Poste italiane spa - spedizione in a. p. d.l. 353/03 (conv. l. 46/04) art. 1 comma 1, ne/Vr - contiene ir
settimanale diretto da luigi amicone
anno 17 | numero 4 | 2 FeBBraio 2011 | � 2,00
Il segreto
di Wojtyla
AL DI LÀ DELLE FORZATURE GIORNALISTICHE
Sì, Bagnasco ha detto decoro. Vale pure
per la falsa coscienza dei repubblicones
Premesso che anche solo l’idea di un parlamento e di un governo sottoposti al “controllo
di legalità” di uno o venticinque pm, come si è visto in questi ultimi 17 anni di
asfissia della politica, è una patente incostituzionalità. Premesso che non noi, ma
il nichivendoliano Piero Sansonetti ha parlato di «colpo di Stato», ha consigliato al premier
di «non presentarsi ai giudici» e di riportare gli italiani alle urne, previa «riforma della
giustizia e riforma elettorale». Assodato che, dal suo punto di vista, non sbaglia neanche
la femminista Angela Azzaro a rivendicare una critica radicale «a questo moralismo
che contrasta emancipazione sessuale e libera scelta delle donne» e «a questa idea di governo
tecnico Tremonti, come se Tremonti non ne fosse già l’azionista principe, quindi se
Berlusconi molla si deve tornare al voto». Ecco, premesso tutto ciò, non è chiaro se i media
abbiano capito l’antifona o se invece seguiteranno a forzare i titoli per interpretare le
parole del capo dei vescovi italiani come la continuazione con altri mezzi dell’“operazione”
Fini. E visto che l’operazione fallì, col recente editto Casini (ovvero: entriamo nel governo
solo se Berlusconi si ritira). Errore blu. Anche per la Cei il premier può rimanere al
suo posto. A patto che – questo è il consiglio laico che si legge sottotraccia nel discorso di
Bagnasco – egli si decida a correggere i suoi comportamenti e a rappresentare il ruolo di
Anche per la Cei il premier può stare
al suo posto. A patto che si decida
a correggere i suoi comportamenti.
Per gli altri, che chiedono l’ingerenza
«morale» fuori da ogni parola sulla
cultura libertina e abortista, c’è la
denuncia di «ipocrisia» e «faziosità»
SE LA CANCELLIERA CAMBIA IDEA SULL’EFSF
EDITORIALI
guida del paese con «decoro». Per gli altri,
i moralisti dell’ultima ora e i sostenitori
dell’ingerenza «morale» ecclesiastica
fuori da ogni parola sulla cultura
libertina, abortista, eutanasica e di «falsa
coscienza», c’è la denuncia di «ipocrisia».
E, soprattutto, la denuncia di
poteri «faziosi» che giocano a tendere
«tranelli». Più chiaro di così.
I titoli delle banche italiane e spagnole
dipendono anche dall’umore della Merkel
Nonostante le smentite ufficiali, sembra che il cancelliere tedesco angela merkel abbia
cambiato idea sulla necessità di aumentare le munizioni finanziare a disposizione
dell’Efsf (European Financial Stability Facility). Tale rumour (di un possibile incremento
della dotazione del fondo per qualche centinaio di miliardi di euro) ha portato copiosi
acquisti sulle banche spagnole e italiane (un rialzo di quasi il 30 per cento per Intesa Sanpaolo
e Bbva, come evidenzia il grafico) e una sensibile riduzione dell’indice di rischiosità
dei paesi di riferimento (il cds dell’Italia è passato da 256 a 200, quello della Spagna da 360 a
300). Perché questa mini-euforia? L’Efsf è stato creato nel giugno 2010 allo scopo di soccorrere
i paesi dell’Eurozona in situazione di instabilità finanziaria. La società, non dotata di un
proprio patrimonio (a differenza della Bei), emetterà bond che ogni nazione dell’Eurozona si
impegnerà (pro-quota) a garantire al 120 per cento. La Germania recita un ruolo di vitale importanza
in questa struttura, in quanto sopporta il peso maggiore: basti pensare che su 100
di garanzia sottostante a ogni emissione, circa il 30 per cento è sulle spalle dello Stato tedesco
(alla Francia tocca una quota del 20, all’Italia il 18, alla Spagna il 12). Ma ancor più importante
è che quando uno Stato chiede aiuto, evidentemente viene meno la sua garanzia e
di conseguenza per gli altri aumenta la quota. Nel caso (che nessuno si augura) di un attacco
speculativo a Spagna e Italia, i capitali che dovrà raccogliere
l’Efsf saranno garantiti per il 70 per cento
dalla Germania (il restante 30 spetterà alla Francia). ’09Bbva
Dunque chi ha cercato di scommettere recentemen- Intesa
te contro Italia e Spagna è, forse, tornato momentaneamente
sui propri passi (chiusura delle posizioni
allo “scoperto”) perché pare che lo Stato tedesco
– extrema ratio – sia pronto a fare la propria parte.
Alessandro Frigerio RMJ Sgr
Le quotazioni di Intesa e Bbva (10-21 gennaio)
130
125
120
115
110
105
Fonte: Bloomberg Finance 100
10 11 12 13 14 17 18 19 20 21
FOGLIETTO
La questione reale.
Di fronte allo strapotere
delle toghe il popolo
difende ancora il suo
“disordinato” premier
Nel libro Magistrati Luciano
Violante spiega come dovunque
nel mondo il coordinamento
della politica di persecuzione della criminalità
sia prerogativa dell’esecutivo.
In un altro libro (Giustizia. La parola
ai magistrati) coordinato dallo storico
esponente di Magistratura democratica
Livio Pepino, il giudice Letizia
Magliaro scrive che i pubblici ministeri
godono di regimi diversi nei vari Stati
liberaldemocratici ma tutti sono in
qualche modo subordinati ai ministri
della Giustizia. Violante spiega l’anomalia
italiana dicendo che nel momento in
cui si scrisse la Costituzione i democristiani
non si fidavano di Palmiro Togliatti
e viceversa, per cui si decise per
l’indipendenza dei pm, e oggi non ci si
potrebbe adeguare al resto del mondo
civile perché non si può fare una riforma
contro le toghe stesse. Leggendo
le parole di coloro che hanno guidato
la rivoluzione giustizialista dell’ultimo
ventennio, si comprende perché
la maggioranza del popolo italiano
preferisca difendere i comportamenti
talvolta moralmente disordinati del suo
presidente del Consiglio che cedere al
potere senza limiti di una corporazione
che appare rispondere
solo a se stessa.
Centosessanta
anni di statalismo
nazionale determinano
questi atteggiamenti
che tutto
sommato mi paiono
ragionevoli e non
mi capacito come persone
di buon senso come
Pier Luigi Bersani
e ancor più Pierferdinando
Casini non
colgano l’enormità
dei problemi in ballo. La logica
da nomenklatura acceca. Detto questo,
non è chiaro dove si andrà a sbattere.
Lodovico Festa
| | 2 febbraio 2011 | 3
La laica inquisizione. Rubygate
Nessuno può ficcare il naso nella camera da letto di un
libero cittadino, anche se è il presidente del Consiglio. Però
adesso Berlusconi ci deve un paio di risposte. Politiche
Emanuele Boffi, Luca Fiore, Giuseppe Zanetto ..........................................................................................8
Biotestamento. Aspettando la legge
Si parla solo del diritto di morire, ma c’è un esercito
di “vegetali” che lotta per il diritto a vivere. Da malati
Fabio Cavallari.........................................................................................................................................................................................................20
Antimafia. Un’impresa
La rete delle aziende calabresi che sfidano il racket
Chiara Rizzo ....................................................................................................................................................................................................................22
Wojtyla. Beato subito
Aspettando il primo maggio, un ritratto dello “zio”
Karol così come lo ricordano le testimonianze polacche
del processo di beatificazione. Dai compagni
del seminario clandestino al generale Jaruzelski
Annalia Guglielmi..............................................................................................................................................................................................28
Polonia. Qui si vive senza euro
Vivere e lavorare nel paese che ha rinunciato alla
solidità della moneta unica per non frenare la sua
crescita economica quasi “asiatica”. Reportage
da Varsavia tra negozi e imprese
Alessandro Turci .................................................................................................................................................................................................32
Bambini e ragazzi. Dalle fiabe al teatro
Storie (e pagine) di straordinaria educazione.........................................38
Manie. Purché sia verde
Così siamo arrivati a una società in cui i dodicenni
sognano di fare non gli astronauti ma gli ecologisti
Antonio Gurrado ................................................................................................................................................................................................44
RUBRICHE
Foglietto
Lodovico Festa ...................................3
Non sono d’accordo
Oscar Giannino ...................................7
Il diavolo della Tasmania
Renato Farina ..................................19
Se ti dimentico
Gerusalemme
Yasha Reibman
Recensire Ratzinger
Bruno Mastroianni ..............27
Intellettuale cura te stesso
Giorgio Israel ...................................37
Mamma Oca
Annalena Valenti .....................51
Presa d’aria
Paolo Togni ..........................................52
Post Apocalypto
Aldo Trento ........................................60
Sport über alles
Fred Perri .................................................62
Diario
Marina Corradi ............................66
L’Italia che lavora ....................48
Per Piacere ..............................................50
Green Estate ........................................52
Mobilità 2000 ..................................55
La rosa dei Tempi .....................58
Lettere al direttore ................62
Taz&Bao .....................................................64
LA SETTIMANA
Il primo maggio Benedetto
XVI beatificherà Giovanni
Paolo II. Gli amici polacchi
raccontano “zio” Karol
Reg. del Trib. di Milano n. 332 dell’11/6/1994
settimanale di cronaca, giudizio,
libera circolazione di idee
Anno 16 – N. 4 dal 27 gennaio
al 2 febbraio 2011
COPERTINA DI Francesco Camagna
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REDAZIONE: Emanuele Boffi, Laura Borselli,
Mariapia Bruno, Rodolfo Casadei (inviato
speciale), Benedetta Frigerio, Caterina Giojelli,
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INTERNI
| | 2 febbraio 2011 | 21
| 2 febbraio 2011 | |
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nosciuto perché questa malattia finisce sui
giornali solo se si discute di eutanasia e sic-
come io sono un guerriero della vita, non
sono mai salito agli onori delle cronache.
La verità è che voler vivere non fa notizia».
Noi sani, sappiamo poco. Anche in buo-
na fede, non riusciamo a comprendere ciò
che possiamo solo ipotizzare. È necessa-
rio entrare in una stanza di un ammalato.
Bruno da più di cinque anni non esce dal-
la sua stanza, ma segue, attraverso le nuove
tecnologie, ogni iniziativa che lo riguardi.
Il coro di Bruno
Così anche durante la presentazione del
libro, era presente, collegato con una web-
cam da casa. Una platea partecipe gli ha
più volte riconosciuto un applauso vero e
sentito. Tra i presenti anche l’ex presidente
della Regione Sardegna, Renato Soru. I due
si conoscevano da ragazzi, poi si sono per-
si di vista. Sollecitato a intervenire, l’auto-
revole esponente del Pd si è alzato, ha fat-
to quattro passi in avanti, preso il microfo-
no e donato agli astanti il suo pensiero: «Io
non intendo dire nulla, voglio solo ricorda-
re che Bruno da giovane era davvero bravo
a giocare a ping pong». Gelo in sala, qual-
che secondo di silenzio e poi a salvare la
situazione è intervenuto il coro polifoni-
co sardo, guidato proprio da Bruno, che ha
saputo riportare un po’ di calore in sala.
Vengono i brividi lungo la schiena a
pensare che tra qualche settimana in Par-
lamento si discuterà proprio di testamen-
to biologico. C’è da sperare che dall’una e
dall’altra parte, nessuno con tanta sensibi-
lità sia presente nell’aula di Montecitorio.
Fabio Cavallari
volta amara, c’è la voglia di onorare il sen-
so dell’esistenza. Ognuno con una modalità
differente, con la propria storia personale.
A sostenere ogni lotta, l’unico antido-
to: il pensiero affettivo. Le famiglie degli
ammalati si ritrovano spesso abbandona-
te. In molte situazioni viene negato loro
anche il minimo diritto di cittadinanza,
ossia l’assistenza domiciliare, gli ausili
indispensabili per una qualità della vita
compatibile con la loro disabilità.
Bruno ha la fortuna di avere attorno a sé
una famiglia solida, amici che sotto la sua
regia provano ogni settimana i canti della
tradizione sarda attorno al suo letto. Il suo
sorriso vale mille tavole rotonde e discor-
si sulla libertà. «Io sono felicissimo di vive-
re anche con la Sla», mi dice comunican-
do attraverso una tabella dove le sue pupil-
le scorrono veloci. «Sono un perfetto sco-
con cui comunica col mondo e naviga in
Internet. Attorno a lui, una comunità di
uomini e donne semplici, tenaci, fieri del-
la loro identità.
Ero lì per presentare il mio “lavoro” e
mi hanno accolto come un amico arriva-
to dal profondo nord per fare festa, gioire
assieme a loro, combattere la miglior bat-
taglia possibile, quella per la vita. Noi sap-
piamo poco. Noi giornalisti, scrittori, pre-
ti, politici, confondiamo spesso le nostre
idee con il reale.
Attorno al letto di Bruno, ho visto la
vita dispiegarsi, lì accanto, assieme a lui,
si è scherzato, mangiato, discusso. La bas-
sa morale, il buonismo, la falsa pietà, sono
affari per opinionisti da salotto. Se voglia-
mo comprendere oltre l’iconografia del-
la sofferenza, dobbiamo impastarci con la
realtà. Dentro l’esperienza quotidiana, tal-
rarissima e di Oscar che, da quindici anni,
vive a casa in stato vegetativo curato da
un’indomita madre. Uomini e donne, vive
nonostante condizioni estremamente inva-
lidanti. Narrazioni che non possono lascia-
re indifferenti perché rifuggono dalle faci-
li conclusioni televisive, dal già sentito e
visto. Sono loro gli anticonformisti, coloro
che hanno bisogno di essere sostenuti nella
lotta per la rivendicazione di un diritto che
formalmente è già garantito, ma inapplica-
to: quello alla cura.
Il diritto di cittadinanza
Assistenza domiciliare, accesso a tutti gli
ausili disponibili, abbattimento della buro-
crazia, sono oggi i veri diritti negati.
Mi piace chiamarlo diritto di cittadi-
nanza. Per condurre la lotta, però, è neces-
sario uscire da quel limbo suggestivo ma
fittizio in cui una certa coltura dominan-
te vuole cacciarci. In verità, al cospetto del
reale l’astrazione soccombe, perde la sua
seduzione dialettica. Possiamo discutere
per ore, elaborare la miglior sintesi possi-
bile, ma al cospetto della narrazione quo-
tidiana, nulla possono fare tesi e antitesi.
«La stanza di un ammalato è uno dei
posti più belli al mondo», così mi ave-
va detto Tiziana Lai moglie di un uomo
affetto da Sla, che ho raccontato nel mio
libro. Nel mese di dicembre sono andato
a trovarlo a Sanluri, un piccolo centro del
Medio Campidano in Sarde-
gna. Bruno Leanza oggi vive
a casa, grazie a un ventilato-
re meccanico e a un sondino
che gli permette di alimen-
tarsi. Muove solo gli occhi,
D
omenica 16 gennaio presso il Teatro
Filodrammatici di Milano si è svolto
un happening teatrale disegna-
to attorno al “Testamento biologico”. L’ap-
puntamento, organizzato dal Dipartimen-
to diritti del Pd, ha visto salire sul palco il
senatore Ignazio Marino, Beppino Englaro e
molti esponenti dell’establishment milane-
se del Partito democratico.
Un evento creato con l’intento di por-
tare in scena testimonianze e voci a soste-
gno dell’esigenza di legiferare sul fine vita.
“Libertà” è stato il termine che con più insi-
stenza è stato ripetuto, sotto forma di rap-
presentazione artistica, sul palco del teatro.
Libertà di scegliere la “dolce e calda morte”,
possibilità di farsi protagonisti della pro-
pria dipartita, necessità di esercitare la pro-
pria autodeterminazione.
Non è stato facile, per chi, come il sot-
toscritto, è andato per mesi a incontra-
re uomini e donne, che pur in condizioni
“limite” hanno deciso di lottare quotidiana-
mente per il rispetto del loro diritto di vive-
re, ritrovarsi immerso in una rappresen-
tazione sorretta da un’idea ma drammati-
camente svincolata dalla realtà. Superare
l’ostacolo di quella pretesa astratta, è sta-
to come percorrere un sentiero su un terre-
no irreale. Due ore di spettacolo, centoventi
minuti, dove l’immagine più emblematica
è sembrata dispiegarsi nella disperazione di
chi vuole sfuggire dal dolore, dalla sofferen-
za, dalla fatica di vivere in questo mondo.
Va dato atto, al regista dell’evento, di
aver voluto con ostinata insistenza, farmi
salire sul palco per portare una narrazio-
ne differente. Così, dentro una raffigurazio-
ne dove il diritto di scegliere “la fine” sem-
brava l’unica interpretazione possibile, han-
no fatto breccia le parole di Daniela, affetta
da locked-in syndrome, raccontata nel mio
libro Vivi (Lindau), che per sei mesi è stata
erroneamente considerata in stato vegetati-
vo, quando invece sentiva, percepiva, ascol-
tava ogni cosa. «Sono viva, voglio vivere»,
parole che appartengono alla più natura-
le volontà umana, ma che in quel contesto
sembravano parole aliene dentro un mon-
do sospeso in un’altra dimensione, quella
dei princìpi e delle buone idee.
Ho sentito un applauso vero al termi-
ne della mia narrazione anche da parte di
quei militanti piddini che avevano affolla-
to il teatro per rivendicare un diritto nega-
to. Dopo parole e parole, seppur edulcora-
te dal verbo “scegliere”, che riconducono al
concetto di “morte”, gli uomini hanno biso-
gno di segnali di speranza, di un viso lieto
nella lotta, di persone che combattono per
la vita. Tutti gli uomini, di destra o sinistra,
credenti o meno. Coloro che si fermano alla
soglia non sono le persone reali, ma la casta
dei poteri, i professionisti dell’astrazione.
Con le parole di Daniela ho portato sul
palco con me tutte le storie che sto cercan-
do di far conoscere. La forza di Massimilia-
no risvegliatosi dopo dieci anni in cui è sta-
to considerato un “tronco morto”, la fatica
e l’ostinazione di Claudio affetto da Sla, di
Giulia e Giovanni che non dovevano neppu-
re nascere, di Egle colpita da una malattia
Sono loro gli anticonformisti, coloro che hanno
bisogno di essere sostenuti nella lotta
per la rivendicazione di un diritto formalmente
già garantito, ma inapplicato: quello alla cura
Libertà è scegliere come morire o lottare per vivere?
La storia del battagliero Bruno e quelle di altri
malati come lui. “Vegetali” capaci di commuovere
anche la più accanita delle platee pro eutanasia
IN PARLAMENTO
La sentenza di morte
L’8 ottobre 2008 la
Corte d’Appello con-
ferma l’autorizzazione
alla sospensione di
alimentazione e idra-
tazione per Eluana
Englaro. Il 6 febbraio
2009 l’équipe che
segue il caso presso la
“La Quiete” di Udine
annuncia l’avvio della
progressiva riduzione
dell’alimentazione.
Eluana muore il 9 feb-
braio 2009.
La prima proposta
In quei giorni il gover-
no Berlusconi tenta di
impedire l’attuazione
della sentenza con un
decreto e poi con un
ddl, nonostante le per-
plessità di Napolitano.
Dopo la morte di
Eluana le proposte
vengono ritirate in
cambio della discus-
sione di una legge che
disciplini i cosiddetti
casi di fine vita.
Il male minore
A febbraio in Senato
ricomincerà la discus-
sione sul Ddl Calabrò,
elaborato proprio
per escludere nuovi
“casi Englaro” e nuove
“invasioni di campo”
da parte dei giudici.
Alimentazione e
idratazione artificiali
non potranno essere
oggetto di Dichiarazio-
ne anticipata di trat-
tamento, in quanto
forme di sostegno vita-
le, la cui sospensione si
configurerebbe come
eutanasia passiva.
Un esercito
invisibile
di guerrieri
INTERNI MA QUALE DOLCE MORTE
A destra, Ignazio
Marino, senatore del
Partito democratico.
Sotto, Beppino
Englaro, padre
di Eluana, deceduta
il 9 febbraio 2009.
A sinistra, due
immagini di Bruno
Leanza, affetto da
Sla: insieme al suo
coro polifonico sardo
e con la figlia e una
amica di famiglia
Foto: AP/LaPresse
20
CoPERTINA
| 2 febbraio 2011 | |
28 | | 2 febbraio 2011 | 29
scovo di Cracovia, era profondamente con-
vinto che fosse pienamente maturo, aves-
se una santità autentica, un’individualità
fuori dal comune e potesse portare grande
beneficio al futuro della Chiesa.
La nascita della “famigliola”
Dopo il dottorato a Roma e un breve sog-
giorno in una piccola parrocchia, fu nomi-
nato cappellano della chiesa di San Floria-
no a Cracovia. Era la chiesa della pastora-
le universitaria ed egli cominciò subito ad
organizzare un gruppo di studenti, nono-
stante le enormi difficoltà imposte dalla
situazione politica: erano gli anni Cinquan-
ta, anni particolarmente duri per la Chie-
sa in Polonia. La presenza dei sacerdoti tra i
giovani era proibita dal regime, alcuni pre-
ti erano stati perfino condannati a morte
per questo. Ben presto, però, attorno al gio-
vane don Karol si formò una comunità di
giovani che si chiamava “L’ambiente”, per
indicare la presenza nel proprio ambiente
di vita, ma era detta confidenzialmente “la
famigliola”, per suggerire la qualità e l’in-
tensità del rapporto che legava i suoi com-
ponenti. E don Karol in pubblico era chia-
mato “Wujek”, zio, per evitare di incorrere
nelle ire dei servizi di polizia.
Ecco le parole di alcuni testimoni di
quei primi anni del ministero sacerdota-
le di don Karol Wojtyla. «Era magnetico.
Vedevamo in lui il sacerdote dei nostri ide-
ali giovanili, vale a dire il sacerdote che ha
tempo, confessa, prega molto e in un cer-
VERSO IL 1° MAGGIO
COPERTINA
ni alla fede, dando vita al “Rosario vivente”
e guidando discussioni teologiche che toc-
cavano la mistica. Fu lui a introdurre il gio-
vane Karol alla spiritualità di san Giovan-
ni della Croce. Per comprendere quanto
importante sia stata la figura di Tyranow-
ski basti pensare che Giovanni Paolo II tene-
va la sua fotografia sul comodino della sua
camera da letto in Vaticano.
Per il bene della Chiesa
La sua spiritualità era profonda e intensis-
sima – «Ci ho provato, ma non sono mai
riuscito a imitare la sua capacità di pre-
ghiera», dice un suo compagno di semina-
rio –, e fu accompagnata fin dall’inizio da
un’inesauribile dedizione all’uomo, ogget-
to dell’amore di Dio e per il quale Dio ha
sopportato la croce. All’università era vice-
presidente di un gruppo di cattolici, “Aiu-
to fraterno”, che si prendeva cura degli stu-
denti in difficoltà. Ricorda un suo com-
pagno: «A dire il vero, prima di diventare
sacerdote non ci parlava mai di Dio. Non
ha mai cercato di convertirci. Però, con tut-
ta la sua personalità testimoniava che Dio
è l’unico Essere, è il centro dell’esistenza».
Mentre lavorava alla cava della Solvay fu
talmente amato dai suoi compagni ope-
rai, che gli risparmiavano i lavori più duri
per consentirgli di studiare. Fino a quan-
do le condizioni di salute glielo hanno per-
messo, Giovanni Paolo II è rimasto fedele
all’amicizia coi suoi compagni di scuola,
di università, di seminario e di lavoro alla
cava. Con loro si incontrava regolarmente
in Vaticano o a Castel Gandolfo.
La sua ordinazione sacerdotale si svolse
in anticipo, dopo appena due anni di semi-
nario, poiché il cardinale Sapieha, arcive-
to” con loro, salvato al posto di tanti per un
disegno misterioso. «Ti basta la mia Grazia»,
«Totus Tuus», in modo totale, radicale, sen-
za compromessi. A questa spoliazione corri-
spose un sì totale, prima alla bellezza, alla
poesia, al teatro, alla parola come manife-
stazione del mistero e dell’uomo. Poi, defi-
nitivamente, a Colui che di quella bellez-
za è la sorgente. Decisivi per la sua forma-
zione furono la figura del padre, ex uffi-
ciale dell’esercito polacco, uomo di gran-
de fede che – dirà in seguito egli stesso – gli
insegnò a pregare e ad affidarsi totalmente
alla volontà di Dio (non dimenticherà mai
quell’uomo in piedi di fianco alla bara del
figlio ripetere incessantemente: «Sia fatta la
Tua volontà»), e quella di Jan Tyranowski,
un umile sarto che aveva fatto solo gli stu-
di elementari, ma che, grazie alla sua vita
ascetica, fu in grado di attirare molti giova-
T
otalmente dedito all’uomo perché
totalmente certo e immerso in Dio e
immedesimato con Cristo. Questo
mi è rimasto nel cuore dopo aver avuto la
ventura di leggere e tradurre le testimo-
nianze polacche del processo di beatifica-
zione di Giovanni Paolo II.
Tutti ricordiamo il grido di Giovan-
ni Paolo II «Non abbiate paura!» durante
la prima omelia del suo pontificato. «Quel
grido rimane per me, in assoluto, il primo
potente gesto di evangelizzazione, la pri-
ma grande proclamazione della sua speran-
za», ricorda un testimone. «Non fu un’esor-
tazione: “Cominciate a lavorare! Non state
a discutere!”, quanto piuttosto l’annuncio
della potenza di Cristo. È la risposta dell’uo-
mo: “Signore, Tu puoi tutto, Tu sai tutto”.
Quel grido si fonda sulla sua fede. Senza
questa certezza il Papa non sarebbe quello
che è. In tutto quello che Giovanni Paolo II
ha fatto c’era questa fiducia, che compren-
de fede e amore. Tutto ciò che ha fatto si
fonda sulla certezza che Cristo non abban-
dona la sua Chiesa».
Immerso in Dio e immedesimato con
Cristo fin dalla giovinezza, che fu attraver-
sata da dolori e gravi prove, come se Dio lo
avesse attirato a sé attraverso una misterio-
sa pedagogia. Karol Wojtyla rimase orfano
della madre a nove anni, mentre una sorelli-
na, Olga, era morta prima della sua nascita.
Aveva solo dodici anni quando perse l’ama-
tissimo fratello, ventuno quando morì il
padre. Visse i tragici anni dell’occupazione
nazista della Polonia, durante i quali furono
uccisi tanti amici ebrei della sua infanzia, e
fino alla fine della vita si sentirà “in debi-
terrena». Si tratta di un
evento senza precedenti:
negli ultimi dieci secoli
nessun Papa ha innalzato
agli onori degli altari
l’immediato predecessore.
Per l’occasione le spoglie
di papa Wojtyla saranno
mente), la congregazione
delle Cause dei santi ha
riconosciuto la guarigione
dal morbo di Parkinson di
suor Marie Simon-Pierre
Normand come miracolo
da attribuire all’interces-
sione di Giovanni Paolo II.
LA BEATIFICAZIONE
Nella domenica della
Divina Misericordia
Il 1° maggio, durante
una cerimonia pubblica,
Benedetto XVI proclame-
rà beato Giovanni Paolo
II. «La data è molto
LA CAUSA
La dispensa sui tempi e
la guarigione miracolosa
Grazie alla dispensa con-
cessa da Benedetto XVI,
la causa di beatificazione
è iniziata prima che fos-
sero trascorsi i canonici
significativa», ha detto il
Santo Padre all’Angelus
del 16 gennaio. «Sarà
infatti la seconda dome-
nica di Pasqua, che egli
stesso intitolò alla Divina
Misericordia, e nella cui
vigilia terminò la sua vita
cinque anni dalla morte,
ed è stata aperta il 28
giugno 2005 dal cardi-
nale Camillo Ruini, vicario
generale per la diocesi di
Roma. L’11 gennaio scor-
so, al termine dell’iter pre-
visto (osservato integral-
traslate, senza esposizio-
ne, dalle grotte alla basi-
lica vaticana, nella cap-
pella di San Sebastiano
(navata destra). La bara
sarà chiusa da una lapide
di marmo con la scritta
Beatus Ioannes Paulus II.
BEATUS IOANNES PAULUS II
Wojtyla
e i suoi
preferiti
«Ognuno di noi era convinto di essere l’amico
che egli privilegiava». Lo “zio” Karol così come
lo ricordano le testimonianze polacche del suo
processo di beatificazione. Dai compagni del
seminario clandestino al generale Jaruzelski
Foto: AP/LaPresse
di Annalia Guglielmi
L’AUTRICE
CHI È ANNALIA GUGLIELMI
Un’italiana al centro della storia polacca
Dal 1978 al 1982 ha insegnato italiano alla
Cattolica di Lublino. Qui si è legata ai movi-
menti dell’opposizione, coi quali ha collabo-
rato fino alla caduta del regime comunista.
Dal 1990 al 2004 ha diretto, a Varsavia, una
società di consulenza impegnata nella rico-
struzione del paese. Il governo polacco le ha
assegnato la Croce di cavaliere al merito.
LE MEMORIE DI CRACOVIA
Dagli atti del tribunale ecclesiastico
Quelle pubblicate qui sono testimonianze
raccolte dal Tribunale ecclesiastico di
Cracovia per il processo di beatificazione di
Wojtyla, dichiarazioni che Annalia è stata
incaricata di tradurre in italiano e che sono
ancora coperte da segreto: i nomi dei testi-
moni non possono essere rivelati.
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ESTERI
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REPORTAGE
ESTERI
Vivere
senza euro
In Europa c’è un paese che ha rinunciato alla
solidità della moneta unica per non frenare
la sua crescita economica quasi “asiatica”.
Viaggio in Polonia per negozi e imprese
di sostenere l’economia con la spinta deci-
siva dei consumi interni.
Nei centri commerciali delle grandi
catene d’abbigliamento si nota immedia-
tamente come i cartellini sui capi riporti-
no i prezzi in svariate divise: zloty, euro, ma
anche fiorini ungheresi, corone ceche, lats
lettoni e litas lituani. In contanti si paga
solo in zloty, mentre con la carta di credi-
to si può pagare in qualsiasi valuta. I prezzi
non sono così dissimili da quelli dei negozi
italiani, anche se gli stipendi qui sono infe-
riori di almeno il trenta per cento. È una
clientela giovane, spesso femminile, attenta
alle mode ma con senso del gusto e del pra-
tico. Abbiamo chiesto a un cassiere se pen-
sa che l’adozione dell’euro possa portare
simo centro-orientale, e civilizzazioni come
la Francia (De Gaulle è qui una figura mol-
to ammirata) sono modelli di assoluto rife-
rimento. Ma anche nel caso della ragazza
una gentile alzata di spalle e una risata qua-
si timida sono l’educata risposta al disinte-
resse per l’argomento.
I politici, invece, hanno la questione ben
scolpita in agenda, ma non vogliono correre
una seconda volta il rischio di indicare una
data per poi doverla disattendere come han-
no fatto qualche giorno fa a Parigi, comu-
nicando la rinuncia alla scadenza del 2012.
Un fatto però è sicuro, dice a Tempi Domeni-
ca Brosio, esponente del nostro Istituto per
il Commercio Estero di Varsavia: «La Polo-
nia vanta numeri e previsioni che l’Italia
benefici al suo lavoro in termini di sempli-
ficazione, anche rispetto ai clienti stranie-
ri. La domanda gli è sembrata troppo acer-
ba: «Non saprei dire, è un problema che non
riguarda me risolvere. Comunque non cre-
do che il mio lavoro cambierebbe molto se
invece dello zloty ci fosse l’euro».
Una costituzione fresca
Le ragazze che scelgono tra la merce in sal-
do non sembrano più sedotte o ansiose dal-
la prospettiva di avere nel borsellino i tagli
della moneta unica. A una di loro doman-
diamo se considera l’euro una chance, da
giocare magari quando le capiterà di recarsi
all’estero. I polacchi, del resto, si considera-
no un popolo dell’Europa centrale o al mas-
L
a recente notizia sul rinvio sine die deci-
so dalla Polonia per l’ingresso nell’eu-
ro ha incuriosito molti osservatori
economici internazionali, parecchio atten-
ti a quello che succede a Varsavia. Come
spesso accade, la sorpresa è stata meno for-
te nel paese, dove la costante crescita econo-
mica è accompagnata da una strategia basa-
ta sulla prudenza. Siamo venuti in Polonia
per capire quale sia il polso della situazio-
ne secondo gli esperti della scena economi-
co-finanziaria, ma anche per ascoltare l’opi-
nione della gente comune, che negli ultimi
tempi ha avuto il non trascurabile merito
In queste pagine, alcune foto scattate
nella zona commerciale di Varsavia,
in prossimità del Palazzo della Cultura.
Qui sopra, un murale dove il simbolo
dell’euro compare sull’elmetto di un
enorme e minaccioso militare-burattino
Nei negozi i prezzi sono in zloty,
euro, fiorini ungheresi, corone
ceche, lats lettoni, litas lituani, e
non sono dissimili da quelli italiani,
anche se gli stipendi sono inferiori
di almeno il trenta per cento
da Varsavia Alessandro Turci
foto di Federica Miglio
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CULTURA
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di Milano (Corraini, 22 euro). Perché d’in-
verno «quando la natura dorme e quando
sogna appare la nebbia. Camminare den-
tro la nebbia è come curiosare nel sogno
della natura: gli uccelli fanno voli corti per
non perdere l’orientamento, scompaiono i
segnali e i divieti nelle strade, i veicoli van-
no piano e si fa appena in tempo a ricono-
scerli che spariscono (…). Solo all’interno
delle case gli uomini e gli animali continua-
no la loro attività». Sempre che non accada
di trovare, nel bel mezzo della pianura neb-
biosa, niente meno che un circo con tanto
di animali e pagliacci...
C’è un’eco di Munari e della sua
portentosa capacità di giocare con
la grafica e le parole nel bellissimo
libro di Ramon Gomez de la Ser-
na: I bambini cercano di tirar-
si fuori le idee dal naso (Giralan-
golo editore, 13,50 euro). Già il tito-
lo è una “gregueria”, stravagante
anomalia linguistica che associa
idee alle parole. Sicché scopri-
rete che «i serpenti sono le cra-
vatte degli alberi», «il pesce sta
sempre di profilo», «l’arcobale-
no è la sciarpa del cielo». E alla
fine converrete che «bisogna
trovare un modo di lavare i
piedi ai formaggi».
C’è qualcosa di estrema-
mente affascinante nei
bei libri per bambini
ed è la capacità di usa-
re l’impossibile come
categoria. Ciò che è impos-
sibile (dal desiderio di volare a quello del
lupo di diventare una pecora) diviene perno
dell’azione, motore della giostra della fanta-
sia in cui fare un giro è d’obbligo, anche e
soprattutto se i grandi non capiscono o fan-
no i petulanti. «Mi ripetevano tutti le stesse
domande: che mestiere farai quando sarai
grande?». È l’incipit del divertentissimo
Farò i miracoli (Susie Morgenstern e Jiang
Hong Chen, Ippocampo junior edizioni, 12
euro). Il bambino, più per sfinimento che
per convinzione, accampa risposte improv-
visate: pompiere, palombaro, pilota. «Fin-
ché stamattina, chissà com’è, ho scoperto il
mestiere che fa proprio per me. Ogni gior-
no, appena mi alzo, voglio far sorgere il sole
d’un balzo. E sollevare le onde del mare. Per
divertirmi a sentirle suonare». Come si fac-
cia a far tutto ciò lo si scopre alla fine, dopo
che di desideri si è colorato il mondo.
Volare, uno dei desideri più ricorren-
ti, e poi sovvertire le categorie, abbattere
le barriere. Come Il lupo che voleva esse-
re una pecora (Mario Ramos, Babalibri, 11
euro) che sogna di librarsi in alto nel cielo
e di essere una pecora, perché «anche loro
non hanno le ali eppure, a volte, le vedia-
mo in cielo». Il lupo riuscirà a volare e tor-
nare a terra avrà presto un
sapore nuovo.
È l’idea
alla base
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c’era una volta
cultura
B
iancaneve la conoscono già, Alice nel
paese delle Meraviglie pure. Per non
parlare di Cappuccetto Rosso, che
ormai danno per capace di resurrezioni
multiple dopo le innumerevoli gite nella
pancia del lupo. Ci sono sere in cui anche
i genitori più volenterosi non sanno più a
che favola votarsi. Pomeriggi in cui anche
i più fantasiosi meditano di arrendersi alla
televisione senza limiti piuttosto che tro-
vare una nuova storia da leggere ai bam-
bini. È in quelle sere o in quei pomeriggi
che potrebbe tornarvi utile questo picco-
lo manuale pensato proprio ad uso e con-
sumo di genitori alle prese con la crescita
di pargoli che si sognano, se non letterati,
almeno non del tutto teledipendenti. È in
quelle sere che potrete far ricorso a queste
storie di provato divertimento e approvata
intelligenza, adatte a bambini fino ai sei-
sette anni di età.
Giochi, trucchi e assonanze
È un libro senza parole e con due colori in
tutto. Eppure piace moltissimo ai bambi-
ni che non si stancano mai di vedere gli
animali affollare l’altalena sapientemen-
te stilizzata dalla matita dell’architetto
Enzo Mari. È un progetto, L’altalena (Cor-
raini editore, 15 euro), un progetto che si
deve svolgere e che bisogna avere tanto
spazio per aprire, ma che basta pochissi-
mo per portarsi dietro. Fate largo, sposta-
te i giocattoli dal pavimento. Fate largo,
perché sull’altalena ci sia spazio per tut-
ti e perché l’altalena abbia tutto lo spazio
che le serve per lasciarvi senza parole.
«C’è sempre qualche vecchia signora che
affronta i bambini facendo delle smorfie da
far paura e dicendo delle stupidaggini con
un linguaggio informale pieno di ciccì e di
coccò e di piciupaciù. Di solito i bambini
guardano con molta severità queste persone
che sono invecchiate invano; non capisco-
no cosa vogliono e tornano ai loro giochi,
giochi semplici e molto seri». Così parlava
Bruno Munari (Arte come mestiere, 1966),
genio della grafica e del design che a quei
giochi semplici e molto seri dedicò anni di
studio e di lavoro. In tutto il mare magnum
della produzione del maestro abbiamo scel-
to due chicche. Bussate (Toc Toc, Corrai-
ni, 15,50 euro) e vi aprirà la giraffa Lucia
che viene da Verona, pronta a schiudere
i segreti contenuti nella sua enorme vali-
gia. Un’anticipazione? Dentro c’è la zebra
Carmela che viene da Lugano, nel suo bau-
le altri tesori inaspettati, sempre più picco-
li e sempre più incredibili, sempre giocati
tra colori stupefacenti e parole scelte con
sapienza e musicalità. Bisogna sfogliare per
scoprire, perché non c’è scoperta che non
chieda un gesto di protagonismo, anche in
un altro splendido volume di Munari. Qui il
maestro ci conduce per mano Nella nebbia
Se il lupo
è un gran
fifone
avventure mirabolanti di belve buone
e bambini coraggiosi. Breve manuale
di favole per salvare i piccoli dalla tv
e risvegliare la fantasia dei grandi.
e in casa sarà una gara a chi legge di più
a lato, una tavola
di troppo tardi
di Giovanna Zoboli
e camilla Engman
(topipittori editore).
Sotto, una scena
di l’altalena di Enzo
Mari (© Enzo Mari,
courtesy corraini
Edizioni).
Nella pagina
accanto, Piccolo
lupo alle prese con
il suo desiderio di
volare (Il lupo che
voleva essere una
pecora, di Mario
ramos, Babalibri)
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Berlusconi non deve giustificare i suoi comportamenti privati
davanti a giudici che vogliono solo la sua gogna pubblica.
Ma lasci perdere le fidanzate e inizi a dare spiegazioni politiche
bunga bunga show
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Rubygate
Le risposte che aspettiamo
settimanale diretto da luigi amicone
anno 17 | numero 4 | 2 FeBBraio 2011 | � 2,00
Poste italiane spa - spedizione in a. p. d.l. 353/03 (conv. l. 46/04) art. 1 comma 1, ne/Vr - contiene ir
Il segreto
di Wojtyla
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SOMMARIO
Foto: AP/LaPresse
Uscire dal NoveceNto. Il sogno,
ha detto Eugenio Scalfari
commentando più che positivamente
l’indomani, il sogno che
occorre recuperare per vincere. Per
vincere contro Berlusconi. Ma senza
ricorrere a coalizioni eterogenee,
abbandonando la strada sulla quale
dopo la batosta del 2008 il Pd si è disordinatamente
e litigiosamente rimesso
in moto. Per commentare il
Lingotto 2.0 di Veltroni del 21 gennaio
scorso, occorre guardarsi dalle
mille piccolezze che affollano le cronache di un partito
molto diviso, e andare alla sostanza. Sono tra quelli che
continuano e continueranno a difendere maggioritario e
bipolarismo. Non mi convincono i neoproporzionalisti,
i terzopolisti, quelli che pensano di tornare al diritto di
premiership e al governo sempre decidendo dal centro
con chi allearsi di volta in volta. Il bipolarismo
maggioritario italiano ha
continuato a produrre coalizioni eterogenee
e litigiose perché ha continuato
a convivere con norme per l’accesso
ai rimborsi elettorali – la chiave
di volta per giustificare le ambizioni
di tutti i i leader tranne Berlusconi,
che ha e usa ampiamente denari suoi
per le campagne elettorali – sfacciatamente
e dannatamente proporzionaliste,
per cui basta ottenere meno
dell’1 per cento a politiche, amministrative
ed europee per aver accesso a
un signor malloppo. Ed è questo che
va cambiato, non il maggioritario
(non sto parlando delle liste bloccate
che fanno schifo, ma quasi tutti quelli che le vogliono
abolire pensano in realtà alla proporzionale e ad abolire
il premio di maggioranza, hanno in testa il pieno ritorno
al giochetto dei veti e ritengono che sia meglio assicurarsi
contro ogni ipotesi di “governi forti”).
Con tale premessa, Veltroni era il leader pd con più
carica maggioritaria. E tale resta, malgrado la sconfitta
rimediata alle urne. Quasi tutti gli altri leader del Pd
hanno cambiato idea, da D’Alema – che in realtà ha dismesso
una finzione, lui secondo me non ci aveva mai
creduto – a Bersani, agli ex margheritini. Il più della ex
L’OBIETTORE
UScIRE daL nOvEcEnTO Sì. E POI?
Qui si fanno le pulci al nuovo Veltroni
E alla sua timidezza maggioritaria
di Oscar Giannino
nOn SOnO
d’accORdO
Si è limitato a chiedere per il Pd il traguardo di primo
partito. Ha rifiutato alleanze eterogenee, ma è cauto
nell’indicarle. Ma se non si entra nel concreto, la
differenza tra antagonismo e riformismo resta labile
famiglia democratica ha in mente un’idea di partito che
non potrebbe essere onestamente socialdemocratico in
chiave europea, perché continua pensare di poter essere
anche radicale in quanto vinse nel 92-94 la battaglia di
far sparire definitivamente i socialisti, e per questo continua
alternativamente o a giocare di sponda con la sinistra
antagonista, quando superava i tetti elettorali con
Prodi, oppure a essere comunque l’unico tram per un’alleanza
di governo con un Vendola che la pianti di voler
fare il leader lui. Gli ex margheritini fanno buon viso a
cattivo giuoco. Non potrebbero mai volere un partito socialista.
Ma se si tratta di una finta pur di tornare a un’alleanza
col centro di Casini&co., pensano che sia l’unica
possibilità di un ritorno in area potenzialmente di governo
ed equilibrata in senso moderato. Il Lingotto 2.0
di Veltroni risente degli sviluppi. È stato assai meno decisamente
maggioritario di quello del 2007. Si è limitato
a chiedere per il Pd il traguardo di primo partito italiano,
che attualmente resta lontano. Ha rifiutato alleanze
eterogenee, ma è cauto nell’indicarle. Sui contenuti, ottima
l’indicazione verso un mercato del lavoro ridefinito
sull’idea del contratto unico. Ma ci sono almeno tre
idee diverse di attuazione: quella di Michele Tiraboschi e
di Sacconi ha punti di coincidenza anche sostanziali con
quella di Pietro Ichino, ma questa resta molto distante
da quella proposta invece e controfirmata in Parlamento
dal più dei parlamentari Pd, da ex dirigenti della Cgil
e sostenuta dalla benedettiana voce.info.
Ieri Cofferati e le pensioni, oggi la Fiom
Se non si entra nel concreto, la differenza tra antagonismo
e riformismo resta labile e scivolosa. E alla fine non
si scioglie mai il dilemma centrale. Se avesse ragione ieri
D’Alema a voler riformare le pensioni o Cofferati che vinse
opponendogli un no brutale dalla tribuna congressuale.
Se oggi abbia ragione la Fiom che resta l’unica federazione
Cgil a non firmare contratti e intese; o il resto della
Cgil che in settori come tessili, chimici e alimentaristi
firma intese anche aziendali di questo tipo – tema della
rappresentanza esclusa – in alcuni casi addirittura da
decenni. Per me che alle tasse sono poi ipersensibilissimo,
la proposta veltroniana della patrimoniale addossata
al 10 per cento di italiani “ricchi” – ma quali, secondo
la radiografia dell’Agenzia delle entrate? – per abbattere
di 25 o 30 punti il debito pubblico è un errore colossale.
Senza un patto esplicito e ferreo ad abbassare contestualmente
spesa pubblica e pressione fiscale, è solo un via libera
alla politica a tornare a far deficit e debito. Piacerà a
Giuliano Amato e a De Benedetti e magari anche a Luigi
Abete, ma altro che sogno, è un incubo. Che torna a indicare
agli italiani la via di portare all’estero tutto ciò che
riescano, quando abbiamo fatto tanto per recuperare al
fisco gli oltre 100 miliardi di euro figli dello scudo Tremonti.
Uno dei maggiori successi del ministro dell’Economia,
anche se nessuno o quasi glielo riconosce in nome
della facile demagogia fiscale.
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Berlusconi non deve giustificare i suoi comportamenti privati
davanti a giudici che vogliono solo la sua gogna pubblica.
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unga bunga show
Rubygate
Le risposte che aspettiamo
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di Emanuele Boffi
«Voi direte: succede al Berlusca perché è
potente, a noi non capiterà. Vi capiterà,
invece». Giancarlo Perna, Il Giornale
Prende la noia a ripeterlo, ma la premessa
necessaria da porre sul “caso
Ruby” (in cui il premier Silvio Berlusconi
è indagato per concussione e prostituzione
minorile) è che si tratta di un’inchiesta
in fase preliminare che riguarda
reati che, ad oggi, sono solo presunti. Sappiamo
tutto, ma che cosa sappiamo? Da
due settimane stiamo discutendo in base a
389 pagine – e altre se ne aspettano – che,
in spregio al segreto istruttorio, sono finite
su quotidiani, tv, internet (con tanto di
indirizzi e numeri di cellulari). Il primo e
vero scandalo non si è consumato di nasco-
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sto sotto le lenzuola di una villa brianzola.
Il primo e vero reato si consuma quotidianamente
alla luce del sole, da due settimane
a questa parte. Gli atti, prima che in
tribunale, sono stati depositati in edicola.
Si è mai vista una procura che inoltra alla
Giunta per le autorizzazioni della Camera
una richiesta di perquisizione lunga quasi
400 pagine, quando – di solito – bastano
tre righe? Pier Luigi Bersani, segretario del
Pd, ha chiesto le dimissioni del premier in
base all’articolo 54 della Costituzione che
recita che «chi esercita funzioni pubbliche
deve farlo con disciplina e onore». Perché
non ha ricordato anche gli articoli 114 e
329 del Codice di procedura penale secondo
cui è vietato pubblicare un interrogatorio
o un’intercettazione? Il reato addebitato
a Berlusconi è da dimostrare; quelli
compiuti dai media sono evidenti.
Antica questione. Da giorni siamo
inondati di intercettazioni che – more solito
– ci consegnano frasi smozzicate, spesso
incomprensibili, avulse da un contesto, cui
si può far dire tutto e il suo contrario. Un
modo per condannare su piazza prima che
in un’aula di tribunale. È il circolo mediatico
giudiziario, cui Tempi si è sempre sottratto
e non da oggi. Acca-
«Si è mai vista una procura che inoltra alla de da Tangentopoli, passan-
infophoto
do per infiniti scandali che
Giunta per le autorizzazioni della Camera una spesso si sono frantumati in
richiesta di perquisizione lunga quasi 400 polvere, colpendo tuttavia le
AP/LaPresse,
pagine, quando di solito bastano tre righe?» persone ben al di là dei loro
Foto:
Foto: aP/LaPresse, infophoto
presunti reati. Ci sono finiti dentro tutti,
a destra e a sinistra, anche in tempi recenti:
Sircana, Mastella, Del Turco, Marrazzo.
Il settimanale Panorama ha calcolato
che per il Rubygate «sono stati intercettati
almeno centomila tra telefonate e sms,
in meno di sei mesi, tra giugno e dicembre
2010, cioè circa 600 intercettazioni al giorno
di media. Quasi 27 mila intercettazioni
per Lele Mora, 14.500 per Nicole Minetti,
un migliaio per Emilio Fede e 6.400
per la stessa Ruby». Per scoprire cosa? Che
Berlusconi ha una stanza del bunga bunga
dove c’è un palo per fare la lap dance,
un bar e una vasca dove ci si può comodamente
adagiare in sei o sette per consumare
amplessi, sorseggiando Sanbitter e proponendo
a procaci minorenni «palpazioni
concupiscenti» (così ha scritto Giuseppe
D’Avanzo su Repubblica).
L’INdAgINE
«prove evidenTi»
L’accusa di concussione
e prostituzione minorile
Il presidente del Consiglio silvio
berlusconi è indagato dalla procura
di Milano per concussione e
prostituzione minorile. I magistrati
sostengono di avere «prove evidenti».
La procura ha notificato al
premier un ordine di comparizione.
I legali del premier contestano
la competenza territoriale della
Procura di Milano. sono indagati
anche il giornalista Emilio Fede,
l’agente Lele Mora e il consigliere
regionale nicole Minetti.
La difeSa
i legali: «normali serate
tra amici, né alcol né sesso»
I legali del presidente del
Consiglio hanno depositato delle
memorie difensive in cui sono
riportate le testimonianze di
persone sulle «normali serate» di
arcore: «si è trattato soltanto di
cene tra amici, né alcol né sesso».
La pura, semplice, banale, primitiva
verità è che dell’accertamento dei due presunti
reati non importa nulla a nessuno.
L’obiettivo è uno solo: sbarazzarsi del Drago.
Lo ha scritto, senza infingimenti, Barbara
Spinelli: «Prima ancora che la magistratura
si pronunci, (Berlusconi, ndr)
deve essere allontanato dalla politica. Non
doveva nemmeno entrarci, ma ora bisogna
obbligarlo a presentarsi in tribunale,
a dimettersi e soprattutto vietargli ogni
candidatura futura a cariche politiche.
Neppure deve essere in grado di determinare
chi sarà il suo delfino. I mezzi per fer-
«Se la questione è punire il reprobo
e non accertare il reato, allora tanto vale
ammettere che nemmeno la Boccassini
basterebbe, ci vorrebbe Torquemada»
bunga bunga show PRIMALINEA
Sopra, da sinistra, i pm milanesi pietro
forno e ilda Boccassini. a sinistra, ruby
intervistata da alfonso Signorini
marlo non sono mai stati cercati, ma trovarli
si può».
Si è arrivati persino a chiedere l’ingerenza
da parte della Chiesa per “scomunicare”
Berlusconi. Lo hanno fatto un po’
tutti: dagli azionisti di Giustizia e Libertà
ai grandi quotidiani. Lo hanno fatto
anche alcuni uomini di Chiesa, a volte in
maniera più obliqua, come il priore della
Comunità di Bose, Enzo Bianchi, che ultimamente
sulla Stampa si è impegnato in
dotte disquisizioni su “La tristezza del lussurioso”.
Che si voleva? Un discorso chiaro
del Papa che ricordasse che andare con
le prostitute è peccato? Perché, c’è qualcuno
che aveva dei dubbi? È curioso piuttosto
che tale richiesta di intervento sia arrivata
da quegli stessi che quando il Papa
usa parole esplicite su aborto, coppie gay,
fecondazione assistita, sono subito pronti
a definirle un’ingerenza.
Criminalizzare il peccatore
Invece, questa volta, solo per questo specifico
e determinato caso, la Chiesa avrebbe
dovuto condannare non solo il peccato ma
anche il peccatore, facendo nome e cognome.
Ma se la questione fosse la punizione
del reprobo e non l’accertamento del reato,
allora tanto varrebbe ammettere che
nemmeno la Boccassini basterebbe, ci vorrebbe
Torquemada.
Tutto ciò avviene «perché – come ha
scritto Giuliano Ferrara sul Foglio – oggi
politicamente conviene, ad atei e credenti
della sinistra moralistica e teologica,
criminalizzare moralmente
un Berlusconi che, secondo
me, va messo sotto accusa
politicamente, ma lasciato
in pace sul piano della sua
morale privata, la quale
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non è un crimine e, se è un peccato (cosa
che a me pare incontrovertibile) riguarda
la sua coscienza e il suo direttore spirituale,
visto che le feste di Arcore non sono atti
pubblici, norme o leggi».
Ciò non significa avallare in nessun
modo quello che è stato chiamato lo “stile
di vita di Berlusconi”. Questo non è giustificabile
in alcun modo, sia che si tratti di
un premier o del più devoto tra i papaboys.
Non serve il catechismo per comprenderlo,
basta un misurato senso comune delle
cose. Ma è ovvio che se il Berlusconi ha
commesso un peccato questo lo può determinare
lui, la sua coscienza, il suo confessore,
se a questi vorrà rivolgersi. Non siamo
gente che va ad origliare nei confessionali,
né a casa della gente altrui per sapere
se e come gli aggrada di fare l’amore,
se è pentito o meno, se recita l’Ave Maria
prima di spegnere la lampada sul comodino.
Piuttosto, la moralità di un premier la
misuriamo in riferimento alla sua azione
di governo, non ai suoi presunti comportamenti
privati. Sinteticamente, per dirla
con le parole di Vittorio Messori: «è meglio
un premier puttaniere che faccia leggi non
in contrasto con quelli che il Papa definisce
“valori non negoziabili”, piuttosto che
un notabile cattolicissimo che poi, però, fa
le leggi contrarie alla Chiesa».
Un’esigenza dettata dal suo ruolo
Hic stantibus rebus, chiedere le dimissioni
del premier è, oltre che prematuro valendo
la presunzione di innocenza, pericoloso.
Significherebbe consegnare l’Italia a quello
che Luca Ricolfi ha chiamato «il lato oscuro
del potere dei pm». Un potere che «spesso a
sinistra non si nota: visti i metodi che usano,
chiunque sarebbe terrorizzato a guidare
l’Italia. Si può sperare di godere del favore,
dell’indulgenza, o del disinteresse del pm,
ma nulla esclude che, una volta cambiato
il vento, la propria reputazione sia distrutta
da un assalto giudiziario».
Per questo, quel che si deve chiedere
a Berlusconi non è un atto di pentimento
pubblico, ma una risposta politica. Non
importa sapere se il presidente del Consiglio
ha una relazione stabile, se riuscirà
o meno a «punire i giudici», se le serate a
casa sua sono «eleganti» – linea difensiva
piuttosto esile –, ma se egli è ancora in grado
di portare a termine le riforme che ha
promesso (tra cui, quella della giustizia),
se pensa che la traballante operazione dei
responsabili possa durare, se può garantire
stabilità, se è personalmente consapevole
che una maggiore cautela nei comportamenti
– esigenza dettata dal suo ruolo –
sia necessaria per evitare di buttare a mare
tutto ciò che di buono egli ha permesso di
costruire. Sono risposte che nessuno ha il
diritto di dare al suo posto. Non un monsignore
o – peggio – un giudice. n
12 | 2 febbraio 2011 | |
la chieSa
bagnasco
Il presidente della
cei ad ancona
«Si moltiplicano
notizie che riferiscono
di comportamenti
contrari al pubblico
decoro e si esibiscono
squarci – veri
o presunti – di stili
non compatibili
con la sobrietà e la
correttezza mentre
qualcuno si chiede a
che cosa sia dovuta
l’ingente mole di strumenti
di indagine. In
tale modo, passando
da una situazione
abnorme all’altra, è
l’equilibrio generale
che ne risente in
maniera progressiva,
nonché l’immagine
generale del Paese.
La collettività guarda
sgomenta gli attori
della scena pubblica,
e respira un evidente
disagio morale. La
vita di una democrazia
si compone di
delicati e necessari
equilibri, poggia sulla
capacità da parte
di ciascuno di autolimitarsi»
(prolusione
del cardinale Angelo
Bagnasco al Consiglio
permanente Cei).
L’UoMo cHE RIPULÌ IL TIcIno DaLLa MaRIJUana
Quel palazzo
è un colabrodo
«Minata la credibilità della giustizia». Lo «sconcerto»
di un pm svizzero davanti alla «sistematica violazione
del segreto istruttorio da parte degli addetti ai lavori»
Sconcertante, incomprensibile, incon- cura di Lugano. In Ticino è considerato un
Crinari
cepibile, devastante, indecente. Sarà duro. All’inizio degli anni Duemila ha sgo-
anche un magistrato svizzero, ma minato la coltivazione e il commercio del-
Alessandro
quando parla dello stato della giustizia la marijuana che aveva trasformato, ille-
in Italia perde ogni forma di aplomb. Si galmente, il cantone nella nuova Amster-
chiama Antonio Perugini ed è procuratodam. Oggi, leggendo i giornali italiani pie-
AP/LaPresse;
re pubblico (pubblico ministero) della pro- ni di intercettazioni e guardando i tele-
Foto:
Foto: aP/LaPresse; alessandro Crinari
giornali pieni di giornalisti che interrogano
gli indagati al posto dei magistrati, non
può credere ai propri occhi. Che si tratti di
Sarah Scazzi o di Ruby Rubacuori, la questione
per lui non cambia.
Antonio Perugini, che impressione si è
fatto, da magistrato, del rapporto tra
magistratura e stampa in Italia?
Di sconcerto! La autorizzo a usare questo
termine: sconcerto. È sconcertante per
un magistrato, perché non riesco a rendermi
conto di come sia possibile che tutte le
informazioni di un’inchiesta in corso possano
finire in diretta alla stampa, in alcuni
casi prima ancora che il magistrato stesso
ne abbia avuto visione. Come diavolo può
avvenire se non – ovviamente – con una
sistematica violazione del segreto istruttorio
da parte degli addetti ai lavori?
Qual è il principio che sottostà all’obbligo
della segretezza delle indagini?
Il principio è quello della non compro-
A lato, il palazzo di
giustizia di Milano.
Sopra, Antonio
Perugini, pubblico
procuratore della
procura di Lugano.
Sotto, l’agente dello
spettacolo Lele
Mora ed Emilio Fede,
entrambi coinvolti
nell’inchiesta sulle
feste di Arcore
missione dell’esito dell’inchiesta stessa. La
segretezza permette che l’inchiesta possa
essere condotta senza interferenze. Perché
l’obiettivo generale resta quello di stabilire
la verità materiale dei fatti.
La violazione del segreto istruttorio è punibile
in Svizzera?
È un reato di natura penale.
Ricorda casi in cui la violazione del segreto
è stata punita nel vostro paese?
Recentemente c’è stato un caso a Zurigo
in cui un agente di polizia è stato condannato
perché aveva passato alla stampa
il contenuto di una denuncia verso il capo
dell’esercito svizzero, che a seguito dello
scandalo fu costretto alle dimissioni. Quel-
«Come è possibile che tutte le informazioni di
un’inchiesta in corso possano finire in diretta
alla stampa, in alcuni casi prima ancora che
il magistrato stesso ne abbia avuto visione?»
bunga bunga show PRIMALINEA
lo è l’unico episodio clamoroso, ma in Svizzera
sono casi estremamente rari anche
perché sono rare le fughe di notizie.
Perché secondo lei si arriva alla violazione
del segreto istruttorio se esso è necessario
per la ricostruzione della verità
fattuale?
È per questo che è incomprensibile! Ed
è per questo che poi ha buon gioco Silvio
Berlusconi a dire ogni volta: “Ecco, ci sono
i magistrati che mi perseguitano”. In questo
modo si aprono le porte all’interpretazione
politica dell’azione della magistratura,
ma anche a tante altre interpretazioni.
Si presta il fianco all’accusa che vi sia un
uso strumentale della giustizia. È una cosa
devastante dal punto di vista della credibilità
della giustizia.
Ma non è solo l’immagine della magistratura
a uscirne male. Anche chi è indagato
non è più garantito.
Esatto. Quel che avviene è inaccettabile
perché divulgare le informazioni di un’indagine
significa rendere pubblico ciò che
per definizione deve essere reso noto solo
al momento del processo. Questa è la condizione
perché venga garantita la presunzione
d’innocenza. È la presunzione d’innocenza
che si sta mandando al macero.
Perché l’imputato è innocente fino a che
non viene emessa una sentenza di colpevolezza.
Altrimenti è inutile che si mettano
nelle varie carte dei diritti dell’uomo tutti
questi princìpi, se poi vengono sistematicamente
violati e calpestati. Per noi magistrati
svizzeri è assolutamente incomprensibile
e inconcepibile, ad esempio, che delle
conversazioni telefoniche intercettate
dagli inquirenti possano finire sui giornali
prima che siano rese pubbliche al processo.
Anche l’atteggiamento della vostra stampa
è diverso da quello dei media italiani?
Sì, da un lato c’è una
stampa meno aggressiva
e spregiudicata. C’è molto
più rispetto delle persone e
dell’elemento istituzionale.
Quindi se l’autorità si trin-
| | 2 febbraio 2011 | 13
cattolici pdl
lEttErA APErtA
la posizione di lupi,
Formigoni, Sacconi
Raffaele Calabrò,
Roberto Formigoni,
Maurizio Gasparri,
Maurizio Lupi,
Alfredo Mantovano,
Mario Mauro,
Gaetano Quagliariello,
Eugenia Roccella e
Maurizio Sacconi
hanno firmato di
una lettera aperta
ai cattolici italiani. I
politici del Pdl chiedono
di «sospendere
il giudizio sul caso
Ruby» e assicurare
anche a Berlusconi
una vera «presunzione
di innocenza».
Per non «oscurare
il senso del nostro
lavoro quotidiano per
il bene comune», chiedono
di non «lasciarsi
strumentalizzare da
un moralismo interessato
e intermittente,
che emerge solo
quando c’è di mezzo
il presidente». «Noi
conosciamo un altro
Berlusconi che ci ha
dato la possibilità
di portare avanti
battaglie difficili e
controcorrente, condividendole
con noi».
Il testo della lettera è
su tempi.it.
cera dietro il silenzio, non si cerca qualsiasi
espediente per arrivare a pubblicare
la notizia. Cosa che invece in Italia mi
sembra essere più diffusa e da tutti praticata.
Anzi, mi sembra di capire che alcuni
magistrati abbiano la propria stampa di
riferimento.
È vero che tra voi magistrati e la stampa
c’è una sorta di accordo su come gestire
le notizie?
Diciamo che c’è un gentlemen’s agreement.
Una serie di regole deontologiche
alle quali ci si riferisce e una prassi che si
è instaurata negli anni. In sostanza noi diamo
conferma di quelle notizie che spesso e
volentieri la stampa ha già, ma sulle quali
i giornalisti hanno bisogno di un riscontro
autorevole da parte di chi ha in mano
l’inchiesta. Questo modus vivendi finora ha
assicurato quella tranquilla convivenza tra
14 | 2 febbraio 2011 | |
due obiettivi estremamente diversi e per
certi versi opposti. Perché voi giornalisti
avete bisogno dell’attualità e dell’immediatezza
e noi magistrati abbiamo bisogno del
segreto assoluto fino al momento del processo,
dove le cose possono diventare pubbliche.
Si è riusciti instaurare una convivenza
tra questi due obiettivi assicurando quella
necessaria minima informazione senza
che il segreto istruttorio impedisca che
nulla si sappia. È un ragionevole compromesso.
Ragionevole e soprattutto rispettato.
Perché la stampa in Svizzera accetta
questo compromesso?
«I colabrodo sono già a livello dei palazzi di
giustizia. E poi c’è probabilmente un inciucio,
non sano per l’affidabilità delle istituzioni,
fra certi pm e i loro giornalisti di riferimento»
La stampa ha tutto l’interesse a mantenere
questo equilibrio che si è stabilito nella
prassi, proprio perché sa che se violasse
l’accordo da parte nostra scatterebbe il
black-out dell’informazione.
A lei capita di collaborare con magistrati
italiani per casi transfrontalieri. Ha mai
provato a chiedere spiegazioni?
Sì, informalmente ho domandato
come sia possibile che vi siano così tante
fughe di notizie. La risposta che ho ricevuto,
e che ritengo verosimile, è che i colabrodo
sono già a livello dei palazzi di giustizia.
E poi c’è probabilmente un inciucio,
non sano sotto il profi-
lo dell’affidabilità delle istituzioni,
fra alcuni magistrati
e i loro giornalisti di riferimento.
Ma qui penso di dire
cose stranote.
Foto: aP/LaPresse, infophoto
Ma i palazzi di giustizia ci sono anche in
Svizzera. Come mai non sono dei colabrodo?
Perché gli addetti ai lavori nel vostro
paese riescono a resistere alla tentazione
di far uscire le notizie?
Perché non ne hanno nessun interesse
e non ne traggono nessun vantaggio. Anzi,
ne avrebbero solo da perdere, nessuno
vuol mettere a repentaglio la propria carriera.
Ma penso che in Italia ci sia un altro
problema che noi non abbiamo.
Quale?
La lunghezza dei processi. In Italia, a
causa delle norme di procedura e della sottodotazione
di mezzi per le inchieste, non
si ha la certezza che le indagini arrivino in
tribunale e che in tribunale sia emessa una
sentenza. L’esigenza dei processi mediatici,
forse, nasce dal fatto che i magistrati hanno
spesso la sensazione che il corso nor-
A sinistra, la villa di Silvio
Berlusconi ad Arcore.
Sotto, la consigliera regionale
lombarda Nicole Minetti,
indagata a Milano per
favoreggiamento
della prostituzione.
Sopra, il segretario del Pd
Pier Luigi Bersani. Anche
lui ha chiesto le dimissioni
del Cavaliere appellandosi
alla Costituzione italiana
male della giustizia non porterà a nulla.
I grossi processi sono tutti lì, e la prescrizione
è il loro esito naturale e cimiteriale.
Questo crea nella classe giudiziaria una
sorta di frustrazione: viene fatto un lavoro
magari anche enorme, con dedizione e
impegno, ma non se ne riesce a vedere il
risultato in tempi ragionevoli. Così scattano
quei meccanismi per mezzo dei quali
viene ripristinata la gogna. Prima la gogna
era in piazza, ora è sui giornali. E magari
solo perché il magistrato vuole mostrare
che il proprio lavoro l’ha fatto. Un modo,
un po’ barbaro, per valorizzare il proprio
«La gogna mediatica è un modo, barbaro,
per valorizzare il proprio lavoro. Ma il lavoro
delle toghe deve essere valorizzato in aula,
non coi rapporti privilegiati con la stampa»
bunga bunga show PRIMALINEA
lavoro. Ma il lavoro del magistrato e del
giudice deve essere valorizzato in aula, con
le sentenze. Non con i rapporti privilegiati
con la stampa.
Quanto durano i vostri processi?
La stragrande maggioranza dei processi
medio-grandi si conclude entro i sei e
i dodici mesi, si arriva a durate maggiori
solo nei processi epocali come quello per
il fallimento di Swissair. La garanzia delle
nostre norme procedurali è che, soprattutto
quando è richiesto l’arresto, e quindi
la carcerazione preventiva, i tempi di evasione
dell’inchiesta sono estremamente
celeri. Perché da noi si rimane in carcere
fino al processo e la carcerazione preventiva
fino all’anno scorso poteva durare al
massimo sei mesi, da quest’anno si è ridotta
a un massimo di tre mesi. Questo significa
che noi magistrati inquirenti dobbiamo
sbrigarci a fare il nostro lavoro. Quindi
l’ultimo dei pensieri del magistrato svizzero
è quello di informare la stampa. È l’ultima
delle sue preoccupazioni. Recentemente
la procura di Lugano ha introdotto la
figura dell’addetto stampa proprio per evitare
che i giornalisti ci mettano sotto assedio
con le loro telefonate. Noi siamo occupati
a fare le inchieste.
Come se ne potrebbe uscire?
Ho l’impressione che se l’assetto normativo
e la dotazione in uomini e mezzi
fossero adeguati, nessuno avrebbe interesse
a fare processi mediatici.
Lei la fa facile…
Sì, ma bisogna rendersi conto che così
la situazione della giustizia è indecente.
Perché chi ci va di mezzo non è tanto il
signor Berlusconi e le sue signorine, qui
ci va di mezzo la credibilità e l’affidabilità
della giustizia. Chi mai crederà alle sentenze
frutto di inchieste condotte in questo
modo? Ognuno avrà la scusa per dire: se
trattano così il premier, figu-
riamoci come sarà trattato il
privato cittadino. E ogni sentenza
si trasformerà nell’errore
giudiziario del secolo.
Luca Fiore
| | 2 febbraio 2011 | 15
INDEBITE INVESTIGAZIONI SU AMORI, TRASTULLI E BANCHETTI
La secolare civiltà
della denigrazione
Sparlare dei vizi segreti dei governanti per trasformarli in orride
maschere è una tecnica antica quanto il mondo. Ne sanno qualcosa
certi imperatori passati alla storia come insidiatori di minorenni
di Giuseppe Zanetto*
La condotta privata di un governante
influisce sull’efficacia della sua azione
politica e quindi sul giudizio che si
deve dare di lui? Secondo Plutarco (I-II secolo
d.C.), sì. Nei Precetti politici lo storico cita
gli esempi opposti di due grandi personaggi
dell’Atene classica, Temistocle e Alcibiade: il
primo, l’eroe delle Guerre Persiane, quando
entrò in politica, rinunciò alle bevute e alle
gozzoviglie, che erano state fino ad allora la
sua occupazione preferita, perché capì che
una linea di sobrietà l’avrebbe avvantaggiato
nella nuova carriera; Alcibiade, al contrario,
forse il più geniale tra gli statisti ateniesi,
fu rovinato dagli scandali provocati dalle
sue intemperanze. Il fatto è – spiega Plutarco
– che gli uomini di Stato non rendono
conto solo delle scelte politiche, «anche
i loro banchetti, i loro amori, le loro nozze,
i loro trastulli e ogni occupazione sono
oggetto di indebite investigazioni».
Su questo tema la riflessione antica torna
spesso, muovendo per lo più da una concezione
“pedagogica” della politica che assimila
il popolo a una mandria e il governante
a un pastore. Il compito del politico
è ammansire la folla, usando di volta in
volta la fermezza o l’adulazione (il bastone
e la carota, in termini moderni). È chiaro
che un “mandriano del popolo” deve dare
il buon esempio, perché la massa si fida più
degli occhi che delle orecchie. Seneca spiega
al discepolo Lucilio che i potenti della
terra dovrebbero vivere a porte spalancate,
protetti solo dalla loro buona coscienza:
se – come invece accade – si circondano di
riserbo, non è per ragioni di sicurezza, ma
per il desiderio di tenere nascosti i loro vizi.
Plinio, lodando l’imperatore Traiano, gli
dice che per lui non vale ciò che vale per gli
altri principi: un’ispezione della sfera privata
non lo esporrebbe al pericolo di scandali,
ma ne esalterebbe la specchiata virtù.
Queste formulazioni però (e molte altre
simili) sono brillanti esempi di moralismo
16 | 2 febbraio 2011 | |
piegato a fini retorici. Perdono ogni consistenza,
se si accetta una concezione meno
ideologica e più pragmatica della politica
come arte di costruire il possibile con il possibile.
Se è vero che in politica non si ragiona
in termini di giusto o ingiusto, ma di efficace
o inefficace, allora l’irruzione nel privato
altrui non è qualcosa di lecito o illecito,
ma semplicemente una delle opzioni
praticabili. Di fatto, la denigrazione dell’avversario
attraverso la denunzia dei suoi vizi
privati (quindi la costruzione di una sua
maschera “orrida”), è una prassi consolidata,
praticata da secoli. Vediamone qualche
esempio: è un discorso tra storia e letteratura,
che può divertire, oltre che istruire.
Punto di partenza è l’Atene del V e del IV
secolo a.C., il grande laboratorio della poli-
Qui sotto, maschera antiberlusconiana.
A destra, maschera di satiro, II secolo d.C.
Nella commedia greca il moderato Nicia è un
bacchettone pilotato dai preti; Cleone, radicale,
a parole si preoccupa dei meno abbienti, ma in
realtà li appesta coi liquami della sua pelletteria
tica occidentale. La democrazia
ateniese prevede lo scontro
diretto e personale tra i
“demagoghi” (cioè i capipopolo),
che si affrontano in
assemblea propugnando ciascuno
la propria linea. Data
la natura del dibattito, che
avviene davanti all’intera cittadinanza
e comporta una decisione
immediata, non ci sono
le condizioni per una riflessione
approfondita: prevale l’oratore che
più impressiona l’uditorio.
Nasce l’identità parallela
Ogni mezzo è buono: grida, promesse,
bugie, sceneggiate; e la denigrazione
dell’avversario è largamente
praticata. Anzi, va a finire
che di certi politici (i più influenti,
di norma) si crea un’identità
parallela, costruita sulle ricorrenti
maldicenze dei nemici. Noi
conosciamo queste “maschere”
soprattutto dalle commedie: i
poeti comici infatti sono politicamente
schierati, e sostengono il
loro partito attaccando i capi delle
fazioni avversarie. Così Nicia, un
rappresentante della corrente moderata, è
presentato come un bacchettone che crede
ai miracoli e si lascia pilotare dai preti; Cleone,
dell’ala radicale, secondo la commedia è
uno che a parole si preoccupa dei ceti meno
abbienti, ma in realtà li appesta con i liquami
della sua fabbrica di pelletteria.
Qualche decennio più tardi la stessa
situazione si ripropone quando Filippo
di Macedonia cresce in potenza e diventa
l’arbitro della politica greca. Ad Atene si
formano due fazioni, l’una
favorevole e l’altra contraria
all’alleanza con la Macedonia.
Il capo del partito
antimacedone è Demostene,
un maestro dell’arte orato-
Foto: AP/LaPresse
ria. I discorsi
di Demostene potrebbero essere presi a
modello da molti giornalisti di oggi, per
l’efficacia della scrittura (e della mistificazione).
Filippo, una delle figure più intriganti
della storia antica, nella demonizzazione
di Demostene diventa un soldataccio
semianalfabeta che parla a mala pena il
greco – aveva studiato nelle migliori scuole
di Atene! – e, da barbaro qual è, pensa solo
al vino e alle donne.
Ma il vero campione di questa tendenza
è lo storico latino Tacito, che ci ha lasciato
un capolavoro di scrittura partigiana.
Negli Annali Tacito racconta la storia di
Roma da Tiberio a Nerone, facendo perno
sulla figura dei principi che si succedono
al potere. Con perfida abilità, orienta i
BUNGA BUNGA SHOW PRIMALINEA
TACITO PARTIGIANO
Negli Annali Tacito, con
perfida abilità, ritaglia i
fatti in modo da far apparire
la dinastia giulio-claudia
(da Tiberio a Nerone)
come una successione di
imperatori perversi
FILIPPO IL MACEDONE
Filippo, una delle figure
più intriganti dell’antichità,
grazie a Demostene diventa
un soldataccio barbaro
semianalfabeta. Eppure
aveva studiato nelle
migliori scuole di Atene
fatti e ne ritaglia l’esposizione, in modo
da costruire i ritratti indimenticabili di
cinque personalità perverse. Si comincia
da Augusto (l’opera prende le mosse
dalla sua morte), di cui lo storico fa un
“processo”, fingendo di riferire i discorsi
che su di lui circolavano a Roma. È
poi la volta di Tiberio, ambiguo, crudele,
invidioso: Tacito lo accusa di vari
omicidi, e insiste sulle dissolutezze consumate
nella villa di Capri. Non tocca di
meglio a Caligola, un pazzo avido di sangue
e depravato, né a Claudio, un ometto
debole di gambe e di cervello, patetico insidiatore
di ragazze minorenni.
La condanna di Nerone
L’ostilità di Tacito per la dinastia giulio-claudia
ha ragioni politiche: da buon conservatore,
lo storico è contrario all’ecumenismo
inaugurato da Augusto e perfezionato da
Nerone. Proprio Nerone è il suo bersaglio
preferito. La demolizione del personaggio è
totale; Nerone, nel racconto di Tacito, è un
irresponsabile, inebriato di potere e convinto
di potersi permettere qualsiasi eccesso: si
esibisce come musicista e cantante, sfidando
il ridicolo; manda a morte i familiari più
stretti; dà alle fiamme Roma (almeno, lo storico
non smentisce questa versione dei fatti),
per godere lo spettacolo dell’incendio e
cantare la rovina di Troia. Nerone fu particolarmente
sfortunato. Al ritratto negativo
degli Annali (opera destinata a una larghissima
fortuna) si aggiunse l’azione dei cristiani.
L’imperatore, per allontanare da sé le
accuse di chi gli imputava l’incendio della
città, pensò di far cadere i sospetti sulla nuova
“setta religiosa” che si andava formando,
e diede il via alla persecuzione. La tradizione
cristiana lo considera perciò una sorta di
Anticristo: così si spiega la condanna che ha
accompagnato Nerone nei secoli, fino a Quo
vadis? e a Hollywood. Nel suo caso, laici e
credenti cantano la stessa canzone.
*professore ordinario di Lingua e letteratura
greca presso l’Università statale di Milano
| | 2 febbraio 2011 | 17
CONFIDENZE DI UN CATTOLICO MILITANTE E BERLUSCONIANO
Non si spiano le telefonate
per giudicare una coscienza
di Renato Farina
Il Diavolo Della Tasmania passa per un caTTolico miliTanTe. Non sa cosa vuol dire, ma
questa è la definizione che passa il mercato. Cattolico militante e berlusconiano.
Una razza di cui ci si interessa solo quando si può usare come pistola contro
il nemico politico. Mettiamo insieme leggi e mozioni meravigliose (esagero) e non ci
fila nessuno. Improvvisamente diventiamo gente da intervistare se risulta che Berlusconi
fa feste ad Arcore. Ovvio: si spera in una condanna morale del premier, che
avrebbe peso politico se viene da gente della sua parte. Se uno non lo fa, si entra nella
categoria dei complici che reggono il sacco a Don Giovanni mentre rapisce chiunque
purché porti la gonnella. Mi oppongo. I cattolici non è che abbiano un’attitudine morale
maggiore degli altri. La tensione morale è di ogni uomo che sia tale. Dunque non
vedo perché farci depositari in esclusiva di fulmini e saette contro i peccatori. Sem-
mai la nostra specialità è la consapevolezza del peccato originale e della
misericordia, perché ciascuno di noi è stato educato a sapere chi è e del
bisogno di salvezza. Niente da fare: devi rispondere. Qui provo a confidarmi
con voi, lettori amici, dicendo i miei pensierini elementari.
1. I dieci comandamenti valgono per tutti. Guai a diminuirne il numero
per compiacere il capo abrogando il sesto. Ma anche il decimo,
non desiderare la roba d’altri (sia pure il governo), vale eccome.
2. Che diritto ho io di giudicare la coscienza degli altri? Nessuno. Si
possono giudicare i comportamenti. E io ho per ora una sola certezza: che il comportamento
immorale è quello della procura di Milano. Neanche dei pm giudico la
coscienza, ma i comportamenti sono rivendicati. E si vede benissimo come una telefonata
innocente sia diventata il pretesto per scrutare la vita di un uomo.
3. Mi si dice: guardi il dito sporco invece che la luna che esso indica. Balle. In questo
caso non ho il diritto di guardare la luna: è come leggere una lettera che non ho
il diritto di aprire. Per me non esiste. Quel dito è una pistola che indicando uccide.
4. Si critica il modello di vita di B. e il fatto che questo è un esempio negativo per
tutti. La preoccupazione è giusta. Si rifletta: chi amplifica tutto questo e se ne compiace?
A che scopo? Si vuole far credere che il sostegno politico a B sia di per sé un
consenso al suo modo di intendere il sesso e il rapporto con le donne, così da rendere
immorale il voto per lui. Un’operazione immorale, una truffa, una confusione delle
essenze. Berlusconi è stato ed è, a dispetto dei moralisti, l’antemurale Christianitatis
dinanzi alla dittatura del relativismo, in fatto di leggi e di pratica di governo.
5. Il moralismo è l’uso della morale a fini politici. È la negazione della morale, la
quale è disinteressata, non è l’arte di picchiare il pugno sul petto degli altri.
6. Di certo esiste oggi la necessità di una testimonianza di vita dedicata con serietà
a un ideale, dove il rapporto tra le persone, ivi compresa la sessualità, sia segnata
da un rispetto profondo, e dalla considerazione del bene dell’altro.
7. Dire questo però in riferimento alle serate di B. è molto comodo e deresponsabilizzante.
È il solito metodo per cui si individua nel comportamento di un altro la
causa dei nostri guai. Uno spettacolo costruito da falsari.
8. Qualcuno, credo fosse Solzenicyn, spiegò che l’errore degli intellettuali russi
consistette nelle due domande da cui partirono (per arrivare ai gulag): 1) Che fare?
2) Di chi è la colpa?
9. Invece quelle necessarie sono: 1) Chi siamo? 2) In che cosa veramente crediamo?
10. Signore, abbi pietà di noi, che siamo peccatori.
IL DIAVOLO
DELLA
TASMANIA
DENTRO
IL PALAZZO
Mi si dice: guardi il dito sporco
invece che la luna che esso indica.
Balle. Non ho il diritto di guardare
la luna: è come leggere una lettera
che non ho il diritto di aprire
| | 2 febbraio 2011 | 19
INTERNI MA QUALE DOLCE MORTE
Un esercito
invisibile
di guerrieri
Libertà è scegliere come morire o lottare per vivere?
La storia del battagliero Bruno e quelle di altri
malati come lui. “Vegetali” capaci di commuovere
anche la più accanita delle platee pro eutanasia
Domenica 16 gennaio presso il Teatro
Filodrammatici di Milano si è svolto
un happening teatrale disegnato
attorno al “Testamento biologico”. L’appuntamento,
organizzato dal Dipartimento
diritti del Pd, ha visto salire sul palco il
senatore Ignazio Marino, Beppino Englaro e
molti esponenti dell’establishment milanese
del Partito democratico.
Un evento creato con l’intento di portare
in scena testimonianze e voci a sostegno
dell’esigenza di legiferare sul fine vita.
“Libertà” è stato il termine che con più insistenza
è stato ripetuto, sotto forma di rappresentazione
artistica, sul palco del teatro.
Libertà di scegliere la “dolce e calda morte”,
possibilità di farsi protagonisti della propria
dipartita, necessità di esercitare la propria
autodeterminazione.
Non è stato facile, per chi, come il sottoscritto,
è andato per mesi a incontrare
uomini e donne, che pur in condizioni
“limite” hanno deciso di lottare quotidianamente
per il rispetto del loro diritto di vivere,
ritrovarsi immerso in una rappresentazione
sorretta da un’idea ma drammaticamente
svincolata dalla realtà. Superare
l’ostacolo di quella pretesa astratta, è stato
come percorrere un sentiero su un terreno
irreale. Due ore di spettacolo, centoventi
minuti, dove l’immagine più emblematica
è sembrata dispiegarsi nella disperazione di
chi vuole sfuggire dal dolore, dalla sofferenza,
dalla fatica di vivere in questo mondo.
Va dato atto, al regista dell’evento, di
aver voluto con ostinata insistenza, farmi
salire sul palco per portare una narrazione
differente. Così, dentro una raffigurazione
dove il diritto di scegliere “la fine” sem-
20 | 2 febbraio 2011 | |
brava l’unica interpretazione possibile, hanno
fatto breccia le parole di Daniela, affetta
da locked-in syndrome, raccontata nel mio
libro Vivi (Lindau), che per sei mesi è stata
erroneamente considerata in stato vegetativo,
quando invece sentiva, percepiva, ascoltava
ogni cosa. «Sono viva, voglio vivere»,
parole che appartengono alla più naturale
volontà umana, ma che in quel contesto
sembravano parole aliene dentro un mondo
sospeso in un’altra dimensione, quella
dei princìpi e delle buone idee.
Ho sentito un applauso vero al termine
della mia narrazione anche da parte di
quei militanti piddini che avevano affollato
il teatro per rivendicare un diritto negato.
Dopo parole e parole, seppur edulcorate
dal verbo “scegliere”, che riconducono al
concetto di “morte”, gli uomini hanno bisogno
di segnali di speranza, di un viso lieto
nella lotta, di persone che combattono per
la vita. Tutti gli uomini, di destra o sinistra,
credenti o meno. Coloro che si fermano alla
soglia non sono le persone reali, ma la casta
dei poteri, i professionisti dell’astrazione.
Con le parole di Daniela ho portato sul
palco con me tutte le storie che sto cercando
di far conoscere. La forza di Massimiliano
risvegliatosi dopo dieci anni in cui è stato
considerato un “tronco morto”, la fatica
e l’ostinazione di Claudio affetto da Sla, di
Giulia e Giovanni che non dovevano neppure
nascere, di Egle colpita da una malattia
Sono loro gli anticonformisti, coloro che hanno
bisogno di essere sostenuti nella lotta
per la rivendicazione di un diritto formalmente
già garantito, ma inapplicato: quello alla cura
rarissima e di Oscar che, da quindici anni,
vive a casa in stato vegetativo curato da
un’indomita madre. Uomini e donne, vive
nonostante condizioni estremamente invalidanti.
Narrazioni che non possono lasciare
indifferenti perché rifuggono dalle facili
conclusioni televisive, dal già sentito e
visto. Sono loro gli anticonformisti, coloro
che hanno bisogno di essere sostenuti nella
lotta per la rivendicazione di un diritto che
formalmente è già garantito, ma inapplicato:
quello alla cura.
Il diritto di cittadinanza
Assistenza domiciliare, accesso a tutti gli
ausili disponibili, abbattimento della burocrazia,
sono oggi i veri diritti negati.
Mi piace chiamarlo diritto di cittadinanza.
Per condurre la lotta, però, è necessario
uscire da quel limbo suggestivo ma
fittizio in cui una certa coltura dominante
vuole cacciarci. In verità, al cospetto del
reale l’astrazione soccombe, perde la sua
seduzione dialettica. Possiamo discutere
per ore, elaborare la miglior sintesi possibile,
ma al cospetto della narrazione quotidiana,
nulla possono fare tesi e antitesi.
«La stanza di un ammalato è uno dei
posti più belli al mondo», così mi aveva
detto Tiziana Lai moglie di un uomo
affetto da Sla, che ho raccontato nel mio
libro. Nel mese di dicembre sono andato
a trovarlo a Sanluri, un piccolo centro del
Medio Campidano in Sarde-
gna. Bruno Leanza oggi vive
a casa, grazie a un ventilatore
meccanico e a un sondino
che gli permette di alimentarsi.
Muove solo gli occhi,
Foto: AP/LaPresse
Foto: AP/LaPresse
con cui comunica col mondo e naviga in
Internet. Attorno a lui, una comunità di
uomini e donne semplici, tenaci, fieri della
loro identità.
Ero lì per presentare il mio “lavoro” e
mi hanno accolto come un amico arrivato
dal profondo nord per fare festa, gioire
assieme a loro, combattere la miglior battaglia
possibile, quella per la vita. Noi sappiamo
poco. Noi giornalisti, scrittori, preti,
politici, confondiamo spesso le nostre
idee con il reale.
Attorno al letto di Bruno, ho visto la
vita dispiegarsi, lì accanto, assieme a lui,
si è scherzato, mangiato, discusso. La bassa
morale, il buonismo, la falsa pietà, sono
affari per opinionisti da salotto. Se vogliamo
comprendere oltre l’iconografia della
sofferenza, dobbiamo impastarci con la
realtà. Dentro l’esperienza quotidiana, tal-
IN PARLAMENTO
La sentenza di morte
L’8 ottobre 2008 la
Corte d’Appello conferma
l’autorizzazione
alla sospensione di
alimentazione e idratazione
per Eluana
Englaro. Il 6 febbraio
2009 l’équipe che
segue il caso presso la
“La Quiete” di Udine
annuncia l’avvio della
progressiva riduzione
dell’alimentazione.
Eluana muore il 9 febbraio
2009.
La prima proposta
In quei giorni il governo
Berlusconi tenta di
impedire l’attuazione
della sentenza con un
decreto e poi con un
ddl, nonostante le perplessità
di Napolitano.
Dopo la morte di
Eluana le proposte
vengono ritirate in
cambio della discussione
di una legge che
disciplini i cosiddetti
casi di fine vita.
Il male minore
A febbraio in Senato
ricomincerà la discussione
sul Ddl Calabrò,
elaborato proprio
per escludere nuovi
“casi Englaro” e nuove
“invasioni di campo”
da parte dei giudici.
Alimentazione e
idratazione artificiali
non potranno essere
oggetto di Dichiarazione
anticipata di trattamento,
in quanto
forme di sostegno vitale,
la cui sospensione si
configurerebbe come
eutanasia passiva.
volta amara, c’è la voglia di onorare il senso
dell’esistenza. Ognuno con una modalità
differente, con la propria storia personale.
A sostenere ogni lotta, l’unico antidoto:
il pensiero affettivo. Le famiglie degli
ammalati si ritrovano spesso abbandonate.
In molte situazioni viene negato loro
anche il minimo diritto di cittadinanza,
ossia l’assistenza domiciliare, gli ausili
indispensabili per una qualità della vita
compatibile con la loro disabilità.
Bruno ha la fortuna di avere attorno a sé
una famiglia solida, amici che sotto la sua
regia provano ogni settimana i canti della
tradizione sarda attorno al suo letto. Il suo
sorriso vale mille tavole rotonde e discorsi
sulla libertà. «Io sono felicissimo di vivere
anche con la Sla», mi dice comunicando
attraverso una tabella dove le sue pupille
scorrono veloci. «Sono un perfetto sco-
A destra, Ignazio
Marino, senatore del
Partito democratico.
Sotto, Beppino
Englaro, padre
di Eluana, deceduta
il 9 febbraio 2009.
A sinistra, due
immagini di Bruno
Leanza, affetto da
Sla: insieme al suo
coro polifonico sardo
e con la figlia e una
amica di famiglia
nosciuto perché questa malattia finisce sui
giornali solo se si discute di eutanasia e siccome
io sono un guerriero della vita, non
sono mai salito agli onori delle cronache.
La verità è che voler vivere non fa notizia».
Noi sani, sappiamo poco. Anche in buona
fede, non riusciamo a comprendere ciò
che possiamo solo ipotizzare. È necessario
entrare in una stanza di un ammalato.
Bruno da più di cinque anni non esce dalla
sua stanza, ma segue, attraverso le nuove
tecnologie, ogni iniziativa che lo riguardi.
Il coro di Bruno
Così anche durante la presentazione del
libro, era presente, collegato con una webcam
da casa. Una platea partecipe gli ha
più volte riconosciuto un applauso vero e
sentito. Tra i presenti anche l’ex presidente
della Regione Sardegna, Renato Soru. I due
si conoscevano da ragazzi, poi si sono persi
di vista. Sollecitato a intervenire, l’autorevole
esponente del Pd si è alzato, ha fatto
quattro passi in avanti, preso il microfono
e donato agli astanti il suo pensiero: «Io
non intendo dire nulla, voglio solo ricordare
che Bruno da giovane era davvero bravo
a giocare a ping pong». Gelo in sala, qualche
secondo di silenzio e poi a salvare la
situazione è intervenuto il coro polifonico
sardo, guidato proprio da Bruno, che ha
saputo riportare un po’ di calore in sala.
Vengono i brividi lungo la schiena a
pensare che tra qualche settimana in Parlamento
si discuterà proprio di testamento
biologico. C’è da sperare che dall’una e
dall’altra parte, nessuno con tanta sensibilità
sia presente nell’aula di Montecitorio.
Fabio Cavallari
| | 2 febbraio 2011 | 21
INTERNI COME TI BATTO LE COSCHE
L’antimafia
è un’impresa
C’è chi usa la ribalta mediatica per lanciare
pubbliche denunce che finiscono per fare il gioco
della ’ndrangheta. E c’è chi attacca la logica del
pizzo semplicemente facendo il proprio dovere.
La rete delle aziende calabresi che sfidano il racket
Lo scorso 14 maggio i riflettori di Annozero
si sono accesi su Buccinasco,
paesotto a sud est di Milano, al centro
di alcune inchieste su infiltrazioni della
’ndrangheta nell’economia. La ribalta concessa
ai clan da Michele Santoro aveva uno
scopo preciso: denunciare, come ha spiegato
lo stesso conduttore, che il governo Berlusconi
mentiva snocciolando i risultati del
contrasto alla criminalità organizzata (proprio
pochi giorni prima, a Reggio Calabria,
era stato arrestato l’ennesimo superlatitante,
il “capo dei capi” della ’ndrangheta reggina
Giovanni Tegano: si era a quota 360 latitanti
catturati e 11 miliardi di euro di beni
sequestrati in due anni). Come testimonial
della sua denuncia, Santoro ha scelto proprio
un imprenditore di Buccinasco, Maurizio
Luraghi. Il quale ha approfittato del
microfono per denunciare di essere stato
vittima della cosca Barbaro-Papalia, che lo
costringeva a pagare il pizzo. Né Santoro né
il cronista che porgeva il microfono a Luraghi
si sono preoccupati di approfondire la
storia dell’imprenditore, dal momento che
quest’ultimo semplicemente – ha concluso
Santoro – incarnava l’idea che la mafia
non la debella proprio nessuno. E dire che
sarebbe bastato fare un salto al Tribunale di
Milano, dove proprio in quei giorni era in
22 | 2 febbraio 2011 | |
corso un processo contro i Barbaro-Papalia
e lo stesso Luraghi, con clamorose testimonianze
e prove documentali. Solo un mese
dopo quel momento di gloria ad Annozero,
Luraghi è entrato nella storia come il primo
imprenditore del Nord che da vittima si è
trasformato in complice delle ’ndrine: condannato
per associazione mafiosa.
«Ho molto lavoro, devo sbrigarmi»
Al processo è stato provato che, dopo un
rapido calcolo di convenienze, Luraghi, con
la sua azienda edile pulita, aveva accettato
di fare da “testa di ponte” per le piccole
aziende dei Barbaro-Papalia, in cambio
di tangenti. Un caso esemplare è l’appalto
per il quartiere residenziale “Buccinasco
più”, vinto malgrado un’offerta più alta di
500 mila euro rispetto a quella dei concorrenti.
Gli edifici furono costruiti su terreni
usati come discarica abusiva di Eternit e
idrocarburi dagli stessi Barbaro, e Luraghi li
avrebbe rivenduti a prezzi gonfiati. È emerso
anche che Luraghi aveva intimidito altri
imprenditori che non obbedivano ai diktat
suoi e dei Barbaro, presentandosi orgogliosamente
come mafioso. Per Annozero
c’è l’aggravante della recidiva perché, con
le stesse dinamiche, Santoro ha riportato
sull’altare televisivo Maurizio Luraghi dopo
la condanna: e quello di nuovo si è difeso
senza che nessuno obietasse nulla. Vien da
chiedersi chi ha usato chi: se la trasmissione
un imprenditore colluso, pur di dimostrare
una tesi; o, viceversa, il connivente di un
clan la trasmissione, per ripulirsi l’immagine.
A chi giova, se non alla mafia, il tentativo
di demolizione mediatica di tutto quello
che lo Stato fa per contrastarla? E cosa significa
veramente contrasto alla mafia?
Rocco Mangiardi è il proprietario di
un negozio di autoricambi a Lamezia Terme
(Vv). È la lunga via del Progresso l’arte-
I tre imprenditori calabresi Gaetano Saffioti
(a sinistra), Armando Caputo (qui sopra,
durante la visita del console tedesco che vuole
portare in Germania la sua idea di una rete di
aziende antiracket), Rocco Mangiardi (in alto)
ria commerciale della cittadina, ed è pure
il regno della ’ndrina Giampà. È su questa
strada che nel 2000 Mangiardi ha aperto
il suo negozio; all’inizio lavorava solo lui,
oggi è arrivato a sei dipendenti. È un calabrese
“low profile”: frasi secche, tanti fatti.
«Ho molto lavoro, devo sbrigarmi», ripete
mentre racconta a Tempi di come è diventato
il primo imprenditore in Calabria che
in un’aula di tribunale ha accusato il boss
che gli chiedeva il pizzo. Non aspirava a
diventare un eroe, quando ha denunciato:
«Ho pensato a mio padre», spiega come
nulla fosse. «Lui era emigrato a Torino, perché
nel suo paese anche per avere la farina
si doveva chiedere favori al sindaco mafioso.
Lui non ha voluto cedere, e perciò mi
ricordo che quando ero piccolo siamo finiti
a vivere, insieme ad altri operai, in una
mansarda piemontese. Siccome i soldi erano
pochi, il cibo lo mettevamo in comune.
Poi sono tornato in Calabria, ma quello
che mio padre mi ha lasciato in eredità
è il disprezzo per la prepotenza, ed è quello
che voglio lasciare ai miei tre figli. Ecco
a cosa pensavo quando ho denunciato. Che
io non pagherò mai le ’ndrine, perché preferisco
usare i miei soldi per assumere un
nuovo dipendente». Testardo orgoglio calabrese.
«Penso che vivere nella paura semplicemente
non porti da nessuna parte».
«Da mio padre ho
L’odissea di Mangiardi è ini-
ereditato il disprezzo ziata nel 2000: la prima volta
che i Giampà gli chiesero il piz-
per la prepotenza, ed è
zo pretendevano 40 milioni di
quello che voglio lasciare lire. «Era un modo per impressio-
ai miei tre figli. Non narmi. Poco dopo una persona
pagherò mai le ’ndrine, passò in negozio e pretese una
perché preferisco usare fornitura gratuita per una Golf
da 350 mila lire. Dovevo piegar-
i miei soldi per assumere
mi, e io stavo zitto. La settimana
un nuovo dipendente»
successiva, arrivò una specie di
armadio di 35 anni. Si fece consegnare
l’incasso della giornata: “Se non mi
dai i soldi, brucio tutto”, e via altre 250 mila
lire. Finché, nell’estate del 2006, non ricomparve
un tizio. Stavolta mi chiese una tangente
mensile: “Per metterti a posto, sono
1.200 euro al mese”. Uno stipendio». All’inizio
Mangiardi voleva solo prendere tempo.
Chiese addirittura di incontrare il boss
Pasquale Giampà, gli contropropose 250
euro al mese. «Mi rispose: “Vedi che io non
ne chiedo elemosina. In via del Progresso
pagano tutti, dalla a alla z”». Il commerciante
in quel periodo ricevette una lettera anonima:
qualcuno gli diceva che altri commercianti
della zona si riunivano per discutere
dei loro problemi. Alla fine andò a vedere,
con un amico. «Ancora oggi sono “riunioni
carbonare”, in posti sempre diversi, un po’
di nascosto…», scherza Mangiardi.
Il primo dei “carbonari”
Quella prima volta si è trovato di fronte a 30
commercianti che come lui non ne potevano
più. Non gli è parso vero: dentro di sé aveva
già deciso di denunciare, la riunione è stata
decisiva per arrivare a fare il passo. Oggi
vive sotto scorta, perché è anche grazie a lui
che Pasquale Giampà è stato arrestato, processato
e condannato (in due gradi di giudizio).
Fino al caso Mangiardi non era mai
successo che le accuse di racket risuonassero
in un’aula di tribunale, ma all’imprenditore
non piace parlare di date storiche o di
eroismi. Quel giorno lo ricorda per un altro
motivo: «Vennero gli amici dell’associazione
antiracket, si portarono pure le famiglie,
per esprimermi sostegno. Erano 60 persone,
lì con me. Tante volte penso a chi si trova di
fronte ai suoi aguzzini, da solo. Io giro con la
scorta, ma mi sento libero. È piegare la testa
a quelli che ti vogliono portare via quel che
sei, che toglie la libertà».
Non è che Mangiardi abbia i paraocchi:
dice che ci sono tanti commercianti che
pagano per connivenza. Ma anche che qualcosa
si muove. Non è il numero delle denunce.
È quella curiosa catena di “carbonari”, di
imprenditori che si incontravano di nascosto
e ora non hanno più paura di sostenersi.
Una novità che emerge anche dal racconto
di Armando Caputo, che sempre a Lamezia
è proprietario di un’azienda agricola insieme
ai fratelli. Da quei 35 ettari di terra ereditati
dal padre, ogni anno i Caputo pro-
| | 2 febbraio 2011 | 23
INTERNI COME TI BATTO LE COSCHE
ducono 400 quintali d’olio e 800 quintali
di agrumi. Tra l’argento degli ulivi secolari
piantati dalla famiglia e il rosso delle
arance, negli anni Novanta arrivarono quelli
del clan Giampà: «Compari, vi dovete mettere
a posto», dissero. Ogni volta che Caputo
rispondeva no, tutti gli investimenti fatti
per la crescita dell’azienda venivano lentamente
mandati in fumo: prima sono state
sradicate le piante appena seminate, poi
incendiati gli ulivi secolari, infine sono stati
fatti trovare dei candelotti “dimostrativi”.
«Fu l’episodio a culmine di un anno e mezzo
di minacce. Chiamavano a casa, apposta
per spaventare le donne di famiglia». L’episodio
che ha pesantemente scosso Caputo,
è stato il ritrovamento di alcuni candelotti
nel suo agrumeto: «Gli artificieri dissero
che erano uguali a quelli fatti esplodere
davanti a un negozio. Capii. Chi paga aiuta
la ritorsione verso gli altri. E io non volevo
mettere nei guai altre persone». È stato
tra i primi “carbonari” di Lamezia. «Siamo
diventati amici. È questo sostegno umano
che vince, più di tutto». Alle prime riunioni
erano in tre, ora sono in sessanta e c’è
una lista d’attesa. Lo scorso 21 gennaio il
console tedesco Cristian Much ha chiesto di
incontrarli. Vuole capire come “importare”
la loro esperienza in Germania.
Per un chilometro di Salerno-Reggio
Un po’ più a sud, a Palmi, vive e lavora Gaetano
Saffioti. Nel 1981 ha avviato da zero
un’impresa di movimento terra che nel
2002 vantava ben 15 milioni di euro di fatturato
e 60 operai. Tutto grazie a un durissimo,
appassionante lavoro. Ma a Palmi. Nel
24 | 2 febbraio 2011 | |
IL CASO
DA VITTIMA…
Le denunce in tv
Maurizio Luraghi
(foto a destra),
imprenditore di
Buccinasco, è stato
ospite di Santoro
nelle puntate del
14 maggio e del 9
dicembre 2010: ha
raccontato di essere
vittima della ‘ndrina
Barbaro-Papalia.
A COMPLICE…
La condanna in aula
L’11 giugno 2010
Luraghi è stato condannato
per associazione
mafiosa proprio
con i Barbaro. Aveva
messo la sua impresa
al servizio della famiglia
calabrese.
«Non puoi dire: “Aspetto
la rivoluzione”. Devi
essere tu a muoverti.
Io l’ho fatto pensando
a mio figlio. A come
mi avrebbe guardato,
a cosa io gli sto
insegnando della vita»
movimento terra, il settore più infiltrato
dalle ’ndrine, mentre chilometro dopo chilometro
si costruisce l’A3, la Salerno-Reggio
Calabria. «Si presentavano a tutte le ore,
io preparavo i soldi e li consegnavo a pacchi
di 10 milioni. Appena mi arrivava un
accredito in banca, cordialmente venivano
a riscuoterne dal 3 al 15 per cento. Per arrivare
dal mio cantiere al porto, si attraversavano
i territori di tre famiglie. Dovevo pagare
una quota a tutte. Tuttavia se compravo
una cava per fare il calcestruzzo, non me la
facevano usare: dovevo comprare le materie
prime da loro. Se compravo le macchine,
A sinistra,
Michele Santoro
nello studio di
Annozero.
Qui sotto,
l’imprenditore
di Buccinasco
Maurizio
Luraghi,
condannato
per mafia
a Milano
dovevo lasciarle parcheggiate
e noleggiare invece le loro».
Durante quegli anni, Saffioti
ha taciuto, però intanto
registrava tutti gli incontri
con gli estorsori. Poi accadde
qualcosa che lo smosse: le
’ndrine gli incendiarono un
mezzo, e il fratello di Saffioti
rischiò di morire. Così lui
si decise: «È una questione di
dignità. Un imprenditore è qualcuno che si
rende conto che può cambiare qualcosa. È
un fatto di coscienza personale, non puoi
dire: “Aspetto la rivoluzione che verrà”. Devi
essere tu a muoverti in prima persona. Io
l’ho fatto pensando a mio figlio. A come mi
avrebbe guardato, a cosa gli sto insegnando
io della vita». La prima conseguenza della
scelta di Saffioti, a sentirla al di fuori del
circondario di Palmi, sembra la più incredibile.
In Calabria, con tassi di disoccupazione
impressionanti, 55 dei suoi operai si sono
licenziati. Troppa la paura di lavorare per
un uomo che si batte contro le ’ndrine. Poi
è stata la volta delle banche: gli hanno chiuso
i conti, pur se attivi. Poi i fornitori: «Tu sei
un morto che cammina», gli hanno detto in
tanti. Il fatturato è sceso vertiginosamente a
500 mila euro. Per lavorare, oggi, deve andare
all’estero. «Ma io vorrei togliermi la soddisfazione
di fare un chilometro della Salerno-Reggio
Calabria. Ho offerto i materiali
gratis, ma non mi hanno voluto. Allora io
aspetto: penso che tutto ciò di cui c’è bisogno,
nella quotidiana lotta alla criminalità,
sia semplicemente fare il proprio dovere».
Chiara Rizzo
Foto: AP/LaPresse
Foto: AP/LaPresse
IL SENSO DI UNA “GIORNATA”
Non basta un monumento
occorre riconoscere un popolo
di Yasha Reibman
Il Giorno della MeMoria anche
quest’anno è passato,
ma è servito a qualcosa? Si
sono svolte innumerevoli ini-
ziative, concerti, conferenze, mostre, spettacoli
e viaggi sui luoghi dello sterminio degli ebrei
europei per mano dei volenterosi carnefici di
mezza Europa.
la giornata nasce con molti obiettivi e speranze.
Il negazionismo è solo il più evidente
pericolo che dobbiamo affrontare, ma forse è
il meno pericoloso. La nozione di quanto successo
è abbastanza diffusa ed è difficile pensare
che le tesi negazioniste, screditate e prive di
A destra,
l’ingresso
del campo di
concentramento
di Auschwitz
voluto da Hitler
per sterminare
il popolo ebreo
SE TI
DIMENTICO
GERUSALEMME
fondamento storico, possano fare
breccia. Mi sembrano invece
più concreti altri pericoli.
Il primo, ma anch’esso minore,
è la perdita della memoria di
quanto avvenuto, il depositarsi
di una nebbia, come quella che
avvolge i molti stermini e le molte guerre che sono
avvenute nella storia del nostro continente.
Ad altri pericoli potrebbero invece contribuire le
celebrazioni. Un rischio al quale dobbiamo stare
attenti è la monumentalizzazione e la sacralizzazione,
rendere la Shoah qualcosa di così unico da
pensarlo irripetibile e lontano da noi stessi.
Sapere che vi sono state le camere a gas serve
a poco se non si ha la consapevolezza di come si
sia arrivati a quel punto, di cosa abbia prodotto
nel cuore della civiltà occidentale e delle giovani
democrazie l’esplosione dell’odio e della violenza,
di quali siano state le basi culturali che lo
hanno permesso.
Un altro rischio è che la Shoah entri a far parte
di per sé dell’identità europea come semplice
rifiuto di quell’episodio storico. L’opposto della
Shoah non è il “non sterminio”, ma la vita. L’opposto
della Shoah è non solo la non discriminazione
degli ebrei, ma anche il riconoscimento del
diritto alla vita degli ebrei in quanto individui e
in quanto popolo. Diventa allora fondamentale
la qualità del rapporto tra Europa e Israele, in
quanto Stato ebraico. Il rogo delle bandiere di
Israele, i diffusi paragoni tra israeliani e nazisti ci
dicono che su questo c’è ancora da lavorare.
PLAUSI
E BOTTE
COSA CI DIVIDE, COSA CI UNISCE
La giusta prospettiva
sui conflitti contemporanei
di Bruno Mastroianni
Si è appena concluSa la SettiMana di preGhiera per
l’unità dei cristiani. Da poco il Papa ha istituito
il primo ordinariato che permette ad al-
RECENSIRE
cuni anglicani di tornare in unità con Roma. Alla RATZINGER
giornata del migrante, celebratasi a metà gennaio,
Benedetto XVI è tornato a parlare del concetto di “una sola famiglia
umana”. Anche all’inizio dell’anno, nel discorso per la giornata
mondiale della pace sulla libertà di religione (in coincidenza con
i tragici fatti dell’Egitto), il Papa ha parlato della comune situazione
dell’umanità di fronte al tema della fede e della ricerca della verità.
Mettere in fila tutti questi eventi ci aiuta a capire come, secondo
papa Ratzinger, si possono affrontare le grandi sfide del mondo contemporaneo.
L’immigrazione, il confronto tra religioni, l’incontro
tra stili di vita e di pensiero differenti, non possono essere lasciati solo
a ragionamenti geopolitici. Non è solo una questione di pace culturale
né una faccenda di scontro tra civiltà. Il Pontefice sta invitando
a non dimenticare che tutti noi – musulmani o cristiani, laici o
credenti, migranti o stanziali, ricchi o poveri, per quanto differenti
per condizioni, provenienze, situazioni e culture – presi uno a uno,
siamo di fronte alle stesse sfide. È importante allora, prima ancora di
pensare a soluzioni concrete (che ci vogliono e devono essere efficaci),
non dimenticare la giusta prospettiva: ciò che ci unisce come uomini
– la ricerca del senso della vita in questo mondo – sarà sempre
più alto e più profondo di ciò che di volta in volta genera conflitto.
| | 2 febbraio 2011 | 27
COPERTINA
28 | 2 febbraio 2011 | |
VERSO IL 1° MAGGIO
Wojtyla
e i suoi
preferiti
«Ognuno di noi era convinto di essere l’amico
che egli privilegiava». Lo “zio” Karol così come
lo ricordano le testimonianze polacche del suo
processo di beatificazione. Dai compagni del
seminario clandestino al generale Jaruzelski
di Annalia Guglielmi
Totalmente dedito all’uomo perché
totalmente certo e immerso in Dio e
immedesimato con Cristo. Questo
mi è rimasto nel cuore dopo aver avuto la
ventura di leggere e tradurre le testimonianze
polacche del processo di beatificazione
di Giovanni Paolo II.
Tutti ricordiamo il grido di Giovanni
Paolo II «Non abbiate paura!» durante
la prima omelia del suo pontificato. «Quel
grido rimane per me, in assoluto, il primo
potente gesto di evangelizzazione, la prima
grande proclamazione della sua speranza»,
ricorda un testimone. «Non fu un’esortazione:
“Cominciate a lavorare! Non state
a discutere!”, quanto piuttosto l’annuncio
della potenza di Cristo. È la risposta dell’uomo:
“Signore, Tu puoi tutto, Tu sai tutto”.
BEATUS IOANNES PAULUS II
Quel grido si fonda sulla sua fede. Senza
questa certezza il Papa non sarebbe quello
che è. In tutto quello che Giovanni Paolo II
ha fatto c’era questa fiducia, che comprende
fede e amore. Tutto ciò che ha fatto si
fonda sulla certezza che Cristo non abbandona
la sua Chiesa».
Immerso in Dio e immedesimato con
Cristo fin dalla giovinezza, che fu attraversata
da dolori e gravi prove, come se Dio lo
avesse attirato a sé attraverso una misteriosa
pedagogia. Karol Wojtyla rimase orfano
della madre a nove anni, mentre una sorellina,
Olga, era morta prima della sua nascita.
Aveva solo dodici anni quando perse l’amatissimo
fratello, ventuno quando morì il
padre. Visse i tragici anni dell’occupazione
nazista della Polonia, durante i quali furono
uccisi tanti amici ebrei della sua infanzia, e
fino alla fine della vita si sentirà “in debi-
LA BEATIFICAZIONE
Nella domenica della
Divina Misericordia
Il 1° maggio, durante
una cerimonia pubblica,
Benedetto XVI proclamerà
beato Giovanni Paolo
II. «La data è molto
significativa», ha detto il
Santo Padre all’Angelus
del 16 gennaio. «Sarà
infatti la seconda domenica
di Pasqua, che egli
stesso intitolò alla Divina
Misericordia, e nella cui
vigilia terminò la sua vita
to” con loro, salvato al posto di tanti per un
disegno misterioso. «Ti basta la mia Grazia»,
«Totus Tuus», in modo totale, radicale, senza
compromessi. A questa spoliazione corrispose
un sì totale, prima alla bellezza, alla
poesia, al teatro, alla parola come manifestazione
del mistero e dell’uomo. Poi, definitivamente,
a Colui che di quella bellezza
è la sorgente. Decisivi per la sua formazione
furono la figura del padre, ex ufficiale
dell’esercito polacco, uomo di grande
fede che – dirà in seguito egli stesso – gli
insegnò a pregare e ad affidarsi totalmente
alla volontà di Dio (non dimenticherà mai
quell’uomo in piedi di fianco alla bara del
figlio ripetere incessantemente: «Sia fatta la
Tua volontà»), e quella di Jan Tyranowski,
un umile sarto che aveva fatto solo gli studi
elementari, ma che, grazie alla sua vita
ascetica, fu in grado di attirare molti giova-
terrena». Si tratta di un
evento senza precedenti:
negli ultimi dieci secoli
nessun Papa ha innalzato
agli onori degli altari
l’immediato predecessore.
Per l’occasione le spoglie
di papa Wojtyla saranno
traslate, senza esposizione,
dalle grotte alla basilica
vaticana, nella cappella
di San Sebastiano
(navata destra). La bara
sarà chiusa da una lapide
di marmo con la scritta
Beatus Ioannes Paulus II.
Foto: AP/LaPresse
ni alla fede, dando vita al “Rosario vivente”
e guidando discussioni teologiche che toccavano
la mistica. Fu lui a introdurre il giovane
Karol alla spiritualità di san Giovanni
della Croce. Per comprendere quanto
importante sia stata la figura di Tyranowski
basti pensare che Giovanni Paolo II teneva
la sua fotografia sul comodino della sua
camera da letto in Vaticano.
Per il bene della Chiesa
La sua spiritualità era profonda e intensissima
– «Ci ho provato, ma non sono mai
riuscito a imitare la sua capacità di preghiera»,
dice un suo compagno di seminario
–, e fu accompagnata fin dall’inizio da
un’inesauribile dedizione all’uomo, oggetto
dell’amore di Dio e per il quale Dio ha
sopportato la croce. All’università era vicepresidente
di un gruppo di cattolici, “Aiu-
LA CAUSA
La dispensa sui tempi e
la guarigione miracolosa
Grazie alla dispensa concessa
da Benedetto XVI,
la causa di beatificazione
è iniziata prima che fossero
trascorsi i canonici
to fraterno”, che si prendeva cura degli studenti
in difficoltà. Ricorda un suo compagno:
«A dire il vero, prima di diventare
sacerdote non ci parlava mai di Dio. Non
ha mai cercato di convertirci. Però, con tutta
la sua personalità testimoniava che Dio
è l’unico Essere, è il centro dell’esistenza».
Mentre lavorava alla cava della Solvay fu
talmente amato dai suoi compagni operai,
che gli risparmiavano i lavori più duri
per consentirgli di studiare. Fino a quando
le condizioni di salute glielo hanno permesso,
Giovanni Paolo II è rimasto fedele
all’amicizia coi suoi compagni di scuola,
di università, di seminario e di lavoro alla
cava. Con loro si incontrava regolarmente
in Vaticano o a Castel Gandolfo.
La sua ordinazione sacerdotale si svolse
in anticipo, dopo appena due anni di seminario,
poiché il cardinale Sapieha, arcive-
cinque anni dalla morte,
ed è stata aperta il 28
giugno 2005 dal cardinale
Camillo Ruini, vicario
generale per la diocesi di
Roma. L’11 gennaio scorso,
al termine dell’iter previsto
(osservato integral-
L’AUTRICE
scovo di Cracovia, era profondamente convinto
che fosse pienamente maturo, avesse
una santità autentica, un’individualità
fuori dal comune e potesse portare grande
beneficio al futuro della Chiesa.
La nascita della “famigliola”
Dopo il dottorato a Roma e un breve soggiorno
in una piccola parrocchia, fu nominato
cappellano della chiesa di San Floriano
a Cracovia. Era la chiesa della pastorale
universitaria ed egli cominciò subito ad
organizzare un gruppo di studenti, nonostante
le enormi difficoltà imposte dalla
situazione politica: erano gli anni Cinquanta,
anni particolarmente duri per la Chiesa
in Polonia. La presenza dei sacerdoti tra i
giovani era proibita dal regime, alcuni preti
erano stati perfino condannati a morte
per questo. Ben presto, però, attorno al giovane
don Karol si formò una comunità di
giovani che si chiamava “L’ambiente”, per
indicare la presenza nel proprio ambiente
di vita, ma era detta confidenzialmente “la
famigliola”, per suggerire la qualità e l’intensità
del rapporto che legava i suoi componenti.
E don Karol in pubblico era chiamato
“Wujek”, zio, per evitare di incorrere
nelle ire dei servizi di polizia.
Ecco le parole di alcuni testimoni di
quei primi anni del ministero sacerdotale
di don Karol Wojtyla. «Era magnetico.
Vedevamo in lui il sacerdote dei nostri ideali
giovanili, vale a dire il sacerdote che ha
tempo, confessa, prega molto e in un cer-
mente), la congregazione
delle Cause dei santi ha
riconosciuto la guarigione
dal morbo di Parkinson di
suor Marie Simon-Pierre
Normand come miracolo
da attribuire all’intercessione
di Giovanni Paolo II.
CHI È ANNALIA GUGLIELMI
Un’italiana al centro della storia polacca
Dal 1978 al 1982 ha insegnato italiano alla
Cattolica di Lublino. Qui si è legata ai movimenti
dell’opposizione, coi quali ha collaborato
fino alla caduta del regime comunista.
Dal 1990 al 2004 ha diretto, a Varsavia, una
società di consulenza impegnata nella ricostruzione
del paese. Il governo polacco le ha
assegnato la Croce di cavaliere al merito.
LE MEMORIE DI CRACOVIA
Dagli atti del tribunale ecclesiastico
Quelle pubblicate qui sono testimonianze
raccolte dal Tribunale ecclesiastico di
Cracovia per il processo di beatificazione di
Wojtyla, dichiarazioni che Annalia è stata
incaricata di tradurre in italiano e che sono
ancora coperte da segreto: i nomi dei testimoni
non possono essere rivelati.
| | 2 febbraio 2011 | 29
COPERTINA VERSO IL 1° MAGGIO
to modo». «Era luminoso. Parlava poco,
ma ascoltava molto. Di tanto in tanto poneva
delle domande. Erano domande che ci
scavavano dentro». «Ha aiutato gli studenti
per tutta la vita. Distribuiva tutto quello
che riceveva: calzettoni, giacche, il cappotto».
«Faceva del bene. Aiutava concretamente
a trovare un appartamento, il lavoro,
un posto in ospedale, all’asilo o, più semplicemente,
il proprio posto nella vita». «Benché
fosse uno di noi, cioè condividesse le
nostre vicissitudini, stesse con noi, mangiasse
e cantasse con noi, ad un certo momento
si allontanava e pregava. Fisicamente
era molto forte; mi ricordo che una volta i
nostri amici gli misero una pietra nello zaino,
perché non potevamo stargli dietro». «Il
suo atteggiamento verso i giovani era qualcosa
di nuovo, che, come minimo, stupiva.
Avevamo un sacerdote con noi nel quotidiano.
Era una pastorale universitaria individuale».
«Aveva tempo per ciascuno. A volte
si creava una situazione particolare, in
cui cinquanta persone erano convinte contemporaneamente,
ognuna per conto suo,
di essere la persona che egli privilegiava».
«Viveva nella coscienza del dono e Dio era
per Lui Colui che dice a ciascun uomo: “Senza
di te il mondo non sarebbe lo stesso”».
«Questo uomo pieno di salute viveva profondamente
di Dio. Insegnava ad essere in rapporto
con Dio attraverso la preghiera, insegnava
a trasformare la vita in preghiera».
Per le ragazze madri una casa vera
La convocazione del cardinal Wyszynski,
primate di Polonia, lo sorprese mentre era
in gita in kajak con i suoi giovani, nel 1958.
Raggiunse Varsavia in autostop e qui apprese
di essere stato nominato, a soli trentotto
anni, vescovo ausiliare di Cracovia. Qualcuno
ha dichiarato: «Aveva un progetto pastorale
preciso: la difesa della dignità della persona
e della libertà religiosa». La sua opera
di vescovo abbracciò innumerevoli campi
della vita della Chiesa e dell’uomo. A volte
le sue iniziative non erano comprese subito
dagli altri membri della conferenza episcopale,
ma il tempo gli ha dato ragione.
All’inizio degli anni Settanta chiese di
aprire a Cracovia una casa per ragazze
madri, affidandola a un gruppo di suore e
suscitando molte perplessità, soprattutto
fra i sacerdoti più anziani, ai quali appariva
come una sorta di avvallo di comportamenti
sbagliati. Ma Wojtyla fu irremovibile, poi-
IL PAPA DELL’EST
30 | 2 febbraio 2011 | |
IN POLONIA
Gioventù e sacerdozio
tra i due totalitarismi
Karol Wojtyla nacque
a Wadowice, a 50 chilometri
da Cracovia, il
18 maggio 1920, ultimo
di tre figli. Costretto
ché per lui si trattava di difendere dei bambini
innocenti. La casa fu acquistata in gran
parte grazie al denaro offerto da lui stesso.
Gli stava molto a cuore che l’atmosfera
all’interno della struttura fosse familiare e
per questo chiese di trovare un’abitazione
che ricordasse una vera casa e non un istituto,
senza alcuna insegna all’esterno. Raccomandò
alle suore di essere molto discrete
e permise che i bambini fossero battezzati
nella cappella interna, per evitare i commenti
della gente sull’assenza dei padri.
Sono più di 1.500 le ragazze che fino ad oggi
hanno usufruito di quella casa, e l’opera si è
poi diffusa anche in altre diocesi.
dall’occupazione nazista
a lasciare l’università, dal
1940 al 1944 lavorò in
una cava e in fabbrica. A
partire dal 1942 frequentò
il seminario clandestino
di Cracovia, diretto dall’arcivescovo,
il cardinale
Come aveva fatto da sacerdote, anche
da vescovo si dedicò in modo particolare
all’educazione dei laici, sottolineando
soprattutto due aspetti: la vita della Chiesa
come esperienza di unità e comunione fra
le persone e il lavoro culturale come capacità
di giudizio e di presenza, pur dentro le
limitazioni imposte dal sistema totalitario.
Così la costruzione di nuove chiese e la creazione
di nuove parrocchie divennero l’occasione
per coinvolgere i laici, in modo che
tutto il lavoro fosse educativo e ciascuno si
sentisse coinvolto nella responsabilità. L’introduzione
del magistero del Concilio Vaticano
II avvenne attraverso un sinodo dioce-
Sapieha, dal quale sarà
ordinato prete nel 1946.
Fu promotore del Teatro
Rapsodico, anch’esso clandestino.
Dopo il dottorato
a Roma, nel 1951, quando
ormai la Polonia era
sotto il regime comunista,
divenne cappellano degli
universitari e professore di
Teologia morale ed Etica.
Fu nominato vescovo di
Ombi nel 1958 da Pio XII
e arcivescovo di Cracovia
nel 1964 da Paolo VI, che
nel 1967 lo creò cardinale.
Foto: L’Osservatore Romano, AP/LaPresse
Sopra, il cardinal Wojtyla coi predecessori Giovanni Paolo I (foto a sinistra) e Paolo VI.
A lato, sempre Wojtyla, ormai Papa, con il successore, l’allora cardinale Joseph Ratzinger.
In basso, l’attentato in piazza San Pietro nel 1981 e un incontro del 1980 con Jaruzelski
sano che durò ben nove anni e che fu un
importante strumento di rapporto dentro
la Chiesa: grazie ad esso le parrocchie della
diocesi di Cracovia si risvegliarono a una
vita comunitaria veramente cristiana.
In kajak con l’arcivescovo
Inoltre Wojtyla comprese immediatamente
l’importanza del movimento giovanile
delle Oasi “Luce e Vita” fondato dal servo di
Dio padre Franciszek Blachnicki, e lo difese
sia dagli attacchi del potere (pagava di
tasca propria le salatissime multe che venivano
comminate a chi ospitava i giovani
delle Oasi durante le vacanze, o interveniva
in difesa dei sacerdoti fermati dalla polizia),
sia dalle critiche di molti vescovi, che,
soprattutto all’inizio, vedevano nel movimento
un pericolo per le parrocchie, perché
temevano che portasse via i giovani.
Anche da vescovo mantenne un legame
privilegiato con la sua “famigliola”. «Come
aveva detto all’inizio del ministero episcopale:
lo Zio sarà sempre lo Zio. A Cracovia
i nostri rapporti erano stretti. Per quanto
riguarda le vacanze, furono ridotte a una
settimana, soprattutto quelle in kajak. Lo
portavano in macchina insieme a tre grandi
borse. In una c’era il necessario per celebrare
la Messa e l’altare. Nella seconda, quella
che noi preferivamo, c’era il cibo preparato
per il vescovo dalle suore, nella terza
c’erano dei libri. Quando eravamo in kajak
mi alzavo presto. Al mattino presto lo Zio
era già in acqua a nuotare. Nuotava benissimo.
Dopo diceva il breviario e leggeva qualche
libro. Non perdeva un minuto. Durante
la gita, ogni due o tre giorni, c’era un giorno
IN VATICANO
Pontefice missionario
e paladino della libertà
Il 16 ottobre 1978 fu
eletto Papa, 263esimo
successore di Pietro. Il
suo pontificato è stato
uno dei più lunghi della
senza navigazione, che si passava al bivacco.
In quel caso lo Zio leggeva, leggeva, e ancora
leggeva, e parlava con noi».
La residenza arcivescovile di Cracovia
era perennemente aperta e la prima colazione
era sempre affollata di gente. Amava
incontrare i giovani, che per lui insieme ai
bambini erano la strada maestra per andare
a Dio. Aveva una tenerezza particolare verso
i dipendenti della curia: si preoccupava di
ognuno di loro e delle loro famiglie, intervenendo
di persona in caso di bisogno.
La lotta per uno spazio di libertà
Era critico nei confronti del potere comunista.
Vedeva lo sviluppo dell’ateismo, lo sradicamento
delle persone dalla loro tradizione
cristiana e le persecuzioni palesi e nascoste,
e ne soffriva. Sosteneva che la lotta si
fa “per qualcosa”, non “contro qualcuno”,
indicando in tal modo una precisa strada di
opposizione al regime: la creazione di spazi
di libertà praticabili nel presente, e questa
posizione di impegno nella difesa dei diritti
umani divenne la norma per la Chiesa
polacca. «Non ci ha mai dato i suoi insegnamenti
dicendo: “Non far questo, fa’ quest’altro”.
Non ci ha mai chiesto se appartenevamo
a un partito e a quale. Ci faceva soltanto
vedere la menzogna insita nel comunismo,
nel marxismo, in quel potere».
L’apparato del regime aveva un’“attenzione”
particolare per questo vescovo, tanto
che molti temevano per la sua incolumità.
Una delle tematiche più dibattute nelle
stanze del potere era la presa che Karol
Wojtyla aveva sui giovani, sul movimento
delle Oasi e sulla cultura. «In questi cam-
storia della Chiesa ed
è durato quasi 27 anni.
Giovanni Paolo II morì
il 2 aprile 2005 e sarà
ricordato, oltre che per
i 104 viaggi apostolici
nel mondo e i tantissimi
documenti, per l’amore
pi lo si vedeva come una grande minaccia,
perché la cultura è l’ambito in cui si lotta
per l’anima di un popolo», ha dichiarato in
un’intervista uno dei suoi grandi “nemici”
storici, il generale Wojciech Jaruzelski, capo
del governo e primo segretario del Partito
comunista polacco, aggiungendo che per le
medesime ragioni l’elezione di Wojtyla al
Soglio pontificio fu vissuta come un vero e
proprio terremoto dal regime.
Gli incontri privati col “nemico”
Lo stesso generale, però, rievocando i numerosi
incontri pubblici e soprattutto privati
con Giovanni Paolo II, non può fare a meno
di riconoscerne la grandezza umana, addirittura
la santità. «Soprattutto gli incontri
privati hanno per me un valore particolare,
perché allora il Papa non era tenuto a incontrarmi,
ma trovò il tempo per me, “grande
peccatore”. Gli incontri privati sono stati
ben tre e mi sono particolarmente cari. L’ultimo
incontro avvenne il 27 novembre 2001.
In tutti questi incontri ho sperimentato da
parte sua il desiderio di comprendermi, di
accogliermi. Ricordo in modo particolare
quell’ultimo incontro in Vaticano. Era sera,
mi ricevette nei suoi appartamenti privati.
Ero commosso, vidi la sua debolezza, si
appoggiava da una parte a monsignor Dziwisz
e dall’altra a qualcun altro. Lo aiutarono
a sedersi, parlava a fatica, ma desiderò
condividere con me le sue gioie e le sue preoccupazioni
per quello che stava accadendo
in Polonia (…). Ho interpretato questi gesti
del Papa nei miei confronti come prova che
egli non mi guardava secondo le categorie
di colpevole o innocente, ma guardava alla
totalità della mia persona cercando di comprendermi,
e questa è la cosa più importante,
perché comprendere in fondo significa
perdonare. Non me lo aspettavo, è stato un
dono. Io stesso più volte ho chiesto perdono,
e a volte i giornalisti mi chiedono perché
continuo a chiedere perdono, perché continuo
a dichiarare il mio dolore per ciò che è
accaduto, ma ritengo che sia un mio dovere
morale. Persone semplici al funerale hanno
scritto SANTO SUBITO. Queste persone hanno
capito al meglio che egli è stato un uomo
così fuori dal comune a livello umano, che
la sua santità è qualcosa di evidente. Se dobbiamo
considerare qualcuno santo, nel senso
di una straordinarietà umana, questa
persona è Karol Wojtyla. Giovanni Paolo II.
Il più grande polacco della storia». n
verso i giovani, l’attenzione
ecumenica e il dialogo
con i responsabili delle
nazioni. La sua figura di
pontefice polacco e le sue
battaglie per la libertà
furono decisive per la
caduta del comunismo.
| | 2 febbraio 2011 | 31
ESTERI
32 | 2 febbraio 2011 | |
REPORTAGE
Vivere
senza euro
In Europa c’è un paese che ha rinunciato alla
solidità della moneta unica per non frenare
la sua crescita economica quasi “asiatica”.
Viaggio in Polonia per negozi e imprese
da Varsavia Alessandro Turci
foto di Federica Miglio
La recente notizia sul rinvio sine die deciso
dalla Polonia per l’ingresso nell’euro
ha incuriosito molti osservatori
economici internazionali, parecchio attenti
a quello che succede a Varsavia. Come
spesso accade, la sorpresa è stata meno forte
nel paese, dove la costante crescita economica
è accompagnata da una strategia basata
sulla prudenza. Siamo venuti in Polonia
per capire quale sia il polso della situazione
secondo gli esperti della scena economico-finanziaria,
ma anche per ascoltare l’opinione
della gente comune, che negli ultimi
tempi ha avuto il non trascurabile merito
di sostenere l’economia con la spinta decisiva
dei consumi interni.
Nei centri commerciali delle grandi
catene d’abbigliamento si nota immediatamente
come i cartellini sui capi riportino
i prezzi in svariate divise: zloty, euro, ma
anche fiorini ungheresi, corone ceche, lats
lettoni e litas lituani. In contanti si paga
solo in zloty, mentre con la carta di credito
si può pagare in qualsiasi valuta. I prezzi
non sono così dissimili da quelli dei negozi
italiani, anche se gli stipendi qui sono inferiori
di almeno il trenta per cento. È una
clientela giovane, spesso femminile, attenta
alle mode ma con senso del gusto e del pratico.
Abbiamo chiesto a un cassiere se pensa
che l’adozione dell’euro possa portare
benefici al suo lavoro in termini di semplificazione,
anche rispetto ai clienti stranieri.
La domanda gli è sembrata troppo acerba:
«Non saprei dire, è un problema che non
riguarda me risolvere. Comunque non credo
che il mio lavoro cambierebbe molto se
invece dello zloty ci fosse l’euro».
Una costituzione fresca
Le ragazze che scelgono tra la merce in saldo
non sembrano più sedotte o ansiose dalla
prospettiva di avere nel borsellino i tagli
della moneta unica. A una di loro domandiamo
se considera l’euro una chance, da
giocare magari quando le capiterà di recarsi
all’estero. I polacchi, del resto, si considerano
un popolo dell’Europa centrale o al mas-
Nei negozi i prezzi sono in zloty,
euro, fiorini ungheresi, corone
ceche, lats lettoni, litas lituani, e
non sono dissimili da quelli italiani,
anche se gli stipendi sono inferiori
di almeno il trenta per cento
In queste pagine, alcune foto scattate
nella zona commerciale di Varsavia,
in prossimità del Palazzo della Cultura.
Qui sopra, un murale dove il simbolo
dell’euro compare sull’elmetto di un
enorme e minaccioso militare-burattino
simo centro-orientale, e civilizzazioni come
la Francia (De Gaulle è qui una figura molto
ammirata) sono modelli di assoluto riferimento.
Ma anche nel caso della ragazza
una gentile alzata di spalle e una risata quasi
timida sono l’educata risposta al disinteresse
per l’argomento.
I politici, invece, hanno la questione ben
scolpita in agenda, ma non vogliono correre
una seconda volta il rischio di indicare una
data per poi doverla disattendere come hanno
fatto qualche giorno fa a Parigi, comunicando
la rinuncia alla scadenza del 2012.
Un fatto però è sicuro, dice a Tempi Domenica
Brosio, esponente del nostro Istituto per
il Commercio Estero di Varsavia: «La Polonia
vanta numeri e previsioni che l’Italia
| | 2 febbraio 2011 | 33
ESTERI REPORTAGE
firmerebbe in bianco: il Pil del 2009 all’1,7
per cento, quello del 2010 al 3,5, il 2011 previsto
al 3,9, e infine il 2012 al 4,2». Sono
numeri quasi asiatici.
Di più. Poter contare su una costituzione
recente (quella polacca è del 1997) permette
misure elastiche rispetto alle sollecitazioni
del mondo finanziario moderno. Il
rapporto tra deficit e Pil, ad esempio, è regolato
automaticamente secondo tre soglie
d’allarme: al 50, al 55 e al 60 per cento. Ogni
qual volta un confine viene superato scattano
azioni di austerity. Nel 2010 l’indice si è
fermato al 53,5 per cento. Sembrano numeri
da fantascienza per un’Italia che viaggia
con un deficit del 115 per cento sul Pil e che
non può permettersi di modificare neanche
un articolo della carta costituzionale senza
che si alzi uno sbarramento politico a paralizzare
qualsiasi disegno riformatore.
La spinta dei consumi interni
Certo, nella scelta dilatoria comunicata dal
ministro delle Finanze Jacek Rostowski c’è
anche una buona dose di pragmatismo. Lo
zloty ha permesso alla Polonia di cavarsela
nella crisi internazionale di questi anni grazie
a una svalutazione sia reale che indotta,
utile per avvantaggiare le esportazioni senza
intaccare le riserve. «La spinta dei consumi
interni – spiega Domenica Brosio – ha
fatto il resto. Senza dubbio se il paese fosse
stato già membro del club dell’euro tanto
la bilancia commerciale quanto le riserve
avrebbero subìto importanti contraccolpi».
La vicina Estonia, invece, ha aderito dal primo
gennaio 2011 alla moneta unica. È vero
che il paese baltico aveva già agganciato la
propria divisa all’euro negli ultimi anni, ma
34 | 2 febbraio 2011 | |
Le banche sono
un potere “visibile”
in Polonia, che quasi
connota l’intera
architettura del
centro moderno
di Varsavia, con
grattacieli e vetrine
sulla strada per
giovani manager in
camicia bianca
certo il 17esimo membro del club, primo
aderente tra gli Stati ex sovietici, ha dimostrato
coraggio. Infatti, nonostante l’entusiasmo
di Barroso che ha parlato di un «forte
segnale d’attrazione e di stabilità per l’euro»,
non sembra che Lituania e Lettonia siano
così sicure di aderire nel 2014; lo stesso
vale per l’Ungheria, per la Repubblica Ceca
e per la più importante economia di tutta la
regione: la Polonia appunto.
Il 2011, in autunno, sarà anche un anno
di elezioni politiche. Se pure l’adozione
dell’euro non sia messa in discussione da
nessun significativo partito o movimento
d’opinione (anche se nel centro di Varsavia
ci si imbatte in un gigantesco murale dove
il simbolo appare sull’elmetto di un aggressivo
militare), le misure per raggiungere i
criteri d’ammissione tecnica possono invece
essere terreno di battaglia. Anche perché
“misure per raggiungere i criteri” è una
locuzione da spin doctor che la gente comune
traduce con una parola sola: sacrifici.
«Non è solo la mano
d’opera a basso costo che
attira gli investimenti
stranieri, ma anche
la trasparenza della
burocrazia, la certezza
del diritto e la qualità
professionale»
Anticipando il clima elettorale, sempre
Rostowski ha annunciato alla radio l’imminente
introduzione di una tassa sulle
banche, con lo scopo di tutelare i depositi
dei cittadini. Gli istituti di credito sono
un potere ben visibile in Polonia, capace
anche di connotare quasi l’intera architettura
del centro moderno di Varsavia, con
una miriade d’uffici incastonati nei grattacieli,
vetrine sulla strada per giovani manager
in camicia bianca.
Prima o poi, comunque, l’euro arriverà
anche in Polonia: una moneta diffusa, forte
e stabile per un’economia solida, dinamica
e trasparente. «Non è solo la mano d’opera
a basso costo che attira qui gli investimenti
stranieri – dice a Tempi un imprenditore
italiano, quasi un pendolare, incontrato
in aeroporto – ma anche e soprattutto
la trasparenza della burocrazia, la certezza
del diritto e la qualità professionale degli
addetti». Gli ingredienti che spiegano i successi
del sistema produttivo polacco. n
UNA MOSTRA APOLOGETICA SUL PARTITO COMUNISTA
Se si possa ancora andar fieri
della «grandiosa storia» del Pci
di Giorgio Israel
Figurarsi se potrei considerare un reietto chiunque sia stato comunista. Presi la
mia prima tessera della Federazione Giovanile Comunista quando ero sedicenne,
durante un comizio di Togliatti. Riportava sul disegno di un’impalcatura
una frase di Majakovskij: «Milioni di spalle unite che innalzano al cielo la
costruzione del comunismo». In verità ero assai intimidito e la prima esperienza
fu traumatica: la sezione cui appartenevo fu sciolta per trotskismo… Nella riunione
di scioglimento, il funzionario inviato dal Partito – un piccolo burocrate pallido
in abito “Facis” – sembrava dovesse soccombere di fronte alla forza intellettuale
del gruppo dirigente della sezione. Quando si levò a parlare cambiò tutto:
ruggiva come un leone, la sua mediocre figura era trasfigurata dall’essere portatrice
della volontà del Partito, faceva paura! Restai nel Partito molti anni anco-
PANE AL PANE
ra, ma mai mi liberai dal timore reverenziale che ispirava quella macchina da guerra. È complesso
spiegare le ragioni per cui milioni di persone oneste e in buona fede ne abbiano fatto parte, ma
la più ovvia è che si era convinti di lavorare per una causa
giusta che mirava al bene dell’umanità. Quel che faceva
considerare secondari o trascurabili la mancanza di democrazia
– del Partito e del comunismo internazionale
– e gli innumerevoli delitti di cui era disseminata l’opera
di “costruzione verso il cielo”, era il carattere totalizzante
e assoluto con cui veniva concepita la “causa”. Non si trattava
di migliorare qualche aspetto della società ma nientemeno
che di rifarla completamente. Il discorso è complesso e non può essere sviluppato in una
rubrica, ma è innegabile che la calamita che ha attratto milioni di persone in buona fede su una via
che rendeva complici di una catena infinita di orrori era il carattere “palingenetico” dell’impresa,
il fascino che emana dall’intento di “rifare tutto” in modo giusto e perfetto. È un discorso
che vale per ogni forma di totalitarismo: il fascino dell’idea efferata della palingenesi,
particolarmente attraente per le menti totalizzanti dei più giovani.
È giusto quindi sforzarsi di comprendere. Però ormai questa storia e i suoi orrori
sono noti e documentati e lascia attoniti che qualcuno pensi di fare una mostra apologetica
e persino agiografica della storia del Partito Comunista Italiano, come quella
promossa a Roma. Quale persona sensata può trovare oggi tanto interessante contemplare
il servizio di tazze da caffè di Palmiro Togliatti, “il Migliore”, ma anche un
“orco” – come l’ha definito Giuliano Ferrara – che solleva casomai il problema di
come l’intelligenza possa coniugarsi con il male? A qualcuno verrebbe in mente
di esporre le tazze di Mussolini? No di certo, ma quelle di Togliatti, sì. C’è chi trova
normale visitare con devozione i cimeli di una storia su cui c’è poco da esaltarsi,
soprattutto se la si è vissuta in prima persona. Non colpisce soltanto la persistente
impunità concessa al comunismo, per cui appare normale a un vecchio dirigente
parlare di una «storia enorme, grandiosa» ignorando come un dettaglio irrilevante
i crimini del comunismo (perché nella mostra non vi sono foto dei gulag?)
e le complicità del Pci in essi. Colpisce il fatto che non si è trattato soltanto di una
patetica riunione di reduci, del genere di quella rappresentata nel film Il concerto. La
mostra ha visto la presenza commossa di tante personalità che sono ancora protagoniste
della politica italiana di oggi e che sono state accolte al grido di «è bello rivedere assieme
tanti compagni». E c’è qualche fesso che dice che non ha più senso parlare oggi
del comunismo (o del postcomunismo).
Quale persona sensata può trovare oggi
tanto interessante contemplare il servizio
di tazze da caffè di Togliatti, “il Migliore”,
ma anche un “orco” che spinge a domandarsi
come l’intelligenza possa coniugarsi col male?
INTELLETTUALE
CURA
TE STESSO
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cultura
38 | 2 febbraio 2011 | |
c’era una volta
Se il lupo
è un gran
fifone
avventure mirabolanti di belve buone
e bambini coraggiosi. Breve manuale
di favole per salvare i piccoli dalla tv
e risvegliare la fantasia dei grandi.
e in casa sarà una gara a chi legge di più
Biancaneve la conoscono già, Alice nel
paese delle Meraviglie pure. Per non
parlare di Cappuccetto Rosso, che
ormai danno per capace di resurrezioni
multiple dopo le innumerevoli gite nella
pancia del lupo. Ci sono sere in cui anche
i genitori più volenterosi non sanno più a
che favola votarsi. Pomeriggi in cui anche
i più fantasiosi meditano di arrendersi alla
televisione senza limiti piuttosto che trovare
una nuova storia da leggere ai bambini.
È in quelle sere o in quei pomeriggi
che potrebbe tornarvi utile questo piccolo
manuale pensato proprio ad uso e consumo
di genitori alle prese con la crescita
di pargoli che si sognano, se non letterati,
almeno non del tutto teledipendenti. È in
quelle sere che potrete far ricorso a queste
storie di provato divertimento e approvata
intelligenza, adatte a bambini fino ai seisette
anni di età.
Giochi, trucchi e assonanze
È un libro senza parole e con due colori in
tutto. Eppure piace moltissimo ai bambini
che non si stancano mai di vedere gli
animali affollare l’altalena sapientemente
stilizzata dalla matita dell’architetto
Enzo Mari. È un progetto, L’altalena (Corraini
editore, 15 euro), un progetto che si
deve svolgere e che bisogna avere tanto
spazio per aprire, ma che basta pochissimo
per portarsi dietro. Fate largo, spostate
i giocattoli dal pavimento. Fate largo,
perché sull’altalena ci sia spazio per tutti
e perché l’altalena abbia tutto lo spazio
che le serve per lasciarvi senza parole.
«C’è sempre qualche vecchia signora che
affronta i bambini facendo delle smorfie da
far paura e dicendo delle stupidaggini con
un linguaggio informale pieno di ciccì e di
coccò e di piciupaciù. Di solito i bambini
guardano con molta severità queste persone
che sono invecchiate invano; non capiscono
cosa vogliono e tornano ai loro giochi,
giochi semplici e molto seri». Così parlava
Bruno Munari (Arte come mestiere, 1966),
genio della grafica e del design che a quei
giochi semplici e molto seri dedicò anni di
studio e di lavoro. In tutto il mare magnum
della produzione del maestro abbiamo scelto
due chicche. Bussate (Toc Toc, Corraini,
15,50 euro) e vi aprirà la giraffa Lucia
che viene da Verona, pronta a schiudere
i segreti contenuti nella sua enorme valigia.
Un’anticipazione? Dentro c’è la zebra
Carmela che viene da Lugano, nel suo baule
altri tesori inaspettati, sempre più piccoli
e sempre più incredibili, sempre giocati
tra colori stupefacenti e parole scelte con
sapienza e musicalità. Bisogna sfogliare per
scoprire, perché non c’è scoperta che non
chieda un gesto di protagonismo, anche in
un altro splendido volume di Munari. Qui il
maestro ci conduce per mano Nella nebbia
di Milano (Corraini, 22 euro). Perché d’inverno
«quando la natura dorme e quando
sogna appare la nebbia. Camminare dentro
la nebbia è come curiosare nel sogno
della natura: gli uccelli fanno voli corti per
non perdere l’orientamento, scompaiono i
segnali e i divieti nelle strade, i veicoli vanno
piano e si fa appena in tempo a riconoscerli
che spariscono (…). Solo all’interno
delle case gli uomini e gli animali continuano
la loro attività». Sempre che non accada
di trovare, nel bel mezzo della pianura nebbiosa,
niente meno che un circo con tanto
di animali e pagliacci...
C’è un’eco di Munari e della sua
portentosa capacità di giocare con
la grafica e le parole nel bellissimo
libro di Ramon Gomez de la Serna:
I bambini cercano di tirarsi
fuori le idee dal naso (Giralangolo
editore, 13,50 euro). Già il titolo
è una “gregueria”, stravagante
anomalia linguistica che associa
idee alle parole. Sicché scoprirete
che «i serpenti sono le cravatte
degli alberi», «il pesce sta
sempre di profilo», «l’arcobaleno
è la sciarpa del cielo». E alla
fine converrete che «bisogna
trovare un modo di lavare i
piedi ai formaggi».
C’è qualcosa di estremamente
affascinante nei
bei libri per bambini
ed è la capacità di usare
l’impossibile come
categoria. Ciò che è impossibile
(dal desiderio di volare a quello del
lupo di diventare una pecora) diviene perno
dell’azione, motore della giostra della fantasia
in cui fare un giro è d’obbligo, anche e
soprattutto se i grandi non capiscono o fanno
i petulanti. «Mi ripetevano tutti le stesse
domande: che mestiere farai quando sarai
grande?». È l’incipit del divertentissimo
Farò i miracoli (Susie Morgenstern e Jiang
Hong Chen, Ippocampo junior edizioni, 12
euro). Il bambino, più per sfinimento che
per convinzione, accampa risposte improvvisate:
pompiere, palombaro, pilota. «Finché
stamattina, chissà com’è, ho scoperto il
mestiere che fa proprio per me. Ogni giorno,
appena mi alzo, voglio far sorgere il sole
d’un balzo. E sollevare le onde del mare. Per
divertirmi a sentirle suonare». Come si fac-
A lato, una tavola
di Troppo Tardi
di Giovanna Zoboli
e Camilla Engman
(Topipittori editore).
Sotto, una scena
di L’altalena di Enzo
Mari (© Enzo Mari,
courtesy Corraini
Edizioni).
Nella pagina
accanto, Piccolo
Lupo alle prese con
il suo desiderio di
volare (Il lupo che
voleva essere una
pecora, di Mario
Ramos, Babalibri)
cia a far tutto ciò lo si scopre alla fine, dopo
che di desideri si è colorato il mondo.
Volare, uno dei desideri più ricorrenti,
e poi sovvertire le categorie, abbattere
le barriere. Come Il lupo che voleva essere
una pecora (Mario Ramos, Babalibri, 11
euro) che sogna di librarsi in alto nel cielo
e di essere una pecora, perché «anche loro
non hanno le ali eppure, a volte, le vediamo
in cielo». Il lupo riuscirà a volare e tornare
a terra avrà presto un
sapore nuovo.
È l’idea
alla base
| | 2 febbraio 2011 | 39
cultura c’era una volta
Sotto, una tavola di Nella nebbia di Milano
di Bruno Munari (© Bruno Munari,
courtesy Corraini Edizioni) .
A destra, una delle illustrazioni di
Farò i miracoli (Ippocampo Junior Edizioni).
Nella pagina accanto, l’attore Stefano
Braschi nello spettacolo L’uomo a cavallo
cronache Dal paese Dei Diritti (Ma solo per qualcuno)
40 | 2 febbraio 2011 | |
di un’altra storia di animali
che s’immaginano
diversi da quel che sono,
come La luna e lo stagno
(Alberto Benevelli e Cristina
Pieropan, Kite Edizioni,
16 euro). L’amicizia di
Rana e Anatra è nata tra i
canneti dello stagno, ma
è quando Anatra impara a
volare che qualcosa inizia a
cambiare. Rana salta più in
alto che può eppure la luna
resta sempre lassù, pallida
e irraggiungibile. Anatra
non può aspettare e parte.
Vedrà la luna, scoprirà molte
cose. E da quel desiderio
soddisfatto ne nascerà un
altro più grande ancora.
Cose che ben capisce il piccolo Riccardo,
abituato a sentirsi dire che le cose
non si possono fare perché è troppo tardi
(Troppo tardi, di Giovanna Zoboli e Camilla
Engman, Topipittori editore, 14 euro).
È sempre troppo tardi e «troppo tardi viene
buio», troppo tardi non si torna a casa
per cena, troppo tardi chiudono i negozi
e scende il freddo. Sembra di sentirli, i
genitori che cercano di mettere un freno
ai bambini con la minaccia del tempo. E
dov’è questo troppo tardi? Il piccolo (ma
non troppo) Riccardo trova degli amici inaspettati
e con loro raggiunge il bellissimo
paese di Troppo Tardi. Cosa succede lassù?
Lo scoprirete e soprattutto scoprirete i
desideri insaziabili dei bambini che diventano
ancora più insaziabili se c’è qualcuno
che li aiuta ad attraversare il bosco. Gli
animali che schiudono le porte di nuovi
mondi e mettono in salvo bambini imprudenti
sono un classico. Come un classico
amatissimo anche dai grandi sono le storie
di Roald Dahl. L’editore Salani ha appena
pubblicato una raccolta con Matilde, Il
GGG, La fabbrica di Cioccolato e Le streghe
(ma qui occorre saper leggere o avere molta
pazienza per ascoltare storie più lunghe
anche se avventurosissime). Invece i
più piccoli si gettino pure nelle grinfie de
Il coccodrillo Enorme (Nord Sud edizioni,
6,50 euro): se le inventa tutte e si trasforma
in ogni modo per farsi una scorpacciata di
«strafogante» e «stragodurioso» bambino.
Ma non ha fatto i conti con gli altri animali
della giungla, che non ci pensano neanche
a liberarsi dei bambini. Almeno fino a
che non sarà ora di andare a letto.
Laura Borselli
a Madrid c’è un governo che vuole educare i figli al posto nostro
Dopo che il governo di Madrid ha fatto da battistrada ai nuovi
“diritti”, anticipando il provvedimento del Dipartimento di Stato
americano che (per non discriminare i gay) dal prossimo febbraio
abrogherà sui passaporti i termini di “madre” e “padre” sostituendoli
con le locuzioni di “genitore 1” e “genitore 2”, dall’anno scolastico
2007-2008 in Spagna è stata introdotta una nuova materia:
educazione alla cittadinanza il cui scopo è, secondo il ministero
spagnolo, «favorire lo sviluppo di persone libere». Ma di cosa parlano
i libri di testo dei bambini spagnoli? un capitolo, comune a tutti
i libri destinati alle scuole elementari è dedicato al «conoscere la
propia identità e sviluppare l’autostima». Dopo questa affermazione
viene proposto un elenco di scelte davanti alle quali il ragazzo
può decidere liberamente che inclinazione prendere (eterosessuale,
bisessuale, omosessuale) e che tipo di famiglia preferirebbe creare.
In questo modo si mira a evitare tutti quei conflitti sociali che
nascono dai pregiudizi sulle diversità. Per i ragazzi delle medie
inferiori l’editrice octaedro propone un testo al cui interno è presente
un capitolo sulle relazioni interpersonali dove sono spiegati i
diversi metodi anticoncezionali e suggerite alcune argomentazioni
per convincere il partner ad utilizzarli. la reazione della conferenza
episcopale spagnola è stata immediata e attraverso il portavoce
«C’è sempre qualche signora che parla a ciccì,
coccò e piciupaciù. Di solito i bimbi guardano
con severità queste persone che sono
invecchiate invano e tornano ai loro giochi»
cardinale di toledo cañizares ha affermato che le scuole che
impartiscono questa materia «stanno collaborando con il male»,
invitando gli alunni a ricorrere «a tutti i mezzi legittimi» per difendere
la propria libertà di coscienza e di educazione. I vescovi hanno
accusato il governo di «appropriarsi del ruolo di educatore morale
che non è proprio di uno Stato democratico» e hanno sottolineato
le «difficoltà» delle scuole cattoliche a introdurre una materia non
coerente con le proprie idee. Quest’anno il ministero della Giustizia
spagnolo attraverso la sentenza della cassazione ha respinto ogni
richiesta di esenzione dalla materia spiegando che: «la libertà
ideologica del minore non può essere abbandonata a chi ha la sua
custodia o patria potestà» e conclude affermando che «sarebbe
difficile dare la custodia di un minorenne a dei genitori che non
considerano pienamente la sua libertà». a questo punto, il rischio,
per quei genitori che volessero continuare a osteggiare la materia,
è quello di perdere la patria potestà sul proprio ragazzo. Stiamo
assistendo ad un esperimento educativo nel quale l’unico soggetto
che può educare i giovani è lo Stato. e di questo passo si approprierà
della custodia di ogni ragazzo e così ai genitori non rimarrà
che procreare figli per poi consegnarli al proprio paese.
Chiara Curti (Barcellona)
E
se Merlino non trascorresse la sua
vecchiaia a Camelot, ma in una casa
di riposo? La storia del mago e
del suo re, ambientata ai giorni nostri,
non perderebbe per questo il suo fascino.
Quando Artù, ormai un uomo pieno
di impegni e gravose responsabilità,
si reca a trovare l’antico maestro, si trova
davanti un povero vecchio, anni luce
lontano dall’acutissimo amico di un tempo.
Eppure il vecchio mago, nonostante
le sembianze dimesse e anzi proprio
in virtù di quelle, non ha smesso di avere
cose da insegnare al suo allievo. Così
re Artù è costretto a ripercorrere ironicamente
la sua storia e la sua giovinezza
per comprendere più profondamente il
suo vero destino e il senso del suo lavoro.
«È una storia per ragazzi
che riguarda tutti noi, che
riguarda la nostra attualità,
il nostro mondo che
reputa inutile la vecchiaia,
e dove a volte sembra che
nessuno possa insegnare
ancora qualcosa. Sembra.
Ma, come direbbe Merlino,
sembrare non è essere».
Stefano Braschi, attore,
ha scelto di mettere a frutto
la sua ventennale esperienza
di teatro con i ragazzi,
e per i ragazzi. «Alcuni
insegnanti mi hanno
chiesto di affrontare coi
mezzi del teatro i testi che
i loro alunni di seconda
media stavano affrontando
sui libri. Mi è parso un
esperimento interessante
per materializzare le parole
sul palco: un conto è studiare
una storia, un altro
è solcare un palcoscenico
cercando di trasmettere al
pubblico la psicologia del
personaggio. È come saltare
nelle pagine di un libro
stampato». L’esperienza ha
entusiasmato a tal punto gli studenti che
si sono cimentati a rappresentare qualsiasi
cosa: da Omero ai classici della letteratura
per ragazzi, passando per la drammaturgia
contemporanea. Troppo impegnativo?
Forse sì, ma è nella sfida che nasce
la bellezza. «Recitare i versi di Vincenzo
Monti e Ippolito Pindemonte ci sembrava
all’inizio un’operazione ardua, esagerata.
Ma è in questa difficoltà che è nato
un grande amore per la parola, un forte
rispetto per la musicalità, e la possibilità
di esprimersi a livello altissimo dal punto
di vista recitativo». Anche grazie a dirigenti
scolastici «e al loro voler rendere i giovani
protagonisti. Giocando non sulla leva
della vanità, ma sulle domande di sen-
attori per crescere
Qui il teatro è un
gioco da ragazzi
Sul palco per dare vita agli eroi dei romanzi,
convincersi a mangiare la frutta e imparare
come nascono i bambini. Scommettiamo che
educare può essere uno spettacolo a ogni età?
so, che nel “qui e ora” del teatro, con una
buona dose di improvvisazione e anche di
scherzo, finiscono per emergere naturalmente».
Una grande necessità dal punto
di vista educativo, «alla quale non sempre
la scuola risponde. Sul palco le difficoltà
e gli impacci, da gabbia, si trasformano in
un punto di partenza. Per questo più che
regista ho cercato di essere attore assieme
a loro». Un po’ quello che gli insegnanti
cercano di fare ogni giorno in classe,
stefano Braschi, attore: «alcuni insegnanti
mi hanno chiesto di affrontare i testi che
stavano affrontando in classe. È stato come
saltare dentro le pagine di un libro stampato»
anche se purtroppo l’educazione è spesso
considerata “arte minore”. Per Arcadio
Lobato il proverbio “chi sa fare fa, chi non
sa fare insegna” è aberrante, è «esattamente
il contrario di quello che è il modello di
sviluppo della cultura europea, che si fonda
sulla coerenza profonda tra educare e
creare». Nato a Madrid nel 1955, Lobato è
uno dei più importanti autori e illustratori
spagnoli del libro per l’infanzia. I suoi
lavori sono stati pubblicati e tradotti in
oltre 20 lingue. Negli anni
Novanta, la svolta: incontra
un’artista veneziana che
gli propone di insegnare ai
bambini a esprimersi utilizzando
pennelli e colo-
| | 2 febbraio 2011 | 41
cultura c’era una volta
ri. Lui accetta, a patto di poter impostare
lo schema della bottega artistica medioevale
e rinascimentale, coinvolgendo così
ogni allievo nella realizzazione di un libro
illustrato. Nasce così “la bottega del libro
illustrato” come metodo di ideazione e
progettazione, un progetto in cui un illustratore
di fama internazionale introduce
bambini e ragazzi al mondo dell’arte,
attraverso un “mestiere” che si fonda sul
legame tra parola e immagine. E li conduce
a vivere un’esperienza innovativa:
«Mentre normalmente ricevono messaggi
ideati da altri (televisione, videogiochi,
ecc), nel laboratorio possono diventare i
soggetti della creazione di immagini e di
cultura. Quando studiavo Biologia all’Università
mi hanno insegnato a “imparare
facendo”, e ho sempre mantenuto questo
attaccamento alla prassi: è un concetto
che ho ritrovato anche
in certe avanguardie artistiche».
al ritmo delle favole
Una vicenda umana simile
a quella di Carlo Pastori:
un attore di teatro che
si è ritrovato cantastorie.
E il papà. Ha quattro figli
e ha iniziato a raccontare
loro favole in musica fin da
quando erano piccoli: gliele
cantava per farli addormentare
o per festeggiare
una ricorrenza, un compleanno,
una gita con gli amici,
o per raccontare loro
la vita di un santo o per
convincerli a mangiare la
frutta, o per raccontargli
com’è bello arrampicarsi
sugli alberi e giocare con la
fionda. O semplicemente
per farli ridere. Per sopravvivenza
domestica, insomma.
Imparando che i bambini
non sono degli stupidi.
«Non mi piace rivolgermi
a loro come farebbe
una vecchia zia che pizzica
le guance al nipotino,
preferisco parlare come se
fossero dei piccoli adulti.
Oltrettutto, come diceva
Giovannino Guareschi, i bambini sono
più abituati a guardare che a ragionare:
ci osservano, e il nostro esempio ha la precedenza
sulle direttive che impostiamo
come schema educativo. Hanno una naturalezza
nel calarsi nella vita, nel respirare
le situazioni, che non smette mai di sorprendermi.
Capiscono quello che ti sta a
cuore e sono capaci di una riconoscenza e
di una sincerità critica che noi cosiddetti
“grandi” ci siamo scordati da un pezzo. Se
42 | 2 febbraio 2011 | |
Sotto, il cantastorie Carlo Pastori
in uno degli spettacoli
per bambini che porta in giro
per tutta l’Italia
accade a milano
Carlo Pastori, cantastorie per “sopravvivenza
domestica”: «Capiscono quello che ti sta
a cuore e sono capaci di una riconoscenza e di
una sincerità critica sconosciute agli adulti»
una cosa non gli interessa, stai sicuro che
se ne vanno e fanno altro. È una bella sfida,
scrivere per loro». Anche perché “loro”
spesso e volentieri assistono agli spettacoli
accompagnati da mamma e papà.
«La dimensione del gioco è una prerogativa
di chi fa teatro: il gusto della finzione.
Tutto ciò che accade sul palco è finto,
però dice delle cose vere a delle persone
vere». Che risponde a degli interrogativi.
Ad esempio, perché no, quello più istinti-
un trekking urbano per avvicinare
all’arte tutta la famiglia
avvicinare i bambini al mondo dell’arte puntando a fornire
un servizio di qualità. È la sfida di ad artem (adartem.it) società
che opera da anni a Milano con grande esperienza e competenza,
nell’ambito della didattica museale per bambini e ragazzi. un
settore importante quanto delicato e spesso sottovalutato. vengono
organizzate per le scuole dell’infanzia, primarie e secondarie
una serie di visite didattiche sul territorio della lombardia, visite
guidate, percorsi animati, laboratori didattici, lezioni, conferenze
e iniziative collaterali presso esposizioni temporanee oppure ad
esse collegate. un esempio? “Passeggiando per le vie di Milano”:
quattro itinerari diversificati per temi diversi (Milano romana,
Percorsi segreti al castello Sforzesco, Giò Ponti a Milano, Milano
in tram per le vie del centro). una sorta di trekking urbano per
rendere più interessanti le domeniche mattina, e soprattutto
un modo intelligente per riscoprire e percorrere la città con gli
occhi rivolti verso l’alto. Il 2011 prevede inoltre una serie di visite
guidate (a Palazzo reale e al Museo Diocesano) pensate non solo
per le scolaresche, ma per le famiglie. [cs]
vo di tutti i bambini. L’ultima rappresentazione
di Pastori è un testo che mette in
scena un paradossale esame di medicina,
in cui il candidato spiega a un esterreffatto,
accigliatissimo e buffo “superprofessore”
come nascono i bambini.
«C’è un professore arrabbiato perché
gli alunni sono impreparati, quindi
rivolge un’unica domanda, secca: “Come
nascono i bambini?”. E il bambino: “Ma
è la cosa più facile del mondo! Tu quanti
papà hai?”. “Uno”, risponde il professore.
“E quante mamme?”. “Una”. “E uno più
uno quanto fa?”. “Due”, risponde burbero
il professore. “Invece no, fa tre”. Sorride il
bambino. “Uno più uno fa tre”».
Chiara Sirianni
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FIRMA DATA
CULTURA BOLLE VERDI
Da grande farò
il divo ecologista
Da quando è diventato un bene che il sogno
di un dodicenne non sia un dieci in pagella
ma piantare un milione di alberi? Da quando
“etico” è diventato sinonimo di “ambientalista”.
Arrivano gli Oscar britannici dell’ecologia
da Oxford Antonio Gurrado
Q
ualsiasi cosa abbiate fatto negli scorsi
dodici mesi, avete perso tempo perché
non vi siete accorti che le Nazioni
Unite avevano proclamato il 2010 anno
della biodiversità; e, se anche ve ne foste
accorti e aveste passato gli ultimi dodici
mesi a chiedervi se la biodiversità abbia
qualcosa a che spartire con Frankenstein,
non siete riusciti a entrare nell’esclusivissima
lista in cui l’Observer ha elencato i
venti eroi dell’ecologismo dai quali tutti
noi avremmo dovuto prendere esempio.
C’è Jonathan Franzen, che nel suo ultimo
romanzo ha fatto esprimere da un personaggio
la preoccupazione che una determinata
specie di volatili possa estinguersi;
c’è Jay Leno, che possedeva duecentotren-
44 | 2 febbraio 2011 | |
tanove automobili (non sto esagerando) e
attanagliato da sensi di colpa ne ha comprata
una duecentoquarantesima che va
a tequila; c’è Evo Morales, per motivi che
restano ignoti ai più, e c’è il sindaco della
città più ecologica del pianeta: Mike Bloomberg,
primo cittadino di New York. A
dire il vero c’è anche il principe Carlo, che
nel 2010 ha fatto pubblicare l’edizione per
bambini di un suo libro ambientalista; si
tratta dello stesso principe Carlo che qualche
mese fa aveva tenuto a Oxford un ardito
discorso in cui dimostrava inoppugnabilmente
l’intrinseco legame fra slow food
e islam per un sereno futuro dell’umanità.
C’è soprattutto Brad Pitt, ritratto mentre si
allontana con fare filmesco (jeans sdruciti,
maglietta paramilitare con le maniche
rimboccate sotto il gomito) da uno sfon-
do di alberi spogli e case diroccate: è un’allegoria
per dire che l’uccisore dell’autostima
di Jennifer Aniston sta finanziando la
costruzione di un quartiere di New Orleans
con case – ha dichiarato tumultuosamente
– «che producono più energia di
quanta ne consumino, prive di ogni emissione
gassosa, è una storia fantastica».
Non cercate di tacitare la vostra cattiva
coscienza dicendovi che mai sareste riusciti
a entrare nella lista perché non siete
celebrità. Perché non avreste dovuto farcela
voi se ce l’ha fatta Felix Finkbeiner, dodicenne
tedesco che invece di andare a scuola
ha piantato (si presume non personalmente)
un milione di alberi in tre anni?
Ce l’hanno fatta anche i commessi di Timberland
e di Walmart, che hanno iniziato
a vendere prodotti sui quali è specificata la
quantità di anidride carbonica che viene
prodotta dal loro utilizzo (non è specificato
se valga anche per i proiettili smerciati da
Walmart). Ce l’ha fatta anche Henry Saraigh,
del quale non è possibile comprendere
i meriti a meno di capire frasi come
«aumento di agrobenzine e monocolture
sostenute da corporazioni transglobali». E
se proprio siete pigri e non volete schiodar-
vi dalla poltrona in cui siete sprofondati,
pensate che ce l’hanno fatta anche gli attivisti
del sito Avaaz, che a quanto pare ha
convertito all’ecologismo più estremo sei
milioni e mezzo di – come definirli? Questi
ecologisti virtuali ricordano un po’ troppo
gli onanisti dell’impegno che si ritengono
in grado di liberare Sakineh e far dimettere
Berlusconi col solo atto di cambiare il
proprio status su Facebook.
Un applauso al Propagandista
Se avete perso la vostra occasione, potete
rifarvi quest’anno: anche per il 2011 l’Observer
lancia i suoi Ethical Awards, che
prevedono la partecipazione di celebrità,
sconosciuti, aziende e istituzioni ognuno
in una categoria apposita. I vincitori verranno
scelti sia dai lettori dell’Observer
sia da una prestigiosa giuria in cui il povero
Colin Firth si vede affiancato non solo
da sua moglie ma anche dall’equilibrata
scrittrice Jeannette Winterson, fautrice
dell’omicidio rituale del maschio, nonché
da una ridda di vip mai sentiti prima. C’è
tempo fino a giugno. Potrete concorrere
nella sezione Venditori Online, se siete riusciti
a «rendere gli acquisti via internet una
L’INIZIATIVA
RICCHI E FAMOSI
La star di Hollywood
e il principe Carlo
Nella lista dei venti
“eroi” ambientalisti
premiati dall’Observer
nel 2010 ci sono
celebrità come il
sindaco di New York
Michael Bloomberg,
lo scrittore Jonathan
Franzen, Brad Pitt,
l’anchorman Jay
Leno, il principe Carlo
e il presidente boliviano
Evo Morales
(da sinistra a destra
nella foto a lato).
SIGNORI NESSUNO
Il bimbo col pallino
della riforestazione
Ma non ci sono solo
vip tra i vincitori
degli Ethical Awards.
C’è anche, ad esempio,
un dodicenne
tedesco che ha piantato
un milione di
alberi in tre anni.
SECONDI PREMI
Per consolazione
cereali a colazione
I partecipanti non
scelti da lettori e giurati
possono vincere
premi di consolazione
come una radiosveglia
che simula l’alba
o un pacco di cereali
«amici della natura».
soluzione sostenibile», o a quella di Propagandista
Dell’Anno, se avete contribuito ad
aumentare il grado di «giustizia ambientale»
nel mondo. Se siete eleganti, potrete
concorrere al premio speciale messo in
palio da Vogue per «lo stilista che più si è
impegnato nella produzione di moda sostenibile».
Se non vincete potrete consolarvi
con i premi secondari: un viaggio a Bruxelles
in treno ad alta velocità, una piuttosto
minacciosa escursione «che vi farà scoprire
luoghi in cui la gente si avventura di rado»,
una radiosveglia che simula l’alba direttamente
in camera vostra, un’ampia selezione
di bevande analcoliche organiche e un
pacco di cereali «amici della natura». Resterebbe
da definire cosa siano degli eventuali
cereali nemici della natura, ma se vincete è
meglio: andrete ad accostarvi a un empireo
che fra i precedenti premiati vede Al Gore,
probabilmente nella categoria Politico Fallito
In Cerca Di Rivincite Patetiche.
Tutto ciò serve a dimostrare che l’ecologismo
si basa su termini inventati, incomprensibili
e insensati. Cosa vuol dire “privo
di emissioni”? Cosa vuol dire “organico”?
E la parola-jolly “sostenibile”, declinata
in ogni salsa per ripulire la coscienza
Quest’anno è l’attore Colin Firth (sopra) a
presiedere la giuria degli Ethical Awards,
sorta di Oscar dell’ecologia promossi
dal settimanale britannico The Observer
‘‘ Se siete eleganti,
potrete concorrere al
premio speciale messo
in palio da Vogue per
«lo stilista più impegnato
nella produzione di moda
sostenibile»
’’
degli acquirenti di un qualsiasi prodotto? Il
peggio del peggio è però l’utilizzo del termine
“etico”, come nel nome del premio
dell’Observer, quale sinonimo tout court
di “ambientalista trendy”. È una monopolizzazione
del giudizio che ricorda un po’
il “buono / no buono” sotto il quale Andy
Luotto soleva catalogare ogni centimetro
dell’universo. Veicola l’idea che l’unica
maniera di distinguere il bene dal male sia
calcolare l’anidride carbonica che si emette:
prestissimo sentiremo i pacifisti accanirsi
contro la guerra perché surriscalda troppo
il pianeta; presto sentiremo di giudici
che assolvono il vostro vicino di casa perché
strangolando la mamma malata ha drasticamente
ridotto le polluzioni del condominio.
C’è una sola categoria che andrebbe
aggiunta alla lista propinata dall’Observer,
c’è un solo premio che meriterebbe di venire
consegnato: a chi si impegna a sostituire
al termine neutro e asettico “ambiente”
il termine positivo e impegnativo “creato”.
Fra le due parole c’è la stessa differenza che
passa fra indicare un oggetto definendolo
“coso” e chiamandolo “regalo”; è l’unica
maniera sicura di ricordarsi sempre di trattare
bene ciò che non è nostro.
| | 2 febbraio 2011 | 45
CULTURA AL MART DI ROVERETO
Nostalgia
per le forme
arcaiche
Nelle sue sculture tanto amate quanto
criticate, Modigliani riuscì ad amalgamare
magistralmente elementi provenienti da tutto
il mondo. Dal gotico toscano all’arte egizia
per cercare il canone della perfezione umana
Amedeo Clemente modigliani. Per
alcuni è l’artista legato, suo malgrado,
al ritrovamento delle teste
di pietra scolpite da alcuni ragazzi e
lasciate nel Real Fosso di Livorno, per alimentare
la tradizione popolare secondo
cui fu proprio l’artista a gettarle perché
deluso dai risultati ottenuti durante
il periodo passato in famiglia nell’estate
del 1909. Per altri è l’artista bohémien
per eccellenza, l’italien di Montparnasse,
che mangiava ai bistrot e beveva ai caffè
pagando il conto con i suoi disegni. Quello
che talvolta recitava a memoria interi
canti della Divina Commedia per la clientela
dei locali che frequentava, quello che
si vestiva di indumenti vecchi e lisi e li
indossava come se fosse un principe. Il
principe di Montparnasse, lo chiamavano
così Amedeo Clemente Modigliani.
Le donne poi lo adoravano, la canadese
Simone Thiroux, la poetessa russa Anna
Achmatova, l’inglese Beatrice Hastings. La
sua permanenza a Parigi, pur vissuta in
uno stato di semi miseria, fu caratterizzata
da una trafila di amanti, sino all’incontro
decisivo con Jeanne Hébuterne.
Modigliani (Livorno, 1884 – Parigi,
1920), arrivato nella capitale francese nel
1906, s’era ambientato presto. Conosceva
46 | 2 febbraio 2011 | |
Sopra due sculture di arte dell’Estremo Oriente grés (VII-VIII secolo) esposte a Parigi
al Musée Guimet: a sinistra, Testa di bodhisatva Avalokitesvara; a destra, Visnu.
In grande, Testa di Buddha (XV-XVI secolo), Lanna, © RMN (Parigi, Musée Guimet).
A destra, Amedeo Modigliani Testa, (1912-1913) calcare, Londra, Tate Gallery
tutti, da Pablo Picasso a Georges Braque, da
Gino Severini a Henri Rousseau, da Maurice
Vlaminck a Kees Van Dongen.
Ma i suoi amici erano altri: il pittore
lituano Chaim Soutine, che allora viveva
nella miseria più nera e che per lui era
come un fratello, Maurice Utrillo, perennemente
attaccato alla bottiglia e lo scultore
rumeno Constantin Brâncusi arrivato a
Parigi nel 1904, a piedi da Bucarest.
Modigliani, Utrillo, Soutine, Brâncusi
erano cani sciolti, indipendenti da tutto.
Non facevano parte della “banda Picas-
so” né si sentivano discendenti dei fauves.
Modigliani lavorava solo perché spinto da
un tormento interiore e se era insoddisfatto
del risultato raggiunto distruggeva tutto,
tele o sculture che fossero. Il suo tormento,
sogno e vocazione, non era certo la
pittura, ma la scultura.
Le malattie e la vita bohemien
Se la lesione polmonare che lo affliggeva
sin dall’infanzia gli rendeva ancora più
complicato un lavoro già duro, l’assenzio
e il curaçao, il tabacco e l’hashish, non
LA MOSTRA
Modigliani scultore
Museo di arte moderna e contemporanea
di Trento, Corso Bettini
43, Rovereto. Fino al 27 marzo
2011. Catalogo Silvana, 35 euro.
Info: 800397760
mart.tn.it/modiglianiscultore
faranno altro che aggravare le sue precarie
condizioni di salute. Lo scultore non aveva
soldi per comprare la pietra e allora si procurava
il calcare direttamente dai muratori
italiani che costruivano a Montparnasse.
A volte aspettava la notte e con qualche
amico munito di carriola andava a rubare
il necessario nei cantieri deserti.
Ora parte di queste sculture, realizzate
a Parigi dal 1910 al 1913, sono esposte
nella bellissima mostra del Mart, che oltre
a far conoscere il contemporaneo contesto
parigino per quanto riguarda la scultura
– da Emile-Antoine Bourdelle a Joseph
Antoine Bernard, da Jacques Lipchitz ad
Aristide Maillol, da Alexander Archipenko
a Constantin Brâncusi, l’amico che spesso
Sopra, Maschera
Guro, Costa
d’Avorio, legno
scolpito
e peli di scimmia
Londra, British
Museum
lo assisteva sino a tarda notte nel lavoro –
ha il merito di esporre anche gli archetipi,
i modelli ancestrali della sua visione.
Già, perché quello di Modigliani fu un
lavoro immane, soprattutto dal punto di
vista conoscitivo prima ancora che fisico.
Nessuno come lui era rimasto tanto
sbalordito dalle opere di Pablo Picasso legate
alla genesi del cubismo che, azzerando
secoli di tradizione occidentale sfociati in
un accademismo melenso, si rivolgevano
direttamente agli albori della forma volumetrica
prendendo spunto dall’arte iberica
arcaica e dalle sculture tribali africane.
Modigliani nei suoi primi anni parigini
aveva preso così sul serio la lezione
di Picasso che ne aveva assorbito il meto-
do. «A quel tempo Modigliani si infervorava
per l’Egitto. Mi conduceva al Louvre a
visitare il reparto egiziano, assicurandomi
che “tout le reste” non meritasse attenzione.
Disegnò la mia testa con gli addobbi
delle regine egiziane e pareva del tutto
ammaliato dall’arte nata in Egitto», ricordò
Anna Achmatova. Anche Paul Alexandre,
suo medico e collezionista, ricordava
le visite insieme al Museo Trocadero dove
l’artista prediligeva «l’esposizione Angkor
nell’ala ovest». Cosa cercava Modigliani in
queste sue ricognizioni nei musei parigini?
Analogie formali tra le sculture delle
civiltà del passato, alla ricerca di archetipi
comuni, da Occidente a Oriente, nel
desiderio di trovare una classicità unitaria.
Ambiva al ritrovamento di una figura
umana con canoni rappresentativi comuni,
l’Atlantide della scultura. Questo è il
suo genio. La sua è un’intuizione acutissima,
universale, legata alla ricerca della
figura umana come quella di Adamo ed
Eva prima del peccato originale.
Quell’eleganza orientale
I suoi modelli di riferimento spaziano dalla
scultura egizia a quella indù, dai gotici
toscani Nicola e Giovanni Pisano a quella
dei khmer della Cambogia, sino ad
arrivare alle maschere tribali africane del
Gabon e della Costa d’Avorio. Se i kuros e
le kore dei greci diventarono per lui modelli
di assoluta frontalità, dal sorriso arcaico
appena accennato, le acconciature lineari
e gli occhi a mandorla, le maschere africane
gli insegnarono la sintesi volumetrica.
Modigliani riuscì ad amalgamare
magistralmente tutti questi esempi nelle
sue sculture in pietra. Si va dalla Testa
(1911-12) del Centre Pompidou di Parigi
che oscilla tra modelli greco arcaici e cambogiani,
caratterizzata da una forma allungata,
a quella dell’Institute of Art di Minneapolis
(1911-12) che lascia intuire la presenza
di un dado, come avveniva nei capitelli
greci. Il puro valore decorativo della
linea ha il suo culmine in quella di Philadelphia
(1911-12) – che riprende una serie
di soluzioni, come la bocca a cilindro delle
maschere Nimba, il naso a quart de brie
di quelle Fang, i lobi delle orecchie allungati
dell’arte buddhista – ma soprattutto
in quella della Tate Gallery (1912-13) che
appare frontalmente affusolata e di profilo
simile a un’ascia, con un arabesco continuo
che scende dalla fronte sino al collo.
Alcuni elementi fisiognomici come occhi e
sopracciglia sono direttamente incisi nella
pietra con un’eleganza che ricorda i più
alti risultati dell’arte orientale. Quello che
pervade la sua opera scultorea e negli ultimi
anni anche quella pittorica, che ne è
diretta conseguenza, è dunque una grandissima
nostalgia per la forma arcaica.
Vladek Cwalinski
| | 2 febbraio 2011 | 47
ITALIA
CHE LAVORA
La natura
in vasetto
È il 1986 quando i coniugi Roveda
avviano la Fattoria Scaldasole. L’azienda
che è arrivata sul mercato alimentare con
lo yogurt bianco e ha raggiunto l’olimpo
dei brand con latte, burro e succhi di frutta
Il termine “biologico” fa venire in mente a
qualche consumatore poco informato
qualcosa di insapore e poco attraente,
magari sbiadito e proposto in una confezione
monocolore e poco invitante.
Niente di più sbagliato, e basterebbe
spingere il carrello poco più in là, fino al
banco frigo, per accorgersene. Lì, fra i vari
prodotti caseari, campeggiano le confezioni
bianche e blu degli yogurt della Fattoria
Scaldasole, che dal 1986 sono ligi nel
seguire la natura fin dentro al vasetto. È
proprio da una vera fattoria, rilevata dal
signor Marco Roveda e da sua moglie Simona,
che comincia l’avventura del biologico
in Italia. Concetto nato per dimostrare
che armonizzare il rapporto tra le esigenze
umane e dell’ecosistema sia il modo giusto
per creare alimenti che sappiano nutrire
e allo stesso tempo ridare qualcosa all’ambiente
da cui sono stati creati.
«Quando il marchio Fattorie Scaldasole
è arrivato sul mercato era una totale innovazione,
il mercato italiano era del tutto
impreparato alla novità, davvero non avevamo
concorrenti», spiega un’entusiasta direttore
marketing Janluca De Waijer, olandese
innamorato dell’Italia e trapiantato qui, per
amore, da tanti anni. «Siamo partiti con gli
yogurt, a cui in seguito si sono aggiunti il
48 | 2 febbraio 2011 | |
burro e il latte e in seguito i succhi
di frutta. La nostra azienda
è tuttora organizzata come se
fosse una fattoria di una volta. E
gli stabilimenti non li abbiamo
mai spostati, sono sempre rimasti
nel luogo d’origine, uno in
provincia di Como e l’altro vicino
a Monza».
Dopo essersi fatta largo nel
mercato alimentare, la “figlioletta”
dei coniugi Roveda è riuscita
a entrare nell’olimpo delle
grandi marche. I metodi di produzione
sono, tuttavia, rimasti
invariati e per questo Plasmon
si è affidata ai Roveda per
offrire ai suoi piccoli clienti i prodotti Oasi,
quelli più certificati, quelli in cui tutta la
filiera è controllata fino all’ultima foglia di
mangime versato nelle stalle.
Dopo Plasmon è stata la volta di
Andros. L’ultima grande mamma in ordine
cronologico è Solo Italia, un’azienda a
maggioranza francese, che tra i grandi prodotti
di dessert che offre in tutto il mondo
vanta anche Bonne Maman. La filosofia
seguita è quella di riuscire a offrire un prodotto
realizzato “come si faceva una volta”:
«A cominciare dal vasetto, che è sì di plasti-
ca, ma più sottile. Lo stesso vale per l’involucro
di carta che lo ricopre, e per l’energia
che utilizziamo per produrli, realizzata
attraverso pannelli solari con cui la
nostra azienda riesce a mantenersi. Siamo
orgogliosi, infatti, che il nostro prodotto
più venduto sia proprio uno yogurt totalmente
ecosostenibile, il “demeter” bianco,
il nostro vanto da 500 grammi».
“Demeter” è un tipo di certificazione
che oltre ad avere una modalità biologica
di default, cioè con filiera supercontrollata,
ha anche il lusso di essere fatto con un latte
io-dinamico, cioè munto da vacche allevate
lì dove si produce lo yogurt, nutrite con
fieno del campo accanto per intenderci.
Così si hanno animali meno stressati,
consumatori più fiduciosi e un risparmio
sul carburante per trasportare i materiali
da una parte all’altra della penisola, si è
certi che tutti i passaggi che
portano il prodotto al banco
frigo del supermercato
siano i più chiari possibile.
«Uno yogurt sul cui
vasetto è impresso il nostro
“albero blu” è meno acido degli altri, più
cremoso, più denso. Il tutto chiaramente
senza bisogno di ingredienti aggiuntivi.
Certo, quando si usano preparati a base di
frutta si usano degli addensanti e la lista
degli elementi utilizzati si allunga. Ma
anche questi sono biologici, visto che ven-
«Il vasetto è sì di plastica, ma più sottile.
Lo stesso vale per l’involucro di carta che lo
ricopre, e l’energia che utilizziamo per produrli
è realizzata attraverso pannelli solari»
A sinistra, le fasi
di imbarattolamento degli
yogurt Fattorie Scaldasole.
Sotto, da sinistra verso
destra, la sede principale
dell’azienda immersa
nel verde; il direttore
marketing Janluca
De Waijer; alcune cisterne
in cui il latte viene fatto
fermentare fino a ottenere
il famoso yogurt
gono estratti da semi di carrube o amido
di tapioca. Niente di chimico, tutto è proveniente
dalle terre intorno ai nostri stabilimenti».
Gli italiani, però, sono i consumatori
di yogurt biologici meno affezionati rispetto
alla media europea. Dati di vendite che
risalgono a settembre 2010, dimostrano
che su un totale di 1 miliardo e 440 milioni
di euro spesi in vasetti, solo 27 milioni
sono spesi in prodotti biologici.
La linea per bambini
Ciò dimostra che il cliente italiano sta iniziando,
anche se lentamente rispetto all’Europa,
a utilizzare questo tipo di prodotto,
dimostrando un interesse a prendersi cura
di sé partendo da quello di cui si nutre.
Discorso diverso va fatto per il settore del
biologico per l’infanzia, di cui il marchio
Teddi – la linea per i bambini della Fattoria
Scaldasole – è da sempre
il preferito delle mamme,
dopo la fase dello svezzamento.
«È un settore molto
interessante quello dei
bambini. I prodotti hanno
certamente gusti poco elaborati
e sono anche leggermente
più densi di quelli
per adulti, perché abbiamo
visto che anche i piccoli
hanno le loro preferenze.
Per quanto riguarda
le ricerca di marketing,
la comunicazione, e lo studio
di nuovi prodotti, evitiamo
i canali tradizionali
e ci orientiamo direttamente
sugli asili, lavorando a braccetto con
i pediatri. Anche perché i clienti che acquistano
Teddi cambiano totalmente in media
ogni tre anni. Nuove mamme e nuovi bambini
da saper conquistare».
E il bello di avere una materia prima
semplice come il latte è che offre infinite
possibilità di sperimentazione. «Lo yogurt
di latte di pecora che abbiamo lanciato sul
mercato con un po’ di timore sta andando
benissimo, a dimostrazione che i prodotti
di nicchia sono quelli su cui investire».
Elisabetta Longo
| | 2 febbraio 2011 | 49
per piaCere
nOn SOlO mare IL RILANCIO DELL’AFRICA
Zanzibar per tutti i gusti
una manovra combinata tra l’apertura di nuovi programmi di attrazione delle
imprese straniere e la promozione lanciata dal Governo. Questo il
quadro alla base della sorpresa Zanzibar fino a qualche tempo fa poco
conosciuta dal turismo italiano e che ora sembra destinata ad affermarsi come
una delle mete più richieste per questo inverno. Le agenzie di viaggi italiane
evidenziano come l’arcipelago venga richiesto con maggiore frequenza
grazie all’apertura di nuovi villaggi da parte dei tour operator italiani. La destinazione
si pone in diretta concorrenza con le mete tradizionali dell’Oceano
Indiano, come Maldive, Seychelles e Mauritius e “insidia” gli stessi Caraibi.
Sono due i vantaggi competitivi della destinazione: il prezzo e la relativa vicinanza
con l’Italia. Le strutture, infatti, pur essendo di buon livello presentano
tariffe ancora contenute e appetibili a un ampio target, che comprende single,
coppie e famiglie. La tariffa media per concedersi una settimana di vacanza
a Zanzibar è di 800 euro. La meta è raggiungibile in 8-9 ore di volo. La costa
orientale è una delle più attraenti, la più apprezzata dagli italiani, ma gli operatori
hanno cominciato a investire anche in altre zone dell’isola.
Walter abbondanti
HUMUS IN FABULA
numeri italiani
Bene l’energia,
rifiuti da migliorare
Interpretare i numeri per capire
in che modo sta cambiando la
penisola. È una delle ricerche effettuate
dall’Istat, l’Istituto nazionale
di statistica.
Il primo rapporto prodotto nel
2011 si chiama Noi Italia. 100
statistiche per capire il paese in
cui viviamo e fa registrare ottime
notizie per quanto riguarda
la sensibilità verde delle amministrazioni.
Aumenta, infatti,
50 | 2 febbraio 2011 | |
la spesa regionale per la tutela
ambientale, diminuiscono i consumi
di energia elettrica e allo
stesso tempo si registra l’incremento
dell’utilizzo di energia ottenuta
da fonti rinnovabili. La
percentuale di energia derivante
dai pannelli solari passa dai
20,5 punti del 2009 ai 24,4 del
2010 e nel 2011 sono previsti
ulteriori miglioramenti.
Il rapporto dell’Istat pubblica
anche i dati regionali, ed evidenzia
come la regione più impegnata
su questo fronte sia il
Piemonte con il 28,7 per cento,
seguito dal Friuli-Venezia Giulia
con il 23,4 per cento. Tra le
regioni del centro Italia, le più
“rinnovabili” risultano l’Abruz-
LA RICETTA
per 4 perSOne
Pesto di verza
e prosciutto
croccante
400 g di pasta lunga,
300 g di verza, 30
g di pinoli tostati, 60 g
di parmigiano, 80 g di
olio d’oliva, 50 g di prosciutto
veneto bericoeuganeo
Dop a fette, un
pizzico di sale.
Sbollentare la verza per
dieci minuti in acqua salata,
scolarla e frullarla
assieme ai pinoli, l’olio
d’oliva e al parmigiano.
Aggiungere, all’occorrenza,
qualche cucchiaio di
brodo vegetale o di acqua
di cottura.
A parte, tagliare il prosciutto
a strisce e disporlo
in una padella antiaderente
ben calda,
rigirandolo ogni due minuti
finché non sarà diventato
ben croccante.
Cuocere la pasta al dente,
condirla con il pesto
di verza e terminare con
le strisce di prosciutto
croccante.
Virginia portioli
spilucchino.blogspot.com
zo (36 per cento) e la Toscana
(30,1 per cento), mentre il Lazio
si colloca in fondo alla classifica,
con solo il 5,9 per cento. Valori
migliori e ben più alti si sono
registrati in diverse regioni
del Mezzogiorno. Prime fra tutte
Calabria (44,7 per cento) e
Molise (42 per cento). E, incredibile
ma vero, crescono anche
le aree urbane verdi, a dispetto
di chi dice che il cemento è in
continua avanzata. Dati non così
eccellenti, invece, per quanto
riguarda i rifiuti e il loro smaltimento,
vero e proprio sassolino
nello stivale. Come al solito
da questo punto di vista abbiamo
da imparare dagli altri stati
europei, in cui la raccolta differenziata
dei rifiuti si impara come
l’abc fin dalla prima elementare.
C’è da dire che la raccolta
va meglio rispetto agli anni precedenti,
ma la quota generale
di smaltimento risulta ancora
troppo bassa. La media europea
dell’immondizia cittadina procapite
è di 207 kg di cui il 39,9
per cento finisce interrata, mentre
in Italia la media procapite
sale fino a 286,1 kg.
IN BOCCA ALL’ESPERTO
OSTERIA PUNTO E A CAPO
Nella Brianza lecchese
il coperto non si paga
Dalle ceneri dell’Osteria Santa
Caterina, il vecchio proprietario
tornato all’ovile ha fatto nascere
questo simpatico ristorantino alla
mano. La ricetta di quest’angolo
di Brianza lecchese? Ambiente
naif e piacevole, carta dei
vini semplice e curata, e un menù
con non molti piatti, che cambiano
una volta al mese. Ci si
accomoda ai vecchi tavoli di legno
apparecchiati con semplice
1
IL PRODOTTO
Prosciutto veneto
Berico-Euganeo Dop
Anche il Veneto annovera tra i
suoi Dop un eccellente prosciutto
crudo e non poteva essere altrimenti,
vista la vocazione agricola
del territorio e la secolare
conoscenza delle tecniche di lavorazione
del maiale. Dall’esigenza
di conservare a lungo la carne
macellata nascono la salatura e
l’asciugatura delle cosce: proprio
dal latino perexuctus (asciugato)
deriva l’attuale termine prosciutto.
Stagionato almeno 10 mesi,
presenta carne rosso rosata e
parti grasse colore bianco candido.
L’aroma è delicato e il sapore,
grazie al moderato uso di sale,
dolce e fragrante. Caratteristica
la legatura con corda nella parte
superiore del gambo e la presenza
del Leone di San Marco marchiato
a fuoco sulla cotenna a dimostrazione
della sua autenticità.
Lorenzo Ranieri
IL VINO
Tocai rosso 2005 Doc
Si narra che nel vicentino un falegname
(marangon) al termine
del servizio militare sotto l’impero
austro-ungarico si sia portato
a casa le barbatelle di una
vite coltivata in Ungheria nella
zona del Tokaj. È stato chiamato
dai contadini del luogoTocai
del marangon. Il Tocai rosso Colpizzarda
2005 è prodotto
da Dal Maso, è di colore
rosso granata con profumi
netti di ciliegia marasca
e prugna. In bocca
risulta persistente. Abbinamento
consigliato
con prosciutto Veneto
Berico-Euganeo, primi
piatti locali e con baccalà
alla vicentina.
Carlo Cattaneo
Rubrica in collaborazione con il ministero delle Politiche agricole
IL SIGNIFICATO DI UN COLORE
Perché le bimbe
amano il rosa
di Annalena Valenti
Ci sono i colori e
c’è il rosa. In tutte
le sue gamme,
dal pallido allo
shocking. Definisce il
mondo di alcune bam-
e moderna correttezza, e si dà
il via alle danze, ricordando che
coperto e servizio sono aboliti.
La linea culinaria è di elementare
franchezza, senza fronzoli,
da osteria moderna: si può partire
con un piatto di salumi spagnoli,
oppure col tortino di frolla
e parmigiano ai porcini, o ancora
con la rivisitazione del baccalà
mantecato con polentina. I primi
piatti, battezzati “Pietanze”,
annoverano un eccellente risottino
milanese con salsa carbonara
rivisitata (uovo crudo con
pancetta), ma anche le pappardelle
con sugo di lepre e pecorino,
o gli spaghetti alla chitarra
con seppie e bottarga di tonno.
Tra i secondi, il ghiotto filetto al
STILI DI VITA
MAMMA
OCA
bine: «Dopo aver avuto due maschi pensavo
di sbizzarrirmi un po’ con C. nella
scelta dei colori, ma per lei esiste solo
il rosa», e anche di alcune bambine maschiacce
come M., pantaloni e magliettona
fucsia. La deriva al lilla non viene
considerata da queste principesse. Ben
più del nero per i dark, per cui il colore
puzza un po’ di ideologia, ben oltre
la vie en rose, che evoca solo un modo
di veder le cose. Essere principesse rosa
non è solo preferire un colore, è uno
status, un modo di vivere, direi quasi
che è presente nel dna, rimane per sempre,
fosse solo nei particolari. Che il rosa
non sia semplicemente un colore ma
un’ipotesi di vita in base alla quale definire
il mondo è contenuto nelle parole
di una bimba di quattro anni. Per meglio
capire è utile dire che la frase è stata
pronunciata con una principesca postura,
una sottolineatura della parola
rosa marcata sulla esse, quasi da sembrare
una doppia, e uno svolazzamento
dei capelli al momento opportuno: «Io
sono la Principessa Rosa, ho il vestito
Rosa, ho le scarpe Rosa, ho le calze Rosa,
e guarda ho i capelli Rosa. E tu (alla
sorella con cui ha appena litigato, con
disprezzo affatto celato nel sottolineare
il tu e ciò che segue) tu sei Blu».
mammaoca.wordpress.com
pepe verde vede una sostanziosa
“ripulitura” da tutte le incrostazioni
che gli anni Ottanta avevano
aggiunto (facendolo diventare
banale); altrimenti, brasato di
manzo, oppure ricciola con indivia
brasata. Dolci gustosi come
la crostata alle ciliegie, e la
mousse di mascarpone con scaglie
di cioccolato. Dei vini abbiamo
già detto, restano i prezzi:
circa 40 euro a persona.
Tommaso Farina
Per informazioni
Via Lecco, 34 - 23870
Cernusco Lombardone
in provincia di Lecco.
Tel. 0399902396
Chiuso il lunedì
| | 2 febbraio 2011 | 51
GREEN ESTATE
NUOVE CRITERI DI MISURAZIONE
La felicità dipende dalla Co2?
di Paolo Togni
Nel dna di molti governanti è presente il gene che spinge al potere
assoluto, cioè alla negazione della libertà dei cittadini.
Al giorno d’oggi è difficile pensare a un ritorno alle vessazioni
poliziesche tipo Gpu o Gestapo, o anche a quelle più casarecce
dell’Ovra. Allora i portatori (insani) del gene hanno trovato una
strada attraverso la quale sperano di raggiungere i propri obiettivi:
definire e imporre i comportamenti graditi, rovesciando su chi
non li condivida il disprezzo del politicamente scorretto utilizzando
gli strumenti di condanna sociale, stampa inclusa, per sanzionarli.
Naturalmente non solo i governanti utilizzano questa metodologia,
che è diventata strumento comune di quanti vogliano
affermare le proprie idee: ne sono utilizzatori anche organi “tecnici”
che spingono alla condanna sociale di quanti non si allineano
al conformismo voluto.
due esempi: l’Unione Europea ha attivato a caro prezzo un programma chiamato
Empower col quale dichiara di volere recepire indicazioni in campo ambientale dai cittadini
degli stati membri. Le domande sono tendenziose, poste in modo assolutamente
scorretto, e spingono alla risposta voluta; e poi, sapete quanti europei hanno risposto
al sito Empower, che è aperto da due anni, cioè dal gennaio 2009? Meno di settemila. E
la loro poco libera opinione verrà gabellata per comune sentire dei cinquecento milioni
di europei: non c’è male, una popolazione rappresentata da circa l’uno per centomi-
Alcuni governanti vogliono sostituire
il Pil con l’“indice del benessere”, che
vorrebbe misurare lo stare bene della
popolazione in base alle sensazioni
dei cittadini e a parametri come
le emissioni di anidride carbonica
AMICI MIEI
INCONTRI
La verità è il futuro
del giornalismo
Vuoi diventare un buon giornalista?
Allora non puoi mancare
all’appuntamento organizzato
dalla “sezione” Comunicazioni
sociali dell’arcidiocesi di Milano
in collaborazione con l’Unione
cattolica della stampa italiana
della sede lombarda. “Faremo
(ancora) notizia. La verità, via
per la vita e il futuro del giornalismo”.
Questo il tema del meeting
che vedrà dialogare l’ar-
52 | 2 febbraio 2011 | |
civescovo di Milano cardinale
Dionigi Tettamanzi con alcuni
giornalisti, proprio in occasione
della festa del loro santo patrono
Francesco di Sales. Appuntamento
per sabato 29 gennaio
dalle 9.30 alle 12.30 nella sala
Barozzi dell’Istituto dei ciechi
di Milano (via Vivaio 7). La discussione
avrà inizio da una riflessione-provocazione
di Chiara
Pelizzoni, giornalista dell’agenzia
televisiva H24. Seguiranno
gli interventi di Enrico Mentana
(direttore Tg La7) e Mario
Calabresi (direttore La Stampa)
su come come fare giornalismo
– raccontare la realtà o costruirla?
Come sta la professione?
Quali sono le responsabilità del
PRESA
D’ARIA
la dei suoi membri. Ancora: a oggi
l’andamento degli stati era misurato
dall’andamento del Pil, un dato
che non poteva essere considerato
esaustivo, ma sicuro sì, perché misura
la produzione, oggettivamente
definita dalle risultanze economiche.
Bene, alcuni governanti in calo
di consensi e in fregola di novità, su-
bornati da premi Nobel sfaccendati (un’altra prova del declino qualitativo del riconoscimento)
stanno operando per sostituire il Pil con un altro indicatore, l’“indice del
benessere”, che vorrebbe dare la misura della felicità della popolazione, misurata sulle
sensazioni (soggettive) dei cittadini e su alcuni parametri scelti a capocchia, come le
emissioni di anidride carbonica, il grado di coesione sociale o il numero di iscritti alle associazioni
di volontariato. L’obiettivo evidente dell’iniziativa è la creazione di quel conformismo
che è l’obiettivo delle classi dirigenti deboli e prepotenti. Chi non è d’accordo
con le idee “suggerite” dai manipolatori verrà marginalizzato o costretto a dissimulare
le proprie convinzioni: una bella affermazione di libertà, tolleranza e pluralismo.
tognipaolo@gmail.com
lettore? – e quelli di Marco Tarquinio
(direttore Avvenire) e
Antonio Sciortino (direttore Famiglia
Cristiana) che spiegheranno
perché gli strumenti di
comunicazione ecclesiali non sono
destinati solo ad alcuni fedeli
bensì un contributo alla professione
giornalistica e al processo
di formazione dell’opinione pubblica.
Concluderà i lavori il cardinale
Dionigi Tettamanzi.
L’ingresso sarà libero e aperto
a tutti (per informazioni consultare
il sito chiesadimilano.it/comunicazionisociali).
Al termine dell’incontro, l’Istituto
dei ciechi offrirà a tutti i partecipanti
un curioso “aperitivo
al buio”.
CINEMA
Immaturi,
di Paolo Genovese
Simpaticissimo
e contro corrente
La vita in carcere di un giovane
arabo.
Commedia leggera e controcorrente,
tutt’altro che
stupida. È la risposta positiva
al mondo terribile e
HOME VIDEO
Amore a mille...miglia,
di Nanette Burnstein
La commedia in crisi
Si amano tanto ma sono
troppo lontani.
Pessima commedia sentimentale,
volgarissima e prevedibile
che non sa che pesci
pigliare dopo una decina
di minuti. Vabbé che la commedia
americana è in crisi,
vabbé che quando si parla di
amore non si sa più che cosa
voglia dire, ma sorbirsi per
due ore la Drew Barrymore
che fa battutacce da Pierino,
senza avere la simpatia di Alvarone
e il décolleté di Edwige,
è davvero troppo.
cinico di Notte prima degli
esami e agli eterni bamboccioni
e un filo pedofili di
Scusa ma ti chiamo amore.
Si parte su quel terreno:
un giovanotto (Raoul Bova,
la cosa peggiore del film) è
in ansia perché la compagna
attende un figlio. Luca
Bizzarri non si decide a
fare sul serio con la fidanzata
e ci prova con una ragazzina.
Ricky Memphis, il
A MILANO
Il bar dei manager
L’Expo si avvicina e Milano si prepara
all’evento. Come? Imparando
dalle grandi capitali mondiali.
In quest’ottica martedì 1 febbraio
verrà inaugurato Halldis Gallery,
un business cafè innovativo e
biologico. A pochi metri dalla stazione
Centrale, nodo strategico
dei mezzi di trasporto e crocevia
di manager in cerca di un luogo
in cui fare colazione e pranzare,
dove ci sia attenzione alla qualità
dei cibi e alla sostenibilità ambientale.
E allo stesso tempo che
consenta loro di lavorare collegandosi
a Internet. Per informazioni
halldisgallery.com.
migliore di tutti, simpaticissimo
e stralunato, vive ancora
coi genitori. E ancora:
Barbora Bobulova che deve
crescere la figlia da sola,
Ambra Angiolini ninfomane
triste. Tutto come nei
soliti film? No, perché l’occasione,
anche simbolica,
della maturità da riprendere,
li obbligherà a fare delle
scelte. E le scelte che prenderanno,
così come raccon-
COMUNICANDO
ON AIR SU RADIO2
Gli approfondimenti
di Barbara Palombelli
Dalla radio alla carta stampata,
includendo la televisione, Barbara
Palombelli si è sempre espressa
con poliedrica maestria. Da
qualche anno questa sua destrezza
è abilmente rappresentata
e narrata in soli 28 minuti,
la sua trasmissione su Radio2.
1.680 secondi per affrontare
i grandi temi della politica e
dell’economia italiana e internazionale,
attraverso un linguag-
tano le ultime belle sequenze,
li rilanceranno nella vita.
Altro che la nostalgia sterile
di Fausto Brizzi o il sentimentalismo
di Federico
Moccia, la maturità passa
attraverso degli amici veri.
visti da Simone Fortunato
Sopra, il regista
Paolo Genovese
NEL CUORE DI BRESCIA
La mano di Michelangelo
nell’opera di Matisse
È un
Matisse sedotto dalla forMa quello
protagonista della retrospettiva promossa
dal Museo di Santa Giulia di Brescia.
“Matisse. La seduzione di Michelangelo”,
a partire dal prossimo 11 febbraio, ci presenta
le opere del più grande esponente dei fauve
sotto un inedito punto di vista. La mostra, che accosta sin dal titolo
il nome dell’artista a quello di uno dei più grandi maestri di
tutti i tempi, Michelangelo, indaga il modo in cui il pittore francese
ha assorbito la lezione michelangiolesca per la produzione
delle sue opere sia pittoriche che scultoree.
«Disegno l’aurora e la modello, studio il Lorenzo de’ Medici:
cerco di impadronirmi della concezione chiara e complessa che è
alla base della costruzione di Michelangelo», diceva lo stesso Matisse,
consapevole di come non si possa mai prescindere dalla lezione
dei classici e degli antichi per creare uno stile che solo apparentemente
si discosta in modo totale da quello del passato.
Ma la sua ammirazione per il maestro cinquecentesco è ancora
più palese quando descrive le sue sculture: «Si potrebbe far rotolare
una statua di Michelangelo dall’alto di una collina fino a
far scomparire la maggior parte degli elementi di superficie: la
forma rimarrebbe comunque intatta».
Attraverso centocinquanta capolavori prestati dai più importanti
musei di tutto il mondo,
tra dipinti, disegni, gouaches
découpées e sculture
– tra le quali spicca il Grande
nudo seduto (foto) pre-
stato dal Musée Matisse di
Le Cateau-Cambrésis – prende
forma questo ricco itinerario
che rimarrà aperto ai visitatori fino
a domenica 12 giugno 2011.
Mariapia Bruno
Per informazioni
matissebrescia.it/
Via Musei, 55
Brescia
gio accessibile a tutti, meno specialistico
e più libero rispetto ai
quotidiani. Grande attenzione
è rivolta al mondo dell’editoria:
durante la trasmissione vengono
infatti consigliati da parte di
scrittori e giornalisti come Francesco
Piccolo, Dacia Maraini e
Daria Colombo (per citarne alcuni),
diversi libri in uscita, molti
dei quali vengono presentati dagli
stessi autori. Spazio anche alle
interviste a uomini del mondo
politico, economico, dello spettacolo,
della comunicazione e della
cultura in generale. In studio sono
passate personalità come Silvio
Berlusconi e Fausto Bertinotti,
Vittorio Sgarbi e Pupi Avati,
Bruno Vespa e Roberto D’Ago-
Foto: CLP relazioni pubbliche
ARTE
E DINTORNI
stino. Un momento di incontro e
riflessione, oltre che di informazione,
per gli ascoltatori. La Palombelli
dimostra una spiccata
abilità nel modificare repentinamente
il programma della puntata
per seguire gli accadimenti
fulminei e improvvisi dall’attualità.
Dal lunedì al venerdì, on air
su Radio2 dalle 13 alle 13.28, la
striscia di approfondimento intrattiene
il pubblico stimolando
il ragionamento e il confronto
d’opinione coinvolgendo direttamente
gli ascoltatori. Ogni mercoledì,
inoltre, la puntata include
una rubrica fissa, in diretta da
Montecitorio, con i protagonisti
della politica italiana.
Giovanni Parapini
| | 2 febbraio 2011 | 53
Una volta c’era la SSangYong, azienda
automobilistica coreana. Fuoristrada
imponenti, efficaci seppure
primordiali, capaci di grandi carichi ma
rumorosi e lenti. E soprattutto, piuttosto
brutti. SsangYong ha cambiato strada, meno
fuoristrada, più suv e sostanza. Con una
particolare attenzione all’ambiente e allo
stile. Come? Con la Korando disegnata da
Giorgetto Giugiaro: un tocco di stile da Vecchio
Continente che non guasta e la nuova
Korando dice addio a percorsi off-road
e cerca di aprirsi un varco in quella categoria
di cross-over e suv di stazza medio-piccola
che è una delle poche a non aver subito
la crisi dell’auto.
Korando è un mix di linee arrotondate
e dinamiche, come vuole la moda del segmento,
che le danno le giuste proporzioni,
senza estremismi e forzature. Equilibrato il
frontale e fluido il profilo segnato dall’ultimo
spesso montante.
La maniera europea continua anche
all’interno. L’abitacolo molto spazioso, gra-
zie anche a un passo di 2,65 metri, tra i
maggiori del segmento, è ben fatto, con la
plancia semplice e lineare che non rinuncia
a particolari alla moda. Sulla Korando l’inedito
motore made in SsangYong: 2 litri turbodiesel
common-rail da 175 cavalli e 360
Nm di coppia. Durante la prova ha dimostrato
una buona fluidità e una brillantezza
degna della migliore concorrenza. I consumi
dichiarati sono di 16.6 km/l. Più avan-
DI NESTORE MOROSINI
SSANGYON CAMBIA STILE E SI AFFIDA A GIUGIARO
Korando, il brutto anatroccolo
è diventato cigno
MOBILITÀ 2000
Le immagini
della Korando
mostrano la sapiente
immaginazione
di Giugiaro nel disegno
delle linee, “procaci”
nella parte posteriore.
Plancia semplice
e pulita con volante
a tre razze.
Il cambio automatico
arriverà a breve
ti arriveranno anche un più piccolo 1.7 da
145 cavalli, sempre a gasolio, e il benzina
1.8 da 125 cavalli. Il cambio è manuale, a
sei marce e a breve sarà disponibile l’automatico.
Alla guida, la Korando ha una reattività
che non ti aspetti, come non ti aspetti
il buon set-up delle sospensioni. L’unico
neo, è la leggera rumorosità in fase di avvio.
Korando è disponibile a due o quattro ruote
motrici. Prezzi a partire da 21.990 euro.
| | 2 febbraio 2011 | 55
molto più di un settimanale
È online il nuovo tempi.it
Il giornale si sfoglia col mouse
di leone Grotti
Grafica più accattivante, riorganizzazione dei contenuti e possibilità di sfogliare comodamente
Tempi in formato digitale. Sul nuovo sito tempi.it l’archivio 2010-2011 è consultabile gratuitamente,
ad eccezione delle quattro uscite più recenti del giornale, che sono riservate agli
abbonati. Per chi non è ancora abbonato diventarlo è più facile e comodo su tempi.it. Una volta entrati
nella sezione “servizio abbonamenti” è sufficiente scegliere la formula più adatta alle proprie
esigenze e poi proseguire immettendo i propri dati. Chi invece è già abbonato alla versione cartacea
del settimanale non deve fare altro che effettuare il login dalla homepage e inserire il codice
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possono farlo cliccando nell’apposita sezione del sito.
Ma attenzione, perché tempi.it si arricchisce anche di contenuti esclusivi rispetto al settimanale,
per approfondire in tempo reale i fatti più importanti di ogni giorno secondo lo stile e la vocazione
della rivista. Non perdetevi le fotogallery, le interviste audio e video, gli approfondimenti
delle rubriche più seguite e una rilettura attenta e originale delle cronache più curiose e importanti.
Tutti da scoprire anche i blog dedicati a famiglia, cucina, arte, esteri e vita della Chiesa. Si
comincia al mattino con la rassegna stampa, in cui i giornalisti delle migliori testate italiane commentano
le notizie uscite sui quotidiani. Una rilevanza particolare è riservata a uno degli spazi più
amati dai lettori di Tempi: il Taz&Bao. D’ora in poi sarà possibile scaricarlo in pdf e collezionar-
lo comodamente. Sempre sul sito si troveranno
tutti gli speciali tematici di Più Mese e poi i libri,
i cd e le iniziative editoriali.
vEnITECI a CErCarE
tempi e l’osservatore/1
Dove trovare
la strana coppia
Tempi ha iniziato il 2011 con un
regalo particolare ai suoi lettori.
Dal primo numero di gennaio, infatti,
il nostro giornale ospita al
suo interno la versione settimanale
dell’Osservatore Romano,
che raccoglie tutti i discorsi pro-
il meGlio della settimana
Il direttore Luigi Amicone commenta il discorso del cardinale
Bagnasco al consiglio della Cei: «Chi voleva una condanna di
Berlusconi sarà deluso. Il capo della Conferenza episcopale invita
a un riequilibrio dei poteri perché la politica trovi risposte ai
problemi veri del paese. Ciò implica anche che i governanti assumano
un contegno adeguato al loro ruolo». Su tempi.it anche
una nuova rubrica: Visto dagli angeli, curata da Mario Furlan,
fondatore dei City Angels, associazione di aiuto ai senzatetto.
nunciati dal santo Padre Benedetto
XVI. L’abbinata non ha alcun
costo per i lettori: né per gli
abbonati né per chi compra il nostro
settimanale in edicola. Tempi
esce in tutta Italia il venerdì,
con alcune eccezioni: il giovedì lo
trovate a Milano città e Roma
città; il sabato in Puglia, Sicilia
e Sardegna. Il prezzo di copertina
è di 2 euro; tranne a Napoli
città, nelle Marche, in Puglia, in
Sicilia e Sardegna, dove è in vigore
l’abbinata obbligatoria gratuita
con il Giornale.
tempi e l’osservatore/2
Chi si abbona legge
più comodamente
Abbonarsi a Tempi e al settimanale
dell’Osservatore Romano è
conveniente: 60 euro per un anno
(49 numeri) e 100 euro per
due anni (98 numeri). Per informazioni
e modalità di pagamento
chiamare allo 02.31923730
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mercoledì) dalle 9 alle 13; oppure
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sU ITaCaLIbrI.IT
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L’In-Presa
di Emilia
Emanuele Boffi racconta
il centro In-Presa fondato
da Emilia Vergani a Carate
Brianza. Qui attraverso
il lavoro si indica ai giovani
una strada per scoprire
che la vita ha senso (Lindau,
160 pagine, 16 euro).
il libro e il cd
Tutto il ritmo
made in Usa
La musica americana
cantata dagli OutofSize e
spiegata da Walter Gatti,
Walter Muto e Riro Maniscalco
(libro Tap your
feet e cd, 15 euro).
il dvd
La missione
di padre Trento
Il documentario realizzato
dalla più importante
tv del Paraguay racconta
l’opera di padre Aldo
Trento. Tutti i libri, i cd e i
dvd di Tempi sono acquistabili
sul sito itacalibri.it.
| | 2 febbraio 2011 | 57
LA ROSA DEI TEMPI
58 | 2 febbraio 2011 | |
DOVE TIRA IL VENTO
Elton è sorprendentemente rilassato
Il cantante Elton John ha dichiarato che la paternità è «sorprendentemente
rilassante». L’artista, sposato col compagno
David Furnish, grazie a una madre surrogata ha fatto nascere
il 25 dicembre Zachary Jackson Levon Furnish-John. Quando
il piccolo è venuto alla luce, la coppia ha fatto sapere al mondo
di essere «sopraffatta dalla felicità e dalla gioia in questo mo-
mento davvero speciale!
Zachary sta bene e tutto
va per il meglio, siamo
due genitori orgogliosi e
felici». Recentemente la
strana famiglia si è fatta
immortalare sul magazine
Ok. Pare che il bimbo
viva in un appartamento
accanto a quello dei due
padri e che sia accudito
da una tata.
Il fumo uccide gli uomini più delle donne
Secondo uno studio condotto in Gran Bretagna su un campione ad ampio spettro
riguardante trenta paesi europei e pubblicato dalla rivista specializzata Tobacco
Control, a quanto pare, il fumo uccide due volte più dell’alcol. E a morire
a causa di questo brutto vizio sono spesso gli uomini: tra i due sessi, secondo
i ricercatori della Social and Public Health Science Unit di Glasgow, ci sarebbero
divari nei decessi dovuti a malanni collegabili al tabagismo che arrivano fi-
no al 60 per cento
(a tutto svantaggio
dei maschietti, ovviamente).
RESISTERE Non credete alle fandonie spacciate
per verità scientifiche dalla lobby della
vita sana. Noi duri e puri di Tempi resistiamo
e fumiamo tutti come dei drogati. In fondo è
sempre meglio morire per una pausa sigaretta
che ammazzarsi di lavoro. Fumiamo così tanto
che non riusciamo a vedere gli schermi dei
computer. La mattina raggiungiamo le scrivanie
a tentoni, cercando di tossire per diradare
la nebbia. Non sappiamo più neanche in quanti
siamo sopravvissuti. A parte il correttore
di bozze, che però beve un po’ e s’è beccato la
cirrosi, pare che siano rimaste solo le donne.
SCIENZE
Dopo il Big Mac, ecco il Bug Mac
Un’équipe di scienziati dell’Università di Wageningen ha
offerto a 200 volontari un bel banchetto a base di insetti.
I ricercatori olandesi, infatti, sono convinti che un domani
saremo costretti a nutrirci di queste piccole creature, che
sono assai nutrienti e pure eco-friendly, perché mangiano
poca erba e non fanno tutta la cacca che producono, per
esempio, i bovini. «Verrà un giorno in cui il Big Mac co-
sterà 120 euro e un Bug
Mac 12 euro» (“bug” significa
insetto). D’altronde,
notano gli scienziati,
ogni anno ognuno di noi
già consuma mediamente
500 grammi di frammenti
di formiche, ragnetti,
vermi, cimici, eccetera.
«Quindi perché non mangiare
gli insetti?».
SE Anche un letto di spine, se hai un pigiama
di ghisa, è sorprendentemente rilassante. Anche
una spina nel piede, se il piede non è il tuo,
è sorprendentemente rilassante. Anche
Sgarbi, se non lo incontri, è sorprendentemente
rilassante. Anche cambiare
un pannolino, se non lo cambi tu,
è sorprendentemente rilassante.
Ma soprattutto, dichiarare
in libertà, se il cervello
non è attaccato alla lingua,
è sorprendentemente
rilassante.
SINTESI Giusto, se ci pappiamo ogni anno
mezzo chilo di bacherozzi a testa, perché non nutrirci
di insetti? Anche per farla breve. La marmellata
per esempio, ma vale anche per il miele,
altro non è che un potpourrì di ali e zampette,
perciò non fate gli schifiltosi e badate al sodo: ingozzatevi
di api e farfalle. E visto che gli insetti
si nutrono di foglie e roba del genere, perché non
passare alle piante? Ma a dirla tutta, i vegetali si
nutrono di terra e concime… Insomma, verrà un
giorno in cui il Big Mac costerà 120 euro e il Bug
Mac 12. Ma il Big Merd sarà comunque gratis.
PATERNITÀ
GASTRONOMIA
imperdibile
inutile
Una settimana di ferie
nell’hotel spazzatura
L’artista tedesco Ha Schult ha realizzato
un hotel con dodici tonnellate
di rifiuti raccolti in ventiquattro
spiagge europee, cinquanta tramezzi,
ottanta pannelli, otto autocarri,
tre gru, duemila viti, tre bagni (ovviamente
chimici), oltre un milione
di pezzi di rifiuti, novecentosessanta
birre Corona. L’artista ha costruito
il suo hotel (itinerante) per lanciare
un messaggio ecologista.
«L’albergo riflette quello
che potrebbe capitare
presto se non cominciamo
a prenderci
cura del
pianeta».
TURISMO
ANIMALI
godibile
fetido
FEELING
LISTA Cose da mettere in
valigia se si vuole prenotare
una settimana di relax
nell’hotel spazzatura: maschera
antigas, inceneritore
portatile, Pino Silvestre confezione
famiglia allargata,
muta da palombaro, guanti
di ghisa, trappola per topi,
carabina (per le pantegane),
vanga (per seppellire le pantegane),
set pronto soccorso
provvisto di siero antiscabbia
e antimalarica, paletta e sacchetto
per deiezioni canine
(le vostre), Bertolaso. State
sereni. Sarà l’unica volta che
potete tranquillamente scordarvi
lo spazzolino da denti.
Il giovedì gli innamorati si odiano
Secondo una ricerca, raccontata dal Daily Mail, le coppie britanniche litigano
312 volte all’anno. Il giorno peggiore per lui e lei è il giovedì, è allora che si
concentrano le maggiori baruffe domestiche. A quanto pare il luogo in cui più
ci si accapiglia è la stanza da bagno, seguita dalla cucina. Tra i motivi che indispongono
lei ci sono la tavoletta Wc lasciata alzata, le luci di casa dimenti-
cate accese, lo zapping tv. Tra
quelli elencati da lui: il tempo
impiegato per vestirsi, il lavandino
intasato di capelli, l’accumulo
di cianfrusaglie.
I giapponesi vogliono
clonare il mammuth
Ricercatori dell’Università di Kyoto
stanno tentando di far rivivere
un mammuth tramite la clonazione
del Dna. Usando campioni di tessuto
della carcassa di uno di essi, conservata
in un centro siberiano, gli
scienziati li inseriranno in cellule uovo
di elefante cercando di creare un
embrione di questo antico animale
estinto. Poi lo impianteranno
in una madre
surrogata (un’elefantessa)
per portare
a termine la gestazione.
Se tutto va, entro
i prossimi cinque anni,
avremo un mammuth
tra noi.
LOVE Amore, non credere agli inglesi. Lo
sai che ti amo quando, appena varcato
l’uscio dopo una giornata massacrante,
mi vedi e mi accogli con un: «Ah, sei tu?».
Amore, è bello accomodarsi in cucina per
mangiare in piedi il petto di pollo riscaldato
al microonde innaffiato con sprite
che hai preparato con tanta cura. Amore,
io non me la prendo se è dalla fine degli
anni Sessanta che la sera hai mal di
testa e mi accogli a letto con un tenero
«ma l’hai portato fuori il cane a pisciare?».
Amore, tu non credere agli inglesi.
Però, ricordati: domani è giovedì.
ALTRI Non solo i mammuth, cloniamone altri. Non sarebbe
bello trastullarsi con l’albertosaurus, un lucertolone lungo
8 metri? O accarezzare la coda al tirannosauro mentre
fa le fusa? E perché non farci portare le ciabatte dal brontosauro,
un gigante di 25 metri? O cambiare l’acqua alla
gabbietta del quetzalcoatlus, uccellino con 12 metri di
apertura alare? Che gioia vedere razzolare nell’aia lo stegosauro,
un batuffolo di mostro con un fiato da incubo.
Solo che ora, con tutti questi dinosauri per casa, dobbiamo
abbandonare in autostrada quello vecchio. La suocera.
| | 2 febbraio 2011 | 59
UN ALTRO MONDO
è POSSIBILE
DOPO L’ALLUVIONE
L’Immacolata
è stata più forte
dello tsunami
di Aldo Trento
In questi giorni sono stato in Brasile, in
compagnia dei miei amici, i coniugi Zerbini,
Julián, Bracco e Alexandre, per aiutarci
a capire cosa rappresenta per la nostra vita
la tragedia che ha colpito milioni di persone,
il diluvio che ha causato la morte di 750 persone
lasciandone altre migliaia senza un tetto.
Nello spazio di questa amicizia ogni cosa viene
abbracciata: sia l’allegria che la sofferenza
dell’altro. Per noi è stato un dolore nel dolore,
perché un mese fa in una di quelle case, affittata
da alcuni amici, abbiamo trascorso alcuni giorni
di riposo. Ora dobbiamo fare i conti col fatto
che quel luogo è stato seppellito dal fango, che
l’ha stritolato trasformandolo in una tomba per
le quattordici persone che stavano passando lì
le loro vacanze. Anche per questo mi sono commosso
ascoltando le testimonianze di Marco
Montrasi e di monsignore Filippo Santoro, del
vescovo di Petropólis, vescovo di una diocesi duramente
colpita da un’alluvione che non ha avuto
compassione di niente. Le condivido con voi.
padretrento@rieder.net.py
La realtà di questo disastro è molto più
dura di come appare nelle immagini della
televisione e dei giornali. È tutto distrutto,
come se a colpire la Valle de Cuiabà fosse stato
un terremoto. Più di 750 persone hanno perso
la vita e moltissimi sono dispersi. Le analisi
più immediate accusano l’occupazione irresponsabile
degli argini dei fiumi e la mancanza di pianificazione
urbana per gli alloggi dei poveri, che
vivono in luoghi a rischio. Siamo davanti al peggior
disastro della storia del Brasile.
Ma queste osservazioni non ci consolano e non
ci soddisfano. È facile identificare i colpevoli
e mettersi la coscienza a posto, tornando alla
routine di tutti i giorni e scartando la possibilità
di un cambiamento reale. Il dramma è
profondo, ci mette davanti al mistero della nostra
esistenza e della nostra fragilità, dei nostri
limiti e del nostro male. Il dramma ci scuote,
suscita solidarietà, solleva le domande più
radicali che la nostra società censura. Durante
il disastro, tutte le chiese e le cappelle della regione
sono rimaste in piedi, anche se invase dal
fango. Si tratta di un segno della croce di Cristo
che vive in mezzo al dramma degli uomini,
partecipe della loro sofferenza. Gesù è entrato
nell’abisso della morte facendosi compagno di
60 | 2 febbraio 2011 | |
POST
APOCALYPTO
Qui a fianco,
Nossa Senhora
das Graças,
la statua
della Madonna
sommersa
dall’acqua fino
alle mani,
ma rimasta
in piedi.
Nell’altra pagina,
una chiesa
distrutta
dall’alluvione
che ha colpito
il Brasile nel
gennaio 2011
tutti coloro che hanno perso la vita, aprendo le
porte della speranza. Nel mondo, solo Gesù Cristo,
crocefisso e resuscitato, ha attraversato la
morte e la vita per portarci la speranza. «Io sono
infatti persuaso che né morte né vita, né angeli
né principati, né presente né avvenire, né
potenze, né altezza né profondità, né alcun’altra
creatura potrà mai separarci dall’amore di
Dio, in Cristo Gesù, nostro Signore» (san Paolo
ai Romani 8,38).
Nella notte, nel fango e sotto la pioggia Lui non
ci abbandona. Nella ferita dolorosa di questi
giorni Lui rimane presente, come balsamo di un
amore infinito, che sostiene. Pensiamo allo slancio
grandioso di solidarietà che si è reso così evidente
in questi giorni. Ho visitato i sopravvissuti
di questa regione ed è chiaro che è la loro fede
a sostenere il dolore. Una chiesa è stata invasa
dall’acqua: era arrivata fino al tabernacolo. Un
giovane chierichetto, nuotando, ha recuperato
il Santissimo, e tenendolo stretto in una mano,
mentre con l’altra nuotava, lo ha portato in salvo.
Assieme alla grazia di Dio, infatti, è necessaria
la nostra iniziativa per riconoscere il Signore
e aiutare tutti, dando un significato nuovo alle
nostre vite normali. Il compito della ricostruzione
è chiesto a tutti, e in collaborazione con lo
Stato e le autorità pubbliche dobbiamo prevenire
altri disastri e provvedere a una pianificazione
urbana che sia responsabile. Ma la ferita delle
nostre perdite, chi la curerà? Quella ferita è
abbracciata dall’amore di Cristo, che vive nel
tabernacolo come nel suo corpo, che è la Chiesa,
e ci insegna a lasciarci provocare dalle cose
per annunciare la sua presenza. Sarebbe triste
lasciarsi fermare dalla valanga dell’abitudine e
voltare pagina, magari aspettando il prossimo
carnevale. La prova di questi giorni ci insegna
a ricostruire le città devastate e a tornare con
un senso nuovo alla vita quotidiana.
Monsignor Filippo Santoro
vescovo di Petrópolis
Foto: AP/LaPresse
Foto: AP/LaPresse
«Durante il disastro,
tutte le chiese
e le cappelle della
regione sono rimaste
in piedi, anche se invase
dal fango. Si tratta
di un segno della Croce
di Cristo che vive
in mezzo al dramma
degli uomini, partecipe
della loro sofferenza.
Gesù si è fatto
compagno di tutti»
Cari amici, sabato sono andato con Paola
di Avsi e altri amici in una zona del Brasile
colpita dalle inondazioni. In particolare
volevamo visitare il centro educativo dove
lavorano la Ines (dei Memores Domini) e altri
nostri amici. Non ho mai visto una cosa cosí impressionante!
A un certo punto, mentre ci inoltravamo
in questa valle (si chiama Vale do Cuiabá)
sono iniziati ad apparire segnali di una
devastazione inimmaginabile. Dappertutto si
vedono i segni dell’acqua e del fango, e fa impressione
vedere sui muri delle case il livello che
hanno raggiunto. Questa non è la regione piú
colpita, ma anche qui sono morte un’ottantina
di persone e tantissime sono disperse.
mentre camminavamo abbiamo incontrato varie
persone: mamme con bambini che frequentano
il centro educativo di cui Ines è coordinatrice,
un pompiere alla ricerca di superstiti, un
signore che frequenta uno dei corsi del centro
educativo. Quasi tutti avevano un parente, un
amico, un conoscente rimasto travolto dal fango
in quella terribile notte.
Per arrivare al centro educativo abbiamo dovuto
passare vari posti di blocco della polizia. Non
lasciavano passare più nessuno, solo pompieri
e agenti, perché troppa gente stava
arrivando per visitare parenti e
amici, prendere le proprie cose rimaste
nelle case abbandonate, ma
soprattutto molta gente arrivava
desiderosa di aiutare. Per arrivare
al centro abbiamo dovuto chiedere
un passaggio a degli addetti della
prefettura che con un fuoristrada
stavano andando a spalare il fango
in un luogo abbastanza vicino. Arrivati
in zona siamo scesi e a piedi
ci siamo diretti verso il centro. Abbiamo
camminato almeno un’ora.
Io avevo visitato quei posti alcuni
mesi prima. Era una località bellissima
dove molti abitanti di Rio
hanno costruito la casa di villeggiatura,
il “sitio” come lo chiamano
qui. In una di queste case con
Marcos, Cleuza, padre Aldo, Julian
e Carras avevamo passato tre giorni insieme
e in quella stessa casa sono morte quattordici
persone, tutte sorprese nel sonno dallo tsunami
del fiume. La casa é stata invasa fino al tetto
dall’acqua e dal fango.
«Per me è un miracolo»
Quando siamo arriviati al centro educativo siamo
stati accolti da Maria Cecilia (che dà il nome
allo stesso centro, è la persona che l’ha ideato
e realizzato). Aveva le lacrime agli occhi,
aveva dato la sua vita per costruire questo posto
e aiutare la gente povera della zona.
La passione e i sacrifici di una vita portati via
in una notte. Ma dopo poco Maria Cecilia ha
cominciato a fare nuovi progetti per ripartire,
litigava con Ines perché la vorrebbe sempre lì
al centro, mentre Ines deve tornare a casa perché
anche lì c’è bisogno di aiuto.
Dopo la discussione ci hanno portato nel luogo
che piú mi ha commosso in questa incredibi-
le giornata. Una statua della Madonna, collocata
su un piedistallo di legno, piccola, di neanche
un metro, leggera che è rimasta in piedi al suo
posto, e mostra il segno dell’acqua e del fango
che ha raggiunto anche Lei, fino alle mani. Rimaniamo
tutti in silenzio ognuno con le lacrime
agli occhi, Maria Cecilia dice che era impossibile
che non si fosse mossa, «questo è un miracolo!
I tecnici della protezione civile dicono che ci
sono spiegazioni che giustificano questo fatto,
ma secondo me è impossibile, questo è un miracolo!».
Poi ci siamo messi al lavoro nella chiesetta
iniziando a spalare fango e acqua. Quasi
due ore per cercare di rimetterla a nuovo. Poi
abbiamo salutato e siamo tornati da Ines. Nel
posto d’accoglienza c’era molta gente che si
stava vaccinando mentre altri iniziavano a preparare
da mangiare. Era un via vai di macchine
dei pompieri o dei soccorsi che portano generi
alimentari, vestiti e medicine. Il clima era lieto,
tutti erano indaffarati, molti si trattenevano
a giocare coi bambini, altri preparavano lo spazio
per la Messa che a breve sarebbe stata celebrata
da don Filippo.
Si può vivere veramente così
«Non è mai contraddittorio, ma è paradossale
ciò che diciamo. La spiegazione della realtà non
è contraddittoria ma è paradossale. Contraddittoria
è una cosa contro l’altra, paradossale è
una cosa accanto all’altra: non si sa come facciano
a stare insieme, ma di fatto sono una cosa.
E ciò che vince è il fatto» (pag. 410 Si può
(veramente?!) vivere così?).
Io continuavo ad avere in mente questa cosa
che don Giussani disse quando ero al primo
anno del Gruppo adulto. Già ai tempi di Gesú,
quando Lui camminava per le strade era così.
Maria che scappa con lui quando Erode ammazza
i Santi Innocenti, Lui che anni più tardi
non si salva, ma viene ammazzato come un bestemmiatore.
Sono tanti i paradossi che abbiamo vissuto fino
a oggi. Sembra una vendetta della natura,
un castigo di Dio (lungo la strada gruppi
di evangelici distribuivano alle macchine in fila
alcuni libretti dove era annunciato che Gesú
stava per arrivare), o la manifestazione della
mancanza di una misericordia. Ma la storia
ci mostra una Presenza innamorata dell’uomo
che partecipa del dolore, che sta con me, che
piange per me. Non si riesce a spiegare come
certe cose stiano insieme, ma stanno insieme e
quello che vince è il fatto! E in molte di queste
persone, soprattutto nelle più semplici, questo
fatto si vede grazie alla loro fede.
Una signora, a una domanda di un giornalista
che le chiedeva cosa avrebbe fatto dopo il disastro
dell’alluvione ha risposto: «Con fede, ricomincerò
tutto da capo!». Nossa Senhora das
Graças, l’Immacolata che è rimasta in piedi e
non è stata portata via, sporca di fango fino alle
mani diventa la possibilità di speranza per quella
gente e per me. Un abbraccio da tutti noi.
Marco “Bracco” Montrasi
| | 2 febbraio 2011 | 61
LETTERE
AL DIRETTORE
Gianfranco Fini avrà
qualche problema nella
sua svolta a sinistra
Venerdì 21 gennaio mi sono imbattuto in Tg3 Linea
Notte. Lei era ospite di Bianca Berlinguer insieme a
Paolo Liguori, scatenato garantista, o meglio antigiustizialista,
a Marco Politi e a Concita De Gregorio. Il tema,
ovviamente, era il cosiddetto caso Ruby. Ebbene, l’ho sentita
prendersela con Aldo Cazzullo perché, a suo dire, avrebbe
elevato dalle colonne del Corriere della Sera un appello
affinché il Papa condanni pubblicamente il Cavaliere senza
morale, proprio quando, sempre a suo dire, lo stesso Cazzul-
SPORT
UBER
ALLES
62 | 2 febbraio 2011 | |
lo avrebbe «fatto una copertina di Sette
a favore del triangolo di Melissa P.».
Ora, lei ha ragione da vendere quando
chiede come mai per il Corriere “Il
triangolo sì” e il bunga bunga invece no.
Però, per amor di verità, le devo ricordare
che il famoso servizio di copertina
di Sette che sponsorizza le geometrie
sessuali di Melissa P. non è di Cazzullo
bensì della stessa scrittrice. Il che, secondo
me, è pure peggio. Cordiali saluti.
Paco Minelli Ferrara
Infatti mi scuso con Aldo Cazzullo
per averlo messo in mezzo. Però, poi
ho anche letto la sua tirata di giacchetta
alla Chiesa. Troppo poco per
la sua intelligente e affilata penna.
2
Lo sapevamo già, abbiamo un premier
dalla dubbia moralità. Fu lui stesso, infatti,
a parlare tempo addietro di “anarchia
dei valori”. Purtroppo, però, abbiamo
anche una parte della magistratura
ridotta ai minimi termini, che non esita
ad abbandonare la terzietà, schierandosi
in modo manifesto. Solo un esempio:
il procuratore Armando Spataro
Sul Bunga Bunga, molte sono le cose da dire, molte
le domande da fare. Una su tutte: ma mi spiegate,
signori pm, che cosa troverete dopo che le vostre
400 pagine di sputtanamento verranno esaminate
dalla Giunta per le autorizzazioni a procedere della
Camera e vi avranno dato (se mai ve lo daranno) il permesso
di accedere all’ufficio che volete perquisire? Se-
arriva a vergare una improbabile difesa
dell’iniziativa – dall’indubbia finalità
politica – della sua procura, sul noto foglio
moderato Il Fatto quotidiano, e il
suo pezzo finisce – ironia della sorte –
accanto a quello dal titolo “Erezioni anticipate”.
Come siamo ridotti male!
Enrico Pagano via internet
Ecco, ci siamo capiti. E i lettori potranno
capire che c’è libertà e libertà
di stampa tra chi può e chi invece
si becca querele se dice che ci sono
magistrati a Milano con un tantino,
poco poco, minuscolo, non si vede
neanche ma forse magari c’è, però è
inconsapevole, pregiudizio anti-Cav.
2
Col caso Ruby siamo arrivati al golpe
più esplicito della magistratura eversiva
comunista. A rigor di logica, visto che
giustizia non si può più avere, non ci sarebbe
che da far intervenire l’esercito.
Pier Luigi Tossani Firenze
Qui siamo alla linea Sansonetti. La
approvo ma non la condivido.
2
Diatribe sulla magistratura, libertà e privacy
a parte (iperlegittime, ci mancherebbe)
c’è un elemento di puttanopoli
sinora ingiustamente trascurato, e a
mio parere decisivo: il fatto che tutti noi
a puttane ci dobbiamo andare – saltare
in macchina e tutto il resto – mentre
nel caso di B. sono loro ad andare da
lui. Può sembrare una pinzillacchera, ma
l’assenza di comfort nelle prestazioni
sessuali a pagamento alla lunga sfibra
anche i berluscones più integri e convinti.
Una bella legge per la gnocca a domicilio,
magari deducibile dalle tasse, e
tutto torna come prima di Tangentopoli.
Mattia Spanò via internet
DA “CALCIOPOLI” AL “RUBYGATE”
Cosa (non) ha insegnato Moggi
ai politici tallonati dai giustizieri
Cinico e immorale. Però so che lei si
diverte a satireggiare. Che è un modo
di urgere l’errore fino alle sue ultime
conseguenze per far capire che ad
andare come dice lei si fa peccato.
2
Poche settimane fa su Tv sorrisi e canzoni
Alfonso Signorini ha criticato in
maniera garbata ma ferma la scelta di
Elton John di avere un figlio (da madre
surrogata) insieme al suo compagno.
Signorini si è detto d’accordo con
Benedetto XVI «quando afferma che i
bambini devono crescere in una famiglia
dove ci sono un papà e una mamma».
Poco dopo aver scritto queste righe
(a mio avviso di assoluto buon
senso), Signorini ha aperto le porte del
suo programma Kalispera alle confessioni
dell’ineffabile Ruby Rubacuori, la
ragazza al centro dell’ultimo scandalo
sessuale del premier. Questo Signorini è
il diavolo o l’acqua santa?
Mariapia Candiani Viggiù (Va)
Signorini è un magnifico professionista.
Nel suo format Ruby ci stava.
Mentre non ci stava papi giocattolo
Elton John.
2
Il paese è attraversato dalla profonda
incoerenza dei “laicisti a orologeria”,
che mentre accusano di ingerenza il Papa
e i vescovi quando fanno sentire la
loro voce sui “princìpi non negoziabili”,
parimenti si sono permessi di prenderli
per la tonaca, pretendendo anatemi
contro Berlusconi per le sue presunte licenze
nella vita privata. Premesso che
giova ribadire l’autonomo diritto della
Chiesa a esternare i propri punti di vista
anche su questioni che attengono
all’ordine temporale indipendentemente
da situazioni contingenti (perché do-
di Fred Perri
condo me ci troverete uno stabilimento termale con
acque sulfuree. Vabbè, vengo all’aspetto che mi interessa.
Non so se ci avete mai fatto caso, ma nel caso
Moggi-Juve-Arbitri le intercettazioni diffuse a pioggia
nel maggio 2006 si fermano al maggio del 2005. Mi ero
sempre chiesto come mai nulla fosse stato ascoltato
dal 2005 al 2006. Perché il leggendario Lucianone ave-
Foto: AP/LaPresse
Foto: AP/LaPresse
vrebbe essere loquace per esprimere
critiche aperte al premier e silenziosa
dinanzi a posizioni filo-eutanasiche o alla
legittimazione impropria di cloni della
famiglia?), non si capisce poi la ragione
per cui gli stessi che vorrebbero un
intervento “ad adiuvandum” della Chiesa,
in favore dei tentativi di demolire
Berlusconi a colpi di spallate giudiziarie,
tacciono dinanzi a una performance
veramente oscena come quella di Vauro,
che ha superato ogni limite di tollerabilità,
propinandoci ad Annozero una
sedicente vignetta che vilipende in modo
ignominioso il Papa. Sarebbe dunque
auspicabile che si smettesse di trascinare
le gerarchie ecclesiastiche cui si dà
credito solo in funzione di strumentalizzazione
al verbo delle opposizioni.
Daniele Bagnai Firenze
Come vede, mezzucci, tiratine di tonaca
e ricattini non sono serviti a
granché. Non praevalebunt. (E Vauro
nun gne a fa più. Non è più satira
quando si pascola allo stato brado,
sono solo disegni dello zero che ride).
2
Gradirei, se possibile, chiedere al dottor
Monteverdi conferma di quanto affermato
in un articolo di Benedetta Frigerio:
Generali e Allianz hanno venduto
immobili per evitare il «fallimento»?
Oreste Cirelli via internet
No, grazie. Trattasi di un eccesso di
“sintesi” giornalistica. Molte scuse.
2
Nel numero 2 (già del 17esimo anno!
Complimenti davvero) ho trovato uno
stridore che mi dispiace. A pagina 55
scheda di Simone Fortunato su Hareafter
di Eastwood che lo definisce film
medio, non il solito capolavoro… al di
sotto delle attese; a pagina 45 nell’articolo
“Una bussola nella giungla del cinema”
si dice dello stesso film: il grande
Clint che ha lasciato tutti a bocca aperta
con il suo Hereafter. Capisco che non
è semplice verificare la coerenza dei
contenuti tra loro, ma poiché amo il cinema
mi dispiace che una banale contraddizione
possa sminuire il valore dei
giudizi dati. Grazie.
M.Luisa Magnaghi via internet
Caspita che lettori! Per una volta ci è
scappato pure un refuso di coerenza.
Non capiterà due volte. Grazie.
2
Sono rare le buone notizie relative alla
libertà religiosa provenienti dagli organismi
europei. Recentemente ne sono
arrivate alcune a seguito di richieste
fatte in modo deciso soprattutto da politici
italiani. Il primo in ordine di tempo
è stato il comunicato di pubbliche
scuse riguardante la stampa di agende
scolastiche prive dell’indicazione delle
maggiori festività cattoliche e riportanti
invece festività musulmane o di altre
religioni. La seconda notizia è quella
relativa alla istituzione presso l’Osce
di un ufficio di rappresentanza contro
la cristianofobia, affidato al noto e apprezzato
studioso Massimo Introvigne,
il quale si occuperà anche di forme
di cristianofobia come l’ostracismo al
crocifisso (e ai presepe) e l’avversione
amministrativa alle scuole cattoliche.
Infine, si è appreso con soddisfazione
che saranno negati contributi finanziari
Ue ai paesi dove si verificano casi di
persecuzione anticristiana. Cordialità.
Bruno Mardegan Milano
Complimenti a chi ha avuto l’idea di
ingaggiare Massimo Introvigne. Certo
a lui il controllo di coerenza non
scapperà (Ps: vedo che se n’è accorto
anche Human Rights Watch: «Ue
non fa seguire a parole i fatti»).
2
Se Gianfranco Fini decidesse di allearsi
organicamente con la sinistra alle
prossime elezioni politiche, sarebbe
una scelta legittima. Le svolte dell’ex
capo di An verso un approdo radicaleggiante
post-pannelliano e di patriottismo
costituzionale, infatti, non confliggerebbero
con l’antiberlusconismo
di sinistra, pur nascendo dalle pulsioni
di un antiberlusconismo di destra, come
ho tentato di dimostrare nel mio libro
Gianfranco Fini. Sfida a Berlusconi
(Aliberti editore). Del resto sono note
le biografie politiche di intellettuali
provenienti dalle file del fascismo che
nell’immediato Dopoguerra videro nella
rivoluzione comunista la nuova battaglia,
dopo che era stata sconfitta nel
disastro della guerra perduta l’illusione
di una rivoluzione mussoliniana. La
storia e le storie sono spesso destinate
a ripetersi. Fini, che non ha mai voluto
uscire compiutamente dal recinto
del neofascismo, potrebbe intendersi
perfettamente con gli eredi di quel
Partito comunista italiano che non ha
saputo scrivere una propria Bad Godesberg,
preferendo la guerra civile a
sinistra anti-Psi a una sfida in campo
aperto sul terreno del riformismo. Tuttavia,
lungo la strada dell’accordo con
la sinistra, per Gianfranco Fini ci sono
tre grossi ostacoli: la legge Fini-Bossi
sull’immigrazione, le norme Fini-Giovanardi
in materia di sostanze stupefacenti
e il ruolo politico, mai chiarito,
dell’ex leader del Msi-Dn nella repressione
della protesta al G8 di Genova
nel luglio 2001. Cordialmente.
Enzo Palmesano
Pignataro Maggiore (CE)
redazione@tempi.it
va capito che gli stavano addosso e così si era dotato di
un pacco di schede telefoniche svizzere. Purtroppo se
n’è accorto troppo tardi. Però la lezione è interessante.
Il Berlusca, infatti, doveva capire due anni fa, quando
scoppiò il caso Noemi, che, dopo aver tentato di asfaltarlo
per 15 anni con accuse di corruzione e affini, sarebbe
cambiato il livello dello scontro.
Insomma, non so come dirlo per non urtare la morale
dei cattolici che leggono questo giornale (o altri),
ma come Moggi si dotò di schede telefoniche svizzere,
il Berlusca non poteva “dotarsi” di squinzie estoni
o finniche, magari prese direttamente sul posto? O, ancora
meglio, darsi una bella calmata?
| | 2 febbraio 2011 | 63
taz&bao
64
| 2 febbraio 2011 | | Foto: Infophoto
L’infedele
inquisizione
Lo spettacolo di Gad Lerner è stato molto istruttivo. Ha preso il Sodoma e Gomorra
di Pasolini, l’ultimo grido di dolore di un artista che è morto dentro il popolo,
come uomo del popolo, e lo ha trasformato in uno spettacolino da ministero della
propaganda di Stalin. Berlusconi ha telefonato in diretta e lo ha apostrofato.
Lerner gli ha dato del “cafone”. Cosa avrebbe fatto qualsiasi italiano di buon senso?
La stessa identica cosa. O si può invece dire e fare di tutto, anche identificarlo
con un torturatore nazista, un uomo, un presidente del Consiglio, che, male che
vada, potrebbe essere accusato di essere andato a donne che, liberamente e per
soldi, sarebbero andate a letto con lui?
Questo dice molto del carattere e del destino che anticipano, non per Silvio Berlusconi,
ma per ciascun italiano, gente che come Gad Lerner non avesse soltanto
il privilegio di avere un potere televisivo che lo ha reso ricco sfondato e privo di
scrupoli nei confronti del prossimo suo. Se gente come Lerner avesse anche il
potere politico, visto quel che si vede nelle sue trasmissioni, pensiamo che egli
non esiterebbe – naturalmente per il bene della causa – a lanciare il primo sasso
e a lapidare, insieme alla banda degli Inquisitori che gli sono cari, chi non pensa
e vive come pensa e vive lui e la sua parte politica (ammesso e non concesso che
Lerner e la sua parte politica siano più “puliti” di Berlusconi e “i migliori” tra gli
italiani). Perciò, più passano i giorni da che scoppiò il caso Ruby, più si capisce di
che pasta morale siano fatti i nostri moralizzatori, e più apprezziamo la posizione
di civiltà democratica e cristiana espressa compiutamente dal cardinal Angelo
Bagnasco nella sua prolusione alla Cei. Posizione che non sconta nulla al male,
ma non strumentalizza il male – anche quello degli Inquisitori – per trarne un
vantaggio politico e la distruzione del volto dell’avversario.
Che distanza infinita c’è tra il moralista sazio, ricco, tronfio di sé e che è pronto
a camminare con gli scarponi chiodati sulla faccia del prossimo suo peccatore,
trascinato nella polvere, e il cristianesimo che ci insegna a condannare il peccato
ma non il peccatore. E inoltre, come nel caso di un uomo politico, a distinguere i
difetti privati dalle virtù del governo.
E comunque, facciamo nostro il manifesto di un gruppetto di studenti di Cl che
questa mattina, nell’atrio di Medicina e Chirurgia della Bicocca di Monza, hanno
titolato così un manifesto in cui hanno fatto propria la prolusione del cardinal
Bagnasco: “Berlusconi ha diritto al perdono e quindi a governare”.
Ps: Aggiungeremmo in postilla anche questo, per l’immaginazione dei kapò, certo,
non come giudizio di valore sui poveri Gad Lerner. È tratto da una riflessione
che fece Oscar Wilde, quando nell’età moralista e vittoriana, venne preso e trascinato
in galera, non senza prima essere stato messo alla gogna per aver compiuto,
secondo l’accusa, un reato sessuale: «Certo, quando mi videro, non ero sul mio
piedistallo; ero alla gogna. Ma solo una natura priva di immaginazione può curarsi
della gente sul piedistallo. Un piedistallo può essere qualcosa di molto irreale.
Una gogna è una terribile realtà. Inoltre, essi avrebbero dovuto saper meglio
interpretare il dolore. Dissi una volta che dietro il Dolore c’è sempre il Dolore.
Sarebbe stato più saggio dire che dietro il dolore c’è sempre un’anima. E deridere
un’anima è cosa spaventevole; la vita di chi lo fa è senza bellezza. Nell’economia
stranamente semplice del mondo, non si riceve che ciò che si dà, e a quelli che
non hanno immaginazione sufficiente per penetrare l’aspetto esteriore delle cose
e provarne compassione, quale compassione può venir ricambiata, a loro volta,
se non quella del disprezzo?».
Luigi Amicone www.tempi.it
GLI ULTIMI
SARANNO I PRIMI
LA MISERIA DEGLI INDIGNATI
L’angelo sul condominio
delle coscienze pulite
66 | 2 febbraio 2011 | |
di Marina Corradi
di turno sullo stabile di via garibaldi 3, una elegante palazzina nell’hinterland
milanese, era un tipo che ne aveva viste tante. Quella sera stava ascol-
L’angelo
tando distrattamente le voci del tg che venivano dall’appartamento all’ultimo
piano. Delle feste di Arcore, l’angelo ne aveva abbastanza; aspettava dunque che
l’inquilino, il signor C., cambiasse canale. Improvvisamente sentì uno scoppio di voci
dal salotto. «Non se ne può più, è una vergogna! Basta con Berlusconi e tutti i suoi
festini! Che se ne vada a casa, vergogna!». L’angelo sussultò. Il signor C., la cui anima
come quella degli altri inquilini gli era perfettamente trasparente, era un ingegnere,
sempre in viaggio; e, benché sposato e padre, raramente mancava di alleviare la solitudine,
la sera, nei grandi alberghi dove alloggiava. Strana, si disse l’angelo, questa
smemoratezza; ma alzò le spalle e si accinse a tornare a sonnecchiare.
Un altro scoppio di voci, più stridulo, lo richiamò. «È intollerabile! Che questo
puttaniere, questo corrotto, governi l’Italia…». L’angelo scese di due piani e die-
de un’occhiata dalla finestra. Era proprio
la dottoressa M., la militante femminista,
la ginecologa che ogni martedì
e venerdì, alle otto del mattino, praticava
nell’ospedale cittadino una decina di
aborti – naturalmente del tutto legali.
Ottanta aborti al mese. Ottanta figli annientati.
E però anche la dottoressa M.
quella sera gridava, indignata. E nell’appartamento di fronte, quello del professor
G., docente in un liceo? Anche lui stava scrollando il capo: «Che paese! Che schifo!».
Possibile, si chiese l’angelo, che non gli venga in mente come guarda le sue giovani
allieve, in particolare quella bruna, straniera, e che cosa non darebbe, per poter
solo allungare una mano?
Ma il baccano destato dal tg era ormai un frastuono che faceva vibrare il palazzo.
Al pianterreno fremeva l’avvocato R., anziano e benestante, dedito a una discreta
attività di prestiti a tasso, diciamo, elevato, a povera gente – tanto che
una lingua malevola avrebbe potuto definirlo uno strozzino. Pure lui a
tuonare e invocare dimissioni. L’angelo scese allora all’ammezzato,
dove abitava una famiglia esemplare: regolarmente sposati, due figli,
lavoro onesto, adulterii zero, tasse scrupolosamente pagate. Sentì
gridare più forte: il buon signor A. era ancora più rabbioso degli altri.
Già, gli onesti, quelli certi della loro perfetta coscienza, sospirò l’angelo:
l’aveva detto ai suoi tempi, il Capo, di guardarsene.
Solo nel portinaio, un ex tossico ed ex detenuto che ne aveva fatte di tutte,
l’angelo dello stabile di via Garibaldi lesse questo silenzioso pensiero:
«Se anche davvero Berlusconi è quel che dicono, sarà sempre migliore di
quel pover’uomo che sono io». L’unico, pensò stupito l’angelo, capace
di vedersi come è. L’unico troppo conscio della propria miseria per indignarsi
e gridare degli altrui peccati.
Così che nel suo rapporto, quella sera, l’angelo di via Garibaldi 3 scrisse:
«Situazione seria. Eclisse totale della coscienza del proprio personale male. Segnalo
però tracce di verità su di sé e misericordia, nella guardiola del portinaio».
Poi l’angelo, pensieroso, tornò sul tetto, a dormire.
Il baccano destato dal tg ormai faceva
vibrare il palazzo. Al pianterreno fremeva
l’avvocato R., dedito a una discreta attività
di prestiti a tasso elevato a povera gente.
Pure lui tuonava e invocava dimissioni
DIARIO