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Riforme delle pensioni<br />
Europei<br />
più poveri<br />
dal cuore della finanza londinese Luca Martino<br />
| 74 | valori | ANNO 10 N.85 | DICEMBRE 2010 / GENNAIO 2011 |<br />
| bancor |<br />
DA ANNI LA RIFORMA DEI SISTEMI PENSIONISTICI PUBBLICI è nell’agenda di quasi tutti i governi e, in tempi di crisi della<br />
finanza pubblica e dei mercati finanziari, lo è ancor più drammaticamente oggi, che anche la pensione<br />
complementare è entrata a regime. In Italia, come altrove del resto, è noto che si andrà in pensione sempre<br />
più tardi (in ragione dei trend demografici previsti) e con aspettative di entrate sempre minori e incerte<br />
(a causa dei vincoli di spesa e della volatilità dei mercati): chi inizia oggi a lavorare avrà una pensione<br />
di base pari a circa la metà del proprio stipendio e difficilmente riuscirà ad integrarla significativamente<br />
con la pensione complementare, a meno di enormi sacrifici.<br />
Ma perché la pensione di base sarà così bassa? Ci sono di fatto due ragioni, la prima di natura<br />
prettamente politica. Esattamente 15 anni fa la riforma Dini sanciva che la pensione non fosse più un diritto<br />
per così dire assoluto, come lo sono la salute, l’istruzione o la sicurezza, diritti per i quali lo Stato si fa carico<br />
di tutti i costi, comprensivi degli eventuali ammanchi di cassa. Ulteriori revisioni di quella riforma hanno<br />
stabilito che la spesa pensionistica, quantunque non in deficit, non dovesse essere più a carico dello Stato<br />
se non in una certa misura. Un po’ come se domani si stabilisse per legge che la spesa sanitaria debba<br />
essere finanziata con contributi speciali, non eccedere certe soglie e non andare mai in passivo. Difendere<br />
tale scelta, soprattutto dopo che i governi hanno di fatto stampato moneta pur di salvare dal fallimento<br />
enti privati come le banche, spetta alla politica, anche se molte perplessità sembrano fondate.<br />
<strong>La</strong> seconda ragione, squisitamente tecnica, sta nelle assunzioni,<br />
inconfutabili e al contempo indimostrabili, alla base dei modelli che<br />
la Ragioneria dello Stato usa per monitorare i trend di spesa e supportare<br />
le revisioni triennali dei famosi “coefficienti di trasformazione”, che traducono<br />
il montante dei contributi versati in rendita vitalizia. Sono questi i modelli che<br />
ci dicono, ad esempio, che nel 2060 il saldo migratorio sarà di 198 mila unità<br />
(un terzo in meno che nel 2005, un dato verosimile solo se imposto per legge);<br />
che la speranza di vita per noi maschi raggiungerà gli 85 anni (speriamo di sì); che il tasso di fecondità sarà<br />
pari a 1,58 e che i tassi di occupazione e di attività rimarranno sostanzialmente invariati (speriamo di no).<br />
Su queste stime, che peraltro agiscono su un capitolo di spesa aggregato, che oltre alla previdenza considera<br />
anche l’assistenza non coperta da contributi (pensioni sociali e, soprattutto, cassa integrazione e altri<br />
ammortizzatori sociali), si gioca ogni tre anni il futuro pensionistico di tutti i lavoratori.<br />
I dati reali, se è vero che lo scorso anno l’avanzo di cassa del comparto dei lavoratori dipendenti gestito<br />
dall’Inps ha superato i cinque miliardi di euro, dicono che ad oggi non c’è un rischio imminente di passivo<br />
di sistema nella gestione previdenziale. Non sarebbe più opportuno, allora, agire sulle variabili che incidono<br />
sull’equilibrio di bilancio (occupazione, apporto degli immigrati, recupero del sommerso) e ipotizzare,<br />
se necessaria, una revisione dei carichi contributivi per fasce di reddito piuttosto che limitarsi a frazionare<br />
i coefficienti di trasformazione? Un tale sforzo appare necessario anche alla luce dei rendimenti dei fondi<br />
pensione integrativi (-21.4% nell’area Ocse nel 2008, in recupero solo del 10% l’anno successivo),<br />
che di certo non aiutano molto quei lavoratori che si ritrovano oggi esposti “per legge” alle dinamiche<br />
dei tassi di interesse e alla volatilità dei mercati in quanto azionisti o creditori di imprese e governi<br />
sotto il mirino della speculazione.. todebate@gmail.com<br />
<strong>La</strong> previdenza in Italia<br />
è monitorata con sistemi<br />
la cui efficacia è dubbia.<br />
Sarebbe invece più utile<br />
uno sfrozo per far leva<br />
sugli equilibri di bilancio<br />
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