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Monica Grandi - Parrocchia Santi Angeli Custodi - Formica

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ALMA MATER STUDIORUM – UNIVERSITA’ DI BOLOGNA<br />

FACOLTA’ DI SCIENZE DELLA FORMAZIONE<br />

Corso di studio in Educatore di Nido e Comunità infantili<br />

Sapore di Bolivia, Sapere di Culture.<br />

Difficoltà che nascono in campo educativo<br />

attraverso<br />

l’incontro tra Storie diverse.<br />

Prova finale in: STORIA DELLE CULTURE<br />

Relatore: Presentata da<br />

Prof. Dondarini Rolando <strong>Grandi</strong> <strong>Monica</strong><br />

Correlatore:<br />

Prof.ssa Borghi Beatrice<br />

Sessione: TERZA<br />

Anno accademico: 2007/2008


Indice<br />

Premessa............................................................................................... I<br />

Capitolo 1<br />

I mille colori della Società Italiana<br />

1.1 Multicultura ed Intercultura ............................................................ 3<br />

1.2 Sfiorano i 4 milioni gli immigrati regolari in Italia. ....................... 5<br />

1.3 Fattori che producono multiculturalità. .......................................... 7<br />

1.4 Stereotipi e pregiudizi................................................................... 11<br />

1.5 Intercultura nell’educazione italiana ............................................ 16<br />

1.6 Dal punto di vista dell’immigrato................................................. 27<br />

1.7 I pensieri di una famiglia immigrata ............................................ 31<br />

Capitolo 2<br />

Missione ad gentes in Bolivia<br />

2.1 L’incontro con la missione ........................................................... 39<br />

2.2 Corso in preparazione al mandato missionario ............................ 46<br />

2.2.1 La missione della Chiesa ................................................... 46<br />

2.2.2 La spiritualità del missionario .......................................... 51<br />

2.2.3 Bolivia, terra amata: il paese, il popolo che il Signore<br />

ci consegnerà ..................................................................... 53<br />

2.2.3.1 Generalità, superficie, geografia e<br />

popolazione .......................................................... 54<br />

2.2.3.2 Economia ............................................................. 56<br />

ii


2.2.4 La nostra specifica azione missionaria ............................. 60<br />

2.2.5 Massimiliano Kolbe: un compagno di viaggio ................. 62<br />

2.2.6 “E la prese con sé” ............................................................ 67<br />

2.3 Il viaggio in Bolivia ..................................................................... 69<br />

2.3.1 Partenza ............................................................................ 69<br />

2.3.2 Arrivo ................................................................................ 72<br />

2.3.3 Montero ............................................................................ 77<br />

2.3.4 Mercato ............................................................................. 82<br />

2.3.5 Centro missionario ............................................................ 85<br />

2.3.6 Orfanotrofio maschile ....................................................... 87<br />

2.3.7 La Santa Messa a Montero ............................................... 90<br />

2.3.8 Orfanotrofio femminile e Centro di<br />

tossicodipendenza ............................................................. 93<br />

2.3.9 Tierras Nueva, la città dei mattoni .................................... 97<br />

2.3.10 Santa Cruz e Cotoca ....................................................... 101<br />

2.3.11 Triduo a San Massimiliano Kolbe .................................. 103<br />

2.3.12 Carcere ........................................................................... 108<br />

2.3.13 Campo Chanè ................................................................. 110<br />

2.3.14 Cochabamba ................................................................... 116<br />

2.3.15 Riflessione comunitaria e rientro in Italia ...................... 120<br />

Capitolo 3<br />

Quando Storie diverse si incontrano<br />

3.1 Accogliere la persona ................................................................ 126<br />

3.2 Accogliere la Storia della persona ............................................ 130<br />

3.3 Accogliere l’Identità della persona ........................................... 133<br />

iii


Conclusioni ...................................................................................... 141<br />

Bibliografia ...................................................................................... 145<br />

Sitografia .......................................................................................... 147<br />

iv


Al mio caro nonno


Premessa<br />

«Tutti gli esseri umani nascono liberi e uguali in dignità e diritti.<br />

Essi sono dotati di ragione e di conoscenza<br />

e devono agire gli uni verso gli altri<br />

in spirito di fratellanza.»<br />

ART 1 Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo<br />

Riportando questo articolo si permette a chi sfoglierà questa tesi, di<br />

ritagliare un momento di riflessione. Prendersi un istante del proprio<br />

tempo, ponendosi una semplice domanda:<br />

“Quando leggiamo queste parole, quali sono le immagini che ci<br />

corrono davanti agli occhi?” Le figure ritraggono la sofferenza,<br />

l’abbandono, la povertà, l’egoismo, la disuguaglianza, l’indifferenza,<br />

la solitudine e l’ingiustizia con cui si ricoprono le popolazioni<br />

dimenticate e sfruttate. La domanda posta rimanda ad un’altra<br />

questione che può avere dei risvolti più psicologici ed involontari.<br />

Perché la nostra mente ci fa apparire quelle immagini e non altre? La<br />

risposta, non vuole essere a carattere scientifico o matematico, ma<br />

deve interessarci interiormente e personalmente.<br />

L’opinione che può nascere può diventare terreno fertile per aprire<br />

un’infinità di polemiche sui diritti umani.<br />

Io non voglio aprire una discussione, vorrei solo esprimere<br />

un’opinione personale sul perché di queste “presentazioni di immagini<br />

involontarie” e su come le parole “incontro”, “diverso” e “dialogo”<br />

possono coesistere in un unico pensiero.<br />

Penso che poca gente si sia mai soffermata molto a riflettere su un<br />

articolo così importante e che spesso il contenuto di questi articoli sia<br />

dato per scontato. Quando si mettono gli occhi su questo scritto si<br />

pensa che sia essenziale e legittimo ma nella realtà viene applicato? È<br />

realmente così la situazione nel mondo?<br />

i


Io penso che chi crede che questo articolo rispecchi la situazione delle<br />

popolazioni di tutto il mondo sia ipocrita e irrazionale.<br />

La Dichiarazione Universale dei Diritti dell’uomo è stata approvata<br />

nel 1948 dalle Nazioni Unite dopo la fine della seconda guerra<br />

mondiale, per fare in modo che in futuro si evitino orrori come<br />

l’olocausto.<br />

Aver elencato una serie di diritti che tutelino l’uomo è stata una scelta<br />

giusta, ma queste leggi sono realmente applicate solo all’interno dei<br />

paesi più benestanti, perché in quelli più poveri la situazione è di<br />

degrado e se non ci impegniamo seriamente tutti, anche nel nostro<br />

piccolo, per migliorare quello che ci circonda, si peggiorerà<br />

ulteriormente.<br />

È inoltre importante non dimenticare, che anche all’interno delle realtà<br />

che godono di più abbondanza, sono presenti condizioni di miseria e<br />

che quindi chi gode realmente di questi diritti, sono coloro che con il<br />

denaro si creano un mondo perfetto e giusto ai loro occhi.<br />

La vita ci porta ad essere frenetici e sfuggenti, ci dimentichiamo di<br />

fermarci a guardare come le cose che facciamo si evolvono, come il<br />

mondo si trasforma e come anche noi cambiamo. Ci accontentiamo di<br />

guardare cosa succede intorno a noi solo attraverso i mass-media,<br />

senza riuscire a metterci in gioco in prima persona. Ci limitiamo ad<br />

informarci solo leggendo frettolosamente i titoli della prima pagina<br />

dei giornali senza andare nel profondo degli articoli.<br />

La nostra società è arrivata a credere solo nelle cose materiali che<br />

circondano l’uomo e ci siamo lasciati alle spalle una vita di grandi<br />

emozioni nate da piccoli gesti.<br />

La superficialità è definita come: «Mancanza di contenuti, di<br />

approfondimenti, d’interiorità» 3 ; oppure come una «Caratteristica di<br />

chi è superficiale cioè di chi non approfondisce, che non medita, che si<br />

3 Definizione del termine “superficialità” presente nel dizionario G. DEVOTO,<br />

Dizionario della lingua Italiana, Milano 2000.<br />

ii


ferma all’esteriorità delle cose» 4 . Non riuscire a vedere oltre le cose<br />

che ci appaiono e oltre l’esteriorità delle persone, a non giudicare chi<br />

ci sta di fronte semplicemente da come porta i capelli o dalla maglietta<br />

che indossa è diventato un modo dell’agire comune.<br />

La nostra vita si sta circondando di ipocrisia e superficialità. È<br />

veramente quello che vogliamo per il nostro futuro? Quando leggiamo<br />

questo articolo della dichiarazione, ci appaiono quelle immagini<br />

perché sappiamo in cuor nostro che questi diritti non appartengono a<br />

tutti, sappiamo qual è la vera realtà e allora sarebbe il momento di fare<br />

qualcosa. Non servono gesti eclatanti come scioperi o manifestazioni<br />

ma opere di aiuto verso il prossimo. Ci siamo dimenticati delle parole<br />

come carità, rispetto, aiuto reciproco, unità, incontro, ascolto e<br />

dialogo, sincerità e soprattutto amore.<br />

Convivere tutti secondo un agire comune implica appunto, come citato<br />

nell’articolo, operare secondo spirito di fratellanza.<br />

La difficoltà che incontriamo maggiormente oggi è quella legata al<br />

problema della nascita di una società multietnica.<br />

La presenza, da pochi anni così tangibile, anche in Italia di diverse<br />

culture spaventa e preoccupa gli italiani. L’ostacolo che abbiamo<br />

nell’incontro con l’altro è comprensibile non essendo più capaci di<br />

convivere e aiutare chi condivide la nostra stessa cultura. Ci troviamo<br />

spiazzati di fronte a chi non è simile a noi come modo di pensare e<br />

vedere le cose, portandoci ad alimentare il distacco già presente con<br />

stereotipi e pregiudizi nei loro confronti. Negli ultimi anni sono nati<br />

tantissimi progetti, in tutti gli ambiti istituzionali, per permettere agli<br />

stranieri di essere integrati nella nostra società. Sia nelle scuole per far<br />

fronte hai bisogni delle famiglie con dei bambini, sia in campo<br />

lavorativo per permettere una giusta retribuzione e assicurare un<br />

futuro oneroso, sia in campo sanitario per dare assistenza a chi ne ha<br />

bisogno.<br />

4 Definizione del termine “superficialità” presente nel dizionario N. ZINGARELLI,<br />

lo Zingarelli, dizionario della lingua italiana, Bologna 2000.<br />

iii


Tante volte parlando con le persone mi è capitato di ascoltare discorsi<br />

pieni di rabbia e mi è sembrato di capire che quello che spaventa gli<br />

italiani è vedere che spesso le persone che provengono da altri paesi<br />

ricevono molti più privilegi.<br />

L’Italia si dimentica di fare un percorso basato sull’incontro con<br />

l’altro, un’occasione per permettere alle persone di conoscersi e di<br />

confrontarsi. Dare la possibilità alle genti di scambiare un pensiero o<br />

una parola può essere di aiuto ad entrambi le parti e insieme si<br />

potrebbe finalmente parlare di spirito di fratellanza.<br />

L’argomento su cui si basa questa tesi è l’incontro interculturale in<br />

Italia, soprattutto per quanto riguarda le famiglie e i bambini,<br />

protagonisti della nostra società e del nostro futuro.<br />

Superare il terrore creato dall’incontro con l’altro è possibile se<br />

cercato e voluto. Credo in queste affermazioni soprattutto dopo aver<br />

partecipato ad una missione di volontariato in Bolivia che mi ha<br />

aiutato a crescere tanto e a vedere con occhi diversi le realtà che “mi”<br />

e “ci” circondano.<br />

Le testimonianze, che spesso ci lasciano le persone, hanno<br />

un’importanza diversa rispetto ad un elenco di fatti scritti sopra un<br />

libro perché si può assaporare la vitalità delle emozioni che<br />

provengono direttamente da chi sta parlando.<br />

Per questo ho deciso di raccontare la mia avventura, per prenderla in<br />

esame e cercare delle sollecitazioni che possono nascere in campo<br />

educativo, ma anche per lasciare una mia testimonianza a chi leggerà<br />

la mia tesi.<br />

iv


“Immagina non ci sia il Paradiso prova, è facile Nessun inferno sotto<br />

i piedi<br />

Sopra di noi solo il Cielo Immagina che la gente viva al presente...<br />

Immagina non ci siano paesi<br />

non è difficile<br />

Niente per cui uccidere e morire<br />

e nessuna religione<br />

Immagina che tutti<br />

vivano la loro vita in pace..<br />

Puoi dire che sono un sognatore<br />

ma non sono il solo<br />

Spero che ti unirai anche tu un giorno<br />

e che il mondo diventi uno...<br />

Immagina un mondo senza possessi<br />

mi chiedo se ci riesci<br />

senza necessità di avidità o rabbia<br />

La fratellanza tra gli uomini<br />

Immagina tutta le gente<br />

condividere il mondo intero...”<br />

John Lennon


Capitolo 1<br />

I mille colori della Società Italiana<br />

i


I mille colori della Società Italiana<br />

1.1 Multicultura ed Intercultura<br />

Prima di iniziare a parlare della società multiculturale italiana mi<br />

sembra giusto definire con precisione il significato di due termini, che<br />

negli ultimi tempi sono molto in voga, in campo sociale e pedagogico.<br />

Le parole multicultura ed intercultura, nel gergo comune, vengono<br />

usate come sinonimi e si scambiano facilmente come se avessero lo<br />

stesso significato.<br />

Anche in altri paesi, come in Italia, questi due termini creano un po’ di<br />

confusione perché non sono affatto scontati da capire se non vengono<br />

chiariti bene. Nei paesi di origine anglosassone, come ad esempio la<br />

Gran Bretagna, il Canada e gli Stati Uniti, al termine “multicultura”<br />

viene attribuito lo stesso significato che noi in Italia e in altri paesi<br />

europei diamo ad “intercultura”.<br />

In Italia, il termine “multicultura”, sta ad indicare una «situazione di<br />

fatto, in cui le diverse culture coesistono fra loro e non hanno ancora<br />

trovato gli strumenti per il confronto e la relazione 5 ».<br />

Questo termine, rappresenta una situazione in cui ogni cultura e ogni<br />

gruppo etnico cerca, prevalentemente, i punti di riferimento al proprio<br />

interno; le possibilità di interazione fra i diversi soggetti sono scarse o,<br />

comunque, non si sono costituite in un contesto di parità, di<br />

reciprocità e di apertura, ma sono segnate sostanzialmente dalla<br />

diffidenza reciproca e dalla chiusura al cambiamento.<br />

La società attuale si sta trasformando in senso multiculturale sulla<br />

base della spinta dei diversi processi in atto, che più avanti verranno<br />

elencati e spiegati.<br />

Il termine “intercultura” nasce in Francia per trasferirsi in poco tempo<br />

anche in altri paesi europei come l’Italia e la Germania; esso indica<br />

5 A. GENOVESE, Per una pedagogia interculturale, dalla stereotipia dei pregiudizi<br />

all’impegno dell’incontro, Bononia University Press, Bologna 2003, p. 181.<br />

3


una situazione di interazione fra le diverse culture. Spesso questo<br />

termine vuole indicare una prospettiva, un punto di arrivo o un<br />

obiettivo cui è possibile tendere, perché designa una situazione in cui<br />

il rapporto fra le culture e le persone che ne sono portatrici comincia<br />

ad aprirsi alle relazioni reciproche e può prospettarsi una possibilità di<br />

integrazione.<br />

«La cultura di origine, quale essa sia, non diventerà più un elemento<br />

discriminante, ma un legittimo terreno fertile per una crescita<br />

individuale e collettiva, un’attenuante per momenti di incontro e di<br />

confronto democratico.<br />

L’approccio multiculturale, è stato spesso rivendicato dagli stessi<br />

immigrati perché è stato visto come possibile strumento di<br />

affermazione della propria identità culturale e nazionale e altresì come<br />

strumento utile per la conservazione e la trasmissione dei propri<br />

contenuti culturali, valori morali, regole e tradizioni ai rispettivi<br />

figli.» 6 Da questo punto di vista si richiede quindi, di riconoscere le<br />

differenze, di apprezzare la possibilità di mantenere la propria lingua e<br />

la propria cultura, anche attraverso l’istituzione di centri di formazione<br />

separati per le diverse etnie o, quanto meno, con interventi<br />

differenziati per i diversi gruppi etnici. In molti casi però questa<br />

situazione ha portato alla ghettizzazione involontaria delle persone e<br />

alcuni esempi come Chinatown e Little Italy sono facilmente visibili<br />

anche oggi. La condizione della separazione forzata su basi razziali<br />

porta come conseguenza la creazione di “ghetti”, in cui si sviluppa una<br />

povertà crescente accanto a un degrado sociale sia a livello abitativo e<br />

sia a livello scolastico.<br />

L’approccio multiculturale tende a generare un separatismo, una<br />

scissione netta fra le culture che ne sono portatrici, tale da rendere i<br />

diversi gruppi etnici impermeabili al cambiamento e provocando<br />

un’implosione sui propri valori e tradizioni, in maniera che questi<br />

vengono considerati immutabili.<br />

6 Ibid., pp. 181-182<br />

4


La mentalità non aperta al confronto rimane stabile ed immobile, non<br />

cambia e non si rinfresca.<br />

La cultura che si diffonde nel ristretto gruppo di immigrati, entra in<br />

contraddizione con lo sviluppo e con i cambiamenti culturali che nel<br />

frattempo sono avvenuti nel paese di origine, ai quali si è rimasti<br />

estranei esattamente come a quelli che avvengono nella cultura del<br />

paese di accoglienza.<br />

L’approccio interculturale è il passo successivo alla multiculturalità;<br />

in una società che vede al suo interno una gamma sempre più<br />

numerosa di etnie diverse, deve imparare a crescere con loro, a<br />

conoscerle, a convivere nello stesso territorio e a fare in modo che<br />

queste diversità diventino un incentivo per una crescita ulteriore.<br />

1.2 Sfiorano i 4 milioni gli immigrati regolari in Italia.<br />

La stima che è stata calcolata dal XVIII Rapporto Caritas Migrantes<br />

conta dai 400 ai 600 immigrati regolari in più rispetto alle stime<br />

dell’Istat che ne aveva contati 3.433.000 nell’anno 2007 7 .<br />

La differenza tra quanto è stato calcolato dall’Istat rispetto ai numeri<br />

pubblicati dalla Caritas, si spiega con l’aggiunta di tutti coloro che<br />

sono in attesa di una residenza. Gli stranieri, con queste presenze,<br />

incidono del 6.7% della popolazione complessiva. Nel 2000, erano<br />

presenti circa un milione e settecentomila immigrati, comprendendo in<br />

questa cifra tutta l’immigrazione regolare ovvero tutti gli adulti con<br />

permesso di soggiorno e i minori regolarmente presenti nel nostro<br />

paese. Ovviamente a queste cifre vanno aggiunti gli immigrati che<br />

sono entrati in Italia clandestinamente e sono presenti in maniera<br />

irregolare nel nostro paese.<br />

7<br />

Le cifre indicate sono state pubblicate dal quotidiano online Il Sole 24 ore al<br />

seguente indirizzo<br />

http://www.ilsole24ore.com/art/SoleOnLine4/Italia/2008/10/immigrati-caritasmigrantes-rapporto.shtml<br />

5


Dall’entrata nel nuovo millennio fino al 2006 gli immigrati sono<br />

raddoppiati e l’Italia è diventata la seconda nazione europea dopo la<br />

Spagna ad avere avuto un aumento così elevato di immigrati in più,<br />

registrati in questi sei anni.<br />

Tra gli immigrati, in Italia i più numerosi sono i rumeni che si<br />

aggirano intorno ai 625 mila aventi la residenza, successivamente gli<br />

albanesi che sono 402 mila circa e i marocchini intorno ai 366 mila;<br />

rimangono invece intorno alle 150 mila unità le comunità cinesi e<br />

ucraine 8 .<br />

I rumeni hanno assunto un importante ruolo in campo lavorativo in<br />

quanto su sei dipendenti assunti uno proviene dalla Romania; un terzo<br />

di loro lavora nell’edilizia, mentre gli altri si dividono tra l’agricoltura<br />

e i servizi statali. Fra il 2006 e il 2007 il numero di rumeni è<br />

raddoppiato, non perché ci sono state nuove ondate di immigrazione,<br />

ma si è trattato semplicemente di emersione dal lavoro nero facilitata<br />

dall’adesione della Romania alla Unione Europea.<br />

Rimanendo in tema occupazionale bisogna ricordare che secondo<br />

l’Istat, in Italia i due terzi dei nuovi assunti è di origine straniera; le<br />

piccole imprese sono protagoniste delle assunzioni nei tre quarti dei<br />

casi e si è registrato un aumento dei tassi d’iscrizione ai sindacati di<br />

lavoratori stranieri.<br />

Oltre la metà degli immigrati è formata dal genere femminile e questa<br />

percentuale si conferma su tutto il territorio nazionale; colf, badanti,<br />

baby sitter, sono questi i mestieri più diffusi per la donna straniera. La<br />

maggior parte di loro lavora in nero oppure ha contratti che prevedono<br />

25 ore settimanali che non vengono rispettate perchè lavorano molto<br />

di più ricevendo la stessa retribuzione.<br />

In Italia, è soprattutto nel Nord-Ovest, dove si calcola la maggioranza<br />

di presenze immigrate soprattutto in Lombardia, segue il Nord-Est che<br />

vede una presenza degli stranieri pari al 26,9%, mentre nel Centro si<br />

registra il 25%.<br />

8 Ibid.<br />

6


Il Mezzogiorno è molto meno popolato da stranieri e si calcola una<br />

presenza pari al 12,5% 9 .<br />

1.3 Fattori che producono multiculturalità.<br />

Il problema della multiculturalità non è una realtà che bisogna<br />

affrontare solo prendendo in considerazione le tematiche legate<br />

all’immigrazione ma guardando anche i cambiamenti che si<br />

sviluppano all’interno della nostra società.<br />

Si possono elencare cinque fattori che ci riguardano da vicino e che<br />

possono essere le cause che ci hanno portato alla situazione odierna.<br />

Il primo fattore, riguarda «la globalizzazione dei mercati, con<br />

l’internazionalizzazone dei rapporti economici, sociali e culturali.» 10<br />

Attraverso l’apertura dei mercati di tutto il mondo la facilità con cui si<br />

spostano enormi quantità di merci, di mezzi di produzione, di capitali<br />

e di persone da un paese all’altro è impressionante e coinvolgente.<br />

La globalizzazione ci permette di toccare con mano quotidianamente<br />

tutte le più lontane culture, formando innumerevoli intrecci etnici e<br />

culturali e rimanendone, a volte, anche inconsapevoli. Un esempio<br />

molto semplice e a tutti tangibile è dato sui banchi di frutta e verdura<br />

presenti nei supermercati, dove si possono trovare prodotti tipici di<br />

altre parti del mondo come il cocco, le banane, i manghi ecc., un altro<br />

esempio è il mercato on line, dove siti come E-Bay permettono di<br />

acquistare prodotti da tutto il mondo rimanendo comodamente a casa<br />

nosta. Diciamo che oggi queste cose non destano più scalpore perché<br />

ormai la globalizzazione ha raggiunto qualsiasi ambiente e categoria<br />

di produzione; dovrebbe essere una situazione su cui riflettere per<br />

capire meglio le realtà che ci circondano nella società di oggi.<br />

Il secondo fattore riguarda «i cambiamenti degli stili di vita e di<br />

consumo che prevalgono nelle società ricche» 11 . Le conseguenze di<br />

9 Ibid.<br />

10 I. BOLOGNESI, A. DI RIENZO Io non sono proprio uno straniero. Dalle parole<br />

dei bambini alla progettualità interculturale, Franco<strong>Angeli</strong>, Milano 2007. pp.16-17.<br />

7


questi mutamenti si riversano in numerosi contesti dove le società<br />

povere cercano di eguagliare e imitare quelle più ricche; basti pensare<br />

all’importanza del telefono cellulare, che è diventato un bene di prima<br />

necessità, presente anche tra le popolazioni più disagiate. Questo, è<br />

solo un semplice esempio che ho potuto toccare con mano anche io<br />

durante la mia esperienza in Bolivia. Forti cambiamenti riguardano<br />

anche il piano ecologico, se pensiamo, per esempio al problema della<br />

desertificazione, le cui cause sono attribuite in larga misura alle<br />

modificazioni climatiche determinate proprio dagli stili di vita dei<br />

paesi ricchi, come l’eccesso di consumo di energia e l’inquinamento<br />

atmosferico.<br />

L’enorme diffusione e crescita dei sistemi di comunicazione ha<br />

portato alla realizzazione di una rete telematica globale; un esempio<br />

che tutti noi conosciamo bene è Internet 12 , una rete di computer<br />

mondiale ad accesso pubblico. Questo reticolo è costituito da alcune<br />

centinaia di milioni di computer collegati tra loro con i più svariati<br />

mezzi trasmissivi.<br />

Internet è anche la più grande rete di computer attualmente esistente e<br />

mai esistita, in ragione di ciò è, infatti, definita "la rete delle reti" o "la<br />

rete globale". 13<br />

Accendendo il televisore oppure navigando in Internet possiamo<br />

ascoltare o leggere notizie che riguardano paesi lontani diventando<br />

anche noi protagonisti di realtà internazionali.<br />

Questo è il terzo fattore che incrementa la multiculturalità; la<br />

comunicazione di massa ci permette di conoscere realtà nuove e<br />

diverse stando comodamente in casa nostra ma vivendole virtualmente<br />

attraverso i computer, le radio e i televisori.<br />

Il quarto fattore riguarda l’andamento demografico dell’intero globo<br />

previsto nei prossimi anni 14 , con forti differenziazioni fra i paesi e fra i<br />

11 A. GENOVESE, Per una pedagogia interculturale, dalla stereotipia dei<br />

pregiudizi all’impegno dell’incontro, Bononia University Press, Bologna 2003, p.7.<br />

12 Ibid. p.8.<br />

13 Vd. http://it.wikipedia.org/wiki/Internet<br />

8


continenti. Si prevede un forte calo delle nascite nei paesi più ricchi e<br />

contemporaneamente un aumento in quelli più poveri, con una forte<br />

concentrazione della popolazione in alcune zone del globo.<br />

«Nel 1950 la popolazione mondiale contava 2,5 miliardi di persone e<br />

nel 2000 ha raggiunto i 6 miliardi, in appena 50 anni, è più che<br />

raddoppiata e continua a crescere di 80 milioni di persone l’anno.<br />

Secondo gli studi nel 2025 supererà gli 8 miliardi di individui e gran<br />

parte dell’aumento demografico ( 98% ) avviene nei paesi in via di<br />

sviluppo. In questa prospettiva la terra cambierà di aspetto e si<br />

accentueranno sempre di più le differenze economiche tra i paesi<br />

ricchi e i paesi abbandonati nella miseria.» 15<br />

La crescita della popolazione dipende dalla fertilità, dalla mortalità<br />

infantile e dall’aspettativa di vita. Per quanto riguarda la fertilità, in<br />

Italia si riscontra un primato mondiale del calo di fertilità, infatti, ci<br />

sono 1,2 figli per donna. Nell'Africa sub sahariana è presente la<br />

fertilità più elevata del mondo; ogni donna ha circa sei o sette figli ma<br />

queste nascite sono accompagnate sia da un elevato tasso di mortalità<br />

infantile che dalle più elevate mortalità delle madri nei parti. In<br />

Angola per esempio ogni 100.000 nascite si verificano 1500 decessi.<br />

Nella Corea del sud e nella Malaysia, paesi non del tutto<br />

industrializzati, è presente una mortalità bassa, prossima a quello del<br />

mondo industrializzato.<br />

Al quarto fattore dedicato all’andamento demografico, si può<br />

agganciare la realtà espressa dal quinto indice di multiculturalità,<br />

ovvero, la situazione per quanto riguarda la distribuzione della<br />

ricchezza nel mondo. «I Paesi a Sviluppo Avanzato (PSA)<br />

racchiudono il 14,1% della popolazione mondiale e detengono e<br />

consumano l’80% delle ricchezze prodotte, mentre il restante 85,9%<br />

14<br />

A. GENOVESE, Per una pedagogia interculturale, dalla stereotipia dei<br />

pregiudizi all’impegno dell’incontro, Bononia University Press, Bologna 2003, p.8.<br />

15<br />

Le cifre indicate sono state pubblicate dal quotidiano online Il Sole 24 ore al<br />

seguente indirizzo<br />

http://www.ilsole24ore.com/art/SoleOnLine4/Italia/2008/10/immigrati-caritasmigrantes-rapporto.shtml<br />

9


della popolazione presente nei Paesi in via di Sviluppo (PVS) deve<br />

vivere con il residuo 20% della ricchezza mondiale.» 16 I seguenti dati<br />

numerici parlano da soli e si può capire cosa spinge tanta gente a<br />

lasciare il proprio paese e a volte anche la famiglia per cercare di<br />

raggiungere un’esistenza più dignitosa.<br />

L’ultimo, ovvero il sesto fattore riguarda i processi di integrazione<br />

economica e politica fra i diversi stati, in particolare la costruzione<br />

dell’Europa Unita; organizzazione di tipo sopranazionale ed<br />

intergovernativa che dal 1° gennaio 2007 racchiude 27 stati<br />

indipendenti e democratici.<br />

L'Unione consiste attualmente in una zona di libero mercato<br />

caratterizzata da una moneta unica, l'euro, regolamentata dalla Banca<br />

centrale europea e attualmente adottata da 15 dei 27 stati membri; essa<br />

presenta inoltre un’unione doganale fra i paesi aderenti agli accordi di<br />

Schengen, che garantiscono ai suoi cittadini libertà di movimento,<br />

lavoro e investimento all'interno degli stati membri.<br />

Diventando cittadini europei siamo chiamati involontariamente a<br />

confrontarci continuamente e su piani diversi con le differenze<br />

culturali interne al contesto europeo.<br />

Tra tutte le cause che hanno alimentato la multiculturalità nei paesi di<br />

tutto il mondo, ma nel nostro caso in Italia, ci siamo dimenticati di<br />

citare la più importante ovvero la ricerca di lavoro e guadagno. Questa<br />

causa spinge tantissime persone a migrare da un posto all’altro, per<br />

trovare un impiego che possa dare certezze nel mantenimento della<br />

famiglia o della singola persona. Questa realtà riguarda gli stranieri<br />

ma anche gli stessi italiani pendolari, che si spostano in altre città<br />

della stessa nazione per adempiere ad un impiego lavorativo. Le due<br />

situazioni di immigrazione rappresentano i due estremi<br />

dell’immigrazione; quella dedicata agli stranieri che hanno deciso di<br />

16 A. GENOVESE, Per una pedagogia interculturale, dalla stereotipia dei<br />

pregiudizi all’impegno dell’incontro, Bononia University Press, Bologna 2003, p.8.<br />

10


cambiare completamente residenza e quella rivolta ai cittadini italiani<br />

che si spostano per lavoro anche solo di una decina di chilometri.<br />

Nella storia, anche gli stessi italiani sono emigrati in altri paesi proprio<br />

per avere un riscatto economico, rispettivamente durante, così fu<br />

chiamata, «la grande emigrazione tra la fine del XIX secolo e i primi<br />

trent’anni del XX secolo in America e successivamente<br />

nell’emigrazione europea intorno alla metà del XX secolo verso<br />

l’Europa del Nord.» 17<br />

I fattori, che qui ho elencato, incrementano lo sviluppo dei processi<br />

multiculturali del nostro paese e ampliano la prospettiva delle<br />

possibilità educative in senso interculturale. Bisogna tener conto<br />

anche dei rischi che si possono incontrare quando si confrontano gli<br />

stili di vita di ogni persona per questo è importante sollecitare delle<br />

analisi pedagogiche approfondite e delicate sul piano interculturale.<br />

1.4 Stereotipi e pregiudizi<br />

Dopo aver elencato i fattori che creano multiculturalità, bisogna ora<br />

entrare nel merito delle idee e dei giudizi che nelle persone nascono<br />

quando si trovano a contatto con chi abbraccia una cultura diversa<br />

dalla nostra. Ci siamo mai preoccupati di voler conoscere veramente<br />

una determinata cultura? Ci siamo sempre soffermati a racconti e<br />

supposizioni? Ci creiamo un’idea sul “sentito dire”?<br />

Si pensa che nelle società moderne, dove è prevalente la razionalità<br />

tecnologica e l’accettazione dei valori dell’uguaglianza, della<br />

tolleranza e della convivenza democratica, i pregiudizi e gli stereotipi<br />

siano destinati a perdere progressivamente di importanza, in quanto<br />

retaggio di un passato meno civile, simboli di sopraffazioni sociali e<br />

del prevalere delle passioni sulla ragione.<br />

Ma se ci guardiamo intorno capiamo che non è così e che i pregiudizi<br />

e gli stereotipi non sono mai stati così vivi soprattutto adesso, a<br />

17 Vd. http://it.wikipedia.org/wiki/emigrazione_ italiana<br />

11


seguito dei recenti fenomeni migratori dal Terzo mondo verso i paesi<br />

con più possibilità di lavoro.<br />

Oggi gli stereotipi e i pregiudizi, usati da tutti quotidianamente, sono<br />

più impliciti e non visibili come tempi addietro perché abbiamo<br />

imparato a farli convivere con i nuovi valori democratici.<br />

Spesso le due parole stereotipo e pregiudizio vengono confuse, come<br />

le due parole multicultura ed intercultura, pur avendo due significati<br />

differenti.<br />

La parola pregiudizio, dal punto di vista etimologico indica un<br />

«giudizio nato precedentemente all’esperienza cioè un giudizio<br />

emesso in assenza di dati sufficienti» 18 .<br />

La mancanza di valutazione empirica del pregiudizio porta sempre<br />

alla creazione di un giudizio errato e a volte anche non veritiero della<br />

realtà oggettiva.<br />

L’idea che il pregiudizio costituisce non solo un giudizio preventivo<br />

all’esperienza, ma anche un giudizio errato, è tanto antica da potersi<br />

considerare parte stessa della definizione del termine.<br />

Gli “errori tipici”, sono anche legati ai nostri bisogni, infatti, abbiamo<br />

la tendenza a scegliere, tra le informazioni che nascono dalle nostre<br />

esperienze, quelli che combaciano con le nostre idee e opinioni e a<br />

tralasciare quelle che invece si oppongono, arrivando a far prevalere le<br />

necessità.<br />

L’ambito sentimentale personale, le singole esperienze e storie ci<br />

condizionano nelle scelte e spesso ci facciamo trasportare da ricordi,<br />

speranze e timori quando diamo delle valutazioni alle persone.<br />

Questi errori, che sono normali dell’uomo, sono definiti errori<br />

cognitivi e aiutano a spiegare come nasce, come si crea e perché<br />

persistono determinati pregiudizi.<br />

18 B. M. MAZZARA Stereotipi e pregiudizi. Accettare luoghi comuni, conoscenze<br />

non verificate, giudizi preconfezionati: un’economia della mente che diventa<br />

un’avarizia del cuore. Bologna 1997, p. 10.<br />

12


L’idea errata che ci facciamo di una determinata persona o di un intero<br />

gruppo etnico non aiuta l’integrazione, ma ostacola la vera conoscenza<br />

dell’altro.<br />

Il pregiudizio, infatti, non si ferma davanti a fatti o a eventi, ma si<br />

focalizza su specifici gruppi sociali tendendo a penalizzare chi diventa<br />

l’oggetto del giudizio stesso.<br />

Spesso è proprio a causa del pregiudizio che nascono degli scontri<br />

sociali raggiungendo, a volte, anche le dimensioni tragiche che<br />

conosciamo.<br />

Mentre il pregiudizio nasce precedentemente le scienze sociali, lo<br />

stereotipo al contrario, si sviluppa successivamente. Il primo studioso<br />

che ha affrontato questo tema è un giornalista, Walter Lippmann che<br />

nel 1922 pubblicò un volume molto interessante sui processi di<br />

formazione dell’opinione pubblica. Egli sostiene che «Il rapporto<br />

conoscitivo con la realtà esterna non è diretto, bensì mediato dalle<br />

immagini mentali che di quella realtà ciascuno si forma, in ciò<br />

fortemente condizionato appunto dalla stampa, che andava allora<br />

assumendo i connotati moderni della comunicazione di massa. Tali<br />

immagini mentali, che costituiscono una sorta di pseudo-ambiente con<br />

il quale di fatto si interagisce, hanno la caratteristica di essere delle<br />

semplificazioni spesso grossolane e quasi sempre molto rigide, per la<br />

semplice ragione che la mente umana non è in grado di comprendere e<br />

trattare l’infinita varietà di sfumature e l’estrema complessità con le<br />

quali il mondo si presenta.» 19<br />

Il termine stereotipo trae le sue origini dall’ambiente tipografico in<br />

quanto indica la riproduzione di immagini a stampa per mezzo di<br />

forme fisse (stereòs = rigido e tùpos = impronta) 20 oggi, nell'uso<br />

moderno, indica una visione semplificata e largamente condivisa su un<br />

luogo, un oggetto, un avvenimento o un gruppo riconoscibile di<br />

persone accomunate da certe caratteristiche o qualità.<br />

19 Ibid. p. 15<br />

20 Ibid.<br />

13


Lo stereotipo può avere tre variabili che vanno tenute ben presenti,<br />

quando si cerca di spiegare questo termine: la prima è il grado di<br />

condivisione sociale ovvero quanto un’idea su una determinata<br />

collettività è condivisa da più persone o gruppi sociali.<br />

In questo ambito ci sono due teorie che sono tutt’ora motivo di studio<br />

e ricerca; la prima considera lo stereotipo e il pregiudizio come<br />

tendenza tipica dei singoli individui legata ad un’elaborazione<br />

personale secondo le proprie esperienze e valori. La seconda ritiene<br />

che si possa parlare di stereotipo e pregiudizio solo ad un certo livello<br />

sociale e che la visione del singolo sia un modo per verificare la<br />

mentalità della collettività.<br />

La seconda variabile è legata al livello di generalizzazione, vale a dire<br />

il fatto di ritenere che le caratteristiche negative attribuite ad un<br />

gruppo o ad un oggetto siano omogeneamente distribuite in quel<br />

gruppo.<br />

L’ultima variabile riscontrata da B.M.Mazzara riguarda la minore o<br />

maggior rigidità dello stereotipo, in quanto si possono mettere a<br />

confronto stereotipi che sono ancorati più saldamente rispetto ad altri<br />

all’interno della stessa cultura. Sono presenti, infatti, degli stereotipi<br />

che se vengono presi in esame e si ha la costanza di metterli alla<br />

prova, in alcuni casi, vengono smascherati ed eliminati dal pensare<br />

comune, altri invece che se sono impiantati nella cultura o nella<br />

personalità difficilmente si possono sorvolare o addirittura estinguere.<br />

Dopo aver spiegato il significato dei termini pregiudizio e stereotipo<br />

possiamo tornare a parlare più nello specifico del problema<br />

dell’immigrazione e capire perchè stiamo riempiendo gli stranieri di<br />

giudizi affrettati.<br />

La situazione della nostra società, come è stata prima presentata, è a<br />

noi tutti ben evidente e tangibile ma sopravvalutata sia in termini<br />

quantitativi sia facendo riferimento alle difficoltà che porta in campo<br />

sociale. La reazione a questa situazione è esagerata e tutto questo<br />

14


allarmismo che ci circonda porta ad un’autodifesa dal diverso,<br />

giustificandoci da reazioni di discriminazione ed intolleranza.<br />

A livello della formazione dell’opinione collettiva, sull’argomento si<br />

possono riconoscere in azione i più classici dei meccanismi di<br />

distorsione della percezione, ovviamente a sfavore degli immigrati.<br />

Un esempio può essere, la tendenza ad attribuire la condizione di<br />

degrado in cui di solito gli immigrati vivono, non alle difficoltà<br />

materiali in cui si trovano, ma a loro caratteristiche e scelte personali.<br />

Il modo di pensare delle persone sta camminando sempre più nella<br />

direzione che porta alla segregazione e alla reciproca impermeabilità<br />

delle culture.<br />

Responsabile di questo allontanamento è anche lo spirito nazionalista<br />

presente in molte culture occidentali. L’idea è che i diversi gruppi<br />

nazionali sono caratterizzati da una sufficiente omogeneità dal punto<br />

di vista della sensibilità, delle abitudini, delle disposizioni<br />

comportamentali, degli orientamenti valutativi, tanto da poter parlare<br />

di uno specifico carattere tipico di quella nazione.<br />

Questa visione vede, all’interno della nazione, una sola matrice<br />

culturale ma addirittura una diffusione di determinati tratti psicologici,<br />

se estremizzata.<br />

Il cuore di questa questione sta nel concetto di probabilità 21 : possiamo<br />

dire, infatti, che esiste una certa maggiore probabilità che un individuo<br />

appartenente a un gruppo possieda tratti che sono tipici del suo<br />

gruppo; così come possiamo aspettarci che tale configurazione tipica<br />

rimanga abbastanza stabile nel tempo, ma non è giusto ritenere che<br />

quei tratti si trasferiscano automaticamente a tutti gli individui del<br />

gruppo.<br />

21 Ibid. p. 37<br />

15


1.5 Intercultura nell’educazione italiana<br />

La nuova società multiculturale che si sta delineando ci porta a dover<br />

prendere provvedimenti in tutti i campi sociali. La realtà che ha<br />

bisogno di maggiori attenzioni è quella scolastica, che ha visto<br />

triplicare nel giro di dieci anni il numero di ragazzi stranieri presenti<br />

nelle aule e nelle strutture. «Partendo da circa settantamila studenti<br />

stranieri registrati nell’anno scolastico 1997/98, si è arrivati a contare<br />

501.494 unità presenti oggi nelle nostre scuole.<br />

Come dimostrano i numeri la presenza di ragazzi e bambini stranieri è<br />

in forte aumento e secondo le statistiche nel 2011 si arriverà a toccare<br />

il milione.» 22<br />

Questa forte crescita numerica è causata da diversi fattori; il primo, il<br />

più banale e il più tangibile è legato all’aumento demografico, in<br />

quanto gli stranieri hanno un nucleo famigliare più amplio rispetto agli<br />

italiani. Il secondo fattore è legato alla ricongiunzione famigliare; anni<br />

fa sono immigrati specialmente uomini soli senza famiglia per cercare<br />

un lavoro e un guadagno, con gli anni sono riusciti a portare qui anche<br />

la moglie ed i figli. Il terzo fattore riguarda la crescita di adozioni di<br />

bambini stranieri da parte di coppie italiane. L’aumento di bambini e<br />

ragazzi immigrati minorenni è legato anche al fenomeno<br />

“dell’avanscoperta”; in questo caso i bambini arrivano in Italia e non<br />

vanno a scuola, ma si inseriscono nel mondo del lavoro trovando<br />

sfruttamento e contratti in nero oppure diventando prede ingenue per<br />

la delinquenza. Questa scelta il più delle volte viene presa dalle<br />

famiglie che decidono di mandare, appunto in avanscoperta il figlio<br />

per testare il terreno prima di trasferirsi con tutta la famiglia. Prima<br />

però che il completo trasferimento avvenga possono passare anche<br />

degli anni e quindi troviamo minori immigrati inseriti in campo<br />

lavorativo con il mancato raggiungimento degli obblighi scolastici.<br />

22 Vd. http://www.magdiallam.it/node/5648<br />

16


A livello nazionale le presenze straniere rappresentano il 5,7% degli<br />

iscritti, ma la distribuzione sul territorio è tutt'altro che omogenea: la<br />

quasi totalità degli alunni stranieri (il 90%) si concentra nelle scuole<br />

del Centro-Nord, in particolare nelle grandi città come Milano e<br />

Torino con un alto tasso di concentrazione, dal momento che in 888<br />

strutture scolastiche la percentuale di studenti non italiani supera il<br />

20%, e in 89 addirittura il 40%. 23<br />

Questi dati, ci permettono di capire che le regioni del meridione<br />

costituiscono un luogo di insediamento provvisorio, di transito, mentre<br />

l’Italia centrale e settentrionale sono prescelte per la stabilizzazione; si<br />

può avanzare l’ipotesi che questo sia dovuto al potere di attrazione,<br />

che alcune aree esercitano sui flussi migratori in relazione alle<br />

possibilità di insediamento socioeconomico.<br />

La nazionalità dei giovani studenti rispecchia abbastanza fedelmente<br />

quella della popolazione in generale, evidenziando i paesi<br />

tradizionalmente protagonisti di emigrazioni verso il nostro paese.<br />

Quasi il 30% degli alunni stranieri proviene, infatti, da Romania e<br />

Albania, seguite da Marocco (13%) e Cina (5%).<br />

Dai dati emerge una crescita significativa di studenti stranieri nella<br />

scuola secondaria superiore: più di 80.000 nell'anno scolastico 2005-<br />

2006, quasi l'80% iscritti negli istituti tecnici e professionali. Per<br />

quanto riguarda gli altri livelli di scolarizzazione troviamo il 5,7% di<br />

presenze all’interno delle scuole dell’infanzia, il 6,8% all’interno della<br />

scuola primaria, il 6,5% nella scuola secondaria di I grado e il 3,8%<br />

scuola secondaria di II grado. 24<br />

Per quanto riguarda gli asili nido la percentuale è ancora molto bassa<br />

in quanto anche per noi italiani il nido d’Infanzia è una realtà<br />

innovativa perché preferiamo ancora accudire i nostri bambini in<br />

famiglia. Lo stesso discorso vale inoltre per le altre culture perché<br />

23 Vd. http://www.clandestinoweb.com/number-news/scuola-sono-pi-di-500-mila-<br />

gli-studenti-stranieri-in-i.html<br />

24 Ibid.<br />

17


anche nelle famiglie straniere si preferisce lasciare a casa la moglie<br />

per l’assistenza ai figli piuttosto che mandarli all’asilo.<br />

Un secondo problema, che determina questa scarsa presenza, è legato<br />

anche al costo che hanno questi servizi, elevati e faticosi da<br />

mantenere. Queste difficoltà gravano sul prezzo che viene chiesto alle<br />

famiglie salendo oltre i 400,00 euro mensili; di conseguenza è più<br />

facile incontrare presenze più numerose nella scuola dell’infanzia e<br />

ovviamente nella scuola dell’obbligo.<br />

Il cambiamento per la scuola italiana e' stato rapidissimo: si e' passati,<br />

infatti, dai 50.000 alunni stranieri dell'anno 1995-96 ai 430.000 del<br />

2005-2006. Tuttavia, le percentuali sono nettamente inferiori a quelle<br />

di altri Paesi europei di consolidata immigrazione e inferiori anche a<br />

Paesi di recente immigrazione come la Spagna. I dati dicono che la<br />

Svizzera con 23,6% è la nazione europea con il maggior numero di<br />

studenti immigrati seguita dalla Germania con 10%, i Paesi Bassi con<br />

il 13%,l’Inghilterra con il 15%, la Spagna con il 5,7%, il Portogallo<br />

con il 5,5% ed infine la Francia, che è simile a noi, con il 5%. 25<br />

L’Italia a differenza degli altri paesi europei presenta maggiori aspetti<br />

di complessità causati dall’ingresso massiccio di cittadini stranieri in<br />

tempi relativamente brevi. Altri paesi come la Francia e la Gran<br />

Bretagna, hanno accolto prima dell’Italia la popolazione immigrante,<br />

che provenendo in gran parte dalle ex colonie si trovava ad aver già<br />

assimilato la cultura e la lingua del paese d’accoglienza. Per gli<br />

immigrati che si trovano nel nostro paese, il processo di inculturazione<br />

risulta più complesso, in quanto abbiamo un’amplia diversificazione<br />

per etnie e lingue d’origine.<br />

La popolazione immigrata presente in Italia, risulta estremamente<br />

varia per nazionalità, per lingua e cultura d’appartenenza.<br />

La realtà migratoria si rispecchia soprattutto all’interno della scuola,<br />

che accoglie numerosi bambini e adolescenti stranieri di prima e<br />

25 Ibid.<br />

18


seconda generazione, e sono numerosi anche i neoimmagrati che<br />

spesso vengono inseriti ad anno già iniziato.<br />

È sempre più frequente, tra i banchi di scuola, trovare la “diversità”<br />

perché si confrontano ed entrano significativamente in gioco nel<br />

processo di apprendimento e nelle dinamiche relazionali, differenti<br />

culture.<br />

Per sopperire alle problematiche relative alla natura multietnica e<br />

multiculturale dell’utenza, le varie strutture educative hanno assunto<br />

diversi atteggiamenti e soluzioni organizzative didattiche. Le modalità<br />

di risposta al cambiamento, sono state numerose e varie considerando<br />

i contesti, i numeri variabili degli alunni stranieri presenti nelle scuole<br />

e rispetto al grado di sensibilità del problema. I differenti presupposti,<br />

che sono stati alla base dei diversi progetti o percorsi hanno dato<br />

risultati diversi per quanto riguarda il cambiamento a livello<br />

interculturale della scuola italiana.<br />

Queste diverse situazioni di intervento, rappresentano<br />

involontariamente la mentalità italiana; ci sono persone che si<br />

impegnano verso l’integrazione, altre a cui il problema rimane<br />

indifferente e altre invece che non vedono e sentono alcun bisogno di<br />

scambio interculturale. I diversi modi di agire sono caratterizzati<br />

soprattutto dalle presenze, in una determinata zona, di immigrati; chi<br />

non vive in prima persona la realtà multiculturale non pensa a nessun<br />

tipo di provvedimento perché non vede il problema.<br />

Negli ultimi anni, dopo un ulteriore incremento degli immigrati, dopo<br />

che ormai gli stranieri sono presenti anche nei paesi periferici e non<br />

solo nelle grandi città, quasi tutti i servizi si stanno muovendo per far<br />

fronte al problema dell’integrazione. In campo educativo, anche se<br />

non sono stati definiti bene gli ordinamenti e le disposizioni<br />

normative, sono nate due nuove figure professionali. La figura del<br />

19


mediatore culturale e quella dell’insegnante L2. 26 Prendiamoli<br />

singolarmente e spieghiamone il significato.<br />

Il mediatore culturale è una persona, frequentemente reclutata tra la<br />

popolazione straniera che si colloca tra i contesti in cui si riscontrano<br />

oggettive difficoltà comunicative, con il compito di risolvere le<br />

incomprensioni tra individui diversi per cultura e lingua.<br />

Questa figura professionale nasce da un’esigenza sociale urgente e<br />

non seguendo interventi programmati per l’integrazione.<br />

La mediazione culturale è generalmente richiesta nelle situazioni non<br />

conflittuali ovvero dove si rilevano oggettivamente delle difficoltà di<br />

comunicazione per problemi di lingua e diversità culturale; il<br />

mediatore segue situazioni conflittuali determinate dall’opposizione di<br />

regole, di comportamenti e valori riconducibili alle diversità culturali.<br />

I mediatori linguistici iniziano ad essere presenti nel nostro paese<br />

dopo il 1998, chiamati inizialmente in diversi modi: “facilitatori<br />

dell’apprendimento” e “operatori della didattica interculturale”,<br />

generalmente provengono da altre strutture presenti nel territorio e<br />

sono impiegate all’interno della scuola come supporto all’inserimento<br />

di alunni stranieri.<br />

Quando un bambino o ragazzo straniero arriva in una scuola italiana il<br />

problema maggiore che incontra è indubbiamente quello legato alla<br />

lingua. È proprio per sopperire a questo problema che nasce la figura<br />

dell’insegnante L2. La lingua italiana (L2), la seconda lingua parlata<br />

nel paese di accoglienza che il ragazzo dovrà utilizzare negli scambi<br />

sociali e al di fuori delle mura domestiche visto che all’interno della<br />

famiglia continuerà a parlare la lingua nativa. Il docente L2, avrà<br />

come compito quello di far apprendere ai ragazzi e bambini la seconda<br />

lingua, ovvero l’italiano, attraverso un corso intensivo svolto<br />

parallelamente alle attività curricolari. Solitamente vengono seguiti<br />

singolarmente o a piccoli gruppi per alcune ore nell’arco della<br />

settimana.<br />

26 P. D’IGNAZI, Educazione e comunicazione interculturale, Carocci, Roma 2005,<br />

p. 19<br />

20


Il metodo che viene utilizzato dagli insegnati L2 è di tipo diretto,<br />

ovvero l’apprendimento avviene attraverso la lingua vissuta attraverso<br />

l’esperienza e la pratica.<br />

La presenza all’interno delle scuole di un insegnante L2 aiuta<br />

estremamente il rapporto scuola-famiglia, serve per inserire l’alunno<br />

nel nuovo ambiente rispondendo alle sue esigenze e aiutando anche la<br />

famiglia in un momento così delicato ed estraneo.<br />

Il mediatore interculturale e l’insegnate specializzato<br />

nell’insegnamento della seconda lingua agli stranieri sono solo due dei<br />

tanti strumenti che è possibile individuare all’interno delle scuole per<br />

sviluppare relazioni interculturali non distorte ma efficaci.<br />

Questi strumenti devono essere rivolti a tutti, non solo agli stranieri<br />

ma anche agli autoctoni.<br />

Il decentramento culturale 27 potrebbe essere un ottimo inizio; mettere<br />

da parte il proprio egocentrismo e riflettere anche sui punti di vista e<br />

sulle posizioni altrui prima di emettere giudizi. La capacità di mettersi<br />

al posto degli altri per capire le differenti realtà. Per riuscire a fare<br />

questo è necessario arrivare ad ottenere un buon dialogo tra le<br />

persone, paritario e reciproco. «Le conclusioni del dialogo devo essere<br />

parziali e devono essere ripensate e rimesse in discussione, devono<br />

avere un orizzonte sempre in movimento.» 28<br />

Questa riflessione continua, rappresenta uno sforzo non indifferente<br />

per la ragione umana che è consapevole dei propri limiti ermeneutici e<br />

relazionali, bisogna lasciarsi alle spalle le velleità del proselitismo e<br />

della conversione (altrui), per arrivare ad ottenere l’ottica della<br />

sperimentazione e della ricerca.<br />

Le parole precarietà, dubbio, incertezza, ricerca, impegno e<br />

disponibilità diventano gli elementi che accompagnano il cammino<br />

verso la reciprocità.<br />

27 I. BOLOGNESI, A. DI RIENZO Io non sono proprio uno straniero. Dalle parole<br />

dei bambini alla progettualità interculturale, Franco<strong>Angeli</strong>, Milano 2007. p.21.<br />

28 A. GENOVESE, Per una pedagogia interculturale, dalla stereotipia dei<br />

pregiudizi all’impegno dell’incontro, Bononia University Press, Bologna 2003,<br />

p.191.<br />

21


Il dialogo presuppone l’ascolto, cioè «la capacità di capire i problemi<br />

dell’altro attraverso quello che ci dice e attraverso i suoi bisogni.<br />

L’ascolto richiede una buona dose di umiltà per indossare i panni<br />

dell’altro e vivere l’esperienza da un altro punto di vista.» 29 Sapere<br />

ascoltare chi ci sta parlando impedisce che il dialogo scivoli in un<br />

“parlare degli altri” o in un “parlare agli altri”; esso implica la parità,<br />

la libertà e l’interdipendenza di tutte le fonti che intervengono<br />

all’interno della comunicazione.<br />

Nel dialogo, ascoltare vuole dire saper accettare i consigli che<br />

riceviamo dall’altro essendo entrambi interlocutori e detentori della<br />

parola.<br />

Associato allo strumento del dialogo e quindi dello scambio<br />

comunicativo tra due identità originali e diverse troviamo appunto il<br />

terzo strumento; la costruzione di percorsi che mettono in rilievo la<br />

pluralità delle identità. Nella società moderna, il tema delle<br />

differenze si muove nel segno del pluralismo, ovvero, verso il<br />

riconoscimento e l’accettazione di atteggiamenti, comportamenti e<br />

pensieri che possono fuoriuscire dagli ambiti precostituiti o<br />

comunemente accettati, a condizione, però, che non vengano incrinate<br />

le regole di fondo che devono riguardare il contenimento e il controllo<br />

dell’aggressività e della violenza. 30<br />

Il pluralismo rappresenta la mentalità con la quale dobbiamo imparare<br />

a convivere perché la vecchia società basata sull’unidirezione, sul<br />

monolitismo culturale sta morendo per dar spazio ad una visione più<br />

aperta e varia, si tolgono gli “orizzonti predefiniti” e si istaura la<br />

ricerca al nuovo, al piacere di incontrare stili e modi di vita diversi<br />

senza aver paura del confronto.<br />

Il pluralismo è rintracciabile anche al livello della soggettività e<br />

riguarda soprattutto il percorso di formazione; in relazione al piano<br />

individuale, è il moderno Io-Multiplo che si fa avanti, cioè la<br />

29 Ibid. p. 192<br />

30 I. BOLOGNESI, A. DI RIENZO Io non sono proprio uno straniero. Dalle parole<br />

dei bambini alla progettualità interculturale, Franco<strong>Angeli</strong>, Milano 2007. p.21.<br />

22


ealizzazione di un modello formativo che ha dentro di se il senso<br />

dell’incompiutezza, del processo continuo, dell’apertura a una<br />

pluralità di soluzioni che l’io stesso rappresenta e coglie.<br />

Pluralismo e differenza costituiscono la base su cui è possibile<br />

costruire l’incontro e il confronto con l’altro che, se autentici nel senso<br />

di veri e non superficiali, scaturiscono nel dialogo che è l’insieme tra<br />

la capacità di ascolto e l’interazione. 31<br />

Dopo aver parlato di pluralismo, differenza e dialogo tocchiamo un<br />

altro punto importante che rispecchia un ulteriore strumento di<br />

sviluppo utile per le relazioni interculturali.<br />

All’interno delle scuole, delle sezioni, delle classi, tra i ragazzi, gli<br />

insegnanti e i genitori, si dovrebbe cercare di creare un clima non<br />

violento, basato sulla tolleranza. Ognuno ha un modo di pensare e di<br />

agire legato ai propri valori, alle proprie esperienze e alla propria<br />

cultura, in ambiti come la scuola dove tutte queste persone diverse<br />

devono convivere bisogna cercare di creare uno spirito propositivo e<br />

positivo all’interno del gruppo di lavoro. Se tra le persone si respira<br />

arie di serenità si lavora sicuramente meglio e con più tranquillità<br />

perché bisogna ricordarsi che gli apprendimenti hanno bisogno di un<br />

substrato di affettività e relazione stabile. Prendendo la parola<br />

tolleranza alla base del suo significato si pensa ad una situazione di<br />

convivenza stabilita sulla separazione e sul contenimento<br />

dell’aggressività; ma questo non è sufficiente, perché può portare a<br />

ghettizzare la propria identità evitando delle possibili influenze<br />

dall’esterno.<br />

La tolleranza deve essere un punto di partenza, deve diventare un<br />

modo dell’agire comune, una convinzione di base per la creazione di<br />

un contesto che permette un reale travaso di idee e comportamenti da<br />

una situazione all’altra.<br />

L’altro, il diverso, il nemico, lo straniero, l’immigrato, possiede una<br />

pienezza di diritti che bisogna rispettare sempre; la tolleranza, per<br />

31 Ibid.<br />

23


questi motivi, non deve essere un concetto negativo, legato ad un<br />

modo per risolvere una situazione usando il male minore<br />

dell’indifferenza per scampare al conflitto, ma deve diventare una<br />

comprensione dell’altro, in modo che la persona che ci sta parlando, e<br />

con cui ci stiamo confrontando non diventi qualcuno da “sopportare”,<br />

ma un soggetto portatore di altri valori con cui interagire.<br />

Prima di parlare di tolleranza nei confronti dell’altro è bene capire chi<br />

siamo noi, quali sono le cose in cui crediamo veramente, in altre<br />

parole, definire la nostra identità. Nella società tradizionale l’identità<br />

della persona era definita al momento della nascita, per cui a seconda<br />

della famiglia di appartenenza venivi attribuito ad una certa classe<br />

sociale che poteva difficilmente cambiare nell’arco della tua vita.<br />

Per riconoscere queste realtà non serve andare molto indietro nel<br />

tempo, basta solo pensare alla vita dei nostri nonni e ci accorgiamo<br />

che la situazione era veramente così. Con l’arrivo della società<br />

moderna, caratterizzata in modo particolare dal fenomeno della<br />

globalizzazione è cambiato anche questo modo di pensare, si è<br />

riscoperto il termine identità. La parola identità viene definito come<br />

«l’insieme delle caratteristiche che rendono qualcuno quello che è,<br />

distinguendolo da qualunque altro». 32 «La tutela della propria identità<br />

è garantita a tutti, e proprio il campo educativo ne è promotore perché<br />

secondo la Convenzione dei diritti dei bambini a tutti deve essere<br />

favorita la promozione della propria personalità seguendo ciò che<br />

viene definito dai diritti dell’uomo e dalle libertà fondamentali.” 33<br />

La costruzione della propria identità rinvia necessariamente al<br />

rapporto con gli altri, alla rete di relazioni che accompagnano la nostra<br />

32 Definizione del termine “identità” presente nel dizionario N. ZINGARELLI, lo<br />

Zingarelli, dizionario della lingua italiana, Bologna 2000.<br />

33 I. BOLOGNESI, A. DI RIENZO Io non sono proprio uno straniero. Dalle parole<br />

dei bambini alla progettualità interculturale, Franco<strong>Angeli</strong>, Milano 2007. p.21.<br />

24


vita e che oggi grazie a tutte le possibilità di comunicazione anche<br />

istantanee abbiamo notevolmente aumentato. 34<br />

È il rapporto con l’altro che ci permette di conoscere e attestare la<br />

nostra unicità e singolarità. L’altro ci aiuta a delimitare il nostro<br />

essere, a definirci e a riconoscerci.<br />

L’identità di una persona è formata da una pluralità di caratteristiche<br />

che coesistono, determinano appartenenze di genere, religione,<br />

nazione, etnia; l’elenco delle particolarità di ognuno è infinito e<br />

ognuna di esse deve essere considerata allo stesso modo e con lo<br />

stesso peso.<br />

La tutela dell’identità della persona è quindi il quinto strumento<br />

necessario per un buon confronto; non bisogna però dimenticarsi di<br />

chiudersi dentro alla propria visione e fissarsi che la nostra identità<br />

non ha cambiamenti, ma, bisogna invece, ricredersi e camminare<br />

verso un continuo processo di acquisizione di conoscenze a cui tutti<br />

partecipiamo, di emozioni, di sentimenti che portano ad un’incessante<br />

ristrutturazione del proprio sapere, delle proprie esperienze e del modo<br />

di organizzarle ed interpretarle, raggiungendo una modificazione del<br />

proprio essere.<br />

L’ultimo strumento che viene spesso citato tra le possibili vie da<br />

seguire anche in campo educativo per permettere una migliore<br />

integrazione ad autoctoni e stranieri all’interno di una società<br />

multietnica è l’idea di «valorizzare le differenze ma soprattutto dare<br />

più importanza alle somiglianze per trovare dei punti e valori comuni<br />

fra le diverse culture» 35 , dando allo stesso tempo rilievo e ragione ai<br />

punti di scostamento e contrasto, ma contenendo i processi di<br />

conoscenza all’interno di un quadro di rispetto reciproco e di parità.<br />

Aver a che fare con le differenze non è facile, visto che richiede il<br />

superamento del pensiero statico o del pensiero egocentrico di chi non<br />

34 A. GENOVESE, Per una pedagogia interculturale, dalla stereotipia dei<br />

pregiudizi all’impegno dell’incontro, Bononia University Press, Bologna 2003,<br />

p.191.<br />

35 I. BOLOGNESI, A. DI RIENZO Io non sono proprio uno straniero. Dalle parole<br />

dei bambini alla progettualità interculturale, Franco<strong>Angeli</strong>, Milano 2007. p.22.<br />

25


ascolta l’altro; avvicinandosi invece ad un modo di pensare «erratico<br />

ovvero capace di allontanarsi dalle proprie rappresentazioni mentali,<br />

di avvicinarsi all’altro ma di ritornare in se stesso arricchito delle<br />

esperienze nate dal confronto e dallo scambio reciproco.» 36<br />

All’interno delle scuole, per aiutare i bambini e i ragazzi a valorizzare<br />

le differenze in modo positivo e proficuo, bisogna portare avanti delle<br />

azioni didattiche che offrono a ciascun bambino la possibilità di<br />

sfogare la propria originalità.<br />

É possibile inserire all’interno del programma scolastico una serie di<br />

esperienze che sostengano la curiosità, il comportamento esplorativo,<br />

che sollecitino gli autoctoni a sperimentare le differenze nelle<br />

percezioni, nelle sensazioni e nelle emozioni anche attraverso attività<br />

creative e fantasiose che li avvicinino di più ad un pensiero decentrato<br />

e più flessibile.<br />

Oltre a pensare percorsi basati sulle differenze è importante anche<br />

ricordarsi delle similarità che nascono dallo scambio. Le somiglianze,<br />

le analogie, le corrispondenze abbattono il muro dell’irrigidimento<br />

delle posizioni creando spesso un bisogno di empatia ed incontro. Le<br />

differenze e le somiglianze sono portatrici di scambi e confronti e<br />

devono essere riconosciute come operazioni fondamentali per la<br />

crescita in tutto il nostro percorso di vita. Se all’interno della classe<br />

sono presenti bambini stranieri bisogna cercare di mirare<br />

all’accoglienza del fanciullo ma anche della famiglia, in modo che la<br />

loro cultura entri a far parte della sezione e arricchisca gli altri; nello<br />

stesso tempo anche loro impareranno a condividere la cultura del<br />

paese di accoglienza.<br />

La pedagogia interculturale è in continua costruzione e la ricerca di<br />

pratiche educative, volte alla scoperta delle somiglianze e delle<br />

differenze con una diversa cultura, è sicuramente il procedimento<br />

migliore per permettere uno scambio relazionale più specifico e<br />

collaborativo.<br />

36 I. BOLOGNESI, A. DI RIENZO Di cultura in cultura: esperienze e percorsi<br />

interculturali nei nidi d’infanzia, Franco<strong>Angeli</strong> ,Milano 2006, p. 35.<br />

26


Dopo aver elencato i maggiori strumenti che secondo la pedagogia<br />

interculturale aiutano entrambe le parti ad incontrarsi e a migliorare la<br />

convivenza e la collaborazione, ci spostiamo nell’ottica<br />

dell’immigrato, le difficoltà che trova ad essere inserito e stimato in<br />

terra straniera.<br />

Come abbiamo già detto in precedenza allo straniero vengono<br />

attribuiti una serie di stereotipi e pregiudizi che hanno sempre una<br />

valenza negativa ed il più delle volte non appartengono alla persona<br />

che ci troviamo davanti. Abbiamo anche ricordato che tutte le persone<br />

sono entità diverse e che quindi è difficile riuscire ad attribuire<br />

determinate qualità ad un insieme di individui.<br />

Proprio per questo motivo cerchiamo di capire come vivono<br />

l’inserimento nella società le famiglie che si ritrovano etichettate da<br />

una società estranea e chiusa al proprio interno nella realtà scolastica<br />

ed educativa che abbiamo preso in esame fino ad ora.<br />

1.6 Dal punto di vista dell’immigrato<br />

Mettersi dalla parte opposta, saper guardare le cose dal punto di vista<br />

dell’altro, aiuta a capire quello che l’interlocutore sta provando, le<br />

difficoltà, le emozioni, le ragioni di alcuni suoi comportamenti; quello<br />

che serve è un po’ di umiltà per scambiarsi i ruoli e riflettere<br />

razionalmente sulla vita dell’altro.<br />

Riuscire a capire un’altra persona è una cosa difficile, impegnativa e<br />

necessita di una conoscenza approfondita dell’altro. Questo vale sia<br />

per noi, che ci rapportiamo con dei nostri amici, quando ci troviamo a<br />

parlare con persone estranee e figuriamoci poi se la persona con la<br />

quale ci confrontiamo è anche straniero; in questo caso la situazione si<br />

complica ulteriormente.<br />

27


“Avvicinati, dice lo straniero. A due passi da me sei ancora troppo<br />

lontano. Mi vedi per quello che sei e non per quello che sono io.”<br />

28<br />

Edmond Jabès<br />

“ ma soprattutto ci vuole coraggio a trascinare le nostre suole da<br />

una terra che ci odia ad un’altra che non ci vuole affatto.”<br />

Ivano Fossati<br />

Queste due citazioni che mi sono permessa di trascrivere in questo<br />

momento, rappresentano perfettamente i due problemi che si trovano<br />

ad affrontare gli stranieri immigrati che arrivano nel nostro paese. La<br />

prima affermazione si concentra sul problema degli stereotipi e dei<br />

pregiudizi, rappresenta come lo straniero si sente osservato, come si<br />

sente giudicato a priori senza un’effettiva conoscenza.<br />

Lo straniero chiama ad avvicinarsi perché è ancora tanta la distanza;<br />

spesso gli stranieri cercano il nostro contatto, cercano di parlarci, ma<br />

noi siamo solo capaci di guardarli ascoltando quello che sappiamo sul<br />

loro conto. Lo straniero, infatti, dice che da quella distanza riusciamo<br />

a vedere solo quello che siamo noi, quello che noi sappiamo.<br />

Facciamo fatica a renderci conto del disagio che provano queste<br />

persone arrivando da un altro paese e ci sentiamo solo vittime della<br />

loro presenza, senza cercare di aiutarle e senza renderci conto che i<br />

veri oppressi non siamo noi ma loro.<br />

Ci dimentichiamo che gli immigrati si sono spostati a causa di guerre,<br />

di carestie, di difficoltà economiche per riuscire a sopravvivere; la<br />

seconda citazione mette in luce proprio questo problema. Essi si sono<br />

trasferiti da una terra che non gli ha reso una vita semplice e non<br />

hanno mai trovato cooperazione nella loro esistenza, trovano il<br />

coraggio di dare una svolta alla loro vita cercando asilo in un’altra<br />

terra ed invece di trovare accoglienza vengono fatti sentire come un<br />

fardello della società.


L’esperienza migratoria, porta gli stranieri ad affrontare sfide<br />

specifiche, quali «l’apprendimento di una lingua nuova, la<br />

riorganizzazione degli spazi e dei tempi quotidiani, la comprensione di<br />

regole sociali nuove e la definizione di una specifica identità etnica.» 37<br />

Questo ultimo aspetto può creare delle forti tensioni tra le tradizioni<br />

che gli stessi immigrati desiderano mandare avanti e perseguire nel<br />

tempo e le nuove abitudini della società ospitante.<br />

L’esperienza migratoria si caratterizza da una serie di fasi tra cui<br />

quella di impatto nella nuova realtà, caratterizzata da un periodo di<br />

euforia iniziale dovuta al senso di libertà raggiunto e di rilassamento.<br />

La seconda fase è quella di ripercussione, spesso accompagnata da<br />

sentimenti di delusione, rabbia e scontentezza diffusa, seguita da una<br />

fase di coping ovvero di reazione alle difficoltà incontrate. Ultima è la<br />

fase di regressione e ricarica emotiva, che si realizzano attraverso un<br />

contatto simbolico con il proprio paese di origine. 38<br />

Le difficoltà incontrate dagli stranieri sono causate principalmente da<br />

una crisi di identità dovuta da un senso di perdita delle proprie radici e<br />

un cambiamento dei punti di riferimento sociali e culturali con cui<br />

identificarsi nella nuova realtà.<br />

Spesso lo straniero vive molti ripensamenti al suo passato e alla sua<br />

terra con nostalgia, lasciandogli un senso di vuoto e di sofferenza<br />

perché trova molte difficoltà nell’inserirsi nella nuova mentalità che lo<br />

circonda; altre volte invece si riesce ad adeguare completamente alla<br />

nuova mentalità lasciando alle spalle il passato. Ci sono quattro stadi<br />

diversi di «acculturazione, ovvero, di ciò che riguarda i cambiamenti<br />

degli atteggiamenti e dei valori che si verificano quando due culture<br />

entrano in contatto.<br />

Gli stadi sono rispettivamente: l’integrazione, che comporta un valore<br />

elevato dato sia al mantenimento delle proprie tradizioni culturali, sia<br />

allo sviluppo di relazioni con la società ospitante. Nella marginalità si<br />

37 G. SPELTINI, Minori, disagio e aiuto psicosociale, Il Mulino, Bologna 2005, p.<br />

201.<br />

38 Ibid. p.203<br />

29


ha completamente l’opposto, ovvero un valore negativo dato alle<br />

proprie radici e una mancanza di scambi con la cultura ospitante.<br />

Quando invece prevale esclusivamente la conservazione della propria<br />

eredità culturale, senza possibilità di apertura abbiamo la separazione,<br />

caratterizzata dalla volontà di mantenere i propri riferimenti culturali<br />

in maniera ostinata, mentre il contrario provoca un’assimilazione<br />

completa alla società ospitante, con la perdita dei propri valori.» 39<br />

I problemi, che possono nascere da una crisi di identità non sono da<br />

sottovalutare e bisogna individuarne le cause principali per poter<br />

aiutare gli stranieri a non trovarsi in questa situazione. Gli aspetti che<br />

alimentano il disagio identitario dello straniero sono principalmente<br />

tre e sono:<br />

L’assenza o eccesso di visibilità. L’identità dello straniero si deve<br />

costruire all’interno di una società che non tiene conto del loro punto<br />

di vista e dei loro interessi. L’immigrato si trova quindi ad essere una<br />

presenza invisibile sia nel campo dei diritti, ma anche per quanto<br />

riguarda la lingua o il colore della pelle. Questa situazione crea delle<br />

fratture colossali invece di colmare le differenze e il soggetto si trova<br />

ad avere comportamenti confusi.<br />

L’obbligo migratorio. Nella maggioranza dei casi, l’idea di partire dal<br />

proprio paese di origine è stata una decisione obbligatoria e senza la<br />

possibilità di ripensamenti o discussioni quindi tutte le difficoltà che si<br />

riscontrano portano disagi e lacerazioni dell’identità senza possibilità<br />

di pentimenti.<br />

Il terremoto identitario. L’impatto con la cultura dominante spesso<br />

provoca veri e propri sconvolgimenti identitari, con esiti a volte<br />

devastanti. Il percorso per gli immigrati è tortuoso e difficile perché si<br />

ritrovano di fronte ad una dicotomia tra i valori del loro vissuto e<br />

quelli della società ospitante.<br />

Gli immigrati, incontrano le maggiori difficoltà, quando mettono in<br />

gioco la loro identità e i loro valori, nella fase detta di “coping”, dopo<br />

39 Ibid. p.206<br />

30


un momento iniziale di euforia, incontrano i primi problemi perché<br />

iniziano ad ambientarsi nella nuova società ed incontrano le grosse<br />

differenze tra le culture.<br />

Fino ad ora abbiamo preso in esame l’immigrato singolo, ora iniziamo<br />

a parlare delle difficoltà incontrate dalle famiglie, uomo e donna con o<br />

senza figli che si ritrovano in un paese straniero. Parlare della<br />

situazione dei nuclei famigliari ci permette di riallacciarci alla<br />

situazione educativa guardandola dall’altro punto di vista perché<br />

all’interno della scuola le famiglie straniere arrivano a pieno contatto<br />

con la nuova realtà.<br />

1.7 I pensieri di una famiglia immigrata<br />

“La famiglia è come l’arcata di un ponte gettata tra due piloni;<br />

passato e futuro. Comunque si muova porta con sé la sua storia, ma<br />

non si chiude in essa. Comunque si muova, crea il domani, ma non lo<br />

strappa alle radici. Il mondo intero passa su questa arcata e se essa<br />

cede, precipita nel vuoto.” 40<br />

L’Italia, sta diventando un paese di accoglienza e negli ultimi anni i<br />

percorsi di arrivo del congiunto rimasto per qualche tempo in patria<br />

sono differenti e diverse sono anche le caratteristiche dei nuclei<br />

immigrati. In ogni caso, la nascita o l’arrivo dei figli modificano<br />

notevolmente i progetti della famiglia. I figli rappresentano una<br />

notevole spinta per rompere l’isolamento, in quanto, soprattutto il loro<br />

inserimento nella scuola significa anche la necessità di informarsi,<br />

muoversi nella città, di entrare in relazione con le famiglie italiane e<br />

usare dei servizi presenti nel territorio.<br />

Oggi, nella realtà italiana sono presenti vari modelli di famiglie<br />

immigrate; la famiglia mononucleare ricongiunta è la più diffusa e i<br />

40 M. R. VITTORI Famiglia e intercultura. Quaderni dell’intercultura n. 25,<br />

Editrice missionaria italiana, Bologna 2003.<br />

31


suoi componenti mantengono forti legami con la famiglia di origine<br />

attraverso lettere e telefonate.<br />

La famiglia momonucleare con doppio lavoro esterno da parte della<br />

madre che spesso ritorna a casa una volta a settimana per motivi di<br />

lavoro; è spesso la situazione delle colf che vivono nella casa in cui<br />

fanno assistenza.<br />

Ci sono poi anche le famiglie generate da unioni libere ovvero uomini<br />

e donne che si mettono insieme e affrontano la vita per superare la<br />

solitudine; spesso al loro paese, ignari di tutto, possiedono già un’altra<br />

famiglia.<br />

La famiglia comunitaria rappresenta una serie di coppie che vivono<br />

insieme nella stessa casa per dividersi l’ammontare delle spese. È una<br />

realtà diffusa soprattutto nella comunità cinese e in quella latino<br />

americana.<br />

La famiglia monoparentale, formata da un genitore e uno o più figli, è<br />

tipica della comunità filippina e spesso il genitore che emigra con i<br />

figli è la madre.<br />

Negli ultimi anni, sono aumentate le famiglie miste o multietniche,<br />

formate dal matrimonio tra soggetti appartenenti a diverse nazionalità<br />

e culture.<br />

Infine non bisogna dimenticare una realtà infelice ma presente anche<br />

nel nostro territorio; famiglie immigrate irregolari che vivono<br />

nascoste in casa.<br />

Queste diverse situazioni famigliari sono un’ulteriore spina che si<br />

accende per farci capire come la nostra società sta evolvendo in senso<br />

multiculturale, come la nostra vita è sempre di più circondata da<br />

situazioni diverse e nuove. 41<br />

L’esito dell’impatto tra gli immigrati e la società di arrivo è sempre il<br />

prodotto di un processo relazionale tre le persone che si incontrano in<br />

un contesto più o meno aperto ad accogliere le varie diversità.<br />

41 Ibid. pp.15-16-17<br />

32


La famiglia, come sappiamo, è il primo luogo dove due persone<br />

scoprono il significato del termine relazione, di quella situazione di<br />

scambio reciproco e di confronto. L’uomo ha bisogno di relazioni, la<br />

sua vita si basa sull’incontro con l’altro. Se è la nostra natura a volerci<br />

predisposti per accogliere l’altro, perché ci dobbiamo spaventare<br />

dall’incontro con l’immigrato straniero? Questa può essere un<br />

ulteriore punto di riflessione, ma continuiamo a parlare di famiglia.<br />

Con l’arrivo dei figli, le relazioni che si vanno a creare si infittiscono e<br />

si moltiplicano all’interno del nucleo famigliare portando anche delle<br />

consistenti trasformazioni dei ruoli all’interno della famiglia.<br />

Ogni famiglia, quando decide di lasciare la sua terra natale e trasferirsi<br />

in un altro paese vive una molteplicità di sentimenti, dalla speranza di<br />

un futuro migliore alla paura di abbandonare il conosciuto, il paese di<br />

origine e la famiglia, per trovare rifugio in una società estranea e<br />

diversa dalla propria.<br />

I problemi che una famiglia immigrata incontra sono tanti: la difficoltà<br />

della lingua, la necessità di trovare un lavoro, imparare a muoversi in<br />

un nuovo paese. A questi ostacoli vanno poi aggiunte le difficoltà<br />

legate al campo sociale come per esempio inserire i figli a scuola e<br />

istaurare rapporti di amicizia per far fronte alla solitudine.<br />

Le famiglie che arrivano nel nostro paese, sanno per certo che la<br />

cultura con la quale dovranno confrontarsi è differente dalla loro e che<br />

dovranno abbandonare una buona parte delle loro abitudini di vita.<br />

L’attaccamento emotivo ai propri luoghi, alle persone, ai suoni della<br />

propria lingua e ai sapori dei propri cibi, porta una grande difficoltà ad<br />

assimilare le nuove conoscenze e le nuove usanze perché la nostalgia<br />

gioca padrona.<br />

La fatica quotidiana di queste famiglie di emigranti è l’oscillazione<br />

tra il bisogno di sentirsi parte integrante del paese ospitante, cercando<br />

di assumere alcune abitudini di vita, e il mantenimento delle loro<br />

radici, i frammenti di vita che hanno dato origine alla loro identità.<br />

33


«Antonio Perotti chiama questa situazione interna “dinamico stare”,<br />

cioè mettere insieme due o più modi di vivere diversi, individuando,<br />

di volta in volta, soluzioni creative che tengano conto anche delle<br />

opportunità offerte della società di accoglienza.» 42<br />

Un cambiamento basilare all’interno della famiglia è dato dalla<br />

trasformazione da famiglia allargata a famiglia nucleare. Nel paese di<br />

origine, la casa in cui si viveva accoglieva l’intera famiglia allargata e<br />

molti adulti si occupavano dei bambini. Nel paese di accoglienza, le<br />

madri crescono da sole i propri bambini e non possono far<br />

affidamento sull’intera famiglia. Non possono fare affidabilità<br />

sull’esperienza della donne più anziane e le giovani madre si sentono<br />

inadatte ad allevare i figli sia con le modalità tradizionali del gruppo<br />

etnico di appartenenza, sia seguendo le pratiche del paese di<br />

accoglienza. Non avere la possibilità di specifiche figure appartenenti<br />

alla propria etnia, pronte ad aiutarle nel momento del bisogno, lascia<br />

un grande sconforto nel cuore delle madri, perché queste figure<br />

sarebbero un’importantissima testimonianza per i loro figli della<br />

cultura nativa.<br />

La donna, nella nostra società, è aiutata nella crescita dei propri figli o<br />

dai nonni oppure da figure come le baby-sitter, oppure i bambini sono<br />

portati negli asili dove vengono assistiti da adeguate figure<br />

professionali; tutti questi servizi servono per far fronte alla necessità<br />

della donna di lavorare.<br />

Le donne, nelle società moderne ed industrializzate, hanno maggiori<br />

opportunità in tutti i campi a differenza dei paesi in via di sviluppo<br />

dove sono segregate e costrette solo alla cura della famiglia e della<br />

casa. Le donne immigrate, arrivate nel nostro paese, acquisiscono una<br />

nuova consapevolezza di se mettendo in discussione la condizione di<br />

subalternità cui sono costrette nel paese di origine.<br />

A volte, sono proprio le donne che, grazie al loro lavoro in campo<br />

assistenziale, sono le uniche della famiglia a portare a casa un reddito.<br />

42 Ibid. p.24<br />

34


In queste situazioni, l’uomo è colpito nel profondo in quanto perde il<br />

ruolo attivo nella famiglia che tradizionalmente gli compete. Per<br />

l’uomo, questa situazione è indegna e il più delle volte viene colpito<br />

da depressioni che ricadono sulla moglie e sui figli.<br />

Nelle situazioni di ricongiungimento famigliare da parte delle donne, i<br />

mariti preferiscono tenerle rilegate in casa in uno stato di inferiorità<br />

dovuto all’ignoranza della lingua, finendo anche con il maltrattarle<br />

quando le difficoltà economiche crescono. La donna ed i figli<br />

diventano, in questo caso, oggetti di sfogo con cui prendersela quando<br />

la solitudine e la mancanza della famiglia allargata si fanno sentire.<br />

All’interno della famiglia immigrata cambiano anche i rapporti<br />

intergenerazionali. Le relazioni tra genitori e figli, cambiano in quanto<br />

sono proprio gli ultimi che fanno da ponte tra la cultura di origine e<br />

quella del paese di accoglienza. Inseriti nella scuola, luogo in cui i<br />

bambini stranieri sono a vivo contatto con la nuova realtà, imparano la<br />

nostra lingua e imparano a muoversi nella nostra società. «Il bambino<br />

diventa un mediatore importantissimo tra la scuola e la famiglia<br />

portando al suo interno le conoscenze che assimila a scuola.» 43 Un<br />

problema che deve affrontare la famiglia è sicuramente quello legato<br />

alla lingua; ci sono bambini che si rifiutano categoricamente di parlare<br />

la lingua d’origine imponendo di parlare all’interno della casa solo la<br />

lingua del paese d’accoglienza. Questa situazione comporta una<br />

difficoltà enorme per i genitori perché la lingua è l’unico strumento<br />

che permette di educare i figli. Senza aver la possibilità di parlare con<br />

i propri ragazzi, non conoscendo la lingua, i genitori si trovano<br />

spiazzati generando anche delle situazioni di conflitto esasperato.<br />

Inizialmente è facile trovare questa situazione nelle famiglie<br />

immigrate con dei bambini che iniziano ad andare a scuola perché i<br />

fanciulli stanno imparando la lingua e non vogliono essere confusi o<br />

sviati da un buon insegnamento; successivamente si creano delle<br />

situazioni di bilinguismo in cui i bambini parlano all’interno della casa<br />

43 Ibid. p. 29<br />

35


la lingua madre, mentre fuori, a contatto con la società di accoglienza<br />

parlano la nostra lingua.<br />

Dalle ricerche fatte, emerge che l’elaborazione della doppia<br />

appartenenza risulta più facile se lo spostamento migratorio della<br />

famiglia avviene, quando i bambini sono nei primi anni di vita perché<br />

più si avvicinano al periodo dell’adolescenza e più lo sradicamento<br />

dalle proprie origini diventa difficile da affrontare.<br />

La scuola diventa per i bambini un’ottima opportunità per riuscire ad<br />

entrare nella nuova società. L’istituzione scolastica diventa un<br />

soggetto collettivo e ha le sue competenze e i suoi doveri in campo<br />

educativo e interculturale; deve concretizzare il diritto all’istruzione,<br />

promuovere una cultura dell’accoglienza, garantire un buon processo<br />

di inserimento, valorizzare la lingua di appartenenza, evitare i rischi<br />

dettati dal bilinguismo, facilitare i processi di apprendimento e<br />

soprattutto prestare molta attenzione ai segnali di disagio dell’alunno<br />

straniero e di intolleranza in classe nei suoi confronti.<br />

Questo è quello che la scuola dovrebbe tenere conto ora che gli<br />

stranieri sono sempre più presenti all’interno delle scuole per<br />

permettere anche a loro una vita dignitosa all’interno della nostra<br />

società senza trovarsi sempre un dito puntato addosso.<br />

36


Capitolo 2<br />

Missione ad gentes in Bolivia<br />

37


Missione ad gentes in Bolivia<br />

2.1 L’incontro con la missione<br />

La mia storia, ha inizio un sabato pomeriggio di ottobre nella<br />

parrocchia di Brodano, una frazione di Vignola. Era una giornata<br />

frenetica a causa del catechismo, io stavo entrando con la mia classe<br />

in chiesa per partecipare alla S. Messa e per preparare la chitarra<br />

quando, dopo aver cercato di mantenere il silenzio tra i miei ragazzi, il<br />

sacerdote entra dando inizio alla celebrazione ed io inizio a suonare.<br />

Tutto è normale, tutto scorre tranquillo come sempre, ma quando<br />

giunge il momento dell’omelia, il sacerdote della mia parrocchia, Don<br />

Giorgio Panini, si avvicina il microfono e ci annuncia che quel<br />

pomeriggio la predica non l’avrebbe fatta lui ma una giovane<br />

missionaria della consacrazione delle missionarie dell’Immacolata<br />

Padre Kolbe di Bologna. La missionaria, come ci preannuncia il<br />

sacerdote è appena ritornata dal Brasile ed è venuta nella nostra<br />

parrocchia per rendere omaggio, con noi, al mese di ottobre, mese<br />

missionario.<br />

Mentre il parroco pronunciava quelle parole ecco che si alza tra i<br />

banchi una piccola donna, me la ricordo come se fosse ora: magra,<br />

non tanto alta, i capelli corti e scuri, indossava una gonna lunga fino<br />

alle caviglie e un maglioncino blu. Salutò tutti e dopo aver ringraziato<br />

molto gentilmente don Giorgio si posizionò all’ambone e prese la<br />

parola. Iniziò così, per me e per tutta la comunità presente in quella<br />

celebrazione, un lungo viaggio in un paese lontano come il Brasile;<br />

una serie di racconti sulla situazione di miseria di alcune famiglie e<br />

sull’estremo bisogno di aiuto che hanno quelle popolazioni.<br />

Ricordo di essere rimasta molto colpita dai racconti di quella donna,<br />

dalla sua immensa fede e dalle sue parole cariche di speranza.<br />

39


Finita la messa, la missionaria, consegnava a tutti i bambini un piccolo<br />

opuscolo contenente una preghiera e una piccola “Medaglia<br />

Miracolosa”, in ricordo di quella giornata.<br />

Finito di sistemare la chitarra e salutati i miei bambini di catechismo,<br />

mi sono avvicinata alla missionaria e le ho chiesto se possedevano una<br />

e-mail con cui era possibile contattarle.<br />

Lei mi ha sorriso e preso un foglietto dalla tasca, mi scrisse l’indirizzo<br />

elettronico della sede centrale di Bologna. Cosa mi ha spinto ad<br />

avvicinarmi e a chiedere quell’informazione lo devo ancora scoprire,<br />

ma rimango convinta che la provvidenza ha fatto il suo gioco.<br />

Ritornata a casa, la mia vita è continuata tranquillamente per la<br />

settimana successiva, ma poi, un pomeriggio, casualmente mi sono<br />

ritrovata in mano il contatto che mi aveva fornito la missionaria.<br />

Ricordo di aver preso in mano il telefono e di aver chiamato la mia<br />

miglior amica Enrica; dopo averle raccontato tutta la storia, le dissi<br />

che ero pronta per fare una pazzia e le chiesi se lei mi avesse<br />

supportato. Piena di gioia mi è stata sempre vicina e mi ha spronato<br />

perché io mi decidessi a contattare le missionarie di Bologna.<br />

L’idea di rivolgermi alle missionarie era diventata un’ossessione e<br />

avrò provato decine e decine di volte a scrivere quella e-mail, ma la<br />

paura e la timidezza vincevano sempre e io rimandavo continuamente,<br />

finché, un bel giorno mi sono decisa e ho scritto a quel contatto<br />

chiedendo di poter passare un pomeriggio con loro per poter<br />

avvicinarmi al mondo missionario.<br />

Purtroppo, non ricordo le parole esatte ma non dimenticherò mai la<br />

fatica fatta per scrivere quelle poche righe.<br />

Pochi giorni dopo mi è arrivata la risposta da Raffaella, una<br />

missionaria, che successivamente scoprirò essere la direttrice del<br />

centro di Bologna, che mi dice di raggiungerla un sabato pomeriggio<br />

sul tardi. Ovviamente, la prima cosa che ho fatto dopo aver ricevuto la<br />

risposta, è stata telefonare ad Enrica, per raccontarle, cosa mi avevano<br />

40


isposto alla e-mail e per decidere la data in cui era disponibile ad<br />

accompagnarmi.<br />

Finalmente, un sabato dopo catechismo, siamo partite e con le<br />

indicazioni alla mano ci siamo dirette a Borgonuovo una frazione di<br />

Sasso Marconi in provincia di Bologna. I miei genitori erano<br />

all’oscuro di tutto perché non volevo che si spaventassero o si<br />

preoccupassero più del dovuto, visto che non sapevo nemmeno io che<br />

decisione avrei preso.<br />

Abbiamo trovato subito il posto e dopo aver parcheggiato ci siamo<br />

incamminate verso il cancello della sede.<br />

Davanti ai nostri occhi si è presentato un grande cortile, con tre edifici<br />

e una chiesa in stile moderno molto bella. Dopo un piccolo salto in<br />

chiesa, ci siamo dirette verso la portineria per chiedere che ci venisse<br />

chiamata Raffaella, la missionaria che mi aveva contattato.<br />

Appena la vidi, mi ricordai subito della missionaria che era venuta<br />

nella mia parrocchia e mi accorsi che erano molto simili: capelli corti,<br />

maglioncino e gonna lunga fino alle caviglie; capii che quella era la<br />

divisa delle missionarie della consacrazione all’Immacolata di Padre<br />

Kolbe.<br />

Raffaella è stata molto contenta di vederci e ci ha portato in una<br />

piccola stanza dove poter parlare tranquillamente senza essere<br />

disturbate; ci ha messo subito a nostro agio e ci ha spiegato meglio, e<br />

in modo più approfondito com’era organizzata la sede centrale in cui<br />

ci trovavamo e le attività che si svolgono nelle diverse sedi sparse nel<br />

mondo.<br />

Ci spiegò, che esistono molte sedi in varie città italiane oltre a<br />

Bologna come a Bari, a Roma e a Verona che ospitano le missionarie<br />

durante il periodo degli studi oppure durante i periodi di<br />

ricongiunzione famigliare con i parenti. Le missioni che sono sparse<br />

per il mondo e provvedono all’aiuto diretto con le persone sono in<br />

Polonia, a Lussemburgo, in Argentina, in Bolivia, in Brasile e negli<br />

Stati Uniti.<br />

41


Tra tutti i paesi in cui sono presenti sono rimasta affascinata subito<br />

dalla Bolivia, mi ha sempre incuriosito l’America Latina ma ho<br />

sempre pensato solo al Brasile senza preoccuparmi degli altri stati;<br />

un’associazione quasi naturale che facevo. Questo paese mi era<br />

straniero, ma mi incuriosiva e successivamente scoprii da Raffaella<br />

che proprio in Bolivia sarebbero stati destinati i volontari, che<br />

avrebbero deciso di partire per un’opera di missione nell’estate del<br />

2005.<br />

Durante in viaggio di ritorno, io e la mia cara amica abbiamo parlato<br />

della possibilità di partire, della voglia di fare un’esperienza di<br />

missione, della forza che ci voleva per prendere una decisione così<br />

impegnativa a diciotto anni e ovviamente delle nostre disponibilità<br />

economiche.<br />

Abbiamo chiacchierato molto, sia mentre tornavamo a casa, sia nei<br />

giorni seguenti perché dovevamo prendere una decisione visto che<br />

Raffaella ci aveva detto che, se volevamo partire, avremmo dovuto<br />

seguire un corso di preparazione al volontariato missionario.<br />

La decisione, anche se sofferta, è arrivata e io sarei partita mentre<br />

Enrica no, non si sentiva ancora pronta per fare un’esperienza di<br />

questo calibro. Mi è dispiaciuto tantissimo non poter condividere<br />

quest’esperienza con lei e dopo aver preso questa decisione, ho<br />

passato un periodo in cui mi sono sentita veramente sola davanti alla<br />

possibilità di buttarmi in un’avventura del genere e a volte<br />

l’insicurezza mi raggiungeva.<br />

Successivamente è arrivato il momento di raccontare tutto alla mia<br />

famiglia, l’ostacolo più grande perché essendo figlia unica e molto<br />

coccolata non sapevo come avrebbero reagito i miei genitori. Un bel<br />

giorno, mia madre, ebbe la bellissima idea di chiedermi cosa mi<br />

sarebbe piaciuto come regalo dopo aver superato l’esame di maturità.<br />

La mia risposta è stata molto vaga ma sicura: “Un viaggio”. I miei<br />

genitori convinti che io mi riferissi a un viaggio nelle vicinanze come<br />

42


un “Inter-Rail” con le mie amiche acconsentirono dicendomi di<br />

decidere dove volevo andare.<br />

Rimasero molto spiazzati, quando la mia risposta consisteva in un<br />

viaggio in Bolivia come missionaria per il mese di Agosto con le<br />

missionarie di S. Massimiliano Kolbe di Bologna. Le loro facce<br />

furono spiazzate ed esterrefatte quando gli raccontai tutto il resto. Non<br />

seppero più cosa dire e successivamente cercarono ogni modo per<br />

farmi cambiare idea; ma ormai, la mia decisione, era sempre più<br />

consolidata. Sicura di quello che volevo fare mi impegnai nella scuola<br />

perché ero sicura che se avessi avuto dei problemi a livello di<br />

insufficienze, il mio sogno sarebbe svanito molto facilmente.<br />

Le mie visite alle missionarie continuarono saltuariamente, fino a<br />

quando il 16 aprile 2005, partecipai alla prima tappa del corso di<br />

preparazione che si sarebbe svolto a Borgonuovo e sarebbe durato un<br />

intero fine settimana.<br />

Arrivata nel pomeriggio alla sede centrale delle missionarie di<br />

Bologna, mi accolse subito Raffaella e dopo esserci salutate, ci siamo<br />

dirette verso la chiesa della parrocchia per partecipare alla messa<br />

vespertina del sabato sera. In chiesa mi venne chiesto di sedermi<br />

vicino ad una ragazza che sembrava avesse circa la mia età, senza<br />

nessun problema mi sedetti e presi parte alla Santa messa.<br />

Subito dopo, Raffaella mi accompagnò nella sala da pranzo e<br />

finalmente riuscii a conoscere questa nuova ragazza, il suo nome era<br />

Sara e durante tutta la cena parlammo di noi e della nostra vita. Finito<br />

di cenare, Raffaella ci spiegò che per motivi di lavoro gli altri ragazzi<br />

sarebbero arrivati solo per l’incontro in programma per quella sera, e<br />

che solo io e Sara, come previsto, saremmo state ospitate nella notte a<br />

soggiornare nel centro missionario. Visto che avremmo dormito nella<br />

stessa stanza, Raffaella ci disse che nell’ora che avevamo a<br />

disposizione prima dell’incontro potevamo andare a sistemare le<br />

nostre cose nella camera che c’era stata destinata. Ci ritrovammo con<br />

43


Raffaella nelle 20.30 circa e subito ci venne chiesto di seguirla in una<br />

stanza dove avremmo aspettato gli altri ragazzi.<br />

Ero emozionantissima, presto avrei conosciuto le persone che<br />

avrebbero condiviso con me quest’esperienza, speravo fossero tutti<br />

giovani della mie età e non aspettavo altro di vedere i volti di questi<br />

nuovi amici.<br />

Non ricordo bene l’ordine con cui arrivarono, ma ricordo<br />

perfettamente i volti timidi ed emozionati che avevamo tutti stampati<br />

in viso. Dario e Roberta, Sara e Mirko, Angela e Vanessa, Pamela e<br />

Stefano, Raffaella e Paola; questi sono i nomi di tutti i miei compagni<br />

di viaggio.<br />

Gruppo volontari<br />

Una volta seduti intorno ad un tavolo, Raffaella ci ha presentato la<br />

missionaria che ci avrebbe accompagnato lungo l’itinerario di<br />

preparazione al mandato missionario.<br />

Si presentò a noi una missionaria di nome Valentina, che ci parlò un<br />

po’ di lei, dal cosa l’ha spinta a entrare nella vita missionaria fino ai<br />

suoi passatempi preferiti. Dopo di che è arrivato anche per noi il<br />

momento delle presentazioni.<br />

44


Arrivavamo da città diverse; chi da Verona, chi da Forlì, chi dalla<br />

stessa Bologna, e chi dalla provincia come me. Purtroppo, la mia<br />

speranza di incontrare giovani della mia età svanì subito visto che ero<br />

la più piccola e fui subito riconosciuta come la “mascotte” del gruppo.<br />

Infatti tra di loro c’erano diverse coppie sposate da ormai parecchi<br />

anni, due ragazzi in preparazione al matrimonio che si sarebbero<br />

sposati pochi giorni prima di partire, facendo del loro viaggio la loro<br />

luna di miele e una ragazza che si sarebbe sposata un anno dopo il<br />

nostro ritorno. Infine ci rimanevano tre ragazze, ma erano comunque<br />

più grandi di me di una decina di anni, chi più e chi meno.<br />

Sinceramente l’idea di passare un intero mese insieme a delle persone<br />

più grandi, che sapevano che cos’era veramente la vita, che avevano<br />

già formato una famiglia e sapevano cosa voleva dire prendersi delle<br />

responsabilità mi aveva messo un po’ in discussione. Non che io non<br />

conosca le difficoltà, ma io dovevo ancora finire le superiori e non<br />

sapevo assolutamente cosa mi riservava il futuro mentre loro avevano<br />

già una vita lavorativa e questo non è poco. Fortunatamente non mi<br />

sono fatta abbattere dalla differenza d’età ma ho accettato questa<br />

situazione in segno di sfida. Avevo deciso di vivere quest’esperienza a<br />

qualsiasi costo ed essere insieme a delle persone adulte mi avrebbe<br />

certamente aiutato a conoscermi e a crescere ancora di più.<br />

Durante questo primo incontro parlammo del volontariato missionario,<br />

ci fu chiesto se già qualcuno di noi sapeva cosa voleva dire, se<br />

qualcuno di noi all’interno dei propri paesi di provenienza faceva<br />

volontariato e altre domande sul genere. Successivamente l’ottica si<br />

spostò proprio in direzione dello specifico volontariato missionario; le<br />

finalità, le tappe formative che avremmo dovuto incontrare per entrare<br />

meglio nel merito e in conclusione, prima della normale preghiera, ci<br />

venne distribuito il calendario degli incontri di preparazione.<br />

Rimanemmo, prima di congedarci, nella stanza a chiacchierare un po’<br />

e ricordo che molti erano incuriositi dalla mia presenza, sia per la mia<br />

giovane età e sia per la mia determinazione.<br />

45


Ci salutammo ed infatti rimanemmo solo io e Sara perché gli altri<br />

preferirono ritornare alle proprie case e rimettersi in viaggio il giorno<br />

seguente per il primo vero incontro. Ci coricammo e la mattina<br />

seguente la sveglia suonò presto per partecipare alle lodi mattutine con<br />

le missionarie nella cappella presente all’interno dell’edificio.<br />

La preghiera è tutto quello su cui si basa la vita missionaria, la fede<br />

profonda che impregnava qualsiasi angolo di quel posto non la<br />

dimenticherò mai, il silenzio, il mettersi in ascolto dei singoli suoni<br />

che circondano quel luogo, l’infinita dedizione che si può assaporare<br />

passeggiando tra i sentieri che circondano il centro missionario lascia<br />

il segno.<br />

Dopo le lodi andammo nella sala da pranzo per fare colazione tutte<br />

insieme e dopo aver terminato iniziarono a ritornare i compagni di<br />

viaggio per prendere parte al primo vero incontro.<br />

2.2 Corso in preparazione al mandato missionario<br />

2.2.1 La missione della Chiesa<br />

Una volta riuniti nuovamente nella stanza della sera prima, Valentina,<br />

ci illustrò l’argomento principale del primo incontro, ovvero avremmo<br />

riflettuto insieme sulla missione della Chiesa.<br />

La missione universale della Chiesa nasce dalla fede in Gesù Cristo,<br />

come si dichiara nella professione della fede trinitaria: «Credo in un<br />

solo Signore, Gesù Cristo, unigenito figlio di Dio, nato dal Padre<br />

prima di tutti i secoli… Per noi uomini e per la nostra salvezza discese<br />

dal cielo, e per opera dello Spirito Santo si è incarnato nel seno della<br />

vergine Maria e si è fatto uomo» 42 .<br />

Soltanto nella fede si comprende e si fonda la missione. Gesù Cristo<br />

ha seguito la missione per la quale è stato mandato in mezzo agli<br />

42 Credo niceno-costantinopolitano: Ds 150.<br />

46


uomini, per dare testimonianza dalla grandezza e della veridicità del<br />

nostro Dio. Si è fatto uomo come noi per salvarci dal male e da tutti i<br />

peccati che continuamente attanagliano le nostre vite e per aiutarci a<br />

superare le difficoltà che ci assillano ha dato a noi tantissimi<br />

insegnamenti attraverso il suo esempio e la sua parola, presente nella<br />

buona novella del Vangelo. Il ruolo della Chiesa è principalmente<br />

quello di annunciatore della parola di Dio.<br />

I discepoli sono i primi a cui è stata illuminata la via della<br />

testimonianza, erano accanto a Gesù nella sua vita e hanno potuto<br />

toccare con mano la speranza di salvezza che infondeva nei cuori.<br />

La salvezza in Cristo, testimoniata e annunziata dalla Chiesa, è<br />

autocomunicazione di Dio: «È l’amore che non soltanto crea il bene,<br />

ma fa partecipare alla vita stessa di Dio: Padre, Figlio e Spirito Santo.<br />

Infatti, colui che ama, desidera donare se stesso.» 43<br />

La Chiesa rappresenta un segno e uno strumento di salvezza per tutti<br />

gli uomini. La salvezza che viene offerta da Dio è per tutti gli esseri<br />

umani in piana libertà, con ciò non si vuol dire che può essere<br />

concessa solo a chi ha fede e a chi è entrato a far parte della Chiesa<br />

attraverso il sacramento del Battesimo ma deve essere messa a<br />

disposizione di tutti, deve essere fatta conoscere a tutti.<br />

La grandezza del Signore può essere accettata oppure no e questa è la<br />

libertà più grande che ci è stata concessa. In ambienti socio-culturali<br />

diversi, come il nostro, è sempre più difficile riuscire a trovare una<br />

linea comune da seguire, soprattutto quando si affronta l’ambito della<br />

religione. Questi sono due discorsi ben distinti; essere cristiani e<br />

seguire gli insegnamenti del Vangelo oppure essere praticanti di<br />

un’altra religione e quindi aver avuto la libertà di scelta; oppure non<br />

conoscere affatto la religione cristiana e la figura del salvatore. Molti<br />

uomini non hanno la possibilità di conoscere le rivelazioni del<br />

Vangelo, di entrare a far parte della chiesa. Tantissime zone del<br />

43 Lett. Enc. Dives in misericordia (30 novembre 1980).<br />

47


mondo sono ancora selvagge e molte popolazioni hanno ancora un<br />

livello di civiltà primitivo lontano dal nostro modo di vivere.<br />

Le popolazioni abbandonate rimangono anche ignoranti e analfabeti;<br />

non saper scrivere e nemmeno leggere è una realtà ancora presente<br />

anche se difficilmente ce ne rendiamo conto e crediamo sia possibile.<br />

Le prime figure che sono partite per quelle terre ripudiate dal mondo e<br />

si sono incaricati di portare la conoscenza della parola di Dio e l’aiuto<br />

materiale sono proprio i missionari che con i loro piedi scalzi e le<br />

tasche piene di povertà giravano per i luoghi più sperduti cercando di<br />

dare conforto attraverso l’amore in Gesù Cristo.<br />

Oggi la Chiesa è felice di poter contare anche sull’aiuto dei missionari<br />

laici che hanno il compito di affiancare i missionari nelle varie<br />

missioni in giro per il mondo.<br />

Valentina ci spiegava che noi, missionari laici, in forza del battesimo<br />

siamo diventati una risorsa importantissima per la Chiesa missionaria<br />

e che partendo per un’esperienza del genere in una terra lontana<br />

sentivamo il bisogno di andare a testimoniare la parola anche ai nostri<br />

fratelli lontani e bisognosi di aiuto.<br />

Finito quest’incontro abbiamo partecipato tutti alla S. Messa tenuta<br />

nella cappella da Padre Luigi Faccenda fondatore delle Missionarie<br />

dell’Immacolata di Padre Kolbe.<br />

Padre Luigi Faccenda<br />

«Padre Luigi è nato a San Benedetto Val di Sambro, un ridente paese<br />

dell'Appennino tosco-emiliano, il 24 agosto 1920. Appena terminata<br />

48


la scuola elementare entrò nel Seminario dei Frati Minori<br />

Conventuali a Faenza. La sua precaria salute ne costringe poco dopo<br />

ad uscirne e a ritornare in famiglia, interrompendo gli amati studi.<br />

Ma egli non si dà per vinto, cerca qualcuno che lo aiuti a continuare<br />

la sua preparazione e lo trova nel parroco di un paese vicino.<br />

A don Guido Zambrini, parroco di Gabbiano, paese della zona di San<br />

Benedetto, padre Luigi ha attribuito la salvezza della sua vocazione.<br />

Dopo la Professione semplice, emessa ad Assisi il 12 agosto 1938 e la<br />

Professione solenne, emessa a Faenza nel 1941, viene ordinato<br />

sacerdote il 18 maggio 1944 a Fognano, piccolo paese poco lontano<br />

da Faenza, dove si era trasferito il Vescovo, Mons. Battaglia, in<br />

seguito alle drammatiche vicende della guerra.<br />

Fin dai primissimi anni della sua vita sacerdotale, padre Luigi ha<br />

sempre sognato la missione, sognava di andare in terre lontane per<br />

portare la luce della fede e la gioia del messaggio di Cristo ai fratelli<br />

del mondo intero e magari morire martire per testimoniare quel<br />

messaggio.<br />

La malattia, invece, gli impedì di realizzare il suo sogno che si<br />

trasformò, per desiderio dei suoi superiori, nell'impegno di lavorare<br />

per la diffusione della spiritualità e dell'ideale di san Massimiliano<br />

Kolbe, occupandosi intensamente della Milizia dell'Immacolata,<br />

l'eredità che padre Kolbe ha lasciato al mondo.<br />

L'ideale missionario di padre Luigi divenne realtà, quando proprio<br />

dalle radici della spiritualità kolbiana e dal cuore dello stesso padre<br />

Luigi è nato l'Istituto delle Missionarie dell'Immacolata - P. Kolbe e<br />

quando le missionarie a pochi anni dalla fondazione dell'Istituto<br />

hanno varcato gli oceani e i continenti.<br />

Nel 1946 diede vita a una fiorente attività mariana e missionaria con<br />

la pubblicazione della rivista mensile “Milizia Mariana” e con lo<br />

sviluppo delle “Edizioni dell'Immacolata” che hanno offerto e<br />

continuano ad offrire libri di formazione, di studio, e di spiritualità.<br />

49


La mattina della domenica del 9 ottobre 2005, quando la Chiesa nella<br />

liturgia ci proponeva la meditazione sul banchetto nuziale che Dio ha<br />

preparato per i suoi figli, padre Luigi Faccenda è entrato<br />

nell'eternità, accompagnato dall'affetto e dalla preghiera dei<br />

confratelli, dei missionari, delle missionarie, dei volontari, dei militi<br />

dell'Immacolata, dei sacerdoti, dei parenti e degli amici.» 44<br />

Durante l’omelia di quella messa Padre Luigi ci salutò e ci ringraziò<br />

per quello che presto ci prestavamo a compiere, ricordo quelle parole<br />

piene di rassicurazione ed entusiasmo con cui ci incoraggiava. Era una<br />

persona molto umile e gentile, che appena ci ha visti ci ha subito<br />

trattati come figli e soprattutto ha creduto in noi e in quello che<br />

eravamo disposti a fare.<br />

Dopo la messa, che è stata dedicata interamente a noi giovani<br />

missionari laici, siamo stati accolti con molta festa anche durante il<br />

pranzo domenicale da tutte le missionarie del centro. Durante il pasto,<br />

abbiamo imparato a conoscerci ancora di più e si sono iniziate a creare<br />

le prime amicizie tra noi giovani volontari.<br />

Dopo il pranzo, ci siamo ritrovati di nuovo insieme nella cappella per<br />

concludere questa giornata con un momento di preghiera e di<br />

ringraziamento. Successivamente ognuno è ritornato alle proprie case<br />

dandoci appuntamento all’incontro seguente.<br />

Ritornata a casa ricordo che ero piena di gioia per quei due giorni<br />

trascorsi in comunità con le missionarie ed ero stranamente molto<br />

riposata e tranquilla. Mi rimasero molto impresse le cose che ascoltai<br />

negli incontri e mi aiutarono a prendere sempre più fiducia in me<br />

stessa e sull’impegno che mi ero presa.<br />

44 Vd.<br />

http://www.kolbemission.org/flex/cm/pages/ServeBLOB.php/L/IT/IDPagina/31<br />

50


2.2.2 La spiritualità del missionario<br />

Nel secondo incontro di preparazione all’esperienza abbiamo parlato<br />

della spiritualità del missionario. Lo Spirito Santo rappresenta il<br />

protagonista della missione.<br />

Insieme a Valentina ripercorremmo la nostra personale storia cristiana<br />

fino al principio, ovvero fino al giorno del nostro battesimo. I nostri<br />

genitori hanno deciso di crescerci secondo la dottrina cristiana e in<br />

quel giorno siamo diventati figli di Dio e siamo stati ricoperti di<br />

Spirito Santo. È proprio questo mantello che accompagna la vita del<br />

missionario nelle difficoltà che affronta ogni giorno. Lo Spirito Santo<br />

ci permetterà di lasciarci plasmare interiormente per divenire sempre<br />

più conformi a Cristo. «Non si può testimoniare Cristo senza riflettere<br />

la sua immagine, la quale è resa viva in noi dalla grazia e dall’opera<br />

dello Spirito. Lo Spirito li trasformerà in testimoni coraggiosi del<br />

Cristo e annunciatori illuminati della sua Parola: sarà lo Spirito a<br />

condurli per le vie ardue e nuove della missione.» 45<br />

Proprio all’interno di queste poche righe è racchiuso lo spirito<br />

missionario, è unico il pensiero che deve invadere il cuore di una<br />

qualsiasi persona che decide di compiere una missione di questo<br />

genere: riflettere l’immagine di Cristo. Quando Valentina ci disse<br />

questa cosa io pensai: “dici poco?” ma lei subito aggiunse di non farsi<br />

spaventare da quest’affermazione. Se fossimo lasciati soli in questo<br />

difficile compito nessuno sarebbe in grado di portare a termine questa<br />

richiesta ma Lui ci ha sempre detto che sarà sempre con noi e che non<br />

saremo mai abbandonati alla solitudine; testimone di questo è proprio<br />

la sua resurrezione dai morti.<br />

Nella parola, che grazie agli evangelisti è arrivata fino a noi, è scritto<br />

tutto quello che ci ha insegnato, in modo chiaro e facile da<br />

comprendere. La cosa più difficile è proprio seguire i suoi<br />

insegnamenti perché sono estremamente impegnativi e fondati<br />

45 GIOVANNI PAOLO II, Redemptoris missino, lettera enciclica circa la validità<br />

del mandato missionario,Paoline, 2003, p. 91<br />

51


sull’amore, sul perdono, sul rispetto, sulla generosità e sull’umiltà.<br />

Questi sono solo alcuni dei termini che scaturiscono dalla sua parola e<br />

che difficilmente si associano alla società di oggi basata di odio<br />

reciproco, di apparenza e di possessività.<br />

Saper aprire il Vangelo e metter in pratica quello che c’è scritto è<br />

molto faticoso ma rende illuminati dalla grandezza di Dio e riempie il<br />

cuore di una forza rinnovata che permette di superare le difficoltà.<br />

Entrati a far parte della Chiesa con il Battesimo siamo diventati<br />

membri di una stessa famiglia, uniti da un sentimento comune di<br />

amore per il Signore.<br />

Tutti parlano di dieci comandamenti, di tavole della legge, per<br />

indicare le regole che Dio ha posto agli uomini, delle linee guida che<br />

ci aiuterebbero a creare la pace e l’armonia fra le genti. Nessuno però<br />

si ricorda dell’undicesimo comandamento ovvero: “ ama il prossimo<br />

tuo come te stesso”, questa regola, viene associata al un altro pensiero<br />

che ci è stato donato: “ama la Chiesa e gli uomini come li ha amati<br />

Gesù”.<br />

Il missionario fa tutto a tutti, vivendo unicamente il Vangelo con la<br />

pazienza, la longaminità, la benignità e la carità sincera. Davanti agli<br />

altri il missionario si pone a cuore aperto ovvero donandosi in totalità<br />

di corpo e di spirito sapendo di abbandonarsi ad un fratello e non ad<br />

uno sconosciuto. Questa è la grande difficoltà, il superamento dei<br />

pregiudizi e degli stereotipi per cogliere l’importanza dell’altro nella<br />

nostra vita.<br />

Questa è la vera spiritualità del missionario; saper attingere dalla<br />

Sacra Scrittura una buona dottrina e che nutrito dalle parole della fede<br />

la riesca a mettere in pratica.<br />

Il missionario è l’uomo delle beatitudini, che le ricorda e le medita<br />

continuamente facendone le fondamenta della sua vita.<br />

52


«Beati i poveri in spirito, perché di essi è il regno dei cieli.<br />

Beati gli afflitti, perché saranno consolati.<br />

Beati i miti, perché erediteranno la terra.<br />

Beati quelli che hanno fame e sete della giustizia, perché saranno<br />

saziati.<br />

Beati i misericordiosi, perché troveranno misericordia.<br />

Beati i puri di cuore, perché vedranno Dio.<br />

Beati gli operatori di pace, perché saranno chiamati figli di Dio.<br />

Beati i perseguitati a causa della giustizia, perché di essi è il regno<br />

dei cieli.<br />

Beati voi quando vi insulteranno, vi perseguiteranno e, mentendo,<br />

diranno ogni sorta di male contro di voi per causa mia.<br />

Rallegratevi ed esultate, perché grande è la vostra ricompensa nei<br />

cieli.»<br />

53<br />

Matteo 5, 3-12<br />

Quella sera ci venne proprio consegnato un piccolo foglietto dove<br />

erano scritte le beatitudini e Valentina ci salutò dicendoci di meditare<br />

su quelle righe e di provare a metterle in pratica nella nostra vita.<br />

2.2.3 Bolivia, terra amata: il paese, il popolo che il Signore ci<br />

consegnerà<br />

Durante il terzo incontro abbiamo abbandonato per un attimo l’ambito<br />

spirituale affrontato nei primi due appuntamenti e siamo partiti per un<br />

viaggio teorico alla scoperta del paese che ci avrebbe ospitati. Proprio<br />

per questa occasione non fu Valentina a tenere l’incontro ma Ignacia,<br />

una missionaria boliviana ritornata a Bologna dopo tanti anni di<br />

servizio nella sua terra natale, per riprendere gli studi teologici. Ci


siamo presentati, anche se durante i momenti conviviali avevamo già<br />

avuto modo di conoscerci e poi ci siamo tuffati in Sud America.<br />

2.2.3.1 Generalità, superficie, geografia e popolazione<br />

La Bolivia è uno Stato dell'America meridionale, situato nel centro del<br />

subcontinente, non possiede sbocchi sul mare e confina a nord e ad est<br />

con il Brasile, a sud con Argentina e Paraguay e ad ovest Perù e Cile.<br />

La sua superficie è di 1.098.581 km² e secondo il censimento svolto<br />

nel 2001, contava 8.274.325 abitanti, mentre, secondo stime più<br />

recenti (2005), la popolazione avrebbe raggiunto quota 8.857.870<br />

unità. 46<br />

La capitale costituzionale è Sucre, mentre la capitale amministrativa,<br />

dove ha sede il Governo, è La Paz. La città più popolata è Santa Cruz<br />

de la Sierra, con circa 1,5 milioni di abitanti.<br />

Si possono distinguere due grandi aree geografiche all’interno della<br />

Bolivia caratterizzate da due diverse strutture territoriali ovvero:<br />

- le terre orientali tropicali che rappresentano i due terzi del paese<br />

divise tra il bacino amazzonico e l'area del Gran Chaco (termine<br />

generalmente accettato come proveniente dal quechua «chaqu»,<br />

territorio di caccia) ovvero una delle principali regioni geografiche del<br />

Sud America, che si estende anche in altri territori come l’Argentina,<br />

il Brasile e Paraguay, tra i fiumi Paraguay e Paraná e l'altopiano<br />

andino.<br />

- le Ande, il restante terzo del paese, nella parte occidentale, costituite<br />

dalla cordigliera e dall’altopiano che seguono la costa pacifica.<br />

Due terzi del territorio boliviano sono bassipiani tropicali, tributari del<br />

Rio delle Amazzoni e del Rio de la Plata. Questa enorme estensione di<br />

più di 700.000 km², è coperto da foreste tropicali pluviali, umide,<br />

46 Vd. http://it.wikipedia.org/wiki/Bolivia<br />

54


monsoniche e secche.<br />

Inoltre, la Bolivia possiede la foresta tropicale secca più estesa al<br />

mondo nella regione del Gran Chaco e circa 250.000 km² sono savane<br />

alluvionali, pantani e savane secche.<br />

Nel territorio boliviano, nella zona meridionale, esistono inoltre grandi<br />

laghi amazzonici, i più estesi della regione.<br />

La zona andina del Paese è situata nella parte occidentale. È<br />

caratterizzata da un plateau delimitato da due catene montuose: la<br />

Cordillera Occidental prossima a quella Oriental.<br />

Sono numerose le cime superiori ai 6.000 metri, le più alte sono il<br />

Sajama (m. 6.542), l'Illampu (m. 6.421) e l'Illimani (m. 6.402).<br />

Secondo l'ultimo censimento del 2001 dell'Istituto Nazionale di<br />

Statistica (INE), la popolazione indigena rappresenta circa il 49,95%<br />

della popolazione totale. Percentuale che arriva al 73,20% se<br />

consideriamo le sole zone rurali.<br />

Secondo il CIA World Factbook 2006, la popolazione boliviana è<br />

costituita dai seguenti gruppi etnici: quechua 30%, aymara 25%,<br />

meticci 30%, europei 15%. 47<br />

In realtà, in Bolivia esistono circa 40 diversi gruppi etnici che sono<br />

per la maggior parte ignorati da questi dati perchè abitanti originari<br />

principalmente nelle pianure tropicali della Bolivia orientale.<br />

In Bolivia gli abitanti nati nelle regioni orientali tropicali, siano essi di<br />

origine europea, meticci o indigeni, vengono colloquialmente chiamati<br />

“camba”. Parimenti gli abitanti delle regioni andine, vengono definiti,<br />

anche se spesso in forma dispregiativa, “colla”. Oggi questa<br />

distinzione non è più così netta come negli anni passati, le culture si<br />

sono intrecciate ma si possono inquadrare subito le differenze<br />

nell’abbigliamento femminile tipico delle due popolazioni.<br />

Le donne “camba” portano sempre una gonna di un tessuto simile al<br />

velluto lunga fino alle ginocchia e una camicetta bianca con un grande<br />

colletto di pizzo, completano il loro abito indossando un grembiule<br />

47 Ibid.<br />

55


legato alla cinta genericamente a quadretti. I lunghi capelli neri, che<br />

accompagnano i lineamenti tipici, vengono raccolti in lunghe trecce.<br />

Le donne “colla”, residenti nelle parti montuose e abituate a<br />

temperature rigide, portano le gonne di lana lunghe fino alle caviglie,<br />

indossano dei maglioni e si coprono le spalle con dei mantelli oppure<br />

con un poncho di lana di lama. Anche queste donne portano il<br />

grembiule sopra la gonna ma i capelli neri vengono legati a “cipolla”<br />

sulla testa e coperti da un cappellino a bombetta che in Europa è<br />

tipicamente maschile.<br />

Donna Camba<br />

2.2.3.2 Economia<br />

Bisogna anche ricordare e fare un piccolo cenno anche alle attività<br />

economiche della Bolivia.<br />

Le attività industriali sono incipienti e la Bolivia continua ad essere un<br />

importatore netto di prodotti finiti, molti dei quali entrano nel paese di<br />

contrabbando da tutte le grandi potenze che la circondano.<br />

56<br />

Donna Colla


Nonostante le difficoltà strutturali della Bolivia rispetto alla sua<br />

posizione territoriale e grazie ad una scadente rete stradale e<br />

ferroviaria, in questi ultimi anni, a causa del basso costo della<br />

manodopera e delle irrilevanti garanzie sociali per i lavoratori, sono<br />

aumentate notevolmente le attività manifatturiere.<br />

Nella città di El Alto si sono sviluppate le industrie tessili e di altre<br />

manifatture principalmente destinate all'esportazione. La città di Santa<br />

Cruz de la Sierra ha una fiorente industria alimentare, tessile e di<br />

materiali per la costruzione.<br />

Due le raffinerie di petrolio, a Santa Cruz de la Sierra e a Cochabamba<br />

che rimangono le due fortezze economiche della Bolivia per le<br />

trattative con gli altri stati.<br />

Negli ultimi anni hanno acquistato peso la trasformazione di materie<br />

prime di origine forestale per l'esportazione, come il legno pregiato<br />

(mogano e cedro principalmente) e la noce del Brasile.<br />

L'agricoltura ha subito notevoli trasformazioni negli ultimi decenni,<br />

principalmente dopo la riforma agraria del 1953. Da un'attività quasi<br />

esclusivamente di sussistenza, si è trasformata in uno dei motori<br />

economici più importanti del paese. Le attività agricole si sono<br />

sviluppate soprattutto nelle terre orientali tropicali dove il territorio<br />

pianeggiante facilita le coltivazioni e dove, in alcune zone gran parte<br />

delle foreste originarie sono state rimosse per far spazio ad aree<br />

coltivabili.<br />

Attualmente la Bolivia è uno dei principali esportatori mondiali di<br />

soya, molta della quale di origine transgenica. Esporta inoltre sorgo,<br />

zucchero, cotone, girasole, sesamo ed altre piante oleaginose.<br />

La maggior parte di questi prodotti verranno poi destinati dagli<br />

importatori per l'alimentazione animale.<br />

Nelle aree tropicali si coltiva anche il riso, la coca, la manioca, il mais,<br />

il banano (consiste in una variante della banana, commestibile solo<br />

dopo cottura, con le sue varianti ricche in amidi è conosciuta in<br />

Europa come platano) e moltissimi altri prodotti.<br />

57


Dalle foreste si estraggono il caucciù e la noce del Brasile, di cui la<br />

Bolivia è, nonostante il nome, il principale esportatore mondiale.<br />

Nelle aree “andine” l'agricoltura è principalmente di sussistenza e<br />

destinata al commercio interno; si coltivano ortaggi, patate, un tubero<br />

chiamato “oca”, mais, orzo, grano e la quinoa (una pianta erbacea<br />

simile agli spinaci e alla barbabietola).<br />

Per quanto riguarda l'allevamento, il più diffuso è quello dei bovini,<br />

sia nelle estese savane tropicali sia nei pascoli andini. Numerosi anche<br />

gli ovini, caprini e suini.<br />

Molto importante l'allevamento di volatili che vengono anche esportati<br />

ad alcuni paesi limitrofi. L'allevamento dei camelidi, come il lama e la<br />

vigogna, è frequente in isolate aree andine.<br />

Lama<br />

L’ultimo ambito economico che secondo Ignacia era giusto trattare era<br />

quello legato alla sanità, visto che dovevamo essere a conoscenza<br />

anche di quella situazione nel caso il cui ce ne sarebbe stato bisogno.<br />

Il sistema sanitario pubblico è altamente carente, sia per quanto<br />

riguarda i macchinari essenziali per le cure derivati dagli eccessivi<br />

costi delle attrezzature, sia per le risorse umane in quanto l’educazione<br />

58


scolastica di un figlio per diventare medico, impone una grande spesa<br />

economica per la famiglia.<br />

Gli aventi diritto al sistema sanitario devono comunque, nella maggior<br />

parte dei casi, pagare tutte le medicine anche durante il ricovero<br />

ospedaliero. Non esistono medici curanti convenzionati e le visite<br />

vengono effettuale solo all'interno delle strutture sanitarie pubbliche.<br />

Per quanto riguarda le operazioni chirurgiche gravi e d’urgenza i<br />

pazienti devono spostarsi nelle grandi città oppure aspettare il turno<br />

del chirurgo nell’ospedale. Bisogna ricordare che la miseria a volte<br />

costringe le persone a lunghe attese e che il più delle volte, vengono<br />

anticipate le cure dalla morte.<br />

Dopo aver parlato del sistema sanitario della nazione, siamo entrate<br />

nel discorso legato alle vaccinazioni obbligatorie per il sud america<br />

che avremmo dovuto fare per entrare nella nazione boliviana.<br />

Le due vaccinazioni obbligatorie ed essenziali erano contro la Febbre<br />

Gialla e la malaria. Per far fronte ai problemi legati allo stress del<br />

viaggio e al cambiamento dei ritmi di vita oltre che alle abitudini<br />

alimentari Ignacia, ci consigliò di fare anche l’antiepatite A per evitare<br />

la, così definita in campo medico, “diarrea del viaggiatore”.<br />

Successivamente parlammo della lingua, infatti in Bolivia si parla lo<br />

Spagnolo o meglio il Catalano; Ignacia ci rassicurò dicendoci che<br />

l’avremmo imparato dopo pochi giorni perché è molto simile<br />

all’italiano essendo una lingua di origine latina.<br />

Ci consegnò una fotocopia e si raccomandò di portarla con noi perchè<br />

riuniva le cinque preghiere fondamentali in lingua catalana, utili per i<br />

momenti di preghiera comunitaria con le missionarie.<br />

L’ultimo punto che toccammo prima di congedarci era quello legato<br />

alla musica; Ignacia ci raccontò che i boliviani, come tutti i sud<br />

americani amano la musica inserendola dappertutto e ci ha<br />

preannunciato che, facendoci l’esempio delle messe, i canti sono<br />

molto più ritmati e pieni di coreografie che portano tutti i fedeli ad<br />

unirsi in un grande ballo di gruppo. Terminammo proprio con una<br />

59


curiosità il nostro incontro, ascoltando alcuni brani boliviani per farci<br />

capire i suoni e i ritmi della loro musica.<br />

Infine, presa in mano la fotocopia con le preghiere in catalano,<br />

decidemmo di recitare insieme il Padre Nostro in spagnolo.<br />

Padre Nuestro,<br />

que astás en el cielo,<br />

santificado sea tu nombre;<br />

venga a nosotros tu reino;<br />

hágase tu voluntad en la tierra como en el cielo.<br />

Danos hoy nuestro pan de cada dia;<br />

perdona nuestras ofensas,<br />

como también nosotros perdonamos a los que nos ofenden;<br />

non nos dejes caer en la tentación, y lìbranos del mal.<br />

Amén.<br />

2.2.4 La nostra specifica azione missionaria<br />

Mentre, nel primo e nel secondo incontro, si è parlato della missione<br />

della Chiesa e della Spiritualità del missionario, ora, nel quarto<br />

incontro, ci è stata presentata e spiegata la specifica azione<br />

missionaria della consacrazione delle missionarie di Padre Kolbe.<br />

“Andate in tutto il mondo e predicate il Vangelo a ogni creatura”<br />

60<br />

Marco 16,15<br />

Chiamate a vivere la pienezza del battesimo nella secolarità e a<br />

tendere alla perfezione dell’amore, le “Missionarie dell’Immacolata –<br />

Padre Kolbe”, sono da Dio stabilmente consacrate con il dono della


Spirito per realizzare nella Chiesa e nel mondo una presenza mariana<br />

e missionaria.<br />

La loro azione missionaria nasce da uno sguardo di fede verso il Dio<br />

vivente, il quale, vuole che tutti gli uomini siano salvi e giungano alla<br />

conoscenza della verità.<br />

Per questo, in profonda comunione con la Chiesa e con tutti i membri<br />

della Comunità, vivono l’impegno missionario dell’Istituto come un<br />

mandato che la Chiesa ha dato loro e per il quale si sentono inviate a<br />

orientare a Cristo il cuore degli uomini, sia con la loro vita di<br />

consacrate secolari, sia attraverso l’evangelizzazione e la promozione<br />

umana che da essa deriva.<br />

La loro azione di evangelizzazione e promozione umana, espressione<br />

della natura missionaria della Chiesa, si ispira alla genuina tradizione<br />

francescana, che San Massimiliano Kolbe ha sviluppato e attualizzato<br />

con straordinario spirito profetico.<br />

Sul suo esempio operano con vari mezzi suggeriti dalla creatività e<br />

dall’amore, valorizzando in modo speciale quelli evangelici e quelli<br />

propri della famiglia spirituale.<br />

Il loro servizio apostolico le pone a contatto con tutti i gradi della vita<br />

sociale, ma rivolgono una particolare attenzione ai fratelli<br />

spiritualmente e moralmente più poveri e bisognosi. Sull’esempio di<br />

Maria, definita “stella dell’evangelizzazione”, si pongono accanto<br />

agli altri con profondo senso di misericordia e di comprensione, di<br />

pazienza e di fiducia, di rispetto e di oggettivo apprezzamento del loro<br />

bene.<br />

Valentina, in questo modo, ci delineò i tratti della loro azione<br />

missionaria; successivamente ci consegnò un foglietto sul quale era<br />

scritte due domande che avrebbero aiutato un confronto nel gruppo.<br />

La prima domanda chiedeva di dire quale parole del Vangelo ci<br />

portiamo nel cuore, la seconda domandava il motivo della scelta di<br />

fare il volontario missionario.<br />

61


La parola, o affermazione di Gesù, che io mi porto nel cuore e che mi<br />

aiuta nei servizi che offro in parrocchia è “Lasciate che i bambini<br />

vengano a me”. Lasciate che i più piccoli, i fanciulli dall’animo puro<br />

ed incontaminato si avvicinino alla grandezza di Gesù, che sappiano<br />

ascoltare i suoi insegnamenti. Quello che ci vuole dire Gesù è che per<br />

ascoltare la sua parola dobbiamo ritrovare uno spirito fanciullesco,<br />

pieno di umiltà e purezza.<br />

Quando Valentina mi chiese di rispondere alla seconda domanda<br />

rimasi un po’ sconcertata perché in quegli incontri la mia mente si era<br />

aperta e avevo scoperto delle cose nuove a cui prima non avevo mai<br />

pensato e non avevo dato peso. Perché scelgo di fare proprio un<br />

volontariato missionario? Dopo un momento di silenzio io dissi che in<br />

quel momento della mia vita non sapevo che cosa fosse giusto fare; se<br />

continuare a studiare oppure immergermi nel mondo del lavoro.<br />

Cercavo nell’esperienza una risposta alle miei tante domande.<br />

Valentina disse che sicuramente mi avrebbe aiutato molto per<br />

prendere una decisione. Aggiunsi anche che per me quest’avventura<br />

era una sfida con me stessa, sul mio grado di maturità e di coraggio.<br />

L’idea di evangelizzare non mi spaventava perché era un po’ come<br />

fare catechismo e l’unico ostacolo grande era la lingua.<br />

Dopo di me, anche gli altri presero la parole e dopo aver ripetuto<br />

insieme il Padre Nostro in catalano, tornammo a casa dandoci<br />

appuntamento al prossimo incontro.<br />

2.2.5 Massimiliano Kolbe: un compagno di viaggio<br />

Nel quinto incontro, imparammo finalmente a conoscere un po’ più da<br />

vicino, la figura del Santo su cui si fonda la consacrazione delle<br />

missionarie.<br />

Se non è il primo è senz’altro fra i primi ad essere stato beatificato e<br />

poi canonizzato fra le vittime dei campi di concentramento tedeschi. Il<br />

62


papa Giovanni Paolo II ha detto di lui, che con il suo martirio egli ha<br />

riportato “la vittoria mediante l’amore e la fede, in un luogo costruito<br />

per la negazione della fede in Dio e nell’uomo”.<br />

San Massimiliano Kolbe<br />

Massimiliano Kolbe nacque il 7 gennaio 1894 a Zdunska-Wola in<br />

Polonia, da ferventi genitori cristiani; il suo nome al battesimo fu<br />

quello di Raimondo.<br />

A causa delle scarse risorse finanziarie solo il primogenito poté<br />

frequentare la scuola, mentre Raimondo cercò di imparare qualcosa<br />

tramite un prete e successivamente con il farmacista del paese.<br />

Nella zona austriaca, a Leopoli, si stabilirono i francescani, i quali,<br />

conosciuti i Kolbe, proposero ai genitori di accogliere nel loro<br />

collegio i primi due fratelli più grandi; essi consci che nella zona russa<br />

dove risiedevano non avrebbero potuto dare un indirizzo e una<br />

formazione intellettuale e cristiana ai propri figli, a causa del regime<br />

imperante, accondiscesero; anzi liberi ormai della cura dei figli, il 9<br />

luglio 1908, decisero di entrare loro stessi in convento.<br />

Anche il terzo figlio Giuseppe dopo un periodo in un pensionamento<br />

benedettino, entrò fra i francescani. I due fratelli Francesco e<br />

Raimondo dal collegio passarono entrambi nel noviziato francescano,<br />

ma il primo, successivamente ne uscì dedicandosi alla carriera<br />

63


militare, prendendo parte alla Prima Guerra Mondiale e scomparendo<br />

in un campo di concentramento.<br />

Raimondo divenuto Massimiliano, dopo il noviziato fu inviato a<br />

Roma, dove restò sei anni, laureandosi in filosofia all’Università<br />

Gregoriana e in teologia al Collegio Serafico e venendo ordinato<br />

sacerdote il 28 aprile 1918.<br />

Massimiliano Kolbe non ancora sacerdote, fondava con il permesso<br />

dei superiori la “Milizia dell’Immacolata”, associazione religiosa per<br />

la conversione di tutti gli uomini per mezzo di Maria.<br />

Ritornato in Polonia a Cracovia, pur essendo laureato a pieni voti, a<br />

causa della malferma salute, era praticamente inutilizzabile<br />

nell’insegnamento o nella predicazione, non potendo parlare a lungo;<br />

per cui con i permessi dei superiori e del vescovo, si dedicò alla<br />

“Milizia dell’Immacolata”, raccogliendo numerose adesioni fra i<br />

religiosi del suo Ordine, professori e studenti dell’Università,<br />

professionisti e contadini.<br />

Alternando periodi di riposo a causa della tubercolosi che avanzava,<br />

padre Kolbe fondò a Cracovia verso il Natale del 1921, un giornale di<br />

poche pagine “Il Cavaliere dell’Immacolata” per alimentare lo spirito<br />

e la diffusione della “Milizia”.<br />

A Grondo, a 600 km da Cracovia, dove era stato trasferito, impiantò<br />

l’officina per la stampa del giornale, con vecchi macchinari, ma che<br />

con stupore attirava molti giovani, desiderosi di condividere quella<br />

vita francescana e nel contempo la tiratura della stampa aumentava<br />

sempre più. A Varsavia con la donazione di un terreno da parte di un<br />

conte, fondò “Niepokalanow”, la ‘Città di Maria’; quello che avvenne<br />

negli anni successivi, ha del miracoloso, dalle prime capanne si passò<br />

ad edifici in mattoni, dalla vecchia stampatrice, si passò alle moderne<br />

tecniche di stampa e composizione, dai pochi operai ai 762 religiosi di<br />

dieci anni dopo, il “Cavaliere dell’Immacolata” raggiunse la tiratura di<br />

milioni di copie, a cui si aggiunsero altri sette periodici.<br />

64


Con il suo ardente desiderio di espandere il suo Movimento mariano<br />

oltre i confini polacchi, sempre con il permesso dei superiori si recò in<br />

Giappone, dove dopo le prime incertezze, poté fondare la “Città di<br />

Maria” a Nagasaki; il 24 maggio 1930 aveva già una tipografia e si<br />

spedivano le prime diecimila copie de “Il Cavaliere” in lingua<br />

giapponese.<br />

In questa città si rifugeranno gli orfani di Nagasaki, dopo l’esplosione<br />

della prima bomba atomica; collaborando con ebrei, protestanti,<br />

buddisti, era alla ricerca del fondo di verità esistente in ogni religione;<br />

aprì una Casa anche in India sulla costa occidentale. Per poterlo curare<br />

della malattia, fu richiamato in Polonia a Niepokalanow, che era<br />

diventata nel frattempo una vera cittadina operosa intorno alla stampa<br />

dei vari periodici, tutti di elevata tiratura, con i 762 religiosi, vi erano<br />

anche 127 seminaristi.<br />

Ma ormai la Seconda Guerra Mondiale era alle porte e padre Kolbe,<br />

presagiva la sua fine e quella della sua Opera, preparando per questo i<br />

suoi confratelli; infatti dopo l’invasione del 1° settembre 1939, i<br />

nazisti ordinarono lo scioglimento di Niepokalanow; a tutti i religiosi<br />

che partivano spargendosi per il mondo, egli raccomandava “Non<br />

dimenticate l’amore”, rimasero circa 40 frati, che trasformarono la<br />

‘Città’ in un luogo di accoglienza per feriti, ammalati e profughi.<br />

Il 19 settembre 1939, i tedeschi prelevarono padre Kolbe e gli altri<br />

frati, portandoli in un campo di concentramento, da dove furono<br />

inaspettatamente liberati l’8 dicembre; ritornati a Niepokalanow,<br />

ripresero la loro attività di assistenza per circa 3500 rifugiati di cui<br />

1500 erano ebrei, ma durò solo qualche mese, poi i rifugiati furono<br />

dispersi o catturati e lo stesso Kolbe, dopo un rifiuto di prendere la<br />

cittadinanza tedesca per salvarsi, visto l’origine del suo cognome, il 17<br />

febbraio 1941 insieme a quattro frati, venne imprigionato.<br />

Dopo aver subito maltrattamenti dalle guardie del carcere, indossò un<br />

abito civile, perché il saio francescano li adirava moltissimo. Il 28<br />

maggio fu trasferito ad Auschwitz, tristemente famoso come campo di<br />

65


sterminio, i suoi quattro confratelli l’avevano preceduto un mese<br />

prima; fu messo insieme agli ebrei perché sacerdote, con il numero<br />

16670 e addetto ai lavori più umilianti come il trasporto dei cadaveri<br />

al crematorio.<br />

La sua dignità di sacerdote e uomo retto primeggiava fra i prigionieri,<br />

un testimone disse: “Kolbe era un principe in mezzo a noi”. Alla fine<br />

di luglio fu trasferito al Blocco 14, dove i prigionieri erano addetti alla<br />

mietitura nei campi; uno di loro riuscì a fuggire e secondo<br />

l’inesorabile legge del campo, dieci prigionieri vennero destinati al<br />

bunker della morte. Con lo stupore di tutti i prigionieri e degli stessi<br />

nazisti, Padre Massimiliano esce dalle file e si offre in sostituzione di<br />

uno dei condannati, un giovane sergente polacco.<br />

La disperazione che s’impadronì di quei poveri disgraziati, venne<br />

attenuata e trasformata in preghiera comune, guidata da padre Kolbe e<br />

un po’ alla volta essi si rassegnarono alla loro sorte; morirono man<br />

mano e le loro voci oranti si ridussero ad un sussurro; dopo 14 giorni<br />

non tutti erano morti, rimanevano solo quattro ancora in vita, fra cui<br />

padre Massimiliano, allora le SS decisero, che giacché la cosa andava<br />

troppo per le lunghe, di abbreviare la loro fine con una iniezione di<br />

acido fenico; il francescano martire volontario, tese il braccio dicendo<br />

“Ave Maria”, furono le sue ultime parole, era il 14 agosto 1941.<br />

Le sue ceneri si mescolarono insieme a quelle di tanti altri condannati,<br />

nel forno crematorio; così finiva la vita terrena di una delle più belle<br />

figure del francescanesimo della Chiesa polacca. Il suo fulgido<br />

martirio gli ha aperto la strada della beatificazione, avvenuta il 17<br />

ottobre 1971 con papa Paolo VI e poi è stato canonizzato il 10 ottobre<br />

1982 da papa Giovanni Paolo II, suo concittadino proclamando che<br />

"San Massimiliano non morì, ma diede la vita...." 48 .<br />

48 Ved.<br />

http://www.kolbemission.org/flex/cm/pages/ServeBLOB.php/L/IT/IDPagina/145<br />

66


Le missionarie seguono l’esempio di questo Santo per questo coraggio<br />

e per la sua infinita fede, testimone della vita che vince la morte e<br />

della devozione completa ai fratelli.<br />

“Solo l’amore crea”<br />

2.2.6 “E la prese con sé”<br />

67<br />

San Massimiliano Kolbe<br />

L’ultimo incontro fu principalmente al femminile in quanto parlammo<br />

della figura di Maria, madre di Gesù, personaggio biblico e<br />

fondamento nella vita missionaria. Partimmo leggendo il classico<br />

brano dell’annunciazione scritto dall’evangelista Luca.<br />

“In quel tempo, l’angelo Gabriele fu mandato da Dio in una città<br />

della Galilea, chiamata Nàzaret, a una vergine, promessa sposa di un<br />

uomo della casa di Davide, di nome Giuseppe. La vergine si chiamava<br />

Maria. Entrando da lei, disse: "Rallègrati, piena di grazia: il Signore<br />

è con te".<br />

A queste parole ella fu molto turbata e si domandava che senso avesse<br />

un saluto come questo. L’angelo le disse: "Non temere, Maria, perché<br />

hai trovato grazia presso Dio. Ed ecco, concepirai un figlio, lo darai<br />

alla luce e lo chiamerai Gesù. Sarà grande e verrà chiamato Figlio<br />

dell’Altissimo; il Signore Dio gli darà il trono di Davide suo padre e<br />

regnerà per sempre sulla casa di Giacobbe e il suo regno non avrà<br />

fine".<br />

Allora Maria disse all’angelo: "Come avverrà questo, poiché non<br />

conosco uomo?". Le rispose l’angelo: "Lo Spirito Santo scenderà su<br />

di te e la potenza dell’Altissimo ti coprirà con la sua ombra. Perciò<br />

colui che nascerà sarà santo e sarà chiamato Figlio di Dio. Ed ecco,<br />

Elisabetta, tua parente, nella sua vecchiaia ha concepito anch’essa un


figlio e questo è il sesto mese per lei, che era detta sterile: nulla è<br />

impossibile a Dio".<br />

Allora Maria disse: "Ecco la serva del Signore: avvenga per me<br />

secondo la tua parola". E l’angelo si allontanò da lei.”<br />

68<br />

Luca 1, 26-38<br />

“Lasciarsi andare”, “abbandonarsi alla volontà di Dio”, “serva del<br />

Signore”, “ultima fra le ultime ma prima tra le prime”; sono solo<br />

alcune delle piccole frasi che ricordano Maria.<br />

Ogni volta che si pensa a lei, si pensa alla figura della mamma, che<br />

cura, che cresce, che accompagna e che non abbandona.<br />

La figura della Madonna non può essere vista solo da questa<br />

prospettiva perché è stata anche una persona che ha sofferto, che ha<br />

avuto dei momenti di insicurezza e di paura; ma la sua fede è sempre<br />

stata grande, ha sempre acconsentito la volontà del Signore<br />

diventando strumento del suo amore.<br />

Prenderla d’esempio è come aprire una porta della propria esistenza ad<br />

una presenza tenera discreta e delicata che ti cammina accanto e<br />

prendendoti per mano ti conduce dal suo figlio Gesù. Le missionarie si<br />

affidano alla sua protezione, come un mantello che le conduce e che le<br />

affianca nelle difficili sfide di ogni giorno.<br />

La figura di Maria guiderà i nostri passi in terra straniera. Valentina ci<br />

disse che, nel mese di missione, per noi, è stato pensato un cammino<br />

che ha come tappa finale, per chi la vorrà fare, la Consacrazione alla<br />

Madonna.<br />

Per concludere insieme l’ultimo incontro, Valentina ci chiese di<br />

scrivere una piccola invocazione per la preghiera conclusiva sulla<br />

nascita. Io scrissi queste parole: “Per tutti i bambini che nasceranno,<br />

perché riescano il prima possibile a scoprire Maria e ad affidarsi<br />

totalmente a lei e così facendo possano camminare lungo il sentiero<br />

della vita con serenità, umiltà e dolcezza.”


Ci alzammo in piedi e ognuno lesse la sua preghiera, dopo di che,<br />

recitammo insieme un’ Ave Maria sia in italiano sia in catalano.<br />

Finito l’incontro nel tardo pomeriggio di un sabato di giugno, ci<br />

avviammo verso la Chiesa dove, Padre Faccenda, durante la messa<br />

vespertina ci avrebbe consegnato il mandato missionario. Durante la<br />

celebrazione fummo chiamati davanti all’altare per nome e ci<br />

impegnammo a portare la buona novelle in quelle terre dimenticate dal<br />

mondo, partendo a mani vuote con solo il Vangelo sulle labbra. Il<br />

sacerdote benedì dei crocifissi (Tao) che legammo intorno al collo<br />

come segno di annunciatori della potenza e sapienza di Dio.<br />

Erano presenti anche dei miei famigliari per starmi vicino in questo<br />

momento, anche se non ancora molto convinti della mia partenza.<br />

Finita la celebrazione ci organizzammo per ritrovarci un’ultima volta<br />

prima della partenza per la consegna del biglietto aereo e per le ultime<br />

cose da programmare. Ritornai a casa piena di gioia, convinzione e<br />

orgoglio per tutto quello che stavo costruendo da sola.<br />

2.3 Il viaggio in Bolivia<br />

2.3.1 Partenza<br />

Dopo il corso di preparazione, finito i primi di giugno con il mandato<br />

missionario, continuammo a tenerci in contatto con le missionarie<br />

attraverso la posta elettronica. Un giorno Raffaella mi scrisse che<br />

erano arrivati i biglietti e che avrebbe dovuto vederci per<br />

consegnarceli. Per questo motivo ci siamo ritrovati una sera della<br />

prima settimana di luglio per finire gli ultimi preparativi.<br />

Raffaella e Valentina ci consegnarono ad ognuno i biglietti e tutti i<br />

documenti indispensabili per la partenza e a turno pagammo il nostro<br />

corrispettivo volo.<br />

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Finalmente avevo il biglietto dell’aereo tra le mie mani; la partenza<br />

era fissata per il giorno 30 luglio 2005 e il rientro per il 31 agosto<br />

2005.<br />

Il giorno dopo che mi erano stati consegnati i biglietti mi sono<br />

presentata all’ospedale per fare tutte le vaccinazioni consigliate e<br />

all’ufficio anagrafico del comune di Vignola per fare il passaporto.<br />

Tutto era pronto, bisognava solo dare l’esame di maturità e preparare<br />

le valige.<br />

Tutto filò per il verso giusto e arrivò il 30 luglio. Ci ritrovammo tutti<br />

insieme all’aeroporto alle 16.30 per essere tutti puntuali e non<br />

rischiare di perdere il volo delle 18.15. Dopo aver fatto il chek-in ci<br />

venne presentata da Raffaella e Valentina la missionaria che sarebbe<br />

venuta con noi; Rosa, una missionaria di Bari, giovane ed energica<br />

che si inserì subito nel nostro gruppo.<br />

Finalmente giunse il momento di partire, i miei genitori mi<br />

accompagnarono fino a dove era possibile e con gli occhi pieni di<br />

lacrime mia madre mi disse per l’ultima volta di stare attenta e di fare<br />

a modo.<br />

Il viaggio era stato organizzato dalla compagnia che si occupa dei<br />

viaggi dei missionari o dei volontari: la BBC Service Missionary<br />

Voluntary Travel mentre la compagnia con cui viaggiammo fino a San<br />

Paolo era la Lufthansa.<br />

Entrati nel gate e consegnato il primo biglietto salimmo sul primo<br />

aereo che da Bologna ci avrebbe portato all’aeroporto di Francoforte<br />

dopo un’ora e mezzo di viaggio.<br />

Arrivati a Francoforte alle 19.50, scendemmo dall’aereo e ci<br />

posizionammo davanti ad un altro gate per aspettare il volo delle<br />

21.45 per San Paolo. Questo era il volo dell’attraversata, il volo più<br />

lungo, ci aspettavano undici ore e mezza di volo. Preso l’aereo,<br />

arrivammo a San Paolo alle 4.30 di mattina del 31 di luglio, che<br />

aggiungendo le sei ore di fuso orario è come se arrivammo alle 10. 30<br />

della mattina seguente (ora italiana).<br />

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Città di San Paolo dall'alto<br />

Il nostro viaggio non era ancora finito perché ci mancava l’ultimo<br />

volo, quello che dal Brasile ci avrebbe portato il Bolivia. Dalle 4.30 di<br />

mattina ci toccò di aspettare il volo delle 16.00 chiusi dentro<br />

all’aeroporto. Il tempo sembrava non passare mai e io ne approfittai<br />

per dormire un po’ visto che durante il volo dell’attraversata non<br />

riuscii a riposarmi bene.<br />

Arrivata l’ora, ci dirigemmo verso il gate e prendemmo l’ultimo volo.<br />

Ero emozionantissima perché ero quasi arrivata e non sapevo<br />

assolutamente cosa mi sarebbe successo nelle prossime ore. L’aereo ci<br />

avrebbe portato da San Paolo a Santa Cruz e partendo alle 16.00<br />

saremmo arrivati alle 17.45 dopo due ore di viaggio.<br />

Viaggiammo con l’Aerosur, compagnia locale per i voli interni al Sud<br />

America, e arrivammo a Viru Viru, questo era il nome dell’aeroporto<br />

di Santa Cruz.<br />

Arrivati e scesi dall’aereo, ci accingemmo a prendere i bagagli,<br />

sperando, che dopo tutti gli scali fossero riusciti ad arrivare integri.<br />

Fortunatamente arrivarono i bagagli di tutti sani e salvi e dopo esserci<br />

radunati Mirco consegnò a tutti una bandiera italiana che aveva<br />

71


preparato proprio per quel momento e ci disse di iniziare a sventolarla.<br />

Uscimmo dall’aeroporto agitando tutte le bandiere e le missionarie<br />

che erano venute a prenderci erano già nella sala d’attesa e appena ci<br />

riconobbero ci corsero incontro.<br />

Erano due missionarie italiane, Simonetta e Alicia, che ci salutarono e<br />

consegnarono ad ognuno di noi una bandierina Boliviana<br />

ringraziandoci della nostra presenza e ci accompagnarono alle<br />

macchiane per caricare i bagagli e dirigerci al centro missionario.<br />

2.3.2 Arrivo<br />

Quando uscimmo dall’aeroporto il sole stava tramontando e il cielo<br />

era di un colore giallognolo, il profumo dell’aria era particolare e<br />

ricordava il sapore dello zucchero sciolto. Ai nostri occhi si presentò<br />

una zona molto brulla e polverosa, piena di cespugli ed erba secca.<br />

Arrivati alle macchine caricammo i nostri bagagli sopra il cassone di<br />

un fiorino bianco, che successivamente ci venne spiegato che loro lo<br />

chiamano “camionetta” mentre noi prendemmo posto su un piccolo<br />

pulmino che non aveva limitazioni di posti legati all’omologazione.<br />

Partimmo verso la casa delle missionarie e mentre viaggiavamo,<br />

Simonetta ci spiegava un po’ di cose su quello che i nostri occhi<br />

vedevano al di fuori dei finestrini. Ricordo benissimo il susseguirsi di<br />

baracche lunga le strada, che vendevano frutta, verdura.<br />

Ormai erano le 21.00 e vicino alle strade c’erano ancora tantissimi<br />

bambini che passeggiavano in gruppetti senza nessun adulto che li<br />

seguisse. Passando notammo che davanti alle porte delle case si<br />

ritrovavano dei gruppetti di uomini che sorseggiavano animatamente<br />

della birra. La missionaria ci spiego che, per quanto riguarda i<br />

bambini, a volte erano le stesse madri che li cacciavano da casa per<br />

difenderli dai padri, perchè il più delle volte ritornando a casa ubriachi<br />

facilmente alzavano le mani con chiunque si trovavano davanti della<br />

famiglia.<br />

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Le strade principali erano asfaltate, mentre quelle secondarie erano<br />

battute e polverose.<br />

Finalmente arrivammo a Montero, la città, in provincia di Santa Cruz,<br />

che ci avrebbe ospitato in questo mese di permanenza.<br />

Ormai era buio e difficilmente si riusciva a vedere il paesaggio che<br />

stavamo attraversando, le uniche cose che si vedevano erano le case<br />

che davano sulle strade illuminate da alcuni lampioni.<br />

Le case erano molto povere, alcune erano fatte di mattoni e altre erano<br />

delle baracche fatte con del legno o dei materiali di fortuna come teli o<br />

lamiere.<br />

Mentre passavamo Simonetta capì subito quello che stavamo<br />

osservando e ci spiegò che il più delle volte coloro che si possono<br />

permettere la casa di mattoni sono per la maggior parte<br />

narcotrafficanti di cocaina.<br />

Rimasi molto spiazzata da questa notizia perché pensai subito a<br />

quanto siamo fortunati ad aver una casa, il riscaldamento, le finestre e<br />

tutto quello che possediamo.<br />

Più Simonetta ci spiegava le realtà del posto, più nel pulmino crebbe il<br />

silenzio, una quiete che metteva molta tristezza perché il cuore di tutti<br />

noi volontari gemeva sempre di più alla vista di tutta quella miseria.<br />

Il pulmino si fermò davanti ad un alto cancello, Simonetta scese e lo<br />

aprì, entrammo con la macchina e un gruppetto di sette missionarie<br />

uscì e ci saluto con grande gioia.<br />

Cristina, Lucia, Vicky, Laida, Andrea, Raquelita, Marisa, Simonetta e<br />

Alicia sono i nomi delle missionarie del Centro missionario di<br />

Montero. Dopo averci aiutato a scaricare i bagagli ci indicarono quale<br />

sarebbe stato il nostro alloggio, ci avviammo lungo un sentierino di<br />

mattoni e arrivammo davanti ad un edificio di pietra.<br />

Entrati trovammo uno striscione con scritto “Bolivia los recibe con<br />

mucho cariño” ovvero “Bolivia è molto felice di accogliervi”.<br />

Salimmo le scale e ci vennero mostrate le camere; io avrei diviso la<br />

camera con Angela e Vanessa. Su ogni letto c’era una cartolina e sul<br />

73


etro di ognuna era scritta una breve dedica. Sulla mia era stato scritto<br />

il seguente messaggio: “Che Bolivia possa conquistare per sempre il<br />

tuo cuore. Buona permanenza e grazie per esserci.”, accompagnata da<br />

tutte le firme delle missionarie.<br />

Dopo aver aspettato che ognuno portasse i bagagli nelle camere, ci<br />

ritrovammo in una sala per le presentazioni, una piccola e veloce<br />

preghiera comunitaria e poi ci coricammo.<br />

Mi ritrovai nella mia stanza, molto semplice ma con il necessario, e<br />

con le mie compagne di stanza sistemammo le nostre cose e finimmo<br />

per addormentarci pensando a che cosa avevano in serbo per noi le<br />

missionarie il giorno seguente.<br />

La mattina mi svegliai presto perché ero molto emozionata e dopo<br />

essermi preparata feci un giretto all’interno della mia nuova casa.<br />

Scesi li scale e tenuta la destra mi ritrovai tre porte; in una c’era uno<br />

sgabuzzino che conteneva tutti gli attrezzi necessari per la pulizia<br />

della casa,una lavatrice e un lavabo. Dietro la porta che si trovava di<br />

fronte a me c’era la cucina; entrata, scorsi, sulla sinistra, la sala da<br />

pranzo. Tornata indietro sentii delle voci provenire da fuori e così<br />

uscii; mi corse subito incontro un bambino di circa tre anni con un<br />

pallone in mano che iniziò a parlarmi ma io non capivo assolutamente<br />

niente di quello che mi diceva. Successivamente capii che voleva<br />

giovare con me a pallone. Iniziammo a giocare ma poco dopo uscì<br />

Simonetta che mi salutò e mi disse che tra poco sarebbero iniziate le<br />

lodi nella cappella del centro.<br />

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Io e il bambino continuammo a giocare un altro po’ nel giardino ma<br />

poi raggiunsi le missionarie. Entrata nell’edificio dove ci avevano<br />

accolto al nostro arrivo, mi ritrovai nella cucina dove una ragazza<br />

boliviana era intenta a preparare la colazione e dopo avermi salutato<br />

mi fece cenno di andare. Passai la sala della sera prima e poi mi<br />

ritrovai in un corridoio, continuai a camminare e mi ritrovai la<br />

cappellina alla destra di un grande salone.<br />

La cappella non era molto grande ed era molto spoglia, un altare e un<br />

piccolo tabernacolo rialzati su un gradino con una statua della<br />

Madonna sulla destra e una decina di banchi ordinati su due file posti<br />

di fronte all’altare. Nella stanza c’era sempre una luce giallastra che<br />

rendeva l’ambiente accogliente e caloroso. Iniziammo a dire le lodi in<br />

lingua catalana e come prima volta non riuscii a capire perfettamente<br />

quello che recitavamo.<br />

A colazione ci trovammo tutti nella sala da pranzo e Jaquelin, la<br />

ragazza che avevo incontrato prima in cucina, ci portò quello che<br />

aveva preparato. Il bambino con cui avevo giocato a palla era suo<br />

figlio e le missionarie mi spiegarono che visto che lei non riesce a<br />

75


trovare lavoro ogni tanto viene a preparare da mangiare in cambio di<br />

qualche soldo.<br />

Ricordo di aver mangiato, quella mattina, le “tortillas”, ovvero una<br />

specie di raviolo ripieno di un impasto a base di pollo, patate, carote e<br />

sedano.<br />

Finita la colazione ci trovammo tutti in una saletta dove Simonetta ci<br />

consegnò il programma per tutti i nostri giorni di permanenza e<br />

leggendo dal foglio, quel giorno, nella tarda mattinata, avremmo<br />

dovuto incontrare i giovani del collegio (scuola media superiore) che<br />

si stanno preparando a ricevere la S.Cresima.<br />

Arrivammo in un grande salone di una struttura che non avevo ancora<br />

visto perché era dietro alla nostra abitazione, erano state disposte più<br />

di un centinaio di sedie e presto vennero occupate da una moltitudine<br />

di ragazzi. Dopo aver aspettato che tutti si sedettero iniziammo<br />

l’incontro. Tutti si alzarono in piedi e un ragazzo iniziò a suonare con<br />

una tastiera una canzone che tutti conoscevano e tutti i ragazzi<br />

cominciarono a cantare e a creare delle coreografie con i gesti. Io<br />

rimasi allibita, perché, anche se preparata da Ignacia, mai, mi sarei<br />

aspettata questo genere di musica e quei balli. Visto che i gesti erano<br />

molto semplici e ripetitivi iniziammo a partecipare anche noi alle<br />

danze e ai canti e fu molto divertente.<br />

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Incontro con i giovani<br />

Finita la canzone, la missionaria riprese la parola e ci presentò ai<br />

giovani; ora era il loro momento di rimanere stupiti, non si<br />

aspettavano dei missionari italiani a quel incontro. Ci osservavano e ci<br />

sorridevano mentre Cristina raccontava loro chi eravamo e cosa<br />

facevamo in Italia. L’incontro aveva come tema principale la felicità e<br />

Cristina ci chiese di partecipare raccontando ai giovani cos’era per<br />

noi. Quando ognuno di noi prese la parola Cristina traduceva ai<br />

giovani quello che noi dicevamo e i ragazzi rimanevano attenti alle<br />

nostre parole.<br />

Finito l’incontro ci spostammo nel cortile adiacente alla struttura e ci<br />

fermammo a socializzare con i giovani.<br />

2.3.3 Montero<br />

Nel pomeriggio, dopo pranzo arrivò nel centro missionario un signore,<br />

il Prof. Pascual, che ci avrebbe portato a fare una visita turistica alla<br />

città di Montero. Pascual era Spagnolo, viveva a Montero da parecchi<br />

anni e ormai sapeva tutto di quella città, viveva con i frati domenicani<br />

77


nella parrocchia aiutandoli nei lavori domestici e di manutenzione<br />

della Chiesa.<br />

Saliti sul pulmino, partimmo e le strade, viste alla luce del sole erano<br />

tutta un’altra cosa. Quando passavamo, i bambini, che riconoscevano<br />

il pulmino delle missionarie, si buttavano in mezzo alla strada per<br />

salutarci, correvano dietro alla macchina, a volte salivano addirittura<br />

con i piedi sul paraurti e facevano un breve tragitto con noi.<br />

Saluti del bambini<br />

Le persone salutavano le missionarie e quando passavamo c’era gente<br />

che ci batteva anche le mani. Quando arrivammo parcheggiammo il<br />

pulmino e ci ritrovammo in una piazza piena di alberi particolari,<br />

avevano il tronco grosso alla base e man mano sempre più stretto,<br />

sfociando in una chioma folta e larga.<br />

78


Albero della piazza<br />

All’ombra di questi alberi erano sistemate delle panchine, che<br />

ospitavano le persone più anziane e le mamme con i bambini piccoli,<br />

mentre in un angolo della piazza c’erano due seggioloni grandi di<br />

legno circondati da tanti bambini con in mano una valigetta nera.<br />

Erano lustrascarpe e appena ci videro ci saltarono al collo perché<br />

avevano già capito che eravamo stranieri e speravano di poter<br />

guadagnare qualcosa. Quando Simonetta gli spiegò chi eravamo ci<br />

fecero davvero festa e iniziarono a saltellarci intorno e quando uno di<br />

noi estrasse la macchina fotografica, nel giro di pochi secondi erano<br />

già in posa. Dopo aver fatto una bella foto tutti insieme, i bambini, ci<br />

dissero di alzare gli occhi al cielo perché ci volevano mostrare un<br />

animale che girava tranquillo tra le fronde degli alberi. Era il<br />

“Peressoso” ovvero il bradipo, l’animale che i fanciulli erano tanto<br />

orgogliosi di mostrarci. Era la prima volta che ne vedevo uno dal vivo<br />

e rimasi affascinata subito da quell’animale. Un bambino arrivò di<br />

corsa con un bradipo in mano e prima di attaccarlo all’albero ce lo<br />

79


fece accarezzare e guardare da vicino. Era immobile e assomigliava ad<br />

una scimmiotta grigia; Pascual ci spiegò che gli abitanti di Montero<br />

sono molto gelosi dei loro bradipi che vivono nella piazza e che<br />

chiunque li vede scendere dalle piante li prende e li riaccompagna sul<br />

tronco per evitare che siano investiti dalla macchine e dalle moto che<br />

sfrecciano nelle strade adiacenti.<br />

Bambini lustrascarpe<br />

80


Bradipo<br />

Ci vennero mostrati i due mezzi di trasporto più utilizzati nel paese<br />

ovvero i “trufi” cioè i classici taxi che abbiamo noi in Italia e le moto-<br />

taxi. Queste sono molto più originali in quanto c’è un autista in sella<br />

alla sua moto e il passeggero si siede nella parte posteriore della sella.<br />

Ovviamente nessuno porta il casco e non esistono tutte le regole<br />

stradali e divieti presenti nel nostro paese. A volte mi è anche capitato<br />

di vedere delle vere e proprie famiglie caricate su una moto-taxi e più<br />

di una volta anche noi missionari lo abbiamo utilizzati per spostarci<br />

velocemente all’interno della città.<br />

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2.3.4 Mercato<br />

Volontari sulle moto-taxi<br />

Ultima tappa del nostro giro turistico della città è stata la visita al<br />

mercato che quotidianamente investe una parte della città. Il mercato è<br />

diviso il due zone; quella coperta dentro ad un gigantesco capannone e<br />

quella all’aperto dislocata lungo la strada principale e in alcuni cortili<br />

sempre della zona.<br />

Nella parte coperta, le bancarelle vendevano di tutto, dalle stoffe ai<br />

detersivi per la casa, dalla biancheria ai dolciumi. Rimasi molto<br />

colpita dall’elevato numero di caramelle che venivano vendute alla<br />

gente. Simonetta ci spiegò che i dolciumi sono tra le cose meno<br />

costose che esistono e che quindi nelle famiglie ne viene fatto un<br />

elevato uso quotidiano per sopperire alla fame.<br />

Nella parte più esterna, sulla strada, si susseguivano numerose<br />

bancarelle di carne appesa a dei rampini di ferro; l’odore era<br />

disgustoso e le carni erano piene di insetti e di polvere causata dal<br />

passaggio delle macchine sulla carreggiata vicina. Simonetta, la<br />

missionaria, ci disse che le famiglie per disinfettare e mantenere la<br />

carne la mettono ad essiccare al sole e solo successivamente questa<br />

operazione la mangiano.<br />

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Macellaio<br />

La parte esterna, non riparata, era destinata alla vendita delle verdure e<br />

della frutta di tutti i tipi. I banchi di questa zona mi hanno sempre<br />

affascinato, nelle bancarelle venivano formate delle montagne di<br />

arance, banane, ananas, mele, pompelmi, e verdura di ogni genere.<br />

Tutte questi ortaggi e tutta quella frutta davano vita ad un arcobaleno<br />

di colori. Imparai che esistono tipi diversi di banane; le classiche, i<br />

banani, che hanno la buccia di un colore verdastro e che si mangiano<br />

solo cotte, i platani, che si mangiano fritti o secchi e i bananini, che<br />

sono delle banane normali ma naniche.<br />

83


Bancarella di frutta<br />

Un altro frutto che attirò subito la mia attenzione è stata l’ananas<br />

perché non ne avevo mai visto di quelle dimensioni. Visto il nostro<br />

stupore Simonetta si avvicinò ad un banco e ne comprò quattro per<br />

darci la possibilità di assaggiarle. Ogni ananas pesava dagli otto ai<br />

dieci chili e le pagammo la misera cifra di quaranta centesimi, dieci<br />

centesimi l’una.<br />

Pur essendo un paese molto povero, in ogni angolo del mercato<br />

c’erano dei piccoli banchetti che vendevano dei cd musicali e<br />

raccoglievano attorno a se una grande quantità di persone. Tra i tanti<br />

cantanti c’erano anche tre professionisti italiani che sono famosissimi<br />

anche in sud america perché hanno avuto la costanza di tradurre tutte<br />

le loro canzoni anche in spagnolo: Laura Pausini, Tiziano Ferro e Eros<br />

Ramazzotti.<br />

La missionaria, ci spiegò che la mentalità di questo paese non è<br />

direzionata al risparmio ma si prefiggono di vivere giorno per giorno<br />

perché non hanno la certezza di sopravvivere un giorno per l’altro.<br />

84


Questa mentalità mette molta tristezza, se pensiamo alla fiducia che<br />

riponiamo noi nella nostra vita quando siamo disposti a fare anche dei<br />

mutui di trent’anni, invece, le popolazioni sfortunate e dimenticate<br />

dalla società non hanno la certezza di arrivare a sera.<br />

Passeggiando per la città il tempo volò in un baleno e fu già il<br />

momento di ritornare al centro missionario per il pranzo.<br />

Ogni giorno scorreva tranquillo e segnato dalle stazionarie routine ma<br />

il programma prevedeva ogni giorno una visita ad un posto diverso<br />

dove avremmo aiutato le missionarie nei loro compiti quotidiani.<br />

2.3.5 Centro missionario<br />

Nei giorni successivi, ci venne mostrato proprio il centro, dove le<br />

missionarie lavorano a pieno ritmo per le persone del luogo. Il centro<br />

era una terza struttura vicino alla nostra abitazione, e si suddivideva in<br />

centro pastorale dove Cristina e delle signore del posto si occupavano<br />

di scrivere, pubblicare e spedire il giornalino della parrocchia,<br />

mantenere la chiesa in ordine e organizzare gli eventi e le feste della<br />

comunità.<br />

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Donne del Centro Pastorale<br />

Persone in attesa del medico<br />

In un’altra stanza c’era il centro sociale che ha come responsabile<br />

Lucia, questo ufficio si occupa delle adozioni a distanza e della<br />

distribuzione mensile dei viveri di prima necessità alle famiglie più<br />

bisognose della zona. Nell’ufficio, Lucia mantiene anche i contatti<br />

cartacei tra i padrini e le madrine e i bambini adottati.<br />

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Un’altra ala dell’edificio è destinata al servizio medico infatti una<br />

stanza è destinata al dottore di base che saltuariamente si mette a<br />

disposizione della gente. In un’altra stanza è stato attrezzato uno<br />

studio odontoiatrico grazie ad Alicia che è dentista e quotidianamente<br />

cura le sue incessanti code di persone.<br />

La stanza più grande dell’edificio è piena di tavoli e sedie ed è<br />

utilizzata dalle missionarie per la catechesi agli adulti. Le missionarie<br />

stanno formando dei laici, per fare in modo di avere delle persone che<br />

le possano aiutare nell’evangelizzazione nei vari “barios”, ovvero, le<br />

zone della città che necessitano di un appoggio spirituale oltre che<br />

materiale.<br />

Infine nell’ultima stanza, che è ancora in costruzione, le missionarie<br />

stanno formando un ambiente per aiutare i bambini che hanno<br />

problemi di motricità.<br />

2.3.6 Orfanotrofio maschile<br />

Mercoledì 3 agosto, siamo usciti nella tarda mattinata per andare a<br />

trovare Don Pedo e Doña Irma, una coppia di volontari che si<br />

prendono cura e si occupano dell’orfanotrofio maschile della città di<br />

Montero.<br />

Bisogna ricordare che in Bolivia e in tutta l’America del Sud, ogni<br />

paese o città offre un orfanotrofio maschile ed uno femminile, perché<br />

sono molto numerosi gli abbandoni dei neonati da parte delle madri<br />

per le gravi difficoltà economiche.<br />

A Montero esistono tre tipi di orfanotrofi: uno maschile, come<br />

accennato poco fa, che raggruppa bambini dai tre ai dodici anni; uno<br />

femminile, che raduna bambine dai tre ai diciassette anni ed infine, un<br />

orfanotrofio dedicato ai ragazzi e ai bambini intossicati dalla “colla”.<br />

Questa sostanza è uno stupefacente liquido che viene tenuto dentro a<br />

dei sacchetti di plastica e viene avvicinato al volto e annusato per<br />

sopperire alla fame e alla fatica. Purtroppo, molte donne ne fanno uso<br />

87


e troppe volte spartiscono le loro dosi con i propri figli sin dalla tenera<br />

età. Questa sostanza, ha effetti disastrosi per il cervello e non esistono<br />

rimedi. In questi istituti, i bambini vengono allontanati dalla “colla” e<br />

gli vengono fatte delle terapie per cercare di migliorare le funzioni<br />

celebrali perse.<br />

Arrivati all’orfanotrofio maschile e scesi dal pulmino, fummo assaliti<br />

dai bambini che ci corsero incontro e ci abbracciarono pieni di gioia.<br />

Ci presero tutti per mano e ci accompagnarono dentro la loro casa.<br />

Pedro e Irma ci salutarono e chiamandoci dentro ci fecero vedere la<br />

loro abitazione formata da un dormitorio, che era una stanza con<br />

alcuni letti a castello e una serie di materassi appoggiati al pavimento;<br />

una cucina, con una numerosa tavola per ospitare tutti i bambini ed<br />

infine una stanza con una grande lavagna appesa alla parete, davanti,<br />

una serie di banchi con le sedie dove Irma teneva le sue lezioni<br />

scolastiche per permettere ai bambini di imparare a scrivere e a<br />

leggere. I bambini si sedettero ai loro posti e in silenzio ascoltavano<br />

interessati quello che dicevamo. Dopo averli salutati ed esserci<br />

presentati con l’aiuto di Simonetta, li invitammo a mettersi in cerchio<br />

e cantammo con loro alcuni “bans”(canzoni con i gesti) in catalano.<br />

88


Preghiera con i bambini<br />

Finito questo momento di festa ci radunammo per un momento di<br />

preghiera, recitando insieme il Padre Nostro. Successivamente,<br />

Raffaella, che di professione è un’igienista dentale, presa la sua<br />

dentatura di plastica insegnò ai bambini il modo più corretto per<br />

lavarsi i denti. Irma gli chiese di ripetere quello che gli era stato<br />

insegnato e poi tutti insieme andammo nel cortile per giocare a calcio.<br />

I loro visi erano sorridenti ed erano felici per poter stare con noi. Irma<br />

e Pedro ci raccontarono che i bambini erano molto eccitati per la<br />

nostra visita e per loro era una giornata di festa. Ricordo un bambino<br />

in particolare, il più piccolo, che non smetteva mai di sorridere,<br />

qualsiasi cosa facevamo, a turno, ci trovavamo sempre una nostra<br />

mano afferrata e stretta da lui. Una cosa che mi ha stupito molto è<br />

stata non vedere un litigio, una gelosia, un urlo; i bambini rimanevano<br />

composti e mantenevano un comportamento molto educato. Pensare ai<br />

fanciulli italiani, che passano la maggior parte del tempo a lamentarsi<br />

di non possedere l’ultimo gioco pubblicizzato alla televisione e che<br />

continuamente litigano tra di loro per via della possessività materiale<br />

che hanno delle proprie cose, mi ha fatto pensare, che a volte<br />

89


l’abbondanza rovina le persone e che forse abbiamo dimenticato di<br />

dare valore alle cose importanti della vita come avere la fortuna di<br />

avere una famiglia.<br />

Dopo una giornata passata con i nostri piccoli amici, siamo ritornati al<br />

centro missionario dove quella sera, organizzata dalle missionarie,<br />

sarebbe stata celebrata una Santa Messa speciale in onore di noi<br />

volontari, per presentarci alla comunità.<br />

2.3.7 La Santa Messa a Montero<br />

Bambino dell'orfanotrofio<br />

Scoprimmo che la Chiesa faceva parte della stesso edificio della<br />

nostra casa ma per accederci bisognava aprire un piccolo cancelletto<br />

che era mantenuto chiuso per non permettere alle persone di entrare<br />

nel centro liberamente.<br />

Entrati nella Chiesa si presentò a noi un grande salone pieno di<br />

semplici panchine senza schienale e senza inginocchiatoio, le pareti<br />

erano molto spoglie ed erano piene di arcate con i vetri colorati. Di<br />

fronte a noi c’era la porta principale perché eravamo entrati dalla porta<br />

secondaria.<br />

90


Una parte della Chiesa era dedicata alle immagini di Maria<br />

immacolata e a Padre Kolbe; in questo angolo erano poste tante<br />

bamboline raffiguranti la Madonna ma queste popolazioni possiedono<br />

un’idea di fede legata ancora alla superstizione e credono che più le<br />

bambole vengono ornate, truccate e decorate, più la possibilità di<br />

essere salvati cresce.<br />

Il tabernacolo era una struttura di legno intagliata a forma di albero<br />

dove da due suoi rami prendevano forma Maria e Giovanni e dalla<br />

punta si delineava il crocifisso.<br />

Dietro all’altare si intravedevano le colonne portanti dell’edificio e su<br />

queste veniva appeso un lenzuolo con sopra scritto il versetto<br />

dell’alleluia, oppure la frase più importante del brano del Vangelo che<br />

veniva letto nella celebrazione.<br />

La Chiesa si riempì velocemente e Victor-Hugo, il musicista della<br />

parrocchia, “aprì le danze”; mi permetto di usare questa definizione<br />

perché i brani cantati nelle celebrazioni, con i loro ritmi coinvolgenti<br />

pieni di gesti comunitari, creavano delle vere e proprie danze di<br />

massa.<br />

Durante la predica, il sacerdote, con l’aiuto della missionarie, ci<br />

presentò alla comunità e quando ebbero finito fummo accolti con un<br />

grande applauso. Durante le nostre celebrazioni la gente scappa ancor<br />

prima della fine del canto, lì, le persone chiedevano di fare più di un<br />

canto e si rimaneva all’interno della Chiesa a scambiarci i saluti. Quel<br />

giorno mi successe una cosa molto insolita. Finiti a canti, mi stavo<br />

dirigendo fuori dalla Chiesa per poter guardare la facciata dal di fuori<br />

ma una donna mi prese per mano e mi portò in un angolo della Chiesa.<br />

A seguito aveva tutti e sette i suoi figli, me li mise in fila dal più<br />

piccolo al più grande e mi chiese di dargli una benedizione baciandoli<br />

sulla fronte. Feci, molto volentieri, quello che mi aveva chiesto ed<br />

infine mi diede in braccio il figlio più piccolo, avrà avuto due<br />

settimane, era piccolissimo e dormiva beatamente tra le mie braccia.<br />

91


Ricordo la soddisfazione che aveva la madre vedendomi tener in<br />

braccio suo figlio, sembrava che sperasse che io riuscissi a<br />

trasmettergli un po’ della mia fortuna tra la loro tanta miseria.<br />

Dopo averle ridato il bambino la strinsi forte e gli dissi di farsi forza,<br />

che la famiglia era la cosa più importante e di continuare a pregare,<br />

perché il Signore è vicino a chi ne ha bisogno. Sinceramente, credo<br />

che il mio catalano fosse ancora molto scadente ma penso di averle<br />

dato un po’ di coraggio perché mentre cercavo di dirle queste cose mi<br />

abbracciò più forte e si commosse.<br />

Ricorderò per tutta la vita quel momento intimo con quella madre di<br />

cui non so nemmeno il nome, di cui non so niente ma che mi ha fatto<br />

provare un’immensa contentezza.<br />

Da quel giorno ovunque andavamo eravamo immersi dai bambini, che<br />

ci correvano addosso, ci abbracciavano, ci seguivano; avevamo dei<br />

bambini da tutte le parti. Ad ogni ora del giorno sentivamo chiamare<br />

dal portone i nostri nomi e quotidianamente qualcuno di noi usciva a<br />

giocare nella strada con i fanciulli.<br />

Una sera siamo stati invitati ad una festa di quartiere, denominato “El<br />

Tigre” dove i giovani della parrocchia avrebbero cantato e ballato le<br />

danze tipiche del luogo. Quella sera ci venne chiesto di cantare una<br />

canzone in italiano e accompagnati da Rosa, la missionaria di Bari<br />

partita con noi, ci esibimmo per le persone del quartiere.<br />

I giorni passavano veloci e io mi accorsi che non era sufficiente un<br />

mese per ambientarmi veramente in quel paese e tra quella gente. Mi<br />

sentivo così libera e autonoma, sempre felice e sorridente. La mia<br />

mente era sempre piena di pensieri e confrontavo ogni cosa che mi<br />

succedeva con la mia vita quotidiana in Italia.<br />

Mi resi conto che, in Italia, noi, ci lamentiamo sempre e non ci<br />

accontentiamo mai di quello che abbiamo; cerchiamo sempre la cosa<br />

migliore e non ci fermiamo mai a riflettere su quello che possediamo e<br />

su quello che creiamo.<br />

92


In quei giorni mi feci tante domande, mi risposi a tanti perché, ma<br />

quello era solo l’inizio di tutte le cose che avrei vissuto nei giorni<br />

seguenti.<br />

2.3.8 Orfanotrofio femminile e Centro di tossicodipendenza<br />

Il 6 agosto fummo portati, alla mattina, all’orfanotrofio femminile e al<br />

pomeriggio avremmo fatto una breve visita al centro di<br />

tossicodipendenza da “colla”.<br />

Partimmo dopo colazione e arrivammo presso un istituto, ci venne ad<br />

aprire una suora, che ci invitò ad entrare e facendoci accomodare<br />

nell’atrio iniziò a chiamare le fanciulle. Questo istituto era più grande<br />

di quello maschile e Simonetta ci spiegò che questa distinzione<br />

numerica non era casuale ma aveva una spiegazione logica. Le<br />

famiglie sono patriarcali e le femmine non sono viste in buona luce<br />

dai padri perché non assicurano un guadagno. Per questo motivo,<br />

mentre i maschi, anche se la famiglia affonda in gravi difficoltà<br />

economiche, vengono tenuti perché definiti più proficui mentre le<br />

femmine vengono più facilmente abbandonate.<br />

La suora annui alla spiegazione della missionaria e aggiunse che gli<br />

orfanotrofi femminili mantengono al loro interno le ragazze anche per<br />

molto tempo perché le possibilità per le donne di trovare un impiego<br />

decoroso sono molto scarse e se fossero abbandonate anche dallo<br />

stesso istituto con il raggiungimento di una certa età cadrebbero<br />

sicuramente nella prostituzione.<br />

93


Bambina dell’orfanotrofio in braccio ad una suora del centro<br />

Una bambina arrivò in braccio ad un’altra suora, tutta sfregiata, una<br />

bruciatura cosparsa su tutto il volto. La suora ci spiegò che questa<br />

bambina non è stata abbandonata ma è rimasta orfana di entrambi i<br />

genitori e viva per miracolo. La sua famiglia infatti è rimasta travolta<br />

da un terribile incendio che ha bruciato tutta la capanna in cui viveva.<br />

La piccola fortunatamente è stata salvata dai vicini di casa e portata<br />

subito all’ospedale.<br />

Mentre ci raccontavano queste cose, le suore ci fecero passeggiare<br />

intorno all’istituto, facendoci vedere l’orto, l’aia con alcuni animali,<br />

fino ad arrivare al piccolo pastificio che hanno creato con l’aiuto delle<br />

ragazze. Ci spiegarono che alle ragazze più grandi veniva data<br />

un’educazione scolastica e un’educazione culinaria; infatti hanno dato<br />

vita ad una fabbricazione di biscotti che vendono e con il ricavato<br />

mantengono loro e la struttura.<br />

94


Bambine dell'orfanotrofio<br />

Entrati nell’istituto, ci corse incontro una bambina che dimostrava tre<br />

o quattro anni. Corretti dalle suore, ci venne spiegato che questa<br />

bambina aveva dieci anni ma che soffriva di una gravissima malattia<br />

di cui non si conosce ancora la cura, che non permette la crescita ne<br />

celebrale e nemmeno corporea del bambino. La bambina ci chiamò e<br />

ci portò nella sua cameretta, voleva mostrarci il suo pupazzo e il suo<br />

lettino.<br />

Dopo aver accontentato la bambina entrammo all’interno di una<br />

classe, piena di tavoli e con una grande lavagna appesa alla parete.<br />

L’aula era piena di bambine e ragazze che ci salutarono e ci cantarono<br />

una canzone. Dopo aver cantato con loro, prendemmo parte ad una<br />

piccola preghiera e successivamente aiutammo anche loro con la<br />

spiegazione sulla pulizia dentale.<br />

Vista la presenza di Raffaella, e grazie alle spiegazioni che riusciva a<br />

dare, le missionarie ci dissero che era molto utile illustrare queste cose<br />

ai bambini in quanto la pulizia dei denti non viene tenuta molto in<br />

considerazione e le carie sono un inconveniente molto diffuso tra i più<br />

piccoli.<br />

95


Quando abbiamo dovuto lasciarle nei loro occhi abbiamo letto tanta<br />

tristezza ma le missionarie ci assicurarono che vederci, porta nel loro<br />

cuori tanta gioia e soprattutto tanta speranza.<br />

Lezione di igiene<br />

Ritornati a casa, dopo pranzo ripartimmo e fummo portati nel centro<br />

di accoglienza per tossicodipendenti da “colla”.<br />

L’istituto non contava molti ragazzi perché, come ci spiegò la<br />

direttrice, nella zona di Montero per non sentire la fame e la<br />

stanchezza si masticavano le foglie di coca, che non hanno effetti così<br />

devastanti come la colla e non danno dipendenza, mentre in Brasile<br />

questa è una realtà ben più diffusa.<br />

Rimanemmo solo al di fuori della struttura perché non vollero che<br />

entrassimo per ragioni di sicurezza. Incontrammo solo un ragazzo, che<br />

teneva tra le braccia due cagnolini e ci saluto. I suoi occhi erano spenti<br />

e non esprimevano nessuna emozione. Ci salutò con un breve cenno<br />

della mano e poi continuò ad accarezzare i cuccioli. I suoi gesti erano<br />

molto meccanici e lenti, il suo sguardo era fisso e vuoto verso questi<br />

animali e anche verso di noi. La direttrice ci disse che purtroppo<br />

quando riescono a strapparli dalle famiglie oppure li trovano per<br />

96


strada, è troppo tardi e normalmente hanno già tratto danni irreparabili<br />

al cervello.<br />

Nel tragitto per ritornare a casa, nel pulmino scese il silenzio, le cose<br />

che ci aveva raccontato la direttrice del centro avevano colpito tutti e<br />

ognuno, in quel momento, si era fermato a riflettere sulla giornata<br />

appena trascorsa.<br />

Ragazzo del centro di tossicodipendenza<br />

2.3.9 Tierras Nueva, la città dei mattoni<br />

Il 9 agosto, le missionarie ci dissero che quel giorno avremmo<br />

incontrato la gente di Tierras Nueva, un ennesimo bario della città<br />

dove vivevano i cittadini “colla”. Partimmo con il pulmino e<br />

arrivammo fino ad un piccolo ponte. Il pulmino non riusciva a passare<br />

e quindi avremmo dovuto proseguire a piedi. Presi i nostri zaini ci<br />

incamminammo e subito, in lontananza, notammo dei gruppetti di<br />

97


ambini che ci correvano incontro. I fanciulli si buttarono a braccia<br />

aperte alle nostre gambe e sorridendo ci incitavano a continuare lungo<br />

quel sentiero per portarci a vedere le loro case. Al nostro fianco<br />

scorrevano numerose buche piene di fango; noi non capivamo a cosa<br />

servivano ma poi, quando arrivammo, tutto ci fu chiaro.<br />

Stampi dei mattoni<br />

Buche di fango<br />

98<br />

Tierra Nueva era la zona della<br />

città dove venivano costruiti i<br />

mattoni. Gli uomini della zona si<br />

calavano dentro queste buche<br />

piene di fango e a mani nude<br />

raccoglievano la terra rossa<br />

disponendola in appositi stampi<br />

di legno. Questi stampi venivano<br />

adagiati sul terreno e gli veniva<br />

data la prima asciugata sotto il<br />

sole. Bisognava sperare che nel<br />

periodo in cui erano lasciati<br />

asciugare non scoppiasse nessun temporale altrimenti tutto il lavoro


andava perduto e bisognava ripartire da zero. Quando gli stampi<br />

diventavano abbastanza sodi, gli uomini li spostavano, creando delle<br />

grandi montagne di mattoni ed intorno, veniva costruito il forno dove<br />

venivano cotti. Quando i mattoni erano cotti, il forno veniva distrutto<br />

per permettere agli uomini di riprendere i mattoni. Durante la cottura,<br />

il fuoco, deve essere sempre mantenuto acceso e quindi l’uomo che se<br />

ne occupa, a volte deve rimanere sveglio e vigile per tre giorno senza<br />

poter dormire. È a causa di queste condizioni lavorative che,<br />

soprattutto gli uomini, abusano delle foglie di coca.<br />

Essiccazione dei mattoni al sole<br />

Arrivammo finalmente davanti ad una piccola casina e la missionaria<br />

ci spiegò che in quella misera stanza i bambini di tutte le età, avevano<br />

la possibilità di imparare a leggere e a scrivere. Davanti a questa casa,<br />

le donne ci accolsero con un canto venendoci incontro. Tutti insieme<br />

ci sedemmo in una piccolo spiazzo d’erba li vicino e leggemmo e<br />

discutemmo su un piccolo brano del Vangelo e gli occhi delle donne si<br />

riempivano di lacrime ascoltando le parole cariche di speranza con cui<br />

la missionaria parlava.<br />

99


Purtroppo in questa zona, questa gente era abituata a vivere in<br />

condizioni poco precarie e nella miseria più acuta. Le capanne, nelle<br />

quali vivevano, avevano una sola stanza nella quale dormivano sia i<br />

genitori che i figli mentre tutti gli altri momenti della vita quotidiana<br />

erano vissuti all’esterno della casa. Dentro alle case si vedevano solo<br />

alcuni stracci appoggiati per terra e nient’altro e nelle capanne più<br />

fortunate, si poteva vedere anche un materasso appoggiato a terra.<br />

Fuori dalla porta era steso il bucato mentre nella parte in cui il sole<br />

batteva incessantemente era dislocato un pezzo di filo di ferro nel<br />

quale veniva stesa ad essiccare la carne, come aveva detto la<br />

missionaria quando eravamo al mercato.<br />

Tra le case<br />

Facendo il giro tra le case, cercavo tutti i modi per continuare a<br />

sorridere agli occhi della gente ma era difficilissimo, io mi sentivo<br />

pugnalare, sentivo il vuoto sotto i miei piedi, non mi riuscivo a<br />

spiegare la differenza tra loro e me; tra la nostra abbondanza e la loro<br />

miseria. Perché queste due situazioni così diverse? Tornati alla casa-<br />

scuola, le bambine indossarono i loro vestiti tipici “colla” e si<br />

esibirono in una danza folcloristica. Terminata, offrimmo a tutta la<br />

popolazione della zona un’abbondante merenda, con tortillas e bibite.<br />

100


I bambini rimasero con noi a giocare a calcio e passammo un<br />

bellissimo pomeriggio insieme.<br />

Mentre ci incamminavamo di nuovo verso il pulmino, ci<br />

soffermammo vicino ad un pozzo. Simonetta ci disse che sono dieci<br />

giorni che è rotta la pompa, forse a causa della terra molto fangosa, e<br />

tutta la popolazione è senza acqua. Ci prendemmo l’impegna di farla<br />

aggiustare noi, per ridare a questa gente l’acqua potabile.<br />

Ritornati a casa, ci riposammo e dopo cena, le missionarie ci<br />

spiegarono il programma del giorno seguente.<br />

2.3.10 Santa Cruz e Cotoca<br />

Il 10 agosto ci saremmo diretti a Santa Cruz per visitare la città nella<br />

mattinata e nel pomeriggio ci saremmo spostati a Cotoca per visitare il<br />

santuario.<br />

Santa Cruz è una bellissima città con una grande piazza al centro,<br />

simile a quella di Montero, ma molto, molto più grande. Sulla piazza<br />

si affaccia una Basilica stupenda con un grande campanile. Entrammo<br />

nella chiesa e camminammo fino alla cima del campanile, per<br />

guardare la città dall’alto. La vista era stupenda ma, si notava<br />

perfettamente con quanta cura era tenuto il centro e la piazza per<br />

ragioni turistiche, mentre le parti limitrofe erano abbandonate al<br />

degrado.<br />

Verso le undici, ripreso il pulmino, ci spostammo a Cotoca, un<br />

paesino a quaranta minuti di viaggio da Santa Cruz, dove si ergeva<br />

uno dei santuari più importanti della Bolivia.<br />

Nella chiesa viene adorata la statua di una madonna, che ha avuto un<br />

ritrovamento particolare. La storia narra di un boscaiolo della zona,<br />

che preso il suo “macete” per andare a tagliare della legna nella<br />

foresta, mentre tagliava una palma, al suo interno trovò una statua<br />

della madonna, presa in mano, sentì una voce dall’alto che gli ordinò<br />

di costruire in quella terra una chiesa. Il boscaiolo, incredulo ma pieno<br />

101


di fede, si recò dal sacerdote della parrocchia e dopo aver ascoltato la<br />

storia, rimase incredulo e qualcosa nel suo cuore gli disse che l’uomo<br />

stava raccontando la verità. Il sacerdote, con il consenso della curia<br />

fece costruire il santuario di Cotoca e ora è meta di tantissimi<br />

pellegrinaggi. Fuori dalla chiesa, nella piazza principale della città<br />

c’erano tantissime bancarelle, attirate dal continuo turismo.<br />

Giunto il primo pomeriggio, decidemmo di andare a mangiare. Le<br />

missionarie ci portarono al “Comedor municipal de Cotoca”, una<br />

mensa cittadina che mi ricorderò per tutta la vita. Era un grande<br />

capannone diviso per file. Ogni fila aveva una grande tavolata in cui<br />

tutti si potevano sedere e mangiare. A capo di ogni tavolo c’era una<br />

donna che preparava le pietanze in una piccola cucina. Le donne<br />

preparavano il cibo e si occupavano anche di pulire i piatti. Noi ci<br />

sedemmo in un tavolo dove veniva servita della carne cotta sulla<br />

griglia e un purè di patate attaccato ad un bastone di legno e rosolato<br />

sul fuoco. Inutile dire che l’igiene mancava completamente. I piatti,<br />

venivano lavati in una bacinella con dell’acqua ferma e ormai il suo<br />

colore non era più trasparente ma di un “sanissimo” color grigio. I<br />

bastoncini, non venivano lavati ma riutilizzati subito dopo.<br />

Comedor Municipal de Cotoca<br />

102


Ovviamente questa mensa era popolata da tantissimi cani randagi che<br />

potevano tranquillamente andare a contatto delle pietanze e tra tutte le<br />

portate scegliemmo quelle due perché con la cottura sul fuoco, i<br />

batteri venivano più facilmente eliminati.<br />

Ovviamente le missionarie ci vietarono di bere l’acqua che ci veniva<br />

data perché non essendo depurata e senza la certezza di essere<br />

potabile, anche un piccolo sorso ci avrebbe potuto costringere a letto<br />

per una decina di giorni.<br />

2.3.11 Triduo a San Massimiliano Kolbe<br />

L’11 agosto fu una giornata molto movimentata perché come tutti gli<br />

anni si preparava, nella parrocchia, delle missionarie, la celebrazione<br />

del triduo di San Massimiliano Kolbe e quindi erano stati avviati tutti i<br />

preparativi per questa grande festa. Noi volontari siamo stati portati<br />

nella foresta per andare a tagliare dei rami di palma per costruire la<br />

tettoia del palcoscenico, dove sarebbero stati disposti gli strumenti<br />

musicali. Siamo saliti sul cassone della camionetta con alcuni uomini<br />

della parrocchia siamo andati in un appezzamento forestale; ad alcuni<br />

di noi è stato dato un “macete”(strumento da taglio metallico, con<br />

impugnatura e lama dritta a un solo taglio, lievemente ricurvo).<br />

Arrivati, siamo scesi e ci siamo trovati a camminare in un sentiero<br />

dentro ad una foresta. Alberi e rami ovunque, gli uomini del posto con<br />

molta disinvoltura iniziarono a farsi strada in mezzo alle piante con i<br />

macete e scelta la pianta adatta si arrampicavano su per il tronco e<br />

iniziavano a tagliare i rami. Noi volontari eravamo sotto l’albero e<br />

prendevamo i rami tagliati e li caricavamo sulla camionetta.<br />

Un uomo, salito sulla pianta ci chiamò tutti a vedere una cosa; finito di<br />

tagliare tutti i rami, diede alcuni colpi in mezzo alla cima del tronco e<br />

dall’interno tirò fuori una grossa patata. Cristina, la missionaria che<br />

103


era con noi, ci spiegò che quello è il frutto del banano, una specie di<br />

patata che cresce all’interno del tronco, è squisita per i risotti.<br />

Il cassone della camionetta era completamente pieno di rami e mentre<br />

si decideva come sistemarci per ritornare tutti a casa, ricordo di<br />

essermi appoggiata ad un albero. Subito un signore si precipitò verso<br />

di me e mi scanso dal tronco. Io mi spaventai tantissimo perché non<br />

capivo cosa avevo fatto di male e mentre mi alzavo sentii qualcosa che<br />

mi pizzicava sulla mano.<br />

Guardandomi la mano mi accorsi di essere piena di formiche rosse e<br />

l’uomo iniziò ad aiutarmi a toglierle. Cristina, mi spiegò che l’albero<br />

su quale mi ero appoggiata era chiamato l’albero del Diavolo,<br />

denominato così perché è incessantemente percorso dalle formiche<br />

rosse.<br />

La mano mi si gonfiò incredibilmente, ma non faceva male, solo alla<br />

sera mi sarei accorta del dolore e di essere stata fortunata ad aver<br />

ricevuto solo tre pizzicotti.<br />

Decidemmo che io e Mirco saremmo ritornati a casa seduti sui rami. Il<br />

viaggio fu molto pericoloso, ma altrettanto piacevole, perché eravamo<br />

seduti su dei rami che non erano per niente sicuri perché non erano<br />

stati legati in nessun modo.<br />

Ritornati a casa, il pomeriggio, avremmo dovuto lavorare con Lucia<br />

per preparare la distribuzione dei viveri alle famiglie adottate a<br />

distanza. Ritornati nel salone dove eravamo andati a parlare ai giovani<br />

nei primi giorni della nostra permanenza, lo ritrovammo pieno di<br />

grandi sacchi neri pieni di riso, una montagna di sacchi di zucchero e<br />

una montagna di bidoncini di olio. Lucia ci diede un foglio, sopra a<br />

quale erano indicate tutte le quantità di riso, olio e zucchero da<br />

dividere per ogni famiglia. Noi dovevamo fare dei sacchi contenenti<br />

rispettivamente tutti i viveri e per facilitare la consegna su ogni pacco<br />

dovevamo scrivere il nome della famiglia.<br />

104


Preparazione viveri per le famiglie<br />

In alcune ore sistemammo tutto, mentre fuori veniva allestito il palco e<br />

veniva addobbata la parrocchia con tantissime bandierine rosse e<br />

bianche. Verso sera, iniziarono ad arrivare le famiglie per prendere le<br />

loro provviste e mentre noi distribuivamo i sacchi, Lucia lasciva ai<br />

bambini il necessario per la scuola: quaderni, matite, penne e una<br />

gomma da cancellare.<br />

Quel pomeriggio mi è piaciuto particolarmente, mi sono sentita<br />

proprio utile alle missionarie e ho sentito che hanno apprezzato molto<br />

il nostro aiuto. Ricordo che quando lasciavamo i sacchi alle famiglie,<br />

nei loro occhi si leggeva rassicurazione, come se quel cibo gli desse la<br />

sicurezza di poter sopravvivere per qualche tempo.<br />

Quella sera ci coricammo molto presto perché il giorno dopo sarebbe<br />

iniziata la festa e quindi ci sarebbe stato molto da lavorare.<br />

La mattina, partecipammo alla prima messa del triduo; la Chiesa era<br />

stata adornata con dei palloncini e l’ambiente era molto accogliente.<br />

Iniziata la messa, quel giorno rimasi colpita da una cosa il particolare:<br />

durante l’offertorio, i doni vennero portati all’altare da quattro ragazze<br />

e un ragazzo danzando tra i banchi. Rimasi esterrefatta nel vedere<br />

questa scena, abituata alle nostre messe, tutto questo mi sembrava<br />

105


irreale ma rendeva la celebrazione veramente più gioiosa ed<br />

emozionante.<br />

Finita la messa, un gruppi di giovani tra quelli che si stanno<br />

preparando a ricevere la santa Cresima, diede vita ad uno spettacolo<br />

sulla vita di San Maximiliano Kolbe; la storia avrebbe avuto tre atti,<br />

uno per ogni giorno del triduo.<br />

Nel pomeriggio, con tutta la gente ci siamo radunati nello spiazzo con<br />

il palcoscenico ed io, Pamela e Stefano lasciammo la nostra<br />

testimonianza di fede alle persone della parrocchia. Io, con l’aiuto di<br />

Cristina riuscii a scrivere la mia testimonianza in catalano e decisi di<br />

leggerla alle persone nella loro lingua perché mi sembrava più bello<br />

dargli la possibilità di capire quello che dicevo direttamente da me.<br />

Dopo aver vissuto per quasi due settimane in mezzo a quella gente,<br />

sentivo il dovere di ringraziarli dell’accoglienza che ci hanno fatto<br />

trattandoci da subito come loro, per averci fatto riflettere sulla nostra<br />

vita e per averci regalato delle amicizie così profonde e sentite.<br />

Dopo questo momento di riflessione insieme, rimanemmo insieme alla<br />

gente e ai ragazzi della parrocchia. La sera arrivò presto e<br />

incominciarono le danze. Come ho già detto, la gente vive per la<br />

musica e anche i più piccoli conoscono le danze tipiche e amano<br />

esibirle con gli amici. Ci fu infatti un susseguirsi di balli, presentati<br />

dalle diverse classi del catechismo; Ogni gruppo di ragazzi aveva<br />

preparato la danza nei giorni precedenti e si era allenata per quella<br />

sera. Ogni ballo creava delle atmosfere completamente diverse, ma<br />

penso che l’apice l’abbiano raggiunto la classe dei ragazzi più grandi<br />

quando, vestiti da Inca, anno ballato una danza indigena sul ritmo dei<br />

borghi e corni a fiato.<br />

Il secondo giorno del triduo, dopo la messa, i ragazzi, diedero vita alla<br />

seconda parte dello spettacolo e nel pomeriggio vennero organizzati<br />

dei giochi a squadre per stare insieme e divertirsi. Per i bambini quel<br />

pomeriggio, mi divertii a fare i palloncini sagomati, che mi portai<br />

dall’Italia. I bambini si radunarono intorno a me a decine ma dopo<br />

106


aver gonfiato e modellato alcuni palloncini mi accorsi che non davano<br />

importanza alla forma ma al palloncino in se e lo preferivano semplice<br />

senza figure. Per loro era già una festa possedere un palloncino,<br />

averlo, e quindi la sagoma non importava. I bambini italiani sono<br />

cresciuti circondati dai palloncini e per loro il palloncino gonfio non<br />

dice più niente, deve essere sagomato a forma di cagnolino, fiore,<br />

spada ecc.. per attirare la loro attenzione. Non si sanno accontentare<br />

della semplicità perché per loro è quotidianità.<br />

La sera continuarono i balli e la festa, musica fino a tarda notte,<br />

dimenticando le fatiche del giorno e della vita.<br />

I piccoli ladruncoli<br />

Il giorno dopo, la festa si concluse con un ultimo memento di<br />

preghiera tutti insieme e con una serie di balli che coinvolsero anche<br />

noi volontari e le missionarie.<br />

Questi tre giorni di festa furono bellissimi, perché imparammo a<br />

conoscere i ragazzi della parrocchia con cui istaurammo delle grandi<br />

amicizie e conoscemmo tante persone che quotidianamente aiutano le<br />

missionarie. Quella sera, eravamo a cena quando ad un certo punto<br />

sentii un gruppetto di bambini che mi chiamava dal cancello della<br />

107


Chiesa. Andai a vedere cosa volevano e mi dissero che avevano fame.<br />

Andai in cucina e Cristina, una missionaria mi disse di dargli quello<br />

che volevano perché se non avessero ricevuto del cibo, sarebbero<br />

venuti a rubarlo. Li chiamai “i miei piccoli ladruncoli”, e da quel<br />

giorno alla solita ora, io li aspettavo con un po’ di pane e un frutto e<br />

loro contenti ritornavano alle loro case.<br />

2.3.12 Carcere<br />

Il 16 agosto, le missionarie ci accompagnarono al carcere cittadino<br />

dove, avremmo celebrato con i carcerati la Santa Messa.<br />

Le missionarie ci dissero che era uno dei posti più ingiusti di Montero<br />

e ospitava solo degli uomini che avevano commesso dei piccoli furti e<br />

non dei gravi crimini.<br />

Il carcere era uno dei luoghi più corrotti di tutta la città e sicuramente i<br />

grandi trafficanti di droga non avrebbero mai conosciuto il significato<br />

di “stare dietro le sbarre” perché pulivano la loro fedina penale con il<br />

denaro. Cristina, la missionaria che ci accompagnò quella mattina, ci<br />

raccontò che purtroppo, le guardie del carcere, a turno durante la<br />

notte, liberano alcuni uomini per fare delle razzie nella città e la<br />

mattina dopo la merce che sono riusciti a rubare viene spartita tra le<br />

sentinelle che la rivendevano al mercato nero.<br />

Arrivammo al carcere e dopo essere controllati dalle guardie ci<br />

sistemammo sotto un porticato all’interno del cortile sul quale davano<br />

tutte le celle. Riuscimmo a contare cinque prigioni. Gli uomini,<br />

appena ci videro si avvicinarono alle sbarre e noi li andammo a<br />

salutare. Le celle erano piccolissime ma ospitavano tantissimi uomini.<br />

Per fare un esempio, in una stanza di due metri per quattro erano<br />

rinchiusi tra i venti e i venticinque uomini.<br />

Arrivato il sacerdote, disponemmo l’altare e le guardie aprirono le<br />

celle e fecero uscire i carcerati. Con molto ordine, gli uomini si<br />

disposero per file e si sedettero sotto il portico dove eravamo anche<br />

108


noi. Finita la celebrazione, ci venne concesso di parlare con alcuni<br />

uomini, ci raccontarono delle loro famiglie, che avevano abbandonato<br />

fuori da quelle mura, dei rimorsi che avevano e della nostalgia delle<br />

loro case. Negli occhi di quegli uomini si leggeva tanta malinconia e<br />

tanta vergogna nei nostri confronti.<br />

Mentre chiacchieravamo con loro le guardie li richiamarono in fila e<br />

venne distribuito il cibo. Una piccola grata si aprì e una signora<br />

distribuiva una ciotola piena di zuppa. Ai carcerati, vista la nostra<br />

presenza, fu concesso di mangiare fuori dalle celle e per questo erano<br />

molto felici. Ad un certo punto ci fu una scena bellissima. Dall’entrata<br />

arrivò una donna con un bambino; era la moglie di un carcerato, che<br />

portava il cibo al proprio marito tutti i giorni. L’uomo e il bambino si<br />

corsero incontro e si strinsero forte. Fu una scena molto commovente<br />

perché si vide quanto quell’uomo tenesse alla sua famiglia. I tre,<br />

mangiarono felicemente insieme e dagli altri uomini era invidiato e<br />

sbeffeggiato. Quando ebbero finito di mangiare li salutammo e<br />

ritornammo al centro missionario.<br />

Io non ero mai stata a visitare un carcere, mi aveva messo tanta<br />

tristezza nel cuore vedere quegli uomini che vivevano in quelle<br />

condizioni, che erano obbligati a quella atroce quotidianità, che<br />

sicuramente subivano dei maltrattamenti, a volte anche di origine<br />

sessuale, dagli altri carcerati e dalle guardie. La violenza psicologica<br />

che dovevano subire quegli uomini era atroce.<br />

109


2.3.13 Campo Chanè<br />

Famiglia di un carcerato<br />

Carcerati<br />

Ritornati al centro, il pomeriggio, le missionarie ci spiegarono che da<br />

domani e per i tre giorni seguenti avremmo preso parte ad un progetto<br />

110


di evangelizzazione in un bario ai confini con la foresta. La zona, che<br />

prendeva in nome di Campo Chanè, era abitata da delle famiglie che<br />

abitavano nelle capanne di fango, vere e proprie baracche. Andavamo<br />

in quella zona per animarla un po’ visto che, essendo un po’ fuori<br />

mano, difficilmente le missionarie riuscivano a essere molto presenti.<br />

Il giorno seguente partimmo, e in sella alla nostra camionetta, dopo<br />

aver viaggiato per strada asfaltata, ci ritrovammo in una carreggiata<br />

polverosa. Ci volle un po’ di tempo per veder le prime baracche<br />

perché il campo era in una zona molto periferica e isolata.<br />

Baracca<br />

Arrivati, come tutte le volte che si arrivava in una zona povera come<br />

questa, i primi a correrci incontro erano i bambini che spuntavano da<br />

ogni direzione. Arrivammo davanti ad una chiesetta, costruita dalle<br />

missionarie, diventata punto di incontro e di rifugio della gente<br />

durante e forti temporali che distruggevano le case. La gente era felice<br />

di vederci e ci venne subito ad abbracciare e a renderci omaggio.<br />

Antrati tutti nella chiesa, Vicky, la missionaria che ci accompagnava<br />

per questi giorni, ci presentò alla popolazione spiegando che nei<br />

111


prossimi giorni, per chi voleva, saremmo passati nelle case, per<br />

leggere un piccolo brano del Vangelo e rifletterci insieme.<br />

Quella zona non conosceva molto la religione cristiana, ma le<br />

missionarie stavano facendo tutto il possibile per non lasciare questa<br />

gente in mano agli evangelisti. Mi capitò di ripensare al mandato<br />

missionario che avevo ricevuto proprio in quella circostanza; ora avrei<br />

dovuto mettere in pratica quello che mi era stato spiegato nel corso.<br />

Un bambino del posto<br />

Dopo che Vicky ebbe aver finito di parlare con la gente, le persone<br />

ritornarono nelle loro case e noi, con il seguito di una cinquantina di<br />

bambini come sempre, ci permettemmo di fare un giro tra le case della<br />

zona. Ogni casa era costruita con il fango, le pareti erano rese più<br />

robuste aggiungendo alla melma dei bastoni di legno che si vedevano<br />

spuntare dalle mura. Il tetto era di paglia, ricavata dall’essiccazione<br />

delle foglie di palma. Ogni capanna era circondata da un grande<br />

cortile polveroso nel quale era sempre presente una catasta di legna e<br />

travi per sorreggere la casa in caso di crollo, un tavolo con alcune<br />

panchine e un forno a legna, costruito sempre con il fango nel quale<br />

veniva cotto soprattutto il pane.<br />

112


Ogni cortile era abitato da galline, papere e cani di una magrezza<br />

spaventosa; si riuscivano a contare le costole sulla schiena.<br />

Il primo giorno lo passammo tra la gente e i bambini, per conoscere il<br />

posto e le persone.<br />

I giorni che seguirono invece fummo divisi in gruppi e mandati con i<br />

volontari laici nelle case. Io mi incamminai con una donna e mentre<br />

passavamo da una casa all’altra imparammo a conoscerci. Il suo nome<br />

era Anna e mi raccontò un po’ della sua vita; mi disse che aveva<br />

iniziato ad avvicinarsi alle missionarie dopo la morte prematura del<br />

marito e da quel giorno non le ha più abbandonate perchè conoscere la<br />

parola di Dio l’aveva aiutata molto a superare tante difficoltà.<br />

Raccontava che aveva due figli, i quali, finiti in mano a degli usurai<br />

sono spariti da parecchi anni e non ha più avuto loro notizie.<br />

Una famiglia del campo di Chanè<br />

Incontrammo molte famiglie in quei giorni, entravamo nei cortili delle<br />

case e ci facevano accomodare sulle panchine nei cortili; non ci<br />

facevano assolutamente entrare perché provavano vergogna della loro<br />

miseria.<br />

113


Ci accoglievano sempre le donne perché i mariti erano sempre al<br />

lavoro mentre le mogli venivano lasciate a casa per accudire i figli.<br />

Tra tutte le famiglie che incontrammo rimasi colpita da due episodi in<br />

particolare che ora racconterò.<br />

Entrati in una cortile, la donna che viveva in quella casa appena ci<br />

vide ci corse incontro e ci abbraccio. Dopo averci fatto accomodare<br />

prendemmo in mano il Vangelo e iniziammo a leggere un piccolo<br />

brano. La donna nell’ascoltare quel brano si commosse; la lettura<br />

parlava di speranza ed insisteva nel dire di non abbandonare la fiducia<br />

il se stessi. Quando, la volontaria laica ebbe finito di leggere, la donna<br />

scoppiò in un grande pianto; ci raccontò che era sola, non vedeva suo<br />

marito da più di tre mesi perché il capo dell’azienda agricola dove<br />

lavorava non lo faceva ritornare a casa e non aveva più soldi con cui<br />

dare da mangiare ai suoi sette figli. Non sapeva però se non avere suo<br />

marito a casa era un male o un bene perché l’uomo la picchiava e a<br />

volte alzava le mani anche addosso ai suoi figli quando era ubriaco.<br />

Tutte le sere aspettava con molta ansia l’arrivo del marito ma con<br />

molta rassegnazione nel caso la volesse picchiare.<br />

Guardando quella donna mi si spezzo il cuore, era una situazione da<br />

brivido ma presi la parola e le dissi: “Il Signore è grande, ascolta le<br />

preghiere degli uomini, punisce chi fa del male e aiuta chi spera in<br />

Lui” La volontaria tradusse le mie parole e dopo che ebbe finito la<br />

donna mi saltò al collo e si sfogò in un grosso pianto. Non avevo mai<br />

provato un’emozione così forte. Avevo dato una spalla su cui piangere<br />

ad una donna che soffriva veramente. Mi emozionai tantissimo e<br />

pensai a tutte le volte che vidi una mia amica piangere su di me per<br />

colpa di una delusione d’amore o per colpa di una perdita importante<br />

di un famigliare. Pensai che donarsi agli altri e offrire se stessi è una<br />

cosa meravigliosa, riempie il cuore.<br />

Il secondo episodio che mi ricorderò e mi porterò sempre nel cuore è<br />

capitato l’ultimo giorno di evangelizzazione. Con tutti i volontari<br />

stavamo facendo l’ultimo giro tra le famiglie per salutarle quando<br />

114


capitammo in una casa dove ci accolse una ragazza ed insistette<br />

perché entrassimo in casa. Entrati, per terra c’erano tantissimi stracci,<br />

un mobiletto con delle ciotole e nient’altro. Passammo all’interno<br />

della baracca e poi ci accomodammo nel retro della casa, sotto ad una<br />

tettoia di paglia.<br />

Una volta seduti ci presentò i suoi fratelli, poi andò in cucina e ritornò<br />

con un vassoio pieno di bicchieri colorati contenenti del liquido simile<br />

ad acqua.<br />

Non riuscimmo a capire cosa ci fosse dentro e così decidemmo di far<br />

finta di bere e di dare la bevanda ai bambini che ci circondavano. La<br />

ragazza ci raccontò che sua madre era morta e che suo padre non lo<br />

vedeva da parecchi mesi. Così era lei che si doveva occupare di tutti i<br />

suoi cinque fratelli. Ci disse che non sapendo come guadagnarsi da<br />

vivere tutte le sere, dopo che i suoi fratelli si addormentavano<br />

percorreva quasi cinque chilometri a piedi e si svendeva agli uomini<br />

sulla strada. La cosa che mi colpì era che ne parlava con orgoglio,<br />

perché per lei non era sbagliato quello che faceva, perché così facendo<br />

riusciva a dare da mangiare ai suoi fratelli. Quanta tristezza nel sentire<br />

quelle parole, noi la confortammo dicendole che poteva chiedere aiuto<br />

alle missionarie, che quello che faceva non era molto ragionevole e<br />

che non usando precauzioni non era nemmeno molto sicuro per la sua<br />

salute.<br />

Purtroppo lei ci rispose che era l’unico modo per mandare avanti<br />

quella famiglia e che per i suoi fratelli era disposta a tutti questi rischi.<br />

Durante il tragitto per ritornare a casa e alla sera, tra noi volontari<br />

rimanemmo molte ore a parlare di quei giorni trascorsi tra quella<br />

gente, prima di dormire ci raccontammo le storie che quelle persone ci<br />

raccontarono e riflettemmo tutti insieme su quanto questa gente ha<br />

bisogno di aiuto.<br />

La mattina dopo, le missionarie ci dissero che, come concordato con<br />

noi al nostro arrivo, avremmo trascorso sei giorni nella comunità<br />

delle missionarie di Cochabamba situata più a nord, nell’altopiano<br />

115


andino. Simonetta, ci disse che il giorno seguente avremmo preparato<br />

tutto l’occorrente per il viaggio.<br />

2.3.14 Cochabamba<br />

Il 21 agosto andammo, con Simonetta, a comprare il biglietto per<br />

l’autobus che ci avrebbe portato a Cochabamba, ritornati a casa<br />

preparammo i bagagli e tutte le cose che avremmo dovuto portare alle<br />

missionarie.<br />

Il 22 agosto fummo accompagnati alla stazione degli autobus, e saliti<br />

siamo partiti, ci aspettava un viaggio molto lungo, di quasi 12 ore. Il<br />

panorama, più si saliva d’altitudine più cambiava e sempre più<br />

raramente si vedevano gli alberi ad alto fusto ma solo dei cespugli di<br />

bacche tra appezzamenti di terreno brulli.<br />

Dopo tante ore di viaggio scendemmo dall’autobus in una fermata che<br />

Alicia ci indicò e presi i bagagli camminammo per un breve tragitto di<br />

strada prima di arrivare al centro missionario. Arrivati, le missionarie<br />

ci corsero incontro felici di vederci e conoscerci e subito ci fecero<br />

sistemare nelle nostre camere. Il centro era di nuova costruzione e<br />

l’atmosfera era meno calda rispetto a Montero. Non si vedeva la gente<br />

per strada e anche le missionarie erano più riservate. Virginia, la<br />

missionarie responsabile di quella filiale, ci disse che la gente è meno<br />

accogliente da quelle parti, si fa più fatica ad entrare nella vita delle<br />

persone.<br />

Inoltre, ci spiegò che la nostra visita qui ci sarebbe servita come<br />

momento di riflessione e che in quei giorni avremmo visitato alcune<br />

zone della città.<br />

Quando arrivammo era sera tardi e quindi, dopo un momento di<br />

preghiera quotidiano ci coricammo nelle nostre stanze.<br />

116


Il giorno seguente, fummo portati, con il loro pulmino a visitare il<br />

“Cristo della Concordia” una statua situata sulla cima di un monte e<br />

visibile da tutta la città. Anche da dove eravamo noi si vedeva<br />

perfettamente e sembrava che proteggesse tutta la città con le sue<br />

braccia aperte.<br />

Dopo aver percorso un lungo sentiero tra la foresta, siamo arrivati ai<br />

piedi della statua del Cristo.<br />

Alta 40 metri e pesante 2200 tonnellate, al suo interno è stata ricavata<br />

una scala a chiocciola che dà la possibilità di arrivare fino alla testa<br />

per godere del panorama. In quel momento purtroppo era chiusa<br />

perché la stanno ristrutturando ma comunque il panorama era da<br />

mozzafiato.<br />

Cristo della Concordia<br />

117


Il 24 agosto siamo stati portati a fare un’escursione tra i sentieri della<br />

foresta costruiti dalla popolazione degli Inca. Passeggiamo tutto il<br />

giorno in mezzo alla foresta e attraversammo anche un ponte a<br />

strapiombo nel vuoto, di quelli formato da assi di legno legate da una<br />

corda; tipico nei film di Indiana Jones. Lungo il sentiero si potevano<br />

osservare anche delle immagini graffiate nella roccia, reperti storici<br />

molto importanti. Passeggiando nella foresta incontrammo tantissimi<br />

pappagalli e ci imbattemmo in piante particolarissime. Fu bellissimo<br />

camminare all’interno di quel parco naturale, perché si entrava<br />

pianamente a contatto con la natura.<br />

Il giorno seguente, le missionarie ci portarono al “Monte del Cranio”,<br />

uno dei posti più incantevoli e suggestivi della zona. Parcheggiammo<br />

il pulmino ed una volta scesi fummo immersi in una gran calca di<br />

persone. Quel luogo era meta di tantissimi pellegrinaggi perché<br />

secondo la storia ricordava il luogo dove venne crocefisso Gesù<br />

Cristo.<br />

Tra le persone c’era gente di tutti i tipi, sia della zone, sia provenienti<br />

da altre parti; si riconoscevano dai diversi indumenti che portavano.<br />

Tra la folla, incontrammo anche diversi animali come il lama, le<br />

scimmie, i formichieri tenuti al guinzaglio e c’era gente che<br />

camminava anche con dei pappagalli sulle spalle.<br />

Appena passammo il cancello del santuario, davanti a noi si ergeva<br />

una grande Chiesa, e subito dopo iniziava il sentiero che portava alla<br />

cima del monte. Questa collina era completamente spoglia, non<br />

c’erano albero ne cespugli, ma solo sassi e pietre. Mentre<br />

camminavamo con la gente lungo il sentiero notammo che ogni tanto<br />

erano appoggiati sulle rocce dei martelli e dei picchetti. Virginia, la<br />

missionarie, ci spiegò che le persone che arrivano in pellegrinaggio<br />

devono raccogliere un sasso prima di ritornare alle loro case e<br />

riportarlo l’anno seguente. Portare il sasso, nelle abitazioni, serve per<br />

mantenere lontano il demonio. Questo posto, pur ricordando e<br />

118


venerando un episodio di Gesù non appartiene alla religione cristiana<br />

ma a quella evangelica.<br />

Martelli lasciati sulle rocce<br />

Rimane comunque un posto molto affascinante e pieno di colore;<br />

infatti la gran calca di persone che indossava la stoffa boliviana, tipica<br />

per i sui colori accesi, creava un arcobaleno di colori tra la gente.<br />

L’ultimo giorno prima del ritorno a Montero, fummo portati dalle<br />

missionarie nel centro di Cochabamba, nel mercatino etnico, dove<br />

avremmo potuto sbizzarrirci negli acquisti. Il mercatino era gigantesco<br />

e riconobbi anche della merce presente in vari negozi etnici italiani.<br />

Ricordo che presi una toga per il mio carissimo sacerdote della mia<br />

parrocchia per ringraziarlo di essermi stato vicino e diversi oggetti sia<br />

per me che per i miei amici.<br />

Ritornati a casa preparammo i bagagli e il 27 agosto, alla sera<br />

arrivammo a Montero.<br />

119


2.3.15 Riflessione comunitaria e rientro in Italia<br />

Il 28 agosto, le missionarie, organizzarono per noi un momento di<br />

riflessione comunitaria sull’esperienze fatta durante la nostra<br />

permanenza. Questo ritiro vedeva due appuntamenti; la partecipazione<br />

ad una riflessione sull’eucaristia come momento di incontro con Gesù<br />

e una seconda parte rappresentava un momento di esilio personale dal<br />

gruppo per pensare e incanalare tutte le emozioni che abbiamo<br />

vissuto. La sera ci sarebbe stato il confronto durante la preghiera<br />

conclusiva.<br />

Dopo l’incontro con il sacerdote sull’eucaristia, mi incamminai per<br />

trovare un posto tranquillo in cui pensare. Mi sdraiai sotto ad un<br />

albero e inizia a pensare a quello che avevo appena sentito e a quello<br />

che avevo assorbito in quest’esperienza.<br />

Preso un foglio, inizia a scrivere queste parole:<br />

“L’eucaristia è un dono speciale che solo con cuore puro e sincero<br />

riusciamo a percepire e ad assaporare. Il dono è Gesù; il suo corpo ci<br />

viene offerto come sacrificio. È bello pensare a Dio come a un Padre<br />

che offre. Abbandona in suo sacrificio il suo unico figlio lasciando che<br />

si donasse per tutta l’umanità. Saper di far parte di quell’umanità è<br />

forse il sentimento di fraternità che accomuna ogni cristiano.<br />

L’eucaristia è il filo che ci lega; La comunione è un momento che ci<br />

raduna, che ci unisce. La prima messa in Bolivia me la ricorderò per<br />

tutta la vita. Anche se la lingua , i canti sono differenti da quelli<br />

italiani, la cosa più importante è che eravamo tutti lì per un unico<br />

scopo , quello di ricevere il Signore. Questo è stato un momento in cui<br />

ho vissuto pienamente la fraternità e ogni domenica, in Italia, durante<br />

la messa ricorderò i miei fratelli boliviani che come me ricevono il<br />

corpo di Gesù nell’eucaristia. Alla base della fraternità c’è una<br />

profonda amicizia e questa viene alimentata dalla fiducia e dall’amore.<br />

120


L’amicizia è un unione permanente tra me e l’altro. Mi piace molto la<br />

parole permanente usata accanto al sentimento dell’amicizia, mette<br />

molta sicurezza specialmente se il tuo amico è Gesù.<br />

Questa esperienza sarà, per me, testimonianza della grandezza del<br />

Signore.<br />

Servirà tanto entusiasmo per annunziare quello che il Signore mi ha<br />

dato la possibilità di vedere e se l’ha fatto un motivo ci sarà; non<br />

agisce mai senza farci comprendere la sua volontà. Maria ci<br />

accompagna, Gesù si dona e dipende solo da noi lasciarci trasportare<br />

dal loro esempio.”<br />

Il giorno seguente fu dedicato a preparare la partenza, quindi abbiamo<br />

pulito tutta la casa dove siamo stati ospitati, abbiamo preparato le<br />

valige. Quando sono arrivata ero carica di roba e ora, tutto quello che<br />

avevo l’ho lasciato alle missionarie e mi sono portata dietro solo le<br />

cose che mi servivano per il viaggio.<br />

Foto con i giovani della parrocchia<br />

121


La mattina del 30 agosto abbiamo caricato i bagagli e poi siamo partiti<br />

per l’aeroporto. Mentre stavamo viaggiando per andare a prendere<br />

l’aereo una coda di moto-taxi e trufi ci seguiva. Era tanta gente del<br />

posto che voleva salutarci per l’ultima volta. Che grande emozione<br />

vedere tutta quella gente dietro al nostro pulmino.<br />

Arrivati all’aeroporto iniziò il momento più difficile, l’addio. Salutare<br />

le missionarie e tutta quella gente, con cui avevo trascorso uno dei<br />

mesi più belli della mia vita, che mi avevano insegnato tanto, mi<br />

rompeva il cuore. Infatti non riuscii a trattenere le lacrime e per tutto il<br />

volo fino a San Paolo dai piansi la fine della mia avventura.<br />

Ritornati a Bologna, ad aspettarmi c’erano i miei genitori, e la mia<br />

carissima amica Enrica. Fui felicissima di vederli perché mi erano<br />

mancati davvero tanto in questo mese di lontananza. Ritornata a casa,<br />

iniziò il mese più difficile della mia vita. Il terrore di andare nei<br />

supermercati e vedere tanta abbondanza, non mi sentivo più utile in<br />

quello che facevo e quindi mi caricai di lavoro in parrocchia per<br />

sopperire a questa mia mancanza. Ed infine, la svolta più grande che<br />

diedi alla mia vita fu quella di iscrivermi al corso di laurea per<br />

diventare maestra per l’infanzia perché dopo questa esperienza mi resi<br />

conto che il mio destino era quello di lavorare a contatto con i<br />

bambini. Ed ora eccomi qui, ancora una volta a ripercorrere questa<br />

mia storia, per renderla finalmente cartacea e disponibile alla lettura di<br />

tutti.<br />

Anche questa è testimonianza e pur sapendo che le avventure di<br />

questo genere bisogna viverle in prima persona spero di avervi<br />

lasciato qualcosa mentre leggevate un piccolo pezzo della mia vita.<br />

122


Capitolo 3<br />

Quando Storie diverse si incontrano<br />

123


124


Quando Storie diverse si incontrano<br />

Durante la mia avventura, ho avuto la fortuna di conoscere tante<br />

persone che mi hanno accolto sempre con molta gioia; con il loro<br />

modo di fare caloroso e festoso non mi hanno mai fatto sentire una<br />

straniera.<br />

Ripensando alle emozioni che ho provato durante il mio viaggio, mi<br />

sono resa conto, che il tema dell’accoglienza dovrebbe diventare il<br />

fulcro centrale dei servizi presenti su tutti i territori.<br />

Quando parlo di servizi, posso parlare di tutte le istituzioni che ci<br />

circondano, anche le semplici associazioni di volontariato, perché il<br />

“saper accogliere” deve nascere da tutti coloro che sono,<br />

quotidianamente, a contatto con le persone.<br />

È soprattutto dentro ai servizi, che le persone si conoscono e si<br />

scambiano opinioni.<br />

L’accoglienza, dovrebbe essere più marcata soprattutto nelle scuole e<br />

nei servizi per l’infanzia, in quanto sono proprio quei luoghi in cui<br />

viene insegnata l’educazione ai bambini. Saper accogliere un’altra<br />

persona dovrebbe essere una buona pratica presente nel galateo di<br />

chiunque, per riuscire a vivere tutti in modo pacifico. L’educazione,<br />

rappresenta un insieme di insegnamenti che la scuola e i genitori<br />

dovrebbero insegnare ai bambini, perché è una dote importante e<br />

preziosa per la crescita personale. I genitori, per lasciare in piena<br />

fiducia il proprio bambino alle insegnanti, devono essere garantiti da<br />

un ambiente rassicurante; devono essere accolti calorosamente e<br />

l’istituzione, deve comunicare ospitalità per riuscire a sua volta a<br />

trasmetterla ai bambini.<br />

125


3.1 Accogliere la persona<br />

Quando parliamo di persona, parliamo di individuo unico nel suo<br />

genere. Non stiamo parlando di genere sessuale, ma di tutto l’elenco<br />

di caratteristiche che ci differenzia e che ci rende unici. Presi uno ad<br />

uno siamo completamente distinti, sia a livello fisico, sia caratteriale,<br />

sia cognitivo, sia emozionale. Vero è che però abbiamo delle<br />

caratteristiche collettive uguali, ovvero delle similitudini derivanti<br />

dalla nostra storia e causate dell’essere tutti uomini. Quando vogliamo<br />

accogliere una persona la dobbiamo ricevere con tutta la sua<br />

complessità che ne consegue.<br />

Sapendo che non siamo uguali, dobbiamo anche essere pronti a<br />

scambiarci delle opinioni e a volte si potrebbe arrivare anche a litigare<br />

se la questione ci importa particolarmente.<br />

“Accoglienza”, è la parola-chiave della pedagogia contemporanea,<br />

perché solo dall’apertura verso l’altro nasce il dialogo e solo<br />

attraverso l’abbattimento delle barriere legate ai pregiudizi si può<br />

favorire la crescita culturale.<br />

In una scuola, che sempre più si caratterizza come luogo integrato di<br />

formazione è necessario che si avvii un libero scambio di relazioni<br />

interpersonali e che si parli di accoglienza a tutti i livelli.<br />

Le fondamenta per permettere questi scambi reciproci, per una<br />

crescita personale, sono principalmente due: non giudicare<br />

dall’apparenza la persona che ci troviamo di fronte rivestendola di<br />

pregiudizi e secondo, cercare delle situazioni per permettere che<br />

l’individuo si apra e si possa far conoscere. Lo sconosciuto, possiamo<br />

prendere l’esempio di uno straniero come sono stata io in Bolivia, non<br />

essendo nel suo paese di origine, si sente spiazzato, non conosce<br />

nessuno, non conosce la lingua, qualsiasi angolo è nuovo e di<br />

conseguenza parte già insicuro e in posizione di difesa. Per questi<br />

motivi, dobbiamo essere noi a fare il primo passo verso chi si<br />

avvicina, verso chi vuole essere accolto. Se una persona si trova<br />

126


davanti a se un muro difficilmente cercherà di scavalcarlo, farà<br />

sempre prima a voltargli la spalle cercando un’altra direzione da cui<br />

passare e creando un secondo muro di conseguenza.<br />

Aprire le porte alla conoscenza reciproca, superato il primo momento<br />

di imbarazzo, aiuta ad uno scambio reciproco di saperi e sostiene il<br />

confronto tra storie culturali diverse.<br />

Rimanendo nella metafora della “porta” dobbiamo pensare che due<br />

persone che non si conoscono sono come due porte chiuse che non<br />

rendono comunicanti due stanze diverse. Se le due porte, invece che<br />

cercare di conoscere il contenuto delle proprie stanze aprendosi a<br />

vicenda, danno più importanza al vociferare delle persone, non fanno<br />

che ricoprirsi di stereotipi e pregiudizi vicendevolmente. In questa<br />

situazione è come se le due porte si chiudessero ulteriormente con un<br />

lucchetto, rendendo minime le possibilità di apertura. Questo è quello<br />

che gli stereotipi e i pregiudizi provocano, la creazione di false<br />

ideologie sull’altra persone che rischiano di negare la possibilità di<br />

passaggio e conoscenza reciproca.<br />

Abbiamo parlato degli stereotipi e dei pregiudizi anche nel primo<br />

capitolo di questa tesi, ma penso sia giusto ripetere questi concetti,<br />

perché oggi nella nostra società, con tutti i nuovi mezzi di<br />

comunicazione che nascono, è sempre più difficile parlare negli occhi<br />

alle persone. Evitando di sentire la voce dell’interlocutore, il più delle<br />

volte non si comprende pienamente quello che l’altro ci vuole<br />

comunicare e nascono anche tra di noi delle incomprensioni che<br />

portano alla creazione di pregiudizi su chi non conosciamo.<br />

Per aiutare una buona accoglienza bisogna impegnarsi per creare delle<br />

situazioni e dei momenti di incontro con l’altro; dare la possibilità di<br />

farsi conoscere allo sconosciuto, renderlo partecipe della nostra vita e<br />

fare vedere che siamo interessati a lui, alla sua persona, alle sue<br />

conoscenze, alla sua cultura e alla sua storia.<br />

Soprattutto, nei servizi per la prima infanzia, bisogna basare il servizio<br />

proprio sull’accoglienza, sia dei bambini e sia delle famiglie. Tutto<br />

127


deve basarsi sull’accoglienza, dagli spazi, ai tempi, alle routine<br />

quotidiane fino ai modi di fare o agire verso l’altro. Tutto è importante<br />

per rendere accogliente un servizio perché anche una piccola<br />

dimenticanza può ricadere sulla valutazione degli utenti. Le scuole,<br />

sono un luogo di incontro privilegiato nel quale si riescono a mettere a<br />

contatto numerose persone diverse con delle difficoltà simili, come la<br />

crescita di un figlio o l’insicurezza delle scelte da fare per la sua<br />

educazione. Proprio per le necessità di superare questi problemi,<br />

all’interno di questi servizi le educatrici e le insegnanti giocano un<br />

ruolo importantissimo, perché fanno da ponte tra i genitori dandogli la<br />

possibilità di farli conoscere.<br />

Imparare ad accogliere è essenziale nella nostra vita, soprattutto oggi,<br />

che ci troviamo a dover aprire le nostre porte anche a delle culture<br />

completamente diverse dalle nostre. Imparare a scambiare opinioni<br />

con i nostri connazionali è difficile, basti pensare agli scontri culturali<br />

ancora presenti in Italia tra i cittadini del Nord e quelli del Sud, oppure<br />

avvicinando la lente di ingrandimento si possono notare anche delle<br />

dispute tra gli abitanti di una città come Modena e una come Bologna.<br />

Le controversie sono rimaste solo a parole oppure radicate nei modi di<br />

dire e nei proverbi ma alimentano continuamente la serie di stereotipi<br />

già presenti.<br />

Ulteriormente, dovremmo imparare ad aprire la nostra conoscenza<br />

anche agli stranieri, a chi vive nel nostro paese provenendo da altre<br />

terre. Verso gli stranieri il nostro animo è scuro e pieno di giudizi<br />

affrettati nei loro confronti. A volte, mi capita di ascoltare delle<br />

persone che dicono: “ Non pensavo, ma quello là, che viene dal<br />

Marocco, è un bravo ragazzo!”. Penso che a tutti sia capitato di<br />

ascoltare delle frasi del genere, oppure di pronunciarle e allora io mi<br />

chiedo perché ci meravigliamo, perché ci fasciamo la testa prima<br />

ancora di conoscere le persone. L’accoglienza, il saper far entrare<br />

nella nostra vita persone diverse, è il primo passo indispensabile per<br />

conoscere le persone, per farci capire che tante volte gli stereotipi<br />

128


sono solo delle maschere che mettiamo a chi non conosciamo, per<br />

renderci la vita più semplice senza fare la fatica di comprendere le<br />

persone.<br />

Quando accogliamo un persona, dobbiamo cercare di metterla a<br />

proprio agio, di farla sentire come a casa sua, di farle vivere la<br />

situazione dell’incontro famigliare e confortevole.<br />

Proprio per questo dobbiamo fare attenzione ad un altro atteggiamento<br />

che facilmente ci condiziona nelle scelte: l’etnocentrismo, ovvero,<br />

quel fenomeno che prevede l’autopreferenza ad un gruppo piuttosto<br />

che ad un altro. Esso si manifesta attraverso la valutazione di ogni<br />

cosa secondo i valori e le norme proprie del gruppo di appartenenza<br />

del soggetto, come se questo gruppo fosse l’unico modello di<br />

riferimento.<br />

Il soggetto etnocentrista si crede migliore rispetto ai membri degli altri<br />

gruppi e immagina lui e i suoi compagni i soli veri esseri umani sulla<br />

terra.<br />

Questa mentalità, è la base dell’ideologia razzistica, ed è per questo<br />

che i criteri etnocentrici devono essere abbandonati quando si cerca di<br />

accogliere un’altra persone, perché a volte non bisogna fossilizzarsi<br />

nella propria mentalità perché nella vita possiamo incontrare e<br />

apprendere dagli altri idee e spunti di riflessione migliori dai nostri.<br />

“l’ignoranza è più vicina alla verità del pregiudizio.”<br />

129<br />

Denis Diderot<br />

Una delle difficoltà maggiori in campo educativo è quella suscitata<br />

all’accoglienza, il saper giocare le carte giuste per far sentire accettate<br />

e benvolute le persone che entrano nel servizi.<br />

Mi permetto di preannunciare alcuni consigli perché ritengo che la<br />

gente di Montero abbia messo in pratica una giusta accoglienza con<br />

noi volontari perché non ci siamo mai sentiti negati e fastidiosi ai loro<br />

occhi. Siamo stati trattati normalmente, come chiunque altro cittadino


o persona del luogo. A volte le persone ci consideravano talmente<br />

tanto come uno di loro che si dimenticavano che se parlavano troppo<br />

velocemente non riuscivamo a capirli. Le grandi feste che ci facevano<br />

quando ci vedevano sono servite a non metterci in imbarazzo.<br />

Nel nostro paese, noi italiani ci dobbiamo comportare in modo<br />

accogliente prima verso noi stessi, poi verso che ci circonda, sia<br />

conjcittadini autoctoni sia stranieri perché non c’è nessun motivo<br />

logico per trattare in modo diverso chi arriva da un altro paese.<br />

Accogliere la persona, non è una cosa semplice perché dobbiamo<br />

imparare a conoscerla in tutte le sue sfaccettature, in tutti i suoi lati,<br />

sia quelli più piacevoli e simili ai nostri ma anche in quelli contrari al<br />

nostro modo di pensare.<br />

3.2 Accogliere la Storia della persona<br />

Quando incontriamo una persona dobbiamo tener presente del suo<br />

vissuto, delle esperienze che ha superato nella sua vita. Le esperienze<br />

che viviamo ci fanno diventare quello che siamo, ci fanno prendere<br />

delle sfumature del carattere diverse a seconda di come viviamo le<br />

vicissitudini che la vita ci propone.<br />

Con i bambini è la stessa cosa, anche se le esperienze saranno<br />

numericamente inferiori rispetto ad una persona adulta dobbiamo<br />

ricordarle e non sottovalutarle.<br />

Saper accogliere la persona nelle sue complessità vuol dire saper<br />

accogliere anche la sua storia, il suo passato, il suo presente e anche il<br />

suo futuro ovvero i suoi sogni e i desideri. Conoscere una persona<br />

vuol dire farsi raccontare come ha vissuto gli anni della sua vita per<br />

capire cosa l’ha fatta diventare quello che è oggi.<br />

Quando ci troviamo di fronte una persona straniera abbiamo un’altra<br />

difficoltà da superare ovvero le differenze nella lingua parlata. Se una<br />

persona la si vuole conoscere si farà di tutto per trovare un punto di<br />

130


comunicazione che accomuna entrambi. Una volta trovato si è già<br />

posseduto un termine di somiglianza, di affinità, di similarità.<br />

Prendendo in esame sempre la mia esperienza penso che un possibile<br />

strumento di conoscenza che possa servire per unire due o più persone<br />

che non riescono a trovare un linguaggio verbale per potersi capire sia<br />

proprio la musica. Le note e la musicalità solcano i mari e tutti gli<br />

esseri umani comprendono le melodie.<br />

Nell’esperienza in Bolivia, la musica era onnipresente, in qualsiasi<br />

momento della giornata si ascoltava musica da qualsiasi punto della<br />

città. A noi volontari, la musica ha aiutato molto per comunicare con<br />

le altre persone. Sia perché ascoltando i brani musicali che piacevano<br />

di più a loro capivamo il loro genere di musica, i loro ritmi, veloci e<br />

latini. Successivamente, le brevi canzoncine che imparavamo ci<br />

venivano tradotte e quindi ci aiutavano ad avvicinarci anche alla<br />

lingua. Possiamo dire che la musica è stata la nostra maestra nella<br />

scoperta delle tradizioni e della lingua catalana.<br />

Abbiamo iniziato proprio con la musica, con queste melodie che<br />

hanno cullato l’incontro con la Bolivia e con la sua gente. Nei servizi<br />

bisognerebbe farsi aiutare molto dalla musica, sia per accogliere le<br />

persone sia per aiutarne la conoscenza essendo uno strumento che tutti<br />

riescono a comprendere. Attraverso la musica si può comunicare,<br />

semplicemente, perché con le note si possono ricreare rumori della<br />

natura, si possono creare delle suggestioni particolari e dei sottofondi<br />

che possono aiutare lo scambio culturale.<br />

«L’educazione all’uso delle facoltà sensoriali è una componente<br />

formativa fondamentale, soprattutto nell’attuale contesto<br />

multiculturale in cui quello verbale non può essere l’unico canale di<br />

espressione» 49 .<br />

Per esempio: prendendo come luogo possibile, i servizi per la prima<br />

infanzia, essenziale sarebbe permettere che i bambini stranieri possano<br />

portare la musica della loro terra nelle sezioni per poterla ascoltare<br />

49 R. DONDARINI, L’albero del tempo, Motivazioni, metodi e tecniche per<br />

apprendere e insegnare la storia, Patron Editore,Bologna 2007, p. 156.<br />

131


con gli amici. Sarebbe un semplicissimo modo per permettere ai<br />

bambini di trovare dei punti di appoggio per non sentirsi soli, inoltre<br />

sarebbe un ulteriore modo per ampliare il sapere dei bambini<br />

autoctoni, abituati alle solite canzoncine famigliari. La musica<br />

potrebbe essere un utile strumento per mettere in contatto e permettere<br />

lo scambio reciproco all’interno del servizi per la prima infanzia e<br />

«divenire un tramite che collega e integra le attività espressive in un<br />

approccio generalmente basato sul gioco creativo e sul piacere<br />

ludico.» 50<br />

Tutte queste differenze e difficoltà che le storie di ognuno, messe a<br />

confronto, causano, possono essere superate molto facilmente,<br />

ricordandoci di riprendere in mano gli strumenti che a noi sono più<br />

naturali.<br />

Non c’è bisogno di cercare i sistemi e le metodologie più impegnative<br />

e sconosciute per metter in comunicazione più persone diverse ma<br />

bisogna servirsi della quotidianità e della semplicità.<br />

«Peraltro decodificarne i linguaggi in maniera semplice partendo dalla<br />

spontaneità ed approdando ad una progressiva consapevolezza<br />

consente di comprendere i significati che ogni musica trasmette e<br />

comunica.» 51<br />

Quando impariamo a conoscere una persona, accogliendo la sua vita<br />

dobbiamo tener presente anche della famiglia che si occupa di quel<br />

individuo, che l’ha fatto crescere e aiutato a diventare quello che è.<br />

Importante è infatti saper accogliere i genitori, conoscere i parenti e<br />

gli amici. Prendo sempre d’esame i servizi per l’infanzia perché è di<br />

questo che si occupa il mio corso di studi ma non dimentico di dire<br />

che quello che affermo può essere reso possibile in tutti i servizi.<br />

Soprattutto negli asili nido bisogna dare molta importanza ai genitori,<br />

bisogna renderli partecipi in tutto quello che fanno i loro bambini<br />

perché sono sempre molto apprensivi e sono in costante<br />

preoccupazione quando si tratta di affidare i loro figli ad un estraneo.<br />

50 Ibid.<br />

51 Ibid. p.157.<br />

132


Sempre per aiutare la crescita della fiducia è necessaria la conoscenza,<br />

il dialogo, scoprire le usanze della famiglia per permettere al bambino<br />

di vivere in modo più sereno la vita all’interno del servizio.<br />

3.3 Accogliere l’Identità della persona<br />

Oggi si parla molto di appartenenze e identità, si pensa al passato e<br />

alla storia che ci precede, ricerchiamo nelle cose passate dei punti di<br />

somiglianza con quello che siamo diventati e ci rendiamo conto che,<br />

con il tempo tutto cambia.<br />

Quando parliamo di identità parliamo di tutto quel bagaglio culturale<br />

che ci portiamo dietro, di tutte le caratteristiche che ci accomunano e<br />

che ci rendono unici.<br />

Identità è definita come «l’insieme di caratteristiche che rendono<br />

qualcuno quello che è, distinguendolo da tutti gli altri.» 52<br />

La nostra personalità è direttamente proporzionata alla nostra crescita<br />

interiore, esteriore e alle esperienze che contrassegnano ognuno di noi.<br />

In realtà ciascuno dispone di un’identità personale e nel contempo è<br />

partecipe e appartiene ad «identità collettive di ampiezza<br />

concentricamente sempre più ampia, da quelle famigliari a quelle<br />

comunitarie, da quella civica a quella nazionale, fino a quella<br />

continentale, umana e planetaria.» 53 Avere una di queste<br />

caratteristiche non deve escludere a priori le altre. È importante,<br />

quindi, non dimenticasi che pur essendo esseri umani completamente<br />

diversi ed unici, siamo anche persone che fanno parte di insiemi di<br />

esseri umani con caratteristiche simili.<br />

Questa è una delle cose più belle dell’essere una creatura umana; poter<br />

possedere più di una caratteristica diversa e che le nostre personalità<br />

52 Definizione del termine “identità” presente nel dizionario N. ZINGARELLI, lo<br />

Zingarelli, dizionario della lingua italiana, Bologna 2000.<br />

53 R. DONDARINI, L’albero del tempo, Motivazioni, metodi e tecniche per<br />

apprendere e insegnare la storia, Patron Editore,Bologna 2007, p. 109.<br />

133


sono create da vari mattoni che in fila uno dietro l’altro danno vita alle<br />

nostre identità.<br />

Quando si parla di identità civiche ed etniche, a volte si rischia anche<br />

di chiudersi dentro alla propria cerchia di presunti simili, dando le<br />

spalle ed evitando di accogliere le culture diverse. Recuperare<br />

elementi della propria tradizione non significa creare steccati, ma<br />

serve ad avere una maggiore autocoscienza utile anche all’incontro<br />

con esponenti di altre culture, nella consapevolezza che comunque con<br />

il loro arrivo, gli immigrati e gli stranieri, provocano ineludibili<br />

fenomeni di acculturazione e di trasformazione delle identità<br />

complessive.<br />

Se prendiamo in mano un album fotografico di alcuni anni fa, ci<br />

rendiamo conto che le foto ritraggono una persona diversa da quella<br />

che siamo noi oggi, stessa cosa riguarda anche la nostra società, infatti<br />

non possiamo ignorare che l’Italia si sia modificata rispetto a quella<br />

degli anni passati. La storia fa il suo corso e i cambiamenti e le<br />

vicissitudini, mutano e modificano la nostra quotidianità.<br />

Un esempio vissuto da tutti noi in prima persona è il fenomeno<br />

dell’immigrazione che solo negli ultimi anni è letteralmente decollato.<br />

Di conseguenza è cambiato anche il nostro modo di agire nella<br />

quotidianità; un esempio derivato dall’emigrazione e dalla<br />

globalizzazione è quello che ha come materia di confronto la lingua<br />

parlata. Una volta, la gente parlava il dialetto della zona in cui viveva<br />

perché non conosceva correttamente la lingua italiana. Oggi per<br />

permettere alle persone di riuscire a comunicare con tutti, soprattutto<br />

con gli stranieri presenti nel nostro territorio bisogna conoscere anche<br />

l’inglese o il francese oltre che l’italiano. Essere a contatto più spesso<br />

con stranieri ci condiziona anche nella nostra vita e non è sempre<br />

considerato un male. Grazie al confronto con gli stranieri, con chi ha<br />

delle caratteristiche diverse da noi, può essere considerato una<br />

ricchezza inestimabile perché con il confronto si possono imparare<br />

infinità di cose nuove.<br />

134


La nostra vita è cambiata molto rispetto alla vita che facevano i nostri<br />

nonni, abbiamo più tecnologia, più confort, abbiamo tante cose in più<br />

rispetto a loro, abbiamo talmente tante cose che ci dimentichiamo di<br />

dargli il giusto valore. Questo è quello che invidiamo ai nostri nonni,<br />

la semplicità con cui vivevano la loro vita, la lentezza e la calma con<br />

cui facevano le loro faccende quotidiane. Ogni epoca ha i suoi “pro” e<br />

i suoi “contro” ma ogni tempo ha la sua storia, e «i nostri antenati non<br />

erano necessariamente più saggi di noi e le loro scelte non furono<br />

sempre quelle giuste;sapevano però che erano l’esperienza e la prova<br />

del tempo a suggerire la strada da seguire» 54 .<br />

È essenziale tenere presenti ed individuare le identità e le diversità<br />

attuali che «sono aspetti inscindibili e complementari di una società<br />

multiculturale e che non possono prescindere dalla conoscenza delle<br />

loro premesse storiche.» 55<br />

D’altro canto, non bisogna smettere di pensare la vita in un’ottica di<br />

continue trasformazioni e le scelte che si prendono quotidianamente<br />

bisogna rifletterle in modo responsabile, pensando alle conseguenze<br />

che quello che facciamo si ripercuoterà sulle generazioni future.<br />

Negli ultimi anni, la società, sta impiantando nella mente delle<br />

persone una visione strumentalistica dell’identità. Tutti i mezzi di<br />

comunicazione parlano incessantemente di moda, macchine di lusso,<br />

creme per la cura del corpo, bisogno incessante dell’estetista, come se<br />

la nostra identità fosse determinata dal fisico; il corpo come persona.<br />

Non possiamo dire che una persona è creata solo di carne, ma ha<br />

anche una personalità, ha dei sentimenti, ha tutte quelle altre<br />

caratteristiche interne ed intime che la rendono speciali. Purtroppo<br />

oggi, la specificità del corpo, con la chirurgia estetica, che è arrivata a<br />

poter modificare qualsiasi cosa, ci rende possibili di diventare quello<br />

che vogliamo esteriormente. Se la natura ci ha dati uno specifico sesso<br />

54 R. DONDARINI, Le radici e le ali. Sulle tracce della nostra storia. In Dentro la<br />

storia a cura di G.GRECO e D.MONDA, Napoli 2003, pp. 185-215<br />

55 R. DONDARINI, L’albero del tempo, Motivazioni, metodi e tecniche per<br />

apprendere e insegnare la storia, Patron Editore,Bologna 2007, p. 109.<br />

135


e noi lo vogliamo cambiare oggi è possibile; possiamo cambiare i<br />

lineamenti del nostro volto e con un po’ di calma e l’aiuto di un<br />

chirurgo si possono prendere le sembianze dell’attrice che preferiamo.<br />

Il corpo, oggi è diventato quello che abbiamo di più importante,<br />

passiamo più tempo e cercare di abbellirlo piuttosto che pensare a<br />

vivere tranquillamente. Ragion per cui, ci sono tantissime persone, che<br />

soffrono di gravi depressioni, ma che girano con l’abito firmato dallo<br />

stilista più famoso.<br />

Pesanti fraintendimenti possono infatti riguardare proprio i concetti di<br />

identità e di appartenenza che non sono univoci e immobili come<br />

troppi li intendono, ma che vanno innanzitutto distinti e messi in<br />

relazione coi loro diversi raggi.<br />

Ognuno di noi possiede una propria identità personale ma nel<br />

frattempo convive con identità collettive che appartengono a lui e ad<br />

altri esseri umani.<br />

Le nostre identità, sono in continua mutazione, e quindi non sono<br />

inamovibili e fisse né a livello personale, ne a livello collettivo,<br />

cambiano con il tempo e attraverso le situazioni che dobbiamo<br />

affrontare ogni giorno.<br />

Penso che per spiegare meglio in concetto di cambiamento di identità<br />

della persona mi faccio aiutare da una metafora.<br />

Prendiamo un albero e asserviamo lo da vicino, dividiamolo in tutte le<br />

sue parti per poter osservare meglio il suo funzionamento.<br />

136


Figura 1 Schema dell'albero<br />

Alla base della pianta ci sono le radici che permettono all’albero di<br />

mantenersi retto e solido in piedi sulla terra. Le radici gli permettono<br />

anche di ricevere il nutrimento necessario per mantenere in buono<br />

stato le sue funzioni vitali.<br />

Le radici, metaforicamente parlando, rappresentano i nostri valori<br />

personali immutabili, le basi della nostra personalità, le nostre<br />

sicurezze interiori, gli insegnamenti che fin da piccini ci hanno sempre<br />

insegnato i nostri genitori o parenti. Sono quei principi saldi nella<br />

nostra identità che possono migliorare ma non mutare completamente<br />

e ci permettono di sostenere la nostra vita, le nostre scelte; noi<br />

prendiamo le decisioni quotidiane in base alle nostre radici di sapere,<br />

in base ai nostri valori, che ci rendono stabili nel tempo.<br />

137


Subito sopra le radici inizia il tronco, colui che regge la pianta, dalla<br />

sua grossezza, si determina la maestosità e la vitalità dell’albero. Sotto<br />

la corteccia, corre la ninfa, la sostanza che dà energia e che permette<br />

alla pianta di crescere.<br />

Il tronco rappresenta le nostre esperienze, il nostro vissuto quotidiano<br />

che ci troviamo ad affrontare in ogni momento.<br />

Le decisioni che prendiamo nella nostra vita, vengono determinate<br />

dalle radici, dai nostri valori e le conseguenze delle nostre azioni<br />

possiamo identificarle nelle fronde.<br />

La chioma della pianta cambia sempre, a volte è carica di foglie, dopo<br />

alcuni mesi è spoglia ma arriva a dare anche dei frutti<br />

I cambiamenti della fronde illustrano quelli della nostra vita,<br />

rappresentano i mutamenti che la nostra identità consegue dopo tutte<br />

le esperienze che vive.<br />

Penso che l’immagine dell’albero rappresenti molto bene l’idea di<br />

cambiamento e la complessità dell’identità. Ognuno di noi è un albero,<br />

tutti siamo diversi perchè non esistono due piante completamente<br />

uguali, ma abbiamo caratteristiche che ci accomunano, che ci rendono<br />

simili.<br />

«Recuperiamo pure le radici, ma ricordiamo che sopra di esse c’è un<br />

tronco e ci sono delle fronde che vivono, crescono e danno frutti,<br />

cambiando continuamente l’immagine e l’identità complessiva del<br />

nostro albero comune.» 56<br />

Un’ulteriore considerazione non trascurabile deriva dal fatto che con<br />

ogni probabilità l’origine umana sia da collocare in Africa, i nostri<br />

antenati avevano la pelle scura ed erano sicuramente degli indigeni.<br />

Oggi noi, non trattiamo gli stranieri, chi ha la pelle di un altro colore<br />

come nostri fratelli, come nostri simili ma, anzi, cerchiamo di<br />

allontanarceli per non essere contaminati da una qualche malattia che,<br />

possono attaccarci, dalla loro terra natale,.<br />

56 Ibid. p.110<br />

138


«Conoscere le radici di atteggiamenti, culture e tradizioni, induce a<br />

individuarne i motivi e di conseguenza a favorire il rispetto delle<br />

diversità e rilevare le conformità di fondo e l’esigenza di partecipare<br />

attivamente ai grandi e ineluttabili fenomeni trasversali e comuni.» 57<br />

Dovremmo riflettere molto accuratamente e pensare che in fondo,<br />

anche se abbiamo delle caratteristiche diverse, facciamo tutti parte<br />

della natura umana e nessuna persona può ritenere la propria identità<br />

migliore di un’altra.<br />

57 Ibid.<br />

139


140


Conclusioni<br />

All’interno della nostra società, sono in elevato aumento le presenze<br />

straniere che cercano nel nostro territorio una via di fuga da guerre o<br />

da situazioni di miseria. Gli stranieri, sono caricati di stereotipi e<br />

pregiudizi che alimentano il distacco delle persone e rendono<br />

l’accoglienza e il confronto una possibilità lontana e oscura.<br />

Questa strada, delineata dall’egoismo e dalla non curanza degli altri, è<br />

sbagliata ma invece cercare di accogliere tutti gli uomini in spirito di<br />

fratellanza porta alla pace sia interiore e sia umana.<br />

Partendo per un viaggio come missionaria ho scoperto che conoscere<br />

le altre culture aiuta a comprendere i comportamenti delle persone.<br />

Come noi italiani, anche chi proviene da altre terre straniere ha delle<br />

tradizioni e degli ideali che vorrebbe sempre difendere e mantenere.<br />

Il sapere delle culture deve uscire liberamente dalle persone. Un po’<br />

come l’identità anche la cultura è unica per ogni persona perché è<br />

creata dalla storia personale di ognuno.<br />

È vero che esistono saperi collettivi che racchiudono gli uomini in<br />

grandi gruppi, ma non dimentichiamo che dalle singole persone<br />

sfociano storie diverse e che ognuno ha un vissuto unico ed<br />

insostituibile.<br />

All’interno della mia storia è possibile rivivere un’esperienza<br />

caratterizzata completamente dall’accoglienza; parlare di saluti, di<br />

sorrisi e di abbracci, sembra una realtà così diversa da noi, e invece<br />

basterebbe guardare la storia che ci precede per accorgerci che i nostri<br />

nonni quando si trovavano nelle piazze erano tutti amici.<br />

Se il mondo va in questa direzione, verso una via piena di odio e di<br />

indifferenza nei confronti degli altri, non è detto che noi non possiamo<br />

cambiare il susseguirsi degli eventi. Anche nel nostro piccolo ci<br />

dobbiamo ricordare che la storia siamo noi.<br />

141


Siamo proprio noi a fare la storia; quella che leggiamo sui libri è<br />

storiografia perché sono un susseguirsi di fatti e di vicissitudini che<br />

sono riguardate e riscritte dagli autori dei testi.<br />

Il testo di questa canzone è molto significativo, e, averlo incontrato<br />

sopra un libro, come tutte le citazioni che sono sparse nella tesi, mi ha<br />

dato la possibilità di riflettere.<br />

La storia siamo noi, nessuno si senta offeso,<br />

siamo noi questo prato di aghi sotto il cielo.<br />

La storia siamo noi, attenzione, nessuno si senta escluso.<br />

La storia siamo noi, siamo noi queste onde del mare,<br />

questo rumore che rompe il silenzio,<br />

questo silenzio così duro da raccontare.<br />

E poi ti dicono “Tutti sono uguali<br />

Tutti rubano alla stessa maniera”.<br />

Ma è solo un modo per convincerti a restare chiuso dentro casa<br />

Quando viene la sera.<br />

Però la storia non si ferma davvero davanti a un portone,<br />

la storia entra dentro le stanze e le brucia,<br />

la storia dà torto e dà ragione.<br />

La storia siamo noi, siamo noi che scriviamo le lettere,<br />

siamo noi che abbiamo tutto da vincere, tutto da perdere.<br />

E poi la gente, ( perché è la gente che fa la storia)<br />

Quando si tratta di scegliere e di andare,<br />

te la ritrovi tutta con gli occhi aperti,<br />

che sanno benissimo cosa fare.<br />

Quelli che hanno letto milioni di libri<br />

E quelli che non sanno nemmeno parlare,<br />

ed è per questo che la storia dà i brividi,<br />

perché nessuno la può fermare.<br />

142


La storia siamo noi, siamo noi padri e figli,siamo noi, bella ciao,che<br />

partiamo.<br />

La storia non ha nascondigli,<br />

la storia non passa la mano.<br />

La storia siamo noi, siamo noi questo piatto di grano.<br />

143<br />

Francesco De Gregari<br />

Ogni persona che vive fa la storia. Per questo motivo affermo che noi,<br />

con anche i nostri gesti semplici e quotidiani possiamo cambiare la<br />

nostra società e renderla migliore.<br />

“Anche la persona più piccola può cambiare il corso del futuro”<br />

Anonimo<br />

L’errore più grave che possiamo fare è quello di sentirci inutili nella<br />

nostra vita. Ogni persona, ogni cosa è creata per vivere e fare storia.<br />

La più grande difficoltà in campo educativo è quella di lasciare che i<br />

bambini abbiamo e riescano a far uscire le loro doti, i loro saperi senza<br />

limitazioni e condizionamenti.<br />

Durante le attività devono essere lasciati completamente liberi di<br />

esprimere le loro idee e le loro emozioni senza che nessun adulto<br />

interferisca nelle creazioni.<br />

Lasciamo che le persone riescano a scrivere la storia di proprio pugno,<br />

specialmente i bambini che hanno appena iniziato a sperimentare e a<br />

vivere.<br />

La nostra storia, la nostra vita può essere solo migliorata e accresciuta<br />

dall’incontro con le altre persone, com’è successo per me nel mio<br />

viaggio e come vi avevo promesso nelle prime righe della tesi ora<br />

cercherò di fare coesistere in un unico pensiero le tre parole che danno<br />

vita all’accoglienza: Incontro, Dialogo e Diverso.


Nella vita incontriamo tantissime persone, tutte diverse, con una<br />

propria identità ed una propria personalità; è proprio attraverso il<br />

dialogo con l’altro che riusciamo a conoscere la sua storia e a<br />

comprendere la sua cultura che confrontata con la nostra ci permette<br />

di crescere e di diventare migliori.<br />

144


Bibliografia<br />

A. GENOVESE, Per una pedagogia interculturale, dalla stereotipia<br />

dei pregiudizi all’impegno dell’incontro, Bononia University Press,<br />

Bologna 2003.<br />

I. BOLOGNESI, A. DI RIENZO Io non sono proprio uno straniero.<br />

Dalle parole dei bambini alla progettualità interculturale,<br />

Franco<strong>Angeli</strong>, Milano 2007.<br />

B. M. MAZZARA Stereotipi e pregiudizi. Accettare luoghi comuni,<br />

conoscenze non verificate, giudizi preconfezionati: un’economia della<br />

mente che diventa un’avarizia del cuore. Bologna 1997.<br />

P. D’IGNAZI, Educazione e comunicazione interculturale, Carocci,<br />

Roma 2005.<br />

I. BOLOGNESI, A. DI RIENZO Di cultura in cultura: esperienze e<br />

percorsi interculturali nei nidi d’infanzia, Franco<strong>Angeli</strong> ,Milano<br />

2006.<br />

G. SPELTINI, Minori, disagio e aiuto psicosociale, Il Mulino,<br />

Bologna 2005.<br />

M. R. VITTORI Famiglia e intercultura. Quaderni dell’intercultura<br />

n. 25, Editrice missionaria italiana, Bologna 2003.<br />

145


GIOVANNI PAOLO II, Redemptoris missino, lettera enciclica circa<br />

la validità del mandato missionario,Paoline, 2003.<br />

R. DONDARINI, L’albero del tempo, Motivazioni, metodi e tecniche<br />

per apprendere e insegnare la storia, Patron Editore,Bologna 2007.<br />

R. DONDARINI, Le radici e le ali. Sulle tracce della nostra storia.<br />

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146


Sitografia<br />

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-caritas-migrantes-rapporto.shtml<br />

http://it.wikipedia.org/wiki/Internet<br />

http://it.wikipedia.org/wiki/emigrazione_ italiana<br />

http://www.magdiallam.it/node/5648<br />

http://www.clandestinoweb.com/number-news/scuola-sono-pi-di-500-<br />

mila-gli-studenti-stranieri-in-i.html<br />

http://www.kolbemission.org/flex/cm/pages/ServeBLOB.php/L/IT/IDP<br />

agina/31<br />

http://it.wikipedia.org/wiki/Bolivia<br />

http://www.kolbemission.org/flex/cm/pages/ServeBLOB.php/L/IT/IDP<br />

agina/145<br />

147

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