Makinglife n.2 2023
Un modello di sviluppo sostenibile che non sia solo un enunciato di aderenza ad alcuni principi generali richiede uno sforzo di adattamento e di investimento i cui risultati sono generalmente percepibili solo nel medio termine. Per raggiungere gli obiettivi è necessario che i temi ESG vengano integrati nel business model e diventino elemento competitivo e reputazionale.
Un modello di sviluppo sostenibile che non sia solo un enunciato di aderenza ad alcuni principi generali richiede uno sforzo di adattamento e di investimento i cui risultati sono generalmente percepibili solo nel medio termine. Per raggiungere gli obiettivi è necessario che i temi ESG vengano integrati nel business model e diventino elemento competitivo e reputazionale.
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makinglife | aprile <strong>2023</strong> | numero due<br />
SOSTENERE IL FUTURO<br />
PharmaFuture & Health
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Leader del cambiamento<br />
Essere Antifragile<br />
Test: Leader agentico - Pensiero innovativo-<br />
Locus of control-<br />
Approccio positivo<br />
Learning Agility<br />
Test: Learning agility-<br />
Work curiosity<br />
We will follow you<br />
Scenario:<br />
Where are we now?<br />
Test: Questionario di<br />
consapevolezza dei cambiamenti<br />
in atto<br />
Leadership Situazionale<br />
Test: Stili di leadership<br />
Fearless Organization:<br />
La paura non è più una motivazione<br />
Test: Questionario Safety Sentiment Index<br />
www.execohr.it
INDICE<br />
Commenti<br />
Sostenibilità<br />
Professioni green<br />
01 02 03<br />
La sostenibilità non è<br />
solo questione di scelte<br />
industriali<br />
L’ecologia della mente<br />
8<br />
10<br />
Progettazione<br />
strategica<br />
Sostenibilità<br />
ambientale o<br />
economica?<br />
Dal profitto alla<br />
sostenibilità<br />
12<br />
16<br />
20<br />
Missione sostenibilità<br />
Sostenibilità e<br />
governance<br />
Nuovo orizzonte per<br />
l’industria<br />
Greenwashing<br />
30<br />
34<br />
38<br />
42<br />
Chimica sostenibile<br />
26<br />
Partnership<br />
46<br />
4
makinglife | aprile <strong>2023</strong><br />
Legal<br />
Risorse umane<br />
Pharma Novel<br />
Pharmatelling<br />
Regolamento DPI,<br />
categorie di rischio<br />
e marcatura CE<br />
56<br />
04 05 07<br />
Comunicazione senza<br />
comunità<br />
Green jobs, come<br />
cambia il mondo del<br />
lavoro<br />
58<br />
60<br />
06<br />
O la borsa o la vita!<br />
Logistica green per<br />
64 farmaci termosensibili 70<br />
Sostenibilità della<br />
distribuzione health<br />
Eipg: green pharma<br />
74<br />
80<br />
5
6<br />
Questione<br />
di feeling<br />
Cristiana Bernini<br />
Affrontare oggi il tema della<br />
sostenibilità sembra ormai<br />
un po’ scontato. Ne parlano<br />
tutti e tutti sono consapevoli<br />
della validità della definizione<br />
che, nell’ormai lontano<br />
1987, veniva proposta<br />
dalla Commissione delle<br />
Nazioni Unite sull’ambiente<br />
e lo sviluppo: “lo sviluppo<br />
sostenibile è quello che<br />
soddisfa le necessità delle<br />
generazioni attuali senza<br />
compromettere la possibilità<br />
delle generazioni future di<br />
appagare le loro esigenze”. E<br />
questa è l’unica direzione nella<br />
quale è possibile procedere.<br />
Ma tra il dire e il fare – si<br />
sa – c’è di mezzo il mare<br />
e anche la filiera della<br />
produzione farmaceutica – con<br />
alcune eccellenti eccezioni<br />
– ancora fatica a mettere in<br />
pratica i principi propri della<br />
sostenibilità. È innanzi tutto<br />
una questione culturale: è vivo<br />
il timore che l’applicazione di<br />
quegli elementi che mirano<br />
a garantire la sostenibilità<br />
ambientale e sociale siano<br />
esclusivamente un “costo<br />
necessario”, minino la<br />
sostenibilità economica<br />
dei processi e frenino lo<br />
sviluppo, senza considerare<br />
che, al contrario, solamente<br />
un equilibrio dei tre fattori<br />
può portare nel medio-lungo<br />
termine alla generazione di<br />
valore. Ma per fare questo è<br />
necessario costruire un piano<br />
strategico complessivo e<br />
adottare una visione integrata<br />
di network che vada oltre la<br />
catena ristretta fornitoreazienda-cliente,<br />
aprendosi a<br />
tutti gli stakeholder coinvolti,<br />
condividendo obiettivi chiari<br />
e misurabili per procedere<br />
insieme nella direzione<br />
di “uno sviluppo che non<br />
comprometta un ulteriore<br />
sviluppo”. Ora, è vero che<br />
la supply chain del pharma<br />
costituisce un ecosistema<br />
particolarmente complesso,<br />
fortemente regolamentato,<br />
caratterizzato da un processo<br />
produttivo oltremodo<br />
articolato e dalla necessità<br />
di una gestione su scala<br />
globale – tutti elementi questi<br />
che favoriscono una notevole<br />
resistenza al cambiamento –<br />
ma è altrettanto vero che se<br />
non si superano tali barriere<br />
per perseguire uno sviluppo<br />
sostenibile, l’intero comparto<br />
rischia di subire una brusca<br />
frenata d’arresto.<br />
Sostenibilità, quindi, deve<br />
diventare la linea guida da<br />
seguire lungo tutto il processo<br />
che porta dalla scelta dei<br />
fornitori – e dei subfornitori –<br />
all’approvvigionamento delle<br />
materie prime, dalla ricerca<br />
e sviluppo alla produzione,<br />
dalla distribuzione alla<br />
commercializzazione dei<br />
prodotti farmaceutici, con una<br />
strategia condivisa, adottando<br />
un approccio sistemico<br />
che coinvolga l’intera<br />
organizzazione e applicando<br />
i principi ESG (Environment,<br />
Social, Governance) in tutte le<br />
decisioni aziendali.<br />
Infine, è importante che<br />
le aziende comunichino<br />
in maniera corretta e<br />
trasparente riguardo al loro<br />
impegno sulla sostenibilità,<br />
fornendo informazioni<br />
verificabili, riconoscendo le<br />
sfide, evitando di confondere<br />
i cittadini con messaggi<br />
fuorvianti, sottraendosi<br />
quindi categoricamente al<br />
cosiddetto greenwashing,<br />
ovvero all’utilizzo di tecniche<br />
di marketing per nascondere il<br />
vero impatto ambientale delle<br />
proprie attività.<br />
È questione culturale,<br />
dicevamo, e fare cultura è<br />
indubbiamente il fine ultimo
makinglife | aprile <strong>2023</strong><br />
dell’editore. Come MakingLife<br />
ci poniamo in prima linea<br />
per fare informazione<br />
e formazione, in modo<br />
particolare su un tema così<br />
strategico come la sostenibilità<br />
di cui tanto si parla ma sul<br />
quale è necessario fare ancora<br />
moltissimo proprio in termini<br />
di “educazione”.<br />
Rendersi consapevoli della<br />
necessità di adottare tutte<br />
le misure necessarie e di<br />
applicare processi virtuosi per<br />
una crescita sostenibile è una<br />
priorità… e se la salvaguardia<br />
del pianeta e del futuro<br />
dell’umanità non dovessero<br />
essere motivazioni sufficienti,<br />
ricordiamoci sempre che la<br />
sostenibilità è driver primario<br />
di business, senza il quale è a<br />
rischio anche il successo e il<br />
futuro delle nostre imprese.<br />
Leggendo le pagine di questo<br />
numero emergono almeno tre<br />
fattori chiave che dovrebbero<br />
essere tenuti in considerazione<br />
da chi guida un’impresa e tutti<br />
e tre richiedono di entrare<br />
in sintonia con altri attori.<br />
Il primo fattore coinvolge<br />
la sintonia con l’ambiente<br />
esterno ed è l’ambizione.<br />
Per affrontare la transizione<br />
verso la sostenibilità –<br />
soprattutto ambientale – è<br />
cruciale porsi obiettivi rilevanti,<br />
avere nel mirino traguardi<br />
che rappresentino un livello<br />
significativamente superiore<br />
allo status quo e non siano<br />
un semplice passo avanti. Le<br />
conseguenze della modestia<br />
in questo campo – avvertono<br />
gli esperti – potrebbero<br />
essere letali per il business<br />
dell’azienda, costretta a fare<br />
i conti con un ambiente in<br />
profonda – e rapidissima –<br />
trasformazione: consumatori<br />
sempre più attenti e propensi<br />
a scegliere in base ai valori<br />
espressi da chi vende,<br />
normative che stringono<br />
le loro maglie in tema di<br />
impegno e trasparenza, fondi<br />
di investimento, banche e<br />
assicurazioni che hanno<br />
introdotto parametri non<br />
finanziari per valutare il<br />
merito creditizio. Se l’azienda<br />
non si sintonizza sulle nuove<br />
esigenze di mercato potrebbe<br />
esserne irrimediabilmente<br />
esclusa.<br />
Il secondo fattore coinvolge<br />
la sintonia interna. Per<br />
raggiungere davvero traguardi<br />
ambiziosi è fondamentale che<br />
tutti i livelli di un’azienda siano<br />
coinvolti, che gli obiettivi di<br />
sostenibilità siano fusi nella<br />
governance, che proprietà, Ceo<br />
e dirigenti siano allineati, che<br />
tutti i dipendenti siano parte<br />
dell’azione.<br />
L’ultimo fattore in gioco<br />
necessita un ulteriore salto<br />
di qualità: è necessario che<br />
tutti gli attori coinvolti lavorino<br />
insieme superando rivalità e<br />
campanilismi. Come afferma<br />
l’ultimo report dell’Ipcc<br />
(Intergovernmental panel on<br />
climate change), nei prossimi<br />
dieci anni dovremo affrontare<br />
un’azione accelerata di<br />
adattamento ai cambiamenti<br />
climatici per colmare il divario<br />
tra il livello raggiunto finora e<br />
quello necessario. Per essere<br />
efficaci – spiega il rapporto<br />
– le nostra scelte dovranno<br />
essere “radicate nella diversità<br />
di valori, visioni del mondo e<br />
conoscenze, comprese quelle<br />
scientifiche, indigene e locali.<br />
I cambiamenti trasformativi<br />
hanno maggiori probabilità di<br />
successo quando c’è fiducia,<br />
quando tutti collaborano per<br />
dare priorità alla riduzione dei<br />
rischi e quando i benefici e gli<br />
oneri sono condivisi in modo<br />
equo”. Una sintonia globale,<br />
appunto.<br />
7
8<br />
NON È SOLO<br />
QUESTIONE DI<br />
SCELTE<br />
INDUSTRIALI<br />
Gabriele Costantino<br />
Dipartimento di Scienze degli Alimenti e del Farmaco<br />
Università di Parma<br />
gabriele.costantino@unipr.it<br />
Come gran parte dei settori<br />
produttivi, l’industria farmaceutica<br />
nel suo complesso ha, negli ultimi<br />
anni, affrontato il tema della<br />
sostenibilità economica, ambientale<br />
e sociale del suo modello di business.<br />
Come abbiamo scritto diverse volte,<br />
in contesti diversi, su queste pagine,<br />
il modello di sviluppo sostenibile che<br />
non sia solo un enunciato di aderenza<br />
richiede in generale uno sforzo di<br />
adattamento e di investimento i cui<br />
risultati sono generalmente percepibili<br />
solo nel medio termine.<br />
L’industria farmaceutica in questo senso<br />
è chiamata ad affrontare sfide particolari<br />
rispetto ad altri settori produttivi, che<br />
è interessante discutere non solo per<br />
proporre soluzioni (e chi scrive non<br />
ha certo competenza particolare per<br />
farlo) ma anche per enucleare quegli<br />
elementi di peculiarità che richiederanno<br />
attenzione nel momento in cui andranno<br />
valutati i risultati.<br />
Un primo aspetto di particolarità<br />
è legato al fatto che l’impresa<br />
farmaceutica rappresenta un modello<br />
industriale in cui il costo di un nuovo<br />
prodotto è di norma solo marginalmente<br />
determinato dal costo di produzione<br />
industriale ed è invece fortemente<br />
impattato dai costi di ricerca e<br />
sviluppo, intrinsecamente a elevato<br />
rischio. Poche imprese, generalmente<br />
a struttura multinazionale, generano<br />
gran parte dell’innovazione nell’ambito<br />
farmaceutico e sono associabili a<br />
un modello definibile high risk/high<br />
revenue. L’impresa farmaceutica,<br />
però, è fatta non solo di queste grandi<br />
industrie, votate fortemente allo<br />
sviluppo e all’innovazione scientificotecnologica,<br />
ma anche da numerose<br />
imprese, produttrici di Api, eccipienti,<br />
farmaci generici. Queste imprese, dal<br />
punto di vista industriale, sono più<br />
associabili a un modello low-risk/low<br />
revenue ma sono egualmente importanti<br />
dal punto di vista della disponibilità<br />
comunitaria di medicinali. L’Italia, da<br />
questo punto di vista, rappresenta un<br />
esempio particolarmente virtuoso, con<br />
centinaia di imprese che contribuiscono<br />
in maniera importante al Pil nazionale.<br />
Se accettiamo questa semplicistica<br />
classificazione appare peraltro<br />
evidente che i requisiti e le ambizioni<br />
di sostenibilità sociale, economica e<br />
ambientale risultano ben diversi tra i<br />
due tipi di attori. Una sorta di corollario<br />
di questa prima osservazione è che, nel<br />
suo complesso, l’industria farmaceutica<br />
è industria incrementale e non<br />
sostitutiva. Nell’industria dell’automobile,<br />
ad esempio, quando un produttore<br />
introduce un nuovo modello in una certa<br />
categoria e in una certa motorizzazione,<br />
il modello precedente viene<br />
progressivamente ma rapidamente
makinglife | aprile <strong>2023</strong><br />
cessato dalla produzione. La stessa<br />
cosa accade, ad esempio, nell’industria<br />
della telefonia mobile o dell’elettronica<br />
di fascia alta. Nel caso dell’industria<br />
farmaceutica, i nuovi farmaci approvati<br />
per una data patologia si aggiungono,<br />
e solo raramente – quando richiesto<br />
dall’organo regolatore – sostituiscono<br />
quelli esistenti. Da un punto di vista,<br />
appunto, regolatorio questo trova<br />
naturalmente giustificazione nel fatto<br />
che generalmente il nuovo farmaco è<br />
diretto verso sottogruppi di popolazione<br />
o di patologia specifici e che la<br />
rimanente popolazione trova giovamento<br />
dal farmaco precedente.<br />
Se questo è evidentemente ben<br />
ragionevole nell’ottica del beneficio per<br />
la salute della comunità, induce elementi<br />
di tensione dal punto di visto degli<br />
approcci industriali e produttivi.<br />
Nel panorama italiano, non v’è dubbio<br />
che gran parte della filiera del farmaco<br />
si troverà di fronte, nel prossimo futuro,<br />
alla necessità di dover aderire a una<br />
serie di ambiziose azioni declinate<br />
in ambito politico sovranazionale, tra<br />
cui l’impatto sul climate change, le<br />
emissioni di CO 2<br />
, la neutralità del ciclo<br />
del carbonio. Nel caso dell’industria<br />
farmaceutica e di quella chimica fine in<br />
generale, queste proposizioni vengono<br />
generalmente lette in chiave di approcci<br />
di green chemistry. Ad esempio, la<br />
sostituzione di solventi organici volatili,<br />
l’implementazione su scala produttiva di<br />
tecniche a basso uso di solvente, quali<br />
la flow-chemistry, che hanno la capacità<br />
di ridurre significativamente la massa<br />
totale impiegata in un ciclo reattivo e,<br />
quindi, la necessità di smaltire o riciclare<br />
importanti quantità di materiale. Infine,<br />
la necessità, che è anche opportunità di<br />
sviluppo, di inserire il modello produttivo<br />
nel contesto dell’economia circolare.<br />
In questo numero di MakingLife<br />
verranno trattati questi e altri aspetti,<br />
ad esempio il rapporto tra industria<br />
farmaceutica europea e il Green Deal<br />
dell’Unione europea. Ma vogliamo qui<br />
segnalare un punto forse meno presente<br />
nell’enunciazione delle casistiche<br />
generali, vale a dire l’impatto sulla<br />
sostenibilità ambientale legato alle<br />
caratteristiche intrinseche del farmaco.<br />
Siamo forse abituati a pensare che la<br />
“vita industriale” del prodotto medicinale<br />
termina quando viene prelevato dallo<br />
scaffale della farmacia, ma purtroppo<br />
non è così, per due ordini di motivi.<br />
Il primo è che una volta assunto da<br />
un uomo o da un animale, il farmaco<br />
verrà inevitabilmente escreto e<br />
immesso nell’ambiente – come tale o<br />
come suo metabolita – e continuerà a<br />
produrre effetti, come tossicità cronica,<br />
resistenza microbica, alterazioni del<br />
sistema endocrino, inibizione della<br />
crescita, distruzione degli ecosistemi<br />
microbici, citotossicità, mutagenicità<br />
e teratogenicità. Il secondo ordine<br />
di problema riguarda il fatto che<br />
sappiamo, da numerose statistiche,<br />
che una significativa parte del farmaco<br />
venduto non viene utilizzato e che, in<br />
un modo o nell’altro, andrà smaltito.<br />
Il problema dello smaltimento dei<br />
residui industriali produttivi è ben<br />
noto e generalmente ben affrontato<br />
ma rimane il problema – sicuramente<br />
minore in termini di impatto generale<br />
ma comunque significativo – dello<br />
smaltimento domestico od ospedaliero.<br />
Forse, tra le azioni da intraprendere<br />
verso il raggiungimento degli obiettivi<br />
di sostenibilità ce ne sono anche alcune<br />
che non sono direttamente in capo alla<br />
struttura industriale, ma che riguardano<br />
aspetti regolatori e fiscali. Ad esempio,<br />
la possibilità di dispensare, come accade<br />
in diversi Paesi, il numero di dosi esatte<br />
richieste dalla valutazione medica<br />
avrebbe un effetto in termini di riduzione<br />
di quantità di farmaco non utilizzato<br />
e avrebbe un impatto significativo<br />
sul quantitativo di packaging e sulla<br />
sua riduzione. Da un punto di vista<br />
scientifico, la caratterizzazione dei<br />
metaboliti attivi (in termini ad esempio<br />
di interferenti endocrini o di attività<br />
antimicrobica) dopo esposizione<br />
umana o animale dovrebbe sempre<br />
più completare il dossier tecnico del<br />
farmaco e contribuire assieme ai<br />
requisiti di efficacia e di sicurezza alla<br />
valutazione complessiva della qualità<br />
del farmaco, non solo riferita all’effetto<br />
sull’individuo ma alla sostenibilità<br />
globale.<br />
9
L’ecologia della<br />
mente, tre concetti<br />
per ripensare la<br />
sostenibilità<br />
Antonio Maturo<br />
Professore di Sociologia della Salute<br />
Università di Bologna, Campus della Romagna<br />
I bambini che nascono oggi nei Paesi ad alto reddito hanno un’aspettativa<br />
di vita di 20 anni più lunga dei loro nonni nati negli<br />
anni Sessanta. Nello stesso lasso di tempo i centenari sono aumentati<br />
di 30 volte. È ormai normale superare i 100 anni di vita<br />
anche nei Paesi a medio reddito e non solo in quelli ricchi. Si<br />
tratta di cambiamenti eccezionali ma purtroppo ci sono anche<br />
delle ombre: per ogni anno di vita guadagnato ci aspettano quasi<br />
sei mesi di vita in cattiva salute. Giocando con la terminologia di<br />
Harry Potter, sarebbe bello che guadagnassimo un po’ di anni<br />
tipo ventununidici, ventidodici e così via… Ahimè, invece si tratta<br />
ovviamente di anni nella vecchiaia (e magari nei sei mesi che<br />
stiamo benino, pure pioverà, citando questa volta Woody Allen).<br />
Dobbiamo quindi preoccuparci di aggiungere non solo anni di<br />
vita, ma anche salute agli anni. Detto con uno slogan, integrare il<br />
life span con l’health span.<br />
Sappiamo che accanto a medicinali e cure mediche, i più forti<br />
determinanti di salute sono la dieta, l’esercizio fisico, l’astensione<br />
dal tabacco, l’astensione o la moderazione con il bere alcol.<br />
Ma fondamentale è anche l’ambiente domestico e, quindi, i livelli<br />
di riscaldamento e pulizia. Molto si è fatto contro l’inquinamento<br />
ma anche oggi acque contaminate, polveri sottili e cibo industriale<br />
sono cause di malessere se non di malattia. Alcune di<br />
queste problematiche ambientali vengono amplificate dal mutamento<br />
climatico, un mutamento caratterizzato sia dall’innalzamento<br />
graduale della temperatura sia da eventi meteorologici<br />
“estremi”. Come descritto dalle ricerche del Mc Kinsey Institute,<br />
il mutamento climatico è correlato al peggioramento di malattie<br />
respiratorie e cardiovascolari, per tacere di nuove malattie infettive<br />
legate alla incipiente “tropicalizzazione del mondo” nonché<br />
dalle conseguenze di inondazioni e tempeste. È noto che le morti<br />
del Titanic erano collegate al prezzo del biglietto. Morirono poche<br />
persone che avevano il biglietto di prima classe, alcune di più tra<br />
coloro che viaggiavano in seconda, molte tra quelli della terza,<br />
quasi tutte quelle della quarta classe (si trattava evidentemente<br />
di “precedenze” per le scialuppe di salvataggio). Anche nei Paesi<br />
ricchi gli effetti del cambiamento climatico sulla salute sono più<br />
gravi sulle persone povere, confermando come l’innalzamento<br />
della temperatura sia anche e soprattutto una questione di giustizia<br />
sociale.<br />
Non c’è una strategia globale che sia stata concepita per contrastare<br />
inquinamento e cambiamento climatico. Per lo più si parla<br />
di “sostenibilità”, ovvero l’idea di uno sviluppo equilibrato in grado<br />
di assicurare il soddisfacimento dei bisogni della generazione<br />
presente senza compromettere le possibilità delle generazioni<br />
future di realizzare i propri (definizione delle Nazioni Unite). In<br />
sintesi, dobbiamo comportarci ora, nel presente, in un modo che<br />
non comprometta la vita delle persone che vivranno in futuro. Si<br />
tratta di un approccio di “giustizia intergenerazionale”. In Italia,<br />
10
makinglife | aprile <strong>2023</strong><br />
abbiamo sempre fatto il contrario. Ad esempio, espandendo il<br />
debito pubblico sulle spalle dei nuovi nati. Ma comunque siamo<br />
in buona compagnia, se pensiamo agli scempi ambientali che si<br />
sono consumati in Russia come negli Stati Uniti. Alcuni spunti<br />
teorici rispetto alla sostenibilità possono venirci da un pensatore<br />
molto particolare, un tempo molto di moda, oggi dimenticato:<br />
Gregory Bateson.<br />
Bateson fu un pensatore singolare. Figlio del noto genetista inglese<br />
William Bateson, fu chiamato Gregory in onore di Mendel,<br />
il fondatore della genetica. Benché ferrato in biologia, Bateson si<br />
dedicò all’antropologia e alla psichiatria. Fu anche profondamente<br />
influenzato dalla cibernetica e dalla teoria dei sistemi, con cui<br />
venne in contatto quando lavorava presso l’Ufficio studi strategici<br />
degli Stati Uniti durante la Seconda guerra mondiale. Molte sue<br />
teorie acquisteranno fama grazie alla cosiddetta Scuola di Palo<br />
Alto che le porrà alla base della psicologia sistemica. Rispetto<br />
alla sostenibilità vale la pena ripassare tre concetti di Bateson:<br />
il finalismo cosciente, il doppio vincolo, l’ecologia della mente.<br />
Il “finalismo cosciente” è l’idea cartesiana che una parte possa<br />
controllare il tutto, ad esempio che la coscienza possa controllare<br />
il corpo e la volontà e quindi, in una scala più ampia, che l’uomo<br />
possa controllare l’ambiente. L’idea di Bateson, al contrario,<br />
è che la vita e il mondo siano un sistema, un tutto fatto di tante<br />
parti. Sarebbe paradossale, dice Bateson, che una parte possa<br />
controllare il tutto perché la parte, appunto, “fa parte del tutto” e<br />
quindi dovrebbe anche controllare se stessa mentre controlla il<br />
tutto. In effetti, vediamo come l’uomo non sia affatto in grado di<br />
controllarsi nel suo rapporto con l’ambiente.<br />
Il “doppio vincolo” è una teoria che cerca di descrivere la schizofrenia.<br />
Si tratta della situazione in cui una persona deve rispondere<br />
contemporaneamente a due ingiunzioni in contraddizione<br />
tra loro. Proseguendo con gli esempi, nel nostro caso la richiesta<br />
di tutelare l’ambiente e allo stesso tempo quella di consumare<br />
sempre di più.<br />
“L’ecologia della mente” è un po’ l’approccio complessivo di Bateson,<br />
non a caso è anche il titolo del suo libro più importante.<br />
Ancora, l’idea è che l’uomo sia solo una parte di un tutto più ampio.<br />
Un tutto composto da organismi, idee, relazioni. Questa prospettiva<br />
ha anticipato l’approccio Science technology and society<br />
di Bruno Latour, che sostiene che la società può essere vista<br />
come un insieme di attori umani e non umani che interagiscono<br />
tra loro. In effetti, oggi noi umani interagiamo costantemente con<br />
attori non umani come algoritmi, funzioni del cellulare, piattaforme<br />
digitali.<br />
Dunque, verrebbe da dire, se noi umani non siamo riusciti a tutelare<br />
l’ambiente, forse ce la faranno le nostre invenzioni. Speriamo<br />
che non si stanchino di noi…<br />
11
Progettazione<br />
strategica per un<br />
futuro sostenibile<br />
NEL SETTORE FARMACEUTICO, IL<br />
PERCORSO VERSO GLI OBIETTIVI<br />
DI SOSTENIBILITÀ – AMBIENTALE,<br />
ECONOMICA E SOCIALE – È<br />
REALIZZABILE SOLO SE GUIDATO<br />
DA UN’ATTENTA PIANIFICAZIONE<br />
INDUSTRIALE E POLITICO-ECONOMICA<br />
Gabriele Costantino<br />
Dipartimento di Scienze degli Alimenti e del Farmaco<br />
Università di Parma<br />
gabriele.costantino@unipr.it<br />
L’aderenza dell’industria farmaceutica agli obiettivi di sviluppo<br />
sostenibile deve essere programmata e poi valutata anche in<br />
funzione delle specifiche e peculiari caratteristiche di questo<br />
ambito produttivo. L’ambizione di governare il ciclo produttivo<br />
lasciando alle prossime generazioni una quantità di risorse<br />
complessive – ambientali, economiche, sociali – non inferiore<br />
a quella attuale deve infatti esser declinata nel contesto della<br />
funzione – non solo d’impresa – ma anche sociale del comparto<br />
produttivo.<br />
Nel 2020 è stata pubblicata la Pharmaceutical strategy for europe<br />
2020, il white paper sulle attese che l’Unione europea nutre per lo<br />
sviluppo del settore farmaceutico anche in funzione della capacità<br />
di agire sinergicamente nel raggiungere gli obiettivi di sviluppo<br />
dell’Unione.<br />
La prima osservazione importante da sottolineare è che il primo<br />
indicatore di sostenibilità che l’industria farmaceutica deve<br />
contribuire a raggiungere è l’obiettivo di medicine disponibili per<br />
tutti i cittadini, indipendentemente dal reddito, dalla residenza,<br />
dalla patologia. Sembra quasi un’affermazione tautologica,<br />
ma solo perché noi, in questa piccola parte del mondo, siamo<br />
abituati a considerare la disponibilità di medicinali una conquista<br />
assodata. Eppure, è sempre più plausibile l’evenienza che le<br />
nuove generazioni europee non avranno necessariamente questa<br />
disponibilità.<br />
Il benessere sociale richiede la possibilità di accesso a farmaci<br />
e trattamenti effettivi e sostenibili soprattutto per fasce<br />
vulnerabili, con disabilità o appartenenti a minoranze. Questo<br />
obiettivo richiede un ripensamento delle aree e delle strategie<br />
di investimento che dovrebbero sempre più esser dirette verso<br />
12
makinglife | aprile <strong>2023</strong><br />
gli ambiti di bisogni medici non pienamente soddisfatti. Solo<br />
per citare alcune delle criticità presenti nell’Unione europea, la<br />
gestione delle resistenze microbiche, in particolare da Gramnegativi,<br />
l’emergenza di infezioni fungine sistemiche oltre che,<br />
naturalmente, infezioni virali, le demenze senili e, soprattutto<br />
la gestione, finanche solo compassionevole, delle oltre 7.000<br />
malattie rare e ultra rare.<br />
IL CASO<br />
DELL’ANTIMICROBICORESISTENZA<br />
Ma proprio l’esempio della resistenza batterica può<br />
retrospettivamente dare un’idea chiara di cosa voglia dire sviluppo<br />
sostenibile e aiutare a convincere che termini quali “sostenibilità”,<br />
“obiettivi di sostenibilità”, “sviluppo sostenibile” non sono solo<br />
slogan (anche se, obiettivamente, tendono a essere, in diversi<br />
contesti, usati con eccessiva frequenza) ma obiettivi e strumenti<br />
metodologici da applicare nella pianificazione industriale e<br />
politico-economica. Se immaginiamo di tornare agli anni ’80, in<br />
Europa o in USA, una pianificazione a medio-lungo termine delle<br />
aree terapeutiche su cui investire e un’analisi dei “medical need”<br />
avrebbe portato (come – ovviamente – ha portato) ad abbandonare<br />
la ricerca e l’investimento su malattie infettive e a puntare su<br />
malattie oncologiche, croniche, del metabolismo. Il risultato è<br />
che, 40 anni più tardi, siamo entrati nella “crisi di antibiotici” e<br />
le risorse mediche attuali per la gestione di infezioni (che oggi<br />
chiamiamo multidrug resistant) sono inferiori a quelle che erano<br />
disponibili per le passate generazioni. La scelta, diremmo oggi,<br />
non è stata orientata da considerazioni di sostenibilità, ma il vero<br />
punto è capire come il problema avrebbe potuto esser evitato.<br />
In questo momento, ad esempio, sempre restando nel campo<br />
delle resistenze batteriche, esiste una forte pressione verso un<br />
contenimento dell’uso degli antibiotici sia per uso umano che per<br />
uso animale. Se queste scelte vengono giustificate e promosse<br />
(nel suo piccolo, peraltro, anche da chi scrive) nel contesto del<br />
modello di sviluppo sostenibile denominato “One Health”, occorre<br />
chiedersi se questo non porti a un ulteriore disimpegno nella fase<br />
di discovery di nuovi principi attivi o nuovi meccanismi e se, di<br />
fatto, stiamo accompagnando le nuove generazioni a un futuro<br />
senza trattamenti antibatterici. Analogo discorso potremmo fare<br />
per le malattie rare, per le quali oltre alle difficoltà intrinseche di<br />
intervento sul meccanismo eziopatogenico, esiste una barriera<br />
allo sviluppo legata alle revenue su investimenti a elevatissimo<br />
rischio. Ma questo, evidentemente, mette un numero sempre<br />
crescente di cittadini europei in condizioni di non aver accesso a<br />
cure, a volte neppure compassionevoli. Un’industria farmaceutica<br />
che adotta un modello di sviluppo sostenibile, quindi, deve per<br />
prima cosa – con il supporto di tutti gli stakeholder, inclusi<br />
naturalmente i sistemi pubblici – definire i piani di investimento<br />
sui medical need proiettati nel medio-lungo termine.<br />
GARANTIRE LA SOSTENIBILITÀ<br />
DEL SSN<br />
Immediato corollario di quanto sopra è la sostenibilità economica<br />
dei sistemi sanitari pubblici e della fiscalità generale che deve<br />
accompagnare l’accessibilità estesa del prodotto farmaceutico.<br />
La trasformazione dell’industria farmaceutica da un modello a<br />
blockbuster (una medicina per tantissimi pazienti) a un modello<br />
di medicina personalizzata (farmaci cuciti su specifici genotipi<br />
o fenotipi), dove il prezzo del prodotto farmaceutico è diventato<br />
variabile indipendente dal suo costo industriale, corre il rischio,<br />
da una parte, di compromettere i sistemi sanitari universalistici<br />
e mutualistici, dall’altra di privare intere fasce di cittadini di<br />
disponibilità di farmaci (pensiamo appunto alle malattie rare).<br />
I correttivi di natura finanziaria che via via i sistemi sanitari<br />
13
pubblici tendono a implementare per garantire un livello di<br />
erogazione del servizio almeno sufficiente probabilmente<br />
sortiscono nel medio termine effetti addirittura opposti, rischiando<br />
di bloccare investimenti e innovazione, vedi – solo uno tra i tanti – il<br />
meccanismo del cosiddetto payback in Italia.<br />
Questi sono temi che senza dubbio riguardano la sostenibilità<br />
del settore farmaceutico nel medio-lungo periodo ma che<br />
vedono paradossalmente l’industria farmaceutica spesso<br />
come controparte piuttosto che come attore. Ma, in realtà,<br />
l’implementazione di obiettivi di sostenibilità del settore nel mediolungo<br />
termine impongono – per l’industria e per le organizzazioni<br />
di rappresentanza – un approccio negoziale che tenga conto<br />
delle necessità di stabilire modelli di rimborsabilità, definizione di<br />
costo/efficacia, accesso a generici/biosimilari che consentano la<br />
“affordability” del medicinale sia per il paziente che per il sistema<br />
pagatore. Se il modello consente questo risultato, allora anche la<br />
sostenibilità del settore sarà preservata.<br />
LA SUPPLY CHAIN GLOBALIZZATA<br />
Infine, ma non certo ultimo, fattore di criticità per il raggiungimento<br />
di obiettivi di sostenibilità del settore è la complessità della<br />
supply chain. Viene spesso osservato che la delocalizzazione e<br />
l’outsourcing di alcune attività permettono una migliore aderenza<br />
a diversi obiettivi di sostenibilità, particolarmente quelli legati<br />
all’impatto sulle emissioni nell’ambiente e sulla neutralità<br />
climatica. Ma la filiera globalizzata senza dubbio produce altri<br />
elementi critici che spesso si manifestano nella rottura di stock e<br />
nella carenza di particolari farmaci o addirittura classi di farmaci.<br />
La globalizzazione e le filiere complesse hanno in alcuni casi<br />
provocato la mancanza di tecnologia e di materia prima per la<br />
produzione di taluni principi attivi, intermedi o eccipienti. Nel<br />
caso di tensioni sui prezzi, instabilità politica o vere e proprie<br />
decisioni strategiche industriali o di marketing, improvvisamente<br />
intere regioni possono trovarsi in mancanza di disponibilità, che<br />
naturalmente impatta sui gruppi di popolazione più deboli o più<br />
esposti. Ulteriore corollario è la qualità del farmaco. La mancanza<br />
di trasparenza, e a volte di vera e propria informazione, sulla<br />
supply chain determina il rischio di immissione nel mercato di<br />
farmaci di bassa qualità, contaminati da impurezze di produzione,<br />
quando naturalmente non falsificati interamente. La sostenibilità<br />
del comparto farmaceutico, quindi, richiede l’adozione sempre più<br />
generalizzata di procedure di buona fabbricazione e, soprattutto, di<br />
procedure di controllo e di autovalutazione di qualità. Da una parte<br />
questo avrà certamente un impatto sui costi, soprattutto delle<br />
materie prime e degli intermedi, ma avrà il vantaggio nel mediolungo<br />
termine di consentire il raggiungimento degli obietti di<br />
zero-pollution, dello European green deal. L’emissione di residui di<br />
produzione nell’ambiente è in effetti la fonte principale di concern<br />
per la sostenibilità ambientale del comparto farmaceutico. Se<br />
l’implementazione sempre più diffusa di metodologie produttive<br />
”green” (dalla flow chemistry alle tecniche solvent-free) consente<br />
di ridurre significativamente l’emissione ambientale di solventi<br />
volatili, il problema delle contaminazioni, impurezze e usi impropri<br />
(incluso lo scarto di prodotti non utilizzati) ha un potenziale di<br />
impatto in termini di resistenza microbica, distruzione endocrina e<br />
immissione nella filiera alimentare di grande portata, che richiede<br />
l’implementazione di procedure, da parte industriale ma non solo,<br />
di risk assessment e di condizioni di uso dei medicinali.<br />
La strada verso l’aderenza agli obiettivi di sostenibilità per<br />
l’industria farmaceutica richiede una mobilizzazione di risorse<br />
– anche culturali – di grande importanza ma che hanno un<br />
altrettanto grande potenziale di ritorno economico e di reputazione<br />
nella pubblica opinione.<br />
14
SOSTENIBILITÀ AMBIENTALE O ECONOMICA?<br />
QUESTO È IL DILEMMA…<br />
Gli obiettivi climatici incombono e l’ambiente reclama le sue<br />
ragioni: una sfida su più fronti per l’industria farmaceutica, tra lo<br />
sviluppo di soluzioni green e la salvaguarda del comparto<br />
Monica Torriani<br />
16
makinglife | aprile <strong>2023</strong><br />
L’adozione di misure di sostenibilità<br />
ambientale sta impegnando<br />
duramente l’intera filiera dei farmaci,<br />
già stressata da pandemia, carenze<br />
e rincari della bolletta energetica.<br />
Se è ragionevole immaginare che<br />
si proceda verso gli obiettivi di<br />
neutralità climatica per step graduali<br />
e che i successivi adeguamenti siano<br />
progettati in maniera specifica per<br />
ogni settore produttivo, il target<br />
rimane comunque ambizioso.<br />
Ciò che emerge dalle esperienze di<br />
transizione green finora esaminate<br />
è che un approccio pragmatico<br />
è, come spesso succede, d’aiuto<br />
nell’identificare soluzioni in<br />
grado di dare il via a cicli virtuosi.<br />
Fare in modo, in sostanza, che<br />
gli adeguamenti necessari al<br />
raggiungimento degli obiettivi di<br />
sostenibilità non rappresentino<br />
un costo tout court, ma che<br />
rappresentino un investimento.<br />
UN PROBLEMA (MA<br />
GRANDE) E TANTE<br />
PICCOLE SOLUZIONI<br />
Da un punto di vista generale, il<br />
primo passo è quello, già intrapreso<br />
da tutto il settore, di individuare<br />
i punti di efficienza lungo l’intera<br />
catena del valore. Fin qui l’approccio<br />
è chiaramente vantaggioso, perché<br />
ottimizzare i processi garantisce<br />
benefici potenzialmente non<br />
trascurabili sotto il profilo dei<br />
consumi e, dati i prezzi alle stelle di<br />
materie prime ed energia, risparmi<br />
notevoli.<br />
Un secondo intervento è quello<br />
rappresentato dall’efficientamento,<br />
che deve essere ben calibrato<br />
per assumere le necessarie<br />
caratteristiche di cost effectiveness.<br />
Diversi analisti sposano, inoltre,<br />
l’idea di ispirarsi al modello tracciato<br />
dall’industria cosmetica, che<br />
presenta alcune significative affinità<br />
con quella farmaceutica.<br />
I produttori di cosmetici hanno<br />
puntato sulla sostenibilità del<br />
packaging per ridurre l’impatto<br />
ambientale della loro attività senza<br />
intaccare gli standard di sicurezza.<br />
Sono numerose le soluzioni già<br />
applicate per i prodotti beauty. Fra<br />
le più interessanti, l’impiego di<br />
vasetti airless in carta o vetro, in<br />
grado di prevenire l’ossidazione e<br />
la contaminazione microbica del<br />
contenuto e di garantire precisione<br />
nel dosaggio. Gli airless promettono<br />
una vera e propria esplosione nel<br />
settore: Research&Markets, big delle<br />
ricerche di mercato, ha stimato<br />
che il mercato degli airless, oggi<br />
valutato intorno ai 3,2 miliardi di<br />
euro, dovrebbe superare i 7 miliardi<br />
entro il 2027, con una crescita media<br />
annua del 5,7%. Altri esempi virtuosi<br />
sono l’utilizzo di materiali composti<br />
da RPet proveniente fino all’80%<br />
da bottiglie riciclate, le macchine<br />
termoformatrici-riempitrici verticali<br />
(che lavorano garantendo uno scarto<br />
industriale in produzione vicino allo<br />
zero), le fiale stand-up e squeezable,<br />
i contenitori termoformati in<br />
carta (differenziabili direttamente<br />
nel contenitore della carta), e il<br />
packaging biobased (realizzato con<br />
biopolimeri completamente riciclabili<br />
derivanti da risorse rinnovabili e<br />
materiali naturali non legati alla<br />
catena alimentare).<br />
L’innovazione riguarda anche i<br />
processi produttivi: la sfida è quella<br />
di avere siti produttivi alimentati<br />
esclusivamente con energia da fonti<br />
rinnovabili e basati sull’utilizzo di<br />
macchinari 4.0 ad alta efficienza e<br />
ridotto impatto ambientale.<br />
Un concetto poco stressato ma<br />
di particolare rilevanza è quello<br />
della produzione di prossimità,<br />
strategica sia dal punto di vista della<br />
soddisfazione dei bisogni di salute<br />
(ad esempio per garantire l’accesso<br />
ai farmaci in condizioni di emergenza<br />
di vario tipo) che da quello della<br />
sostenibilità (meno inquinamento da<br />
trasporto).<br />
In tutto questo, la comunicazione<br />
può e deve fare la sua parte. Come<br />
sperimentato da molte realtà<br />
industriali di successo, investire<br />
sulla produzione di una narrativa<br />
funzionale al business per attrarre<br />
i consumatori, sempre più sensibili<br />
alle tematiche green, sembra essere<br />
una buona idea. Va da sé che, in un<br />
campo come questo, si sia costretti<br />
a muoversi con grandissima<br />
circospezione: è un attimo scivolare<br />
da un lato nel greenwashing e<br />
dall’altro nella ripetizione di slogan<br />
che hanno già fatto il loro tempo.<br />
17
LA NORMATIVA<br />
EUROPEA SUL<br />
PACKAGING WASTE<br />
Nell’ambito del Green Deal, lo<br />
scorso novembre la Commissione<br />
europea ha presentato una proposta<br />
di Regolamento per il riciclo e il<br />
riuso degli imballaggi, che sono fra<br />
i prodotti che impegnano maggiori<br />
quantità di materie prime (il 40%<br />
della plastica utilizzata in UE, per<br />
citare un esempio) e che generano<br />
i maggiori volumi di rifiuti. La<br />
proposta prevede di ridurre i rifiuti di<br />
imballaggio del 15% pro-capite per<br />
ogni Paese entro il 2040 e, per usare<br />
un eufemismo, non è stata accolta<br />
con grande favore dai rappresentanti<br />
delle aziende.<br />
Il fatto è che le recenti stime<br />
destano seria preoccupazione circa<br />
il raggiungimento degli obiettivi<br />
di neutralità climatica al 2050<br />
e autorizzano a ritenere che, in<br />
mancanza di provvedimenti seri da<br />
attuare al più presto, entro il 2030 in<br />
UE si registrerebbe (addirittura) un<br />
aumento (del 19% circa) del volume<br />
dei rifiuti provenienti dagli imballaggi<br />
(+46% se si parla di plastica).<br />
Gli obiettivi della normativa sono<br />
quelli di prevenire la produzione<br />
di rifiuti di imballaggio (anche<br />
imponendo più restrizioni e<br />
promuovendo il ricorso a elementi<br />
riutilizzabili e ricaricabili),<br />
promuovere il riciclo di qualità<br />
elevata (il cosiddetto “riciclaggio a<br />
circuito chiuso”, in modo da rendere<br />
tutti i packaging presenti nel mercato<br />
riciclabili in modo economicamente<br />
sostenibile entro il 2030) e ridurre<br />
il fabbisogno di risorse naturali<br />
primarie (aumentando l’uso della<br />
plastica riciclata attraverso obiettivi<br />
vincolanti).<br />
Per rendere raggiungibili questi<br />
obiettivi, i formati degli imballaggi<br />
verranno standardizzati, la possibilità<br />
di riutilizzare i packaging sarà<br />
evidenziata chiaramente in etichetta<br />
e verranno vietati alcuni tipi di<br />
imballaggi monouso.<br />
Malgrado la proposta sia stata<br />
descritta come un’opportunità<br />
commerciale per l’industria,<br />
soprattutto nella misura in cui<br />
potrebbe ridurre la dipendenza dalle<br />
risorse primarie e accorciare la<br />
supply chain, il mondo dell’industria<br />
ha reagito con molto scetticismo,<br />
anche alla luce dei rischi che tale<br />
normativa genererebbe in termini di<br />
sopravvivenza delle stesse aziende.<br />
IL PHARMA CHE FA<br />
DOPPIAMENTE BENE<br />
ALLA SOCIETÀ<br />
L’industria farmaceutica si conferma,<br />
al netto delle oggettive difficoltà,<br />
attivamente impegnata nella sfida<br />
posta dagli obiettivi climatici.<br />
La Fondazione Angelini, finanziata<br />
dagli utili del gruppo Angelini<br />
Industries, nel 2021 ha sostenuto<br />
15 progetti in ambito ESG. Tra quelli<br />
a tutela dell’ambiente, citiamo le<br />
iniziative incentrate sulla sostituzione<br />
del Pvc con Pet (più riciclabile) e la<br />
riduzione di oltre 1.000 tonnellate<br />
delle emissioni di CO₂ grazie<br />
all’efficientamento energetico dei siti<br />
produttivi.<br />
Saliamo in Nord Europa per<br />
raccontare di come Novo Nordisk<br />
affronta le tematiche ambientali.<br />
La pharma danese ha già raggiunto<br />
l’obiettivo di utilizzare il 100% di<br />
elettricità proveniente da fonti<br />
rinnovabili nella sua produzione e si<br />
propone, entro il 2030, di generare<br />
emissioni zero di CO₂ anche dai<br />
trasporti. Inoltre, è impegnata nella<br />
ricerca di soluzioni al fine vita dei<br />
dispositivi medici. Un esempio<br />
paradigmatico è quello rappresentato<br />
dalle penne per l’insulina, che sono<br />
costituite per il 77% di materiali<br />
plastici ma non possono essere<br />
gettate nel contenitore di riciclo<br />
per la plastica: l’azienda ha attivato<br />
una collaborazione che ha portato<br />
alla realizzazione di un macchinario<br />
in grado di separare e riciclare le<br />
diverse componenti.<br />
Proprio da questo punto di vista, Novo<br />
Nordisk dà vita a collaborazioni con<br />
partner che condividono lo stesso<br />
obiettivo: in quest’ottica, è diventata<br />
la prima azienda farmaceutica a far<br />
parte del network CE100 (“Circular<br />
economy 100”, di Fondazione Ellen<br />
MacArthur, organizzazioni pubbliche e<br />
private in una rete per la condivisione<br />
di conoscenze ed esperienze nel<br />
campo dell’economia circolare).<br />
Passando al settore dermocosmetico,<br />
l’italianissimo Istituto Ganassini ha<br />
modificato lo scorso anno lo statuto<br />
per diventare società benefit (sono<br />
aziende che, oltre allo scopo di<br />
dividere gli utili, perseguono una o<br />
più finalità di sociale e si impegnano<br />
a operare in modo responsabile,<br />
sostenibile e trasparente). Rientra in<br />
questa visione l’aggiornamento nella<br />
formulazione dei prodotti solari, oggi<br />
privi di siliconi e nanoparticelle, e lo<br />
sforzo per aumentare la sostenibilità<br />
del packaging. Fra i progetti pensati<br />
per il <strong>2023</strong>, un nuovo hub logistico<br />
di 30mila metri quadrati collegato<br />
al sito produttivo di Milano, dotato<br />
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ai valori<br />
Simone Montonati<br />
Di fronte a un contesto normativo globale<br />
che sta progressivamente aumentando<br />
la sua stretta sui temi ESG, le imprese di<br />
tutti i settori devono adeguare cultura<br />
aziendale e strategie produttive e<br />
commerciali<br />
Valeria Brambilla, Life science and healthcare leader e<br />
presidente del consiglio di amministrazione di Deloitte & Touche<br />
Sebbene molti studi affermino<br />
che il comportamento etico<br />
di un’azienda dipenda molto<br />
più dalla sensibilità dei suoi<br />
leader che dagli obblighi<br />
di legge, anche il quadro<br />
normativo può avere un<br />
ruolo di rilievo nel guidare<br />
le strategie imprenditoriali.<br />
A un sondaggio pubblicato<br />
quest’anno da Deloitte, i due<br />
terzi dei manager C-level<br />
intervistati ha risposto che<br />
le variazioni nell’ambiente<br />
regolatorio hanno indotto<br />
le loro organizzazioni ad<br />
aumentare l’impegno sul<br />
clima nel corso dell’ultimo<br />
anno. Un meccanismo sul<br />
quale intende fare leva anche<br />
la Commissione europea<br />
con l’introduzione periodica<br />
di normative in tema di<br />
sostenibilità. Nell’ambito<br />
della rendicontazione delle<br />
performance ambientali,<br />
sociali e di governance (ESG),<br />
ad esempio, il 5 gennaio<br />
<strong>2023</strong> è entrato in vigore<br />
per le aziende europee la<br />
Corporate sustainability<br />
reporting directive (CSRD).<br />
La direttiva, che sostituisce<br />
la precedente Non-financial<br />
reporting directive (NFRD)<br />
del 2014, estende a tutte le<br />
società quotate sui mercati<br />
regolamentati dall’UE (tranne<br />
le microimprese) l’obbligo<br />
di redigere il report di<br />
sostenibilità e alza il livello di<br />
dettaglio delle informazioni<br />
che devono essere fornite.<br />
Ad esempio, le aziende<br />
20
makinglife | aprile <strong>2023</strong><br />
dovranno ora specificare<br />
non solo come la loro attività<br />
impatta sulla società e<br />
sull’ambiente (la cosiddetta<br />
analisi di materialità) ma<br />
anche come i fattori di<br />
sostenibilità influenzano<br />
le performance aziendali<br />
(doppia materialità). Inoltre,<br />
verranno introdotti standard<br />
obbligatori e comuni a tutte<br />
le aziende (sebbene siano<br />
previste differenze tra<br />
grandi imprese e Pmi) e la<br />
relazione sulla sostenibilità<br />
dovrà essere integrata nel<br />
bilancio finanziario (non<br />
potrà più essere presentata<br />
a parte). Una stretta<br />
notevole, dunque, destinata<br />
a influenzare l’approccio del<br />
mondo produttivo ai temi<br />
della sostenibilità, come ci<br />
spiega Valeria Brambilla, Life<br />
science and healthcare leader<br />
e presidente del consiglio di<br />
amministrazione di Deloitte &<br />
Touche.<br />
Come si sta evolvendo il<br />
panorama normativo di<br />
riferimento?<br />
Il panorama normativo su<br />
tematiche di sostenibilità<br />
è in continua e dinamica<br />
evoluzione per tutte le<br />
aziende, a partire dalla<br />
crescente richiesta di<br />
informazioni chiare e<br />
trasparenti da parte di tutti<br />
gli stakeholder. Il legislatore<br />
europeo ha rafforzato, negli<br />
ultimi anni, la normativa<br />
relativa al reporting non<br />
finanziario. Nel 2014 è<br />
infatti stata approvata la<br />
Non financial reporting<br />
directive (NFDR), recepita<br />
in Italia con apposito<br />
“<br />
Con la nuova<br />
direttiva<br />
europea, nei<br />
prossimi anni<br />
si amplierà il<br />
bacino delle<br />
aziende obbligate<br />
a fornire il<br />
“Bilancio di<br />
sostenibilità”<br />
decreto alla fine del 2016, che<br />
sancisce l’obbligo agli enti di<br />
interesse pubblico di grandi<br />
dimensioni di pubblicare la<br />
cosiddetta “Dichiarazione<br />
non finanziaria”, più<br />
genericamente nota come<br />
“Bilancio di sostenibilità”.<br />
Nei prossimi anni si amplierà<br />
il bacino delle aziende<br />
obbligate a fornire tale<br />
informativa, grazie alla<br />
Corporate sustainability<br />
reporting directive (Crsd),<br />
che riguarderà anche le<br />
aziende non quotate che<br />
rispettano specifici criteri. Con<br />
riferimento alle aziende del<br />
Pharma, risulta sempre più<br />
rilevante dare – o migliorare<br />
– l’informativa in relazione ai<br />
principali elementi ESG che<br />
caratterizzano il settore e su<br />
cui gli stakeholder potranno<br />
orientare le proprie decisioni<br />
d’investimento o d’acquisto.<br />
Tra questi, l’accesso ai<br />
farmaci, la determinazione dei<br />
prezzi dei farmaci, l’equità in<br />
materia di salute e la diversità<br />
nella leadership oltre che la<br />
sostenibilità ambientale.<br />
La cultura aziendale si sta<br />
adeguando?<br />
Le aziende si dimostrano<br />
sempre più consapevoli<br />
dell’importanza di fare un<br />
vero e proprio cambio di<br />
passo per favorire lo sviluppo<br />
sostenibile. È necessario<br />
passare da una prospettiva<br />
orientata al profitto, e quindi<br />
allo shareholder, a una più<br />
orientata agli impatti generati<br />
a 360 gradi, su tutti gli<br />
stakeholder, sull’ambiente e<br />
sulla possibilità di contribuire<br />
allo sviluppo sostenibile.<br />
E questo vale per le<br />
organizzazioni di tutti i settori,<br />
“<br />
È necessario<br />
passare da una<br />
prospettiva<br />
orientata al<br />
profitto, e<br />
quindi allo<br />
shareholder,<br />
a una più<br />
orientata<br />
agli impatti<br />
generati a<br />
360 gradi<br />
non solo per le imprese<br />
che operano nell’industria<br />
farmaceutica. L’approccio alla<br />
sostenibilità delle aziende<br />
risulta in rapida e dinamica<br />
evoluzione, anche grazie<br />
all’intervento del legislatore e<br />
alla crescente consapevolezza<br />
degli stakeholder. Esistono<br />
casi di aziende che hanno<br />
realmente integrato i<br />
fattori ESG nei propri<br />
business plan, nonostante<br />
effettivamente il loro numero<br />
sia ancora limitato e riferibile<br />
maggiormente a player più<br />
strutturati.<br />
E nel settore farmaceutico<br />
qual è la situazione?<br />
Con riferimento al settore<br />
pharma, in molti casi<br />
assistiamo alla definizione di<br />
specifici ruoli e responsabilità<br />
in ambito ESG, con<br />
l’istituzione per esempio del<br />
sustainability manager o del<br />
chief sustainability officer,<br />
che devono focalizzare<br />
la loro attenzione sia sul<br />
reporting e la comunicazione<br />
della sostenibilità, che sulla<br />
definizione di strategie<br />
per il miglioramento delle<br />
performance. Tali figure sono<br />
cruciali nel guidare l’azienda<br />
e i suoi stakeholder e nel<br />
mantenere un approccio<br />
coerente e omogeneo ai<br />
principi di sostenibilità.<br />
La crescente attenzione al<br />
tema della sostenibilità e del<br />
cambiamento climatico non<br />
solo da parte della business<br />
community, ma dell’intera<br />
società, è sicuramente<br />
un driver importante per<br />
le organizzazioni nella<br />
definizione delle proprie<br />
21
strategie aziendali, le quali<br />
devono essere in grado<br />
di generare benefici a<br />
tutti i livelli, sia in termini<br />
di efficienza operativa e<br />
finanziaria, sia dal punto<br />
di vista del brand e della<br />
reputazione aziendale.<br />
Le imprese hanno<br />
iniziato a implementare il<br />
percorso di identificazione<br />
ed engagement degli<br />
stakeholder?<br />
Decisamente sì, le aziende<br />
si dimostrano sempre più<br />
attive e aperte al dialogo<br />
con gli stakeholder sulle<br />
tematiche di sostenibilità,<br />
proprio nella consapevolezza<br />
dell’importanza di cogliere i<br />
bisogni e le aspettative del<br />
proprio contesto di riferimento<br />
per non perdere opportunità<br />
di mercato.<br />
Esiste sempre un gap tra Pmi<br />
e big?<br />
Sicuramente le aziende<br />
“big” continuano a essere<br />
all’avanguardia su molti<br />
fronti, incluso quello<br />
della sostenibilità, ma<br />
rappresentano anche, e<br />
sempre di più, uno stimolo per<br />
il miglioramento dell’intero<br />
settore. Assistiamo infatti<br />
a casi di aziende di piccole<br />
e medie dimensioni che<br />
prendono spunto dalle azioni<br />
delle aziende più grandi<br />
per migliorare le proprie<br />
performance in ambito ESG,<br />
nella diffusa consapevolezza<br />
di come questi elementi<br />
possono tradursi in vantaggi<br />
competitivi e distintività<br />
sul mercato. È inoltre bene<br />
evidenziare che, nell’ambito<br />
del reporting di sostenibilità<br />
“<br />
In un<br />
contesto come<br />
quello attuale,<br />
i temi della<br />
sostenibilità<br />
devono entrare<br />
all’interno del<br />
business model<br />
ed essere elemento<br />
competitivo e di<br />
reputazione<br />
e della crescente richiesta<br />
di trasparenza da parte<br />
degli stakeholder, si rende<br />
sempre più necessario fornire<br />
informazioni sull’intera<br />
catena del valore aziendale,<br />
includendo quindi soggetti a<br />
monte e a valle della propria<br />
attività produttiva.<br />
Faccio un esempio molto<br />
pratico: le grandi aziende che<br />
vogliono fornire informativa<br />
sulla propria impronta di<br />
carbonio non potranno<br />
che includere informazioni<br />
riguardanti la fornitura e la<br />
logistica. Queste aziende<br />
andranno quindi a chiedere<br />
specifiche informazioni<br />
ai propri fornitori, in molti<br />
casi di minori dimensioni,<br />
che si troveranno quindi<br />
obbligati a misurare tali dati<br />
per mantenere i rapporti di<br />
business esistenti. Questo<br />
attiva spesso processi virtuosi,<br />
che portano il piccolo fornitore<br />
a volersi dotare di propri<br />
strumenti per il reporting e la<br />
disclosure delle informazioni<br />
di sostenibilità, che si rendono<br />
“obbligatorie” per restare sul<br />
mercato. A tendere è quindi<br />
auspicabile, nella migliore<br />
delle ipotesi, che questi<br />
processi virtuosi portino a una<br />
più ampia consapevolezza<br />
della necessità di misurarsi<br />
e di definire obiettivi di<br />
sostenibilità per contribuire<br />
allo sviluppo sostenibile.<br />
Com’è la situazione in Italia<br />
rispetto al resto d’Europa e<br />
del mondo?<br />
Stante il contesto normativo<br />
europeo, da cui l’Italia deriva<br />
le proprie linee d’azione<br />
in ambito di sostenibilità,<br />
possiamo ritenere che il<br />
nostro Paese non si discosti<br />
molto dagli altri Stati Membri<br />
dell’Unione. L’Unione europea<br />
si dimostra all’avanguardia<br />
su questi temi, avendo<br />
definito il proprio obiettivo<br />
di carbon neutrality al 2050<br />
e continuando a definire<br />
normative che riguardano<br />
svariati settori di business,<br />
stimolando uno sviluppo<br />
sostenibile che si prospetta<br />
con ritmi più sostenuti rispetto<br />
a quelli di altre parti del<br />
mondo. Inoltre, il nostro Paese<br />
nel compiere passi in avanti<br />
in termini di responsabilità<br />
ambientale e sociale può fare<br />
leva sul Pnrr, che rappresenta<br />
la base da cui avviare in<br />
modo sistemico un’ambiziosa<br />
strategia di ammodernamento<br />
su queste tematiche e non<br />
solo.<br />
Il panorama geopolitico sta<br />
influenzando i percorsi di<br />
sostenibilità delle aziende?<br />
Negli ultimi anni le aziende<br />
hanno dimostrato di avere<br />
una capacità di resilienza<br />
ai vari fenomeni disruptive,<br />
adattandosi alle contingenze<br />
e cercando di guardare<br />
in prospettiva e attribuire<br />
valore strategico agli<br />
investimenti immateriali<br />
come la sostenibilità. In<br />
un contesto come quello<br />
attuale, i temi della<br />
sostenibilità devono entrare<br />
all’interno del business<br />
model ed essere elemento<br />
competitivo e di reputazione.<br />
Da qui ai prossimi anni le<br />
organizzazioni dovranno<br />
avere sempre più la capacità<br />
di prevedere investimenti<br />
e risorse a sostegno di tale<br />
transizione.<br />
La comunicazione nel settore<br />
pharma è rimasta ancorata<br />
al valore del prodotto oppure<br />
si è aperta a una definizione<br />
più ampia del valore?<br />
Assistiamo a una crescente<br />
apertura della comunicazione<br />
delle aziende del pharma, che<br />
dimostrano sempre più come<br />
il settore possa contribuire<br />
alla qualità della vita delle<br />
persone, anche grazie alla<br />
spinta fornita dalla necessità<br />
di rispondere alla crisi<br />
pandemica. Creare fiducia<br />
attraverso una comunicazione<br />
a più ampio spettro è<br />
fondamentale per dimostrare<br />
il vero valore che le aziende<br />
biofarmaceutiche e il sistema<br />
sanitario apportano alla<br />
società, pur rispondendo agli<br />
azionisti e agli stakeholder<br />
delle scelte operate, con<br />
gli opportuni indicatori<br />
di carattere finanziario,<br />
nonché al legislatore e agli<br />
enti regolatori di settore, in<br />
relazione alle specifiche di<br />
prodotto.<br />
22
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Chimica in<br />
cammino per<br />
la sostenibilità<br />
LE PERFORMANCE IN TEMA<br />
DI SICUREZZA, SALUTE E<br />
AMBIENTE DELL’INDUSTRIA<br />
CHIMICA ITALIANA SUPERANO<br />
SIGNIFICATIVAMENTE LA<br />
MEDIA DEL MANIFATTURIERO,<br />
SOPRATTUTTO PER LE<br />
AZIENDE IMPEGNATE NEL<br />
PROGRAMMA REPONSIBLE<br />
CARE<br />
Elena Perani<br />
26
makinglife | aprile <strong>2023</strong><br />
Il valore economico generato nel 2021<br />
dalle oltre 2.800 imprese dell’industria<br />
chimica nei loro 3.200 insediamenti è<br />
di 56,4 miliardi di euro. Le spese per<br />
l’innovazione superano gli 880 milioni<br />
di euro di cui 630 sono destinati alla<br />
ricerca, anche con il coinvolgimento di<br />
università e centri di ricerca.<br />
Richiamandosi all’Agenda 2030 delle<br />
Nazioni Unite e ai suoi 17 Sustainable<br />
development goals, Federchimica<br />
nel 28° rapporto “Responsible Care”,<br />
pubblicato a fine 2022, riepiloga i<br />
risultati in materia di sostenibilità<br />
del comparto chimico fino al 2021<br />
evidenziando le performance delle<br />
aziende aderenti al programma<br />
volontario, che rappresentano le<br />
eccellenze di questa industria.<br />
Per perseguire la sostenibilità sociale e<br />
ambientale, l’industria chimica destina<br />
strutturalmente il 2% del fatturato.<br />
La spesa per sicurezza, salute e<br />
ambiente affrontata dalle imprese<br />
RC è di 724 milioni di euro nel 2021<br />
(+3,6% rispetto al 2020), di cui 447<br />
milioni per costi operativi e 277 per<br />
investimenti. L’industria chimica nel<br />
suo complesso ha speso in queste aree,<br />
tra investimenti e costi operativi, oltre<br />
1.100 milioni di euro nel 2021 (+3,5%<br />
rispetto al 2020).<br />
LIVELLI DI ADESIONE<br />
A trent’anni dalla sua introduzione<br />
in Italia da parte di Federchimica, il<br />
programma volontario Responsible<br />
Care (RC) dell’industria chimica,<br />
nato in Canada negli anni ’80 e poi<br />
adottato in tutto il mondo, conta oggi<br />
la partecipazione di 173 imprese su<br />
un totale di oltre 1.400 iscritte alla<br />
Federazione dell’Industria chimica<br />
per 453 siti produttivi su 1.860, che<br />
includono la quasi totalità di quelli<br />
di maggiori dimensioni. Gli aderenti<br />
al programma totalizzano il 62%<br />
del fatturato del comparto chimico<br />
nazionale e oltre 45mila dipendenti sui<br />
più di 112mila del settore. La diffusione<br />
dei sistemi di gestione certificati conta<br />
il 55% dei segnatari di Responsible<br />
Care per quanto riguarda la ISO 45001,<br />
relativa a salute e sicurezza sui luoghi<br />
di lavoro e il 65% di almeno una delle<br />
unità locali delle imprese riguardo la<br />
certificazione ambientale ISO 14001.<br />
Il rapporto Responsible Care 2022<br />
rende conto dell’impegno delle<br />
aziende chimiche aderenti in campo di<br />
sicurezza, salute e tutela dell’ambiente<br />
nonché dei risultati economici ottenuti,<br />
senza perdere di vista l’intero comparto<br />
chimico, percorrendo le tre dimensioni<br />
della sostenibilità: Persone, Pianeta,<br />
Prosperità.<br />
LE 3P DELLA<br />
SOSTENIBILITÀ:<br />
PERSONE<br />
Riguardo agli incidenti sul lavoro, la<br />
media del manifatturiero si attesta in<br />
Italia sui 13,9 incidenti per milione di<br />
ore lavorate nel triennio 2019-2021,<br />
mentre il dato dell’industria chimica è<br />
8,2 e 5,4 quello delle imprese coinvolte<br />
in Responsible Care, in linea con la<br />
performance della farmaceutica che<br />
conta 5,8 infortuni. Anche la gravità<br />
degli infortuni è inferiore nelle aziende<br />
impegnate nel programma RC, che<br />
si distinguono anche per una bassa<br />
incidenza di malattie professionali.<br />
A fronte di una media nel manifatturiero<br />
di 0,62 casi di malattia professionale<br />
per milione di ore lavorate, nel lustro<br />
2017-2021 la media dell’industria<br />
chimica è 0,24 casi (-61% rispetto al<br />
manifatturiero), la farmaceutica 0,08.<br />
Il rapporto RC sottolinea come la<br />
salubrità degli ambienti di lavoro sia<br />
oggetto di controllo nell’industria<br />
chimica. Un monitoraggio effettuato su<br />
una cinquantina di imprese evidenzia<br />
come il 96,7% delle esposizioni<br />
professionali alle sostanze chimiche<br />
valutate attraverso i campionamenti<br />
d’area e il 94,2% di quelle valutate<br />
attraverso dosimetrie personali sugli<br />
operatori di linea risultino di oltre<br />
il 75% inferiori al “Valore limite di<br />
riferimento (Tlv)” per la specifica<br />
sostanza. Programmi di controllo<br />
degli ambienti di lavoro, fornitura di<br />
dispositivi di protezione individuale,<br />
formazione degli addetti sui temi di<br />
salute e sicurezza sono alla base delle<br />
performance dell’industria chimica, che<br />
mostrano una tendenza costante alla<br />
riduzione degli infortuni e delle malattie<br />
professionali rispetto ai decenni<br />
passati.<br />
L’attenzione alle persone viene<br />
evidenziata nel report di Federchimica<br />
anche in termini di relazioni industriali,<br />
sottolineando per tutto il comparto<br />
l’attenzione agli aspetti di welfare nel<br />
contratto nazionale, pari opportunità,<br />
attività sindacali, impiego e formazione<br />
dei giovani.<br />
PIANETA: ENERGIA<br />
E ACQUA<br />
I consumi finali di energia si sono<br />
dimezzati nell’industria chimica tra il<br />
1990 e il 2020, superando l’obiettivo<br />
posto dall’Unione europea per il 2030.<br />
Il valore medio dei consumi nel 2020,<br />
calcolato in 3,4 Mtep per l’intero settore<br />
chimico, scende a 2,3 per le aziende<br />
RC, mantenendosi tale anche nel 2021.<br />
L’indice di efficienza energetica (a parità<br />
di produzione) evidenzia una riduzione<br />
dei consumi di -44,1% nel 2020 rispetto<br />
al 2000, contro il -19,1% della media<br />
27
del manifatturiero.<br />
Nel 2021 i prelievi di acqua delle<br />
imprese aderenti a Responsible Care<br />
sono stati pari a 1.202 milioni di<br />
m3, con una riduzione di 227 milioni<br />
rispetto al 2020 e di oltre 900 milioni<br />
rispetto al 2005. L’acqua viene<br />
principalmente utilizzata dalle imprese<br />
chimiche per il raffreddamento degli<br />
impianti (87,5%); il resto per i processi<br />
produttivi, i prodotti e i lavaggi. La<br />
fonte principale di approvvigionamento<br />
è il mare (79%) che, insieme all’acqua<br />
di fiume (9,2% del totale), trova il<br />
maggior impiego per il raffreddamento.<br />
L’acqua dolce (che, oltre al fiume,<br />
comprende pozzo e acquedotto), con<br />
256 milioni di m3 nel 2021 rappresenta<br />
il 21% dei prelievi di acqua delle<br />
imprese RC e ha visto una diminuzione<br />
annua degli emungimenti del 55%<br />
rispetto al 2005, pari a oltre 320<br />
milioni di m3.<br />
Il prelievo di acqua potabile<br />
rappresenta solo il 5,6% dell’acqua<br />
dolce (l’1,1% sul totale prelevato) e<br />
nel 2021 è stato di circa 14 milioni di<br />
m3, inferiore di oltre 20 milioni di m3<br />
rispetto al 2005.<br />
I prelievi specifici di acqua, calcolati<br />
a parità di produzione, si sono ridotti<br />
del 44,1% rispetto al 2005. Per l’acqua<br />
dolce la diminuzione è stata del 56,2%.<br />
EMISSIONI E RIFIUTI<br />
L’industria chimica incide per il 2,7%<br />
sulle emissioni dirette di gas serra<br />
in Italia per un ammontare di 11,4<br />
MtCO2eq nel 2019, l’anno precedente la<br />
pandemia, considerato più significativo<br />
per il raffronto con il 1990, rispetto<br />
a cui si registra un calo del 64%.<br />
L’indice delle emissioni specifiche,<br />
calcolato a parità di produzione, si<br />
è ridotto del 61,8% rispetto al 1990<br />
a evidenziare il raggiungimento di<br />
rilevanti obiettivi di efficienza. Anche le<br />
emissioni di protossido di azoto si sono<br />
ridotte di oltre il 96%, proprio grazie<br />
all’impegno degli attori Responsible<br />
Care. Considerando anche le emissioni<br />
indirette, dovute all’energia e calore<br />
acquistati, l’industria chimica ha ridotto<br />
il proprio impatto sui cambiamenti<br />
climatici del 65% rispetto al 1990.<br />
In questo solco, le imprese aderenti<br />
a Responsible Care segnano una<br />
riduzione di emissioni dirette e indirette<br />
del 71% rispetto al 1990.<br />
L’abbattimento delle emissioni riguarda<br />
anche altri inquinanti legati alle<br />
produzioni chimiche, come anidride<br />
solforosa, ossidi di azoto e composti<br />
organici volatili. Tra le emissioni<br />
esterne al ciclo produttivo, i trasporti<br />
contribuiscono al 23,3% delle emissioni<br />
climalteranti. In Italia, il 55,2% delle<br />
merci viaggia su strada; nel caso delle<br />
imprese RC, la gomma rappresenta il<br />
58,3% dei trasporti mentre la restante<br />
quota prende la via del mare (28,9%) o<br />
le rotaie (10,9%).<br />
Passando ai rifiuti, nel 2021 le aziende<br />
Responsible Care ne producono 1,2<br />
milioni di tonnellate dei circa<br />
2 milioni del totale della chimica (di cui<br />
circa un terzo sono rifiuti pericolosi),<br />
sostanzialmente il linea con gli anni<br />
precedenti (-3,4%). Il 29% di tali rifiuti<br />
è destinato al riciclo di cui il 38% sono<br />
rifiuti pericolosi; la quota riciclata era<br />
del 23% nel 2015. Il 25,4%, finisce in<br />
discarica. Al ripristino ambientale viene<br />
indirizzato il 17,1%, al trattamento<br />
chimico, fisico o biologico il 12,4%.<br />
Ammonta a 11,7% la frazione inviata<br />
all’incenerimento.<br />
Riciclo chimico delle plastiche,<br />
tecnologie dell’idrogeno, biotecnologie,<br />
progettazione sostenibile e circolare dei<br />
prodotti sono le sfide della transizione<br />
ecologica che, nel rapporto Responsible<br />
Care, la chimica, nella sua posizione<br />
a monte di molte filiere, sente di far<br />
proprie in un momento in cui gli sforzi<br />
per un’economia più resiliente e meno<br />
distruttiva richiamano a una superiore<br />
assunzione di responsabilità.<br />
Ipcc: è ancora allarme sul climate change<br />
Il Rapporto di Sintesi AR6 dell’Intergovernmental panel on climate change (Ipcc) delle Nazioni Unite, pubblicato<br />
in marzo <strong>2023</strong>, ribadisce la necessità di intraprendere con urgenza misure volte a rallentare il climate change.<br />
La temperatura media del pianeta è aumentata di 1,1°C in poco più di cento anni e continua a salire a causa<br />
delle attività umane, in particolare l’uso insostenibile dell’energia e del suolo, i cambiamenti di destinazione del<br />
suolo naturale, anch’essi non sostenibili, gli stili di vita, i modelli di consumo e i modelli produttivi incompatibili<br />
con la disponibilità di risorse che l’intero pianeta può rigenerare. Gli scienziati delle Nazioni Unite sottolineano<br />
senza mezzi termini che gli obiettivi che le politiche degli Stati si sono dati per il 2030 difficilmente manterranno<br />
il global heating sotto il limite non recuperabile di un incremento entro 1,5°C e che la finestra di azione che<br />
ancora permette di invertire la tendenza è molto stretta.<br />
Tutti gli attori, politici, economici e civili, sono chiamati a focalizzare e potenziare gli sforzi per scongiurare<br />
l’avvento di una crisi climatica che porterà grave detrimento a tutta la comunità umana, nessuno escluso, e a<br />
tutta la vita sul pianeta.<br />
28
www.pipeline.it<br />
Microsoft Dynamics 365
Missione<br />
sostenibilità<br />
Attuare un programma efficace di<br />
sostenibilità aziendale è un compito<br />
estremamente impegnativo che<br />
riguarda tutte le attività operative e<br />
strategiche e coinvolge ogni livello<br />
di staff<br />
Simone Montonati<br />
30<br />
Abbandonare il modello di<br />
business as usual – finora<br />
efficace e remunerativo –<br />
per aprirsi ai principi della<br />
sostenibilità richiede già<br />
uno sforzo considerevole<br />
ma chi intraprende quella<br />
strada rischia di trovarsi<br />
di fronte a un ostacolo<br />
ancora più grande.<br />
Come rileva la società di<br />
consulenza Mc Kinsey,<br />
infatti, “storicamente<br />
sono poche le aziende che<br />
dispongono di strutture<br />
organizzative concepite per<br />
trattare la sostenibilità”<br />
nella maniera adeguata.<br />
Nominare un responsabile<br />
ESG, organizzare attività<br />
di risparmio energetico<br />
o di riciclo, lasciare<br />
spazio agli obiettivi di<br />
sostenibilità nella strategia<br />
dell’impresa non sarà di<br />
per sé sufficiente. Non<br />
basterà nemmeno gestire<br />
le comunicazioni con<br />
gli stakeholder, definire<br />
gli obiettivi sostenibili<br />
e occuparsi della loro<br />
rendicontazione. Sono<br />
senza dubbio tutti compiti<br />
importanti ma non sono<br />
sufficienti per garantire<br />
un cammino di successo<br />
verso la sostenibilità.<br />
Un processo efficace di<br />
transizione richiede infatti<br />
una fusione completa tra gli<br />
Guido D’Agostino, Head of Global Procurement<br />
del Gruppo Chiesi<br />
obiettivi ESG e tutti gli altri<br />
target aziendali – profitto<br />
compreso – una nuova<br />
attitudine che permei tutte<br />
le attività dell’impresa e una<br />
presa in carico dell’impatto<br />
ambientale globale, non<br />
solo delle proprie attività<br />
ma anche dei propri<br />
partner, dei fornitori e dei<br />
clienti. Significa coinvolgere<br />
tutti i livelli aziendali in<br />
progetti di lungo termine<br />
straordinariamente<br />
ambiziosi sapendo di<br />
dover lavorare spesso<br />
con infrastrutture non<br />
ancora adeguate e di<br />
dover individuare soluzioni<br />
tecniche e tecnologiche<br />
innovative per affrontare<br />
le problematiche – non<br />
di rado sconosciute –<br />
che si incontreranno.
makinglife | aprile <strong>2023</strong><br />
Una missione, dunque,<br />
come emerge da questa<br />
intervista con Guido<br />
D’Agostino, Head of global<br />
procurement del Gruppo<br />
Chiesi, azienda B Corp e<br />
modello di riferimento per<br />
la sostenibilità nel settore<br />
farmaceutico.<br />
Nell’ambito della<br />
sostenibilità, Chiesi è<br />
un punto di riferimento<br />
per il settore. Quali<br />
sono gli obiettivi attuali<br />
dell’azienda?<br />
L’obiettivo più ambizioso<br />
è sicuramente il<br />
raggiungimento delle Zero<br />
Emissioni Nette (Net Zero)<br />
di gas climalteranti entro<br />
il 2035, anno in cui Chiesi<br />
celebrerà i suoi 100 anni<br />
di storia. Si tratta di una<br />
sfida molto impegnativa,<br />
anche perché non dipende<br />
interamente dalle nostre<br />
scelte. Il concetto di Net<br />
Zero, infatti, non implica<br />
solo una riduzione delle<br />
emissioni dirette legate<br />
alle attività produttive,<br />
ma prevede di ridurre<br />
l’impronta carbonica totale<br />
su tutta la nostra catena<br />
del valore, che comprende<br />
anche le emissioni<br />
indirette e quelle associate<br />
ai fornitori e agli asset<br />
acquistati. Dobbiamo infatti<br />
ridurre le emissioni del<br />
cosiddetto “Scope 3”, ovvero<br />
tutte le emissioni associate<br />
ai nostri fornitori e alla vita<br />
dei nostri prodotti dopo la<br />
vendita. Per raggiungere<br />
l’obiettivo stiamo<br />
condividendo il nostro<br />
“<br />
Una società<br />
Benefit non segue<br />
solo obiettivi di<br />
profitto ma si<br />
basa anche sul<br />
concetto di shared<br />
value che significa<br />
creare valore per<br />
la società, per il<br />
pianeta, per le<br />
aziende con cui<br />
lavoriamo, per i<br />
fornitori e per i<br />
partner<br />
concetto di value chain a<br />
tutti i partner del nostro<br />
ecosistema ed è un’impresa<br />
notevole: siamo un’azienda<br />
globale con 30 filiali in tutto<br />
il mondo e vendiamo i nostri<br />
prodotti in oltre 100 Paesi.<br />
Dobbiamo coinvolgere nel<br />
rispetto degli standard<br />
etici e di sostenibilità<br />
un’estesa e complessa rete<br />
di distributori e partner<br />
fondamentali per la nostra<br />
catena distributiva.<br />
Finora, ci siamo concentrati<br />
principalmente sulla<br />
gestione degli acquisti, la<br />
trasformazione dei beni e<br />
la vendita, ma ora stiamo<br />
lavorando per coinvolgere<br />
anche gli altri partner<br />
della filiera. Mi aspetto<br />
che entro i prossimi due<br />
anni potremmo richiedere<br />
a tutti i nostri partner<br />
di fissare obiettivi di<br />
decarbonizzazione, se<br />
non addirittura di essere<br />
certificati come B Corp.<br />
Quanto è importante<br />
essere società Benefit in<br />
questo percorso?<br />
È fondamentale. Una<br />
Società Benefit non segue<br />
solo obiettivi di profitto ma<br />
si basa anche sul concetto<br />
di shared value – valore<br />
condiviso – che significa<br />
creare valore per la società,<br />
per il pianeta, per le<br />
aziende con cui lavoriamo,<br />
per i fornitori e per i<br />
partner. Questo cambia<br />
drasticamente l’approccio<br />
dell’impresa in ogni sua<br />
attività. Il mio ruolo di<br />
responsabile globale del<br />
procurement, ad esempio,<br />
è cambiato radicalmente.<br />
Mi trovo in una posizione<br />
privilegiata perché ora<br />
non sono costretto a<br />
concentrarmi solo sugli<br />
aspetti finanziari, posso<br />
cercare fornitori locali che<br />
abbiano una forte presenza<br />
femminile, che privilegino<br />
persone diversamente abili<br />
o che siano cooperative<br />
sociali anche se ciò<br />
comporta un aumento<br />
dei costi. I concetti di<br />
Diversity e Inclusion sono<br />
molto importanti per noi<br />
e in ambito HR stiamo<br />
lavorando su una nuova<br />
policy globale per i diritti<br />
umani che coinvolgerà non<br />
solo le nostre persone, ma<br />
anche i nostri fornitori, i<br />
nostri clienti, distributori e<br />
collaboratori.<br />
Quali sono gli ambiti più<br />
critici nel percorso verso<br />
la sostenibilità?<br />
Rispetto alle tante aree di<br />
azione, sicuramente la sfida<br />
sul fronte delle emissioni<br />
è la più significativa. Guido<br />
il work stream della value<br />
chain per il gruppo, che<br />
fissa le azioni necessarie<br />
per il raggiungimento<br />
non solo dell’obiettivo<br />
Net Zero, ma anche degli<br />
standard richiesti dalla<br />
proposta sulla Corporate<br />
sustainability due diligence<br />
directive del Parlamento<br />
Europeo, in materia di<br />
sostenibilità. Attualmente<br />
stiamo lavorando con<br />
Bruxelles a un nuovo<br />
tavolo di lavoro su questo<br />
tema che diventerà presto<br />
legge. In Germania la<br />
norma è già in vigore dal<br />
1° gennaio di quest’anno.<br />
Per adeguarci abbiamo<br />
già iniziato ad analizzare i<br />
dati primari delle categorie<br />
più impattanti della nostra<br />
value chain che includono,<br />
ad esempio, i principi attivi<br />
e gli eccipienti delle materie<br />
prime, il confezionamento<br />
primario in plastica e<br />
alluminio e molti altri<br />
componenti plastici<br />
utilizzati nei nostri prodotti<br />
farmaceutici. Stiamo<br />
lavorando a un nuovo piano<br />
strategico di sostenibilità<br />
per il periodo <strong>2023</strong>-2028,<br />
che sarà presentato al<br />
31
nostro interno a luglio.<br />
Vogliamo assicurarci di<br />
monitorare attentamente<br />
l’evoluzione della situazione<br />
nel corso dei prossimi 15<br />
anni per poter raggiungere<br />
il Net Zero al 2035.<br />
Perché non avete scelto la<br />
carbon neutrality?<br />
Perché per raggiungere<br />
la carbon neutrality<br />
l’organizzazione può<br />
non assumersi nessuna<br />
responsabilità, non<br />
modificare in alcun modo<br />
il proprio modo di agire, di<br />
fatto non contribuendo a<br />
trasformare la situazione<br />
globale. L’organizzazione<br />
infatti può limitarsi a<br />
compensare le proprie<br />
emissioni (“carbon<br />
offsetting”) senza sforzarsi<br />
di ridurle in modo<br />
significativo, pagando di<br />
fatto un contributo per<br />
mantenere lo status quo<br />
e per poter affermare<br />
di essere “green” anche<br />
quando aumenta le sue<br />
emissioni.<br />
Net Zero, invece?<br />
La differenza fondamentale<br />
risiede nel fatto che<br />
il concetto di Carbon<br />
Neutrality non costringe<br />
a ridurre drasticamente<br />
le emissioni, lo standard<br />
Net Zero invece sì. Mentre<br />
la carbon neutrality<br />
richiede semplicemente<br />
un’equivalenza tra<br />
emissioni e compensazioni,<br />
“<br />
A differenza<br />
del concetto<br />
di Carbon<br />
Neutrality, lo<br />
standard Net Zero<br />
costringe a ridurre<br />
drasticamente le<br />
emissioni<br />
lo standard Net Zero<br />
chiede invece di ridurre le<br />
emissioni di almeno il 90%<br />
rispetto a una baseline ben<br />
precisa e non permette<br />
compensazione se non<br />
per il 10% rimanente (alla<br />
fine del percorso, dopo<br />
avere già ottenuto tutte le<br />
riduzioni). Si tratta di uno<br />
standard molto più sfidante,<br />
che obbliga le aziende a<br />
concentrare i propri sforzi<br />
sulla riduzione delle proprie<br />
emissioni, modificando i<br />
propri processi e lavorando<br />
su tutta la value chain.<br />
Come vengono calcolati gli<br />
impatti e i progressi?<br />
Chiesi ha sviluppato<br />
un metodo di calcolo<br />
per la valutazione delle<br />
emissioni di CO2 nella<br />
sua supply chain, in linea<br />
con i principi di SBTI, che<br />
sarà sottomesso per la<br />
valutazione di obiettivi<br />
di sostenibilità futuri.<br />
A differenza dei metodi<br />
generalmente impiegati<br />
che si basano su fattori<br />
di conversione teorici (a<br />
ogni categoria di attività<br />
corrisponde un valore di<br />
emissione standard) questa<br />
metodologia si basa sui<br />
dati primari forniti dai<br />
fornitori. Questo significa<br />
che stiamo chiedendo ai<br />
nostri fornitori di rendere<br />
noti dati dettagliati sulla<br />
propria performance ESG,<br />
in modo da calcolare in<br />
maniera precisa l’impatto<br />
ambientale reale di<br />
ogni categoria di spesa.<br />
Chiediamo ai partner di<br />
misurarsi “carbonicamente”<br />
– perché tantissimi non<br />
l’hanno ancora fatto – e<br />
di rendicontare ogni<br />
“<br />
Siamo parte<br />
dello stesso<br />
ecosistema: se i<br />
nostri fornitori<br />
non riducono le<br />
loro emissioni<br />
nei prossimi<br />
15 anni, sarà<br />
per noi difficile<br />
raggiungere<br />
l’obiettivo<br />
Net Zero nei<br />
tempi stabiliti<br />
anno la loro evoluzione,<br />
esattamente come fa<br />
Chiesi stessa. Ovviamente,<br />
dove ciò non sia ancora<br />
possibile faremo ricorso<br />
ai dati statistici ma in<br />
proiezione anche questi<br />
spariranno. Siamo parte<br />
dello stesso ecosistema:<br />
se i nostri fornitori non<br />
riducono le loro emissioni<br />
nei prossimi 15 anni, sarà<br />
per noi difficile raggiungere<br />
l’obiettivo Net Zero nei<br />
tempi stabiliti.<br />
Il trend di crescita<br />
dell’azienda impatta su<br />
questo percorso?<br />
Sì, raggiungere questi<br />
obiettivi per una società in<br />
crescita quasi a doppia cifra<br />
ogni anno è evidentemente<br />
più sfidante: la nostra<br />
spesa è aumentata da 1,2<br />
a 1,5 miliardi di euro tra il<br />
2021 e il 2022 ed è previsto<br />
che raddoppi entro il 2035,<br />
raggiungendo quasi cinque<br />
miliardi di euro di fatturato.<br />
Questo si converte in un<br />
aumento delle emissioni<br />
pari a qualche migliaio di<br />
tonnellate di CO 2<br />
. Siamo<br />
perciò consapevoli che<br />
la nostra curva delle<br />
emissioni è destinata a<br />
salire ancora per qualche<br />
anno, prima di poter<br />
iniziare a scendere. Per<br />
questo abbiamo stabilito<br />
che entro il 2028 una<br />
buona parte dei nostri<br />
partner strategici, che<br />
rappresentano l’80% della<br />
nostra spesa, dovranno<br />
essere già impegnati in<br />
32
makinglife | aprile <strong>2023</strong><br />
percorsi Net Zero simili a<br />
quello di Chiesi.<br />
Com’è stata finora la<br />
risposta dei vostri<br />
fornitori?<br />
“<br />
Non escludo<br />
di fornire piani<br />
di investimento<br />
per sostenere<br />
alcuni fornitori<br />
strategici nella<br />
loro transizione<br />
energetica<br />
La nostra azienda ha la<br />
fortuna di avere una base<br />
molto ampia di fornitori, la<br />
maggior parte dei quali sono<br />
leader nei rispettivi settori<br />
e hanno già implementato<br />
politiche di sostenibilità.<br />
Alcuni di loro già ambiscono<br />
allo stato di Net Zero,<br />
mentre altri sono già B<br />
Corp. In generale, quando<br />
individuiamo un potenziale<br />
partner, proviamo subito ad<br />
aprire un dialogo sui temi<br />
legati alla sostenibilità,<br />
perché questo ci permette<br />
di gestire più facilmente i<br />
nostri obiettivi e guardare<br />
le cose da un altro punto<br />
di vista. Nel mio piano di<br />
sostenibilità, peraltro, non<br />
escludo di prendere in<br />
considerazione la possibilità<br />
- per alcuni fornitori<br />
particolarmente strategici<br />
che si trovano in oggettiva<br />
difficoltà nell’effettuare la<br />
transizione – di fornire un<br />
piano d’investimento per<br />
aiutarli o finanziare la loro<br />
transizione energetica.<br />
Puoi farmi un esempio del<br />
rapporto con i fornitori?<br />
Nel 2026 introdurremo<br />
un nuovo gas propellente<br />
a basso potenziale di<br />
riscaldamento globale per i<br />
nostri inalatori, che servono<br />
a rilasciare i farmaci per<br />
asma e Broncopneumopatia<br />
cronica ostruttiva (BPCO),<br />
che ci permetterà di ridurre<br />
drasticamente (fino al 90%)<br />
la carbon footprint degli<br />
inalatori, il cui impatto oggi<br />
rappresenta la più grande<br />
fonte di emissioni GHG di<br />
tutto il Gruppo Chiesi. Questo<br />
passaggio non viene svolto<br />
sostituendo il fornitore ma<br />
inducendo quello attuale a<br />
sviluppare una soluzione<br />
meno impattante. Per<br />
calcolare l’impatto abbiamo<br />
deciso di non valutare solo<br />
il prodotto o il servizio che<br />
ci fornisce ma di misurare<br />
l’impatto complessivo<br />
delle sue attività. Questo<br />
perché se il mio fornitore ha<br />
altri prodotti o servizi che<br />
impattano negativamente<br />
sull’ambiente, il nostro<br />
sforzo è vanificato. Quindi ci<br />
basiamo sul dato aziendale<br />
globale moltiplicato per il<br />
business che facciamo con<br />
lui. In questo modo, se il<br />
mio fornitore riduce la sua<br />
carbon footprint generale di<br />
qualsiasi servizio o prodotto,<br />
anche il mio impatto si<br />
ridurrà. Questo approccio<br />
è stato oggetto di dibattito<br />
nell’industria, ma il nostro<br />
obiettivo è cambiare il<br />
mondo il più velocemente<br />
possibile, non trovare la via<br />
più facile.<br />
Come Chiesi che interventi<br />
diretti avete effettuato?<br />
Naturalmente anche come<br />
Chiesi stiamo investendo<br />
“<br />
La volontà<br />
della proprietà<br />
è evidente, le<br />
iniziative ci sono<br />
e gli investimenti<br />
non sono un<br />
problema.<br />
Il vero limite<br />
potrebbe essere<br />
rappresentato dalle<br />
infrastrutture<br />
e dalle reti<br />
necessarie per<br />
concretizzare la<br />
transizione<br />
nella decarbonizzazione e<br />
nella produzione di energia<br />
rinnovabile all’interno dei<br />
nostri impianti. Abbiamo<br />
avviato un progetto<br />
denominato “Better<br />
Building”, un programma<br />
globale volto a migliorare<br />
il benessere delle persone<br />
che lavorano nelle nostre<br />
sedi, nonché le prestazioni<br />
di sostenibilità dei nostri<br />
siti, riducendo l’impatto<br />
ambientale sui sistemi<br />
naturali e sulle comunità<br />
locali, dai processi di nuova<br />
realizzazione alle operazioni<br />
negli edifici esistenti. Il<br />
nostro Headquarters di<br />
Parma è il primo edificio del<br />
suo genere, categoria Leed1<br />
Bd+C v.4 New Construction,<br />
ad aver raggiunto il livello<br />
Platinum in Italia ed è tra i<br />
primi 35 edifici al mondo.<br />
Parallelamente, abbiamo<br />
avviato la sperimentazione<br />
di un sistema di<br />
trasporti elettrico per la<br />
movimentazione locale<br />
intorno alla sede centrale,<br />
che è molto consistente.<br />
Per il futuro intendiamo<br />
anche occuparci del<br />
trasporto su lunga tratta.<br />
La volontà della proprietà<br />
è evidente, le iniziative ci<br />
sono e gli investimenti non<br />
sono un problema; il vero<br />
limite potrebbero essere<br />
le infrastrutture e le reti<br />
necessarie per concretizzare<br />
la transizione.<br />
1. Leadership in energy and<br />
environmental design, sviluppato<br />
dallo US Green Building Council<br />
33
Integrare la<br />
sostenibilità<br />
nella<br />
governance<br />
aziendale<br />
Stefano Germini,<br />
Sustainability Manager di Angelini Pharma<br />
IL TEMA DEL CONTRASTO AI<br />
CAMBIAMENTI CLIMATICI<br />
RESTA SICURAMENTE TRA<br />
LE PRIORITÀ DELLE IMPRESE<br />
MA L’IMPLEMENTAZIONE<br />
DELLA SOSTENIBILITÀ NELLE<br />
STRATEGIE AZIENDALI SI<br />
RIVELA UN PROCESSO LUNGO<br />
E COMPLESSO<br />
Simone Montonati<br />
Negli ultimi due anni, i dirigenti<br />
delle aziende impegnate a<br />
livello globale hanno dovuto<br />
affrontare numerose crisi, tra<br />
cui l’incertezza economica,<br />
i conflitti geopolitici, le<br />
interruzioni della catena<br />
di approvvigionamento.<br />
Questa situazione di perenne<br />
emergenza, però, non sembra<br />
aver scalfito l’attenzione<br />
verso il clima, che continua<br />
a rappresentare una<br />
priorità assoluta per le loro<br />
organizzazioni.<br />
A un sondaggio sui C-level<br />
effettuato quest’anno da<br />
Deloitte, circa il 75% degli<br />
intervistati ha dichiarato<br />
che nell’ultimo anno le<br />
loro organizzazioni hanno<br />
aumentato gli investimenti in<br />
sostenibilità e il 61% che nei<br />
prossimi tre anni il contrasto<br />
ai cambiamenti climatici<br />
avrà un impatto elevato su<br />
strategia e operazioni. Nella<br />
graduatoria delle questioni<br />
più urgenti, il climate change<br />
si è classificato al secondo<br />
posto – dietro alle prospettive<br />
economiche – e ha preceduto<br />
altre sette voci, tra cui<br />
l’innovazione, la competizione<br />
per i talenti, le sfide legate<br />
alla supply chain e le tensioni<br />
geopolitiche. Tuttavia, nella<br />
stessa percezione dei CxO,<br />
continua a esserci un divario<br />
significativo tra le azioni<br />
intraprese per la sostenibilità<br />
e il loro impatto, poiché le<br />
organizzazioni faticano a<br />
implementare le attività<br />
necessarie nel core delle<br />
loro strategie, operazioni e<br />
culture. Affinché una strategia<br />
ESG sia davvero efficace,<br />
infatti, è importante che sia<br />
integrata nella governance<br />
dell’organizzazione. Deve<br />
essere considerata un<br />
elemento chiave della<br />
strategia complessiva<br />
34
makinglife | aprile <strong>2023</strong><br />
dell’organizzazione, con una<br />
presenza costante nella<br />
pianificazione, nella gestione<br />
delle attività quotidiane e<br />
nella rendicontazione delle<br />
performance. Raggiungere<br />
questo obiettivo, però, è<br />
un processo tutt’altro che<br />
semplice e implica diverse<br />
sfide da affrontare, come ci<br />
spiega in questa intervista<br />
Stefano Germini, sustainability<br />
manager di Angelini Pharma.<br />
Qual è il fattore più<br />
importante per avviare un<br />
percorso di sostenibilità in<br />
azienda?<br />
Innanzitutto è fondamentale<br />
capire l’entità delle<br />
conseguenze commerciali<br />
cui può andare incontro<br />
un’azienda se non rende più<br />
sostenibili le sue attività e<br />
non diventa più resiliente<br />
all’impatto dei cambiamenti<br />
climatici. Non sto parlando<br />
solo di un problema di<br />
immagine. Gli eventi climatici<br />
estremi possono avere enormi<br />
ripercussioni sull’operatività<br />
dell’azienda: interruzione<br />
– anche definitiva – della<br />
supply chain, fluttuazioni dei<br />
prezzi delle materie prime,<br />
obsolescenza degli asset, fino<br />
alla trasformazione completa<br />
del modello di business. Poi,<br />
naturalmente, c’è anche la<br />
pressione dei clienti e, più<br />
in generale, dell’opinione<br />
pubblica; non adeguarsi a<br />
questa sensibilità si rivelerà<br />
estremamente costoso nel<br />
medio-lungo periodo. Altro<br />
fattore da non trascurare<br />
è l’accesso al credito, ai<br />
finanziamenti, ma anche<br />
a coperture assicurative,<br />
che saranno sempre più<br />
subordinati al rispetto degli<br />
standard in materia di<br />
sostenibilità. Infine, il fattore<br />
normativo, che su questo tema<br />
diverrà sempre più incalzante.<br />
Si deve dunque far leva sulla<br />
necessità?<br />
Accanto al senso di urgenza<br />
va diffuso anche un senso<br />
di possibilità. Penso anzi<br />
che questo elemento sia<br />
ancora più importante per<br />
contrastare un diffuso cinismo<br />
sull’argomento, dovuto in<br />
parte alla complessità del<br />
fenomeno, che spesso non<br />
viene compreso, e in parte<br />
alla difficoltà di capire da dove<br />
cominciare ad agire. Questo<br />
porta spesso all’inerzia e alla<br />
mancanza di azioni concrete.<br />
Incontro spesso due categorie<br />
di persone: chi non è informato<br />
e chi lo è ma non riesce a<br />
decidere in che modo agire.<br />
Anche quando l’informazione<br />
veicolata è giusta, non tutti<br />
la ricevono e rimane spesso<br />
qualche dubbio sul suo<br />
contenuto. Alcuni diventano<br />
attivisti ma talvolta in modo<br />
troppo estremo, danneggiando<br />
paradossalmente il<br />
cambiamento. Vi sono poi<br />
coloro che, pur essendo<br />
più informati, non sono<br />
necessariamente più<br />
consapevoli o predisposti al<br />
cambiamento.<br />
Eppure è bene far capire che<br />
esistono molte opportunità e<br />
ci sono già vaste – e crescenti<br />
– fasce della popolazione che<br />
sentono l’impulso a cambiare<br />
la situazione e hanno già<br />
iniziato ad agire.<br />
La collaborazione con chi è<br />
già attivo è importante?<br />
Sì, assolutamente.<br />
È importante vedere che<br />
ci sono molte persone<br />
e organizzazioni che<br />
stanno lavorando per un<br />
cambiamento sostenibile<br />
e virtuoso. È incoraggiante<br />
vedere che stanno emergendo<br />
anche piccole associazioni<br />
e che il settore privato si sta<br />
impegnando in questo senso.<br />
Inoltre, come hai detto, la<br />
possibilità di un cambiamento<br />
reale esiste anche grazie<br />
all’interazione tra le persone<br />
e alla condivisione di<br />
informazioni e risorse.<br />
È importante ricordare che la<br />
questione della sostenibilità<br />
non riguarda solo alcuni<br />
individui, ma tutti noi e<br />
quindi la collaborazione è<br />
fondamentale per raggiungere<br />
i risultati desiderati.<br />
Quali sono le maggiori<br />
criticità?<br />
Trasformare il sistema attuale<br />
per renderlo sostenibile e<br />
rispettoso dell’ambiente<br />
rappresenta una sfida enorme.<br />
Questo non riguarda solo le<br />
singole aziende, ma l’intero<br />
sistema economico e sociale.<br />
Siamo abituati a un sistema<br />
che premia la crescita<br />
economica e il profitto a breve<br />
termine ma ora dobbiamo<br />
iniziare a pensare in modo<br />
diverso, a lungo termine e con<br />
una prospettiva sostenibile.<br />
Ci sono molte aziende che<br />
stanno cercando di fare la loro<br />
parte ma il cambiamento deve<br />
essere globale e coinvolgere<br />
tutti i settori dell’economia.<br />
E questo richiede un grande<br />
sforzo e una collaborazione<br />
tra le aziende, i governi e la<br />
società civile. Anche perché<br />
– come dicono i ricercatori di<br />
Cambridge – essere “green”<br />
non basta.<br />
In che senso?<br />
Secondo l’Università di<br />
Cambridge essere “green”<br />
non è equivalente alla<br />
sostenibilità effettiva. Hanno<br />
individuato diversi step<br />
per l’evoluzione verso la<br />
sostenibilità che partono<br />
dal business as usual, con<br />
livelli di inquinamento intatti.<br />
Essere “green” significa fare<br />
qualcosa di meglio rispetto<br />
a questo livello iniziale, con<br />
un impatto leggermente più<br />
lieve ma ancora negativo.<br />
La sostenibilità si posiziona<br />
al centro, dove l’impatto è<br />
zero. Esiste, però, anche<br />
un livello superiore, quello<br />
della “rigenerazione” dove<br />
l’impatto diventa addirittura<br />
positivo. Si tratta di un<br />
obiettivo su cui Cambridge<br />
insiste molto poiché il nostro<br />
livello attuale è così arretrato<br />
che è necessario provare a<br />
compensare la situazione con<br />
un impatto di segno inverso.<br />
35
Come si raggiunge il livello<br />
“rigenerazione”?<br />
Quando si parla di<br />
cambiamento climatico e più<br />
in generale di sostenibilità,<br />
è importante definire<br />
obiettivi seri e sfidanti. Negli<br />
ultimi tempi moltissime<br />
aziende si sono impegnate a<br />
raggiungere il Net Zero – cioè<br />
l’azzeramento quasi totale<br />
delle emissioni di gas serra<br />
prodotte – entro il 2040 o<br />
anche il 2035. Alcune aziende,<br />
come GSK, si sono impegnate<br />
addirittura a raggiungere<br />
questo obiettivo entro il<br />
2030, il che è sicuramente<br />
una sfida molto impegnativa.<br />
Per questo è importante<br />
certificare la capacità di<br />
un’azienda di raggiungere<br />
gli obiettivi che si è posta.<br />
Esiste un’organizzazione<br />
chiamata SBTI, ovvero Science<br />
based target initiative, che<br />
certifica gli obiettivi Net Zero<br />
e segue l’andamento delle<br />
aziende impegnate nella<br />
loro realizzazione. Questo è<br />
fondamentale perché la sfida<br />
è enorme e le promesse non<br />
bastano, serve una strategia<br />
ben definita, senza la quale<br />
si sfocia facilmente nel<br />
greenwashing.<br />
Le aziende che vogliono<br />
lavorare sul tema dell’impatto<br />
ambientale zero o della<br />
rigenerazione si devono basare<br />
su strumenti di assessment,<br />
come il Life cycle assessment<br />
(LCA), che tiene conto di tutte<br />
le variabili e gli impatti del<br />
prodotto durante l’intero ciclo<br />
di vita. In Danimarca l’LCA è<br />
già obbligatoria se si vogliono<br />
dichiarare “green” le proprie<br />
azioni. E questa politica è<br />
destinata a fare scuola, almeno<br />
in Europa.<br />
Quanto è importante che la<br />
dirigenza sia coinvolta in<br />
questo processo?<br />
È fondamentale, senza<br />
la partecipazione della<br />
governance diventerebbe<br />
un mero esercizio di stile.<br />
L’approccio sostenibile<br />
deve essere implementato<br />
trasversalmente in tutte<br />
le attività aziendali, deve<br />
essere parte integrante della<br />
strategia. Proprietà, board e<br />
C-level devono tutti aderire al<br />
processo.<br />
E come si possono<br />
coinvolgere?<br />
Bisogna essere in grado di<br />
integrare qualsiasi idea di<br />
sostenibilità nella strategia<br />
di business, senza deviarla<br />
oltre il necessario. Si tratta di<br />
presentare alla propria azienda<br />
una nuova via, un’opportunità.<br />
La strategia aziendale ha<br />
una struttura solida, definita,<br />
maturata nel corso degli anni<br />
e per introdurre cambiamenti<br />
significativi è necessario<br />
agire in modo oculato e<br />
non impulsivo. Un agente di<br />
cambiamento efficace deve<br />
conoscere il business in<br />
maniera profonda ed essere<br />
in grado di prendere decisioni<br />
razionali, dimostrando la<br />
validità delle scelte effettuate.<br />
Bisogna anche sapere quando<br />
attendere e quando agire,<br />
perché non si può ottenere<br />
tutto immediatamente.<br />
È fondamentale suddividere<br />
le attività in piccoli ma<br />
significativi task, in modo da<br />
creare un volano che possa<br />
portare a grandi risultati.<br />
Infine, è importante che<br />
l’impegno e il coinvolgimento<br />
siano percepiti anche dagli<br />
altri, creando una stretta<br />
connessione tra persone e<br />
azienda.<br />
Qual è il contesto attuale del<br />
settore?<br />
Per chi si affaccia al<br />
tema della sostenibilità la<br />
situazione è molto favorevole.<br />
Se guardiamo ai nostri<br />
concorrenti internazionali,<br />
vediamo che i più grandi<br />
stanno facendo progressi<br />
significativi in questo ambito.<br />
C’è chi ha fissato obiettivi<br />
Net Zero senza precedenti<br />
e questo rappresenta uno<br />
stimolo per chi vuole andare<br />
nella stessa direzione. Nel<br />
contempo, in Italia, il livello<br />
di competizione nel settore è<br />
ancora modesto. Al momento,<br />
Chiesi è sicuramente a uno<br />
stadio avanzato su questi<br />
temi, mentre altre aziende<br />
stanno iniziando ora; qualcuna<br />
ha menzionato obiettivi di<br />
sviluppo sostenibile ma<br />
al momento non sembra<br />
esserci alcuna pianificazione<br />
concreta. Questo fornisce un<br />
vantaggio a chi intraprende<br />
il percorso di transizione. È<br />
importante impegnarsi su<br />
queste tematiche, non solo per<br />
l’immagine dell’azienda, ma<br />
anche per la nostra resilienza<br />
futura. Abbiamo già riscontrato<br />
problemi in passato che<br />
potevamo prevedere e<br />
anticipare lavorando prima su<br />
queste questioni. Non siamo<br />
in ritardo a livello italiano,<br />
anzi, abbiamo la possibilità<br />
di essere all’avanguardia<br />
e di beneficiare di tutte le<br />
opportunità che derivano da<br />
questo impegno.<br />
Che rischio si corre se non ci<br />
si adegua?<br />
A livello internazionale<br />
comincia a crearsi una massa<br />
critica in grado di cambiare le<br />
catene di fornitura. E il rischio<br />
è quello di rimanere indietro,<br />
di arrivare in ritardo su una<br />
trasformazione storica. Se le<br />
grandi aziende si allineano<br />
per avere fornitori sostenibili,<br />
chi non si fa trovare pronto<br />
resta escluso. Alcune aziende<br />
stanno già richiedendo ai<br />
loro fornitori di effettuare la<br />
survey Ecovadis (una società<br />
internazionale che valuta le<br />
performance di sostenibilità<br />
di un’impresa, Ndr). A seconda<br />
del voto che si ottiene, può<br />
scaturire la necessità di azioni<br />
di miglioramento più o meno<br />
invasive, oltre alla necessità di<br />
ricertificarsi a livello annuale.<br />
Un’azienda con voti<br />
insufficienti dovrà impegnarsi<br />
in azioni di adeguamento non<br />
programmate con deadline<br />
decise da altri (quindi maggiori<br />
costi e difficoltà), pena<br />
l’esclusione dall’albo fornitori.<br />
36
UN NUOVO<br />
ORIZZONTE PER<br />
L’INDUSTRIA<br />
La cultura della sostenibilità si sta<br />
inesorabilmente diffondendo e il processo<br />
ha coinvolto in maniera tangibile anche<br />
il nostro Paese. Comprese le aziende del<br />
settore farmaceutico<br />
Alberto Bobadilla<br />
Gianluca Pazzaglia, Head of Operation di VTU<br />
Engineering Italia<br />
«Per l’industria, l’interesse<br />
verso la sostenibilità sta<br />
diventando necessario e il<br />
trend è legato alle richieste<br />
dell’opinione pubblica (a loro<br />
volta dovute a comprensibili<br />
preoccupazioni sul futuro<br />
del pianeta) che spingono<br />
il mondo della politica e<br />
della finanza a premiare<br />
le aziende sostenibili». Lo<br />
afferma Gianluca Pazzaglia,<br />
Head of Operation di<br />
VTU Engineering Italia,<br />
che, in questa intervista<br />
a <strong>Makinglife</strong>, spiega che<br />
sottrarsi a questa tendenza<br />
può rivelarsi fatale per le<br />
imprese.<br />
«Aziende poco sostenibili<br />
possono essere punite<br />
nel breve e nel medio<br />
termine da maggiori<br />
difficoltà a reperire fondi<br />
(e quindi da un costo<br />
del capitale più elevato)<br />
e da una progressiva e<br />
potenzialmente rapida<br />
perdita di quote di mercato.<br />
Anche aziende non<br />
direttamente esposte al<br />
38
makinglife | aprile <strong>2023</strong><br />
pubblico possono essere<br />
impattate, perché le<br />
certificazioni di sostenibilità<br />
perseguite dalle aziende<br />
a diretto contatto con i<br />
consumatori spingeranno<br />
tali aziende a richiedere ai<br />
loro fornitori certificazioni<br />
e impegno concreto nel<br />
campo della sostenibilità.<br />
Ovviamente, la sostenibilità<br />
può diventare una grande<br />
opportunità per imprenditori<br />
e manager aperti al<br />
cambiamento e pronti a<br />
mettersi in discussione,<br />
come lo è stata in passato<br />
la transizione a una cultura<br />
della qualità in azienda.<br />
Le opportunità derivanti<br />
dalla sostenibilità sono<br />
legate all’efficientamento<br />
dei processi, alla riduzione<br />
del consumo di risorse e<br />
quindi a un aumento della<br />
competitività aziendale.<br />
Ma anche al miglioramento<br />
della propria immagine,<br />
alla capacità di attrarre<br />
nuovi talenti e di diventare<br />
parte attiva e positiva del<br />
contesto sociale in cui si<br />
opera. La sostenibilità deve<br />
essere insieme ambientale,<br />
economica e sociale».<br />
Come sta cambiando il<br />
paradigma tradizionale<br />
(cost-time-scope) che<br />
caratterizza l’attività delle<br />
aziende?<br />
Il paradigma fondamentale<br />
del project management<br />
(cost-time-scope) deve<br />
includere le esigenze<br />
legate al nuovo approccio<br />
alla sostenibilità. Io penso<br />
“<br />
Aziende poco<br />
sostenibili<br />
saranno punite<br />
da maggiori<br />
difficoltà a<br />
reperire fondi e<br />
dalla perdita di<br />
quote di mercato<br />
che questo voglia dire<br />
allargare i confini spaziali e<br />
temporali in cui il progetto<br />
è analizzato e pianificato<br />
prima dell’esecuzione,<br />
allargare il numero degli<br />
stakeholder considerati<br />
nello sviluppo del progetto,<br />
cambiare gli obiettivi con cui<br />
sono prodotte le specifiche<br />
(che non devono includere<br />
solo elementi prestazionali<br />
dei processi dei clienti<br />
ma anche elementi di<br />
valutazione dell’impatto<br />
della soluzione offerta in<br />
termini di sostenibilità) e<br />
di conseguenza il rapporto<br />
con i fornitori, che devono<br />
essere coinvolti nella<br />
definizione di soluzioni<br />
ottimali nel nuovo contesto<br />
della sostenibilità. Per le<br />
società di ingegneria questo<br />
vuol dire organizzarsi per<br />
gestire un aumentato livello<br />
di complessità e sviluppare<br />
nuovi tool ingegneristici che<br />
consentano di includere le<br />
attività di ottimizzazione<br />
della sostenibilità nel<br />
processo ingegneristico<br />
nella maniera più snella ed<br />
efficace possibile.<br />
Concretamente, in quali<br />
attività si esprime<br />
l’attenzione alla<br />
sostenibilità?<br />
Riducendo l’utilizzo di<br />
risorse e quindi migliorando<br />
l’impronta carbonica<br />
dei propri processi di<br />
produzione, rendendoli<br />
più efficienti e competitivi<br />
e accettabili da tutti gli<br />
stakeholder coinvolti. Per<br />
una società di ingegneria<br />
come VTU tutto ciò si<br />
concretizza nello sviluppo<br />
di tool che consentano di<br />
raggiungere l’obiettivo con<br />
costi e tempi ragionevoli.<br />
“<br />
Ora vi sono<br />
tool innovativi<br />
per includere<br />
gli aspetti di<br />
sostenibilità<br />
nel processo<br />
ingegneristico<br />
Abbiamo sviluppato una<br />
metodologia, che chiamiamo<br />
Green Value Engineering,<br />
che consente di raggiungere<br />
lo scopo integrando<br />
le attività nel normale<br />
flusso esecutivo dei nostri<br />
progetti, idealmente<br />
durante lo sviluppo del<br />
basic engineering o, meglio<br />
ancora, in una fase di<br />
conceptual engineering. In<br />
sostanza si tratta di una<br />
metodologia che incorpora<br />
i risultati di tecniche LCA<br />
(Life cicle assessment)<br />
per minimizzare<br />
contestualmente le<br />
richieste di CapEx (Capital<br />
expenditure, spesa di<br />
capitale), OpEx (Operating<br />
expense, spesa operativa) e<br />
l’impatto ambientale.<br />
Su quali aspetti è<br />
opportuno intervenire<br />
per aumentare l’efficacia<br />
della transizione verso la<br />
sostenibilità nell’industria<br />
di processo?<br />
L’industria di processo è<br />
tipicamente energivora e<br />
basata sulla trasformazione<br />
di materie prime o intermedi<br />
di produzione nei prodotti<br />
finali. Spesso le attività volte<br />
a migliorare la sostenibilità<br />
si esplicano nel campo<br />
della riduzione dei consumi<br />
energetici (ad esempio<br />
mediante l’ottimizzazione<br />
dei livelli termici dei fluidi<br />
di riscaldamento o di<br />
raffreddamento, il recupero<br />
energetico nel processo di<br />
flussi termici inutilizzati<br />
o mediante l’adozione di<br />
39
motori correttamente<br />
dimensionati, altamente<br />
efficienti e controllati<br />
con inverter) o nel campo<br />
dell’utilizzo efficiente delle<br />
materie prime e delle<br />
utility (recupero solventi,<br />
minimizzazione rifiuti di<br />
processo).<br />
I risultati migliori si<br />
possono ottenere mediante<br />
cambiamenti dei processi<br />
di produzione ma questo<br />
non è sempre possibile in<br />
ambito farmaceutico per<br />
via dei vincoli legati alla<br />
qualifica e validazione dei<br />
processi.<br />
In ogni caso, anche senza<br />
fare modifiche essenziali<br />
ai processi, è possibile<br />
ottenere miglioramenti<br />
significativi, che possono<br />
ad esempio arrivare a una<br />
riduzione dei consumi<br />
energetici del 30% su<br />
sistemi di pompaggio fluido,<br />
della refrigerazione o del<br />
riscaldamento; del 50% su<br />
sistemi di aria compressa;<br />
del 70% per l’illuminazione.<br />
Oltre ai risultati ottenibili<br />
nel campo dell’esercizio<br />
dei processi produttivi, è<br />
importante considerare i<br />
risultati ottenibili durante<br />
la fase di costruzione,<br />
principalmente mediante<br />
la selezione di materiali<br />
e tecnologie costruttive<br />
che presentano la minima<br />
impronta carbonica.<br />
Ci spiega il concetto che<br />
sta alla base della legge<br />
di Pareto e in che modo<br />
questo può guidare la<br />
trasformazione?<br />
Il principio di Pareto è di<br />
“<br />
È sufficiente<br />
concentrarsi su<br />
poche azioni per<br />
ottenere risultati<br />
tangibili<br />
derivazione empirica e<br />
sostiene che, nei sistemi<br />
complessi dotati di una<br />
struttura causa-effetto, il<br />
20% delle cause provoca<br />
l’80% degli effetti. Questo<br />
vuol dire che, tipicamente,<br />
nello sforzo di migliorare<br />
la sostenibilità di un<br />
processo produttivo è<br />
sufficiente concentrarsi<br />
su poche azioni (20%<br />
delle cause) per ottenere<br />
risultati tangibili (80% degli<br />
effetti). Generalmente, nelle<br />
sessioni iniziali delle nostre<br />
attività di Green Value<br />
Engineering identifichiamo<br />
diverse azioni in diverse<br />
aree. La metodologia porta<br />
a quantificare l’impatto<br />
delle soluzioni identificate<br />
(includendo l’analisi del<br />
rischio) e a ordinare le<br />
azioni identificate per il<br />
loro impatto atteso. A volte,<br />
per motivi di tempo o di<br />
costo, non tutte le azioni<br />
sono incluse nello scopo<br />
del progetto ma le azioni<br />
scartate possono rimanere<br />
nei piani di miglioramento<br />
continuo dell’azienda<br />
da portarsi avanti dopo<br />
l’avviamento del progetto.<br />
La cultura della<br />
sostenibilità è già diffusa<br />
nelle aziende?<br />
La cultura della sostenibilità<br />
si sta diffondendo,<br />
percettibilmente e<br />
inesorabilmente. Dal mio<br />
punto di osservazione, in<br />
Italia il processo ha preso<br />
avvio in maniera tangibile<br />
circa due-tre anni fa. È oggi<br />
appannaggio soprattutto<br />
delle aziende più grandi, e<br />
quelle farmaceutiche sono<br />
decisamente in prima linea<br />
nel panorama italiano.<br />
Quali sono le certificazione<br />
green per un’azienda e che<br />
vantaggi offrono?<br />
Ve ne sono diverse. Ad<br />
esempio, l’adozione di<br />
standard come la SA 8000<br />
per la Responsabilità<br />
Sociale; la ISO 14001<br />
per l’Ambiente; la ISO<br />
50001 per l’Energia può<br />
già essere considerata<br />
una certificazione di<br />
comportamento green.<br />
Alcune certificazioni sono<br />
più specifiche e recenti. Nel<br />
campo della costruzione di<br />
“<br />
La cultura della<br />
sostenibilità si<br />
sta diffondendo,<br />
percettibilmente e<br />
inesorabilmente<br />
edifici vi sono certificazioni<br />
come LEED o WELL che<br />
definiscono l’efficienza<br />
energetica dell’edificio e<br />
garantiscono il rispetto di<br />
criteri di sostenibilità in fase<br />
di costruzione. Per i prodotti<br />
esiste la certificazione<br />
Ecolabel, focalizzata<br />
sulle performance LCA.<br />
Ecovadis, invece, è un<br />
ranking internazionale di<br />
sostenibilità che attribuisce<br />
un punteggio che consente<br />
una grande visibilità delle<br />
aziende nei confronti di<br />
una platea di potenziali<br />
clienti. La certificazione<br />
Ecovadis dimostra l’impegno<br />
dell’azienda nel campo<br />
della sostenibilità con un<br />
ritorno di immagine diretto<br />
verso le comunità che<br />
ospitano i nostri uffici e<br />
verso i dipendenti presenti<br />
e futuri dell’azienda; la<br />
certificazione diventa un<br />
importante biglietto da<br />
visita a volte necessario<br />
per i clienti più avanzati e<br />
impegnati nel campo della<br />
sostenibilità.<br />
È ipotizzabile che una<br />
certificazione diventi in<br />
qualche modo obbligatoria?<br />
Direi di no. La certificazione<br />
sarà una richiesta di<br />
mercato: a oggi siamo<br />
lontani dal poterla<br />
considerare necessaria per<br />
operare ma il trend è chiaro<br />
e negli anni a venire una<br />
certificazione di sostenibilità<br />
sarà pratica comune per<br />
società strutturate, come<br />
lo è oggi la certificazione di<br />
qualità.<br />
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SE DA UN LATO CRESCE<br />
L’ATTENZIONE DEI CONSUMATORI<br />
VERSO I TEMI ESG, DALL’ALTRO<br />
AUMENTA ANCHE LA LORO<br />
DIFFIDENZA VERSO LE<br />
DICHIARAZIONI DELLE AZIENDE.<br />
IN QUESTO CONTESTO, UN ERRORE<br />
DI COMUNICAZIONE PUÒ RIVELARSI<br />
FATALE, ANCHE SE INVOLONTARIO<br />
Il 22 marzo <strong>2023</strong> la<br />
Commissione europea ha<br />
adottato una proposta per una<br />
nuova “Green claims directive”,<br />
che imporrà alle aziende di<br />
dimostrare le loro affermazioni<br />
in materia di sostenibilità<br />
ambientale utilizzando metodi<br />
scientifici e verificabili. La<br />
misura mira esplicitamente<br />
a proteggere i consumatori<br />
europei dal greenwashing<br />
garantendo che le informazioni<br />
fornite dalle imprese siano<br />
affidabili e comparabili tra i<br />
diversi prodotti. Stando ai dati<br />
della Commissione, infatti,<br />
attualmente il 53% delle<br />
indicazioni ecologiche fornite<br />
nei claim riporta informazioni<br />
“vaghe, fuorvianti o prive<br />
di fondamento” e il 40% di<br />
esse “non ha alcuna prova<br />
a sostegno”. Non si salvano<br />
nemmeno i prodotti “certificati”<br />
dato che la metà di tutti i<br />
marchi verdi offre una verifica<br />
“debole o inesistente”.<br />
Si tratta di una strategia<br />
comunicativa piuttosto<br />
rischiosa se consideriamo<br />
che i clienti, oltre a essere<br />
Rossella Sobrero, presidente di Koinètica e membro<br />
del consiglio direttivo del Sustainability Makers –<br />
The professional network<br />
sempre più attenti ai temi<br />
della sostenibilità, si aspettano<br />
anche un impegno crescente<br />
da parte delle aziende.<br />
Un recente sondaggio<br />
ha rilevato che il 78% dei<br />
consumatori attribuisce<br />
alle imprese una specifica<br />
responsabilità nella gestione<br />
del proprio impatto ambientale<br />
e sociale.<br />
FIDUCIA<br />
AI MINIMI<br />
In questo contesto non<br />
stupisce che la fiducia dei<br />
consumatori nei green claim<br />
stia scivolando verso minimi<br />
storici. Secondo il rapporto<br />
globale di SEC Newgate sulle<br />
attività ESG delle aziende,<br />
meno di una persona su<br />
42
makinglife | aprile <strong>2023</strong><br />
dieci si fida di ciò che le<br />
aziende dichiarano sulle loro<br />
performance di responsabilità<br />
sociale e il 72% ritiene non<br />
sufficientemente chiara la<br />
comunicazione su questi<br />
temi. Si tratta di un terreno<br />
insidioso per le aziende:<br />
un’analisi condotta su 200<br />
aziende statunitensi quotate<br />
in borsa e pubblicata dalla<br />
Harvard business review rivela<br />
che i clienti sono in grado di<br />
percepire quando le azioni non<br />
sono adeguate agli obiettivi<br />
dichiarati e che i loro livelli di<br />
soddisfazione diminuiscono<br />
di conseguenza. Questo<br />
gap “innesca la percezione<br />
dell’ipocrisia aziendale, che<br />
si ripercuote sull’esperienza<br />
dei clienti con il prodotto<br />
stesso”. Il che si traduce in una<br />
riduzione sia dell’utile netto<br />
per azione (EPS) sia del ritorno<br />
sull’investimento (ROI). Altre<br />
ricerche confermano che i<br />
clienti sono sempre più inclini<br />
a punire i comportamenti<br />
inadeguati. Secondo il<br />
sondaggio di Sec, il 50% dei<br />
consumatori ha scelto se<br />
usare – o evitare – un prodotto<br />
sulla base dell’impegno<br />
ESG dell’azienda che lo<br />
produceva e il 62% sostiene<br />
che le imprese inattive sui<br />
temi ESG “dovrebbero essere<br />
penalizzate”. L’aumento<br />
delle class action e dei<br />
movimenti di boicottaggio<br />
sono una dimostrazione<br />
di questa tendenza. Ne sa<br />
qualcosa Volskwagen, che<br />
per lo scandalo dei falsi test<br />
sulle emissioni ha dovuto<br />
affrontare una serie di cause<br />
che la impegnano per miliardi<br />
di dollari (in Italia è stata<br />
condannata a risarcire oltre<br />
100 milioni di euro, sebbene<br />
ora sia in corso l’appello).<br />
Il greenwashing, tra l’altro,<br />
non va solo a scapito di chi<br />
lo commette ma incrina la<br />
fiducia nei confronti di tutte<br />
le imprese, anche di quelle<br />
che hanno scelto di seguire<br />
seriamente la via della<br />
sostenibilità.<br />
IL RISCHIO<br />
DI ERRORE<br />
INVOLONTARIO<br />
Le imprese devono dunque<br />
porre molta attenzione al<br />
modo di comunicare il loro<br />
impegno sociale e ambientale<br />
perché le conseguenze di un<br />
errata comunicazione possono<br />
essere molto serie, soprattutto<br />
quando sfociano nel washing.<br />
La miscommunication sui temi<br />
ESG può compromettere la<br />
fiducia degli investitori e dei<br />
consumatori, essere motivo di<br />
sanzioni da parte delle autorità<br />
di regolamentazione, avviare<br />
campagne di boicottaggio<br />
e generare perdita di<br />
investimenti.<br />
La situazione è complicata dal<br />
fatto che il greenwashing può<br />
anche non essere intenzionale.<br />
Dichiarazioni in buona fede<br />
possono comunque rivelarsi<br />
fuorvianti o inesatte ed essere<br />
percepite come greewashing.<br />
Questo accade soprattutto<br />
quando la conoscenza<br />
dell’argomento è incompleta<br />
o la comunicazione si basa<br />
su affermazioni vaghe e non<br />
provate (vedi box). Abbiamo<br />
chiesto a Rossella Sobrero,<br />
presidente di Koinètica e<br />
membro del consiglio direttivo<br />
del Sustainability Makers –<br />
The professional network,<br />
di indicarci i tranelli della<br />
comunicazione ESG e gli<br />
strumenti a disposizione per<br />
evitare passi falsi.<br />
A quali aspetti dovrebbe fare<br />
più attenzione un’azienda<br />
nel comunicare la propria<br />
sostenibilità?<br />
In un momento in cui si<br />
parla molto di sostenibilità è<br />
ancor più necessario porre<br />
attenzione ai contenuti e alle<br />
modalità con cui si comunica.<br />
Bisogna evitare di utilizzare<br />
enviromental claim per<br />
promuovere in modo enfatico<br />
l’impegno ambientale ma<br />
anche immagini che evocano<br />
una dimensione valoriale non<br />
rispondente alla realtà.<br />
Quali sono i principali errori<br />
che le imprese commettono<br />
in quest’ambito?<br />
Quando si parla di<br />
greenwashing la grande<br />
imputata è proprio la<br />
comunicazione: è importante<br />
raccontare la sostenibilità<br />
solo dopo aver messo in atto<br />
strategie e azioni concrete.<br />
In questo periodo è cresciuto<br />
molto quel “rumore di<br />
fondo” che crea confusione<br />
nei consumatori e li rende<br />
diffidenti. Il greenwashing<br />
colpisce in particolare i<br />
consumatori più deboli, quelli<br />
che hanno meno strumenti<br />
culturali per poter capire<br />
quando un messaggio è<br />
scorretto. Per questo bisogna<br />
comunicare in modo chiaro,<br />
diretto, trasparente, autentico,<br />
oppure stare zitti.<br />
Qual è il quadro di riferimento<br />
normativo e quali sono i<br />
rischi legali per chi comunica<br />
la sostenibilità in modo non<br />
adeguato?<br />
Il greenwashing non è solo<br />
una forma di comunicazione<br />
scorretta ma è anche<br />
concorrenza sleale perché può<br />
far dirottare investimenti da<br />
attività sostenibili verso altre<br />
che non lo sono.<br />
Nel nostro paese sono<br />
presenti due soggetti<br />
importanti, uno pubblico e<br />
l’altro privato, che hanno il<br />
compito di tutelare il mercato:<br />
l’Autorità garante della<br />
concorrenza e del mercato<br />
e l’Istituto dell’autodisciplina<br />
pubblicitaria.<br />
Quali sono gli strumenti più<br />
efficaci a disposizione delle<br />
aziende per comunicare su<br />
questo tema?<br />
Nel mio libro “Verde, anzi<br />
verdissimo” ho ricordato che<br />
un’organizzazione che vuole<br />
essere considerata sostenibile<br />
deve dotarsi di alcuni<br />
strumenti per condividere<br />
con gli stakeholder i principi<br />
a cui si ispira. Per esempio<br />
deve dotarsi di un Codice<br />
etico e di condotta e definire<br />
una serie di policy aziendali<br />
per rendere trasparente la<br />
gestione del rapporto con<br />
alcuni portatori di interessi.<br />
Altri strumenti importanti,<br />
come le certificazioni e i bilanci<br />
(sociali, ambientali, integrati)<br />
43
servono anche per “dare<br />
conto” del proprio operato ai<br />
pubblici interni ed esterni<br />
dell’impresa.<br />
Il greenwashing è solo una<br />
questione di comunicazione<br />
o dipende anche dalle<br />
azioni svolte?<br />
Prima di comunicare è<br />
meglio aver fatto passi<br />
avanti significativi.<br />
A volte si corre il rischio di<br />
iniziare a comunicare azioni<br />
che sono poco di più di<br />
quanto richiesto da leggi e<br />
regolamenti.<br />
Che approccio dovrebbero<br />
seguire le aziende per<br />
andare incontro ai trend in<br />
corso?<br />
Ogni organizzazione, quando<br />
decide di comunicare<br />
l’impegno sociale e<br />
ambientale, dovrebbe fare<br />
una auto-analisi il più<br />
possibile critica e capire<br />
il livello di sostenibilità in<br />
cui ci si trova analizzando i<br />
punti di forza e di debolezza.<br />
Come primo passo potrebbe<br />
coinvolgere il pubblico<br />
interno perché i dipendenti<br />
e i collaboratori sono i<br />
migliori ambasciatori della<br />
sostenibilità.<br />
Riferimenti<br />
>> https://hbr.org/2022/07/howgreenwashing-affects-the-bottom-line<br />
>> SEC Newgate Corporate, ESG<br />
Monitor Reports Global Report 2022<br />
>> https://www.ul.com/insights/sinsgreenwashing<br />
>> Rossella Sobrero, Verde,anzi<br />
verdissimo; Egea 2022<br />
I SETTE PECCATI CAPITALI DEL GREENWASHING<br />
In seguito a una ricerca del 2007, TerraChoice, un’organizzazione canadese senza scopo di lucro che si occupava di questioni ambientali<br />
(poi acquisita da Underwriters Laboratories), ha elaborato un prospetto delle tecniche di marketing ingannevoli utilizzate dalle aziende<br />
per far apparire i loro prodotti ecologici e sostenibili. Le tecniche sono raggruppate nei cosiddetti “Sette peccati del greenwashing”.<br />
1: Hidden Trade-Off<br />
Questa tecnica consiste nel promuovere un singolo aspetto ecologico di un prodotto o di un’attività, ignorando o minimizzando altri<br />
aspetti negativi. Un noto esempio è il passo falso di McDonald’s che, nel 2019, presentava le cannucce di carta come soluzione<br />
all’inquinamento da cannucce di plastica. Peccato che la nuova alternativa non fosse riciclabile, a differenza della precedente in<br />
plastica.<br />
2: No proof<br />
Si riferisce alla pratica di fare affermazioni eco-friendly su un prodotto o un’attività senza fornire alcuna evidenza a supporto. Un<br />
recente articolo di The Guardian denuncia che la maggior parte delle plastiche commercializzate come “compostabili in casa” in<br />
realtà non funziona: il 60% dopo sei mesi è ancora integro.<br />
3: Vagueness<br />
Un’altra tecnica di greenwashing utilizza termini generici o vaghi in riferimento a prestazioni ecologiche, senza fornire alcun<br />
dettaglio o specifica. È il caso di claim come “naturale”, “organico”, “rispettoso dell’ambiente”, “verde” o “sostenibile” non<br />
accompagnati da alcuna informazione sulle caratteristiche del prodotto che lo renderebbero tale.<br />
4: Worshipping false labels<br />
In questo caso l’azienda usa etichette o marchi falsi o fuorvianti per creare l’impressione di eco-compatibilità. Ad esempio,<br />
potrebbe utilizzare un marchio simile a una certificazione ecologica riconosciuta; in alcuni casi potrebbe trattarsi di una creazione<br />
dell’azienda stessa. Pare che questo problema sia particolarmente diffuso nell’industria marittima. Nel 2001, l’Organizzazione<br />
marittima internazionale (IMO) ha rilevato 12.635 casi di falsificazione di certificazioni.<br />
5. Irrelevance<br />
Si tratta della promozione di caratteristiche che, sebbene siano vere, non sono pertinenti rispetto al problema ambientale a cui si<br />
fa riferimento. Molti prodotti vengono ancora venduti con la dicitura CFC-free ma i CFC sono banditi dal 1987.<br />
6. Lesser of two evils<br />
Fa riferimento all’abitudine di promuovere un prodotto come ecologico perché presenta impatti ambientali negativi minori rispetto<br />
ad altre opzioni. Il gas naturale, ad esempio, viene spesso presentato come una fonte di energia pulita in quanto emette meno CO2<br />
di carbone e petrolio ma le sue emissioni non sono nulle.<br />
7. Fibbing<br />
È il peccato di frode, che prevede dichiarazioni volontariamente false o fuorvianti. Una delle più note è il “dieselgate” che coinvolse<br />
Volkswagen nel 2015. Si scoprì che l’azienda aveva installato su oltre mezzo milione di auto a motore diesel, un software che<br />
ingannava i test sulle emissioni inducendoli a registrare livelli più bassi. Queste auto erano poi vendute col claim di “clean diesel”.<br />
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DIVERSI PROGETTI EUROPEI STANNO PROVANDO A<br />
RENDERE PIÙ SOSTENIBILI I FARMACI E IL LORO PACKAGING<br />
MA I NUMEROSI OSTACOLI TECNICI E NORMATIVI<br />
RALLENTANO IL PROCESSO. PER CAMBIARE PASSO È<br />
NECESSARIA LA SINERGIA TRA TUTTI GLI STAKEHOLDER<br />
46
makinglife | aprile <strong>2023</strong><br />
L’ambiente in cui siamo immersi lancia<br />
grida di allarme che percepiamo ormai<br />
chiaramente e in un mondo sempre più<br />
popoloso, in cui la richiesta di farmaci<br />
è in continua crescita, ridurre l’impatto<br />
della filiera del farmaco è un imperativo<br />
inderogabile. Sostenibilità: un insieme<br />
di azioni che impattano sulle lavorazioni<br />
delle aziende, che richiedono<br />
competenze specifiche e nuove, che<br />
spesso necessitano di investimenti e<br />
cambiamenti onerosi e di complessa<br />
attuazione. La riduzione dell’impatto<br />
ambientale può essere vista sotto molte<br />
angolazioni e raggiungere gli obiettivi<br />
in maniera profondamente sostenibile,<br />
anche dal punto di vista delle aziende,<br />
è una vera sfida, a cui oggi più che mai<br />
le imprese, le associazioni di settore,<br />
il mondo della ricerca e le autorità<br />
devono cercare di rispondere insieme.<br />
UNITI PER FARMACI<br />
PIÙ SOSTENIBILI<br />
Ridurre l’impatto ambientale<br />
già a partire dallo sviluppo del<br />
farmaco è l’ambizioso obiettivo del<br />
consorzio Premier (Prioritization<br />
and risk evaluation of medicines<br />
in the environment), coordinato<br />
da AstraZeneca e dall’università<br />
olandese Radboud. Enti di ricerca –<br />
tra cui l’italiano Istituto di ricerche<br />
farmacologiche Mario Negri – le<br />
maggiori compagnie farmaceutiche<br />
presenti in Europa ed Ema si sono uniti<br />
per lavorare a questo progetto previsto<br />
per il periodo 2020-2026 ma che<br />
affonda le sue radici nell’esperienza<br />
dei precedenti progetti Ipie, Pharmas<br />
ed Erapharm, condotti in modo quasi<br />
continuativo dal 2004 al 2019.<br />
L’idea nasce da un bisogno non<br />
soddisfatto: fornire un sistema di<br />
valutazione dell’impatto ambientale<br />
per tutte quelle migliaia di farmaci già<br />
in commercio e prive di brevetto. In<br />
questo caso, infatti, le attuali tecniche<br />
di valutazione sono inappropriate<br />
poiché la loro applicazione potrebbe<br />
essere poco efficace ed è impossibile<br />
identificare un proprietario che se ne<br />
faccia carico, impiegando le ingenti<br />
quantità di tempo e denaro necessarie.<br />
L’idea del consorzio Premier è costruire<br />
un sistema integrato di database<br />
e strumenti che siano trasparenti,<br />
pubblici e di facile accesso e che<br />
forniscano informazioni utili al processo<br />
di valutazione dell’impatto ambientale<br />
per questa categoria di farmaci.<br />
Oltre ai farmaci già in commercio,<br />
però, il modello proposto da Premier<br />
può essere utile a migliorare i metodi<br />
di valutazione applicati ai farmaci in<br />
sviluppo. È realmente fattibile includere<br />
criteri come la biodegradabilità<br />
nell’ambiente o l’assenza di sostanze<br />
PBT (persistenti, bioaccumulabili,<br />
tossiche) nel processo di ricerca e<br />
sviluppo di un principio attivo? Fino<br />
a che punto un farmaco può essere<br />
sustainable by design? Questi sono<br />
esempi di interrogativi a cui il progetto<br />
punta a dare una risposta. Un simile<br />
impegno sottolinea l’importanza della<br />
sostenibilità ambientale dei farmaci. Ma<br />
un discorso analogo può essere portato<br />
avanti anche per il packaging.<br />
UN DIALOGO APERTO<br />
PER UN PACKAGING<br />
CIRCOLARE<br />
L’idea di costruire una piattaforma<br />
comune in cui tutti gli stakeholder<br />
possano confrontarsi e trovare una<br />
strada condivisa può essere un terreno<br />
fertile per la nascita di soluzioni<br />
efficaci anche per quanto riguarda il<br />
packaging. Ci ha provato il progetto<br />
Sudden (Sustainable drug discovery<br />
and development with end-of-life<br />
yield), un consorzio finlandese fondato<br />
dallo Strategic research council of<br />
the Academy of Finland, che riunisce<br />
tutte le principali università del Paese.<br />
Nell’ambito di questo progetto è nata<br />
infatti l’idea di uno studio volto ad<br />
approfondire il tema della circolarità<br />
del packaging farmaceutico facendo<br />
sedere allo stesso tavolo ricercatori,<br />
membri delle autorità e rappresentanti<br />
dei vari livelli della filiera farmaceutica.<br />
Lo scopo dello studio era esplorare i<br />
fattori chiave che possono promuovere<br />
la circolarità del packaging lungo<br />
l’intera filiera finlandese. Il punto<br />
da cui i ricercatori sono partiti per<br />
questa valutazione è la legislazione.<br />
Analizzando le normative vigenti<br />
si sono potuti evidenziare i punti<br />
nevralgici e le barriere che ostacolano<br />
la circolarità del packaging. Nella<br />
seconda parte dello studio, invece,<br />
i ricercatori hanno cercato di<br />
comprendere le sfide e le possibilità<br />
offerte da questa tematica<br />
organizzando dei gruppi di discussione<br />
con i diretti interessati.<br />
Ventiquattro persone hanno<br />
partecipato ai gruppi, eterogenei e<br />
multidisciplinari, in rappresentanza<br />
sia delle autorità, sia del mondo della<br />
ricerca, sia degli operatori chiave<br />
della catena di valore del packaging<br />
farmaceutico finlandese: industria<br />
farmaceutica, importatori, grossisti,<br />
distributori, farmacie, gestori dei<br />
rifiuti, compagnie di riciclo. Ogni<br />
gruppo ha discusso le sfide poste dallo<br />
sviluppo di un packaging farmaceutico<br />
circolare, cercando di capire come<br />
aumentare la sostenibilità della<br />
filiera e quali sono gli attori chiave<br />
per raggiungere questo obiettivo.<br />
Gli spunti emersi da ciascun gruppo<br />
sono poi stati discussi in una tavola<br />
rotonda collettiva e infine analizzati dai<br />
ricercatori.<br />
47
SFIDE E POSSIBILITÀ<br />
Le conclusioni a cui è giunto lo studio<br />
possono offrire spunti di riflessione<br />
che vanno oltre i confini nazionali.<br />
Tra gli stakeholder della filiera del<br />
farmaco finlandese la consapevolezza<br />
del bisogno di adattamento a standard<br />
più sostenibili è diffusa. Tuttavia il<br />
cambiamento è percepito come lento.<br />
La grande quantità di regolamenti a<br />
cui il settore deve sottostare pone forti<br />
limiti ai cambiamenti e manca ancora<br />
un incentivo economico che spinga lo<br />
sviluppo di un packaging farmaceutico<br />
maggiormente sostenibile.<br />
La mancanza di linee guida in merito<br />
alla circolarità del packaging lascia un<br />
vuoto che le aziende temono di colmare<br />
in maniera imprecisa, finendo per<br />
contravvenire a qualche regolamento.<br />
Inoltre, ogni modifica comporta la<br />
sottomissione di una scoraggiante mole<br />
di documentazione. La partecipazione<br />
attiva delle autorità al dialogo con gli<br />
altri livelli della filiera potrebbe quindi<br />
giovare al superamento di queste<br />
barriere.<br />
Sono emersi poi importanti ostacoli<br />
socio-culturali, come la mancanza<br />
di informazioni sulla riciclabilità<br />
dei materiali che compongono il<br />
packaging, che mette in difficoltà il<br />
consumatore, e una scarsa interazione<br />
tra gli stakeholder. Un approccio<br />
multidisciplinare che coinvolga i vari<br />
livelli della filiera potrebbe portare a<br />
un’integrazione di competenze fruttuosa<br />
per la realizzazione ex novo di packaging<br />
progettati in modo circolare, mentre<br />
informazioni chiare e omogenee sullo<br />
smaltimento nei territori comunitari,<br />
poste sulla confezione o sul foglietto<br />
illustrativo, potrebbero soddisfare le<br />
esigenze dei consumatori. Anche lo<br />
sviluppo del foglietto illustrativo digitale<br />
porterebbe a un grande guadagno in<br />
termini di sostenibilità ambientale.<br />
Infine, vi sono barriere tecniche<br />
oggettive. Il riciclo del packaging<br />
primario di un farmaco è un argomento<br />
controverso poiché essendo a contatto<br />
con il prodotto potrebbe portare con<br />
sé residui che finirebbero dilavati nel<br />
processo di riciclo. Accorgimenti come il<br />
rivestimento delle compresse sembrano<br />
ridurre questo fenomeno, che resta<br />
però un grosso paradosso poiché in<br />
questo caso riciclare potrebbe voler<br />
dire immettere nell’ambiente sostanze<br />
pericolose. Inoltre, un maggior numero<br />
di ricerche sull’impatto ambientale<br />
dei materiali aiuterebbe a progettare<br />
packaging più sostenibili.<br />
Tutte queste barriere hanno contorni<br />
sfumati e sono interconnesse tra loro a<br />
formare una rete di ostacoli allo sviluppo<br />
di un packaging farmaceutico circolare,<br />
ma anche un ventaglio di opportunità.<br />
Proprio per questo, un approccio<br />
multidisciplinare è indispensabile,<br />
esattamente come nel caso dello<br />
sviluppo di principi attivi sostenibili.<br />
Fermo restando il rispetto della funzione<br />
primaria di packaging e farmaci:<br />
proteggere la specialità l’uno, avere<br />
un’azione terapeutica l’altro.<br />
Riferimenti<br />
- www.imi-Premier.eu<br />
- www.sudden.fi<br />
- Salmenperä H, Kauppi S, Dahlbo H, Fjäder P,<br />
Increasing the circularity of packaging along<br />
pharmaceuticals value chain. Sustainability 2022<br />
Approccio multidisciplinare<br />
Il progetto alla base di Premier si concentra su 25 principi attivi ed è costituito da cinque pacchetti indipendenti ma<br />
allo stesso tempo fortemente interconnessi, a cui il consorzio lavora in maniera multidisciplinare:<br />
Direzione e comunicazione: coordinamento del progetto, valutazione dell’andamento e divulgazione dei risultati.<br />
Scala di priorità e valutazione ambientale degli API:<br />
ricerca di informazioni sugli API e realizzazione di<br />
un diagramma da seguire per stabilire una scala di<br />
priorità e successivamente testare le molecole.<br />
Strumenti per la valutazione di esposizione ed<br />
effetto: realizzazione di strumenti per testare e<br />
valutare l’esposizione degli API nell’ambiente, il<br />
loro effetto e i rischi connessi.<br />
Database e sistema di valutazione digitale: i primi due pacchetti sfociano in un sistema digitale di informazione<br />
e valutazione accessibile in modo libero ma rispettoso della data integrity.<br />
Linee guida e applicazione: sulla base dell’esperienza multidisciplinare del consorzio e di altri stakeholder<br />
vengono elaborate alcune linee guida per applicare gli strumenti prodotti in diversi contesti e in risposta a<br />
differenti problematiche, con particolare attenzione allo sviluppo di farmaci sostenibili.<br />
48
makinglife | aprile <strong>2023</strong><br />
Le quattro domande di Sudden<br />
Il progetto Sudden cerca di rispondere a quattro interrogativi sull’impatto ambientale del ciclo di vita del farmaco.<br />
Come rendere i prodotti farmaceutici il più possibile rispettosi dell’ambiente?<br />
L’utilizzo dei farmaci causa la presenza di una grande quantità di residui nelle acque di scarico, che spesso non<br />
possono essere rimossi con le attuali tecniche di depurazione. La strada dei farmaci biodegradabili è percorribile<br />
ma generalmente diminuisce l’efficacia del principio attivo. Il progetto punta quindi a identificare le molecole<br />
efficaci meno dannose per l’ambiente attraverso modellazioni predittive digitali.<br />
Come poter anticipare al meglio il rischio ambientale dei farmaci?<br />
Oltre ai residui di farmaco, nell’ambiente finiscono anche i metaboliti prodotti dall’organismo in risposta al<br />
suo utilizzo, il cui impatto però è molto complesso da prevedere. L’analisi di precedenti valutazioni del rischio<br />
combinate con ricerche bibliografiche può aiutare ad arricchire le conoscenze per elaborare valutazioni più<br />
efficaci e comprensive. Individuare il potenziale di tossicità ambientale di una molecola all’inizio dello sviluppo del<br />
farmaco può permettere di proseguire solo con i canditati meno impattanti.<br />
Come promuovere la crescita sostenibile nel settore farmaceutico?<br />
Tra le tante regole a cui il settore farmaceutico è assoggettato non ne esistono di specifiche relative all’impatto<br />
ambientale dei farmaci, di conseguenza le aziende non sono incentivate a investire in questo ambito. Consultando<br />
i regolamenti internazionali è possibile individuare i punti su cui lavorare per emettere raccomandazioni che<br />
possano guidare il management nell’elaborazione delle policy aziendali. Inoltre, ascoltare il punto di vista dei<br />
consumatori permette di capire quanto sono disposti a spendere per un farmaco sostenibile, aprendo la strada a<br />
un sistema di classificazione dei farmaci basato sul loro impatto ambientale.<br />
Come migliorare la rimozione dei residui farmaceutici dalle acque reflue e il riciclo dei materiali di<br />
confezionamento?<br />
Un utilizzo più sensibile dei farmaci può prevenire o quantomeno diminuire la contaminazione delle acque di<br />
scarico e ridurre il consumo di energia. La creazione di un database dei comportamenti delle molecole negli<br />
impianti di trattamento delle acque, inoltre, può aiutare nello sviluppo di nuove tecnologie di depurazione più<br />
efficaci. Infine, aumentando le conoscenze relative ai materiali di confezionamento è possibile emettere linee<br />
guida per il loro riciclo.<br />
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Regolamento DPI, categorie di<br />
rischio e marcatura CE<br />
Una guida pratica<br />
Alessandro Del Bono e Annalisa Olivieri – Deloitte legal<br />
I Dispositivi di<br />
Protezione Individuale:<br />
definizione, requisiti,<br />
classificazione<br />
I dispositivi di protezione individuale<br />
(DPI) vengono definiti come i dispositivi<br />
progettati e fabbricati per essere<br />
indossati o tenuti da una persona contro<br />
uno o più rischi per la sua salute o<br />
sicurezza, inclusi i relativi componenti<br />
intercambiabili essenziali per la<br />
funzione protettiva, nonché i sistemi di<br />
collegamento a un dispositivo esterno<br />
o a un punto di ancoraggio sicuro che<br />
non siano progettati per essere collegati<br />
in modo fisso e che non richiedano<br />
fissaggio prima dell’uso.<br />
Il Regolamento 2016/425 del 9 marzo<br />
2016 (“Regolamento DPI”) ha stabilito<br />
i requisiti per la progettazione e la<br />
fabbricazione dei DPI, con l’obiettivo<br />
di garantire standard minimi comuni<br />
a tutti gli Stati membri in termini di<br />
protezione della salute e della sicurezza<br />
degli utenti. Il Regolamento si applica<br />
a tutti i tipi di DPI a eccezione di quelli<br />
specificamente esclusi (e individuati<br />
all’art. 2 del Regolamento) come, a<br />
titolo di esempio, i DPI progettati per<br />
essere usati dalle forze armate, per<br />
l’autodifesa, per l’uso privato contro<br />
condizioni atmosferiche non estreme,<br />
per la protezione della testa ecc.1<br />
I DPI vengono classificati in base alle<br />
categorie di rischio per le quali offrono<br />
protezione, specificamente individuate<br />
dall’Allegato I al Regolamento, a cui<br />
corrispondono diverse procedure di<br />
valutazione della conformità che i<br />
fabbricanti devono eseguire dopo aver<br />
redatto la documentazione tecnica di cui<br />
all’Allegato III.<br />
1) Categoria di rischio I<br />
Rischi: La Categoria I comprende rischi<br />
di lieve entità facilmente reversibili<br />
quali, a titolo di esempio, lesioni<br />
meccaniche superficiali, contatto con<br />
prodotti per la pulizia poco aggressivi<br />
ecc.2<br />
Procedura di conformità: La procedura<br />
di conformità per la Categoria I consiste<br />
in un controllo interno della produzione.<br />
La procedura è attuata dal fabbricante<br />
senza l’intervento di un organismo<br />
notificato.<br />
Moduli da utilizzare: Modulo A<br />
“Controllo interno della produzione”<br />
Allegati al Regolamento: Allegato IV<br />
2) Categoria di rischio II<br />
Rischi: La Categoria II è residuale e<br />
comprende i rischi diversi da quelli<br />
elencati nelle categorie I e III.<br />
Procedura di conformità: La procedura<br />
di conformità per la Categoria II prevede<br />
l’esame UE del tipo, seguito dalla<br />
conformità al tipo basata sul controllo<br />
interno della produzione. La procedura è<br />
attuata dal fabbricante con l’intervento<br />
obbligatorio di un organismo notificato<br />
soltanto nel Modulo B.<br />
Moduli da utilizzare: Modulo B “Esame<br />
UE del tipo” + Modulo C “Conformità al<br />
tipo basata sul controllo interno della<br />
produzione”.<br />
Allegati al Regolamento: Allegati V e VI.<br />
3) Categoria di rischio III<br />
Rischi: La Categoria III comprende<br />
i rischi che possono causare<br />
conseguenze molto gravi quali morte<br />
o danni alla salute irreversibili con<br />
riguardo, ad esempio, a sostanze e<br />
miscele pericolose, agenti biologici<br />
nocivi ecc.3<br />
Procedura di conformità: La procedura<br />
di conformità per la Categoria III prevede<br />
l’esame UE del tipo e una tra le seguenti:<br />
- Conformità al tipo basata sul<br />
controllo interno della produzione unito<br />
a prove del prodotto sotto controllo<br />
ufficiale effettuate ad intervalli casuali;<br />
- Conformità al tipo basata sulla<br />
garanzia di qualità del processo di<br />
produzione.<br />
La procedura è attuata dal fabbricante<br />
con l’intervento obbligatorio di un<br />
organismo notificato in tutti i moduli<br />
previsti.<br />
Moduli da utilizzare: Modulo B “Esame
UE del tipo” + Modulo C2 “Conformità al<br />
tipo basata sul controllo interno della<br />
produzione unito a prove del prodotto<br />
sotto controllo ufficiale effettuate ad<br />
intervalli casuali” oppure Modulo D<br />
“Conformità al tipo basata sulla garanzia<br />
di qualità del processo di produzione”.<br />
Allegati al Regolamento: Allegati V, VII<br />
e VIII.<br />
Valutazione della<br />
conformità e marcatura<br />
CE<br />
La marcatura CE apposta sui DPI<br />
testimonia la conformità del prodotto<br />
alla legislazione europea applicabile.<br />
Infatti, la marcatura CE va apposta su<br />
ogni singolo DPI che soddisfi i requisiti<br />
applicabili del Regolamento DPI. Se<br />
la conformità ai requisiti essenziali è<br />
stata dimostrata mediante la procedura<br />
appropriata, i fabbricanti redigono<br />
infatti la dichiarazione di conformità UE<br />
e, prima dell’immissione sul mercato,<br />
appongono la marcatura CE in modo<br />
visibile, leggibile e indelebile. Se ciò non<br />
è possibile o non è garantito a causa<br />
della natura del DPI, la marcatura<br />
va apposta sull’imballaggio e sui<br />
documenti che accompagnano il DPI.<br />
N.B. Il Regolamento DPI ha abrogato<br />
la Direttiva 89/686/CEE a decorrere<br />
dal 21 aprile 2018, ma gli attestati di<br />
certificazione CE e le approvazioni<br />
rilasciati a norma della direttiva<br />
rimangono validi fino al 21 aprile <strong>2023</strong>,<br />
salvo che non scadano prima di tale<br />
data.<br />
Sanzioni<br />
Con l’apposizione del marchio CE<br />
sul prodotto, il produttore dichiara<br />
che il prodotto stesso soddisfa tutti<br />
i requisiti legali per il marchio CE e<br />
può quindi essere venduto in tutto<br />
lo spazio economico europeo (SEE).<br />
Gli Stati membri stabiliscono invece<br />
separatamente le sanzioni applicabili<br />
alle violazioni del Regolamento DPI:<br />
con D.Lgs. 17/2019, l’Italia stabilisce<br />
per i DPI di categoria I non conformi una<br />
sanzione amministrativa pecuniaria da<br />
8.000 euro a 48.000 euro, per i DPI di<br />
categoria II l’arresto sino a sei mesi o<br />
una ammenda da 10.000 euro a 16.000<br />
euro, per i DPI di categoria III l’arresto da<br />
sei mesi a tre anni.<br />
Conclusioni<br />
Con l’apposizione della marcatura CE,<br />
il fabbricante (o il suo mandatario)<br />
si assume la responsabilità della<br />
conformità del prodotto a tutte le<br />
prescrizioni stabilite dalla normativa<br />
comunitaria di armonizzazione<br />
pertinente. Alla luce delle anche<br />
importanti sanzioni derivanti dalla<br />
violazione del Regolamento DPI, si<br />
consiglia una attenta valutazione di<br />
quanto prescritto dalla normativa<br />
in relazione al caso concreto, in<br />
modo da assicurare la corretta<br />
categorizzazione, la completa raccolta<br />
della documentazione e il rispetto delle<br />
procedure di conformità dei dispositivi.<br />
1<br />
1. Il presente regolamento si applica ai dispositivi di protezione individuale<br />
(DPI).<br />
2. Il presente regolamento non si applica ai DPI:<br />
a) Progettati specificamente per essere usati dalle forze armate o nel<br />
mantenimento dell’ordine pubblico;<br />
b) Progettati per essere utilizzati per l’autodifesa, ad eccezione dei DPI<br />
destinati ad attività sportive;<br />
c) Progettati per l’uso privato per proteggersi da: condizioni atmosferiche non<br />
estreme, umidità e acqua durante la rigovernatura;<br />
d) Da utilizzare esclusivamente su navi marittime o aeromobili oggetto dei<br />
pertinenti trattati internazionali applicabili negli Stati membri;<br />
e) Per la protezione della testa, del viso o degli occhi degli utilizzatori, oggetto<br />
del regolamento n. 22 della Commissione economica per l’Europa delle<br />
Nazioni Unite concernente prescrizioni uniformi relative all’omologazione<br />
dei caschi e delle relative visiere per conducenti e passeggeri di motocicli e<br />
ciclomotori.<br />
2<br />
La categoria I comprende esclusivamente i seguenti rischi minimi:<br />
a) Lesione meccanica superficiale;<br />
b) Contatto con materiali detergenti ad azione debole o contatto prolungato<br />
con l’acqua;<br />
c) Contatto con superfici calde non superiore a 50 °C;<br />
d) Danni agli occhi dovuti all’esposizione alla luce solare (non durante<br />
l’osservazione del sole);<br />
e) Condizioni atmosferiche non estreme<br />
3<br />
La categoria III comprende esclusivamente i rischi che possono causare<br />
conseguenze molto gravi quali morte o danni alla salute irreversibili con<br />
riguardo a quanto segue:<br />
a) Sostanze e miscele pericolose per la salute;<br />
b) Atmosfere con carenza di ossigeno;<br />
c) Agenti biologici nocivi;<br />
d) Radiazioni ionizzanti;<br />
e) Ambienti ad alta temperatura aventi effetti comparabili a quelli di una<br />
temperatura dell’aria di almeno 100 °C;<br />
f) Ambienti a bassa temperatura aventi effetti comparabili a quelli di una<br />
temperatura dell’aria di – 50 °C o inferiore;<br />
g) Cadute dall’alto;<br />
h) Scosse elettriche e lavoro sotto tensione;<br />
i) Annegamento;<br />
j) Tagli da seghe a catena portatili;<br />
k) Getti ad alta pressione;<br />
l) Ferite da proiettile o da coltello;<br />
m) Rumore nocivo
Il rischio di una<br />
comunicazione<br />
senza comunità<br />
Sebbene simbolo di libertà e<br />
fiducia, lo smart working rischia<br />
di privare i lavoratori delle<br />
relazioni umane, un fattore<br />
fondamentale per costruire il<br />
proprio senso di identità<br />
Massimiliano Pappalardo<br />
Filosofo del Lavoro presso Execo<br />
tratto da “Filosofia del lavoro”, Effatà Editrice, <strong>2023</strong><br />
Il paradigma casa-ufficio è<br />
definitivamente stato messo in crisi<br />
dalla pandemia, accelerando modelli<br />
differenti nel pensare il luogo di lavoro,<br />
che dovrebbero condurre al principio in<br />
vigore in molti Paesi socialdemocratici<br />
oramai da anni: lo smart working, ben<br />
differente dal telelavoro perché fondato<br />
fiduciariamente su obiettivi e progetti e<br />
non sul controllo.<br />
Sarà da premettere che questa modalità<br />
di lavoro da remoto e per obiettivi<br />
specifici è segno di grande modernità<br />
e rispettosa della fiducia professionale<br />
che si instaura tra aziende e lavoratori<br />
e inoltre tiene conto di fattori come<br />
un bilanciamento tra vita privata e<br />
professione. Non sarà nemmeno da<br />
sottovalutare l’impatto ambientale e un<br />
notevole risparmio dei costi fissi da parte<br />
delle imprese e dei lavoratori.<br />
È in corso una vera e propria rivoluzione<br />
riguardante soprattutto le generazioni<br />
più giovani che, stanche di un full time in<br />
ufficio, hanno rovesciato il loro universo<br />
valoriale. Più tempo, meno carriera.<br />
GESTIRE MONDI<br />
DIVERSI<br />
Parole semisconosciute alcuni mesi<br />
fa, diventano improvvisamente d’uso<br />
comune, come Great resignation, per<br />
descrivere il fenomeno delle grandi<br />
dimissioni, della ricerca di un nuovo<br />
senso del lavoro o del Quiet quitting,<br />
il disinvestimento verso il lavoro, dove<br />
ci si concede il minimo indispensabile.<br />
Ogni funzione HR deve dare una<br />
risposta, in tempi sempre più brevi, alle<br />
tematiche poste dai nuovi paradigmi<br />
organizzativi, dalle culture digitali, con<br />
tutte le tematiche dell’organizzazione<br />
flessibile, piatta, de-burocratizzata. Ma al<br />
tempo stesso deve gestire le tematiche<br />
tradizionali, che non sono scomparse,<br />
perché non sono scomparsi, anche<br />
nelle organizzazioni più innovative, silos<br />
organizzativi e culturali, organigrammi<br />
tradizionali, culture burocratiche,<br />
trattative sindacali, relazioni quotidiane<br />
con la burocrazia pubblica.<br />
Saper gestire questi diversi mondi, per<br />
creare sintesi virtuose, è quindi una<br />
competenza emergente, sempre più<br />
importante per le diverse leadership<br />
aziendali, in particolare per l’HR.<br />
Il mondo dell’epoca industriale e del<br />
taylorismo, della divisione chiara del<br />
lavoro, dei ruoli, basata su procedure<br />
certe aveva tutti i suoi limiti ma era<br />
una terra ferma. Il nuovo mondo ha<br />
disintegrato queste certezze senza<br />
crearne di nuove, se non l’apertura<br />
di nuovi spazi, pieni di opportunità,<br />
ma anche di minacce, da esplorare e<br />
consolidare.<br />
È ineludibile che lavoratori neoassunti<br />
in tempo di pandemia non sappiano<br />
come né quando ricavare dal proprio<br />
lavoro una dimensione identitaria e<br />
sociale. Manca la consuetudine rituale<br />
a vedersi senza un perché: a riunirsi in<br />
un “luogo comune” senza uno scopo<br />
immediato, cosicché avvengano tutte<br />
quelle circostanze casuali e spontanee<br />
che creano i legami. Ci sono le relazioni<br />
lavorative da remoto, ma iniziano e<br />
finiscono con la realizzazione di progetti.<br />
58
makinglife | aprile <strong>2023</strong><br />
LE CONSEGUENZE DEL<br />
LAVORO DA REMOTO<br />
È necessario porre attenzione verso<br />
questa generazione di professionisti<br />
poiché nel timore di perderli (riducendo<br />
i giorni di smart working) si rischia di<br />
trasmettere un concetto di lavoro di<br />
cui è rimasto solo l’aspetto tecnico,<br />
specialistico: un lavoro, insomma, a cui<br />
bastano un PC e una sedia ergonomica<br />
sprofondata nella sabbia di una spiaggia<br />
del Salento. Ci sarebbe allora da<br />
domandarsi se si tratti davvero di smart<br />
working o del caro vecchio telelavoro.<br />
La persona è al contempo logos ed<br />
eros e si ha necessità che i due aspetti<br />
vengano compresi e valorizzati, ma in<br />
una modalità di solo lavoro agile viene<br />
del tutto meno la dimensione identitaria<br />
e comunitaria, il lavoro diventa una<br />
pratica da assolvere freddamente senza<br />
eros: tante ore fuori, qualche soldo<br />
dentro. Difficile influire su benessere<br />
e senso di appartenenza di chi passa<br />
quattro giorni su cinque da solo a casa<br />
propria. Ma c’è anche una seconda<br />
conseguenza, più nefasta e di lungo<br />
termine: si lavora in solitudine. Come<br />
ha ben intuito Riccarda Zezza su un<br />
illuminante articolo del Sole 24 ore:<br />
”Una dose di libertà era necessaria: da<br />
tempo si lottava per avere più flessibilità<br />
di orari e di modi e ancora di strada<br />
ce n’è da fare, per quanto riguarda la<br />
vecchia mentalità del presenzialismo<br />
– e si tratta di un lavoro culturale, non<br />
tecnologico – ma lavorare sempre da<br />
casa è vera libertà? Un decennio fa,<br />
la sperimentazione in ambito smart<br />
working aveva visto nascere i primi<br />
spazi di co-working. […] Adesso,<br />
paradossalmente, se ne parla molto<br />
meno: perché sostenere i costi di un<br />
qualsiasi luogo di lavoro quando le<br />
persone possono stare comodamente a<br />
casa? Già, perché?”<br />
Perché non vi è appartenenza possibile<br />
senza che le persone possano stabilire<br />
legami che siano anzitutto affettivi, senza<br />
l’incontro quotidiano, le ritualità che<br />
hanno un potente valore simbolico.<br />
“I riti – afferma Byung-Chul Han – sono<br />
sempre azioni simboliche. Tramandano<br />
e rappresentano quei valori e quegli<br />
ordinamenti che sorreggono una<br />
comunità. Creano una comunità senza<br />
comunicazione, mentre oggi, nella<br />
prospettiva full remote, domina una<br />
comunicazione senza comunità” (e<br />
per giunta con la pretesa di tenere le<br />
webcam spente!). “A costituire i riti<br />
è la percezione simbolica. Il simbolo<br />
indica originariamente il segno di<br />
riconoscimento tra ospiti. L’ospite spezza<br />
a metà una tavoletta d’argilla e ne dà<br />
un pezzo all’altra persona in segno di<br />
ospitalità. In tal modo il simbolo serve<br />
per il riconoscimento”.<br />
VUOTO SIMBOLICO<br />
Oggi il mondo del lavoro rischia<br />
di abolire tutti i suoi simboli: i dati<br />
e le informazioni non possiedono<br />
alcuna forza simbolica ma solo<br />
computazionale, per cui non consentono<br />
il riconoscimento. Nel vuoto simbolico<br />
si perdono immagini e metafore capaci<br />
di dare fondamento al senso e alla<br />
comunità generando appartenenza<br />
profonda. Essi sono nel tempo ciò che<br />
la casa è nello spazio. Rendono il tempo<br />
abitabile, anzi lo rendono calpestabile<br />
come una casa.<br />
Il full remote – o quasi – ha<br />
indubbiamente come fondamenti<br />
fiducia e libertà. Ma sarà necessario<br />
prendere in considerazione l’evidenza<br />
che, già isolate nella pandemia, le<br />
persone rischiano di permanervi a<br />
tempo indeterminato, seppur sempre<br />
connesse. Non resta loro, in mancanza<br />
di una comunità professionale, che<br />
cercare “altrove” quel calore umano che<br />
luoghi e relazioni portavano in dote alla<br />
quotidianità aziendale, quel senso di<br />
identità che il lavoro rischia di non dare<br />
più.<br />
Questi giovani corrono il rischio di<br />
smarrire la loro esperienza del mondo<br />
del lavoro in una sorta di povertà<br />
di mondo in cui il corpo stesso,<br />
delocalizzato e dedicato alla prestazione<br />
senza relazione, si riduce a macchina, il<br />
mondo a micromondo.<br />
In inglese il termine resignation,<br />
dimissioni, coincide con l’italiano<br />
rassegnazione. Il mondo delle imprese<br />
si trova pertanto a un bivio ineludibile:<br />
da un lato, se non concede tempo<br />
personale e il massimo del lavoro da<br />
remoto corre il rischio di non attrarre<br />
risorse giovani; dall’altro, una volta<br />
attratte in questa forma, parimenti<br />
corre il rischio forse peggiore di<br />
non poter essere più l’occasione<br />
prossima per fornire anche in ambito<br />
professionale l’aspetto relazionale e<br />
identitario, riducendo il lavoro a sola<br />
prestazione e generando dunque nuova<br />
rassegnazione.<br />
Il dado del nuovo paradigma<br />
organizzativo è tratto e solo la grande<br />
saggezza greca della giusta misura<br />
come criterio può fornire una ipotesi di<br />
soluzione a questo dilemma.<br />
Disimparare culture e pratiche del<br />
passato e al tempo stesso portare nel<br />
futuro il meglio della nostra tradizione<br />
rappresenta un’avventura affascinante<br />
che richiede un disinvestimento e<br />
reinvestimento continuo, dentro e fuori<br />
di sé, un nuovo bagaglio professionale<br />
e culturale. Ogni leader, mentre gestisce<br />
il cambiamento delle persone, deve<br />
gestire il cambiamento del proprio ruolo,<br />
adeguare la sua professionalità, cultura,<br />
forma mentis, verso nuovi paradigmi,<br />
perché ci vuole tanto coraggio per<br />
sostenere la speranza delle persone.<br />
59
Green Jobs<br />
come la sostenibilità sta<br />
cambiando il mondo del lavoro<br />
Giulio Divo<br />
Secondo un recente<br />
studio, la domanda di<br />
esperti in sostenibilità<br />
supera significativamente<br />
l’offerta. L’opportunità per<br />
chi vuole costruirsi una<br />
carriera in questo campo<br />
è evidente ma il percorso è<br />
tutt’altro che lineare<br />
Elisabetta Marani, fondatrice di<br />
The Young Sustainability Network<br />
60
makinglife | aprile <strong>2023</strong><br />
È vulgata comune il fatto<br />
che il mondo del lavoro<br />
stia cambiando sotto la<br />
spinta di innumerevoli<br />
trasformazioni economiche<br />
e sociali. Una delle più<br />
importanti, da questo<br />
punto di vista, è quella<br />
correlata alla sostenibilità.<br />
Negli ultimi anni, infatti, si<br />
è affermata una coscienza<br />
sociale ecologista e al<br />
tempo stesso permeabile<br />
alle trasformazioni di<br />
tipo tecnologico, al punto<br />
da lasciar intravedere la<br />
possibilità di realizzare<br />
quella che fino a non molti<br />
anni fa era considerata<br />
una sorta di “Mission<br />
impossible” dell’economia<br />
di mercato: lo sviluppo<br />
sostenibile. Ovviamente<br />
la strada da percorrere<br />
è ancora lunga: basti<br />
pensare che uno degli<br />
indicatori ambientali più<br />
noti, l’Overshoot Day (si<br />
tratta di un calendario<br />
virtuale che indica il giorno<br />
in cui l’umanità raggiunge<br />
ogni anno – e supera – la<br />
capacità di rigenerazione<br />
delle risorse naturali del<br />
pianeta) ha anticipato,<br />
nel 2022, la data al 29<br />
luglio. Non possiamo<br />
poi dimenticare i trend<br />
di crescita demografica<br />
(con un saldo attivo di<br />
ottanta milioni di persone<br />
all’anno in tutto il mondo),<br />
la crescente domanda di<br />
energia anche da parte<br />
delle economie emergenti<br />
(ogni anno abbiamo un<br />
“<br />
È necessario<br />
implementare<br />
una serie di<br />
innovazioni a<br />
ogni livello, in<br />
modo che una<br />
coscienza verde<br />
si faccia strada<br />
in ogni processo<br />
decisionale<br />
aumento di circa il 2,5%)<br />
e, quindi, non possiamo<br />
ignorare come il peso di<br />
questa massa umana e<br />
industriale non possa che<br />
impattare sulle risorse<br />
naturali.<br />
Non dobbiamo però<br />
nemmeno ignorare come<br />
l’Unione europea, da un<br />
punto di vista ambientale,<br />
abbia una legislazione<br />
all’avanguardia: ai<br />
sensi dell’articolo<br />
191 del trattato sul<br />
funzionamento dell’UE,<br />
si indica esplicitamente<br />
la lotta ai cambiamenti<br />
climatici come obiettivo<br />
della politica ambientale.<br />
Che cosa significa tutto<br />
questo? Che nel quadro di<br />
evoluzione economica è<br />
necessario implementare<br />
una serie di innovazioni<br />
a ogni livello, in modo<br />
che una coscienza verde<br />
si faccia strada in ogni<br />
processo decisionale<br />
e diventi una sorta di<br />
seconda natura della<br />
pianificazione industriale.<br />
Da questo punto di vista<br />
possiamo ben dire che la<br />
legislazione dell’Unione<br />
europea pretende degli<br />
standard molto alti in<br />
termini di sostenibilità e<br />
le maglie sono destinate<br />
a stringersi sempre<br />
di più nel tentativo di<br />
ottemperare agli obiettivi<br />
indicati dai trattati<br />
internazionali. Tutto questo<br />
porta con sé un indotto:<br />
quello legato alla necessità<br />
di investire in formazione<br />
al fine di creare una<br />
coscienza ambientale<br />
diffusa, nel pubblico come<br />
nel privato. I green job<br />
rappresentano quindi<br />
un’opzione importante<br />
anche in termini<br />
occupazionali.<br />
Ed è per questo che<br />
abbiamo voluto intervistare<br />
Elisabetta Marani,<br />
fondatrice di The Young<br />
Sustainability Network, una<br />
community globale che<br />
supporta chiunque voglia<br />
costruire una carriera nel<br />
campo della sostenibilità,<br />
attraverso una rete globale<br />
di giovani professionisti in<br />
questo ambito ed eventi<br />
con esperti.<br />
Cominciamo a inquadrare<br />
il tema parlando delle<br />
“professioni sostenibili”.<br />
Come si stanno evolvendo?<br />
Abbiamo avuto una<br />
trasformazione che io<br />
considero fisiologica. Siamo<br />
partiti da uno scenario<br />
tipo one person show, in<br />
cui tutte le competenze<br />
venivano in qualche modo<br />
riassunte da un unico<br />
protagonista, a una visione<br />
differente, in cui le stesse<br />
vengono suddivise a tutta<br />
la forza lavoro secondo<br />
il campo di applicazione<br />
e competenza. Per fare<br />
degli esempi pratici, il<br />
team di rendicontazione<br />
finanziaria si deve occupare<br />
sempre più anche di<br />
rendicontazione di ESG<br />
(Environmental, social,<br />
governance), l’ufficio<br />
acquisti dovrà avere il polso<br />
delle emissioni di CO2 nella<br />
catena di fornitura e così<br />
via. L’obiettivo è quello<br />
di avere dei manager di<br />
sostenibilità in tutti i rami,<br />
privilegiando una visione<br />
che definirei olistica.<br />
Trovo invece molto meno<br />
funzionale, per i motivi che<br />
ho detto, l’idea di un team<br />
dedicato: finirebbe con<br />
l’essere scollegato dalle<br />
altre realtà aziendali.<br />
Partendo da questo<br />
assunto, possiamo dire<br />
che l’evoluzione delle<br />
normative fa sì che sia<br />
preferibile la formazione<br />
61
interna rispetto alla<br />
consulenza esterna?<br />
In genere si ottengono<br />
i risultati migliori con<br />
un equilibrio tra i due.<br />
Sicuramente punterei<br />
principalmente alla<br />
valorizzazione del talento<br />
interno perché permette di<br />
sviluppare una cultura di<br />
sostenibilità aziendale che<br />
permette di raggiungere gli<br />
obiettivi. Al tempo stesso,<br />
se dovesse servire un know<br />
how specifico su temi ad<br />
hoc, gli esperti possono<br />
portare un valore aggiunto<br />
al momento del bisogno.<br />
Possiamo fare un po’ di<br />
chiarezza su tre definizioni<br />
che spesso vengono usate<br />
impropriamente? Mi<br />
riferisco a “green skill”,<br />
“green job” e “greening<br />
job”.<br />
Le green skill<br />
rappresentano un<br />
po’ il prerequisito,<br />
perché riassumono la<br />
predisposizione, il mindset<br />
e anche il know how<br />
relativo alla transizione<br />
sostenibile di un’azienda.<br />
Io le considero un po’ il<br />
kit attraverso il quale è<br />
possibile mettere insieme<br />
le esigenze di carattere<br />
generale e individuare<br />
i meccanismi che<br />
consentono di migliorare<br />
la sostenibilità ambientale<br />
dell’azienda stessa.<br />
I green job sono i “lavori<br />
verdi” propriamente detti,<br />
come l’energy manager<br />
o il mobility manager. In<br />
ultimo abbiamo i greening<br />
job, ovvero lavori che<br />
fino a ora non avevano<br />
richiesto competenze di<br />
tipo sociale o ambientale<br />
perché avevano uno scopo<br />
differente ma che ora<br />
devono integrare anche<br />
queste competenze.<br />
Pensiamo al progettista<br />
di imballaggi: oggi deve<br />
essere esperto anche di<br />
packaging riciclabile. E<br />
questo è solo un esempio<br />
tra i tanti.<br />
Sono i lavori di domani?<br />
Tutt’altro: sono i lavori<br />
dell’oggi. Addirittura il 63%<br />
del fabbisogno di impresa<br />
e nel settore pubblico,<br />
che solitamente da noi è<br />
più resistente alle novità,<br />
riguarderà o riguarda già<br />
i lavori verdi. Si tratta<br />
proprio del lavoro del<br />
presente.<br />
Che cosa serve a una<br />
azienda per accogliere<br />
totalmente la sfida della<br />
sostenibilità?<br />
Io penso che la maggior<br />
parte delle aziende<br />
comprenda e apprezzi<br />
appieno l’imperativo del<br />
business sostenibile<br />
volto a massimizzare<br />
l’impatto positivo sociale<br />
e minimizzare quello<br />
negativo ambientale.<br />
Rimangono senz’altro<br />
dei limiti economici<br />
e tecnologici per una<br />
transizione green ma a mio<br />
avviso il vero investimento<br />
“<br />
Il 63% del<br />
fabbisogno di<br />
impresa e nel<br />
settore pubblico<br />
riguarderà o<br />
riguarda già i<br />
lavori verdi<br />
da fare è quello sul fattore<br />
umano, e cioè il talento.<br />
Mi spiego meglio: non<br />
è facile implementare<br />
una transizione così<br />
radicale se non si hanno<br />
competenze all’altezza.<br />
Una recente indagine di<br />
LinkedIn mostra che la<br />
domanda di competenze<br />
green sia maggiore rispetto<br />
all’offerta della forza<br />
lavoro. Ci troviamo in una<br />
situazione per cui abbiamo<br />
meno offerta di persone<br />
dotate delle skill necessarie<br />
rispetto alle necessità<br />
aziendali e questo è un<br />
ostacolo di non poco conto<br />
nel perseguimento degli<br />
obiettivi di sostenibilità.<br />
Ecco perché penso sia<br />
indispensabile investire<br />
sui talenti interni, che<br />
dovrebbero essere formati<br />
attraverso training specifici.<br />
Inoltre, e qui riprendo il<br />
discorso fatto all’inizio, è<br />
importante che la crescita<br />
delle competenze sia<br />
attuata in parallelo in<br />
tutte le aree dell’azienda,<br />
garantendo così una<br />
corretta distribuzione<br />
delle competenze stesse.<br />
Non esiste il rischio che<br />
“indirizzando” le risorse<br />
umane verso competenze<br />
green venga meno un<br />
aspetto vocazionale e<br />
ruoli di responsabilità<br />
vengano assunti da<br />
persone meno motivate?<br />
Dobbiamo fare i conti<br />
con il fatto che il futuro<br />
richiederà comunque<br />
di sviluppare queste<br />
competenze, quindi sarà<br />
necessario acquisire<br />
determinate skill se si<br />
vuole rimanere all’interno<br />
di un sistema che è<br />
orientato verso una<br />
transizione epocale.<br />
Dopodiché nulla vieta,<br />
a quegli impiegati che<br />
sentono un particolare<br />
interesse verso questi<br />
temi, di approfondirli<br />
e orientare le proprie<br />
scelte professionali in<br />
maniera conseguente.<br />
Ma è fondamentale<br />
che, al di là di tutto, sia<br />
ben chiaro all’interno<br />
delle aziende come sia<br />
necessario effettuare<br />
un aggiornamento di<br />
competenze, orizzontale e<br />
verticale.<br />
Quali sono le figure<br />
che, attualmente, hanno<br />
maggiore richiesta in<br />
ambito sostenibilità?<br />
Le aziende oggi chiedono<br />
di essere competenti<br />
62
makinglife | aprile <strong>2023</strong><br />
su data management,<br />
fundamental sul<br />
cambiamento climatico<br />
ed engagement degli<br />
stakeholder. Queste<br />
competenze, quando si<br />
vanno a fare i colloqui,<br />
devono essere dimostrabili<br />
e vanno sottolineate<br />
nel momento in cui si<br />
propongono le proprie<br />
candidature. Però anche<br />
qui devo fare un’ulteriore<br />
precisazione: se si ha<br />
un desiderio reale di<br />
lavorare in questo ambito<br />
bisogna saper valorizzare<br />
la propria capacità di<br />
apprendimento rapido<br />
e quella di comunicare.<br />
Imparare velocemente<br />
è di fondamentale<br />
importanza in un mondo<br />
che si deve rinnovare<br />
alla luce dell’evoluzione<br />
tecnologica e dei possibili<br />
mutamenti normativi. La<br />
comunicazione rappresenta<br />
un’arma fondamentale<br />
non solo all’esterno ma<br />
anche all’interno della<br />
realtà lavorativa perché<br />
senza chiarezza e capacità<br />
di coinvolgere gli altri<br />
non è possibile portare<br />
avanti i progetti. Ma non è<br />
tutto: è necessario saper<br />
parlare a ogni realtà con<br />
il linguaggio più adatto<br />
al ruolo aziendale. Infine,<br />
penso che un ultimo<br />
punto importante sia<br />
quello di porsi di fronte<br />
alla progettualità con<br />
una mentalità fattiva.<br />
Non bisogna impegnarsi<br />
solo nel business case.<br />
I progetti devono essere<br />
portati avanti dalla fase<br />
pilota fino al decollo.<br />
“<br />
La<br />
comunicazione<br />
rappresenta<br />
un’arma<br />
fondamentale<br />
non solo<br />
all’esterno ma<br />
anche all’interno<br />
della realtà<br />
lavorativa<br />
Quali consigli possiamo<br />
dare a chi si avvicina a<br />
questa realtà dei lavori<br />
green per la prima volta?<br />
Una sfida con cui mi sono<br />
confrontata io stessa e<br />
di cui continuo a essere<br />
testimone tramite il lavoro<br />
che porto avanti con<br />
The Young Sustainability<br />
Network è la poca chiarezza<br />
sui diversi percorsi di<br />
carriera in sostenibilità<br />
e poca awareness sui<br />
ruoli che esistono, sia nel<br />
settore privato sia in quello<br />
pubblico.<br />
La prima sfida è proprio<br />
avere difficoltà a<br />
visualizzare il tipo di lavoro<br />
che fa per te, in base al<br />
proprio background e<br />
competenze. Una volta<br />
entrati nel network,<br />
essendo comunque un<br />
campo emergente, trovare<br />
un mentor o parlare con<br />
una professionista in<br />
sostenibilità: sono tutti<br />
molto disponibili e c’è<br />
molta solidarietà e voglia<br />
di condividere la propria<br />
esperienza in questo<br />
spazio.<br />
In secondo luogo, la<br />
varietà di percorsi possibili<br />
significa da un lato poter<br />
essere artefice e disegnare<br />
la propria carriera a modo<br />
proprio, dall’altro dover<br />
accettare l’incertezza del<br />
cammino. Ad esempio,<br />
io ho iniziato nel team di<br />
operations, sono passata<br />
nella funzione di CSR, mi<br />
sono occupata di reporting,<br />
e ora sono in funzione di<br />
procurement. Ogni passo<br />
è stato pesato e pensato,<br />
eppure spesso mi è capitato<br />
di interrogarmi su come<br />
improntare la mia carriera,<br />
se restare in un’industria<br />
e specializzarmi in essa,<br />
se cambiare funzione, se<br />
prediligere spostamenti<br />
orizzontali piuttosto che<br />
“<br />
Quando si<br />
parla di<br />
carriere di<br />
sostenibilità si<br />
devono correre<br />
dei rischi, non<br />
si tratta di un<br />
percorso lineare<br />
verticali, e via dicendo.<br />
Quando si parla di carriere<br />
di sostenibilità è difficile<br />
sapere quale sia la scelta<br />
giusta, ci si prendono<br />
rischi – che secondo me<br />
vale la pena prendersi<br />
– però sicuramente non<br />
è un percorso lineare<br />
e predefinito come può<br />
essere per altre professioni.<br />
Ma chi è già all’interno non<br />
rischia di essere tagliato<br />
fuori da questa rivoluzione<br />
green?<br />
È chiaro che<br />
bisogna rimanere<br />
professionalmente<br />
aggiornati ma, come ho<br />
detto, in questo particolare<br />
momento le vacancy<br />
riguardano competenze<br />
green in qualsiasi<br />
background. Non è mai<br />
stato facile passare a lavori<br />
green come adesso e la<br />
capacità di apprendere e<br />
comunicare sta avendo<br />
la meglio rispetto alla<br />
ricerca di figure particolari.<br />
Dopodiché l’offerta<br />
di corsi per ottenere<br />
specializzazioni in questo<br />
ambito è molto alta e quindi<br />
è possibile reinventare il<br />
proprio ruolo aziendale con<br />
maggiore facilità rispetto al<br />
passato. Non bisogna farsi<br />
intimidire se non si ha un<br />
background accademico<br />
in sostenibilità: la carriera<br />
green può essere facilitata<br />
dalle necessità aziendali, a<br />
patto di non essere timidi:<br />
non saranno i timidi a<br />
cambiare il mondo.<br />
63
PHARMA<br />
NOVEL<br />
Mario Addis
makinglife | aprile <strong>2023</strong><br />
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66
makinglife | aprile <strong>2023</strong><br />
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makinglife | aprile <strong>2023</strong> | numero due<br />
PRODUCTION<br />
Pharma Telling & Industry
Logistica green per<br />
farmaci termosensibili<br />
IL TRASPORTO DI PRODOTTI SENSIBILI ALLA TEMPERATURA È UNO DEGLI<br />
ASPETTI PIÙ DELICATI DELLA LOGISTICA FARMACEUTICA. LE NUOVE<br />
TECNOLOGIE SUPPORTANO LA TRANSIZIONE VERSO METODOLOGIE DI<br />
CONTROLLO DELLA TEMPERATURA A BASSO IMPATTO AMBIENTALE<br />
Monica Torriani<br />
70<br />
Le stime dicono che ogni anno,<br />
nel mondo, il 20% dei farmaci<br />
termosensibili prodotti viene sprecato<br />
a causa di problemi nel mantenimento<br />
della catena del freddo. Stiamo<br />
parlando di un valore pari a circa 35<br />
miliardi di dollari: uno spreco che si<br />
perpetra su più piani (materie prime,<br />
energia, riduzione dell’accesso alle<br />
cure da parte dei pazienti) e che in<br />
tempi come quelli che viviamo non ci<br />
possiamo più permettere.<br />
Per garantire la compliance alla<br />
normativa senza aggravare l’impatto<br />
ambientale, anzi alleggerendolo,<br />
gli operatori della logistica stanno<br />
investendo cifre notevoli nel<br />
miglioramento dell’efficienza di<br />
strumenti, dispositivi e imballaggi e<br />
nello sviluppo di soluzioni green.<br />
SONO BIOTECH I<br />
PRODOTTI PIÙ CRITICI<br />
La questione è annosa: da sempre la<br />
stabilità della temperatura lungo tutta<br />
la filiera rappresenta l’aspetto più<br />
critico della supply chain farmaceutica.<br />
La Circolare del ministero della Salute<br />
<strong>n.2</strong> del 13 gennaio 2000, richiamando<br />
la Direttiva comunitaria Cpmp/<br />
QWP609/96, precisa i riferimenti da<br />
inserire in etichetta con le indicazioni<br />
delle temperature di conservazione.<br />
Il documento specifica anche che<br />
il medicinale che in etichetta non<br />
riporta indicazioni deve essere<br />
conservato fra -2°C e +40°C. La<br />
stragrande maggioranza dei prodotti<br />
farmaceutici oggi in commercio è<br />
stabile nell’intervallo di temperatura<br />
compreso fra 2 e 8°C, segmento<br />
di mercato attualmente in forte<br />
espansione, legittimata dagli ingenti<br />
investimenti nello sviluppo di prodotti<br />
biotech. Raggiungere temperature<br />
molto basse è interesse di specifici<br />
settori come quello delle terapie<br />
geniche, che richiedono logistica endto-end<br />
e temperature di conservazione<br />
pari a -150°C (in azoto liquido). Il<br />
farmaco biotecnologico è quello<br />
che più dipende, a livello di stabilità,<br />
dall’efficienza della cold chain, in<br />
termini di temperatura reale costante<br />
e in range. Al di là dei prodotti per le<br />
terapie avanzate, il mercato del red<br />
biotech è formato da un’ampia gamma<br />
di sostanze, fra cui antidiabetici,<br />
antireumatici, vaccini e antivirali.
makinglife | aprile <strong>2023</strong><br />
LA NORMATIVA<br />
DI RIFERIMENTO<br />
Il trasporto dei medicinali<br />
termosensibili è soggetto all’attuazione<br />
e al rispetto delle Buone pratiche<br />
di distribuzione (Gdp), finalizzate a<br />
garantire qualità, efficacia e sicurezza<br />
dei farmaci per l’utente finale. La<br />
normativa impone che i prodotti<br />
farmaceutici siano trasportati in<br />
sistemi di imballaggio opportuni al<br />
fine di assicurare la loro corretta<br />
conservazione e che distribuzione e<br />
consegna avvengano in assenza di<br />
alterazione delle loro caratteristiche.<br />
A riguardo, la Farmacopea ufficiale<br />
(FU) stabilisce che, nell’arco di tempo<br />
costituito dalla shelf life, il principio<br />
attivo deve essere mantenuto al 90%<br />
della sua attività e comunque devono<br />
essere garantite le caratteristiche<br />
generali del farmaco. La FU si esprime,<br />
altresì, sulla definizione di stabilità<br />
precisando che “un medicamento<br />
è considerato stabile quando, in un<br />
determinato periodo di tempo, le sue<br />
proprietà essenziali non cambiano o<br />
cambiano entro limiti tollerabili, se<br />
conservato in un recipiente adatto, in<br />
condizioni definite di temperatura, di<br />
umidità e di esposizione alla luce”.<br />
La normativa italiana è rappresentata<br />
dal Decreto 6 luglio 1999 con cui il<br />
ministero della Salute ha approvato<br />
le linee direttrici in materia di Gdp dei<br />
medicinali per uso umano e imposto ai<br />
distributori l’obbligo di attenersi a tali<br />
buone pratiche.<br />
Nel 2005, la Parenteral drug association<br />
ha pubblicato il technical report “Cold<br />
chain guidance for medicinal products:<br />
maintaining the quality of temperaturesensitive<br />
medicinal products through<br />
the transportation environment”.<br />
Il documento descrive in maniera<br />
dettagliata i passaggi della catena<br />
del freddo, le modalità di trasporto<br />
dei prodotti termosensibili, i materiali<br />
destinati al confezionamento primario<br />
e secondario e i principi della convalida<br />
delle metodiche di trasporto.<br />
Le Gccmp (Good cold chain<br />
management practice) impongono a<br />
tutti gli operatori che agiscono nelle<br />
fasi di trasporto e stoccaggio la verifica<br />
dell’integrità e della stabilità del<br />
prodotto, nonché la sua conservazione<br />
alle temperature indicate. Le buone<br />
pratiche raccomandano l’uso<br />
sistematico dei sistemi di controllo in<br />
tutti i casi in cui le variabili ambientali<br />
(luce, temperatura, umidità) siano<br />
soggette a situazioni imprevedibili<br />
o estreme, anche quando previsto<br />
l’utilizzo di contenitori convalidati.<br />
Questo perché le procedure relative<br />
al trasporto sono descritte come<br />
“qualificabili” (immaginando di agire<br />
nello “scenario peggiore di riferimento”)<br />
e non “soggette a convalida”, dal<br />
momento che non è possibile prevedere<br />
tutte le possibili situazioni che si<br />
possono configurare nel corso del<br />
trasferimento.<br />
IL DATO AL CENTRO<br />
La catena del freddo viene<br />
mantenuta mediante l’impiego di<br />
sistemi di refrigerazione continua e<br />
opportuni piani logistici. I medicinali<br />
termosensibili richiedono l’utilizzo<br />
di sistemi di protezione, contenitori<br />
isolanti coibentati e refrigeranti che<br />
devono rispondere a requisiti relativi<br />
al sistema di trasporto impiegato, al<br />
percorso (e alla durata del tragitto) e<br />
alla stabilità dei prodotti stessi.<br />
Data l’espansione del mercato nella<br />
direzione dei prodotti biotecnologici,<br />
gli investimenti della logistica sono<br />
fluiti negli ultimi anni proprio nella<br />
direzione dell’implementazione<br />
di soluzioni per il trasporto<br />
a temperatura controllata. In<br />
particolare, il miglioramento<br />
del design e della qualità degli<br />
imballaggi consente una protezione<br />
sempre più efficiente della qualità<br />
dei medicinali a fronte di un ridotto<br />
consumo di energia.<br />
Diverse startup, anche provenienti<br />
dal panorama accademico italiano,<br />
hanno messo a punto soluzioni<br />
di packaging ecosostenibile<br />
fabbricato con materiali innovativi<br />
biodegradabili caratterizzati da<br />
elevata capacità di isolamento<br />
termico. Irene dei Tos e Stefano<br />
Seccia, da poco usciti dal Corso<br />
di Laurea in materials science<br />
dell’Università degli Studi di Milano-<br />
Bicocca, hanno creato Bioaerovax,<br />
una startup di packaging isolante<br />
ed ecosostenibile per prodotti<br />
farmaceutici basata sull’impiego<br />
di un aerogel bio-derivato, leggero,<br />
biodegradabile e termoisolante.<br />
L’importanza della packaging<br />
technology investe sia il packaging<br />
71
primario che quello secondario,<br />
sia attivo che passivo. Sempre<br />
più diffuso l’uso di imballi passivi<br />
reusable dotati di smart device che<br />
registrano tutti i dati di interesse<br />
(temperatura, posizione, esposizione<br />
alla luce, umidità, apertura del<br />
collo), li trasmettono in tempo reale<br />
su server cloud condivisibili da più<br />
utenti e inviano notifiche di alert<br />
predefinito in caso di anomalie.<br />
Il big della logistica UPS ha messo in<br />
piedi il Cold chain packaging center<br />
of excellence, primo centro logistico<br />
degli Stati Uniti a offrire ai clienti<br />
opzioni di imballaggio riutilizzabili<br />
per la catena del freddo: un’iniziativa<br />
che ha tagliato drasticamente<br />
i volumi di rifiuti monouso e<br />
consentito risparmi significativi.<br />
L’innovazione digitale applicata<br />
ai sistemi di refrigerazione<br />
sanitaria ha portato allo sviluppo di<br />
frigoriferi intelligenti. La tecnologia<br />
IoT (Internet of things) su cui si<br />
basa il funzionamento di queste<br />
apparecchiature utilizza internet<br />
per il controllo da remoto della<br />
temperatura e di tutti gli scostamenti<br />
che possono verificarsi dai valori di<br />
riferimento impostati (dal blackout<br />
elettrico al contenitore chiuso in<br />
maniera non corretta). Ciò permette<br />
di tenere la situazione costantemente<br />
sotto controllo attraverso l’uso di<br />
uno smartphone e di intervenire<br />
all’occorrenza in qualsiasi momento.<br />
Il sistema è predisposto anche per<br />
archiviare in automatico tutti i dati<br />
delle temperature, risparmiando ore<br />
di lavoro agli addetti. L’installazione<br />
di un compressore elettronico a<br />
inverter permette di modulare il<br />
lavoro dell’apparecchiatura in base<br />
al carico che deve essere refrigerato,<br />
portando a una riduzione significativa<br />
dei consumi di energia.<br />
Gli strumenti per garantire la cold chain<br />
Al fine di mantenere la catena del freddo vengono impiegate numerose tipologie di dispositivi di<br />
monitoraggio (i cosiddetti temperature monitoring device) e di contenitori.<br />
Data logger: dispositivi mobili che accompagnano i prodotti nel corso del trasferimento e che<br />
hanno sostituito i registratori di temperature su disco; possono essere equipaggiati con speciali<br />
software di controllo dei parametri che segnalano le deviazioni dalle impostazioni emettendo<br />
segnali di allarme.<br />
Indicatori di temperatura monouso: etichette autoadesive contenenti sostanze che cambiano<br />
pH, e quindi colore, al variare della temperatura, segnalando eventuali anomalie rispetto ai valori<br />
impostati.<br />
Indicatori di temperatura elettronici: strumenti da installazione fissa che processano il segnale<br />
proveniente dai sensori di temperatura mettendoli in evidenza nel display. Se opportunamente<br />
configurati, emettono un segnale di allarme al superamento di un valore limite.<br />
Etichette Rfid (Radio frequency identification device): dispositivi dotati di chip che registrano<br />
la temperatura a intervalli di tempo programmati e memorizzano le informazioni non conformi al<br />
range stabilito. Il loro funzionamento è basato sulla tecnologia RfId e prevede l’impiego di etichette<br />
elettroniche e reader.<br />
Contenitori isolanti: imballaggi termici che proteggono dal calore e dalle sollecitazioni dovute al<br />
trasporto, talvolta costituiti da un imballaggio esterno in cartone che contiene una scatola interna<br />
in polistirolo.<br />
72
Verso la<br />
sostenibilità<br />
nella<br />
distribuzione<br />
health<br />
Il settore dei trasporti<br />
è ancora responsabile<br />
di quasi un quarto delle<br />
emissioni di CO2 ma<br />
non mancano esempi<br />
virtuosi di logistica<br />
sostenibile. Anche in<br />
Italia<br />
Con la Conferenza di Rio (2012) e<br />
l’Agenda 2030 ha preso forma la<br />
visione sistemica ambientale, sociale<br />
ed economica della sostenibilità. In<br />
linea con l’impegno globale volto<br />
alla transizione ecologica intesa<br />
come promozione dello sviluppo<br />
economico e della gestione sempre<br />
più sostenibile delle risorse naturali,<br />
Assoram ha avviato un progetto<br />
virtuoso volto alla promozione della<br />
cultura della sostenibilità, anche con<br />
il supporto offerto dalla partnership<br />
con l’Università di Pavia. Al fine<br />
di perseguire l’obiettivo Esg della<br />
carbon neutrality, è fondamentale<br />
attenzionare spesa energetica e<br />
impatto ambientale di tutti i processi<br />
della supply chain, ovvero produzione,<br />
distribuzione e smaltimento dei<br />
prodotti. In particolare, sul settore della<br />
logistica e della distribuzione si deve<br />
insistere per un progressivo cambio<br />
di paradigma verso nuovi modelli. La<br />
“Logistica sostenibile” contribuisce a<br />
ottimizzare l’energia necessaria per<br />
approvvigionare, distribuire, usare e<br />
smaltire o riciclare prodotti e a ridurre<br />
gli impatti ambientali di queste attività<br />
con l’obiettivo di migliorare la qualità<br />
della vita delle generazioni future e la<br />
competitività delle imprese.<br />
Tuttavia, secondo i dati riportati<br />
dall’International trasport forum (ITF)<br />
dell’Ocse, attualmente il settore dei<br />
trasporti è ancora responsabile del<br />
23% delle emissioni di CO2 a causa<br />
della prevalenza degli idrocarburi<br />
quale fonte energetica principalmente<br />
utilizzata per i veicoli (92%). Secondo le<br />
stime dell’ITF, in assenza di azioni volte<br />
alla decarbonizzazione dei trasporti,<br />
il dato relativo alla carbon footprint<br />
raggiungerebbe il 40% entro il 2030.<br />
Il dato globale dimostra come sia<br />
fondamentale adottare delle soluzioni<br />
più sostenibili di trasporto, ma anche<br />
di consegna e riciclo delle merci, come<br />
Caterina Lucchini<br />
74
makinglife | aprile <strong>2023</strong><br />
la logistica del territorio e city logistics,<br />
utilizzo ottimale delle infrastrutture<br />
esistenti, riprogettazione dei prodotti e<br />
digitalizzazione dei processi e riciclo.<br />
NORME NAZIONALI<br />
E INTERNAZIONALI<br />
In questo quadro si inseriscono<br />
le normative europee sempre più<br />
stringenti, volte alla promozione<br />
dell’economia circolare e alla<br />
progressione della transizione<br />
ecologica. Tra le più recenti spicca<br />
sicuramente la Direttiva 2022/2464/<br />
UE, detta Csrd (Corporate sustainability<br />
reporting directive), che stila le regole<br />
per le aziende europee che dal 2024<br />
dovranno analizzare e pubblicare un<br />
bilancio sul loro impatto sociale e<br />
ambientale.<br />
Relativamente all’ambito nazionale<br />
invece, si segnala l’importante progetto<br />
MOVEO, lanciato nel 2022 dal ministero<br />
delle Infrastrutture e della mobilità<br />
sostenibili nell’ambito del quale è<br />
stato redatto il “Documento di indirizzo<br />
strategico per la mobilità e la logistica”.<br />
Tale documento fornisce un ampio<br />
spaccato del sistema della mobilità<br />
e della logistica del nostro Paese,<br />
caratterizzato da un volume notevole<br />
di traffico merci che transita<br />
principalmente su strada (88%) e da un<br />
tessuto imprenditoriale del comparto<br />
trasporto e logistica che si distingue per<br />
i diversi livelli di terziarizzazione delle<br />
attività offerte. Tuttavia, relativamente<br />
al perseguimento degli obiettivi Esg,<br />
come sostiene il gruppo di lavoro<br />
del Mims, lo scenario nazionale è<br />
“caratterizzato da livelli di sostenibilità<br />
ambientale inferiori alle aspettative e<br />
agli impegni assunti in sede europea”.<br />
PERCEZIONI<br />
DIFFERENTI<br />
Questo trend è ampiamente confermato<br />
dalla survey che Assoram ha lanciato lo<br />
scorso febbraio presso i suoi associati<br />
al fine di valutare la sensibilità degli<br />
imprenditori della logistica e del trasporto<br />
verso le attività di sostenibilità ambientale,<br />
sociale e di governance. Le risposte<br />
ricevute evidenziano una generale<br />
attenzione delle aziende associate per<br />
il tema. Interessante notare però che le<br />
realtà “più indietro” – ovvero che non<br />
hanno ancora programmato una chiara<br />
strategia Esg – evidenziano ancora un<br />
sentiment negativo. Ritengono che questi<br />
percorsi richiedano investimenti troppo<br />
elevati di tempo e risorse, sia economiche<br />
che professionali, a fronte di una scarsa<br />
utilità, in quanto una certificazione non<br />
sembra essere garanzia di prestazioni<br />
ambientali migliori.<br />
75
Completamente opposta la percezione<br />
delle aziende che hanno conseguito o<br />
stanno conseguendo una certificazione,<br />
che dichiarano un notevole adeguamento<br />
alle norme ambientali, il miglioramento<br />
dell’immagine aziendale, le relazioni<br />
positive con gli stakeholder, la maggiore<br />
efficienza nei processi interni e l’aumento<br />
di produttività.<br />
Come spiega il direttore generale Assoram<br />
Mila De Iure: «Oggi fare business<br />
non può più prescindere dalla tutela<br />
dell’ecosistema e della società, e investire<br />
nei processi Esg avrà un valore sempre<br />
più competitivo sul mercato. Nonostante<br />
il dibattito sempre più attivo sul tema<br />
e la normativa stringente, le imprese<br />
medio-piccole intendono la sostenibilità<br />
ambientale e sociale ancora come un<br />
elemento dal forte impatto economico che<br />
si tende a rinviare anche per la difficoltà<br />
di avviare il processo di riorganizzazione<br />
aziendale, anche con l’ausilio di figure<br />
professionali dedicate o consulenti<br />
specializzati».<br />
BEST PRACTICE<br />
A seguito dei risultati della survey,<br />
l’associazione ha deciso di organizzare lo<br />
scorso 1° marzo il Pharma Talk “Logistica<br />
e trasporto health: percorsi di sostenibilità<br />
Esg”, portando una panoramica sul nuovo<br />
paradigma della logistica sostenibile e due<br />
esperienze concrete di aziende associate<br />
che si distinguono per gli investimenti e i<br />
riconoscimenti ottenuti nel campo della<br />
sostenibilità soprattutto ambientale.<br />
«Come per i precedenti Pharma Talk,<br />
l’obiettivo non era solo informare gli<br />
associati sui nuovi trend, ma creare uno<br />
spazio di confronto con esperti e aziende<br />
della filiera in cui condividere best practice<br />
e idee efficaci per il nostro comparto»,<br />
ha spiegato De Iure. L’idea di base è<br />
stata quella di fornire una opportunità di<br />
dialogo tra gli associati che sono avanti<br />
sulla tematica e quelli che ancora stanno<br />
valutando se e quanto investire nella<br />
sostenibilità.<br />
Tra gli esperti, Assoram ha puntato<br />
su Daniele Testi, presidente di SOS<br />
LOGistica, associazione fondata nel<br />
2005 con l’obiettivo di raccogliere e<br />
disseminare buone pratiche di logistica<br />
e mobilità sostenibile, che nel 2020 ha<br />
lanciato un suo rating di sostenibilità. Nel<br />
suo intervento, Testi ha precisato che<br />
occorre un nuovo modello di leadership<br />
che negli schemi Esg viene misurato ad<br />
esempio rispetto alla strategia fiscale,<br />
la remunerazione dei dirigenti/MBO, le<br />
donazioni e pressioni politiche, i sistemi di<br />
anti-corruzione e concussione, l’approccio<br />
alla diversità di genere e alla struttura del<br />
consiglio di amministrazione. È un cambio<br />
di paradigma e non si sono ricette sicure<br />
valide per tutti.<br />
Infine, nel confronto sono state coinvolte<br />
due aziende associate: Bomi Group e<br />
Columbus Logistics. Bomi si è distinta<br />
come la prima azienda italiana del settore<br />
sanitario ad aver ottenuto il marchio<br />
Sustainable logistic in Italia: come è<br />
emerso dall’intervento, l’azienda ha avviato<br />
il suo percorso verso la sostenibilità per<br />
rispondere alle esigenze del mercato,<br />
accrescendo anche la sensibilità dei<br />
dipendenti. Columbus Logistics è diventato<br />
il primo operatore italiano di logistica<br />
conto terzi carbon neutral per gli scopi 1<br />
e 2 (emissioni dirette e indirette) dal 31<br />
gennaio <strong>2023</strong>. In questo modo l’associata<br />
è entrata a far parte dell’1% delle aziende<br />
italiane ad aver preso il prezioso impegno<br />
volto a generare, attraverso il proprio<br />
business, un impatto positivo sul pianeta e<br />
sulle generazioni future.<br />
Accenture, in collaborazione con il<br />
World economic forum ha intervistato<br />
4.000 aziende. Il 73% degli executive<br />
intervistati, al culmine della pandemia,<br />
ha identificato il “diventare un’azienda<br />
veramente sostenibile ed equa” come<br />
una delle principali priorità per la propria<br />
organizzazione nei prossimi tre anni.<br />
«La sostenibilità ambientale e<br />
sociale sempre più leva competitiva<br />
di mercato, lo dimostrano il trend<br />
globale e i dati anche relativi al<br />
nostro comparto»<br />
Mila De Iure | direttore generale Assoram<br />
76
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COME CAMBIA LA CONVALIDA FARMACEUTICA<br />
Intervista a Paolo Bosisio, amministratore delegato di PHA.SE.<br />
Alberto Bobadilla<br />
Lo scopo del processo di convalida<br />
è dimostrare la correttezza, efficacia<br />
e ripetibilità di qualsiasi processo<br />
utilizzato nella produzione di farmaci<br />
a uso umano o veterinario. Se ne<br />
occupano aziende specializzate,<br />
come PHA.SE., società con sede<br />
a Milano che vanta un’esperienza<br />
ventennale, una grande competenza<br />
e un approccio dinamico e flessibile.<br />
Come ci ha spiegato il Ceo Paolo<br />
Bosisio, «nel corso degli anni<br />
l’azienda ha consolidato la propria<br />
esperienza e ampliato la propria<br />
attività, includendo una vasta<br />
gamma di servizi di ingegneria<br />
e controllo qualità; nell’ambito<br />
specifico della convalida, abbiamo<br />
assistito a un’importante evoluzione<br />
dell’attività».<br />
Come sta cambiando l’attività di<br />
convalida?<br />
Stiamo vivendo una fase, se non<br />
di cambiamento, quantomeno di<br />
revisione. In termini di linee guida,<br />
c’è stata la revisione, in ambito<br />
automazione, delle GAMP ® 5 (Good<br />
automated manufacturing practice)<br />
di cui è stata emessa recentemente<br />
la seconda edizione. Sul fronte<br />
normativo, l’Annex 1 delle Good<br />
manufacturing practice (GMP)<br />
diventerà operativo nella sua nuova<br />
revisione il prossimo agosto.<br />
Queste modifiche riflettono un<br />
processo di evoluzione in atto da<br />
qualche anno che si caratterizza<br />
soprattutto per l’affermarsi di un<br />
approccio critico ai problemi: è<br />
quello che viene denominato critical<br />
thinking, che si traduce spesso<br />
in un’attenta analisi del rischio e<br />
delle criticità come fattore con cui<br />
approcciare fin dall’inizio il processo<br />
di convalida.<br />
È un approccio di cui abbiamo<br />
da tempo capito l’importanza e<br />
l’efficacia, e che abbiamo sempre<br />
utilizzato e privilegiato, e che ora<br />
ritroviamo maggiormente esplicitato<br />
sia nelle linee guida che nelle<br />
richieste normative.<br />
Quali miglioramenti produrrà<br />
l’approccio del critical thinking?<br />
Questo approccio, focalizzando<br />
l’attenzione sugli aspetti critici,<br />
aiuta sicuramente a realizzare<br />
l’obiettivo finale di ottenere<br />
una qualità ancora migliore dei<br />
prodotti, ma anche del modo di<br />
operare, in termini di compliance. In<br />
passato ci è capitato di incontrare<br />
atteggiamenti conservativi: poteva<br />
capitare che a fronte di modifiche<br />
della linea si rifacesse tutto da<br />
zero. Il nuovo approccio porta<br />
invece a concentrarsi su ciò che è<br />
veramente critico, migliorando non<br />
solo la qualità del prodotto finale,<br />
ma anche degli impianti produttivi<br />
e del processo stesso di convalida.<br />
Ovviamente questo comporta un<br />
maggiore sforzo iniziale di analisi e<br />
di competenze per individuare gli<br />
aspetti di maggiore criticità.<br />
Quali tipologie di attività di<br />
compliance proponete ai vostri<br />
clienti?<br />
Ci occupiamo di compliance ma<br />
Paolo Bosisio | Ceo PHA.SE<br />
78
makinglife | aprile <strong>2023</strong><br />
“ In questi ultimi<br />
anni si sta<br />
affermando un<br />
diverso approccio<br />
ai problemi,<br />
il cosiddetto<br />
“critical thinking”<br />
non solo: negli ultimi anni abbiamo<br />
incominciato ad offrire anche<br />
servizi di ingegneria, sviluppando<br />
Conceptual Design di nuove aree<br />
produttive, studi sulla sicurezza dei<br />
sistemi e degli impianti in ambito<br />
life science.<br />
Applichiamo i principi della<br />
compliance anche a tutte queste<br />
altre attività, adottando sempre, fin<br />
dall’inizio, un approccio critico e<br />
basato sull’analisi del rischio.<br />
Questo va a influenzare l’attività<br />
di engineering e poi, seguendo<br />
lo sviluppo del progetto, ci<br />
occupiamo della qualifica e della<br />
convalida di sistemi e impianti di<br />
processo. Seguiamo tutte le attività<br />
del progetto di commissioning, in<br />
particolare il testing, propedeutico<br />
all’attività di qualifica e convalida<br />
finale, fino alla fase di collaudo<br />
degli impianti per verificare che<br />
corrispondano effettivamente, dal<br />
punto di vista del costruttore, ai<br />
requisiti a tutela dell’end user. Il<br />
processo di Compliance è ad ampio<br />
spettro e comprende processi,<br />
macchinari, sistemi informatici,<br />
fino alla convalida ambientale,<br />
inclusa la gestione di tutto l’aspetto<br />
microbiologico.<br />
E sugli impianti già attivi quali<br />
attività svolgete?<br />
Ovviamente facciamo tanta<br />
attività di riqualifica su impianti<br />
esistenti perché, come stabiliscono<br />
normative e linee guida, devono<br />
esserci revisioni periodiche<br />
per verificarne la qualità e<br />
l’aderenza alle norme di sistemi<br />
e processi. Anche questa attività<br />
apparentemente routinaria richiede<br />
l’applicazione di un pensiero<br />
critico: a volte riscontriamo un<br />
disallineamento delle prestazioni<br />
degli impianti e coinvolgiamo i<br />
clienti in un processo decisionale<br />
che comporta azioni correttive,<br />
da cambiamenti all’impianto ad<br />
azioni per migliorare le prestazioni.<br />
Si tratta dell’attività di change<br />
e deviation management, di<br />
grande importanza per garantire<br />
il mantenimento della compliance<br />
e della qualità all’interno delle<br />
aziende.<br />
A che punto sono le industrie<br />
italiane in termini di compliance?<br />
Possiamo certamente affermare<br />
che il mondo farmaceutico è ben<br />
regolato, con un elevato livello<br />
generale di compliance. Si può<br />
osservare una certa differenza<br />
tra le big pharma e le aziende di<br />
dimensione media o anche mediogrande,<br />
che generalmente sono<br />
molto meno strutturate: a volte<br />
capita che per questo fattore di<br />
sottodimensionamento facciano<br />
un po’ più fatica a recepire gli<br />
elementi di innovazione, specie se<br />
ad alta componente tecnologica<br />
come la robotica o le tecniche<br />
di realtà aumentata applicata<br />
all’interno dei processi produttivi, e<br />
ad adeguarsi alle tematiche legate<br />
alla cosiddetta industria 4.0.<br />
In questi casi abbiamo spesso a<br />
che fare con macchine di una certa<br />
vetustà su cui vengono fatti spesso<br />
degli upgrade nel tentativo di<br />
tamponarne le mancanze.<br />
In questi ultimi anni abbiamo<br />
notato un’effettiva volontà di<br />
procedere con una maggiore<br />
innovazione, anche se non tutti la<br />
stanno perseguendo con lo stesso<br />
piglio. È spesso una questione di<br />
risorse economiche ma non solo:<br />
abbiamo clienti di dimensioni<br />
medio-grandi che, pur avendo<br />
l’idea e la volontà di sviluppare<br />
certe soluzioni, non hanno risorse<br />
interne sufficienti a perseguire<br />
questi progetti.<br />
Relativamente alle attività da voi<br />
svolte, notate delle differenze a<br />
livello internazionale?<br />
In realtà le normative di riferimento<br />
sono internazionali e vengono<br />
sempre applicate, o così dovrebbe<br />
essere, in modo uniforme nei vari<br />
Paesi.<br />
Inoltre, gli stessi enti autorizzativi<br />
a cui sono soggette le aziende per<br />
cui lavoriamo in giro per il mondo,<br />
richiedono generalmente buoni<br />
livelli di controllo.<br />
Da parte nostra manteniamo<br />
sempre l’attenzione a garantire un<br />
alto livello di attività di compliance<br />
(anche quando operiamo nei Paesi<br />
economicamente meno sviluppati).<br />
Questo è il nostro approccio,<br />
individuabile nel payoff: “Your<br />
business integrator”.<br />
È così che amiamo definirci!<br />
Integratori delle attività “no core”<br />
dei nostri clienti per l’ottenimento e<br />
mantenimento di elevati standard di<br />
qualità dei prodotti realizzati.<br />
Un integratore che sia un vero<br />
supporto sinergico, un valore<br />
aggiunto in grado di apportare<br />
conoscenza ed esperienza<br />
specifiche ma anche un partner<br />
corresponsabile capace di integrarsi<br />
perfettamente nei progetti e nelle<br />
logiche produttive e della qualità<br />
per completare e sostenere il cliente<br />
nelle attività produttive e negli iter<br />
autorizzativi.<br />
Your Business Integrator<br />
Via Farini, 40 | Milano<br />
www.pha-se.it<br />
79
EIPG<br />
European Industrial<br />
Pharmacists Group<br />
GREEN PHARMA, LA SFIDA DELL’INDUSTRIA<br />
FARMACEUTICA PER UN FUTURO SOSTENIBILE<br />
La transizione verso<br />
l’ecosostenibilità è un processo<br />
complesso per il settore pharma<br />
e coinvolge tutto il ciclo di vita<br />
del prodotto, dalla scelta delle<br />
materie prime al packaging, alla<br />
distribuzione, al consumo, fino allo<br />
smaltimento<br />
Con il piano d’azione sull’ambiente – il cosiddetto<br />
Green Deal – l’Unione europea si prefigge l’ambizioso<br />
obiettivo di essere il primo continente a raggiungere la<br />
neutralità climatica entro il 2050. In questo processo<br />
anche l’industria farmaceutica è chiamata a fornire il suo<br />
contributo.<br />
Il concetto di “Pharmaceuticals in the environment” (PiE)<br />
è ormai presente nel nuovo quadro legislativo e lo sarà<br />
sempre di più in futuro. La revisione della legislazione<br />
farmaceutica, ad esempio, potrebbe in futuro includere<br />
la richiesta di valutazione del rischio ambientale e il<br />
trattamento delle acque reflue urbane, ma potrebbe<br />
anche prevedere un obiettivo Net Zero e la revisione della<br />
normativa sui prodotti chimici.<br />
In un recente webinar per EIPG, Bengt Mattson, policy<br />
manager per l’Associazione svedese dell’industria<br />
farmaceutica, ha analizzato le azioni necessarie per<br />
ridurre l’impatto ambientale dell’industria chimica e<br />
farmaceutica.<br />
È indubbio – ha spiegato – che ogni restrizione normativa<br />
in questo ambito causi un aumento dei costi operativi e<br />
possa avere conseguenze importanti, come interruzioni<br />
della supply chain, scarsità nella capacità produttiva e<br />
iniziali divergenze tra le diverse legislazioni. Tuttavia,<br />
la transizione verso un’industria farmaceutica più<br />
sostenibile non può essere scoraggiata. Nel corso<br />
degli anni il processo di valutazione degli impatti e la<br />
conseguente revisione normativa si sono focalizzati su<br />
aspetti differenti: se durante gli anni Novanta l’hot topic<br />
erano i packaging riciclabili e le fonti di energia, negli<br />
anni Duemila le maggiori preoccupazioni sono state<br />
poste sul rilascio dei prodotti farmaceutici nell’ambiente<br />
e nei primi anni ‘20 l’attenzione si è concentrata sulle<br />
emissioni legate agli API e sull’uso efficiente delle risorse.<br />
La stima dell’impronta di carbonio, comunque, richiede di<br />
non concentrarsi su singoli aspetti della produzione ma<br />
impone una valutazione di tutta la catena di produzione,<br />
distribuzione e smaltimento. Ogni aspetto deve essere<br />
analizzato: dalla scelta delle materie prime alla logistica<br />
per la fornitura alle aziende produttrici, ai metodi<br />
produttivi, al packaging, alla distribuzione del prodotto<br />
finito, fino all’utilizzo e allo smaltimento da parte dei<br />
pazienti.<br />
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makinglife | aprile <strong>2023</strong><br />
API green by design<br />
In questo contesto, lo sviluppo di processi green<br />
rappresenta una sfida importante per i chimici e i<br />
professionisti dell’industria farmaceutica. Secondo<br />
i ricercatori del progetto internazionale Premier<br />
(Prioritisation and risk evaluation of medicines in the<br />
environment), è possibile ottenere API efficaci ma<br />
ambientalmente sostenibili se nascono “green by design”.<br />
Il loro approccio, chiamato “Greener”, prevede di integrare<br />
nel modello di ricerca e sviluppo dei farmaci alcuni<br />
importanti criteri ambientali che contribuiranno a ridurre<br />
l’impatto dei residui di medicinali sull’ambiente. Il nome<br />
della metodologia è appunto l’acronimo di questi principi:<br />
G: Good practice for patients. Il principio chiarisce<br />
che l’obiettivo principale dell’industria farmaceutica è<br />
quello di sviluppare API che siano clinicamente efficaci<br />
e arrechino il minimo danno ai pazienti. La protezione<br />
dell’ambiente, dunque, non può andare a discapito della<br />
sicurezza dei pazienti. Tuttavia, il legame tra salute<br />
umana, animale e ambientale – come illustra il concetto<br />
One health – è così stretto che il design di una nuova<br />
molecola dovrebbe sempre tenere in considerazione<br />
anche gli aspetti ambientali.<br />
R: Reduced off-target effects and high specificity. Uno<br />
dei fattori che rendono così significativo l’impatto dei<br />
farmaci è il fatto che alcuni bersagli farmacologici sono<br />
condivisi in una certa misura con altre specie animali,<br />
nelle quali possono suscitare risposte farmacologiche<br />
simili a quelle previste nell’uomo. Aumentare la<br />
specificità dei farmaci permetterebbe di ridurre il rischio<br />
di impatto sugli animali ma anche gli effetti collaterali<br />
e off-target sui pazienti umani. In questo contesto, i<br />
ricercatori dovrebbero utilizzare la genomica comparativa<br />
per identificare e valutare la conservazione di specifici<br />
target farmacologici e off-target negli organismi che<br />
popolano gli ecosistemi naturali.<br />
E: Exposure reduction via less emission. I rischi per<br />
l’ecosistema nascono quando i livelli di esposizione<br />
ambientale del farmaco eccedono una concentrazione<br />
critica, in genere ridotta. Un possibile intervento<br />
in questo senso può essere l’impiego di metodi di<br />
somministrazione più precisi, come quelli legati alla<br />
medicina personalizzata, ai coniugati anticorpofarmaco<br />
e ai sistemi di rilascio di nanofarmaci. Con<br />
queste metodologie è possibile ridurre la quantità di API<br />
necessaria per la terapia e di conseguenza anche quella<br />
che potrebbe raggiungere l’ambiente.<br />
E: Environmental (bio)degradability. L’esposizione<br />
dell’ambiente a fattori farmacologici dannosi può<br />
essere ridotta ulteriormente evitando di produrre API<br />
persistenti o i cui metaboliti resistono nell’ambiente.<br />
Spesso i principi attivi più efficaci sono anche quelli<br />
particolarmente stabili ma, spiegano i ricercatori, la<br />
stabilità di una molecola dipende da condizioni specifiche<br />
come il pH, il potenziale redox e la presenza di batteri,<br />
che possono essere molto diverse tra l’interno del<br />
paziente e l’ambiente esterno.<br />
N: No PBT (persistent, bioaccumulative and toxic)<br />
properties. Le sostanze PBT (persistenti, bioaccumulative<br />
e tossiche) possono accumularsi nella<br />
rete alimentare e avere effetti a lungo termine anche se<br />
originariamente presenti in piccolissime concentrazioni.<br />
Il bioaccumulo può verificarsi anche nei pazienti, quindi<br />
affrontare questo problema è un tema comune alla<br />
sicurezza dei pazienti e quella ambientale.<br />
E: Effect reduction (avoiding undesirable moieties).<br />
Alcuni API possono non essere di per sé rischiosi per<br />
l’ambiente ma possono contenere specifici gruppi PBT.<br />
Per queste frazioni di molecole andrebbe utilizzato lo<br />
stesso approccio che si riserva alla valutazione dei<br />
rischi per i pazienti: nello sviluppo del farmaco occorre<br />
verificare nei database esistenti che le frazioni necessarie<br />
non causino preoccupazioni per la sicurezza del paziente<br />
ma quando non è possibile evitarle, i rischi previsti per<br />
i pazienti devono essere presi in considerazione nella<br />
valutazione rischi/benefici. Allo stesso modo dovrebbero<br />
essere valutate le caratteristiche strutturali che suscitano<br />
preoccupazioni ambientali.<br />
R: Risk and hazard mitigation. Se non è possibile venire<br />
incontro ai criteri citati nel punto precedente gli API<br />
saranno prodotti con la consapevolezza dei rischi che<br />
possono produrre sull’ambiente. In questi casi, anche<br />
alcune opzioni per la mitigazione dei rischi dovrebbero<br />
far parte dell’ulteriore sviluppo del prodotto.<br />
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NUMERO 2 - APRILE <strong>2023</strong><br />
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