ML n6 2022 #3
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makinglife | novembre <strong>2022</strong> | numero sei<br />
DIVERSITY & INNOVATION<br />
PharmaFuture & Health
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nell’healthcare<br />
e ne governa il cambiamento
INDICE<br />
Pharma Novel<br />
Commenti<br />
01 02 03<br />
Management differente<br />
Singolarmente geniale<br />
10<br />
Diversità non è<br />
inclusione<br />
Il punteggio che<br />
predice lo stato di<br />
salute<br />
14<br />
16<br />
Diverso da chi?<br />
Strategie di inclusione<br />
nelle aziende Pharma<br />
Capire l’inclusione<br />
22<br />
26<br />
30<br />
I tempi della<br />
comunicazione<br />
18<br />
Multiculturalismo,<br />
e performance<br />
32<br />
Misurare D&I<br />
34<br />
4
makinglife | novembre <strong>2022</strong><br />
Scienza e genere<br />
Il valore del paziente<br />
Ricerca inclusiva<br />
Pharmatelling<br />
Origine ed evoluzione<br />
dei sessi<br />
Non è solo una<br />
questione di genere<br />
Dati sanitari per la<br />
medicina di genere<br />
40<br />
44<br />
48<br />
04 05 07<br />
Diversamente salute,<br />
advocacy di un riscatto<br />
Diversità al quadrato<br />
58<br />
60<br />
06<br />
Scienza e stereotipi<br />
La multiculturalità<br />
migliora la ricerca<br />
Diversity e tossicologia<br />
64<br />
66<br />
70<br />
Il premio “Graziella<br />
Molinari Award” per le<br />
donne nel Life science<br />
78<br />
Parità o potere<br />
rovesciato?<br />
50<br />
Non esistono razze,<br />
siamo composizioni<br />
52<br />
5
“<br />
Quotes<br />
& Data<br />
“<br />
COME È POSSIBILE MISURARE IL “RETURN ON<br />
INVESTEMENT” FORNITO DALLA DIVERSITÀ ALLA<br />
PRODUTTIVITÀ AZIENDALE?<br />
Gabriele Costantino<br />
a pag.14<br />
In un sondaggio effettuato ad aprile <strong>2022</strong>,<br />
l’82% del campione ha affermato di aver<br />
assistito a qualche forma di discriminazione<br />
nell’organizzazione in cui opera<br />
Nelle facoltà<br />
STEM si verificano<br />
disparità etniche<br />
non presenti in altri<br />
campi: la causa<br />
potrebbe risiedere in<br />
un comportamento<br />
non inclusivo da<br />
parte dei docenti<br />
Maura Bernini<br />
a pag.70<br />
Se sei milioni di decessi per Covid-19 non<br />
sono sufficienti per convincere un novax<br />
a cambiare idea, pensiamo davvero che<br />
spiegando il meccanismo d’azione del<br />
vaccino cambierà qualcosa?<br />
Monica Torriani<br />
a pag.20<br />
La diversità non<br />
dovrebbe essere vissuta<br />
come una parola alla<br />
moda: è un driver di<br />
prestazioni<br />
Caterina Lucchini<br />
a pag.20<br />
6
makinglife | novembre <strong>2022</strong><br />
Il sesso<br />
può essere<br />
inefficiente e<br />
costoso, ma<br />
comporta<br />
importanti<br />
vantaggi<br />
evolutivi<br />
Chiara Tonelli<br />
a pag.22<br />
Nelle aziende dove c’è una reale cultura di<br />
inclusione le persone sono maggiormente<br />
ingaggiate e produttive ma in Italia la<br />
discriminazione di genere e generazionale è<br />
ancora molto presente<br />
Debora Ghietti<br />
a pag.42<br />
Le aziende con maggiore diversità di<br />
genere nei team esecutivi hanno il 25%<br />
di probabilità in più di registrare una<br />
redditività superiore alla media<br />
Se non garantiamo<br />
a chi guarisce un<br />
ritorno alla vita<br />
normale, lavoro<br />
compreso, rischiamo<br />
Nel 2030 negli USA i due terzi della richiesta<br />
lavorativa sarà da parte di donne<br />
di generare pazienti di<br />
ritorno<br />
Laura Patrucco<br />
a pag.58<br />
Non possiamo esimerci dal riflettere<br />
sulla fine del maschio<br />
Carlo Alberto Redi<br />
a pag.58<br />
Attraverso la conoscenza delle altre culture e abbattendo<br />
i propri bias si possono trarre enormi benefici dal lavoro<br />
in team eterogenei<br />
Thomas Carganico<br />
a pag.33<br />
7
Quando la diversità<br />
fa la differenza<br />
14 ma conferenza mondiale di<br />
Fondazione Veronesi<br />
Paolo Pegoraro<br />
In questo numero di<br />
MakingLife PharmaFuture<br />
& Health affrontiamo il<br />
tema della diversità e lo<br />
facciamo a largo spettro,<br />
anche se il nostro focus è il<br />
pharma. Affrontiamo questo<br />
tema perché MakingLife<br />
appoggia, come media<br />
partner, Fondazione Veronesi<br />
nella sua 14 ma conferenza<br />
mondiale “Science for Peace<br />
and Health”, che quest’anno<br />
è dedicata alle prospettive<br />
della scienza su sesso,<br />
genere e diversità. E lo<br />
affrontiamo anche perché ci<br />
sembra davvero che si stia<br />
attraversando un momento<br />
storico critico: un momento<br />
in cui nel nostro Paese – al<br />
pari di quanto accade in<br />
Europa e nel mondo – ciò che<br />
è diverso è additato sempre<br />
più spesso come negativo e il<br />
termine “diverso” ha assunto<br />
ormai una connotazione<br />
quasi ostile. Proprio per<br />
questo è importante parlare<br />
e raccontare la diversità in<br />
termini di valore aggiunto. Di<br />
ricchezza, direi. E mi spiego.<br />
La diversità è una ricchezza<br />
perché ognuno di noi è<br />
unico: ma se io sono unico,<br />
questo significa che sono un<br />
qualcuno che altrove non c’è<br />
e quindi sono una ricchezza.<br />
Se parliamo d’industria,<br />
l’inclusione e la<br />
valorizzazione della diversità<br />
devono essere parte<br />
integrante della cultura<br />
aziendale. La diversità non<br />
è riferita solo al genere ma<br />
è un concetto che abbraccia<br />
tutte le caratteristiche, i<br />
talenti e le attitudini delle<br />
persone, come l’età, l’etnia,<br />
l’orientamento sessuale,<br />
le convinzioni politiche e<br />
religiose, l’educazione e i<br />
valori, le competenze e le<br />
esperienze. La diversità<br />
è fonte di vantaggio<br />
competitivo, perché in<br />
un’organizzazione aperta ed<br />
eterogenea – cioè inclusiva –<br />
la diversità non è un ostacolo<br />
o una complessità da gestire,<br />
bensì un fattore di successo.<br />
I benefici dell’inclusione sono<br />
enormi e sono rappresentati<br />
dall’avere sempre contributi<br />
diversi da persone diverse,<br />
che possono integrarsi tra<br />
loro e potenziarsi in maniera<br />
sinergica.<br />
Ci sono molti motivi per i<br />
quali un’azienda dovrebbe<br />
favorire la creazione di un<br />
ambiente inclusivo, del quale<br />
facciano parte e in cui creino<br />
valore persone di diversi<br />
generi, background, etnie,<br />
religioni e via discorrendo.<br />
Ci sono ovviamente motivi<br />
etici, sociologici e filosofici:<br />
ma anche, perché no, motivi<br />
di business. Quanto più<br />
un’azienda è diversificata,<br />
tanto maggiori saranno le<br />
possibilità di un successo<br />
duraturo.<br />
In effetti, un report di<br />
McKinsey molto noto<br />
(Diversity wins: how<br />
inclusion matters), che ha<br />
ormai parecchie edizioni,<br />
dimostra che le aziende<br />
con una maggiore diversità<br />
8
makinglife | novembre <strong>2022</strong><br />
di genere ed etnia nei ruoli<br />
dirigenziali sono quelle<br />
che riportano migliori<br />
performance finanziarie.<br />
Diversità, equità e inclusione<br />
contano nel bilancio<br />
aziendale in senso positivo<br />
e non è una faccenda di<br />
semplice intuizione – i<br />
“diversi” hanno imparato<br />
sulla loro pelle a essere<br />
necessariamente resilienti,<br />
duttili e creativi, tenaci e<br />
propositivi – ma lo dicono i<br />
numeri.<br />
Purtroppo, nonostante ogni<br />
buona pratica suggerisca<br />
la direzione da prendere,<br />
servirà forse un’altra<br />
generazione per vedere<br />
finalmente colmate le<br />
differenze di genere.<br />
È questa la conclusione a<br />
cui giunge il Global gender<br />
gap report 2021 del World<br />
economic forum, secondo cui<br />
a livello mondiale l’effettiva<br />
parità tra donne e uomini<br />
è stata raggiunta solo al<br />
68%. E nel pharma che cosa<br />
accade? Sembrerebbe che<br />
l’industria farmaceutica<br />
rappresenti un’isola felice.<br />
Secondo i dati rilasciati da<br />
Farmindustria lo scorso<br />
luglio, per esempio, dei<br />
65mila impiegati nel settore,<br />
il 42% è costituito da donne<br />
(contro il 29% dell’industria<br />
manufatturiera) e queste<br />
rappresenterebbero circa il<br />
40% dei dirigenti e quadri.<br />
Sempre nel nostro settore<br />
molte aziende dedicano<br />
sforzi e persone proprio al<br />
tema “diversity & inclusion”,<br />
prestando attenzione tanto<br />
alla disabilità quanto alle<br />
quote rosa e al discorso<br />
Lgbt. Giusto per non far<br />
nomi, per vari anni Pfizer<br />
è stata tra le aziende<br />
sostenitrici del Roma Pride<br />
e, a livello globale, il gruppo<br />
Open (Out Pfizer employee<br />
network), interamente<br />
dedicato all’inclusione della<br />
comunità Lgbt, è uno dei più<br />
attivi.<br />
Di questo e di molto altro<br />
discuteranno relatrici e<br />
relatori, di altissimo profilo<br />
nazionale e internazionale,<br />
nella conferenza mondiale<br />
Science for peace and health<br />
di Fondazione Veronesi, della<br />
quale – come dicevo sopra<br />
– siamo orgogliosi partner.<br />
Saranno approfondite<br />
le prospettive della<br />
scienza su sesso, genere<br />
e diversità. Organizzata<br />
in collaborazione con<br />
l’Università Bocconi, la<br />
conferenza desidera<br />
affrontare un tema delicato<br />
ed estremamente attuale: la<br />
valorizzazione della diversità<br />
e delle differenze sessuali<br />
e di genere. Il tema sarà<br />
esplorato e discusso con<br />
l’approccio multidisciplinare<br />
che è carattere distintivo di<br />
questo evento, prendendo in<br />
esame l’aspetto scientifico,<br />
sanitario, economico<br />
e sociale. Nell’ambito<br />
delle scienze della vita,<br />
in particolare, le nuove<br />
frontiere della medicina<br />
di genere e le esperienze<br />
sempre più diffuse di<br />
diversity management<br />
son lì a testimoniare<br />
importanti passi in avanti<br />
nella valorizzazione delle<br />
differenze. Nella direzione di<br />
una sanità che curi ciascun<br />
individuo per come è fatto,<br />
senza discriminazioni di<br />
nessun tipo.<br />
9
PHARMA<br />
NOVEL<br />
Mario Addis
makinglife | novembre <strong>2022</strong><br />
11
12
makinglife | novembre <strong>2022</strong><br />
13
DIVERSITÀ È ESSERE<br />
INVITATI ALLA FESTA,<br />
INCLUSIONE È QUANDO<br />
SI È INVITATI A BALLARE<br />
Gabriele Costantino<br />
Dipartimento di Scienze degli Alimenti e del Farmaco<br />
Università di Parma<br />
gabriele.costantino@unipr.it<br />
Il tema dell’inclusione delle diversità<br />
(diversity and inclusion – D&I) è<br />
largamente dibattuto e significativamente<br />
implementato nelle realtà industriali<br />
statunitensi. Gli Stati Uniti d’America<br />
nascono da colonie, hanno trovato<br />
nell’immigrazione una delle colonne<br />
portanti del loro sviluppo e dell’esportazione<br />
del loro modello culturale, hanno partecipato<br />
attivamente all’importazione violenta<br />
e forzata di manodopera da un altro<br />
continente.<br />
Non è sorprendente quindi che il<br />
tema dell’inclusione – che da un<br />
punto di vista etico vuol anche dire<br />
preservazione, nel cosiddetto meltingpot<br />
– delle diversità sia ampiamente<br />
sentito in quella parte del mondo<br />
occidentale. Un po’ meno ovvia è<br />
la spinta all’implementazione di<br />
pratiche di diversity and inclusion in<br />
Paesi molto più omogenei a livello di<br />
popolazione, quali alcuni stati europei<br />
– inclusa l’Italia – o, forse ancor di più il<br />
Giappone. E tuttavia ci sono pochi dubbi<br />
che una corretta implementazione delle<br />
D&I practices sia sempre più percepito<br />
dal management come elemento<br />
non surrogabile di innovazione<br />
e di competitività. In aziende<br />
intrinsecamente innovative, come<br />
lo sono le industrie farmaceutiche,<br />
l’inclusione delle diversità assolve<br />
fondamentalmente a due scopi che<br />
ricapitolano la missione aziendale.<br />
Il primo riguarda la “retention” dei<br />
talenti e la valorizzazione del capitale<br />
umano. Il secondo è l’ampliamento del<br />
mercato e la capacità di risposte rapide<br />
a bisogni continuamente diversi.<br />
Vediamo un po’ in dettaglio alcuni<br />
aspetti, con la speranza di fornire<br />
spunti di riflessione che troveranno<br />
ampia possibilità di approfondimento<br />
negli articoli di questo numero della<br />
rivista. La retention dei talenti è<br />
evidentemente legata al processo<br />
– apparentemente irreversibile –<br />
della globalizzazione e del cambio<br />
di struttura demografica del capitale<br />
umano. Nelle aziende, così come<br />
nelle istituzioni pubbliche, è in uscita<br />
professionale l’ultima generazione<br />
di coloro che hanno goduto (o subito)<br />
una organizzazione del lavoro, della<br />
struttura salariale, dell’accesso alla<br />
previdenza, non più riproducibile.<br />
A questa generazione si sta<br />
14
makinglife | novembre <strong>2022</strong><br />
sostituendo una forza lavoro di elevata<br />
qualificazione generalmente esposta<br />
alla mobilità, proveniente da ambiti<br />
culturali diversi che identificano nel<br />
mercato globale le migliori occasioni di<br />
crescita professionale e soddisfazione<br />
personale. Per motivi che non possono<br />
essere approfonditi in questa sede,<br />
un numero di persone solo 30 anni fa<br />
inimmaginabile è diagnosticata con una<br />
qualche forma di disabilità. Chi, come<br />
chi scrive, proviene dall’Università e<br />
come meglio ancora sanno i docenti di<br />
scuola superiore, i disturbi specifici di<br />
apprendimento hanno una prevalenza<br />
enorme. E come ben sa chi si occupa di<br />
formazione, questi tipi di diversità non<br />
sono ostacolo a una piena integrazione<br />
nel lavoro di team e non impediscono<br />
una proficua carriera scolastica prima,<br />
e professionale poi. Un’azienda che<br />
intende acquisire e poi trattenere il<br />
miglior capitale umano sa bene che<br />
l’inclusione di diversità paga non solo<br />
un credito reputazionale ma anche un<br />
effettivo aumento della produttività.<br />
Questo è un aspetto particolarmente<br />
interessante. Come è possibile<br />
misurare e definire l’effetto, il “return<br />
on investement” della diversità nella<br />
produttività aziendale? Ecco, garantire<br />
il RoI per le pratiche di inclusione delle<br />
diversità significa costruire processi<br />
effettivi di inclusione. Se misurare<br />
la diversità è semplice (diversità<br />
intrinseca: età, etnia, genere etc.,<br />
diversità acquisita: capacità culturali,<br />
lessicali, verbali, di mobilità), misurare<br />
il costo e il ritorno della loro inclusione<br />
è il punto chiave per la produttività<br />
delle organizzazioni – aziendali e<br />
pubbliche. Il titolo un po’ provocatorio<br />
di questo articolo (che è una citazione<br />
di Vernā Myers) vuole significare<br />
che non è sufficiente costruire un<br />
team includendo “different things”,<br />
ma è indispensabile promuovere<br />
un ambiente inclusivo. L’ambiente<br />
inclusivo è quello nel quale nessuno si<br />
sente in un qualche modo costretto o<br />
spinto a modificare qualunque propria<br />
attitudine culturale, religiosa, fisica al<br />
fine di sentirsi “adatto”.<br />
Se l’organizzazione aziendale – o il<br />
luogo di lavoro in genere – riesce a<br />
realizzare tali condizioni, ecco che<br />
l’ambiente inclusivo è generato. In<br />
questo modo, l’investimento iniziale<br />
di “non costruire sul conosciuto” è<br />
ripagato dall’avere luoghi di lavoro<br />
dove le diversità intrinseche portano<br />
alla discussione di molteplici punti<br />
di vista differenti tra loro e dove le<br />
diversità acquisite contribuiscono con<br />
skill non convenzionali. Naturalmente,<br />
le organizzazioni devono in qualche<br />
modo dotarsi di metriche che<br />
quantifichino il tasso di successo delle<br />
strategie D&I; ad esempio, la misura<br />
del tasso di “retention” del personale<br />
prima e dopo l’implementazione della<br />
misura può rispondere bene a questo<br />
scopo.<br />
Ma esiste un secondo motivo, oltre<br />
al “team retention” che suggerisce<br />
fortemente l’opportunità di<br />
politiche e strategie di inclusione di<br />
diversità, ed è l’ampliamento delle<br />
opportunità di mercato e di crescita.<br />
Questa è un’osservazione che<br />
attiene esplicitamente all’industria<br />
farmaceutica e alle biotech ed è legata<br />
alla necessità – etica prima ancora<br />
che di mercato – di abbandonare bias<br />
che hanno guidato, almeno a partire<br />
dagli anni ’80 dello scorso secolo, le<br />
strategie di sviluppo nel farmaceutico. È<br />
nozione comune oramai che i trial clinici<br />
riflettono sempre più raramente la<br />
struttura demografica della popolazione<br />
di riferimento.<br />
I bisogni terapeutici, e più in generale<br />
di benessere, di una buona parte del<br />
mondo sono diversi da quelli del mondo<br />
nord-occidentale. Questo è sempre<br />
stato, si dirà. Con la differenza però<br />
che ora la capacità di spesa di quella<br />
parte del mondo sta crescendo e la<br />
transizione epidemiologica che stiamo<br />
vivendo premierà chi sarà stato in<br />
grado di anticipare i nuovi bisogni.<br />
Anche la comunicazione che l’industria<br />
farmaceutica – e i sistemi sanitari in<br />
generale – produce relativamente ai<br />
propri prodotti deve adeguarsi alla<br />
necessità dell’inclusione.<br />
La pandemia Covid ne è stata esempio,<br />
largamente in negativo. La letteratura<br />
scientifica riporta numerosi, seppur non<br />
sistematici, studi sul diverso outcome<br />
della pandemia verso sottopopolazioni<br />
specifiche, largamente etniche<br />
(basti pensare alle comunità nativoamericane,<br />
oppure agli afro-americani,<br />
o alle comunità latine negli Stati Uniti).<br />
Ma il livello di comunicazione, prima<br />
ancora che gli specifici interventi, per<br />
rispondere a queste diverse risposte è<br />
stato molto modesto. A titolo di esempio<br />
possiamo citare le barriere linguistiche.<br />
La totalità di coloro che leggeranno<br />
queste poche righe daranno per<br />
scontato l’uso della lingua inglese come<br />
lingua veicolare universale.<br />
Il che è vero in strati di popolazione,<br />
ma non in altri. E per questi “altri” la<br />
diversità linguistica solo raramente è<br />
compensata da interventi inclusivi, e<br />
spesso si traduce in minor accesso a<br />
prestazioni e prodotti che sarebbero<br />
invece disponibili. Come detto sopra,<br />
ciò ha naturalmente implicazioni etiche<br />
non piccole (nel mondo anglosassone,<br />
l’acronimo impiegato è DEI, diversity,<br />
equity – o equality – and inclusion), ma<br />
attiene anche alla capacità aziendale<br />
di veicolare correttamente il proprio<br />
prodotto o il proprio servizio al mercato<br />
più ampio possibile.<br />
15
Un punteggio<br />
può predire il<br />
nostro stato di<br />
salute futuro?<br />
Antonio Maturo<br />
Professore di Sociologia della Salute<br />
Università di Bologna, Campus della Romagna<br />
Oggi, vi sono grandi aspettative sul Poligenic risk score, il<br />
“punteggio di rischio poligenico”, cioè sulla stima della probabilità<br />
di sviluppare una particolare condizione medica valutando<br />
le informazioni di più marcatori genetici e varianti.<br />
Ora, cosa accadrebbe se però noi potessimo sviluppare degli<br />
score, dei punteggi, anche nell’ambito dei fattori sociali?<br />
In altri termini, è possibile stimare l’effetto sulla fisiologia<br />
di una persona del suo livello scolastico, reddito, condizione<br />
famigliare, stili di vita, reti sociali, tipologia di consumi? Secondo<br />
un gruppo di scienziati, sì. In alcuni ambiti di ricerca<br />
accademica americana si lavora alacremente allo sviluppo<br />
del Polysocial risk score. Per capire meglio come stanno le<br />
cose dobbiamo introdurre due riferimenti: uno scientifico e<br />
uno di fantasia.<br />
Sappiamo che gran parte del nostro stato di salute è determinato<br />
da fattori sociali e psicosociali. Per fattori sociali<br />
possiamo intendere il reddito, il tipo di lavoro, il livello di<br />
istruzione, il capitale sociale, ma anche il quartiere dove<br />
viviamo. Questi fattori influenzano i nostri stili di vita – fumare,<br />
bere, l’alimentazione in genere, l’attività fisica – così<br />
come l’accesso ai servizi sanitari e la capacità di raggiungere,<br />
comprendere e utilizzare proficuamente le informazioni<br />
sulla salute. Epidemiologi e sociologi hanno prodotto<br />
un’enorme mole di ricerca quantitativa sulle relazioni tra<br />
determinanti sociali e salute. Le ricerche sono spesso molto<br />
raffinate: quanto pesa il livello di istruzione sulla capacità<br />
di smettere di fumare? C’è una relazione tra il quartiere di<br />
residenza e l’essere vegani? Perché tra le persone di alto<br />
status sociale ci sono pochi astemi ma anche pochissimi<br />
forti bevitori?<br />
Uno scenario di fantasia, anzi di fiction scientifica può darci<br />
qualche risposta.<br />
Il nostro scenario di fantasia lo sviluppiamo invece richiamando<br />
due film di grande successo: Gattaca (1997) e Minority<br />
Report (2002). Gattaca è ambientato in un futuro prossimo<br />
in cui la società si divide in due classi sociali: i “Validi” e i<br />
“Non Validi”. I Validi sono coloro che hanno un corredo genetico<br />
sano, frutto della selezione degli embrioni. I Non Validi<br />
sono quelli nati naturalmente che, quindi, hanno imperfezioni<br />
di vario tipo e grandezza. Sulla base dei test genetici è<br />
dunque possibile predire l’aspettativa di vita delle persone e<br />
così allocarle in lavori più o meno prestigiosi. Ovviamente, i<br />
Validi sono al top della scala sociale e i Non Validi sono relegati<br />
ai lavori più umili. Quindi, il corredo genetico, in Gattaca,<br />
predice la propria posizione nella società, agendo da fattore<br />
di inclusione o esclusione sociale. Non è un caso se il filone<br />
artistico a cui viene ascritto Gattaca è quello detto “biopunk”.<br />
In Minority Report siamo ancora in un futuro distopico. In<br />
16
makinglife | novembre <strong>2022</strong><br />
questo contesto sociale, i colpevoli vengono arrestati prima<br />
che commettano il crimine. La predizione viene elaborata<br />
da tre veggenti dotati di poteri supernaturali. Dunque, anche<br />
qui il posto della previsione è centrale.<br />
Fino ad oggi la maggior parte degli sforzi per quantificare<br />
l’influenza sull’individuo dei determinati di salute sono falliti:<br />
i nessi causali sono numerosi, interconnessi e complessi.<br />
Ma da alcuni anni c’è qualcosa di nuovo come scrivono<br />
Figueroa e i suoi colleghi di Harvard, nell’articolo “Addressing<br />
social determinants of health. Time for a Polysocial risk<br />
score”, uscito recentemente sul Journal of American medical<br />
association. Oggi l’enorme mole di dati che possono<br />
essere raccolti digitalmente sulla salute delle persone può<br />
segnare un turning point per lo sviluppo di stime precise sul<br />
rischio individuale di ammalarsi.<br />
Queste ricerche, negli Stati Uniti, sono spesso sponsorizzate<br />
da un nuovo tipo di assicurazione sanitaria. Si tratta di<br />
assicurazioni che fanno un tipo di polizza che guarda alle<br />
nostre abitudini di vita e ai nostri comportamenti, le Behavior-based<br />
insurance. Infatti, la riforma Obama, allo scopo di<br />
valorizzare la prevenzione, offrì l’opportunità alle assicurazioni<br />
sanitarie di praticare sconti a chi cercava di aderire a<br />
stili di vita sani. Di qui l’interesse delle assicurazioni alla vita<br />
e agli stili di vita dei propri assicurati. Alcune assicurazioni<br />
richiedono che i loro membri condividano i proprio dati fisiologici<br />
raccolti da un braccialetto elettronico. Un po’ come<br />
si può fare con l’assicurazione dell’auto. Ma ci sono anche<br />
altri indicatori dello stato di salute (futuro) di una persona<br />
come i comportamenti di acquisto, la partecipazione ai forum<br />
online, perfino i like lasciati sui social.<br />
I big data individuali offrono un enorme set di informazioni<br />
connessi ai determinanti sociali di salute. Questi big data<br />
possono essere sintetizzati in un punteggio (il Polysocial<br />
risk score, appunto) che misura la nostra probabilità di ammalarci.<br />
Si tratta di uno scenario ancora distante dall’essere realizzato<br />
ma gli investimenti finanziari sono cospicui e questo<br />
non fa dormire sonni tranquilli. Chiaramente i rischi di<br />
discriminazione sociale sono enormi. Le assicurazioni sanitarie<br />
tendono infatti a selezionare il maggior numero di<br />
persone sane, a discapito delle classi sociali non affluenti,<br />
che si ammalano di più. Del resto, non tutti possono andare<br />
in barca a vela e mangiare mirtilli per mantenersi sani. In<br />
secondo luogo, l’assicurazione diviene qualcosa di diverso<br />
dalla sua essenza: il rischio infatti viene individualizzato e<br />
non spalmato su tutti gli assicurati. Terzo, un algoritmo sorveglierà<br />
i nostri stati fisiologici: alla faccia della privacy!<br />
17
I tempi della<br />
comunicazione<br />
Monica Torriani<br />
Nel processo di<br />
sensibilizzazione<br />
sui concetti di<br />
inclusione e diversity<br />
la comunicazione può<br />
assumere una funzione<br />
davvero preziosa, a<br />
patto però di evitare<br />
analisi superficiali<br />
mirate a compiacere il<br />
pubblico<br />
Ai nostri giorni, parlare di diversity<br />
e inclusione è come percorrere<br />
un torrente di dolce pendenza:<br />
nessuno sforzo per andare avanti,<br />
solo un minimo di attenzione a<br />
non incappare in qualche intralcio.<br />
Parlare di diversity e inclusione<br />
con coerenza e curiosità, invece, è<br />
molto più complicato. La corrente,<br />
prima benevola, qui è riottosa<br />
e si mostra ben poco incline ad<br />
accogliere imbarcazioni, anche se<br />
“armate” di ottime intenzioni. Le<br />
ragioni per cui si incontra resistenza<br />
nell’integrazione di elementi estranei<br />
in una maggioranza rodata devono<br />
essere cercate in profondità. Tuttavia,<br />
l’analisi che più spesso siamo spinti<br />
a fare è frettolosa. Magari raccoglie<br />
i favori immediati del pubblico ma<br />
produce contenuti che raramente<br />
generano dibattito, con i quali non si<br />
può che essere d’accordo (chi mai<br />
potrebbe dire a viso aperto che una<br />
donna merita, a parità di ruolo, di<br />
essere pagata meno di un uomo?) e<br />
che non coglie tutti gli aspetti di una<br />
questione che ha radici antiche.<br />
Il timore di accogliere l’intruso, in<br />
qualsiasi forma esso si presenti, è<br />
legato alla paura di perdere l’identità,<br />
dileguandosi nel vuoto cosmico. Si<br />
tratta di una reazione ancestrale,<br />
irrazionale, che non può pertanto<br />
18
makinglife | novembre <strong>2022</strong><br />
trovare soluzione nell’applicazione di<br />
un decalogo, ma richiede un’attenta<br />
lettura, una adeguata declinazione<br />
che tenga conto del contesto in cui si<br />
sviluppa e alla quale occorre fornire<br />
una risposta specifica.<br />
Dobbiamo riconoscerlo: il mondo gira<br />
veloce e anche la comunicazione si<br />
è lasciata travolgere dal perverso<br />
meccanismo del chi-si-ferma-èperduto<br />
e ha fretta, troppa fretta.<br />
Ma certe tempistiche non possono<br />
essere abbreviate, a meno di<br />
rinunciare a uno degli scopi più<br />
nobili nel nostro lavoro, quello<br />
dell’analisi lucida e della volontà di<br />
scoperta, e imboccare la via di una<br />
disponibile superficialità. Ecco perché<br />
abbandonare la curiosità di capire<br />
le reali motivazioni e accontentarci<br />
di ricombinare quanto già detto<br />
e scritto per giungere alle stesse<br />
conclusioni non può portarci alcun<br />
vantaggio. Affannarci alla ricerca di<br />
colpevoli verso i quali scagliare strali<br />
di condanna, siano essi maschi alfa<br />
o patriottici difensori dell’integrità<br />
nazionale, non ci aiuta a capire come<br />
uscire dalla spirale di maschilismo e<br />
razzismo che rischia di inghiottire la<br />
nostra società. È utile sostenere che<br />
la comunicazione non deve essere<br />
ostile verso i soggetti che meritano<br />
di essere protetti perché vittime<br />
di discriminazione? Forse sarebbe<br />
più vantaggioso affermare che la<br />
comunicazione non deve essere<br />
ostile punto. E laddove non può<br />
spendere parole di apprezzamento,<br />
almeno provi a descrivere i fatti con<br />
chiarezza e completezza e a porsi le<br />
giuste domande.<br />
AFFRONTARE<br />
L’IRRAZIONALE<br />
Se ci guardiamo intorno e<br />
analizziamo i problemi più impattanti<br />
della nostra epoca scopriamo<br />
che nessuno di essi si regge su<br />
basi razionali. Pensiamo alla<br />
vaccine hesitancy, ad esempio, o<br />
al negazionismo climatico o virale.<br />
Questioni che continuano a generare<br />
perdite produttive ed economiche<br />
ingenti e a determinare ogni giorno<br />
la morte di migliaia di persone. Se<br />
sei milioni e passa di decessi per<br />
Covid-19 non sono sufficienti per<br />
convincere un novax a cambiare idea,<br />
pensiamo davvero che spiegando il<br />
meccanismo d’azione del vaccino<br />
qualcosa cambierà? Se sette<br />
milioni di morti ogni anno a causa<br />
dell’inquinamento atmosferico non<br />
riescono a esprimere l’urgenza di<br />
adottare abitudini più eco-friendly,<br />
come possiamo credere che sia<br />
l’ennesimo studio del blasonato<br />
centro di ricerca a farlo?<br />
La gravità di certi quadri è sotto<br />
gli occhi di tutti ma siamo soggetti<br />
a una forza interiore che ci spinge<br />
senza tregua a trovare scorciatoie,<br />
letture semplificate. Se vogliamo<br />
vincere, dobbiamo essere più forti,<br />
contrapporci all’istinto, spostarci a<br />
un livello più elevato, più consono<br />
a quello di un animale evoluto e<br />
razionale quale è l’uomo. Risalire<br />
la corrente, appunto. Se scriviamo<br />
assecondando l’istinto continueremo<br />
a versare inchiostro lamentandoci<br />
di mondi ingiusti e minoranze<br />
svantaggiate, senza mai cogliere il<br />
problema e proporre soluzioni.<br />
Parlando di gender inclusion in<br />
azienda, è difficile non andare con<br />
il pensiero a migliaia di anni di<br />
supremazia del genere maschile<br />
negli ambienti professionali. Se alle<br />
donne viene garantita la possibilità<br />
(esercitabile o meno) di diventare<br />
madri, cioè creatrici di nuove vite,<br />
con gli uomini la natura non si<br />
mostra altrettanto magnanima.<br />
Perché allora, vien da dire se sei un<br />
uomo, non approfittarne per crearsi<br />
altre nicchie di soddisfazione? Perché<br />
non inventarsi il ruolo invincibile del<br />
breadwinner, in modo da aggiungere<br />
in maniera neanche troppo forzata<br />
la propria figura nell’idilliaco<br />
quadro della maternità? Perché non<br />
trasformare una debolezza sulla<br />
quale, almeno al momento, si può<br />
fare ben poco in un punto di forza che<br />
può invece portare enormi benefici?<br />
Certo, di acqua sotto i ponti ne è<br />
passata dall’epoca in cui le donne<br />
avevano come unica prospettiva di<br />
realizzazione il matrimonio. Ma la<br />
biologia, si sa, ha tempi lunghissimi<br />
(ancora più lunghi di quelli della<br />
comunicazione) e imparare a<br />
metabolizzare una simile rivoluzione<br />
non è certo cosa da poco.<br />
COSTRUIRE<br />
UN’ALLEANZA<br />
La domanda è: cosa possiamo fare<br />
per accelerare questo percorso?<br />
L’analisi degli scenari ci mostra che<br />
non abbiamo ampia scelta. Costruire<br />
barriere, alzare muri, incolpare<br />
gli uomini, o peggio le madri che<br />
non li educano a dovere, ci farebbe<br />
sentire ancora più sole. Questo non<br />
significa rinunciare a rivendicazioni<br />
che riteniamo legittime ma ci apre<br />
una prospettiva più serena, quella di<br />
gettare ponti, far germogliare semi<br />
di speranza. Provare a costruire<br />
un’alleanza in cui tutti i protagonisti<br />
traggono vantaggio, una simbiosi.<br />
La comunicazione può così assumere<br />
una funzione davvero preziosa.<br />
Il primo passo è quello di sforzarsi<br />
di considerare anche le opinioni che<br />
non incontrano le nostre simpatie,<br />
di uscire dal malinterpretato<br />
senso di giustizia ed equità che<br />
ci impedisce di vedere ciò che<br />
non ci piace. Potremmo trovarci<br />
di fronte una versione antipatica<br />
della realtà, sterilmente polemica<br />
ma non dobbiamo dimenticare che<br />
la gestione del conflitto è parte<br />
degli scopi più raffinati della nostra<br />
attività.<br />
19
20
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DIVERSO DA CHI?<br />
Debora Ghietti<br />
Sustainability and CSR advisor<br />
22<br />
Scrivere di diversità e inclusione mi<br />
riporta subito alla mente “diverso da<br />
chi?”, il titolo di un film italiano del 2009<br />
di Umberto Carteni, che all’epoca vinse<br />
molti premi. Oggi il tema dell’inclusione<br />
di categorie – che non definirei<br />
“diverse” ma meno rappresentate e con<br />
meno diritti riconosciuti – è finalmente<br />
entrato a pieno titolo nelle agende<br />
delle istituzioni e delle aziende, queste<br />
ultime chiamate da diversi stakeholder<br />
a rispondere su questo tema. Molteplici<br />
studi e pubblicazioni hanno ormai<br />
dimostrato che l’inclusione di tutte<br />
le categorie di lavoratori e lavoratrici<br />
rappresenta un vantaggio per<br />
l’impresa, un vantaggio competitivo<br />
e di incremento del business, perché<br />
nelle aziende dove c’è una reale<br />
cultura di inclusione le persone sono<br />
maggiormente ingaggiate e produttive.<br />
Nel 2020 Coqual ha ulteriormente<br />
esplorato i fattori che influenzano il<br />
senso di appartenenza di un o una<br />
dipendente attraverso un sondaggio<br />
su 3.711 professionisti negli Stati Uniti.<br />
I risultati sono stati analizzati in base<br />
a genere, etnia, generazione, identità<br />
LGBTQI+ e status di genitore, veterano<br />
e immigrazione. L’appartenenza<br />
è risultata legata a quattro fattori<br />
chiave: se i e le dipendenti si sentono<br />
riconosciuti, premiati e rispettati dai<br />
colleghi; se hanno interazioni positive<br />
e autentiche con i loro colleghi e<br />
manager; se sentono il supporto nel<br />
loro lavoro quotidiano e nello sviluppo<br />
della carriera; infine, se si sentono<br />
allineati allo scopo, alla visione e ai<br />
valori dell’azienda in cui lavorano (fonte:<br />
ILO). Il Gruppo Cegos ha pubblicato a<br />
ottobre <strong>2022</strong> i risultati di una ricerca<br />
internazionale “Diversity&Inclusion<br />
nelle aziende: le competenze legate alle<br />
sfide di una trasformazione culturale.”<br />
UN QUADRO<br />
DESOLANTE<br />
Ad aprile <strong>2022</strong>, Cegos ha intervistato<br />
4.000 dipendenti (di cui 501 italiani)<br />
e 420 direttori e manager delle<br />
risorse umane (di cui 60 italiani) di<br />
aziende private e pubbliche in sette<br />
Paesi europei (Francia, Germania,<br />
Italia, Spagna, Gran Bretagna,<br />
Portogallo) e America Latina (Brasile)<br />
chiedendo loro di rispondere a<br />
domande relative alla D&I nel<br />
loro ambiente lavorativo. Obiettivi<br />
principali dell’indagine è capire: qual<br />
è il livello di discriminazione attuale<br />
nelle organizzazioni? Che livello di<br />
conoscenza e chi è maggiormente
makinglife | novembre <strong>2022</strong><br />
coinvolto tra gli stakeholder? Quali<br />
azioni e pratiche sono attuate per<br />
promuovere e rafforzare il commitment<br />
aziendale? Il quadro, ancora molto<br />
desolante, mostra un livello ancora<br />
troppo elevato di discriminazione in<br />
ambito professionale: sebbene l’84%<br />
dei dipendenti sostenga che l’inclusione<br />
sia un criterio importante per la scelta<br />
del nuovo datore e il 65% si dica<br />
convinto che le politiche sulla diversity<br />
contribuiscano positivamente alle<br />
prestazioni complessive dell’azienda,<br />
l’82% del campione afferma di<br />
aver assistito a qualche forma di<br />
discriminazione nell’organizzazione<br />
in cui opera. Ma quali sono le forme<br />
di discriminazione più frequenti<br />
riscontrate in azienda? Dal sondaggio<br />
le più diffuse risultano: età (25%),<br />
condizioni di salute (19%), genere (18%),<br />
aspetto fisico (16%), livello scolastico e<br />
status sociale (16%). La discriminazione<br />
basata sull’età sembra particolarmente<br />
diffusa in Italia (40%), così come quella<br />
di genere (27%). Assumono rilevanza<br />
anche l’identità di genere, che raccoglie<br />
un 18% a fronte del 10% a livello<br />
globale, e la situazione famigliare, 17%<br />
vs 11%. In Italia la discriminazione di<br />
genere e generazionale appare ancora<br />
come un pregiudizio che in azienda<br />
porta all’esclusione di alcune categorie<br />
di persone.<br />
PASSI AVANTI<br />
NORMATIVI<br />
Per le questioni di genere, da<br />
diversi anni si sta lavorando con<br />
varie iniziative culturali e non solo.<br />
Con la legge 162/2021, infatti, è<br />
stato introdotto lo strumento della<br />
certificazione della parità di genere,<br />
con l’obiettivo di incentivare le aziende<br />
ad adottare politiche adeguate a<br />
ridurre il gap di genere. A marzo <strong>2022</strong><br />
è stata presentata la norma UNI/<br />
PdR 125:<strong>2022</strong>, uno strumento per<br />
misurare, valutare e rendicontare la<br />
parità di genere in azienda attraverso<br />
KPI: una certificazione che consente di<br />
avviare un percorso di cambiamento<br />
culturale nella propria organizzazione<br />
per raggiungere la parità di genere e<br />
beneficiare di vantaggi concreti, tra<br />
cui sgravi fiscali e punteggi premiali<br />
in gare di appalto. Purtroppo, per la<br />
discriminazione generazionale, che<br />
rappresenta il 42% delle discriminazioni<br />
subite in azienda, soprattutto nella<br />
fascia 50-64 anni, non sembrano essere<br />
evidenti politiche aziendali volte a<br />
includere i senior. La base normativa<br />
su questi temi non manca. La prima<br />
norma è l’articolo 3 della nostra<br />
Costituzione, che stabilisce un principio<br />
di uguaglianza e non discriminazione;<br />
inoltre, un D.L. del 2006 che sancisce<br />
le pari opportunità tra uomo e donna e<br />
vieta discriminazioni dirette o indirette<br />
sul luogo di lavoro. Esistono anche<br />
normative sul collocamento delle<br />
persone disabili. Tuttavia, la cultura<br />
aziendale, che riflette la cultura del<br />
Paese, ha ancora molto lavoro da fare<br />
perché l’inclusione sia un dato di fatto<br />
e non solo un dato “di facciata”. Diventa<br />
centrale il ruolo del o della “diversity<br />
manager”, nuova figura aziendale che<br />
ha l’obiettivo di diffondere praticamente<br />
e concretamente con azioni chiare e<br />
misurabili la cultura dell’inclusione in<br />
azienda.<br />
L’INCLUSIONE INIZIA DALLA SELEZIONE<br />
L’inclusione è un concetto differente dalla semplice assenza di discriminazione e comporta un approccio attivo che mira<br />
non solo a coinvolgere e valorizzare le diversità presenti fuori e dentro un’organizzazione ma anche ad attirarne di nuove.<br />
Un esempio di questo modello arriva da Sephora, multinazionale di profumerie del gruppo LVMH, che ha introdotto una<br />
procedura di “selezione inclusiva” per la scelta del nuovo personale. Una decisione che rende conto di un preciso focus<br />
sul concetto di inclusione, come Alessandra Andé, head of HRBP retail Sephora Italia: «Diversity e inclusion per noi si<br />
esprimono con la valorizzazione dell’unicità – e quindi della diversità – di ciascuno, analizzando quello che ci rende unici<br />
per metterlo a disposizione della comunità. Guardiamo a quel tratto distintivo come a qualcosa di prezioso che possa<br />
essere appreso e valorizzato, qualcosa che unisce invece di dividere».<br />
Cos’è la selezione inclusiva e come si applica concretamente?<br />
«L’idea di una modalità di selezionare le persone più inclusiva e meno classica è nata qualche anno fa in seno al gruppo<br />
LVMH che ha come grande merito quello di valorizzare e riconoscere le unicità. Dalla definizione della job, alla lettura del<br />
curriculum, al primo contatto telefonico e fino all’intervista, mettiamo in atto dei processi inconsci che ci guidano, anzi<br />
ci pilotano. Con questo training offriamo alle persone la possibilità di riconoscere il pre-giudizio e di farlo divenire un<br />
alleato più che un nemico. L’applicazione è fondamentale in tutti i processi ma nell’ambito della selezione del personale<br />
è sicuramente un tratto distintivo di un’azienda che vuole avere voce in capitolo sulla valorizzazione del singolo e dal<br />
rendere la scelta obiettiva, tecnica e per quanto possibile scevra da sovra strutture inconsce».<br />
Perché avete sentito il bisogno di introdurre questo approccio?<br />
«Perché siamo pionieri nell’inclusione, nel concetto di bellezza che non segue i canoni classici che per anni l’hanno<br />
etichettata e ingabbiata, perché come azienda vogliamo e dobbiamo dare voce a tutti i nostri clienti, a tutta la community<br />
e abbiamo il dovere di far sentire ogni persona accettata, valorizzata e potenziata».<br />
23
L’osservatorio<br />
D&I del Global<br />
compact network<br />
delle Nazioni<br />
Unite<br />
UN Global Compact<br />
Network (Ungcn) Italia fa<br />
capo all’iniziativa globale<br />
per lo sviluppo sostenibile<br />
denominata “Global Compact<br />
delle Nazioni Unite” e ha<br />
l’obiettivo di divulgare a<br />
livello nazionale la cultura<br />
della corporate sustainability,<br />
promuovendo i 10 principi<br />
dell’UN Global Compact<br />
afferenti a quattro aree<br />
(diritti umani, lavoro, clima<br />
e anticorruzione) e i 17 SDG<br />
dell’Onu. In questa azione di<br />
promozione dello sviluppo<br />
sostenibile, Ungcn Italia<br />
coinvolge primariamente le<br />
imprese – ma anche istituzioni,<br />
università, mondo non profit<br />
e associazioni della società<br />
civile – per dar vita a una<br />
partnership ampia e concreta<br />
per la realizzazione dell’Agenda<br />
2030. Tra le iniziative del<br />
network sono stati istituiti un<br />
osservatorio D&I e un percorso<br />
di formazione denominato<br />
“Target gender equality”.<br />
Ne parliamo con Daniela<br />
Bernacchi, segretario generale<br />
e direttore esecutivo dell’UN<br />
Global Compact Network Italia.<br />
Dopo un anno di osservatorio<br />
D&I che quadro si sta<br />
delineando?<br />
Stanno emergendo una<br />
crescente sensibilità sul<br />
tema della diversity da parte<br />
del mondo delle imprese e<br />
la consapevolezza di dover<br />
lavorare sulla cultura aziendale<br />
in modalità pervasiva e<br />
coinvolgendo tutte le funzioni.<br />
Partendo ad esempio da un<br />
ri-orientamento del linguaggio<br />
e dei termini verso il gender<br />
neutral. La sfide attuali sono<br />
anche quelle di un’attivazione<br />
verso la D&I di tutta la catena<br />
del valore, inclusi quindi<br />
i fornitori aziendali, e del<br />
monitoraggio dei risultati<br />
fissando KPI’s misurabili.<br />
A oggi, non c’è uno standard<br />
per la D&I e ogni azienda si<br />
costruisce i propri modelli<br />
rendendo anche difficilmente<br />
comparabile l’informazione.<br />
L’adesione delle aziende<br />
all’Osservatorio è su base<br />
volontaria o vengono<br />
selezionate da voi?<br />
Un po’ entrambe le modalità:<br />
alcune aziende aderenti che<br />
volevano approfondire il tema<br />
si sono proposte per migliorare<br />
il loro percorso; altre sono<br />
state sollecitate da noi proprio<br />
perché magari più avanzate<br />
e di stimolo in termini di<br />
benchmarking per le altre. Per<br />
il 2023, il Network sta valutando<br />
anche le candidature di PMI che<br />
si sono distinte sui temi della<br />
D&I, per estendere l’impatto<br />
del proprio programma anche<br />
ad aziende di piccole e medie<br />
dimensioni, che sono una<br />
componente importantissima<br />
del nostro tessuto<br />
imprenditoriale nazionale.<br />
A proposito del percorso di<br />
formazione “Target gender<br />
equality” quali sono i benefici<br />
per le aziende che hanno<br />
aderito? In che situazione si<br />
trovano oggi le imprese su<br />
questa tematica?<br />
Il percorso finirà a febbraio<br />
2023. Le 39 aziende che hanno<br />
aderito beneficiano già da ora di<br />
una condivisione di difficoltà e<br />
opportunità comuni, di momenti<br />
di riflessione e sottogruppi di<br />
lavoro, e di strumenti pratici di<br />
monitoraggio come il WEP’s<br />
gender gap analysis tool,<br />
che permette loro di capire<br />
Daniela Bernacchi, segretario generale e direttore<br />
esecutivo dell’UN Global Compact Network Italia<br />
se il percorso che stanno<br />
attuando è in una fase di<br />
beginner, moderato o avanzato<br />
per poi fissare obiettivi di<br />
miglioramento.<br />
Lo strumento è basato sui<br />
Women empowerment<br />
principles, sette principi<br />
che coprono le aree della<br />
leadership, della formazione,<br />
dei percorsi di carriera,<br />
del sexual harrasment, del<br />
marketing e delle pratiche di<br />
filiera. L’analisi viene effettuata<br />
rispetto alla dimensione<br />
interna dell’azienda ma anche<br />
considerando il mercato<br />
esterno e la comunità.<br />
Il programma di accelerazione<br />
Target gender equality prevede<br />
l’affiancamento del Network e<br />
di consulenti lungo un percorso<br />
che va dalla determinazione di<br />
obiettivi ambiziosi alle strategie<br />
di successo, alle modalità,<br />
infine, per misurare gli obiettivi<br />
pre-fissati e valutare KPI<br />
comuni.<br />
Qual è la situazione del settore<br />
farmaceutico sulle tematiche<br />
D&I dal vostro punto di vista?<br />
Nel mondo hanno aderito<br />
al network 725 aziende del<br />
segmento healthcare, di<br />
cui una ventina in Italia. Le<br />
grandi multinazionali sono<br />
sicuramente più avanti, per<br />
una questione di “grado<br />
di maturità dell’azienda”<br />
tenuto conto che la diversity<br />
comprende tematiche<br />
amplissime: disabili, migranti,<br />
donne, LGBTQ+plus, giovani,<br />
ma anche silver… I settori<br />
che più beneficiano di un<br />
intervento pro-D&I sono<br />
sicuramente quelli tecnicomanifatturieri,<br />
considerando<br />
la più scarsa partecipazione<br />
delle donne rispetto agli<br />
uomini a percorsi di studi<br />
nelle discipline STEM. Quindi,<br />
sicuramente, come obiettivo<br />
nazionale possiamo porci<br />
quello di favorire la diffusione<br />
della cultura STEM fra la<br />
componente femminile, in<br />
partnership con le università,<br />
e garantire una formazione<br />
adeguata, mentoring e pari<br />
opportunità quando le persone<br />
vengono assunte nelle<br />
organizzazioni.<br />
24
Strategie di inclusione<br />
nelle aziende Pharma<br />
Molte aziende del settore farmaceutico hanno<br />
intrapreso percorsi strutturati per promuovere<br />
diversità, equità e inclusione tra il personale<br />
delle loro aziende. Dirigenti compresi<br />
Caterina Lucchini<br />
26
makinglife | novembre <strong>2022</strong><br />
La società dei nostri tempi<br />
è di fronte a una sfida<br />
sociale che riflette decenni<br />
di disuguaglianze relative<br />
a gruppi etnici, genere,<br />
orientamento sessuale,<br />
età, capacità e condizione<br />
socioeconomica. Questa<br />
sfida si ripercuote anche<br />
nel mondo del lavoro, dove<br />
sempre più prepotentemente<br />
si sente parlare di diversità,<br />
equità e inclusione (DE&I)<br />
come di una importante<br />
opportunità per aziende,<br />
pubblica amministrazione e<br />
accademia. I luoghi di lavoro<br />
più diversificati e inclusivi<br />
dimostrano un impegno<br />
maggiore dei dipendenti, più<br />
elevati livelli di innovazione,<br />
qualità delle assunzioni,<br />
migliori tassi di fidelizzazione<br />
dei dipendenti e maggiori<br />
profitti.<br />
Con questa introduzione si<br />
apre il report statunitense “The<br />
biopharmaceutical industry:<br />
improving diversity & inclusion<br />
in the workforce”, pubblicato<br />
nel 2020. Cosa significa in<br />
pratica e qual è lo scenario<br />
attuale nel mondo delle<br />
aziende del farmaco?<br />
RISORSE PER I<br />
DIPENDENTI…<br />
Per prima cosa è importante<br />
parlare di definizioni, come<br />
proposto nel box dedicato ai<br />
concetti fondamentali che<br />
ruotano intorno ai principi<br />
di diversità e inclusione. Le<br />
aziende che stanno sposando<br />
tali principi permettono e<br />
favoriscono la nascita di<br />
diverse realtà. Una di queste<br />
è rappresentata dai gruppi<br />
ERG (Employee resource<br />
groups). Si tratta, come si<br />
legge ad esempio sul sito di<br />
Abbvie, di “gruppi di risorse<br />
per dipendenti che uniscono<br />
persone accomunate dallo<br />
stesso interesse. Non si<br />
limitano a promuovere un<br />
ambiente lavorativo diverso<br />
e inclusivo, ma organizzano<br />
anche attività di mentoring,<br />
networking, sviluppo<br />
professionale, attrazione dei<br />
talenti, senza trascurare il<br />
divertimento”. In Abbvie, giusto<br />
per citarne una, i gruppi ERG<br />
attualmente attivi sono: black<br />
business network, Ahora<br />
hispanic/latino network, asian<br />
leadership network, Abbvie<br />
pride (lesbian, gay, bisexual,<br />
transgender and allies),<br />
veterans, women leaders in<br />
action (WLA). Ma Abbvie non è<br />
l’unica azienda del farmaco ad<br />
aver creduto nel valore della<br />
DE&I all’interno dell’azienda.<br />
Chiesi, ad esempio, per il terzo<br />
anno consecutivo ha ricevuto<br />
il “Diversity leaders award”<br />
<strong>2022</strong> rientrando tra le prime<br />
50 aziende europee (36°<br />
posizione) su un campione di<br />
850 prese in esame.<br />
Il Gruppo si è posizionato 2° tra<br />
le 24 aziende farmaceutiche<br />
esaminate nell’indagine. Chiesi<br />
è stata premiata per la sua<br />
attenzione su cinque aspetti<br />
principali: equilibrio di genere,<br />
orientamento sessuale, età,<br />
etnia e disabilità.<br />
...E DIPENDENTI<br />
COME RISORSA<br />
“Le persone sono il patrimonio<br />
più grande di ogni azienda”:<br />
con questo claim MSD Italia<br />
presenta il suo programma<br />
sul tema. “Siamo convinti<br />
che la nostra missione di<br />
scoprire, sviluppare e rendere<br />
disponibili farmaci, vaccini e<br />
servizi innovativi che salvino<br />
e migliorino la vita possa<br />
realizzarsi solo attraverso<br />
una reale collaborazione tra<br />
persone diverse”. MSD Italia<br />
27
Strategie<br />
aziendali DE&I<br />
1. Favorire i gruppi ERG<br />
2. Supportare formazione<br />
ed educazione inclusiva<br />
3. Istituzionalizzare<br />
posizioni DE&I<br />
4. Collaborare con le<br />
organizzazioni nelle<br />
comunità locali per<br />
guidare il cambiamento<br />
sistemico correlato alla<br />
DE&I verso l’equità<br />
sanitaria e l’istruzione<br />
STEM<br />
5. Pianificare degli obiettivi<br />
di DE&I e seguirne gli<br />
avanzamenti<br />
vanta il 50% di quote rosa nei<br />
leadership team e tra i dirigenti.<br />
Anche in Takeda, dei 50.000<br />
dipendenti del Gruppo, il 52%<br />
è donna. Gli ultimi tre AD in<br />
Italia sono state donne e anche<br />
la metà dei ruoli dirigenziali<br />
è coperto da donne. “Quello<br />
che conta per noi in fase<br />
di colloquio – si legge nelle<br />
interviste rilasciate dall’azienda<br />
– non è il genere ma le hard<br />
e soft skill acquisite”. Takeda,<br />
inoltre, promuove l’ascolto dei<br />
propri dipendenti attraverso<br />
delle survey interne utili per<br />
migliorare l’equilibrio dei tempi<br />
di vita personale e lavorativa.<br />
Anche Sanofi si è fatta notare,<br />
lanciando ad aprile <strong>2022</strong> il<br />
suo DE&I board, il primo nel<br />
suo genere nell’industria<br />
farmaceutica ad avere<br />
consulenti esterni.<br />
Il Consiglio DE&I di Sanofi<br />
include tre delle voci più<br />
influenti nello spazio DE&I<br />
come membri del consiglio<br />
nominati per tre anni: lo<br />
psicologo John Amaechi,<br />
l’imprenditrice sociale Caroline<br />
Casey e la pioniera DE&I e<br />
rinomata leader di pensiero<br />
Rohini Anand. Il Consiglio DE&I<br />
è composto da undici membri,<br />
tra cui sette membri della<br />
leadership di Sanofi, si riunirà<br />
tre volte all’anno e comunicherà<br />
i progressi sugli obiettivi 2025<br />
su base trimestrale.<br />
UN VANTAGGIO<br />
COMPETITIVO<br />
Le realtà qui citate sono solo<br />
alcune: il tema dell’inclusione<br />
e della diversità è trattato da<br />
molte aziende che pubblicano<br />
sui propri siti comunicati<br />
stampa o manifesti in cui<br />
sintetizzano i loro valori<br />
e i loro obiettivi. Angelini,<br />
Zentiva, ViiV healthcare e<br />
GSK sono solo alcune di<br />
esse. Secondo McKinsey<br />
e Co., più un’azienda è<br />
diversificata, maggiori sono<br />
le possibilità di successo<br />
duraturo. La diversità non<br />
dovrebbe essere vissuta solo<br />
come una parola alla moda:<br />
è un driver di prestazioni<br />
che supporta le aziende nel<br />
prendere decisioni rapide e<br />
accurate. In particolare nel<br />
settore sanitario, la diversità è<br />
sinonimo di rappresentazione,<br />
comprensione e condivisione<br />
di ciò per cui si sta lavorando.<br />
28
makinglife | novembre <strong>2022</strong><br />
Il vocabolario DE&I<br />
Sebbene ci siano molte definizioni e concetti intorno alla diversità e all’inclusione, proponiamo di seguito alcuni significati<br />
generali.<br />
• DIVERSITÀ<br />
La diversità è spesso indicata in termini di gruppi etnici, genere e identità sessuale, età, capacità fisiche e orientamento<br />
sessuale rappresentati all’interno di un gruppo definito.<br />
• INCLUSIONE<br />
L’inclusione si riferisce generalmente alle pratiche che coinvolgono e autorizzano le persone a partecipare, essere<br />
riconosciute e realizzare il loro potenziale.<br />
• DIVERSITÀ SUL POSTO DI LAVORO<br />
La diversità sul posto di lavoro si riferisce spesso alla coltivazione del talento e alla promozione della piena inclusione<br />
dell’eccellenza in tutto lo spettro sociale. Ciò include persone provenienti da contesti tradizionalmente sottorappresentati<br />
in aree come la forza lavoro manageriale, scientifica e STEM, nonché quelli provenienti da contesti tradizionalmente ben<br />
rappresentati.<br />
• UGUAGLIANZA<br />
L’uguaglianza in genere si riferisce all’applicazione di metodi di trattamento identici per tutti e alla garanzia che ognuno<br />
possa accedere alle stesse opportunità, status e diritti.<br />
• EQUITÀ<br />
L’equità si riferisce comunemente alla nozione di giustizia e rappresentanza proporzionale. Si tratta di un fattore che<br />
consente l’attribuzione o il riconoscimento di ciò che spetta al singolo in base a una interpretazione umana e non letterale<br />
della giustizia.<br />
29
Capire l’inclusione<br />
Per il<br />
coinvolgimento<br />
delle diversità<br />
nei posti di lavoro,<br />
oltre ad alcune<br />
difficoltà pratiche,<br />
vi sono diverse<br />
questioni teoriche<br />
ancora poco<br />
dibattute<br />
Alberto Bobadilla<br />
Come in tanti altri ambiti, anche nelle aziende le posizioni di<br />
potere tendono a escludere certe categorie di persone. È ben<br />
noto che le donne ai vertici nelle diverse professioni restano<br />
una minoranza un po’ in tutto il mondo; allo stesso modo,<br />
alcune etnie risultano sistematicamente sottorappresentate e il<br />
problema si manifesta in modo ancor più evidente in quei Paesi<br />
in cui la popolazione generale è invece fortemente multietnica.<br />
Quanto alle minoranze dal punto di vista dell’orientamento o<br />
dell’identità sessuale, solo di recente e solo in alcune parti del<br />
mondo hanno ottenuto diritti sociali, ma assai raramente sono<br />
venute alla luce le difficoltà che incontrano nel mondo del lavoro.<br />
Le disabilità e le disuguaglianze socio-economiche sono altri<br />
fattori che creano ostacoli spesso insormontabili alla piena<br />
realizzazione professionale.<br />
INCLUSIONE, CREATIVITÀ<br />
E PROFITTI<br />
Già da tempo, le aziende più importanti hanno iniziato a<br />
interrogarsi sulla gestione delle diversità e a muoversi in<br />
direzione di una maggiore inclusione. È tuttavia un percorso<br />
lungo, in cui l’Italia, e in particolare le piccole e medie imprese,<br />
scontano un grave ritardo.<br />
Il tema del diversity & inclusion management è molto complesso<br />
e difficile da mettere in pratica ma molti osservatori hanno fatto<br />
notare che un’organizzazione che si muove in direzione di una<br />
maggiore etica può ottenere in cambio anche importanti ricadute<br />
economiche, sostenute da un miglioramento dell’immagine<br />
aziendale, una maggiore fidelizzazione dei dipendenti e dei<br />
clienti e una forza lavoro sottoposta a minore stress e quindi in<br />
grado di lavorare meglio e generare una gamma più ampia di<br />
idee e soluzioni.<br />
I diversi punti di vista espressi da quei soggetti che<br />
tradizionalmente risultano esclusi dai processi decisionali<br />
contribuiscono all’innovazione e al cambiamento. Al giorno<br />
d’oggi, i cambiamenti tecnologici e sociali continuano a<br />
modificare gli scenari in ogni settore lavorativo. In questo<br />
contesto, le organizzazioni hanno un grande bisogno del giudizio<br />
umano, dell’empatia, della passione e della creatività di tutte le<br />
loro risorse umane di cui dispongono per affrontare le sfide di<br />
un mercato sempre più esigente. Studi accademici, così come<br />
il lavoro condotto da società di reclutamento e consulenza,<br />
mostrano che le organizzazioni che hanno implementato<br />
programmi di diversità e inclusione tendono a migliorare la<br />
propria competitività.<br />
Diversità e inclusione sono due concetti interconnessi, ma<br />
tutt’altro che intercambiabili. Un ambiente in cui sono presenti<br />
molte etnie, nazionalità e persone con orientamenti e identità<br />
sessuali diversi ma nel quale solo le prospettive di determinati<br />
gruppi sono valutate o hanno autorità e influenza può essere<br />
considerato diverso, ma non è certamente inclusivo, dato che<br />
l’inclusione riguarda il modo in cui i contributi, la presenza e<br />
le prospettive di diversi gruppi di persone sono integrati nei<br />
processi organizzativi. Un ambiente di lavoro diversificato e<br />
inclusivo fa sì che tutti, indipendentemente da chi siano o da<br />
cosa facciano per l’azienda, si sentano ugualmente coinvolti e<br />
supportati in tutte le aree del posto di lavoro. Che “tutte le aree”<br />
siano rappresentate è importante: se la metà dei dipendenti sono<br />
donne ma i dirigenti sono tutti uomini, evidentemente esiste un<br />
problema di inclusione.<br />
IL CONCETTO DI “DIVERSO”<br />
“Allo scopo di ampliare la partecipazione di gruppi storicamente<br />
confinati ai margini, occorre cambiare una logica che considera<br />
questi gruppi oggetti e non soggetti”. È questo il punto di<br />
partenza di un gruppo di studiose di diversi atenei brasiliani<br />
che si sono proposte di delineare un’agenda che porti a una<br />
trasformazione del mondo del lavoro più inclusiva e rispettosa<br />
delle numerose differenze tra le persone che formano le società<br />
del nostro tempo (*).<br />
Le autrici si richiamano al concetto di intersezionalità,<br />
storicamente utilizzato con accezioni differenti ma che in ogni<br />
caso tende ad analizzare le differenze e le divisioni presenti nella<br />
30
makinglife | novembre <strong>2022</strong><br />
società, a partire dalle “classi” ma estendendosi a numerosi altri<br />
elementi come il genere, l’etnia, le disabilità, la sessualità, l’età,<br />
talvolta combinati secondo modelli multifattoriali.<br />
«Inizialmente – scrivono – dobbiamo considerare che la nostra<br />
idea di ciò che è diverso si è formata a partire da coloro che,<br />
nelle nostre società, si sono configurati come “la norma”. Da una<br />
prospettiva intersezionale, quindi, quegli elementi che ci sono<br />
stati raccontati come “norma” hanno bisogno di essere snaturati.<br />
Questo tema dovrebbe essere aperto al dibattito, nella misura<br />
in cui anche la logica costitutiva delle istituzioni possa essere<br />
messa in discussione e mostrata come un punto di vista: quindi<br />
singolare e non universale».<br />
Molti studiosi si sono mossi in questa direzione: se Frantz Fanon<br />
ha affermato che “sono stati i bianchi a creare i neri”, Edward<br />
Said ha evidenziato le modalità con cui l’Occidente ha elaborato<br />
una rappresentazione dispregiativa dell’Oriente, mentre Maria<br />
Lugones ha denunciato una colonialità di genere che si è<br />
mantenuta nonostante il tramonto politico del colonialismo.<br />
faticano anche a essere riconosciute a livello teorico e quindi<br />
portate all’attenzione. Se, ad esempio, in gran parte come<br />
risultato di provocazioni dal campo del femminismo nero, i<br />
temi legati alle popolazioni nere sono stati oggetto di dibattito,<br />
così non è accaduto spesso riguardo alle popolazioni indigene<br />
presenti in varie parti del mondo e ad altri gruppi razziali<br />
minoritari. I conflitti nei territori arabi e asiatici sono ancora<br />
raramente rappresentati, sia nei media generalisti che nei<br />
dibattiti degli specialisti. Si discute poco, inoltre, degli effetti<br />
dell’invecchiamento nelle amministrazioni o di cosa significa<br />
invecchiare in un contesto in cui il tempo è considerato una<br />
variabile da controllare.<br />
Infine, molti degli studi sulla diversità si svolgono nel contesto<br />
urbano. Lavoratori rurali maschi e femmine, processi<br />
organizzativi che sono messi in atto nei lavori che si svolgono<br />
nelle campagne, e le differenze tra i vari contesti rurali sono<br />
ancora poco studiati relativamente al tema della diversità.<br />
INDIVIDUARE LA DISCRIMINAZIONE<br />
Non soltanto le pratiche di inclusione sono evidentemente<br />
carenti in molte organizzazioni, ma alcune discriminazioni<br />
Riferimenti<br />
(*) Teixeira, J. C., Oliveira, J. S. D., Diniz, A., & Marcondes, M. M. (2021). Inclusion<br />
and diversity in management: a manifesta for the future-now. Revista de<br />
Administração de Empresas, 61.<br />
Le grandi aziende che aprono la strada<br />
Che politiche aziendali inclusive possano riflettersi sui risultati economici è bene evidenziato da quanto accaduto alla Qantas.<br />
Nel 2013, la compagnia aerea australiana ha fatto registrare una perdita di 2,8 miliardi di dollari australiani (circa 1,8 miliardi<br />
di euro, al cambio attuale) e, dopo soli quattro anni, un profitto di 850 milioni (circa 550 milioni). L’amministratore delegato Alan<br />
Joyce, che si identifica apertamente come gay, ha dichiarato che tra i fattori di successo ha influito il fatto di «avere un ambiente<br />
molto diversificato e una cultura molto inclusiva». Secondo Joyce, quelle caratteristiche «ci hanno fatto attraversare tempi<br />
difficili, [...] la diversità ha generato una strategia migliore, una più efficace gestione del rischio, dibattiti più aperti e approfonditi<br />
e, in ultima analisi, risultati migliori».<br />
Diverse altre aziende di rilevanza internazionale, comunque, stanno aprendo nuovi orizzonti, mettendo in atto una varietà di<br />
strategie che pongono diversità, inclusione ed equità al centro delle loro organizzazioni.<br />
«Oggi il nostro comitato esecutivo, che comprende i riporti diretti all’amministratore delegato e al presidente, è composto per il<br />
38% da donne – ha affermato Tina Mylon, vicepresidente senior “Talento e diversità” presso la Schneider Electric. – Possiamo<br />
fare di meglio, ma siamo contenti dei progressi. Inoltre, vale la pena notare che tre dei nostri cinque mercati aziendali sono<br />
guidati da donne. Abbiamo circa 140.000 dipendenti. Sappiamo che diversità, equità e inclusione sono alcuni dei principali fattori<br />
di coinvolgimento della nostra forza lavoro. È per questo che vengono a lavorare per noi ed è per questo che rimangono».<br />
La multinazionale francese dichiara cinque priorità a livello globale in tema di inclusione, che riguardano genere, generazione,<br />
nazionalità/etnia, Lgbt+ e disabilità. Considerate alcune delle vicende accadute nel 2020 in mercati chiave come gli Stati Uniti,<br />
affrontare l’equità razziale e i temi del razzismo sistemico è diventato fondamentale per l’azienda. «Continueremo anche<br />
il nostro lavoro per migliorare l’inclusione dei dipendenti con disabilità, responsabilizzando donne e la crescente diversità<br />
generazionale», ha promesso Mylon.<br />
David Rodriguez, fino a un anno fa vicepresidente alla Marriott International, la multinazionale statunitense che gestisce e<br />
concede in franchising strutture alberghiere in tutto il mondo, ha dichiarato che la «nozione di opportunità inclusiva e rispetto<br />
per chi ha opinioni diverse è stata parte integrante dell’esistenza e della cultura dell’azienda fin dalla sua fondazione, nel 1927».<br />
Ma un tema come questo non si risolve una volta per tutte e richiede un aggiornamento continuo: in riferimento al riaccendersi<br />
della questione razziale ha detto che «gli eventi accaduti di recente sono uno scioccante promemoria per tutti che anche in un<br />
Paese grande come gli Stati Uniti, il successo non è mai acquisito in modo definitivo».<br />
31
Multiculturalismo,<br />
inclusività e<br />
performance<br />
aziendali<br />
32<br />
Thomas Carganico<br />
Marketing & communication director e<br />
Senior associate partner di PQE Group<br />
LE RICERCHE DICONO CHE<br />
UN ELEVATO LIVELLO DI<br />
DIVERSITÀ IN AZIENDA<br />
È ASSOCIATO A UNA<br />
MAGGIOR COMPETITIVITÀ.<br />
ALL’OPPOSTO,<br />
TRASCURARE LE<br />
DIFFERENZE CULTURALI<br />
PUÒ RAPPRESENTARE<br />
UN ERRORE FATALE,<br />
SOPRATTUTTO SE SI<br />
OPERA IN UN CONTESTO<br />
INTERNAZIONALE<br />
Profumi, accenti e insegne nei<br />
negozi: tutto nelle nostre città parla<br />
di multiculturalità. E da un mondo<br />
che vede i suoi confini sempre più<br />
assottigliarsi, le nostre aziende possono<br />
trarre considerevoli benefici così come<br />
incappare in notevoli rischi.<br />
Gestire un squadra è una grande<br />
responsabilità poiché ogni singolo team è<br />
essenziale per le performance aziendali.<br />
È necessario saper motivare, parlare<br />
con trasparenza e creare un ambiente<br />
di lavoro stimolante ma al contempo<br />
sfidante. E se non è una cosa semplice<br />
gestire un individuo singolo, gestire un<br />
team lo è ancora meno. Quando poi<br />
la propria squadra è eterogenea dal<br />
punto di vista culturale è fondamentale<br />
evitare di incappare in un grave pericolo:<br />
pensare che esista un solo approccio, il<br />
proprio, per rapportarsi e relazionarsi,<br />
applicandolo in maniera universale.<br />
Un errore grave.<br />
LA PUNTA<br />
DELL’ICEBERG<br />
Prima di tutto tracciare i confini della<br />
definizione di cultura non è un esercizio<br />
semplice. Siamo infatti di fronte a una<br />
nozione polimorfa, poiché si differenzia in<br />
base alle epoche e ai luoghi in cui viene<br />
studiata e, al contempo, relativa perché si<br />
analizza sempre a confronto con un’altra<br />
cultura. Non ci addentreremo oltre nello<br />
studio e nella storia della multiculturalità<br />
perché ciò che mi preme sottolineare in<br />
questa sede è la necessaria attenzione<br />
alla gestione delle differenze culturali.<br />
Ogni cultura, infatti, può essere<br />
rappresentata secondo il modello iceberg:<br />
solo una porzione molto piccola – circa<br />
il 10% – può essere vista al di sopra<br />
della linea di galleggiamento. Sono gli<br />
artefatti, costituiti da elementi facilmente<br />
individuabili tramite l’osservazione<br />
come vestiti, cibo, architettura e festività.<br />
Tuttavia questi fattori altro non sono che<br />
mera espressione della base dell’iceberg.<br />
Andando a cercare sotto la punta, emerge<br />
infatti un livello più profondo che giunge<br />
fino alla base dove si trovano i pilastri<br />
stessi della cultura: le idee e i valori<br />
condivisi dall’intera società, che plasmano<br />
il pensiero e il comportamento dei suoi<br />
membri. Una sezione più importante<br />
ma più difficilmente riconoscibile poiché<br />
si trova sommersa, sotto la linea di<br />
galleggiamento. Il modello dell’iceberg<br />
evidenzia come le parti visibili della<br />
cultura siano mera espressione delle<br />
parti invisibili mettendo in luce quanto<br />
sia difficile, a volte, comprendere<br />
persone con diversi background culturali.<br />
Possiamo individuare le parti visibili<br />
del loro “iceberg”, ma non possiamo<br />
immediatamente scorgere le basi su cui<br />
poggiano.<br />
TEAM<br />
MULTICULTURALI<br />
La cultura è un aspetto integrante di noi<br />
stessi e, più di quanto ci rendiamo conto,<br />
agiamo in accordo con i suoi paradigmi.<br />
Questo in azienda può portare a dei<br />
conflitti. Ad esempio, la gestione del<br />
tempo può variare in maniera sensibile<br />
a seconda del Paese in cui ci troviamo.<br />
In Germania è data grande rilevanza alla<br />
puntualità e il ritardo viene considerato<br />
irrispettoso. Così non avviene in altri<br />
Paesi, come in India, dove addirittura<br />
presentarsi in orario potrebbe essere<br />
considerato scortese. Anche le riunioni si<br />
svolgono in modo diverso a seconda della<br />
cultura. In Asia il leader è responsabile<br />
della riunione e la conduce. In paesi<br />
come il Canada o gli Stati Uniti, invece,<br />
i meeting sono più interattivi: tutti<br />
sono coinvolti e tutti danno pareri. In<br />
questo modo, un dipendente canadese<br />
in un’azienda asiatica potrebbe avere<br />
difficoltà a comprendere la cultura locale<br />
dell’azienda e apparire maleducato nei<br />
confronti del manager. Ma, d’altro canto,<br />
un collaboratore asiatico in un meeting<br />
canadese potrebbe essere etichettato<br />
come poco interessato o privo di idee. Una<br />
sfida comunicazionale davvero enorme<br />
per chi lavora con team multiculturali.
makinglife | novembre <strong>2022</strong><br />
LE INSIDIE<br />
DELLA LINGUA<br />
Infatti, molte problematiche possono<br />
accadere su un piano meramente<br />
linguistico poiché le persone<br />
semplicemente non parlano la stessa<br />
lingua. Per quanto nel mondo corporate<br />
sia utilizzato l’inglese per comunicare<br />
tra team, non tutti ne hanno conoscenza<br />
allo stesso livello. Da questo punto di<br />
vista ritengo importante sottolineare<br />
che le incomprensioni non nascono<br />
esclusivamente da chi ha una conoscenza<br />
linguistica meno approfondita. Ad<br />
esempio, come società di consulenza, ci<br />
è capitato più volte che clienti di lingue<br />
romanze ci richiedessero collaboratori<br />
non madrelingua inglese poiché questi<br />
erano di troppa difficile comprensione<br />
per via della velocità e dell’utilizzo di<br />
vocaboli non di uso comune. Questi tipi<br />
di malintesi, tuttavia, sono marginali e<br />
allocabili nella parte superiore e visibile<br />
dell’iceberg.<br />
Più difficilmente risolvibili, se non<br />
conosciute, sono invece le incomprensioni<br />
che nascono alla base del “nostro<br />
iceberg”. Culture differenti portano con<br />
sé un bagaglio di convenzioni e pratiche<br />
linguiste differenti, così come diversi<br />
stili e comportamenti comunicativi.<br />
Potremmo, ad esempio, suddividere<br />
la comunicazione in due tipologie: a<br />
basso contesto e ad alto contesto. La<br />
prima utilizza un linguaggio diretto ed<br />
esplicito e la chiarezza, qui, assume<br />
un ruolo fondamentale. Così, in Paesi<br />
come Scandinavia, Svizzera e Germania<br />
“viene esplicitato ciò che si vuole e si<br />
intende ciò che si vuole”. Mentre per<br />
quanto riguarda le culture che utilizzano<br />
una comunicazione ad alto contesto,<br />
come in Giappone, Medio Oriente, Sud<br />
America e l’Italia stessa, ciò che viene<br />
detto non è sempre ciò che si vuole. Anzi,<br />
di fondamentale importanza qui è saper<br />
legger il contesto in cui il dialogo avviene,<br />
sapendo cogliere tutte le cose non dette e<br />
gli sguardi impliciti.<br />
Esistono inoltre due stili di comunicazione<br />
differenti: affettivo e neutro. Mentre<br />
in Italia, Francia o nelle Filippine,<br />
tendenzialmente ritroviamo comunicatori<br />
affettivi che tendono a mostrare le proprie<br />
emozioni e i propri pensieri attraverso un<br />
linguaggio verbale e non, nei Paesi Bassi,<br />
in Polonia e in Svezia, i comunicatori<br />
preferiscono freddezza e autocontrollo ed<br />
evitano linguaggi non verbali come i gesti.<br />
INCLUSIVITÀ E<br />
PERFORMANCE<br />
AZIENDALI<br />
Le sfide che impone la multiculturalità<br />
in azienda sono tante. Ognuno di<br />
noi inevitabilmente porta con sé il<br />
proprio bagaglio culturale e una sorta<br />
di pregiudizio di natura innocente.<br />
Attraverso la conoscenza delle altre<br />
culture e abbattendo i propri bias<br />
cognitivi si possono tuttavia trarre<br />
enormi benefici dal lavoro in team<br />
eterogenei. Così come avviene per la<br />
diversità di genere. Dall’ultimo report<br />
in materia, condotto da McKenzey, si<br />
rileva che le aziende nel primo quartile<br />
di diversità di genere nei team esecutivi<br />
hanno il 25% di probabilità in più di<br />
registrare una redditività superiore<br />
alla media rispetto alle aziende di pari<br />
livello nel quarto quartile. Un dato in<br />
aumento rispetto alle due precedenti<br />
indagini dove si individuava il 21% nel<br />
2017 e il 15% nel 2014. Non solo. Lo<br />
stesso report ha riscontrato come un<br />
maggiore livello di diversità in azienda<br />
sia proporzionale alla probabilità di<br />
sovraperformance. Le aziende nei cui<br />
team esecutivi vi sono il 30% di donne<br />
hanno una probabilità significativamente<br />
maggiore di superare quelle con un<br />
numero di donne compreso tra il 10 e<br />
il 30%. Così come queste ultime hanno<br />
una probabilità maggiore di superare<br />
quelle aziende con un numero di donne<br />
dirigenti inferiore o nullo. Di fatto, c’è un<br />
sostanziale differenziale di performance<br />
(48%) tra le aziende dove è presente<br />
una maggiore o una minore diversità<br />
di genere. Ho deciso in questo breve<br />
intervento di non parlare di quelli che<br />
ritengo i pilastri necessari per ogni<br />
impresa quali la centralità dell’uomo, la<br />
dignità della persona e la costruzione<br />
di team che possano definirsi una<br />
comunità inclusiva, aperta e viva.<br />
Tuttavia mi piacerebbe concludere con<br />
una domanda posta da Adriano Olivetti,<br />
all’inaugurazione del suo stabilimento,<br />
nel 1955: “Può l’industria darsi dei<br />
fini? Si trovano questi semplicemente<br />
nell’indice dei profitti? Non vi è al di<br />
là del ritmo apparente qualcosa di<br />
più affascinante, una destinazione,<br />
una vocazione anche nella vita di una<br />
fabbrica?”. Oggi nel <strong>2022</strong>, prendendo<br />
in esame i rapporti sulle perfomance<br />
aziendali abbiamo una risposta certa: sì,<br />
anzi si deve.<br />
33
D&I<br />
se non le misuri,<br />
non le migliori<br />
Diversi studi hanno dimostrato<br />
l’importanza di diversità e<br />
inclusione per la competitività<br />
delle aziende ma questi due fattori<br />
vengono spesso trascurati nella<br />
misurazione delle performance<br />
Valentina Guidi<br />
34
makinglife | novembre <strong>2022</strong><br />
Non si può migliorare ciò che non si può misurare ma non<br />
è sempre semplice capire come quantificare un parametro,<br />
come nel caso della diversità e dell’inclusione, due concetti<br />
che sembrano ben lontani dagli strumenti di misura ma<br />
che sono allo stesso tempo sempre più importanti per il<br />
successo di un’azienda. Insieme a parole come leadership,<br />
performance e produttività, infatti, questi due termini<br />
ricorrono nel vocabolario dell’impresa che vuole essere<br />
aggiornata e competitiva nel XXI secolo.<br />
COMPETITIVITÀ NEL MONDO<br />
GLOBALIZZATO<br />
Viviamo in un mondo globalizzato. Questo è chiaro da<br />
decenni e recentemente è balzato agli occhi di tutti,<br />
quando in pochi mesi un virus ha raggiunto praticamente<br />
ogni punto del globo. Ma il modo profondo in cui questo<br />
fenomeno influenza la nostra società e i processi aziendali<br />
può a volte risultarci inedito. L’interconnessione tra Paesi<br />
e continenti non ha a che fare solo con le dinamiche<br />
commerciali delle aziende che si affacciano sul mercato<br />
globale, ma anche con i meccanismi aziendali interni di<br />
tutte le altre. Diversità e inclusione sono infatti concetti<br />
importanti per cercare le strategie giuste che soddisfino<br />
clienti culturalmente e geograficamente distanti, ma anche<br />
per trattenere i migliori talenti che possono essere persone<br />
sempre più diverse fra loro.<br />
Per comprendere il significato di diversità e inclusione<br />
bisogna innanzitutto distinguere tra i due termini<br />
che, anche se possono sembrare simili, sono invece<br />
essenzialmente differenti. La diversità ha a che fare<br />
con le caratteristiche visibili e invisibili che variano da<br />
persona a persona. Non si parla solo di età, genere e credo<br />
religioso. La diversità comprende anche nazionalità, etnia,<br />
orientamento sessuale, capacità fisiche, competenze<br />
tecniche, fino ad arrivare a caratteristiche inafferrabili<br />
come la mentalità e tutto quello che rende unico l’apporto<br />
al lavoro di ognuno di noi. L’inclusione è invece un concetto<br />
legato alla possibilità per ciascuno di essere coinvolto nei<br />
processi aziendali e decisionali e di accedere a risorse e<br />
informazioni, così da poter esprimere il proprio massimo<br />
potenziale.<br />
Diversi studi hanno dimostrato l’importanza di diversità e<br />
inclusione per le aziende, in particolare per la performance<br />
organizzativa. La capacità dell’azienda di raggiungere<br />
i propri obiettivi viene infatti influenzata da questi due<br />
parametri sia direttamente, sia indirettamente attraverso<br />
il loro peso su altri aspetti come i valori aziendali, i<br />
comportamenti, l’innovazione, la reputazione. Cambiare<br />
mentalità e riconoscere l’importanza di diversità e<br />
inclusione non è sempre facile ma capire e misurare questi<br />
due parametri può fare la differenza in termini di successo<br />
e competitività.<br />
L’ESEMPIO DI NOVARTIS<br />
Novartis è da anni impegnata sul fronte della diversità e<br />
dell’inclusione, tanto da farle rientrare nel proprio codice<br />
etico sotto forma di parametro D&I e da adottare un modello<br />
teorico per analizzare in modo qualitativo e quantitativo la loro<br />
influenza sugli indicatori della performance organizzativa.<br />
Lo strumento scelto da Novartis per condurre questo studio è<br />
un sondaggio somministrato periodicamente a livello globale.<br />
Le risposte al questionario vengono poi legate a una serie di<br />
indici e criteri: oltre a diversità e inclusione, vengono valutati<br />
quelli connessi alla performance organizzativa (OP) – cioè<br />
produttività, innovazione, performance individuale, qualità,<br />
persone – e quelli legati ai valori e ai comportamenti aziendali<br />
(V&B), vale a dire eccellenza, coraggio, raggiungimento degli<br />
obiettivi, collaborazione, pensiero creativo, integrità.<br />
A questo punto la valutazione dei parametri in modo incrociato,<br />
effettuata analizzando matematicamente le condizioni<br />
necessarie e sufficienti a produrre un certo esito, permette<br />
di ottenere una misurazione del peso dei vari criteri e in<br />
particolare quello di diversità e inclusione sugli altri parametri<br />
aziendali.<br />
Considerando il sondaggio somministrato tra aprile e giugno<br />
2020 in Svizzera, Austria, Olanda e Portogallo, i risultati<br />
dell’analisi mostrano matematicamente l’influenza di diversità<br />
e inclusione sulla performance organizzativa, in particolare<br />
sugli indicatori qualità e innovazione. I quattro Paesi scelti<br />
per l’analisi, inoltre, hanno caratteristiche che li rendono<br />
culturalmente differenti: questo si è riflesso sulle risposte<br />
al questionario e ha permesso di osservare come i fattori<br />
culturali influenzino il modo in cui si percepiscono la diversità e<br />
l’inclusione e come vengono perseguite a livello aziendale.<br />
UNA LUNGA STRADA<br />
DA PERCORRERE<br />
Nonostante l’importanza di diversità e inclusione, però, spesso<br />
le aziende preferiscono rimanere focalizzate su indicatori<br />
più tradizionali come la performance, la produttività e la<br />
qualità, ignorando che occuparsi di diversità e inclusione<br />
avrebbe un impatto positivo su quegli stessi indicatori. E<br />
anche quando i due parametri vengono gestiti attivamente, si<br />
tende ad applicarli solo a iniziative globali e di comunicazione<br />
mentre policy specifiche, ad esempio relative al percorso di<br />
reclutamento, vengono implementate più raramente. Oltre<br />
a comprendere l’importanza della misurazione di diversità<br />
e inclusione, quindi, forse occorre smarcarsi dalla logica,<br />
seppur importante, di incentivare un ambiente eterogeneo<br />
ed egualitario per evitare discriminazioni e passare a un<br />
atteggiamento attivo e positivo che comprende l’utilità e<br />
l’importanza di un simile ambiente.<br />
Nonostante in alcuni casi si sia ancora lontani da una sua piena<br />
attuazione, quello della diversità è un concetto che è approdato<br />
35
ormai da tempo nel mondo aziendale. Se pensiamo ad esempio<br />
all’età come fattore di diversità, al giorno d’oggi coesistono<br />
lavoratori attivi di almeno tre generazioni: baby-boomer (1946-<br />
1964), generazione X (1965-1980) e millenial (1981-1999).<br />
L’aspetto culturale è un altro fattore rilevante, se si pensa che<br />
in un Paese come gli Stati Uniti circa il 40% della forza lavoro<br />
appartiene a minoranze etniche. Anche l’orientamento sessuale<br />
è una fonte di diversità diffusa: sempre negli Stati Uniti si<br />
stima che dal 10 al 14% della forza lavoro sia omosessuale o<br />
bisessuale, che si parli di uomini o donne.<br />
Diversa è invece la questione per l’inclusione, concetto più<br />
recente e meno conosciuto. Le aziende possono essere<br />
popolate da persone ricche di differenze ma a ciascuna<br />
di loro è garantito lo stesso livello di coinvolgimento nelle<br />
dinamiche aziendali, la stessa possibilità di carriera e lo stesso<br />
riconoscimento per il lavoro svolto? Per sfruttare al massimo<br />
i vantaggi di un contesto aziendale diverso, l’inclusione è<br />
indispensabile: solo così si potrà trarre beneficio dalle capacità<br />
e dalle skill eterogenee a disposizione.<br />
RIFERIMENTI<br />
De Oliveira Ripado L. M. A. I., Diversity and Inclusion and its impact on<br />
organizational performance case study at Novartis. Tesi di dottorato - Istituto<br />
per la Ricerca e la Formazione Avanzata dell’Università di Evora. 2021<br />
Indici e criteri per misurare D&I<br />
Complessivo D&I (Diversità e inclusione)<br />
Diversità<br />
Inclusione<br />
L'insieme delle caratteristiche visibili e invisibili che variano da individuo a individuo<br />
come età, genere, credo religioso, nazionalità, etnia di appartenenza, orientamento<br />
sessuale, capacità fisiche, competenze tecniche, mentalità<br />
Possibilità per ciascuno di essere coinvolto nei processi aziendali e decisionali e di<br />
accedere a risorse e informazioni, in modo da poter esprimere il proprio massimo<br />
potenziale individuale a livello lavorativo<br />
V&B (Valori e comportamenti)<br />
Integrità<br />
Eccellenza<br />
Collaborazione<br />
Raggiungimento degli obiettivi<br />
Coraggio<br />
Pensiero creativo<br />
Essere professionali e avere valori morali e comportamentali virtuosi<br />
Focus sulla qualità nel lavoro e nei comportamenti<br />
Saper interagire positivamente e comunicare per creare un ambiente lavorativo<br />
collaborativo<br />
Avere una buona performance lavorativa e riuscire a raggiungere le proprie ambizioni<br />
Saper esprimere la propria opinione e fornire feedback, idee, suggerimenti, dubbi,<br />
opinioni<br />
Saper essere innovativi e accogliere il cambiamento<br />
OP (Performance organizzativa)<br />
Produttività<br />
Innovazione<br />
Performance individuale<br />
Qualità<br />
Persone<br />
Efficienza lavorativa, quanto si riesce a produrre a parità di input<br />
Saper cercare opportunità di cambiamento che creino valore<br />
Saper contribuire al raggiungimento degli obiettivi aziendali<br />
Saper rispondere ai bisogni di clienti e pazienti nel modo migliore possibile<br />
Sviluppo del proprio profilo professionale e personale, soddisfazione e tendenza a<br />
rimanere all'interno dell'organizzazione<br />
36
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makinglife | novembre <strong>2022</strong><br />
14° Edizione Conferenza<br />
Science for Peace and Health<br />
SONO, SEI, È.<br />
PROSPETTIVE DELLA SCIENZA<br />
SU SESSO, GENERE E IDENTITÀ<br />
11 novembre <strong>2022</strong><br />
Aula Magna Università Bocconi<br />
Conduzione a cura di Giulia Innocenzi, giornalista<br />
SALUTI ISTITUZIONALI | 9:00 - 9:30<br />
Francesco Billari, Rettore dell’Università Bocconi<br />
Paolo Veronesi, Presidente di Fondazione Umberto Veronesi e<br />
Direttore del Programma di Senologia e Direttore della Divisione di<br />
Senologia Chirurgica dell’Istituto Europeo di Oncologia<br />
Roberto Speranza, Ministro della Salute<br />
Kathleen Kennedy Townsend, Vice-Presidente Science for Peace<br />
KEYNOTE SPEECH<br />
Nadia Murad, Premio Nobel per la Pace 2018<br />
SESSIONE 1 - SESSO E NATURA | 9:30 - 10:30<br />
ORIGINE ED EVOLUZIONE DEI SESSI (round-table)<br />
Chiara Tonelli, Professore Ordinario di Genetica, Dipartimento<br />
di Bioscienze, Università degli Studi di Milano; Presidente del<br />
Comitato Scientifico Fondazione Umberto Veronesi.<br />
Carlo Alberto Redi, Professore di Zoologia, Università degli Studi di<br />
Pavia; Presidente del Comitato Etico Fondazione Umberto Veronesi<br />
Telmo Pievani, Professore Ordinario di Filosofia delle Scienze<br />
Biologiche, Università degli Studi di Padova<br />
DIFFERENZE SESSUALI E CERVELLO (intervento)<br />
Michela Matteoli, Professore ordinario di Farmacologia, Humanitas;<br />
Direttore dell’Istituto di Neuroscienze del CNR<br />
SESSIONE 2 - MEDICINA E GENERE | 10:30 – 12:30<br />
LA SFIDA DELLA MEDICINA DI GENERE (interviste)<br />
Flavia Franconi, già Professore di Farmacologia, Università di<br />
Sassari<br />
Fulvia Signani, Docente di Sociologia di genere, Università di<br />
Ferrara<br />
MEDICINA DI GENERE TRA STATO E IMPRESE (round-table)<br />
Paola Boldrini, Senatrice della Repubblica, Vice Presidente della<br />
Commissione Sanità<br />
Enrica Giorgetti, Direttore generale Farmindustria<br />
Nello Martini, Presidente Fondazione Ricerca & Salute<br />
IMPRESE FARMACEUTICHE E SPERIMENTAZIONI CLINICHE IN<br />
ONCOLOGIA E CARDIOLOGIA (interviste)<br />
Case History Sponsor (contributi video)<br />
PAUSA PRANZO<br />
SESSIONE 3 - DIVERSITÀ E INCLUSIONE | 14:00 – 16:00<br />
TUTELA DELLA SALUTE E DELL’IDENTITÀ DI GENERE (roud-table)<br />
Jiska Ristori, Psicologa psicoterapeuta SOD di Andrologia, Endocrinologia<br />
Femminile e Incongruenza di Genere AOU Careggi (Firenze)<br />
Alessandra D. Fisher, Endocrinologa presso SOD Andrologia,<br />
Endocrinologia e Incongruenza di Genere, AOU Careggi, Presidente<br />
Società Italiana Genere, Identità e Salute (SIGIS)<br />
Matteo Marconi, Istituto Superiore di Sanità Portale Infotrans.it<br />
IL VALORE DELLA DIVERSITÀ (intervista)<br />
Luca Trapanese, attivista, Assessore al Welfare del Comune di Napoli<br />
Cathy La Torre, avvocato, esperta in diritto antidiscriminatorio<br />
DIVERSITÀ E INCLUSIONE NELLE AZIENDE, IN ACCADEMIA,<br />
AMMINISTRAZIONE COMUNALE (roud-table)<br />
Domenico De Masi, Professore Emerito di Sociologia del Lavoro,<br />
Università di Roma “La Sapienza” (introduzione)<br />
Catherine De Vries, Dean and Professor of Political Science, Bocconi<br />
University<br />
Monica Romano, HR specialist e Diversity manager - Vicepresidente della<br />
Commissione Pari Opportunità e Diritti Civili per il Comune di Milano<br />
Case History Sponsor (contributi video)<br />
ART FOR PEACE AWARD <strong>2022</strong><br />
A cura di Denis Curti, Direttore artistico “Casa dei Tre Oci”, Venezia;<br />
Direttore della Galleria STILL, Milano; Presidente del Comitato Artistico<br />
Fondazione Umberto Veronesi<br />
Premio a Céline Sciamma, regista<br />
16:00 – 16:30<br />
SESSIONE 4 - DISEGUAGLIANZE E DIRITTI | 16:30 – 16:50<br />
GENDER EQUALITY IN THE GLOBAL SOCIETY (intervista)<br />
Raquel Fernández, Professor of Economics, New York University<br />
Paola Profeta, Full Professor of Public Economics and Director of the Axa<br />
Research Lab on Gender Equality, Bocconi University<br />
DISEGUAGLIANZE, DIRITTI E CONFLITTI NELLO SCENARIO GLOBALE<br />
(intervista)<br />
Alberto Martinelli, Professore Emerito di Scienza Politica e Sociologia,<br />
Università degli Studi di Milano; Vice Presidente Science for Peace and<br />
Health<br />
APPELLO FINALE 16:50 – 17:00<br />
39
ORIGINE<br />
ED EVOLUZIONE<br />
DEI SESSI<br />
Monica Torriani<br />
Quali sono i<br />
vantaggi della<br />
riproduzione<br />
sessuata che ne<br />
hanno permesso<br />
una così netta<br />
affermazione<br />
nel corso<br />
dell’evoluzione?<br />
Fra gli organismi eucarioti,<br />
categoria alla quale l’uomo<br />
appartiene, è schiacciante la<br />
prevalenza della riproduzione<br />
sessuata rispetto a quella<br />
non sessuata. Ciò suggerisce<br />
la presenza di un vantaggio<br />
evolutivo. Ma il sesso è<br />
associato anche a importanti<br />
costi per le specie: in che<br />
modo e perché abbiamo<br />
raggiunto l’attuale equilibrio,<br />
allora?<br />
Ne parliamo con la<br />
professoressa Chiara<br />
Tonelli, docente di genetica<br />
presso l’Università degli<br />
studi di Milano e presidente<br />
del comitato scientifico di<br />
Fondazione Veronesi.<br />
Sappiamo che il sesso<br />
esiste da almeno due<br />
miliardi di anni e che il<br />
99,9% degli organismi<br />
eucarioti si riproduce<br />
sessualmente. In cosa<br />
consiste il vantaggio<br />
evolutivo di questa<br />
modalità?<br />
Il sesso può essere visto<br />
come un processo che fonde<br />
il materiale genetico di<br />
due individui in un singolo<br />
individuo. Alla base di questa<br />
definizione è quindi presente<br />
lo scambio di materiale<br />
genetico, fenomeno che viene<br />
osservato nel ciclo sessuale<br />
di tutti gli eucarioti. Da un<br />
punto di vista evolutivo, e<br />
quindi anche della selezione<br />
naturale, il successo è<br />
determinato dalla capacità<br />
di un singolo soggetto di<br />
trasmettere i propri geni alle<br />
generazioni future.<br />
Il successo coincide dunque<br />
con la maggior fitness,<br />
intesa non solo come abilità<br />
nell’adattamento ma in<br />
generale come la capacità di<br />
produrre il maggior numero<br />
di figli a loro volta fertili.<br />
In questo quadro, i viventi<br />
hanno la possibilità di<br />
attuare diversi meccanismi<br />
di riproduzione. Esistono, ad<br />
esempio, organismi asessuati<br />
che si autoriproducono.<br />
Le femmine di alcune specie<br />
producono uova che non<br />
richiedono la fecondazione<br />
da parte del maschio. Altre<br />
specie si riproducono per<br />
gemmazione. Poi vi sono<br />
organismi, come la stella<br />
marina, che si riproducono<br />
per partizione: dal corpo<br />
dell’individuo si stacca una<br />
porzione che dà origine a un<br />
nuovo essere.<br />
Rispetto ai meccanismi<br />
finora citati, la riproduzione<br />
sessuale ha una serie di costi<br />
che potrebbero renderla<br />
inefficiente. Il primo costo è<br />
rappresentato dal fatto che la<br />
popolazione che si riproduce<br />
non è tutta quella esistente,<br />
ma solo quella femminile.<br />
In secondo luogo, esiste la<br />
possibilità che non tutte le<br />
femmine riescano a trovare<br />
un maschio per riprodursi.<br />
A questo proposito, vale la<br />
pena richiamare il concetto di<br />
ermafroditismo, caratteristica<br />
di individui che hanno<br />
sviluppato sia gli organi<br />
riproduttivi maschili che<br />
femminili e si riproducono<br />
autofecondandosi. Oltre<br />
a questo meccanismo, un<br />
organismo ermafrodita<br />
può incrociarsi con un altro<br />
ermafrodita: si stabilirà<br />
dunque un contatto fra la<br />
parte femminile del primo e<br />
quella maschile del secondo<br />
e fra la parte maschile del<br />
primo e quella femminile<br />
del secondo. Questo è un<br />
sistema che consente di<br />
massimizzare le possibilità di<br />
incontrare un altro individuo<br />
della stessa specie con cui<br />
riprodursi.<br />
40
makinglife | novembre <strong>2022</strong><br />
Chiara Tonelli, docente di genetica presso l’Università degli studi di Milano<br />
e presidente del comitato scientifico di Fondazione Veronesi.<br />
I costi associati alla<br />
riproduzione sessuale sono<br />
evidenti anche in alcuni<br />
animali, come il pavone<br />
o altri volatili dotati di<br />
un piumaggio variopinto<br />
che li rende più attrattivi<br />
agli occhi delle femmine.<br />
Oltre all’attrattività, questa<br />
caratteristica rende tali<br />
uccelli più riconoscibili<br />
anche da parte dei predatori,<br />
aumentando la probabilità<br />
che siano catturati e uccisi.<br />
Tutto ciò spiega perché il<br />
sesso può essere inefficiente<br />
e costoso, ma in esso è<br />
possibile trovare tracce degli<br />
importanti vantaggi evolutivi<br />
a esso correlati. Il primo<br />
beneficio consiste nella<br />
combinazione di due genomi<br />
provenienti da due genitori<br />
differenti, che consente la<br />
complementazione genica.<br />
Se nel patrimonio genetico<br />
di un genitore è presente<br />
un gene deleterio, l’incrocio<br />
con un individuo sano ne<br />
permette la compensazione.<br />
In secondo luogo, il sesso<br />
consente la messa a fattore<br />
comune di caratteristiche<br />
che offrono maggiore<br />
capacità di adattamento<br />
all’ambiente circostante. E la<br />
ricombinazione dei genomi<br />
permette la propagazione<br />
delle mutazioni favorevoli,<br />
con ricadute positive<br />
in termini di vantaggio<br />
adattativo.<br />
Tutto ciò è stato dimostrato<br />
con un esperimento<br />
condotto su un nematode,<br />
il Caenorhabditis elegans,<br />
un sistema che viene<br />
utilizzato come modello<br />
in laboratorio. I ricercatori<br />
hanno isolato elementi<br />
che si riproducevano<br />
sessualmente ed elementi<br />
in grado di autofecondarsi<br />
e li hanno infettati con la<br />
Serratia marcescens, un<br />
patogeno Gram-negativo.<br />
Dopo alcune generazioni, si è<br />
osservato che le popolazioni<br />
autofecondanti sono giunte<br />
rapidamente all’estinzione,<br />
al contrario di quelle con<br />
riproduzione sessuata,<br />
rimaste stabili malgrado<br />
la presenza del parassita.<br />
Il rimescolamento dei geni<br />
associato alla riproduzione<br />
sessuata ha consentito un<br />
vantaggio adattativo che ha<br />
permesso la sopravvivenza<br />
della specie. Questa è la<br />
ragione per cui da oltre due<br />
miliardi di anni il sesso si<br />
conferma elemento evolutivo<br />
di successo.<br />
Si parla della cosiddetta<br />
ipotesi “Red Queen” per<br />
41
spiegare l’evoluzione dei<br />
sessi: di cosa si tratta?<br />
Il nome deriva da un<br />
personaggio di “Alice nel Paese<br />
delle Meraviglie”, la Regina<br />
Rossa, che nel romanzo<br />
invita a correre per rimanere<br />
sempre nello stesso posto,<br />
ossia metaforicamente<br />
per sopravvivere. Per non<br />
estinguersi in presenza di<br />
competitori o parassiti, a loro<br />
volta in grado di evolvere,<br />
è necessario continuare<br />
a evolvere: è la stessa<br />
conclusione cui si è arrivati con<br />
l’esperimento su C. elegans.<br />
Questo fenomeno viene<br />
spiegato con la coevoluzione<br />
della specie, un fenomeno in<br />
base al quale l’adattamento<br />
di una specie è influenzato<br />
dall’evoluzione di altre.<br />
Possiamo capire meglio<br />
cosa sia la coevoluzione<br />
delle specie con un esempio.<br />
Immaginiamo che l’evoluzione<br />
abbia favorito la nascita di volpi<br />
che corrono più velocemente<br />
dei loro genitori e capaci<br />
quindi di cacciare i conigli<br />
con maggiore efficienza. Fra<br />
i conigli sopravviveranno di<br />
conseguenza gli esemplari<br />
in grado di scappare più<br />
rapidamente. Questo è un<br />
esempio di come l’evoluzione<br />
di una specie sia in grado<br />
di selezionare gli esemplari<br />
migliori anche in un’altra<br />
specie.<br />
L’ipotesi della Regina Rossa<br />
risale al 1973 ed è stata<br />
impiegata per spiegare la<br />
coevoluzione fra ospite e<br />
parassita: per non estinguersi,<br />
una specie deve continuare<br />
a evolvere, mutare. Una<br />
condizione, questa, più<br />
facilmente realizzabile negli<br />
individui a riproduzione<br />
sessuata.<br />
In questo contesto, cosa<br />
avvantaggia i batteri,<br />
organismi dalla capacità di<br />
adattamento così spiccata?<br />
I batteri sono caratterizzati da<br />
un genoma molto semplice,<br />
composto da molti meno<br />
geni rispetto agli organismi<br />
eucarioti: in essi una mutazione<br />
porta a un risultato in tempi<br />
molto più brevi. Inoltre, essi<br />
si riproducono mediante un<br />
meccanismo che potremmo<br />
definire “sessuale”, attraverso il<br />
processo della coniugazione.<br />
Il genoma batterico è formato<br />
da un grosso cromosoma e<br />
da un determinato numero<br />
di plasmidi, in grado di<br />
ricombinare con il cromosoma<br />
principale. I plasmidi possono<br />
essere scambiati con altri<br />
batteri.<br />
Attraverso il meccanismo della<br />
coniugazione, inoltre, il batterio<br />
può copiare e trasmettere<br />
una porzione del proprio<br />
cromosoma ad altri batteri:<br />
questo spiega la facilità con<br />
cui la resistenza a un certo<br />
antibiotico può diffondersi<br />
molto rapidamente in una<br />
popolazione batterica.<br />
I meccanismi che determinano<br />
il sesso nella progenie sono<br />
analoghi fra le diverse specie<br />
di organismi viventi?<br />
Gli organismi eucarioti<br />
possiedono geni che<br />
determinano il sesso.<br />
Ma il sesso può anche<br />
essere determinato da fattori<br />
ambientali che agiscono<br />
secondo diversi meccanismi.<br />
Uno di questi fattori è costituito<br />
dalla temperatura: ad esempio<br />
quella a cui vengono incubate<br />
le uova dei rettili è in grado di<br />
determinare la percentuale di<br />
femmine e di maschi nei piccoli.<br />
Un altro fattore è rappresentato<br />
dall’alimentazione.<br />
La femmina fecondata del<br />
cervo che non è in grado di<br />
alimentarsi a sufficienza<br />
abortisce selettivamente gli<br />
embrioni maschi. Cuccioli<br />
maschi di cervo nati sottopeso<br />
e denutriti non saranno mai<br />
competitivi con i maschi più<br />
robusti in termini riproduttivi.<br />
Cuccioli femmina di dimensioni<br />
limitate, invece, potranno<br />
comunque incrociarsi con<br />
maschi robusti e riprodursi.<br />
Prendiamo ora in<br />
considerazione la componente<br />
genetica della determinazione<br />
del sesso. Essa è basata<br />
sull’esistenza delle due<br />
tipologie di cromosomi, X e Y.<br />
In alcuni mammiferi, il sesso<br />
che porta la coppia di elementi<br />
XX è quello femminile, mentre<br />
l’XY è quello maschile. In<br />
alcuni rettili, uccelli, insetti e<br />
piante si verifica l’opposto.<br />
Nell’uomo, lo sviluppo<br />
dell’embrione è per default<br />
verso il sesso femminile, a<br />
meno che non venga trascritto<br />
un gene (definito SRY)<br />
localizzato sul cromosoma Y,<br />
responsabile dell’attivazione<br />
di una serie di geni a valle che<br />
bloccano il differenziamento<br />
in senso femminile e attivano<br />
quello in senso maschile.<br />
Il gene SRY è stato ritrovato,<br />
con sequenza molto simile<br />
anche se non identica, nelle<br />
alghe brune.<br />
È questa la ragione per<br />
cui le alghe brune sono<br />
un modello interessante<br />
per studiare le origini e<br />
l’evoluzione del meccanismo<br />
di determinazione dei sessi?<br />
In primo luogo, è importante<br />
ricordare che le alghe<br />
hanno riproduzione<br />
sessuata: esistono alghe<br />
di sesso femminile e alghe<br />
di sesso maschile. Un<br />
recente progetto di ricerca<br />
europeo si è concentrato<br />
sulle alghe proprio al fine<br />
di studiare i meccanismi di<br />
determinazione del sesso.<br />
Nel corso della ricerca si è<br />
osservata in questi organismi<br />
la presenza di un gene<br />
caratterizzato da importanti<br />
analogie con il SRY.<br />
Le alghe sono interessanti<br />
da questo punto di vista.<br />
Il loro sviluppo sessuale<br />
è indipendente da quello<br />
degli animali, dai quali si<br />
sono distanziate epoche<br />
prima. Tuttavia, seguono un<br />
meccanismo di riproduzione<br />
sessuale molto simile a<br />
quello dei mammiferi. Questo<br />
suggerisce che la natura<br />
possa avere limitato la scelta<br />
verso alcuni tipi di processi<br />
biologici. Ciò che succede è<br />
che nel corso dell’evoluzione<br />
emergono processi biologici<br />
nuovi, alcuni dei quali hanno<br />
grosso successo, mentre<br />
altri no e per questo vengono<br />
eliminati. Quello del sesso<br />
deve essersi presentato più<br />
volte, finendo con l’essere<br />
selezionato da più specie<br />
perché correlato al vantaggio<br />
maggiore. Sappiamo anche<br />
che la riproduzione sessuale<br />
non comporta un’estensione<br />
del genoma: attraverso gli<br />
studi sulle alghe la comunità<br />
scientifica ha dimostrato che<br />
è sufficiente la presenza di<br />
pochi geni per avviare un<br />
processo di questo tipo.<br />
42
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le ricerche di letteratura e le analisi statistiche incalzano?<br />
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NON È SOLO<br />
QUESTIONE<br />
DI GENERE<br />
Simone Montonati<br />
Tener conto delle differenze<br />
biologiche – e sociali – tra i due<br />
sessi è un passo fondamentale per<br />
tutte le specialità mediche ma è<br />
solo il primo di un lungo percorso.<br />
Destinazione finale: la medicina<br />
personalizzata<br />
Silvia De Francia, ricercatrice in farmacologia all’Università di Torino<br />
Sebbene comunità<br />
scientifica, istituzioni<br />
e autorità regolatorie<br />
internazionali continuino<br />
a ribadire l’importanza<br />
di un approccio clinico<br />
che tenga conto delle<br />
differenze fisiologiche<br />
e sociali tra i sessi, la<br />
medicina genere-specifica<br />
fatica ad affermarsi<br />
e persiste un chiaro<br />
divario nella prevenzione,<br />
nell’insorgenza, nei<br />
trattamenti e negli esiti<br />
delle malattie.<br />
“Vi è una scarsità di ricerca<br />
incentrata sui fattori<br />
razziali-etnici, socioeconomici,<br />
psicosociali e<br />
ambientali che perpetuano<br />
le disparità” afferma<br />
un recente articolo<br />
pubblicato sulla rivista<br />
scientifica “Cells”. Questi<br />
fattori multidimensionali<br />
interagiscono tra loro e<br />
possono influenzare la<br />
risposta farmacologica.<br />
Si tratta di differenze che<br />
coinvolgono sia aspetti<br />
biologici e fisiologici che<br />
psicologici e sociali e<br />
non riguardano solo la<br />
differenza tra i sessi.<br />
«Partiamo da un<br />
chiarimento, evidenziato<br />
anche dalla definizione<br />
che ne dà l’Organizzazione<br />
mondiale della sanità –<br />
spiega Silvia De Francia,<br />
ricercatrice in farmacologia<br />
all’Università di Torino<br />
e autrice del libro “La<br />
medicina delle differenze:<br />
Storie di donne uomini<br />
e discriminazioni”. – La<br />
medicina di genere, o<br />
meglio genere-specifica,<br />
non è una branca<br />
specialistica della<br />
medicina. È, invece, un<br />
diverso approccio che in<br />
tutte le discipline mediche<br />
tiene conto dell’influenza<br />
del sesso e del genere<br />
sullo stato di salute e<br />
di malattia di ciascun<br />
individuo. Questo concetto<br />
si applica naturalmente<br />
anche alla farmacologia,<br />
che rientra nel novero<br />
delle specialità mediche.<br />
Anche la farmacologia<br />
genere-specifica, dunque,<br />
considera l’accezione<br />
biologica – il sesso – e<br />
quella sociale – il genere –<br />
nel paradigma di cura».<br />
Iniziamo dalla biologia:<br />
dal punto di vista<br />
farmacologico che<br />
differenze osserviamo?<br />
Il movimento dei farmaci<br />
all’interno del corpo<br />
segue un percorso in<br />
quattro tappe definito<br />
44
makinglife | novembre <strong>2022</strong><br />
Adme: assorbimento,<br />
distribuzione, metabolismo<br />
ed eliminazione.<br />
Chiaramente le<br />
differenze tra un corpo<br />
biologicamente maschile<br />
e uno biologicamente<br />
femminile ci sono e devono<br />
essere tenute nella giusta<br />
considerazione.<br />
Spesso le discipline sociali<br />
tendono a eliminare le<br />
differenze ma dal punto di<br />
vista della farmacocinetica<br />
le differenze sono<br />
fondamentali perché il<br />
corpo maschile e il corpo<br />
femminile sono costituiti<br />
da componenti differenti<br />
che influiscono su tutte<br />
le tappe del percorso dei<br />
farmaci. Il diverso spessore<br />
e la differente componente<br />
acquosa dello strato<br />
cutaneo nei due sessi, ad<br />
esempio, determina diversi<br />
profili di assorbimento<br />
per la stessa molecola. A<br />
livello di distribuzione, le<br />
proteine carrier - albumina<br />
e glicoproteine – che<br />
trasportano i farmaci<br />
all’interno del corpo<br />
vengono espresse in<br />
modo diverso da uomini<br />
e donne. Anche la fase<br />
metabolica presenta due<br />
panorami profondamente<br />
differenti perché diversa<br />
è l’espressione genetica<br />
dei citocromi, i complessi<br />
multienzimatici che<br />
agiscono a livello epatico<br />
per metabolizzare i<br />
farmaci. Questo fa sì che<br />
la stessa molecola subisca<br />
un metabolismo differente<br />
in donne e uomini, come<br />
avviene, ad esempio,<br />
per la maggior parte dei<br />
farmaci impiegati in ambito<br />
cardiovascolare.<br />
L’eliminazione è un altro<br />
punto dolente: la donna<br />
possiede una minore<br />
capacità di filtrazione<br />
renale e ciò si traduce<br />
in tempi di eliminazione<br />
più lunghi e, quindi,<br />
in mantenimento di<br />
concentrazioni circolanti<br />
spesso più elevate. La<br />
conseguenza diretta,<br />
naturalmente, è una<br />
maggiore frequenza di<br />
eventi di tossicità. Non a<br />
caso le reazioni avverse<br />
da farmaco si riscontrano<br />
principalmente nella<br />
popolazione femminile.<br />
Su tutto questo pesa<br />
ovviamente anche la<br />
carenza di conoscenze<br />
relative alla risposta<br />
ai farmaci nel modello<br />
femminile, visto che gran<br />
parte delle sperimentazioni<br />
sono finora state effettuate<br />
principalmente sul modello<br />
maschile.<br />
Ora l’accezione sociale: in<br />
cosa differiscono sesso e<br />
genere?<br />
Il sesso è una caratteristica<br />
biologica, frutto della<br />
componente genetica che,<br />
fin dalla nascita, influenza<br />
la nostra risposta ai<br />
trattamenti farmacologici<br />
o la predisposizione allo<br />
sviluppo di malattie. In<br />
questo senso il nostro<br />
patrimonio genetico,<br />
caratterizzato da milioni<br />
di mutazioni diverse a<br />
livello interindividuale, ci<br />
differenzia in termini di<br />
salute, malattia e risposta<br />
alle terapie. Il genere,<br />
invece, è un costrutto molto<br />
più ampio, un’accezione<br />
che comprende una<br />
moltitudine di variabili che<br />
rientrano nella sfera socioeconomica<br />
e culturale,<br />
connotando i fattori di<br />
rischio di ciascuno in modo<br />
assolutamente peculiare: le<br />
abitudini di vita, le malattie<br />
concomitanti, il fumo, il<br />
livello di attività fisica ecc.<br />
Non in tutti casi, comunque,<br />
questi fattori sono frutto di<br />
una libera scelta.<br />
Nascere, ad esempio, in una<br />
grande città in un Paese<br />
avanzato rappresenta un<br />
evidente vantaggio per<br />
l’accesso alle cure rispetto<br />
a vivere in una zona meno<br />
fortunata del mondo, con<br />
il primo ospedale a 500<br />
chilometri di distanza.<br />
In che senso si parla<br />
di medicina “generespecifica”<br />
e non di<br />
medicina “di genere”?<br />
La medicina generespecifica<br />
è un approccio<br />
che mira a curare ciascun<br />
individuo secondo le<br />
sue singolarità, sia<br />
esso uomo, donna o<br />
transgender. Quest’ultimo<br />
caso è particolarmente<br />
emblematico perché mostra<br />
con chiarezza l’essenza del<br />
problema: un organismo in<br />
trasformazione, complesso,<br />
con un sistema ormonale<br />
misto, con componenti<br />
sia androgeniche sia<br />
estrogeniche. In questo<br />
contesto l’evoluzione delle<br />
malattie – ma anche le<br />
interazioni dei farmaci<br />
con l’organismo – diventa<br />
imprevedibile perché non<br />
studiata. Ciononostante al<br />
momento non sono previsti<br />
studi ad hoc per questi<br />
pazienti.<br />
Questo approccio<br />
tende alla medicina<br />
di personalizzazione:<br />
possiamo immaginarci una<br />
medicina per ceto sociale,<br />
area geografica o abitudini<br />
alimentari?<br />
È quello che mi piacerebbe<br />
avvenisse in un futuro,<br />
possibilmente non troppo<br />
remoto. Ciascuno di noi è<br />
diverso per come risponde<br />
alle cure e il fattore<br />
socio-economico incide<br />
pesantemente: in certe zone<br />
del mondo può curarsi solo<br />
chi può permetterselo; non<br />
dimentichiamo che negli<br />
Stati Uniti, ad esempio,<br />
un test per il Covid-19 è<br />
arrivato a costare oltre<br />
100 dollari. Un editoriale<br />
di Lancet pubblicato un<br />
anno e mezzo fa descrive la<br />
diffusione del coronavirus<br />
non come “pandemia” ma<br />
come “sindemia”, un termine<br />
che indica proprio l’intreccio<br />
sinergico tra problemi di<br />
salute, ambientali, sociali ed<br />
economici.<br />
Cosa ostacola lo sviluppo<br />
di farmaci mirati alla<br />
popolazione femminile, che<br />
sarebbero più efficaci e<br />
quindi potenzialmente più<br />
competitivi per le aziende<br />
farmaceutiche?<br />
Per i farmaci presenti sul<br />
mercato già da decenni non<br />
vi è alcun interesse delle<br />
case farmaceutiche a rifare<br />
completamente gli studi,<br />
riscrivere le linee guida,<br />
rimettere in discussione<br />
prodotti già affermati. Quasi<br />
nessuno, che io sappia,<br />
ha rivisto le indicazioni di<br />
farmaci datati come gli<br />
45
antipertensivi o le statine,<br />
poco efficaci, a volte, i primi,<br />
assolutamente tossiche, le<br />
seconde, per le donne. Per<br />
quanto riguarda i farmaci<br />
nuovi, c’è una duplice<br />
ragione. Innanzi tutto, come<br />
abbiamo visto nella recente<br />
sperimentazione per alcuni<br />
vaccini anti-Covid, su<br />
scala mondiale è più facile<br />
reperire volontari sani di<br />
sesso maschile. In secondo<br />
luogo, la sperimentazione<br />
clinica sul corpo femminile<br />
è necessariamente più<br />
elaborata e costosa.<br />
A differenza dell’uomo, che<br />
dal punto di vista ormonale<br />
resta sostanzialmente<br />
identico per 60-70 anni,<br />
l’organismo femminile<br />
presenta una situazione più<br />
articolata con moltissime<br />
variabili che entrano in<br />
gioco nel periodo di vita<br />
fertile, la gravidanza,<br />
l’allattamento, la<br />
contraccezione ormonale,<br />
la menopausa, nonché<br />
naturalmente le variazioni<br />
periodiche dovute al ciclo<br />
mestruale. Sono tutte<br />
situazioni che andrebbero<br />
investigate separatamente;<br />
quindi, per condurre studi<br />
clinici che coinvolgano il<br />
campione femminile in<br />
modo adeguato sarebbe<br />
necessario un numero<br />
molto superiore rispetto<br />
a quello utile per un trial<br />
tradizionale focalizzato<br />
sugli uomini. La situazione<br />
è anche peggiore nel caso<br />
della sperimentazione preclinica<br />
perché al momento<br />
non ci sono normative che<br />
obblighino i ricercatori<br />
pubblici o privati a testare le<br />
molecole su cavie femminili<br />
o linee cellulari provenienti<br />
da organi di donatrici.<br />
Dato quanto detto finora,<br />
e considerato che i fondi<br />
sono limitati, i ricercatori<br />
pubblici continuano a<br />
preferire studi impostati<br />
su un numero contenuto di<br />
animali maschi, che costano<br />
meno e sono più semplici<br />
da gestire dal punto di vista<br />
sperimentale.<br />
I dati sono spesso<br />
disponibili ma trascurati;<br />
in uno studio a cui lei<br />
ha collaborato avete<br />
messo in evidenza una<br />
differenza importante<br />
negli effetti collaterali<br />
della chemioterapia,<br />
senza necessità di nuovi<br />
esperimenti.<br />
Sì, noi abbiamo effettuato<br />
una semplice revisione<br />
delle cartelle cliniche per<br />
il Centro Oncoematologico<br />
Subalpino di Torino su<br />
pazienti con diagnosi<br />
di carcinoma al colon<br />
retto e di carcinoma<br />
al pancreas. Ci siamo<br />
resi conto che le donne,<br />
per poter sopportare la<br />
chemioterapia e avere una<br />
qualità di vita accettabile<br />
devono assumere molti più<br />
farmaci concomitanti. Del<br />
resto gli antineoplastici<br />
che ancora oggi vengono<br />
somministrati sono per<br />
lo più farmaci di vecchia<br />
generazione, molto robusti<br />
ma con un potere distruttivo<br />
enorme. Sono stati<br />
principalmente testati su<br />
individui di sesso maschile<br />
e quindi, sebbene gli effetti<br />
collaterali sulle donne<br />
siano gli stessi riportati per<br />
l’uomo, nella popolazione<br />
femminile si verificano<br />
più frequentemente.<br />
Quindi anche studi non<br />
sperimentali come quello<br />
sul pancreas confermano<br />
la necessità di considerare<br />
i malati individualmente.<br />
Dobbiamo garantire a<br />
tutti il diritto a cure che<br />
consentano una qualità di<br />
vita dignitosa.<br />
Com’è la situazione in<br />
Italia dopo la legge 3 del<br />
2018?<br />
A giugno 2019, la legge<br />
3 dell’11 gennaio 2018<br />
si è trasformata in piano<br />
attuativo per la diffusione e<br />
applicazione della medicina<br />
di genere all’interno del<br />
Sistema sanitario nazionale<br />
con, inoltre, l’istituzione di<br />
un osservatorio dell’Istituto<br />
superiore di sanità atto al<br />
monitoraggio del lavoro<br />
delle Regioni.<br />
Si tratta di una legge<br />
molto ben strutturata<br />
e, se fosse seguita,<br />
sarebbe ampiamente<br />
sufficiente a recuperare<br />
il gap esistente. Consta di<br />
quattro punti cardine, che<br />
prevedono l’applicazione<br />
della medicina di<br />
genere nei percorsi<br />
diagnostico terapeutici<br />
assistenziali, nella<br />
ricerca, nella formazione,<br />
nell’aggiornamento<br />
professionale e anche<br />
a livello mediatico per<br />
coinvolgere il grande<br />
pubblico.<br />
Purtroppo, solo poche<br />
Regioni finora si sono<br />
attivate in tal senso:<br />
tra queste, Piemonte,<br />
Lombardia, Emilia<br />
Romagna, Veneto e Lazio.<br />
In Piemonte, come anche<br />
in altre Regioni, è stato<br />
recentemente istituito,<br />
in recepimento della<br />
normativa vigente, un<br />
tavolo per la medicina di<br />
genere, con un gruppo<br />
tecnico di lavoro di cui<br />
anch’io faccio parte. In<br />
moltissime altre Regioni,<br />
però, la legge non è ancora<br />
stata neanche recepita. Su<br />
questo processo, il Covid<br />
ha avuto un doppio effetto:<br />
da un lato ha rallentato il<br />
processo di applicazione<br />
della legge, dall’altro ha<br />
contribuito a diffondere<br />
una maggior conoscenza<br />
del concetto di medicina di<br />
genere nella popolazione,<br />
grazie al differente impatto<br />
che il coronavirus ha avuto<br />
su uomini e donne.<br />
Non le chiedo che<br />
aspettative ha sul<br />
nuovo governo ma cosa<br />
chiederebbe alla prima<br />
prima ministra in Italia se<br />
ne avesse la possibilità?<br />
L’aspettativa ideale sarebbe<br />
che il nuovo governo<br />
continuasse il lavoro iniziato<br />
dalla ministra Beatrice<br />
Lorenzin e continuato dalla<br />
ministra Giulia Grillo che<br />
– con coraggio – hanno<br />
dato vita e siglato una<br />
legge in cui finalmente si<br />
considera il genere da tutti<br />
i punti di vista e si afferma<br />
l’importanza dell’identità di<br />
genere: una visione in cui<br />
contano gli omosessuali, i<br />
transgender, gli emarginati,<br />
le famiglie costituite da<br />
due genitori dello stesso<br />
sesso. Una medicina che<br />
curi ciascun individuo<br />
per come è fatto, senza<br />
discriminazioni, perché<br />
è fondamentale che il<br />
nostro Servizio sanitario<br />
nazionale continui a essere<br />
democratico e universale.<br />
46
Dati sanitari<br />
per lo sviluppo<br />
della medicina<br />
di genere<br />
L’applicazione dell’approccio di genere<br />
alla medicina richiede un profondo<br />
cambiamento di mentalità che sposti la<br />
prospettiva sulla persona e l’utilizzo di<br />
strumenti innovativi<br />
Monica Torriani<br />
Nello Martini, fondatore ed ex DG di Aifa e<br />
presidente di Fondazione ricerca e salute<br />
Le differenze di genere<br />
influenzano l’accesso<br />
alla cura e la qualità<br />
dell’assistenza che i<br />
cittadini ricevono. Per la<br />
rilevanza di tale impatto, la<br />
prevenzione degli stereotipi<br />
e delle disuguaglianze<br />
nell’assistenza è parte<br />
integrante del Piano<br />
nazionale di prevenzione<br />
(PNP) 2020-2025 ed<br />
è richiamata in una<br />
normativa specifica che<br />
identifica l’Italia come un<br />
Paese pioniere in questo<br />
ambito.<br />
Tuttavia, l’approccio alla<br />
complessità del tema<br />
non può limitarsi a un<br />
aggiornamento parziale<br />
dei PDTA, ma richiede un<br />
generale cambiamento<br />
di mentalità rispetto alla<br />
visione tradizionale della<br />
medicina, che sposti la<br />
prospettiva sulla persona<br />
e sull’utilizzo di strumenti<br />
nuovi. L’innovazione<br />
digitale può contribuire<br />
a implementare il<br />
cambiamento?<br />
Ne abbiamo parlato con<br />
Nello Martini, fondatore ed<br />
ex DG di Aifa e presidente<br />
48
makinglife | novembre <strong>2022</strong><br />
di Fondazione ricerca e<br />
salute (ReS).<br />
Qual è l’area terapeutica in<br />
cui le differenze di genere<br />
sono maggiormente<br />
sottovalutate?<br />
Per valutare le aree<br />
terapeutiche su cui le<br />
differenze di genere sono<br />
maggiormente evidenti e<br />
rilevanti, la Fondazione<br />
ricerca e salute (ReS), sulla<br />
base del proprio database<br />
costituito da oltre sei<br />
milioni di assistiti con dati<br />
anonimizzati, ha valutato<br />
la maggiore incidenza<br />
delle patologie per genere<br />
sulle principali categorie<br />
terapeutiche.<br />
Sulla base di tali analisi,<br />
le categorie terapeutiche a<br />
prevalenza femminile sono<br />
riferibili a patologie della<br />
tiroide, alle neoplasie e<br />
all’asma, mentre nei maschi<br />
prevalgono patologie<br />
cardio-metaboliche<br />
(diabete, cardiomiopatie,<br />
vasculopatie) e BPCO.<br />
Tuttavia, la modalità più<br />
adeguata per stabilire<br />
differenze di genere è la<br />
stratificazione per singola<br />
patologia, secondo cinque<br />
strati, sulla base della<br />
presenza del numero di<br />
comorbidità, perché le<br />
differenze di complessità<br />
clinica da essa derivanti<br />
richiedono un percorso<br />
assistenziale (PDTA) diverso<br />
e specifico per genere. Di<br />
conseguenza, adeguando e<br />
personalizzando i percorsi<br />
assistenziali in funzione del<br />
genere si garantisce la base<br />
per una presa in carico più<br />
equa e adeguata, che tiene<br />
conto delle differenze.<br />
In che modo l’innovazione<br />
digitale e l’utilizzo dei big<br />
data possono accelerare lo<br />
sviluppo della medicina di<br />
genere?<br />
Il modo più concreto per<br />
sviluppare la medicina di<br />
genere è quello di utilizzare<br />
i flussi sanitari (farmaciricoveri<br />
ospedalierispecialistica)<br />
che sono<br />
disponibili in maniera<br />
anonima per ogni singolo<br />
individuo a livello nazionale,<br />
regionale e di ASL: tali<br />
dati rappresentano uno<br />
strumento molto rilevante<br />
ai fini di una applicazione<br />
dell’assistenza di prossimità<br />
prevista dalla Missione 6 del<br />
Pnrr e dal DM 77, che tenga<br />
conto delle differenze di<br />
genere.<br />
Il Pnrr prevede il<br />
potenziamento della<br />
medicina territoriale:<br />
nell’ambito di questo<br />
epocale piano di<br />
investimenti esiste<br />
margine di azione per<br />
ridurre il gender gap<br />
nell’assistenza?<br />
Il punto chiave del Pnrr<br />
e del DM 77 nell’ambito<br />
della medicina territoriale<br />
è costituito dalla<br />
stratificazione degli assistiti<br />
in base alle comorbidità,<br />
che stabilisce il diverso<br />
grado di complessità clinica<br />
di ogni assistito e che<br />
risulta essere il parametro<br />
più affidabile attraverso<br />
cui collocare il paziente<br />
nel suo specifico setting<br />
assistenziale, secondo il<br />
modello organizzativo del<br />
DM 77: case di comunità,<br />
ospedali di comunità,<br />
hospice, assistenza<br />
domiciliare integrata (ADI –<br />
I,II,III livello), sulla base del<br />
coordinamento delle Centrali<br />
operative territoriali (Cot).<br />
In particolare, Fondazione<br />
ReS ha esaminato le<br />
stratificazioni per genere di<br />
diabete, BPCO e scompenso<br />
cardiaco evidenziando le<br />
diversità in generale e per<br />
singolo strato, che risultano<br />
rilevanti e richiedono un<br />
percorso assistenziale<br />
(PDTA specifico e diverso)<br />
per genere.<br />
Ritiene che un maggiore<br />
coinvolgimento delle<br />
associazioni di pazienti<br />
possa contribuire<br />
al miglioramento<br />
dell’inclusione nella cura?<br />
Il coinvolgimento<br />
dell’associazione dei<br />
pazienti risulta essenziale<br />
sia nella fase iniziale<br />
della programmazione<br />
dell’assistenza di prossimità,<br />
sia nella definizione di PDTA<br />
diversificati, sulla base del<br />
genere e sulle modalità di<br />
valutazione della assistenza<br />
secondo indicatori di<br />
processo e di esito.<br />
Un maggior coinvolgimento<br />
delle associazioni dei<br />
pazienti, ma anche dei<br />
caregiver, rende il processo<br />
assistenziale più vicino alle<br />
esigenze del paziente e<br />
favorisce la umanizzazione<br />
delle cure.<br />
L’Italia è stato il primo<br />
Paese al mondo ad<br />
aver approvato una<br />
normativa specifica per<br />
promuovere la medicina<br />
di genere: a che punto è<br />
il Paese sotto il profilo<br />
del coinvolgimento dei<br />
cittadini e degli operatori<br />
sanitari?<br />
La Legge n.3 del 2018 (la<br />
cosiddetta Legge Lorenzin)<br />
è la prima legge in Italia e<br />
nel mondo che prevede la<br />
promozione della medicina<br />
di genere, anche con<br />
specifico riferimento allo<br />
sviluppo di sperimentazioni<br />
cliniche in cui le donne<br />
siano adeguatamente<br />
rappresentate.<br />
In particolare, il decreto<br />
attuativo dell’art.3<br />
(Applicazione e diffusione<br />
della medicina di genere<br />
nel Ssn) prevede varie<br />
iniziative a sostegno<br />
della ricerca biomedica<br />
e farmacologica, di<br />
promozione e di sostegno<br />
all’insegnamento e anche<br />
dell’informazione pubblica<br />
della medicina di genere.<br />
Per capire a che punto<br />
è il Paese sotto il profilo<br />
del coinvolgimento dei<br />
cittadini e degli stessi<br />
operatori risulta essenziale<br />
la relazione, prevista dal<br />
decreto attuativo, che<br />
il ministro della Salute<br />
deve trasmettere alle<br />
Camere anche attraverso<br />
la istituzione di un<br />
osservatorio dedicato alla<br />
medicina di genere.<br />
49
Parità o potere rovesciato?<br />
Con il sociologo Domenico De Masi,<br />
un excursus su diversità e inclusione,<br />
dalla Mesopotamia alle moderne<br />
organizzazioni<br />
Caterina Lucchini<br />
50<br />
Domenico De Masi è<br />
professore emerito di<br />
sociologia del lavoro<br />
presso l’Università “La<br />
Sapienza” di Roma. Insieme<br />
a lui abbiamo affrontato<br />
il tema della diversità e<br />
inclusione nelle aziende,<br />
nella amministrazione<br />
pubblica e in accademia.<br />
In particolare, De Masi ha<br />
raccontato e analizzato il<br />
ruolo sociale della donna<br />
nelle diverse epoche della<br />
storia, fino ai giorni d’oggi,<br />
con uno sguardo al futuro.<br />
Riflessione sui tempi<br />
passati<br />
Il ruolo sociale della<br />
donna è notevolmente<br />
cambiato nel corso dei<br />
secoli. La prima epoca a<br />
cui è importante riferirsi è<br />
quella rurale, iniziata con<br />
la civiltà mesopotamica,<br />
ovvero circa 5mila anni fa,<br />
e arrivata fino all’inizio del<br />
1700. In questo periodo<br />
storico tutto ruotava<br />
intorno all’agricoltura e<br />
all’artigianato e la donna<br />
ricopriva uno status di<br />
alto prestigio. A essa era<br />
infatti riconosciuto un<br />
ruolo centrale nel regolare<br />
i ritmi familiari, in primo<br />
luogo essendo colei che<br />
permetteva di avere<br />
“braccia” per lavorare,<br />
e nel regolare anche i<br />
ritmi lavorativi, che erano<br />
saldamente concatenati a<br />
quelli familiari. A partire<br />
dalla fine del 1700 è<br />
iniziata una nuova epoca,<br />
quella industriale. È in<br />
questo periodo storico, che<br />
termina con la fine della<br />
seconda Guerra Mondiale,<br />
che è avvenuta la forte e<br />
netta distinzione di ruoli<br />
tra i due sessi. Il lavoro<br />
si è spostato fisicamente<br />
dalla dimora, venendo<br />
confinato nelle fabbriche,<br />
con orari e turni lavorativi<br />
ben scanditi; l’uomo si<br />
è ritrovato a svolgere<br />
il compito di produrre i<br />
beni, con conseguente<br />
remunerazione salariale,<br />
mentre la donna è stata<br />
investita del ruolo di tutrice<br />
della famiglia.<br />
È questo il periodo storico<br />
in cui si inizia dunque a<br />
creare una distinzione<br />
culturale che porta<br />
nella visione comune,<br />
unicamente inventata dalla<br />
società, l’errata convinzione<br />
che la donna possieda una<br />
Domenico De Masi, professore emerito di sociologia del<br />
lavoro presso l’Università degli Studi di Roma
makinglife | novembre <strong>2022</strong><br />
intelligenza inferiore e<br />
una maggiore propensione<br />
all’attività domestica<br />
rispetto all’uomo.<br />
L’epoca industriale<br />
sancisce dunque una<br />
differenza di potere, legata<br />
all’aspetto economico, che<br />
con difficoltà ancora oggi si<br />
cerca di combattere.<br />
Dopo la seconda Guerra<br />
Mondiale la nostra società<br />
è entrata in una terza<br />
nuova epoca, che ancora<br />
oggi viviamo, quella postindustriale.<br />
È iniziata<br />
la produzione dei beni<br />
immateriali e dei servizi<br />
e la tecnologia è entrata<br />
nella vita di tutti. È proprio<br />
questa tecnologia che ha<br />
fatto nascere il concetto<br />
di multitasking femminile,<br />
permettendo alle donne<br />
dedicate ai lavori domestici<br />
di avere più tempo a<br />
disposizione da dedicare al<br />
lavoro fuori casa: le stime<br />
indicano che la tecnologia<br />
casalinga equivalga al<br />
lavoro di 33 persone<br />
dell’epoca greco-romana.<br />
La ricerca di uno spazio e di<br />
un valore anche al di fuori<br />
delle mura domestiche<br />
ha incontrato la forte<br />
resistenza maschile: la<br />
posta in gioco è stata il<br />
potere e l’uomo, a seconda<br />
dei settori, ha opposto<br />
resistenze diverse (in<br />
genere maggiore potere<br />
ha chiamato maggiore<br />
resistenza). La scuola<br />
materna e primaria,<br />
ad esempio, sono state<br />
“facilmente colonizzate”<br />
dalle donne. Il basso salario<br />
e l’idea comune che fossero<br />
lavori ben conciliabili con la<br />
famiglia hanno fatto la loro<br />
parte.<br />
Ma per l’insegnamento<br />
universitario e le posizioni<br />
apicali all’interno<br />
dell’accademia la<br />
resistenza maschile è stata,<br />
ed è ancora, ben più forte.<br />
Le aziende, nate<br />
propriamente nell’epoca<br />
industriale come istituzioni<br />
maschiliste, hanno visto la<br />
massima rappresentazione<br />
della resistenza possibile,<br />
in particolare quelle di<br />
tipo industriale. Il divario<br />
diminuisce per le aziende<br />
post-industriali, che si<br />
occupano ad esempio di<br />
servizi e comunicazione<br />
in cui l’idea maschilista è<br />
stata meno radicata.<br />
Il problema centrale<br />
è infatti anche di tipo<br />
antropologico: di natura,<br />
l’essere umano abituato a<br />
un certo comportamento<br />
tende con difficoltà a<br />
distaccarsi da esso per<br />
intraprendere un nuovo<br />
percorso, sebbene anche<br />
i tempi e le esigenze<br />
possano essere cambiati.<br />
Non solo un problema<br />
di numeri<br />
La lotta femminile non<br />
dovrebbe solo basarsi<br />
sui numeri. Non è<br />
sufficiente, per parlare<br />
di parità, che uno stesso<br />
numero di uomini e donne<br />
siano impiegati in una<br />
professione o facciano<br />
parte della squadra che<br />
porta avanti il lavoro in<br />
una azienda. Quel che<br />
serve, e ancora manca<br />
enormemente, è la parità<br />
a livello salariale. I dati<br />
parlano chiaro, a parità<br />
di ruolo una donna<br />
percepisce circa il 30% in<br />
meno di stipendio di un<br />
uomo. Tuttavia, mentre per<br />
l’inclusione il movimento<br />
femminista si è e si sta<br />
ancora battendo molto,<br />
per la parità salariale il<br />
polverone alzato è ridotto.<br />
Come la Storia ha<br />
insegnato e insegna, solo<br />
le battaglie permetteranno<br />
alle donne di ottenere<br />
ciò che spetta loro, e se<br />
per l’aspetto economico<br />
non si batteranno tanto<br />
quanto hanno fatto per<br />
altri argomenti, non<br />
otterranno piena parità.<br />
D’altronde, sebbene ora si<br />
parli di opportunità per una<br />
migliore qualità del lavoro,<br />
la verità è che le aziende<br />
hanno dovuto assumere<br />
le donne per le insistenze<br />
della generazione passata.<br />
La lotta per i diritti deve<br />
dunque proseguire perché<br />
altrimenti, come è accaduto<br />
in America, gli uomini,<br />
resistenti a dividere il<br />
loro potere, non appena<br />
possibile tenteranno di<br />
riprendere il sopravvento.<br />
Proprio per questo sarebbe<br />
auspicabile fissare una data<br />
entro la quale la disparità<br />
di genere nel mondo del<br />
lavoro e a livello salariale<br />
dovrà essere appianata.<br />
Il futuro è donna<br />
Nel futuro si potrà<br />
osservare veramente una<br />
parità di genere o si può<br />
ipotizzare che assisteremo<br />
a un potere rovesciato? Non<br />
è dato a sapersi. Tuttavia è<br />
interessante ragionare su<br />
alcune proiezioni che sono<br />
state fatte per il futuro<br />
prossimo.<br />
Nel 2030 si stima che<br />
l’età media femminile<br />
supererà quella maschile<br />
di sei anni; negli USA si<br />
suppone che i due terzi<br />
della richiesta lavorativa<br />
sarà in mano alle donne,<br />
che rappresenteranno il<br />
60% dei laureati e che<br />
potranno avere figli senza<br />
necessariamente avere un<br />
compagno.<br />
Le donne, in pratica,<br />
saranno al centro<br />
del sistema sociale.<br />
Caratteristiche definite<br />
femminili quali l’estetica,<br />
l’emotività e la sensibilità<br />
colonizzeranno anche gli<br />
uomini.<br />
La propensione a innovare<br />
è fluida. Si tratta di<br />
un atteggiamento che<br />
contraddistingue chi è<br />
innovatore e in questo il<br />
regime politico di uno Stato<br />
ha un ruolo cruciale.<br />
51
Non esistono razze<br />
siamo tutti composizioni<br />
Monica Torriani<br />
Chi siamo e come<br />
lo siamo diventati?<br />
La biologia<br />
evoluzionistica ci<br />
fornisce una chiave<br />
di lettura scientifica<br />
e oggettiva per<br />
comprendere la<br />
realtà, il rapporto<br />
fra i sessi e la<br />
debolezza di molti<br />
pregiudizi<br />
Carlo Alberto Redi, professore di zoologia presso l’Università degli Studi di Pavia<br />
e presidente del comitato etico di Fondazione Umberto Veronesi<br />
In questa intervista, Carlo<br />
Alberto Redi, professore di<br />
zoologia presso l’Università<br />
degli Studi di Pavia e<br />
presidente del comitato etico di<br />
Fondazione Umberto Veronesi,<br />
ci parla di evoluzione bologica e<br />
meccanismi di scelta sessuale,<br />
spaziando dal lontanissimo<br />
passato ai giorni nostri.<br />
In tema di riproduzione<br />
sessuata e produzione di<br />
gameti in cosa consiste il<br />
“conflitto fra i sessi”?<br />
Si tratta di un aspetto<br />
messo sotto la lente della<br />
riflessione più generale<br />
dei biologi, degli psicologi<br />
52
makinglife | novembre <strong>2022</strong><br />
e dei filosofi da parte dei<br />
sociobiologi e fa riferimento in<br />
termini epistemologici a una<br />
competizione. Su ciò esiste<br />
una bibliografia sterminata<br />
che, tuttavia, è importante<br />
precisarlo, è opera di pensatori<br />
meno legati agli aspetti<br />
rigorosamente scientifici<br />
e più vicini alle tematiche<br />
sociologiche e filosofiche.<br />
Il punto della questione è<br />
quello dei “costi”: quali sono<br />
i costi per la produzione<br />
e il mantenimento della<br />
progenie? Una domanda che<br />
riguarda molto da lontano<br />
le riflessioni della biologia<br />
in senso stretto ed è invece<br />
più compatibile con una<br />
visione umanistica e incline<br />
a cogliere le sfaccettature<br />
sociali del sesso. In effetti,<br />
una femmina impegna una<br />
quantità di risorse notevoli,<br />
sproporzionate rispetto a<br />
quelle messe in campo dal<br />
maschio: senza andare tanto<br />
lontano, basti pensare, in<br />
una visione antropocentrica,<br />
al caso umano. Parlando<br />
di riproduzione sessuata,<br />
sulla femmina grava un<br />
carico di costi (in termini di<br />
tempo, necessità di reperire<br />
risorse trofiche, attenzione<br />
ai predatori) superiore a<br />
quello del maschio. Mentre<br />
per quest’ultimo i costi sono<br />
generati dall’accesso alle<br />
risorse sessuali femminili,<br />
per la femmina sono<br />
fondamentalmente in funzione<br />
della progenie. Ed è proprio su<br />
questo principio che si basa<br />
l’idea di un conflitto fra sessi.<br />
Il meccanismo della<br />
selezione sessuale comporta<br />
la cosiddetta “scelta<br />
femminile”: è la femmina<br />
a scegliere il maschio più<br />
attraente; qual è il vantaggio<br />
evolutivo di questa modalità?<br />
Parto con una precisazione:<br />
dal punto di vista della biologia<br />
occorrerebbe eliminare il<br />
“perché” dalla sua domanda<br />
e spostare l’attenzione<br />
dalle motivazioni connesse<br />
all’evoluzione alla semplice<br />
analisi dei meccanismi sottesi.<br />
Domandarsi perché accada (o<br />
sia accaduto) un certo evento,<br />
infatti, comporta l’attribuzione<br />
a esso di un’indicazione<br />
finalistica e, com’è noto, in<br />
biologia non esistono fini.<br />
In generale, la questione<br />
della scelta femminile non<br />
si limita all’uomo: in tutte le<br />
specie a fecondazione interna<br />
la femmina è discriminativa.<br />
In definitiva, i meccanismi<br />
che assicurano il successo<br />
riproduttivo sono il numero<br />
di femmine a cui ha accesso<br />
il maschio e il numero di<br />
piccoli che la femmina riesce<br />
a produrre. Se analizziamo il<br />
caso dell’uomo, le variabili che<br />
entrano in gioco sono infinite<br />
e dipendono dal contesto<br />
socio-culturale considerato: il<br />
criterio che guida la scelta di<br />
una femmina appartenente<br />
a un ceto sociale elevato di<br />
una grande città occidentale è<br />
evidentemente diverso rispetto<br />
a quello di una giovane che<br />
vive in una periferia di un<br />
Paese in via di sviluppo. Dietro<br />
il tema della scelta femminile<br />
esiste poi una componente<br />
rilevante di mistero: non<br />
sappiamo se esistono aspetti<br />
che ancora non siamo riusciti<br />
a cogliere e studiare. Nel<br />
mondo animale il ruolo dei<br />
feromoni nell’influenzare<br />
l’attrattività fra i sessi è<br />
dimostrato: basti pensare al<br />
cane maschio, che fiuta gli<br />
organi genitali della femmina<br />
per stabilire l’estro. In analogia<br />
a quanto avviene negli<br />
animali, potrebbe ad esempio<br />
esistere un feromone prodotto<br />
dalle ghiandole sudoripare<br />
della femmina e di cui non<br />
abbiamo una percezione<br />
diretta, ma che i maschi<br />
avvertono. Su queste teorie<br />
esistono dati, ma di scarso<br />
valore scientifico. Un altro<br />
criterio di scelta nel maschio è<br />
quello legato alle componenti<br />
visive. Inoltre, alcuni studiosi<br />
hanno ipotizzato che la<br />
scelta possa essere frutto<br />
di un’affinità immunologica,<br />
ma anche queste teorie<br />
non sono legittimate da dati<br />
scientifici rigorosi. Quello della<br />
scelta femminile è dunque<br />
un campo molto ampio ma<br />
fondamentalmente in gran<br />
parte ancora misterioso.<br />
Nella scelta quanto pesano i<br />
fattori strettamente biologici<br />
e quanto quelli culturali?<br />
Nell’umano i secondi<br />
predominano e oggi sono<br />
addirittura più complessi che<br />
in passato. Oggi il sesso è<br />
molto meno frequentato dalle<br />
giovani generazioni rispetto<br />
a quelle precedenti, con<br />
conseguenze sociali importanti<br />
e legate allo spostamento<br />
della vita nell’infosfera.<br />
L’infosfera aiuta le persone a<br />
trovare per le attività sessuali<br />
il partner che risponda ai<br />
requisiti, ma la frequenza di<br />
queste attività è oggi diminuita<br />
rispetto al passato. Questo ci<br />
ricorda il celebre passaggio<br />
contenuto nel libro Evolution<br />
and tinkering, in cui il premio<br />
Nobel per la medicina François<br />
Jacob sosteneva che “il<br />
piacere appare essere un<br />
mero espediente per spingere<br />
gli individui a praticare sesso<br />
e di conseguenza a riprodursi.<br />
Un espediente di successo,<br />
a giudicare dal grado di<br />
popolazione che ha raggiunto<br />
il pianeta”.<br />
La partenogenesi è un<br />
meccanismo di riproduzione<br />
sessuata?<br />
Parlando di scelta femminile,<br />
non possiamo esimerci<br />
dal riflettere sulla fine del<br />
maschio. La riproduzione<br />
sessuata è basata su una<br />
presenza maschile limitata,<br />
un aspetto paradossale<br />
che spesso sconvolge chi<br />
non si occupa di questi<br />
temi. Nel mondo animale,<br />
fondamentalmente, la<br />
riproduzione sessuata<br />
è partenogenesi, ossia<br />
uniparentale. La partenogenesi<br />
comporta la presenza di un<br />
solo genitore, la femmina,<br />
che “fa sesso” da sola e si<br />
riproduce. Dobbiamo infatti<br />
ricordare che il concetto di<br />
“sesso” in biologia non ha<br />
lo stesso significato che<br />
nell’accezione comune, ma<br />
è ricombinazione genetica.<br />
Nel produrre cellule uovo,<br />
la femmina che compie la<br />
partenogenesi riassorbe un<br />
53
globulo polare (in sostituzione<br />
dello spermatozoo)<br />
ristabilendo la diploidia: si<br />
verifica ricombinazione,<br />
variazione dei caratteri<br />
ereditari e quindi non è<br />
una forma di riproduzione<br />
asessuata, che è invece<br />
correlata alla produzione di<br />
cloni.<br />
Si dice che la sequenza<br />
genetica definita ENH13 sia<br />
una sorta di interruttore<br />
del sesso che, se attivato,<br />
porta allo sviluppo di<br />
caratteri maschili: qual è il<br />
suo ruolo dal punto di vista<br />
evoluzionistico?<br />
L’ENH13 è l’interruttore più<br />
a valle che a oggi abbiamo<br />
identificato. Per quanto<br />
riguarda i determinanti<br />
genetici del sesso, tempo<br />
fa diversi gruppi di ricerca<br />
sono riusciti nei mammiferi<br />
a dissezionare a livello<br />
molecolare il cromosoma Y<br />
chiarendo quello che i genetisti<br />
formali avevano osservato<br />
e cioè che la presenza di<br />
cromosomi XX è correlata al<br />
sesso femminile mentre la<br />
coppia XY a quello maschile.<br />
E così dalla dissezione si<br />
scoprì nel cromosoma Y<br />
una regione definita SRY<br />
(Sex-determining region Y)<br />
che, se presente, portava<br />
alla determinazione del<br />
sesso maschile. Emerse poi<br />
il fatto che lo sviluppo dei<br />
caratteri sessuali maschili<br />
si verificava anche in<br />
assenza del cromosoma<br />
Y, ma con la porzione di<br />
cromosoma SRY traslocata<br />
sul cromosoma X. In seguito le<br />
biotecnologie si sono affinate<br />
e, attraverso i programmi di<br />
sequenziamento, si è potuto<br />
osservare che la regione<br />
SRY è responsabile della<br />
produzione della proteina<br />
TDY (Testis-determining Y).<br />
Questi studi hanno portato<br />
a comprendere che erano<br />
proprio quelle sequenze a<br />
essere responsabili della<br />
determinazione del sesso.<br />
Il programma embriologico<br />
dello sviluppo è di base<br />
femminile e solo se intorno<br />
alla quinta-sesta settimana si<br />
accendono queste sequenze<br />
si attiva una cascata di eventi<br />
che porta allo sviluppo di un<br />
maschio.<br />
L’espressione dei caratteri<br />
maschili e femminili non<br />
è strettamente binaria<br />
poiché molti fattori esogeni<br />
(ambientali) possono<br />
interferire e produrre<br />
una fortissima variabilità<br />
nell’espressione dei caratteri,<br />
con tutti i ben noti problemi<br />
sociali e umani correlati.<br />
Questa considerazione<br />
ha portato alcuni gruppi<br />
di ricerca, fra cui quello<br />
di Robin Lovell-Badge, a<br />
ipotizzare che esistesse un<br />
ulteriore fattore in grado<br />
di modulare e amplificare<br />
l’espressione di SRY e TDY.<br />
Badge proseguì quindi<br />
nella dissezione genetica<br />
molecolare delle sequenze<br />
legate alla determinazione del<br />
sesso e trovò che, all’interno<br />
di sequenze non codificanti,<br />
era presente un “interruttore”,<br />
un “modulatore”. Lo studio<br />
portò all’identificazione di un<br />
frammento, definito ENH13, in<br />
grado di portare, se attivato,<br />
alla cascata di eventi che<br />
conduce alla comparsa dei<br />
caratteri sessuali specifici.<br />
Inoltre, si scoprì che la sua<br />
attivazione è in grado di<br />
produrre una grandissima<br />
variabilità nell’espressione<br />
e questo rappresenta un<br />
avanzamento estremamente<br />
importante nello studio della<br />
determinazione del sesso.<br />
In un articolo pubblicato su<br />
PlosOne nel 2016, frutto di<br />
uno studio italiano, viene<br />
descritta una condizione di<br />
letargo degli embrioni umani,<br />
che sospenderebbero il loro<br />
sviluppo quando si trova<br />
in condizioni difficili: è una<br />
teoria confermata?<br />
Si tratta di una questione che<br />
periodicamente riemerge.<br />
Il ritardo nell’impianto<br />
embrionale è un fenomeno<br />
diffuso in alcuni animali, ad<br />
esempio nei marsupiali. Alcuni<br />
marsupiali sono caratterizzati<br />
da una forte sporadicità<br />
nell’attività sessuale, in<br />
seguito alla quale l’embrione<br />
rimane in una sorta di stato di<br />
congelamento nelle tube, fino<br />
a quando si realizza l’impianto<br />
e la gravidanza procede.<br />
Non abbiamo dati solidi che<br />
dimostrino meccanismi<br />
analoghi in umano.<br />
Le ricadute della biologia<br />
evoluzionistica sulla<br />
società sono difficili da<br />
percepire per un pubblico<br />
non specializzato: quali<br />
sono gli strumenti che la<br />
comunicazione scientifica<br />
può mettere in atto per<br />
veicolare meglio questo<br />
messaggio?<br />
Per nostra fortuna, quest’anno<br />
il premio Nobel per la<br />
fisiologia o la medicina è stato<br />
assegnato a Svante Pääbo,<br />
un ricercatore specializzato<br />
nell’ambito della biologia<br />
evoluzionistica. Pääbo ha<br />
confrontato il genoma umano<br />
con quello delle specie<br />
che ci hanno preceduto<br />
(Neanderthal, Denisoviani e<br />
così via) e ha scoperto che<br />
abbiamo con essi in comune<br />
delle intere sequenze.<br />
Questo dimostra che si è<br />
verificato rimescolamento<br />
genico fra Homo sapiens<br />
e Neanderthal prima che<br />
quest’ultimo si estinguesse.<br />
Abbiamo scoperto di avere<br />
ancora un 1-2% del genoma<br />
neanderthaliano, anche<br />
se le stime sono variabili<br />
a causa della difficoltà<br />
di studiare il DNA antico.<br />
Un dato immensamente<br />
rilevante che ha ricadute<br />
pesanti sulla nostra<br />
società. E un avanzamento<br />
scientifico che spiega<br />
anche perché soffriamo<br />
di diabete. Neanderthal<br />
era fondamentalmente<br />
un cacciatore e dunque<br />
mangiava solo quando la<br />
caccia aveva successo: la<br />
sua costituzione genetica<br />
era tale da mantenere alto<br />
il livello di zuccheri nel<br />
sangue. H. sapiens, invece, era<br />
agricoltore e di conseguenza<br />
mangiava regolarmente: in<br />
questo caso mantenere alta<br />
la concentrazione di glucosio<br />
nel sangue è un danno, una<br />
malattia. Ma vado oltre: lo<br />
studio che è stato insignito<br />
del Nobel, che sembrerebbe<br />
dedicato a pochi scienziati,<br />
parla in realtà a tutti. Dice<br />
che siamo delle composizioni,<br />
che non esistono le razze.<br />
Questo la dice lunga sulla<br />
rilevanza sociale degli studi<br />
di biologia evoluzionistica,<br />
soprattutto oggi, nel mondo<br />
in cui viviamo. Come vede, lo<br />
studio di Pääbo, così come<br />
molte altre ricerche svolte<br />
nel campo della biologia<br />
evoluzionistica, ha un impatto<br />
fortissimo sulla nostra<br />
società.<br />
54
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Noleggio Strumentazione
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pharmaindustry<br />
L’innovazione nella ricerca e<br />
produzione del mondo farmaceutico<br />
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56
makinglife | novembre <strong>2022</strong><br />
makingconnect<br />
Un network globale dove le aziende del<br />
pharma incontrano i loro fornitori<br />
www.makingconnect.it<br />
57
Diversamente salute, advocacy di un riscatto<br />
GUARIRE LA MALATTIA<br />
NON È GUARIRE PER<br />
LA VITA. È DOVEROSO<br />
GARANTIRE AL PAZIENTE,<br />
ACCANTO ALLA<br />
RIACQUISTATA SALUTE,<br />
ANCHE UN RIENTRO<br />
COMPLETO NELLA<br />
SOCIETÀ, INCLUSO IL<br />
RITORNO AL LAVORO<br />
Laura Patrucco<br />
Patient advocacy lead and public<br />
relations Onconauti Associazione,<br />
Paziente esperto Eupati, Membro del<br />
comitato scientifico Assd<br />
Quante volte ci siamo interrogati sul<br />
senso di salute riabilitata alla diversità,<br />
integrata con la fragilità, evocata per la<br />
disabilità, all’interno di contesti non così<br />
lontani dal nostro quotidiano relazionale,<br />
sociale e lavorativo? La difficoltà<br />
principale risiede forse più nel realizzare<br />
la giusta domanda per accedere alle<br />
giuste risposte, con una capacità<br />
intuitiva che venga spinta da spirito<br />
sportivo in quanto inclusivo. Parlare di<br />
salute vuole – deve – generare curiosità<br />
trasversale, dalle politiche sociali alla<br />
filosofia valoriale dell’individuo come<br />
tale, nella sua interezza identitaria,<br />
andando oltre il senso del sembrare.<br />
Tutelare la salute significa in primis<br />
tutelare la persona, protagonista del<br />
sistema di cura, mittente e destinatario<br />
al contempo.<br />
RITORNO ALLA VITA<br />
Quando arrivi dal mondo associativo<br />
una delle equazioni più articolate da<br />
risolvere è il binomio salute-lavoro,<br />
perché un paziente guarito è un soggetto<br />
perfettamente riabilitato alla vita e a<br />
tutti i rispettivi diritti (e doveri) a essa<br />
correlati. Senza un autentico riscatto e<br />
altrettanto consenso, la guarigione dopo<br />
la malattia rischia di restare unicamente<br />
clinica, non sovrapponibile, ahinoi, a<br />
quella di vita. Guarire la malattia non<br />
è guarire per la vita. Pensiamo alla<br />
riabilitazione oncologica, un ambito<br />
che si riconduce anche alla fragilità, la<br />
malattia come parentesi di momentanea<br />
difficoltà, verso cui è un diritto-dovere<br />
conferire nuovamente prospettiva, in<br />
ogni ambito di vita, incluso il ritorno al<br />
lavoro. Tutelare la fragilità attraverso<br />
la tutela della persona come risorsa<br />
piuttosto che come criticità, altrimenti<br />
l’inevitabile risiede nel creare pazienti<br />
di ritorno. Promuovere cultura valoriale<br />
è innanzi cultura del principio che<br />
muove l’azione nella giusta direzione,<br />
che conferisce coralità alla fragilità in<br />
un sistema salute che ha la profonda<br />
responsabilità di definirsi tale. Ogni<br />
suo interlocutore, tutti inclusi, è esso<br />
58
makinglife | novembre <strong>2022</strong><br />
stesso imprenditore, costruttore,<br />
garantista, attraverso competenze<br />
e adeguata informazione sanitaria,<br />
nell’ottica del pieno recupero della<br />
persona come tale. Essere diversamente<br />
in salute dunque per richiamare<br />
multidisciplinarietà, non esclusività,<br />
reimmaginare la salute e riempirla di<br />
significato. Da qui l’importanza di creare<br />
educazione del valore, della risorsa,<br />
a prescindere, superando la cultura<br />
degli esclusi e promuovendo pensiero<br />
del riconoscimento. Oltre a elargire<br />
servizi, la vera presa in carico dovrebbe<br />
generare empatia nella gentilezza e<br />
nell’attenzione al tema salute e lavoro,<br />
binomio fondamentale per un sistema<br />
che voglia includere la fragilità oltre<br />
che per il suo impianto sociale, la<br />
dimensione della cultura in senso<br />
antropologico, direbbe il sociologo Tosini.<br />
La riabilitazione della persona prima<br />
che del paziente è un ritorno a una<br />
quasi normalità fisica e potenzialmente<br />
relazionale, laddove in realtà spesso si<br />
cela un difficile equilibrio tra speranza<br />
di guarire e paura per il futuro. Questo<br />
spiega la necessità di un cambio di<br />
paradigma culturale, di approccio, che<br />
la patient advocacy vuole promuovere.<br />
Ri-pensare alla salute dopo la malattia<br />
richiede lo sforzo per superare il ruolo<br />
di malato e riassumere le responsabilità<br />
familiari, sociali e lavorative. Creare<br />
dialogo di sistema può aiutare a evitare<br />
il rischio della tossicità finanziaria, a cui<br />
spesso vanno incontro i lavoratori che si<br />
ritrovano pazienti.<br />
UNA SOLUZIONE<br />
COLLETTIVA<br />
Indubbiamente il dilagare della<br />
pandemia ha spostato il baricentro<br />
verso una sindemia, patologie dunque<br />
non solo sanitarie, ma anche sociali,<br />
economiche, psicologiche, dei modelli<br />
di vita, di fruizione della cultura e delle<br />
relazioni umane. Emerge dunque la<br />
priorità di presidiare la salute del<br />
territorio, dei contesti quotidiani in cui<br />
si ritrovi fragilità, pazienti e anziani<br />
inclusi. Il diritto alla salute consta anche<br />
di diritto alla vita, che si compone di<br />
socialità familiare e lavorativa. Non si<br />
può prescindere da questo.<br />
La fragilità quale condizione complessa<br />
e multi-fattoriale impone una presa in<br />
carico globale e attenta non soltanto<br />
degli aspetti medico-sanitari, ma<br />
anche dei correlati psicologi e affettivorelazionali<br />
della persona e delle figure<br />
significative attorno a essa. Nel concetto<br />
di patient advocacy, la solidarietà e il<br />
lavoro di squadra sono interpretabili<br />
come una call to action, per trovare<br />
insieme vie di soluzione strutturali e non<br />
emergenziali, a partire da un rinnovato<br />
linguaggio che renda in ogni parola<br />
non solo la forza del servizio, quanto il<br />
valore della proposta. Persone, non solo<br />
assistiti.<br />
Realizzo la prospettiva affinché<br />
il concetto greco “pan” non resti<br />
associato a pandemia, ma possa<br />
divenire identificativo di collettività, di<br />
cooperazione, di rilancio di beni primari<br />
come la vita in salute, autenticando<br />
la diversa normalità come una regola<br />
di vita. Una advocacy per creare quel<br />
tempo, fin da oggi, in cui schierarsi<br />
in prima linea per accelerare il<br />
cambiamento del concetto legato alla<br />
fragilità così come alla riabilitazione<br />
oncologica sociale e lavorativa.<br />
La necessità di un cambio di passo che<br />
implichi una visione plurale, in cui la<br />
prospettiva fragilità diventi prospettiva<br />
valore e quindi risorsa.<br />
Il tema della fragilità e della malattia non<br />
può e non deve però essere affrontato<br />
soltanto dal Terzo settore. Abbiamo<br />
bisogno di un’alleanza più trasversale e<br />
inclusiva. Istituzioni e mondo del lavoro<br />
devono comprendere il valore e non più<br />
solo il costo dell’inclusione.<br />
UN DIVERSO<br />
PARADIGMA<br />
Ora è il tempo di ri-abilitare al nuovo<br />
per recuperare quel potenziale<br />
in risorsa che ancora sfugge,<br />
promuovendo un vero e proprio welfare<br />
orientato al ben-essere allargato,<br />
secondo nuovi modelli di setting, di<br />
linguaggio, di operatività. Parlarne<br />
innesca in qualche modo l’ascolto;<br />
è intuibile dunque la necessità di<br />
proseguire il dialogo in cultura e cultura<br />
del dialogo al contempo.<br />
Un dialogo che crei nuova<br />
consapevolezza di contesti amalgamati<br />
con il diversamente salute, in cui<br />
focalizzare un bisogno legato al<br />
curante, perché affrontare la fragilità<br />
clinica e sociale è un cambiamento<br />
anche per chi cura, che deve creare<br />
continuità e ri-abilitare. Per intenderci,<br />
una tutela che nasca come servizio<br />
“dedicato a”. I percorsi sanitari vanno<br />
sempre più pensati come un’educazione<br />
culturale al valore di ogni welfare<br />
imprenditoriale che possa salvarci dalle<br />
distanze, senza restare indietro, fino ad<br />
arrivare a un’innovazione 4.0 declinata<br />
doverosamente a una democrazia<br />
digitale. Obiettivo ambizioso è generare<br />
valore attraverso l’esercizio delle<br />
capability, ponendosi in discussione<br />
per sostenere la sfida della diversità<br />
e completando l’azione con l’abilità<br />
umana che crea relazione, che diviene<br />
strumento di apprendimento, che crea<br />
un modello di paradigma culturale. Il<br />
diversamente salute vuole – deve –<br />
riabilitare e incrociare concetti cardine<br />
di diritto, sicurezza, tutela, democrazia,<br />
affinché il significato di salute accolga<br />
l’individuo nella sua integrità, morale<br />
e identitaria. Desiderata sani sono<br />
immaginare un diversamente salute<br />
non per creare nuovi status (che<br />
comunque non guasterebbe) ma per<br />
evolvere in intelligenza sanitaria,<br />
artificiale come umana, perimetrando<br />
percorsi in-formativi educativi,<br />
puntando a una capacità pragmatica<br />
di un sistema salute nazionale.<br />
Rigenerare per creare, esercitandosi<br />
alla sostenibilità, al conoscere per riconoscere,<br />
secondo una vera advocacy<br />
della diversità che conta.<br />
Il riscatto sia con noi.<br />
59
[ DIVERSITÀ AL QUADRATO ]<br />
Nel progetto<br />
THE, l’Università<br />
per stranieri di<br />
Siena svilupperà<br />
nuovi approcci<br />
per integrare nel<br />
nostro sistema<br />
sanitario anche i<br />
pazienti. A iniziare<br />
da quelli cinesi<br />
Valentina Guidi<br />
La diversità culturale in campo medico è una sfida che va<br />
ben oltre la semplice componente linguistica. All’interno<br />
del neonato progetto THE (Tuscany health ecosystem), in<br />
fase di avviamento grazie all’assegnazione dei fondi del<br />
Pnrr, il concetto di diversità assume connotazioni a elevato<br />
valore formativo, tecnologico e curativo, considerando le<br />
specificità del singolo paziente e addentrandosi nelle sfide<br />
poste dall’incontro tra culture diverse. Ma offre anche un<br />
tavolo di dialogo per due mondi spesso percepiti come<br />
binari paralleli e ben distinti: quello scientifico e quello<br />
umanistico.<br />
ECOSISTEMA TOSCANO<br />
DAL VALORE NAZIONALE<br />
Il progetto THE è l’unico degli undici ecosistemi<br />
dell’innovazione finanziati in Italia dai fondi del Pnrr a<br />
focalizzarsi sulle scienze della vita. Il progetto coinvolge 22<br />
partecipanti tra università, enti pubblici e soggetti privati e<br />
mira a concretizzare l’innovazione attraverso l’incontro tra<br />
aziende e ricerca locale. Proprio il legame con il territorio e<br />
il coinvolgimento di realtà toscane ha permesso al progetto<br />
di rientrare negli ecosistemi dell’innovazione previsti dal<br />
Pnrr e di aggiudicarsi così un finanziamento da 110 milioni<br />
di euro. I dieci settori di ricerca che l’ecosistema THE<br />
affronterà nei suoi tre anni di durata comprendono diverse<br />
sfaccettature delle scienze della vita come radioterapie<br />
avanzate e diagnostica in oncologia, medicina preventiva<br />
e predittiva, nanotecnologie, medicina di precisione,<br />
biotecnologie, imaging nelle neuroscienze e robotica. Il<br />
progetto punta ad ampliare il più possibile il concetto di<br />
salute trovandosi anche ad affrontare l’unione tra realtà<br />
a vocazione scientifica e un’istituzione esclusivamente<br />
umanistica, l’Università per stranieri di Siena. Questo<br />
difficile connubio si muove nella direzione della medicina<br />
inclusiva, con un approccio che considera la persona come<br />
essere umano e ne valuta le differenze specifiche. L’ateneo<br />
60
makinglife | novembre <strong>2022</strong><br />
senese ha quindi scelto di inserirsi nell’ecosistema con<br />
un approccio trasversale dedicato alla diversità culturale,<br />
in cui l’inclusività riguarderà in particolare il paziente<br />
straniero.<br />
FOCUS SULLA DIVERSITÀ<br />
CULTURALE<br />
I pazienti sono tutti differenti fra loro ma nel caso di<br />
persone provenienti da Paesi stranieri la diversità assume<br />
connotati che vanno oltre le specificità fisiche di ognuno.<br />
Lingue e culture diverse infatti complicano il quadro e<br />
l’approccio clinico deve fare i conti con questioni che<br />
travalicano la scienza medica. Al tavolo di lavoro del<br />
progetto THE si è quindi seduta l’Università per stranieri di<br />
Siena (Unitrasi), storico polo per la mediazione linguistica<br />
e culturale. Come integrare una visione prettamente<br />
umanistica in un contesto scientifico e tecnologico<br />
avanzato, come quello costruito dagli apporti degli altri<br />
membri dell’ecosistema?<br />
Una domanda a cui è stato complesso rispondere e che<br />
ha richiesto un dialogo aperto tra le due sfere del sapere,<br />
spesso considerate inconciliabili, spiega Caterina Toschi,<br />
professoressa di storia dell’arte contemporanea e delegata<br />
del rettore alla ricerca di ateneo.<br />
L’idea di Unitrasi è di favorire il dialogo e la mediazione non<br />
solo dal punto di vista linguistico ma anche considerando<br />
gli aspetti culturali, in modo da poter integrare pazienti<br />
così diversi nel nostro sistema sanitario. La medicina,<br />
infatti, dalle visite all’ospedalizzazione, dall’assunzione di<br />
farmaci alla prevenzione, viene avvicinata in modo molto<br />
diverso nelle varie culture, soprattutto allontanandosi<br />
dalla nostra Europa. E i chilometri che separano il nostro<br />
continente dal luogo di provenienza dei pazienti su cui<br />
vuole focalizzarsi il progetto sono davvero tanti. Unitrasi ha<br />
infatti pensato di lavorare prevalentemente sulla comunità<br />
cinese, in modo da esaltare la connessione con il territorio<br />
che un ecosistema dell’innovazione riconosciuto dal Pnrr<br />
deve avere. La comunità cinese toscana è infatti tra le più<br />
antiche della regione e certamente la più importante, sia in<br />
termini numerici sia per il suo impatto sull’economia e la<br />
società regionale.<br />
TRE VOLTI DELLA DIVERSITÀ<br />
CULTURALE<br />
Sono tre i nodi di ricerca in cui si inserirà Unitrasi: quello<br />
dedicato alle tecnologie, ai metodi e ai materiali di livello<br />
avanzato per la salute e il benessere umano, quello<br />
focalizzato sull’implementazione dell’innovazione per la<br />
salute e il benessere, e quello centrato sulla salute della<br />
popolazione. Il contributo dell’ateneo sarà esclusivamente<br />
umanistico e richiederà una collaborazione piuttosto<br />
inedita con ricercatori, tecnici e personale sanitario. Una<br />
sfida nella sfida, quindi, che in caso di vittoria permetterà<br />
di realizzare progetti che concretizzeranno il concetto di<br />
paziente al centro in modo nuovo e che potranno essere un<br />
esempio virtuoso anche per le altre regioni italiane.<br />
61
I TRE FILONI DELLA RICERCA<br />
TELEMEDICINA E INNOVAZIONE TECNOLOGICA PER STRANIERI<br />
Nel contesto del nodo di ricerca dedicato alle innovazioni tecnologiche, Unitrasi progetta di fornire una consulenza per l’utilizzo<br />
della lingua nello sviluppo di software e strumenti. Non una semplice traduzione, ma un vero e proprio studio che consideri<br />
il peso delle parole e scelga il modo migliore di accostarsi ai pazienti cinesi, il cui approccio alla medicina è tradizionalmente<br />
molto differente rispetto a quello occidentale. In particolare, il focus di questo contributo sarà su malattie degenerative, terza età<br />
e invecchiamento, tematiche sulle quali c’è ancora poca esperienza legata alle comunità straniere, come spiega Anna di Toro,<br />
professoressa di lingua e letteratura cinese e referente di questo contributo.<br />
L’idea è far dialogare le modalità di cura occidentali con alcune provenienti dalle tradizioni dell’Asia orientale, come quelle legate alle<br />
pratiche dietistiche o alle attività ginnico-meditative. In questo modo sarà possibile creare un rapporto di fiducia nei confronti dei pazienti,<br />
che potrebbe permettere di inserire le tematiche collegate alla medicina occidentale in modo più efficace. La figura dell’anziano, soprattutto,<br />
riveste un significato particolare per le culture orientali di stampo confuciano. Capire come gestire il paziente geriatrico potrebbe quindi<br />
essere uno dei punti di partenza per poi approcciarsi a tematiche prettamente mediche e innovative, come la telemedicina, su cui l’ateneo<br />
vorrebbe elaborare linee guida specifiche per la comunità cinese. Questo strumento, infatti, si rivela particolarmente ostico per i pazienti<br />
stranieri a causa delle differenze linguistiche ma anche a questioni legate alla prossemica (la disciplina che studia il significato assunto, nel<br />
comportamento sociale, dalla distanza che l’individuo frappone tra sé e gli altri e tra sé e gli oggetti) e al linguaggio non verbale.<br />
SEMINARI E FORMAZIONE PER METTERE IL PAZIENTE (STRANIERO) AL CENTRO<br />
Per il contributo al nodo di ricerca focalizzato sull’implementazione dell’innovazione per la salute e il benessere ancora una<br />
volta il punto di partenza non può che essere il paziente. Il quale, però, in questo caso è culturalmente distante da noi. Quale può<br />
essere allora il modo migliore di coinvolgerlo nelle innovazioni che l’ecosistema svilupperà? Il contributo, guidato da Sabrina<br />
Machetti, professoressa specializzata in mediazione e didattica della lingua italiana per stranieri, prevede di organizzare<br />
seminari per divulgare i risultati della ricerca che possano favorire la comunicazione con persone di nazionalità non italiana, nello specifico<br />
cinesi. Il ricercatore in campo medico e scientifico, con il suo bagaglio tecnico, dialogherà allora con uno specialista che possa aiutarlo a<br />
dare il giusto peso agli aspetti umanistici del paziente e a trovare il metodo di divulgazione più adeguato. Ancora una volta c’è la fusione tra<br />
ricerca scientifica e studi umanistici per elaborare una comunicazione che possa coinvolgere davvero tutti i pazienti nell’innovazione.<br />
Ma Unitrasi vuole anche a rivolgersi agli specialisti, con il percorso di formazione curato dal professore di archeologia Jacopo Tabolli. Il<br />
recente rinvenimento di un antico hub medico multiculturale e polilinguistico nell’ambito degli scavi presso il santuario termale etrusco e<br />
romano di San Casciano dei Bagni (SI), infatti, offrirà l’opportunità di un dialogo integrato tra medici termali e archeologi. L’idea è di imparare<br />
qualcosa dal nostro prestigioso passato per coinvolgere i pazienti stranieri nelle terapie del presente e del futuro.<br />
GESTIONE DEL TRAUMA E MEDICINA NARRATIVA<br />
Le attività ideate dall’ateneo nell’ambito del nodo di ricerca relativo alla salute della popolazione e coordinate da Tiziana de<br />
Rogatis, professoressa di letterature comparate, ruoteranno attorno alla cura del trauma, in particolare nelle donne. Questo<br />
argomento è di grande importanza per chi affronta una migrazione e per chi si trova a vivere in un Paese culturalmente distante<br />
dal proprio o da quello della famiglia di provenienza. Il peso del trauma sulla salute del singolo e della collettività è rilevante.<br />
La rimozione che il nostro cervello può operare di fronte a eventi particolarmente drammatici, infatti, impedisce alla persona di<br />
elaborarli, causando ripercussioni che possono portare a patologie e disturbi del comportamento, con gravi conseguenze sul<br />
paziente, ma anche sulla sua famiglia e sul resto della popolazione. Unitrasi intende affrontare questo problema utilizzando la medicina<br />
narrativa, branca innovativa delle scienze mediche che punta a ridare ordine e quindi senso agli sviluppi delle vite che hanno subito dei<br />
traumi attraverso la loro narrazione. Benché in Italia sia un argomento recente, la medicina narrativa a livello globale ha già permesso di<br />
ottenere risultati quantificabili e incoraggianti non solo in caso di traumi gravi. L’obiettivo è quindi creare un archivio digitale ricostruendo le<br />
storie delle donne immigrate e migranti fatto di testi e di immagini. Le immagini avranno la funzione di colmare quei vuoti che potrebbero<br />
rimanere nonostante il lavoro degli specialisti che cercheranno di far emergere gli eventi traumatici a fini curativi. L’archivio sarà poi fruibile<br />
dai pazienti stessi e dal personale sanitario che si troverà a dover gestire persone che hanno subito traumi simili. È dimostrato infatti che la<br />
consultazione di storie che hanno affinità con la propria può aiutare a recuperare il ricordo rimosso e quindi a elaborare il proprio trauma.<br />
Per raggiungere questo obiettivo, Unitrasi affiancherà il personale sanitario a livello di mediazione linguistica e culturale, ma anche per<br />
riportare le storie in testi di facile consultazione nella nostra lingua.<br />
62
www.pipeline.it<br />
Microsoft Dynamics 365
Scienza e stereotipi<br />
Nonostante le pretese di oggettività e distacco, anche il mondo<br />
dei ricercatori soffre il problema della discriminazione delle<br />
minoranze. A scapito dei risultati scientifici<br />
Ne seguì una polemica che determinò il<br />
ritiro dell’articolo (prima volta nella storia<br />
ultracentenaria della rivista) e una lunga<br />
serie di strascichi a livello accademico<br />
internazionale (tra cui anche la censura<br />
della Società chimica italiana). Posto che<br />
noi non abbiamo né il dovere né l’interesse<br />
a riprendere strettamente la questione<br />
Hudlicky, la scomparsa dello scienziato ci<br />
offre lo spunto per tornare sulla questione<br />
e vedere se – e come – la situazione si è<br />
evoluta in quest’ultimo periodo.<br />
BIANCO, MASCHIO<br />
E CINQUANTENNE<br />
Giulio Divo<br />
A maggio di quest’anno un lutto ha colpito<br />
il mondo accademico della chimica.<br />
È infatti scomparso a soli 72 anni<br />
Tomàs Hudlicky, scienziato di origine<br />
ceca formatosi però negli Stati Uniti e<br />
affermatosi successivamente presso<br />
la Brock University, in Canada. Hudlicky,<br />
che nel corso della carriera ha condotto<br />
brillanti studi su molecole dall’azione<br />
antitumorale, non è tuttavia “passato<br />
alla storia” come ricercatore, quanto per<br />
le sue opinioni circa la valorizzazione<br />
delle diversità nelle forze lavoro e, nello<br />
specifico, nell’attività di ricerca scientifica.<br />
Il “caso”, forse alcuni lo ricorderanno,<br />
risale al 2020 quando – a seguito di<br />
un articolo pubblicato su Angewandte<br />
Chemie – Hudlicky inserì proprio la<br />
diversity of workforce tra gli elementi<br />
che ostacolano il progresso della<br />
sintesi organica negli ambiti di ricerca,<br />
lamentando come la “presenza di training<br />
workshop obbligatori sui temi della parità<br />
di genere, dell’inclusione, della diversità<br />
e della discriminazione” rappresentasse<br />
ormai una vera e propria emergenza.<br />
Gli stereotipi, nella scienza, sono tutt’altro<br />
che un’eccezione. Anzi, ci sono diversi<br />
indicatori di come profili differenti da<br />
quello del maschio caucasico di 50<br />
anni (donne, persone di colore o di<br />
etnie differenti da quella caucasica,<br />
professionisti appartenenti alla comunità<br />
Lgbtq+, disabili) risultino di fatto<br />
svantaggiate in termini di opportunità<br />
di carriera, di rispetto, di aspettativa<br />
professionale e – non ultimo – di salario.<br />
Una ricerca pubblicata su Sciences<br />
Advances da parte della sociologa Erin<br />
Cech ha evidenziato questo fenomeno<br />
attraverso lo studio dei profili professionali<br />
di oltre 25mila persone impegnate nel<br />
mondo delle Stem (Scienza, tecnologia,<br />
ingegneria, matematica). Allo stesso<br />
modo, proprio nel 2020, uno statement<br />
della Royal society of chemistry esordiva<br />
con le seguenti parole: “Sexism, racism,<br />
discrimination against LGBTQ+ people and<br />
many other forms of inequality are sadly<br />
all too prevalent in the chemical sciences,<br />
both at individual and institutional levels”.<br />
Questo significa che il problema non<br />
solo esiste, ma è presente anche una<br />
consapevolezza istituzionale di questo.<br />
A conferma di quanto stiamo dicendo,<br />
vale la pena citare anche l’indagine<br />
64
makinglife | novembre <strong>2022</strong><br />
“Inclusion”, condotta da Astraricerche<br />
per conto di Gilead Sciences. Ebbene,<br />
la ricerca ha chiarito che, ancora oggi,<br />
esiste una opinione molto diffusa per cui<br />
ci sarebbero mestieri “solo per uomini” (il<br />
30% del campione intervistato) e sono le<br />
stese donne, spesso, le peggiori nemiche<br />
di un vero equality gender, dato che questa<br />
convinzione è condivisa dal 43% delle<br />
donne intervistate.<br />
UN CONTROSENSO,<br />
MA CON TANTI<br />
PRECEDENTI<br />
In questi ultimi anni si è molto dibattuto<br />
sullo status epistemologico delle scienze,<br />
da intendere come discipline fattuali,<br />
nelle quali il preconcetto finisce con<br />
l’influenzare il risultato specifico stesso.<br />
La filosofia della scienza ci spiega molto<br />
bene come le più grandi conquiste nel<br />
mondo scientifico siano state conseguenti<br />
alla ribellione nei confronti del pensiero<br />
dominante, con la conseguente caduta di<br />
un paradigma inadeguato (per utilizzare<br />
la terminologia di Thomas Kuhn) a favore<br />
di un altro che meglio potesse contenere,<br />
come una cornice, il quadro di insieme<br />
delle conoscenze scientifiche. Oggi, solo<br />
per fare un esempio, gli studi di genetica<br />
hanno abbattuto di fatto il concetto di<br />
razza, correggendo molte delle opinioni<br />
dominanti fino alla metà circa del XX<br />
secolo. Vale però la pena sottolineare<br />
come uno dei padri riconosciuti della<br />
genetica, il premio Nobel James Watson,<br />
ancora nel 2007 dichiarava come (a suo<br />
avviso) i test di intelligenza condotti sulla<br />
popolazione di colore dessero risultati<br />
inferiori rispetto agli stessi condotti<br />
sulla popolazione caucasica, attribuendo<br />
alla genetica il presunto risultato di una<br />
minore intelligenza. Insomma, verrebbe<br />
da dire che in alcuni casi anche gli<br />
scienziati non applicano rigorosamente un<br />
metodo scientifico quando c’è di mezzo<br />
il preconcetto e le questioni di genere.<br />
Ma se la situazione è così complessa,<br />
siamo sicuri che le politiche di inclusione<br />
siano corrette per sanare una posizione<br />
in cui l’ambiente è ancora fortemente<br />
condizionato da una tradizione maschilista<br />
e occidentali-centrica?<br />
IL MONDO DELLA<br />
RICERCA PUÒ<br />
ESSERE DIVERSO<br />
DALLA SOCIETÀ DI<br />
RIFERIMENTO?<br />
In un intervento durante il webinar “Gli<br />
orizzonti della Salute” Stefano Bortuzzi,<br />
chief executive officer dell’American<br />
society for microbiology ha posto la<br />
questione in questi termini: è credibile una<br />
scienza che non rispecchia la società di<br />
riferimento? Esiste il pericolo che, a causa<br />
della mancanza di una rappresentatività<br />
delle minoranze, il discorso scientifico<br />
e la ricerca tornino nella loro torre<br />
di avorio senza riuscire a creare una<br />
cultura scientifica condivisa e inclusiva?<br />
L’esempio lampante di ciò lo abbiamo<br />
avuto durante la pandemia causata dal<br />
Covid-19; al di là del dibattito tra scienziati<br />
esposti mediaticamente, abbiamo avuto<br />
una forte reazione antiscientifica causata<br />
– forse – anche dal fatto che le persone<br />
non si sentono rappresentate e non<br />
riconoscono l’autorevolezza di voci che<br />
vengono “sentite” – a livello emozionale –<br />
come lontane dalle istanze delle persone<br />
comuni. Forse uno dei problemi di<br />
dialogo tra scienza e popolazione risiede<br />
nel fatto che nella stessa comunità dei<br />
ricercatori permangono delle chiusure<br />
che impediscono, di fatto, il dialogo e il<br />
confronto. Il risultato è simile a quello che<br />
si ottiene cercando di unire i poli identici di<br />
due magneti: una repulsione incoercibile.<br />
IL VALORE<br />
DELL’INCLUSIVITÀ TRA<br />
RICERCA E AZIENDE<br />
Vale allora la pena tornare all’inizio della<br />
nostra discussione. L’inclusività è, come<br />
asseriva Hudlicky, un ostacolo alla ricerca<br />
o è, invece, un vantaggio? Cominciamo con<br />
il dire che l’inclusività non è un ostacolo<br />
alla meritocrazia ma, anzi, può senz’altro<br />
rappresentarne una amplificazione. Se noi<br />
viviamo in una dimensione ristretta, anche<br />
il nostro bacino potenziale di intelligenze<br />
risulterà ristretto. Viceversa, liberandoci<br />
dagli stereotipi di genere andremo a<br />
esaltare le competenze pure, astraendole<br />
dal loro “contenitore sociale”, inteso come<br />
etnia, religione, preferenze sessuali e di<br />
genere. Lo dimostrano i dati delle società<br />
di recruiting, le quali riportano una serie<br />
di dati positivi che non possono essere<br />
trascurati (studio PageGroup in aziende tra<br />
100 e 499 dipendenti). C’è il miglioramento<br />
dell’immagine aziendale (59,1%) così come<br />
una maggiore capacità di attrarre i talenti<br />
(52,3%), l’ambiente di lavoro risulta più<br />
stimolante (54,5%) e c’è un incremento<br />
nella fidelizzazione (38,6%) dei dipendenti.<br />
UNA LUNGA STRADA<br />
DAVANTI<br />
Il cammino verso una società realmente<br />
inclusiva – a ogni livello – è ancora molto<br />
lungo e incontra resistenze di non poco<br />
conto. Non è possibile intervenire sulla<br />
mente del singolo per far cambiare<br />
un’idea ma si può costruire una cultura<br />
dell’inclusione tale da far sì che il tema<br />
delle diversità smetta di fatto di essere<br />
un tema. La dimostrazione viene dalla<br />
miglior risposta che si è avuta all’articolo<br />
di Hudlicky, a sua volta pubblicato su<br />
“The Journal of organic chemistry”,<br />
con quattro firme (Sarah E. Reisman,<br />
Richmond Sarpong, Matthew Sigman<br />
e Tehshik Yoon). Tra le conclusioni, un<br />
aspetto sembra essere decisivo: negli<br />
ultimi trent’anni – in assoluta simmetria<br />
con una maggiore inclusione – il mondo<br />
della ricerca scientifica nelle Stem ha<br />
prodotto un numero di risultati che<br />
non ha precedenti nella storia umana.<br />
Forse è questa la migliore risposta che<br />
possiamo dare in questo senso: laddove<br />
la ricerca e il mondo dell’industria hanno<br />
seguito i mutamenti sociali, abbiamo<br />
avuto più quantità, maggiore qualità e<br />
integrazione basate non su cervellotiche<br />
“quote di minoranza”, quanto sul merito.<br />
Nell’accezione più alta del termine.<br />
65
La multiculturalità<br />
migliora anche la<br />
ricerca<br />
66<br />
LA PROVENIENZA ETEROGENEA DEI<br />
RICERCATORI DI UN LABORATORIO PUÒ<br />
RAPPRESENTARE UN FRENO OPPURE<br />
UNO STRAORDINARIO ACCELERATORE<br />
DI SVILUPPO: LA COESIONE PARLA IL<br />
Come si tiene insieme<br />
una realtà internazionale,<br />
che comprende individui<br />
con background culturali,<br />
religiosi e linguistici<br />
diversi? Sembra quasi<br />
impossibile, anche alla luce<br />
delle congiunture mondiali<br />
in atto. Eppure, è ciò che<br />
LINGUAGGIO DELLA SCIENZA<br />
Monica Torriani<br />
succede nei grandi centri<br />
di ricerca, realtà che fanno<br />
della scienza la propria<br />
matrice comune e che<br />
riescono, grazie a questo e<br />
alle capacità di coordinatori<br />
di talento, a funzionare<br />
producendo risultati di<br />
valore.<br />
EQUILIBRARE<br />
COMPETIZIONE<br />
E CONFLITTO<br />
La storia ci insegna come<br />
la diversity possa costituire<br />
un elemento potenzialmente<br />
disgregante. Qualcosa<br />
di così potente da avere<br />
portato ripetutamente,<br />
anche nel passato recente,<br />
a iniziative repressive da<br />
parte di capi di Stato attenti<br />
a non lasciarsi sfuggire<br />
di mano il potere su etnie<br />
apparentemente impossibili<br />
da mettere d’accordo.<br />
Il difficile contesto viene<br />
replicato, su scala minore,<br />
nei centri di ricerca, dove<br />
tuttavia gli interventi<br />
nella gestione del capitale<br />
umano sono in genere più<br />
illuminati.<br />
Non che manchino<br />
proverbiali screzi<br />
fra “primedonne”,<br />
semplicemente, rientrano<br />
nei fisiologici meccanismi<br />
di competizione che, fino<br />
a un certo punto, possono<br />
servire da stimolo per il<br />
miglioramento continuo.<br />
FARE LEVA<br />
SUI VANTAGGI<br />
Non pensiamo che il<br />
capo più adeguato sia<br />
quello più remissivo,<br />
la persona disposta ad<br />
ascoltare tutti senza mai<br />
prendere posizione per non<br />
scontentare nessuno. Alla
makinglife | novembre <strong>2022</strong><br />
guida di progetti ambiziosi<br />
portati avanti da team<br />
d’eccellenza deve esserci un<br />
coordinatore decisionista.<br />
Lo confermano numerose<br />
ricerche nel settore<br />
dell’internazionalizzazione<br />
e della gestione di squadre<br />
multiculturali.<br />
L’aspetto che rileva,<br />
tuttavia, nella scelta del<br />
professionista è la capacità<br />
non solo di decidere, ma<br />
anche di comunicare, di far<br />
passare il messaggio verso<br />
gli interlocutori e fra gli<br />
stessi interlocutori.<br />
Anche nel panorama<br />
degli studi scientifici,<br />
il leader agisce da<br />
fattore di coesione.<br />
Facilita l’interazione fra i<br />
collaboratori concentrando<br />
l’attenzione collettiva<br />
sugli aspetti vantaggiosi<br />
della diversity, come<br />
l’arricchimento delle<br />
proposte dovuto alla<br />
promozione del pensiero<br />
laterale e della tensione<br />
all’obiettivo.<br />
Un atteggiamento che non<br />
porta a esiti positivi è,<br />
invece, quello di enfatizzare<br />
(anche con le migliori<br />
intenzioni) le differenze<br />
culturali, che promuove la<br />
polarizzazione e acuisce le<br />
tensioni.<br />
L’ETEROGENEITÀ<br />
NON RIGUARDA<br />
SOLO LA<br />
PROVENIENZA<br />
Oggi ci si concentra molto, e<br />
a buon diritto, sulla diversity<br />
di genere. Ma questo non<br />
deve farci dimenticare che<br />
esistono molte altre barriere<br />
altrettanto tenaci e resistenti<br />
all’abbattimento. Una<br />
delle più rilevanti è quella<br />
anagrafica. L’allungamento<br />
(gradito, si intende) delle<br />
prospettive di vita fa sì<br />
che nei team impegnati in<br />
progetti di ricerca siano<br />
ricompresi individui che<br />
appartengono anche a più di<br />
due generazioni successive.<br />
Non è raro trovare<br />
all’interno della stessa<br />
squadra venticinquenni<br />
e sessantacinquenni,<br />
giovani che hanno da poco<br />
cominciato a immaginare<br />
la loro carriera nel mondo<br />
del lavoro e anziani (anche<br />
se spesso tali per questioni<br />
puramente anagrafiche)<br />
che stanno progettando la<br />
loro seconda vita libera da<br />
incombenze professionali.<br />
Due realtà apparentemente<br />
inconciliabili. Perché, se è<br />
comunque realistico pensare<br />
a uno scambio che metta in<br />
circolo entusiasmo da un lato<br />
ed esperienza dall’altro, è<br />
pur vero che fasce di età così<br />
distanti impongono anche<br />
sistemi di welfare ed HR<br />
completamente diversi.<br />
Le complessità aumentano<br />
quando si considera la<br />
presenza in team di una<br />
persona malata. È piuttosto<br />
comodo pensare che i<br />
ricercatori impegnati a<br />
individuare soluzioni a<br />
malattie terribili siano<br />
invulnerabili ai comuni morbi.<br />
Ma in tali gruppi, così come<br />
nei gruppi che operano in<br />
altre realtà accademiche e<br />
aziendali, è da mettere in<br />
conto che siano presenti<br />
individui che soffrono di<br />
malattie croniche o disabilità<br />
e che ciò comporti un<br />
approccio differente alle<br />
azioni quotidiane, anche nel<br />
lavoro.<br />
LA DIVERSITY<br />
MOLTIPLICA<br />
I RISULTATI<br />
DELLA SCIENZA<br />
Nel podcast “Working<br />
scientist: perché la diversità<br />
nella scienza è importante?”<br />
prodotto dall’International<br />
science council (ISC), la Ceo<br />
di ISC, Heide Hackamnn,<br />
sottolinea la centralità che<br />
ha assunto la scienza nel<br />
presente, il ruolo strategico<br />
nel raggiungimento degli<br />
obiettivi collettivi della<br />
sostenibilità, dell’equità e<br />
della sicurezza del nostro<br />
mondo. Conversando<br />
con lei, Anthony Bogues,<br />
docente di lettere e teoria<br />
critica e di studi africani<br />
alla Brown University di<br />
Providence (US), sostiene<br />
che sia necessario smettere<br />
di pensare alla scienza<br />
come una sorta di soggetto<br />
oggettivo, che viene al<br />
mondo senza alcun tipo di<br />
interferenza umana.<br />
Di fatto, la scienza è<br />
un’invenzione dell’uomo<br />
e viene al mondo con una<br />
serie di cornici storiche che<br />
modellano effettivamente<br />
il suo percorso. Inoltre,<br />
è in grado essa stessa<br />
di influenzare i destini<br />
dell’uomo. Sottovalutare<br />
questi aspetti può essere<br />
estremamente penalizzante.<br />
È invece importante<br />
focalizzare l’attenzione<br />
sui vantaggi della<br />
multiculturalità: ampliare la<br />
diversità significa rendere<br />
la scienza più produttiva,<br />
con risultati migliori per la<br />
collettività ma anche per i<br />
singoli individui.<br />
GESTIRE LA<br />
MULTICULTURALITÀ<br />
VALORIZZANDO<br />
I SINGOLI<br />
Ed è ancora una volta<br />
sui vantaggi che occorre<br />
concentrarsi per progettare<br />
ambienti di ricerca in<br />
cui la multiculturalità<br />
rappresenti un plus anziché<br />
un limite. Se dal punto di<br />
vista degli aspetti globali<br />
la diversity porta, come<br />
oramai un’infinità di studi<br />
documenta, a maggiore<br />
creatività e innovazione<br />
e al potenziamento della<br />
flessibilità del sistema, che<br />
ne è dei singoli?<br />
Far passare il messaggio<br />
che per benefici si intende<br />
il profitto per la collettività<br />
e che i singoli debbano<br />
sacrificarsi in funzione di un<br />
non meglio precisato senso<br />
etico non sembra essere<br />
una buona idea.<br />
Se ci spostiamo sulla<br />
dimensione individuale<br />
scopriamo come la<br />
lateralità e l’originalità, fra<br />
gli strumenti più richiesti<br />
nella cassetta degli attrezzi<br />
dello scienziato di successo,<br />
possano essere sviluppate<br />
67
appieno solo in ambienti<br />
spiccatamente eterogenei.<br />
Detto in altre parole: il team<br />
monoculturale è una echo<br />
chamber che il ricercatore<br />
non si può permettere di<br />
frequentare. Tanto più in<br />
un’epoca, come la nostra,<br />
nella quale deve essere più<br />
che mai favorito il flusso<br />
continuo dei “cervelli” fra<br />
i laboratori. L’obiettivo<br />
dell’integrazione deve<br />
dunque essere raggiunto<br />
nella valorizzazione delle<br />
individualità e non già nella<br />
loro sottomissione a un<br />
bene più grande.<br />
RISPETTARE<br />
(TUTTE) LE<br />
DIVERSE<br />
SENSIBILITÀ<br />
Il rischio della polarizzazione,<br />
della chiusura in piccoli gruppi<br />
dialoganti ed effervescenti ma<br />
solo al loro interno, è vivo e<br />
presente. Una delle condizioni<br />
che può tramutarlo in realtà<br />
è la banalizzazione del<br />
tema. Ridurre le complessità<br />
legate alla diversity al<br />
tentativo da parte di persone<br />
restie al cambiamento di<br />
mantenere lo status quo<br />
sarebbe un’imperdonabile<br />
approssimazione. Non si<br />
tratta, infatti, di individuare<br />
colpevoli, a patto che ce<br />
ne siano, ma di favorire il<br />
dialogo e l’apertura, creando<br />
le condizioni perché tutti vi<br />
possano accedere, sentendosi<br />
parte di un nucleo accogliente<br />
e universale. Se dobbiamo<br />
veicolare il messaggio che<br />
la diversità sia un beneficio<br />
e rispettare le differenti<br />
sensibilità, non possiamo<br />
respingere senza possibilità di<br />
replica le istanze di chi non la<br />
pensa come noi.<br />
Da queste considerazioni,<br />
quindi, emerge il bisogno di<br />
un approccio che vada oltre<br />
l’inserimento professionale e<br />
riveda i percorsi universitari,<br />
e di formazione in generale,<br />
perché si occupino di<br />
trasversalità. E progettare<br />
una comunicazione che<br />
sappia scoprire ed esprimere<br />
i valori autentici che la<br />
multiculturalità consente di<br />
abbracciare, superando le<br />
semplicistiche indicazioni<br />
pseudoetiche che rischiano di<br />
appesantire la narrativa senza<br />
apportare beneficio alcuno.<br />
Dai vaccini allo spazio, il linguaggio comune di scienza e tecnologia<br />
Sono molti gli esempi di centri di ricerca dove un capitale umano con provenienza eterogenea genera performance<br />
impossibili da replicare per realtà chiuse. All’Istituto italiano di tecnologia di Genova lavorano circa 1900 persone, di<br />
queste il 31% proviene da un Paese straniero e il 18% sono italiani rientrati dall’estero. Numeri che rendono IIT un<br />
ambiente multiculturale e interdisciplinare che fa della diversità una forma di arricchimento.<br />
Un esempio di collaborazione che sfrutta gli strumenti caratteristici della sperimentazione clinica è il Recovery trial,<br />
che attualmente vanta più di 40.000 partecipanti e 199 siti coinvolti. Recovery è un progetto della Oxford University<br />
finanziato, fra gli altri, da Bill and Melissa Gates Foundation e Wellcome e incentrato sulla valutazione di nuove<br />
terapie per il trattamento di Covid-19.<br />
Infinite le trasvolate oceaniche che hanno scandito la carriera di Fabrizio Renzi, ingegnere biomedico, per 30 anni<br />
direttore tecnologia e innovazione di IBM Italia e convinto tessitore di relazioni fra i mondi dell’impresa e della<br />
ricerca.<br />
«Sono convinto che le skill, le competenze funzionano meglio nel mondo della ricerca se vengono da diverse culture<br />
– ha dichiarato Renzi nel corso di un’intervista. – La differenza fra culture è importante perché è dal pensiero laterale<br />
che molte innovazioni vengono generate. Lo posso confermare per esperienza diretta: ho passato molti anni sia<br />
negli Stati Uniti che nei Paesi emergenti, dalla Russia all’Europa dell’Est, dal Medio Oriente all’Africa. Mi sono reso<br />
conto di come mettere insieme culture diverse generi una grande ricchezza di spunti e di idee, e noi favoriamo<br />
questo processo».<br />
Un altro esempio eccellente di inclusione e successo è quello rappresentato dalle missioni spaziali internazionali. Lo<br />
scorso marzo, con il conflitto russo-ucraino ormai divampato, l’avvicendamento al comando della stazione spaziale<br />
internazionale è stato sigillato da un abbraccio fra l’astronauta della Nasa Mark Vande Hei e i cosmonauti russi Pëtr<br />
Dubrov e Anton Shkaplerov. A dispetto dei conflitti che dominano la scena mondiale, la collaborazione fra uomini<br />
nello spazio non ha mai cessato di essere virtuosa.<br />
68
PRODUCT & PROCESS<br />
VALIDATION<br />
EQUIPMENT &<br />
SYSTEMS VALIDATION<br />
COMPUTERIZED SYSTEMS<br />
VALIDATION & DATA INTEGRITY<br />
PROJECT MANAGEMENT<br />
& GMP TRAINING
Diversity e<br />
tossicologia<br />
Maura Bernini<br />
IL POSSIBILE RUOLO DEL MONDO<br />
ACCADEMICO STATUNITENSE E DELLA<br />
SOCIETY OF TOXICOLOGY NEL DISEGNARE<br />
UN FUTURO PIÙ INCLUSIVO NEL CAMPO<br />
DELLA RICERCA<br />
Negli Stati Uniti, il numero delle<br />
Persons excluded due to ethnicity<br />
or race (Peer) nell’ambito della<br />
tossicologia, come in generale in<br />
tutti gli STEM (campi disciplinari,<br />
accademici e lavorativi delle branche<br />
science, technology, engineering<br />
and mathematics) sembra ancora<br />
particolarmente alto. Questo è<br />
sicuramente un elemento negativo<br />
per la scienza perché la diversità può<br />
accendere l’inventiva e dare un grande<br />
impulso all’innovazione.<br />
Perché gli studenti appartenenti a<br />
minoranze hanno un alto tasso di<br />
abbandono delle facoltà scientifiche?<br />
David J. Asai, professore del Howard<br />
Hughes Medical Institute, nell’articolo<br />
“Race matters” pubblicato su Cell<br />
nel 2020, osserva che l’approccio<br />
Fixing the student e i vari interventi<br />
incentrati sullo studente, implementati<br />
negli ultimi 50 anni (tra i quali corsi di<br />
recupero ed esperienze di ricerca negli<br />
anni pre-universitari), hanno contribuito<br />
a incrementare il numero di studenti<br />
appartenenti a minoranze che entrano<br />
in facoltà universitarie STEM, ma non<br />
sono sufficienti a contrastare il loro<br />
elevato tasso di abbandono.<br />
I ragazzi non bianchi che intraprendono<br />
un percorso STEM, infatti, sono quasi<br />
triplicati dal 1992 al 2017 ma i loro<br />
tassi di abbandono scolastico sono<br />
sostanzialmente invariati rispetto a<br />
trent’anni fa e molto più elevati rispetto<br />
a quelli dei bianchi. Asai sottolinea<br />
che, poiché questa disparità etnica<br />
non si registra nei campi non STEM,<br />
la sua causa potrebbe risiedere in<br />
un comportamento non abbastanza<br />
inclusivo da parte dei professori delle<br />
facoltà scientifiche. Suggerisce quindi<br />
ai propri colleghi docenti di incentrare<br />
maggiormente la comunicazione<br />
sull’ascolto di ciò che pensano gli<br />
studenti, oltre a ciò che imparano,<br />
per far scaturire in loro un senso di<br />
appartenenza al mondo scientifico.<br />
Ma le disparità attuali hanno radici<br />
profonde, da ricercarsi nelle pratiche<br />
che hanno plasmato la società<br />
statunitense in 600 anni. L’articolo di<br />
Karilyn E. Sant e Larissa M. Williams<br />
“The role of diversity, equity, and<br />
inclusion in the future of toxicology”,<br />
pubblicato come editoriale su<br />
Toxicological sciences, riporta un’analisi<br />
70
makinglife | novembre <strong>2022</strong><br />
dei fattori chiave che hanno contribuito<br />
alle moderne tendenze dei gruppi<br />
minoritari a essere rappresentati nelle<br />
STEM.<br />
LIMPIEZA DE SANGRE<br />
La cosiddetta scoperta dell’America<br />
fu di poco preceduta dal decreto<br />
dell’Alhambra, emanato il 31 marzo del<br />
1492 dal re Ferdinando II d’Aragona<br />
e dalla regina Isabella di Castiglia.<br />
Questo decreto ordinava l’espulsione<br />
da Spagna e Portogallo degli ebrei<br />
che non si fossero convertiti alla<br />
religione cattolica. Di fatto, il decreto<br />
fu accompagnato dai primi statuti di<br />
limpieza de sangre (purezza di sangue),<br />
cioè atti di ordine privato attraverso i<br />
quali varie istituzioni come università,<br />
uffici pubblici, ordini professionali<br />
e religiosi, verificavano l’assenza di<br />
antenati ebrei nelle famiglie di chi<br />
volesse accedere alle istituzioni stesse.<br />
Si instaurava così uno ius sanguinis in<br />
base al quale il motivo discriminatorio<br />
non era più soltanto la religione, ma<br />
anche la razza.<br />
Proprio attorno al costrutto sociologico<br />
chiamato razza, gli europei occidentali<br />
organizzarono la società e il potere<br />
anche oltre oceano. Legittimarono in<br />
modo ufficiale pratiche di sfruttamento<br />
di intere popolazioni di altri Paesi,<br />
da utilizzare poi nelle opere di<br />
colonizzazione del Nuovo Mondo. È, per<br />
esempio, il caso del principe Enrico del<br />
Portogallo che iniziò a commerciare<br />
schiavi africani già a metà del ‘400.<br />
SCIENZIATI<br />
E RAZZISMO<br />
Sant e Williams sottolineano che,<br />
usando la loro autorità di intellettuali<br />
e scienziati, molti bianchi dell’Europa<br />
occidentale hanno creato e perpetuato<br />
l’idea che esistessero differenze<br />
biologiche e gerarchiche tra le razze e<br />
che la razza bianca dovesse regnare<br />
su tutte le altre, come descrive anche<br />
Ibram X. Kendi nel suo “Stamped<br />
from the beginning: the definitive<br />
history of racist ideas in America”. «Su<br />
questa base, i non bianchi sono stati<br />
emarginati e il loro accesso al potere<br />
e alle risorse finanziarie, politiche<br />
ed economiche è stato limitato –<br />
sostengono Sant e Williams. – Inoltre, la<br />
perniciosa convinzione che esista una<br />
base genetica della razza ha contribuito<br />
a mantenere i principi di inferiorità<br />
razziale».<br />
Questa situazione ha coinvolto anche<br />
le comunità e le organizzazioni<br />
scientifiche: nonostante “l’innata<br />
diversità all’interno della tossicologia”<br />
(definita dalla Società di tossicologia<br />
come “lo studio degli effetti avversi di<br />
agenti chimici, fisici o biologici sugli<br />
organismi viventi e sull’ecosistema,<br />
compresa la prevenzione e il<br />
miglioramento di tali effetti”) permane<br />
una disuguaglianza razziale, etnica<br />
e di genere nella partecipazione e<br />
nella leadership nel corso della storia<br />
della SOT (Society, of toxicology,<br />
un’organizzazione con più di 8.000<br />
membri provenienti da oltre 70 Paesi).<br />
La Società, però, ha ora attuato al<br />
proprio interno diverse iniziative in<br />
materia di diversità, equità e inclusione.<br />
Una delle prime è stata l’attuazione<br />
nel 1989 del Minority program (ora<br />
Undergraduate diversity program)<br />
che si prefiggeva di incoraggiare gli<br />
studenti universitari con un background<br />
all’epoca ancora sottorappresentato<br />
nelle STEM a intraprendere una carriera<br />
in tossicologia. Nel 1991, la SOT è<br />
diventata la prima società professionale<br />
a ricevere fondi del National institutes<br />
of health per un programma di questo<br />
tipo.<br />
Per contribuire ad affrontare la<br />
mancanza di diversità di genere<br />
all’interno della SOT, nel 2001 è stato<br />
inoltre formato il Women in toxicology<br />
special interest group, il primo gruppo<br />
dedicato specificamente alla creazione<br />
di una comunità basata sull’identità.<br />
Per conto della SOT, anche il Committee<br />
on diversity initiatives ha svolto un<br />
ruolo importante per sensibilizzare<br />
l’opinione pubblica e partecipare<br />
alla discussione e alla promozione<br />
dei principi di diversity&inclusion.<br />
«Sebbene fino a poco tempo fa sia<br />
stato fornito un sostegno minore per<br />
promuovere la diversità, l’equità e<br />
l’inclusione nei nostri attuali membri e<br />
nelle nostre operazioni – dichiarano le<br />
autrici dell’editoriale – recentemente il<br />
Committee ha sostenuto e partecipato<br />
a diverse conferenze specificamente<br />
incentrate sulla diversità e l’inclusione<br />
nelle STEM». Queste iniziative hanno<br />
contribuito ad aumentare la visibilità<br />
del campo della tossicologia presso<br />
gli studenti non laureati provenienti da<br />
ambienti diversi.<br />
71
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ITALY<br />
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Pharma&LifeSciences<br />
Legal view<br />
Spunti<br />
compliance<br />
in MDR e IVDR<br />
Avv. Josephine Romano, Avv. Paola Gribaldo<br />
e Avv. Marianna Regillo – Deloitte Legal<br />
Il 13 settembre <strong>2022</strong><br />
sono stati pubblicati<br />
in Gazzetta Ufficiale<br />
i decreti legislativi<br />
per l’adeguamento<br />
del quadro normativo<br />
nazionale ai<br />
Regolamenti europei<br />
UE 2017/745 (MDR) e<br />
2017/746 (IVDR): D.Lgs.<br />
137/<strong>2022</strong> sui dispositivi<br />
medici e il D.Lgs.<br />
138/<strong>2022</strong> sui dispositivi<br />
medico-diagnostici in<br />
vitro.<br />
Principali novità<br />
La normativa (tra il resto) si pone<br />
l’obiettivo di rafforzare le regole<br />
sull’immissione dei dispositivi<br />
sul mercato e quelle relative alla<br />
sorveglianza post-vendita; di definire<br />
le responsabilità dei fabbricanti<br />
nell’ambito del monitoraggio della<br />
qualità, delle prestazioni e della<br />
sicurezza dei dispositivi immessi sul<br />
mercato; di migliorare la tracciabilità<br />
dei dispositivi medici attraverso<br />
l’attribuzione di un numero di<br />
identificazione univoco (Unique<br />
device identifier — UDI), al fine di<br />
gestire efficacemente eventuali<br />
problemi di sicurezza e di creare<br />
una banca dati centrale (EUDAMED)<br />
per fornire ai pazienti, agli operatori<br />
sanitari e al pubblico informazioni<br />
complete sui prodotti disponibili<br />
nell’Unione Europea.<br />
Profili di compliance<br />
Degna di nota è l’introduzione<br />
della figura del PRRN (Persona<br />
responsabile del rispetto della<br />
normativa), cui sono stati assegnati<br />
specifici compiti di controllo interno<br />
circa il rispetto della normativa da<br />
parte degli operatori di settore, con<br />
l’obbligo di segnalare agli stessi<br />
eventuali non conformità. Tale novità<br />
renderà pertanto necessario – dal<br />
punto di vista della compliance<br />
aziendale – lo svolgimento di<br />
un’approfondita ricognizione<br />
aziendale interna sotto un duplice<br />
profilo: (i) profilo organizzativo, volta<br />
all’individuazione della funzione<br />
aziendale idonea a ricoprire tale<br />
ruolo e verifica del possesso delle<br />
competenze richieste dalla normativa<br />
e (ii) profilo procedurale, volta<br />
all’adozione di specifiche procedure<br />
operative interne affinché ciascun<br />
operatore sia in grado di dimostrarsi<br />
compliant rispetto alle nuove<br />
disposizioni.<br />
In particolare, con riferimento al<br />
PRRN, occorrerà effettuare uno<br />
specifico assessment al fine di:<br />
• verificare che il sistema di deleghe<br />
e procure aziendali sia conforme<br />
rispetto alla nomina del medesimo;<br />
• valutare i profili strettamente<br />
giuslavoristici del contratto di<br />
lavoro con la figura individuata<br />
(qualora interna alla società);<br />
• predisporre una procedura<br />
interna volta a definire ruoli,<br />
compiti, ambiti di competenza<br />
e responsabilità, soprattutto<br />
nell’ipotesi in cui vi siano<br />
più persone congiuntamente<br />
responsabili del rispetto della<br />
normativa.<br />
74
makinglife | novembre <strong>2022</strong><br />
Inoltre, le novità introdotte<br />
rappresentano per ciascun operatore<br />
di settore l’occasione per verificare<br />
il livello di compliance in relazione<br />
all’effettiva attuazione del Modello di<br />
organizzazione, gestione e controllo<br />
ai sensi del D.Lgs. 231/2001<br />
(Modello 231) e per valutare le<br />
eventuali azioni correttive da porre<br />
in essere. A tal proposito, potrebbe<br />
rendersi opportuna un’analisi in<br />
ordine all’adeguatezza del Modello<br />
231 avente a oggetto (a titolo<br />
esemplificativo e non esaustivo):<br />
• la verifica in ordine alla<br />
potenziale applicabilità agli<br />
operatori di settore di talune<br />
delle fattispecie di reato inserite<br />
nel Catalogo 231 (quali, ad<br />
esempio, alcune fattispecie in<br />
materia di industria e commercio<br />
e il reato di frode nelle pubbliche<br />
forniture ex art. 356 c.p. nel caso<br />
in cui i dispositivi medici ovvero i<br />
dispositivi medico-diagnostici in<br />
vitro vengano forniti nell’ambito<br />
di una gara d’appalto), con<br />
conseguente aggiornamento<br />
della mappatura delle attività<br />
rischio-reati 231;<br />
• l’aggiornamento della Parte<br />
Generale e della Parte Speciale<br />
alla luce dell’introduzione della<br />
figura del PRRN all’interno<br />
dell’organizzazione aziendale;<br />
• la revisione della Parte Speciale,<br />
mediante la previsione di<br />
specifici presidi ovvero il<br />
rafforzamento di quelli esistenti<br />
per quanto attiene, ad esempio,<br />
alla gestione dei rapporti con gli<br />
organismi notificati, alla verifica<br />
della documentazione tecnica e<br />
della dichiarazione di conformità<br />
UE prima dell’immissione in<br />
commercio, al riconfezionamento<br />
e rietichettatura etc.<br />
Nel caso in cui la società non si<br />
fosse ancora adeguata ai dettami<br />
di cui al D.Lgs. 231/2001, oltre alla<br />
ricognizione aziendale interna sopra<br />
illustrata, sarà opportuno valutare<br />
l’opportunità di dotarsi di un Modello<br />
231 ex novo.<br />
Le sanzioni<br />
Con i decreti legislativi viene<br />
definito in maniera estremamente<br />
puntuale il regime sanzionatorio<br />
applicabile in caso di eventuali<br />
violazioni delle condotte previste<br />
dai regolamenti. Tra gli operatori<br />
economici maggiormente esposti<br />
dal punto di vista sanzionatorio vi<br />
sono i fabbricanti, il mandatario,<br />
l’importatore, il distributore<br />
e lo sponsor. Tra le sanzioni<br />
previste spiccano certamente<br />
quelle applicabili nei confronti<br />
del Responsabile del rispetto<br />
della normativa (PRRN), figura<br />
introdotta dall’art. 15 MDR e IVDR,<br />
da nominarsi a cura dei fabbricanti e<br />
dai mandatari e a cui sono assegnati<br />
specifici obblighi di vigilanza e<br />
controllo interno del rispetto della<br />
normativa da parte degli stessi, con<br />
l’obbligo di segnalare eventuali non<br />
conformità.<br />
In particolare, è prevista<br />
l’applicazione di sanzioni specifiche<br />
per il PRRN qualora non si assicuri<br />
che:<br />
• la conformità dei dispositivi<br />
sia adeguatamente controllata<br />
conformemente al sistema di<br />
gestione della qualità in base<br />
al quale i dispositivi vengono<br />
fabbricati prima del rilascio di un<br />
dispositivo;<br />
• la documentazione tecnica e la<br />
dichiarazione di conformità UE<br />
siano redatte e aggiornate;<br />
• siano soddisfatti gli obblighi<br />
di sorveglianza postcommercializzazione<br />
previsti dai<br />
rispettivi Regolamenti;<br />
• siano soddisfatti gli obblighi di<br />
segnalazione di incidenti gravi e<br />
azioni correttive di sicurezza;<br />
• nel caso di dispositivi destinati<br />
agli studi delle prestazioni<br />
da utilizzare nell’ambito di<br />
studi interventistici relativi<br />
alle prestazioni cliniche o ad<br />
altri studi delle prestazioni<br />
che comportino rischi per i<br />
soggetti degli studi, sia rilasciata<br />
la dichiarazione richiesta<br />
dall’allegato XIV del IVDR;<br />
• nel caso di dispositivi oggetto<br />
di indagine, sia rilasciata<br />
la dichiarazione richiesta<br />
dall’allegato XV del MDR.<br />
In conclusione, con la pubblicazione<br />
dei Decreti Legislativi 137 e<br />
138 del 5 agosto <strong>2022</strong> – e in<br />
attesa dei successivi decreti che<br />
il Ministero della Salute dovrà<br />
emanare per disciplinare criteri<br />
e procedure in specifici ambiti<br />
– gli operatori economici sono<br />
chiamati ad affrontare nuove<br />
sfide, con conseguente necessità<br />
di definizione di nuovi ruoli,<br />
compiti e responsabilità, nonché<br />
previsione e gestione di ulteriori<br />
obblighi di approfondimento<br />
della documentazione tecnica e<br />
introduzione di un sistema più<br />
rigoroso di valutazione clinica e di<br />
sorveglianza post-vendita.<br />
75
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makinglife | novembre <strong>2022</strong> | numero sei<br />
PRODUCTION<br />
Pharma Telling & Industry<br />
77
per<br />
AL VIA LE CANDIDATURE PER IL PREMIO “GRAZIELLA<br />
MOLINARI AWARD” DI ISPE ITALIA A SUPPORTO<br />
DELLE DONNE NEL SETTORE LIFE SCIENCE<br />
78<br />
L’eccellenza c’è, e va premiata.<br />
Anche quest’anno verrà organizzato<br />
da Women In Pharma il consueto<br />
premio annuale di ISPE Italia per<br />
le donne del settore farmaceutico.<br />
Un’iniziativa importante che nasce<br />
per celebrare impegno, costanza,<br />
professionalità e competenza delle<br />
donne che lavorano in questo<br />
settore. Qualità che hanno di fatto<br />
accompagnato e contraddistinto<br />
l’operato di Graziella Molinari, già<br />
vicepresidente di ISPE Italia e socio<br />
attivo da molti anni, da cui prende<br />
nome il riconoscimento stesso.<br />
L’Award si inserisce nel contesto<br />
delle attività della affiliata italiana<br />
delle Women In Pharma (WIP), che<br />
ogni anno viene assegnato a una<br />
donna che si è distinta per:<br />
• progetti innovativi per<br />
migliorare efficienza, qualità,<br />
“smart” compliance<br />
• progetti di sostenibilità<br />
• promozione e riconoscibilità<br />
all’estero della competenza<br />
italiana<br />
• iniziative speciali per attività di<br />
condivisione della conoscenza<br />
nello spirito fondante di ISPE<br />
• soluzioni innovative che hanno<br />
permesso la continuità di<br />
progetti e attività nel momento<br />
critico della pandemia per<br />
Covid-19<br />
• progetto nel settore digital<br />
transformation in ambito<br />
produttivo o di data analytics<br />
(Pharma 4.0)<br />
• progetto nell’area nuove<br />
modalità terapeutiche<br />
COME<br />
PARTECIPARE<br />
Entro il 30 novembre <strong>2022</strong>, le<br />
candidate dovranno inviare<br />
all’indirizzo di casella di posta<br />
womeninpharma@ispeitaly.com un<br />
file word di una pagina contenente<br />
le seguenti informazioni:<br />
• breve introduzione della<br />
candidata e motivazione per cui<br />
partecipa all’Award<br />
• ambito - tra quelli sopraelencati<br />
- in cui il progetto si è distinto<br />
ai fini del riconoscimento<br />
dell’Award<br />
• breve descrizione del progetto<br />
(che dovrà essere di carattere<br />
industriale)<br />
• ruolo della candidata nel<br />
progetto<br />
I NUMERI DEL<br />
SETTORE PHARMA<br />
Nitida è la fotografia di un settore<br />
sano e in costante crescita come<br />
quello del farmaceutico. Stiamo
makinglife | novembre <strong>2022</strong><br />
parlando di un aumento delle<br />
vendite stimato oltre il 4,6% che<br />
porterà al raggiungimento di<br />
1,5 trilioni di dollari di fatturato<br />
globale. E anche in Italia il settore<br />
pharma si conferma un traino per<br />
l’economia nazionale.<br />
L’Istat, infatti, segnala nei primi<br />
quattro mesi del <strong>2022</strong> un +8%<br />
della produzione correlato a un<br />
incremento del 32% dell’export.<br />
Per quanto riguarda invece la<br />
diversità di genere, nelle aziende<br />
farmaceutiche il 43% dei ruoli<br />
manageriali è assegnato a donne<br />
a fronte del 25% dell’intero<br />
comparto industriale. Incremento<br />
delle vendite e forte presenza<br />
femminile a prima apparenza<br />
sembrano dati non correlati tra<br />
loro. Tuttavia, se letti sotto la<br />
lente dell’ultimo report svolto<br />
da McKenzey in materia, non<br />
sembrano troppo distanti, anzi.<br />
Infatti, si rileva che le aziende<br />
nel primo quartile di diversità di<br />
genere nei team esecutivi hanno<br />
il 25% di probabilità in più di<br />
registrare una redditività superiore<br />
alla media rispetto alle aziende di<br />
pari livello nel quarto quartile.<br />
Lo stesso report segnala come<br />
un maggiore livello di diversità<br />
in azienda sia proporzionale alla<br />
probabilità di sovraperformance.<br />
«Nel settore pharma le quote rosa<br />
sono rappresentate meglio che in<br />
altri settori. Qualità, laboratorio,<br />
regolatorio, spesso in queste aree<br />
le percentuali di donne, anche in<br />
ruoli di leadership, sono elevate.<br />
Tuttavia se ci si sposta in aree<br />
STEM sicuramente i numeri tornano<br />
a essere quelli degli altri settori<br />
industriali» racconta Micaela Prati,<br />
vincitrice del Premio Graziella<br />
Molinari dell’edizione WIP Award<br />
2021, grazie al suo progetto di<br />
inserimento di #smart tags in un<br />
sito produttivo al fine di migliorarne<br />
non solo l’efficienza, ma anche la<br />
qualità e compliance in ottica 4.0.<br />
«Il premio Graziella Molinari,<br />
almeno per quanto mi riguarda,<br />
premia l’area più tecnica del<br />
settore farmaceutico, ossia l’area di<br />
ingegneria e digitalizzazione.<br />
Mi ha fatto piacere che fosse<br />
premiata non solo l’idea innovativa,<br />
ma anche la realizzazione tecnica.<br />
Nel mio caso l’uso delle smart tag<br />
era un bell’esempio di realizzazione<br />
tecnologicamente complessa e,<br />
al contempo, davvero innovativa<br />
poiché mai realizzata prima.<br />
Spero che si continui a incentivare<br />
l’intraprendenza e il coraggio<br />
femminile nelle aree STEM e non<br />
solo nei settori tradizionali. Il<br />
comparto, nelle aree tecniche, ha<br />
bisogno di beneficiare di tutta la<br />
creatività femminile che troppo<br />
spesso rimane inespressa».<br />
Il premio Graziella Molinari oltre<br />
a riconoscere e premiare la<br />
competenza e la creatività nelle<br />
aree tecniche delle donne vuole<br />
anche premiare l’eccellenza<br />
italiana femminile all’estero come<br />
nel caso della seconda vincitrice<br />
del Premio Graziella Molinari<br />
2021, Chiara Negrini, che racconta<br />
come ricevere il WIP Award<br />
Graziella Molinari sia stata una<br />
grande soddisfazione non solo<br />
per il riconoscimento personale e<br />
aziendale, ma anche per l’orgoglio<br />
nazionale. «Come italiana, – dice<br />
la Negrini – essere premiata per<br />
i risultati ottenuti su un progetto<br />
svoltosi nel cuore della Germania,<br />
non è che un monito per ricordarci<br />
che oltre alla “dolce vita”, la<br />
nostra Italia ha molto, molto altro<br />
di cui andare fiera».<br />
L’award verrà consegnato, come<br />
vuole la tradizione, durante<br />
l’annuale Xmas Night di ISPE<br />
Italia, che quest’anno si celebrerà<br />
a Milano il 14 dicembre e vedrà<br />
anche la presenza di importanti<br />
relator dell’industria life science,<br />
oltre che i membri del nuovo<br />
comitato in carica.<br />
79
per<br />
STERILIZZAZIONE E PHARMA<br />
Gammatom è una PMI italiana ma di approccio europeo che compete con le<br />
multinazionali di tutto il mondo nel settore dei servizi di irraggiamento con raggi<br />
gamma destinati a scopi scientifici e industriali<br />
Se è vero che la sterilità per alcuni<br />
prodotti è un requisito imprescindibile<br />
per la tutela della salute del paziente<br />
finale, è altrettanto vero che la<br />
Pharmacopeia, così come le linee<br />
guida tracciate dall’EMA in proposito<br />
al come ottenerla nella produzione di<br />
un medicinale, sono piuttosto chiare e<br />
lasciano poco spazio a interpretazioni.<br />
In quest’ottica l’assenza di microorganismi<br />
su un prodotto non può<br />
essere semplicemente ottenuta da un<br />
test, una verifica a posteriori, ma deve<br />
essere il risultato di un processo sicuro,<br />
validato e ripetibile, ma soprattutto<br />
deve essere possibilmente il frutto di un<br />
processo di sterilizzazione terminale.<br />
In questo contesto la sterilizzazione con<br />
radiazioni ionizzanti è una delle possibili<br />
vie e nella flow chart dell’EMA è anche<br />
una delle prime opzioni da considerare.<br />
In genere, chi l’approccia per la prima<br />
volta è sorpreso dalla facilità, dal basso<br />
costo e soprattutto dalla sicurezza o<br />
garanzia del risultato date da questo<br />
processo. Una volta superato lo scoglio<br />
iniziale della verifica dell’applicabilità<br />
delle radiazioni a una determinata<br />
molecola – cosa non scontata per la<br />
natura stessa della molecola e del<br />
processo di cessione energetica che<br />
possono portare alla generazione<br />
di prodotti di degradazione ma che<br />
non si deve intendere come ostacolo<br />
definitivo – o che siano semplicemente<br />
la diffidenza o la non conoscenza della<br />
tecnologia e delle sue applicazioni,<br />
diventa in realtà abbastanza facile da<br />
qualificare, rapido da portare a termine<br />
e assai facile, questa volta, continuare a<br />
mantenerne la validità nel tempo. Se a<br />
questo aggiungiamo la sua economicità<br />
paragonata alle varie che stanno sotto<br />
alla voce “costi di produzione” di un<br />
API o di un finito rispetto al vantaggio<br />
dato dalla garanzia di sterilità che può<br />
fornire al prodotto, risulterebbe essere<br />
sempre una soluzione apparentemente<br />
facile e a portata di mano. Non è forse<br />
così? Forse no, cioè, non sempre.<br />
Vuoi perché non è sempre scontato<br />
che il processo sia applicabile,<br />
come già detto, vuoi perché non<br />
tutti gli sterilizzatori “worldwide”<br />
sono qualificati per il mondo farma,<br />
interessati a lavorare con il mondo<br />
farma e soprattutto in grado di gestire<br />
le particolarità, le sfumature e le<br />
personalizzazioni che la sterilizzazione<br />
con radiazioni necessita se applicata a<br />
80
makinglife | novembre <strong>2022</strong><br />
un prodotto molto sensibile, al mondo<br />
farma appunto. Ma qualcuno esiste,<br />
alcune aziende di questo campo per<br />
fortuna ci pensano, forse per avere<br />
meno concorrenza, forse per etica e<br />
per servire un mercato che in genere,<br />
alla massa critica degli “irradiation<br />
service providers” non interessa perché<br />
difficile, esigente e sicuramente più<br />
lento a produrre risultati.<br />
Gammatom, l’azienda comasca<br />
specializzata in servizi di irraggiamento<br />
con raggi gamma destinati a scopi<br />
scientifici ma anche industriali, cresce<br />
strategicamente nel mercato nazionale<br />
ma anche in quelli internazionali, le<br />
sue performances sono dovute alle<br />
tecnologie d’avanguardia, innovazione<br />
continua, qualità certificata, impegno<br />
sociale, rispetto per l’ambiente,<br />
tangibile motivazione e capacità di<br />
management. Gammatom è italiana<br />
ma per valori e convinzione europea,<br />
opera con spirito inclusivo; il suo<br />
successo è, infatti, anche dovuto<br />
alle collaborazioni in corso con<br />
Università italiane e Consorzi di studio<br />
e adattamento. Un brand identity<br />
definito e chiaro evidenzia i valori che<br />
sospingono il successo dell’azienda:<br />
l’importante valorizzazione delle<br />
risorse umane, in prevalenza giovani<br />
motivati, il confronto costante con i<br />
riferimenti di mercato e l’innovazione<br />
tecnologica, un basso turnover, ma<br />
anche l’attribuzione di un’importanza<br />
strategica a comunicazione e<br />
pubbliche relazioni. Il punto forte di<br />
Gammatom è stato concentrare i<br />
suoi studi sulla personalizzazione del<br />
servizio creandone un efficace valore<br />
aggiunto industriale. Infatti, grazie alla<br />
capacità di applicare la tecnologia<br />
della sterilizzazione su strati molto<br />
sottili di materiale, giunge a ridurre i<br />
sovradosaggi, con la conseguenza di<br />
contenere alterazioni chimico fisiche dei<br />
prodotti stessi. Questa specificità negli<br />
ultimi anni ha attratto clienti di settori<br />
industriali trasversali con lo specifico<br />
interesse di perfezionare le proprietà<br />
di sterilizzazione dei propri prodotti.<br />
Produttori di dispositivi medici, materie<br />
prime, eccipienti e prodotti finiti<br />
del farmaceutico, veterinario e del<br />
cosmetico, materiali di laboratorio e<br />
confezionamento raggruppano i settori<br />
che più richiedono i servizi Gammatom.<br />
L’irraggiamento, per esempio,<br />
permette di sterilizzare al meglio<br />
dispositivi medici, ma anche cosmetici<br />
e gran parte di quei prodotti con cui<br />
giornalmente entriamo molte volte<br />
in contatto. L’azienda ha conquistato<br />
il gradimento nel mercato anche per<br />
altri valori non secondari nell’esercizio<br />
della sua funzione. Piace perché,<br />
pur essendo una PMI, è un’azienda<br />
integrata nel territorio ove opera<br />
avvertendo il dovere e l’importanza<br />
di esserci, creando occupazione e<br />
facendo parlare di sé e del territorio<br />
in modo costruttivo. Attenta alla<br />
questione solidale, pensiamo al<br />
periodo pandemico in corso: durante<br />
la prima fase di lockdown, la scarsità di<br />
reperimento delle mascherine la portò<br />
a sterilizzare quelle usate al fine di poter<br />
essere riutilizzate dai servizi sanitari e di<br />
protezione civile, rendendosi così utile<br />
alla collettività.<br />
“Perché eccellenza?”<br />
Gammatom è un’eccellenza per molti<br />
motivi. È una PMI privata italiana che ha<br />
un solo competitor nazionale. Il settore,<br />
considerata la sua particolarità, conta<br />
all’incirca 300 aziende in tutto il mondo.<br />
I concorrenti sono nella stragrande<br />
maggioranza multinazionali ed esser<br />
riusciti a conquistare una buona<br />
quota di mercato è orgoglio italiano.<br />
L’azienda da anni fornisce in tutto il<br />
mondo importanti gruppi industriali<br />
e multinazionali, farmaceutiche e<br />
legate al mondo della cosmesi. Unici<br />
e indipendenti, perché è una delle<br />
poche società al mondo a operare in<br />
maniera indipendente manutenzione,<br />
implementazione, modifica e gestione<br />
degli impianti. Gammatom ha inoltre<br />
un vantaggio dimensionale. Infatti,<br />
non essendo troppo grande o piccola,<br />
garantisce a parte del Team il tempo<br />
d’impiego necessario per dedicarsi<br />
alla ricerca delle soluzioni più idonee<br />
richieste dal cliente, lasciando quindi<br />
che sia il fornitore a conformarsi alle<br />
specifiche esigenze cliente e non<br />
viceversa. L’azienda affronta con<br />
serenità il futuro prossimo, connessa<br />
ai mercati valuta con attenzione le<br />
complessità economiche in atto e<br />
l’evoluzione della globalizzazione<br />
investendo in ricerca, formazione<br />
e diversificazione dei mercati di<br />
riferimento. Un’eccellenza italiana a cui<br />
vale la pena affidarsi.<br />
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81
NUMERO 6 - NOVEMBRE <strong>2022</strong><br />
Casa editrice<br />
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Piazza della Repubblica, 10<br />
20121 Milano MI<br />
Tel. 02 36525293<br />
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Illustrazioni di Mario Addis<br />
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Alberto Bobadilla<br />
Thomas Carganico<br />
Gabriele Costantino<br />
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Paola Gribaldo<br />
Valentina Guidi<br />
Caterina Lucchini<br />
Antonio Maturo<br />
Laura Patrucco<br />
Marianna Regillo<br />
Josephine Romano<br />
Monica Torriani<br />
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Aluberg SpA, MC<br />
Bruno Wolhfarth Srl, MC<br />
Clariscience Srl, pag.43<br />
Co.Ra.Srl, MC<br />
Defil Srl, p.73, MC<br />
De Lama SpA, MC<br />
DOC Srl, pag.69<br />
Dos&donts Srl, pag.37, MC<br />
Dott. Bonapace & C. Srl, MC<br />
Dryce Srl, MC<br />
Elis Italia Spa, MC<br />
Ellab A/S, p.55, MC<br />
Gammatom Srl, MC<br />
Giusto Faravelli SpA, p.38, MC<br />
IMA SpA, pag.47<br />
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Inge SpA, pag.84, MC<br />
Kappa Ingredients GmbH, MC<br />
LifeBee Srl, pag.20, MC<br />
Lipoid Gmbh, MC<br />
m-Squared Consulting Srl,MC<br />
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