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Cinema di prossimità

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Ilaria Pezone<br />

IL CINEMA DI PROSSIMITÀ<br />

privato, amatoriale, sperimentale e d’artista<br />

FALSOPIANO


FALSOPIANO<br />

LIGHT<br />

una collana <strong>di</strong>retta da Francesco Ballo


EDIZIONI<br />

FALSOPIANO<br />

Ilaria Pezone<br />

IL CINEMA DI PROSSIMITÀ<br />

privato, amatoriale, sperimentale e d’artista


Ringraziamenti<br />

Ringrazio Francesco Ballo e Giuseppe Baresi per la loro <strong>di</strong>sponibilità e i loro generosi insegnamenti.<br />

Sono inoltre riconoscente a Gianmarco Torri, senza il cui costante supporto non avrei potuto<br />

in<strong>di</strong>viduare le fonti da cui ho sviluppato il mio <strong>di</strong>scorso, a Luca Mosso, per l’interessamento<br />

e i suggerimenti forniti alla mia ricerca e a Piero Quaglino, per la gentile concessione<br />

<strong>di</strong> materiale e appunti utili al mio lavoro.<br />

Un particolare ringraziamento va inoltre a Paolo Simoni, Karianne Fiorini e Mirco Santi, soci<br />

fondatori dell’Associazione Home Movies, Archivio Nazionale del Film <strong>di</strong> Famiglia, poiché<br />

hanno messo a mia <strong>di</strong>sposizione numerosi film e saggi, oltre ad avermi permesso <strong>di</strong> esplorare<br />

in prima persona il “fare filmico” a partire dagli archivi famigliari.<br />

Ringrazio mia madre, Annamaria Greppi, e Massimo Ferrari, primi appassionati lettori della<br />

stesura del 2011; i miei fondamentali assistenti nella correzione delle bozze, Dario Agazzi e<br />

Giulio Sangiorgio; Franco Berar<strong>di</strong> e Mario Canali per le suggestioni filosofiche;<br />

Michelangelo Buffa, perché non riesco a smettere <strong>di</strong> imparare da lui e perché ha saputo aiutarmi<br />

con gentilezza.<br />

Ringrazio Jon Jost e Marcella <strong>di</strong> Palo Jost, con cui il <strong>di</strong>alogo è sempre sorprendente. La mia<br />

gratitu<strong>di</strong>ne va anche a Mauro Santini, Sergio Visinoni, Guido Bezzola e Charles Metewether<br />

per la preziosa <strong>di</strong>sponibilità; a Paola Boioli e Stefania Rossi per il sostegno morale; a Luigi<br />

Erba, Gerardo Gallifoco, Vincenzo Sparasci, Marco Zelada, Piero Deggiovanni, Gianni<br />

Cattaneo, Annamaria Gioja e ai miei insegnanti, per l’incoraggiamento e per aver nutrito il<br />

mio desiderio <strong>di</strong> conoscenza. Ringrazio Marco Sangiacomo per lo scambio filmico e Angelo<br />

Airol<strong>di</strong>, insieme ai miei famigliari, perché oltre a supportarmi mi sopportano. Ringrazio e<br />

ricordo con affetto Antonio Caronia, <strong>di</strong> cui conservo ancora l’inaspettato messaggio nel quale<br />

mi propose la pubblicazione <strong>di</strong> questa mia tesi che de<strong>di</strong>co a lui e a Franco Crespi.


INDICE<br />

Introduzione<br />

<strong>di</strong> Francesco Ballo p. 9<br />

Premessa p. 11<br />

Capitolo primo<br />

Per una definizione <strong>di</strong> campo: il cinema <strong>di</strong> <strong>prossimità</strong> p. 14<br />

Collocazione del cinema <strong>di</strong> <strong>prossimità</strong><br />

nella forma del documentario p. 14<br />

Il <strong>Cinema</strong> amatoriale p. 19<br />

Caratteristiche tecniche del cinema amatoriale p. 25<br />

Il <strong>Cinema</strong> privato p. 30<br />

Il <strong>Cinema</strong> <strong>di</strong> <strong>prossimità</strong> p. 33<br />

Capitolo secondo<br />

Confini: chi è cineamatore p. 39<br />

Il concetto <strong>di</strong> cineamatore p. 39<br />

La figura del cineamatore p. 45<br />

Grammatica del cinema amatoriale p. 47


Il cineamatore nel cineclub e il contesto artistico p. 53<br />

Cenni sul cinema underground americano p. 58<br />

Cenni sul cinema underground italiano p. 87<br />

Capitolo terzo<br />

<strong>Cinema</strong> personale o Egoproduzioni p. 109<br />

Egoproduzioni p. 109<br />

Panorami contemporanei p. 112<br />

Autobiografia e autoritratto p. 122<br />

Approfon<strong>di</strong>menti: cinema personale e <strong>di</strong> <strong>prossimità</strong> p. 127<br />

Capitolo quarto<br />

Strade del cinema <strong>di</strong> <strong>prossimità</strong>,<br />

tra sale buie e videoinstallazioni p. 175<br />

Archivi <strong>di</strong> creazione p. 175<br />

Film privati: approfon<strong>di</strong>menti p. 179<br />

Videoinstallazioni p. 200<br />

Conclusioni p. 218<br />

Bibliografia p. 220<br />

Filmografia p. 227


INTRODUZIONE<br />

<strong>di</strong> Francesco Ballo<br />

Questo lavoro teorico <strong>di</strong> Ilaria Pezone è una specie <strong>di</strong> <strong>di</strong>zionario <strong>di</strong> filmmaker<br />

e <strong>di</strong> film come persi nell’oblio (escluso l’underground americano) a causa <strong>di</strong> una<br />

<strong>di</strong>stribuzione che forse non c’è mai stata.<br />

Ilaria Pezone realizza una ricerca analitica su uno spazio lasciato vuoto dalla<br />

critica e dallo stu<strong>di</strong>o perché non esaminato. Uno spazio <strong>di</strong> autori che dovrà essere<br />

ancora riempito con attenzione e con scrupolo.<br />

Questa analisi si presenta da subito molto <strong>di</strong>fficile anche perché, come scrive<br />

la stu<strong>di</strong>osa: «non esiste il genere “cinema <strong>di</strong> <strong>prossimità</strong>” così come [invece] esiste<br />

“cinema <strong>di</strong> finzione” o “cinema documentario”; tale con<strong>di</strong>zione è il presupposto<br />

sul quale costruire una raccolta <strong>di</strong> film molto <strong>di</strong>versi, ma vicini tra loro per mezzo<br />

<strong>di</strong> una comune intenzionalità, o ancor più una comune modalità <strong>di</strong> lavoro».<br />

È la stessa «indefinitezza <strong>di</strong> fondo» che ostacola una sicura e azzarderei possibile<br />

catalogazione delle stesse opere <strong>di</strong> <strong>prossimità</strong>.<br />

Ilaria Pezone non si perde e riesce con intelligenza a impostare un primo catalogo.<br />

Intorno, con metodo certosino, lentamente si inseriscono tanti altri nomi.<br />

Per cercare <strong>di</strong> circoscrivere gli spazi <strong>di</strong> questo “cinema <strong>di</strong> <strong>prossimità</strong>” analizzato<br />

è importante capire che, come spiega l’autrice: «comprenderà documentari,<br />

opere <strong>di</strong> finzione, opere d’arte e home movie, sottolineando i confini labili che<br />

stabiliscono tali categorie utili per meglio identificare un itinerario <strong>di</strong> ricerca».<br />

Un lavoro unico, innovativo, che sperimenta, con uno stu<strong>di</strong>o approfon<strong>di</strong>to, i<br />

<strong>di</strong>versi percorsi degli autori trattati. Come fosse una nuova e <strong>di</strong>fferente storia del<br />

cinema.<br />

La ricerca analitica accomuna il percorso del pittore espressionista astratto con<br />

quello del cineamatore per il modo <strong>di</strong> porsi <strong>di</strong> fronte all’opera e <strong>di</strong> fronte all’esistenza.<br />

Ilaria Pezone scrive: «dal rifiuto per l’abbozzo preliminare alla scelta <strong>di</strong><br />

temi personali e profon<strong>di</strong>, alla continuità tra creazione e vita: il cineamatore, consciamente<br />

o inconsciamente, ha a che fare con le stesse questioni del [pittore]<br />

espressionista astratto. Come nella pittura, poi, il lavoro è in<strong>di</strong>viduale e la garanzia<br />

<strong>di</strong> autenticità è considerata un vero e proprio valore imprescin<strong>di</strong>bile, per quanto<br />

si sottolinei che l’emozione provata e la sua espressione estetica oggettivata in<br />

una forma siano componenti <strong>di</strong>verse <strong>di</strong> una stessa esperienza».<br />

Ilaria Pezone parla <strong>di</strong> cineamatore nell’accezione <strong>di</strong> Brakhage, come fosse il<br />

filmmaker che tutto sembra assorbire. Non ne separa, infatti, la personalità in<br />

gioco: l’arte è l’esistenza stessa.<br />

9


«Il termine cineamatore è ambiguo, designando, come vuole l’etimologia,<br />

colui che ama veramente ciò che fa, quanto il <strong>di</strong>lettante, uno che fa qualcosa in<br />

modo amatoriale, con la connotazione negativa legata a questo giu<strong>di</strong>zio.» Al contrario,<br />

secondo la definizione che ne dà Stan Brakhage, il cineamatore: «non<br />

lavora con una progettualità razionale: si muove seguendo istinto e impulsi a<br />

seconda della propria sensibilità, che può anche manifestarsi in progetti successivamente<br />

ben organizzati».<br />

«Un amatore lavora a seconda delle proprie necessità e in tal senso si sente “a<br />

casa” dovunque lavori. E se fa del cinema, fotografa ciò che ama o <strong>di</strong> cui in un<br />

certo senso ha bisogno - un’attività sicuramente più reale, e quin<strong>di</strong> rispettabile,<br />

del lavoro compiuto in vista <strong>di</strong> un guadagno, o della fama, del potere, ecc. E<br />

soprattutto in<strong>di</strong>vidualmente <strong>di</strong> gran lunga più significativa <strong>di</strong> un impiego commerciale<br />

- poiché il vero amatore, anche quando lo fa assieme ad altri amatori,<br />

lavora sempre da solo, giu<strong>di</strong>cando la riuscita rispetto al suo interesse nel lavoro,<br />

piuttosto che rispetto ai risultati o al riconoscimento altrui. [...] L’amatore è uno<br />

che realmente vive la sua vita - non uno che “compie il suo dovere” - e, in quanto<br />

tale, esperisce il proprio lavoro mentre lo svolge, invece che andare a scuola a<br />

impararlo per poter poi passare il resto della sua vita impegnato solo a svolgerlo<br />

doverosamente. E così l’amatore impara e si sviluppa <strong>di</strong> continuo attraverso il<br />

suo lavoro durante tutta la vita, con una “goffaggine” ricca <strong>di</strong> scoperte continue<br />

che è bella da vedere [...]».<br />

Questo stu<strong>di</strong>o <strong>di</strong> Ilaria Pezone riesce a rispondere positivamente al vuoto<br />

lasciato dalle varie storie del cinema.<br />

Francesco Ballo, giugno 2011<br />

10


PREMESSA<br />

Non è facile stabilire i limiti contenutistici <strong>di</strong> una ricerca il cui ambito è inevitabilmente<br />

vario e potenzialmente illimitato.<br />

Non esiste il genere “cinema <strong>di</strong> <strong>prossimità</strong>” così come esiste “cinema <strong>di</strong> finzione”<br />

o “cinema documentario”; tale con<strong>di</strong>zione è il presupposto sul quale<br />

costruire una raccolta <strong>di</strong> film molto <strong>di</strong>versi, ma vicini tra loro per mezzo <strong>di</strong> una<br />

comune intenzionalità, o ancor più una comune modalità <strong>di</strong> lavoro.<br />

Questa indefinitezza <strong>di</strong> fondo, se da un lato ostacola l’ipotesi <strong>di</strong> una categorizzazione<br />

esauriente e conseguente etichettatura <strong>di</strong> un insieme finito <strong>di</strong> “film <strong>di</strong><br />

<strong>prossimità</strong>”, dall’altro consente a chi vi si addentra <strong>di</strong> estendere al massimo le<br />

<strong>di</strong>ramazioni <strong>di</strong>scorsive annesse al tema principale <strong>di</strong> ricerca. Ciò implica la creazione<br />

<strong>di</strong> un percorso non lineare che attraversa <strong>di</strong>fferenti ambiti, spaziando dal<br />

documentario alla fiction, dal cinema al video e dal cinema alla pittura, seguendo<br />

criteri che verranno proposti nei vari capitoli. Sarà utile chiarire fin da subito che<br />

con “cinema <strong>di</strong> <strong>prossimità</strong>” vorrei in realtà alludere anche alle moderne esperienze<br />

video, considerando il termine “cinema” nel suo più imme<strong>di</strong>ato significato tecnico/artistico<br />

<strong>di</strong> “spettacolo” destinato alla proiezione o riproduzione. L’idea <strong>di</strong><br />

cinema pone <strong>di</strong>scutibili questioni sulle con<strong>di</strong>zioni <strong>di</strong> fruizione dello stesso: il cinema<br />

è un fenomeno pubblico poiché è sottinteso che la proiezione implichi almeno<br />

uno spettatore <strong>di</strong>verso dall’autore del film/video. Parlare quin<strong>di</strong> <strong>di</strong> “cinema<br />

privato”, come accadrà nel capitolo introduttivo, potrebbe risultare un controsenso,<br />

in quanto la proiezione può essere destinata a un unico spettatore che coincide<br />

con la figura dell’autore. È naturale chiedersi quale interesse possa rivestire<br />

una simile situazione per un estraneo che si proponga <strong>di</strong> avvicinarsi a questo cinema.<br />

Ho scelto <strong>di</strong> non intitolare il mio lavoro “cinema privato”, poiché, a <strong>di</strong>fferenza<br />

<strong>di</strong> altre trattazioni qui analizzate, ritengo che si tratti <strong>di</strong> una partizione del<br />

“cinema <strong>di</strong> <strong>prossimità</strong>”. Così procedendo ho potuto in<strong>di</strong>viduare piccoli sottoinsiemi<br />

appartenenti a vari ambiti cinematografici o del tutto in<strong>di</strong>pendenti, i quali,<br />

<strong>di</strong>stinti ma sommati tra loro, formano il più grande insieme che è il “cinema <strong>di</strong><br />

<strong>prossimità</strong>”. Lungi da me chiudere questo macroinsieme entro una forma definita;<br />

ritengo essenziale in<strong>di</strong>viduarne e stu<strong>di</strong>arne la presenza, proponendo un punto<br />

<strong>di</strong> vista che rimanda a come io l’ho visto e vissuto: non solo guardandolo, quin<strong>di</strong>,<br />

ma anche e soprattutto in prima persona coinvolta nella produzione <strong>di</strong> video in<br />

bilico tra videoarte e documentario. Video che possono agevolmente rientrare<br />

nella definizione <strong>di</strong> cinema che si vuole qui delineare.<br />

Il cinema <strong>di</strong> <strong>prossimità</strong> comprenderà quin<strong>di</strong> documentari (che più che appartenere<br />

a un genere possono tradursi in modalità, come vedremo), opere <strong>di</strong> finzione,<br />

opere d’arte e home movie, sottolineando i confini labili che stabiliscono tali<br />

11


categorie utili per meglio identificare un itinerario <strong>di</strong> ricerca.<br />

Si tratterà quin<strong>di</strong> <strong>di</strong> un’analisi basata sul confronto, in larga parte compilativa,<br />

volta cioè a riunire molti tra gli ormai numerosi stu<strong>di</strong> in questo campo, senza<br />

pretese esaustive, sviluppando piuttosto un percorso che intreccia a questi ricerche<br />

estranee all’ambito cinematografico puro. Ciò che mi ha spinto a conoscere<br />

il cinema <strong>di</strong> <strong>prossimità</strong> è stata la percezione dell’inadeguatezza nella presentazione<br />

o esposizione <strong>di</strong> alcune opere (film/video), raccolte sotto etichette standard<br />

riduttive, non descrivendo al massimo la loro reale portata contenutistica ed estetica.<br />

All’interno <strong>di</strong> tali opere, apparentemente estranee tra loro, ho in<strong>di</strong>viduato<br />

nella “<strong>prossimità</strong>”, come spiegherò in seguito, il denominatore comune.<br />

Si tratta <strong>di</strong> film e video la cui autonomia <strong>di</strong>fficilmente viene riconosciuta<br />

rispetto a lavori appartenenti a un canone istituzionalizzato. Difficile è concepirla<br />

degna <strong>di</strong> interesse per un pubblico e ancor più <strong>di</strong>fficile è, soprattutto oggi, trovare<br />

un luogo fisico e un contesto culturale entro il quale porre a confronto tali<br />

opere, creando occasioni <strong>di</strong> stimolo per nuove produzioni.<br />

La sorte <strong>di</strong> questo cinema è molto simile a quella che è stata propria <strong>di</strong> un<br />

certo tipo <strong>di</strong> pittura, definita informale, in<strong>di</strong>fen<strong>di</strong>bile nel momento in cui si rende<br />

maniera arida e cadavere incomunicabile, come minuziosamente scrive Balzac<br />

ne Il capolavoro sconosciuto.<br />

Mio desiderio è che questo stu<strong>di</strong>o contribuisca a valorizzare le peculiarità e<br />

proporre una <strong>di</strong>fferente chiave <strong>di</strong> lettura per un cinema che ritengo in<strong>di</strong>feso nei<br />

confronti del troppo intellettualismo <strong>di</strong> certa critica, che dall’arte si aspetta l’intelligibilità<br />

della prosa, più che poesia. In<strong>di</strong>feso anche nei confronti <strong>di</strong> una cultura<br />

che, assecondando una preoccupante degenerazione contemporanea del concetto<br />

<strong>di</strong> lu<strong>di</strong>co, vede nell’imme<strong>di</strong>atezza del colpo d’occhio e nel <strong>di</strong>vertimento il<br />

suo fine principale.<br />

Gli argomenti trattati verranno presentati e approfon<strong>di</strong>ti corredando ogni<br />

capitolo con significativi esempi, descrivendo inoltre la figura del cineamatore,<br />

nel quale si identifica il modello <strong>di</strong> autore del cinema <strong>di</strong> <strong>prossimità</strong>.<br />

Ripercorrendone la storia, verranno infatti sottolineate le convergenze tra cinema<br />

amatoriale e sperimentale e tra questi e il cinema professionale, passando per le<br />

influenze artistico-culturali. Saranno sinteticamente trattati l’underground americano<br />

e italiano, facendo riferimento in particolar modo ai filmmaker assimilabili<br />

o legati al cinema <strong>di</strong> <strong>prossimità</strong>, sorvolando su alcuni aspetti non inerenti alla<br />

ricerca.<br />

Ampliando il <strong>di</strong>scorso al contemporaneo, si approfon<strong>di</strong>rà l’oggetto principe<br />

dello scritto, ovvero il cinema personale e le cosiddette “egoproduzioni”, delineando<br />

il profilo del moderno cine o videoamatore consapevole. In conclusione<br />

saranno presentate le possibilità cinematografiche e installativo/performative che<br />

propongono un recupero degli home movie affinché alimentino un interesse pubblico<br />

e non rimangano confinati in soffitta.<br />

12


Occorre precisare che, data l’eterogeneità dei registi citati, sono in<strong>di</strong>cate sinteticamente<br />

in nota esclusivamente le biografie degli autori strettamente correlati<br />

all’argomento <strong>di</strong> questo saggio; per quanto riguarda la filmografia mi sono<br />

limitata a inserire, oltre ai film citati, quelli che rimandano al cinema <strong>di</strong> <strong>prossimità</strong>,<br />

senza alcuna pretesa esaustiva. Non è pertanto da intendersi quale filmografia<br />

completa per autore.<br />

giugno 2011<br />

13


Capitolo primo<br />

PER UNA DEFINIZIONE DI CAMPO: IL CINEMA DI PROSSIMITÀ<br />

Non basta, per in<strong>di</strong>viduare la “forma” del cinema <strong>di</strong> <strong>prossimità</strong>, <strong>di</strong>fferenziarlo<br />

dall’au<strong>di</strong>ovisivo commerciale: bisogna necessariamente soffermarsi su tutto<br />

ciò che gravita attorno a esso, formando generi strettamente connessi tra loro, ma<br />

non coincidenti. A ciò si deve la maturazione della sua particolare identità autonoma.<br />

Non si definirà quin<strong>di</strong> subito il “cinema <strong>di</strong> <strong>prossimità</strong>”, in quanto si tratta<br />

del “contenitore” in cui inscrivere altri minori “generi” più definiti e oggetto <strong>di</strong><br />

indagine <strong>di</strong> vari ricercatori, in particolare Roger O<strong>di</strong>n. Sarà inizialmente introdotto<br />

un <strong>di</strong>scorso generale su quello che potenzialmente è il cinema <strong>di</strong> <strong>prossimità</strong>;<br />

delineando i <strong>di</strong>fferenti sottoinsiemi che lo compongono, verrà poi a formarsi<br />

l’insieme più ampio e delimitato del cinema <strong>di</strong> <strong>prossimità</strong>, comprensivo <strong>di</strong><br />

ognuno <strong>di</strong> essi.<br />

Collocazione del cinema <strong>di</strong> <strong>prossimità</strong> nella forma del documentario<br />

«Ogni tentativo classificatorio mirato a imbrigliare entro definizioni puntuali<br />

fenomeni della realtà è tendenzialmente fallimentare, perfino nelle “scienze<br />

esatte”. Quando poi si ha a che fare con elaborati della cultura umana, raramente<br />

possono in<strong>di</strong>viduarsi confini netti tra le <strong>di</strong>verse esperienze. [...]<br />

Tuttavia non c’è dubbio che lo sforzo d’in<strong>di</strong>viduazione può rivelarsi utile per<br />

inquadrare esattamente un campo <strong>di</strong> ricerca: isolandolo meglio è possibile<br />

approfon<strong>di</strong>rne la riflessione.» 1<br />

Inizieremo il nostro percorso in<strong>di</strong>viduando che cosa si intenda <strong>di</strong>re quando<br />

parliamo <strong>di</strong> documentario. È necessario analizzarlo a fondo per localizzare al<br />

meglio dove, al suo interno, il cinema <strong>di</strong> <strong>prossimità</strong> è situato; ne emergerà un<br />

insieme altrettanto vasto, liquido e cangiante tanto quanto il documentario stesso.<br />

Con “documentario” si intende, nell’uso comune, un film senza esplicite finalità<br />

<strong>di</strong> finzione, e perciò, in generale, senza una sceneggiatura che pianifichi le<br />

riprese ma, anzi, che <strong>di</strong>mostri <strong>di</strong>sponibilità verso gli acca<strong>di</strong>menti. Tale è la definizione<br />

che ne dà Aprà 2 , rovesciandola poi completamente con esempi pratici,<br />

<strong>di</strong>mostrando come nemmeno la messa in scena sia estranea al documentario. È il<br />

buon senso che ci fa istintivamente <strong>di</strong>stinguere il film fabbricato per raccontare<br />

una storia inventata da quello che racconta una realtà che accade sotto i nostri<br />

occhi.<br />

14


È tuttavia <strong>di</strong>fficile dare al documentario una definizione che non sia negativa:<br />

lo <strong>di</strong>mostrano appellativi come nonfiction, oppure “film non recitato”. Se ne può<br />

fare un <strong>di</strong>scorso tecnico, il che lo accomunerebbe al cinema <strong>di</strong> <strong>prossimità</strong>, dal<br />

momento che il documentario si è sempre scontrato proficuamente con la tecnica,<br />

contribuendo a mo<strong>di</strong>ficare e talvolta trasfigurare il convenzionale linguaggio<br />

cinematografico. Basti pensare al sonoro post-sincronizzato <strong>di</strong> Moi, un noir (16<br />

mm, 1958) <strong>di</strong> Jean Rouch 3 , che sopperisce creativamente all’assenza <strong>di</strong> presa<br />

<strong>di</strong>retta, o a Chronique d’un été (16 mm, 1960) che della neonata presa <strong>di</strong>retta fa<br />

l’elemento car<strong>di</strong>ne della narrazione. Ciò è possibile al documentario proprio grazie<br />

alla sua libertà e in<strong>di</strong>pendenza nei confronti del sistema industriale gerarchico<br />

che affligge la fiction, privandola delle potenziali sperimentazioni linguistiche.<br />

È però impossibile definire le tematiche d’indagine privilegiate dal documentario:<br />

se ne può facilmente constatare la propensione a occuparsi <strong>di</strong> conflitti<br />

ma non esistono temi e mo<strong>di</strong> che <strong>di</strong> preferenza esso tende a trattare. Tuttavia questa<br />

indefinitezza <strong>di</strong> fondo permette al documentario <strong>di</strong> accogliere al suo interno<br />

film molto eterogenei, stimolando una produzione e un arricchimento<br />

estetico/contenutistico continui, proprio grazie al confronto <strong>di</strong>retto tra i <strong>di</strong>versi<br />

linguaggi che lo attraversano.<br />

Come accennato precedentemente, più che <strong>di</strong> “genere” è quin<strong>di</strong> corretto parlare<br />

<strong>di</strong> “modalità” documentaria, in quanto non esistono sue regole fisse e precise<br />

caratteristiche; esiste altresì una modalità, se vogliamo “etica” del documentarista,<br />

col quale lo spettatore stabilisce un patto <strong>di</strong> fiducia sulla cui base si fonda<br />

l’attribuzione <strong>di</strong> veri<strong>di</strong>cità <strong>di</strong> quanto narrato o descritto nel documentario. È l’atteggiamento,<br />

la modalità con la quale il documentario viene girato, a fare la <strong>di</strong>fferenza.<br />

È <strong>di</strong>fficoltoso spiegare quale sia tale modalità: spesso si esplicita nell’utilizzo<br />

<strong>di</strong> una piccola troupe, ma non sempre; si parla <strong>di</strong> povertà <strong>di</strong> mezzi, ma non<br />

è una prerogativa del documentario; si chiamano in causa fattori economici, poiché<br />

in genere gli attori, spesso non professionisti, non vengono pagati, ma nemmeno<br />

questo spiega cosa si intenda per modalità documentaria.<br />

La particolare modalità che <strong>di</strong>fferenzia un documentario da un film <strong>di</strong> finzione<br />

sta, in primo luogo, nel rapporto umano/affettivo che generalmente si instaura<br />

all’interno della troupe e tra la troupe e i personaggi o i luoghi coinvolti.<br />

Sovente è l’effettivo legame, talvolta intellettuale, con le persone o la situazione<br />

che si vuole descrivere, a fungere da stimolo per intraprendere un percorso che<br />

sfocerà poi in un documentario.<br />

Una definizione “elastica” <strong>di</strong> documentario si incontra proseguendo la lettura<br />

del testo <strong>di</strong> Aprà, il quale, tra le tendenze contemporanee, vede una progressiva<br />

ibridazione del documentario con la fiction e con quello che più avanti io chiamerò<br />

“cinema <strong>di</strong> <strong>prossimità</strong>”.<br />

La modernità rimette in <strong>di</strong>scussione le riflessioni degli anni Cinquanta a proposito<br />

<strong>di</strong> “cinema verità”, stile documentaristico caratterizzato dall’utilizzo <strong>di</strong><br />

15


camere a mano, possibilmente in presa <strong>di</strong>retta, e dall’uso <strong>di</strong> attori non professionisti,<br />

per cercare <strong>di</strong> ottenere un estremo naturalismo e l’autenticità del vissuto.<br />

Sarebbe fuorviante prendere alla lettera l’etichetta <strong>di</strong> “cinema-verità”: la pretesa<br />

<strong>di</strong> oggettività con la quale vi si addentrano gli statunitensi (ne è esempio<br />

Frederick Wiseman) si mescola alla soggettività degli europei (Jean Rouch); si<br />

parte dall’inchiesta per giungere alla “mia” verità, come sottolinea ironicamente<br />

Chris Marker, proponendo un “cine-ma veritè”.<br />

Marker mette in questione ciò che filma,<br />

«spingendosi verso la finzione con i fotogrammi fissi <strong>di</strong> La jetée (35 mm,<br />

1962).» 4<br />

Jim McBride, invece, esplora ironicamente e autoriflessivamente i confini tra<br />

vero e falso in David Holzman’s Diary (16 mm, 1967) <strong>di</strong>mostrando la falsità in<br />

cui può incorrere lo spettatore guardando un documentario.<br />

A questo proposito non va nemmeno <strong>di</strong>menticata la portata <strong>di</strong> innovazione<br />

rappresentata dal cinema <strong>di</strong> Andy Warhol, che conduce alle estreme conseguenze<br />

la “veduta” dei Lumière nei lunghissimi e statici Sleep (16 mm, 1963) ed<br />

Empire (16 mm, 1964).<br />

Il documentario si intride <strong>di</strong> finzione, <strong>di</strong> <strong>di</strong>ario, <strong>di</strong> autobiografia, <strong>di</strong> saggio. La<br />

realtà, colta in <strong>di</strong>retta, viene me<strong>di</strong>ata dal punto <strong>di</strong> vista personale soprattutto in<br />

fase <strong>di</strong> postproduzione e <strong>di</strong>viene <strong>di</strong>fficile scindere ciò che è vero da ciò che è<br />

ricostruito.<br />

Il titolo stesso del saggio <strong>di</strong> Aprà (Documentario, la questione vero/falso)<br />

pone un problema che non si può <strong>di</strong>re risolto: la questione vero/falso rimane un<br />

<strong>di</strong>lemma nel quale chi voglia stu<strong>di</strong>are il documentario dovrà imbattersi. Questo<br />

perché, come ampiamente riba<strong>di</strong>to, si tratta <strong>di</strong> un ambito troppo vasto perché lo<br />

si possa chiudere con certezza. Tale ampiezza non può che portare un elevato<br />

coefficiente <strong>di</strong> eterogeneità interna. Seguire il percorso storico del documentario,<br />

che fino agli anni Sessanta è stato possibile sia pure in maniera sintetica, <strong>di</strong>venta<br />

<strong>di</strong>fficoltoso negli anni successivi,<br />

«per il proliferare a <strong>di</strong>smisura della produzione, complici l’agilità tecnica del<br />

mezzo, la committenza della televisione, l’emergere <strong>di</strong> paesi in cui il documentario<br />

era rimasto una forma marginale <strong>di</strong> espressione, nonché l’uso crescente<br />

del video (<strong>di</strong>sponibile fin dal 1963 come apparecchiatura portatile ma<br />

propagato a partire dagli anni Settanta)». 5<br />

Il video entra infatti in scena già con Godard, in commistione con la pellicola<br />

o da solo in vari videosaggi e serie televisive. Difficile sarebbe anche aggiungere<br />

tutte quelle esperienze documentaristiche realizzate in formati sub-stan-<br />

16


dard, che possiamo definire “amatoriali” e che vengono del tutto ignorate da<br />

canali <strong>di</strong>stributivi per la loro stessa essenza “casalinga”.<br />

Aprà ritiene utile la partizione che effettua Nichols 6 , <strong>di</strong>stinguendo tra documentario<br />

espositivo (impersonale), osservativo (in terza persona), interattivo<br />

(<strong>di</strong>alogico) e riflessivo (in prima persona). Il primo è quello che si affida a una<br />

voce fuori campo, espositiva appunto: quello più tra<strong>di</strong>zionale, ancora molto <strong>di</strong>ffuso<br />

in televisione; il secondo è quello che osserva, apparentemente senza giu<strong>di</strong>care,<br />

come fa il cinema <strong>di</strong>retto; il terzo è quello dove la presenza del cineasta<br />

interagisce e provoca la realtà filmata, come in Chronique d’un été; l’ultimo è<br />

quello dove il cineasta riflette sul proprio operato, mettendosi in questione e mettendo<br />

in questione il linguaggio che impiega e la realtà <strong>di</strong> ciò che filma, come in<br />

Godard e Marker. Secondo Aprà il documentario moderno tende, nelle sue forme<br />

più <strong>di</strong>namiche, ad abbandonare le prime due strade per esplorare sempre più la<br />

terza e la quarta.<br />

Ciò è dovuto anche alla crescente <strong>di</strong>ffusione e alla leggerezza ed economicità<br />

della videocamera che permette <strong>di</strong> considerarla non più un mass me<strong>di</strong>um ma un<br />

group o self me<strong>di</strong>um.<br />

Le tendenze più nuove e prolifiche sono, a parere <strong>di</strong> Aprà, quelle legate a un<br />

cinema riflessivo, che possiamo or<strong>di</strong>nare in alcune categorie: il film <strong>di</strong> montaggio,<br />

il film autobiografico e <strong>di</strong>aristico, il film saggio, il fake documentary e il<br />

cinema sperimentale.<br />

Un precursore <strong>di</strong> quest’orientamento è Guy Debord, con il suo La société du<br />

spectacle (35 mm, 1973), nel quale adopera la tecnica del détournement (deviamento)<br />

su materiali <strong>di</strong> repertorio.<br />

«La <strong>di</strong>ffusione del cinema e del video amatoriale, la per<strong>di</strong>ta <strong>di</strong> aura e la leggerezza<br />

dello strumento, la consapevolezza dello slittamento del mass<br />

me<strong>di</strong>um verso il self me<strong>di</strong>um incrementano la tendenza autobiografica e <strong>di</strong>aristica,<br />

che offre ormai numerosi e straor<strong>di</strong>nari esempi in tutto il mondo, intaccando<br />

perfino certi film ancora interni alla finzione come Caro <strong>di</strong>ario (16<br />

mm, 1993) o Io sono un autarchico (16 mm, 1977) <strong>di</strong> Nanni Moretti, o ancora<br />

Lighting over water/ Nick’s Movie (35 mm, 1980-1981) <strong>di</strong> Wim Wenders e<br />

Nicholas Ray.» 7<br />

Negli U.S.A., la maggior parte dell’opera <strong>di</strong> Stan Brakhage 8 , così come l’opera<br />

<strong>di</strong> Jonas Mekas 9 , ha a che fare con l’autoritratto. Sul lavoro <strong>di</strong> tali autori torneremo<br />

più volte nel corso <strong>di</strong> questo scritto, poiché riduttivamente incluso nel<br />

cinema documentario.<br />

“Documentario”, nell’accezione comunemente intesa, riveste un interesse<br />

sociale, secondo cui lo spettatore è chiamato a guardare e farsi un’idea su una<br />

determinata questione che in qualche modo lo possa coinvolgere e interessare in<br />

17


prima persona: prerogativa che può essere assente in molti <strong>di</strong> questi film.<br />

Tale è il cinema <strong>di</strong> <strong>prossimità</strong>: insieme <strong>di</strong> film che non ha obbligatoriamente<br />

finalità narrativa né precisa intenzione <strong>di</strong> essere sottoposto a un pubblico (con le<br />

dovute eccezioni, che proporrò in seguito).<br />

Il cinema <strong>di</strong> <strong>prossimità</strong> può non essere stato pensato o strutturato a priori; il<br />

cinema documentario, malgrado sia del tutto svincolato da soggetti o sceneggiature,<br />

presenta sempre una struttura razionale e si può sempre ritenere concluso,<br />

opera finita.<br />

Vorrei mostrare in questa ricerca la <strong>di</strong>sposizione <strong>di</strong> tale cinema nei confronti<br />

del documentario e della fiction: l’embrione <strong>di</strong> questo gruppo è formato da tutti<br />

quei film che non trovano collocazione né nella definizione <strong>di</strong> documentario, né<br />

tantomeno nel cinema industriale, <strong>di</strong> finzione. Tuttavia, trattandosi <strong>di</strong> un insieme<br />

non chiuso in se stesso, ma aperto a stimolanti mutazioni, ritengo che a questo<br />

primo gruppo si possa aggiungere un certo tipo <strong>di</strong> cinema documentario a cui la<br />

definizione <strong>di</strong> documentario sta in parte stretta, poiché propone un “<strong>di</strong> più”<br />

rispetto a quel che da un documentario ci si aspetta (il cinema privato), unitamente<br />

a un cinema che è ibrido tra documentario e fiction (l’autobiografia),<br />

fermo restando che il cinema <strong>di</strong> <strong>prossimità</strong> mai si potrà conciliare con l’apparato<br />

industriale del cinema <strong>di</strong> finzione.<br />

18


«L’impiego <strong>di</strong> una qualsiasi “macchina cinema”, la presenza <strong>di</strong> una troupe più<br />

o meno ingombrante, le esigenze tecniche necessarie al conseguimento <strong>di</strong> un<br />

alto livello qualitativo delle immagini e dei suoni, si riflettono in modo determinante<br />

sulla natura del “girato”, che risulta interamente teso a indurre nello<br />

spettatore il punto <strong>di</strong> vista <strong>di</strong> chi sta <strong>di</strong>etro alla macchina da presa e a suggerirgli<br />

l’oggettività <strong>di</strong> quanto gli viene mostrato.» 10<br />

Al contrario, il cinema <strong>di</strong> <strong>prossimità</strong> infrange queste modalità industriali,<br />

«minimizzando l’invasività del mezzo tecnico, sottraendosi alla tirannia degli<br />

standard sia qualitativi che temporali ma, soprattutto, mettendosi <strong>di</strong>versamente in<br />

gioco con la materia ripresa e con il suo (eventuale) spettatore.» 11<br />

È certamente la nonfiction il laboratorio dove questo cinema prende forma,<br />

proprio perché fin dalle origini più svincolata da co<strong>di</strong>ci linguistici e regole industriali.<br />

Il <strong>Cinema</strong> amatoriale<br />

«Secondo quanto ci riferisce Aprà, la ven<strong>di</strong>ta <strong>di</strong> pellicola 35 mm (considerato un<br />

formato professionale) risulta solo il 30%, il restante 70% <strong>di</strong> pellicola (non professionale)<br />

è <strong>di</strong>viso tra 8 mm, Super8 e 16 mm. Una percentuale che Aprà ricorda<br />

costante anche negli anni Settanta, dove la produzione <strong>di</strong> cinema <strong>di</strong> finzione<br />

risultava essere dal 30% al 70%.» 12<br />

Il cinema amatoriale è il più praticato ma anche il meno conosciuto. Un vero<br />

e proprio stu<strong>di</strong>o, che sfocerà in una delle prime opere sul film <strong>di</strong> famiglia, gli<br />

verrà de<strong>di</strong>cato solo grazie a Roger O<strong>di</strong>n, che nel 1995 creerà un gruppo <strong>di</strong> ricerca<br />

inter<strong>di</strong>sciplinare alla Sorbonne nouvelle (Paris III). Lo stu<strong>di</strong>o effettuato da<br />

Roger O<strong>di</strong>n, e pubblicato sulla Storia del cinema mon<strong>di</strong>ale, conferma l’importanza<br />

del cinema amatoriale e, al contempo, la scarsità <strong>di</strong> attenzione critico-accademica<br />

su questo oggetto.<br />

Sono amatoriali i film <strong>di</strong> famiglia, così come i <strong>di</strong>ari filmati e un certo tipo <strong>di</strong><br />

cinema sperimentale e documentario: O<strong>di</strong>n parla <strong>di</strong> cinema amatoriale evitando<br />

<strong>di</strong> contrapporlo semplicemente al cinema professionale.<br />

Il confine netto non sussiste nemmeno da un punto <strong>di</strong> vista tecnico, poiché<br />

esistono pellicole amatoriali in 35 mm, così come pellicole professionali in 16<br />

mm, nativamente amatoriale, o ancora Super8, utilizzato proprio per le sue caratteristiche<br />

estetiche e formali a livello professionale.<br />

Lo stu<strong>di</strong>oso francese ricerca il cinema amatoriale nel cinema professionale,<br />

19


portando a esempio Amator (35 mm, 1979) <strong>di</strong> Krzystof Kieslowski, nel quale è<br />

narrata la storia <strong>di</strong> un operaio che si appassiona <strong>di</strong> cinema al punto <strong>di</strong> arrivare alla<br />

rottura del matrimonio con la moglie.<br />

Annota inoltre i casi <strong>di</strong> Nicholas Ray («<strong>di</strong>lettante tra i professionisti», che con<br />

We can’t go home again, 35 mm, 1973, realizza un complesso film semiautobiografico,<br />

mai veramente terminato), Eric Rohmer, Jacques Rivette, Jean-Luc<br />

Godard, Jean Renoir («lavora in funzione del <strong>di</strong>lettantismo»), Alfred Hitchcock<br />

(«<strong>di</strong>lettante insod<strong>di</strong>sfatto che <strong>di</strong> film in film ripete la stessa scena») come esempio<br />

<strong>di</strong> autori/professionisti, che conservano lo spirito del cineamatore.<br />

Il lavoro che compie il cineamatore <strong>di</strong> famiglia, secondo O<strong>di</strong>n è <strong>di</strong> tipo antropologico,<br />

pur inconsapevolmente: sociologi e storici ne riconoscono l’interesse.<br />

Il cineamatore filma infatti momenti <strong>di</strong> vita che i professionisti non riprendono.<br />

Le immagini dei film <strong>di</strong> famiglia sono concentrati <strong>di</strong> memoria collettiva.<br />

Di per sé i documenti amatoriali non sono neutri e vanno dunque utilizzati<br />

con prudenza. Lo stu<strong>di</strong>oso francese suggerisce l’idea che la storia del cinema tra<strong>di</strong>zionale<br />

stia alla storia <strong>di</strong> una nazione, come la storia del cinema amatoriale sta<br />

alla storia locale, fatta <strong>di</strong> costumi, tra<strong>di</strong>zioni, stili <strong>di</strong> vita... Alla luce <strong>di</strong> questa<br />

visione del film amatoriale come documento, O<strong>di</strong>n sostiene la necessità <strong>di</strong> a<strong>di</strong>bire<br />

adeguati spazi de<strong>di</strong>cati all’archiviazione dello stesso, atti a costituire memoria<br />

locale da un lato, e storia del cinema amatoriale dall’altro. Una storia che<br />

negli Stati Uniti è sud<strong>di</strong>visa in tre gran<strong>di</strong> perio<strong>di</strong>, secondo Patricia<br />

Zimmermann 13 : il primo, dal 1897 al 1923, è legato alla proliferazione anarchica<br />

delle apparecchiature; il secondo vede l’istituzionalizzazione della pratica amatoriale;<br />

nell’ultimo periodo si riscontra un significativo aumento del tempo libero,<br />

parallelamente espresso nella banalizzazione tematica e tecnica rispetto all’uso<br />

della cinepresa, che dagli anni Cinquanta non è più soltanto a manovella ma<br />

automatica.<br />

In Europa la perio<strong>di</strong>zzazione non si <strong>di</strong>scosta da quella statunitense: <strong>di</strong>verso è<br />

il significato che si dà all’amatoriale, negli Stati Uniti vissuto come situazione<br />

professionalizzante (in U.S.A. fondamentale è la presenza <strong>di</strong> una vera e propria<br />

industria cinematografica mitizzata cui aspirare, quale è Hollywood), mentre in<br />

Europa come occasione <strong>di</strong> svago.<br />

O<strong>di</strong>n chiarisce questo aspetto menzionando l’AMPAS 14 come archivio <strong>di</strong> raccolta,<br />

tra gli altri materiali, <strong>di</strong> film amatoriali <strong>di</strong> backstage a opera <strong>di</strong> attori, registi<br />

o tecnici, coinvolti sui set <strong>di</strong> produzioni hollywoo<strong>di</strong>ane. Questo tipo <strong>di</strong> cinema<br />

amatoriale alimenta il mito del cinema come industria produttrice non solo <strong>di</strong><br />

film, ma anche, e soprattutto, <strong>di</strong> <strong>di</strong>vismo.<br />

In ogni caso insistere sull’amatoriale come mera tappa verso il professionale<br />

riduce notevolmente la reale portata <strong>di</strong> questo cinema.<br />

In conclusione egli intende sottolineare l’importanza <strong>di</strong> un processo <strong>di</strong> riconoscimento<br />

del cinema amatoriale quale documento, ma anche il carattere para-<br />

20


dossale della situazione: si guarda al cinema amatoriale come semplice contributo<br />

storico/sociale, e non a quello che effettivamente esso è. Il cinema amatoriale<br />

viene così “usato”, e la storia che viene a crearsi non è tanto quella <strong>di</strong> tale<br />

cinema, quanto piuttosto <strong>di</strong> come questo rende conto della storia.<br />

Tuttavia una storia del cinema amatoriale in quanto tale sarebbe a mio avviso<br />

utile limitatamente a finalità antropologico/sociali, senza possibilità <strong>di</strong> rilevante<br />

interesse artistico. A questo scopo parrebbe auspicabile estendere l’ambito<br />

<strong>di</strong> stu<strong>di</strong>o a un campo più ampio.<br />

Nel cinema amatoriale vengono incluse tutte quelle esperienze che esulano<br />

dal mero film <strong>di</strong> famiglia: come vedremo più avanti, dagli anni Trenta si fanno<br />

strada spazi de<strong>di</strong>cati alla proiezione dei propri film amatoriali, all’esterno della<br />

famiglia, bensì all’interno <strong>di</strong> club fortemente competitivi nei quali il cineasta<br />

familiare <strong>di</strong>viene cineamatore. Il cineamatore non riprende più soltanto la vita<br />

reale, la sua produzione spazia tra animazione e sperimentalismo, tenendo come<br />

termine <strong>di</strong> paragone e modello (<strong>di</strong> omologazione o <strong>di</strong>fferenziazione) il cinema<br />

professionale.<br />

Me<strong>di</strong>amente tali produzioni si descrivono con quella che O<strong>di</strong>n definisce<br />

“demagogia del gradevole”; i fautori sono frequentemente uomini sulla quarantina,<br />

liberi professionisti o appartenenti a classi economicamente agiate.<br />

Il terreno <strong>di</strong> <strong>di</strong>ffusione costituisce forse il criterio più operativo nel <strong>di</strong>scernere<br />

tra ciò che è amatoriale e ciò che non lo è, benché neanche qui le frontiere<br />

siano così nette: oltre al fatto che talvolta alcuni film amatoriali accedono al circuito<br />

professionale, la possibilità <strong>di</strong> visionare film professionali a casa propria<br />

<strong>di</strong>viene ben presto una realtà.<br />

O<strong>di</strong>n vede nell’introduzione del televisore nelle case e nella trasmissione televisiva<br />

<strong>di</strong> video e film famigliari un notevole apporto trasformativo per le produzioni<br />

cine e videoamatoriali e, <strong>di</strong> conseguenza, per lo spettatore <strong>di</strong> cinema famigliare.<br />

Oggi la televisione, il video e più in generale il <strong>di</strong>gitale, accentuano ulteriormente<br />

l’interferenza reciproca: tutti i tipi <strong>di</strong> pellicole, dal formato ridotto al<br />

formato standard, possono essere viste a casa sul medesimo schermo. La nuova<br />

figura <strong>di</strong> cineasta che ne emerge non è più mossa dal desiderio <strong>di</strong> filmare per<br />

puro piacere: cerca altresì lo spettacolare, il gag che susciti ilarità, per ottenere<br />

popolarità e visibilità televisiva. Allo stesso modo, al giorno d’oggi, la piattaforma<br />

<strong>di</strong> visibilità per eccellenza è internet, come vedremo in seguito.<br />

È in atto la professionalizzazione del cineasta amatoriale. O<strong>di</strong>n esclude questo<br />

tipo <strong>di</strong> prodotto dall’insieme delle produzioni familiari, in ragione del fatto<br />

che si tratta <strong>di</strong> materiale manipolato. Lo spettatore è tuttavia rapito e coinvolto<br />

da una simile mutata modalità del fare filmico amatoriale: se il film è amatoriale<br />

è più facile credere alla “verità” del suo essere (non per questo è assodato che<br />

lo sia) e accordare la fiducia al cineamatore che ha girato il film, così come lo<br />

spettatore stesso avrebbe potuto farlo. Lo stu<strong>di</strong>oso francese sottolinea che questo<br />

21


meccanismo produce un effetto <strong>di</strong> “autenticità”, una presunta oggettività. 15<br />

Nel suo scritto Pellicole <strong>di</strong> ricor<strong>di</strong>, Alice Cati contesta la comune tendenza a<br />

pensare che<br />

«i film amatoriali siano frutto <strong>di</strong> una pratica innocente e spontanea, per lo più<br />

relegata al tempo libero e realizzata all’interno del nucleo familiare. In realtà,<br />

benché la storia della cinematografia amatoriale sia stata offuscata e sommersa<br />

da quella del cinema industriale, essa non può prescindere dalle influenze<br />

esercitate dal contesto sociale, politico, ideologico e culturale, nel quale è<br />

immersa.» 16<br />

La televisione è il me<strong>di</strong>um deputato ad assolvere al rito della proiezione dell’home<br />

movie, comprimendo in se stessa schermo e proiettore cinematografico,<br />

con la <strong>di</strong>fferenza sostanziale che è elettrodomestico, in un certo senso membro<br />

della famiglia che si guarda e ci guarda, inglobandoci nella sua grande famiglia<br />

pubblica.<br />

O<strong>di</strong>n sottolinea la necessità <strong>di</strong> stu<strong>di</strong>are il fenomeno amatoriale anche come<br />

con<strong>di</strong>zione sociale <strong>di</strong> fruibilità dello stesso: il club, la vita associativa, costituiscono<br />

parte integrante dell’essere cineamatore, comportando incontri e <strong>di</strong>battiti,<br />

viaggi e momenti <strong>di</strong> con<strong>di</strong>visione estetica. I film amatoriali, raramente vengono<br />

proiettati al <strong>di</strong> fuori dei cineclub.<br />

Il cineamatore filma soprattutto per il piacere <strong>di</strong> filmare un momento <strong>di</strong> felicità<br />

da con<strong>di</strong>videre.<br />

Filmare implica, tuttavia, conseguenze impreviste, reali nelle biografie dei<br />

cineamatori. O<strong>di</strong>n rileva elementi inquietanti nel cinema <strong>di</strong> famiglia, in contrasto<br />

con l’apparente serena quoti<strong>di</strong>anità <strong>di</strong> cui le pellicole famigliari sono permeate.<br />

Molti cineamatori che sono riusciti a rendersi consapevoli del proprio<br />

operato, così come altrettanti registi <strong>di</strong> cinema privato, come vedremo, si soffermano<br />

proprio su tale aspetto contrad<strong>di</strong>torio del film <strong>di</strong> famiglia, facendo emergere<br />

tutto ciò che nel film viene taciuto.<br />

Tornando alla definizione del cinema amatoriale, possiamo ora vedere con<br />

più chiarezza quali sono le effettive <strong>di</strong>fficoltà nel raggruppare film sotto questa<br />

etichetta. Alice Cati fa notare come la de<strong>di</strong>zione dell’“amatore” sia un parametro<br />

<strong>di</strong>fficile da valutare: un padre che riprende i figli su pressione della moglie può<br />

essere coinvolto meno <strong>di</strong> un produttore <strong>di</strong> film industriali che cura le sue produzioni<br />

aggiungendovi un tocco personale.<br />

D’altro canto il termine “cineamatore” è ambiguo, designando etimologicamente<br />

colui che ama veramente ciò che fa, quanto lo è “<strong>di</strong>lettante”: uno che fa qualcosa<br />

in modo amatoriale, con la connotazione negativa legata a questo giu<strong>di</strong>zio.<br />

Esistono così <strong>di</strong>verse tipologie <strong>di</strong> cinema amatoriale, ciascuna caratterizzata<br />

da una comunicazione specifica: oltre al film <strong>di</strong> famiglia, i filmati <strong>di</strong> sorveglian-<br />

22


za (dove anche l’amatore scompare), film narrativi, lavori sperimentali, <strong>di</strong>ari <strong>di</strong><br />

viaggio, filmati aziendali (non si <strong>di</strong>mentichi Olmi), documentari, filmati inerenti<br />

a hobby e tempo libero e così via. L’archivio potenziale relativo a questi film<br />

è indubbiamente in continua espansione e conterrebbe una vasta serie <strong>di</strong> modalità<br />

eterogenee.<br />

Ci occuperemo principalmente del cinema amatoriale che ha costituito e<br />

costituisce un agente <strong>di</strong> grande rinnovamento nel cinema.<br />

Talvolta tali film vengono fruiti, oggi, senza mo<strong>di</strong>fiche: cambia solo il contesto<br />

della visione e, <strong>di</strong> conseguenza, lo spettatore che guarda, affascinato dall’andamento<br />

casuale delle inquadrature o dalla qualità plastica dei <strong>di</strong>fetti dell’immagine<br />

(tremolii, fuori fuoco, movimenti <strong>di</strong> macchina...). La lettura privata familiare è soppiantata<br />

da una lettura che prende in considerazione l’autore: lo spettatore è invitato<br />

a interessarsi propriamente al lavoro formale e alla produzione d’insieme,<br />

aprendo al confronto con le produzioni <strong>di</strong> altri artisti e con la storia dell’arte.<br />

Il cinema <strong>di</strong> Jean Rouch, Michel Brault, Pierre Perrault, il cinema “verità” <strong>di</strong><br />

Chris Marker sono i testimoni del rinnovamento attuato dal cinema amatoriale,<br />

sebbene né gli attori, né le loro produzioni possano essere considerati amatoriali.<br />

Il cinema amatoriale funge da modello per la leggerezza dei materiali <strong>di</strong> ripresa<br />

impiegati, la riduzione dell’équipe addetta alle riprese e l’insistenza sulla vita<br />

quoti<strong>di</strong>ana, ma l’obiettivo è quello <strong>di</strong> fare un documentario in modo <strong>di</strong>verso.<br />

Così assistiamo, da parte dei cineasti, a un riconoscimento e a una valorizzazione<br />

del cinema amatoriale, ma non in quanto tale: quello che conta è creare nuovi<br />

stili cinematografici.<br />

Lo stu<strong>di</strong>oso O<strong>di</strong>n traccia quin<strong>di</strong> una netta linea <strong>di</strong> demarcazione tra ciò che è<br />

cinema vero e proprio, creato con l’intento <strong>di</strong> fare cinema, seppure in maniera<br />

sperimentale, e cinema amatoriale puro. Ritengo utile, da un lato, mantenere questa<br />

sud<strong>di</strong>visione in quanto contrassegna con chiarezza un territorio inesplorato;<br />

dall’altro trovo sterile, nell’ambito <strong>di</strong> una ricerca che riguarda l’arte, improntare<br />

il <strong>di</strong>scorso unicamente su questo tipo <strong>di</strong> cinema. Come si vedrà stu<strong>di</strong>ando i vari<br />

autori <strong>di</strong> cinema amatoriale, è effettivamente <strong>di</strong>fficile e poco utile identificare i<br />

film amatoriali <strong>di</strong> uno specifico cineamatore come semplici film amatoriali: non<br />

tutti lo sono e non è possibile in<strong>di</strong>viduare quali siano stati <strong>di</strong>rettamente influenzati<br />

da un certo sperimentalismo stilistico.<br />

Restando a O<strong>di</strong>n, bisognerebbe allora considerare il cineamatore un autore<br />

che non vuole esprimersi, ma semplicemente filmare gli acca<strong>di</strong>menti famigliari<br />

o che lo riguardano da vicino.<br />

Stando a quanto lui scrive il film <strong>di</strong> famiglia è il primo genere cinematografico:<br />

il primo può infatti considerarsi Le repas de bébé (35 mm, 1895), <strong>di</strong> Louis<br />

Jean Lumière. I Lumière, e insieme a loro i pionieri del cinema americano, vedevano<br />

infatti nel cinema un perfezionamento della foto ricordo amatoriale, una<br />

23


memoria famigliare in movimento. Se quin<strong>di</strong> concepiamo il film amatoriale in<br />

quest’ottica, sarà imme<strong>di</strong>ato <strong>di</strong>scostarsi da un’ipotesi classificatoria meramente<br />

cinematografica.<br />

È importante sottolineare tale <strong>di</strong>vergenza, poiché il film <strong>di</strong> famiglia supera in<br />

quantità e ripercussioni sociali la produzione del cinema tra<strong>di</strong>zionale.<br />

Il film <strong>di</strong> famiglia non sottostà quin<strong>di</strong> all’impianto linguistico proprio del cinema:<br />

il suo specifico gesto del filmare è riconducibile al gesto fotografico atto a<br />

immagazzinare memoria <strong>di</strong> fatti e situazioni già vissute: non propone, quin<strong>di</strong>,<br />

una narrazione, né prevede un pubblico <strong>di</strong>verso dagli stessi “attori” protagonisti<br />

che, <strong>di</strong>venendo spettatori <strong>di</strong> se stessi, ricordano. Sono proprio gli spettatori-attori<br />

a compiere lo sforzo costruttivo e narrativo, nel momento in cui, insieme, si<br />

rivedono sullo schermo nelle loro esperienze registrate in maniera <strong>di</strong>scontinua e<br />

senza un punto <strong>di</strong> vista univoco, integrando le parti mancanti attraverso il racconto,<br />

affinché il gruppo famigliare ne risulti arricchito in termini <strong>di</strong> coesione. Se<br />

da una parte il film <strong>di</strong> famiglia risulta essere una produzione in<strong>di</strong>viduale (ciascuno<br />

ritorna sul proprio vissuto), dall’altra è anche e soprattutto una produzione<br />

collettiva (si parla molto guardando un film <strong>di</strong> famiglia, come accade guardando<br />

un album <strong>di</strong> famiglia).<br />

«La <strong>di</strong>versità del cinema amatoriale spinge a osservare questi film non come<br />

creazioni artistiche (sebbene <strong>di</strong> tanto in tanto possano essere considerati tali),<br />

ma piuttosto come una serie <strong>di</strong> relazioni attive tra chi filma e chi è filmato, tra<br />

il cinema e la storia, tra la rappresentazione e la storia, tra una visione internazionale<br />

e il particolarismo locale, tra la realtà e la fantasia, tra il reale e l’immaginario.»<br />

17<br />

Il <strong>di</strong>scorso sull’autorialità, vedremo, è però molto più complesso <strong>di</strong> come<br />

sembra.<br />

Per sua stessa natura, nella maggior parte dei casi, il cinema amatoriale sfugge<br />

alle classificazioni: non essendo possibile stilare filmografie, è <strong>di</strong>fficile stu<strong>di</strong>arlo<br />

come fenomeno.<br />

In Italia Cesare Zavattini, massimo esponente e teorico del cinema neorealista<br />

italiano, è stato protagonista <strong>di</strong> innumerevoli interventi sull’utopica possibilità <strong>di</strong><br />

un “altro cinema”, che qui certo non è possibile sintetizzare, promuovendo le<br />

modalità produttive non industrializzate. Zavattini è stato un anticipatore, sostenendo<br />

che, al <strong>di</strong> fuori dalle strutture cinematografiche canoniche, il cinema avrebbe<br />

potuto rinnovarsi, se non ad<strong>di</strong>rittura sovvertire se stesso, rendendo democratico<br />

l’atto stesso <strong>di</strong> fare cinema. Il richiamo ai cineamatori è spesso esplicito, parlando<br />

<strong>di</strong> “pe<strong>di</strong>namento della realtà”. Zavattini si è tuttavia concentrato in particolar modo<br />

sul cinema legato a temi <strong>di</strong> attualità sul piano civile e politico, facendo riferimento<br />

a forme <strong>di</strong> cinema come i cinegiornali liberi e i film d’inchiesta.<br />

24


È accaduto quasi l’opposto rispetto all’utopia zavattiniana: milioni <strong>di</strong> in<strong>di</strong>vidui<br />

che posseggono una cinepresa o una videocamera risultano degli integrati stilistici,<br />

non interessati alla portata innovativa che questa libertà concede: attendono<br />

l’altrui esplorazione del mondo prima <strong>di</strong> esplorarla loro stessi. Ciò è dovuto<br />

alla mancanza <strong>di</strong> alfabetizzazione sul linguaggio del cinema, cui si aggiunge<br />

un pregiu<strong>di</strong>zio verso il cinema minore, percepito unicamente come passaggio al<br />

cinema maggiore. Zavattini sostiene che solo pochi sanno che i mezzi <strong>di</strong> cui<br />

<strong>di</strong>spongono non costituiscono un limite, ma un vantaggio per ambire a conoscenze<br />

altrimenti <strong>di</strong>fficili da raggiungere.<br />

Patricia Zimmermann ricorda che i film amatoriali e gli home movie vengono<br />

anche chiamati orphan film, a in<strong>di</strong>care tutti quei film prodotti fuori dal sistema<br />

commerciale, così come i film aziendali, educativi, documentari, in<strong>di</strong>pendenti<br />

e sperimentali. Gli orphan film sono quin<strong>di</strong> la categoria fino a ora più simile<br />

a quello che si può definire “cinema <strong>di</strong> <strong>prossimità</strong>”, con le dovute <strong>di</strong>fferenze,<br />

inerenti alle specifiche modalità, intenzioni e contenuti all’interno <strong>di</strong> ogni singolo<br />

ambito menzionato.<br />

Caratteristiche tecniche del cinema amatoriale<br />

La nascita e lo sviluppo del cinema amatoriale sono basati su alcuni presupposti<br />

fondamentali.<br />

Numerose innovazioni tecnologiche ci vengono ricordate da O<strong>di</strong>n:<br />

«- passaggio dalla ripresa a manovella alla motorizzazione (nel 1928 Pathé<br />

<strong>di</strong>stribuisce la fotocamera con motore a molla);<br />

- passaggio dalla bobina alla cassetta pronta per essere caricata (dapprima in<br />

9,5 mm per la Pathé, destinata alla proiezione e successivamente, dal 1965, in<br />

Super8, per la ripresa);<br />

- miniaturizzazione del materiale: la cinepresa Fujii Single 8 P2, ultraleggera<br />

(265 g), rappresenta indubbiamente, per quanto riguarda il cinema su pellicola,<br />

il punto <strong>di</strong> arrivo su questo asse;<br />

- sviluppo degli automatismi (messa a fuoco e apertura del <strong>di</strong>aframma);<br />

- passaggio alla telecamera, dapprima con un materiale relativamente pesante<br />

e ingombrante e poi, a partire dal 1970, alla videocamera». 18<br />

C’è un forte interesse da parte dell’industria a sviluppare il cinema in spazi<br />

<strong>di</strong>versi da quelli professionali, testimoniato dai pochi stu<strong>di</strong> in materia.<br />

25


«Nel secolo scorso ve<strong>di</strong>amo protagoniste piccole e gran<strong>di</strong> aziende impegnate ad<br />

accaparrarsi il primato sui brevetti per l’equipaggiamento del cinema, dalla pellicola<br />

alle cineprese ai proiettori, a uso degli amatori. Obiettivo principale: riuscire<br />

a rendere l’apparato amatoriale il più appetibile possibile per conquistare<br />

larghe fette <strong>di</strong> mercato. [...] La tendenza è stata dunque quella <strong>di</strong> semplificare ai<br />

massimi termini l’uso delle apparecchiature cinematografiche e <strong>di</strong> ridurre sempre<br />

<strong>di</strong> più i costi per permetterne una <strong>di</strong>ffusione il più capillare possibile. E la<br />

riduzione del prezzo è stata <strong>di</strong>rettamente proporzionale alla riduzione del formato<br />

della pellicola. Una ricerca che proseguirà fino all’inizio degli anni<br />

Settanta quando la pellicola sarà soppiantata dal video, pur continuando a essere<br />

venerata da alcuni irriducibili amatori, che tuttora “sfruttano” le potenzialità<br />

della pellicola in formato ridotto, in particolare il Super8 e il 16 mm.» 19<br />

Il primo formato amatoriale può considerarsi il 17,5 mm, ottenuto tagliando<br />

a metà la pellicola 35 mm. La prima cinepresa adatta fu brevettata in Inghilterra<br />

nel 1898, da Birt Acres, pioniere del cinema inglese. La Birtac, una cinepresa<br />

caricabile alla luce <strong>di</strong>urna, era anche proiettore, invertendone le lenti, proprio<br />

come il cinematografo Lumière. Sempre nel 1898 è commercializzata la cinepresa-proiettore,<br />

nonché sviluppatrice, riversatrice e macchina fotografica (a<br />

passo uno) Biokam, per 17,5 mm con perforazione centrale, realizzata dalla<br />

Warwick Tra<strong>di</strong>ng Company. Seguirono altri formati con rispettivi equipaggiamenti.<br />

La ricerca aziendale si concentra inoltre sulla produzione <strong>di</strong> una pellicola<br />

che non sia più in nitrato <strong>di</strong> cellulosa, altamente infiammabile e pericolosa, passando<br />

per alcuni esperimenti, come quello fallimentare della Eastman Kodak,<br />

che lanciò un supporto non troppo resistente <strong>di</strong> acetato <strong>di</strong> cellulosa nel 1909. Nel<br />

1917 è brevettato il sistema Movette per pellicola Eastman Kodak 17,5 mm con<br />

due perforazioni circolari su ogni lato del fotogramma, fornita in contenitori<br />

metallici facili da caricare nella cinepresa. La copia positiva che si restituiva al<br />

cineamatore era su supporto safety.<br />

Interessante per orientarci all’interno delle tecnologie proprie del cinema famigliare<br />

è la trattazione <strong>di</strong> Paolo Simoni, Mirco Santi e Karianne Fiorini, fondatori<br />

dell’Associazione Home Movies 20 , Per una storia della tecnologia amatoriale 21 .<br />

Nel saggio è in<strong>di</strong>cato come pochi anni dopo avvenga la rivoluzione del formato<br />

ridotto e della pratica del cinema amatoriale. Dal 1920 vengono immessi<br />

sul mercato i primi veri formati “famigliari”, i fautori della <strong>di</strong>ffusione del cineamatorismo:<br />

nel <strong>di</strong>cembre del 1922 nasce il formato 9,5 mm, lanciato dalla Pathé<br />

Freres, noto come Pathé Baby, insieme al suo rispettivo proiettore, pratico e semplice<br />

da usare. Si trattava <strong>di</strong> pellicole <strong>di</strong> circa 28 metri, fornite in cartucce metalliche.<br />

In Francia, un anno dopo, la Pathé commercializzò anche la piccola,<br />

maneggevole ed economica cinepresa Pathé Baby, che presto si <strong>di</strong>ffuse in<br />

Europa, ma sul mercato statunitense il formato non ebbe grande riscontro. In<br />

26


generale, non tutte le famiglie avevano la possibilità <strong>di</strong> permettersi dei <strong>di</strong>spositivi<br />

cinematografici, pertanto la <strong>di</strong>ffusione riguardò principalmente l’ambiente<br />

borghese e alto borghese.<br />

Sempre nel 1923, Eastman Kodak Company introdusse la cinepresa Cine-<br />

Kodak, che utilizzava una pellicola <strong>di</strong> formato 16 mm, su supporto safety in triacetato<br />

<strong>di</strong> cellulosa invertibile. Il formato scelto voleva contrastare il perpetuarsi<br />

dell’uso dell’infiammabile 17,5 mm. Dapprima la perforazione era su entrambi i<br />

lati, nel 1929 solo sul lato sinistro, per lasciare il posto a una pista sonora. Il 16<br />

mm conobbe grande successo, soppiantando tutti gli altri formati sub-standard,<br />

e fu utilizzato anche a livello professionale, soprattutto durante la Seconda<br />

Guerra Mon<strong>di</strong>ale, per documentarne gli avvenimenti. Nel 1935 venne <strong>di</strong>ffusa<br />

anche la Kodachrome, il 16 mm a colori.<br />

Nel 1932, sempre la Eastman Kodak <strong>di</strong>ffuse l’8 mm in bianco e nero (chiamato<br />

anche Double Run 8 mm, Double 8 mm movie film, Double Regular 8 mm,<br />

Regular 8 mm, Standard 8 mm, Normal 8 mm), che fu utilizzato da molti nuovi<br />

cineamatori per la sua semplicità. Nel 1933 anche l’8 mm fu <strong>di</strong>sponibile a colori.<br />

Nel 1964, il boom economico si fece sentire anche nell’industria della pellicola<br />

a passo ridotto e creò il Super8, formato ridotto per eccellenza, che ha reso<br />

<strong>di</strong> massa la <strong>di</strong>ffusione del cinema amatoriale. Pratico, versatile e innovativo poiché<br />

automatico, rappresenta la sintesi <strong>di</strong> tutte le ricerche effettuate negli anni per<br />

dare la possibilità a chiunque <strong>di</strong> poter girare i propri film senza problemi. Nel<br />

1973, poco prima che il video soppiantasse la pellicola, la Eastmann Kodak commercializzò<br />

due cineprese: la Ektasound 130 e la Ektasound 140, fornite <strong>di</strong> pellicole<br />

Kodak Ektachrome 160 e Kodachrome II, Super8 con pista sonora, in cartuccia<br />

<strong>di</strong> plastica, facilitando la pratica anche per chi non avesse alcun tipo <strong>di</strong><br />

infarinatura tecnica: è impossibile sbagliare il senso <strong>di</strong> carica nella cinepresa.<br />

Ovviamente per ogni formato <strong>di</strong> pellicola va necessariamente cambiata anche<br />

tutta la strumentazione tecnica: cinepresa, proiettore, giuntatrice e moviola. Il<br />

Super8 fu pubblicizzato usando come testimonial donne giovani, comunicando il<br />

messaggio che chiunque può girare facilmente con questo formato. Le cineprese<br />

erano infatti dotate <strong>di</strong> esposimetro automatico, filtro luce solare/artificiale e zoom.<br />

Nel 1966 apparve una variazione del Super8, il Single8 Fuji, in poliestere, più<br />

resistente e sottile del triacetato.<br />

«Nel caricatore della Kodak la bobina debitrice e quella cre<strong>di</strong>trice sono coassiali,<br />

nel caricatore Fuji sono poste sullo stesso piano ma su due <strong>di</strong>versi assi<br />

<strong>di</strong> rotazione come nelle cassette musicali. Quin<strong>di</strong> si può riavvolgere e reimpressionare<br />

la pellicola anche su tutta la sua lunghezza per creare effetti<br />

speciali e <strong>di</strong>ssolvenze incrociate (nel Super8 non si può riavvolgere la pellicola<br />

e solo alcune cineprese permettono <strong>di</strong>ssolvenze incrociate <strong>di</strong> pochi<br />

secon<strong>di</strong>, accumulando un riccio <strong>di</strong> pellicola esternamente al caricatore).» 22<br />

27


Da L. Farinotti, E. Mosconi (a cura <strong>di</strong>), Comunicazioni sociali 3.<br />

Rivista <strong>di</strong> me<strong>di</strong>a, spettacolo e stu<strong>di</strong> culturali, Il metodo e la passione:<br />

cinema amatoriale e film <strong>di</strong> famiglia in Italia, Università Cattolica del<br />

Sacro Cuore, Milano, settembre-<strong>di</strong>cembre 2005, p. 436<br />

28


I dettagli storico/tecnici torneranno utili nella seconda parte <strong>di</strong> questa ricerca,<br />

quando analizzeremo alcuni esempi <strong>di</strong> film amatoriali, per comprendere le <strong>di</strong>fficoltà<br />

in cui si sono imbattuti alcuni cineamatori.<br />

Va anche considerato il fatto che il cineasta amatoriale è innamorato del suo<br />

materiale: molti film vengono girati esclusivamente per sfruttare le caratteristiche<br />

tecniche del materiale. Anche in questo senso, i film amatoriali acquistano<br />

significato solo se rapportati alla vita <strong>di</strong> chi li ha girati.<br />

«Sarà forse un’utopia, quella della cinepresa che compete con la penna e la<br />

matita, ma Zavattini scorge nel go<strong>di</strong>mento abituale degli strumenti cinematografici<br />

più leggeri e maneggevoli il passaggio verso il superamento della<br />

separazione <strong>di</strong> funzioni e <strong>di</strong> competenze che preclude allo spettatore la possibilità<br />

<strong>di</strong> essere un osservatore <strong>di</strong>retto della realtà. Dalla teoria <strong>di</strong> Zavattini<br />

<strong>di</strong>scende l’uso del video come mezzo <strong>di</strong> documentazione sociale, <strong>di</strong> cui<br />

Alberto Grifi 23 è uno dei pionieri negli anni Settanta. Grifi stesso si sente <strong>di</strong><br />

riprenderlo quando afferma che il <strong>di</strong>scorso molto attuale <strong>di</strong> Zavattini “era<br />

quello sulle tecnologie leggere, sui costi bassi, sugli spazi <strong>di</strong> libertà che si<br />

potevano aprire”. Grifi si riferisce a una stagione - gli anni Settanta - in cui<br />

“da una parte c’era il cinema commerciale, dove si andava a passare una serata,<br />

e dall’altra il cinema militante, troppe volte modellato sui linguaggi <strong>di</strong> regime,<br />

slogan e pugni chiusi.”» 24<br />

Secondo O<strong>di</strong>n in Italia il cinema amatoriale si sviluppa soprattutto nel periodo<br />

del boom economico, quando, insieme agli elettrodomestici, in casa entra anche il<br />

cinema fai da te. Gli italiani iniziano a viaggiare in automobile, per svago, in estate<br />

e in inverno, e aumenta il desiderio <strong>di</strong> autoritrarsi nei luoghi visitati (atteggiamento<br />

precursore del moderno selfie). Il padre <strong>di</strong> famiglia è il target cui vengono<br />

destinate le sempre più frequenti pubblicità <strong>di</strong> strumentazione cineamatoriale.<br />

«Dagli anni Sessanta a oggi, ovvero dall’avvento delle prime attrezzature leggere<br />

che hanno consentito la nascita del cinema <strong>di</strong>retto e del “cinema verità”,<br />

fino alle attuali videocamere <strong>di</strong>gitali impugnabili con una sola mano, si è<br />

andati verso la soppressione della gerarchia tra professional e consumer. Il<br />

<strong>di</strong>spositivo elettronico ha sicuramente intensificato l’aspetto intimo del cinema<br />

<strong>di</strong>aristico. Internet ha poi ulteriormente rivoluzionato la produzione e la<br />

fruizione <strong>di</strong> immagini amatoriali, per esempio me<strong>di</strong>ante il fenomeno della<br />

webcam, che mostra singoli in<strong>di</strong>vidui o gruppi in situazioni molto personali.<br />

La camera non filma più occasionalmente microeventi familiari, bensì trasmette<br />

in tempo reale situazioni quoti<strong>di</strong>ane, trasformandosi da occhio privato<br />

a inarrestabile voyeur.» 25 29


Vedremo come la definizione <strong>di</strong> cinema amatoriale sia effettivamente troppo<br />

stretta per identificare queste importanti mutazioni.<br />

Il <strong>Cinema</strong> privato<br />

Utilizzo la spiegazione del termine cinema privato, così come viene illustrata<br />

sul sito www.cinemaprivato.it:<br />

«Con il termine “cinema privato” si intende in<strong>di</strong>viduare quell’insieme <strong>di</strong> materiali<br />

au<strong>di</strong>ovisivi del passato e del presente che nascono al <strong>di</strong> fuori dell’industria<br />

cinematografica e televisiva. Una produzione quella “privata”, determinata<br />

esclusivamente da una personale intenzione espressiva e/o documentaria. Si<br />

allude a quell’universo eterogeneo degli home movie, film personali e <strong>di</strong>aristici,<br />

autobiografie, rielaborazioni <strong>di</strong> memorie filmiche familiari proprie o altrui,<br />

forme ibride tra queste e molto altro, un cinema documentario anche inconsciamente<br />

caratterizzato da uno sguardo forte e <strong>di</strong>retto sulla realtà. Un cinema reso<br />

possibile dall’attuale accessibilità alle tecnologie <strong>di</strong>gitali». 26<br />

Nel 2005, nelle città <strong>di</strong> Siena, Firenze e Pisa, è stato organizzato un festivalconvegno<br />

dal titolo Giornate del <strong>Cinema</strong> Privato - Percorsi d’espressione e <strong>di</strong><br />

memoria. La manifestazione è stata l’occasione per presentare video, incontri<br />

con autori, stu<strong>di</strong>osi e critici e cercare <strong>di</strong> puntualizzare l’emergente, complessa ed<br />

eterogenea prassi produttiva. Tra gli stu<strong>di</strong>osi che sono intervenuti nel <strong>di</strong>battito,<br />

tra i più importanti del panorama europeo e nazionale, vorrei riferirmi ancora a<br />

Roger O<strong>di</strong>n, che vuole <strong>di</strong>mostrare la connessione esistente tra il film <strong>di</strong> famiglia<br />

e il cinema privato. Riassumendo i concetti fondamentali della produzione <strong>di</strong> un<br />

film <strong>di</strong> famiglia, O<strong>di</strong>n ricorda che questa pratica non vuole produrre film per il<br />

cinema, in quanto l’autore del film <strong>di</strong> famiglia non esiste oppure corrisponde alla<br />

famiglia stessa. Il punto <strong>di</strong> vista in<strong>di</strong>viduale molto spesso non coincide con le<br />

immagini che vengono rappresentate e non è necessario trasmetterlo agli altri<br />

membri della famiglia. È la cosa meno privata che esista; è lo spettatore che definisce<br />

il film <strong>di</strong> famiglia in quanto privato, in base alla sua destinazione d’uso.<br />

Non è importante il film in sé, che spesso non viene nemmeno rivisto. L’atto <strong>di</strong><br />

filmare ha funzione aggregativa. O<strong>di</strong>n vuole <strong>di</strong>mostrare quanto il film <strong>di</strong> famiglia<br />

non sia cinema. È solo da un lavoro postumo sul materiale che si può elaborare<br />

il suo privato, e il film <strong>di</strong> famiglia <strong>di</strong>venta cinema.<br />

Il cineamatore, per fare cinema, deve in qualche modo torturare il girato, rivederne<br />

le inquadrature, rimontarlo. Solo dopo questo lavoro può venire alla luce<br />

il privato nascosto <strong>di</strong>etro lo stereotipo. È necessario mostrare l’aspetto privato<br />

proprio partendo da ciò che si nasconde all’interno del film domestico.<br />

30


Il cinema privato è la negazione del film <strong>di</strong> famiglia e O<strong>di</strong>n ne elenca tre punti<br />

fondamentali:<br />

- colui che fa del cinema privato vuol fare cinema;<br />

- colui che fa del cinema privato si considera a tutti gli effetti come autore che si<br />

vuole esprimere;<br />

- colui che fa del cinema privato fa un film con il quale entra in comunicazione<br />

con i suoi spettatori.<br />

Il cinema privato porta la tematica del cinema famigliare dentro il cinema. I<br />

soggetti sono compleanni, feste, matrimoni, nascite, e tutto ciò che concerne la<br />

vita del nucleo familiare.<br />

Vi sono sostanziali <strong>di</strong>fferenze tecniche tra film privato e home movie.<br />

Innanzitutto il cinema privato offre lo sguardo <strong>di</strong> chi gira il film, volontariamente<br />

omesso nel film <strong>di</strong> famiglia. Inoltre, il malfatto, la sfocatura, le inquadrature<br />

“sbagliate”, mosse, tipiche del film <strong>di</strong> famiglia, errori nel cinema <strong>di</strong> fiction,<br />

nel cinema privato si fanno espressione caratterizzante e con<strong>di</strong>zione positiva,<br />

evidenziando la plasticità dell’immagine. Questi errori involontari nel film<br />

domestico sono intenzionali nel cinema privato.<br />

È importante sottolineare che, secondo O<strong>di</strong>n, è in fase <strong>di</strong> montaggio che<br />

l’autore opera la scelta <strong>di</strong> mantenere e valorizzare gli errori del girato. Infine,<br />

nell’home movie, così come nel cinema privato, l’autore è presente sotto forma<br />

<strong>di</strong> movimenti della macchina da presa in interazione con i soggetti ripresi. O<strong>di</strong>n<br />

affronta inoltre l’aspetto dell’autenticità, verità soggettiva, intima: veri<strong>di</strong>cità<br />

dell’esperienza personale <strong>di</strong> chi fa il film. Secondo O<strong>di</strong>n lo spettatore potrebbe<br />

rispecchiarsi emotivamente in ciò che vede così intensamente da <strong>di</strong>menticare<br />

<strong>di</strong> porsi domande in merito alla “verità” del film. I film privati più riusciti<br />

sono quelli che restituiscono le sensazioni del cinema <strong>di</strong> famiglia pur prendendone<br />

le <strong>di</strong>stanze, permettendo al fruitore <strong>di</strong> <strong>di</strong>staccare il proprio pensiero da<br />

ciò che vede.<br />

Adriano Aprà sostiene che la nonfiction può essere considerata l’inconscio<br />

del cinema pubblico perché mette in luce le contrad<strong>di</strong>zioni, i lapsus, le varianti<br />

storiche, e non se ne può prescindere per analizzare il segno dell’artista. Ciò che<br />

si legge non è infatti la co<strong>di</strong>ficazione del linguaggio, ma qualcosa <strong>di</strong> più simile<br />

all’inconscio, che viene fuori attraverso lo stile: il senso è che filmare in prima<br />

persona è certamente più inconscio che filmare narrando in terza persona.<br />

Ovviamente il cinema privato ha con<strong>di</strong>zionamenti <strong>di</strong>fferenti rispetto a quelli del<br />

cinema industriale, da combattere o con cui relazionarsi in maniera <strong>di</strong>versa. Si<br />

può fare come Nanni Moretti, con Io sono un autarchico, un film in Super8 che<br />

in realtà avrebbe voluto essere in 35 mm; oppure come Rossellini, con Siamo<br />

donne (1953), in 35 mm, che ha invece lo spirito dell’home movie. Nel <strong>di</strong>scorso<br />

31


<strong>di</strong> Aprà, l’artista è qualcuno che apparentemente assume determinate regole, ma<br />

poi sotterraneamente le contrad<strong>di</strong>ce.<br />

L’autobiografia e l’autorappresentazione sono quin<strong>di</strong> forse le declinazioni più<br />

<strong>di</strong>ffuse e note del cinema privato (privato, essenzialmente, <strong>di</strong> un vasto pubblico),<br />

cui appartengono tutte quelle rielaborazioni consapevoli <strong>di</strong> materiali cinematografici<br />

che traggono origine da una pratica soggettiva e dalla volontà documentario/espressiva<br />

<strong>di</strong> singoli autori.<br />

È oggi in atto un fenomeno solo apparentemente paradossale: nonostante (o<br />

forse sarebbe più corretto <strong>di</strong>re “a causa <strong>di</strong>”) sovrabbondanza <strong>di</strong> informazioni e<br />

documentazioni pubbliche e private, si fa sempre più sentire l’esigenza <strong>di</strong> salvaguardare<br />

dal pericolo dell’oblio le memorie personali e famigliari. Il cinema privato<br />

è lo strumento attraverso il quale ciò avviene, elaborando gli au<strong>di</strong>ovisivi che<br />

appartengono alla memoria.<br />

Il televisore è ormai presente in più stanze della casa, non esiste più un luogo,<br />

né un tempo <strong>di</strong> con<strong>di</strong>visione mnemonica delle esperienze famigliari. Il <strong>di</strong>fferenziarsi<br />

degli stili <strong>di</strong> vita ha progressivamente e ra<strong>di</strong>calmente mutato le con<strong>di</strong>zioni<br />

<strong>di</strong> fruizione dei film <strong>di</strong> famiglia: mentre prima la consuetu<strong>di</strong>ne prevedeva un<br />

momento <strong>di</strong> con<strong>di</strong>visione del girato, con figli e genitori (e parenti nelle festività)<br />

riuniti attorno a un tavolo davanti al quale, insieme alla proiezione, si ricordavano<br />

vicende e personaggi presenti e passati, oggi con <strong>di</strong>fficoltà si trovano momenti<br />

<strong>di</strong> compresenza e <strong>di</strong>alogo all’interno <strong>di</strong> un nucleo famigliare. Per continuare a<br />

parlare alla mutata società, le vecchie pellicole, così come gli o<strong>di</strong>erni video <strong>di</strong>gitali,<br />

vanno organizzati all’interno <strong>di</strong> percorsi <strong>di</strong> memoria in relazione al vissuto<br />

specifico <strong>di</strong> ognuno <strong>di</strong> noi, nel tentativo <strong>di</strong> allenare una fruizione intelligente e<br />

sensibile. Il fruitore non ha più ruolo <strong>di</strong> spettatore ma <strong>di</strong>viene videolettore, ovvero<br />

colui che sa leggere e interpretare attivamente un’immagine filmica o video.<br />

Molti stu<strong>di</strong>osi fanno coincidere la definizione <strong>di</strong> cinema <strong>di</strong> <strong>prossimità</strong> con<br />

quella <strong>di</strong> cinema privato, considerandola esauriente. Tuttavia io preferirei <strong>di</strong>stinguere<br />

i due insiemi, intendendo con cinema privato la rielaborazione documentaristica<br />

dei film <strong>di</strong> famiglia. Ritengo che parlare <strong>di</strong> cinema <strong>di</strong> <strong>prossimità</strong> aiuti a<br />

enfatizzare l’importanza <strong>di</strong> un certo tipo <strong>di</strong> cinema (e video) che, pur non utilizzando<br />

film <strong>di</strong> famiglia o amatoriali preesistenti, si può considerare privato in<br />

base all’intenzione “amatoriale” dell’autore. Se il cinema privato è il contrario<br />

del film <strong>di</strong> famiglia, poiché porta alla luce ciò che il film <strong>di</strong> famiglia nasconde,<br />

il cinema <strong>di</strong> <strong>prossimità</strong> si comporta in maniera analoga al cinema privato rielaborando<br />

la realtà, filmata con intenti espressivi, all’interno <strong>di</strong> un film-saggio che<br />

riflette sul proprio lavoro. Di questo parleremo nei capitoli successivi.<br />

Secondo la definizione che ne dà Luca Ferro - autore <strong>di</strong> saggi, filmmaker e<br />

curatore <strong>di</strong> festival e rassegne sul cinema privato, sulla cui definizione concentra<br />

il proprio lavoro - il cinema <strong>di</strong> <strong>prossimità</strong> è, infatti, un cinema in cui l’attenzione<br />

è rivolta alla realtà, alle persone, agli oggetti, ai paesaggi umani e geografici<br />

32


prossimi alla vita e all’esperienza degli autori, sia sotto il profilo materiale che<br />

affettivo. 27<br />

Un cinema che non racconta in terza persona (nel modo oggettivo, impersonale<br />

del cinema professionale), ma che si esprime autenticamente in prima persona,<br />

senza mirare a una rappresentazione oggettiva del reale ma, piuttosto, restituendo<br />

la soggettiva verità <strong>di</strong> un intimo sentire.<br />

È facile intuire quali libertà offra una produzione non soggetta ai tempi cinematografici,<br />

televisivi o pubblicitari e all’omologazione linguistica tipica del<br />

prodotto industriale.<br />

Per rendere più chiaro quanto scritto, proporrò <strong>di</strong> seguito alcuni esempi.<br />

Nell’ambito del cinema privato, assieme ai <strong>di</strong>ari <strong>di</strong> Peter Forgàcs, filmmaker<br />

ungherese che fa cinema privato con gli home movie d’archivio non privato, e a<br />

quelli <strong>di</strong> Jonas Mekas, compaiono esperienze nuove come quella del Vitascope 28<br />

e del Digital Story Telling 29 .<br />

Nel primo caso un gruppo <strong>di</strong> cineasti berlinesi ha colto un costume sociale<br />

emergente: mettere or<strong>di</strong>ne nelle proprie memorie e celebrarle. Ne ha fatto un<br />

business, realizzando su richiesta film sulle vite altrui. Il Center for Digital Story<br />

Telling <strong>di</strong> Berkeley, invece, assiste aspiranti narratori nell’uso dei me<strong>di</strong>a <strong>di</strong>gitali<br />

per realizzare e con<strong>di</strong>videre storie <strong>di</strong> in<strong>di</strong>vidui e comunità. Entrambi utilizzano<br />

materiale amatoriale, ma la modalità <strong>di</strong> lavoro li <strong>di</strong>fferenzia sostanzialmente in<br />

quanto il primo è ispirato a un cinema <strong>di</strong> origine industriale, il secondo lavora a<br />

stretto contatto con chi vi si rivolge, creando una modalità produttiva che agevola<br />

l’avvicinamento intimo tra “esecutori” e narratore. Entrambi fanno del cinema<br />

privato, ma solo il secondo può <strong>di</strong>rsi realmente cinema <strong>di</strong> <strong>prossimità</strong> per l’autenticità<br />

e la freschezza con la quale lavora. Ve<strong>di</strong>amo quin<strong>di</strong> che nel cinema privato<br />

non è obbligatorio che esista un unico autore: accade spesso che lo sia, ma<br />

la sua assenza non è criterio <strong>di</strong> esclusione da questo gruppo.<br />

Nel “cinema <strong>di</strong> <strong>prossimità</strong>” la telecamera funge da vero e proprio me<strong>di</strong>atore,<br />

in lavori che parlano spesso <strong>di</strong> famiglia, ma non necessariamente, con esiti estetici<br />

molto alti e contenuti forti, mai melensi.<br />

Il <strong>Cinema</strong> <strong>di</strong> <strong>prossimità</strong><br />

Riporto un significativo testo <strong>di</strong> Luca Ferro 30 , poiché parlando <strong>di</strong> cinema privato,<br />

mette in evidenza le qualità <strong>di</strong> quello che definisco “cinema <strong>di</strong> <strong>prossimità</strong>”.<br />

«In termini idealmente ra<strong>di</strong>cali siamo <strong>di</strong> fronte a un’opera <strong>di</strong> <strong>Cinema</strong> Privato<br />

[<strong>di</strong> <strong>prossimità</strong>] quando questa:<br />

- risulta sostanzialmente frutto dell’attività <strong>di</strong> un solo in<strong>di</strong>viduo e autonoma<br />

rispetto ai sistemi commerciali <strong>di</strong> produzione au<strong>di</strong>ovisiva [ma la pluralità non<br />

33


è criterio <strong>di</strong> esclusione]; trae origine esclusivamente dalla necessità documentario-espressiva<br />

<strong>di</strong> un autore; non soggiace a con<strong>di</strong>zionamenti o a vincoli<br />

esterni per quanto concerne durata, modalità produttive e postproduttive;<br />

- propone allo spettatore un rapporto non biunivoco (schermo-platea) ma una<br />

interlocuzione triangolare (autore/immagini, schermo/spettatore, autore/spettatore);<br />

- si dà come opera non necessariamente definitiva, ma virtualmente sempre<br />

aperta a un progress, a un livello ulteriore <strong>di</strong> elaborazione, all’accoglimento<br />

<strong>di</strong> varianti;<br />

- può attingere, per il suo farsi, a una vasta riserva <strong>di</strong> immagini esistenti, sia<br />

proprie che altrui, che possono ibridarsi ad altre appositamente realizzate;<br />

- si concepisce sostanzialmente “a posteriori”, senza presupporre un soggetto<br />

né tantomeno una sceneggiatura. Uno slow food dell’au<strong>di</strong>ovisivo che, prima<br />

<strong>di</strong> utilizzarle, lascia decantare e affinare le proprie immagini. Dà loro il tempo<br />

<strong>di</strong> sottrarsi alla banale riproduzione del reale per maturare significati altri;<br />

- si guadagna il suo status non “a priori” (come nel caso <strong>di</strong> tanto cinema e<br />

video d’artista, per cui vale la nota citazione <strong>di</strong> O<strong>di</strong>n “l’arte è questione <strong>di</strong><br />

nome proprio” come accade al termine della catena produttiva commerciale<br />

da cui esce il film o il documentario o lo short pubblicitario o il videoclip etc.)<br />

ma solo per la cifra estetica e la valenza culturale e linguistica raggiunta attraverso<br />

il processo <strong>di</strong> rielaborazione;<br />

- non insegue il mass-me<strong>di</strong>um, tutt’al più mira al group-me<strong>di</strong>um, per accontentarsi<br />

in ultima istanza anche del self-me<strong>di</strong>um;<br />

- si sottrae alla <strong>di</strong>cotomia fiction/nonfiction perché estranea a una competizione<br />

sul registro della verità sia essa oggettiva (il documentario) che abilmente<br />

restituita (la fiction). L’ambito che le compete è quello <strong>di</strong> una soggettività<br />

estrema, <strong>di</strong> uno sguardo autentico ed emozionante, che si fa documento e<br />

narrazione al tempo stesso.»<br />

Luca Ferro infine prosegue correggendo la definizione <strong>di</strong> “cinema privato” in<br />

“cinema <strong>di</strong> <strong>prossimità</strong>”:<br />

«Tuttavia, d’istinto, collocherei la quintessenza della natura del <strong>Cinema</strong><br />

Privato nel contesto ampio ma non perciò generico <strong>di</strong> un <strong>Cinema</strong> <strong>di</strong> <strong>prossimità</strong>.<br />

Dove la <strong>prossimità</strong> alla materia trattata è certo affettiva ed emotiva, ma<br />

pure geografica e topografica.<br />

È la <strong>prossimità</strong> umana alle persone che ci sono particolarmente (e ambivalentemente)<br />

care: genitori, figli, parenti, amici, tutti coloro che rappresentano ai<br />

nostri occhi un modello <strong>di</strong> riferimento esistenziale, o artistico, o professionale.<br />

È un rapporto <strong>di</strong> nuova <strong>prossimità</strong> autore - spettatore (a <strong>di</strong>fferenza del cinema<br />

d’autore in senso stretto, in cui l’autore si nasconde <strong>di</strong>etro l’opera).<br />

34


Ma è anche la <strong>prossimità</strong> ecologica al mondo naturale: i fiori dei nostri terrazzi,<br />

le piante del nostro giar<strong>di</strong>no, gli animali domestici che abitano la nostra<br />

casa, o la nostra campagna, il nostro cielo, il nostro mare.<br />

Una <strong>prossimità</strong> che si declina anche in termini economici, perché letteralmente:<br />

realizzare film <strong>di</strong> questa natura è davvero alla portata <strong>di</strong> tutte le tasche!<br />

E sono tutte queste <strong>prossimità</strong>, considerate nel loro insieme, a fare del cinema<br />

una straor<strong>di</strong>naria occasione per chi sente l’esigenza <strong>di</strong> esprimersi au<strong>di</strong>ovisivamente,<br />

poco importa che il supporto sia chimico o <strong>di</strong>gitale.<br />

Perché se è vero che già tanti, in un passato più o meno recente, si sono avviati<br />

su questa strada lasciando preziose tracce del loro operare, è altrettanto vero<br />

che il progresso tecnologico pone oggi ciascuno <strong>di</strong> noi in con<strong>di</strong>zione <strong>di</strong> poter<br />

agevolmente confrontarsi con la scrittura au<strong>di</strong>ovisiva che appare, nell’attualità,<br />

uno dei mo<strong>di</strong> più prossimi alle esigenze comunicative contemporanee.<br />

La forma <strong>di</strong>rei più istintiva per molti d’esprimersi. E attraverso cui registrare,<br />

per noi stessi e per gli altri, il nostro particolare modo <strong>di</strong> avvertire e <strong>di</strong> restituire<br />

il tempo che attraversiamo».<br />

Note<br />

1<br />

L. Ferro, Sul cinema privato - percorsi originali d’espressione e <strong>di</strong> memoria, da<br />

http://www.cinemaprivato.it, marzo, 2007.<br />

2<br />

A. Aprà, voce Documentario, in Enciclope<strong>di</strong>a del <strong>Cinema</strong> Treccani, vol. II, Istituto della<br />

Enciclope<strong>di</strong>a Italiana, Roma 2003, pp. 350-370.<br />

3<br />

J. Rouch (Parigi, 31 maggio 1917 - Birni N’Konni, 18 febbraio 2004) etnologo, antropologo<br />

e regista francese, noto per i suoi fondamentali contributi all’antropologia visuale. In particolare,<br />

Rouch si è de<strong>di</strong>cato allo stu<strong>di</strong>o e alla realizzazione <strong>di</strong> documentari etnografici su alcune<br />

realtà dell’Africa occidentale decolonizzata. I suoi film hanno dato vita al cosiddetto cinéma-verité,<br />

espressione <strong>di</strong>ffusa dal sociologo Edgar Morin, con cui ha collaborato. Chronique<br />

d’un été, 1961, <strong>di</strong> J. Rouch e M. Brault venne presentato con la locuzione cinéma-verité, malgrado<br />

a questa lo stesso Rouch preferisca la <strong>di</strong>citura “cinema <strong>di</strong>retto”. La Nouvelle Vague in<br />

particolare subirà la sua influenza. In effetti il cinema <strong>di</strong> Rouch, racconta il critico Dario<br />

Stefanoni durante un interessante convegno nel contesto degli incontri lecchesi <strong>di</strong> “Capire la<br />

storia del cinema - 2018” (organizzati da Massimo Ferrari e Giulio Sangiorgio, con<br />

l’Associazione Dinamo Culturale, Lecco) è molto variegato e poco stu<strong>di</strong>ato. Se ne conoscono<br />

prevalentemente gli aspetti etnoantropologici, tuttavia, in generale, si tratta <strong>di</strong> una produzione<br />

libera ma anche meto<strong>di</strong>ca, preservando un aspetto <strong>di</strong> follia formale, da un punto <strong>di</strong> vista della<br />

grammatica cinematografica stessa. Il suo modo <strong>di</strong> girare fantasioso lo porta a mettere in scena<br />

l’improvvisazione visiva e attoriale: il ruolo dell’attore assume via via meno rilievo, nelle sue<br />

opere, così come l’autorialità stessa. Parafrasando una sua <strong>di</strong>chiarazione, sono gli altri che<br />

35


fanno il film, non l’autore. È evidente l’atteggiamento amatoriale che permea il suo lavoro,<br />

espresso anche nel non rigirare mai una scena, per cui la prima è sempre buona. Non si tratta<br />

<strong>di</strong> trascuratezza ma <strong>di</strong> un preciso intento espressivo, per certi versi identificabile nei mo<strong>di</strong> e<br />

nelle intenzioni del New American <strong>Cinema</strong>: Rouch sostiene che nel cinema bisogna fare quello<br />

che piace fare; è triste, piuttosto, vedere autori uccisi dalle loro stesse macchine. Per questioni<br />

ergonomiche ed economiche, Rouch ha sempre preferito il 16 mm al 35 mm, ad esempio.<br />

Rispetto ai registi della Nouvelle Vague, Rouch era anche operatore dei suoi stessi film (la<br />

cui mole si aggira intorno alle 150 pellicole) e questo gli ha permesso <strong>di</strong> farne dei veri e propri<br />

taccuini visivi, mischiando, a volte, in uno stesso film, più pellicole <strong>di</strong>fferenti, a seconda<br />

delle necessità contingenti.<br />

4<br />

A. Aprà, voce Documentario, in Enciclope<strong>di</strong>a del <strong>Cinema</strong> Treccani, vol. II, op. cit. nota 2.<br />

5<br />

Ibidem.<br />

6<br />

B. Nichols, Representing Reality. Issues and Concepts in Documentary, Bloomington,<br />

In<strong>di</strong>anapolis 1991.<br />

7<br />

A. Aprà, voce Documentario, in Enciclope<strong>di</strong>a del <strong>Cinema</strong> Treccani, vol. II, op. cit. nota 2.<br />

8<br />

S. Brakhage (14 gennaio 1933 - 9 marzo 2003) regista statunitense, considerato uno dei<br />

maggiori e più influenti filmmaker sperimentali del XX secolo. Ha realizzato nella sua carriera<br />

tra i trecento e i quattrocento film, iniziando a girare all’età <strong>di</strong> <strong>di</strong>ciannove anni, influenzato<br />

dal Neorealismo, da Gertrude Stein e dal surrealismo <strong>di</strong> Jean Cocteau.<br />

9<br />

J. Mekas (Semeniškiai, 24 <strong>di</strong>cembre 1922) regista lituano, scrittore e curatore. È capofila<br />

del movimento underground. Attualmente vive a New York. Terminati nel 1943 gli stu<strong>di</strong> al<br />

ginnasio <strong>di</strong> Biržai, nel 1944 Mekas si trasferì in Germania. Fu prigioniero in un campo nazista<br />

per otto mesi. Tra il 1946 e il 1948 stu<strong>di</strong>ò filosofia all’università <strong>di</strong> Meinz e nel 1949 si trasferì<br />

negli Stati Uniti. Negli USA iniziò a filmare, <strong>di</strong>ventando una personalità tra le più importanti<br />

del cinema d’avanguar<strong>di</strong>a americano. Prese parte al movimento d’arte sperimentale<br />

Fluxus. Allacciò inoltre stretti legami <strong>di</strong> amicizia e <strong>di</strong> confronto artistico con artisti <strong>di</strong> fama<br />

mon<strong>di</strong>ale come Andy Warhol, Bruce Nauman, Yoko Ono, John Lennon.<br />

10<br />

L. Ferro, Sul cinema privato - percorsi originali d’espressione e <strong>di</strong> memoria, op. cit. nota 1.<br />

11<br />

Ibidem.<br />

12<br />

F. Fuochi, <strong>Cinema</strong> amatoriale - cinema privato. Michelangelo Buffa, l’esperienza <strong>di</strong> un<br />

autore italiano, 2005. www.ilcorto.it/iCorti_AV/<strong>Cinema</strong>%20amatoriale%20privato.html<br />

13<br />

K. L. Ishizuka, P. Zimmermann P. (a cura <strong>di</strong>), Mining the home movie. Excavations in<br />

histories and memories, University of California Press, London 2008.<br />

14<br />

AMPAS, acronimo <strong>di</strong> Academy of motion picture arts and sciences, <strong>di</strong> cui si ricorda il cele-<br />

36


e premio Oscar, (Academy Award), che ha inizio il 16 maggio 1929, quando il presidente,<br />

Douglas Fairbanks, e il <strong>di</strong>rettore William C. DeMille, assegnarono, in un party privato per 270<br />

invitati, le prime statuette per la produzione della stagione 1927-1928.<br />

15<br />

Per approfon<strong>di</strong>menti sul lavoro effettuato da O<strong>di</strong>n si consulti F. Fuochi, <strong>Cinema</strong> amatoriale<br />

- cinema privato. Michelangelo Buffa, l’esperienza <strong>di</strong> un autore italiano, op. cit. nota 12.<br />

16<br />

A. Cati, Pellicole <strong>di</strong> ricor<strong>di</strong>. Film <strong>di</strong> famiglia e memorie private (1926-1942),<br />

Vita&Pensiero, Milano 2009, p. 5.<br />

17<br />

P. Simoni, Archeologia della memoria privata, in Mosso L. (a cura <strong>di</strong>), Private Europe: il<br />

cinema <strong>di</strong> Péter Forgács, Milano 2003.<br />

18<br />

R. O<strong>di</strong>n, Il cinema amatoriale, in Gian Piero Brunetta (a cura <strong>di</strong>), Storia del cinema mon<strong>di</strong>ale,<br />

5: Teorie, strumenti, memorie, Einau<strong>di</strong>, Torino 2011, pp. 319-352.<br />

19<br />

P. Simoni, Non basta premere un bottone, in A. Giannarelli (a cura <strong>di</strong>), Il film documentario<br />

nell’era <strong>di</strong>gitale, Annali Aamod 9, 2006.<br />

20<br />

Associazione Home Movies <strong>di</strong> Bologna costituita da Paolo Simoni, Mirco Santi, Karianne<br />

Fiorini.<br />

21<br />

K. Fiorini, M. Santi, Per una storia della tecnologia amatoriale, in L. Farinotti, E.<br />

Mosconi (a cura <strong>di</strong>), Comunicazioni sociali 3. Rivista <strong>di</strong> me<strong>di</strong>a, spettacolo e stu<strong>di</strong> culturali, Il<br />

metodo e la passione: cinema amatoriale e film <strong>di</strong> famiglia in Italia, Università Cattolica del<br />

Sacro Cuore, Milano, settembre-<strong>di</strong>cembre 2005.<br />

22<br />

K. Fiorini, M. Santi, Per una storia della tecnologia amatoriale, op. cit. nota 21.<br />

23<br />

A. Grifi (Roma, 1938-2007) fotografo, regista e operatore. Grifi è inoltre inventore e<br />

costruttore <strong>di</strong> <strong>di</strong>spositivi ad hoc tra cui il celebre vi<strong>di</strong>grafo (da magnetico a pellicola). Dopo<br />

un periodo de<strong>di</strong>cato allo sperimentalismo cinematografico esplora, fra i primi, le risorse del<br />

video, utilizzandolo soprattutto in funzione antagonista (il “videoteppismo” fra 1976 e 1978<br />

sulla stagione della lotta giovanile in Italia). In seguito realizza documentari industriali in tutto<br />

il mondo e sperimenta anche la ra<strong>di</strong>o (attraverso la forma del ra<strong>di</strong>odramma in particolare) portando<br />

incessantemente la sua voce critica in giro per l’Italia sino ai tempi più recenti fra università,<br />

centri <strong>di</strong> formazione e soprattutto centri sociali. Il cinema <strong>di</strong> Grifi, anche nell’ambito<br />

della “<strong>prossimità</strong>”, merita ulteriori approfon<strong>di</strong>menti, per i quali rimando al coinvolgente saggio-intervista<br />

L’evoluzione biologica <strong>di</strong> una lacrima - il cinema <strong>di</strong> Alberto Grifi, <strong>di</strong> Stefania<br />

Rossi (2017) e allo stu<strong>di</strong>o <strong>di</strong> Annamaria Licciardello, Il cinema laboratorio <strong>di</strong> Alberto Grifi<br />

(Falsopiano, 2017). Sebbene lo si possa considerare cinema d’artista, il cinema <strong>di</strong> Grifi ha<br />

subito numerose variazioni, dovute anche a geniali strumentazioni sperimentali e soluzioni<br />

tecniche da lui stesso progettate e costruite. In viaggio con Patrizia (1967) nasce senza dubbio<br />

come film privato, tenuto per molti anni ine<strong>di</strong>to proprio per superare il legame emotivo e<br />

sentimentale con la protagonista del film. Non è da sottovalutare nemmeno il suo atteggia-<br />

37


mento sprezzante, non solo verso gli intellettuali romani preoccupati a occuparsi <strong>di</strong> problematiche<br />

da salotto, ma anche nei confronti della figura dell’artista, in cui egli stesso ricade, e con<br />

essa l’esperienza cinematografica, <strong>di</strong>venuti per lui insignificanti a seguito dei due anni trascorsi<br />

in carcere, che lo portano a interessarsi sempre meno al linguaggio cinematografico,<br />

quanto piuttosto della sua vita. Questa visione, resa esplicita in un momento che lo conduce a<br />

non produrre (o rendere e<strong>di</strong>ti) più film, conferisce nuova luce nella lettura critica della sua<br />

opera, nel definirne l’origine più o meno “privata” e le priorità che regnano al suo interno. Del<br />

resto, nell’intervista rilasciata a Stefania Rossi, a proposito <strong>di</strong> Anna (1972-1975, che chiama<br />

“opera etica” più che “opera d’arte”) Alberto esprime interesse più per l’esperienza eccezionale<br />

che mo<strong>di</strong>ficò i rapporti e i ruoli all’interno della troupe e tra la troupe e Anna, piuttosto<br />

che per il prodotto filmico, <strong>di</strong> cui tra l’altro esistono più versioni, nessuna delle quali definitiva.<br />

L’apertura del cinema <strong>di</strong> Grifi ha più a che fare con la vita che con il cinema.<br />

L’interesse <strong>di</strong> Grifi si sposta inoltre verso la rigenerazione della memoria storica degli anni<br />

Sessanta e Settanta, conservata sui deperibili nastri a bobina aperta, <strong>di</strong> vari formati, per i quali<br />

recupera macchine <strong>di</strong>venute ormai obsolete e realizza un macchinario in grado <strong>di</strong> rigenerare i<br />

nastri magnetici attraverso uno speciale lavaggio.<br />

È proprio mostrando a una delle protagoniste de Il festival del proletariato giovanile al Parco<br />

Lambro (1976), Paperina, che Grifi realizza un film che in tutto e per tutto possiamo definire<br />

privato. In Paperina si riguarda (1993) la protagonista si rivede dopo <strong>di</strong>ciassette anni, commentando<br />

le registrazioni dell’epoca.<br />

24<br />

P. Simoni, Non basta premere un bottone, op. cit. nota 19. Intervista <strong>di</strong> Monica Dall’Asta,<br />

Alberto Grifi, cineasta-inventore, in Giacomo Manzoli e Guglielmo Pescatore (a cura <strong>di</strong>),<br />

L’arte del risparmio: stile e tecnologia, Carocci, Roma 2005, p. 159.<br />

25<br />

B. Di Marino, La materia della memoria. Film amatoriale, <strong>di</strong>ario, found footage, détornement,<br />

in B. Di Marino (a cura <strong>di</strong>), Interferenze dello sguardo. La sperimentazione au<strong>di</strong>ovisiva<br />

tra analogico e <strong>di</strong>gitale, Bulzoni, Roma 2002, pp. 123-150.<br />

26<br />

Cfr. http://www.cinemaprivato.it<br />

27<br />

Ibidem.<br />

28<br />

Il sito <strong>di</strong> riferimento è http://www.vitascope.de<br />

29<br />

Fondato da Joe Lambert a Berkley. Il sito <strong>di</strong> riferimento è http://www.storycenter.org<br />

30<br />

L. Ferro, Sul cinema privato - percorsi originali d’espressione e <strong>di</strong> memoria, op. cit. nota 1.<br />

38


Ilaria Pezone<br />

IL CINEMA DI PROSSIMITÀ<br />

privato, amatoriale, sperimentale e d’artista<br />

© E<strong>di</strong>zioni Falsopiano - 2018<br />

via Bobbio, 14<br />

15121 - ALESSANDRIA<br />

www.falsopiano.com<br />

Per le immagini, copyright dei relativi detentori<br />

Progetto grafico e impaginazione: Daniele Allegri<br />

In copertina: Circo Togni Home Movies, Associazione Home Movies<br />

In seconda e terza <strong>di</strong> copertina: P. Bargellini, Dove cominciano le gambe (1964)<br />

Prima e<strong>di</strong>zione - Settembre 2018

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