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EDOARDO POETA<br />
IL FUTURO<br />
È SEMPRE ESISTITO<br />
Perché negli anni Sessanta a Trapani prevedevano<br />
che avremmo fatto tutto (o quasi) con il telefono<br />
FALSOPIANO
FALSOPIANO<br />
LE ARTI<br />
una collana diretta da Mario Gerosa
EDOARDO POETA<br />
IL FUTURO<br />
È SEMPRE ESISTITO<br />
Perché negli anni Sessanta a Trapani prevedevano<br />
che avremmo fatto tutto (o quasi) con il telefono
Time present and time past<br />
Are both perhaps present in time future<br />
And time future contained in time past.<br />
T. S. Eliot, Burnt Norton
Questo libro <strong>è</strong> dedicato al ricordo di Vittorino Fratoni, studente a distanza ante litteram,<br />
che dagli anni ’60 visse da grande cultore del fai da te, esplorando con infinita curiosità,<br />
fino all’ultimo, la meraviglia delle piccole e grandi innovazioni tecnologiche.
INDICE<br />
Prefazione<br />
di Mario Gerosa p. 9<br />
Antefatto p. 13<br />
<strong>Il</strong> domani si <strong>è</strong> fermato a Trapani p. 15<br />
Nel 2000 i telefoni faranno tutto p. 17<br />
Nel 2000 fortunati gli uomini d’affari p. 18<br />
Un viaggio nel <strong>futuro</strong>, dal passato p. 20<br />
Parte prima. Origini p. 25<br />
Profezie in facsimile p. 27<br />
La rete distribuita p. 29<br />
Accademici, hobbisti e pubblicitari p. 33<br />
<strong>Il</strong> tuo telefono sarà multimediale p. 37<br />
Racconti del <strong>futuro</strong> p. 42<br />
Un mondo interconnesso, al videofono p. 46<br />
Voci, in sintesi p. 49<br />
Fine delle previsioni p. 52<br />
Parte seconda. Futuro all’americana p. 69<br />
<strong>Il</strong> domani che c’era già p. 71<br />
Una certa idea del <strong>futuro</strong> p. 76<br />
Visioni pop p. 82<br />
La (fanta)scienza <strong>è</strong> popolare p. 85<br />
Parte terza. L’avvenire del Miracolo p. 99<br />
Miracolo al telefono p. 101<br />
Futuro di spazio e di design p. 106
<strong>Il</strong> domani degli “arrangisti” p. 109<br />
Fantascienza tricolore p. 113<br />
Occasioni perdute p. 117<br />
Cervelli italiani p. 119<br />
<strong>Il</strong> <strong>futuro</strong> era italiano p. 124<br />
First World Desktop Computer p. 129<br />
Parte quarta. Profezie di rete p. 145<br />
<strong>Il</strong> tempo condiviso delle comunità p. 147<br />
Un domani sociale p. 150<br />
Pace e rete p. 152<br />
Epilogo p. 167<br />
Paradossi p. 167<br />
La grande narrazione p. 171<br />
America, terra dell’avvenire p. 175<br />
Trapani, messaggi dal <strong>futuro</strong> p. 180<br />
La scomparsa del tempo p. 183<br />
Futuro esistente p. 190<br />
Archeologia del <strong>futuro</strong> p. 193<br />
Appendice p. 207<br />
C’era una volta il 2000 p. 207<br />
Immagini p. 211<br />
Bibliografia-Sitografia p. 219<br />
Ringraziamenti p. 234
Prefazione<br />
di Mario Gerosa<br />
A differenza del passato, che in qualche modo si può tentare di fissare, il <strong>futuro</strong><br />
<strong>è</strong> molto mobile e, come stanno dimostrando oggi le varie incarnazioni dei futuri<br />
possibili, dal Retrofuturismo al Neofuturismo, l’unico modo per congelare il <strong>futuro</strong><br />
<strong>è</strong> prima trasformarlo in passato.<br />
Un gioco di parole un poco artificioso, che però dà conto della natura di<br />
questa strana entità così difficile da fermare e da definire. Mentre il passato resta,<br />
ritorna e talvolta si ritrova, il <strong>futuro</strong> tende a scivolare via, arriva <strong>sempre</strong> in<br />
maniera furtiva. <strong>Il</strong> passato riaffiora nelle vecchie fotografie e nelle cartoline<br />
illustrate sbiadite, il <strong>futuro</strong> invece <strong>è</strong> fugace, dura lo spazio di un istante, lo si può<br />
identificare soltanto quando <strong>è</strong> storicizzato. In poche parole, quando <strong>è</strong> già diventato<br />
passato. E proprio in questo concetto risiede la forza del libro di Edoardo Poeta,<br />
che ha scelto un esempio particolarmente interessante per dimostrare come il<br />
<strong>futuro</strong>, per esplicitarsi, abbia bisogno di essere stato già metabolizzato in un primo<br />
passaggio, in una prima fase in cui passa quasi inosservato. In questa cronaca<br />
molto documentata, in cui si spiega come già negli anni ’60 fossero state<br />
prefigurate le varie potenzialità degli smartphone di oggi, ci si rende conto della<br />
necessità del <strong>futuro</strong> di attuarsi in due tempi, offrendosi nella veste più familiare e<br />
gestibile di “passato” nel momento in cui deve essere definitivamente accettato.<br />
“<strong>Il</strong> <strong>futuro</strong> <strong>è</strong> <strong>sempre</strong> <strong>esistito</strong>” recita il titolo di questo libro. È un titolo pertinente<br />
e rassicurante. Un titolo che strappa il <strong>futuro</strong> dalle nebbie dell’incognito e lo pone<br />
immediatamente nella categoria delle cose che si possono conoscere e analizzare.<br />
E questo concetto, messo giustamente in evidenza da Poeta, <strong>è</strong> la chiave per<br />
decodificare tutto il libro, che oltre a far luce su un originale fenomeno di cronaca,<br />
può ambire a rappresentare uno strumento di lettura per capire il nostro modo di<br />
porci davanti al <strong>futuro</strong> e alla sua costruzione.<br />
Come abbiamo già detto, il <strong>futuro</strong> <strong>è</strong> sfuggente, e per dargli una forma bisogna<br />
prima tentare di storicizzarlo. Senza addentarsi in complessi ambiti filosofici,<br />
limitiamoci a dire che ci sono state alcune grandi ondate in cui il <strong>futuro</strong> sembrava<br />
essere a portata di mano.<br />
9
Chi fa parte della generazione dei baby boomers, dei figli degli anni ’60, per<br />
esempio, ha vissuto a lungo con il miraggio di un <strong>futuro</strong> prossimo, quello legato<br />
alla mitica data del 2000, una “data-faro” che ha guidato miriadi di visioni e di<br />
narrazioni per interi decenni, un riferimento assoluto e incontrastato per chi lo<br />
guardava dal Ventesimo secolo, una data pregna di nostalgia, ma non così<br />
determinante e avveniristica per chi la guarda da questo primo scorcio del<br />
Ventunesimo secolo.<br />
<strong>Il</strong> 2000, l’enfatico e misterioso <strong>futuro</strong> annunciato nella seconda metà del ’900<br />
non ha mantenuto tutte le aspettative: per molto tempo chi oggi ha passato i<br />
cinquant’anni ha sentito avvicinarsi quella data fatidica, anticipata ed esaltata da<br />
una serie di film e telefilm che arrotondavano per difetto e per eccesso quel<br />
traguardo tanto importante: 1997: Fuga da New York, Spazio 1999, 2001: Odissea<br />
nello spazio, 2010: L’anno del contatto...<br />
Tutti quei film e quei telefilm nutrivano l’immaginario con un <strong>futuro</strong> possibile.<br />
Fornivano tutta una serie di elementi iconografici, di architetture, di oggetti di<br />
design, di dispositivi scientifici e tecnologici che aiutavano a immaginarsi un’era<br />
lontana, tenuta ancor più distante anche grazie a quei numeri scaramantici usati<br />
per i titoli di opere-manifesto utili per esorcizzare le paure di un mondo possibile.<br />
Un mondo che per molto tempo <strong>è</strong> stato confinato volontariamente nei territori<br />
della fantascienza, vista come un modo per procrastinare, anche artificialmente<br />
una realtà potenzialmente più vicina di quanto si potesse pensare. Negli anni ’60<br />
e ’70 la gente comune il <strong>futuro</strong> non l’aspettava prima del volgere del Ventesimo<br />
secolo. I media mainstream generalmente sostenevano questa idea, definendo in<br />
maniera precisa la soglia del <strong>futuro</strong>, fissata non prima della fine degli anni ’90.<br />
E questa idea era consolatoria e rassicurante: per un lungo periodo ci si <strong>è</strong><br />
accontentati di vedere il <strong>futuro</strong> solo al cinema o in televisione, cercando di non<br />
contaminare con visioni troppo estreme e avveniristiche la vita quotidiana. È pur<br />
vero che in parallelo, nelle grandi fiere come nelle riviste specializzate si<br />
testimoniava l’avanzata di un <strong>futuro</strong> a base tecnologica che sopravanzava le più<br />
ardite previsioni di scrittori e registi, ma tendenzialmente si era portati a dare al<br />
<strong>futuro</strong> lo stesso valore assoluto del passato, ovvero a caricarlo di qualche decina<br />
d’anni per conferirgli autorevolezza: il senso della storia doveva funzionare nelle<br />
due direzioni, indietro e avanti. Così ogni <strong>futuro</strong> che potesse essere chiamato tale<br />
deve partire come minimo dal 1984 orwelliano, per poi svilupparsi secondo i<br />
canoni cinematografici dei futuri ipotizzati per la fine degli anni ’90.<br />
Poi, però, non <strong>è</strong> successo niente, o quasi. Arrivati in prossimità del 2000,<br />
compiuto il fatidico giro di boa, il <strong>futuro</strong> non arrivava ancora. O almeno, non<br />
quello che tutti si aspettavano, quello visto nei film di fantascienza. In verità forse<br />
il <strong>futuro</strong> <strong>è</strong> arrivato e non ce ne siamo accorti. Forse non era il <strong>futuro</strong> che ci<br />
10
aspettavamo, quello dello studio di Ed Straker e dei cibi liofilizzati dei Pronipoti:<br />
era un altro <strong>futuro</strong>, meno appariscente e meno vistoso, il <strong>futuro</strong> di internet e dei<br />
mondi virtuali.<br />
È un <strong>futuro</strong> più discreto, più nascosto. Nelle case, per esempio, salvo rari casi,<br />
di norma non c’<strong>è</strong> ancora il classico arredamento futuribile, come quello degli<br />
interni di UFO e di 2001: Odissea nello spazio, e anzi, si continuano ad usare<br />
classiche porte in legno, finestre con le persiane e mobili in stile. Forse anche<br />
perché la gente non ha tutta questa voglia di <strong>futuro</strong> e preferisce rimanere ancorata<br />
alle tradizioni. D’altronde succede anche in Second Life, dove, per quanto gli<br />
avatar possano volare, proliferano le scale, da salire gradino dopo gradino. C’<strong>è</strong><br />
bisogno di sicurezze, di segnali tranquillizzanti, di memorie alle quali<br />
aggrapparsi.<br />
Si osava di più negli anni ’60 e ’70, quando con la Space Age prese forma una<br />
delle grandi ondate di design avveniristico, soprattutto con i mobili di Joe<br />
Colombo, di Verner Panton e di Pierre Cardin che ipotizzavano una scenografia<br />
possibile per la casa del <strong>futuro</strong>. La gente – lo si vede nei film, nelle pubblicità e<br />
nelle riviste d’arredamento – seguiva incondizionatamente questa moda, che<br />
divenne anche uno stile di vita. C’era veramente il gusto di sperimentare un’idea<br />
di <strong>futuro</strong>, rivoluzionando la classica idea dell’interno borghese. Questo desiderio<br />
di <strong>futuro</strong> ha contaminato anche gli anni ’80, che hanno visto l’ultimo ritorno di<br />
fiamma di un immaginario dinamico e vivace, che in ambito musicale fu accolto<br />
con entusiasmo da gruppi come i Rockets e i Kraftwerk, che non a caso appaiono<br />
più futuribili adesso che fanno parte del passato.<br />
Quelle in voga allora erano prove tecniche di trasmissione di un <strong>futuro</strong><br />
appariscente, destinato poi a estinguersi. Un <strong>futuro</strong> come quello della realtà<br />
virtuale della prima ora, quella degli anni ’90 del casco, degli occhialini e del<br />
guanto, raccontata in film come <strong>Il</strong> tagliaerbe, e poi abbandonata. Ultimamente la<br />
voglia di <strong>futuro</strong> si <strong>è</strong> appannata. Non ci sono più i romanzi fanta-tecnologici di<br />
Michael Crichton a farci immaginare un <strong>futuro</strong> possibile e nell’opinione comune<br />
i riferimenti per l’ipotesi della società di domani si fermano a Blade Runner e a<br />
Minority Report, dato che i film dei fratelli Wachowski, Matrix e Cloud Atlas in<br />
primis, sono troppo visceralmente imbevuti di <strong>futuro</strong> per essere utilizzati per capire<br />
il <strong>futuro</strong> stesso con un certo distacco.<br />
Nell’ambito del design e dell’architettura il <strong>futuro</strong> viene quotidianamente<br />
immaginato da visionari come Zaha Hadid, Patrick Jouin o Ross Lovegrove ma<br />
spesso queste creazioni sono viste come opere straordinarie, fuori contesto,<br />
considerando la realtà corrente un’altra.<br />
E allora, se il <strong>futuro</strong> <strong>è</strong> già pronto, perché aspettiamo? Viviamo solo un <strong>futuro</strong><br />
– altrettanto importante – che passa attraverso gli smartphone, gli ebook, gli<br />
11
schermi oled e le piastre a induzione, ma non abbiamo ancora voglia di<br />
circondarci di architetture parametriche, di segni e di immagini avveniristici, di<br />
vestirci con abiti da fantascienza. Tutto sommato siamo ancora molto proustiani:<br />
la domenica si va ai mercatini dell’antiquariato e il <strong>futuro</strong> ci si limita ad<br />
osservarlo nei centri commerciali, dove sono esposti gli ultimi modelli di televisori<br />
e di robot domestici. Si preferisce guardare indietro o osservare solo uno spicchio<br />
di <strong>futuro</strong>.<br />
E intanto proliferano divagazioni su futuri possibili, si impongono nuovi stili,<br />
come il “Raygun Gothic” coniato da William Gibson, e proliferano le descrizioni<br />
della letteratura steampunk che giocano con le variazioni tra passato e <strong>futuro</strong>,<br />
cambiando sapientemente le prospettive temporali. Si <strong>è</strong> continuamente alla ricerca<br />
affannosa di un <strong>futuro</strong>. Si <strong>è</strong> indecisi sul <strong>futuro</strong> da scegliere, non si sa quale sia<br />
quello giusto: ci sono troppe versioni del <strong>futuro</strong> ed <strong>è</strong> difficile orientarsi. E nel<br />
dubbio si vive nel presente. Perché mai come in questi anni <strong>è</strong> stato difficile capire<br />
se il <strong>futuro</strong> sia in arrivo o se, una volta di più, sia <strong>sempre</strong> <strong>esistito</strong>.<br />
12
13<br />
ANTEFATTO
<strong>Il</strong> domani si <strong>è</strong> fermato a Trapani<br />
È il 26 giugno 1962. Nel numero appena stampato di “Trapani Nuova”,<br />
settimanale nato in Sicilia tre anni prima, compare a pagina 3 – in taglio basso –<br />
una notizia dagli Stati Uniti. La posizione, il titolo a sole due colonne e l’assenza<br />
di una qualsivoglia firma suggeriscono che probabilmente la si riteneva una<br />
stravagante curiosità. Nulla di più. Eppure il titolo, letto oggi, fa sobbalzare: “Nel<br />
2000 i telefoni faranno tutto loro” 1 .<br />
<strong>Il</strong> sottotitolo, poi, suonava ancor più profetico: “Leggeremo i giornali attraverso<br />
la rete telefonica e potremo anche servircene per le operazioni di banca”. <strong>Il</strong> testo<br />
anticipa quanto nel Ventunesimo secolo <strong>è</strong> normalità, se non storia: dal fax al web,<br />
dalla telefonia mobile all’e-bank, dai sistemi di riconoscimento vocale fino ai libri<br />
online. Ed erano i primissimi anni ’60.<br />
A prevedere tutto ciò non dei visionari, ma persone serissime: due ingegneri e<br />
un dirigente dell’American Telephone and Telegraph Company, l’AT&T. Si<br />
trattava di Jean Howard Felker, padre del primo computer totalmente a transistor<br />
realizzato ai Bell Laboratories, di Charles M. Mapes, assistente capo ingegnere di<br />
AT&T e di Henry M. Boettinger, storiografo della telefonia.<br />
Ospiti di “Dimension”, un notiziario del palinsesto nazionale di CBS, i tre<br />
rilasciarono un’intervista sul <strong>futuro</strong> dei telefoni che anticipava in maniera<br />
incredibile quanto ne avremmo fatto. “Profezie” riemerse oltre cinquat’anni dopo,<br />
grazie alla pubblicazione in rete dei primi numeri di quel periodico siciliano<br />
fondato da Antonio Montanti, politico e personalità di spicco di Trapani. <strong>Il</strong><br />
settimanale <strong>è</strong> stato digitalizzato nel febbraio 2013 da Lorenzo Gigante, un<br />
webmaster trapanese, grazie alla collaborazione di Laura e Giovanni Montanti,<br />
figli dell’allora direttore 2 .<br />
Altro fatto sorprendente <strong>è</strong> che quelle affermazioni non sollevarono l’interesse<br />
dei giornali dell’epoca. «La cosa che lascia perplessi» – ha osservato il giornalista<br />
Luigi Grassia – «<strong>è</strong> che questa previsione sia stata ripresa a suo tempo da un<br />
giornale di Trapani ma non, per esempio, dalla “Stampa” né dal “Washington<br />
Post”» 3 . Nulla pure sul “Corriere della Sera” o su “<strong>Il</strong> Messaggero”. Neppure<br />
l’archivio del “New York Times”, giornale della città della CBS, ne fa menzione.<br />
«Ma» – ha annotato il direttore di “Internazionale”, Giovanni De Mauro – «<strong>è</strong> come<br />
se oggi qualcuno annunciasse che tra cinquant’anni comunicheremo<br />
telepaticamente. Nessuno gli darebbe retta» 4 .<br />
15
Dopo essere apparso nel ’62 sul periodico trapanese, l’articolo tornerà – tale e<br />
quale – sulle pagine di una rivista di Lecce: “La Zagaglia” 5 . <strong>Il</strong> testo – con il titolo<br />
“La telefonia nel 2000 secondo tre esperti americani” – compare nella seconda<br />
parte di un pot-pourri di notizie dedicate alla corsa verso lo spazio, pubblicato nel<br />
marzo 1964 6 . L’autore indicato dai redattori pugliesi nella prima parte della<br />
raccolta di articoli, uscita però nel settembre 1963, <strong>è</strong> un’altra sorpresa 7 . Si<br />
tratterebbe del direttore della Nasa, James E. Webb, vale a dire l’uomo che creò<br />
il centro di Houston e gettò le basi per lo sbarco sulla Luna.<br />
È difficile dire a prima vista se l’attribuzione della paternità da parte de “La<br />
Zagaglia” a Webb sia corretta. <strong>Il</strong> saggio non figura tra le dichiarazioni, gli articoli<br />
e le interviste del 1962 conservati dal fondo “James E. Webb” all’“Harry Truman<br />
Library & Museum” di Indipendence in Missouri. Inoltre il testo pubblicato prima<br />
da “Trapani Nuova” e poi da “La Zagaglia” <strong>è</strong> scritto con un piglio divulgativo,<br />
seppur dell’epoca, che si fatica a immaginare adottato da un alto funzionario degli<br />
Stati Uniti d’America.<br />
Una seconda coincidenza, però, potrebbe far sospettare che la velina provenga<br />
da un ghostwriter di Webb o, quanto meno, da un ufficio stampa che ne veicolava<br />
le notizie. L’indizio che può farlo pensare si trova a pagina 4 di “Trapani Nuova”,<br />
<strong>sempre</strong> nel numero del 26 giugno 1962. Un secondo articolo del settimanale<br />
siciliano riferisce – con toni meno drammatici di quelli delle cronache del tempo<br />
– dell’acrobatica impresa di Malcolm Scott Carpenter del 24 maggio 1962 8 . Un<br />
episodio costellato da errori che rovinarono la carriera successiva dell’astronauta<br />
americano.<br />
<strong>Il</strong> quarto uomo a essere lanciato nello spazio – dopo Gagarin, Titov e Glenn –<br />
percorse tre orbite terrestri a bordo di Aurora 7 per rientrare però, con grandi<br />
difficoltà, a oltre 300 chilometri dal punto convenuto. <strong>Il</strong> pezzo <strong>è</strong> positivo, quasi<br />
promozionale. Sin dal titolo: “<strong>Il</strong> volo spaziale per l’astronauta Carpenter -<br />
Passeggiata in autobus attraverso la città”. A corredarlo una foto, diffusa<br />
dall’ufficio stampa della Nasa, nella quale il protagonista dell’impresa dà uno<br />
sguardo all’interno della cabina del velivolo spaziale.<br />
Quanto al contenuto dell’articolo si tratta dell’identico testo che risulterà poi<br />
pubblicato, nel settembre 1963 9 , da “La Zagaglia” nella prima puntata di un<br />
servizio la cui continuazione, del marzo 1964, ospitava il pezzo sulla telefonia nel<br />
2000. Insomma, le coincidenze diventano due. Se la si mettesse su un piano<br />
filologico, la fonte dei due giornali potrebbe essere considerata la medesima:<br />
stesso servizio informazioni, stessa agenzia di stampa o stessa mano.<br />
In quel numero di “Trapani Nuova” il domani non <strong>è</strong> presente solo in queste due<br />
cronache ma <strong>è</strong>, per così dire, richiamato in un terzo articolo, quello dedicato alla<br />
partecipazione dell’Italia alla Fiera Mondiale di New York in programma per il<br />
16
1964. <strong>Il</strong> tema latente della “New York World’s Fair 1964-1965”, come per quella<br />
del 1939 e <strong>sempre</strong> nella Grande Mela, sarebbe stato infatti il <strong>futuro</strong>. I promotori<br />
la battezzarono, non senza enfasi, l’Olimpiade del progresso.<br />
In questo caso però la previsione del settimanale – basata sulle anticipazioni<br />
fornite da Charles Poletti, direttore della Divisione internazionale della Fiera –<br />
sarà errata: nulla dell’Italia sarà a New York nel 1964. In compenso il Vaticano 10<br />
farà arrivare via mare al parco di Flushing Meadows la Pietà di Michelangelo per<br />
esporla in un avveniristico allestimento firmato dallo scenografo di Broadway Jo<br />
Mielziner. E proprio quella fiera si rivelerà uno snodo fondamentale per le vicende<br />
legate alle previsioni sul <strong>futuro</strong> pubblicate nei primi anni ’60 da alcuni giornali<br />
italiani.<br />
Nel 2000 i telefoni faranno tutto<br />
L’incipit dell’articolo comparso nel 1962 sulle colonne di “Trapani Nuova” <strong>è</strong><br />
prudente: i tre esperti – secondo il cronista – avrebbero «azzardato alcune<br />
previsioni». C’<strong>è</strong> cautela di fronte a quelle che potevano sembrare parole<br />
pronunciate da un viaggiatore nel tempo. Quasi si fosse avverato, in quel 1962,<br />
l’arrivo di un visitatore dal <strong>futuro</strong> immaginato da Stephen King nel romanzo<br />
22/11/’63.<br />
«I tre esperti» – si legge – «ritengono che, tanto per cominciare, i giornali del<br />
mattino saranno diffusi direttamente in “facsimile” attraverso la rete telefonica.<br />
Fatta la colazione e letto il giornale telefotografico, l’uomo d’affari deciderà<br />
magari di restare a casa per non trovarsi in qualche ingorgo del traffico, senza,<br />
tuttavia, trascurare le sue attività. Servendosi del “videofono”, il cui schermo sarà<br />
molto più efficiente e più chiaro degli attuali televisori, potrà mettersi in contatto<br />
con l’ufficio o, addirittura, convocare una conferenza con i corrispondenti o i soci<br />
in differenti località».<br />
«Ma il marito» – prosegue l’articolo – «non sarà l’unico a beneficiare del<br />
progresso. La moglie potrà ricorrere al servizio telefonico per evitare le faticose<br />
maratone nei negozi. Con occhi attenti seguirà sullo schermo a colori del<br />
videofono le spiegazioni dei negozianti e analizzerà la merce esposta, prima di<br />
passare l’ordinativo. I tre esperti americani prevedono che la famiglia di domani<br />
adopererà il telefono anche per ricevere in casa programmi educativi, artistici e<br />
culturali. Apparecchi televisivi a circuito chiuso allacciati con la rete telefonica<br />
diffonderanno nelle case lezioni scolastiche, conferenze con proiezioni e visite ai<br />
musei. Potranno anche permettere la lettura degli ultimi libri senza neppure<br />
costringere l’interessato a recarsi in biblioteca per il prestito».<br />
17
«In viaggio» – continua “Trapani Nuova” – «la gente potrà disporre del<br />
telefono sulle autovetture, sugli aerei e in qualsiasi altro mezzo. Si potrà chiamare<br />
qualsiasi utente in qualunque parte del mondo mediante la teleselezione. Tuttavia,<br />
non occorrerà formare il numero e il prefisso corrispondente alla città sul telefono.<br />
Basterà segnalare il numero al telefono e questo tradurrà la voce in impulsi<br />
elettrici».<br />
La previsione che si legge sul settimanale trapanese <strong>è</strong> quella di linee telefoniche<br />
che saranno solo in piccola parte occupate da conversazioni, superate già nel 1975<br />
dal volume di dati commerciali scambiati attraverso di esse. L’annuncio <strong>è</strong> quello<br />
dell’imminente perfezionamento di apparati data-phone capaci di trasmettere<br />
tremila parole al minuto, cosicché un cervello elettronico possa dialogare con un<br />
altro computer a velocità superiori di quanto possibile all’uomo. «Una di queste<br />
macchine collegate alla rete telefonica potrà leggere l’inventario di un magazzino<br />
e, fatti i debiti calcoli, chiamerà un’altra macchina del magazzino centrale per<br />
ordinare le provviste per il giorno successivo».<br />
«Nel 2000» – conclude il testo del 1962 – «la gente si servirà del telefono<br />
anche per le operazioni di banca. Gli assegni si scriveranno con inchiostro<br />
magnetico che potrà essere letto da apposite macchine nelle banche. Le macchine<br />
provvederanno non solo ad avallare l’assegno ma anche a registrare l’operazione<br />
sul conto individuale» 11 .<br />
Nel 2000 fortunati gli uomini d’affari<br />
La previsione di “Trapani Nuova”, però, non era stata l’unica a esser apparsa<br />
in Italia con un carattere così profetico. Dall’archivio di “Stampa Sera” spunta<br />
infatti un articolo del 20-21 ottobre 1961 dedicato alle sperimentazioni dei primi<br />
satelliti per telecomunicazioni condotte da AT&T, attraverso Bell Labs e Nasa,<br />
che presto avrebbero reso partecipe anche l’Italia dei benefici dell’era spaziale.<br />
Ancora una volta si trattava di una previsione sul <strong>futuro</strong>, incredibilmente vicina<br />
alla realtà di oggi. Ad annunciarla il sottotitolo del redazionale: “Nel 2000 fortunati<br />
gli uomini d’affari: vedranno documentari, stipuleranno contratti, firmeranno<br />
assegni senza muoversi di casa e premendo dei pulsanti”.<br />
Protagonista del <strong>futuro</strong> <strong>è</strong> di nuovo il manager. «Gli esperti» – scrive “Stampa<br />
Sera” – «dicono che fra quarant’anni l’apparecchio telefonico quale noi lo<br />
conosciamo sarà un oggetto da museo. L’uomo d’affari non lavorerà in un<br />
immenso grattacielo, ma nel giardino della sua casa di campagna. Gli studiosi<br />
della “Bell” quasi lo vedono: egli sta discutendo con il direttore commerciale<br />
attraverso una radio trasmittente tascabile. Conclusa la conversazione, preme<br />
18
alcuni bottoni ed entra in comunicazione con la sua segretaria che, nella propria<br />
abitazione, stenografa quanto egli dice. Poi egli si alza e va nel suo ufficio: un<br />
locale in cui i suoni sono smorzati al punto da non essere assolutamente percepiti<br />
nell’adiacente stanza di soggiorno. Un apparecchio telefotografico gli fa scorrere<br />
davanti agli occhi, in fac-simile, le lettere arrivate al suo ufficio in città».<br />
Fin qui la “profezia” del 1961 <strong>è</strong> riservata ai cellulari e a uno strumento di lavoro<br />
che – oggi – risulta quasi obsoleto: il fax. Poi si passa a una descrizione della vita<br />
di tutti i giorni nella casa del 2000 e le coincidenze con quanto scriverà, un anno<br />
dopo, “Trapani Nuova” sono impressionanti. Segno evidente che quelle previsioni<br />
avevano una fonte comune.<br />
«Frattanto, in altra parte della casa, la moglie sta facendo la spesa quotidiana...<br />
Ha chiamato il macellaio al videotelefono e si fa mostrare le bistecche. Ordinato<br />
quello che le serve, chiama successivamente gli altri fornitori. Se le viene in mente,<br />
poniamo, di pagare l’ultima nota del dentista, ella si mette in comunicazione con<br />
il centro meccanografico della Banca. Preme alcuni tasti e automaticamente la<br />
macchina contabile addebita la somma voluta sul conto della signora e redige un<br />
assegno di eguale importo che sarà trasmesso al dentista».<br />
«Che fanno nel frattempo i figli?» – si chiede il quotidiano torinese. «<strong>Il</strong> più<br />
piccolo <strong>è</strong> a scuola. O meglio <strong>è</strong> nella propria stanza davanti al teleschermo del<br />
video collegato per cavo telefonico con l’aula delle lezioni. Ma tra poco verrà<br />
l’intervallo ed egli potrà distrarsi chiacchierando per videotelefono con questo o<br />
quel compagno».<br />
Poi arriva la previsione di quel che oggi <strong>è</strong> possibile con Google Libri, ebook<br />
lending, Google Art Project o Rijksmuseum di Amsterdam. «In quanto alla figlia,<br />
più grandicella, essa sta consultando sul video un libro che si trova nella biblioteca<br />
comunale. Le pagine del volume, microfilmate, sono proiettate a sua richiesta su<br />
uno schermo collegato con il suo apparecchio fonovisivo. La fanciulla <strong>è</strong><br />
appassionata di cose d’arte e forse, alcuni anni dopo, <strong>sempre</strong> dalla sua stanza,<br />
potrà studiare fino nei più minuti particolari un affresco del Vaticano o un<br />
capolavoro di pittura conservato al Louvre».<br />
<strong>Il</strong> vaticinio appare sorprendente per il cronista, che però chiude così il pezzo:<br />
«Gli esperti di “A.T.&T.” non trovano nulla di straordinario in tutto questo. Essi<br />
confidano nella nuova generazione di scienziati per tradurre sul piano tecnico<br />
quanto in campo teorico appare già possibile fin da oggi» 12 .<br />
19
Un viaggio nel <strong>futuro</strong>, dal passato<br />
Chiunque legga queste pagine di giornale ingiallite dal tempo non può che<br />
restare sorpreso. Qualche mese prima di incapparci 13 avevo divorato la traduzione<br />
di Wu Ming I di 22/11/’63 di Stephen King 14 . È la storia di Jake Eppings, tranquillo<br />
professore di Lisbon Falls, nel Maine, che riesce a tornare nel 1958 per cercare di<br />
sventare cinque anni dopo l’omicidio di Kennedy a Dallas. Dovrà però<br />
abbandonare ogni oggetto del Ventunesimo secolo per non esser scoperto, ma una<br />
volta nel passato si innamorerà di una donna al punto di volerla portare nel 2011.<br />
«Mi piacerà, Jake? <strong>Il</strong> tuo mondo?» chiede lei. «Spero di sì, tesoro». «È molto<br />
diverso?» «La benzina costa di più e la gente ha più tasti da pigiare. Per il resto,<br />
<strong>è</strong> più o meno come qui».<br />
Le pagine che seguono qui sono invece il resoconto di un viaggio nel tempo<br />
intrapreso, con spirito da cronista, attraverso giornali, documenti, suoni, immagini<br />
e filmati di quell’epoca. C’era da scoprire da dove spuntassero quelle sconcertanti<br />
previsioni sui telefoni del 2000 pronunciate, apparentemente senza eco mediatica,<br />
ai microfoni della CBS di New York e riprese “soltanto” da un piccolo settimanale<br />
di Trapani. O comprendere su cosa si fondassero quelle altre inserite in coda a un<br />
articolo di un quotidiano del pomeriggio di Torino. Era, per certi versi, come se<br />
davvero un altro Jake fosse penetrato in un passaggio temporale e avesse<br />
raccontato agli uomini di inizio anni ’60 come sarebbe stato il mondo quaranta o<br />
cinquant’anni dopo. Un’affascinante commistione tra fantasia e realtà, una<br />
prosecuzione nel reale di una vicenda dell’immaginario che reclamava di essere<br />
riportata alla luce? Certo che no.<br />
Doveva esserci ovviamente altro, cosa per l’esattezza non era dato sapere, ma<br />
era intuibile potesse trattarsi – magari – di un qualche pezzo di modernariato<br />
dimenticato in un cassetto. O qualcosa del genere. E, puntualmente, le sorprese<br />
non si sono fatte attendere.<br />
Non solo per aver trovato, in quegli anni, che fiction e tecnologia si<br />
scambiavano di ruolo, o per l’incredibile addensarsi tra il 1962 e il 1963 di eventi,<br />
personaggi e scoperte capaci di cambiare il mondo, ma anche per la maniera con<br />
cui ogni elemento di questa vicenda risultava via via intessuto con gli altri. Un<br />
intreccio che sembrava quasi disegnato da un abile narratore – con un antefatto,<br />
uno sviluppo e un epilogo – e che invece <strong>è</strong> risultato essere prova di una continuità<br />
culturale, anche pop, in grado di miscelare il nostro presente con un domani visto<br />
dal passato.<br />
Era possibile che il <strong>futuro</strong> tecnologico che oggi viviamo, o anche la sua<br />
semplice idea, esistesse già a cavallo tra gli anni ’50 e ’60, e magari pure prima?<br />
E ancora: in quell’epoca – nella quale il consumismo conviveva con l’incubo di<br />
20
una guerra nucleare, la nuova frontiera kennediana con il covare di quel che<br />
sarebbe stato il Vietnam, il candore di Disneyland con l’asprezza delle lotte per i<br />
diritti civili – in quella stagione così complessa, insomma, per quale motivo si era<br />
trovato uno spazio per costruire o immaginare un <strong>futuro</strong> algido come quello di<br />
una vita in piacevoli residenze, abitate da famiglie felici, e dotate di ogni servizio<br />
che le liberasse dagli affanni del lavoro, del traffico, del ménage domestico e dello<br />
studio grazie al telefono? Che impatto avevano avuto, specularmente, tutte quelle<br />
previsioni in un’Italia uscita dal dopoguerra? Quale ruolo avrebbe infine giocato<br />
la Penisola, ammesso ne avesse uno – e che poi ebbe – in questa pre-visione del<br />
<strong>futuro</strong> dal passato? Esisteva un qualche spirito critico nei confronti di questo<br />
fiabesco e rassicurante small world di un celebre motivetto disneyano?<br />
Man mano che trascorrevano i giorni all’inizio degli anni ’60, visti con occhio<br />
contemporaneo, emergeva che quel <strong>futuro</strong> si <strong>è</strong> realizzato secondo percorsi, quelli sì,<br />
allora imprevisti. Ma, paradossalmente, con la concretizzazione di quella profezia<br />
globalizzante, non solo si <strong>è</strong> accorciata la nostra percezione di storia, bensì si <strong>è</strong> insieme<br />
ridotta, fino a quasi sparire, la nostra percezione del domani. Un processo che, tra<br />
l’altro, ha prima visto cancellare il <strong>futuro</strong> come tempo, riducendolo concettualmente<br />
a luogo. Era l’America della Space Age, della scienza e della tecnologia narrata, per<br />
esempio, da Oriana Fallaci in Se il sole muore 15 . E ora, perdendone pure la<br />
localizzazione, si disperde in un “ovunque” purché interconnesso.<br />
<strong>Il</strong> <strong>futuro</strong> <strong>è</strong> <strong>sempre</strong> <strong>esistito</strong> <strong>è</strong> un titolo che aleggiava insistentemente tanto più si<br />
scavava in quel passato. Ma c’<strong>è</strong> da chiedersi pure se, oggi, il <strong>futuro</strong> esisterà ancora.<br />
Troppo veloce e ricco di variabili <strong>è</strong> il cambiamento, al pari di organismi e funzioni<br />
la cui evoluzione emerge dal basso in maniera rapidissima, complessa e<br />
incontrollabile. Un processo che si spinge fino a impadronirsi di noi, facendoci<br />
arrivare a dubitare se gli sopravvivremo, come nella splendida metafora<br />
dell’innovazione narrata da Michael Crichton in Preda 16 .<br />
Un avvenire, in effetti, potrebbe essere immaginato non più come capacità di<br />
interconnettere – prima la rete ferroviaria, poi quella telefonica, quindi il web – ma<br />
come quella di comprendere l’eccesso di informazione, i Big Data che coagulano<br />
in qualche punto della rete. Questo riapre, però, una vecchissima diatriba tra<br />
apocalittici e integrati (se la semplificazione <strong>è</strong> consentita), una controversia tra<br />
visioni pessimistiche e ottimistiche che, anche quella, “<strong>è</strong> <strong>sempre</strong> esistita” e che<br />
dovremmo magari poter superare ricorrendo a un approccio laico al (breve) <strong>futuro</strong><br />
che riusciamo a pensare.<br />
Per sua natura il domani, come “luogo”, ha <strong>sempre</strong> avuto bisogno di una<br />
narrazione che lo rappresentasse declinata in una qualche forma espressiva: dal<br />
design fino ai racconti di fantascienza. Altrimenti, il <strong>futuro</strong> non sarebbe potuto<br />
esistere.<br />
21
Ma pian piano che si entrava nei laboratori di ricerca degli anni ’50, negli uffici<br />
degli addetti alle pubbliche relazioni dei primi anni ’60 o tra gli scaffali dei<br />
collezionisti di science fiction (sci-fi) prendeva corpo l’ipotesi che non solo le<br />
elaborazioni dell’immaginario – tanto nei prodotti che nelle narrazioni – ma pure<br />
concrete e palpabili tecnologie di quella stagione hanno costituito l’occasione per<br />
porre le basi culturali di come viviamo oggi, pur avvalendoci di altre commodity.<br />
Quella che si racconterà, insomma, non <strong>è</strong> una storia delle tecnologie, <strong>è</strong> semmai<br />
una storia degli usi (possibili) delle tecnologie e di quanto gli artefatti culturali<br />
emersi all’inizio degli anni ’60 abbiano contribuito, grazie all’idea di <strong>futuro</strong>, a<br />
caratterizzare il nostro presente. Lasciandoci sorpresi, come se fossero autentiche<br />
profezie pronunciate in un passato remoto. Che invece, <strong>è</strong> poco più che ieri.<br />
22
Note<br />
1<br />
“Nel 2000 i telefoni faranno tutto loro”, “Trapani Nuova”, 26 giugno 1962, pag. 3.<br />
2<br />
La digitalizzazione del periodico <strong>è</strong> stata resa possibile grazie alla collaborazione di<br />
Lorenzo Gigante con Giovanni e Laura Montanti, figli del fondatore e direttore del<br />
giornale, Antonio Montanti, poi anche parlamentare tra le file del Pri. Cfr.<br />
www.trapaninostra.it: http://www.trapaninostra.it/Edicola/Trapani_Nuova_1962_anno_04<br />
_n_025.pdf<br />
3<br />
Luigi Grassia, “Un articolo del 1962 immaginava i cellulari multimediali”, “La<br />
Stampa”, 13 aprile 2013, http://www.lastampa.it/2013/04/13/societa/un-articolo-delimmaginava-i-cellulari-multimediali-s8AUULoGOGtuaFtsF7ppHM/pagina.html.<br />
4<br />
Giovanni De Mauro, “Videofono”, “Internazionale”, 19 aprile 2013, Cfr.<br />
http://www.internazionale.it/opinioni/giovanni-de-mauro/2013/04/19/videofono/.<br />
5<br />
“La Zagaglia” era una pubblicazione a cadenza trimestrale nata a Lecce nel marzo<br />
1959 sotto la direzione di Mario Moscardino.<br />
6<br />
James E. Webb, “I programmi spaziali americani per il progresso delle scienze (II)”,<br />
“La Zagaglia”, anno VI, n. 21, marzo 1964, pag. 20-21.<br />
7<br />
James E. Webb, “I programmi spaziali americani per il progresso delle scienze (I)”, “La<br />
Zagaglia”, anno V, n. 19, settembre 1963, pag. 263.<br />
8<br />
“Passeggiata in autobus attraverso la città”, “Trapani Nuova”, 26 giugno 1962, pag. 4.<br />
9<br />
James E. Webb, “I programmi spaziali americani per il progresso delle scienze (I)”, “La<br />
Zagaglia”, anno V, n. 19, settembre 1963, pag. 275-276.<br />
10<br />
Poletti era stato ricevuto da papa Giovanni XXIII, mentre il progetto della New York<br />
World’s Fair era stato presentato in una conferenza alla stampa italiana.<br />
11<br />
Brani da “Nel 2000 i telefoni faranno tutto loro”, “Trapani Nuova”, 26 giugno 1962,<br />
pag. 3. Cfr.http://www.trapaninostra.it/Edicola/Trapani_Nuova_1962_anno_04_n_025.pdf.<br />
12<br />
Brani da “Voleranno nello spazio con i satelliti spettacoli tv e dialoghi al telefono”,<br />
23
“Stampa Sera”, 20-21 ottobre 1961, pag. 3.<br />
13<br />
<strong>Il</strong> ritaglio di “Trapani Nuova” <strong>è</strong> stato oggetto di numerose condivisioni su Facebook,<br />
tra cui quella di Mario Gerosa dalla quale si <strong>è</strong> preso spunto per questa ricerca, mentre<br />
l’articolo di “Stampa Sera” <strong>è</strong> frutto di una ricerca nell’archivio storico del giornale torinese.<br />
14<br />
Stephen King, 22/11/’63, Sperling & Kupfer, 2011.<br />
15<br />
Oriana Fallaci, Se il sole muore, Rizzoli, 1965.<br />
16<br />
In un laboratorio del Nevada – immagina Crichton – viene brevettato uno sciame di<br />
nanoparticelle dotate di un’intelligenza evolutiva che sfugge al controllo dei suoi creatori<br />
iniziando a muoversi in modo autonomo, evolvendosi e attaccando l’uomo. Michael<br />
Crichton, Preda, Garzanti, 2003.<br />
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