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FALSOPIANO
il
Renzo Penna
LAVOROCOMEVALORE
La F.L.M. - Gli anni delle lotte sociali,
della tensione, dei diritti
e dell’unità
●
(1968 1980)
PREFAZIONE DI MAURIZIO LANDINI
EDIZIONI
FALSOPIANO
Ai lavoratori, alle lavoratrici,
alle delegate e ai delegati
della Lega F.L.M.
di Alessandria.
Roma, 25 giugno 1982. Lo striscione della Lega FLM di Alessandria per le strade della capitale
Renzo Penna
il
LAVOROCOMEVALORE
Quando c’era la F.L.M.
Gli anni delle lotte sociali,
della tensione, dei diritti
e dell’unità
●
(1968 1980)
PREFAZIONE DI MAURIZIO LANDINI
EDIZIONI
FALSOPIANO
La pubblicazione del libro è stata realizzata in collaborazione con la Camera
del Lavoro di Alessandria in occasione delle iniziative per il 120° Anniversario
della sua fondazione e condivisa con l’Istituto per la Storia della Resistenza e
della Società Contemporanea in provincia di Alessandria “Carlo Gilardenghi”.
INDICE
La classe operaia alessandrina
di Massimo Pozzi p. 13
Per i 120 anni della Camera del Lavoro
di Franco Armosino p. 15
La Storia siamo noi
di Mariano G. Santaniello p. 16
Prefazione
di Maurizio Landini p. 19
Perché si attacca il sindacato
di Luciano Gallino p. 22
Con il permesso degli operai p. 23
1967 - 1969 (MILANO p. 25
Riforma delle pensioni e “gabbie salariali” p. 26
Il rinnovo dei Contratti e lo “Statuto” p. 32
Le Bombe di Milano e la “Strategia della tensione” p. 37
L’Alfa Romeo e la condizione operaia p. 40
Il Movimento degli studenti e l’“Autunno caldo” p. 43
Il terrorismo in fabbrica p. 52
1968 - 1969 (ALESSANDRIA) p. 59
Le proteste degli studenti p. 60
Il Sindacato scuola della CGIL p. 62
Industria e occupazione 1958-1968 p. 68
Arriva la “Michelin” p. 72
La Camera del Lavoro: da Vignolo a Ravera p. 75
I congressi di CGIL e CISL p. 78
1970 - 1973 p. 85
“Ricci”: la Fabbrica p. 86
La stagione delle Riforme p. 89
L’unità sindacale e la FLM p. 96
L’occupazione della IMES p. 106
La Montedison di Spinetta Marengo p. 111
Avversari e critici dell’unità p. 115
A Reggio: “Nord e Sud uniti nella lotta” p. 118
Il Contratto delle “150 ore” p. 121
1° Maggio e vertenza Michelin p. 126
L’VIII Congresso della CGIL p. 130
La prima sede della FLM in Italia p. 134
1973: Un anno di cruciali accadimenti p. 138
Immagini p. 149
1974 - 1976 p. 173
“Ricci”: il Consiglio di fabbrica p. 174
Il massacro del Don Soria p. 180
Vertenza con il Governo e le “stragi nere” p. 185
Il “Cottimo” e la Cassa integrazione p. 195
Consiglio di Zona e “Mercatini rossi” p. 206
Guglielmo Cavalli e i Socialisti della CGIL p. 217
Progetto Storti e “Prima parte” del Contratto p. 220
Il mancato “sorpasso”, la Borsalino e Seveso p. 235
L’insidia del terrorismo rosso p. 241
1977 p. 253
Il tramonto dell’ “Età dell’oro” p. 254
Il costo del lavoro p. 256
Il IX Congresso della CGIL p. 266
La FIOM a Bologna, la CGIL a Rimini p. 274
La CISL a Congresso p. 277
Benvenuto al Congresso UIL p. 279
La Lega FLM di Alessandria si rinnova p. 280
Alessandria: crisi dell’industria e declino p. 282
Le vicende di Safiz e Radioconvettori p. 284
Le “Conferenze” di: Montedison, Borsalino e Baratta p. 295
Sciopera l’industria e gli “autonomi” contestano p. 303
Perché la FLM decide di tornare a Roma p. 306
1978 - 1979 p. 319
L’intervista di Lama e l’Assemblea dell’EUR p. 320
Moro nel “carcere del popolo” p. 324
A Torino il Congresso del Partito Socialista p. 329
Vertenze di fabbrica e aziende in crisi p. 335
Preoccupa la situazione della “Panelli” p. 344
CGIL: Ravera al Regionale, Cavalli Segretario p. 349
Il rinnovo di un difficile Contratto p. 354
IMES: da Montedison a SICMU p. 363
Il SSN: l’ultima delle grandi riforme p. 368
Il corso 150 ore “Donne e salute” p. 371
Il “ventre molle” del triangolo industriale p. 373
Ariccia, Montesilvano e... la FIAT p. 377
Nicola Basile: “Il Sindaco di tutti” p. 383
Immagini p. 393
1980 p. 439
Torniamo alla “Benedicta” p. 440
I Comprensori della CGIL p. 446
Lotta al terrorismo e fabbriche in crisi p. 450
“Vertenza Valenza” e Contratto artigiani p. 456
Tortona: giovani e sindacato p. 458
FIAT: “I trentacinque giorni” p. 460
Bologna: la strage nera p. 475
Crisi FIAT: le ricadute in provincia p. 477
1981 - 1982 p. 489
Si riparte, dopo la sconfitta p. 490
La lista della “P2” p. 500
Le quattro unità p. 502
I Congressi di UIL e CISL p. 506
Il X Congresso della CGIL p. 509
Un Movimento in piedi p. 515
La FIOM a Milano, la CGIL a Roma p. 520
La mobilitazione per la pace p. 526
La crisi diviene strutturale p. 528
Piattaforme, consultazioni e...“scala mobile” p. 539
Centrale nucleare a “Filippona”? p. 549
Gli Argenti in mostra p. 553
Il Contratto più sofferto p. 558
Lotte per difendere il lavoro p. 572
Torino, la manifestazione dei “cassintegrati” p. 585
Natale 1982: l’albero delle fabbriche in crisi p. 592
Cavalli alla FIOM Regionale e... “Renzo ti tocca” p. 594
Immagini p. 615
Bibliografia p. 655
Alessandria, 22 aprile 1975 - I lavoratori dell'argenteria “Ricci”, al termine della
manifestazione del Consiglio unitario di Zona, in Piazza della Libertà con il Consigliere
regionale Luciano Raschio
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ilLAVOROCOMEVALORE
La classe operaia alessandrina
di Pier Massimo Pozzi*
In questo libro, Renzo Penna ha descritto parte del suo percorso nel sindacato,
in CGIL, dalle prime esperienze lavorative nel 1967 sino agli anni ’80. Come scrive
Renzo in conclusione del libro, quegli anni sono stati per lui: “gli anni migliori, i
più intensi quelli trascorsi, prima in fabbrica nel Consiglio di fabbrica della Ricci,
e poi nella Lega di zona della FLM, con i tanti delegati e le delegate, con le lavoratrici
e i lavoratori delle fabbriche metalmeccaniche e argentiere di Alessandria”.
Il suo impegno sindacale è poi proseguito con incarichi di grande responsabilità
nella Camera del Lavoro di Alessandria e nella CGIL Regionale sino agli inizi degli
anni ’90.
Dopo l’impegno nel sindacato è stato eletto in Parlamento e, anche da deputato
e nei diversi ruoli politici ed amministrativi in Provincia e nel Consiglio comunale
di Alessandria, è stato un punto di riferimento del mondo del lavoro.
Questo libro non è quindi un racconto autobiografico, non solo perché si riferisce
alla parte “pubblica” del mestiere di sindacalista di Renzo, ma perché mette in correlazione
quel mestiere con la storia del nostro Paese e descrive, all’interno di quegli
avvenimenti storici, il ruolo della classe operaia alessandrina.
Sta lì, a mio avviso, la peculiarità del libro che può essere descritto anche come
un volume di storia vissuta.
Un volume non solo per “ampiezza” ma perché può essere letto e consultato da
tutti quelli che, per interesse personale o per studio e ricerca, intendano approfondire
quel periodo dal punto di vista sindacale, sociale e politico.
Sono stati quelli, dalla fine degli anni sessanta ai settanta, gli anni delle maggiori
conquiste per le lavoratrici ed i lavoratori.
Quindi comprendo bene il sentimento dell’autore nel descrivere quegli anni
come “i migliori” per lui. E lo comprendo ancora di più avendo intrapreso il mio
percorso nel sindacato immediatamente dopo tale periodo, quello degli anni ottanta,
iniziati con la marcia dei 40.000 e la sconfitta in FIAT.
Conoscendo Renzo non mi ha sorpreso la precisione nella stesura, aiutato in questo,
credo, dalla sua formazione tecnica; in questo senso mi permetto di citare solo
uno dei tanti ricordi che mi accomunano a Renzo anche se sicuramente non tra i più
significativi.
Come viene citato nell’ultimo capitolo del libro a proposito del “ti tocca”, a me
“toccò” sostituire Renzo nella segreteria provinciale della FIOM e più precisamente
come responsabile della Lega FLM della zona di Alessandria.
Fu per me una fortuna riuscire a partecipare alla parte finale della grande stagione
unitaria dei metalmeccanici, la mitica FLM, e fu un’esperienza formativa che si è
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Renzo Penna
rivelata molto utile nel corso della mia attività sindacale.
Ero molto preoccupato dalla proposta di sostituire Renzo Penna, non per l’elezione
in sé ma perché temevo di non essere all’altezza.
In uno dei colloqui preliminari in vista del passaggio di consegne, notai dietro
le sue spalle un foglio protocollo a quadretti dove erano elencate in una specie di
griglia tutte le fabbriche della Lega e a fianco di ognuna dieci quadretti alcuni colorati
di rosso: mi spiegò che alla fine dell’anno tutte le griglie dovevano essere colorate
perché ciò avrebbe significato che tutte le assemblee programmate erano state
svolte.
Un diagramma sulla produzione che il tecnico Penna aveva adattato alla produzione
del sindacalista… non nascondo che in quel momento la mia preoccupazione
aumentò!
Le belle foto e la ricca documentazione completano il libro che si può leggere
come un saggio o per capitoli: in ogni modo una lettura interessante per meglio
comprendere le molteplici sfumature del “fare sindacato”.
*Segretario generale CGIL Piemonte
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ilLAVOROCOMEVALORE
Per i 120 anni della Camera del Lavoro
di Franco Armosino*
Nel 120° anno della fondazione della Camera del Lavoro di Alessandria, Renzo
Penna ci regala questo libro con una parte importante della nostra storia di Sindacato
e della sua storia personale ed è racconto del territorio alessandrino e dell’Italia in
quei 15 anni che iniziano nel 1968 e che, come lui ci racconta, sono gli anni delle
lotte sociali, della tensione, dei diritti e dell’unità. Un concentrato di passioni che
ci piace definire “militanza” in un contesto mondiale caratterizzato dai blocchi occidentale
e orientale, gli americani e i russi e un partito comunista italiano eretico e
che appariva in alcune parti del paese onnipotente.
È storia di metalmeccanici, punto di riferimento sociale, politico e culturale nel
paese, le tute blu di quel movimento operaio che incutevano rispetto e credibilità a
prescindere dalle idee, dalla fede politica e religiosa e perfino dagli estremismi.
È storia unitaria di Sindacati confederali che nella FLM trovano sintesi e unità
d’azione per un progetto straordinariamente moderno e visionario capace di dialogare
con studenti medi e universitari per immaginare le “150 ore”. Un’idea di crescita
collettiva gratuita e, grazie alla politica contrattuale, resa accessibile, aprendo
un capitolo importante nell’evoluzione dei contratti nazionali con il tema del diritto
allo studio e poi della formazione anche sui luoghi del lavoro.
Renzo ci racconta di piccole e grandi vittorie sindacali in una provincia al centro
di quel triangolo industriale che mette in ombra il resto del paese, con quel protagonismo
metropolitano determinante, nel bene e nel male, che alterna le conquiste
sindacali e sociali che trascinano anche il movimento operaio più periferico. Ci racconta
di eventi che hanno nelle grandi città la scena principale o comunque il punto
in cui si genera il principio di azione e reazione con le stragi nere, il terrorismo nero
e rosso il rapimento e l’omicidio di Aldo Moro e della sua scorta e, per noi della
CGIL, il giorno più oscuro dell’uccisione dell’operaio delegato di fabbrica Guido
Rossa.
I trentacinque giorni della FIAT aprono, con la grande sconfitta operaia, un’era
di declino che travolge progressivamente le generazioni successive non solo per
l’involuzione del mondo del lavoro segnato dalla precarietà, ma anche per la crisi
di identità culturale che ci lascia senza punti di riferimento e senza memoria.
Per recuperare questa memoria il libro di Renzo è un contributo importante e arriva,
per noi della Camera del Lavoro di Alessandria e per Renzo che ne è parte, in
un momento di svolta storica, economica e, ci auguriamo, culturale dove guardarsi
alle spalle può certamente essere utile per leggere il presente, forse il futuro, e per
provare a sbagliare il meno possibile.
*Segretario generale Camera del Lavoro di Alessandria
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Renzo Penna
La Storia siamo noi
di Mariano G. Santaniello*
I decenni compresi tra gli anni ’60 e gli ’80 del secolo scorso definirono senza
dubbio una stagione dirompente e straordinaria per l’evoluzione delle dinamiche
sociali nel mondo. È noto che quegli anni segnarono il definitivo affermarsi tra i
popoli del cosiddetto Terzo Mondo del principio di autodeterminazione che si esplicitò
con le lotte per la decolonizzazione e l’indipendenza di nuovi Stati. Nel mondo
occidentale, sviluppato e capitalistico, si conobbe una stagione di non comune fermento
sociale e culturale che vide un’intera generazione di giovani contestare, radicalmente
e profondamente, un sistema elitario, gerarchico e ingessato. Alcuni
Paesi d’oltre cortina promossero e attuarono importanti innovazioni sperimentali
del “socialismo reale”, innovazioni che si rivelarono rapidamente tanto entusiastiche
e vivaci quanto fragili e velleitarie, concludendosi con esiti anche drammatici, ma
che aprirono una breccia nel monolitismo del sistema sovietico che condusse, nell’arco
di pochi anni, alla caduta del Muro e di quei regimi autoritari. Il movimento
delle donne compì grandi passi in avanti, sviluppando una diffusa consapevolezza
collettiva che condusse ad innovative istanze sociali e alla conquista di maggiori
diritti, nella ricerca di una effettiva parità di genere e di un maggior coinvolgimento
delle donne nella società.
Ma in Italia la vera protagonista di quella stagione fu la classe operaia con i suoi
organismi rappresentativi ovvero il sindacato, nelle sue varie declinazioni e sensibilità,
ed i partiti e le associazioni che costituivano il movimento operaio. La vitalità,
l’entusiasmo, la forza di quegli anni furono le lotte e le battaglie che questi soggetti
seppero condurre per migliorare le condizioni salariali, implementare i diritti sociali
e civili, rafforzare la capacità di rappresentanza nelle dinamiche contrattuali non
solo con le parti datoriali; ciò fu possibile grazie al ruolo centrale che la classe operaia
seppe ritagliarsi nelle dinamiche sociali ed economiche. Sono di quegli anni le
grandi lotte operaie che portarono il movimento ad accrescere la propria funzione
nello svolgere un ruolo concretamente pro-attivo nella società italiana. Ciò avvenne
grazie alla capacità del movimento operaio di saper formare e far crescere al proprio
interno una nuova classe dirigente, espressione reale di quelle componenti sociali
che si rappresentavano. Una classe dirigente che sapeva interpretare i nuovi bisogni
e le nuove istanze sociali che la tumultuosa crescita economica dei primi decenni
della neonata Repubblica Italiana aveva saputo mettere in atto. Spesso questa nuova
classe dirigente era costituita da giovani operai, da impiegati tecnici e amministrativi
impegnati nelle fabbriche che utilizzarono, per crescere e formarsi, quella straordinaria
palestra di democrazia che è stato sempre il sindacato dei lavoratori. Attraverso
l’istituto sindacale quella generazione di quadri seppe costruire una propria cultura
politica e valoriale, ricca di competenze e di umanità, di relazioni e di paziente disposizione
all’esercizio della mediazione e della sintesi.
Tra coloro che costituivano questa nuova classe dirigente c’era anche Renzo
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ilLAVOROCOMEVALORE
Penna che intraprese allora quel percorso di formazione, politica e sentimentale,
che l’ha plasmato, forgiato e costruito, trasformando progressivamente quello che
era un giovane impiegato tecnico attivo all’interno della fabbrica, in un dirigente di
rilievo - sindacale prima e politico poi - e in un intellettuale a tutto tondo impegnato
nel panorama culturale, sociale e pubblico della sua città, Alessandria, e dell’intero
territorio provinciale. Una figura che ha saputo rappresentare più che degnamente
quella classe operaia di cui era figlio, sino al raggiungimento di incarichi prestigiosi
che ne hanno definito ulteriormente la cifra personale. Le pagine che seguono, scritte
da lui, costituiscono la quintessenza di quanto ho cercato sin qui di riassumere. Rappresentano
la storia di quella stagione, straordinaria e feconda, che fu il sindacalismo
italiano, di quegli anni, di quella temperie. Raccontano storie di lotte operaie dure,
articolate, complesse ed esaltanti. Narrano di una capacità di sintesi unitaria che
seppe condurre il più importante sindacato italiano di categoria per numero di iscritti
e rilevanza sociale, quello dei metalmeccanici, alla costituzione di un unico soggetto
unitario, la mitica FLM (Federazione dei Lavoratori Metalmeccanici), capace di
rappresentare le masse di lavoratori iscritti alle differenti federazioni collegate alle
tre sigle sindacali generali (CGIL, CISL e UIL) e, grazie a ciò, seppe condurre impegnative
vertenze e perseguire accordi assai rilevanti.
Di quella stagione, di quei momenti in provincia di Alessandria, Penna fu uno
dei protagonisti; oggi Renzo ha deciso di raccontare diffusamente questa sua esperienza
che fu, innanzitutto, un’esperienza di vita, una storia di formazione personale.
Quando egli, qualche mese fa, ci rese partecipi del suo progetto, noi dell’ISRAL,
non abbiamo avuto dubbi sull’opportunità di sostenere questa iniziativa. La riteniamo
un’opera importante, preziosa e utile per iniziare a definire storicamente quel
periodo del nostro recente passato che tanto peso ha avuto nella costruzione della
società attuale. Parliamo di un volume poderoso, documentato, dotato di importanti
testimonianze, arricchito con un rilevante corredo iconografico e fotografico, un
testo capace di raccontare, con dettagliata e meticolosa precisione, quella stagione
passata partendo da un punto di vista locale per rapportarsi, in un dialogo continuo,
con il contesto nazionale e internazionale, passando progressivamente dalla microstoria
alla macrostoria.
Insomma mai come in questo caso è corretto dire che... la Storia siamo noi!
*Presidente ISRAL
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Interno fabbrica Argenteria “Ricci & C S.p.A.” (Catalogo azienda, 1966)
18
ilLAVOROCOMEVALORE
PREFAZIONE
Non dimenticare la nostra storia
di Maurizio Landini*
Il libro di Renzo Penna ricostruisce una lunga e complessa storia del movimento
sindacale del nostro paese, quella che va dalla fine degli anni ’60 all’inizio degli
anni ’80 del secolo scorso.
È una storia intensa nella quale l’autore, con intelligenza e passione, ci parla
delle lotte operaie della sua città, Alessandria, senza mai distogliere lo sguardo e
l’attenzione dagli eventi importanti che hanno caratterizzato in quegli anni la vita
politica, sociale, culturale del nostro paese e, in essa, del sindacato stesso (del mondo
del lavoro).
In questa storia complessa gli anni ’60 del secolo scorso rappresentano una tappa
di fondamentale importanza. È proprio da lì che muove il libro di Renzo Penna.
In quegli anni, infatti, maturano trasformazioni profonde nell’organizzazione del
lavoro e nei processi produttivi. L’industria occupava la gran parte della forza lavoro
e rappresentava il settore trainante dell’economia del paese.
Una crescita intensa, forse mai conosciuta in precedenza, che al tempo stesso
produceva contraddizioni e conflitti. È in questo quadro che prende corpo un ciclo
straordinario di lotte operaie che dalla fine degli anni ’60 si sviluppò per più di dieci
anni e cambiò profondamente gli equilibri economici e sociali del nostro paese.
Non fu un’esplosione improvvisa. Già dai primi anni ’60, infatti, la vertenza
degli elettromeccanici a Milano, le vertenze dell’Alfa, della Siemens segnarono l’avvio
di un nuovo protagonismo operaio. Quel quadro, come mette bene in evidenza
il libro di Renzo Penna, è ulteriormente arricchito dalle lotte per le pensioni e contro
le gabbie salariali che verranno definitivamente superate nel 1975.
È in questo contesto, quindi, che prende corpo l’autunno caldo che costituisce
un vero e proprio salto di qualità. Per due ragioni. In primo luogo per i contenuti di
quelle lotte, che non investono più solo l’orario ed il salario ma, più in generale,
l’intera organizzazione del lavoro “fordista”: i ritmi, il cottimo, la salute, l’egualitarismo,
cioè la riduzione delle disuguaglianze retributive. Testimonianza di ciò fu
proprio la piattaforma dei metalmeccanici per il rinnovo del contratto del 1969. Lì
vi erano le 40 ore settimanali, il diritto di assemblea, il riconoscimento del diritto,
fra un contratto nazionale di categoria e l’altro, di aprire vertenze aziendali. In secondo
luogo, prendono corpo nuove forme di democrazia e di rappresentanza: i consigli
di fabbrica ove i delegati venivano eletti su scheda bianca e alla loro elezione
partecipavano tutti i lavoratori, anche quelli non iscritti alle organizzazioni sindacali.
Un’esperienza importante, che tra l’altro, contribuì a rafforzare la stessa unità sindacale
con la costituzione della FLM, la federazione dei tre sindacati metalmeccanici
19
Renzo Penna
di CGIL, CISL, UIL, e con il Patto di unità di azione tra le Confederazioni.
Anche Alessandria, la città dove inizia la sua esperienza sindacale l’autore del
libro, vive intensamente quegli anni. Ad esempio, sulla riforma delle pensioni e
nella lotta per il superamento delle gabbie salariali, la partecipazione degli operai
delle fabbriche di quella città è molto ampia. Così è nella Ricci e nelle altre principali
fabbriche di argenteria: nella Cesa, Guerci, Goretta. E così sarà, negli anni seguenti,
per le aziende metalmeccaniche.
Quella straordinaria esperienza, grazie ai contenuti innovativi delle lotte e alle
nuove forme della rappresentanza, si prolungherà per gran parte degli anni ’70 e,
come è documentato nel libro, incontrerà un nuovo soggetto: il movimento degli
studenti. Un incontro che realizzò un secondo intreccio tra la spinta antiautoritaria
del movimento studentesco del ’68 e i contenuti delle lotte operaie del ’69. e in quegli
anni si strapparono altri risultati importanti come ad esempio le 150 ore da dedicare
non solo e non tanto all’aggiornamento professionale, ma allo studio e alla
cultura generale.
Grazie a quelle importanti esperienze che animarono quegli anni, il nostro Paese
conobbe una intensa fase di crescita democratica che produsse anche importanti riforme:
lo Statuto dei lavoratori, il Servizio Sanitario Nazionale, il nuovo assetto
delle pensioni, la nuova psichiatria che porta alla chiusura dei manicomi, la legislazione
sull’aborto. Inoltre, quella spinta democratica investì molti aspetti della vita
sociale con la nascita e la diffusione dei comitati di quartiere, con l’affermarsi delle
comunità cristiane di base, con i collettivi femministi.
Alla fine degli anni ’70 quella grande stagione democratica e di conquiste operaie
rifluisce. A questo esito contribuiscono diversi fattori. In primo luogo la strategia della
tensione, gli attacchi fascisti, la deriva del terrorismo. In secondo luogo, si apre, a partire
dalle fabbriche, una fase del tutto diversa. La drammatica vicenda della FIAT nel
1980 rappresenta una prova generale e l’avvio di una pesante controffensiva padronale
nei confronti di quanto i lavoratori erano riusciti a conquistare con le lotte degli anni
’60/’70. Inoltre, a quelle lotte si rispose riorganizzando i cicli produttivi: la grande
impresa si decentra, si esternalizzano parti del processo produttivo affidate a una rete
diffusa di piccole e medie imprese con salari più bassi e diritti aleatori.
Sono questioni con cui ancora oggi siamo chiamati a fare i conti. E credo che libri
come quello di Renzo Penna che intreccia la sua esperienza personale, prima come
delegato poi come dirigente di primo piano della CGIL del Piemonte, con la storia
delle lotte di un territorio e del Paese intero, siano davvero utili. È difficile, infatti,
progettare il futuro senza ragionare sul passato. Oggi abbiamo un compito non semplice:
ricostruire un protagonismo del mondo del lavoro. È un percorso lungo, irto di
ostacoli ma irrinunciabile. Da tempo, infatti, il valore e il peso del lavoro nella società,
nella politica e nella stessa percezione di chi lavora sono stati stravolti e indeboliti.
Le pagine del libro di Renzo Penna ci dicono come negli anni ’60/’70 del secolo scorso
c’era una vicinanza di coloro che lavoravano e una omogeneità nelle condizioni di lavoro.
Oggi non è così. La logica del sistema dell’appalto, del subappalto, delle gare
al massimo ribasso, dei processi di esternalizzazione e di delocalizzazione ha spinto
le imprese a organizzare un sistema produttivo e occupazionale fondato sul criterio
20
ilLAVOROCOMEVALORE
della competizione al ribasso. Si è fatto credere che comprimendo diritti e tutele si
potesse avere una ripresa della crescita e dello sviluppo. Questo non è successo e si è
avuto invece un peggioramento delle condizioni di lavoro. Lavoro precario, part-time
involontario, riduzione dei diritti hanno prodotto una condizione diffusa fatta di disagio
e di esclusione. Sono processi che rischiano di produrre forme sistematiche di emarginazione.
Fenomeni che colpiscono in particolare giovani e donne. Lo stesso utilizzo,
oggi, dell’innovazione tecnologica, apre nuove contraddizioni e rischia di produrre
divisioni tra chi detiene il sapere e svolge funzioni strategiche nelle imprese e chi è
costretto a lavori precari ripetitivi e di scarsa qualità.
Per tutte queste ragioni c’è bisogno di un impegno straordinario teso a riunificare
un mondo del lavoro frammentato e diviso. Per questo è importante, come lo fu
negli anni ’60-’70 difendere il contratto nazionale, ampliare la contrattazione aziendale,
dare vita a forme di democrazia e rappresentanza capaci di raccogliere la complessità
delle condizioni di lavoro e di unire ciò che oggi è diviso.
Inoltre, c’è bisogno di ripensare e rimodellare le politiche di sviluppo. Infatti,
decenni di politiche liberiste hanno lasciato credere che il mercato, libero di agire,
avrebbe portato crescita e benessere per tutti. Invece proprio l’attuale modello di
crescita ha portato ad un aumento delle disuguaglianze tra le persone e alla rottura
degli equilibri e dei rapporti con la natura.
Per questo diventa oggi assai concreta e urgente la battaglia e l’iniziativa per affermare
un nuovo modello di sviluppo orientato verso la qualità delle produzioni,
la rivalutazione dei beni comuni e pubblici, la qualità sociale, la conoscenza e la
cultura. Esiste una grande domanda inevasa su cui declinare nuove politiche di sviluppo:
risanamento del territorio e delle aree urbane, mobilità collettiva, fonti di
energia rinnovabili, salute e istruzione, economia circolare e manutenzione programmata.
Tutto ciò significa porre la stessa industria al servizio di uno sviluppo
equilibrato e sostenibile sul piano sociale e ambientale. Una nuova qualità dello sviluppo
vuole dire valorizzare il lavoro, riconoscere spazi di autonomia, di libertà, di
autorealizzazione. E ciò significa investire sulla intelligenza delle lavoratrici e dei
lavoratori, sulla formazione permanente quale diritto soggettivo. Il mondo del lavoro,
infatti, deve essere protagonista del cambiamento, deve poter avere voce sulla
natura degli investimenti e sugli indirizzi dell’impresa. Centralità del lavoro, quindi,
non solo nell’azione sindacale ma nella cultura politica del Paese e, più in generale,
nella cultura del Paese.
Dal libro di Renzo Penna emerge con chiarezza che le fasi più intense e innovative
delle lotte dei lavoratori e delle lavoratrici hanno coinciso con un esplicito impegno
unitario del sindacato. Oggi, se si vuole dare maggiore forza alla battaglia
per la riunificazione del mondo del lavoro, per una nuova qualità dello sviluppo è
importante avviare una fase nuova di un sindacato unitario, plurale, democratico.
Anche per queste ragioni, abbiamo bisogno di non dimenticare la nostra storia.
Da essa, infatti, dobbiamo trovare il nutrimento e le ragioni di un rinnovato impegno
per dare nuova centralità e qualità al lavoro e per cambiare la società.
*Segretario Generale CGIL
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Renzo Penna
Perché si attacca il Sindacato
di Luciano Gallino*
... L’attacco ai sindacati è da tempo evidente anche in Italia. Benchè non siano
propriamente una formazione politica, nel trentennio del dopoguerra i sindacati
hanno avuto un peso significativo nel modificare la distribuzione dei redditi a favore
dei lavoratori dipendenti e, soprattutto, nell’estendere i diritti dei lavoratori.
Proprio per queste due ragioni, i sindacati stanno subendo un forte attacco da
parte dei governi di centro-destra e perfino da parte dei governi di centro-sinistra,
in Europa, fin dagli anni Ottanta.
I governi hanno fatto il possibile per indebolire il potere e anche la rappresentatività
dei sindacati. Basti pensare agli interventi di Margaret Thatcher, seguiti a quelli
del presidente americano Ronald Reagan.
... Si inserisce in questo quadro anche la campagna in corso, scatenata in Italia
da alcuni anni, con il centro-destra che dipinge i sindacati come retrogradi, relitti di
un’epoca passata, istituzioni non più funzionali all’industria e ai servizi moderni.
Perfino gran parte del centro-sinistra sostiene che essi si debbano “modernizzare”,
ossia debbano accettare qualsiasi condizione di lavoro le imprese propongano loro.
Tutto questo fa parte di una lotta di classe che non attacca direttamente la classe,
ma quello che, volere o no, ha rappresentato fino ad oggi un suo importante baluardo.
... Una mano a indebolire il sindacato l’ha data anche la Corte di Giustizia europea,
un organismo le cui decisioni appaiono fortemente orientate dall’ideologia neoliberale.
Essa si è più volte pronunciata contro iniziative sindacali intese a ridurre il
dumping salariale tra i paesi UE o la violazione della legislazione sul lavoro del
paese ospitante, più avanzata, da parte di un’impresa ospite.
... Sono infiniti i campi della società in cui si può condurre la lotta di classe dall’alto
verso il basso.
*Da La lotta di classe dopo la lotta di classe, Laterza, 2012
22
ilLAVOROCOMEVALORE
CON IL PERMESSO DEGLI OPERAI
La Fabbrica distava, da casa mia, poche centinaia di metri che, anche quella mattina,
avevo percorso a piedi. Dopo tre anni di pendolarismo settimanale da e per
Milano allo stabilimento del Portello dell’Alfa Romeo ero rientrato in Alessandria.
L’azienda dove, da pochi giorni, lavoravo si trovava al quartiere Cristo, nella parte
a sud della città, lungo il Corso in direzione di Acqui Terme e prossima al cascinale
della Boida, su terreni di proprietà dei fratelli Lenti. Qui, negli anni Cinquanta, i titolari
della società anonima “Ricci & C”, che in origine aveva sede nel quartiere
Pista 1 , progettarono e realizzarono la costruzione di un nuovo e moderno stabilimento
e, tra il 1958 e il ’59, vi trasferirono la fabbrica. Lo sviluppo economico del
dopoguerra trovò la Ricci e le altre realtà dell’argenteria industriale alessandrina
preparate e in grado di rispondere all’aumento della domanda interna di oggetti in
argento, sia acquistati come investimento famigliare, che come regalo di prestigio.
Questo positivo andamento, favorito da una sostanziale stabilità della materia prima,
toccò il suo massimo tra la seconda metà degli anni sessanta e l’inizio dei settanta
quando la Ricci raggiunse e superò i 200 dipendenti, lavorando ogni anno decine di
tonnellate d’argento. 2
Quella mattina, dei primi giorni del settembre 1969, l’ingresso della fabbrica era
presidiato e lo spazio di fronte interamente occupato dagli operai in sciopero per il
rinnovo del Contratto Nazionale di lavoro. Il primo incontro per l’avvio delle trattative
contrattuali tra FIM, FIOM, UILM e Confindustria si era svolto l’8 settembre
’69. La riunione durò molto poco e si concluse con una rottura per la pregiudiziale
di Confindustria tendente a riaffermare i limiti della contrattazione aziendale che,
da applicativa delle norme del Contratto 1966, era diventata, nella prassi, integrativa.
Gli scioperi iniziarono l’11 settembre nelle aziende private ed il 16 in quelle a partecipazione
statale. 3
Assunto l’ultima settimana di agosto, con la ripresa del lavoro dopo le ferie,
come impiegato tecnico e responsabile dei reparti iniziali della produzione: la fonderia,
la laminazione, gli stampaggi di posateria e argenteria e la tornitura in lastra,
mi trovavo nel pieno del previsto periodo di prova. Nessuno degli impiegati dell’azienda
aveva mai partecipato ad uno sciopero e tale condizione veniva, se non
compresa, almeno accettata e considerata normale dagli altri lavoratori. In quella,
come in altre analoghe occasioni, che negli ultimi anni erano diventate più frequenti,
l’ingresso in fabbrica delle auto degli impiegati veniva accompagnato da fischi e
rimbrotti, anch’essi considerati, da entrambe le parti, normali.
Sulla sinistra dell’ingresso principale si poteva accedere, salendo pochi gradini,
direttamente agli uffici. Arrivato in prossimità della fabbrica, dal gruppo dei manifestanti
si alzarono un paio di fischi che, chiaramente, mi riguardavano. Istintivamente,
invece di salire e entrare in azienda, mi diressi verso gli operai. Mi informai
sulle ragioni dello sciopero, espressi il mio convinto sostegno e, conosciuta la mia
condizione di lavoratore appena assunto e non ancora confermato, Ettore Sacco, lo
storico e principale esponente sindacale della Ricci, nonché riferimento degli ar-
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Renzo Penna
gentieri alessandrini, mi concesse una sorta di permesso, un lasciapassare.
Così entrai al lavoro, non solo senza fischi, ma con la condivisione di chi stava
scioperando. Naturalmente la scena non passò inosservata, fece discutere e alimentò
nella dirigenza una curiosità mista a qualche primo sospetto.
Alessandria, Corso Acqui n. 41/A - Stabilimento “Ricci & C” S.p.A. (Catalogo azienda, 1966)
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ilLAVOROCOMEVALORE
1967-1969
(Milano)
La riforma delle pensioni, le “gabbie salariali”
e i morti di Avola.
L’ “Alfa Romeo” del “Portello” e la condizione operaia.
Il Movimento degli studenti e l’“Autunno caldo”.
La Milano di Giovanni Testori.
Le bombe dell’eversione nera e gli operai
a difesa della democrazia.
I metalmeccanici in 100 mila a Roma.
Il Contratto di lavoro alla vigilia di Natale.
Con lo “Statuto” la Costituzione entra in fabbrica.
La “strategia della tensione”
e il terrorismo rosso.
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Renzo Penna
RIFORMA DELLE PENSIONI E “GABBIE SALARIALI”
Un anno prima, nel medesimo arco di tempo, tra i primi mesi del 1968 e l’inizio
del ’69, CGIL, CISL e UIL riprendendo, dopo la lunga epoca delle divisioni, l’iniziativa
e la mobilitazione unitaria, avevano condotto a termine con successo due
importanti rivendicazioni: la riforma delle pensioni con il Governo e l’abbattimento
delle cosiddette “gabbie salariali” con le Associazioni imprenditoriali delle aziende
pubbliche e private. E, in entrambe le vertenze, la partecipazione agli scioperi degli
operai della Ricci e delle altre principali fabbriche di argenteria della città: Cesa,
Guerci e Goretta, era stata massiccia. Dall’archivio fotografico della FIOM di Alessandria
riportiamo le immagini di uno sciopero-manifestazione degli argentieri appositamente
deciso a sostegno del superamento delle “zone salariali” (F. 1, 2, 3).
Siamo nell’autunno del 1968, il concentramento è al quartiere Cristo di fronte allo
stabilimento della Ricci dove si forma il corteo che, percorrendo Corso Acqui e superando
il cavalcavia, raggiunge il centro di Alessandria. La Cesa, con la Ricci la
fabbrica con più addetti nel settore, aveva la sede tra via Trotti e via Legnano, prossima
a quella dell’Unione Industriale provinciale. Dalle sigle dei cartelli si evidenzia
che, tra questi lavoratori, la FIOM era nettamente il sindacato con più iscritti.
La Riforma delle pensioni
Per portare a termine la riforma delle pensioni furono necessari due scioperi generali,
il 14 novembre 1968 e il 5 febbraio ’69. Entrambi registrarono una forte adesione
della classe operaia che si mostrò molto sensibile al tema della previdenza.
Infatti una precedente intesa, raggiunta con il governo Moro sul finire della legislatura,
il 27 febbraio 1968, fu diffusamente contestata dalle strutture provinciali
CGIL e dalla base dei lavoratori. Come conseguenza Luciano Lama, segretario della
Confederazione, dovette ritirare l’assenso di massima dato a Palazzo Chigi dalla
propria Organizzazione. Dopo le elezioni politiche del giugno 1968, 4 il testo del
nuovo accordo fu approvato il 15 febbraio ’69 dal Consiglio dei ministri del governo
di centrosinistra, presieduto da Mariano Rumor e nel quale ministro del Lavoro e
della Previdenza sociale era il socialista Giacomo Brodolini. 5
In quegli anni il termine “Riforma” non era ancora stato svalutato e trasformato,
come sovente capita oggi, nel suo contrario e significava un generale miglioramento
delle condizioni dei lavoratori e dei ceti meno abbienti. Veniva introdotto il sistema
retributivo e il rapporto fra la pensione e gli stipendi dell’ultimo periodo di lavoro
(l’ultimo anno per i dipendenti pubblici, gli ultimi cinque anni per i lavoratori del
settore privato) passava dal 65 al 74%, con l’impegno di raggiungere quota 80 entro
il 1975. La pensione cessava di essere la restituzione di ciò che è stato versato e diventava
un salario differito basato sul concetto della solidarietà tra le generazioni;
veniva istituito un meccanismo di scala mobile per aggiornare, anche se in misura
modesta, l’entità delle pensioni compensando la perdita del potere di acquisto della
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ilLAVOROCOMEVALORE
lira dovuto all’inflazione, e decisa, per la prima volta, la pensione sociale in favore
degli anziani con più di 65 anni, se privi di reddito e di trattamento pensionistico
per carenza di contributi. Anche le pensioni minime dei lavoratori dipendenti e degli
autonomi venivano aumentate. Inoltre il governo rinunciava ad elevare l’età della
pensione delle donne da 55 a 60 anni, uniformandola a quella degli uomini, e confermava
la pensione di anzianità, consentendo di andare in pensione a chi aveva
maturato 35 anni di contributi anche se con meno di 60 anni di età.
La riforma comportava miglioramenti per otto milioni di pensionati e, tra le innovazioni
normative, comprendeva anche l’attribuzione ai rappresentanti dei lavoratori
della maggioranza nel Consiglio di amministrazione dell’INPS.
Dante Bonzano, primo presidente del Comitato provinciale INPS
In ragione di quest’ultimo aspetto, il 22 dicembre 1970, si riunisce, presso la
sede dell’Istituto, il primo Comitato provinciale dell’Istituto Nazionale della Previdenza
Sociale di Alessandria per l’elezione del presidente e del vice presidente. Il
presidente è scelto tra i rappresentanti dei lavoratori e viene eletto il prof. Dante
Bonzano. Il vice, in rappresentanza dei datori di lavoro, è il dott. Carlo Frati. Secondo
il neo presidente il nuovo organismo: “Non deve diventare una nuova sovrastruttura,
ma un aiuto a snellire gli adempimenti e il lavoro cui deve fare fronte
l’Istituto per non deludere le aspettative dei lavoratori”. 6 Bonzano, che sarà riconfermato
come presidente anche nel 1975 7 e nel ’79, è stato per anni l’indiscusso riferimento
della Camera del Lavoro di Alessandria per i problemi legati alla
legislazione del lavoro, alla sua interpretazione e all’applicazione dei Contratti di
lavoro delle diverse categorie. Responsabile dell’ufficio sindacale e studi, nel periodo
in cui la Camera del Lavoro aveva sede in via Parma, la sua parola era decisiva
nell’avviare o meno, nei confronti delle controparti, una vertenza in materia di rapporti
e diritti dei lavoratori. Apprezzato dai responsabili dei datori di lavoro, aperto
e disponibile con i sindacalisti alle prime armi, come con i delegati di fabbrica, diventava
severo quando le posizioni sconfinavano nella demagogia, nel pressapochismo,
o si volevano forzare i contenuti delle disposizioni previste dalle leggi e
dalle norme dei contratti.
“Ha continuato a lavorare con la stessa puntualità e precisione anche nella nuova
sede di via Cavour che ha frequentato sino agli ultimi giorni”, mi ricorda Antonella
Albanese, la sua allieva e collaboratrice più vicina. Quella di Dante è stata per molti
compagni del sindacato, compreso chi scrive, una scuola rigorosa che si basava
sullo studio e la conoscenza e, per questo, rappresentava una base formativa solida,
decisiva per affrontare gli impegni futuri.
27
Renzo Penna
Il superamento delle “gabbie salariali”
Il sistema delle Zone salariali si applicava nei diversi settori dell’industria e il
Paese era suddiviso in sette zone territoriali (più alcune sottozone) con minimi salariali
diversi in base ai differenti e presenti livelli del costo della vita. Così la retribuzione
del medesimo lavoro valeva 100 nelle province italiane più ricche che
appartenevano alla “Zona 0” (zero): Milano, Torino e “Zona 0a” (zero a): Genova,
Roma, ed era pari a 80 nella “Zona 6”, l’ultima che comprendeva oltre due terzi
dell’Italia centro-meridionale e insulare. Le altre zone avevano valori intermedi fra
questi due parametri. La provincia di Alessandria era inserita nella “Zona 3” insieme
a Belluno, Bologna, La Spezia, Mantova, Modena, Padova, Parma, Piacenza, Ravenna,
Reggio Emilia, Verona e Vicenza, mentre Napoli faceva parte della “Zona
3a”. 8 Quel sistema, che pure comprendeva una certa logica ed era il risultato di un accordo
tra sindacati e imprenditori firmato nel 1961, aveva ormai fatto il suo tempo
e rischiava di perpetuare sperequazioni e ingiustizie. 9 Con questa motivazione fu
denunciato dai sindacati nell’aprile 1968. Gli scioperi contro le gabbie salariali si
svilupparono nell’autunno e si articolarono fra le diverse province registrando una
notevole adesione tra i lavoratori. La resistenza delle aziende private associate alla
Confindustria fu molto tenace e il presidente, l’armatore Angelo Costa, genovese,
poco incline a qualsiasi concessione, preoccupato per la tenuta delle aziende minori
del mezzogiorno, si pronunciò più volte contro il principio della perequazione. Furono
l’Intersind e l’ASAP, per conto delle aziende pubbliche, a rompere il fronte
degli imprenditori. Firmarono l’accordo il 21 dicembre 1968 accettando il principio
del livellamento, ottenendo, però, di eliminare con gradualità le zone salariali in
due anni e mezzo, entro il giugno 1971. Un risultato che ebbe l’effetto di incentivare
e accrescere la mobilitazione del sindacato e l’articolazione territoriale degli scioperi
nei confronti dell’industria privata. Di particolare rilievo il risultato conseguito dai
lavoratori delle fabbriche argentiere di Alessandria che, dopo due mesi di lotta compatta,
riuscirono, l’antivigilia di Natale del 1968, a raggiungere in Prefettura un accordo
che anticipava quello nazionale. Lo racconta Aldo Zuccotti della Ricci che,
insieme a Ettore Sacco, ai rappresentanti sindacali delle fabbriche Cesa, Goretta,
Guerci e alla Confindustria, firmò l’intesa. “Ad un certo punto, durante la trattativa,
il Prefetto ha detto: ‘diamo la zona zero a questi operai che se la meritano’ e gli industriali
hanno dovuto cedere”. 10
Anche a livello nazionale l’intesa non tarderà. Dopo la positiva riuscita dello
sciopero del 10 gennaio, CGIL, CISL e UIL della provincia di Alessandria proclamarono
per mercoledì 29 gennaio 1969 uno sciopero di ventiquattro ore di tutto il
settore industriale privato e di quello edile. Nella provincia ad essere interessati all’abolizione
delle Zone salariali erano sessantamila lavoratori. Nei diversi comparti
la differenza oraria dei minimi contrattuali tra la “Zona” di Torino e quella di Alessandria
era notevole e non più giustificabile: per i metalmeccanici di prima categoria
era inferiore di 23,95 lire; per i chimici di 25,25; per le confezioni di 20,60; per i
tessili di 17,80 e per i calzaturieri di 24,50. 11
28
ilLAVOROCOMEVALORE
A incrinare il fronte delle aziende private e a togliere argomenti alla resistenza
di Costa fu proprio la Confederazione della piccola e media industria, la Confapi,
che l’8 marzo siglò l’accordo. Il fronte industriale si divise, con alcuni settori e singole
aziende che, pressati dagli scioperi, firmarono autonomamente. Così anche la
Confindustria, sollecitata dal governo e dal ministro del Lavoro Brodolini, il 18
marzo 1969, capitolò accettando il livellamento delle zone salariali con una gradualità
dilazionata in tre anni e mezzo. 12
Per sottolineare l’importanza dell’intesa, sia per i lavoratori che per le aziende, il
tema venne discusso dalla locale sezione del Rotary e introdotto da una relazione del
dott. Elio Camagna, componente del Consiglio dell’Unione Industriale alessandrina. 13
La polizia spara sui braccianti di Avola
Alla lotta per il superamento delle disparità salariali presenti in due zone della
stessa provincia è legata la tragedia di Avola, dove, il 2 dicembre 1968, due braccianti
vengono uccisi dalla polizia in uno scontro per il lavoro e la giustizia che si
trasforma in una guerra. Unitariamente le Organizzazioni sindacali, per ottenere che
il salario del bracciante di Avola non fosse inferiore a quello di Lentini, avevano
avanzato la richiesta di un aumento delle paghe del 10 per cento. Questo perché la
provincia di Siracusa era divisa in due Zone e la paga giornaliera risultava pari a
3480 lire nella prima e 3110 lire nella seconda, dove era inserita Avola. Un paese,
sconosciuto ai più, situato nella parte sud orientale della Sicilia, che produceva mandorle
pregiate; una produzione che dava grandi profitti ai proprietari dei terreni,
mentre i contadini vivevano ancora una condizione non lontana dalla miseria.
La richiesta del sindacato ha il sostegno dei sindaci dei paesi interessati, ma i
proprietari non cedono, rifiutano gli incontri e con vari espedienti prendono tempo.
La protesta dei braccianti in sciopero occupa le piazze e si organizzano blocchi
lungo le strade per attirare l’attenzione del governo. Per sgomberare uno di questi
sbarramenti, eretto con pietre al 20° chilometro della statale 115, da Siracusa arrivano
nove camionette cariche di agenti. I poliziotti, in assetto di guerra con mitra
corti in dotazione agli agenti e pistole di diverso calibro per sottufficiali, ufficiali e
funzionari di pubblica sicurezza, reagiscono ad un lancio di pietre scaricando sul
gruppo degli scioperanti una serie di bombe lacrimogene che non sortiscono l’effetto
sperato. Altri braccianti accorrono dal paese a dare man forte agli scioperanti e tra
i poliziotti, che rischiano di venire sopraffatti, qualcuno comincia a sparare sui manifestanti.
Seguono una serie di scariche ininterrotte, le fila dei braccianti indietreggiano
e, tra le urla dei feriti, abbandonano il luogo dello scontro. Due lavoratori
rimangono privi di vita sulla strada e altri quattro sono feriti gravemente. Uno di
essi, Giorgio Garofalo di trentasette anni, nato ad Avola, ha - come riporta su
“L’Espresso” il cronista del quotidiano “L’Ora di Palermo” Mauro De Mauro - tredici
pallottole nel ventre. 14
Al termine dell’eccidio centinaia di bossoli saranno raccolti dalla Federbraccianti,
e la località di Avola acquistò in tutto il Paese una tragica notorietà.
29
Renzo Penna
Contro “paghe di fame” i metalmeccanici di Acqui e Ovada
Il movimento del ’68 ha certamente avuto un’influenza diretta anche nei confronti
delle fabbriche e incentivato la voglia di reazione già presente in molte realtà
per l’insoddisfazione delle condizioni di lavoro, lo sfruttamento, gli orari e i bassi
salari.
Nel mentre il sindacato è impegnato, con successo, a livello nazionale sui temi
della riforma delle pensioni e per rendere omogenei i salari fra le diverse zone del
paese, in sede locale, dove esistono le condizioni, i lavoratori si mobilitano e scioperano
per obiettivi più concreti e immediati. La fotografia, tratta dall’archivio della
FIOM provinciale, fornisce un esempio delle lotte che si svolgono nell’autunno del
1968 (F. 4). I lavoratori di alcune aziende metalmeccaniche della zona di Acqui
Terme: la Grattarola, la SAMA e la Tacchella di Cassine sono in sciopero e il contenuto
dei cartelli che i lavoratori inalberano rappresenta in modo semplice e diretto
le loro richieste. Sono cartelli scritti a mano dove le sigle dei tre sindacati di categoria
vengono sempre riportate a testimonianza dello sforzo unitario che è alla base
della mobilitazione. “Non chiediamo l’elemosina, ma paghe adeguate al caro vita”,
“Contro lo sfruttamento e il superlavoro, paghe di fame”, “Basta le promesse ora
vogliamo i fatti”, sono gli slogan principali e non manca un’invettiva contro i crumiri:
“Solo l’asino (che viene raffigurato) non sciopera”. Nell’immagine, alla testa
degli scioperanti, nelle prime file molti i giovani, sono anche rappresentati alcuni
dirigenti delle tre confederazioni: Giuseppe Gallione (UIL), Vittorio Bellotti (FIM),
Giancarlo Mietta (FIOM) e Leandro Colla (CGIL).
La seconda immagine, tratta dalla pubblicazione “Storia elaborazione e lotte
della F.I.M. - CISL”, si riferisce, invece, ad una manifestazione degli operai della
ditta Carle & Montanari di Ovada che protestano, sempre nel 1968, contro l’intransigenza
del proprietario in linea con le posizioni del presidente di Confindustria Angelo
Costa (F. 5). Anche qui i due cartelli, appoggiati al palchetto degli oratori, che
motivano le ragioni della lotta, sono stati chiaramente scritti a mano e preparati per
l’occasione.
Da segnalare la presenza delle persone che, sul balcone che sovrasta il piazzale,
seguono l’evento promosso dai lavoratori. Sul palco, in attesa di prendere la parola,
è Vittorio Bellotti (FIM), mentre tra gli operai che seguono gli interventi si riconoscono
Giancarlo Mietta (FIOM) e Raffaele Montecucco (UILM).
La terza rappresenta, probabilmente nella stessa occasione, la manifestazione
dei lavoratori della Carle & Montanari nella città di Ovada. (F. 6)
La vertenza del Delta di Serravalle
In provincia, tra la seconda parte del ’67 e i primi mesi del ’68, altre significative
aziende metalmeccaniche furono impegnate in vertenze, caratterizzate da forti scioperi,
per il miglioramento delle condizioni economiche dei dipendenti. Si trattò della
30
ilLAVOROCOMEVALORE
SILA di Alessandria, della Cerutti di Casale Monferrato, della Ormig di Ovada e
della Morteo Soprefin di Pozzolo Formigaro. In particolare per la SILA - come riporta
la “Gazzetta del Popolo” del 15 settembre ’67 - l’accordo fu possibile solo
dopo l’intervento del prefetto di Alessandria Bruschelli. Ma la vicenda sindacale
che più fece notizia sugli organi di informazione locali e nazionali è certamente
stata quella del Delta di Serravalle, un’azienda a partecipazione statale che produceva
laminati in rame. E ciò anche per la innovativa forma di lotta adottata dai lavoratori.
A fine gennaio ’68, dopo una serie di ore di sciopero che non avevano
portato ad alcun risultato, i lavoratori, per protestare, decisero di percorrere a piedi
la strada che univa lo stabilimento industriale alla piazza centrale di Serravalle.
Dove ci furono gli interventi dei sindacalisti Bellotti (FIM) e Divano (FIOM).
Della vertenza la Commissione Interna del Delta informò anche il ministro delle
Partecipazioni Statali. L’accordo fu trovato a metà marzo presso l’Ufficio Provinciale
del Lavoro quando l’azienda si impegnò a corrispondere, entro il 31 marzo
1968, un aumento di 14 mila lire a tutti i dipendenti. 15 31
Renzo Penna
IL RINNOVO DEI CONTRATTI E LO “STATUTO”
Quella mobilitazione, del settembre 1969, con il presidio di fronte alla fabbrica
durante lo sciopero degli operai Ricci, se dimostrava la capacità organizzativa di
una realtà fortemente sindacalizzata, con una prevalenza assoluta fra gli iscritti della
FIOM-CGIL, era anche l’espressione di una forza contrattuale dei lavoratori cresciuta
negli ultimi anni che rivendicava migliori condizioni di lavoro e di vita, ma
voleva anche contare di più nelle decisioni del Paese. Così, mentre nella seconda
parte dell’anno si intrecciano i temi dei rinnovi contrattuali dell’industria - in primis
quello dei metalmeccanici - con gli obiettivi unitari di CGIL, CISL e UIL volti a richiamare
l’attenzione del governo e delle forze politiche sui problemi dei prezzi,
della casa e degli affitti, cresce la sensibilizzazione dell’opinione pubblica nei confronti
delle lotte sindacali. Lo testimonia, ad esempio, la presa di posizione dei commercianti
e dei titolari di pubblici esercizi che, mercoledì 15 ottobre 69, in occasione
dello sciopero generale dei settori industria, commercio, credito e trasporti indetto
per protestare contro il carovita, in solidarietà con i lavoratori, decidono di abbassare
le saracinesche e sospendere l’attività dalle 9 alle 12. Proprio mentre un imponente
corteo percorre le principali vie di Alessandria (F. 7). 16
La partecipazione alla manifestazione viene stimata - all’interno di un ampio articolo
curato da Franco Livorsi, pubblicato da “l’idea socialista” e dedicato a “L’autunno
rosso della nostra provincia” - in 6 mila operai e 1500-2000 studenti.
L’adesione degli studenti e la loro partecipazione al corteo è testimoniata anche
dalle foto pubblicate da “Il Piccolo” che ritrae in via dei Martiri la parte del loro
corteo con alla testa lo striscione: “Operai e Studenti uniti nella lotta” (F. 7 e 8).
Presente in piazza una delegazione dei lavoratori della Rotomec di Casale Monferrato
che inalberano un lungo striscione con la dicitura “27 giorni di sciopero”.
Una vertenza molto difficile e uno scontro duro opponeva da mesi la direzione di
Rotomec e Poletti-Osta ai dipendenti che rivendicavano l’applicazione del contratto
del 1966, il riconoscimento dei diritti sindacali, l’istituzione della mensa e della 14°
mensilità. Se all’inizio l’azienda era riuscita a dividere i lavoratori e a sconfessare,
attraverso un referendum, la Commissione Interna, ultimamente la lotta era ripresa
e nei confronti dei lavoratori che avevano installato in Piazza Mazzini una tenda
per far conoscere le loro ragioni, era cresciuta la solidarietà dei cittadini. Un manifesto
di sostegno alla lotta e di stigmatizzazione dell’intransigenza della direzione
Rotomec era stato unitariamente affisso da Pci, Psi, Psiup e Anpi, mentre la Giunta
di centro sinistra di Casale aveva stanziato due milioni in favore degli operai. 17
Nell’occasione, nonostante lo sciopero non riguardasse i dipendenti pubblici, il
sindacato scuola della CGIL delibera la propria significativa adesione. Analogamente,
per le Istituzioni, con una lettera aperta alla cittadinanza alessandrina il sindaco,
Dott. Piero Magrassi, esprime solidarietà con i lavoratori in sciopero, ne
condivide le rivendicazioni volte: “A conseguire più giuste condizioni di lavoro e
di retribuzione, più ampi diritti all’interno della fabbrica, più potere nella società”.
Il primo cittadino si rivolge, poi, ai padroni di casa e ai commercianti affinché
comprendano le difficoltà economiche dei lavoratori ai quali: “La coraggiosa e le-
32
ilLAVOROCOMEVALORE
gittima azione di sciopero contro l’intransigenza padronale ha fortemente diminuito
i proventi”. E annuncia lo stanziamento di 10 milioni, deliberato dalla Giunta comunale,
finalizzato alla costituzione di un “Fondo di solidarietà” in favore delle famiglie
dei lavoratori in sciopero per il rinnovo dei contratti di lavoro che si trovano
in condizioni di particolare disagio. 18 E, ancora, si registra la convocazione straordinaria
di un Consiglio comunale aperto per la serata di martedì 13 dicembre 1969,
nel salone dell’Istituto Musicale Vivaldi. Decisa dall’Amministrazione, anche su
sollecitazione dell’opposizione comunista, per discutere: “sui problemi della casa e
della difesa del salario dei lavoratori”. 19
Crescono gli scioperi e le manifestazioni
Ma se le forze politiche prendono atto della capacità di mobilitazione che il sindacato,
in maniera autonoma, sta dimostrando di possedere - decisamente cresciuta
negli ultimi cinque anni - la classe imprenditoriale si ostina a non vedere e a non
fare i conti con una realtà profondamente mutata. Per esemplificare: nei tre anni che
precedono il 1968 gli scioperanti nell’industria venivano stimati attorno al milione
di lavoratori, mentre diventano 3 milioni e 200 mila nel ’68 e 4 milioni 700 mila
nel 1969. Nello stesso arco di tempo giungono al loro massimo storico sia l’occupazione
industriale – stimata all’incirca nel 42% della popolazione attiva - sia il
peso delle grandi aziende. 20
Così le trattative del contratto dei metalmeccanici avviate nel mese di settembre
sono, nella sostanza, bloccate da una pregiudiziale di Confindustria e di Intersind
che pretende, con la stipula del contratto nazionale, di regolamentare la contrattazione
a livello di azienda. Richiesta impossibile da accogliere per il sindacato, non
solo per le differenti condizioni presenti nelle diverse realtà, ma per l’impellente
necessità di governare le spinte autonome della base che si erano manifestate in alcune
importanti aziende. Come alla Pirelli-Bicocca, alla Marzotto di Valdagno e, a
fine agosto, alla Fiat, dove sul tema dei ritmi di lavoro e dell’inquadramento delle
categorie operaie la lotta era gestita dai “Comitati di base” in forte polemica con i
sindacati. 21
Una richiesta, quella di Confindustria che, in anni a noi vicini, si è tramutata nel
suo contrario. Ad essere messo in discussione oggi è il Contratto nazionale, mentre
si vorrebbe che tutte le relazioni sindacali si svolgessero nel ridotto della dimensione
aziendale, e il massimo auspicio è per l’affermazione del “contratto individuale”.
A rendere però difficile la trattativa dei metalmeccanici era, questa volta, il fatto
che le richieste formulate, discusse e decise in moltissime assemblee con una grande
partecipazione dal basso risultavano - come ricorda Sergio Turone nella sua Storia
del sindacato in Italia - difficilmente negoziabili. La decisione, ad esempio, di richiedere
l’aumento salariale non in percentuale, ma uguale per tutti, venne lungamente
dibattuta. Sulle iniziali preoccupazioni della FIOM, che paventava il possibile
distacco dal sindacato dei lavoratori più qualificati, alla fine, prevalse la posizione
fortemente sostenuta dalla FIM e la rivendicazione entrò nella piattaforma unitaria.
33
Renzo Penna
Pesava, poi, sul sindacato anche l’esito del rinnovo contrattuale del 1965-1966
che, giudicato deludente dai lavoratori, aveva suscitato critiche alla gestione della
vertenza e portato a forme di distacco silenziose o a iniziative autonome, con diffuse
spinte a un impegno più radicale. 22
I metalmeccanici in centomila a Roma
Per cercare di sbloccare la situazione, i sindacati decidono di dare una dimostrazione
di forza convocando a Roma, per il 28 novembre 1969, una manifestazione
dei lavoratori metalmeccanici. Al termine dei tre cortei che attraversano, senza incidenti,
la capitale, in oltre centomila si riversano in piazza del Popolo dove, per
FIM, FIOM e UILM, Luigi Macario, Bruno Trentin e Giorgio Benvenuto svolgono
i loro comizi. Anche le trattative per il contratto
degli orafi e degli argentieri sono ferme e, dopo
un inconcludente incontro con gli imprenditori
che si tiene a Milano nei giorni 11 e 12 novembre,
le organizzazioni sindacali e la delegazione
dei lavoratori proclamano 20 ore di
sciopero da attuare tra il 17 e il 30 novembre e
promuovono, per il 26 novembre, una manifestazione
del settore a Valenza Po, con la partecipazione
di delegazioni provenienti dalle altre
province. 23 Il ruolo del ministro del Lavoro
Donat Cattin - che aveva preso il posto dello
scomparso Brodolini - nella vertenza contrattuale
dei metalmeccanici risultò decisivo e la
sua mediazione, nonostante le pressioni e la
campagna contro le lotte sindacali che si scatenano
dopo gli attentati stragisti di Milano,
seguì un indirizzo politico a favore della parte
più debole, quella rappresentata dal sindacato
e dai lavoratori. Gli incontri si protraggono
sino a tutto dicembre e l’accordo viene raggiunto,
prima con l’Intersind, il 10 dicembre.
Dopo altri intensi giorni e l’organizzazione di un “Natale in piazza” dei lavoratori
metalmeccanici in tutti i centri industriali, il 19 si sigla l’intesa con la Confapi e,
ultima a firmare, è la Confindustria il 21 dicembre 1969. 24
Il Contratto risultò un successo, un premio alla pratica unitaria del sindacato e,
come ebbe a sottolineare Gino Giugni: “Fu il frutto di un eccezionale dispiegamento
di forza contrattuale”. 25 In quei 110 giorni che la stampa chiamò l’autunno caldo si
ebbero, mediamente, per ogni lavoratore 200 ore di sciopero e una straordinaria capacità
di mobilitazione. Le richieste originarie della piattaforma sindacale vennero
accolte all’80%. Tra i risultati più significativi, insieme a consistenti aumenti sala-
34
ilLAVOROCOMEVALORE
riali 26 , la graduale riduzione a 40 ore dell’orario di lavoro settimanale, l’allargamento
dei diritti sindacali (diritto di assemblea, riconoscimento dei delegati aziendali con
l’estensione dell’esperienza dei Consigli dei delegati come rappresentanza unitaria,
al posto delle Commissioni interne), il rifiuto a monetizzare gli elementi di rischio
e di nocività della salute, la riduzione del divario normativo fra il trattamento degli
impiegati e quello degli operai, norme intese ad evitare il ricorso non contrattato
agli straordinari e la conferma della contrattazione integrativa.
Lo Statuto dei lavoratori è legge
In quei mesi dell’autunno 1969 il Senato e la Camera avevano con sollecitudine
portato avanti e, in rapidi dibattiti, approvato il disegno di legge che, su iniziativa
del ministro del Lavoro, il socialista
Giacomo Brodolini, il Consiglio
dei ministri aveva presentato
il 20 giugno 1969. Si trattava dello
“Statuto dei diritti dei lavoratori”
che diventava la legge dello Stato
n. 300 il 20 maggio 1970, legittimando,
anche sul piano istituzionale,
quei diritti sindacali che già
ai metallurgici e ad altre categorie
dell’industria erano stati riconosciuti
dai nuovi contratti. In questo
modo si verificava una coincidenza,
non frequente nella storia
della Repubblica, fra evoluzione
del contesto sociale e agire politico
e legislativo. Brodolini aveva concepito
quell’insieme di norme con
l’apporto di un fine giurista come
Gino Giugni. Lo Statuto, approvato
con l’astensione del PCI, contiene
le “norme sulla tutela della
libertà e dignità dei lavoratori,
della libertà sindacale e dell’attività
sindacale nei luoghi di lavoro
“Avanti!”, 15 maggio 1970
e norme sul collocamento” ed è in materia di lavoro, dopo la Costituzione, la fonte
normativa più importante del nostro ordinamento.
Il giornale del Partito socialista Avanti!, il 15 maggio 1970, ne dà notizia con un
titolo a tutta pagina e quello dell’editoriale di Giorgio Lauzi risulta particolarmente
significativo: “La Costituzione entra in fabbrica”. Con l’approvazione dello Statuto-
scrive il giornalista dell’Avanti!, uno dei maggiori storici del movimento ope-
35
Renzo Penna
raio - si modifica il ruolo del lavoratore nella società: “Il lavoratore diventa un protagonista,
non un suddito, un cittadino di pieno diritto, non un cittadino di serie B”. 27
A partire dai primi anni del 2000 diversi governi sono intervenuti, soprattutto, per
modificare e depotenziare l’articolo 18, quello più noto dello Statuto, che garantiva
il reintegro nel luogo di lavoro a chi viene licenziato senza un motivo plausibile. Il
23 marzo 2002, per rispondere agli attacchi del governo Berlusconi, tre milioni di
persone si sono riunite al Circo Massimo, nella più grande manifestazione sindacale
italiana, organizzata dalla CGIL e dal suo Segretario generale Sergio Cofferati. Una
splendida giornata romana di inizio primavera, piena di speranze, con moltissimi
giovani e l’accompagnamento ai cortei della colonna sonora del film di Benigni “La
vita è bella”, interpretata sul palco e al pianoforte dal premio Oscar Nicola Piovani.
Ma gli attacchi, negli anni, sono proseguiti e sotto tiro è finito l’intero Statuto.
Un attacco, come ha sostenuto lo storico giornalista e scrittore de l’Unità Bruno
Ugolini, che non ha mirato ad innovare le regole alla luce delle profonde trasformazioni
che si sono verificate nella produzione e nel lavoro, ma solo: “a ridimensionare,
togliere senso e significato al ruolo del sindacato e a quello dell’intero
mondo del lavoro”. 28
Chi ha vissuto, conosce o ha studiato le lotte e i sacrifici che sono stati necessari
per tradurre nella legislazione italiana i principi costituzionali del lavoro, non può
che essere fortemente amareggiato e contrariato dai provvedimenti che il Parlamento,
su indicazione dei governi che si sono succeduti, in particolare, nelle ultime
due legislature - governo Monti nella XVI, con la riforma Fornero e governo Renzi
nel corso della XVII - ha deciso in tema di diritti sociali, snaturando, prima, e smantellando,
poi, parti fondamentali delle tutele contenute negli articoli 13 (Mansioni
del lavoratore) e 18 (Reintegrazione nel posto di lavoro in caso di licenziamento
senza giusta causa o giustificato motivo) dello Statuto dei lavoratori. Un contesto
legislativo sul quale, oggi, sarebbe urgente intervenire, con una riscrittura del testo
e un profondo aggiornamento degli articoli dello Statuto.
36
ilLAVOROCOMEVALORE
LE BOMBE DI MILANO E LA “STRATEGIA DELLA TENSIONE”
Contro quei risultati e per impedire un’affermazione del ruolo politico del sindacato
e delle forze che avevano visto con simpatia il movimento degli studenti e
sostenuto le loro richieste, sul finire del 1969 agirono, come oggi sappiamo, poteri
occulti, servizi segreti deviati e forze reazionarie. Diversi gruppi che facevano esplicito
riferimento all’estrema destra decisero di passare all’azione con il sostegno di
settori della società che dagli avvenimenti del ’68 si sentivano minacciati nei loro
interessi e nelle loro ideologie: ufficiali dell’esercito, industriali, funzionari dello
Stato e persone dei servizi segreti. Con la complicità degli organi preposti alla sicurezza
vennero così programmati una serie di attentati destinati a suscitare paura,
incertezza nella popolazione e a giustificare una risposta autoritaria dello Stato.
Anche per questo la responsabilità doveva ricadere ed essere attribuita alle forze
della sinistra.
Milano è la città posta al centro di questa strategia e, inizialmente, la più coinvolta.
Il 25 aprile, giorno in cui si celebra la Liberazione della città e del Paese dal
nazismo e dal fascismo, una bomba devasta il padiglione della Fiat alla Fiera campionaria
e causa tra i presenti numerosi feriti. Poche ore dopo un’altra bomba scoppia
nell’ufficio cambi della Stazione centrale. Grandi fiammate, ma nessun ferito.
Immediatamente la locale polizia ferma quindici giovani anarchici e perquisisce le
sedi delle loro associazioni milanesi. Il 9 agosto vari attentati avvengono sui treni,
il 30 agosto una bomba incendiaria esplode a Palazzo Marino, sede del Comune.
Ha così inizio la strategia della tensione.
Il 7 dicembre il quotidiano liberal inglese “Observer” pubblicherà un documento
che attribuisce la responsabilità di quelle bombe a gruppi fascisti italiani in forti legami
con i rappresentanti greci del governo dei colonnelli di Atene. 29
Una rappresentazione del clima di tensione che vive il capoluogo lombardo si
ha il 19 novembre, in occasione dello sciopero generale per la casa. Nel centro della
città, al Teatro Lirico, interviene il segretario della CISL Bruno Storti. Nella vicina
via Larga si verificano cruenti scontri tra studenti, manifestanti e polizia, durante i
quali rimane ucciso l’agente Antonio Annarumma, 22 anni, di Monforte Irpino, figlio
di braccianti, alla guida di un gippone del Terzo Reparto Celere. Nei giorni che
seguono, in occasione dei funerali dell’agente, gruppi di neofascisti aggrediscono
numerosi studenti e attivisti di sinistra.
In un recente incontro pubblico Giorgio Benvenuto, nel ricordare quei giorni
convulsi, ha raccontato come il presidente del Consiglio di allora, Mariano Rumor,
fosse pesantemente intervenuto nei confronti del ministro del Lavoro Donat-Cattin
affinché abbandonasse la trattativa per il contratto dei metalmeccanici con i segretari
della categoria e convocasse i confederali del sindacato, ritenuti più disponibili. Sul
che fare Donat-Cattin si consultò con Aldo Moro che, contrariamente a Rumor, lo
consigliò di continuare il confronto con FIM, FIOM e UILM. 30 37
Renzo Penna
Piazza Fontana: gli anarchici bersaglio dell’eversione
Due settimane dopo la grande manifestazione dei metalmeccanici a Roma, venerdì
12 dicembre 1969, alle 16,30, scoppiano le bombe che cambiano la storia del
Paese. Un attentato terroristico semina la morte nei locali della Banca dell’Agricoltura,
in piazza Fontana, a Milano. Un’orrenda strage, una carneficina. In 17 perderanno
la vita e oltre 40 persone risulteranno gravemente ferite. A rendere più grave
il quadro, anche se solo l’ordigno di piazza Fontana uccide, l’organizzazione quasi
simultanea di cinque attentati tra Milano e Roma contribuisce ad accrescere l’allarme
poiché rivela l’esistenza di una rete criminale estesa ed efficiente. Dalla fine
della Seconda guerra mondiale non accadeva un simile massacro di cittadini inermi
e senza alcuna rivendicazione. L’impressione nella popolazione è fortissima come
testimonierà, tre giorni dopo, la partecipazione di massa ai funerali delle vittime nel
Duomo di Milano; funerali trasmessi dalla televisione di Stato. La strage di piazza
Fontana segna una cesura nella storia dell’ancor giovane Italia repubblicana. Secondo
Benedetta Tobagi, che ha a lungo indagato sull’attentato e seguito l’interminabile
processo, rappresenta: “La madre di tutte le stragi in quanto inaugura la
stagione delle bombe neofasciste e, insieme, la madre degli anni bui perché costituì
uno dei detonatori dell’escalation del terrorismo di sinistra negli anni successivi”. 31
Le indagini, anziché rivolgersi agli ambienti della destra eversiva già allora conosciuti,
vennero indirizzate fra i gruppuscoli dell’estrema sinistra e gli anarchici.
Da qui l’arresto di Pietro Valpreda e la tragica fine negli uffici della questura, mai
del tutto chiarita, dell’incolpevole anarchico Giuseppe Pinelli.
Gli operai in Piazza Duomo a difesa della democrazia
Antonio Pizzinato - in quegli anni Segretario generale della FIOM di Sesto San
Giovanni - ha ricordato come l’opportunità della proclamazione dello sciopero generale
provinciale in occasione dei funerali delle vittime sia stata molto dibattuta
sia all’interno del sindacato che con le forze democratiche. Alla fine, prevalse la determinazione
unitaria dei metalmeccanici di manifestare contro l’eversione neofascista,
le stragi e in difesa della democrazia. Così, secondo Pizzinato, il 15 dicembre
1969, durante la cerimoniafunebre celebrata in Duomo: “Centinaia di migliaia di
lavoratori e cittadini presidiano silenziosi la Piazza e le vie percorse dal corteosino
al Castello Sforzesco ed oltre. La giornata è buia, nebbiosa,plumbea e triste, ma il
mondo del lavoro, la classe operaia con fermezza e unità sono presenti in forze e
costruiscono una barriera indifesa della democrazia, delle istituzioni, contro il neofascismo
e ilterrorismo”. 32
La civiltà e la compostezza di quella piazza piena di operai, senza striscioni e
bandiere, fu, probabilmente, decisiva anche per superare le ultime resistenze di Federmeccanica
e per siglare, prima di Natale, il contratto con i privati.
Se i successi contrattuali dell’autunno 1969 diedero impulso al processo di unità
organica del sindacato, le bombe di Milano misero in evidenza le forze e i collegamenti
38
ilLAVOROCOMEVALORE
su cui potevano contare gli artefici della restaurazione che, come obiettivo, avevano
quello di contrastare l’ascesa del movimento sindacale, delle forze progressiste e, soprattutto,
impedire una più equa distribuzione del potere e della ricchezza.
D’altronde se i dirigenti dell’ufficio Affari riservati del ministero dell’Interno
erano stati, a suo tempo, mussoliniani e se, addirittura: “Il Questore di Milano in
carica nel 1969 era stato l’aguzzino del carcere per antifascisti di Ventotene”, 33 bisogna
convenire che con la Liberazione il Paese non aveva sciolto tutti i nodi che
lo legavano al ventennio.
39
Renzo Penna
L’ALFA ROMEO E LA CONDIZIONE OPERAIA
La lettera che mi prospetta la possibilità di frequentare un Corso annuale di “perfezionamento
e specializzazione in materie Tecnologiche e Organizzative per Periti
Industriali Meccanici” da svolgere presso la Società Alfa Romeo di Milano, in collaborazione
con l’I.R.I. ed istituito dal Ministero della Pubblica Istruzione, mi arriva,
in maniera del tutto inaspettata, verso la fine di ottobre del 1966.
Dopo l’esame di stato che il corso dei Periti Industriali della nostra annata svolse
nella nuova sede dell’ITIS “A. Volta”, non ancora ufficialmente inaugurata, stavo valutando
alcune offerte di impiego, ma mi rimaneva irrisolto un desiderio di proseguire gli
studi da far convivere con una, non più rinviabile e necessaria, autonomia economica.
Così, con la piena condivisione dei miei genitori, non mi fu difficile accettare. Il
Corso iniziò il primo dicembre ’66; era frequentato da neo diplomati provenienti da
tutte le regioni italiane e con uno di loro, Salvatore Di Dio di Enna, divisi una stanza
in affitto nel palazzo, al n° 11, di via Grigna. Non molto distante dall’ingresso principale
dell’Alfa Romeo, il Portello, che, allora, si trovava in via Traiano. I difficili collegamenti
ferroviari, peraltro non migliorati negli anni, sconsigliavano un pendolarismo giornaliero;
cosi mi attrezzai per raggiungere Milano la sera della domenica e rientrare in
Alessandria nel tardo pomeriggio di venerdì. Il Corso, della durata effettiva di otto
mesi, prevedeva una borsa di studio con un importo mensile fisso e una parte che variava
in base ai risultati conseguiti. L’entità complessiva pressoché analoga allo stipendio
iniziale di un impiegato tecnico. Al termine era prevista la possibilità di essere
assunti in azienda e di far valere il periodo della specializzazione ai fini dell’anzianità
e degli istituti contrattuali, ma solo dopo cinque anni di effettivo servizio.
Il Corso dei Periti Meccanici
L’orario del Corso era quello lavorativo (48 ore settimanali) e si divideva equamente
tra la formazione in aula, tenuta dai massimi responsabili delle direzioni dell’Alfa
e, indossata la tuta blu da lavoro, la visita guidata e lo studio delle diverse sezioni
e reparti della fabbrica. Al termine di ogni esercitazione e per ogni reparto era prevista,
entro tempi stabiliti, una relazione che veniva valutata e giudicata sotto il profilo tecnico
e concorreva a definire l’importo della parte variabile della borsa di studio.
Dal punto di vista della produzione l’industria automobilistica, in quegli anni,
prevedeva e utilizzava l’intera gamma delle tecnologie meccaniche: dalle fonderie,
alla fucinatura, dallo stampaggio a caldo e a freddo delle lamiere, ai trattamenti galvanici,
alle officine per la costruzione degli stampi, dei particolari del motore e il
loro montaggio, alle linee a transfert, alla verniciatura, alla saldatura, alle catene
per l’assemblaggio e montaggio finale del prodotto, ai magazzini e al sistema dei
trasporti interni. Tutto questo si trovava diviso tra i vecchi capannoni del Portello,
che comprendevano anche gli uffici e la direzione, e i nuovi reparti dello stabilimento
ancora in costruzione ad Arese.
Nel corso dei mesi si visitarono i reparti produttivi anche di altre grandi industrie.
40
ilLAVOROCOMEVALORE
Ricordo, in particolare, a Comerio l’Ignis, in provincia di Varese, fondata da Giovanni
Borghi per la produzione di cucine gas e, dopo il 1962, di frigoriferi che, proprio
in quegli anni, stavano entrando nelle case di milioni di famiglie. Un marchio
noto anche per la sponsorizzazione di pugili, o di squadre di ciclismo e di basket.
Rimasi sorpreso nello scoprire che la stessa azienda produceva frigoriferi per conto
di numerose altre società: Atlantic, Fiat, Philco, Phonola, Radio Marelli. Nella sostanza
si trattava dello stesso prodotto che commercialmente si differenziava, ma
di diverso presentava solo il marchio e pochi altri elementi estetici. E la Pirelli Bicocca
di Milano, la grande azienda di pneumatici dove, divisi in tre settori: cavi,
pneumatici e articoli vari, erano occupati circa novemila operai. Della visita mi colpirono,
in particolare, le cattive condizioni ambientali del reparto nero fumo. Qui le
tute bianche degli operai, impegnati nelle mescole per i diversi tipi di gomme, si
intravedevano a fatica nella nebbia e tra i vapori che impregnavano l’intera area,
rendendo l’ambiente irrespirabile. Mi chiesi come si poteva lavorare in quelle condizioni.
Nel marzo del 1968, a un anno da quella nostra presenza, alla Pirelli, dopo
la firma del Contratto della gomma, si costituì il primo CUB (Comitato Unitario di
Base). Sfruttando il malcontento e la diffusa insoddisfazione dei lavoratori per i risultati
dell’accordo che non dava le attese risposte su cottimo, ritmi di lavoro, nocività
e salario, il Comitato, in contrasto con i sindacati confederali della categoria,
promosse, nella seconda parte dell’anno, duri e lunghi scioperi, avviando un originale
rapporto di collaborazione con il Movimento Studentesco.
Per coloro che lo avevano frequentato con continuità il “Corso Ministeriale di perfezionamento”
si concluse nel mese di luglio 1967 con la presentazione della tesi. Dal
relatore, l’ingegner Luigi Zammarchi, mi fu assegnato il tema della “Manutenzione organizzata”
che si occupava della manutenzione preventiva della Sezione Motori e specificatamente
delle linee a transfer. All’amico Salvatore capitò il “Montaggio del
cambio di velocità”, con relatore il Cavaliere Ippolito Bestonso. Oggi che molti studenti
criticano, a ragione, la pratica dell’alternanza scuola-lavoro nell’ultimo anno delle
scuole superiori, in quanto, sovente, si traduce in stage improvvisati e non formativi,
oltre che gratuiti, non posso che evidenziare la completezza e l’importanza di quella
esperienza che davvero metteva in comunicazione e preparava, formandolo, il passaggio
dalla scuola al lavoro. Un’esperienza, non casualmente, voluta e promossa da una
grande azienda pubblica, parte di un Istituto pubblico maggiore del quale oggi si avverte,
a mio giudizio, la mancanza. Va ricordato che, dal 1960, presidente dell’Alfa
Romeo era Giuseppe Luraghi e in quel decennio la società attraversò il suo momento
migliore con la presentazione di modelli come la Giulia (1962), le versioni sportive
della Giulia GT e, nel 1966, il lancio del Duetto, uno spider che ebbe successo anche
negli Stati Uniti. In quegli anni l’Alfa Romeo realizzò, in un numero ristretto di esemplari,
la 33 Stradale, una vettura che per la linea e le innovazioni passò alla storia, e
inaugurò una pista di collaudo sperimentale a Balocco, in provincia di Vercelli.
Dopo averne viste, ammirate e desiderate a centinaia nei piazzali interni dello
stabilimento, per diventare proprietario di un’Alfa ho dovuto attendere l’esordio,
nel 1972, della più economica Alfa Sud, prodotta a Pomigliano d’Arco.
41
Renzo Penna
Il lavoro e la condizione operaia
Sono stati, quelli del corso all’Alfa, otto mesi davvero intensi che ho vissuto con
impegno e partecipazione. Accanto all’interesse per gli aspetti tecnici e della produzione
per me, fondamentale, è stato l’incontro con il lavoro e la condizione operaia
della grande fabbrica.
Con il calore e le temperature presenti nelle fonderie, il rumore delle enormi
presse Berchet che forgiavano a caldo gli alberi a camme responsabili della distribuzione
nei veicoli industriali, i grandi capannoni con centinaia di trance, presse,
macchine utensili in funzione e altrettanti operai all’opera, gli oli lubrificanti che
impregnavano il pavimento dei reparti al di sotto delle macchine, le matasse di trucioli
fumanti nei cassoni, i vapori nell’aria e, a lato dell’operatore, il tecnico con il
cronometro che rilevava modalità e tempi delle fasi di lavoro utili a definire i rendimenti
per il cottimo. E ancora con i lavoratori, tutti molto giovani e assunti di recente,
lungo la linea della verniciatura e le catene di montaggio di Arese, dove con grandi
pinze si assemblava la scocca, si montavano i motori e gli interni della vettura, ripetendo
sempre gli stessi movimenti.
Costoro, pensavo io, invece di riposarsi come avrebbero potuto, utilizzavano i
pochi minuti delle pause programmate con il fermo della catena per giocare a carte,
divisi in squadre. Quasi a ricercare uno spazio autonomo e di gruppo per rifuggire
da un lavoro e da un contesto oppressivo: il modello taylorista della grande fabbrica
fordista, che negava ogni espressione e apporto personale.
Un incontro che per me, allora avevo 19-20 anni e non venivo da una famiglia
politicamente impegnata, ha deciso da quale parte stare e per chi propendere e parteggiare
nelle future scelte, lungo tutto il corso della vita.
Lo stabilimento ALFA del “Portello” nel 1910 (Alfa Romeo Notizie, 1969)
42
ilLAVOROCOMEVALORE
IL MOVIMENTO DEGLI STUDENTI E L’“AUTUNNO CALDO”
Ultimato il Corso a fine luglio 1967 e conseguito l’Attestato di frequenza con
profitto sono stato assunto alle dipendenze della Società Alfa Romeo, come impiegato
tecnico, il 4 settembre dello stesso anno. Inquadrato nella categoria sindacale
3^A con lo stipendio mensile di lire 65 mila e, in aggiunta, il mancato incentivo di
produzione e l’indennità di contingenza in vigore. La durata del periodo di prova
fino a tre mesi e l’orario di lavoro di 48 ore settimanali. Per i buoni risultati conseguiti
ebbi la possibilità di indicare in quale direzione essere inserito.
Decisi per il settore commerciale con la segreta speranza di avvicinarmi a casa.
In allora ad Alessandria la Società aveva una concessionaria all’angolo di Corso
Crimea con via Gramsci e l’azienda era in pieno sviluppo. La proposta spiazzante
e, insieme, lusinghiera che mi venne fatta di occuparmi dell’organizzazione e dell’assistenza
delle reti estere, andava però in una direzione completamente diversa.
L’Alfa Romeo aveva filiali in tutte le parti del mondo e avrei dovuto operare fuori
dall’Italia per la maggior parte dell’anno. Chiesi qualche giorno di tempo per decidere,
ma, infine, anche condizionato dal contesto famigliare, non me la sentii di aderire.
L’accettazione di quella proposta, per me ardita e spiazzante, avrebbe
certamente segnato un percorso di lavoro e di vita, nell’immediato, più ricco di esperienze
e di incontri. Nei due anni che rimasi all’Alfa, impiegato a compilare i libretti
di manutenzione delle nuove vetture, in un tradizionale ufficio di una grande
azienda, il dubbio di aver mancato un’occasione unica si è affacciato più volte. Poi
nuovi avvenimenti e diversi interessi hanno preso il sopravvento, e non ci ho più
pensato.
Di quegli anni trascorsi, in prevalenza, a Milano ricordo, soprattutto, gli inverni,
le temperature rigide, la nebbia, lo smog originato, in particolare, dalle fabbriche
insediate, ancora, nel contesto urbano e il traffico caotico. Via Grigna, Mac Mahon,
il ponte della Ghisolfa, Via Arimondi (dove, dopo essere stato assunto, mi ero trasferito,
al 29/4), Viale Certosa, Via Traiano, Piazza Firenze e Corso Sempione, il
perimetro delle mie camminate. Chi ha magistralmente raccontato l’atmosfera e i
personaggi di questa periferia milanese è il critico d’arte, poeta, autore teatrale e romanziere
Giovanni Testori.
I personaggi del Ponte della Ghisolfa sono tutti giovanissimi “operai, baristi,
che, in una Milano alle soglie del Boom economico, lottano per sopravvivere, abitano
nelle periferie dai grandi casoni grigi, si incontrano nei bar, frequentano le palestre
coltivando la speranza di diventare campioni di ciclismo o di pugilato, passano
le domeniche nei cine o nelle sale da ballo, si innamorano”. Personaggi e storie di
una Milano ormai scomparsa da cui Luchino Visconti ha tratto ispirazione per il
film Rocco e i suoi fratelli (1960). 34 43
Renzo Penna
Il ragazzo della via Gluck
Anche se la fase più intensa del Boom economico era terminata l’attività frenetica
della città continuava a gravitare attorno alle sue industrie. L’inquinamento dell’aria
non era ancora avvertito come un problema, così come il rispetto per l’ambiente.
Sarà il “Club di Roma”, presieduto e animato sin dal 1968 da Aurelio Peccei, a far
conoscere, nel “rapporto” del 1972, le conseguenze sull’ecosistema di una crescita
incontrollata e a indicare la necessità e l’urgenza di introdurre limiti nello sfruttamento
delle risorse del pianeta. L’immigrazione dal sud che trasformò le principali
città del “triangolo industriale” aveva fatto salire gli abitanti del capoluogo lombardo
dal milione e 275 mila del 1951 al milione e 680 mila del 1967.
Come conseguenza e per rispondere alla necessità di nuove case, i terreni agricoli
delle periferie vennero occupati da colate di cemento e la libera iniziativa, lasciata
dai governi a guida democristiana ai privati nel settore dell’edilizia, portò, in deroga
alle leggi urbanistiche e ai piani regolatori, a costruire palazzi e abitazioni civili
anche attorno alle fabbriche. Come capitò allo stabilimento del Portello che, da zona
periferica, si trovò inglobato nel contesto urbano senza più alcuna possibilità di potersi
sviluppare.
Per denunciare la cementificazione selvaggia che divorava gli spazi verdi delle
città Adriano Celentano, dimostrando, in anticipo sui tempi, una sensibilità ai temi
dell’ecologia, incideva, nel 1966, e interpretava a Sanremo Il ragazzo della via
Gluck, una delle sue canzoni più famose. Qualche mese dopo, nel novembre del
1966, a Firenze, devastata da una grave alluvione, una più diffusa attenzione ai problemi
del territorio e del paesaggio e una denuncia contro il crescente inquinamento
e la speculazione edilizia scaturirà dalla civile mobilitazione di migliaia di giovani.
Molti di loro, accorsi nel capoluogo toscano da tutte le parti del mondo per mettere
in salvo le opere d’arte del Battistero e degli Uffizi, i volumi e gli antichi manoscritti
conservati negli scantinati della Biblioteca nazionale, saranno, nel ’68, tra i protagonisti
della contestazione degli studenti. Nella fase conclusiva del miracolo economico
si evidenziavano a Milano e nelle principali città segnali latenti di
insoddisfazione e di tensione che avevano origine e natura diversa. E che nel volgere
di pochi anni si manifesteranno anche con esiti drammatici, con una tensione trasformata
in strategia. Durante il corso di formazione, nelle nostre visite ai reparti
dell’Alfa, era successo di doverne sospendere alcune perché in atto contestazioni e
proteste degli operai nei confronti, ad esempio, dei capi e dei cronometristi.
Segnali, insieme al diffondersi delle prime forme di protesta giovanile, di un
nuovo mutamento dei comportamenti e delle aspirazioni. Lo scontro in atto tra generazioni
sull’abbigliamento, la musica e gli stili di vita e quello latente nelle gerarchie
delle fabbriche per lo sfruttamento e la pesantezza delle condizioni, ne celava
uno ben più radicale sui modi di concepire la vita, il lavoro, la società e la politica.
44
ilLAVOROCOMEVALORE
L’ultima rapina della banda Cavallero
La corsa folle della Fiat 1100 D nera dei rapinatori si schiantò contro un muro
in una zona non molto distante dallo stabilimento del Portello, ma in tre riuscirono
comunque a scappare. Dopo la rapina al Banco di Napoli - si trovava nei pressi della
Fiera, all’incrocio tra largo Zandonai e via Panzini - per seminare la polizia i banditi
iniziarono a sparare ad altezza d’uomo. Una fuga lungo dodici chilometri di strade
cittadine che terrorizzò la popolazione. In mezz’ora vennero colpite a morte tre persone:
in viale Pisa l’autista di una cartiera sul suo furgoncino, in piazza Stuparich
un automobilista, e in piazzale Lotto uno studente liceale di 17 anni. Il bilancio di
quel giorno fu tragico: tre morti e ventidue feriti tra civili e agenti. Era il pomeriggio
del 25 settembre 1967, un lunedì, e ricordo, per esserci capitato un po’ dopo la sparatoria,
le forze dell’ordine che tenevano distanti i curiosi dal furgone con la persona
colpita ancora al volante. Otto mesi dopo quell’episodio criminale il regista Carlo
Lizzani realizzerà un film, Banditi a Milano, con Gian Maria Volonté nella parte di
Pietro Cavallero, il capo della banda che aveva come secondo Sante Notarnicola.
Entrambi furono catturati pochi giorni dopo, all’alba del 3 ottobre ’67, in un casello
ferroviario abbandonato vicino a Valenza Po, dopo una formidabile caccia all’uomo
che tenne tutta l’Italia con il fiato sospeso. Gli arrestati furono condotti ad
Alessandria, inizialmente alla caserma dei carabinieri Scapaccino. Centinaia di persone
si fermarono davanti alla caserma, in piazza Vittorio Veneto, e quando si decise
di trasferire i prigionieri al carcere di via Parma, le Alfette dell’arma passarono a
fatica tra la folla. 35 Chi ha indagato su quel gruppo di rapinatori di Torino, della barriera
di Milano, una periferia proletaria, rossa, è il giornalista scrittore Giorgio Bocca
che negli anni della rapina era a Milano e lavorava al Giorno. Bocca svolse una personale
indagine per cercare di comprendere che cosa aveva portato un perito chimico,
operaio, ex tranviere, ad impugnare le armi con alcuni amici fidati e scegliere
le vie della violenza. Concludendo, con la sua abituale franchezza di linguaggio,
che: “Cavallero è il figlio anomalo, se volete, ammalato, di una rivoluzione fallita
e di una generazione frustrata, il figlio di una periferia operaia che mancò la rivoluzione
e che ha visto degradarsi in conformismo burocratico lo slancio della guerra
partigiana”. 36
L’anno degli studenti
Nel mondo le premesse del 1968 risalgono al 20 novembre 1964, quando 5 mila
studenti occupano il campus universitario di Berkeley, sede dell’Università della
California. 37 Mentre in Italia, se le prime mosse hanno origine a Trento con l’occupazione
della facoltà di Sociologia (26 gennaio 1966) e a Pisa con quella del Palazzo
della Sapienza, sede dell’università (febbraio 1967), i due atti di nascita del movimento
di protesta avvengono negli ultimi mesi del ’67. A Milano, il 17 novembre,
quando l’Università Cattolica è occupata dagli studenti e a Torino, il 27 dello stesso
mese, con l’occupazione di Palazzo Campana, la sede delle facoltà umanistiche, de-
45
Renzo Penna
cisa in assemblea da 500 universitari. Il blocco della Cattolica dura solo sette ore,
in quanto i settecento occupanti sono fatti sgombrare di notte dagli agenti chiamati
dal Rettore, ma ha un impatto mediatico fortissimo. E rappresenta un evento senza
precedenti in una Italia guidata dalla Democrazia Cristiana e con un forte ruolo della
Chiesa. 38 In quel momento molti studenti dell’ateneo non protestano più solo per i
corsi di studio, la formazione autoritaria, i criteri classisti di accesso agli studi, ma
vogliono ridiscutere il sistema sociale nel suo insieme e contrastare le istituzioni,
comprese quelle ecclesiali. Come è noto il movimento degli studenti travolse tutte
le vecchie strutture rappresentative preesistenti e introdusse nelle lotte della scuola
una tematica fortemente antirepressiva, antiburocratica, con la ricerca di nuove
forme di espressione diretta da parte dei protagonisti di questa mobilitazione. Se il
pretesto immediato dell’azione degli studenti è stata la riforma tentata dall’allora
ministro Gui, giudicata selettiva e classista, in realtà: “Ad influenzare la rivolta sono
le riflessioni svolte da tempo a proposito del ruolo dello studente e dell’intellettuale
nella società, oltre a un generale rifiuto dell’autoritarismo e ad eventi internazionali
come la guerra nel Vietnam, che spesso agisce da catalizzatore della protesta”. 39 Secondo
Bruno Trentin, che in più occasioni ha analizzato quegli avvenimenti, il ruolo
conferito dal movimento all’assemblea ha rappresentato una grande conquista e una
intuizione di massa, anche se non si è poi riusciti ad “approdare ad un nuovo progetto
di riaggregazione politica e organizzativa”. Segnando uno dei limiti più significativi
del movimento del ’68. 40
Con lo sgombero del primo ateneo non statale e la serrata che ne seguì, si avviò
la serie di manifestazioni che segnarono a lungo la vita di Milano, ma anche di Torino
dilagando, poi, negli atenei di Genova, Napoli, Firenze, Cagliari, Salerno, Padova.
Fino all’ondata travolgente del ’68 con gli studenti della Facoltà di medicina
della Cattolica di Roma in piazza San Pietro già a metà gennaio. Nell’anno accademico
1967-1968 si hanno un totale di 102 occupazioni di sedi o facoltà universitarie,
e dei 33 atenei italiani ben 31 sono totalmente o parzialmente occupati almeno una
volta. E se alla Cattolica di Milano, dove il Rettore Ezio Franceschini si dovette misurare,
tra il novembre 1967 e il maggio ’68, con ben quattro occupazioni, lo strappo
arrivò dopo il fallimento di ogni dialogo con le gerarchie e dopo le espulsioni degli
studenti a capo della contestazione. Il movimento degli studenti, di fatto aveva già
al suo fianco i gruppi dell’area del dissenso cattolico le cui elaborazioni gravitavano
intorno al Concilio Vaticano II e alle successive iniziative di Giovanni XXIII. E poteva
contare sul sostegno di movimenti sociali di ispirazione cristiana come le Acli
e la Pastorale del lavoro di Milano. Nel capoluogo lombardo, durante tutto il 1968
le manifestazioni, che sovente sfociano in tafferugli e guerriglie urbane, si susseguono
con una cadenza incalzante:
- il 23 febbraio viene occupata l’Università della Statale e nella notte del 29 ci sono
scontri tra gli occupanti e gruppi di neofascisti;
- il 25 marzo, dopo lo sgombero della Statale, studenti di tutte le università milanesi
organizzano un sit-in davanti alla Cattolica. Il tentativo di entrare nell’università
è fermato dalla polizia che carica gli studenti;
46
ilLAVOROCOMEVALORE
- il 25 aprile, primo grande scontro tra polizia e studenti in largo Gemelli, davanti
all’Università Cattolica;
- il 30 maggio occupazione della XIV Triennale da parte degli artisti. Tutte le università
milanesi erano state occupate dagli studenti nei giorni precedenti;
- l’8 giugno l’uscita del “Corriere della Sera” di via Solferino, diretto da Giovanni
Spadolini, viene bloccata da gruppi di studenti che, per protestare su come il giornale
li descrive, circondano la sede e bloccano i camion che trasportano le copie
fresche di stampa;
- il 16 luglio alla facoltà di Lingue della Bocconi, accordo fra rettore e studenti,
dopo due mesi di occupazione. Garantita la revoca di ogni provvedimento disciplinare
contro gli occupanti;
- il 23 luglio esplode una bomba accanto ad uno degli ingressi della Biblioteca Ambrosiana;
- il 14 agosto il ministero della Pubblica Istruzione rimuove il preside della facoltà
di Architettura De Carli, per gli “atti illegali compiuti in esecuzione delle decisioni
dell’assemblea degli studenti”;
- il 17 agosto gli studenti organizzano volantinaggi e incontri con gli operai delle
grandi fabbriche per organizzare la risposta al dimissionamento di De Carli;
- il 18 novembre gli studenti del Politecnico occupano la facoltà di Ingegneria e il
25 il Politecnico;
- il 28 novembre, gli studenti si mobilitano contro la mancanza di abitazioni e il
caro affitti. Un corteo si conclude con l’occupazione dell’ex Hotel Commercio in
piazza Fontana: sarà - fino al luglio 1969 - la “Casa dello studente e del lavoratore”,
la più grande comune urbana della città e probabilmente d’Europa. Nella stessa
giornata la polizia sgombera i licei Einstein e Beccaria e un corteo di protesta, formato
da oltre 10.000 studenti, attraversa la città;
- il 7 dicembre il movimento studentesco contesta l’inaugurazione della stagione
teatrale alla Scala, dove è in scena il Don Carlos di Verdi, per il carattere borghese
e lo sfarzo ostentato nella manifestazione. I giovani gridano slogan e gettano ortaggi
e uova contro le pellicce delle signore. La polizia carica e alcuni manifestanti,
fra cui Mario Capanna, vengono denunciati per “istigazione e incitamento alla ribellione”;
- l’11 marzo 1969 all’Università Statale il docente Pietro Trimarchi viene tenuto
segregato in un’aula da un gruppo di studenti. Per questo fatto verranno arrestati
e condannati alcuni leader studenteschi;
- il 12 giugno grande manifestazione in piazza Duomo di studenti e lavoratori per
protestare contro l’arresto degli studenti coinvolti nel “caso Trimarchi”.
47
Renzo Penna
L’anno degli operai, la stagione dell’“Autunno caldo”
Gli echi e i contenuti di quella protesta arrivarono anche all’Alfa Romeo, portati
direttamente dalle avanguardie studentesche. Ricordo visivamente, in quei mesi, la
presenza fisica degli studenti ai cancelli della fabbrica, le discussioni animate che
si intrecciavano con gli operai, i volantini dei comitati e dei gruppi, come si chiamavano
allora le nascenti formazioni della sinistra extraparlamentare.
Nei luoghi di lavoro è indubbio che il movimento del ’68 abbia avuto un ruolo
importante nello sviluppo del conflitto sociale e nell’arricchire di contenuti le rivendicazioni
sindacali. In particolare, la dichiarazione programmatica “Tesi della
Sapienza” che scaturisce, nel febbraio 1967, dall’occupazione dell’università pisana,
postula un collegamento strutturale tra le lotte all’interno dell’università e i conflitti
di lavoro al suo esterno. 41 Così i leader degli studenti che hanno, a più riprese, occupato
Palazzo Campana a Torino solidarizzano, nella primavera del ’68, con gli
operai ai cancelli di Mirafiori. E, tra questi, Vittorio Rieser - uno dei collaboratori
più in vista dei “Quaderni Rossi” - sostiene che, dopo l’occupazione e lo scontro
con i docenti all’interno delle università, nell’iniziativa degli studenti assumono
sempre più importanza i rapporti con la classe operaia. 42 Facendo notare, in una dichiarazione
a “L’Espresso”, che c’è “una grande tensione alla FIAT per la regolazione
dei cottimi e che gli operai guardano, in questo momento, con attenzione al
movimento studentesco.” 43 Ne sono testimonianza le battaglie per la conquista di
nuovi spazi di democrazia e di autodecisione nelle fabbriche con l’obiettivo di contrastare
la struttura gerarchica e autoritaria delle imprese e la messa in discussione
della stessa gestione burocratica e verticistica delle vertenze sindacali. 44 Le rivendicazioni
che emergono non riguardano più soltanto i livelli salariali e le questioni
normative, ma contestano direttamente l’organizzazione del lavoro in fabbrica: i
ritmi e le condizioni di lavoro, la nocività dell’ambiente, la sicurezza. Temi non più
delegabili, ma che devono rientrare nella contrattazione aziendale e riguardare il
singolo posto di lavoro. Soprattutto a Milano, sostenute dalle strutture di base e dai
“comitati unitari”, si impongono nuove rivendicazioni sindacali. Riguardano aspetti
egualitari come gli aumenti salariali uguali per tutti, la parificazione normativa tra
operai e impiegati, salariale tra uomini e donne, la riduzione dell’orario di lavoro,
il controllo dei ritmi e degli straordinari. Aspetti che influenzano e vengono assunti
nelle piattaforme contrattuali delle categorie.
Uno sciopero, in particolare, fece notizia e suscitò sorpresa per il peculiare contesto:
una cittadina in provincia di Vicenza, con una storia di tradizione cattolica,
rispetto per le leggi e scarsa tradizione sindacale. La lotta dei circa 3 mila operai
del lanificio Marzotto di Valdagno venne decisa per contrastare un pesante piano di
licenziamenti e l’aumento dei carichi di lavoro. Il fatto che segnò quella vertenza
avvenne il 19 aprile 1968, quando un gruppo di giovani operai, nel corso di una manifestazione,
abbatté la statua del conte Gaetano Marzotto, considerato il benefattore
che a metà ottocento aveva fondato il gruppo tessile e costruito attorno alla fabbrica
le scuole, un teatro e una chiesa. Il contesto sociale negli anni era, però, profondamente
cambiato e la lotta degli operai portò allo scoperto condizioni di lavoro du-
48
ilLAVOROCOMEVALORE
rissime e una gestione dell’azienda tutt’altro che paternalistica, ma autoritaria, fatta
di multe, sospensioni e cronometristi spietati nel tagliare i tempi delle lavorazioni.
L’episodio ebbe una risonanza internazionale. La vertenza si concluse con la firma
di un buon accordo. 45
In seguito le rivendicazioni si estendono dalla fabbrica ai temi sociali più generali
(la salute, la casa, le pensioni, i trasporti) che coinvolgono la vita quotidiana dei lavoratori
e delle famiglie. A Milano, come a Torino, la massiccia migrazione dal sud
ha evidenziato la condizione precaria e non più sostenibile delle abitazioni operaie,
e motivato la richiesta di importanti investimenti pubblici nell’edilizia popolare.
Si può così sostenere che, nell’insieme, gli scioperi del 1968-1969 servono a
“costruire una nuova identità collettiva, a partire dal riconoscimento dei diritti e
dell’appropriazione di spazi condivisi, prima negati”. 46 A Torino la data di inizio di
quello che a settembre l’allora segretario nazionale del Psi Francesco De Martino
avrebbe chiamato “Autunno caldo”, per definire una stagione che sarebbe passata
alla storia, è il 3 luglio 1969. Quel pomeriggio al corteo degli operai usciti da Mirafiori
per manifestare attorno allo stabilimento si uniscono studenti, lavoratori di
altre fabbriche e rappresentanti di forze politiche della sinistra non tradizionale,
prima fra tutte Lotta Continua. In corso Traiano, tra sassi lanciati e cariche della
polizia si consuma la prima di tante guerriglie urbane di quella stagione. Uno scontro
che con le ore aumenta di intensità, continua nella notte in direzione della fabbrica
del Lingotto e verso Nichelino e Moncalieri. Il bilancio ufficiale di quella giornata
parla di 70 feriti, 160 fermati e 28 arresti, ma molti manifestanti si fecero aiutare da
amici e famigliari per evitare di essere segnalati. 47 Una fase sociale e politica quella
dell’autunno caldo che ha rappresentato: “uno spartiacque fra una società nella quale
il lavoro e i lavoratori non avevano ancora raggiunto piena e legittima cittadinanza
e una società nella quale il lavoro e i lavoratori hanno conquistato legittimità e cittadinanza”.
48 Una condizione che negli ultimi decenni, con i mutamenti intervenuti
nell’organizzazione del lavoro, l’affermazione di nuove ideologie e l’affievolimento
dell’interesse verso le categorie operaie da parte delle tradizionali forze politiche di
riferimento, fatica ad essere difesa.
La diversa condizione degli impiegati
Le proteste giungevano, però, attenuate nella palazzina della direzione commerciale
dove aveva sede l’ufficio nel quale, dai primi giorni del settembre 1967, ero
impiegato. Le condizioni di lavoro non erano paragonabili a quelle dei reparti di
produzione che avevo conosciuto e visitato durante il corso. Queste, insieme alle
differenze normative e contrattuali, separavano ancora nettamente gli impiegati dagli
operai e sancivano, con la garanzia del posto di lavoro, la fedeltà all’impresa. Due
colleghi di ufficio, dei quali mi sono rimasti impressi i cognomi: Mondonico, taciturno
e abitudinario e Veronelli, estroverso e ciarliero, che per anni avevano lavorato
nell’azienda come operai, mi confidarono che uno dei giorni più belli della loro vita
era coinciso con l’abbandono della tuta e l’agognato passaggio tra gli impiegati.
49
Renzo Penna
Più avanti avrei appreso che, specie in una grande fabbrica, l’insoddisfazione per il
proprio lavoro, per carenza di autonomia e responsabilizzazione, allignava anche
tra gli impiegati. Ma era di diversa natura e non riguardava certo l’intensità, la fatica
e l’oppressione cui era soggetto l’operaio, vincolato ai ritmi della catena e ai tempi
della retribuzione a cottimo. Anzi, per certi versi, era il contrario.
Dopo alcuni lavori di routine mi fu affidata la realizzazione del libretto di manutenzione
di una nuova vettura, la “1750”, una berlina, in seguito diventata “2000”,
prodotta dalla casa milanese tra il 1968 e il 1977. L’archivio nel quale, secondo le
necessità, ci si recava per rilevare e consultare i disegni dei diversi particolari dell’auto
si trovava in un settore dello stabilimento piuttosto distante dal mio ufficio;
così capitava, lungo il tragitto, di incontrare o passare a salutare i colleghi del corso
che lavoravano in altre direzioni. Il posto di lavoro di Salvatore si trovava, ricordo,
in un grande salone della divisione motori, pieno di tecnigrafi allineati. Insomma
nella gestione dell’orario di lavoro gli impiegati del Portello godevano di una certa
libertà. Alla costruzione e stesura del libretto “d’uso e di manutenzione” della nuova
berlina - presentata ufficialmente al pubblico al Salone dell’automobile di Bruxelles
nel gennaio 1968 - mi dedicai con impegno e cura, completando il lavoro in anticipo
sui tempi preventivati. Cosa che, però, non fu per nulla giudicata positiva da alcuni
colleghi. In particolare Bepi, uno degli impiegati più anziani che aveva la scrivania
proprio dietro la mia, mi fece notare che il mio modo di lavorare stava creando dei
problemi e metteva in discussione, per quel determinato tipo di lavoro, procedure e
tempi consolidati. Così mi adeguai posticipando di una decina di giorni la consegna
della bozza del nuovo libretto al capoufficio. Un lavoro che, comunque, venne apprezzato
dalla direzione e mi procurò anche un aumento di stipendio di circa diecimila
lire. La diversità di stato e condizione degli impiegati, tradizionalmente, si
manifestava anche nella loro minore partecipazione agli scioperi e alle rivendicazioni
sindacali. Ma, specie tra i giovani, qualcosa stava cambiando. Insieme ai due
colleghi già operai – entrambi accesi tifosi interisti, mentre a me, che arrivavo dalla
città di Gianni Rivera, era concesso di tenere per il Milan – ho partecipato a tutti gli
scioperi. In particolare, nel maggio del ’68, al grande sciopero unitario dei metalmeccanici
milanesi contro l’autoritarismo padronale e “per la libertà, la dignità e la
sicurezza sul luogo di lavoro”, come era scritto nell’appello dei tre sindacati. 49 E il
10 aprile 1969 allo sciopero generale deciso per protestare contro l’eccidio di Battipaglia.
50 Così come sono stato presente alle prime affollate assemblee di fabbrica
degli impiegati quando, nel dicembre 1968, all’Alfa Romeo venne firmato l’accordo
che, insieme ad un aumento salariale, conteneva il diritto sindacale all’assemblea.
Il paesaggio milanese durante il 1969 “è fatto di scioperi, serrate, ma soprattutto
cortei, che partono dalla cintura industriale per convergere verso il centro; le tute
da lavoro, quelle blu dei meccanici e quelle bianche degli operai Pirelli, sono portate
con molto orgoglio. Vestirsi da operaio diventa una moda”. 51
50
ilLAVOROCOMEVALORE
L’iscrizione al Sindacato
In quel contesto fu per me naturale manifestare al collega Veronelli, con il quale
ero più in confidenza e sapevo impegnato sui temi sociali e politici, la volontà di
iscrivermi al sindacato. Non molti anni fa, nel cercare di mettere un po’ di ordine
tra le vecchie carte, quella prima tessera del 1969 è ricomparsa e riporta il logo della
FIM-CISL di Milano. Le mie conoscenze del sindacato non contemplavano, allora,
una preferenza fra le tre sigle dei sindacati metalmeccanici e, questa, venne determinata
dal collega, il quale aveva come referente politico l’Onorevole Vittorino Colombo;
un esponente di rilievo, nella Democrazia Cristiana, della corrente di “Forze
Nuove”.
In ogni caso la FIM, negli anni sessanta e settanta, ha svolto, con dirigenti come
Luigi Macario e Pierre Carniti, un ruolo importante nel rinnovamento delle culture
del lavoro, sapendo porre al centro della modifica dei rapporti di potere nei luoghi
di lavoro e dei processi di riforma della società la persona, con i suoi diritti, i suoi
saperi, le sue aspirazioni. Ed è stata decisiva, come vedremo anche ad Alessandria,
nella costruzione, con la F.L.M., del processo unitario del sindacato dei metalmeccanici.
In quegli anni a Milano il sindacato cattolico aveva un insediamento politico e
organizzativo importante e prestava una particolare attenzione alle problematiche
degli impiegati. Prossima alla fabbrica vi era una sede che ricordo sempre affollata
e attiva.
Se, nei mesi del corso, l’interesse per le materie illustrate, la conoscenza diretta
e dettagliata della fabbrica e l’impegno per relazioni e tesi, occupando tutto il tempo
a disposizione, aveva attenuato il disagio del pendolarismo settimanale e del vivere
fuori casa la maggior parte del tempo, con l’avvio dell’impiego, presto divenuto ripetitivo
e poco motivante, il disagio tornò a manifestarsi. Con l’amico Salvatore
cercammo delle alternative, al di fuori dell’orario di lavoro, iscrivendoci, per i corsi
di nuoto, alla piscina Bonacossa e, per l’attività fisica, alla palestra del velodromo
Vigorelli. All’interno del Velodromo, che nel giugno del 1965 aveva ospitato il
primo concerto italiano dei Beatles, si allenava il pugile Sandro Mazzinghi, protagonista,
in quegli anni, di una lunga rivalità e memorabili match per il titolo mondiale
dei medi junior con Nino Benvenuti. Contemporaneamente iniziò la ricerca
di un’occupazione prossima a casa e quando Salvatore venne assunto, nella sua Sicilia,
all’ANIC di Gela, la mia ricerca si intensificò e divenne concreta dopo un colloquio
con il dott. Riccardo Lenti, uno dei titolari dell’argenteria “Ricci” della mia
città.
Il rapporto di lavoro con l’Alfa Romeo cessò così con la fine del mese di luglio
del 1969.
Qualche giorno prima, la sera del 20 luglio, una domenica, gli americani erano
sbarcati sulla Luna.
51
Renzo Penna
IL TERRORISMO IN FABBRICA
Qualche anno dopo alcuni dei nomi dei dirigenti dell’Alfa Romeo che avevamo
conosciuto come relatori nei mesi del corso di formazione comparvero sui giornali
come protagonisti involontari di eventi drammatici. La prima fase dell’organizzazione
terroristica “Brigate rosse” è stata caratterizzata, tra il 1970 e il 1974, da una
campagna di propaganda che, attraverso azioni dimostrative eclatanti all’interno
delle fabbriche e sequestri di dirigenti industriali, era indirizzata a suscitare le simpatie
e a conquistare consensi, soprattutto, tra gli operai delle grandi realtà produttive
del nord. Milano, la capitale industriale del Paese, fu il teatro dove vennero messe
in atto le prime azioni e gli stabilimenti della Sit-Siemens e della Pirelli quelli dove
il proselitismo delle BR tra gli operai registrò gli iniziali successi. A partire dal 1972
sono, infatti, già operativi nuclei di affiliati in alcune grandi fabbriche milanesi e,
di lì a poco, ispirandosi alle formazioni guerrigliere sudamericane, nascono le colonne
milanesi e torinesi dell’organizzazione.
Dopo una prima azione del marzo 1972 che ebbe come obiettivo una persona
(l’ingegner Idalgo Macchiarini dirigente della Sit-Siemens), il 28 giugno del 1973,
con modalità analoghe, le Brigate rosse sequestrano, di fronte alla sua abitazione,
Michele Mincuzzi, ingegnere dell’Alfa Romeo di Arese, specializzato in organizzazione
del lavoro e responsabile nella direzione della produzione. Mincuzzi, persona
estrosa e conosciuta non solo in azienda, era, in particolare, il capo dei cronometristi,
cioè dei tecnici che con l’uso del cronometro e l’analisi delle fasi di lavorazione assegnavano
all’operaio il tempo necessario per eseguire un determinato particolare.
Dai loro calcoli dipendeva sia la quantità del lavoro da realizzare (numero di pezzi
in un tempo stabilito) che il conteggio del rendimento per la retribuzione del cottimo.
Un’attività da sempre vista con sospetto e osteggiata dagli operai. Quindi un bersaglio
perfetto per le finalità della propaganda brigatista. L’operazione fu attuata con
un sequestro ed un processo proletario di alcune ore. Mincuzzi fu incappucciato e
portato in aperta campagna dove si svolse l’interrogatorio. L’ingegnere venne poi
rilasciato nei pressi della fabbrica con un cartello al collo che recava la scritta: “Brigate
Rosse - Mincuzzi Michele dirigente fascista dell’Alfa Romeo - Processato dalle
Brigate Rosse. Niente resterà impunito - Colpiscine uno per educarne cento - Tutto
il potere al popolo armato - Per il comunismo.” Autore del cartello fu il brigatista
Mario Moretti che, in quell’occasione, disegnò, forse per errore, la stella delle BR
a sei punte, come la stella di Davide, anziché a cinque. 52
Nello stabilimento dell’Alfa Romeo di Arese, dove era sorto il gruppo di “autonomia
operaia” che si contrapponeva all’azione della F.L.M., il sindacato unitario
dei metalmeccanici, il terrorismo si insediò dal 1975. In questo clima conflittuale
nacquero cellule armate delle BR che costituirono la prima colonna terroristica e
organizzarono all’interno dell’azienda numerosi episodi di violenza, di intimidazione
e di sabotaggio alla produzione. All’esterno della fabbrica i brigatisti avevano
legami con i gruppi della contestazione extraparlamentare che operavano nel vicino
e popolare quartiere di Quarto Oggiaro. Dalle prime azioni dimostrative le Brigate
rosse passarono ai ferimenti e nel mirino degli attacchi terroristici finirono, soprat-
52
ilLAVOROCOMEVALORE
tutto, i dirigenti dell’azienda: Aldo Grassini l’8 novembre 1977, Domenico Segala
8 febbraio 1978, Ippolito Bestonso il 29 settembre 1978, Pietro Dellera il 21 febbraio
1980. Il culmine si ebbe il 3 Giugno del 1981 con il rapimento e il sequestro del dirigente
Renzo Sandrucci, sottoposto a processo proletario “come traditore della
classe operaia” e rilasciato 50 giorni dopo, il 23 luglio. Nel giorno del sequestro di
Sandrucci fu ucciso a colpi di pistola da un gruppo di fuoco Antonio Frasca. Nativo
di Noto in provincia di Siracusa, negli anni 50 era immigrato a Milano con la famiglia,
trovando lavoro nella grande fabbrica milanese come addetto alla vigilanza.
L’attentato fu rivendicato sia dalle Brigate Rosse e sia da Prima Linea.
Tra i dirigenti colpiti, in particolare, avevamo conosciuto in occasione del corso
il Cavaliere Ippolito Bestonzo che era stato anche il relatore della tesi dell’amico
Salvatore. Bestonso, con i suoi 66 anni, era il dirigente più anziano dell’azienda e
da operaio specializzato aveva percorso tutti i gradi della carriera interna alla fabbrica
sino alla dirigenza della sezione motori. Nell’agguato del venerdì 28 settembre
1978 a Milano quattro pallottole calibro 7,65 gli avevano spappolato il ginocchio
destro e spezzato tibia e perone della gamba sinistra. L’aggressione fu rivendicata
in un volantino dalla “colonna Walter Alasia-Luca”.
In quei terribili anni fra i 20 mila operai dell’Alfa Romeo molti furono arrestati
e altri costretti alla latitanza.
In quegli anni...
- Nel 1967 Fabrizio Da Andrè compone e canta Via del Campo
- Per il cinema Pier Paolo Pasolini scrive e dirige Che cosa sono le nuvole?
- Nel 1968 le canzoni più vendute sono: Azzurro di Adriano Celentano; La bambola
di Patty Pravo; Delilah di Jimmy Fontana; Applausi de I Camaleonti
- Enzo Jannacci scrive Vengo anch’io. No tu no
- Beppe Fenoglio pubblica Il partigiano Johnny
- Nel cinema Sergio Leone dirige C’era una volta il West
- Il 15 agosto 1969 ha inizio il festival di Woodstock (New York), il concerto rock
più famoso di sempre
- Nel 1969 la hit parade delle canzoni vede ai primi posti: Lo straniero di Georges
Moustaki; Storia d’amore di Adriano Celentano; Non credere di Mina; Lisa dagli
occhi blu di Mario Tessuto
- Gillo Pontecorvo è il regista di Queimada
53
Renzo Penna
Note
1
La sede era in via Wagner, angolo viale Medaglie d’Oro. Nel 1929 venne costituita
la “Lenti, Vescovi & C”, trasformata nel 1931 in “Ricci & C” società anonima.
2
“Argenteria Ricci”, in Paola Giordano, Grazia Penna Ivaldi (a cura di), Il Lavoro
Perduto - Alessandria: parlano le lavoratrici e i lavoratori delle fabbriche chiuse
(1970-1990), Alessandria, Ed. Camera del Lavoro di Alessandria, 2012, pag. 74.
3
Piero Boni, FIOM 100 anni di un sindacato industriale, Roma, Ediesse, 1993,
pagg. 199-200.
4
Il Governo di centro-sinistra presieduto da Rumor aveva sostituito il governo
Leone, un monocolore democristiano costituito dopo le elezioni politiche del maggio
1968 che, tra l’altro, registrarono: un aumento dei voti dell’opposizione di sinistra
(il PCI passò dal 25,3% al 26,9% e il PSIUP ottenne il 4,4%); l’insuccesso dell’unificazione
socialista PSI-PSDI che diminuì di un quarto i voti ottenuti cinque anni
prima a liste separate; un lieve aumento della DC (dal 38,3 al 39,1).
5
Giacomo Brodolini, socialista, una militanza nel Partito d’Azione, ex vicesegretario
della CGIL, si definiva “ministro dei Lavoratori, non del Lavoro.” Secondo
Brodolini la riforma che porta il suo nome rappresenta soprattutto “una grande opera
di giustizia”. Gravemente malato morirà pochi mesi dopo la sua approvazione.
6
“Eletti il Presidente e il vice del Comitato Provinciale I.N.P.S.”, in “Il Piccolo”,
anno XLVI, n. 1, 2 gennaio 1971, pag. 1.
7
I componenti del Comitato provinciale INPS in rappresentanza dei lavoratori,
eletto nel 1970 e rinnovato nel ’75: Dante Bonzano, Giovanni Divano, Leandro
Colla, Giacomo Morchio, Carlo Biscussi, Teresio Ferrero, Ernesto Pasquale, Sauro
Esposti, Umberto Allori, Luigi Antoniani, Salvatore Acri, Renato Cappa, Luigi Selis,
Ugo Invernizio. In “Il Piccolo”, 21 maggio 1975, pag. 8.
8
Zone salariali, dal Contratto Nazionale di Lavoro Argentieri FIM, FIOM, UILM,
1 aprile 1970: ZONA 0: Milano, Torino; 0a: Genova, Roma. ZONA 1: Como, Firenze,
Sondrio, Verbania; 1a Crema; 1b Biella; 1c: Varese. ZONA 2: Aosta, Bergamo, Bolzano,
Brescia, Cremona, Gorizia, Imperia, Livorno, Massa Carrara, Novara, Pavia,
Pisa, Savona, Trento, Venezia, Trieste. ZONA 3: Alessandria, Belluno, Bologna, La
Spezia, Mantova, Modena, Padova, Parma, Piacenza, Ravenna, Reggio Emilia, Verona,
Vicenza; 3a: Napoli. ZONA 4: Asti, Cuneo, Ferrara, Forlì, Grosseto, Pistoia,
Rovigo, Siena; 4a: Ancona; 4b: Udine, Pordenone; 4c: Palermo; 4d: Lucca, Treviso.
ZONA 5: Ascoli Piceno, Cagliari, Catania, Frosinone, Latina, Lecce, Messina, Perugia,
54
ilLAVOROCOMEVALORE
Pesaro, Pescara, Rieti, Salerno, Viterbo; 5a: Bari, Taranto, Terni; 5b Arezzo. ZONA
6: Agrigento, Avellino, Benevento, Brindisi, Caltanisetta, Campobasso, Caserta, Catanzaro,
Chieti, Cosenza, Enna, Foggia, L’Aquila, Macerata, Matera, Nuoro, Potenza,
Ragusa, Reggio Calabria, Sassari, Siracusa, Teramo, Trapani.
9
La misura venne introdotta in un precedente accordo interconfederale firmato il
6 dicembre 1945 tra la Cgil unitaria e la Confindustria, l’Italia venne divisa in 14
zone salariali, con uno scarto tra la prima e l’ultima del 29%.
10
Intervista ad Aldo Zuccotti, in Paola Giordano, Grazia Penna Ivaldi, cit., pag. 89.
11
“Sessantamila in sciopero per le zone salariali”, in “Il Piccolo”, anno XLIV, n.
8, 29 gennaio 1969, pag. 1.
12
Sergio Turone, “Storia del sindacato in Italia (1943-1969)”, Roma-Bari, Laterza,
1975, pag. 451.
13
Nel Rotary: “il problema delle zone salariali: genesi ed evoluzione”, in “Il Piccolo,
anno XLIV, n. 33, 25 aprile 1969, pag. 1.
14
Le due vittime: Giuseppe Scibilia, 47 anni di Avola e Angelo Sigona, 29 anni di
Cassibile. Il racconto dei fatti narrato dal giornalista Mauro De Mauro “Volevano
solo trecento lire in più” è stato pubblicato su “L’Espresso” l’8 dicembre 1968.
15
Ezio Gabutti “Dall’esperienza alla speranza. La FIM di Alessandria tra il 1965
e il 1985”. WR Editoriale & Commerciale s.a.s. Alessandria, 1987, pag. 19.
16
“Sciopero contro il carovita”. In “Il Piccolo”, 16 ottobre 1969.
17
“l’idea socialista”: mensile della federazione provinciale alessandrina del PSIUP;
n. 2, novembre 1969.
18
Solidarietà con i lavoratori in sciopero. Lettera del Sindaco alla cittadinanza alessandrina,
in “Il Piccolo”, anno XLIV, n. 87, 15 novembre 1969, pag. 1.
19
“Proficua discussione sui problemi della casa e della difesa del salario dei lavoratori”,
in “Il Piccolo”, anno XLIV, n. 89, 22 novembre 1969, pag. 1.
20
Guido Crainz, “Storia della Repubblica”, Roma, Donzelli Editore, 2016, pag. 145.
55
Renzo Penna
21
Sergio Turone, cit., pag. 477.
22
Guido Crainz, cit., pag. 144.
23
“Rinnovo dei contratti per orafi e argentieri”, in “Il Piccolo”, anno XLIV, n. 87,
15 novembre 1969, pag. 10.
24
Piero Boni, cit., pag. 203.
25
Gino Giugni, “L’autunno caldo”, in Lavoratori e movimento sindacale in Italia
dal 1944 agli anni Settanta, Milano, Morano, 1972, pagg. 132-143.
26
Aumento di lire 65 orarie per gli operai e di lire 13.500 mensili per gli impiegati.
Le richieste erano state, rispettivamente, di lire 75 e di lire 15.000. Cfr. Piero Boni,
cit., pag. 201.
27
Giorgio Lauzi, “La Costituzione entra in fabbrica”, in “Avanti!”, anno LXXIV,
n. 113, 15 maggio 1970, pag. 1.
28
Bruno Ugolini, Gianni Principe, “Lo Statuto dei lavoratori”, Roma, Ed. Q, 2002.
29
Enrico Deaglio, “Patria 1967-1977”, Milano, Feltrinelli, 2017, pag. 170.
30
Alessandria, 31 ottobre 2019, incontro pubblico presso l’associazione “Cultura
e Sviluppo” sul tema: “Dall’Autunno caldo all’industria 4.0”.
31
Benedetta Tobagi, “Piazza Fontana il processo impossibile”, Torino, Einaudi, 2019.
32
Antonio Pizzinato, “Viaggio al centro del lavoro”, Roma, Ediesse, 2012.
33
Enrico Deaglio, cit., pag. 19.
34
Giovanni Testori, “Il ponte della Ghisolfa”, Milano, Feltrinelli, 2013.
35
Alberto Ballerino (a cura di), “Il Piccolo 1925-2005: 80 anni di storia alessandrina”,
Supplemento de “Il Piccolo”, novembre 2005.
36
Giorgio Bocca, “Il bandito Cavallero, storia di un criminale che voleva fare la
rivoluzione”, Milano, Feltrinelli, 2016.
37
“Un anno dopo, il 17 aprile 1965, a Washington, ci fu la prima manifestazione
contro la guerra del Vietnam; nel 1966, il 5 agosto, in Cina, fu pubblicato il docu-
56
ilLAVOROCOMEVALORE
mento di Mao Tse-Toung (Bombardare il quartiere generale) che dava inizio alla
Rivoluzione culturale; il 1967 fece registrare l’uccisione di Che Guevara in Bolivia
(9 ottobre); tre eventi che incisero profondamente nell’immaginario e nelle scelte
politiche degli studenti”. Giovanni De Luna, “Così il sasso diventò una valanga”,
in “La Stampa”, 26 novembre 2017.
38
Marco Roncalli, “50 anni fa l’alba del Sessantotto spuntò in Cattolica”, in
www.Avvenire.it, 15/11/2017 (sito visitato l’ultima volta il 15 settembre 2021)
39
Aldo Agosti, “Il partito provvisorio. Storia del PSIUP nel lungo Sessantotto italiano”,
Roma-Bari, Laterza, 2013, pag. 149.
40
Bruno Trentin, “Il sindacato dei consigli. Intervista di Bruno Ugolini”, Roma,
Editori Riuniti, 1980.
41
Le Tesi della Sapienza forniranno una base teorica alla ‘componente operaista’
del ’68 italiano, una corrente che pone la classe operaia al centro di ogni processo
rivoluzionario”, Enrico Deaglio, cit., pag. 27.
42
Vittorio Rieser nel 1968 è assistente di Sociologia nell’Università di Torino e
collaboratore dei Quaderni Rossi.
43
Ivi, pag. 89.
44
Bruno Trentin, “Autunno caldo. Il secondo biennio rosso 1968-1969”, Roma,
Editori Riuniti, 1999, pag. 63.
45
Enrico Deaglio, cit., pag. 91.
46
Aldo Agosti, cit., pag. 201.
47
Salvatore Tropea, “Corso Traiano brucia. Così il 3 luglio 1969 nasce la rivolta
operaia”, in “La Repubblica”, 2 luglio 2019.
48
Piero Boni, cit., pag. 203.
49
“Le vertenze nell’industria metalmeccanica e le lotte dei lavoratori lombardi investirono,
dalla primavera del ’68 all’estate del ’69, fra le tante, imprese come la
Borletti, l’Autobianchi, il gruppo Magneti ed Ercole Marelli, la Sit-Siemens, la
Ignis, la Necchi di Pavia e realtà siderurgiche quali la Falk e la Radaelli.” Bruno
Trentin, “Autunno caldo”, cit., pag. 85.
57
Renzo Penna
50
Il 9 aprile 1969 a Battipaglia, nel corso di duri scontri tra i manifestanti in lotta
contro la chiusura della locale manifattura tabacchi, unico stabilimento industriale
della città, la polizia spara e uccide il tipografo Carmine Citro e Teresa Ricciardi,
insegnante in una scuola di Eboli. Molti anche i feriti da arma da fuoco. Cfr. Enrico
Deaglio, cit., pag. 146.
51
Ivi, pag. 162.
52
Emiliano Di Marco, “Quella volta che Mario Moretti per ‘sbaglio’ disegnò la
stella di Davide”, in www.agoravox.it, 30 ottobre 2015 (sito consultato l’ultima
volta il 15 settembre 2021).
58
ilLAVOROCOMEVALORE
1968-1969
(Alessandria)
Le proteste degli studenti e l’incontro con gli operai
ai cancelli delle fabbriche.
Il Sindacato scuola della CGIL.
Industria e occupazione nel 1968.
La politica di programmazione del centro-sinistra.
A Spinetta Marengo arriva la “Michelin”
e l’opposizione di PCI e PSIUP.
I risultati delle elezioni politiche.
La Camera del Lavoro: da Vignolo a Ravera.
I Congressi di CGIL e CISL.
59
Renzo Penna
LE PROTESTE DEGLI STUDENTI
In quegli anni quando, nei fine settimana, tornavo a casa potevo misurare le differenze
del clima sociale e l’intensità degli avvenimenti di una grande città a confronto
con una media realtà di provincia. Una differenza non solo quantitativa, ma
anche temporale. Dovuta ad elementi oggettivi: gli studenti alessandrini che nella
primavera del 1968 organizzarono i primi scioperi rivendicando l’utilizzo delle aule
magne per poter discutere i loro problemi, erano quelli degli istituti medi superiori
(industriale “Volta”, commerciale e per geometri, magistrali, liceo scientifico e classico),
non dell’Università. 53
L’Università, per le forze politiche di Alessandria rappresentava, nel 1968, un’aspirazione
e l’argomento iniziava, solo allora, ad essere dibattuto dagli amministratori
della Provincia e del Comune. Ma dovevano trascorrere ancora quasi venti anni (1987-
1988) per registrare, sotto l’egida dell’Università di Torino, l’avvio dei corsi di Scienze
Matematiche, Fisiche e Naturali, di Giurisprudenza e di Scienze Politiche. E altri dieci
anni perché il ministro Luigi Berlinguer decretasse, il 30 luglio 1998, l’istituzione del
“Piemonte Orientale”, il secondo ateneo della Regione. Un’autonomia “conquistata”,
esattamente un anno prima, in un duro confronto parlamentare che alla Camera ha
contrapposto, trasversalmente, i deputati e gli amministratori di Torino a quelli delle
province della “tripolare” (Alessandria, Novara e Vercelli) e ha creato più di un imbarazzo
al ministro per l’Università del primo governo Prodi. Una vicenda che ho
avuto l’opportunità di seguire direttamente e di raccontare in una cronaca dedicata. 54
A promuovere per primo il dibattito su “Università in lotta” fu il Circolo culturale
“Francesco De Sanctis” che la sera di mercoledì 13 marzo, nel salone dell’Istituto musicale
di via Parma, organizzò un incontro con due studenti universitari di Milano e
di Genova. Il primo, Gian Paolo Semino, di architettura e il secondo, Gian Paolo Poggio,
di lettere. Con quella iniziativa il “De Sanctis” affrontò il tema della contestazione
studentesca che cominciava a maturare anche nella nostra città attraverso la testimonianza
diretta del fenomeno, insieme ad una analisi delle conseguenze e delle implicazioni
generate dalle lotte studentesche, non solo in ambito scolastico, ma politico
generale. Ad Alessandria, sin dal 1967, si era formata la minuscola, ma anticipatrice
“ORSA”, Organizzazione Rappresentativa Studenti Alessandrini, per iniziativa di alcuni
studenti, soprattutto del Liceo Scientifico. Presidente era Ettore Livorsi e vicepresidente
Brunello Mantelli. Nei dibattiti e nei documenti dell’Organizzazione erano
già presenti i temi dell’antiautoritarismo e del necessario legame tra movimento studentesco
e movimento operaio. Va altresì ricordato che nei primi mesi del 1968 Luciano
Stella, che dopo la maturità conseguita al Plana si era iscritto a Giurisprudenza
a Genova, fondò il Circolo “Democrazia Diretta”, che aveva la sua sede in via Francesco
d’Assisi. Il Circolo divenne il punto di riferimento degli studenti contestatori
alessandrini, ma rimase attivo meno di un anno. Nell’ambito del “Circolo” si formarono
primi gruppi di studenti universitari e medi che spostarono l’impegno della militanza
dalla scuola ai cancelli delle fabbriche. 55 In particolare venne costituito il
“Gruppo di lav. Pasino” che si rapportò con gli operai della fabbrica di Solero.
60
ilLAVOROCOMEVALORE
Pochi giorni dopo, ai primi di aprile, ottenuta l’autorizzazione dal provveditore agli
studi, professor Fassio, gli studenti dell’Istituto magistrale “Diodato Roero Saluzzo” e
dell’Itis “Volta”, dopo un incontro con i rispettivi presidi, tengono due distinte assemblee.
Le loro richieste si limitano all’ambito scolastico concentrandosi, in prevalenza,
sulla necessità di un aggiornamento della didattica e tralasciando temi di ordine politico
e sociale. Il giornale locale commenta positivamente l’esito dell’assemblea parlando
di: “maturità e serietà, rifuggendo da tentativi di strumentalizzazioni e ingerenze”. 56
Lo sciopero dei “tre giorni”
Per rivendicazioni più radicali, in linea con i movimenti da tempo in atto nelle maggiori
città, bisognerà attendere gli ultimi mesi dell’anno. Giovedì 7 novembre 1968 inizia
lo sciopero, che durerà tre giorni, degli studenti dei licei scientifico e classico, delle
magistrali, dell’Istituto “Volta” e dell’Istituto tecnico professionale “E. Fermi”. I motivi
della protesta sono contenuti in una lettera aperta alla cittadinanza degli studenti del
liceo scientifico “Galilei”. “Il diritto allo studio” - sostengono - “non è attuato in base
alle capacità di ciascuno, ma all’estrazione sociale” e la scuola, con questo indirizzo
classista, “è considerata ormai anacronistica, sia nel contenuto dei programmi che nei
metodi di insegnamento”. Questa volta la protesta non ha l’avallo dei presidi e gli studenti,
stimati in circa tremila, reclamando il “diritto all’assemblea”, circondano e cercano
di occupare la sede del Provveditorato. Sfumata questa possibilità, per l’ingente
presidio delle forze dell’ordine e l’opposizione del provveditore, il corteo dei manifestanti,
inalberando cartelli con slogan espliciti, si incammina verso l’Istituto tecnico
“da Vinci”, di via Trotti, i cui alunni non avevano partecipato allo sciopero. Bloccati
anche qui da polizia e carabinieri gli studenti si dirigono all’istituto magistrale dove
tengono, all’interno, una assemblea. Nei giorni successivi il centro della città è percorso
da cortei che si incrociano e si inseguono.
L’agitazione dei “tre giorni” costerà a nove giovani una denuncia per aver promosso
cortei e tenuto comizi non autorizzati. Un mese dopo il pretore dott. Mario Garavelli,
a conclusione dell’istruttoria, stabilirà che non vi era stata “preordinazione” e manderà
tutti assolti per non aver commesso i fatti addebitati. 57 Questa volta la protesta degli
studenti, per la durata dello sciopero e la dimensione dei partecipanti, conquista l’attenzione
dei cittadini e la ribalta dei mezzi di informazione. Le foto dei “protestatari”,
seduti per terra, in via Gentilini, di fronte al Provveditorato, vengono pubblicate con
evidenza e il bisettimanale di Alessandria “Il Piccolo” decide di organizzare una tavola
rotonda alla quale partecipano giovani dei licei scientifico e classico, delle magistrali,
dell’Istituto tecnico industriale e un insegnante, il prof. Miano, che si presta a fare da
contraltare. (F. 10 e 11)
L’intera prima pagina dell’edizione di mercoledì 20 novembre 1968 del giornale,
con il titolo su nove colonne “Noi Studenti”, è dedicata ai singoli interventi e la Redazione
sintetizza così le posizioni espresse: “Dure critiche alla società moderna e alla
scuola – indipendenza da tutti i partiti politici – perché gli studenti vogliono un’assemblea
aperta a tutti indistintamente”. (F. 12)
61
Renzo Penna
IL SINDACATO SCUOLA DELLA CGIL
Tra i primi a condividere i motivi di fondo degli scioperi e la mobilitazione degli
studenti è il “Comitato promotore” del sindacato scuola CGIL che sostiene, soprattutto,
la richiesta dell’assemblea d’istituto, in quanto: “vede in essa uno strumento
di controllo di massa su tutte le attività della scuola e il dibattito permanente sulla
prospettiva di mutamento delle strutture scolastiche e sociali in senso antiautoritario
e quindi anticapitalistico”. Al contempo il Comitato condanna preventivamente:
“ogni tentativo dell’autorità scolastica e pubblica teso a catturare il movimento studentesco
con proposte ambigue che scavalchino o sviliscano il momento assembleare
e ogni tendenza alla repressione degli studenti scioperanti”. 58 Risulta
indubbiamente significativo che nel “Comitato promotore” numerosi siano gli insegnanti
che aderiscono al PSIUP. Un partito, come sostiene Aldo Agosti, che, essendo
“nato in opposizione al centro-sinistra e all’integrazione riformista del
movimento operaio nel sistema capitalistico”, è, fra tutti i partiti politici italiani,
quello “maggiormente in sintonia con i fermenti sociali del periodo” e più vicino
alle rivendicazioni del movimento studentesco. Il dibattito sulla situazione del sindacalismo
scolastico e sui problemi di trasformazione della scuola e della società,
volto al superamento dei sindacati di settore considerati corporativi, subalterni al
governo e inadeguati a guidare i cambiamenti in atto, si era avviato, in diverse realtà
del Paese, nel marzo 1966, con un documento di dodici “tesi” di analisi della situazione
e dettagliati obiettivi rivendicativi per una riforma democratica della scuola.
Alla stesura del documento lavorò soprattutto il prof. Giorgio Canestri, tra i primi,
secondo la puntuale analisi della prof.ssa Patrizia Nosengo, a comprendere e interpretare
l’istanza di riforme strutturali del sistema scolastico emerse, a partire dalla fine degli
anni Cinquanta, in un’Italia in rapida e profonda trasformazione. 59 Nella parte delle “tesi”
dedicata all’analisi politica, tra l’altro, si legge che: “Lo sviluppo della scuola è oggi
un’esigenza obiettiva del sistema capitalistico. Esso ha bisogno di un vasto mercato del
lavoro di elevata qualificazione, capace di corrispondere al rapido rinnovamento tecnologico
dei processi produttivi. Ma necessita pure di forze di lavoro docili e subalterne
che… non mettano mai in discussione il sistema, non si facciano mai portatrici di valori
alternativi, di modi diversi di organizzazione del lavoro e della società”. E, più avanti,
“occorre comprendere che i lavoratori della scuola non devono soltanto allearsi al proletariato
semplicemente perché sono già essi stessi, obiettivamente, proletariato. È infatti
la logica dello sviluppo capitalistico… che proletarizza strati sempre più vasti della società.
Ed oggi la scuola appare sempre più come la sede iniziale dell’uso capitalistico
delle forze di lavoro, della scienza, della tecnica, della cultura”. 60
Finalità del documento e del Comitato, che nella provincia di Alessandria aveva
come referente il professore Adriano Marchegiani, la costituzione di un sindacato
unico, aderente alla CGIL, di tutti i lavoratori della scuola – studenti, insegnanti,
personale non docente - per acquisire, soprattutto, una nuova coscienza del rapporto
scuola-società. L’assemblea costitutiva del Sindacato scuola della CGIL si tiene sabato
30 novembre 1968, nel salone della Camera del Lavoro di via Parma, e vi partecipa
per la Segreteria nazionale il professor Corrado Mauceri. Per la fase iniziale
62
ilLAVOROCOMEVALORE
di strutturazione e definizione del sindacato viene nominata una segreteria provinciale
composta da Adriano Marchegiani, Giuseppe Amadio e Gian Mario Bottino,
con compiti di direzione e gestione del dibattito. 61 Oltre ai componenti della prima
segreteria provinciale è doveroso ricordare tra chi operò attivamente, con Giorgio
Canestri, alla costituzione del sindacato scuola aderente alla CGIL, i professori Andrea
Foco, che fece parte della segreteria e Franco Livorsi. In particolare Canestri -
già nell’ufficio scuola del PSI, tra i fondatori dell’Associazione per la difesa e lo
sviluppo della scuola pubblica italiana (A.D.E.S.S.P.I.) e molto legato alla tradizione
giellina e azionista - aveva partecipato alla lunga battaglia per l’innalzamento dell’obbligo
scolastico e per l’istituzione della scuola media unica; cui si giunse nel
1962, nell’ambito del primo governo di centro-sinistra guidato da Amintore Fanfani.
Eletto per il PSIUP nel 1968 alla Camera dei Deputati, da parlamentare (luglio
1968 - maggio 1972) Canestri fece parte della Commissione “Istruzione e belle arti”
e firmò numerose proposte di legge dedicate alla scuola. Nella prima fase, come
negli anni seguenti, il riferimento principale del sindacato scuola è stato Adriano
Marchegiani che ne divenne il Segretario responsabile a livello provinciale. Marchegiani,
come ricorda Patrizia Nosengo, era un bravissimo organizzatore, possedeva
spiccatissime doti comunicative e umane ed era profondamente interessato
alla scuola e alla pedagogia. Dal 1974 la Segreteria si ampliò passando da tre a cinque
componenti con l’inserimento di Ermanno Ricci, della componente comunista
e Elvio Bombonato di Avanguardia operaia. 62 Per annoverare la presenza di un componente
dell’area socialista si dovrà attendere l’inizio del 1980, quando sarà chiamato
a farne parte Luigi Amisano.
Gli studenti si dividono
La protesta degli studenti riprende il 30 gennaio 1969 con l’occupazione del
liceo classico “Plana”, ma il clima è mutato. La decisione, presa per contestare la
sospensione di un alunno, non è condivisa da altri studenti che, sostenendo non sia
stata approvata in assemblea, ma: “attuata da una minoranza grazie all’appoggio di
un folto gruppo di elementi estranei alla scuola”, costituiscono il gruppo “Indipendenti
democratici” che si prefigge il compito di “ricondurre la contestazione nell’alveo
di un dibattito più ordinato e democratico”. 63 Se il movimento studentesco
sia in crisi, e per quale ragione, se lo domandano anche un “gruppo di studenti” i
quali, sull’opuscolo curato dal PSIUP “Operai e Studenti”, nell’analizzare “lotte
passate, crisi presente e prospettive future del movimento”, affermano che: “le assemblee
di questi ultimi mesi si sono più o meno risolte nel caos in tutti gli istituti,
mentre un lavoro continuativo di avanguardia sembra esistere solo all’ITIS”. Più
avanti, nel prendere atto che la crisi non è solo di Alessandria, registrano come “in
molte città si è arrivati a respingere l’assemblea, considerata uno strumento inutile.
Se si pensa - affermano - alle lotte di novembre su questo tema ci si rende conto
della portata delle difficoltà attuali”. E riflettendo sulla deficienza organizzativa del
movimento studentesco, soprattutto, quello medio, così analizzano la situazione:
63
Renzo Penna
Volantino studenti, Novembre 1969 (Blog G.
Rinaldi)
“mentre alla prima fase di massa hanno corrisposto in Alessandria gli scioperi per
il diritto di assemblea, nella seconda si sono verificate le occupazioni che hanno
messo in evidenza il difficile rapporto tra avanguardie studentesche e base. In molti
casi, poi, i quadri formatisi nelle lotte hanno abbandonato il terreno studentesco, ritenuto
non più recuperabile, per impegnarsi in campo operaio”. 64 Di recente (30-
11-2018), in occasione dei cinquant’anni del ’68, il tema del rapporto tra movimento
studentesco e “classe operaia” è stato al
centro del convegno promosso dall’associazione
“Città Futura” e “La.S.P.I.”
dell’Università del Piemonte Orientale.
In particolare l’intervento di Giuseppe
Rinaldi - “Davanti ai cancelli. L’incontro
tra studenti e operai nel ’68-’69” -
ha analizzato il contenuto dei volantini
degli studenti in rapporto alle lotte operaie
delle fabbriche di Alessandria.
Il testo qui riprodotto, del novembre
’69, si occupa dello sciopero provinciale
deciso da CGIL-CISL-UIL contro il “caro
vita” che si è svolto il 18 ottobre 1969, ed
invita gli studenti a partecipare a quello
indetto dai sindacati contro il costo degli
affitti e la politica della casa, previsto per
il 19 novembre. In un altro comunicato il
movimento dà appuntamento agli studenti
per le 7,30 di mercoledì 12 febbraio ’69
di fronte ai cancelli delle fabbriche Panelli,
Sila, Baratta, Olva, a sostegno degli
operai in lotta per il superamento delle
zone salariali. Un terzo volantino, dell’estate
’68, da conto dell’attenzione degli
studenti per gli operai delle fabbriche
dell’indotto Fiat di Felizzano (Inves,
Invex, Alfa Cavis) che sono sollecitati a
collegarsi e a seguire le lotte degli operai della Fiat di Torino per aumentare il loro salario.
Nel campo dei rapporti tra studenti e lavoratori, nel periodo prenatalizio del 1968,
si verificò un intervento di diverso tipo, organizzato dal circolo “Democrazia diretta”,
che ebbe una certa risonanza presso l’opinione pubblica. Nei giorni 21 e 22 dicembre
venne proclamato uno sciopero nazionale dei dipendenti del settore del commercio, la
cui componente più nota era costituita dalle commesse dei grandi magazzini. In Alessandria
si trattava di STANDA e UPIM, entrambi ubicati in corso Roma, in pieno centro.
Il tutto si concretizzò con un volantinaggio e picchettaggio per informare della
vertenza e dello sciopero e per distogliere i clienti dall’entrare a fare gli acquisti. La
polizia intervenne in molte situazioni e davanti ai grandi magazzini si ebbero scontri e
64
ilLAVOROCOMEVALORE
tafferugli. Anche ad Alessandria numerosi studenti militanti organizzarono un picchettaggio
piuttosto serrato che dette luogo a tensioni con le forze dell’ordine e a un seguito
di denunce.
L’occupazione del “Plana” dura meno di 24 ore in quanto, su richiesta del preside,
alle undici della sera di venerdì 31, interviene la polizia e provvede a sgomberare la
scuola. Per solidarietà con i liceali gli studenti delle magistrali, dello scientifico e dell’Istituto
tecnico industriale proclamano l’agitazione nei rispettivi istituti. Le ragioni
della protesta sono motivate con il rifiuto della proposta di legge dell’esame di Stato
del ministro Sullo, giudicata troppo selettiva e ispirata da una “logica classista, opposta
alla necessità di una maggiore democrazia nella scuola” portata avanti dalle lotte degli
studenti. L’assemblea dell’ITIS, oltre a chiedere l’abolizione dell’esame di Stato e la
presenza degli studenti nella gestione del consiglio di disciplina e agli scrutini, solleva,
nei confronti dell’Amministrazione provinciale, il problema dei costi dei numerosi pendolari
e rivendica agevolazioni negli abbonamenti e un sostegno economico per la mancata
mensa. Questa ultima fase delle agitazioni studentesche di Alessandria e la
occupazione di scientifico, magistrali e “Volta” termina mercoledì 5 febbraio ’69 e le
lezioni riprendono regolarmente la mattina di giovedì. Per diciannove giovani identificati
dalle forze dell’ordine nel corso dello sgombero del “Plana” ci sarà una coda giudiziaria.
Dovranno rispondere di “invasione di edificio”. Ma anche in questa occasione
il Procuratore dott. Parola, al termine della sua requisitoria, nel mese di agosto, chiederà
di non promuovere l’azione penale in quanto gli studenti: “avevano immediatamente
lasciato il liceo dopo che il preside, con il ricorso alla forza pubblica, aveva espresso
la sua volontà contraria all’occupazione”. 65
Le sedute del Consiglio comunale
Mentre negli istituti riprendono regolarmente le lezioni il Consiglio comunale
dedica due sedute straordinarie, il 7 e il 12 febbraio 1969, ad esaminare le agitazioni
studentesche e il momento critico che attraversa la scuola. Nell’introdurre i lavori
il sindaco Piero Magrassi commemora il sacrificio dello studente cecoslovacco Jan
Palach, che si era dato fuoco per protestare contro l’occupazione sovietica, lo definisce:
“Un eroe del nostro tempo, un punto di riferimento per la nostra inquieta gioventù,
un ragazzo che ha sacrificato, al pari dei nostri partigiani, se stesso per l’ideale
della libertà”. Sul merito delle proteste degli studenti il primo cittadino se, da un
lato, esprime la piena approvazione della maggioranza per le loro rivendicazioni,
dall’altro, condanna le possibili degenerazioni rissose e violente portate avanti da
persone “estranee, sovente, al mondo della scuola”. Il primo ad intervenire nel dibattito
è il consigliere Delmo Maestri, del PCI, che “con una serrata analisi critica”
conferma il pieno appoggio del suo partito al movimento studentesco “in tutte le
sue espressioni”. L’oratore lamenta l’assenza del sindaco in occasione delle occupazioni,
invita l’amministrazione ad azioni concrete in favore dei giovani, come la
realizzazione della Casa dello studente, e termina con “severi giudizi” nei confronti
del preside del liceo Plana per il comportamento non giustificato tenuto in occasione
65
Renzo Penna
dell’occupazione della stessa scuola. Replica all’esponente comunista, confutandone
le argomentazioni, l’assessore Claudio Simonelli, il quale si sofferma sui diversi
problemi che investono l’Ente nei confronti della scuola. Ad entrambe le sedute ha
partecipato e seguito i lavori, sino a tarda ora, un numeroso pubblico. In particolare
gli studenti presenti hanno manifestato con brusii, applausi o grida il loro diverso
gradimento degli interventi. Dopo una serrata e ampia discussione che ha visto intervenire
gli esponenti di tutti i gruppi, sono stati presentati due ordini del giorno. 66
Approvato il primo della maggioranza di centro sinistra - con 18 voti favorevoli,
10 contrari e 2 astenuti - e respinto quello dei gruppi PCI-PSIUP, con 10 favorevoli
e 20 contrari.
L’incontro pubblico con gli studenti
Dando seguito agli impegni assunti nel Consiglio comunale l’Amministrazione
organizza, venerdì 28 marzo 1969, nel salone del “Liceo musicale” un incontro pubblico
con gli studenti per discutere i problemi da loro sollevati. Introduce il sindaco,
porta il suo saluto il provveditore agli studi Fassio, ed è presente il presidente della
Provincia, l’avvocato Armella. La relazione, che la cronaca de “Il Piccolo” definisce
“realistica”, tocca all’assessore alla pubblica istruzione Renato Cocito. Casa dello
studente, disagio e costo dei trasporti per i pendolari, contributi per buoni mensa e
buoni libro, e l’istituzione di una Consulta i temi trattati. In particolare per la Casa
dello studente vengono prospettate due soluzioni: la prima, più realistica, prevede
di ricavare uno spazio adeguato, dove organizzare la mensa e locali per le attività
degli studenti, nell’istituto “San Giuseppe” di proprietà della Provincia, qui lo studio
è già in fase avanzata, ma sono necessari 100 milioni che si spera di ottenere dallo
Stato; la seconda soluzione è quella del palazzo “Trotti-Bentivoglio” di via Guasco
di proprietà del Comune che, riportando ancora i segni dei bombardamenti della seconda
Guerra mondiale, necessita di una totale ricostruzione. 67 Su questo aspetto, a
distanza di mezzo secolo, non si può fare a meno di constatare, con amarezza, che
le diverse amministrazioni succedutesi non abbiano avuto la necessaria sensibilità
nei confronti del “Diritto allo studio” e, neppure con l’insediamento dell’Università,
siano state in grado di realizzare adeguati servizi per gli studenti e Alessandria, la
città capoluogo, sia, tutt’oggi, carente di residenze, mense, spazi di incontro e di
studio per gli universitari e foresterie per i docenti dell’Università del Piemonte
Orientale. Quando si apre la discussione intervengono numerosi studenti, tra gli
altri, degli istituti “Fermi”, “Migliara” e “Leonardo da Vinci” che, con “vivacità e
concretezza”, mettono a fuoco e denunciano problemi e difficoltà che li riguardano.
D’altronde la sede e gli interlocutori non erano certo i più consoni ad un confronto
sulle inquietudini del mondo giovanile e la natura delle contestazioni, verso la scuola
e la società, portate avanti dal movimento studentesco.
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ilLAVOROCOMEVALORE
In 250 occupano il “Migliara”
Una coda della protesta degli studenti alessandrini si registra nel mese di novembre.
Iniziano gli allievi dell’Istituto per il commercio “Giovanni Migliara” che
in 250 occupano per due giorni la scuola. La loro rivendicazione è duplice: da un
lato sostengono che la sede dell’istituto è inadeguata alle esigenze scolastiche, mentre,
in tema di diritto allo studio, chiedono l’istituzione del biennio per poter conseguire
il diploma di perito aziendale, valido anche per l’accesso all’università. Sul
primo punto hanno un incontro con il sindaco Magrassi e il vice sindaco Attilio Castellani
che promettono interventi solleciti; del secondo discutono, nel corso di
un’assemblea, con i parlamentari Abbiati (PSI), Sisto (DC) e Canestri (PSIUP).
Negli stessi giorni scioperano anche gli studenti dell’Istituto professionale “Enrico
Fermi”, del “Volta” e dello scientifico per protestare contro l’autoritarismo degli insegnanti
e per il ritiro di provvedimenti disciplinari. In particolare i ragazzi del
“Fermi” avanzano al Provveditore una richiesta che oggi può sorprendere: superare
la scarsa rilevanza assegnata nella loro scuola alle materie umanistico-letterarie,
confinate nelle poche ore di una generica “cultura generale”. 68 Su entrambe le questioni
il Provveditore incontra i ragazzi e assicura il suo impegno.
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Renzo Penna
ilLAVOROCOMEVALORE
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via Bobbio, 14
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Progetto grafico e impaginazione: Daniele Allegri
Per l’immagine in copertina: manifestazione provinciale dei metalmeccanici,
Alessandria, 22 febbraio 1979.
In quarta di copertina: la Lega FLM al Sacrario della “Benedicta”, 13 aprile 1980.
Prima edizione - Aprile 2022
Questo libro è stampato su carta amica delle foreste