<br />

messo sotto la lente della<br />

riflessione più generale<br />

dei biologi, degli psicologi<br />

52


makinglife | novembre <strong>2022</strong><br />

e dei filosofi da parte dei<br />

sociobiologi e fa riferimento in<br />

termini epistemologici a una<br />

competizione. Su ciò esiste<br />

una bibliografia sterminata<br />

che, tuttavia, è importante<br />

precisarlo, è opera di pensatori<br />

meno legati agli aspetti<br />

rigorosamente scientifici<br />

e più vicini alle tematiche<br />

sociologiche e filosofiche.<br />

Il punto della questione è<br />

quello dei “costi”: quali sono<br />

i costi per la produzione<br />

e il mantenimento della<br />

progenie? Una domanda che<br />

riguarda molto da lontano<br />

le riflessioni della biologia<br />

in senso stretto ed è invece<br />

più compatibile con una<br />

visione umanistica e incline<br />

a cogliere le sfaccettature<br />

sociali del sesso. In effetti,<br />

una femmina impegna una<br />

quantità di risorse notevoli,<br />

sproporzionate rispetto a<br />

quelle messe in campo dal<br />

maschio: senza andare tanto<br />

lontano, basti pensare, in<br />

una visione antropocentrica,<br />

al caso umano. Parlando<br />

di riproduzione sessuata,<br />

sulla femmina grava un<br />

carico di costi (in termini di<br />

tempo, necessità di reperire<br />

risorse trofiche, attenzione<br />

ai predatori) superiore a<br />

quello del maschio. Mentre<br />

per quest’ultimo i costi sono<br />

generati dall’accesso alle<br />

risorse sessuali femminili,<br />

per la femmina sono<br />

fondamentalmente in funzione<br />

della progenie. Ed è proprio su<br />

questo principio che si basa<br />

l’idea di un conflitto fra sessi.<br />

Il meccanismo della<br />

selezione sessuale comporta<br />

la cosiddetta “scelta<br />

femminile”: è la femmina<br />

a scegliere il maschio più<br />

attraente; qual è il vantaggio<br />

evolutivo di questa modalità?<br />

Parto con una precisazione:<br />

dal punto di vista della biologia<br />

occorrerebbe eliminare il<br />

“perché” dalla sua domanda<br />

e spostare l’attenzione<br />

dalle motivazioni connesse<br />

all’evoluzione alla semplice<br />

analisi dei meccanismi sottesi.<br />

Domandarsi perché accada (o<br />

sia accaduto) un certo evento,<br />

infatti, comporta l’attribuzione<br />

a esso di un’indicazione<br />

finalistica e, com’è noto, in<br />

biologia non esistono fini.<br />

In generale, la questione<br />

della scelta femminile non<br />

si limita all’uomo: in tutte le<br />

specie a fecondazione interna<br />

la femmina è discriminativa.<br />

In definitiva, i meccanismi<br />

che assicurano il successo<br />

riproduttivo sono il numero<br />

di femmine a cui ha accesso<br />

il maschio e il numero di<br />

piccoli che la femmina riesce<br />

a produrre. Se analizziamo il<br />

caso dell’uomo, le variabili che<br />

entrano in gioco sono infinite<br />

e dipendono dal contesto<br />

socio-culturale considerato: il<br />

criterio che guida la scelta di<br />

una femmina appartenente<br />

a un ceto sociale elevato di<br />

una grande città occidentale è<br />

evidentemente diverso rispetto<br />

a quello di una giovane che<br />

vive in una periferia di un<br />

Paese in via di sviluppo. Dietro<br />

il tema della scelta femminile<br />

esiste poi una componente<br />

rilevante di mistero: non<br />

sappiamo se esistono aspetti<br />

che ancora non siamo riusciti<br />

a cogliere e studiare. Nel<br />

mondo animale il ruolo dei<br />

feromoni nell’influenzare<br />

l’attrattività fra i sessi è<br />

dimostrato: basti pensare al<br />

cane maschio, che fiuta gli<br />

organi genitali della femmina<br />

per stabilire l’estro. In analogia<br />

a quanto avviene negli<br />

animali, potrebbe ad esempio<br />

esistere un feromone prodotto<br />

dalle ghiandole sudoripare<br />

della femmina e di cui non<br />

abbiamo una percezione<br />

diretta, ma che i maschi<br />

avvertono. Su queste teorie<br />

esistono dati, ma di scarso<br />

valore scientifico. Un altro<br />

criterio di scelta nel maschio è<br />

quello legato alle componenti<br />

visive. Inoltre, alcuni studiosi<br />

hanno ipotizzato che la<br />

scelta possa essere frutto<br />

di un’affinità immunologica,<br />

ma anche queste teorie<br />

non sono legittimate da dati<br />

scientifici rigorosi. Quello della<br />

scelta femminile è dunque<br />

un campo molto ampio ma<br />

fondamentalmente in gran<br />

parte ancora misterioso.<br />

Nella scelta quanto pesano i<br />

fattori strettamente biologici<br />

e quanto quelli culturali?<br />

Nell’umano i secondi<br />

predominano e oggi sono<br />

addirittura più complessi che<br />

in passato. Oggi il sesso è<br />

molto meno frequentato dalle<br />

giovani generazioni rispetto<br />

a quelle precedenti, con<br />

conseguenze sociali importanti<br />

e legate allo spostamento<br />

della vita nell’infosfera.<br />

L’infosfera aiuta le persone a<br />

trovare per le attività sessuali<br />

il partner che risponda ai<br />

requisiti, ma la frequenza di<br />

queste attività è oggi diminuita<br />

rispetto al passato. Questo ci<br />

ricorda il celebre passaggio<br />

contenuto nel libro Evolution<br />

and tinkering, in cui il premio<br />

Nobel per la medicina François<br />

Jacob sosteneva che “il<br />

piacere appare essere un<br />

mero espediente per spingere<br />

gli individui a praticare sesso<br />

e di conseguenza a riprodursi.<br />

Un espediente di successo,<br />

a giudicare dal grado di<br />

popolazione che ha raggiunto<br />

il pianeta”.<br />

La partenogenesi è un<br />

meccanismo di riproduzione<br />

sessuata?<br />

Parlando di scelta femminile,<br />

non possiamo esimerci<br />

dal riflettere sulla fine del<br />

maschio. La riproduzione<br />

sessuata è basata su una<br />

presenza maschile limitata,<br />

un aspetto paradossale<br />

che spesso sconvolge chi<br />

non si occupa di questi<br />

temi. Nel mondo animale,<br />

fondamentalmente, la<br />

riproduzione sessuata<br />

è partenogenesi, ossia<br />

uniparentale. La partenogenesi<br />

comporta la presenza di un<br />

solo genitore, la femmina,<br />

che “fa sesso” da sola e si<br />

riproduce. Dobbiamo infatti<br />

ricordare che il concetto di<br />

“sesso” in biologia non ha<br />

lo stesso significato che<br />

nell’accezione comune, ma<br />

è ricombinazione genetica.<br />

Nel produrre cellule uovo,<br />

la femmina che compie la<br />

partenogenesi riassorbe un<br />

53


globulo polare (in sostituzione<br />

dello spermatozoo)<br />

ristabilendo la diploidia: si<br />

verifica ricombinazione,<br />

variazione dei caratteri<br />

ereditari e quindi non è<br />

una forma di riproduzione<br />

asessuata, che è invece<br />

correlata alla produzione di<br />

cloni.<br />

Si dice che la sequenza<br />

genetica definita ENH13 sia<br />

una sorta di interruttore<br />

del sesso che, se attivato,<br />

porta allo sviluppo di<br />

caratteri maschili: qual è il<br />

suo ruolo dal punto di vista<br />

evoluzionistico?<br />

L’ENH13 è l’interruttore più<br />

a valle che a oggi abbiamo<br />

identificato. Per quanto<br />

riguarda i determinanti<br />

genetici del sesso, tempo<br />

fa diversi gruppi di ricerca<br />

sono riusciti nei mammiferi<br />

a dissezionare a livello<br />

molecolare il cromosoma Y<br />

chiarendo quello che i genetisti<br />

formali avevano osservato<br />

e cioè che la presenza di<br />

cromosomi XX è correlata al<br />

sesso femminile mentre la<br />

coppia XY a quello maschile.<br />

E così dalla dissezione si<br />

scoprì nel cromosoma Y<br />

una regione definita SRY<br />

(Sex-determining region Y)<br />

che, se presente, portava<br />

alla determinazione del<br />

sesso maschile. Emerse poi<br />

il fatto che lo sviluppo dei<br />

caratteri sessuali maschili<br />

si verificava anche in<br />

assenza del cromosoma<br />

Y, ma con la porzione di<br />

cromosoma SRY traslocata<br />

sul cromosoma X. In seguito le<br />

biotecnologie si sono affinate<br />

e, attraverso i programmi di<br />

sequenziamento, si è potuto<br />

osservare che la regione<br />

SRY è responsabile della<br />

produzione della proteina<br />

TDY (Testis-determining Y).<br />

Questi studi hanno portato<br />

a comprendere che erano<br />

proprio quelle sequenze a<br />

essere responsabili della<br />

determinazione del sesso.<br />

Il programma embriologico<br />

dello sviluppo è di base<br />

femminile e solo se intorno<br />

alla quinta-sesta settimana si<br />

accendono queste sequenze<br />

si attiva una cascata di eventi<br />

che porta allo sviluppo di un<br />

maschio.<br />

L’espressione dei caratteri<br />

maschili e femminili non<br />

è strettamente binaria<br />

poiché molti fattori esogeni<br />

(ambientali) possono<br />

interferire e produrre<br />

una fortissima variabilità<br />

nell’espressione dei caratteri,<br />

con tutti i ben noti problemi<br />

sociali e umani correlati.<br />

Questa considerazione<br />

ha portato alcuni gruppi<br />

di ricerca, fra cui quello<br />

di Robin Lovell-Badge, a<br />

ipotizzare che esistesse un<br />

ulteriore fattore in grado<br />

di modulare e amplificare<br />

l’espressione di SRY e TDY.<br />

Badge proseguì quindi<br />

nella dissezione genetica<br />

molecolare delle sequenze<br />

legate alla determinazione del<br />

sesso e trovò che, all’interno<br />

di sequenze non codificanti,<br />

era presente un “interruttore”,<br />

un “modulatore”. Lo studio<br />

portò all’identificazione di un<br />

frammento, definito ENH13, in<br />

grado di portare, se attivato,<br />

alla cascata di eventi che<br />

conduce alla comparsa dei<br />

caratteri sessuali specifici.<br />

Inoltre, si scoprì che la sua<br />

attivazione è in grado di<br />

produrre una grandissima<br />

variabilità nell’espressione<br />

e questo rappresenta un<br />

avanzamento estremamente<br />

importante nello studio della<br />

determinazione del sesso.<br />

In un articolo pubblicato su<br />

PlosOne nel 2016, frutto di<br />

uno studio italiano, viene<br />

descritta una condizione di<br />

letargo degli embrioni umani,<br />

che sospenderebbero il loro<br />

sviluppo quando si trova<br />

in condizioni difficili: è una<br />

teoria confermata?<br />

Si tratta di una questione che<br />

periodicamente riemerge.<br />

Il ritardo nell’impianto<br />

embrionale è un fenomeno<br />

diffuso in alcuni animali, ad<br />

esempio nei marsupiali. Alcuni<br />

marsupiali sono caratterizzati<br />

da una forte sporadicità<br />

nell’attività sessuale, in<br />

seguito alla quale l’embrione<br />

rimane in una sorta di stato di<br />

congelamento nelle tube, fino<br />

a quando si realizza l’impianto<br />

e la gravidanza procede.<br />

Non abbiamo dati solidi che<br />

dimostrino meccanismi<br />

analoghi in umano.<br />

Le ricadute della biologia<br />

evoluzionistica sulla<br />

società sono difficili da<br />

percepire per un pubblico<br />

non specializzato: quali<br />

sono gli strumenti che la<br />

comunicazione scientifica<br />

può mettere in atto per<br />

veicolare meglio questo<br />

messaggio?<br />

Per nostra fortuna, quest’anno<br />

il premio Nobel per la<br />

fisiologia o la medicina è stato<br />

assegnato a Svante Pääbo,<br />

un ricercatore specializzato<br />

nell’ambito della biologia<br />

evoluzionistica. Pääbo ha<br />

confrontato il genoma umano<br />

con quello delle specie<br />

che ci hanno preceduto<br />

(Neanderthal, Denisoviani e<br />

così via) e ha scoperto che<br />

abbiamo con essi in comune<br />

delle intere sequenze.<br />

Questo dimostra che si è<br />

verificato rimescolamento<br />

genico fra Homo sapiens<br />

e Neanderthal prima che<br />

quest’ultimo si estinguesse.<br />

Abbiamo scoperto di avere<br />

ancora un 1-2% del genoma<br />

neanderthaliano, anche<br />

se le stime sono variabili<br />

a causa della difficoltà<br />

di studiare il DNA antico.<br />

Un dato immensamente<br />

rilevante che ha ricadute<br />

pesanti sulla nostra<br />

società. E un avanzamento<br />

scientifico che spiega<br />

anche perché soffriamo<br />

di diabete. Neanderthal<br />

era fondamentalmente<br />

un cacciatore e dunque<br />

mangiava solo quando la<br />

caccia aveva successo: la<br />

sua costituzione genetica<br />

era tale da mantenere alto<br />

il livello di zuccheri nel<br />

sangue. H. sapiens, invece, era<br />

agricoltore e di conseguenza<br />

mangiava regolarmente: in<br />

questo caso mantenere alta<br />

la concentrazione di glucosio<br />

nel sangue è un danno, una<br />

malattia. Ma vado oltre: lo<br />

studio che è stato insignito<br />

del Nobel, che sembrerebbe<br />

dedicato a pochi scienziati,<br />

parla in realtà a tutti. Dice<br />

che siamo delle composizioni,<br />

che non esistono le razze.<br />

Questo la dice lunga sulla<br />

rilevanza sociale degli studi<br />

di biologia evoluzionistica,<br />

soprattutto oggi, nel mondo<br />

in cui viviamo. Come vede, lo<br />

studio di Pääbo, così come<br />

molte altre ricerche svolte<br />

nel campo della biologia<br />

evoluzionistica, ha un impatto<br />

fortissimo sulla nostra<br />

società.<br />

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57


Diversamente salute, advocacy di un riscatto<br />

GUARIRE LA MALATTIA<br />

NON È GUARIRE PER<br />

LA VITA. È DOVEROSO<br />

GARANTIRE AL PAZIENTE,<br />

ACCANTO ALLA<br />

RIACQUISTATA SALUTE,<br />

ANCHE UN RIENTRO<br />

COMPLETO NELLA<br />

SOCIETÀ, INCLUSO IL<br />

RITORNO AL LAVORO<br />

Laura Patrucco<br />

Patient advocacy lead and public<br />

relations Onconauti Associazione,<br />

Paziente esperto Eupati, Membro del<br />

comitato scientifico Assd<br />

Quante volte ci siamo interrogati sul<br />

senso di salute riabilitata alla diversità,<br />

integrata con la fragilità, evocata per la<br />

disabilità, all’interno di contesti non così<br />

lontani dal nostro quotidiano relazionale,<br />

sociale e lavorativo? La difficoltà<br />

principale risiede forse più nel realizzare<br />

la giusta domanda per accedere alle<br />

giuste risposte, con una capacità<br />

intuitiva che venga spinta da spirito<br />

sportivo in quanto inclusivo. Parlare di<br />

salute vuole – deve – generare curiosità<br />

trasversale, dalle politiche sociali alla<br />

filosofia valoriale dell’individuo come<br />

tale, nella sua interezza identitaria,<br />

andando oltre il senso del sembrare.<br />

Tutelare la salute significa in primis<br />

tutelare la persona, protagonista del<br />

sistema di cura, mittente e destinatario<br />

al contempo.<br />

RITORNO ALLA VITA<br />

Quando arrivi dal mondo associativo<br />

una delle equazioni più articolate da<br />

risolvere è il binomio salute-lavoro,<br />

perché un paziente guarito è un soggetto<br />

perfettamente riabilitato alla vita e a<br />

tutti i rispettivi diritti (e doveri) a essa<br />

correlati. Senza un autentico riscatto e<br />

altrettanto consenso, la guarigione dopo<br />

la malattia rischia di restare unicamente<br />

clinica, non sovrapponibile, ahinoi, a<br />

quella di vita. Guarire la malattia non<br />

è guarire per la vita. Pensiamo alla<br />

riabilitazione oncologica, un ambito<br />

che si riconduce anche alla fragilità, la<br />

malattia come parentesi di momentanea<br />

difficoltà, verso cui è un diritto-dovere<br />

conferire nuovamente prospettiva, in<br />

ogni ambito di vita, incluso il ritorno al<br />

lavoro. Tutelare la fragilità attraverso<br />

la tutela della persona come risorsa<br />

piuttosto che come criticità, altrimenti<br />

l’inevitabile risiede nel creare pazienti<br />

di ritorno. Promuovere cultura valoriale<br />

è innanzi cultura del principio che<br />

muove l’azione nella giusta direzione,<br />

che conferisce coralità alla fragilità in<br />

un sistema salute che ha la profonda<br />

responsabilità di definirsi tale. Ogni<br />

suo interlocutore, tutti inclusi, è esso<br />

58


makinglife | novembre <strong>2022</strong><br />

stesso imprenditore, costruttore,<br />

garantista, attraverso competenze<br />

e adeguata informazione sanitaria,<br />

nell’ottica del pieno recupero della<br />

persona come tale. Essere diversamente<br />

in salute dunque per richiamare<br />

multidisciplinarietà, non esclusività,<br />

reimmaginare la salute e riempirla di<br />

significato. Da qui l’importanza di creare<br />

educazione del valore, della risorsa,<br />

a prescindere, superando la cultura<br />

degli esclusi e promuovendo pensiero<br />

del riconoscimento. Oltre a elargire<br />

servizi, la vera presa in carico dovrebbe<br />

generare empatia nella gentilezza e<br />

nell’attenzione al tema salute e lavoro,<br />

binomio fondamentale per un sistema<br />

che voglia includere la fragilità oltre<br />

che per il suo impianto sociale, la<br />

dimensione della cultura in senso<br />

antropologico, direbbe il sociologo Tosini.<br />

La riabilitazione della persona prima<br />

che del paziente è un ritorno a una<br />

quasi normalità fisica e potenzialmente<br />

relazionale, laddove in realtà spesso si<br />

cela un difficile equilibrio tra speranza<br />

di guarire e paura per il futuro. Questo<br />

spiega la necessità di un cambio di<br />

paradigma culturale, di approccio, che<br />

la patient advocacy vuole promuovere.<br />

Ri-pensare alla salute dopo la malattia<br />

richiede lo sforzo per superare il ruolo<br />

di malato e riassumere le responsabilità<br />

familiari, sociali e lavorative. Creare<br />

dialogo di sistema può aiutare a evitare<br />

il rischio della tossicità finanziaria, a cui<br />

spesso vanno incontro i lavoratori che si<br />

ritrovano pazienti.<br />

UNA SOLUZIONE<br />

COLLETTIVA<br />

Indubbiamente il dilagare della<br />

pandemia ha spostato il baricentro<br />

verso una sindemia, patologie dunque<br />

non solo sanitarie, ma anche sociali,<br />

economiche, psicologiche, dei modelli<br />

di vita, di fruizione della cultura e delle<br />

relazioni umane. Emerge dunque la<br />

priorità di presidiare la salute del<br />

territorio, dei contesti quotidiani in cui<br />

si ritrovi fragilità, pazienti e anziani<br />

inclusi. Il diritto alla salute consta anche<br />

di diritto alla vita, che si compone di<br />

socialità familiare e lavorativa. Non si<br />

può prescindere da questo.<br />

La fragilità quale condizione complessa<br />

e multi-fattoriale impone una presa in<br />

carico globale e attenta non soltanto<br />

degli aspetti medico-sanitari, ma<br />

anche dei correlati psicologi e affettivorelazionali<br />

della persona e delle figure<br />

significative attorno a essa. Nel concetto<br />

di patient advocacy, la solidarietà e il<br />

lavoro di squadra sono interpretabili<br />

come una call to action, per trovare<br />

insieme vie di soluzione strutturali e non<br />

emergenziali, a partire da un rinnovato<br />

linguaggio che renda in ogni parola<br />

non solo la forza del servizio, quanto il<br />

valore della proposta. Persone, non solo<br />

assistiti.<br />

Realizzo la prospettiva affinché<br />

il concetto greco “pan” non resti<br />

associato a pandemia, ma possa<br />

divenire identificativo di collettività, di<br />

cooperazione, di rilancio di beni primari<br />

come la vita in salute, autenticando<br />

la diversa normalità come una regola<br />

di vita. Una advocacy per creare quel<br />

tempo, fin da oggi, in cui schierarsi<br />

in prima linea per accelerare il<br />

cambiamento del concetto legato alla<br />

fragilità così come alla riabilitazione<br />

oncologica sociale e lavorativa.<br />

La necessità di un cambio di passo che<br />

implichi una visione plurale, in cui la<br />

prospettiva fragilità diventi prospettiva<br />

valore e quindi risorsa.<br />

Il tema della fragilità e della malattia non<br />

può e non deve però essere affrontato<br />

soltanto dal Terzo settore. Abbiamo<br />

bisogno di un’alleanza più trasversale e<br />

inclusiva. Istituzioni e mondo del lavoro<br />

devono comprendere il valore e non più<br />

solo il costo dell’inclusione.<br />

UN DIVERSO<br />

PARADIGMA<br />

Ora è il tempo di ri-abilitare al nuovo<br />

per recuperare quel potenziale<br />

in risorsa che ancora sfugge,<br />

promuovendo un vero e proprio welfare<br />

orientato al ben-essere allargato,<br />

secondo nuovi modelli di setting, di<br />

linguaggio, di operatività. Parlarne<br />

innesca in qualche modo l’ascolto;<br />

è intuibile dunque la necessità di<br />

proseguire il dialogo in cultura e cultura<br />

del dialogo al contempo.<br />

Un dialogo che crei nuova<br />

consapevolezza di contesti amalgamati<br />

con il diversamente salute, in cui<br />

focalizzare un bisogno legato al<br />

curante, perché affrontare la fragilità<br />

clinica e sociale è un cambiamento<br />

anche per chi cura, che deve creare<br />

continuità e ri-abilitare. Per intenderci,<br />

una tutela che nasca come servizio<br />

“dedicato a”. I percorsi sanitari vanno<br />

sempre più pensati come un’educazione<br />

culturale al valore di ogni welfare<br />

imprenditoriale che possa salvarci dalle<br />

distanze, senza restare indietro, fino ad<br />

arrivare a un’innovazione 4.0 declinata<br />

doverosamente a una democrazia<br />

digitale. Obiettivo ambizioso è generare<br />

valore attraverso l’esercizio delle<br />

capability, ponendosi in discussione<br />

per sostenere la sfida della diversità<br />

e completando l’azione con l’abilità<br />

umana che crea relazione, che diviene<br />

strumento di apprendimento, che crea<br />

un modello di paradigma culturale. Il<br />

diversamente salute vuole – deve –<br />

riabilitare e incrociare concetti cardine<br />

di diritto, sicurezza, tutela, democrazia,<br />

affinché il significato di salute accolga<br />

l’individuo nella sua integrità, morale<br />

e identitaria. Desiderata sani sono<br />

immaginare un diversamente salute<br />

non per creare nuovi status (che<br />

comunque non guasterebbe) ma per<br />

evolvere in intelligenza sanitaria,<br />

artificiale come umana, perimetrando<br />

percorsi in-formativi educativi,<br />

puntando a una capacità pragmatica<br />

di un sistema salute nazionale.<br />

Rigenerare per creare, esercitandosi<br />

alla sostenibilità, al conoscere per riconoscere,<br />

secondo una vera advocacy<br />

della diversità che conta.<br />

Il riscatto sia con noi.<br />

59


[ DIVERSITÀ AL QUADRATO ]<br />

Nel progetto<br />

THE, l’Università<br />

per stranieri di<br />

Siena svilupperà<br />

nuovi approcci<br />

per integrare nel<br />

nostro sistema<br />

sanitario anche i<br />

pazienti. A iniziare<br />

da quelli cinesi<br />

Valentina Guidi<br />

La diversità culturale in campo medico è una sfida che va<br />

ben oltre la semplice componente linguistica. All’interno<br />

del neonato progetto THE (Tuscany health ecosystem), in<br />

fase di avviamento grazie all’assegnazione dei fondi del<br />

Pnrr, il concetto di diversità assume connotazioni a elevato<br />

valore formativo, tecnologico e curativo, considerando le<br />

specificità del singolo paziente e addentrandosi nelle sfide<br />

poste dall’incontro tra culture diverse. Ma offre anche un<br />

tavolo di dialogo per due mondi spesso percepiti come<br />

binari paralleli e ben distinti: quello scientifico e quello<br />

umanistico.<br />

ECOSISTEMA TOSCANO<br />

DAL VALORE NAZIONALE<br />

Il progetto THE è l’unico degli undici ecosistemi<br />

dell’innovazione finanziati in Italia dai fondi del Pnrr a<br />

focalizzarsi sulle scienze della vita. Il progetto coinvolge 22<br />

partecipanti tra università, enti pubblici e soggetti privati e<br />

mira a concretizzare l’innovazione attraverso l’incontro tra<br />

aziende e ricerca locale. Proprio il legame con il territorio e<br />

il coinvolgimento di realtà toscane ha permesso al progetto<br />

di rientrare negli ecosistemi dell’innovazione previsti dal<br />

Pnrr e di aggiudicarsi così un finanziamento da 110 milioni<br />

di euro. I dieci settori di ricerca che l’ecosistema THE<br />

affronterà nei suoi tre anni di durata comprendono diverse<br />

sfaccettature delle scienze della vita come radioterapie<br />

avanzate e diagnostica in oncologia, medicina preventiva<br />

e predittiva, nanotecnologie, medicina di precisione,<br />

biotecnologie, imaging nelle neuroscienze e robotica. Il<br />

progetto punta ad ampliare il più possibile il concetto di<br />

salute trovandosi anche ad affrontare l’unione tra realtà<br />

a vocazione scientifica e un’istituzione esclusivamente<br />

umanistica, l’Università per stranieri di Siena. Questo<br />

difficile connubio si muove nella direzione della medicina<br />

inclusiva, con un approccio che considera la persona come<br />

essere umano e ne valuta le differenze specifiche. L’ateneo<br />

60


makinglife | novembre <strong>2022</strong><br />

senese ha quindi scelto di inserirsi nell’ecosistema con<br />

un approccio trasversale dedicato alla diversità culturale,<br />

in cui l’inclusività riguarderà in particolare il paziente<br />

straniero.<br />

FOCUS SULLA DIVERSITÀ<br />

CULTURALE<br />

I pazienti sono tutti differenti fra loro ma nel caso di<br />

persone provenienti da Paesi stranieri la diversità assume<br />

connotati che vanno oltre le specificità fisiche di ognuno.<br />

Lingue e culture diverse infatti complicano il quadro e<br />

l’approccio clinico deve fare i conti con questioni che<br />

travalicano la scienza medica. Al tavolo di lavoro del<br />

progetto THE si è quindi seduta l’Università per stranieri di<br />

Siena (Unitrasi), storico polo per la mediazione linguistica<br />

e culturale. Come integrare una visione prettamente<br />

umanistica in un contesto scientifico e tecnologico<br />

avanzato, come quello costruito dagli apporti degli altri<br />

membri dell’ecosistema?<br />

Una domanda a cui è stato complesso rispondere e che<br />

ha richiesto un dialogo aperto tra le due sfere del sapere,<br />

spesso considerate inconciliabili, spiega Caterina Toschi,<br />

professoressa di storia dell’arte contemporanea e delegata<br />

del rettore alla ricerca di ateneo.<br />

L’idea di Unitrasi è di favorire il dialogo e la mediazione non<br />

solo dal punto di vista linguistico ma anche considerando<br />

gli aspetti culturali, in modo da poter integrare pazienti<br />

così diversi nel nostro sistema sanitario. La medicina,<br />

infatti, dalle visite all’ospedalizzazione, dall’assunzione di<br />

farmaci alla prevenzione, viene avvicinata in modo molto<br />

diverso nelle varie culture, soprattutto allontanandosi<br />

dalla nostra Europa. E i chilometri che separano il nostro<br />

continente dal luogo di provenienza dei pazienti su cui<br />

vuole focalizzarsi il progetto sono davvero tanti. Unitrasi ha<br />

infatti pensato di lavorare prevalentemente sulla comunità<br />

cinese, in modo da esaltare la connessione con il territorio<br />

che un ecosistema dell’innovazione riconosciuto dal Pnrr<br />

deve avere. La comunità cinese toscana è infatti tra le più<br />

antiche della regione e certamente la più importante, sia in<br />

termini numerici sia per il suo impatto sull’economia e la<br />

società regionale.<br />

TRE VOLTI DELLA DIVERSITÀ<br />

CULTURALE<br />

Sono tre i nodi di ricerca in cui si inserirà Unitrasi: quello<br />

dedicato alle tecnologie, ai metodi e ai materiali di livello<br />

avanzato per la salute e il benessere umano, quello<br />

focalizzato sull’implementazione dell’innovazione per la<br />

salute e il benessere, e quello centrato sulla salute della<br />

popolazione. Il contributo dell’ateneo sarà esclusivamente<br />

umanistico e richiederà una collaborazione piuttosto<br />

inedita con ricercatori, tecnici e personale sanitario. Una<br />

sfida nella sfida, quindi, che in caso di vittoria permetterà<br />

di realizzare progetti che concretizzeranno il concetto di<br />

paziente al centro in modo nuovo e che potranno essere un<br />

esempio virtuoso anche per le altre regioni italiane.<br />

61


I TRE FILONI DELLA RICERCA<br />

TELEMEDICINA E INNOVAZIONE TECNOLOGICA PER STRANIERI<br />

Nel contesto del nodo di ricerca dedicato alle innovazioni tecnologiche, Unitrasi progetta di fornire una consulenza per l’utilizzo<br />

della lingua nello sviluppo di software e strumenti. Non una semplice traduzione, ma un vero e proprio studio che consideri<br />

il peso delle parole e scelga il modo migliore di accostarsi ai pazienti cinesi, il cui approccio alla medicina è tradizionalmente<br />

molto differente rispetto a quello occidentale. In particolare, il focus di questo contributo sarà su malattie degenerative, terza età<br />

e invecchiamento, tematiche sulle quali c’è ancora poca esperienza legata alle comunità straniere, come spiega Anna di Toro,<br />

professoressa di lingua e letteratura cinese e referente di questo contributo.<br />

L’idea è far dialogare le modalità di cura occidentali con alcune provenienti dalle tradizioni dell’Asia orientale, come quelle legate alle<br />

pratiche dietistiche o alle attività ginnico-meditative. In questo modo sarà possibile creare un rapporto di fiducia nei confronti dei pazienti,<br />

che potrebbe permettere di inserire le tematiche collegate alla medicina occidentale in modo più efficace. La figura dell’anziano, soprattutto,<br />

riveste un significato particolare per le culture orientali di stampo confuciano. Capire come gestire il paziente geriatrico potrebbe quindi<br />

essere uno dei punti di partenza per poi approcciarsi a tematiche prettamente mediche e innovative, come la telemedicina, su cui l’ateneo<br />

vorrebbe elaborare linee guida specifiche per la comunità cinese. Questo strumento, infatti, si rivela particolarmente ostico per i pazienti<br />

stranieri a causa delle differenze linguistiche ma anche a questioni legate alla prossemica (la disciplina che studia il significato assunto, nel<br />

comportamento sociale, dalla distanza che l’individuo frappone tra sé e gli altri e tra sé e gli oggetti) e al linguaggio non verbale.<br />

SEMINARI E FORMAZIONE PER METTERE IL PAZIENTE (STRANIERO) AL CENTRO<br />

Per il contributo al nodo di ricerca focalizzato sull’implementazione dell’innovazione per la salute e il benessere ancora una<br />

volta il punto di partenza non può che essere il paziente. Il quale, però, in questo caso è culturalmente distante da noi. Quale può<br />

essere allora il modo migliore di coinvolgerlo nelle innovazioni che l’ecosistema svilupperà? Il contributo, guidato da Sabrina<br />

Machetti, professoressa specializzata in mediazione e didattica della lingua italiana per stranieri, prevede di organizzare<br />

seminari per divulgare i risultati della ricerca che possano favorire la comunicazione con persone di nazionalità non italiana, nello specifico<br />

cinesi. Il ricercatore in campo medico e scientifico, con il suo bagaglio tecnico, dialogherà allora con uno specialista che possa aiutarlo a<br />

dare il giusto peso agli aspetti umanistici del paziente e a trovare il metodo di divulgazione più adeguato. Ancora una volta c’è la fusione tra<br />

ricerca scientifica e studi umanistici per elaborare una comunicazione che possa coinvolgere davvero tutti i pazienti nell’innovazione.<br />

Ma Unitrasi vuole anche a rivolgersi agli specialisti, con il percorso di formazione curato dal professore di archeologia Jacopo Tabolli. Il<br />

recente rinvenimento di un antico hub medico multiculturale e polilinguistico nell’ambito degli scavi presso il santuario termale etrusco e<br />

romano di San Casciano dei Bagni (SI), infatti, offrirà l’opportunità di un dialogo integrato tra medici termali e archeologi. L’idea è di imparare<br />

qualcosa dal nostro prestigioso passato per coinvolgere i pazienti stranieri nelle terapie del presente e del futuro.<br />

GESTIONE DEL TRAUMA E MEDICINA NARRATIVA<br />

Le attività ideate dall’ateneo nell’ambito del nodo di ricerca relativo alla salute della popolazione e coordinate da Tiziana de<br />

Rogatis, professoressa di letterature comparate, ruoteranno attorno alla cura del trauma, in particolare nelle donne. Questo<br />

argomento è di grande importanza per chi affronta una migrazione e per chi si trova a vivere in un Paese culturalmente distante<br />

dal proprio o da quello della famiglia di provenienza. Il peso del trauma sulla salute del singolo e della collettività è rilevante.<br />

La rimozione che il nostro cervello può operare di fronte a eventi particolarmente drammatici, infatti, impedisce alla persona di<br />

elaborarli, causando ripercussioni che possono portare a patologie e disturbi del comportamento, con gravi conseguenze sul<br />

paziente, ma anche sulla sua famiglia e sul resto della popolazione. Unitrasi intende affrontare questo problema utilizzando la medicina<br />

narrativa, branca innovativa delle scienze mediche che punta a ridare ordine e quindi senso agli sviluppi delle vite che hanno subito dei<br />

traumi attraverso la loro narrazione. Benché in Italia sia un argomento recente, la medicina narrativa a livello globale ha già permesso di<br />

ottenere risultati quantificabili e incoraggianti non solo in caso di traumi gravi. L’obiettivo è quindi creare un archivio digitale ricostruendo le<br />

storie delle donne immigrate e migranti fatto di testi e di immagini. Le immagini avranno la funzione di colmare quei vuoti che potrebbero<br />

rimanere nonostante il lavoro degli specialisti che cercheranno di far emergere gli eventi traumatici a fini curativi. L’archivio sarà poi fruibile<br />

dai pazienti stessi e dal personale sanitario che si troverà a dover gestire persone che hanno subito traumi simili. È dimostrato infatti che la<br />

consultazione di storie che hanno affinità con la propria può aiutare a recuperare il ricordo rimosso e quindi a elaborare il proprio trauma.<br />

Per raggiungere questo obiettivo, Unitrasi affiancherà il personale sanitario a livello di mediazione linguistica e culturale, ma anche per<br />

riportare le storie in testi di facile consultazione nella nostra lingua.<br />

62


www.pipeline.it<br />

Microsoft Dynamics 365


Scienza e stereotipi<br />

Nonostante le pretese di oggettività e distacco, anche il mondo<br />

dei ricercatori soffre il problema della discriminazione delle<br />

minoranze. A scapito dei risultati scientifici<br />

Ne seguì una polemica che determinò il<br />

ritiro dell’articolo (prima volta nella storia<br />

ultracentenaria della rivista) e una lunga<br />

serie di strascichi a livello accademico<br />

internazionale (tra cui anche la censura<br />

della Società chimica italiana). Posto che<br />

noi non abbiamo né il dovere né l’interesse<br />

a riprendere strettamente la questione<br />

Hudlicky, la scomparsa dello scienziato ci<br />

offre lo spunto per tornare sulla questione<br />

e vedere se – e come – la situazione si è<br />

evoluta in quest’ultimo periodo.<br />

BIANCO, MASCHIO<br />

E CINQUANTENNE<br />

Giulio Divo<br />

A maggio di quest’anno un lutto ha colpito<br />

il mondo accademico della chimica.<br />

È infatti scomparso a soli 72 anni<br />

Tomàs Hudlicky, scienziato di origine<br />

ceca formatosi però negli Stati Uniti e<br />

affermatosi successivamente presso<br />

la Brock University, in Canada. Hudlicky,<br />

che nel corso della carriera ha condotto<br />

brillanti studi su molecole dall’azione<br />

antitumorale, non è tuttavia “passato<br />

alla storia” come ricercatore, quanto per<br />

le sue opinioni circa la valorizzazione<br />

delle diversità nelle forze lavoro e, nello<br />

specifico, nell’attività di ricerca scientifica.<br />

Il “caso”, forse alcuni lo ricorderanno,<br />

risale al 2020 quando – a seguito di<br />

un articolo pubblicato su Angewandte<br />

Chemie – Hudlicky inserì proprio la<br />

diversity of workforce tra gli elementi<br />

che ostacolano il progresso della<br />

sintesi organica negli ambiti di ricerca,<br />

lamentando come la “presenza di training<br />

workshop obbligatori sui temi della parità<br />

di genere, dell’inclusione, della diversità<br />

e della discriminazione” rappresentasse<br />

ormai una vera e propria emergenza.<br />

Gli stereotipi, nella scienza, sono tutt’altro<br />

che un’eccezione. Anzi, ci sono diversi<br />

indicatori di come profili differenti da<br />

quello del maschio caucasico di 50<br />

anni (donne, persone di colore o di<br />

etnie differenti da quella caucasica,<br />

professionisti appartenenti alla comunità<br />

Lgbtq+, disabili) risultino di fatto<br />

svantaggiate in termini di opportunità<br />

di carriera, di rispetto, di aspettativa<br />

professionale e – non ultimo – di salario.<br />

Una ricerca pubblicata su Sciences<br />

Advances da parte della sociologa Erin<br />

Cech ha evidenziato questo fenomeno<br />

attraverso lo studio dei profili professionali<br />

di oltre 25mila persone impegnate nel<br />

mondo delle Stem (Scienza, tecnologia,<br />

ingegneria, matematica). Allo stesso<br />

modo, proprio nel 2020, uno statement<br />

della Royal society of chemistry esordiva<br />

con le seguenti parole: “Sexism, racism,<br />

discrimination against LGBTQ+ people and<br />

many other forms of inequality are sadly<br />

all too prevalent in the chemical sciences,<br />

both at individual and institutional levels”.<br />

Questo significa che il problema non<br />

solo esiste, ma è presente anche una<br />

consapevolezza istituzionale di questo.<br />

A conferma di quanto stiamo dicendo,<br />

vale la pena citare anche l’indagine<br />

64


makinglife | novembre <strong>2022</strong><br />

“Inclusion”, condotta da Astraricerche<br />

per conto di Gilead Sciences. Ebbene,<br />

la ricerca ha chiarito che, ancora oggi,<br />

esiste una opinione molto diffusa per cui<br />

ci sarebbero mestieri “solo per uomini” (il<br />

30% del campione intervistato) e sono le<br />

stese donne, spesso, le peggiori nemiche<br />

di un vero equality gender, dato che questa<br />

convinzione è condivisa dal 43% delle<br />

donne intervistate.<br />

UN CONTROSENSO,<br />

MA CON TANTI<br />

PRECEDENTI<br />

In questi ultimi anni si è molto dibattuto<br />

sullo status epistemologico delle scienze,<br />

da intendere come discipline fattuali,<br />

nelle quali il preconcetto finisce con<br />

l’influenzare il risultato specifico stesso.<br />

La filosofia della scienza ci spiega molto<br />

bene come le più grandi conquiste nel<br />

mondo scientifico siano state conseguenti<br />

alla ribellione nei confronti del pensiero<br />

dominante, con la conseguente caduta di<br />

un paradigma inadeguato (per utilizzare<br />

la terminologia di Thomas Kuhn) a favore<br />

di un altro che meglio potesse contenere,<br />

come una cornice, il quadro di insieme<br />

delle conoscenze scientifiche. Oggi, solo<br />

per fare un esempio, gli studi di genetica<br />

hanno abbattuto di fatto il concetto di<br />

razza, correggendo molte delle opinioni<br />

dominanti fino alla metà circa del XX<br />

secolo. Vale però la pena sottolineare<br />

come uno dei padri riconosciuti della<br />

genetica, il premio Nobel James Watson,<br />

ancora nel 2007 dichiarava come (a suo<br />

avviso) i test di intelligenza condotti sulla<br />

popolazione di colore dessero risultati<br />

inferiori rispetto agli stessi condotti<br />

sulla popolazione caucasica, attribuendo<br />

alla genetica il presunto risultato di una<br />

minore intelligenza. Insomma, verrebbe<br />

da dire che in alcuni casi anche gli<br />

scienziati non applicano rigorosamente un<br />

metodo scientifico quando c’è di mezzo<br />

il preconcetto e le questioni di genere.<br />

Ma se la situazione è così complessa,<br />

siamo sicuri che le politiche di inclusione<br />

siano corrette per sanare una posizione<br />

in cui l’ambiente è ancora fortemente<br />

condizionato da una tradizione maschilista<br />

e occidentali-centrica?<br />

IL MONDO DELLA<br />

RICERCA PUÒ<br />

ESSERE DIVERSO<br />

DALLA SOCIETÀ DI<br />

RIFERIMENTO?<br />

In un intervento durante il webinar “Gli<br />

orizzonti della Salute” Stefano Bortuzzi,<br />

chief executive officer dell’American<br />

society for microbiology ha posto la<br />

questione in questi termini: è credibile una<br />

scienza che non rispecchia la società di<br />

riferimento? Esiste il pericolo che, a causa<br />

della mancanza di una rappresentatività<br />

delle minoranze, il discorso scientifico<br />

e la ricerca tornino nella loro torre<br />

di avorio senza riuscire a creare una<br />

cultura scientifica condivisa e inclusiva?<br />

L’esempio lampante di ciò lo abbiamo<br />

avuto durante la pandemia causata dal<br />

Covid-19; al di là del dibattito tra scienziati<br />

esposti mediaticamente, abbiamo avuto<br />

una forte reazione antiscientifica causata<br />

– forse – anche dal fatto che le persone<br />

non si sentono rappresentate e non<br />

riconoscono l’autorevolezza di voci che<br />

vengono “sentite” – a livello emozionale –<br />

come lontane dalle istanze delle persone<br />

comuni. Forse uno dei problemi di<br />

dialogo tra scienza e popolazione risiede<br />

nel fatto che nella stessa comunità dei<br />

ricercatori permangono delle chiusure<br />

che impediscono, di fatto, il dialogo e il<br />

confronto. Il risultato è simile a quello che<br />

si ottiene cercando di unire i poli identici di<br />

due magneti: una repulsione incoercibile.<br />

IL VALORE<br />

DELL’INCLUSIVITÀ TRA<br />

RICERCA E AZIENDE<br />

Vale allora la pena tornare all’inizio della<br />

nostra discussione. L’inclusività è, come<br />

asseriva Hudlicky, un ostacolo alla ricerca<br />

o è, invece, un vantaggio? Cominciamo con<br />

il dire che l’inclusività non è un ostacolo<br />

alla meritocrazia ma, anzi, può senz’altro<br />

rappresentarne una amplificazione. Se noi<br />

viviamo in una dimensione ristretta, anche<br />

il nostro bacino potenziale di intelligenze<br />

risulterà ristretto. Viceversa, liberandoci<br />

dagli stereotipi di genere andremo a<br />

esaltare le competenze pure, astraendole<br />

dal loro “contenitore sociale”, inteso come<br />

etnia, religione, preferenze sessuali e di<br />

genere. Lo dimostrano i dati delle società<br />

di recruiting, le quali riportano una serie<br />

di dati positivi che non possono essere<br />

trascurati (studio PageGroup in aziende tra<br />

100 e 499 dipendenti). C’è il miglioramento<br />

dell’immagine aziendale (59,1%) così come<br />

una maggiore capacità di attrarre i talenti<br />

(52,3%), l’ambiente di lavoro risulta più<br />

stimolante (54,5%) e c’è un incremento<br />

nella fidelizzazione (38,6%) dei dipendenti.<br />

UNA LUNGA STRADA<br />

DAVANTI<br />

Il cammino verso una società realmente<br />

inclusiva – a ogni livello – è ancora molto<br />

lungo e incontra resistenze di non poco<br />

conto. Non è possibile intervenire sulla<br />

mente del singolo per far cambiare<br />

un’idea ma si può costruire una cultura<br />

dell’inclusione tale da far sì che il tema<br />

delle diversità smetta di fatto di essere<br />

un tema. La dimostrazione viene dalla<br />

miglior risposta che si è avuta all’articolo<br />

di Hudlicky, a sua volta pubblicato su<br />

“The Journal of organic chemistry”,<br />

con quattro firme (Sarah E. Reisman,<br />

Richmond Sarpong, Matthew Sigman<br />

e Tehshik Yoon). Tra le conclusioni, un<br />

aspetto sembra essere decisivo: negli<br />

ultimi trent’anni – in assoluta simmetria<br />

con una maggiore inclusione – il mondo<br />

della ricerca scientifica nelle Stem ha<br />

prodotto un numero di risultati che<br />

non ha precedenti nella storia umana.<br />

Forse è questa la migliore risposta che<br />

possiamo dare in questo senso: laddove<br />

la ricerca e il mondo dell’industria hanno<br />

seguito i mutamenti sociali, abbiamo<br />

avuto più quantità, maggiore qualità e<br />

integrazione basate non su cervellotiche<br />

“quote di minoranza”, quanto sul merito.<br />

Nell’accezione più alta del termine.<br />

65


La multiculturalità<br />

migliora anche la<br />

ricerca<br />

66<br />

LA PROVENIENZA ETEROGENEA DEI<br />

RICERCATORI DI UN LABORATORIO PUÒ<br />

RAPPRESENTARE UN FRENO OPPURE<br />

UNO STRAORDINARIO ACCELERATORE<br />

DI SVILUPPO: LA COESIONE PARLA IL<br />

Come si tiene insieme<br />

una realtà internazionale,<br />

che comprende individui<br />

con background culturali,<br />

religiosi e linguistici<br />

diversi? Sembra quasi<br />

impossibile, anche alla luce<br />

delle congiunture mondiali<br />

in atto. Eppure, è ciò che<br />

LINGUAGGIO DELLA SCIENZA<br />

Monica Torriani<br />

succede nei grandi centri<br />

di ricerca, realtà che fanno<br />

della scienza la propria<br />

matrice comune e che<br />

riescono, grazie a questo e<br />

alle capacità di coordinatori<br />

di talento, a funzionare<br />

producendo risultati di<br />

valore.<br />

EQUILIBRARE<br />

COMPETIZIONE<br />

E CONFLITTO<br />

La storia ci insegna come<br />

la diversity possa costituire<br />

un elemento potenzialmente<br />

disgregante. Qualcosa<br />

di così potente da avere<br />

portato ripetutamente,<br />

anche nel passato recente,<br />

a iniziative repressive da<br />

parte di capi di Stato attenti<br />

a non lasciarsi sfuggire<br />

di mano il potere su etnie<br />

apparentemente impossibili<br />

da mettere d’accordo.<br />

Il difficile contesto viene<br />

replicato, su scala minore,<br />

nei centri di ricerca, dove<br />

tuttavia gli interventi<br />

nella gestione del capitale<br />

umano sono in genere più<br />

illuminati.<br />

Non che manchino<br />

proverbiali screzi<br />

fra “primedonne”,<br />

semplicemente, rientrano<br />

nei fisiologici meccanismi<br />

di competizione che, fino<br />

a un certo punto, possono<br />

servire da stimolo per il<br />

miglioramento continuo.<br />

FARE LEVA<br />

SUI VANTAGGI<br />

Non pensiamo che il<br />

capo più adeguato sia<br />

quello più remissivo,<br />

la persona disposta ad<br />

ascoltare tutti senza mai<br />

prendere posizione per non<br />

scontentare nessuno. Alla


makinglife | novembre <strong>2022</strong><br />

guida di progetti ambiziosi<br />

portati avanti da team<br />

d’eccellenza deve esserci un<br />

coordinatore decisionista.<br />

Lo confermano numerose<br />

ricerche nel settore<br />

dell’internazionalizzazione<br />

e della gestione di squadre<br />

multiculturali.<br />

L’aspetto che rileva,<br />

tuttavia, nella scelta del<br />

professionista è la capacità<br />

non solo di decidere, ma<br />

anche di comunicare, di far<br />

passare il messaggio verso<br />

gli interlocutori e fra gli<br />

stessi interlocutori.<br />

Anche nel panorama<br />

degli studi scientifici,<br />

il leader agisce da<br />

fattore di coesione.<br />

Facilita l’interazione fra i<br />

collaboratori concentrando<br />

l’attenzione collettiva<br />

sugli aspetti vantaggiosi<br />

della diversity, come<br />

l’arricchimento delle<br />

proposte dovuto alla<br />

promozione del pensiero<br />

laterale e della tensione<br />

all’obiettivo.<br />

Un atteggiamento che non<br />

porta a esiti positivi è,<br />

invece, quello di enfatizzare<br />

(anche con le migliori<br />

intenzioni) le differenze<br />

culturali, che promuove la<br />

polarizzazione e acuisce le<br />

tensioni.<br />

L’ETEROGENEITÀ<br />

NON RIGUARDA<br />

SOLO LA<br />

PROVENIENZA<br />

Oggi ci si concentra molto, e<br />

a buon diritto, sulla diversity<br />

di genere. Ma questo non<br />

deve farci dimenticare che<br />

esistono molte altre barriere<br />

altrettanto tenaci e resistenti<br />

all’abbattimento. Una<br />

delle più rilevanti è quella<br />

anagrafica. L’allungamento<br />

(gradito, si intende) delle<br />

prospettive di vita fa sì<br />

che nei team impegnati in<br />

progetti di ricerca siano<br />

ricompresi individui che<br />

appartengono anche a più di<br />

due generazioni successive.<br />

Non è raro trovare<br />

all’interno della stessa<br />

squadra venticinquenni<br />

e sessantacinquenni,<br />

giovani che hanno da poco<br />

cominciato a immaginare<br />

la loro carriera nel mondo<br />

del lavoro e anziani (anche<br />

se spesso tali per questioni<br />

puramente anagrafiche)<br />

che stanno progettando la<br />

loro seconda vita libera da<br />

incombenze professionali.<br />

Due realtà apparentemente<br />

inconciliabili. Perché, se è<br />

comunque realistico pensare<br />

a uno scambio che metta in<br />

circolo entusiasmo da un lato<br />

ed esperienza dall’altro, è<br />

pur vero che fasce di età così<br />

distanti impongono anche<br />

sistemi di welfare ed HR<br />

completamente diversi.<br />

Le complessità aumentano<br />

quando si considera la<br />

presenza in team di una<br />

persona malata. È piuttosto<br />

comodo pensare che i<br />

ricercatori impegnati a<br />

individuare soluzioni a<br />

malattie terribili siano<br />

invulnerabili ai comuni morbi.<br />

Ma in tali gruppi, così come<br />

nei gruppi che operano in<br />

altre realtà accademiche e<br />

aziendali, è da mettere in<br />

conto che siano presenti<br />

individui che soffrono di<br />

malattie croniche o disabilità<br />

e che ciò comporti un<br />

approccio differente alle<br />

azioni quotidiane, anche nel<br />

lavoro.<br />

LA DIVERSITY<br />

MOLTIPLICA<br />

I RISULTATI<br />

DELLA SCIENZA<br />

Nel podcast “Working<br />

scientist: perché la diversità<br />

nella scienza è importante?”<br />

prodotto dall’International<br />

science council (ISC), la Ceo<br />

di ISC, Heide Hackamnn,<br />

sottolinea la centralità che<br />

ha assunto la scienza nel<br />

presente, il ruolo strategico<br />

nel raggiungimento degli<br />

obiettivi collettivi della<br />

sostenibilità, dell’equità e<br />

della sicurezza del nostro<br />

mondo. Conversando<br />

con lei, Anthony Bogues,<br />

docente di lettere e teoria<br />

critica e di studi africani<br />

alla Brown University di<br />

Providence (US), sostiene<br />

che sia necessario smettere<br />

di pensare alla scienza<br />

come una sorta di soggetto<br />

oggettivo, che viene al<br />

mondo senza alcun tipo di<br />

interferenza umana.<br />

Di fatto, la scienza è<br />

un’invenzione dell’uomo<br />

e viene al mondo con una<br />

serie di cornici storiche che<br />

modellano effettivamente<br />

il suo percorso. Inoltre,<br />

è in grado essa stessa<br />

di influenzare i destini<br />

dell’uomo. Sottovalutare<br />

questi aspetti può essere<br />

estremamente penalizzante.<br />

È invece importante<br />

focalizzare l’attenzione<br />

sui vantaggi della<br />

multiculturalità: ampliare la<br />

diversità significa rendere<br />

la scienza più produttiva,<br />

con risultati migliori per la<br />

collettività ma anche per i<br />

singoli individui.<br />

GESTIRE LA<br />

MULTICULTURALITÀ<br />

VALORIZZANDO<br />

I SINGOLI<br />

Ed è ancora una volta<br />

sui vantaggi che occorre<br />

concentrarsi per progettare<br />

ambienti di ricerca in<br />

cui la multiculturalità<br />

rappresenti un plus anziché<br />

un limite. Se dal punto di<br />

vista degli aspetti globali<br />

la diversity porta, come<br />

oramai un’infinità di studi<br />

documenta, a maggiore<br />

creatività e innovazione<br />

e al potenziamento della<br />

flessibilità del sistema, che<br />

ne è dei singoli?<br />

Far passare il messaggio<br />

che per benefici si intende<br />

il profitto per la collettività<br />

e che i singoli debbano<br />

sacrificarsi in funzione di un<br />

non meglio precisato senso<br />

etico non sembra essere<br />

una buona idea.<br />

Se ci spostiamo sulla<br />

dimensione individuale<br />

scopriamo come la<br />

lateralità e l’originalità, fra<br />

gli strumenti più richiesti<br />

nella cassetta degli attrezzi<br />

dello scienziato di successo,<br />

possano essere sviluppate<br />

67


appieno solo in ambienti<br />

spiccatamente eterogenei.<br />

Detto in altre parole: il team<br />

monoculturale è una echo<br />

chamber che il ricercatore<br />

non si può permettere di<br />

frequentare. Tanto più in<br />

un’epoca, come la nostra,<br />

nella quale deve essere più<br />

che mai favorito il flusso<br />

continuo dei “cervelli” fra<br />

i laboratori. L’obiettivo<br />

dell’integrazione deve<br />

dunque essere raggiunto<br />

nella valorizzazione delle<br />

individualità e non già nella<br />

loro sottomissione a un<br />

bene più grande.<br />

RISPETTARE<br />

(TUTTE) LE<br />

DIVERSE<br />

SENSIBILITÀ<br />

Il rischio della polarizzazione,<br />

della chiusura in piccoli gruppi<br />

dialoganti ed effervescenti ma<br />

solo al loro interno, è vivo e<br />

presente. Una delle condizioni<br />

che può tramutarlo in realtà<br />

è la banalizzazione del<br />

tema. Ridurre le complessità<br />

legate alla diversity al<br />

tentativo da parte di persone<br />

restie al cambiamento di<br />

mantenere lo status quo<br />

sarebbe un’imperdonabile<br />

approssimazione. Non si<br />

tratta, infatti, di individuare<br />

colpevoli, a patto che ce<br />

ne siano, ma di favorire il<br />

dialogo e l’apertura, creando<br />

le condizioni perché tutti vi<br />

possano accedere, sentendosi<br />

parte di un nucleo accogliente<br />

e universale. Se dobbiamo<br />

veicolare il messaggio che<br />

la diversità sia un beneficio<br />

e rispettare le differenti<br />

sensibilità, non possiamo<br />

respingere senza possibilità di<br />

replica le istanze di chi non la<br />

pensa come noi.<br />

Da queste considerazioni,<br />

quindi, emerge il bisogno di<br />

un approccio che vada oltre<br />

l’inserimento professionale e<br />

riveda i percorsi universitari,<br />

e di formazione in generale,<br />

perché si occupino di<br />

trasversalità. E progettare<br />

una comunicazione che<br />

sappia scoprire ed esprimere<br />

i valori autentici che la<br />

multiculturalità consente di<br />

abbracciare, superando le<br />

semplicistiche indicazioni<br />

pseudoetiche che rischiano di<br />

appesantire la narrativa senza<br />

apportare beneficio alcuno.<br />

Dai vaccini allo spazio, il linguaggio comune di scienza e tecnologia<br />

Sono molti gli esempi di centri di ricerca dove un capitale umano con provenienza eterogenea genera performance<br />

impossibili da replicare per realtà chiuse. All’Istituto italiano di tecnologia di Genova lavorano circa 1900 persone, di<br />

queste il 31% proviene da un Paese straniero e il 18% sono italiani rientrati dall’estero. Numeri che rendono IIT un<br />

ambiente multiculturale e interdisciplinare che fa della diversità una forma di arricchimento.<br />

Un esempio di collaborazione che sfrutta gli strumenti caratteristici della sperimentazione clinica è il Recovery trial,<br />

che attualmente vanta più di 40.000 partecipanti e 199 siti coinvolti. Recovery è un progetto della Oxford University<br />

finanziato, fra gli altri, da Bill and Melissa Gates Foundation e Wellcome e incentrato sulla valutazione di nuove<br />

terapie per il trattamento di Covid-19.<br />

Infinite le trasvolate oceaniche che hanno scandito la carriera di Fabrizio Renzi, ingegnere biomedico, per 30 anni<br />

direttore tecnologia e innovazione di IBM Italia e convinto tessitore di relazioni fra i mondi dell’impresa e della<br />

ricerca.<br />

«Sono convinto che le skill, le competenze funzionano meglio nel mondo della ricerca se vengono da diverse culture<br />

– ha dichiarato Renzi nel corso di un’intervista. – La differenza fra culture è importante perché è dal pensiero laterale<br />

che molte innovazioni vengono generate. Lo posso confermare per esperienza diretta: ho passato molti anni sia<br />

negli Stati Uniti che nei Paesi emergenti, dalla Russia all’Europa dell’Est, dal Medio Oriente all’Africa. Mi sono reso<br />

conto di come mettere insieme culture diverse generi una grande ricchezza di spunti e di idee, e noi favoriamo<br />

questo processo».<br />

Un altro esempio eccellente di inclusione e successo è quello rappresentato dalle missioni spaziali internazionali. Lo<br />

scorso marzo, con il conflitto russo-ucraino ormai divampato, l’avvicendamento al comando della stazione spaziale<br />

internazionale è stato sigillato da un abbraccio fra l’astronauta della Nasa Mark Vande Hei e i cosmonauti russi Pëtr<br />

Dubrov e Anton Shkaplerov. A dispetto dei conflitti che dominano la scena mondiale, la collaborazione fra uomini<br />

nello spazio non ha mai cessato di essere virtuosa.<br />

68


PRODUCT & PROCESS<br />

VALIDATION<br />

EQUIPMENT &<br />

SYSTEMS VALIDATION<br />

COMPUTERIZED SYSTEMS<br />

VALIDATION & DATA INTEGRITY<br />

PROJECT MANAGEMENT<br />

& GMP TRAINING


Diversity e<br />

tossicologia<br />

Maura Bernini<br />

IL POSSIBILE RUOLO DEL MONDO<br />

ACCADEMICO STATUNITENSE E DELLA<br />

SOCIETY OF TOXICOLOGY NEL DISEGNARE<br />

UN FUTURO PIÙ INCLUSIVO NEL CAMPO<br />

DELLA RICERCA<br />

Negli Stati Uniti, il numero delle<br />

Persons excluded due to ethnicity<br />

or race (Peer) nell’ambito della<br />

tossicologia, come in generale in<br />

tutti gli STEM (campi disciplinari,<br />

accademici e lavorativi delle branche<br />

science, technology, engineering<br />

and mathematics) sembra ancora<br />

particolarmente alto. Questo è<br />

sicuramente un elemento negativo<br />

per la scienza perché la diversità può<br />

accendere l’inventiva e dare un grande<br />

impulso all’innovazione.<br />

Perché gli studenti appartenenti a<br />

minoranze hanno un alto tasso di<br />

abbandono delle facoltà scientifiche?<br />

David J. Asai, professore del Howard<br />

Hughes Medical Institute, nell’articolo<br />

“Race matters” pubblicato su Cell<br />

nel 2020, osserva che l’approccio<br />

Fixing the student e i vari interventi<br />

incentrati sullo studente, implementati<br />

negli ultimi 50 anni (tra i quali corsi di<br />

recupero ed esperienze di ricerca negli<br />

anni pre-universitari), hanno contribuito<br />

a incrementare il numero di studenti<br />

appartenenti a minoranze che entrano<br />

in facoltà universitarie STEM, ma non<br />

sono sufficienti a contrastare il loro<br />

elevato tasso di abbandono.<br />

I ragazzi non bianchi che intraprendono<br />

un percorso STEM, infatti, sono quasi<br />

triplicati dal 1992 al 2017 ma i loro<br />

tassi di abbandono scolastico sono<br />

sostanzialmente invariati rispetto a<br />

trent’anni fa e molto più elevati rispetto<br />

a quelli dei bianchi. Asai sottolinea<br />

che, poiché questa disparità etnica<br />

non si registra nei campi non STEM,<br />

la sua causa potrebbe risiedere in<br />

un comportamento non abbastanza<br />

inclusivo da parte dei professori delle<br />

facoltà scientifiche. Suggerisce quindi<br />

ai propri colleghi docenti di incentrare<br />

maggiormente la comunicazione<br />

sull’ascolto di ciò che pensano gli<br />

studenti, oltre a ciò che imparano,<br />

per far scaturire in loro un senso di<br />

appartenenza al mondo scientifico.<br />

Ma le disparità attuali hanno radici<br />

profonde, da ricercarsi nelle pratiche<br />

che hanno plasmato la società<br />

statunitense in 600 anni. L’articolo di<br />

Karilyn E. Sant e Larissa M. Williams<br />

“The role of diversity, equity, and<br />

inclusion in the future of toxicology”,<br />

pubblicato come editoriale su<br />

Toxicological sciences, riporta un’analisi<br />

70


makinglife | novembre <strong>2022</strong><br />

dei fattori chiave che hanno contribuito<br />

alle moderne tendenze dei gruppi<br />

minoritari a essere rappresentati nelle<br />

STEM.<br />

LIMPIEZA DE SANGRE<br />

La cosiddetta scoperta dell’America<br />

fu di poco preceduta dal decreto<br />

dell’Alhambra, emanato il 31 marzo del<br />

1492 dal re Ferdinando II d’Aragona<br />

e dalla regina Isabella di Castiglia.<br />

Questo decreto ordinava l’espulsione<br />

da Spagna e Portogallo degli ebrei<br />

che non si fossero convertiti alla<br />

religione cattolica. Di fatto, il decreto<br />

fu accompagnato dai primi statuti di<br />

limpieza de sangre (purezza di sangue),<br />

cioè atti di ordine privato attraverso i<br />

quali varie istituzioni come università,<br />

uffici pubblici, ordini professionali<br />

e religiosi, verificavano l’assenza di<br />

antenati ebrei nelle famiglie di chi<br />

volesse accedere alle istituzioni stesse.<br />

Si instaurava così uno ius sanguinis in<br />

base al quale il motivo discriminatorio<br />

non era più soltanto la religione, ma<br />

anche la razza.<br />

Proprio attorno al costrutto sociologico<br />

chiamato razza, gli europei occidentali<br />

organizzarono la società e il potere<br />

anche oltre oceano. Legittimarono in<br />

modo ufficiale pratiche di sfruttamento<br />

di intere popolazioni di altri Paesi,<br />

da utilizzare poi nelle opere di<br />

colonizzazione del Nuovo Mondo. È, per<br />

esempio, il caso del principe Enrico del<br />

Portogallo che iniziò a commerciare<br />

schiavi africani già a metà del ‘400.<br />

SCIENZIATI<br />

E RAZZISMO<br />

Sant e Williams sottolineano che,<br />

usando la loro autorità di intellettuali<br />

e scienziati, molti bianchi dell’Europa<br />

occidentale hanno creato e perpetuato<br />

l’idea che esistessero differenze<br />

biologiche e gerarchiche tra le razze e<br />

che la razza bianca dovesse regnare<br />

su tutte le altre, come descrive anche<br />

Ibram X. Kendi nel suo “Stamped<br />

from the beginning: the definitive<br />

history of racist ideas in America”. «Su<br />

questa base, i non bianchi sono stati<br />

emarginati e il loro accesso al potere<br />

e alle risorse finanziarie, politiche<br />

ed economiche è stato limitato –<br />

sostengono Sant e Williams. – Inoltre, la<br />

perniciosa convinzione che esista una<br />

base genetica della razza ha contribuito<br />

a mantenere i principi di inferiorità<br />

razziale».<br />

Questa situazione ha coinvolto anche<br />

le comunità e le organizzazioni<br />

scientifiche: nonostante “l’innata<br />

diversità all’interno della tossicologia”<br />

(definita dalla Società di tossicologia<br />

come “lo studio degli effetti avversi di<br />

agenti chimici, fisici o biologici sugli<br />

organismi viventi e sull’ecosistema,<br />

compresa la prevenzione e il<br />

miglioramento di tali effetti”) permane<br />

una disuguaglianza razziale, etnica<br />

e di genere nella partecipazione e<br />

nella leadership nel corso della storia<br />

della SOT (Society, of toxicology,<br />

un’organizzazione con più di 8.000<br />

membri provenienti da oltre 70 Paesi).<br />

La Società, però, ha ora attuato al<br />

proprio interno diverse iniziative in<br />

materia di diversità, equità e inclusione.<br />

Una delle prime è stata l’attuazione<br />

nel 1989 del Minority program (ora<br />

Undergraduate diversity program)<br />

che si prefiggeva di incoraggiare gli<br />

studenti universitari con un background<br />

all’epoca ancora sottorappresentato<br />

nelle STEM a intraprendere una carriera<br />

in tossicologia. Nel 1991, la SOT è<br />

diventata la prima società professionale<br />

a ricevere fondi del National institutes<br />

of health per un programma di questo<br />

tipo.<br />

Per contribuire ad affrontare la<br />

mancanza di diversità di genere<br />

all’interno della SOT, nel 2001 è stato<br />

inoltre formato il Women in toxicology<br />

special interest group, il primo gruppo<br />

dedicato specificamente alla creazione<br />

di una comunità basata sull’identità.<br />

Per conto della SOT, anche il Committee<br />

on diversity initiatives ha svolto un<br />

ruolo importante per sensibilizzare<br />

l’opinione pubblica e partecipare<br />

alla discussione e alla promozione<br />

dei principi di diversity&inclusion.<br />

«Sebbene fino a poco tempo fa sia<br />

stato fornito un sostegno minore per<br />

promuovere la diversità, l’equità e<br />

l’inclusione nei nostri attuali membri e<br />

nelle nostre operazioni – dichiarano le<br />

autrici dell’editoriale – recentemente il<br />

Committee ha sostenuto e partecipato<br />

a diverse conferenze specificamente<br />

incentrate sulla diversità e l’inclusione<br />

nelle STEM». Queste iniziative hanno<br />

contribuito ad aumentare la visibilità<br />

del campo della tossicologia presso<br />

gli studenti non laureati provenienti da<br />

ambienti diversi.<br />

71


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Via Vincenzo Monti 173<br />

20099 Sesto San Giovanni (MI)<br />

ITALY<br />

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Pharma&LifeSciences<br />

Legal view<br />

Spunti<br />

compliance<br />

in MDR e IVDR<br />

Avv. Josephine Romano, Avv. Paola Gribaldo<br />

e Avv. Marianna Regillo – Deloitte Legal<br />

Il 13 settembre <strong>2022</strong><br />

sono stati pubblicati<br />

in Gazzetta Ufficiale<br />

i decreti legislativi<br />

per l’adeguamento<br />

del quadro normativo<br />

nazionale ai<br />

Regolamenti europei<br />

UE 2017/745 (MDR) e<br />

2017/746 (IVDR): D.Lgs.<br />

137/<strong>2022</strong> sui dispositivi<br />

medici e il D.Lgs.<br />

138/<strong>2022</strong> sui dispositivi<br />

medico-diagnostici in<br />

vitro.<br />

Principali novità<br />

La normativa (tra il resto) si pone<br />

l’obiettivo di rafforzare le regole<br />

sull’immissione dei dispositivi<br />

sul mercato e quelle relative alla<br />

sorveglianza post-vendita; di definire<br />

le responsabilità dei fabbricanti<br />

nell’ambito del monitoraggio della<br />

qualità, delle prestazioni e della<br />

sicurezza dei dispositivi immessi sul<br />

mercato; di migliorare la tracciabilità<br />

dei dispositivi medici attraverso<br />

l’attribuzione di un numero di<br />

identificazione univoco (Unique<br />

device identifier — UDI), al fine di<br />

gestire efficacemente eventuali<br />

problemi di sicurezza e di creare<br />

una banca dati centrale (EUDAMED)<br />

per fornire ai pazienti, agli operatori<br />

sanitari e al pubblico informazioni<br />

complete sui prodotti disponibili<br />

nell’Unione Europea.<br />

Profili di compliance<br />

Degna di nota è l’introduzione<br />

della figura del PRRN (Persona<br />

responsabile del rispetto della<br />

normativa), cui sono stati assegnati<br />

specifici compiti di controllo interno<br />

circa il rispetto della normativa da<br />

parte degli operatori di settore, con<br />

l’obbligo di segnalare agli stessi<br />

eventuali non conformità. Tale novità<br />

renderà pertanto necessario – dal<br />

punto di vista della compliance<br />

aziendale – lo svolgimento di<br />

un’approfondita ricognizione<br />

aziendale interna sotto un duplice<br />

profilo: (i) profilo organizzativo, volta<br />

all’individuazione della funzione<br />

aziendale idonea a ricoprire tale<br />

ruolo e verifica del possesso delle<br />

competenze richieste dalla normativa<br />

e (ii) profilo procedurale, volta<br />

all’adozione di specifiche procedure<br />

operative interne affinché ciascun<br />

operatore sia in grado di dimostrarsi<br />

compliant rispetto alle nuove<br />

disposizioni.<br />

In particolare, con riferimento al<br />

PRRN, occorrerà effettuare uno<br />

specifico assessment al fine di:<br />

• verificare che il sistema di deleghe<br />

e procure aziendali sia conforme<br />

rispetto alla nomina del medesimo;<br />

• valutare i profili strettamente<br />

giuslavoristici del contratto di<br />

lavoro con la figura individuata<br />

(qualora interna alla società);<br />

• predisporre una procedura<br />

interna volta a definire ruoli,<br />

compiti, ambiti di competenza<br />

e responsabilità, soprattutto<br />

nell’ipotesi in cui vi siano<br />

più persone congiuntamente<br />

responsabili del rispetto della<br />

normativa.<br />

74


makinglife | novembre <strong>2022</strong><br />

Inoltre, le novità introdotte<br />

rappresentano per ciascun operatore<br />

di settore l’occasione per verificare<br />

il livello di compliance in relazione<br />

all’effettiva attuazione del Modello di<br />

organizzazione, gestione e controllo<br />

ai sensi del D.Lgs. 231/2001<br />

(Modello 231) e per valutare le<br />

eventuali azioni correttive da porre<br />

in essere. A tal proposito, potrebbe<br />

rendersi opportuna un’analisi in<br />

ordine all’adeguatezza del Modello<br />

231 avente a oggetto (a titolo<br />

esemplificativo e non esaustivo):<br />

• la verifica in ordine alla<br />

potenziale applicabilità agli<br />

operatori di settore di talune<br />

delle fattispecie di reato inserite<br />

nel Catalogo 231 (quali, ad<br />

esempio, alcune fattispecie in<br />

materia di industria e commercio<br />

e il reato di frode nelle pubbliche<br />

forniture ex art. 356 c.p. nel caso<br />

in cui i dispositivi medici ovvero i<br />

dispositivi medico-diagnostici in<br />

vitro vengano forniti nell’ambito<br />

di una gara d’appalto), con<br />

conseguente aggiornamento<br />

della mappatura delle attività<br />

rischio-reati 231;<br />

• l’aggiornamento della Parte<br />

Generale e della Parte Speciale<br />

alla luce dell’introduzione della<br />

figura del PRRN all’interno<br />

dell’organizzazione aziendale;<br />

• la revisione della Parte Speciale,<br />

mediante la previsione di<br />

specifici presidi ovvero il<br />

rafforzamento di quelli esistenti<br />

per quanto attiene, ad esempio,<br />

alla gestione dei rapporti con gli<br />

organismi notificati, alla verifica<br />

della documentazione tecnica e<br />

della dichiarazione di conformità<br />

UE prima dell’immissione in<br />

commercio, al riconfezionamento<br />

e rietichettatura etc.<br />

Nel caso in cui la società non si<br />

fosse ancora adeguata ai dettami<br />

di cui al D.Lgs. 231/2001, oltre alla<br />

ricognizione aziendale interna sopra<br />

illustrata, sarà opportuno valutare<br />

l’opportunità di dotarsi di un Modello<br />

231 ex novo.<br />

Le sanzioni<br />

Con i decreti legislativi viene<br />

definito in maniera estremamente<br />

puntuale il regime sanzionatorio<br />

applicabile in caso di eventuali<br />

violazioni delle condotte previste<br />

dai regolamenti. Tra gli operatori<br />

economici maggiormente esposti<br />

dal punto di vista sanzionatorio vi<br />

sono i fabbricanti, il mandatario,<br />

l’importatore, il distributore<br />

e lo sponsor. Tra le sanzioni<br />

previste spiccano certamente<br />

quelle applicabili nei confronti<br />

del Responsabile del rispetto<br />

della normativa (PRRN), figura<br />

introdotta dall’art. 15 MDR e IVDR,<br />

da nominarsi a cura dei fabbricanti e<br />

dai mandatari e a cui sono assegnati<br />

specifici obblighi di vigilanza e<br />

controllo interno del rispetto della<br />

normativa da parte degli stessi, con<br />

l’obbligo di segnalare eventuali non<br />

conformità.<br />

In particolare, è prevista<br />

l’applicazione di sanzioni specifiche<br />

per il PRRN qualora non si assicuri<br />

che:<br />

• la conformità dei dispositivi<br />

sia adeguatamente controllata<br />

conformemente al sistema di<br />

gestione della qualità in base<br />

al quale i dispositivi vengono<br />

fabbricati prima del rilascio di un<br />

dispositivo;<br />

• la documentazione tecnica e la<br />

dichiarazione di conformità UE<br />

siano redatte e aggiornate;<br />

• siano soddisfatti gli obblighi<br />

di sorveglianza postcommercializzazione<br />

previsti dai<br />

rispettivi Regolamenti;<br />

• siano soddisfatti gli obblighi di<br />

segnalazione di incidenti gravi e<br />

azioni correttive di sicurezza;<br />

• nel caso di dispositivi destinati<br />

agli studi delle prestazioni<br />

da utilizzare nell’ambito di<br />

studi interventistici relativi<br />

alle prestazioni cliniche o ad<br />

altri studi delle prestazioni<br />

che comportino rischi per i<br />

soggetti degli studi, sia rilasciata<br />

la dichiarazione richiesta<br />

dall’allegato XIV del IVDR;<br />

• nel caso di dispositivi oggetto<br />

di indagine, sia rilasciata<br />

la dichiarazione richiesta<br />

dall’allegato XV del MDR.<br />

In conclusione, con la pubblicazione<br />

dei Decreti Legislativi 137 e<br />

138 del 5 agosto <strong>2022</strong> – e in<br />

attesa dei successivi decreti che<br />

il Ministero della Salute dovrà<br />

emanare per disciplinare criteri<br />

e procedure in specifici ambiti<br />

– gli operatori economici sono<br />

chiamati ad affrontare nuove<br />

sfide, con conseguente necessità<br />

di definizione di nuovi ruoli,<br />

compiti e responsabilità, nonché<br />

previsione e gestione di ulteriori<br />

obblighi di approfondimento<br />

della documentazione tecnica e<br />

introduzione di un sistema più<br />

rigoroso di valutazione clinica e di<br />

sorveglianza post-vendita.<br />

75


YEARS<br />

Novinox è un’azienda specializzata<br />

nella progettazione, costruzione ed installazione<br />

di apparecchiature per l’industria farmaceutica,<br />

chimica, cosmetica ed alimentare.<br />

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L’esperienza, l’afdabilità e la qualità<br />

sono le caratteristiche che rendono<br />

Novinox un leader nel settore.<br />

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makinglife | novembre <strong>2022</strong> | numero sei<br />

PRODUCTION<br />

Pharma Telling & Industry<br />

77


per<br />

AL VIA LE CANDIDATURE PER IL PREMIO “GRAZIELLA<br />

MOLINARI AWARD” DI ISPE ITALIA A SUPPORTO<br />

DELLE DONNE NEL SETTORE LIFE SCIENCE<br />

78<br />

L’eccellenza c’è, e va premiata.<br />

Anche quest’anno verrà organizzato<br />

da Women In Pharma il consueto<br />

premio annuale di ISPE Italia per<br />

le donne del settore farmaceutico.<br />

Un’iniziativa importante che nasce<br />

per celebrare impegno, costanza,<br />

professionalità e competenza delle<br />

donne che lavorano in questo<br />

settore. Qualità che hanno di fatto<br />

accompagnato e contraddistinto<br />

l’operato di Graziella Molinari, già<br />

vicepresidente di ISPE Italia e socio<br />

attivo da molti anni, da cui prende<br />

nome il riconoscimento stesso.<br />

L’Award si inserisce nel contesto<br />

delle attività della affiliata italiana<br />

delle Women In Pharma (WIP), che<br />

ogni anno viene assegnato a una<br />

donna che si è distinta per:<br />

• progetti innovativi per<br />

migliorare efficienza, qualità,<br />

“smart” compliance<br />

• progetti di sostenibilità<br />

• promozione e riconoscibilità<br />

all’estero della competenza<br />

italiana<br />

• iniziative speciali per attività di<br />

condivisione della conoscenza<br />

nello spirito fondante di ISPE<br />

• soluzioni innovative che hanno<br />

permesso la continuità di<br />

progetti e attività nel momento<br />

critico della pandemia per<br />

Covid-19<br />

• progetto nel settore digital<br />

transformation in ambito<br />

produttivo o di data analytics<br />

(Pharma 4.0)<br />

• progetto nell’area nuove<br />

modalità terapeutiche<br />

COME<br />

PARTECIPARE<br />

Entro il 30 novembre <strong>2022</strong>, le<br />

candidate dovranno inviare<br />

all’indirizzo di casella di posta<br />

womeninpharma@ispeitaly.com un<br />

file word di una pagina contenente<br />

le seguenti informazioni:<br />

• breve introduzione della<br />

candidata e motivazione per cui<br />

partecipa all’Award<br />

• ambito - tra quelli sopraelencati<br />

- in cui il progetto si è distinto<br />

ai fini del riconoscimento<br />

dell’Award<br />

• breve descrizione del progetto<br />

(che dovrà essere di carattere<br />

industriale)<br />

• ruolo della candidata nel<br />

progetto<br />

I NUMERI DEL<br />

SETTORE PHARMA<br />

Nitida è la fotografia di un settore<br />

sano e in costante crescita come<br />

quello del farmaceutico. Stiamo


makinglife | novembre <strong>2022</strong><br />

parlando di un aumento delle<br />

vendite stimato oltre il 4,6% che<br />

porterà al raggiungimento di<br />

1,5 trilioni di dollari di fatturato<br />

globale. E anche in Italia il settore<br />

pharma si conferma un traino per<br />

l’economia nazionale.<br />

L’Istat, infatti, segnala nei primi<br />

quattro mesi del <strong>2022</strong> un +8%<br />

della produzione correlato a un<br />

incremento del 32% dell’export.<br />

Per quanto riguarda invece la<br />

diversità di genere, nelle aziende<br />

farmaceutiche il 43% dei ruoli<br />

manageriali è assegnato a donne<br />

a fronte del 25% dell’intero<br />

comparto industriale. Incremento<br />

delle vendite e forte presenza<br />

femminile a prima apparenza<br />

sembrano dati non correlati tra<br />

loro. Tuttavia, se letti sotto la<br />

lente dell’ultimo report svolto<br />

da McKenzey in materia, non<br />

sembrano troppo distanti, anzi.<br />

Infatti, si rileva che le aziende<br />

nel primo quartile di diversità di<br />

genere nei team esecutivi hanno<br />

il 25% di probabilità in più di<br />

registrare una redditività superiore<br />

alla media rispetto alle aziende di<br />

pari livello nel quarto quartile.<br />

Lo stesso report segnala come<br />

un maggiore livello di diversità<br />

in azienda sia proporzionale alla<br />

probabilità di sovraperformance.<br />

«Nel settore pharma le quote rosa<br />

sono rappresentate meglio che in<br />

altri settori. Qualità, laboratorio,<br />

regolatorio, spesso in queste aree<br />

le percentuali di donne, anche in<br />

ruoli di leadership, sono elevate.<br />

Tuttavia se ci si sposta in aree<br />

STEM sicuramente i numeri tornano<br />

a essere quelli degli altri settori<br />

industriali» racconta Micaela Prati,<br />

vincitrice del Premio Graziella<br />

Molinari dell’edizione WIP Award<br />

2021, grazie al suo progetto di<br />

inserimento di #smart tags in un<br />

sito produttivo al fine di migliorarne<br />

non solo l’efficienza, ma anche la<br />

qualità e compliance in ottica 4.0.<br />

«Il premio Graziella Molinari,<br />

almeno per quanto mi riguarda,<br />

premia l’area più tecnica del<br />

settore farmaceutico, ossia l’area di<br />

ingegneria e digitalizzazione.<br />

Mi ha fatto piacere che fosse<br />

premiata non solo l’idea innovativa,<br />

ma anche la realizzazione tecnica.<br />

Nel mio caso l’uso delle smart tag<br />

era un bell’esempio di realizzazione<br />

tecnologicamente complessa e,<br />

al contempo, davvero innovativa<br />

poiché mai realizzata prima.<br />

Spero che si continui a incentivare<br />

l’intraprendenza e il coraggio<br />

femminile nelle aree STEM e non<br />

solo nei settori tradizionali. Il<br />

comparto, nelle aree tecniche, ha<br />

bisogno di beneficiare di tutta la<br />

creatività femminile che troppo<br />

spesso rimane inespressa».<br />

Il premio Graziella Molinari oltre<br />

a riconoscere e premiare la<br />

competenza e la creatività nelle<br />

aree tecniche delle donne vuole<br />

anche premiare l’eccellenza<br />

italiana femminile all’estero come<br />

nel caso della seconda vincitrice<br />

del Premio Graziella Molinari<br />

2021, Chiara Negrini, che racconta<br />

come ricevere il WIP Award<br />

Graziella Molinari sia stata una<br />

grande soddisfazione non solo<br />

per il riconoscimento personale e<br />

aziendale, ma anche per l’orgoglio<br />

nazionale. «Come italiana, – dice<br />

la Negrini – essere premiata per<br />

i risultati ottenuti su un progetto<br />

svoltosi nel cuore della Germania,<br />

non è che un monito per ricordarci<br />

che oltre alla “dolce vita”, la<br />

nostra Italia ha molto, molto altro<br />

di cui andare fiera».<br />

L’award verrà consegnato, come<br />

vuole la tradizione, durante<br />

l’annuale Xmas Night di ISPE<br />

Italia, che quest’anno si celebrerà<br />

a Milano il 14 dicembre e vedrà<br />

anche la presenza di importanti<br />

relator dell’industria life science,<br />

oltre che i membri del nuovo<br />

comitato in carica.<br />

79


per<br />

STERILIZZAZIONE E PHARMA<br />

Gammatom è una PMI italiana ma di approccio europeo che compete con le<br />

multinazionali di tutto il mondo nel settore dei servizi di irraggiamento con raggi<br />

gamma destinati a scopi scientifici e industriali<br />

Se è vero che la sterilità per alcuni<br />

prodotti è un requisito imprescindibile<br />

per la tutela della salute del paziente<br />

finale, è altrettanto vero che la<br />

Pharmacopeia, così come le linee<br />

guida tracciate dall’EMA in proposito<br />

al come ottenerla nella produzione di<br />

un medicinale, sono piuttosto chiare e<br />

lasciano poco spazio a interpretazioni.<br />

In quest’ottica l’assenza di microorganismi<br />

su un prodotto non può<br />

essere semplicemente ottenuta da un<br />

test, una verifica a posteriori, ma deve<br />

essere il risultato di un processo sicuro,<br />

validato e ripetibile, ma soprattutto<br />

deve essere possibilmente il frutto di un<br />

processo di sterilizzazione terminale.<br />

In questo contesto la sterilizzazione con<br />

radiazioni ionizzanti è una delle possibili<br />

vie e nella flow chart dell’EMA è anche<br />

una delle prime opzioni da considerare.<br />

In genere, chi l’approccia per la prima<br />

volta è sorpreso dalla facilità, dal basso<br />

costo e soprattutto dalla sicurezza o<br />

garanzia del risultato date da questo<br />

processo. Una volta superato lo scoglio<br />

iniziale della verifica dell’applicabilità<br />

delle radiazioni a una determinata<br />

molecola – cosa non scontata per la<br />

natura stessa della molecola e del<br />

processo di cessione energetica che<br />

possono portare alla generazione<br />

di prodotti di degradazione ma che<br />

non si deve intendere come ostacolo<br />

definitivo – o che siano semplicemente<br />

la diffidenza o la non conoscenza della<br />

tecnologia e delle sue applicazioni,<br />

diventa in realtà abbastanza facile da<br />

qualificare, rapido da portare a termine<br />

e assai facile, questa volta, continuare a<br />

mantenerne la validità nel tempo. Se a<br />

questo aggiungiamo la sua economicità<br />

paragonata alle varie che stanno sotto<br />

alla voce “costi di produzione” di un<br />

API o di un finito rispetto al vantaggio<br />

dato dalla garanzia di sterilità che può<br />

fornire al prodotto, risulterebbe essere<br />

sempre una soluzione apparentemente<br />

facile e a portata di mano. Non è forse<br />

così? Forse no, cioè, non sempre.<br />

Vuoi perché non è sempre scontato<br />

che il processo sia applicabile,<br />

come già detto, vuoi perché non<br />

tutti gli sterilizzatori “worldwide”<br />

sono qualificati per il mondo farma,<br />

interessati a lavorare con il mondo<br />

farma e soprattutto in grado di gestire<br />

le particolarità, le sfumature e le<br />

personalizzazioni che la sterilizzazione<br />

con radiazioni necessita se applicata a<br />

80


makinglife | novembre <strong>2022</strong><br />

un prodotto molto sensibile, al mondo<br />

farma appunto. Ma qualcuno esiste,<br />

alcune aziende di questo campo per<br />

fortuna ci pensano, forse per avere<br />

meno concorrenza, forse per etica e<br />

per servire un mercato che in genere,<br />

alla massa critica degli “irradiation<br />

service providers” non interessa perché<br />

difficile, esigente e sicuramente più<br />

lento a produrre risultati.<br />

Gammatom, l’azienda comasca<br />

specializzata in servizi di irraggiamento<br />

con raggi gamma destinati a scopi<br />

scientifici ma anche industriali, cresce<br />

strategicamente nel mercato nazionale<br />

ma anche in quelli internazionali, le<br />

sue performances sono dovute alle<br />

tecnologie d’avanguardia, innovazione<br />

continua, qualità certificata, impegno<br />

sociale, rispetto per l’ambiente,<br />

tangibile motivazione e capacità di<br />

management. Gammatom è italiana<br />

ma per valori e convinzione europea,<br />

opera con spirito inclusivo; il suo<br />

successo è, infatti, anche dovuto<br />

alle collaborazioni in corso con<br />

Università italiane e Consorzi di studio<br />

e adattamento. Un brand identity<br />

definito e chiaro evidenzia i valori che<br />

sospingono il successo dell’azienda:<br />

l’importante valorizzazione delle<br />

risorse umane, in prevalenza giovani<br />

motivati, il confronto costante con i<br />

riferimenti di mercato e l’innovazione<br />

tecnologica, un basso turnover, ma<br />

anche l’attribuzione di un’importanza<br />

strategica a comunicazione e<br />

pubbliche relazioni. Il punto forte di<br />

Gammatom è stato concentrare i<br />

suoi studi sulla personalizzazione del<br />

servizio creandone un efficace valore<br />

aggiunto industriale. Infatti, grazie alla<br />

capacità di applicare la tecnologia<br />

della sterilizzazione su strati molto<br />

sottili di materiale, giunge a ridurre i<br />

sovradosaggi, con la conseguenza di<br />

contenere alterazioni chimico fisiche dei<br />

prodotti stessi. Questa specificità negli<br />

ultimi anni ha attratto clienti di settori<br />

industriali trasversali con lo specifico<br />

interesse di perfezionare le proprietà<br />

di sterilizzazione dei propri prodotti.<br />

Produttori di dispositivi medici, materie<br />

prime, eccipienti e prodotti finiti<br />

del farmaceutico, veterinario e del<br />

cosmetico, materiali di laboratorio e<br />

confezionamento raggruppano i settori<br />

che più richiedono i servizi Gammatom.<br />

L’irraggiamento, per esempio,<br />

permette di sterilizzare al meglio<br />

dispositivi medici, ma anche cosmetici<br />

e gran parte di quei prodotti con cui<br />

giornalmente entriamo molte volte<br />

in contatto. L’azienda ha conquistato<br />

il gradimento nel mercato anche per<br />

altri valori non secondari nell’esercizio<br />

della sua funzione. Piace perché,<br />

pur essendo una PMI, è un’azienda<br />

integrata nel territorio ove opera<br />

avvertendo il dovere e l’importanza<br />

di esserci, creando occupazione e<br />

facendo parlare di sé e del territorio<br />

in modo costruttivo. Attenta alla<br />

questione solidale, pensiamo al<br />

periodo pandemico in corso: durante<br />

la prima fase di lockdown, la scarsità di<br />

reperimento delle mascherine la portò<br />

a sterilizzare quelle usate al fine di poter<br />

essere riutilizzate dai servizi sanitari e di<br />

protezione civile, rendendosi così utile<br />

alla collettività.<br />

“Perché eccellenza?”<br />

Gammatom è un’eccellenza per molti<br />

motivi. È una PMI privata italiana che ha<br />

un solo competitor nazionale. Il settore,<br />

considerata la sua particolarità, conta<br />

all’incirca 300 aziende in tutto il mondo.<br />

I concorrenti sono nella stragrande<br />

maggioranza multinazionali ed esser<br />

riusciti a conquistare una buona<br />

quota di mercato è orgoglio italiano.<br />

L’azienda da anni fornisce in tutto il<br />

mondo importanti gruppi industriali<br />

e multinazionali, farmaceutiche e<br />

legate al mondo della cosmesi. Unici<br />

e indipendenti, perché è una delle<br />

poche società al mondo a operare in<br />

maniera indipendente manutenzione,<br />

implementazione, modifica e gestione<br />

degli impianti. Gammatom ha inoltre<br />

un vantaggio dimensionale. Infatti,<br />

non essendo troppo grande o piccola,<br />

garantisce a parte del Team il tempo<br />

d’impiego necessario per dedicarsi<br />

alla ricerca delle soluzioni più idonee<br />

richieste dal cliente, lasciando quindi<br />

che sia il fornitore a conformarsi alle<br />

specifiche esigenze cliente e non<br />

viceversa. L’azienda affronta con<br />

serenità il futuro prossimo, connessa<br />

ai mercati valuta con attenzione le<br />

complessità economiche in atto e<br />

l’evoluzione della globalizzazione<br />

investendo in ricerca, formazione<br />

e diversificazione dei mercati di<br />

riferimento. Un’eccellenza italiana a cui<br />

vale la pena affidarsi.<br />

Gammatom srl<br />

Via XXIV Maggio, 14<br />

22070 Guanzate CO<br />

info@gammatom.it<br />

www.gammatom.it<br />

81


NUMERO 6 - NOVEMBRE <strong>2022</strong><br />

Casa editrice<br />

MakingLife Srl<br />

Piazza della Repubblica, 10<br />

20121 Milano MI<br />

Tel. 02 36525293<br />

Con il patrocinio di:<br />

Registrazione n.168 del 30/11/2020 presso il Tribunale di Milano<br />

Direttore responsabile Cristiana Bernini<br />

Coordinamento redazionale Simone Montonati | simone.montonati@makinglife.it<br />

Comitato scientifico<br />

Maurizio Battistini<br />

Valeria Brambilla<br />

Giacomo Matteo Bruno<br />

Carla Caramella<br />

Hellas Cena<br />

Bice Conti<br />

Gabriele Costantino<br />

Stefano Govoni<br />

Piero Iamartino<br />

Teresa Minero<br />

Maria Luisa Nolli<br />

Giuseppe Recchia<br />

Art Director Simone Abbatini<br />

Illustrazioni di Mario Addis<br />

Hanno collaborato<br />

Maura Bernini<br />

Alberto Bobadilla<br />

Thomas Carganico<br />

Gabriele Costantino<br />

Giulio Divo<br />

Debora Ghietti<br />

Paola Gribaldo<br />

Valentina Guidi<br />

Caterina Lucchini<br />

Antonio Maturo<br />

Laura Patrucco<br />

Marianna Regillo<br />

Josephine Romano<br />

Monica Torriani<br />

Le aziende che ci sostengono<br />

Aluberg SpA, MC<br />

Bruno Wolhfarth Srl, MC<br />

Clariscience Srl, pag.43<br />

Co.Ra.Srl, MC<br />

Defil Srl, p.73, MC<br />

De Lama SpA, MC<br />

DOC Srl, pag.69<br />

Dos&donts Srl, pag.37, MC<br />

Dott. Bonapace & C. Srl, MC<br />

Dryce Srl, MC<br />

Elis Italia Spa, MC<br />

Ellab A/S, p.55, MC<br />

Gammatom Srl, MC<br />

Giusto Faravelli SpA, p.38, MC<br />

IMA SpA, pag.47<br />

Indena SpA, Pag.2<br />

Inge SpA, pag.84, MC<br />

Kappa Ingredients GmbH, MC<br />

LifeBee Srl, pag.20, MC<br />

Lipoid Gmbh, MC<br />

m-Squared Consulting Srl,MC<br />

Marchesini, MC<br />

Novinox Srl, p.76, MC<br />

Omag Srl, MC<br />

Olon SpA, MC<br />

Pilot Italia SpA, pag.25, MC<br />

Pharma Quality Europe Srl, MC<br />

Pipeline Srl, p.63, MC<br />

PVS Srl, p.21, MC<br />

SEA Vision Srl, MC<br />

MC<br />

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Responsabile commerciale<br />

Matelda Rucci | matelda.rucci@makinglife,it<br />

Stampa Starprint Srl - via A. Ponchielli 51 - 24125 Bergamo<br />

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Per informazioni abbonamenti@makinglife.it<br />

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autorizzazione della Casa Editrice. I manoscritti e le illustrazioni inviati alla redazione non saranno restituiti, anche se non pubblicati e la Casa Editrice non<br />

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1947-<strong>2022</strong><br />

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