ASSOCIAZIONIcentro di gravità, derivato dal modellodelle scienze biologiche ed estrinsecoalla sua storia, che è quello patologico,ossia il difetto morfologico e funzionaleche è causa della malattia. Lo spostamentodel baricentro della medicina dalpaziente come “persona malata” alpaziente come “corpo patologico” hapreceduto e in qualche forma ha acceleratonegli ultimi tre decenni il progressivoindebolimento del prezioso equilibriotra scienza e sapienza su cui fondaquel rapporto umano, così delicato e inun certo senso così singolare, che legail medico al suo paziente. Un rapportoquesto che se viene ridotto nei terminidi una pura contrattualità professionale,di diritti e di obblighi esigibili in terminiesclusivamente deontologico e giuridici,si svuota del suo valore di alleanza, disolidarietà e di fiducia. La deontologiamedica e il diritto sanitario sono sì necessari,ma non sono sufficienti per qualificarel’umanità di una relazione diagnosticae terapeutica unica, irripetibile, chesi stabilisce tra quel “medico ” e quel“paziente”: una relazione imprevedibilee indeducibile in ogni suo aspetto, nellaquale l’astrazione e la generalizzazionedel sapere scientifico sulla salute e sullamalattia devono coniugarsi in modoarmonico con l’attualità e l’individualitàdell’esperienza personale del benesseree del malessere che è propria di ciascunuomo. Ognuno di noi, pur partecipandonel proprio corpo dell’identica specievivente- quello dell’homo sapiens, laspecie umana che la biologia e la medicinastudiano-, tuttavia nasce, cresce,sta bene, si ammala, soffre, guarisce omuore in una forma singolare, del tuttopersonale, quella cioè che gli derivadall’anima spirituale, l’unica formasostanziale del nostro corpo, chedimessa è custode ed epifania.Per coniugare il sapere delle scienzebiomediche con quello che è frutto dell’esperienza di ciascun medicoun’esperienzache sgorga dall’incontroindividuale, hic et nunc, con il malato- èrichiesta la mediazione della “sapienza”.La sapienza, infatti, ci rende attenti e vigilantisulle nostre decisioni e sulle nostreazioni cliniche: previene la tentazione diassolutizzare ciò che è contingente e ditrascurare ciò che è fondamentale; ciconduce a trovare il senso, la verità, illogos profondo della realtà della malattiache si mostra ai nostri sensi, e , ci portaa esaminare ogni cosa e a trattenere ciòche nella vita ha autentico valore (Tessalonicesi5, 21). Senza la sapienza lascienza non giova a nulla per l’uomo,così che Husserl, quasi anticipando lecritiche al modello biomedico della medicinache si sollevarono quarant’anni piùtardi, scrive nel 1936: non sono neppure sfiorati.> (La crisi dellescienze europee, trad. it., il Saggiatore,Milano 1961,p.35).Una medicina chemette tra parentesi il soggetto umano daisuoi interessi scientifici e professionalicorre il serio rischio di conoscere tuttodella malattia, ma di ignorare l’esistenzadel malato. In questo rapido percorso,di cui ho delineato solo alcune tappe,siamo così giunti al centro dellaquestione posta dalla medicina contemporanea:una medicina che, a primavista, sembra compiacersi del suoessere finalmente “compresa” e stimatacome scienza e professione, ma che nelmedesimo tempo, sperimenta una faticae una debolezza teorica e pratica nel“comprendere” e valorizzare il suo referenteoggettivo, ossia il paziente comeuomo concreto: non uomo astratto, unanonimo” caso clinico”, ma un uomo chevive la sua malattia in una forma personale,storicamente determinata nellareale irripetibilità della sua unità di corpoe spirito, corpore et anima unus, comedice la bella espressione del ConcilioVaticano II (Gaudium et spes, 14).Lasciamoci interrogare dalla domandache il salmista rivolge a Dio: >(Salmo 8,5). Proprio nella risposta checiascuno di noi è chiamato a dare aquesta domanda troviamo il punto dipartenza per ricostruire una medicinaveramente “umana”. Quella del salmistaè una domanda che suscita stupore emeraviglia, ma insieme genera inquietudinee sconcerto: se Dio stesso siricorda dell’uomo e se ne prende cura,noi come lo consideriamo? E come lotrattiamo?Quante volte, durante il giro in corsia,avvicinandovi al letto di un malato ecurvandovi su di lui, oppure uscendodalla sala operatoria e rivestendovi perscendere in reparto o tornare a casa, visiete chiesti, ripensando ai pazienti chein quel giorno avete visto o tenuto sottoi ferri: “ Chi è colui che vive in quel corpoche ho visitato o al quale ho asportatoun tumore? A chi appartiene quel cuoreche pulsa nel petto di quel giovane eanela a ritrovare il ritmo fisiologico? Dovestanno la grandezza e la bellezza dellavita umana, il suo significato trascendentee imperituro, pur dentro alla carnedi quella donna che ha perso il vigoredella giovinezza e la tempra della maturità?Permettetemi anche questo interrogativo:chi tra noi non ha mai provatoun fremito nel suo animo quando è statoattraversato dal pensiero di trovarsi luipure, un giorno, in uno dei letti che orasono occupati dai suoi pazienti e didover fare esperienza della medicinadalla parte del malato?Al riguardo lavostra stessa esperienza si fa eloquente:senza coltivare queste e altre domandeche la sapienza suscita nel vostro cuore,la scienza e la professionalità inaridisconola mente e la mano del medico,le rendono incerte e distratte, e , taloraanche disorientate e affannate. Perquesto vi sentite particolarmente chiamatia , conservare, purificare e alimentarequeste domande sulla dimensioneumana integrale della medicina: sì,questa è la vostra vocazione speciale dimedici che hanno ricevuto, attraverso ilsacramento della Cresima, i doni delloSpirito tra i quali figura la sapienzacristiana.Una sapienza divina che sollecita erichiede orizzonti nuovi e spalancaprospettive di profondità e altezza inauditeper dare risposta alle domandeimpellenti dell’uomo medico e dell’uomoammalato.Di questi interrogativi antropologici edegli orizzonti che essi invocano viauguro di essere i custodi: non certo perracchiuderli in uno scrigno nobile e40 <strong>VERONA</strong> <strong>MEDICA</strong>
ASSOCIAZIONIprezioso, lontano dai luoghi della cura edelle sue questioni più dibattute, ma peroffrirli con tenace umiltà e decisa libertàalla riflessione dei colleghi, degli uominidi governo e di amministrazione e deicittadini che sono attenti e pensosi perle sorti della medicina nel tempopresente e negli anni avvenire.3) Alle radici della dignità dellʼuomosofferente e dellʼumanità della medicinaIn questa circostanza vorrei riprenderee meditare con voi alcune espressioniche troviamo nella Sacra Scrittura, nellesue primissime pagine. Sono testilontani, lontanissimi; contengono paroletanto antiche dell’uomo forse del tuttoinattuali e incapaci di parlare al presente,estranee al paziente e al medico di oggi.Qualcuno potrebbe ritenere che il farviriferimento sia una forma illegittima dipiegare le pagine sacre alle nostreesigenze e alla ricerca di risposte adomande che la Bibbia come tale nonsi pone. Al contrario, noi siamo certi chela parola di Dio è sempre viva e attuale,capace di fare luce sulla realtà di ogniuomo e di tutto l’uomo, anche quello delmalato e del medico, sulle sue esigenzepiù radicali e inalienabili, con la forzadunque di rivelare dell’uomo ciò che è erimane perenne. Quella di Dio è unaparola che ci offre risposte che si alimentanoalla sostanza delle cose, dalla qualescaturisce il loro valore e il significatoultimo. La parola biblica dà risposte chesprigionano una luce profonda e originaleanche sui problemi attuali, quandoaddirittura non si mostrano comerisposte profetiche.L’inizio della Rivelazione divina sull’origene,sulla consistenza e sul destinodell’uomo è segnato dai versetti 26 e 27del libro della Genesi: due versetti soli,ma immensi,che spalancano orizzontiinattesi e affascinanti. Leggo: >. E’ nell’immagine diDio che consiste tutta la dignità originariae perenne dell’uomo, dignità che nulla -né la malattia della anima, il peccato, néquella del corpo, l’infermità – può cancellare.Come scrive Giovanni Paolo IInell’enciclica Evangelium vitae, (n.34).L’uomo è immagine di Dio in quanto èpersona. Egli gode, per partecipazionedell’essere stesso del creatore, di unatrascendenza che lo differenzia sostanzialmenteda ogni altro essere vivente,lo pone in dialogo personale con Dio econ gli altri uomini e lo abilita ad esercitareun dominio responsabile su tutto ilcreato. Riflettendo su questo primo datodella Rivelazione, la ragione ci porta ariconoscere che la medicina che voiprofessate è umana per vocazione, nonper opzione, sia pure auspicabile e lodevole,di chi la esercita. La medicina nonpuò che essere “umana”, perché innessuna condizione fisica o psichica_neppure quando ha perso la capacità diesercitare le facoltà umane, come lacoscienza, la parola, l’autonomia delmovimento o il controllo delle proprieazioni- il paziente perde la sua umanità.In questa luce, la vicenda della “umanizzazionedella medicina”, che occupauno spazio importante nel movimento dipensiero della bioetica, diventa allora lastoria del recupero di un’evidenza originaledella “ragione medica” (o comealcuni preferiscono dire del “pensierodella cura”): la differenza antropologicatra l’uomo e l’animale istituisce una differenzaassiologica che è normativa perl’agire del medico e per l’organizzazionedell’assistenza sanitaria.Con un’espressione che può apparireparadossale, potremmo esprimere inquesta forma il percorso consegnato aciascuno di noi: la medicina può diventareo ridiventare “umana” solo perchéessa già lo è nella sua esigenza edevidenza originaria, ossia solo se ilmedico abbraccia per scelta ciò che gliè offerto come compito dalla naturastessa dell’essere malato che gli stadinanzi , orientando così la sua libertàverso il bene della persona inferma edivenendo così egli stesso virtuoso (virbonus sanandi peritus, secondo ladescrizione classica del medico).Anche quando è gravemente e persistentementemalato, l’uomo è e resta, come dicel’ardita e incisiva espressione del Salmo8 sopra citato (v. 6): non è mai “meno diun uomo”come invece vorrebbe vederlochi considera la vita di alcuni di questipazienti “non degna di esserevissuta”,”priva di valore umano”, caricasolo di “una sofferenza senza senso”.Non così è secondo il disegno di Dio,che ha voluto affidare alla sofferenza lasublime dignità di uno strumento per ilriscatto della nostra umanità dal giogodel male, facendo di essa, nella personadi Gesù- il Verbo incarnato, il figlio di Diofatto uomo- il prezzo della redenzione.Con la sua passione, Gesù ha datodignità alla sofferenza dell’uomo, haavvalorato il dolore innocente di chi ècolpito da una malattia senza saperne ilperché, ha dischiuso un inaudito orizzontedi senso a chi patisce nel corpo,nella mente e nello spirito. Come affermaGiovanni Paolo II nella lettera apostolicaSalvifici doloris, >(n.19).Così (n.20).Non è forse questo”nuovo significatodella sofferenza” ciò che è capace diridare un volto umano a ciascun ammalato,in qualunque condizione fisica epsichica si trovi, e di far scoprire almedico, anche sul corpo del più criticoo cronico dei suoi pazienti, quei segniumanissimi della passione di Cristo che,dal giorno del Calvario, si sono impressinel corpo di ogni uomo che soffre, quasistigmate nascoste nelle piaghe e nellepieghe dei tessuti malati?La nuova medicina scientifica, deveessere veramente “umana”, ha bisognodi riscoprire la semeiotica antropologicadella passione di Cristo, la scientiaCrucis, una scienza antica ma perennementeattuale, dal momento che laredenzione si attua in ogni uomo e inogni momento della storia.<strong>VERONA</strong> <strong>MEDICA</strong>41