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Don’t ask, don’t tell<br />
La visibilità è, dunque, ciò che non viene riconosciuto ai militari<br />
omosessuali americani. Pensare alla politica (o meglio, polizia)<br />
del “don’t ask, don’t tell” espressa nel codice militare<br />
statunitense, non è esattamente il tema di cui mi voglio occupare<br />
qui, ma mi permette di mettere in moto un dispositivo<br />
per pensare il problema della rappresentazione delle identità<br />
altre, delle identità invertite o pervertite, lasciando lo spazio a<br />
domande banali (ma legittime) come: “Perché mai i gay e le<br />
lesbiche dovrebbero mostrare pubblicamente la loro omosessualità<br />
se viene permesso loro di arruolarsi?” Che può voler<br />
dire anche: “Gli omosessuali non sono diversi, ma sono uguali<br />
agli eterosessuali. Perché mai un etero nei Marines dovrebbe<br />
dirci con chi va a letto? Che c’entra?!”<br />
Come dare torto alla sincerità di queste domande? Ma come<br />
dargli ragione…?! Il 26 giugno 1964 la rivista «Life» pubblicava<br />
un servizio sull’omosessualità in America, illustrato con<br />
tutta una serie di fotografie che catalogavano degli indizi di<br />
“flagrante omosessualità”: pantaloni stretti, scarpe da ginnastica<br />
e maglioncini a sbuffo.<br />
di Francesco Ventrella<br />
Nel 1993, durante la campagna elettorale, Bill Clinton venne pressato a proposito della questione dei costumi sessuali nelle forze<br />
armate americane. Il futuro presidente si impegnava contro la discriminazione nei confronti di gay, lesbiche e bisessuali in divisa,<br />
sostenendo che tali “costumi” non rappresentavano un limite del servizio alla nazione. Dopo aver formato il governo, Colin<br />
Powell scrive un aggiornamento a riguardo: “L’orientamento sessuale non sarà uno sbarramento al servizio, fino a quando non<br />
venga manifestato in una condotta omosessuale. Il comando militare congederà i componenti che intrattengano una condotta<br />
omosessuale, che è definita dall’ atto omosessuale, dalla dichiarazione di omosessualità o bisessualità da parte di un membro, o dal<br />
matrimonio o tentativo di matrimonio con una persona dello stesso sesso”. La retorica del politically correct ci dice praticamente<br />
che gay, lesbiche e bisessuali sono ammessi al servizio militare, ammesso che questo non venga dichiarato pubblicamente.<br />
Mentre i mass-media codificavano i gay, questi ultimi decodificavano il messaggio subendone le identificazioni.<br />
Il territorio del genere è complicato proprio perché non è affatto intimo, ma si gioca sulla negoziazione<br />
tra la sfera pubblica (come ci rappresentano) e lo spazio privato (come ci rappresentiamo).<br />
Riformuliamo la domanda: perché un Marine dovrebbe vedersi negato il desiderio di rappresentare<br />
in pubblico la propria vita privata? Finora ho solo una risposta parziale: gay o lesbica, un Marine è<br />
1964<br />
comunque un guerrafondaio. Ma ho solo due pagine e non devo perdere il filo. Come riconoscete voi<br />
un gay per strada? Sculetta? C’ha la pluma alla mano, come dicono gli spagnoli? E una lesbica? Veste<br />
June 26<br />
sempre sportivo e XXL? Non si depila le ascelle? E un/a bisessuale? Ecco, forse questa la risolvo, grazie<br />
alla geniale domanda che una volta Linda, una mia amica di Copenhagen, fece a se stessa: “In quale<br />
momento sono bisessuale, se quando vado a letto con una donna sono lesbica, e quando vado a letto<br />
con un uomo sono etero?”<br />
magazine”,<br />
I più fantasiosi avranno già complicato la domanda pensando ad una roba a tre, ma anche questo, per<br />
“Life<br />
ora, lasciamolo fuori dal discorso, che ha a che fare con il “desiderio di rappresentare il genere”. da<br />
Proviamo a farci raccontare la<br />
storia di un ragazzino da David<br />
Wojnarowicz:<br />
David Wojnarowicz, Untitled, 1990.