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Makinglife n.2 2023

Un modello di sviluppo sostenibile che non sia solo un enunciato di aderenza ad alcuni principi generali richiede uno sforzo di adattamento e di investimento i cui risultati sono generalmente percepibili solo nel medio termine. Per raggiungere gli obiettivi è necessario che i temi ESG vengano integrati nel business model e diventino elemento competitivo e reputazionale.

Un modello di sviluppo sostenibile che non sia solo un enunciato di aderenza ad alcuni principi generali richiede uno sforzo di adattamento e di investimento i cui risultati sono generalmente percepibili solo nel medio termine. Per raggiungere gli obiettivi è necessario che i temi ESG vengano integrati nel business model e diventino elemento competitivo e reputazionale.

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makinglife | aprile <strong>2023</strong> | numero due<br />

SOSTENERE IL FUTURO<br />

PharmaFuture & Health


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nell’healthcare<br />

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Imprenditorialità<br />

per una leadership diffusa<br />

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grinta<br />

passione<br />

responsabilità<br />

learning agility<br />

ascolto<br />

antifragilità<br />

agilità<br />

il percorso<br />

Leader del cambiamento<br />

Essere Antifragile<br />

Test: Leader agentico - Pensiero innovativo-<br />

Locus of control-<br />

Approccio positivo<br />

Learning Agility<br />

Test: Learning agility-<br />

Work curiosity<br />

We will follow you<br />

Scenario:<br />

Where are we now?<br />

Test: Questionario di<br />

consapevolezza dei cambiamenti<br />

in atto<br />

Leadership Situazionale<br />

Test: Stili di leadership<br />

Fearless Organization:<br />

La paura non è più una motivazione<br />

Test: Questionario Safety Sentiment Index<br />

www.execohr.it


INDICE<br />

Commenti<br />

Sostenibilità<br />

Professioni green<br />

01 02 03<br />

La sostenibilità non è<br />

solo questione di scelte<br />

industriali<br />

L’ecologia della mente<br />

8<br />

10<br />

Progettazione<br />

strategica<br />

Sostenibilità<br />

ambientale o<br />

economica?<br />

Dal profitto alla<br />

sostenibilità<br />

12<br />

16<br />

20<br />

Missione sostenibilità<br />

Sostenibilità e<br />

governance<br />

Nuovo orizzonte per<br />

l’industria<br />

Greenwashing<br />

30<br />

34<br />

38<br />

42<br />

Chimica sostenibile<br />

26<br />

Partnership<br />

46<br />

4


makinglife | aprile <strong>2023</strong><br />

Legal<br />

Risorse umane<br />

Pharma Novel<br />

Pharmatelling<br />

Regolamento DPI,<br />

categorie di rischio<br />

e marcatura CE<br />

56<br />

04 05 07<br />

Comunicazione senza<br />

comunità<br />

Green jobs, come<br />

cambia il mondo del<br />

lavoro<br />

58<br />

60<br />

06<br />

O la borsa o la vita!<br />

Logistica green per<br />

64 farmaci termosensibili 70<br />

Sostenibilità della<br />

distribuzione health<br />

Eipg: green pharma<br />

74<br />

80<br />

5


6<br />

Questione<br />

di feeling<br />

Cristiana Bernini<br />

Affrontare oggi il tema della<br />

sostenibilità sembra ormai<br />

un po’ scontato. Ne parlano<br />

tutti e tutti sono consapevoli<br />

della validità della definizione<br />

che, nell’ormai lontano<br />

1987, veniva proposta<br />

dalla Commissione delle<br />

Nazioni Unite sull’ambiente<br />

e lo sviluppo: “lo sviluppo<br />

sostenibile è quello che<br />

soddisfa le necessità delle<br />

generazioni attuali senza<br />

compromettere la possibilità<br />

delle generazioni future di<br />

appagare le loro esigenze”. E<br />

questa è l’unica direzione nella<br />

quale è possibile procedere.<br />

Ma tra il dire e il fare – si<br />

sa – c’è di mezzo il mare<br />

e anche la filiera della<br />

produzione farmaceutica – con<br />

alcune eccellenti eccezioni<br />

– ancora fatica a mettere in<br />

pratica i principi propri della<br />

sostenibilità. È innanzi tutto<br />

una questione culturale: è vivo<br />

il timore che l’applicazione di<br />

quegli elementi che mirano<br />

a garantire la sostenibilità<br />

ambientale e sociale siano<br />

esclusivamente un “costo<br />

necessario”, minino la<br />

sostenibilità economica<br />

dei processi e frenino lo<br />

sviluppo, senza considerare<br />

che, al contrario, solamente<br />

un equilibrio dei tre fattori<br />

può portare nel medio-lungo<br />

termine alla generazione di<br />

valore. Ma per fare questo è<br />

necessario costruire un piano<br />

strategico complessivo e<br />

adottare una visione integrata<br />

di network che vada oltre la<br />

catena ristretta fornitoreazienda-cliente,<br />

aprendosi a<br />

tutti gli stakeholder coinvolti,<br />

condividendo obiettivi chiari<br />

e misurabili per procedere<br />

insieme nella direzione<br />

di “uno sviluppo che non<br />

comprometta un ulteriore<br />

sviluppo”. Ora, è vero che<br />

la supply chain del pharma<br />

costituisce un ecosistema<br />

particolarmente complesso,<br />

fortemente regolamentato,<br />

caratterizzato da un processo<br />

produttivo oltremodo<br />

articolato e dalla necessità<br />

di una gestione su scala<br />

globale – tutti elementi questi<br />

che favoriscono una notevole<br />

resistenza al cambiamento –<br />

ma è altrettanto vero che se<br />

non si superano tali barriere<br />

per perseguire uno sviluppo<br />

sostenibile, l’intero comparto<br />

rischia di subire una brusca<br />

frenata d’arresto.<br />

Sostenibilità, quindi, deve<br />

diventare la linea guida da<br />

seguire lungo tutto il processo<br />

che porta dalla scelta dei<br />

fornitori – e dei subfornitori –<br />

all’approvvigionamento delle<br />

materie prime, dalla ricerca<br />

e sviluppo alla produzione,<br />

dalla distribuzione alla<br />

commercializzazione dei<br />

prodotti farmaceutici, con una<br />

strategia condivisa, adottando<br />

un approccio sistemico<br />

che coinvolga l’intera<br />

organizzazione e applicando<br />

i principi ESG (Environment,<br />

Social, Governance) in tutte le<br />

decisioni aziendali.<br />

Infine, è importante che<br />

le aziende comunichino<br />

in maniera corretta e<br />

trasparente riguardo al loro<br />

impegno sulla sostenibilità,<br />

fornendo informazioni<br />

verificabili, riconoscendo le<br />

sfide, evitando di confondere<br />

i cittadini con messaggi<br />

fuorvianti, sottraendosi<br />

quindi categoricamente al<br />

cosiddetto greenwashing,<br />

ovvero all’utilizzo di tecniche<br />

di marketing per nascondere il<br />

vero impatto ambientale delle<br />

proprie attività.<br />

È questione culturale,<br />

dicevamo, e fare cultura è<br />

indubbiamente il fine ultimo


makinglife | aprile <strong>2023</strong><br />

dell’editore. Come MakingLife<br />

ci poniamo in prima linea<br />

per fare informazione<br />

e formazione, in modo<br />

particolare su un tema così<br />

strategico come la sostenibilità<br />

di cui tanto si parla ma sul<br />

quale è necessario fare ancora<br />

moltissimo proprio in termini<br />

di “educazione”.<br />

Rendersi consapevoli della<br />

necessità di adottare tutte<br />

le misure necessarie e di<br />

applicare processi virtuosi per<br />

una crescita sostenibile è una<br />

priorità… e se la salvaguardia<br />

del pianeta e del futuro<br />

dell’umanità non dovessero<br />

essere motivazioni sufficienti,<br />

ricordiamoci sempre che la<br />

sostenibilità è driver primario<br />

di business, senza il quale è a<br />

rischio anche il successo e il<br />

futuro delle nostre imprese.<br />

Leggendo le pagine di questo<br />

numero emergono almeno tre<br />

fattori chiave che dovrebbero<br />

essere tenuti in considerazione<br />

da chi guida un’impresa e tutti<br />

e tre richiedono di entrare<br />

in sintonia con altri attori.<br />

Il primo fattore coinvolge<br />

la sintonia con l’ambiente<br />

esterno ed è l’ambizione.<br />

Per affrontare la transizione<br />

verso la sostenibilità –<br />

soprattutto ambientale – è<br />

cruciale porsi obiettivi rilevanti,<br />

avere nel mirino traguardi<br />

che rappresentino un livello<br />

significativamente superiore<br />

allo status quo e non siano<br />

un semplice passo avanti. Le<br />

conseguenze della modestia<br />

in questo campo – avvertono<br />

gli esperti – potrebbero<br />

essere letali per il business<br />

dell’azienda, costretta a fare<br />

i conti con un ambiente in<br />

profonda – e rapidissima –<br />

trasformazione: consumatori<br />

sempre più attenti e propensi<br />

a scegliere in base ai valori<br />

espressi da chi vende,<br />

normative che stringono<br />

le loro maglie in tema di<br />

impegno e trasparenza, fondi<br />

di investimento, banche e<br />

assicurazioni che hanno<br />

introdotto parametri non<br />

finanziari per valutare il<br />

merito creditizio. Se l’azienda<br />

non si sintonizza sulle nuove<br />

esigenze di mercato potrebbe<br />

esserne irrimediabilmente<br />

esclusa.<br />

Il secondo fattore coinvolge<br />

la sintonia interna. Per<br />

raggiungere davvero traguardi<br />

ambiziosi è fondamentale che<br />

tutti i livelli di un’azienda siano<br />

coinvolti, che gli obiettivi di<br />

sostenibilità siano fusi nella<br />

governance, che proprietà, Ceo<br />

e dirigenti siano allineati, che<br />

tutti i dipendenti siano parte<br />

dell’azione.<br />

L’ultimo fattore in gioco<br />

necessita un ulteriore salto<br />

di qualità: è necessario che<br />

tutti gli attori coinvolti lavorino<br />

insieme superando rivalità e<br />

campanilismi. Come afferma<br />

l’ultimo report dell’Ipcc<br />

(Intergovernmental panel on<br />

climate change), nei prossimi<br />

dieci anni dovremo affrontare<br />

un’azione accelerata di<br />

adattamento ai cambiamenti<br />

climatici per colmare il divario<br />

tra il livello raggiunto finora e<br />

quello necessario. Per essere<br />

efficaci – spiega il rapporto<br />

– le nostra scelte dovranno<br />

essere “radicate nella diversità<br />

di valori, visioni del mondo e<br />

conoscenze, comprese quelle<br />

scientifiche, indigene e locali.<br />

I cambiamenti trasformativi<br />

hanno maggiori probabilità di<br />

successo quando c’è fiducia,<br />

quando tutti collaborano per<br />

dare priorità alla riduzione dei<br />

rischi e quando i benefici e gli<br />

oneri sono condivisi in modo<br />

equo”. Una sintonia globale,<br />

appunto.<br />

7


8<br />

NON È SOLO<br />

QUESTIONE DI<br />

SCELTE<br />

INDUSTRIALI<br />

Gabriele Costantino<br />

Dipartimento di Scienze degli Alimenti e del Farmaco<br />

Università di Parma<br />

gabriele.costantino@unipr.it<br />

Come gran parte dei settori<br />

produttivi, l’industria farmaceutica<br />

nel suo complesso ha, negli ultimi<br />

anni, affrontato il tema della<br />

sostenibilità economica, ambientale<br />

e sociale del suo modello di business.<br />

Come abbiamo scritto diverse volte,<br />

in contesti diversi, su queste pagine,<br />

il modello di sviluppo sostenibile che<br />

non sia solo un enunciato di aderenza<br />

richiede in generale uno sforzo di<br />

adattamento e di investimento i cui<br />

risultati sono generalmente percepibili<br />

solo nel medio termine.<br />

L’industria farmaceutica in questo senso<br />

è chiamata ad affrontare sfide particolari<br />

rispetto ad altri settori produttivi, che<br />

è interessante discutere non solo per<br />

proporre soluzioni (e chi scrive non<br />

ha certo competenza particolare per<br />

farlo) ma anche per enucleare quegli<br />

elementi di peculiarità che richiederanno<br />

attenzione nel momento in cui andranno<br />

valutati i risultati.<br />

Un primo aspetto di particolarità<br />

è legato al fatto che l’impresa<br />

farmaceutica rappresenta un modello<br />

industriale in cui il costo di un nuovo<br />

prodotto è di norma solo marginalmente<br />

determinato dal costo di produzione<br />

industriale ed è invece fortemente<br />

impattato dai costi di ricerca e<br />

sviluppo, intrinsecamente a elevato<br />

rischio. Poche imprese, generalmente<br />

a struttura multinazionale, generano<br />

gran parte dell’innovazione nell’ambito<br />

farmaceutico e sono associabili a<br />

un modello definibile high risk/high<br />

revenue. L’impresa farmaceutica,<br />

però, è fatta non solo di queste grandi<br />

industrie, votate fortemente allo<br />

sviluppo e all’innovazione scientificotecnologica,<br />

ma anche da numerose<br />

imprese, produttrici di Api, eccipienti,<br />

farmaci generici. Queste imprese, dal<br />

punto di vista industriale, sono più<br />

associabili a un modello low-risk/low<br />

revenue ma sono egualmente importanti<br />

dal punto di vista della disponibilità<br />

comunitaria di medicinali. L’Italia, da<br />

questo punto di vista, rappresenta un<br />

esempio particolarmente virtuoso, con<br />

centinaia di imprese che contribuiscono<br />

in maniera importante al Pil nazionale.<br />

Se accettiamo questa semplicistica<br />

classificazione appare peraltro<br />

evidente che i requisiti e le ambizioni<br />

di sostenibilità sociale, economica e<br />

ambientale risultano ben diversi tra i<br />

due tipi di attori. Una sorta di corollario<br />

di questa prima osservazione è che, nel<br />

suo complesso, l’industria farmaceutica<br />

è industria incrementale e non<br />

sostitutiva. Nell’industria dell’automobile,<br />

ad esempio, quando un produttore<br />

introduce un nuovo modello in una certa<br />

categoria e in una certa motorizzazione,<br />

il modello precedente viene<br />

progressivamente ma rapidamente


makinglife | aprile <strong>2023</strong><br />

cessato dalla produzione. La stessa<br />

cosa accade, ad esempio, nell’industria<br />

della telefonia mobile o dell’elettronica<br />

di fascia alta. Nel caso dell’industria<br />

farmaceutica, i nuovi farmaci approvati<br />

per una data patologia si aggiungono,<br />

e solo raramente – quando richiesto<br />

dall’organo regolatore – sostituiscono<br />

quelli esistenti. Da un punto di vista,<br />

appunto, regolatorio questo trova<br />

naturalmente giustificazione nel fatto<br />

che generalmente il nuovo farmaco è<br />

diretto verso sottogruppi di popolazione<br />

o di patologia specifici e che la<br />

rimanente popolazione trova giovamento<br />

dal farmaco precedente.<br />

Se questo è evidentemente ben<br />

ragionevole nell’ottica del beneficio per<br />

la salute della comunità, induce elementi<br />

di tensione dal punto di visto degli<br />

approcci industriali e produttivi.<br />

Nel panorama italiano, non v’è dubbio<br />

che gran parte della filiera del farmaco<br />

si troverà di fronte, nel prossimo futuro,<br />

alla necessità di dover aderire a una<br />

serie di ambiziose azioni declinate<br />

in ambito politico sovranazionale, tra<br />

cui l’impatto sul climate change, le<br />

emissioni di CO 2<br />

, la neutralità del ciclo<br />

del carbonio. Nel caso dell’industria<br />

farmaceutica e di quella chimica fine in<br />

generale, queste proposizioni vengono<br />

generalmente lette in chiave di approcci<br />

di green chemistry. Ad esempio, la<br />

sostituzione di solventi organici volatili,<br />

l’implementazione su scala produttiva di<br />

tecniche a basso uso di solvente, quali<br />

la flow-chemistry, che hanno la capacità<br />

di ridurre significativamente la massa<br />

totale impiegata in un ciclo reattivo e,<br />

quindi, la necessità di smaltire o riciclare<br />

importanti quantità di materiale. Infine,<br />

la necessità, che è anche opportunità di<br />

sviluppo, di inserire il modello produttivo<br />

nel contesto dell’economia circolare.<br />

In questo numero di MakingLife<br />

verranno trattati questi e altri aspetti,<br />

ad esempio il rapporto tra industria<br />

farmaceutica europea e il Green Deal<br />

dell’Unione europea. Ma vogliamo qui<br />

segnalare un punto forse meno presente<br />

nell’enunciazione delle casistiche<br />

generali, vale a dire l’impatto sulla<br />

sostenibilità ambientale legato alle<br />

caratteristiche intrinseche del farmaco.<br />

Siamo forse abituati a pensare che la<br />

“vita industriale” del prodotto medicinale<br />

termina quando viene prelevato dallo<br />

scaffale della farmacia, ma purtroppo<br />

non è così, per due ordini di motivi.<br />

Il primo è che una volta assunto da<br />

un uomo o da un animale, il farmaco<br />

verrà inevitabilmente escreto e<br />

immesso nell’ambiente – come tale o<br />

come suo metabolita – e continuerà a<br />

produrre effetti, come tossicità cronica,<br />

resistenza microbica, alterazioni del<br />

sistema endocrino, inibizione della<br />

crescita, distruzione degli ecosistemi<br />

microbici, citotossicità, mutagenicità<br />

e teratogenicità. Il secondo ordine<br />

di problema riguarda il fatto che<br />

sappiamo, da numerose statistiche,<br />

che una significativa parte del farmaco<br />

venduto non viene utilizzato e che, in<br />

un modo o nell’altro, andrà smaltito.<br />

Il problema dello smaltimento dei<br />

residui industriali produttivi è ben<br />

noto e generalmente ben affrontato<br />

ma rimane il problema – sicuramente<br />

minore in termini di impatto generale<br />

ma comunque significativo – dello<br />

smaltimento domestico od ospedaliero.<br />

Forse, tra le azioni da intraprendere<br />

verso il raggiungimento degli obiettivi<br />

di sostenibilità ce ne sono anche alcune<br />

che non sono direttamente in capo alla<br />

struttura industriale, ma che riguardano<br />

aspetti regolatori e fiscali. Ad esempio,<br />

la possibilità di dispensare, come accade<br />

in diversi Paesi, il numero di dosi esatte<br />

richieste dalla valutazione medica<br />

avrebbe un effetto in termini di riduzione<br />

di quantità di farmaco non utilizzato<br />

e avrebbe un impatto significativo<br />

sul quantitativo di packaging e sulla<br />

sua riduzione. Da un punto di vista<br />

scientifico, la caratterizzazione dei<br />

metaboliti attivi (in termini ad esempio<br />

di interferenti endocrini o di attività<br />

antimicrobica) dopo esposizione<br />

umana o animale dovrebbe sempre<br />

più completare il dossier tecnico del<br />

farmaco e contribuire assieme ai<br />

requisiti di efficacia e di sicurezza alla<br />

valutazione complessiva della qualità<br />

del farmaco, non solo riferita all’effetto<br />

sull’individuo ma alla sostenibilità<br />

globale.<br />

9


L’ecologia della<br />

mente, tre concetti<br />

per ripensare la<br />

sostenibilità<br />

Antonio Maturo<br />

Professore di Sociologia della Salute<br />

Università di Bologna, Campus della Romagna<br />

I bambini che nascono oggi nei Paesi ad alto reddito hanno un’aspettativa<br />

di vita di 20 anni più lunga dei loro nonni nati negli<br />

anni Sessanta. Nello stesso lasso di tempo i centenari sono aumentati<br />

di 30 volte. È ormai normale superare i 100 anni di vita<br />

anche nei Paesi a medio reddito e non solo in quelli ricchi. Si<br />

tratta di cambiamenti eccezionali ma purtroppo ci sono anche<br />

delle ombre: per ogni anno di vita guadagnato ci aspettano quasi<br />

sei mesi di vita in cattiva salute. Giocando con la terminologia di<br />

Harry Potter, sarebbe bello che guadagnassimo un po’ di anni<br />

tipo ventununidici, ventidodici e così via… Ahimè, invece si tratta<br />

ovviamente di anni nella vecchiaia (e magari nei sei mesi che<br />

stiamo benino, pure pioverà, citando questa volta Woody Allen).<br />

Dobbiamo quindi preoccuparci di aggiungere non solo anni di<br />

vita, ma anche salute agli anni. Detto con uno slogan, integrare il<br />

life span con l’health span.<br />

Sappiamo che accanto a medicinali e cure mediche, i più forti<br />

determinanti di salute sono la dieta, l’esercizio fisico, l’astensione<br />

dal tabacco, l’astensione o la moderazione con il bere alcol.<br />

Ma fondamentale è anche l’ambiente domestico e, quindi, i livelli<br />

di riscaldamento e pulizia. Molto si è fatto contro l’inquinamento<br />

ma anche oggi acque contaminate, polveri sottili e cibo industriale<br />

sono cause di malessere se non di malattia. Alcune di<br />

queste problematiche ambientali vengono amplificate dal mutamento<br />

climatico, un mutamento caratterizzato sia dall’innalzamento<br />

graduale della temperatura sia da eventi meteorologici<br />

“estremi”. Come descritto dalle ricerche del Mc Kinsey Institute,<br />

il mutamento climatico è correlato al peggioramento di malattie<br />

respiratorie e cardiovascolari, per tacere di nuove malattie infettive<br />

legate alla incipiente “tropicalizzazione del mondo” nonché<br />

dalle conseguenze di inondazioni e tempeste. È noto che le morti<br />

del Titanic erano collegate al prezzo del biglietto. Morirono poche<br />

persone che avevano il biglietto di prima classe, alcune di più tra<br />

coloro che viaggiavano in seconda, molte tra quelli della terza,<br />

quasi tutte quelle della quarta classe (si trattava evidentemente<br />

di “precedenze” per le scialuppe di salvataggio). Anche nei Paesi<br />

ricchi gli effetti del cambiamento climatico sulla salute sono più<br />

gravi sulle persone povere, confermando come l’innalzamento<br />

della temperatura sia anche e soprattutto una questione di giustizia<br />

sociale.<br />

Non c’è una strategia globale che sia stata concepita per contrastare<br />

inquinamento e cambiamento climatico. Per lo più si parla<br />

di “sostenibilità”, ovvero l’idea di uno sviluppo equilibrato in grado<br />

di assicurare il soddisfacimento dei bisogni della generazione<br />

presente senza compromettere le possibilità delle generazioni<br />

future di realizzare i propri (definizione delle Nazioni Unite). In<br />

sintesi, dobbiamo comportarci ora, nel presente, in un modo che<br />

non comprometta la vita delle persone che vivranno in futuro. Si<br />

tratta di un approccio di “giustizia intergenerazionale”. In Italia,<br />

10


makinglife | aprile <strong>2023</strong><br />

abbiamo sempre fatto il contrario. Ad esempio, espandendo il<br />

debito pubblico sulle spalle dei nuovi nati. Ma comunque siamo<br />

in buona compagnia, se pensiamo agli scempi ambientali che si<br />

sono consumati in Russia come negli Stati Uniti. Alcuni spunti<br />

teorici rispetto alla sostenibilità possono venirci da un pensatore<br />

molto particolare, un tempo molto di moda, oggi dimenticato:<br />

Gregory Bateson.<br />

Bateson fu un pensatore singolare. Figlio del noto genetista inglese<br />

William Bateson, fu chiamato Gregory in onore di Mendel,<br />

il fondatore della genetica. Benché ferrato in biologia, Bateson si<br />

dedicò all’antropologia e alla psichiatria. Fu anche profondamente<br />

influenzato dalla cibernetica e dalla teoria dei sistemi, con cui<br />

venne in contatto quando lavorava presso l’Ufficio studi strategici<br />

degli Stati Uniti durante la Seconda guerra mondiale. Molte sue<br />

teorie acquisteranno fama grazie alla cosiddetta Scuola di Palo<br />

Alto che le porrà alla base della psicologia sistemica. Rispetto<br />

alla sostenibilità vale la pena ripassare tre concetti di Bateson:<br />

il finalismo cosciente, il doppio vincolo, l’ecologia della mente.<br />

Il “finalismo cosciente” è l’idea cartesiana che una parte possa<br />

controllare il tutto, ad esempio che la coscienza possa controllare<br />

il corpo e la volontà e quindi, in una scala più ampia, che l’uomo<br />

possa controllare l’ambiente. L’idea di Bateson, al contrario,<br />

è che la vita e il mondo siano un sistema, un tutto fatto di tante<br />

parti. Sarebbe paradossale, dice Bateson, che una parte possa<br />

controllare il tutto perché la parte, appunto, “fa parte del tutto” e<br />

quindi dovrebbe anche controllare se stessa mentre controlla il<br />

tutto. In effetti, vediamo come l’uomo non sia affatto in grado di<br />

controllarsi nel suo rapporto con l’ambiente.<br />

Il “doppio vincolo” è una teoria che cerca di descrivere la schizofrenia.<br />

Si tratta della situazione in cui una persona deve rispondere<br />

contemporaneamente a due ingiunzioni in contraddizione<br />

tra loro. Proseguendo con gli esempi, nel nostro caso la richiesta<br />

di tutelare l’ambiente e allo stesso tempo quella di consumare<br />

sempre di più.<br />

“L’ecologia della mente” è un po’ l’approccio complessivo di Bateson,<br />

non a caso è anche il titolo del suo libro più importante.<br />

Ancora, l’idea è che l’uomo sia solo una parte di un tutto più ampio.<br />

Un tutto composto da organismi, idee, relazioni. Questa prospettiva<br />

ha anticipato l’approccio Science technology and society<br />

di Bruno Latour, che sostiene che la società può essere vista<br />

come un insieme di attori umani e non umani che interagiscono<br />

tra loro. In effetti, oggi noi umani interagiamo costantemente con<br />

attori non umani come algoritmi, funzioni del cellulare, piattaforme<br />

digitali.<br />

Dunque, verrebbe da dire, se noi umani non siamo riusciti a tutelare<br />

l’ambiente, forse ce la faranno le nostre invenzioni. Speriamo<br />

che non si stanchino di noi…<br />

11


Progettazione<br />

strategica per un<br />

futuro sostenibile<br />

NEL SETTORE FARMACEUTICO, IL<br />

PERCORSO VERSO GLI OBIETTIVI<br />

DI SOSTENIBILITÀ – AMBIENTALE,<br />

ECONOMICA E SOCIALE – È<br />

REALIZZABILE SOLO SE GUIDATO<br />

DA UN’ATTENTA PIANIFICAZIONE<br />

INDUSTRIALE E POLITICO-ECONOMICA<br />

Gabriele Costantino<br />

Dipartimento di Scienze degli Alimenti e del Farmaco<br />

Università di Parma<br />

gabriele.costantino@unipr.it<br />

L’aderenza dell’industria farmaceutica agli obiettivi di sviluppo<br />

sostenibile deve essere programmata e poi valutata anche in<br />

funzione delle specifiche e peculiari caratteristiche di questo<br />

ambito produttivo. L’ambizione di governare il ciclo produttivo<br />

lasciando alle prossime generazioni una quantità di risorse<br />

complessive – ambientali, economiche, sociali – non inferiore<br />

a quella attuale deve infatti esser declinata nel contesto della<br />

funzione – non solo d’impresa – ma anche sociale del comparto<br />

produttivo.<br />

Nel 2020 è stata pubblicata la Pharmaceutical strategy for europe<br />

2020, il white paper sulle attese che l’Unione europea nutre per lo<br />

sviluppo del settore farmaceutico anche in funzione della capacità<br />

di agire sinergicamente nel raggiungere gli obiettivi di sviluppo<br />

dell’Unione.<br />

La prima osservazione importante da sottolineare è che il primo<br />

indicatore di sostenibilità che l’industria farmaceutica deve<br />

contribuire a raggiungere è l’obiettivo di medicine disponibili per<br />

tutti i cittadini, indipendentemente dal reddito, dalla residenza,<br />

dalla patologia. Sembra quasi un’affermazione tautologica,<br />

ma solo perché noi, in questa piccola parte del mondo, siamo<br />

abituati a considerare la disponibilità di medicinali una conquista<br />

assodata. Eppure, è sempre più plausibile l’evenienza che le<br />

nuove generazioni europee non avranno necessariamente questa<br />

disponibilità.<br />

Il benessere sociale richiede la possibilità di accesso a farmaci<br />

e trattamenti effettivi e sostenibili soprattutto per fasce<br />

vulnerabili, con disabilità o appartenenti a minoranze. Questo<br />

obiettivo richiede un ripensamento delle aree e delle strategie<br />

di investimento che dovrebbero sempre più esser dirette verso<br />

12


makinglife | aprile <strong>2023</strong><br />

gli ambiti di bisogni medici non pienamente soddisfatti. Solo<br />

per citare alcune delle criticità presenti nell’Unione europea, la<br />

gestione delle resistenze microbiche, in particolare da Gramnegativi,<br />

l’emergenza di infezioni fungine sistemiche oltre che,<br />

naturalmente, infezioni virali, le demenze senili e, soprattutto<br />

la gestione, finanche solo compassionevole, delle oltre 7.000<br />

malattie rare e ultra rare.<br />

IL CASO<br />

DELL’ANTIMICROBICORESISTENZA<br />

Ma proprio l’esempio della resistenza batterica può<br />

retrospettivamente dare un’idea chiara di cosa voglia dire sviluppo<br />

sostenibile e aiutare a convincere che termini quali “sostenibilità”,<br />

“obiettivi di sostenibilità”, “sviluppo sostenibile” non sono solo<br />

slogan (anche se, obiettivamente, tendono a essere, in diversi<br />

contesti, usati con eccessiva frequenza) ma obiettivi e strumenti<br />

metodologici da applicare nella pianificazione industriale e<br />

politico-economica. Se immaginiamo di tornare agli anni ’80, in<br />

Europa o in USA, una pianificazione a medio-lungo termine delle<br />

aree terapeutiche su cui investire e un’analisi dei “medical need”<br />

avrebbe portato (come – ovviamente – ha portato) ad abbandonare<br />

la ricerca e l’investimento su malattie infettive e a puntare su<br />

malattie oncologiche, croniche, del metabolismo. Il risultato è<br />

che, 40 anni più tardi, siamo entrati nella “crisi di antibiotici” e<br />

le risorse mediche attuali per la gestione di infezioni (che oggi<br />

chiamiamo multidrug resistant) sono inferiori a quelle che erano<br />

disponibili per le passate generazioni. La scelta, diremmo oggi,<br />

non è stata orientata da considerazioni di sostenibilità, ma il vero<br />

punto è capire come il problema avrebbe potuto esser evitato.<br />

In questo momento, ad esempio, sempre restando nel campo<br />

delle resistenze batteriche, esiste una forte pressione verso un<br />

contenimento dell’uso degli antibiotici sia per uso umano che per<br />

uso animale. Se queste scelte vengono giustificate e promosse<br />

(nel suo piccolo, peraltro, anche da chi scrive) nel contesto del<br />

modello di sviluppo sostenibile denominato “One Health”, occorre<br />

chiedersi se questo non porti a un ulteriore disimpegno nella fase<br />

di discovery di nuovi principi attivi o nuovi meccanismi e se, di<br />

fatto, stiamo accompagnando le nuove generazioni a un futuro<br />

senza trattamenti antibatterici. Analogo discorso potremmo fare<br />

per le malattie rare, per le quali oltre alle difficoltà intrinseche di<br />

intervento sul meccanismo eziopatogenico, esiste una barriera<br />

allo sviluppo legata alle revenue su investimenti a elevatissimo<br />

rischio. Ma questo, evidentemente, mette un numero sempre<br />

crescente di cittadini europei in condizioni di non aver accesso a<br />

cure, a volte neppure compassionevoli. Un’industria farmaceutica<br />

che adotta un modello di sviluppo sostenibile, quindi, deve per<br />

prima cosa – con il supporto di tutti gli stakeholder, inclusi<br />

naturalmente i sistemi pubblici – definire i piani di investimento<br />

sui medical need proiettati nel medio-lungo termine.<br />

GARANTIRE LA SOSTENIBILITÀ<br />

DEL SSN<br />

Immediato corollario di quanto sopra è la sostenibilità economica<br />

dei sistemi sanitari pubblici e della fiscalità generale che deve<br />

accompagnare l’accessibilità estesa del prodotto farmaceutico.<br />

La trasformazione dell’industria farmaceutica da un modello a<br />

blockbuster (una medicina per tantissimi pazienti) a un modello<br />

di medicina personalizzata (farmaci cuciti su specifici genotipi<br />

o fenotipi), dove il prezzo del prodotto farmaceutico è diventato<br />

variabile indipendente dal suo costo industriale, corre il rischio,<br />

da una parte, di compromettere i sistemi sanitari universalistici<br />

e mutualistici, dall’altra di privare intere fasce di cittadini di<br />

disponibilità di farmaci (pensiamo appunto alle malattie rare).<br />

I correttivi di natura finanziaria che via via i sistemi sanitari<br />

13


pubblici tendono a implementare per garantire un livello di<br />

erogazione del servizio almeno sufficiente probabilmente<br />

sortiscono nel medio termine effetti addirittura opposti, rischiando<br />

di bloccare investimenti e innovazione, vedi – solo uno tra i tanti – il<br />

meccanismo del cosiddetto payback in Italia.<br />

Questi sono temi che senza dubbio riguardano la sostenibilità<br />

del settore farmaceutico nel medio-lungo periodo ma che<br />

vedono paradossalmente l’industria farmaceutica spesso<br />

come controparte piuttosto che come attore. Ma, in realtà,<br />

l’implementazione di obiettivi di sostenibilità del settore nel mediolungo<br />

termine impongono – per l’industria e per le organizzazioni<br />

di rappresentanza – un approccio negoziale che tenga conto<br />

delle necessità di stabilire modelli di rimborsabilità, definizione di<br />

costo/efficacia, accesso a generici/biosimilari che consentano la<br />

“affordability” del medicinale sia per il paziente che per il sistema<br />

pagatore. Se il modello consente questo risultato, allora anche la<br />

sostenibilità del settore sarà preservata.<br />

LA SUPPLY CHAIN GLOBALIZZATA<br />

Infine, ma non certo ultimo, fattore di criticità per il raggiungimento<br />

di obiettivi di sostenibilità del settore è la complessità della<br />

supply chain. Viene spesso osservato che la delocalizzazione e<br />

l’outsourcing di alcune attività permettono una migliore aderenza<br />

a diversi obiettivi di sostenibilità, particolarmente quelli legati<br />

all’impatto sulle emissioni nell’ambiente e sulla neutralità<br />

climatica. Ma la filiera globalizzata senza dubbio produce altri<br />

elementi critici che spesso si manifestano nella rottura di stock e<br />

nella carenza di particolari farmaci o addirittura classi di farmaci.<br />

La globalizzazione e le filiere complesse hanno in alcuni casi<br />

provocato la mancanza di tecnologia e di materia prima per la<br />

produzione di taluni principi attivi, intermedi o eccipienti. Nel<br />

caso di tensioni sui prezzi, instabilità politica o vere e proprie<br />

decisioni strategiche industriali o di marketing, improvvisamente<br />

intere regioni possono trovarsi in mancanza di disponibilità, che<br />

naturalmente impatta sui gruppi di popolazione più deboli o più<br />

esposti. Ulteriore corollario è la qualità del farmaco. La mancanza<br />

di trasparenza, e a volte di vera e propria informazione, sulla<br />

supply chain determina il rischio di immissione nel mercato di<br />

farmaci di bassa qualità, contaminati da impurezze di produzione,<br />

quando naturalmente non falsificati interamente. La sostenibilità<br />

del comparto farmaceutico, quindi, richiede l’adozione sempre più<br />

generalizzata di procedure di buona fabbricazione e, soprattutto, di<br />

procedure di controllo e di autovalutazione di qualità. Da una parte<br />

questo avrà certamente un impatto sui costi, soprattutto delle<br />

materie prime e degli intermedi, ma avrà il vantaggio nel mediolungo<br />

termine di consentire il raggiungimento degli obietti di<br />

zero-pollution, dello European green deal. L’emissione di residui di<br />

produzione nell’ambiente è in effetti la fonte principale di concern<br />

per la sostenibilità ambientale del comparto farmaceutico. Se<br />

l’implementazione sempre più diffusa di metodologie produttive<br />

”green” (dalla flow chemistry alle tecniche solvent-free) consente<br />

di ridurre significativamente l’emissione ambientale di solventi<br />

volatili, il problema delle contaminazioni, impurezze e usi impropri<br />

(incluso lo scarto di prodotti non utilizzati) ha un potenziale di<br />

impatto in termini di resistenza microbica, distruzione endocrina e<br />

immissione nella filiera alimentare di grande portata, che richiede<br />

l’implementazione di procedure, da parte industriale ma non solo,<br />

di risk assessment e di condizioni di uso dei medicinali.<br />

La strada verso l’aderenza agli obiettivi di sostenibilità per<br />

l’industria farmaceutica richiede una mobilizzazione di risorse<br />

– anche culturali – di grande importanza ma che hanno un<br />

altrettanto grande potenziale di ritorno economico e di reputazione<br />

nella pubblica opinione.<br />

14


SOSTENIBILITÀ AMBIENTALE O ECONOMICA?<br />

QUESTO È IL DILEMMA…<br />

Gli obiettivi climatici incombono e l’ambiente reclama le sue<br />

ragioni: una sfida su più fronti per l’industria farmaceutica, tra lo<br />

sviluppo di soluzioni green e la salvaguarda del comparto<br />

Monica Torriani<br />

16


makinglife | aprile <strong>2023</strong><br />

L’adozione di misure di sostenibilità<br />

ambientale sta impegnando<br />

duramente l’intera filiera dei farmaci,<br />

già stressata da pandemia, carenze<br />

e rincari della bolletta energetica.<br />

Se è ragionevole immaginare che<br />

si proceda verso gli obiettivi di<br />

neutralità climatica per step graduali<br />

e che i successivi adeguamenti siano<br />

progettati in maniera specifica per<br />

ogni settore produttivo, il target<br />

rimane comunque ambizioso.<br />

Ciò che emerge dalle esperienze di<br />

transizione green finora esaminate<br />

è che un approccio pragmatico<br />

è, come spesso succede, d’aiuto<br />

nell’identificare soluzioni in<br />

grado di dare il via a cicli virtuosi.<br />

Fare in modo, in sostanza, che<br />

gli adeguamenti necessari al<br />

raggiungimento degli obiettivi di<br />

sostenibilità non rappresentino<br />

un costo tout court, ma che<br />

rappresentino un investimento.<br />

UN PROBLEMA (MA<br />

GRANDE) E TANTE<br />

PICCOLE SOLUZIONI<br />

Da un punto di vista generale, il<br />

primo passo è quello, già intrapreso<br />

da tutto il settore, di individuare<br />

i punti di efficienza lungo l’intera<br />

catena del valore. Fin qui l’approccio<br />

è chiaramente vantaggioso, perché<br />

ottimizzare i processi garantisce<br />

benefici potenzialmente non<br />

trascurabili sotto il profilo dei<br />

consumi e, dati i prezzi alle stelle di<br />

materie prime ed energia, risparmi<br />

notevoli.<br />

Un secondo intervento è quello<br />

rappresentato dall’efficientamento,<br />

che deve essere ben calibrato<br />

per assumere le necessarie<br />

caratteristiche di cost effectiveness.<br />

Diversi analisti sposano, inoltre,<br />

l’idea di ispirarsi al modello tracciato<br />

dall’industria cosmetica, che<br />

presenta alcune significative affinità<br />

con quella farmaceutica.<br />

I produttori di cosmetici hanno<br />

puntato sulla sostenibilità del<br />

packaging per ridurre l’impatto<br />

ambientale della loro attività senza<br />

intaccare gli standard di sicurezza.<br />

Sono numerose le soluzioni già<br />

applicate per i prodotti beauty. Fra<br />

le più interessanti, l’impiego di<br />

vasetti airless in carta o vetro, in<br />

grado di prevenire l’ossidazione e<br />

la contaminazione microbica del<br />

contenuto e di garantire precisione<br />

nel dosaggio. Gli airless promettono<br />

una vera e propria esplosione nel<br />

settore: Research&Markets, big delle<br />

ricerche di mercato, ha stimato<br />

che il mercato degli airless, oggi<br />

valutato intorno ai 3,2 miliardi di<br />

euro, dovrebbe superare i 7 miliardi<br />

entro il 2027, con una crescita media<br />

annua del 5,7%. Altri esempi virtuosi<br />

sono l’utilizzo di materiali composti<br />

da RPet proveniente fino all’80%<br />

da bottiglie riciclate, le macchine<br />

termoformatrici-riempitrici verticali<br />

(che lavorano garantendo uno scarto<br />

industriale in produzione vicino allo<br />

zero), le fiale stand-up e squeezable,<br />

i contenitori termoformati in<br />

carta (differenziabili direttamente<br />

nel contenitore della carta), e il<br />

packaging biobased (realizzato con<br />

biopolimeri completamente riciclabili<br />

derivanti da risorse rinnovabili e<br />

materiali naturali non legati alla<br />

catena alimentare).<br />

L’innovazione riguarda anche i<br />

processi produttivi: la sfida è quella<br />

di avere siti produttivi alimentati<br />

esclusivamente con energia da fonti<br />

rinnovabili e basati sull’utilizzo di<br />

macchinari 4.0 ad alta efficienza e<br />

ridotto impatto ambientale.<br />

Un concetto poco stressato ma<br />

di particolare rilevanza è quello<br />

della produzione di prossimità,<br />

strategica sia dal punto di vista della<br />

soddisfazione dei bisogni di salute<br />

(ad esempio per garantire l’accesso<br />

ai farmaci in condizioni di emergenza<br />

di vario tipo) che da quello della<br />

sostenibilità (meno inquinamento da<br />

trasporto).<br />

In tutto questo, la comunicazione<br />

può e deve fare la sua parte. Come<br />

sperimentato da molte realtà<br />

industriali di successo, investire<br />

sulla produzione di una narrativa<br />

funzionale al business per attrarre<br />

i consumatori, sempre più sensibili<br />

alle tematiche green, sembra essere<br />

una buona idea. Va da sé che, in un<br />

campo come questo, si sia costretti<br />

a muoversi con grandissima<br />

circospezione: è un attimo scivolare<br />

da un lato nel greenwashing e<br />

dall’altro nella ripetizione di slogan<br />

che hanno già fatto il loro tempo.<br />

17


LA NORMATIVA<br />

EUROPEA SUL<br />

PACKAGING WASTE<br />

Nell’ambito del Green Deal, lo<br />

scorso novembre la Commissione<br />

europea ha presentato una proposta<br />

di Regolamento per il riciclo e il<br />

riuso degli imballaggi, che sono fra<br />

i prodotti che impegnano maggiori<br />

quantità di materie prime (il 40%<br />

della plastica utilizzata in UE, per<br />

citare un esempio) e che generano<br />

i maggiori volumi di rifiuti. La<br />

proposta prevede di ridurre i rifiuti di<br />

imballaggio del 15% pro-capite per<br />

ogni Paese entro il 2040 e, per usare<br />

un eufemismo, non è stata accolta<br />

con grande favore dai rappresentanti<br />

delle aziende.<br />

Il fatto è che le recenti stime<br />

destano seria preoccupazione circa<br />

il raggiungimento degli obiettivi<br />

di neutralità climatica al 2050<br />

e autorizzano a ritenere che, in<br />

mancanza di provvedimenti seri da<br />

attuare al più presto, entro il 2030 in<br />

UE si registrerebbe (addirittura) un<br />

aumento (del 19% circa) del volume<br />

dei rifiuti provenienti dagli imballaggi<br />

(+46% se si parla di plastica).<br />

Gli obiettivi della normativa sono<br />

quelli di prevenire la produzione<br />

di rifiuti di imballaggio (anche<br />

imponendo più restrizioni e<br />

promuovendo il ricorso a elementi<br />

riutilizzabili e ricaricabili),<br />

promuovere il riciclo di qualità<br />

elevata (il cosiddetto “riciclaggio a<br />

circuito chiuso”, in modo da rendere<br />

tutti i packaging presenti nel mercato<br />

riciclabili in modo economicamente<br />

sostenibile entro il 2030) e ridurre<br />

il fabbisogno di risorse naturali<br />

primarie (aumentando l’uso della<br />

plastica riciclata attraverso obiettivi<br />

vincolanti).<br />

Per rendere raggiungibili questi<br />

obiettivi, i formati degli imballaggi<br />

verranno standardizzati, la possibilità<br />

di riutilizzare i packaging sarà<br />

evidenziata chiaramente in etichetta<br />

e verranno vietati alcuni tipi di<br />

imballaggi monouso.<br />

Malgrado la proposta sia stata<br />

descritta come un’opportunità<br />

commerciale per l’industria,<br />

soprattutto nella misura in cui<br />

potrebbe ridurre la dipendenza dalle<br />

risorse primarie e accorciare la<br />

supply chain, il mondo dell’industria<br />

ha reagito con molto scetticismo,<br />

anche alla luce dei rischi che tale<br />

normativa genererebbe in termini di<br />

sopravvivenza delle stesse aziende.<br />

IL PHARMA CHE FA<br />

DOPPIAMENTE BENE<br />

ALLA SOCIETÀ<br />

L’industria farmaceutica si conferma,<br />

al netto delle oggettive difficoltà,<br />

attivamente impegnata nella sfida<br />

posta dagli obiettivi climatici.<br />

La Fondazione Angelini, finanziata<br />

dagli utili del gruppo Angelini<br />

Industries, nel 2021 ha sostenuto<br />

15 progetti in ambito ESG. Tra quelli<br />

a tutela dell’ambiente, citiamo le<br />

iniziative incentrate sulla sostituzione<br />

del Pvc con Pet (più riciclabile) e la<br />

riduzione di oltre 1.000 tonnellate<br />

delle emissioni di CO₂ grazie<br />

all’efficientamento energetico dei siti<br />

produttivi.<br />

Saliamo in Nord Europa per<br />

raccontare di come Novo Nordisk<br />

affronta le tematiche ambientali.<br />

La pharma danese ha già raggiunto<br />

l’obiettivo di utilizzare il 100% di<br />

elettricità proveniente da fonti<br />

rinnovabili nella sua produzione e si<br />

propone, entro il 2030, di generare<br />

emissioni zero di CO₂ anche dai<br />

trasporti. Inoltre, è impegnata nella<br />

ricerca di soluzioni al fine vita dei<br />

dispositivi medici. Un esempio<br />

paradigmatico è quello rappresentato<br />

dalle penne per l’insulina, che sono<br />

costituite per il 77% di materiali<br />

plastici ma non possono essere<br />

gettate nel contenitore di riciclo<br />

per la plastica: l’azienda ha attivato<br />

una collaborazione che ha portato<br />

alla realizzazione di un macchinario<br />

in grado di separare e riciclare le<br />

diverse componenti.<br />

Proprio da questo punto di vista, Novo<br />

Nordisk dà vita a collaborazioni con<br />

partner che condividono lo stesso<br />

obiettivo: in quest’ottica, è diventata<br />

la prima azienda farmaceutica a far<br />

parte del network CE100 (“Circular<br />

economy 100”, di Fondazione Ellen<br />

MacArthur, organizzazioni pubbliche e<br />

private in una rete per la condivisione<br />

di conoscenze ed esperienze nel<br />

campo dell’economia circolare).<br />

Passando al settore dermocosmetico,<br />

l’italianissimo Istituto Ganassini ha<br />

modificato lo scorso anno lo statuto<br />

per diventare società benefit (sono<br />

aziende che, oltre allo scopo di<br />

dividere gli utili, perseguono una o<br />

più finalità di sociale e si impegnano<br />

a operare in modo responsabile,<br />

sostenibile e trasparente). Rientra in<br />

questa visione l’aggiornamento nella<br />

formulazione dei prodotti solari, oggi<br />

privi di siliconi e nanoparticelle, e lo<br />

sforzo per aumentare la sostenibilità<br />

del packaging. Fra i progetti pensati<br />

per il <strong>2023</strong>, un nuovo hub logistico<br />

di 30mila metri quadrati collegato<br />

al sito produttivo di Milano, dotato<br />

di tecnologia 4.0 e autonomia<br />

energetica.<br />

18


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Dal<br />

profitto<br />

ai valori<br />

Simone Montonati<br />

Di fronte a un contesto normativo globale<br />

che sta progressivamente aumentando<br />

la sua stretta sui temi ESG, le imprese di<br />

tutti i settori devono adeguare cultura<br />

aziendale e strategie produttive e<br />

commerciali<br />

Valeria Brambilla, Life science and healthcare leader e<br />

presidente del consiglio di amministrazione di Deloitte & Touche<br />

Sebbene molti studi affermino<br />

che il comportamento etico<br />

di un’azienda dipenda molto<br />

più dalla sensibilità dei suoi<br />

leader che dagli obblighi<br />

di legge, anche il quadro<br />

normativo può avere un<br />

ruolo di rilievo nel guidare<br />

le strategie imprenditoriali.<br />

A un sondaggio pubblicato<br />

quest’anno da Deloitte, i due<br />

terzi dei manager C-level<br />

intervistati ha risposto che<br />

le variazioni nell’ambiente<br />

regolatorio hanno indotto<br />

le loro organizzazioni ad<br />

aumentare l’impegno sul<br />

clima nel corso dell’ultimo<br />

anno. Un meccanismo sul<br />

quale intende fare leva anche<br />

la Commissione europea<br />

con l’introduzione periodica<br />

di normative in tema di<br />

sostenibilità. Nell’ambito<br />

della rendicontazione delle<br />

performance ambientali,<br />

sociali e di governance (ESG),<br />

ad esempio, il 5 gennaio<br />

<strong>2023</strong> è entrato in vigore<br />

per le aziende europee la<br />

Corporate sustainability<br />

reporting directive (CSRD).<br />

La direttiva, che sostituisce<br />

la precedente Non-financial<br />

reporting directive (NFRD)<br />

del 2014, estende a tutte le<br />

società quotate sui mercati<br />

regolamentati dall’UE (tranne<br />

le microimprese) l’obbligo<br />

di redigere il report di<br />

sostenibilità e alza il livello di<br />

dettaglio delle informazioni<br />

che devono essere fornite.<br />

Ad esempio, le aziende<br />

20


makinglife | aprile <strong>2023</strong><br />

dovranno ora specificare<br />

non solo come la loro attività<br />

impatta sulla società e<br />

sull’ambiente (la cosiddetta<br />

analisi di materialità) ma<br />

anche come i fattori di<br />

sostenibilità influenzano<br />

le performance aziendali<br />

(doppia materialità). Inoltre,<br />

verranno introdotti standard<br />

obbligatori e comuni a tutte<br />

le aziende (sebbene siano<br />

previste differenze tra<br />

grandi imprese e Pmi) e la<br />

relazione sulla sostenibilità<br />

dovrà essere integrata nel<br />

bilancio finanziario (non<br />

potrà più essere presentata<br />

a parte). Una stretta<br />

notevole, dunque, destinata<br />

a influenzare l’approccio del<br />

mondo produttivo ai temi<br />

della sostenibilità, come ci<br />

spiega Valeria Brambilla, Life<br />

science and healthcare leader<br />

e presidente del consiglio di<br />

amministrazione di Deloitte &<br />

Touche.<br />

Come si sta evolvendo il<br />

panorama normativo di<br />

riferimento?<br />

Il panorama normativo su<br />

tematiche di sostenibilità<br />

è in continua e dinamica<br />

evoluzione per tutte le<br />

aziende, a partire dalla<br />

crescente richiesta di<br />

informazioni chiare e<br />

trasparenti da parte di tutti<br />

gli stakeholder. Il legislatore<br />

europeo ha rafforzato, negli<br />

ultimi anni, la normativa<br />

relativa al reporting non<br />

finanziario. Nel 2014 è<br />

infatti stata approvata la<br />

Non financial reporting<br />

directive (NFDR), recepita<br />

in Italia con apposito<br />

“<br />

Con la nuova<br />

direttiva<br />

europea, nei<br />

prossimi anni<br />

si amplierà il<br />

bacino delle<br />

aziende obbligate<br />

a fornire il<br />

“Bilancio di<br />

sostenibilità”<br />

decreto alla fine del 2016, che<br />

sancisce l’obbligo agli enti di<br />

interesse pubblico di grandi<br />

dimensioni di pubblicare la<br />

cosiddetta “Dichiarazione<br />

non finanziaria”, più<br />

genericamente nota come<br />

“Bilancio di sostenibilità”.<br />

Nei prossimi anni si amplierà<br />

il bacino delle aziende<br />

obbligate a fornire tale<br />

informativa, grazie alla<br />

Corporate sustainability<br />

reporting directive (Crsd),<br />

che riguarderà anche le<br />

aziende non quotate che<br />

rispettano specifici criteri. Con<br />

riferimento alle aziende del<br />

Pharma, risulta sempre più<br />

rilevante dare – o migliorare<br />

– l’informativa in relazione ai<br />

principali elementi ESG che<br />

caratterizzano il settore e su<br />

cui gli stakeholder potranno<br />

orientare le proprie decisioni<br />

d’investimento o d’acquisto.<br />

Tra questi, l’accesso ai<br />

farmaci, la determinazione dei<br />

prezzi dei farmaci, l’equità in<br />

materia di salute e la diversità<br />

nella leadership oltre che la<br />

sostenibilità ambientale.<br />

La cultura aziendale si sta<br />

adeguando?<br />

Le aziende si dimostrano<br />

sempre più consapevoli<br />

dell’importanza di fare un<br />

vero e proprio cambio di<br />

passo per favorire lo sviluppo<br />

sostenibile. È necessario<br />

passare da una prospettiva<br />

orientata al profitto, e quindi<br />

allo shareholder, a una più<br />

orientata agli impatti generati<br />

a 360 gradi, su tutti gli<br />

stakeholder, sull’ambiente e<br />

sulla possibilità di contribuire<br />

allo sviluppo sostenibile.<br />

E questo vale per le<br />

organizzazioni di tutti i settori,<br />

“<br />

È necessario<br />

passare da una<br />

prospettiva<br />

orientata al<br />

profitto, e<br />

quindi allo<br />

shareholder,<br />

a una più<br />

orientata<br />

agli impatti<br />

generati a<br />

360 gradi<br />

non solo per le imprese<br />

che operano nell’industria<br />

farmaceutica. L’approccio alla<br />

sostenibilità delle aziende<br />

risulta in rapida e dinamica<br />

evoluzione, anche grazie<br />

all’intervento del legislatore e<br />

alla crescente consapevolezza<br />

degli stakeholder. Esistono<br />

casi di aziende che hanno<br />

realmente integrato i<br />

fattori ESG nei propri<br />

business plan, nonostante<br />

effettivamente il loro numero<br />

sia ancora limitato e riferibile<br />

maggiormente a player più<br />

strutturati.<br />

E nel settore farmaceutico<br />

qual è la situazione?<br />

Con riferimento al settore<br />

pharma, in molti casi<br />

assistiamo alla definizione di<br />

specifici ruoli e responsabilità<br />

in ambito ESG, con<br />

l’istituzione per esempio del<br />

sustainability manager o del<br />

chief sustainability officer,<br />

che devono focalizzare<br />

la loro attenzione sia sul<br />

reporting e la comunicazione<br />

della sostenibilità, che sulla<br />

definizione di strategie<br />

per il miglioramento delle<br />

performance. Tali figure sono<br />

cruciali nel guidare l’azienda<br />

e i suoi stakeholder e nel<br />

mantenere un approccio<br />

coerente e omogeneo ai<br />

principi di sostenibilità.<br />

La crescente attenzione al<br />

tema della sostenibilità e del<br />

cambiamento climatico non<br />

solo da parte della business<br />

community, ma dell’intera<br />

società, è sicuramente<br />

un driver importante per<br />

le organizzazioni nella<br />

definizione delle proprie<br />

21


strategie aziendali, le quali<br />

devono essere in grado<br />

di generare benefici a<br />

tutti i livelli, sia in termini<br />

di efficienza operativa e<br />

finanziaria, sia dal punto<br />

di vista del brand e della<br />

reputazione aziendale.<br />

Le imprese hanno<br />

iniziato a implementare il<br />

percorso di identificazione<br />

ed engagement degli<br />

stakeholder?<br />

Decisamente sì, le aziende<br />

si dimostrano sempre più<br />

attive e aperte al dialogo<br />

con gli stakeholder sulle<br />

tematiche di sostenibilità,<br />

proprio nella consapevolezza<br />

dell’importanza di cogliere i<br />

bisogni e le aspettative del<br />

proprio contesto di riferimento<br />

per non perdere opportunità<br />

di mercato.<br />

Esiste sempre un gap tra Pmi<br />

e big?<br />

Sicuramente le aziende<br />

“big” continuano a essere<br />

all’avanguardia su molti<br />

fronti, incluso quello<br />

della sostenibilità, ma<br />

rappresentano anche, e<br />

sempre di più, uno stimolo per<br />

il miglioramento dell’intero<br />

settore. Assistiamo infatti<br />

a casi di aziende di piccole<br />

e medie dimensioni che<br />

prendono spunto dalle azioni<br />

delle aziende più grandi<br />

per migliorare le proprie<br />

performance in ambito ESG,<br />

nella diffusa consapevolezza<br />

di come questi elementi<br />

possono tradursi in vantaggi<br />

competitivi e distintività<br />

sul mercato. È inoltre bene<br />

evidenziare che, nell’ambito<br />

del reporting di sostenibilità<br />

“<br />

In un<br />

contesto come<br />

quello attuale,<br />

i temi della<br />

sostenibilità<br />

devono entrare<br />

all’interno del<br />

business model<br />

ed essere elemento<br />

competitivo e di<br />

reputazione<br />

e della crescente richiesta<br />

di trasparenza da parte<br />

degli stakeholder, si rende<br />

sempre più necessario fornire<br />

informazioni sull’intera<br />

catena del valore aziendale,<br />

includendo quindi soggetti a<br />

monte e a valle della propria<br />

attività produttiva.<br />

Faccio un esempio molto<br />

pratico: le grandi aziende che<br />

vogliono fornire informativa<br />

sulla propria impronta di<br />

carbonio non potranno<br />

che includere informazioni<br />

riguardanti la fornitura e la<br />

logistica. Queste aziende<br />

andranno quindi a chiedere<br />

specifiche informazioni<br />

ai propri fornitori, in molti<br />

casi di minori dimensioni,<br />

che si troveranno quindi<br />

obbligati a misurare tali dati<br />

per mantenere i rapporti di<br />

business esistenti. Questo<br />

attiva spesso processi virtuosi,<br />

che portano il piccolo fornitore<br />

a volersi dotare di propri<br />

strumenti per il reporting e la<br />

disclosure delle informazioni<br />

di sostenibilità, che si rendono<br />

“obbligatorie” per restare sul<br />

mercato. A tendere è quindi<br />

auspicabile, nella migliore<br />

delle ipotesi, che questi<br />

processi virtuosi portino a una<br />

più ampia consapevolezza<br />

della necessità di misurarsi<br />

e di definire obiettivi di<br />

sostenibilità per contribuire<br />

allo sviluppo sostenibile.<br />

Com’è la situazione in Italia<br />

rispetto al resto d’Europa e<br />

del mondo?<br />

Stante il contesto normativo<br />

europeo, da cui l’Italia deriva<br />

le proprie linee d’azione<br />

in ambito di sostenibilità,<br />

possiamo ritenere che il<br />

nostro Paese non si discosti<br />

molto dagli altri Stati Membri<br />

dell’Unione. L’Unione europea<br />

si dimostra all’avanguardia<br />

su questi temi, avendo<br />

definito il proprio obiettivo<br />

di carbon neutrality al 2050<br />

e continuando a definire<br />

normative che riguardano<br />

svariati settori di business,<br />

stimolando uno sviluppo<br />

sostenibile che si prospetta<br />

con ritmi più sostenuti rispetto<br />

a quelli di altre parti del<br />

mondo. Inoltre, il nostro Paese<br />

nel compiere passi in avanti<br />

in termini di responsabilità<br />

ambientale e sociale può fare<br />

leva sul Pnrr, che rappresenta<br />

la base da cui avviare in<br />

modo sistemico un’ambiziosa<br />

strategia di ammodernamento<br />

su queste tematiche e non<br />

solo.<br />

Il panorama geopolitico sta<br />

influenzando i percorsi di<br />

sostenibilità delle aziende?<br />

Negli ultimi anni le aziende<br />

hanno dimostrato di avere<br />

una capacità di resilienza<br />

ai vari fenomeni disruptive,<br />

adattandosi alle contingenze<br />

e cercando di guardare<br />

in prospettiva e attribuire<br />

valore strategico agli<br />

investimenti immateriali<br />

come la sostenibilità. In<br />

un contesto come quello<br />

attuale, i temi della<br />

sostenibilità devono entrare<br />

all’interno del business<br />

model ed essere elemento<br />

competitivo e di reputazione.<br />

Da qui ai prossimi anni le<br />

organizzazioni dovranno<br />

avere sempre più la capacità<br />

di prevedere investimenti<br />

e risorse a sostegno di tale<br />

transizione.<br />

La comunicazione nel settore<br />

pharma è rimasta ancorata<br />

al valore del prodotto oppure<br />

si è aperta a una definizione<br />

più ampia del valore?<br />

Assistiamo a una crescente<br />

apertura della comunicazione<br />

delle aziende del pharma, che<br />

dimostrano sempre più come<br />

il settore possa contribuire<br />

alla qualità della vita delle<br />

persone, anche grazie alla<br />

spinta fornita dalla necessità<br />

di rispondere alla crisi<br />

pandemica. Creare fiducia<br />

attraverso una comunicazione<br />

a più ampio spettro è<br />

fondamentale per dimostrare<br />

il vero valore che le aziende<br />

biofarmaceutiche e il sistema<br />

sanitario apportano alla<br />

società, pur rispondendo agli<br />

azionisti e agli stakeholder<br />

delle scelte operate, con<br />

gli opportuni indicatori<br />

di carattere finanziario,<br />

nonché al legislatore e agli<br />

enti regolatori di settore, in<br />

relazione alle specifiche di<br />

prodotto.<br />

22


24<br />

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Chimica in<br />

cammino per<br />

la sostenibilità<br />

LE PERFORMANCE IN TEMA<br />

DI SICUREZZA, SALUTE E<br />

AMBIENTE DELL’INDUSTRIA<br />

CHIMICA ITALIANA SUPERANO<br />

SIGNIFICATIVAMENTE LA<br />

MEDIA DEL MANIFATTURIERO,<br />

SOPRATTUTTO PER LE<br />

AZIENDE IMPEGNATE NEL<br />

PROGRAMMA REPONSIBLE<br />

CARE<br />

Elena Perani<br />

26


makinglife | aprile <strong>2023</strong><br />

Il valore economico generato nel 2021<br />

dalle oltre 2.800 imprese dell’industria<br />

chimica nei loro 3.200 insediamenti è<br />

di 56,4 miliardi di euro. Le spese per<br />

l’innovazione superano gli 880 milioni<br />

di euro di cui 630 sono destinati alla<br />

ricerca, anche con il coinvolgimento di<br />

università e centri di ricerca.<br />

Richiamandosi all’Agenda 2030 delle<br />

Nazioni Unite e ai suoi 17 Sustainable<br />

development goals, Federchimica<br />

nel 28° rapporto “Responsible Care”,<br />

pubblicato a fine 2022, riepiloga i<br />

risultati in materia di sostenibilità<br />

del comparto chimico fino al 2021<br />

evidenziando le performance delle<br />

aziende aderenti al programma<br />

volontario, che rappresentano le<br />

eccellenze di questa industria.<br />

Per perseguire la sostenibilità sociale e<br />

ambientale, l’industria chimica destina<br />

strutturalmente il 2% del fatturato.<br />

La spesa per sicurezza, salute e<br />

ambiente affrontata dalle imprese<br />

RC è di 724 milioni di euro nel 2021<br />

(+3,6% rispetto al 2020), di cui 447<br />

milioni per costi operativi e 277 per<br />

investimenti. L’industria chimica nel<br />

suo complesso ha speso in queste aree,<br />

tra investimenti e costi operativi, oltre<br />

1.100 milioni di euro nel 2021 (+3,5%<br />

rispetto al 2020).<br />

LIVELLI DI ADESIONE<br />

A trent’anni dalla sua introduzione<br />

in Italia da parte di Federchimica, il<br />

programma volontario Responsible<br />

Care (RC) dell’industria chimica,<br />

nato in Canada negli anni ’80 e poi<br />

adottato in tutto il mondo, conta oggi<br />

la partecipazione di 173 imprese su<br />

un totale di oltre 1.400 iscritte alla<br />

Federazione dell’Industria chimica<br />

per 453 siti produttivi su 1.860, che<br />

includono la quasi totalità di quelli<br />

di maggiori dimensioni. Gli aderenti<br />

al programma totalizzano il 62%<br />

del fatturato del comparto chimico<br />

nazionale e oltre 45mila dipendenti sui<br />

più di 112mila del settore. La diffusione<br />

dei sistemi di gestione certificati conta<br />

il 55% dei segnatari di Responsible<br />

Care per quanto riguarda la ISO 45001,<br />

relativa a salute e sicurezza sui luoghi<br />

di lavoro e il 65% di almeno una delle<br />

unità locali delle imprese riguardo la<br />

certificazione ambientale ISO 14001.<br />

Il rapporto Responsible Care 2022<br />

rende conto dell’impegno delle<br />

aziende chimiche aderenti in campo di<br />

sicurezza, salute e tutela dell’ambiente<br />

nonché dei risultati economici ottenuti,<br />

senza perdere di vista l’intero comparto<br />

chimico, percorrendo le tre dimensioni<br />

della sostenibilità: Persone, Pianeta,<br />

Prosperità.<br />

LE 3P DELLA<br />

SOSTENIBILITÀ:<br />

PERSONE<br />

Riguardo agli incidenti sul lavoro, la<br />

media del manifatturiero si attesta in<br />

Italia sui 13,9 incidenti per milione di<br />

ore lavorate nel triennio 2019-2021,<br />

mentre il dato dell’industria chimica è<br />

8,2 e 5,4 quello delle imprese coinvolte<br />

in Responsible Care, in linea con la<br />

performance della farmaceutica che<br />

conta 5,8 infortuni. Anche la gravità<br />

degli infortuni è inferiore nelle aziende<br />

impegnate nel programma RC, che<br />

si distinguono anche per una bassa<br />

incidenza di malattie professionali.<br />

A fronte di una media nel manifatturiero<br />

di 0,62 casi di malattia professionale<br />

per milione di ore lavorate, nel lustro<br />

2017-2021 la media dell’industria<br />

chimica è 0,24 casi (-61% rispetto al<br />

manifatturiero), la farmaceutica 0,08.<br />

Il rapporto RC sottolinea come la<br />

salubrità degli ambienti di lavoro sia<br />

oggetto di controllo nell’industria<br />

chimica. Un monitoraggio effettuato su<br />

una cinquantina di imprese evidenzia<br />

come il 96,7% delle esposizioni<br />

professionali alle sostanze chimiche<br />

valutate attraverso i campionamenti<br />

d’area e il 94,2% di quelle valutate<br />

attraverso dosimetrie personali sugli<br />

operatori di linea risultino di oltre<br />

il 75% inferiori al “Valore limite di<br />

riferimento (Tlv)” per la specifica<br />

sostanza. Programmi di controllo<br />

degli ambienti di lavoro, fornitura di<br />

dispositivi di protezione individuale,<br />

formazione degli addetti sui temi di<br />

salute e sicurezza sono alla base delle<br />

performance dell’industria chimica, che<br />

mostrano una tendenza costante alla<br />

riduzione degli infortuni e delle malattie<br />

professionali rispetto ai decenni<br />

passati.<br />

L’attenzione alle persone viene<br />

evidenziata nel report di Federchimica<br />

anche in termini di relazioni industriali,<br />

sottolineando per tutto il comparto<br />

l’attenzione agli aspetti di welfare nel<br />

contratto nazionale, pari opportunità,<br />

attività sindacali, impiego e formazione<br />

dei giovani.<br />

PIANETA: ENERGIA<br />

E ACQUA<br />

I consumi finali di energia si sono<br />

dimezzati nell’industria chimica tra il<br />

1990 e il 2020, superando l’obiettivo<br />

posto dall’Unione europea per il 2030.<br />

Il valore medio dei consumi nel 2020,<br />

calcolato in 3,4 Mtep per l’intero settore<br />

chimico, scende a 2,3 per le aziende<br />

RC, mantenendosi tale anche nel 2021.<br />

L’indice di efficienza energetica (a parità<br />

di produzione) evidenzia una riduzione<br />

dei consumi di -44,1% nel 2020 rispetto<br />

al 2000, contro il -19,1% della media<br />

27


del manifatturiero.<br />

Nel 2021 i prelievi di acqua delle<br />

imprese aderenti a Responsible Care<br />

sono stati pari a 1.202 milioni di<br />

m3, con una riduzione di 227 milioni<br />

rispetto al 2020 e di oltre 900 milioni<br />

rispetto al 2005. L’acqua viene<br />

principalmente utilizzata dalle imprese<br />

chimiche per il raffreddamento degli<br />

impianti (87,5%); il resto per i processi<br />

produttivi, i prodotti e i lavaggi. La<br />

fonte principale di approvvigionamento<br />

è il mare (79%) che, insieme all’acqua<br />

di fiume (9,2% del totale), trova il<br />

maggior impiego per il raffreddamento.<br />

L’acqua dolce (che, oltre al fiume,<br />

comprende pozzo e acquedotto), con<br />

256 milioni di m3 nel 2021 rappresenta<br />

il 21% dei prelievi di acqua delle<br />

imprese RC e ha visto una diminuzione<br />

annua degli emungimenti del 55%<br />

rispetto al 2005, pari a oltre 320<br />

milioni di m3.<br />

Il prelievo di acqua potabile<br />

rappresenta solo il 5,6% dell’acqua<br />

dolce (l’1,1% sul totale prelevato) e<br />

nel 2021 è stato di circa 14 milioni di<br />

m3, inferiore di oltre 20 milioni di m3<br />

rispetto al 2005.<br />

I prelievi specifici di acqua, calcolati<br />

a parità di produzione, si sono ridotti<br />

del 44,1% rispetto al 2005. Per l’acqua<br />

dolce la diminuzione è stata del 56,2%.<br />

EMISSIONI E RIFIUTI<br />

L’industria chimica incide per il 2,7%<br />

sulle emissioni dirette di gas serra<br />

in Italia per un ammontare di 11,4<br />

MtCO2eq nel 2019, l’anno precedente la<br />

pandemia, considerato più significativo<br />

per il raffronto con il 1990, rispetto<br />

a cui si registra un calo del 64%.<br />

L’indice delle emissioni specifiche,<br />

calcolato a parità di produzione, si<br />

è ridotto del 61,8% rispetto al 1990<br />

a evidenziare il raggiungimento di<br />

rilevanti obiettivi di efficienza. Anche le<br />

emissioni di protossido di azoto si sono<br />

ridotte di oltre il 96%, proprio grazie<br />

all’impegno degli attori Responsible<br />

Care. Considerando anche le emissioni<br />

indirette, dovute all’energia e calore<br />

acquistati, l’industria chimica ha ridotto<br />

il proprio impatto sui cambiamenti<br />

climatici del 65% rispetto al 1990.<br />

In questo solco, le imprese aderenti<br />

a Responsible Care segnano una<br />

riduzione di emissioni dirette e indirette<br />

del 71% rispetto al 1990.<br />

L’abbattimento delle emissioni riguarda<br />

anche altri inquinanti legati alle<br />

produzioni chimiche, come anidride<br />

solforosa, ossidi di azoto e composti<br />

organici volatili. Tra le emissioni<br />

esterne al ciclo produttivo, i trasporti<br />

contribuiscono al 23,3% delle emissioni<br />

climalteranti. In Italia, il 55,2% delle<br />

merci viaggia su strada; nel caso delle<br />

imprese RC, la gomma rappresenta il<br />

58,3% dei trasporti mentre la restante<br />

quota prende la via del mare (28,9%) o<br />

le rotaie (10,9%).<br />

Passando ai rifiuti, nel 2021 le aziende<br />

Responsible Care ne producono 1,2<br />

milioni di tonnellate dei circa<br />

2 milioni del totale della chimica (di cui<br />

circa un terzo sono rifiuti pericolosi),<br />

sostanzialmente il linea con gli anni<br />

precedenti (-3,4%). Il 29% di tali rifiuti<br />

è destinato al riciclo di cui il 38% sono<br />

rifiuti pericolosi; la quota riciclata era<br />

del 23% nel 2015. Il 25,4%, finisce in<br />

discarica. Al ripristino ambientale viene<br />

indirizzato il 17,1%, al trattamento<br />

chimico, fisico o biologico il 12,4%.<br />

Ammonta a 11,7% la frazione inviata<br />

all’incenerimento.<br />

Riciclo chimico delle plastiche,<br />

tecnologie dell’idrogeno, biotecnologie,<br />

progettazione sostenibile e circolare dei<br />

prodotti sono le sfide della transizione<br />

ecologica che, nel rapporto Responsible<br />

Care, la chimica, nella sua posizione<br />

a monte di molte filiere, sente di far<br />

proprie in un momento in cui gli sforzi<br />

per un’economia più resiliente e meno<br />

distruttiva richiamano a una superiore<br />

assunzione di responsabilità.<br />

Ipcc: è ancora allarme sul climate change<br />

Il Rapporto di Sintesi AR6 dell’Intergovernmental panel on climate change (Ipcc) delle Nazioni Unite, pubblicato<br />

in marzo <strong>2023</strong>, ribadisce la necessità di intraprendere con urgenza misure volte a rallentare il climate change.<br />

La temperatura media del pianeta è aumentata di 1,1°C in poco più di cento anni e continua a salire a causa<br />

delle attività umane, in particolare l’uso insostenibile dell’energia e del suolo, i cambiamenti di destinazione del<br />

suolo naturale, anch’essi non sostenibili, gli stili di vita, i modelli di consumo e i modelli produttivi incompatibili<br />

con la disponibilità di risorse che l’intero pianeta può rigenerare. Gli scienziati delle Nazioni Unite sottolineano<br />

senza mezzi termini che gli obiettivi che le politiche degli Stati si sono dati per il 2030 difficilmente manterranno<br />

il global heating sotto il limite non recuperabile di un incremento entro 1,5°C e che la finestra di azione che<br />

ancora permette di invertire la tendenza è molto stretta.<br />

Tutti gli attori, politici, economici e civili, sono chiamati a focalizzare e potenziare gli sforzi per scongiurare<br />

l’avvento di una crisi climatica che porterà grave detrimento a tutta la comunità umana, nessuno escluso, e a<br />

tutta la vita sul pianeta.<br />

28


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Microsoft Dynamics 365


Missione<br />

sostenibilità<br />

Attuare un programma efficace di<br />

sostenibilità aziendale è un compito<br />

estremamente impegnativo che<br />

riguarda tutte le attività operative e<br />

strategiche e coinvolge ogni livello<br />

di staff<br />

Simone Montonati<br />

30<br />

Abbandonare il modello di<br />

business as usual – finora<br />

efficace e remunerativo –<br />

per aprirsi ai principi della<br />

sostenibilità richiede già<br />

uno sforzo considerevole<br />

ma chi intraprende quella<br />

strada rischia di trovarsi<br />

di fronte a un ostacolo<br />

ancora più grande.<br />

Come rileva la società di<br />

consulenza Mc Kinsey,<br />

infatti, “storicamente<br />

sono poche le aziende che<br />

dispongono di strutture<br />

organizzative concepite per<br />

trattare la sostenibilità”<br />

nella maniera adeguata.<br />

Nominare un responsabile<br />

ESG, organizzare attività<br />

di risparmio energetico<br />

o di riciclo, lasciare<br />

spazio agli obiettivi di<br />

sostenibilità nella strategia<br />

dell’impresa non sarà di<br />

per sé sufficiente. Non<br />

basterà nemmeno gestire<br />

le comunicazioni con<br />

gli stakeholder, definire<br />

gli obiettivi sostenibili<br />

e occuparsi della loro<br />

rendicontazione. Sono<br />

senza dubbio tutti compiti<br />

importanti ma non sono<br />

sufficienti per garantire<br />

un cammino di successo<br />

verso la sostenibilità.<br />

Un processo efficace di<br />

transizione richiede infatti<br />

una fusione completa tra gli<br />

Guido D’Agostino, Head of Global Procurement<br />

del Gruppo Chiesi<br />

obiettivi ESG e tutti gli altri<br />

target aziendali – profitto<br />

compreso – una nuova<br />

attitudine che permei tutte<br />

le attività dell’impresa e una<br />

presa in carico dell’impatto<br />

ambientale globale, non<br />

solo delle proprie attività<br />

ma anche dei propri<br />

partner, dei fornitori e dei<br />

clienti. Significa coinvolgere<br />

tutti i livelli aziendali in<br />

progetti di lungo termine<br />

straordinariamente<br />

ambiziosi sapendo di<br />

dover lavorare spesso<br />

con infrastrutture non<br />

ancora adeguate e di<br />

dover individuare soluzioni<br />

tecniche e tecnologiche<br />

innovative per affrontare<br />

le problematiche – non<br />

di rado sconosciute –<br />

che si incontreranno.


makinglife | aprile <strong>2023</strong><br />

Una missione, dunque,<br />

come emerge da questa<br />

intervista con Guido<br />

D’Agostino, Head of global<br />

procurement del Gruppo<br />

Chiesi, azienda B Corp e<br />

modello di riferimento per<br />

la sostenibilità nel settore<br />

farmaceutico.<br />

Nell’ambito della<br />

sostenibilità, Chiesi è<br />

un punto di riferimento<br />

per il settore. Quali<br />

sono gli obiettivi attuali<br />

dell’azienda?<br />

L’obiettivo più ambizioso<br />

è sicuramente il<br />

raggiungimento delle Zero<br />

Emissioni Nette (Net Zero)<br />

di gas climalteranti entro<br />

il 2035, anno in cui Chiesi<br />

celebrerà i suoi 100 anni<br />

di storia. Si tratta di una<br />

sfida molto impegnativa,<br />

anche perché non dipende<br />

interamente dalle nostre<br />

scelte. Il concetto di Net<br />

Zero, infatti, non implica<br />

solo una riduzione delle<br />

emissioni dirette legate<br />

alle attività produttive,<br />

ma prevede di ridurre<br />

l’impronta carbonica totale<br />

su tutta la nostra catena<br />

del valore, che comprende<br />

anche le emissioni<br />

indirette e quelle associate<br />

ai fornitori e agli asset<br />

acquistati. Dobbiamo infatti<br />

ridurre le emissioni del<br />

cosiddetto “Scope 3”, ovvero<br />

tutte le emissioni associate<br />

ai nostri fornitori e alla vita<br />

dei nostri prodotti dopo la<br />

vendita. Per raggiungere<br />

l’obiettivo stiamo<br />

condividendo il nostro<br />

“<br />

Una società<br />

Benefit non segue<br />

solo obiettivi di<br />

profitto ma si<br />

basa anche sul<br />

concetto di shared<br />

value che significa<br />

creare valore per<br />

la società, per il<br />

pianeta, per le<br />

aziende con cui<br />

lavoriamo, per i<br />

fornitori e per i<br />

partner<br />

concetto di value chain a<br />

tutti i partner del nostro<br />

ecosistema ed è un’impresa<br />

notevole: siamo un’azienda<br />

globale con 30 filiali in tutto<br />

il mondo e vendiamo i nostri<br />

prodotti in oltre 100 Paesi.<br />

Dobbiamo coinvolgere nel<br />

rispetto degli standard<br />

etici e di sostenibilità<br />

un’estesa e complessa rete<br />

di distributori e partner<br />

fondamentali per la nostra<br />

catena distributiva.<br />

Finora, ci siamo concentrati<br />

principalmente sulla<br />

gestione degli acquisti, la<br />

trasformazione dei beni e<br />

la vendita, ma ora stiamo<br />

lavorando per coinvolgere<br />

anche gli altri partner<br />

della filiera. Mi aspetto<br />

che entro i prossimi due<br />

anni potremmo richiedere<br />

a tutti i nostri partner<br />

di fissare obiettivi di<br />

decarbonizzazione, se<br />

non addirittura di essere<br />

certificati come B Corp.<br />

Quanto è importante<br />

essere società Benefit in<br />

questo percorso?<br />

È fondamentale. Una<br />

Società Benefit non segue<br />

solo obiettivi di profitto ma<br />

si basa anche sul concetto<br />

di shared value – valore<br />

condiviso – che significa<br />

creare valore per la società,<br />

per il pianeta, per le<br />

aziende con cui lavoriamo,<br />

per i fornitori e per i<br />

partner. Questo cambia<br />

drasticamente l’approccio<br />

dell’impresa in ogni sua<br />

attività. Il mio ruolo di<br />

responsabile globale del<br />

procurement, ad esempio,<br />

è cambiato radicalmente.<br />

Mi trovo in una posizione<br />

privilegiata perché ora<br />

non sono costretto a<br />

concentrarmi solo sugli<br />

aspetti finanziari, posso<br />

cercare fornitori locali che<br />

abbiano una forte presenza<br />

femminile, che privilegino<br />

persone diversamente abili<br />

o che siano cooperative<br />

sociali anche se ciò<br />

comporta un aumento<br />

dei costi. I concetti di<br />

Diversity e Inclusion sono<br />

molto importanti per noi<br />

e in ambito HR stiamo<br />

lavorando su una nuova<br />

policy globale per i diritti<br />

umani che coinvolgerà non<br />

solo le nostre persone, ma<br />

anche i nostri fornitori, i<br />

nostri clienti, distributori e<br />

collaboratori.<br />

Quali sono gli ambiti più<br />

critici nel percorso verso<br />

la sostenibilità?<br />

Rispetto alle tante aree di<br />

azione, sicuramente la sfida<br />

sul fronte delle emissioni<br />

è la più significativa. Guido<br />

il work stream della value<br />

chain per il gruppo, che<br />

fissa le azioni necessarie<br />

per il raggiungimento<br />

non solo dell’obiettivo<br />

Net Zero, ma anche degli<br />

standard richiesti dalla<br />

proposta sulla Corporate<br />

sustainability due diligence<br />

directive del Parlamento<br />

Europeo, in materia di<br />

sostenibilità. Attualmente<br />

stiamo lavorando con<br />

Bruxelles a un nuovo<br />

tavolo di lavoro su questo<br />

tema che diventerà presto<br />

legge. In Germania la<br />

norma è già in vigore dal<br />

1° gennaio di quest’anno.<br />

Per adeguarci abbiamo<br />

già iniziato ad analizzare i<br />

dati primari delle categorie<br />

più impattanti della nostra<br />

value chain che includono,<br />

ad esempio, i principi attivi<br />

e gli eccipienti delle materie<br />

prime, il confezionamento<br />

primario in plastica e<br />

alluminio e molti altri<br />

componenti plastici<br />

utilizzati nei nostri prodotti<br />

farmaceutici. Stiamo<br />

lavorando a un nuovo piano<br />

strategico di sostenibilità<br />

per il periodo <strong>2023</strong>-2028,<br />

che sarà presentato al<br />

31


nostro interno a luglio.<br />

Vogliamo assicurarci di<br />

monitorare attentamente<br />

l’evoluzione della situazione<br />

nel corso dei prossimi 15<br />

anni per poter raggiungere<br />

il Net Zero al 2035.<br />

Perché non avete scelto la<br />

carbon neutrality?<br />

Perché per raggiungere<br />

la carbon neutrality<br />

l’organizzazione può<br />

non assumersi nessuna<br />

responsabilità, non<br />

modificare in alcun modo<br />

il proprio modo di agire, di<br />

fatto non contribuendo a<br />

trasformare la situazione<br />

globale. L’organizzazione<br />

infatti può limitarsi a<br />

compensare le proprie<br />

emissioni (“carbon<br />

offsetting”) senza sforzarsi<br />

di ridurle in modo<br />

significativo, pagando di<br />

fatto un contributo per<br />

mantenere lo status quo<br />

e per poter affermare<br />

di essere “green” anche<br />

quando aumenta le sue<br />

emissioni.<br />

Net Zero, invece?<br />

La differenza fondamentale<br />

risiede nel fatto che<br />

il concetto di Carbon<br />

Neutrality non costringe<br />

a ridurre drasticamente<br />

le emissioni, lo standard<br />

Net Zero invece sì. Mentre<br />

la carbon neutrality<br />

richiede semplicemente<br />

un’equivalenza tra<br />

emissioni e compensazioni,<br />

“<br />

A differenza<br />

del concetto<br />

di Carbon<br />

Neutrality, lo<br />

standard Net Zero<br />

costringe a ridurre<br />

drasticamente le<br />

emissioni<br />

lo standard Net Zero<br />

chiede invece di ridurre le<br />

emissioni di almeno il 90%<br />

rispetto a una baseline ben<br />

precisa e non permette<br />

compensazione se non<br />

per il 10% rimanente (alla<br />

fine del percorso, dopo<br />

avere già ottenuto tutte le<br />

riduzioni). Si tratta di uno<br />

standard molto più sfidante,<br />

che obbliga le aziende a<br />

concentrare i propri sforzi<br />

sulla riduzione delle proprie<br />

emissioni, modificando i<br />

propri processi e lavorando<br />

su tutta la value chain.<br />

Come vengono calcolati gli<br />

impatti e i progressi?<br />

Chiesi ha sviluppato<br />

un metodo di calcolo<br />

per la valutazione delle<br />

emissioni di CO2 nella<br />

sua supply chain, in linea<br />

con i principi di SBTI, che<br />

sarà sottomesso per la<br />

valutazione di obiettivi<br />

di sostenibilità futuri.<br />

A differenza dei metodi<br />

generalmente impiegati<br />

che si basano su fattori<br />

di conversione teorici (a<br />

ogni categoria di attività<br />

corrisponde un valore di<br />

emissione standard) questa<br />

metodologia si basa sui<br />

dati primari forniti dai<br />

fornitori. Questo significa<br />

che stiamo chiedendo ai<br />

nostri fornitori di rendere<br />

noti dati dettagliati sulla<br />

propria performance ESG,<br />

in modo da calcolare in<br />

maniera precisa l’impatto<br />

ambientale reale di<br />

ogni categoria di spesa.<br />

Chiediamo ai partner di<br />

misurarsi “carbonicamente”<br />

– perché tantissimi non<br />

l’hanno ancora fatto – e<br />

di rendicontare ogni<br />

“<br />

Siamo parte<br />

dello stesso<br />

ecosistema: se i<br />

nostri fornitori<br />

non riducono le<br />

loro emissioni<br />

nei prossimi<br />

15 anni, sarà<br />

per noi difficile<br />

raggiungere<br />

l’obiettivo<br />

Net Zero nei<br />

tempi stabiliti<br />

anno la loro evoluzione,<br />

esattamente come fa<br />

Chiesi stessa. Ovviamente,<br />

dove ciò non sia ancora<br />

possibile faremo ricorso<br />

ai dati statistici ma in<br />

proiezione anche questi<br />

spariranno. Siamo parte<br />

dello stesso ecosistema:<br />

se i nostri fornitori non<br />

riducono le loro emissioni<br />

nei prossimi 15 anni, sarà<br />

per noi difficile raggiungere<br />

l’obiettivo Net Zero nei<br />

tempi stabiliti.<br />

Il trend di crescita<br />

dell’azienda impatta su<br />

questo percorso?<br />

Sì, raggiungere questi<br />

obiettivi per una società in<br />

crescita quasi a doppia cifra<br />

ogni anno è evidentemente<br />

più sfidante: la nostra<br />

spesa è aumentata da 1,2<br />

a 1,5 miliardi di euro tra il<br />

2021 e il 2022 ed è previsto<br />

che raddoppi entro il 2035,<br />

raggiungendo quasi cinque<br />

miliardi di euro di fatturato.<br />

Questo si converte in un<br />

aumento delle emissioni<br />

pari a qualche migliaio di<br />

tonnellate di CO 2<br />

. Siamo<br />

perciò consapevoli che<br />

la nostra curva delle<br />

emissioni è destinata a<br />

salire ancora per qualche<br />

anno, prima di poter<br />

iniziare a scendere. Per<br />

questo abbiamo stabilito<br />

che entro il 2028 una<br />

buona parte dei nostri<br />

partner strategici, che<br />

rappresentano l’80% della<br />

nostra spesa, dovranno<br />

essere già impegnati in<br />

32


makinglife | aprile <strong>2023</strong><br />

percorsi Net Zero simili a<br />

quello di Chiesi.<br />

Com’è stata finora la<br />

risposta dei vostri<br />

fornitori?<br />

“<br />

Non escludo<br />

di fornire piani<br />

di investimento<br />

per sostenere<br />

alcuni fornitori<br />

strategici nella<br />

loro transizione<br />

energetica<br />

La nostra azienda ha la<br />

fortuna di avere una base<br />

molto ampia di fornitori, la<br />

maggior parte dei quali sono<br />

leader nei rispettivi settori<br />

e hanno già implementato<br />

politiche di sostenibilità.<br />

Alcuni di loro già ambiscono<br />

allo stato di Net Zero,<br />

mentre altri sono già B<br />

Corp. In generale, quando<br />

individuiamo un potenziale<br />

partner, proviamo subito ad<br />

aprire un dialogo sui temi<br />

legati alla sostenibilità,<br />

perché questo ci permette<br />

di gestire più facilmente i<br />

nostri obiettivi e guardare<br />

le cose da un altro punto<br />

di vista. Nel mio piano di<br />

sostenibilità, peraltro, non<br />

escludo di prendere in<br />

considerazione la possibilità<br />

- per alcuni fornitori<br />

particolarmente strategici<br />

che si trovano in oggettiva<br />

difficoltà nell’effettuare la<br />

transizione – di fornire un<br />

piano d’investimento per<br />

aiutarli o finanziare la loro<br />

transizione energetica.<br />

Puoi farmi un esempio del<br />

rapporto con i fornitori?<br />

Nel 2026 introdurremo<br />

un nuovo gas propellente<br />

a basso potenziale di<br />

riscaldamento globale per i<br />

nostri inalatori, che servono<br />

a rilasciare i farmaci per<br />

asma e Broncopneumopatia<br />

cronica ostruttiva (BPCO),<br />

che ci permetterà di ridurre<br />

drasticamente (fino al 90%)<br />

la carbon footprint degli<br />

inalatori, il cui impatto oggi<br />

rappresenta la più grande<br />

fonte di emissioni GHG di<br />

tutto il Gruppo Chiesi. Questo<br />

passaggio non viene svolto<br />

sostituendo il fornitore ma<br />

inducendo quello attuale a<br />

sviluppare una soluzione<br />

meno impattante. Per<br />

calcolare l’impatto abbiamo<br />

deciso di non valutare solo<br />

il prodotto o il servizio che<br />

ci fornisce ma di misurare<br />

l’impatto complessivo<br />

delle sue attività. Questo<br />

perché se il mio fornitore ha<br />

altri prodotti o servizi che<br />

impattano negativamente<br />

sull’ambiente, il nostro<br />

sforzo è vanificato. Quindi ci<br />

basiamo sul dato aziendale<br />

globale moltiplicato per il<br />

business che facciamo con<br />

lui. In questo modo, se il<br />

mio fornitore riduce la sua<br />

carbon footprint generale di<br />

qualsiasi servizio o prodotto,<br />

anche il mio impatto si<br />

ridurrà. Questo approccio<br />

è stato oggetto di dibattito<br />

nell’industria, ma il nostro<br />

obiettivo è cambiare il<br />

mondo il più velocemente<br />

possibile, non trovare la via<br />

più facile.<br />

Come Chiesi che interventi<br />

diretti avete effettuato?<br />

Naturalmente anche come<br />

Chiesi stiamo investendo<br />

“<br />

La volontà<br />

della proprietà<br />

è evidente, le<br />

iniziative ci sono<br />

e gli investimenti<br />

non sono un<br />

problema.<br />

Il vero limite<br />

potrebbe essere<br />

rappresentato dalle<br />

infrastrutture<br />

e dalle reti<br />

necessarie per<br />

concretizzare la<br />

transizione<br />

nella decarbonizzazione e<br />

nella produzione di energia<br />

rinnovabile all’interno dei<br />

nostri impianti. Abbiamo<br />

avviato un progetto<br />

denominato “Better<br />

Building”, un programma<br />

globale volto a migliorare<br />

il benessere delle persone<br />

che lavorano nelle nostre<br />

sedi, nonché le prestazioni<br />

di sostenibilità dei nostri<br />

siti, riducendo l’impatto<br />

ambientale sui sistemi<br />

naturali e sulle comunità<br />

locali, dai processi di nuova<br />

realizzazione alle operazioni<br />

negli edifici esistenti. Il<br />

nostro Headquarters di<br />

Parma è il primo edificio del<br />

suo genere, categoria Leed1<br />

Bd+C v.4 New Construction,<br />

ad aver raggiunto il livello<br />

Platinum in Italia ed è tra i<br />

primi 35 edifici al mondo.<br />

Parallelamente, abbiamo<br />

avviato la sperimentazione<br />

di un sistema di<br />

trasporti elettrico per la<br />

movimentazione locale<br />

intorno alla sede centrale,<br />

che è molto consistente.<br />

Per il futuro intendiamo<br />

anche occuparci del<br />

trasporto su lunga tratta.<br />

La volontà della proprietà<br />

è evidente, le iniziative ci<br />

sono e gli investimenti non<br />

sono un problema; il vero<br />

limite potrebbero essere<br />

le infrastrutture e le reti<br />

necessarie per concretizzare<br />

la transizione.<br />

1. Leadership in energy and<br />

environmental design, sviluppato<br />

dallo US Green Building Council<br />

33


Integrare la<br />

sostenibilità<br />

nella<br />

governance<br />

aziendale<br />

Stefano Germini,<br />

Sustainability Manager di Angelini Pharma<br />

IL TEMA DEL CONTRASTO AI<br />

CAMBIAMENTI CLIMATICI<br />

RESTA SICURAMENTE TRA<br />

LE PRIORITÀ DELLE IMPRESE<br />

MA L’IMPLEMENTAZIONE<br />

DELLA SOSTENIBILITÀ NELLE<br />

STRATEGIE AZIENDALI SI<br />

RIVELA UN PROCESSO LUNGO<br />

E COMPLESSO<br />

Simone Montonati<br />

Negli ultimi due anni, i dirigenti<br />

delle aziende impegnate a<br />

livello globale hanno dovuto<br />

affrontare numerose crisi, tra<br />

cui l’incertezza economica,<br />

i conflitti geopolitici, le<br />

interruzioni della catena<br />

di approvvigionamento.<br />

Questa situazione di perenne<br />

emergenza, però, non sembra<br />

aver scalfito l’attenzione<br />

verso il clima, che continua<br />

a rappresentare una<br />

priorità assoluta per le loro<br />

organizzazioni.<br />

A un sondaggio sui C-level<br />

effettuato quest’anno da<br />

Deloitte, circa il 75% degli<br />

intervistati ha dichiarato<br />

che nell’ultimo anno le<br />

loro organizzazioni hanno<br />

aumentato gli investimenti in<br />

sostenibilità e il 61% che nei<br />

prossimi tre anni il contrasto<br />

ai cambiamenti climatici<br />

avrà un impatto elevato su<br />

strategia e operazioni. Nella<br />

graduatoria delle questioni<br />

più urgenti, il climate change<br />

si è classificato al secondo<br />

posto – dietro alle prospettive<br />

economiche – e ha preceduto<br />

altre sette voci, tra cui<br />

l’innovazione, la competizione<br />

per i talenti, le sfide legate<br />

alla supply chain e le tensioni<br />

geopolitiche. Tuttavia, nella<br />

stessa percezione dei CxO,<br />

continua a esserci un divario<br />

significativo tra le azioni<br />

intraprese per la sostenibilità<br />

e il loro impatto, poiché le<br />

organizzazioni faticano a<br />

implementare le attività<br />

necessarie nel core delle<br />

loro strategie, operazioni e<br />

culture. Affinché una strategia<br />

ESG sia davvero efficace,<br />

infatti, è importante che sia<br />

integrata nella governance<br />

dell’organizzazione. Deve<br />

essere considerata un<br />

elemento chiave della<br />

strategia complessiva<br />

34


makinglife | aprile <strong>2023</strong><br />

dell’organizzazione, con una<br />

presenza costante nella<br />

pianificazione, nella gestione<br />

delle attività quotidiane e<br />

nella rendicontazione delle<br />

performance. Raggiungere<br />

questo obiettivo, però, è<br />

un processo tutt’altro che<br />

semplice e implica diverse<br />

sfide da affrontare, come ci<br />

spiega in questa intervista<br />

Stefano Germini, sustainability<br />

manager di Angelini Pharma.<br />

Qual è il fattore più<br />

importante per avviare un<br />

percorso di sostenibilità in<br />

azienda?<br />

Innanzitutto è fondamentale<br />

capire l’entità delle<br />

conseguenze commerciali<br />

cui può andare incontro<br />

un’azienda se non rende più<br />

sostenibili le sue attività e<br />

non diventa più resiliente<br />

all’impatto dei cambiamenti<br />

climatici. Non sto parlando<br />

solo di un problema di<br />

immagine. Gli eventi climatici<br />

estremi possono avere enormi<br />

ripercussioni sull’operatività<br />

dell’azienda: interruzione<br />

– anche definitiva – della<br />

supply chain, fluttuazioni dei<br />

prezzi delle materie prime,<br />

obsolescenza degli asset, fino<br />

alla trasformazione completa<br />

del modello di business. Poi,<br />

naturalmente, c’è anche la<br />

pressione dei clienti e, più<br />

in generale, dell’opinione<br />

pubblica; non adeguarsi a<br />

questa sensibilità si rivelerà<br />

estremamente costoso nel<br />

medio-lungo periodo. Altro<br />

fattore da non trascurare<br />

è l’accesso al credito, ai<br />

finanziamenti, ma anche<br />

a coperture assicurative,<br />

che saranno sempre più<br />

subordinati al rispetto degli<br />

standard in materia di<br />

sostenibilità. Infine, il fattore<br />

normativo, che su questo tema<br />

diverrà sempre più incalzante.<br />

Si deve dunque far leva sulla<br />

necessità?<br />

Accanto al senso di urgenza<br />

va diffuso anche un senso<br />

di possibilità. Penso anzi<br />

che questo elemento sia<br />

ancora più importante per<br />

contrastare un diffuso cinismo<br />

sull’argomento, dovuto in<br />

parte alla complessità del<br />

fenomeno, che spesso non<br />

viene compreso, e in parte<br />

alla difficoltà di capire da dove<br />

cominciare ad agire. Questo<br />

porta spesso all’inerzia e alla<br />

mancanza di azioni concrete.<br />

Incontro spesso due categorie<br />

di persone: chi non è informato<br />

e chi lo è ma non riesce a<br />

decidere in che modo agire.<br />

Anche quando l’informazione<br />

veicolata è giusta, non tutti<br />

la ricevono e rimane spesso<br />

qualche dubbio sul suo<br />

contenuto. Alcuni diventano<br />

attivisti ma talvolta in modo<br />

troppo estremo, danneggiando<br />

paradossalmente il<br />

cambiamento. Vi sono poi<br />

coloro che, pur essendo<br />

più informati, non sono<br />

necessariamente più<br />

consapevoli o predisposti al<br />

cambiamento.<br />

Eppure è bene far capire che<br />

esistono molte opportunità e<br />

ci sono già vaste – e crescenti<br />

– fasce della popolazione che<br />

sentono l’impulso a cambiare<br />

la situazione e hanno già<br />

iniziato ad agire.<br />

La collaborazione con chi è<br />

già attivo è importante?<br />

Sì, assolutamente.<br />

È importante vedere che<br />

ci sono molte persone<br />

e organizzazioni che<br />

stanno lavorando per un<br />

cambiamento sostenibile<br />

e virtuoso. È incoraggiante<br />

vedere che stanno emergendo<br />

anche piccole associazioni<br />

e che il settore privato si sta<br />

impegnando in questo senso.<br />

Inoltre, come hai detto, la<br />

possibilità di un cambiamento<br />

reale esiste anche grazie<br />

all’interazione tra le persone<br />

e alla condivisione di<br />

informazioni e risorse.<br />

È importante ricordare che la<br />

questione della sostenibilità<br />

non riguarda solo alcuni<br />

individui, ma tutti noi e<br />

quindi la collaborazione è<br />

fondamentale per raggiungere<br />

i risultati desiderati.<br />

Quali sono le maggiori<br />

criticità?<br />

Trasformare il sistema attuale<br />

per renderlo sostenibile e<br />

rispettoso dell’ambiente<br />

rappresenta una sfida enorme.<br />

Questo non riguarda solo le<br />

singole aziende, ma l’intero<br />

sistema economico e sociale.<br />

Siamo abituati a un sistema<br />

che premia la crescita<br />

economica e il profitto a breve<br />

termine ma ora dobbiamo<br />

iniziare a pensare in modo<br />

diverso, a lungo termine e con<br />

una prospettiva sostenibile.<br />

Ci sono molte aziende che<br />

stanno cercando di fare la loro<br />

parte ma il cambiamento deve<br />

essere globale e coinvolgere<br />

tutti i settori dell’economia.<br />

E questo richiede un grande<br />

sforzo e una collaborazione<br />

tra le aziende, i governi e la<br />

società civile. Anche perché<br />

– come dicono i ricercatori di<br />

Cambridge – essere “green”<br />

non basta.<br />

In che senso?<br />

Secondo l’Università di<br />

Cambridge essere “green”<br />

non è equivalente alla<br />

sostenibilità effettiva. Hanno<br />

individuato diversi step<br />

per l’evoluzione verso la<br />

sostenibilità che partono<br />

dal business as usual, con<br />

livelli di inquinamento intatti.<br />

Essere “green” significa fare<br />

qualcosa di meglio rispetto<br />

a questo livello iniziale, con<br />

un impatto leggermente più<br />

lieve ma ancora negativo.<br />

La sostenibilità si posiziona<br />

al centro, dove l’impatto è<br />

zero. Esiste, però, anche<br />

un livello superiore, quello<br />

della “rigenerazione” dove<br />

l’impatto diventa addirittura<br />

positivo. Si tratta di un<br />

obiettivo su cui Cambridge<br />

insiste molto poiché il nostro<br />

livello attuale è così arretrato<br />

che è necessario provare a<br />

compensare la situazione con<br />

un impatto di segno inverso.<br />

35


Come si raggiunge il livello<br />

“rigenerazione”?<br />

Quando si parla di<br />

cambiamento climatico e più<br />

in generale di sostenibilità,<br />

è importante definire<br />

obiettivi seri e sfidanti. Negli<br />

ultimi tempi moltissime<br />

aziende si sono impegnate a<br />

raggiungere il Net Zero – cioè<br />

l’azzeramento quasi totale<br />

delle emissioni di gas serra<br />

prodotte – entro il 2040 o<br />

anche il 2035. Alcune aziende,<br />

come GSK, si sono impegnate<br />

addirittura a raggiungere<br />

questo obiettivo entro il<br />

2030, il che è sicuramente<br />

una sfida molto impegnativa.<br />

Per questo è importante<br />

certificare la capacità di<br />

un’azienda di raggiungere<br />

gli obiettivi che si è posta.<br />

Esiste un’organizzazione<br />

chiamata SBTI, ovvero Science<br />

based target initiative, che<br />

certifica gli obiettivi Net Zero<br />

e segue l’andamento delle<br />

aziende impegnate nella<br />

loro realizzazione. Questo è<br />

fondamentale perché la sfida<br />

è enorme e le promesse non<br />

bastano, serve una strategia<br />

ben definita, senza la quale<br />

si sfocia facilmente nel<br />

greenwashing.<br />

Le aziende che vogliono<br />

lavorare sul tema dell’impatto<br />

ambientale zero o della<br />

rigenerazione si devono basare<br />

su strumenti di assessment,<br />

come il Life cycle assessment<br />

(LCA), che tiene conto di tutte<br />

le variabili e gli impatti del<br />

prodotto durante l’intero ciclo<br />

di vita. In Danimarca l’LCA è<br />

già obbligatoria se si vogliono<br />

dichiarare “green” le proprie<br />

azioni. E questa politica è<br />

destinata a fare scuola, almeno<br />

in Europa.<br />

Quanto è importante che la<br />

dirigenza sia coinvolta in<br />

questo processo?<br />

È fondamentale, senza<br />

la partecipazione della<br />

governance diventerebbe<br />

un mero esercizio di stile.<br />

L’approccio sostenibile<br />

deve essere implementato<br />

trasversalmente in tutte<br />

le attività aziendali, deve<br />

essere parte integrante della<br />

strategia. Proprietà, board e<br />

C-level devono tutti aderire al<br />

processo.<br />

E come si possono<br />

coinvolgere?<br />

Bisogna essere in grado di<br />

integrare qualsiasi idea di<br />

sostenibilità nella strategia<br />

di business, senza deviarla<br />

oltre il necessario. Si tratta di<br />

presentare alla propria azienda<br />

una nuova via, un’opportunità.<br />

La strategia aziendale ha<br />

una struttura solida, definita,<br />

maturata nel corso degli anni<br />

e per introdurre cambiamenti<br />

significativi è necessario<br />

agire in modo oculato e<br />

non impulsivo. Un agente di<br />

cambiamento efficace deve<br />

conoscere il business in<br />

maniera profonda ed essere<br />

in grado di prendere decisioni<br />

razionali, dimostrando la<br />

validità delle scelte effettuate.<br />

Bisogna anche sapere quando<br />

attendere e quando agire,<br />

perché non si può ottenere<br />

tutto immediatamente.<br />

È fondamentale suddividere<br />

le attività in piccoli ma<br />

significativi task, in modo da<br />

creare un volano che possa<br />

portare a grandi risultati.<br />

Infine, è importante che<br />

l’impegno e il coinvolgimento<br />

siano percepiti anche dagli<br />

altri, creando una stretta<br />

connessione tra persone e<br />

azienda.<br />

Qual è il contesto attuale del<br />

settore?<br />

Per chi si affaccia al<br />

tema della sostenibilità la<br />

situazione è molto favorevole.<br />

Se guardiamo ai nostri<br />

concorrenti internazionali,<br />

vediamo che i più grandi<br />

stanno facendo progressi<br />

significativi in questo ambito.<br />

C’è chi ha fissato obiettivi<br />

Net Zero senza precedenti<br />

e questo rappresenta uno<br />

stimolo per chi vuole andare<br />

nella stessa direzione. Nel<br />

contempo, in Italia, il livello<br />

di competizione nel settore è<br />

ancora modesto. Al momento,<br />

Chiesi è sicuramente a uno<br />

stadio avanzato su questi<br />

temi, mentre altre aziende<br />

stanno iniziando ora; qualcuna<br />

ha menzionato obiettivi di<br />

sviluppo sostenibile ma<br />

al momento non sembra<br />

esserci alcuna pianificazione<br />

concreta. Questo fornisce un<br />

vantaggio a chi intraprende<br />

il percorso di transizione. È<br />

importante impegnarsi su<br />

queste tematiche, non solo per<br />

l’immagine dell’azienda, ma<br />

anche per la nostra resilienza<br />

futura. Abbiamo già riscontrato<br />

problemi in passato che<br />

potevamo prevedere e<br />

anticipare lavorando prima su<br />

queste questioni. Non siamo<br />

in ritardo a livello italiano,<br />

anzi, abbiamo la possibilità<br />

di essere all’avanguardia<br />

e di beneficiare di tutte le<br />

opportunità che derivano da<br />

questo impegno.<br />

Che rischio si corre se non ci<br />

si adegua?<br />

A livello internazionale<br />

comincia a crearsi una massa<br />

critica in grado di cambiare le<br />

catene di fornitura. E il rischio<br />

è quello di rimanere indietro,<br />

di arrivare in ritardo su una<br />

trasformazione storica. Se le<br />

grandi aziende si allineano<br />

per avere fornitori sostenibili,<br />

chi non si fa trovare pronto<br />

resta escluso. Alcune aziende<br />

stanno già richiedendo ai<br />

loro fornitori di effettuare la<br />

survey Ecovadis (una società<br />

internazionale che valuta le<br />

performance di sostenibilità<br />

di un’impresa, Ndr). A seconda<br />

del voto che si ottiene, può<br />

scaturire la necessità di azioni<br />

di miglioramento più o meno<br />

invasive, oltre alla necessità di<br />

ricertificarsi a livello annuale.<br />

Un’azienda con voti<br />

insufficienti dovrà impegnarsi<br />

in azioni di adeguamento non<br />

programmate con deadline<br />

decise da altri (quindi maggiori<br />

costi e difficoltà), pena<br />

l’esclusione dall’albo fornitori.<br />

36


UN NUOVO<br />

ORIZZONTE PER<br />

L’INDUSTRIA<br />

La cultura della sostenibilità si sta<br />

inesorabilmente diffondendo e il processo<br />

ha coinvolto in maniera tangibile anche<br />

il nostro Paese. Comprese le aziende del<br />

settore farmaceutico<br />

Alberto Bobadilla<br />

Gianluca Pazzaglia, Head of Operation di VTU<br />

Engineering Italia<br />

«Per l’industria, l’interesse<br />

verso la sostenibilità sta<br />

diventando necessario e il<br />

trend è legato alle richieste<br />

dell’opinione pubblica (a loro<br />

volta dovute a comprensibili<br />

preoccupazioni sul futuro<br />

del pianeta) che spingono<br />

il mondo della politica e<br />

della finanza a premiare<br />

le aziende sostenibili». Lo<br />

afferma Gianluca Pazzaglia,<br />

Head of Operation di<br />

VTU Engineering Italia,<br />

che, in questa intervista<br />

a <strong>Makinglife</strong>, spiega che<br />

sottrarsi a questa tendenza<br />

può rivelarsi fatale per le<br />

imprese.<br />

«Aziende poco sostenibili<br />

possono essere punite<br />

nel breve e nel medio<br />

termine da maggiori<br />

difficoltà a reperire fondi<br />

(e quindi da un costo<br />

del capitale più elevato)<br />

e da una progressiva e<br />

potenzialmente rapida<br />

perdita di quote di mercato.<br />

Anche aziende non<br />

direttamente esposte al<br />

38


makinglife | aprile <strong>2023</strong><br />

pubblico possono essere<br />

impattate, perché le<br />

certificazioni di sostenibilità<br />

perseguite dalle aziende<br />

a diretto contatto con i<br />

consumatori spingeranno<br />

tali aziende a richiedere ai<br />

loro fornitori certificazioni<br />

e impegno concreto nel<br />

campo della sostenibilità.<br />

Ovviamente, la sostenibilità<br />

può diventare una grande<br />

opportunità per imprenditori<br />

e manager aperti al<br />

cambiamento e pronti a<br />

mettersi in discussione,<br />

come lo è stata in passato<br />

la transizione a una cultura<br />

della qualità in azienda.<br />

Le opportunità derivanti<br />

dalla sostenibilità sono<br />

legate all’efficientamento<br />

dei processi, alla riduzione<br />

del consumo di risorse e<br />

quindi a un aumento della<br />

competitività aziendale.<br />

Ma anche al miglioramento<br />

della propria immagine,<br />

alla capacità di attrarre<br />

nuovi talenti e di diventare<br />

parte attiva e positiva del<br />

contesto sociale in cui si<br />

opera. La sostenibilità deve<br />

essere insieme ambientale,<br />

economica e sociale».<br />

Come sta cambiando il<br />

paradigma tradizionale<br />

(cost-time-scope) che<br />

caratterizza l’attività delle<br />

aziende?<br />

Il paradigma fondamentale<br />

del project management<br />

(cost-time-scope) deve<br />

includere le esigenze<br />

legate al nuovo approccio<br />

alla sostenibilità. Io penso<br />

“<br />

Aziende poco<br />

sostenibili<br />

saranno punite<br />

da maggiori<br />

difficoltà a<br />

reperire fondi e<br />

dalla perdita di<br />

quote di mercato<br />

che questo voglia dire<br />

allargare i confini spaziali e<br />

temporali in cui il progetto<br />

è analizzato e pianificato<br />

prima dell’esecuzione,<br />

allargare il numero degli<br />

stakeholder considerati<br />

nello sviluppo del progetto,<br />

cambiare gli obiettivi con cui<br />

sono prodotte le specifiche<br />

(che non devono includere<br />

solo elementi prestazionali<br />

dei processi dei clienti<br />

ma anche elementi di<br />

valutazione dell’impatto<br />

della soluzione offerta in<br />

termini di sostenibilità) e<br />

di conseguenza il rapporto<br />

con i fornitori, che devono<br />

essere coinvolti nella<br />

definizione di soluzioni<br />

ottimali nel nuovo contesto<br />

della sostenibilità. Per le<br />

società di ingegneria questo<br />

vuol dire organizzarsi per<br />

gestire un aumentato livello<br />

di complessità e sviluppare<br />

nuovi tool ingegneristici che<br />

consentano di includere le<br />

attività di ottimizzazione<br />

della sostenibilità nel<br />

processo ingegneristico<br />

nella maniera più snella ed<br />

efficace possibile.<br />

Concretamente, in quali<br />

attività si esprime<br />

l’attenzione alla<br />

sostenibilità?<br />

Riducendo l’utilizzo di<br />

risorse e quindi migliorando<br />

l’impronta carbonica<br />

dei propri processi di<br />

produzione, rendendoli<br />

più efficienti e competitivi<br />

e accettabili da tutti gli<br />

stakeholder coinvolti. Per<br />

una società di ingegneria<br />

come VTU tutto ciò si<br />

concretizza nello sviluppo<br />

di tool che consentano di<br />

raggiungere l’obiettivo con<br />

costi e tempi ragionevoli.<br />

“<br />

Ora vi sono<br />

tool innovativi<br />

per includere<br />

gli aspetti di<br />

sostenibilità<br />

nel processo<br />

ingegneristico<br />

Abbiamo sviluppato una<br />

metodologia, che chiamiamo<br />

Green Value Engineering,<br />

che consente di raggiungere<br />

lo scopo integrando<br />

le attività nel normale<br />

flusso esecutivo dei nostri<br />

progetti, idealmente<br />

durante lo sviluppo del<br />

basic engineering o, meglio<br />

ancora, in una fase di<br />

conceptual engineering. In<br />

sostanza si tratta di una<br />

metodologia che incorpora<br />

i risultati di tecniche LCA<br />

(Life cicle assessment)<br />

per minimizzare<br />

contestualmente le<br />

richieste di CapEx (Capital<br />

expenditure, spesa di<br />

capitale), OpEx (Operating<br />

expense, spesa operativa) e<br />

l’impatto ambientale.<br />

Su quali aspetti è<br />

opportuno intervenire<br />

per aumentare l’efficacia<br />

della transizione verso la<br />

sostenibilità nell’industria<br />

di processo?<br />

L’industria di processo è<br />

tipicamente energivora e<br />

basata sulla trasformazione<br />

di materie prime o intermedi<br />

di produzione nei prodotti<br />

finali. Spesso le attività volte<br />

a migliorare la sostenibilità<br />

si esplicano nel campo<br />

della riduzione dei consumi<br />

energetici (ad esempio<br />

mediante l’ottimizzazione<br />

dei livelli termici dei fluidi<br />

di riscaldamento o di<br />

raffreddamento, il recupero<br />

energetico nel processo di<br />

flussi termici inutilizzati<br />

o mediante l’adozione di<br />

39


motori correttamente<br />

dimensionati, altamente<br />

efficienti e controllati<br />

con inverter) o nel campo<br />

dell’utilizzo efficiente delle<br />

materie prime e delle<br />

utility (recupero solventi,<br />

minimizzazione rifiuti di<br />

processo).<br />

I risultati migliori si<br />

possono ottenere mediante<br />

cambiamenti dei processi<br />

di produzione ma questo<br />

non è sempre possibile in<br />

ambito farmaceutico per<br />

via dei vincoli legati alla<br />

qualifica e validazione dei<br />

processi.<br />

In ogni caso, anche senza<br />

fare modifiche essenziali<br />

ai processi, è possibile<br />

ottenere miglioramenti<br />

significativi, che possono<br />

ad esempio arrivare a una<br />

riduzione dei consumi<br />

energetici del 30% su<br />

sistemi di pompaggio fluido,<br />

della refrigerazione o del<br />

riscaldamento; del 50% su<br />

sistemi di aria compressa;<br />

del 70% per l’illuminazione.<br />

Oltre ai risultati ottenibili<br />

nel campo dell’esercizio<br />

dei processi produttivi, è<br />

importante considerare i<br />

risultati ottenibili durante<br />

la fase di costruzione,<br />

principalmente mediante<br />

la selezione di materiali<br />

e tecnologie costruttive<br />

che presentano la minima<br />

impronta carbonica.<br />

Ci spiega il concetto che<br />

sta alla base della legge<br />

di Pareto e in che modo<br />

questo può guidare la<br />

trasformazione?<br />

Il principio di Pareto è di<br />

“<br />

È sufficiente<br />

concentrarsi su<br />

poche azioni per<br />

ottenere risultati<br />

tangibili<br />

derivazione empirica e<br />

sostiene che, nei sistemi<br />

complessi dotati di una<br />

struttura causa-effetto, il<br />

20% delle cause provoca<br />

l’80% degli effetti. Questo<br />

vuol dire che, tipicamente,<br />

nello sforzo di migliorare<br />

la sostenibilità di un<br />

processo produttivo è<br />

sufficiente concentrarsi<br />

su poche azioni (20%<br />

delle cause) per ottenere<br />

risultati tangibili (80% degli<br />

effetti). Generalmente, nelle<br />

sessioni iniziali delle nostre<br />

attività di Green Value<br />

Engineering identifichiamo<br />

diverse azioni in diverse<br />

aree. La metodologia porta<br />

a quantificare l’impatto<br />

delle soluzioni identificate<br />

(includendo l’analisi del<br />

rischio) e a ordinare le<br />

azioni identificate per il<br />

loro impatto atteso. A volte,<br />

per motivi di tempo o di<br />

costo, non tutte le azioni<br />

sono incluse nello scopo<br />

del progetto ma le azioni<br />

scartate possono rimanere<br />

nei piani di miglioramento<br />

continuo dell’azienda<br />

da portarsi avanti dopo<br />

l’avviamento del progetto.<br />

La cultura della<br />

sostenibilità è già diffusa<br />

nelle aziende?<br />

La cultura della sostenibilità<br />

si sta diffondendo,<br />

percettibilmente e<br />

inesorabilmente. Dal mio<br />

punto di osservazione, in<br />

Italia il processo ha preso<br />

avvio in maniera tangibile<br />

circa due-tre anni fa. È oggi<br />

appannaggio soprattutto<br />

delle aziende più grandi, e<br />

quelle farmaceutiche sono<br />

decisamente in prima linea<br />

nel panorama italiano.<br />

Quali sono le certificazione<br />

green per un’azienda e che<br />

vantaggi offrono?<br />

Ve ne sono diverse. Ad<br />

esempio, l’adozione di<br />

standard come la SA 8000<br />

per la Responsabilità<br />

Sociale; la ISO 14001<br />

per l’Ambiente; la ISO<br />

50001 per l’Energia può<br />

già essere considerata<br />

una certificazione di<br />

comportamento green.<br />

Alcune certificazioni sono<br />

più specifiche e recenti. Nel<br />

campo della costruzione di<br />

“<br />

La cultura della<br />

sostenibilità si<br />

sta diffondendo,<br />

percettibilmente e<br />

inesorabilmente<br />

edifici vi sono certificazioni<br />

come LEED o WELL che<br />

definiscono l’efficienza<br />

energetica dell’edificio e<br />

garantiscono il rispetto di<br />

criteri di sostenibilità in fase<br />

di costruzione. Per i prodotti<br />

esiste la certificazione<br />

Ecolabel, focalizzata<br />

sulle performance LCA.<br />

Ecovadis, invece, è un<br />

ranking internazionale di<br />

sostenibilità che attribuisce<br />

un punteggio che consente<br />

una grande visibilità delle<br />

aziende nei confronti di<br />

una platea di potenziali<br />

clienti. La certificazione<br />

Ecovadis dimostra l’impegno<br />

dell’azienda nel campo<br />

della sostenibilità con un<br />

ritorno di immagine diretto<br />

verso le comunità che<br />

ospitano i nostri uffici e<br />

verso i dipendenti presenti<br />

e futuri dell’azienda; la<br />

certificazione diventa un<br />

importante biglietto da<br />

visita a volte necessario<br />

per i clienti più avanzati e<br />

impegnati nel campo della<br />

sostenibilità.<br />

È ipotizzabile che una<br />

certificazione diventi in<br />

qualche modo obbligatoria?<br />

Direi di no. La certificazione<br />

sarà una richiesta di<br />

mercato: a oggi siamo<br />

lontani dal poterla<br />

considerare necessaria per<br />

operare ma il trend è chiaro<br />

e negli anni a venire una<br />

certificazione di sostenibilità<br />

sarà pratica comune per<br />

società strutturate, come<br />

lo è oggi la certificazione di<br />

qualità.<br />

40


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Novinox è un’azienda specializzata<br />

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Novinox un leader nel settore.<br />

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COME EVITARE LA TRAPPOLA<br />

GREENWASHING<br />

Simone Montonati<br />

SE DA UN LATO CRESCE<br />

L’ATTENZIONE DEI CONSUMATORI<br />

VERSO I TEMI ESG, DALL’ALTRO<br />

AUMENTA ANCHE LA LORO<br />

DIFFIDENZA VERSO LE<br />

DICHIARAZIONI DELLE AZIENDE.<br />

IN QUESTO CONTESTO, UN ERRORE<br />

DI COMUNICAZIONE PUÒ RIVELARSI<br />

FATALE, ANCHE SE INVOLONTARIO<br />

Il 22 marzo <strong>2023</strong> la<br />

Commissione europea ha<br />

adottato una proposta per una<br />

nuova “Green claims directive”,<br />

che imporrà alle aziende di<br />

dimostrare le loro affermazioni<br />

in materia di sostenibilità<br />

ambientale utilizzando metodi<br />

scientifici e verificabili. La<br />

misura mira esplicitamente<br />

a proteggere i consumatori<br />

europei dal greenwashing<br />

garantendo che le informazioni<br />

fornite dalle imprese siano<br />

affidabili e comparabili tra i<br />

diversi prodotti. Stando ai dati<br />

della Commissione, infatti,<br />

attualmente il 53% delle<br />

indicazioni ecologiche fornite<br />

nei claim riporta informazioni<br />

“vaghe, fuorvianti o prive<br />

di fondamento” e il 40% di<br />

esse “non ha alcuna prova<br />

a sostegno”. Non si salvano<br />

nemmeno i prodotti “certificati”<br />

dato che la metà di tutti i<br />

marchi verdi offre una verifica<br />

“debole o inesistente”.<br />

Si tratta di una strategia<br />

comunicativa piuttosto<br />

rischiosa se consideriamo<br />

che i clienti, oltre a essere<br />

Rossella Sobrero, presidente di Koinètica e membro<br />

del consiglio direttivo del Sustainability Makers –<br />

The professional network<br />

sempre più attenti ai temi<br />

della sostenibilità, si aspettano<br />

anche un impegno crescente<br />

da parte delle aziende.<br />

Un recente sondaggio<br />

ha rilevato che il 78% dei<br />

consumatori attribuisce<br />

alle imprese una specifica<br />

responsabilità nella gestione<br />

del proprio impatto ambientale<br />

e sociale.<br />

FIDUCIA<br />

AI MINIMI<br />

In questo contesto non<br />

stupisce che la fiducia dei<br />

consumatori nei green claim<br />

stia scivolando verso minimi<br />

storici. Secondo il rapporto<br />

globale di SEC Newgate sulle<br />

attività ESG delle aziende,<br />

meno di una persona su<br />

42


makinglife | aprile <strong>2023</strong><br />

dieci si fida di ciò che le<br />

aziende dichiarano sulle loro<br />

performance di responsabilità<br />

sociale e il 72% ritiene non<br />

sufficientemente chiara la<br />

comunicazione su questi<br />

temi. Si tratta di un terreno<br />

insidioso per le aziende:<br />

un’analisi condotta su 200<br />

aziende statunitensi quotate<br />

in borsa e pubblicata dalla<br />

Harvard business review rivela<br />

che i clienti sono in grado di<br />

percepire quando le azioni non<br />

sono adeguate agli obiettivi<br />

dichiarati e che i loro livelli di<br />

soddisfazione diminuiscono<br />

di conseguenza. Questo<br />

gap “innesca la percezione<br />

dell’ipocrisia aziendale, che<br />

si ripercuote sull’esperienza<br />

dei clienti con il prodotto<br />

stesso”. Il che si traduce in una<br />

riduzione sia dell’utile netto<br />

per azione (EPS) sia del ritorno<br />

sull’investimento (ROI). Altre<br />

ricerche confermano che i<br />

clienti sono sempre più inclini<br />

a punire i comportamenti<br />

inadeguati. Secondo il<br />

sondaggio di Sec, il 50% dei<br />

consumatori ha scelto se<br />

usare – o evitare – un prodotto<br />

sulla base dell’impegno<br />

ESG dell’azienda che lo<br />

produceva e il 62% sostiene<br />

che le imprese inattive sui<br />

temi ESG “dovrebbero essere<br />

penalizzate”. L’aumento<br />

delle class action e dei<br />

movimenti di boicottaggio<br />

sono una dimostrazione<br />

di questa tendenza. Ne sa<br />

qualcosa Volskwagen, che<br />

per lo scandalo dei falsi test<br />

sulle emissioni ha dovuto<br />

affrontare una serie di cause<br />

che la impegnano per miliardi<br />

di dollari (in Italia è stata<br />

condannata a risarcire oltre<br />

100 milioni di euro, sebbene<br />

ora sia in corso l’appello).<br />

Il greenwashing, tra l’altro,<br />

non va solo a scapito di chi<br />

lo commette ma incrina la<br />

fiducia nei confronti di tutte<br />

le imprese, anche di quelle<br />

che hanno scelto di seguire<br />

seriamente la via della<br />

sostenibilità.<br />

IL RISCHIO<br />

DI ERRORE<br />

INVOLONTARIO<br />

Le imprese devono dunque<br />

porre molta attenzione al<br />

modo di comunicare il loro<br />

impegno sociale e ambientale<br />

perché le conseguenze di un<br />

errata comunicazione possono<br />

essere molto serie, soprattutto<br />

quando sfociano nel washing.<br />

La miscommunication sui temi<br />

ESG può compromettere la<br />

fiducia degli investitori e dei<br />

consumatori, essere motivo di<br />

sanzioni da parte delle autorità<br />

di regolamentazione, avviare<br />

campagne di boicottaggio<br />

e generare perdita di<br />

investimenti.<br />

La situazione è complicata dal<br />

fatto che il greenwashing può<br />

anche non essere intenzionale.<br />

Dichiarazioni in buona fede<br />

possono comunque rivelarsi<br />

fuorvianti o inesatte ed essere<br />

percepite come greewashing.<br />

Questo accade soprattutto<br />

quando la conoscenza<br />

dell’argomento è incompleta<br />

o la comunicazione si basa<br />

su affermazioni vaghe e non<br />

provate (vedi box). Abbiamo<br />

chiesto a Rossella Sobrero,<br />

presidente di Koinètica e<br />

membro del consiglio direttivo<br />

del Sustainability Makers –<br />

The professional network,<br />

di indicarci i tranelli della<br />

comunicazione ESG e gli<br />

strumenti a disposizione per<br />

evitare passi falsi.<br />

A quali aspetti dovrebbe fare<br />

più attenzione un’azienda<br />

nel comunicare la propria<br />

sostenibilità?<br />

In un momento in cui si<br />

parla molto di sostenibilità è<br />

ancor più necessario porre<br />

attenzione ai contenuti e alle<br />

modalità con cui si comunica.<br />

Bisogna evitare di utilizzare<br />

enviromental claim per<br />

promuovere in modo enfatico<br />

l’impegno ambientale ma<br />

anche immagini che evocano<br />

una dimensione valoriale non<br />

rispondente alla realtà.<br />

Quali sono i principali errori<br />

che le imprese commettono<br />

in quest’ambito?<br />

Quando si parla di<br />

greenwashing la grande<br />

imputata è proprio la<br />

comunicazione: è importante<br />

raccontare la sostenibilità<br />

solo dopo aver messo in atto<br />

strategie e azioni concrete.<br />

In questo periodo è cresciuto<br />

molto quel “rumore di<br />

fondo” che crea confusione<br />

nei consumatori e li rende<br />

diffidenti. Il greenwashing<br />

colpisce in particolare i<br />

consumatori più deboli, quelli<br />

che hanno meno strumenti<br />

culturali per poter capire<br />

quando un messaggio è<br />

scorretto. Per questo bisogna<br />

comunicare in modo chiaro,<br />

diretto, trasparente, autentico,<br />

oppure stare zitti.<br />

Qual è il quadro di riferimento<br />

normativo e quali sono i<br />

rischi legali per chi comunica<br />

la sostenibilità in modo non<br />

adeguato?<br />

Il greenwashing non è solo<br />

una forma di comunicazione<br />

scorretta ma è anche<br />

concorrenza sleale perché può<br />

far dirottare investimenti da<br />

attività sostenibili verso altre<br />

che non lo sono.<br />

Nel nostro paese sono<br />

presenti due soggetti<br />

importanti, uno pubblico e<br />

l’altro privato, che hanno il<br />

compito di tutelare il mercato:<br />

l’Autorità garante della<br />

concorrenza e del mercato<br />

e l’Istituto dell’autodisciplina<br />

pubblicitaria.<br />

Quali sono gli strumenti più<br />

efficaci a disposizione delle<br />

aziende per comunicare su<br />

questo tema?<br />

Nel mio libro “Verde, anzi<br />

verdissimo” ho ricordato che<br />

un’organizzazione che vuole<br />

essere considerata sostenibile<br />

deve dotarsi di alcuni<br />

strumenti per condividere<br />

con gli stakeholder i principi<br />

a cui si ispira. Per esempio<br />

deve dotarsi di un Codice<br />

etico e di condotta e definire<br />

una serie di policy aziendali<br />

per rendere trasparente la<br />

gestione del rapporto con<br />

alcuni portatori di interessi.<br />

Altri strumenti importanti,<br />

come le certificazioni e i bilanci<br />

(sociali, ambientali, integrati)<br />

43


servono anche per “dare<br />

conto” del proprio operato ai<br />

pubblici interni ed esterni<br />

dell’impresa.<br />

Il greenwashing è solo una<br />

questione di comunicazione<br />

o dipende anche dalle<br />

azioni svolte?<br />

Prima di comunicare è<br />

meglio aver fatto passi<br />

avanti significativi.<br />

A volte si corre il rischio di<br />

iniziare a comunicare azioni<br />

che sono poco di più di<br />

quanto richiesto da leggi e<br />

regolamenti.<br />

Che approccio dovrebbero<br />

seguire le aziende per<br />

andare incontro ai trend in<br />

corso?<br />

Ogni organizzazione, quando<br />

decide di comunicare<br />

l’impegno sociale e<br />

ambientale, dovrebbe fare<br />

una auto-analisi il più<br />

possibile critica e capire<br />

il livello di sostenibilità in<br />

cui ci si trova analizzando i<br />

punti di forza e di debolezza.<br />

Come primo passo potrebbe<br />

coinvolgere il pubblico<br />

interno perché i dipendenti<br />

e i collaboratori sono i<br />

migliori ambasciatori della<br />

sostenibilità.<br />

Riferimenti<br />

>> https://hbr.org/2022/07/howgreenwashing-affects-the-bottom-line<br />

>> SEC Newgate Corporate, ESG<br />

Monitor Reports Global Report 2022<br />

>> https://www.ul.com/insights/sinsgreenwashing<br />

>> Rossella Sobrero, Verde,anzi<br />

verdissimo; Egea 2022<br />

I SETTE PECCATI CAPITALI DEL GREENWASHING<br />

In seguito a una ricerca del 2007, TerraChoice, un’organizzazione canadese senza scopo di lucro che si occupava di questioni ambientali<br />

(poi acquisita da Underwriters Laboratories), ha elaborato un prospetto delle tecniche di marketing ingannevoli utilizzate dalle aziende<br />

per far apparire i loro prodotti ecologici e sostenibili. Le tecniche sono raggruppate nei cosiddetti “Sette peccati del greenwashing”.<br />

1: Hidden Trade-Off<br />

Questa tecnica consiste nel promuovere un singolo aspetto ecologico di un prodotto o di un’attività, ignorando o minimizzando altri<br />

aspetti negativi. Un noto esempio è il passo falso di McDonald’s che, nel 2019, presentava le cannucce di carta come soluzione<br />

all’inquinamento da cannucce di plastica. Peccato che la nuova alternativa non fosse riciclabile, a differenza della precedente in<br />

plastica.<br />

2: No proof<br />

Si riferisce alla pratica di fare affermazioni eco-friendly su un prodotto o un’attività senza fornire alcuna evidenza a supporto. Un<br />

recente articolo di The Guardian denuncia che la maggior parte delle plastiche commercializzate come “compostabili in casa” in<br />

realtà non funziona: il 60% dopo sei mesi è ancora integro.<br />

3: Vagueness<br />

Un’altra tecnica di greenwashing utilizza termini generici o vaghi in riferimento a prestazioni ecologiche, senza fornire alcun<br />

dettaglio o specifica. È il caso di claim come “naturale”, “organico”, “rispettoso dell’ambiente”, “verde” o “sostenibile” non<br />

accompagnati da alcuna informazione sulle caratteristiche del prodotto che lo renderebbero tale.<br />

4: Worshipping false labels<br />

In questo caso l’azienda usa etichette o marchi falsi o fuorvianti per creare l’impressione di eco-compatibilità. Ad esempio,<br />

potrebbe utilizzare un marchio simile a una certificazione ecologica riconosciuta; in alcuni casi potrebbe trattarsi di una creazione<br />

dell’azienda stessa. Pare che questo problema sia particolarmente diffuso nell’industria marittima. Nel 2001, l’Organizzazione<br />

marittima internazionale (IMO) ha rilevato 12.635 casi di falsificazione di certificazioni.<br />

5. Irrelevance<br />

Si tratta della promozione di caratteristiche che, sebbene siano vere, non sono pertinenti rispetto al problema ambientale a cui si<br />

fa riferimento. Molti prodotti vengono ancora venduti con la dicitura CFC-free ma i CFC sono banditi dal 1987.<br />

6. Lesser of two evils<br />

Fa riferimento all’abitudine di promuovere un prodotto come ecologico perché presenta impatti ambientali negativi minori rispetto<br />

ad altre opzioni. Il gas naturale, ad esempio, viene spesso presentato come una fonte di energia pulita in quanto emette meno CO2<br />

di carbone e petrolio ma le sue emissioni non sono nulle.<br />

7. Fibbing<br />

È il peccato di frode, che prevede dichiarazioni volontariamente false o fuorvianti. Una delle più note è il “dieselgate” che coinvolse<br />

Volkswagen nel 2015. Si scoprì che l’azienda aveva installato su oltre mezzo milione di auto a motore diesel, un software che<br />

ingannava i test sulle emissioni inducendoli a registrare livelli più bassi. Queste auto erano poi vendute col claim di “clean diesel”.<br />

44


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RENDERE PIÙ SOSTENIBILI I FARMACI E IL LORO PACKAGING<br />

MA I NUMEROSI OSTACOLI TECNICI E NORMATIVI<br />

RALLENTANO IL PROCESSO. PER CAMBIARE PASSO È<br />

NECESSARIA LA SINERGIA TRA TUTTI GLI STAKEHOLDER<br />

46


makinglife | aprile <strong>2023</strong><br />

L’ambiente in cui siamo immersi lancia<br />

grida di allarme che percepiamo ormai<br />

chiaramente e in un mondo sempre più<br />

popoloso, in cui la richiesta di farmaci<br />

è in continua crescita, ridurre l’impatto<br />

della filiera del farmaco è un imperativo<br />

inderogabile. Sostenibilità: un insieme<br />

di azioni che impattano sulle lavorazioni<br />

delle aziende, che richiedono<br />

competenze specifiche e nuove, che<br />

spesso necessitano di investimenti e<br />

cambiamenti onerosi e di complessa<br />

attuazione. La riduzione dell’impatto<br />

ambientale può essere vista sotto molte<br />

angolazioni e raggiungere gli obiettivi<br />

in maniera profondamente sostenibile,<br />

anche dal punto di vista delle aziende,<br />

è una vera sfida, a cui oggi più che mai<br />

le imprese, le associazioni di settore,<br />

il mondo della ricerca e le autorità<br />

devono cercare di rispondere insieme.<br />

UNITI PER FARMACI<br />

PIÙ SOSTENIBILI<br />

Ridurre l’impatto ambientale<br />

già a partire dallo sviluppo del<br />

farmaco è l’ambizioso obiettivo del<br />

consorzio Premier (Prioritization<br />

and risk evaluation of medicines<br />

in the environment), coordinato<br />

da AstraZeneca e dall’università<br />

olandese Radboud. Enti di ricerca –<br />

tra cui l’italiano Istituto di ricerche<br />

farmacologiche Mario Negri – le<br />

maggiori compagnie farmaceutiche<br />

presenti in Europa ed Ema si sono uniti<br />

per lavorare a questo progetto previsto<br />

per il periodo 2020-2026 ma che<br />

affonda le sue radici nell’esperienza<br />

dei precedenti progetti Ipie, Pharmas<br />

ed Erapharm, condotti in modo quasi<br />

continuativo dal 2004 al 2019.<br />

L’idea nasce da un bisogno non<br />

soddisfatto: fornire un sistema di<br />

valutazione dell’impatto ambientale<br />

per tutte quelle migliaia di farmaci già<br />

in commercio e prive di brevetto. In<br />

questo caso, infatti, le attuali tecniche<br />

di valutazione sono inappropriate<br />

poiché la loro applicazione potrebbe<br />

essere poco efficace ed è impossibile<br />

identificare un proprietario che se ne<br />

faccia carico, impiegando le ingenti<br />

quantità di tempo e denaro necessarie.<br />

L’idea del consorzio Premier è costruire<br />

un sistema integrato di database<br />

e strumenti che siano trasparenti,<br />

pubblici e di facile accesso e che<br />

forniscano informazioni utili al processo<br />

di valutazione dell’impatto ambientale<br />

per questa categoria di farmaci.<br />

Oltre ai farmaci già in commercio,<br />

però, il modello proposto da Premier<br />

può essere utile a migliorare i metodi<br />

di valutazione applicati ai farmaci in<br />

sviluppo. È realmente fattibile includere<br />

criteri come la biodegradabilità<br />

nell’ambiente o l’assenza di sostanze<br />

PBT (persistenti, bioaccumulabili,<br />

tossiche) nel processo di ricerca e<br />

sviluppo di un principio attivo? Fino<br />

a che punto un farmaco può essere<br />

sustainable by design? Questi sono<br />

esempi di interrogativi a cui il progetto<br />

punta a dare una risposta. Un simile<br />

impegno sottolinea l’importanza della<br />

sostenibilità ambientale dei farmaci. Ma<br />

un discorso analogo può essere portato<br />

avanti anche per il packaging.<br />

UN DIALOGO APERTO<br />

PER UN PACKAGING<br />

CIRCOLARE<br />

L’idea di costruire una piattaforma<br />

comune in cui tutti gli stakeholder<br />

possano confrontarsi e trovare una<br />

strada condivisa può essere un terreno<br />

fertile per la nascita di soluzioni<br />

efficaci anche per quanto riguarda il<br />

packaging. Ci ha provato il progetto<br />

Sudden (Sustainable drug discovery<br />

and development with end-of-life<br />

yield), un consorzio finlandese fondato<br />

dallo Strategic research council of<br />

the Academy of Finland, che riunisce<br />

tutte le principali università del Paese.<br />

Nell’ambito di questo progetto è nata<br />

infatti l’idea di uno studio volto ad<br />

approfondire il tema della circolarità<br />

del packaging farmaceutico facendo<br />

sedere allo stesso tavolo ricercatori,<br />

membri delle autorità e rappresentanti<br />

dei vari livelli della filiera farmaceutica.<br />

Lo scopo dello studio era esplorare i<br />

fattori chiave che possono promuovere<br />

la circolarità del packaging lungo<br />

l’intera filiera finlandese. Il punto<br />

da cui i ricercatori sono partiti per<br />

questa valutazione è la legislazione.<br />

Analizzando le normative vigenti<br />

si sono potuti evidenziare i punti<br />

nevralgici e le barriere che ostacolano<br />

la circolarità del packaging. Nella<br />

seconda parte dello studio, invece,<br />

i ricercatori hanno cercato di<br />

comprendere le sfide e le possibilità<br />

offerte da questa tematica<br />

organizzando dei gruppi di discussione<br />

con i diretti interessati.<br />

Ventiquattro persone hanno<br />

partecipato ai gruppi, eterogenei e<br />

multidisciplinari, in rappresentanza<br />

sia delle autorità, sia del mondo della<br />

ricerca, sia degli operatori chiave<br />

della catena di valore del packaging<br />

farmaceutico finlandese: industria<br />

farmaceutica, importatori, grossisti,<br />

distributori, farmacie, gestori dei<br />

rifiuti, compagnie di riciclo. Ogni<br />

gruppo ha discusso le sfide poste dallo<br />

sviluppo di un packaging farmaceutico<br />

circolare, cercando di capire come<br />

aumentare la sostenibilità della<br />

filiera e quali sono gli attori chiave<br />

per raggiungere questo obiettivo.<br />

Gli spunti emersi da ciascun gruppo<br />

sono poi stati discussi in una tavola<br />

rotonda collettiva e infine analizzati dai<br />

ricercatori.<br />

47


SFIDE E POSSIBILITÀ<br />

Le conclusioni a cui è giunto lo studio<br />

possono offrire spunti di riflessione<br />

che vanno oltre i confini nazionali.<br />

Tra gli stakeholder della filiera del<br />

farmaco finlandese la consapevolezza<br />

del bisogno di adattamento a standard<br />

più sostenibili è diffusa. Tuttavia il<br />

cambiamento è percepito come lento.<br />

La grande quantità di regolamenti a<br />

cui il settore deve sottostare pone forti<br />

limiti ai cambiamenti e manca ancora<br />

un incentivo economico che spinga lo<br />

sviluppo di un packaging farmaceutico<br />

maggiormente sostenibile.<br />

La mancanza di linee guida in merito<br />

alla circolarità del packaging lascia un<br />

vuoto che le aziende temono di colmare<br />

in maniera imprecisa, finendo per<br />

contravvenire a qualche regolamento.<br />

Inoltre, ogni modifica comporta la<br />

sottomissione di una scoraggiante mole<br />

di documentazione. La partecipazione<br />

attiva delle autorità al dialogo con gli<br />

altri livelli della filiera potrebbe quindi<br />

giovare al superamento di queste<br />

barriere.<br />

Sono emersi poi importanti ostacoli<br />

socio-culturali, come la mancanza<br />

di informazioni sulla riciclabilità<br />

dei materiali che compongono il<br />

packaging, che mette in difficoltà il<br />

consumatore, e una scarsa interazione<br />

tra gli stakeholder. Un approccio<br />

multidisciplinare che coinvolga i vari<br />

livelli della filiera potrebbe portare a<br />

un’integrazione di competenze fruttuosa<br />

per la realizzazione ex novo di packaging<br />

progettati in modo circolare, mentre<br />

informazioni chiare e omogenee sullo<br />

smaltimento nei territori comunitari,<br />

poste sulla confezione o sul foglietto<br />

illustrativo, potrebbero soddisfare le<br />

esigenze dei consumatori. Anche lo<br />

sviluppo del foglietto illustrativo digitale<br />

porterebbe a un grande guadagno in<br />

termini di sostenibilità ambientale.<br />

Infine, vi sono barriere tecniche<br />

oggettive. Il riciclo del packaging<br />

primario di un farmaco è un argomento<br />

controverso poiché essendo a contatto<br />

con il prodotto potrebbe portare con<br />

sé residui che finirebbero dilavati nel<br />

processo di riciclo. Accorgimenti come il<br />

rivestimento delle compresse sembrano<br />

ridurre questo fenomeno, che resta<br />

però un grosso paradosso poiché in<br />

questo caso riciclare potrebbe voler<br />

dire immettere nell’ambiente sostanze<br />

pericolose. Inoltre, un maggior numero<br />

di ricerche sull’impatto ambientale<br />

dei materiali aiuterebbe a progettare<br />

packaging più sostenibili.<br />

Tutte queste barriere hanno contorni<br />

sfumati e sono interconnesse tra loro a<br />

formare una rete di ostacoli allo sviluppo<br />

di un packaging farmaceutico circolare,<br />

ma anche un ventaglio di opportunità.<br />

Proprio per questo, un approccio<br />

multidisciplinare è indispensabile,<br />

esattamente come nel caso dello<br />

sviluppo di principi attivi sostenibili.<br />

Fermo restando il rispetto della funzione<br />

primaria di packaging e farmaci:<br />

proteggere la specialità l’uno, avere<br />

un’azione terapeutica l’altro.<br />

Riferimenti<br />

- www.imi-Premier.eu<br />

- www.sudden.fi<br />

- Salmenperä H, Kauppi S, Dahlbo H, Fjäder P,<br />

Increasing the circularity of packaging along<br />

pharmaceuticals value chain. Sustainability 2022<br />

Approccio multidisciplinare<br />

Il progetto alla base di Premier si concentra su 25 principi attivi ed è costituito da cinque pacchetti indipendenti ma<br />

allo stesso tempo fortemente interconnessi, a cui il consorzio lavora in maniera multidisciplinare:<br />

Direzione e comunicazione: coordinamento del progetto, valutazione dell’andamento e divulgazione dei risultati.<br />

Scala di priorità e valutazione ambientale degli API:<br />

ricerca di informazioni sugli API e realizzazione di<br />

un diagramma da seguire per stabilire una scala di<br />

priorità e successivamente testare le molecole.<br />

Strumenti per la valutazione di esposizione ed<br />

effetto: realizzazione di strumenti per testare e<br />

valutare l’esposizione degli API nell’ambiente, il<br />

loro effetto e i rischi connessi.<br />

Database e sistema di valutazione digitale: i primi due pacchetti sfociano in un sistema digitale di informazione<br />

e valutazione accessibile in modo libero ma rispettoso della data integrity.<br />

Linee guida e applicazione: sulla base dell’esperienza multidisciplinare del consorzio e di altri stakeholder<br />

vengono elaborate alcune linee guida per applicare gli strumenti prodotti in diversi contesti e in risposta a<br />

differenti problematiche, con particolare attenzione allo sviluppo di farmaci sostenibili.<br />

48


makinglife | aprile <strong>2023</strong><br />

Le quattro domande di Sudden<br />

Il progetto Sudden cerca di rispondere a quattro interrogativi sull’impatto ambientale del ciclo di vita del farmaco.<br />

Come rendere i prodotti farmaceutici il più possibile rispettosi dell’ambiente?<br />

L’utilizzo dei farmaci causa la presenza di una grande quantità di residui nelle acque di scarico, che spesso non<br />

possono essere rimossi con le attuali tecniche di depurazione. La strada dei farmaci biodegradabili è percorribile<br />

ma generalmente diminuisce l’efficacia del principio attivo. Il progetto punta quindi a identificare le molecole<br />

efficaci meno dannose per l’ambiente attraverso modellazioni predittive digitali.<br />

Come poter anticipare al meglio il rischio ambientale dei farmaci?<br />

Oltre ai residui di farmaco, nell’ambiente finiscono anche i metaboliti prodotti dall’organismo in risposta al<br />

suo utilizzo, il cui impatto però è molto complesso da prevedere. L’analisi di precedenti valutazioni del rischio<br />

combinate con ricerche bibliografiche può aiutare ad arricchire le conoscenze per elaborare valutazioni più<br />

efficaci e comprensive. Individuare il potenziale di tossicità ambientale di una molecola all’inizio dello sviluppo del<br />

farmaco può permettere di proseguire solo con i canditati meno impattanti.<br />

Come promuovere la crescita sostenibile nel settore farmaceutico?<br />

Tra le tante regole a cui il settore farmaceutico è assoggettato non ne esistono di specifiche relative all’impatto<br />

ambientale dei farmaci, di conseguenza le aziende non sono incentivate a investire in questo ambito. Consultando<br />

i regolamenti internazionali è possibile individuare i punti su cui lavorare per emettere raccomandazioni che<br />

possano guidare il management nell’elaborazione delle policy aziendali. Inoltre, ascoltare il punto di vista dei<br />

consumatori permette di capire quanto sono disposti a spendere per un farmaco sostenibile, aprendo la strada a<br />

un sistema di classificazione dei farmaci basato sul loro impatto ambientale.<br />

Come migliorare la rimozione dei residui farmaceutici dalle acque reflue e il riciclo dei materiali di<br />

confezionamento?<br />

Un utilizzo più sensibile dei farmaci può prevenire o quantomeno diminuire la contaminazione delle acque di<br />

scarico e ridurre il consumo di energia. La creazione di un database dei comportamenti delle molecole negli<br />

impianti di trattamento delle acque, inoltre, può aiutare nello sviluppo di nuove tecnologie di depurazione più<br />

efficaci. Infine, aumentando le conoscenze relative ai materiali di confezionamento è possibile emettere linee<br />

guida per il loro riciclo.<br />

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56<br />

Regolamento DPI, categorie di<br />

rischio e marcatura CE<br />

Una guida pratica<br />

Alessandro Del Bono e Annalisa Olivieri – Deloitte legal<br />

I Dispositivi di<br />

Protezione Individuale:<br />

definizione, requisiti,<br />

classificazione<br />

I dispositivi di protezione individuale<br />

(DPI) vengono definiti come i dispositivi<br />

progettati e fabbricati per essere<br />

indossati o tenuti da una persona contro<br />

uno o più rischi per la sua salute o<br />

sicurezza, inclusi i relativi componenti<br />

intercambiabili essenziali per la<br />

funzione protettiva, nonché i sistemi di<br />

collegamento a un dispositivo esterno<br />

o a un punto di ancoraggio sicuro che<br />

non siano progettati per essere collegati<br />

in modo fisso e che non richiedano<br />

fissaggio prima dell’uso.<br />

Il Regolamento 2016/425 del 9 marzo<br />

2016 (“Regolamento DPI”) ha stabilito<br />

i requisiti per la progettazione e la<br />

fabbricazione dei DPI, con l’obiettivo<br />

di garantire standard minimi comuni<br />

a tutti gli Stati membri in termini di<br />

protezione della salute e della sicurezza<br />

degli utenti. Il Regolamento si applica<br />

a tutti i tipi di DPI a eccezione di quelli<br />

specificamente esclusi (e individuati<br />

all’art. 2 del Regolamento) come, a<br />

titolo di esempio, i DPI progettati per<br />

essere usati dalle forze armate, per<br />

l’autodifesa, per l’uso privato contro<br />

condizioni atmosferiche non estreme,<br />

per la protezione della testa ecc.1<br />

I DPI vengono classificati in base alle<br />

categorie di rischio per le quali offrono<br />

protezione, specificamente individuate<br />

dall’Allegato I al Regolamento, a cui<br />

corrispondono diverse procedure di<br />

valutazione della conformità che i<br />

fabbricanti devono eseguire dopo aver<br />

redatto la documentazione tecnica di cui<br />

all’Allegato III.<br />

1) Categoria di rischio I<br />

Rischi: La Categoria I comprende rischi<br />

di lieve entità facilmente reversibili<br />

quali, a titolo di esempio, lesioni<br />

meccaniche superficiali, contatto con<br />

prodotti per la pulizia poco aggressivi<br />

ecc.2<br />

Procedura di conformità: La procedura<br />

di conformità per la Categoria I consiste<br />

in un controllo interno della produzione.<br />

La procedura è attuata dal fabbricante<br />

senza l’intervento di un organismo<br />

notificato.<br />

Moduli da utilizzare: Modulo A<br />

“Controllo interno della produzione”<br />

Allegati al Regolamento: Allegato IV<br />

2) Categoria di rischio II<br />

Rischi: La Categoria II è residuale e<br />

comprende i rischi diversi da quelli<br />

elencati nelle categorie I e III.<br />

Procedura di conformità: La procedura<br />

di conformità per la Categoria II prevede<br />

l’esame UE del tipo, seguito dalla<br />

conformità al tipo basata sul controllo<br />

interno della produzione. La procedura è<br />

attuata dal fabbricante con l’intervento<br />

obbligatorio di un organismo notificato<br />

soltanto nel Modulo B.<br />

Moduli da utilizzare: Modulo B “Esame<br />

UE del tipo” + Modulo C “Conformità al<br />

tipo basata sul controllo interno della<br />

produzione”.<br />

Allegati al Regolamento: Allegati V e VI.<br />

3) Categoria di rischio III<br />

Rischi: La Categoria III comprende<br />

i rischi che possono causare<br />

conseguenze molto gravi quali morte<br />

o danni alla salute irreversibili con<br />

riguardo, ad esempio, a sostanze e<br />

miscele pericolose, agenti biologici<br />

nocivi ecc.3<br />

Procedura di conformità: La procedura<br />

di conformità per la Categoria III prevede<br />

l’esame UE del tipo e una tra le seguenti:<br />

- Conformità al tipo basata sul<br />

controllo interno della produzione unito<br />

a prove del prodotto sotto controllo<br />

ufficiale effettuate ad intervalli casuali;<br />

- Conformità al tipo basata sulla<br />

garanzia di qualità del processo di<br />

produzione.<br />

La procedura è attuata dal fabbricante<br />

con l’intervento obbligatorio di un<br />

organismo notificato in tutti i moduli<br />

previsti.<br />

Moduli da utilizzare: Modulo B “Esame


UE del tipo” + Modulo C2 “Conformità al<br />

tipo basata sul controllo interno della<br />

produzione unito a prove del prodotto<br />

sotto controllo ufficiale effettuate ad<br />

intervalli casuali” oppure Modulo D<br />

“Conformità al tipo basata sulla garanzia<br />

di qualità del processo di produzione”.<br />

Allegati al Regolamento: Allegati V, VII<br />

e VIII.<br />

Valutazione della<br />

conformità e marcatura<br />

CE<br />

La marcatura CE apposta sui DPI<br />

testimonia la conformità del prodotto<br />

alla legislazione europea applicabile.<br />

Infatti, la marcatura CE va apposta su<br />

ogni singolo DPI che soddisfi i requisiti<br />

applicabili del Regolamento DPI. Se<br />

la conformità ai requisiti essenziali è<br />

stata dimostrata mediante la procedura<br />

appropriata, i fabbricanti redigono<br />

infatti la dichiarazione di conformità UE<br />

e, prima dell’immissione sul mercato,<br />

appongono la marcatura CE in modo<br />

visibile, leggibile e indelebile. Se ciò non<br />

è possibile o non è garantito a causa<br />

della natura del DPI, la marcatura<br />

va apposta sull’imballaggio e sui<br />

documenti che accompagnano il DPI.<br />

N.B. Il Regolamento DPI ha abrogato<br />

la Direttiva 89/686/CEE a decorrere<br />

dal 21 aprile 2018, ma gli attestati di<br />

certificazione CE e le approvazioni<br />

rilasciati a norma della direttiva<br />

rimangono validi fino al 21 aprile <strong>2023</strong>,<br />

salvo che non scadano prima di tale<br />

data.<br />

Sanzioni<br />

Con l’apposizione del marchio CE<br />

sul prodotto, il produttore dichiara<br />

che il prodotto stesso soddisfa tutti<br />

i requisiti legali per il marchio CE e<br />

può quindi essere venduto in tutto<br />

lo spazio economico europeo (SEE).<br />

Gli Stati membri stabiliscono invece<br />

separatamente le sanzioni applicabili<br />

alle violazioni del Regolamento DPI:<br />

con D.Lgs. 17/2019, l’Italia stabilisce<br />

per i DPI di categoria I non conformi una<br />

sanzione amministrativa pecuniaria da<br />

8.000 euro a 48.000 euro, per i DPI di<br />

categoria II l’arresto sino a sei mesi o<br />

una ammenda da 10.000 euro a 16.000<br />

euro, per i DPI di categoria III l’arresto da<br />

sei mesi a tre anni.<br />

Conclusioni<br />

Con l’apposizione della marcatura CE,<br />

il fabbricante (o il suo mandatario)<br />

si assume la responsabilità della<br />

conformità del prodotto a tutte le<br />

prescrizioni stabilite dalla normativa<br />

comunitaria di armonizzazione<br />

pertinente. Alla luce delle anche<br />

importanti sanzioni derivanti dalla<br />

violazione del Regolamento DPI, si<br />

consiglia una attenta valutazione di<br />

quanto prescritto dalla normativa<br />

in relazione al caso concreto, in<br />

modo da assicurare la corretta<br />

categorizzazione, la completa raccolta<br />

della documentazione e il rispetto delle<br />

procedure di conformità dei dispositivi.<br />

1<br />

1. Il presente regolamento si applica ai dispositivi di protezione individuale<br />

(DPI).<br />

2. Il presente regolamento non si applica ai DPI:<br />

a) Progettati specificamente per essere usati dalle forze armate o nel<br />

mantenimento dell’ordine pubblico;<br />

b) Progettati per essere utilizzati per l’autodifesa, ad eccezione dei DPI<br />

destinati ad attività sportive;<br />

c) Progettati per l’uso privato per proteggersi da: condizioni atmosferiche non<br />

estreme, umidità e acqua durante la rigovernatura;<br />

d) Da utilizzare esclusivamente su navi marittime o aeromobili oggetto dei<br />

pertinenti trattati internazionali applicabili negli Stati membri;<br />

e) Per la protezione della testa, del viso o degli occhi degli utilizzatori, oggetto<br />

del regolamento n. 22 della Commissione economica per l’Europa delle<br />

Nazioni Unite concernente prescrizioni uniformi relative all’omologazione<br />

dei caschi e delle relative visiere per conducenti e passeggeri di motocicli e<br />

ciclomotori.<br />

2<br />

La categoria I comprende esclusivamente i seguenti rischi minimi:<br />

a) Lesione meccanica superficiale;<br />

b) Contatto con materiali detergenti ad azione debole o contatto prolungato<br />

con l’acqua;<br />

c) Contatto con superfici calde non superiore a 50 °C;<br />

d) Danni agli occhi dovuti all’esposizione alla luce solare (non durante<br />

l’osservazione del sole);<br />

e) Condizioni atmosferiche non estreme<br />

3<br />

La categoria III comprende esclusivamente i rischi che possono causare<br />

conseguenze molto gravi quali morte o danni alla salute irreversibili con<br />

riguardo a quanto segue:<br />

a) Sostanze e miscele pericolose per la salute;<br />

b) Atmosfere con carenza di ossigeno;<br />

c) Agenti biologici nocivi;<br />

d) Radiazioni ionizzanti;<br />

e) Ambienti ad alta temperatura aventi effetti comparabili a quelli di una<br />

temperatura dell’aria di almeno 100 °C;<br />

f) Ambienti a bassa temperatura aventi effetti comparabili a quelli di una<br />

temperatura dell’aria di – 50 °C o inferiore;<br />

g) Cadute dall’alto;<br />

h) Scosse elettriche e lavoro sotto tensione;<br />

i) Annegamento;<br />

j) Tagli da seghe a catena portatili;<br />

k) Getti ad alta pressione;<br />

l) Ferite da proiettile o da coltello;<br />

m) Rumore nocivo


Il rischio di una<br />

comunicazione<br />

senza comunità<br />

Sebbene simbolo di libertà e<br />

fiducia, lo smart working rischia<br />

di privare i lavoratori delle<br />

relazioni umane, un fattore<br />

fondamentale per costruire il<br />

proprio senso di identità<br />

Massimiliano Pappalardo<br />

Filosofo del Lavoro presso Execo<br />

tratto da “Filosofia del lavoro”, Effatà Editrice, <strong>2023</strong><br />

Il paradigma casa-ufficio è<br />

definitivamente stato messo in crisi<br />

dalla pandemia, accelerando modelli<br />

differenti nel pensare il luogo di lavoro,<br />

che dovrebbero condurre al principio in<br />

vigore in molti Paesi socialdemocratici<br />

oramai da anni: lo smart working, ben<br />

differente dal telelavoro perché fondato<br />

fiduciariamente su obiettivi e progetti e<br />

non sul controllo.<br />

Sarà da premettere che questa modalità<br />

di lavoro da remoto e per obiettivi<br />

specifici è segno di grande modernità<br />

e rispettosa della fiducia professionale<br />

che si instaura tra aziende e lavoratori<br />

e inoltre tiene conto di fattori come<br />

un bilanciamento tra vita privata e<br />

professione. Non sarà nemmeno da<br />

sottovalutare l’impatto ambientale e un<br />

notevole risparmio dei costi fissi da parte<br />

delle imprese e dei lavoratori.<br />

È in corso una vera e propria rivoluzione<br />

riguardante soprattutto le generazioni<br />

più giovani che, stanche di un full time in<br />

ufficio, hanno rovesciato il loro universo<br />

valoriale. Più tempo, meno carriera.<br />

GESTIRE MONDI<br />

DIVERSI<br />

Parole semisconosciute alcuni mesi<br />

fa, diventano improvvisamente d’uso<br />

comune, come Great resignation, per<br />

descrivere il fenomeno delle grandi<br />

dimissioni, della ricerca di un nuovo<br />

senso del lavoro o del Quiet quitting,<br />

il disinvestimento verso il lavoro, dove<br />

ci si concede il minimo indispensabile.<br />

Ogni funzione HR deve dare una<br />

risposta, in tempi sempre più brevi, alle<br />

tematiche poste dai nuovi paradigmi<br />

organizzativi, dalle culture digitali, con<br />

tutte le tematiche dell’organizzazione<br />

flessibile, piatta, de-burocratizzata. Ma al<br />

tempo stesso deve gestire le tematiche<br />

tradizionali, che non sono scomparse,<br />

perché non sono scomparsi, anche<br />

nelle organizzazioni più innovative, silos<br />

organizzativi e culturali, organigrammi<br />

tradizionali, culture burocratiche,<br />

trattative sindacali, relazioni quotidiane<br />

con la burocrazia pubblica.<br />

Saper gestire questi diversi mondi, per<br />

creare sintesi virtuose, è quindi una<br />

competenza emergente, sempre più<br />

importante per le diverse leadership<br />

aziendali, in particolare per l’HR.<br />

Il mondo dell’epoca industriale e del<br />

taylorismo, della divisione chiara del<br />

lavoro, dei ruoli, basata su procedure<br />

certe aveva tutti i suoi limiti ma era<br />

una terra ferma. Il nuovo mondo ha<br />

disintegrato queste certezze senza<br />

crearne di nuove, se non l’apertura<br />

di nuovi spazi, pieni di opportunità,<br />

ma anche di minacce, da esplorare e<br />

consolidare.<br />

È ineludibile che lavoratori neoassunti<br />

in tempo di pandemia non sappiano<br />

come né quando ricavare dal proprio<br />

lavoro una dimensione identitaria e<br />

sociale. Manca la consuetudine rituale<br />

a vedersi senza un perché: a riunirsi in<br />

un “luogo comune” senza uno scopo<br />

immediato, cosicché avvengano tutte<br />

quelle circostanze casuali e spontanee<br />

che creano i legami. Ci sono le relazioni<br />

lavorative da remoto, ma iniziano e<br />

finiscono con la realizzazione di progetti.<br />

58


makinglife | aprile <strong>2023</strong><br />

LE CONSEGUENZE DEL<br />

LAVORO DA REMOTO<br />

È necessario porre attenzione verso<br />

questa generazione di professionisti<br />

poiché nel timore di perderli (riducendo<br />

i giorni di smart working) si rischia di<br />

trasmettere un concetto di lavoro di<br />

cui è rimasto solo l’aspetto tecnico,<br />

specialistico: un lavoro, insomma, a cui<br />

bastano un PC e una sedia ergonomica<br />

sprofondata nella sabbia di una spiaggia<br />

del Salento. Ci sarebbe allora da<br />

domandarsi se si tratti davvero di smart<br />

working o del caro vecchio telelavoro.<br />

La persona è al contempo logos ed<br />

eros e si ha necessità che i due aspetti<br />

vengano compresi e valorizzati, ma in<br />

una modalità di solo lavoro agile viene<br />

del tutto meno la dimensione identitaria<br />

e comunitaria, il lavoro diventa una<br />

pratica da assolvere freddamente senza<br />

eros: tante ore fuori, qualche soldo<br />

dentro. Difficile influire su benessere<br />

e senso di appartenenza di chi passa<br />

quattro giorni su cinque da solo a casa<br />

propria. Ma c’è anche una seconda<br />

conseguenza, più nefasta e di lungo<br />

termine: si lavora in solitudine. Come<br />

ha ben intuito Riccarda Zezza su un<br />

illuminante articolo del Sole 24 ore:<br />

”Una dose di libertà era necessaria: da<br />

tempo si lottava per avere più flessibilità<br />

di orari e di modi e ancora di strada<br />

ce n’è da fare, per quanto riguarda la<br />

vecchia mentalità del presenzialismo<br />

– e si tratta di un lavoro culturale, non<br />

tecnologico – ma lavorare sempre da<br />

casa è vera libertà? Un decennio fa,<br />

la sperimentazione in ambito smart<br />

working aveva visto nascere i primi<br />

spazi di co-working. […] Adesso,<br />

paradossalmente, se ne parla molto<br />

meno: perché sostenere i costi di un<br />

qualsiasi luogo di lavoro quando le<br />

persone possono stare comodamente a<br />

casa? Già, perché?”<br />

Perché non vi è appartenenza possibile<br />

senza che le persone possano stabilire<br />

legami che siano anzitutto affettivi, senza<br />

l’incontro quotidiano, le ritualità che<br />

hanno un potente valore simbolico.<br />

“I riti – afferma Byung-Chul Han – sono<br />

sempre azioni simboliche. Tramandano<br />

e rappresentano quei valori e quegli<br />

ordinamenti che sorreggono una<br />

comunità. Creano una comunità senza<br />

comunicazione, mentre oggi, nella<br />

prospettiva full remote, domina una<br />

comunicazione senza comunità” (e<br />

per giunta con la pretesa di tenere le<br />

webcam spente!). “A costituire i riti<br />

è la percezione simbolica. Il simbolo<br />

indica originariamente il segno di<br />

riconoscimento tra ospiti. L’ospite spezza<br />

a metà una tavoletta d’argilla e ne dà<br />

un pezzo all’altra persona in segno di<br />

ospitalità. In tal modo il simbolo serve<br />

per il riconoscimento”.<br />

VUOTO SIMBOLICO<br />

Oggi il mondo del lavoro rischia<br />

di abolire tutti i suoi simboli: i dati<br />

e le informazioni non possiedono<br />

alcuna forza simbolica ma solo<br />

computazionale, per cui non consentono<br />

il riconoscimento. Nel vuoto simbolico<br />

si perdono immagini e metafore capaci<br />

di dare fondamento al senso e alla<br />

comunità generando appartenenza<br />

profonda. Essi sono nel tempo ciò che<br />

la casa è nello spazio. Rendono il tempo<br />

abitabile, anzi lo rendono calpestabile<br />

come una casa.<br />

Il full remote – o quasi – ha<br />

indubbiamente come fondamenti<br />

fiducia e libertà. Ma sarà necessario<br />

prendere in considerazione l’evidenza<br />

che, già isolate nella pandemia, le<br />

persone rischiano di permanervi a<br />

tempo indeterminato, seppur sempre<br />

connesse. Non resta loro, in mancanza<br />

di una comunità professionale, che<br />

cercare “altrove” quel calore umano che<br />

luoghi e relazioni portavano in dote alla<br />

quotidianità aziendale, quel senso di<br />

identità che il lavoro rischia di non dare<br />

più.<br />

Questi giovani corrono il rischio di<br />

smarrire la loro esperienza del mondo<br />

del lavoro in una sorta di povertà<br />

di mondo in cui il corpo stesso,<br />

delocalizzato e dedicato alla prestazione<br />

senza relazione, si riduce a macchina, il<br />

mondo a micromondo.<br />

In inglese il termine resignation,<br />

dimissioni, coincide con l’italiano<br />

rassegnazione. Il mondo delle imprese<br />

si trova pertanto a un bivio ineludibile:<br />

da un lato, se non concede tempo<br />

personale e il massimo del lavoro da<br />

remoto corre il rischio di non attrarre<br />

risorse giovani; dall’altro, una volta<br />

attratte in questa forma, parimenti<br />

corre il rischio forse peggiore di<br />

non poter essere più l’occasione<br />

prossima per fornire anche in ambito<br />

professionale l’aspetto relazionale e<br />

identitario, riducendo il lavoro a sola<br />

prestazione e generando dunque nuova<br />

rassegnazione.<br />

Il dado del nuovo paradigma<br />

organizzativo è tratto e solo la grande<br />

saggezza greca della giusta misura<br />

come criterio può fornire una ipotesi di<br />

soluzione a questo dilemma.<br />

Disimparare culture e pratiche del<br />

passato e al tempo stesso portare nel<br />

futuro il meglio della nostra tradizione<br />

rappresenta un’avventura affascinante<br />

che richiede un disinvestimento e<br />

reinvestimento continuo, dentro e fuori<br />

di sé, un nuovo bagaglio professionale<br />

e culturale. Ogni leader, mentre gestisce<br />

il cambiamento delle persone, deve<br />

gestire il cambiamento del proprio ruolo,<br />

adeguare la sua professionalità, cultura,<br />

forma mentis, verso nuovi paradigmi,<br />

perché ci vuole tanto coraggio per<br />

sostenere la speranza delle persone.<br />

59


Green Jobs<br />

come la sostenibilità sta<br />

cambiando il mondo del lavoro<br />

Giulio Divo<br />

Secondo un recente<br />

studio, la domanda di<br />

esperti in sostenibilità<br />

supera significativamente<br />

l’offerta. L’opportunità per<br />

chi vuole costruirsi una<br />

carriera in questo campo<br />

è evidente ma il percorso è<br />

tutt’altro che lineare<br />

Elisabetta Marani, fondatrice di<br />

The Young Sustainability Network<br />

60


makinglife | aprile <strong>2023</strong><br />

È vulgata comune il fatto<br />

che il mondo del lavoro<br />

stia cambiando sotto la<br />

spinta di innumerevoli<br />

trasformazioni economiche<br />

e sociali. Una delle più<br />

importanti, da questo<br />

punto di vista, è quella<br />

correlata alla sostenibilità.<br />

Negli ultimi anni, infatti, si<br />

è affermata una coscienza<br />

sociale ecologista e al<br />

tempo stesso permeabile<br />

alle trasformazioni di<br />

tipo tecnologico, al punto<br />

da lasciar intravedere la<br />

possibilità di realizzare<br />

quella che fino a non molti<br />

anni fa era considerata<br />

una sorta di “Mission<br />

impossible” dell’economia<br />

di mercato: lo sviluppo<br />

sostenibile. Ovviamente<br />

la strada da percorrere<br />

è ancora lunga: basti<br />

pensare che uno degli<br />

indicatori ambientali più<br />

noti, l’Overshoot Day (si<br />

tratta di un calendario<br />

virtuale che indica il giorno<br />

in cui l’umanità raggiunge<br />

ogni anno – e supera – la<br />

capacità di rigenerazione<br />

delle risorse naturali del<br />

pianeta) ha anticipato,<br />

nel 2022, la data al 29<br />

luglio. Non possiamo<br />

poi dimenticare i trend<br />

di crescita demografica<br />

(con un saldo attivo di<br />

ottanta milioni di persone<br />

all’anno in tutto il mondo),<br />

la crescente domanda di<br />

energia anche da parte<br />

delle economie emergenti<br />

(ogni anno abbiamo un<br />

“<br />

È necessario<br />

implementare<br />

una serie di<br />

innovazioni a<br />

ogni livello, in<br />

modo che una<br />

coscienza verde<br />

si faccia strada<br />

in ogni processo<br />

decisionale<br />

aumento di circa il 2,5%)<br />

e, quindi, non possiamo<br />

ignorare come il peso di<br />

questa massa umana e<br />

industriale non possa che<br />

impattare sulle risorse<br />

naturali.<br />

Non dobbiamo però<br />

nemmeno ignorare come<br />

l’Unione europea, da un<br />

punto di vista ambientale,<br />

abbia una legislazione<br />

all’avanguardia: ai<br />

sensi dell’articolo<br />

191 del trattato sul<br />

funzionamento dell’UE,<br />

si indica esplicitamente<br />

la lotta ai cambiamenti<br />

climatici come obiettivo<br />

della politica ambientale.<br />

Che cosa significa tutto<br />

questo? Che nel quadro di<br />

evoluzione economica è<br />

necessario implementare<br />

una serie di innovazioni<br />

a ogni livello, in modo<br />

che una coscienza verde<br />

si faccia strada in ogni<br />

processo decisionale<br />

e diventi una sorta di<br />

seconda natura della<br />

pianificazione industriale.<br />

Da questo punto di vista<br />

possiamo ben dire che la<br />

legislazione dell’Unione<br />

europea pretende degli<br />

standard molto alti in<br />

termini di sostenibilità e<br />

le maglie sono destinate<br />

a stringersi sempre<br />

di più nel tentativo di<br />

ottemperare agli obiettivi<br />

indicati dai trattati<br />

internazionali. Tutto questo<br />

porta con sé un indotto:<br />

quello legato alla necessità<br />

di investire in formazione<br />

al fine di creare una<br />

coscienza ambientale<br />

diffusa, nel pubblico come<br />

nel privato. I green job<br />

rappresentano quindi<br />

un’opzione importante<br />

anche in termini<br />

occupazionali.<br />

Ed è per questo che<br />

abbiamo voluto intervistare<br />

Elisabetta Marani,<br />

fondatrice di The Young<br />

Sustainability Network, una<br />

community globale che<br />

supporta chiunque voglia<br />

costruire una carriera nel<br />

campo della sostenibilità,<br />

attraverso una rete globale<br />

di giovani professionisti in<br />

questo ambito ed eventi<br />

con esperti.<br />

Cominciamo a inquadrare<br />

il tema parlando delle<br />

“professioni sostenibili”.<br />

Come si stanno evolvendo?<br />

Abbiamo avuto una<br />

trasformazione che io<br />

considero fisiologica. Siamo<br />

partiti da uno scenario<br />

tipo one person show, in<br />

cui tutte le competenze<br />

venivano in qualche modo<br />

riassunte da un unico<br />

protagonista, a una visione<br />

differente, in cui le stesse<br />

vengono suddivise a tutta<br />

la forza lavoro secondo<br />

il campo di applicazione<br />

e competenza. Per fare<br />

degli esempi pratici, il<br />

team di rendicontazione<br />

finanziaria si deve occupare<br />

sempre più anche di<br />

rendicontazione di ESG<br />

(Environmental, social,<br />

governance), l’ufficio<br />

acquisti dovrà avere il polso<br />

delle emissioni di CO2 nella<br />

catena di fornitura e così<br />

via. L’obiettivo è quello<br />

di avere dei manager di<br />

sostenibilità in tutti i rami,<br />

privilegiando una visione<br />

che definirei olistica.<br />

Trovo invece molto meno<br />

funzionale, per i motivi che<br />

ho detto, l’idea di un team<br />

dedicato: finirebbe con<br />

l’essere scollegato dalle<br />

altre realtà aziendali.<br />

Partendo da questo<br />

assunto, possiamo dire<br />

che l’evoluzione delle<br />

normative fa sì che sia<br />

preferibile la formazione<br />

61


interna rispetto alla<br />

consulenza esterna?<br />

In genere si ottengono<br />

i risultati migliori con<br />

un equilibrio tra i due.<br />

Sicuramente punterei<br />

principalmente alla<br />

valorizzazione del talento<br />

interno perché permette di<br />

sviluppare una cultura di<br />

sostenibilità aziendale che<br />

permette di raggiungere gli<br />

obiettivi. Al tempo stesso,<br />

se dovesse servire un know<br />

how specifico su temi ad<br />

hoc, gli esperti possono<br />

portare un valore aggiunto<br />

al momento del bisogno.<br />

Possiamo fare un po’ di<br />

chiarezza su tre definizioni<br />

che spesso vengono usate<br />

impropriamente? Mi<br />

riferisco a “green skill”,<br />

“green job” e “greening<br />

job”.<br />

Le green skill<br />

rappresentano un<br />

po’ il prerequisito,<br />

perché riassumono la<br />

predisposizione, il mindset<br />

e anche il know how<br />

relativo alla transizione<br />

sostenibile di un’azienda.<br />

Io le considero un po’ il<br />

kit attraverso il quale è<br />

possibile mettere insieme<br />

le esigenze di carattere<br />

generale e individuare<br />

i meccanismi che<br />

consentono di migliorare<br />

la sostenibilità ambientale<br />

dell’azienda stessa.<br />

I green job sono i “lavori<br />

verdi” propriamente detti,<br />

come l’energy manager<br />

o il mobility manager. In<br />

ultimo abbiamo i greening<br />

job, ovvero lavori che<br />

fino a ora non avevano<br />

richiesto competenze di<br />

tipo sociale o ambientale<br />

perché avevano uno scopo<br />

differente ma che ora<br />

devono integrare anche<br />

queste competenze.<br />

Pensiamo al progettista<br />

di imballaggi: oggi deve<br />

essere esperto anche di<br />

packaging riciclabile. E<br />

questo è solo un esempio<br />

tra i tanti.<br />

Sono i lavori di domani?<br />

Tutt’altro: sono i lavori<br />

dell’oggi. Addirittura il 63%<br />

del fabbisogno di impresa<br />

e nel settore pubblico,<br />

che solitamente da noi è<br />

più resistente alle novità,<br />

riguarderà o riguarda già<br />

i lavori verdi. Si tratta<br />

proprio del lavoro del<br />

presente.<br />

Che cosa serve a una<br />

azienda per accogliere<br />

totalmente la sfida della<br />

sostenibilità?<br />

Io penso che la maggior<br />

parte delle aziende<br />

comprenda e apprezzi<br />

appieno l’imperativo del<br />

business sostenibile<br />

volto a massimizzare<br />

l’impatto positivo sociale<br />

e minimizzare quello<br />

negativo ambientale.<br />

Rimangono senz’altro<br />

dei limiti economici<br />

e tecnologici per una<br />

transizione green ma a mio<br />

avviso il vero investimento<br />

“<br />

Il 63% del<br />

fabbisogno di<br />

impresa e nel<br />

settore pubblico<br />

riguarderà o<br />

riguarda già i<br />

lavori verdi<br />

da fare è quello sul fattore<br />

umano, e cioè il talento.<br />

Mi spiego meglio: non<br />

è facile implementare<br />

una transizione così<br />

radicale se non si hanno<br />

competenze all’altezza.<br />

Una recente indagine di<br />

LinkedIn mostra che la<br />

domanda di competenze<br />

green sia maggiore rispetto<br />

all’offerta della forza<br />

lavoro. Ci troviamo in una<br />

situazione per cui abbiamo<br />

meno offerta di persone<br />

dotate delle skill necessarie<br />

rispetto alle necessità<br />

aziendali e questo è un<br />

ostacolo di non poco conto<br />

nel perseguimento degli<br />

obiettivi di sostenibilità.<br />

Ecco perché penso sia<br />

indispensabile investire<br />

sui talenti interni, che<br />

dovrebbero essere formati<br />

attraverso training specifici.<br />

Inoltre, e qui riprendo il<br />

discorso fatto all’inizio, è<br />

importante che la crescita<br />

delle competenze sia<br />

attuata in parallelo in<br />

tutte le aree dell’azienda,<br />

garantendo così una<br />

corretta distribuzione<br />

delle competenze stesse.<br />

Non esiste il rischio che<br />

“indirizzando” le risorse<br />

umane verso competenze<br />

green venga meno un<br />

aspetto vocazionale e<br />

ruoli di responsabilità<br />

vengano assunti da<br />

persone meno motivate?<br />

Dobbiamo fare i conti<br />

con il fatto che il futuro<br />

richiederà comunque<br />

di sviluppare queste<br />

competenze, quindi sarà<br />

necessario acquisire<br />

determinate skill se si<br />

vuole rimanere all’interno<br />

di un sistema che è<br />

orientato verso una<br />

transizione epocale.<br />

Dopodiché nulla vieta,<br />

a quegli impiegati che<br />

sentono un particolare<br />

interesse verso questi<br />

temi, di approfondirli<br />

e orientare le proprie<br />

scelte professionali in<br />

maniera conseguente.<br />

Ma è fondamentale<br />

che, al di là di tutto, sia<br />

ben chiaro all’interno<br />

delle aziende come sia<br />

necessario effettuare<br />

un aggiornamento di<br />

competenze, orizzontale e<br />

verticale.<br />

Quali sono le figure<br />

che, attualmente, hanno<br />

maggiore richiesta in<br />

ambito sostenibilità?<br />

Le aziende oggi chiedono<br />

di essere competenti<br />

62


makinglife | aprile <strong>2023</strong><br />

su data management,<br />

fundamental sul<br />

cambiamento climatico<br />

ed engagement degli<br />

stakeholder. Queste<br />

competenze, quando si<br />

vanno a fare i colloqui,<br />

devono essere dimostrabili<br />

e vanno sottolineate<br />

nel momento in cui si<br />

propongono le proprie<br />

candidature. Però anche<br />

qui devo fare un’ulteriore<br />

precisazione: se si ha<br />

un desiderio reale di<br />

lavorare in questo ambito<br />

bisogna saper valorizzare<br />

la propria capacità di<br />

apprendimento rapido<br />

e quella di comunicare.<br />

Imparare velocemente<br />

è di fondamentale<br />

importanza in un mondo<br />

che si deve rinnovare<br />

alla luce dell’evoluzione<br />

tecnologica e dei possibili<br />

mutamenti normativi. La<br />

comunicazione rappresenta<br />

un’arma fondamentale<br />

non solo all’esterno ma<br />

anche all’interno della<br />

realtà lavorativa perché<br />

senza chiarezza e capacità<br />

di coinvolgere gli altri<br />

non è possibile portare<br />

avanti i progetti. Ma non è<br />

tutto: è necessario saper<br />

parlare a ogni realtà con<br />

il linguaggio più adatto<br />

al ruolo aziendale. Infine,<br />

penso che un ultimo<br />

punto importante sia<br />

quello di porsi di fronte<br />

alla progettualità con<br />

una mentalità fattiva.<br />

Non bisogna impegnarsi<br />

solo nel business case.<br />

I progetti devono essere<br />

portati avanti dalla fase<br />

pilota fino al decollo.<br />

“<br />

La<br />

comunicazione<br />

rappresenta<br />

un’arma<br />

fondamentale<br />

non solo<br />

all’esterno ma<br />

anche all’interno<br />

della realtà<br />

lavorativa<br />

Quali consigli possiamo<br />

dare a chi si avvicina a<br />

questa realtà dei lavori<br />

green per la prima volta?<br />

Una sfida con cui mi sono<br />

confrontata io stessa e<br />

di cui continuo a essere<br />

testimone tramite il lavoro<br />

che porto avanti con<br />

The Young Sustainability<br />

Network è la poca chiarezza<br />

sui diversi percorsi di<br />

carriera in sostenibilità<br />

e poca awareness sui<br />

ruoli che esistono, sia nel<br />

settore privato sia in quello<br />

pubblico.<br />

La prima sfida è proprio<br />

avere difficoltà a<br />

visualizzare il tipo di lavoro<br />

che fa per te, in base al<br />

proprio background e<br />

competenze. Una volta<br />

entrati nel network,<br />

essendo comunque un<br />

campo emergente, trovare<br />

un mentor o parlare con<br />

una professionista in<br />

sostenibilità: sono tutti<br />

molto disponibili e c’è<br />

molta solidarietà e voglia<br />

di condividere la propria<br />

esperienza in questo<br />

spazio.<br />

In secondo luogo, la<br />

varietà di percorsi possibili<br />

significa da un lato poter<br />

essere artefice e disegnare<br />

la propria carriera a modo<br />

proprio, dall’altro dover<br />

accettare l’incertezza del<br />

cammino. Ad esempio,<br />

io ho iniziato nel team di<br />

operations, sono passata<br />

nella funzione di CSR, mi<br />

sono occupata di reporting,<br />

e ora sono in funzione di<br />

procurement. Ogni passo<br />

è stato pesato e pensato,<br />

eppure spesso mi è capitato<br />

di interrogarmi su come<br />

improntare la mia carriera,<br />

se restare in un’industria<br />

e specializzarmi in essa,<br />

se cambiare funzione, se<br />

prediligere spostamenti<br />

orizzontali piuttosto che<br />

“<br />

Quando si<br />

parla di<br />

carriere di<br />

sostenibilità si<br />

devono correre<br />

dei rischi, non<br />

si tratta di un<br />

percorso lineare<br />

verticali, e via dicendo.<br />

Quando si parla di carriere<br />

di sostenibilità è difficile<br />

sapere quale sia la scelta<br />

giusta, ci si prendono<br />

rischi – che secondo me<br />

vale la pena prendersi<br />

– però sicuramente non<br />

è un percorso lineare<br />

e predefinito come può<br />

essere per altre professioni.<br />

Ma chi è già all’interno non<br />

rischia di essere tagliato<br />

fuori da questa rivoluzione<br />

green?<br />

È chiaro che<br />

bisogna rimanere<br />

professionalmente<br />

aggiornati ma, come ho<br />

detto, in questo particolare<br />

momento le vacancy<br />

riguardano competenze<br />

green in qualsiasi<br />

background. Non è mai<br />

stato facile passare a lavori<br />

green come adesso e la<br />

capacità di apprendere e<br />

comunicare sta avendo<br />

la meglio rispetto alla<br />

ricerca di figure particolari.<br />

Dopodiché l’offerta<br />

di corsi per ottenere<br />

specializzazioni in questo<br />

ambito è molto alta e quindi<br />

è possibile reinventare il<br />

proprio ruolo aziendale con<br />

maggiore facilità rispetto al<br />

passato. Non bisogna farsi<br />

intimidire se non si ha un<br />

background accademico<br />

in sostenibilità: la carriera<br />

green può essere facilitata<br />

dalle necessità aziendali, a<br />

patto di non essere timidi:<br />

non saranno i timidi a<br />

cambiare il mondo.<br />

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PHARMA<br />

NOVEL<br />

Mario Addis


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makinglife | aprile <strong>2023</strong><br />

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makinglife | aprile <strong>2023</strong> | numero due<br />

PRODUCTION<br />

Pharma Telling & Industry


Logistica green per<br />

farmaci termosensibili<br />

IL TRASPORTO DI PRODOTTI SENSIBILI ALLA TEMPERATURA È UNO DEGLI<br />

ASPETTI PIÙ DELICATI DELLA LOGISTICA FARMACEUTICA. LE NUOVE<br />

TECNOLOGIE SUPPORTANO LA TRANSIZIONE VERSO METODOLOGIE DI<br />

CONTROLLO DELLA TEMPERATURA A BASSO IMPATTO AMBIENTALE<br />

Monica Torriani<br />

70<br />

Le stime dicono che ogni anno,<br />

nel mondo, il 20% dei farmaci<br />

termosensibili prodotti viene sprecato<br />

a causa di problemi nel mantenimento<br />

della catena del freddo. Stiamo<br />

parlando di un valore pari a circa 35<br />

miliardi di dollari: uno spreco che si<br />

perpetra su più piani (materie prime,<br />

energia, riduzione dell’accesso alle<br />

cure da parte dei pazienti) e che in<br />

tempi come quelli che viviamo non ci<br />

possiamo più permettere.<br />

Per garantire la compliance alla<br />

normativa senza aggravare l’impatto<br />

ambientale, anzi alleggerendolo,<br />

gli operatori della logistica stanno<br />

investendo cifre notevoli nel<br />

miglioramento dell’efficienza di<br />

strumenti, dispositivi e imballaggi e<br />

nello sviluppo di soluzioni green.<br />

SONO BIOTECH I<br />

PRODOTTI PIÙ CRITICI<br />

La questione è annosa: da sempre la<br />

stabilità della temperatura lungo tutta<br />

la filiera rappresenta l’aspetto più<br />

critico della supply chain farmaceutica.<br />

La Circolare del ministero della Salute<br />

<strong>n.2</strong> del 13 gennaio 2000, richiamando<br />

la Direttiva comunitaria Cpmp/<br />

QWP609/96, precisa i riferimenti da<br />

inserire in etichetta con le indicazioni<br />

delle temperature di conservazione.<br />

Il documento specifica anche che<br />

il medicinale che in etichetta non<br />

riporta indicazioni deve essere<br />

conservato fra -2°C e +40°C. La<br />

stragrande maggioranza dei prodotti<br />

farmaceutici oggi in commercio è<br />

stabile nell’intervallo di temperatura<br />

compreso fra 2 e 8°C, segmento<br />

di mercato attualmente in forte<br />

espansione, legittimata dagli ingenti<br />

investimenti nello sviluppo di prodotti<br />

biotech. Raggiungere temperature<br />

molto basse è interesse di specifici<br />

settori come quello delle terapie<br />

geniche, che richiedono logistica endto-end<br />

e temperature di conservazione<br />

pari a -150°C (in azoto liquido). Il<br />

farmaco biotecnologico è quello<br />

che più dipende, a livello di stabilità,<br />

dall’efficienza della cold chain, in<br />

termini di temperatura reale costante<br />

e in range. Al di là dei prodotti per le<br />

terapie avanzate, il mercato del red<br />

biotech è formato da un’ampia gamma<br />

di sostanze, fra cui antidiabetici,<br />

antireumatici, vaccini e antivirali.


makinglife | aprile <strong>2023</strong><br />

LA NORMATIVA<br />

DI RIFERIMENTO<br />

Il trasporto dei medicinali<br />

termosensibili è soggetto all’attuazione<br />

e al rispetto delle Buone pratiche<br />

di distribuzione (Gdp), finalizzate a<br />

garantire qualità, efficacia e sicurezza<br />

dei farmaci per l’utente finale. La<br />

normativa impone che i prodotti<br />

farmaceutici siano trasportati in<br />

sistemi di imballaggio opportuni al<br />

fine di assicurare la loro corretta<br />

conservazione e che distribuzione e<br />

consegna avvengano in assenza di<br />

alterazione delle loro caratteristiche.<br />

A riguardo, la Farmacopea ufficiale<br />

(FU) stabilisce che, nell’arco di tempo<br />

costituito dalla shelf life, il principio<br />

attivo deve essere mantenuto al 90%<br />

della sua attività e comunque devono<br />

essere garantite le caratteristiche<br />

generali del farmaco. La FU si esprime,<br />

altresì, sulla definizione di stabilità<br />

precisando che “un medicamento<br />

è considerato stabile quando, in un<br />

determinato periodo di tempo, le sue<br />

proprietà essenziali non cambiano o<br />

cambiano entro limiti tollerabili, se<br />

conservato in un recipiente adatto, in<br />

condizioni definite di temperatura, di<br />

umidità e di esposizione alla luce”.<br />

La normativa italiana è rappresentata<br />

dal Decreto 6 luglio 1999 con cui il<br />

ministero della Salute ha approvato<br />

le linee direttrici in materia di Gdp dei<br />

medicinali per uso umano e imposto ai<br />

distributori l’obbligo di attenersi a tali<br />

buone pratiche.<br />

Nel 2005, la Parenteral drug association<br />

ha pubblicato il technical report “Cold<br />

chain guidance for medicinal products:<br />

maintaining the quality of temperaturesensitive<br />

medicinal products through<br />

the transportation environment”.<br />

Il documento descrive in maniera<br />

dettagliata i passaggi della catena<br />

del freddo, le modalità di trasporto<br />

dei prodotti termosensibili, i materiali<br />

destinati al confezionamento primario<br />

e secondario e i principi della convalida<br />

delle metodiche di trasporto.<br />

Le Gccmp (Good cold chain<br />

management practice) impongono a<br />

tutti gli operatori che agiscono nelle<br />

fasi di trasporto e stoccaggio la verifica<br />

dell’integrità e della stabilità del<br />

prodotto, nonché la sua conservazione<br />

alle temperature indicate. Le buone<br />

pratiche raccomandano l’uso<br />

sistematico dei sistemi di controllo in<br />

tutti i casi in cui le variabili ambientali<br />

(luce, temperatura, umidità) siano<br />

soggette a situazioni imprevedibili<br />

o estreme, anche quando previsto<br />

l’utilizzo di contenitori convalidati.<br />

Questo perché le procedure relative<br />

al trasporto sono descritte come<br />

“qualificabili” (immaginando di agire<br />

nello “scenario peggiore di riferimento”)<br />

e non “soggette a convalida”, dal<br />

momento che non è possibile prevedere<br />

tutte le possibili situazioni che si<br />

possono configurare nel corso del<br />

trasferimento.<br />

IL DATO AL CENTRO<br />

La catena del freddo viene<br />

mantenuta mediante l’impiego di<br />

sistemi di refrigerazione continua e<br />

opportuni piani logistici. I medicinali<br />

termosensibili richiedono l’utilizzo<br />

di sistemi di protezione, contenitori<br />

isolanti coibentati e refrigeranti che<br />

devono rispondere a requisiti relativi<br />

al sistema di trasporto impiegato, al<br />

percorso (e alla durata del tragitto) e<br />

alla stabilità dei prodotti stessi.<br />

Data l’espansione del mercato nella<br />

direzione dei prodotti biotecnologici,<br />

gli investimenti della logistica sono<br />

fluiti negli ultimi anni proprio nella<br />

direzione dell’implementazione<br />

di soluzioni per il trasporto<br />

a temperatura controllata. In<br />

particolare, il miglioramento<br />

del design e della qualità degli<br />

imballaggi consente una protezione<br />

sempre più efficiente della qualità<br />

dei medicinali a fronte di un ridotto<br />

consumo di energia.<br />

Diverse startup, anche provenienti<br />

dal panorama accademico italiano,<br />

hanno messo a punto soluzioni<br />

di packaging ecosostenibile<br />

fabbricato con materiali innovativi<br />

biodegradabili caratterizzati da<br />

elevata capacità di isolamento<br />

termico. Irene dei Tos e Stefano<br />

Seccia, da poco usciti dal Corso<br />

di Laurea in materials science<br />

dell’Università degli Studi di Milano-<br />

Bicocca, hanno creato Bioaerovax,<br />

una startup di packaging isolante<br />

ed ecosostenibile per prodotti<br />

farmaceutici basata sull’impiego<br />

di un aerogel bio-derivato, leggero,<br />

biodegradabile e termoisolante.<br />

L’importanza della packaging<br />

technology investe sia il packaging<br />

71


primario che quello secondario,<br />

sia attivo che passivo. Sempre<br />

più diffuso l’uso di imballi passivi<br />

reusable dotati di smart device che<br />

registrano tutti i dati di interesse<br />

(temperatura, posizione, esposizione<br />

alla luce, umidità, apertura del<br />

collo), li trasmettono in tempo reale<br />

su server cloud condivisibili da più<br />

utenti e inviano notifiche di alert<br />

predefinito in caso di anomalie.<br />

Il big della logistica UPS ha messo in<br />

piedi il Cold chain packaging center<br />

of excellence, primo centro logistico<br />

degli Stati Uniti a offrire ai clienti<br />

opzioni di imballaggio riutilizzabili<br />

per la catena del freddo: un’iniziativa<br />

che ha tagliato drasticamente<br />

i volumi di rifiuti monouso e<br />

consentito risparmi significativi.<br />

L’innovazione digitale applicata<br />

ai sistemi di refrigerazione<br />

sanitaria ha portato allo sviluppo di<br />

frigoriferi intelligenti. La tecnologia<br />

IoT (Internet of things) su cui si<br />

basa il funzionamento di queste<br />

apparecchiature utilizza internet<br />

per il controllo da remoto della<br />

temperatura e di tutti gli scostamenti<br />

che possono verificarsi dai valori di<br />

riferimento impostati (dal blackout<br />

elettrico al contenitore chiuso in<br />

maniera non corretta). Ciò permette<br />

di tenere la situazione costantemente<br />

sotto controllo attraverso l’uso di<br />

uno smartphone e di intervenire<br />

all’occorrenza in qualsiasi momento.<br />

Il sistema è predisposto anche per<br />

archiviare in automatico tutti i dati<br />

delle temperature, risparmiando ore<br />

di lavoro agli addetti. L’installazione<br />

di un compressore elettronico a<br />

inverter permette di modulare il<br />

lavoro dell’apparecchiatura in base<br />

al carico che deve essere refrigerato,<br />

portando a una riduzione significativa<br />

dei consumi di energia.<br />

Gli strumenti per garantire la cold chain<br />

Al fine di mantenere la catena del freddo vengono impiegate numerose tipologie di dispositivi di<br />

monitoraggio (i cosiddetti temperature monitoring device) e di contenitori.<br />

Data logger: dispositivi mobili che accompagnano i prodotti nel corso del trasferimento e che<br />

hanno sostituito i registratori di temperature su disco; possono essere equipaggiati con speciali<br />

software di controllo dei parametri che segnalano le deviazioni dalle impostazioni emettendo<br />

segnali di allarme.<br />

Indicatori di temperatura monouso: etichette autoadesive contenenti sostanze che cambiano<br />

pH, e quindi colore, al variare della temperatura, segnalando eventuali anomalie rispetto ai valori<br />

impostati.<br />

Indicatori di temperatura elettronici: strumenti da installazione fissa che processano il segnale<br />

proveniente dai sensori di temperatura mettendoli in evidenza nel display. Se opportunamente<br />

configurati, emettono un segnale di allarme al superamento di un valore limite.<br />

Etichette Rfid (Radio frequency identification device): dispositivi dotati di chip che registrano<br />

la temperatura a intervalli di tempo programmati e memorizzano le informazioni non conformi al<br />

range stabilito. Il loro funzionamento è basato sulla tecnologia RfId e prevede l’impiego di etichette<br />

elettroniche e reader.<br />

Contenitori isolanti: imballaggi termici che proteggono dal calore e dalle sollecitazioni dovute al<br />

trasporto, talvolta costituiti da un imballaggio esterno in cartone che contiene una scatola interna<br />

in polistirolo.<br />

72


Verso la<br />

sostenibilità<br />

nella<br />

distribuzione<br />

health<br />

Il settore dei trasporti<br />

è ancora responsabile<br />

di quasi un quarto delle<br />

emissioni di CO2 ma<br />

non mancano esempi<br />

virtuosi di logistica<br />

sostenibile. Anche in<br />

Italia<br />

Con la Conferenza di Rio (2012) e<br />

l’Agenda 2030 ha preso forma la<br />

visione sistemica ambientale, sociale<br />

ed economica della sostenibilità. In<br />

linea con l’impegno globale volto<br />

alla transizione ecologica intesa<br />

come promozione dello sviluppo<br />

economico e della gestione sempre<br />

più sostenibile delle risorse naturali,<br />

Assoram ha avviato un progetto<br />

virtuoso volto alla promozione della<br />

cultura della sostenibilità, anche con<br />

il supporto offerto dalla partnership<br />

con l’Università di Pavia. Al fine<br />

di perseguire l’obiettivo Esg della<br />

carbon neutrality, è fondamentale<br />

attenzionare spesa energetica e<br />

impatto ambientale di tutti i processi<br />

della supply chain, ovvero produzione,<br />

distribuzione e smaltimento dei<br />

prodotti. In particolare, sul settore della<br />

logistica e della distribuzione si deve<br />

insistere per un progressivo cambio<br />

di paradigma verso nuovi modelli. La<br />

“Logistica sostenibile” contribuisce a<br />

ottimizzare l’energia necessaria per<br />

approvvigionare, distribuire, usare e<br />

smaltire o riciclare prodotti e a ridurre<br />

gli impatti ambientali di queste attività<br />

con l’obiettivo di migliorare la qualità<br />

della vita delle generazioni future e la<br />

competitività delle imprese.<br />

Tuttavia, secondo i dati riportati<br />

dall’International trasport forum (ITF)<br />

dell’Ocse, attualmente il settore dei<br />

trasporti è ancora responsabile del<br />

23% delle emissioni di CO2 a causa<br />

della prevalenza degli idrocarburi<br />

quale fonte energetica principalmente<br />

utilizzata per i veicoli (92%). Secondo le<br />

stime dell’ITF, in assenza di azioni volte<br />

alla decarbonizzazione dei trasporti,<br />

il dato relativo alla carbon footprint<br />

raggiungerebbe il 40% entro il 2030.<br />

Il dato globale dimostra come sia<br />

fondamentale adottare delle soluzioni<br />

più sostenibili di trasporto, ma anche<br />

di consegna e riciclo delle merci, come<br />

Caterina Lucchini<br />

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makinglife | aprile <strong>2023</strong><br />

la logistica del territorio e city logistics,<br />

utilizzo ottimale delle infrastrutture<br />

esistenti, riprogettazione dei prodotti e<br />

digitalizzazione dei processi e riciclo.<br />

NORME NAZIONALI<br />

E INTERNAZIONALI<br />

In questo quadro si inseriscono<br />

le normative europee sempre più<br />

stringenti, volte alla promozione<br />

dell’economia circolare e alla<br />

progressione della transizione<br />

ecologica. Tra le più recenti spicca<br />

sicuramente la Direttiva 2022/2464/<br />

UE, detta Csrd (Corporate sustainability<br />

reporting directive), che stila le regole<br />

per le aziende europee che dal 2024<br />

dovranno analizzare e pubblicare un<br />

bilancio sul loro impatto sociale e<br />

ambientale.<br />

Relativamente all’ambito nazionale<br />

invece, si segnala l’importante progetto<br />

MOVEO, lanciato nel 2022 dal ministero<br />

delle Infrastrutture e della mobilità<br />

sostenibili nell’ambito del quale è<br />

stato redatto il “Documento di indirizzo<br />

strategico per la mobilità e la logistica”.<br />

Tale documento fornisce un ampio<br />

spaccato del sistema della mobilità<br />

e della logistica del nostro Paese,<br />

caratterizzato da un volume notevole<br />

di traffico merci che transita<br />

principalmente su strada (88%) e da un<br />

tessuto imprenditoriale del comparto<br />

trasporto e logistica che si distingue per<br />

i diversi livelli di terziarizzazione delle<br />

attività offerte. Tuttavia, relativamente<br />

al perseguimento degli obiettivi Esg,<br />

come sostiene il gruppo di lavoro<br />

del Mims, lo scenario nazionale è<br />

“caratterizzato da livelli di sostenibilità<br />

ambientale inferiori alle aspettative e<br />

agli impegni assunti in sede europea”.<br />

PERCEZIONI<br />

DIFFERENTI<br />

Questo trend è ampiamente confermato<br />

dalla survey che Assoram ha lanciato lo<br />

scorso febbraio presso i suoi associati<br />

al fine di valutare la sensibilità degli<br />

imprenditori della logistica e del trasporto<br />

verso le attività di sostenibilità ambientale,<br />

sociale e di governance. Le risposte<br />

ricevute evidenziano una generale<br />

attenzione delle aziende associate per<br />

il tema. Interessante notare però che le<br />

realtà “più indietro” – ovvero che non<br />

hanno ancora programmato una chiara<br />

strategia Esg – evidenziano ancora un<br />

sentiment negativo. Ritengono che questi<br />

percorsi richiedano investimenti troppo<br />

elevati di tempo e risorse, sia economiche<br />

che professionali, a fronte di una scarsa<br />

utilità, in quanto una certificazione non<br />

sembra essere garanzia di prestazioni<br />

ambientali migliori.<br />

75


Completamente opposta la percezione<br />

delle aziende che hanno conseguito o<br />

stanno conseguendo una certificazione,<br />

che dichiarano un notevole adeguamento<br />

alle norme ambientali, il miglioramento<br />

dell’immagine aziendale, le relazioni<br />

positive con gli stakeholder, la maggiore<br />

efficienza nei processi interni e l’aumento<br />

di produttività.<br />

Come spiega il direttore generale Assoram<br />

Mila De Iure: «Oggi fare business<br />

non può più prescindere dalla tutela<br />

dell’ecosistema e della società, e investire<br />

nei processi Esg avrà un valore sempre<br />

più competitivo sul mercato. Nonostante<br />

il dibattito sempre più attivo sul tema<br />

e la normativa stringente, le imprese<br />

medio-piccole intendono la sostenibilità<br />

ambientale e sociale ancora come un<br />

elemento dal forte impatto economico che<br />

si tende a rinviare anche per la difficoltà<br />

di avviare il processo di riorganizzazione<br />

aziendale, anche con l’ausilio di figure<br />

professionali dedicate o consulenti<br />

specializzati».<br />

BEST PRACTICE<br />

A seguito dei risultati della survey,<br />

l’associazione ha deciso di organizzare lo<br />

scorso 1° marzo il Pharma Talk “Logistica<br />

e trasporto health: percorsi di sostenibilità<br />

Esg”, portando una panoramica sul nuovo<br />

paradigma della logistica sostenibile e due<br />

esperienze concrete di aziende associate<br />

che si distinguono per gli investimenti e i<br />

riconoscimenti ottenuti nel campo della<br />

sostenibilità soprattutto ambientale.<br />

«Come per i precedenti Pharma Talk,<br />

l’obiettivo non era solo informare gli<br />

associati sui nuovi trend, ma creare uno<br />

spazio di confronto con esperti e aziende<br />

della filiera in cui condividere best practice<br />

e idee efficaci per il nostro comparto»,<br />

ha spiegato De Iure. L’idea di base è<br />

stata quella di fornire una opportunità di<br />

dialogo tra gli associati che sono avanti<br />

sulla tematica e quelli che ancora stanno<br />

valutando se e quanto investire nella<br />

sostenibilità.<br />

Tra gli esperti, Assoram ha puntato<br />

su Daniele Testi, presidente di SOS<br />

LOGistica, associazione fondata nel<br />

2005 con l’obiettivo di raccogliere e<br />

disseminare buone pratiche di logistica<br />

e mobilità sostenibile, che nel 2020 ha<br />

lanciato un suo rating di sostenibilità. Nel<br />

suo intervento, Testi ha precisato che<br />

occorre un nuovo modello di leadership<br />

che negli schemi Esg viene misurato ad<br />

esempio rispetto alla strategia fiscale,<br />

la remunerazione dei dirigenti/MBO, le<br />

donazioni e pressioni politiche, i sistemi di<br />

anti-corruzione e concussione, l’approccio<br />

alla diversità di genere e alla struttura del<br />

consiglio di amministrazione. È un cambio<br />

di paradigma e non si sono ricette sicure<br />

valide per tutti.<br />

Infine, nel confronto sono state coinvolte<br />

due aziende associate: Bomi Group e<br />

Columbus Logistics. Bomi si è distinta<br />

come la prima azienda italiana del settore<br />

sanitario ad aver ottenuto il marchio<br />

Sustainable logistic in Italia: come è<br />

emerso dall’intervento, l’azienda ha avviato<br />

il suo percorso verso la sostenibilità per<br />

rispondere alle esigenze del mercato,<br />

accrescendo anche la sensibilità dei<br />

dipendenti. Columbus Logistics è diventato<br />

il primo operatore italiano di logistica<br />

conto terzi carbon neutral per gli scopi 1<br />

e 2 (emissioni dirette e indirette) dal 31<br />

gennaio <strong>2023</strong>. In questo modo l’associata<br />

è entrata a far parte dell’1% delle aziende<br />

italiane ad aver preso il prezioso impegno<br />

volto a generare, attraverso il proprio<br />

business, un impatto positivo sul pianeta e<br />

sulle generazioni future.<br />

Accenture, in collaborazione con il<br />

World economic forum ha intervistato<br />

4.000 aziende. Il 73% degli executive<br />

intervistati, al culmine della pandemia,<br />

ha identificato il “diventare un’azienda<br />

veramente sostenibile ed equa” come<br />

una delle principali priorità per la propria<br />

organizzazione nei prossimi tre anni.<br />

«La sostenibilità ambientale e<br />

sociale sempre più leva competitiva<br />

di mercato, lo dimostrano il trend<br />

globale e i dati anche relativi al<br />

nostro comparto»<br />

Mila De Iure | direttore generale Assoram<br />

76


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per<br />

COME CAMBIA LA CONVALIDA FARMACEUTICA<br />

Intervista a Paolo Bosisio, amministratore delegato di PHA.SE.<br />

Alberto Bobadilla<br />

Lo scopo del processo di convalida<br />

è dimostrare la correttezza, efficacia<br />

e ripetibilità di qualsiasi processo<br />

utilizzato nella produzione di farmaci<br />

a uso umano o veterinario. Se ne<br />

occupano aziende specializzate,<br />

come PHA.SE., società con sede<br />

a Milano che vanta un’esperienza<br />

ventennale, una grande competenza<br />

e un approccio dinamico e flessibile.<br />

Come ci ha spiegato il Ceo Paolo<br />

Bosisio, «nel corso degli anni<br />

l’azienda ha consolidato la propria<br />

esperienza e ampliato la propria<br />

attività, includendo una vasta<br />

gamma di servizi di ingegneria<br />

e controllo qualità; nell’ambito<br />

specifico della convalida, abbiamo<br />

assistito a un’importante evoluzione<br />

dell’attività».<br />

Come sta cambiando l’attività di<br />

convalida?<br />

Stiamo vivendo una fase, se non<br />

di cambiamento, quantomeno di<br />

revisione. In termini di linee guida,<br />

c’è stata la revisione, in ambito<br />

automazione, delle GAMP ® 5 (Good<br />

automated manufacturing practice)<br />

di cui è stata emessa recentemente<br />

la seconda edizione. Sul fronte<br />

normativo, l’Annex 1 delle Good<br />

manufacturing practice (GMP)<br />

diventerà operativo nella sua nuova<br />

revisione il prossimo agosto.<br />

Queste modifiche riflettono un<br />

processo di evoluzione in atto da<br />

qualche anno che si caratterizza<br />

soprattutto per l’affermarsi di un<br />

approccio critico ai problemi: è<br />

quello che viene denominato critical<br />

thinking, che si traduce spesso<br />

in un’attenta analisi del rischio e<br />

delle criticità come fattore con cui<br />

approcciare fin dall’inizio il processo<br />

di convalida.<br />

È un approccio di cui abbiamo<br />

da tempo capito l’importanza e<br />

l’efficacia, e che abbiamo sempre<br />

utilizzato e privilegiato, e che ora<br />

ritroviamo maggiormente esplicitato<br />

sia nelle linee guida che nelle<br />

richieste normative.<br />

Quali miglioramenti produrrà<br />

l’approccio del critical thinking?<br />

Questo approccio, focalizzando<br />

l’attenzione sugli aspetti critici,<br />

aiuta sicuramente a realizzare<br />

l’obiettivo finale di ottenere<br />

una qualità ancora migliore dei<br />

prodotti, ma anche del modo di<br />

operare, in termini di compliance. In<br />

passato ci è capitato di incontrare<br />

atteggiamenti conservativi: poteva<br />

capitare che a fronte di modifiche<br />

della linea si rifacesse tutto da<br />

zero. Il nuovo approccio porta<br />

invece a concentrarsi su ciò che è<br />

veramente critico, migliorando non<br />

solo la qualità del prodotto finale,<br />

ma anche degli impianti produttivi<br />

e del processo stesso di convalida.<br />

Ovviamente questo comporta un<br />

maggiore sforzo iniziale di analisi e<br />

di competenze per individuare gli<br />

aspetti di maggiore criticità.<br />

Quali tipologie di attività di<br />

compliance proponete ai vostri<br />

clienti?<br />

Ci occupiamo di compliance ma<br />

Paolo Bosisio | Ceo PHA.SE<br />

78


makinglife | aprile <strong>2023</strong><br />

“ In questi ultimi<br />

anni si sta<br />

affermando un<br />

diverso approccio<br />

ai problemi,<br />

il cosiddetto<br />

“critical thinking”<br />

non solo: negli ultimi anni abbiamo<br />

incominciato ad offrire anche<br />

servizi di ingegneria, sviluppando<br />

Conceptual Design di nuove aree<br />

produttive, studi sulla sicurezza dei<br />

sistemi e degli impianti in ambito<br />

life science.<br />

Applichiamo i principi della<br />

compliance anche a tutte queste<br />

altre attività, adottando sempre, fin<br />

dall’inizio, un approccio critico e<br />

basato sull’analisi del rischio.<br />

Questo va a influenzare l’attività<br />

di engineering e poi, seguendo<br />

lo sviluppo del progetto, ci<br />

occupiamo della qualifica e della<br />

convalida di sistemi e impianti di<br />

processo. Seguiamo tutte le attività<br />

del progetto di commissioning, in<br />

particolare il testing, propedeutico<br />

all’attività di qualifica e convalida<br />

finale, fino alla fase di collaudo<br />

degli impianti per verificare che<br />

corrispondano effettivamente, dal<br />

punto di vista del costruttore, ai<br />

requisiti a tutela dell’end user. Il<br />

processo di Compliance è ad ampio<br />

spettro e comprende processi,<br />

macchinari, sistemi informatici,<br />

fino alla convalida ambientale,<br />

inclusa la gestione di tutto l’aspetto<br />

microbiologico.<br />

E sugli impianti già attivi quali<br />

attività svolgete?<br />

Ovviamente facciamo tanta<br />

attività di riqualifica su impianti<br />

esistenti perché, come stabiliscono<br />

normative e linee guida, devono<br />

esserci revisioni periodiche<br />

per verificarne la qualità e<br />

l’aderenza alle norme di sistemi<br />

e processi. Anche questa attività<br />

apparentemente routinaria richiede<br />

l’applicazione di un pensiero<br />

critico: a volte riscontriamo un<br />

disallineamento delle prestazioni<br />

degli impianti e coinvolgiamo i<br />

clienti in un processo decisionale<br />

che comporta azioni correttive,<br />

da cambiamenti all’impianto ad<br />

azioni per migliorare le prestazioni.<br />

Si tratta dell’attività di change<br />

e deviation management, di<br />

grande importanza per garantire<br />

il mantenimento della compliance<br />

e della qualità all’interno delle<br />

aziende.<br />

A che punto sono le industrie<br />

italiane in termini di compliance?<br />

Possiamo certamente affermare<br />

che il mondo farmaceutico è ben<br />

regolato, con un elevato livello<br />

generale di compliance. Si può<br />

osservare una certa differenza<br />

tra le big pharma e le aziende di<br />

dimensione media o anche mediogrande,<br />

che generalmente sono<br />

molto meno strutturate: a volte<br />

capita che per questo fattore di<br />

sottodimensionamento facciano<br />

un po’ più fatica a recepire gli<br />

elementi di innovazione, specie se<br />

ad alta componente tecnologica<br />

come la robotica o le tecniche<br />

di realtà aumentata applicata<br />

all’interno dei processi produttivi, e<br />

ad adeguarsi alle tematiche legate<br />

alla cosiddetta industria 4.0.<br />

In questi casi abbiamo spesso a<br />

che fare con macchine di una certa<br />

vetustà su cui vengono fatti spesso<br />

degli upgrade nel tentativo di<br />

tamponarne le mancanze.<br />

In questi ultimi anni abbiamo<br />

notato un’effettiva volontà di<br />

procedere con una maggiore<br />

innovazione, anche se non tutti la<br />

stanno perseguendo con lo stesso<br />

piglio. È spesso una questione di<br />

risorse economiche ma non solo:<br />

abbiamo clienti di dimensioni<br />

medio-grandi che, pur avendo<br />

l’idea e la volontà di sviluppare<br />

certe soluzioni, non hanno risorse<br />

interne sufficienti a perseguire<br />

questi progetti.<br />

Relativamente alle attività da voi<br />

svolte, notate delle differenze a<br />

livello internazionale?<br />

In realtà le normative di riferimento<br />

sono internazionali e vengono<br />

sempre applicate, o così dovrebbe<br />

essere, in modo uniforme nei vari<br />

Paesi.<br />

Inoltre, gli stessi enti autorizzativi<br />

a cui sono soggette le aziende per<br />

cui lavoriamo in giro per il mondo,<br />

richiedono generalmente buoni<br />

livelli di controllo.<br />

Da parte nostra manteniamo<br />

sempre l’attenzione a garantire un<br />

alto livello di attività di compliance<br />

(anche quando operiamo nei Paesi<br />

economicamente meno sviluppati).<br />

Questo è il nostro approccio,<br />

individuabile nel payoff: “Your<br />

business integrator”.<br />

È così che amiamo definirci!<br />

Integratori delle attività “no core”<br />

dei nostri clienti per l’ottenimento e<br />

mantenimento di elevati standard di<br />

qualità dei prodotti realizzati.<br />

Un integratore che sia un vero<br />

supporto sinergico, un valore<br />

aggiunto in grado di apportare<br />

conoscenza ed esperienza<br />

specifiche ma anche un partner<br />

corresponsabile capace di integrarsi<br />

perfettamente nei progetti e nelle<br />

logiche produttive e della qualità<br />

per completare e sostenere il cliente<br />

nelle attività produttive e negli iter<br />

autorizzativi.<br />

Your Business Integrator<br />

Via Farini, 40 | Milano<br />

www.pha-se.it<br />

79


EIPG<br />

European Industrial<br />

Pharmacists Group<br />

GREEN PHARMA, LA SFIDA DELL’INDUSTRIA<br />

FARMACEUTICA PER UN FUTURO SOSTENIBILE<br />

La transizione verso<br />

l’ecosostenibilità è un processo<br />

complesso per il settore pharma<br />

e coinvolge tutto il ciclo di vita<br />

del prodotto, dalla scelta delle<br />

materie prime al packaging, alla<br />

distribuzione, al consumo, fino allo<br />

smaltimento<br />

Con il piano d’azione sull’ambiente – il cosiddetto<br />

Green Deal – l’Unione europea si prefigge l’ambizioso<br />

obiettivo di essere il primo continente a raggiungere la<br />

neutralità climatica entro il 2050. In questo processo<br />

anche l’industria farmaceutica è chiamata a fornire il suo<br />

contributo.<br />

Il concetto di “Pharmaceuticals in the environment” (PiE)<br />

è ormai presente nel nuovo quadro legislativo e lo sarà<br />

sempre di più in futuro. La revisione della legislazione<br />

farmaceutica, ad esempio, potrebbe in futuro includere<br />

la richiesta di valutazione del rischio ambientale e il<br />

trattamento delle acque reflue urbane, ma potrebbe<br />

anche prevedere un obiettivo Net Zero e la revisione della<br />

normativa sui prodotti chimici.<br />

In un recente webinar per EIPG, Bengt Mattson, policy<br />

manager per l’Associazione svedese dell’industria<br />

farmaceutica, ha analizzato le azioni necessarie per<br />

ridurre l’impatto ambientale dell’industria chimica e<br />

farmaceutica.<br />

È indubbio – ha spiegato – che ogni restrizione normativa<br />

in questo ambito causi un aumento dei costi operativi e<br />

possa avere conseguenze importanti, come interruzioni<br />

della supply chain, scarsità nella capacità produttiva e<br />

iniziali divergenze tra le diverse legislazioni. Tuttavia,<br />

la transizione verso un’industria farmaceutica più<br />

sostenibile non può essere scoraggiata. Nel corso<br />

degli anni il processo di valutazione degli impatti e la<br />

conseguente revisione normativa si sono focalizzati su<br />

aspetti differenti: se durante gli anni Novanta l’hot topic<br />

erano i packaging riciclabili e le fonti di energia, negli<br />

anni Duemila le maggiori preoccupazioni sono state<br />

poste sul rilascio dei prodotti farmaceutici nell’ambiente<br />

e nei primi anni ‘20 l’attenzione si è concentrata sulle<br />

emissioni legate agli API e sull’uso efficiente delle risorse.<br />

La stima dell’impronta di carbonio, comunque, richiede di<br />

non concentrarsi su singoli aspetti della produzione ma<br />

impone una valutazione di tutta la catena di produzione,<br />

distribuzione e smaltimento. Ogni aspetto deve essere<br />

analizzato: dalla scelta delle materie prime alla logistica<br />

per la fornitura alle aziende produttrici, ai metodi<br />

produttivi, al packaging, alla distribuzione del prodotto<br />

finito, fino all’utilizzo e allo smaltimento da parte dei<br />

pazienti.<br />

80


makinglife | aprile <strong>2023</strong><br />

API green by design<br />

In questo contesto, lo sviluppo di processi green<br />

rappresenta una sfida importante per i chimici e i<br />

professionisti dell’industria farmaceutica. Secondo<br />

i ricercatori del progetto internazionale Premier<br />

(Prioritisation and risk evaluation of medicines in the<br />

environment), è possibile ottenere API efficaci ma<br />

ambientalmente sostenibili se nascono “green by design”.<br />

Il loro approccio, chiamato “Greener”, prevede di integrare<br />

nel modello di ricerca e sviluppo dei farmaci alcuni<br />

importanti criteri ambientali che contribuiranno a ridurre<br />

l’impatto dei residui di medicinali sull’ambiente. Il nome<br />

della metodologia è appunto l’acronimo di questi principi:<br />

G: Good practice for patients. Il principio chiarisce<br />

che l’obiettivo principale dell’industria farmaceutica è<br />

quello di sviluppare API che siano clinicamente efficaci<br />

e arrechino il minimo danno ai pazienti. La protezione<br />

dell’ambiente, dunque, non può andare a discapito della<br />

sicurezza dei pazienti. Tuttavia, il legame tra salute<br />

umana, animale e ambientale – come illustra il concetto<br />

One health – è così stretto che il design di una nuova<br />

molecola dovrebbe sempre tenere in considerazione<br />

anche gli aspetti ambientali.<br />

R: Reduced off-target effects and high specificity. Uno<br />

dei fattori che rendono così significativo l’impatto dei<br />

farmaci è il fatto che alcuni bersagli farmacologici sono<br />

condivisi in una certa misura con altre specie animali,<br />

nelle quali possono suscitare risposte farmacologiche<br />

simili a quelle previste nell’uomo. Aumentare la<br />

specificità dei farmaci permetterebbe di ridurre il rischio<br />

di impatto sugli animali ma anche gli effetti collaterali<br />

e off-target sui pazienti umani. In questo contesto, i<br />

ricercatori dovrebbero utilizzare la genomica comparativa<br />

per identificare e valutare la conservazione di specifici<br />

target farmacologici e off-target negli organismi che<br />

popolano gli ecosistemi naturali.<br />

E: Exposure reduction via less emission. I rischi per<br />

l’ecosistema nascono quando i livelli di esposizione<br />

ambientale del farmaco eccedono una concentrazione<br />

critica, in genere ridotta. Un possibile intervento<br />

in questo senso può essere l’impiego di metodi di<br />

somministrazione più precisi, come quelli legati alla<br />

medicina personalizzata, ai coniugati anticorpofarmaco<br />

e ai sistemi di rilascio di nanofarmaci. Con<br />

queste metodologie è possibile ridurre la quantità di API<br />

necessaria per la terapia e di conseguenza anche quella<br />

che potrebbe raggiungere l’ambiente.<br />

E: Environmental (bio)degradability. L’esposizione<br />

dell’ambiente a fattori farmacologici dannosi può<br />

essere ridotta ulteriormente evitando di produrre API<br />

persistenti o i cui metaboliti resistono nell’ambiente.<br />

Spesso i principi attivi più efficaci sono anche quelli<br />

particolarmente stabili ma, spiegano i ricercatori, la<br />

stabilità di una molecola dipende da condizioni specifiche<br />

come il pH, il potenziale redox e la presenza di batteri,<br />

che possono essere molto diverse tra l’interno del<br />

paziente e l’ambiente esterno.<br />

N: No PBT (persistent, bioaccumulative and toxic)<br />

properties. Le sostanze PBT (persistenti, bioaccumulative<br />

e tossiche) possono accumularsi nella<br />

rete alimentare e avere effetti a lungo termine anche se<br />

originariamente presenti in piccolissime concentrazioni.<br />

Il bioaccumulo può verificarsi anche nei pazienti, quindi<br />

affrontare questo problema è un tema comune alla<br />

sicurezza dei pazienti e quella ambientale.<br />

E: Effect reduction (avoiding undesirable moieties).<br />

Alcuni API possono non essere di per sé rischiosi per<br />

l’ambiente ma possono contenere specifici gruppi PBT.<br />

Per queste frazioni di molecole andrebbe utilizzato lo<br />

stesso approccio che si riserva alla valutazione dei<br />

rischi per i pazienti: nello sviluppo del farmaco occorre<br />

verificare nei database esistenti che le frazioni necessarie<br />

non causino preoccupazioni per la sicurezza del paziente<br />

ma quando non è possibile evitarle, i rischi previsti per<br />

i pazienti devono essere presi in considerazione nella<br />

valutazione rischi/benefici. Allo stesso modo dovrebbero<br />

essere valutate le caratteristiche strutturali che suscitano<br />

preoccupazioni ambientali.<br />

R: Risk and hazard mitigation. Se non è possibile venire<br />

incontro ai criteri citati nel punto precedente gli API<br />

saranno prodotti con la consapevolezza dei rischi che<br />

possono produrre sull’ambiente. In questi casi, anche<br />

alcune opzioni per la mitigazione dei rischi dovrebbero<br />

far parte dell’ulteriore sviluppo del prodotto.<br />

81


NUMERO 2 - APRILE <strong>2023</strong><br />

Casa editrice<br />

MakingLife Srl<br />

Piazza della Repubblica, 10<br />

20121 Milano MI<br />

Tel. 02 36525293<br />

Con il patrocinio di:<br />

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Direttore responsabile Cristiana Bernini<br />

Coordinamento redazionale Simone Montonati | simone.montonati@makinglife.it<br />

Comitato scientifico<br />

Maurizio Battistini<br />

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Art Director Simone Abbatini<br />

Illustrazioni di Mario Addis<br />

Hanno collaborato<br />

Alberto Bobadilla<br />

Gabriele Costantino<br />

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Giulio Divo<br />

Valentina Guidi<br />

Caterina Lucchini<br />

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Simone Montonati<br />

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Elena Perani<br />

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Le aziende che ci sostengono<br />

Aluberg SpA, MC<br />

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<strong>2023</strong>


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