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ESPORRE<br />

Le vite<br />

DEGLI ALTRI<br />

ICONS AND WOMEN: LE FOTO DI STEVE MCCURRY<br />

CONTINUANO A STUPIRE AI MUSEI SAN DOMENICO DI FORLÌ IN UN PERCORSO<br />

FATTO DI PERSONE, SGUARDI, EMOZIONI.<br />

di Lucia Lombardi<br />

Camicia blu come i suoi occhi.<br />

Piccoli, veloci, pronti a carpire<br />

l’umanità che li circonda. La sua<br />

parlata rotonda, yankee, franca,<br />

aperta, spontanea, caratterizzata<br />

da un timbro energico, restituisce<br />

l’essenza stessa della sua persona,<br />

del suo fare fotografia. Attende<br />

con calma, come il leone la sua<br />

preda, che il soggetto si manifesti<br />

nella sua natura più intima e vera.<br />

“La foto ha qualcosa in comune<br />

con la meditazione” – afferma<br />

Steve McCurry –, classe 1950,<br />

uno dei fotografi americani viventi<br />

più amati dal pubblico italiano,<br />

che inizia la sua carriera nel 1979.<br />

Lui che coi suoi scatti antesignani<br />

ha segnato un percorso preciso<br />

nel mondo del reportage fotografico,<br />

un cammino alla ricerca della<br />

dignità umana, uno studio profondo<br />

sull’identità, sull’umanità<br />

delle persone. Ai Musei di San<br />

Domenico di Forlì, sino al 10<br />

gennaio 2016, sono esposti<br />

quarant’anni di foto, un vero<br />

e proprio bagno nella storia mondiale<br />

più recente attraverso i sei<br />

continenti. Lui si sente un narratore:<br />

“La storia disturba. Ci serve<br />

vedere cosa succede – dichiara –,<br />

bisogna cercare storie, la verità del<br />

mondo di oggi.” Dare un volto a<br />

realtà lontane, ad eventi che hanno<br />

cambiato il corso della nostra<br />

storia attuale, raccontare culture<br />

minacciate dalla globalizzazione,<br />

disastri, guerre, valicare l’invalicabile<br />

per far conoscere gli effetti<br />

che gli eventi hanno sulle persone:<br />

“a me interessano i civili”.<br />

Come avvenne in Afghanistan<br />

nel 1984, quando i russi stavano<br />

per invadere il paese e lui annusò<br />

l’inizio della fine. Entratovi clandestinamente<br />

con abiti tradizionali,<br />

fu attratto dal vociare degli<br />

studenti di una scuola nel campo<br />

profughi di Nashir Bag, dove fu<br />

letteralmente calamitato dallo<br />

sguardo di Sharbat Gula. “Me lo<br />

devo ricordare”, pensò tra sé il fotografo,<br />

e scattò, per restituirci La<br />

ragazza dagli occhi verdi, foto<br />

divenuta una vera e propria<br />

icona, pubblicata sulla cover<br />

del National Geographic.<br />

Un’immagine che rischiò di non<br />

essere pubblicata per la sua forza<br />

dirompente, per la sua capacità di<br />

permearci, di trapassarci e svelarci<br />

in una frazione di secondo paure<br />

e dubbi. Il suo sguardo di bambina<br />

tradisce quella che invece le<br />

circostanze nefaste sembrano già<br />

aver tramutato in donna. Cosa ci<br />

attira di quell’immagine? “È un<br />

unicum – racconta McCurry –,<br />

c’è l’affluenza di più emozioni che<br />

si accavallano. Da una parte c’è<br />

un trauma e dall’altra la bellez-<br />

IN MAGAZINE 35

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