IL DIRITTO FALLIMENTARE - Shop

Annata LXXXVI Gennaio-Febbraio 2011 N. 1
dir. fall.
RIVISTA BIMESTRALE DI DOTTRINA E GIURISPRUDENZA
già diretta da ITALO DE PICCOLI (1924-1940), RENZO PROVINCIALI (1941-1981),
ANGELO BONSIGNORI (1982-2000) e GIUSEPPE RAGUSA MAGGIORE (1982-2003)
DIREZIONE
Girolamo Bongiorno, Concetto Costa,
Massimo Di Lauro, Elena Frascaroli Santi, Lino Guglielmucci,
Bruno Inzitari, Giuseppe Terranova, Gustavo Visentini
CEDAM - CASA EDITRICE DOTT. ANTONIO MILANI - PADOVA - 2011
ISSN 0391-5239
Poste italiane s.p.a. - Spedizione in Abbonamento Postale - D.L. 353/2003 (conv. in L. 27/02/2004 nº 46) art. 1,
comma 1 - DCB Milano - Pubblicazione bimestrale - Con I.P.

RIVISTA BIMESTRALE DI DOTTRINA E GIURISPRUDENZA
già diretta da ITALO DE PICCOLI (1924-1940), RENZO PROVINCIALI (1941-1981),
ANGELO BONSIGNORI (1982-2000) e GIUSEPPE RAGUSA MAGGIORE (1982-2003)
DIREZIONE
Girolamo Bongiorno, Concetto Costa,
Massimo Di Lauro, Elena Frascaroli Santi, Lino Guglielmucci,
Bruno Inzitari, Giuseppe Terranova, Gustavo Visentini
VOLUME (LXXXVI) 2011
CEDAM - CASA EDITRICE DOTT. ANTONIO MILANI - PADOVA - 2011

SOMMARIO DEL PRESENTE FASCICOLO (1/2011)
Parte Prima
ARTICOLI, BIBLIOGRAFIA, LEGISLAZIONE, RASSEGNE
Gabriele Racugno, Concordato preventivo e accordi di ristrutturazione
dei debiti. Le novità introdotte dal d.l. 31 maggio
2010, n. 78 e dalla l. 30 luglio 2010, n. 122 ........................
Antonio Didone, Gli accordi di ristrutturazione dei debiti (art.
182-bis legge fallim.) (Presupposti, procedimento ed effetti della
Pag. 1
anticipazione delle misure protettive dell’impresa in crisi) ..... » 8
Gianfranco Peracin, Concordato preventivo e cessio bonorum
con classi: trattamento dei creditori privilegiati generali
e inquadramento giuridico del «vantaggio differenziale» ......
Alessandro Carducci Artenisio, Considerazioni critiche sul
» 38
comitato dei creditori .............................................................
OSSERVATORIO
Juana Pulgar Ezquerra, La prevenzione ed il trattamento
dell’insolvenza delle famiglie e dei consumatori nell’ordina-
» 56
mento spagnolo ...................................................................... » 75
Parte Seconda
GIURISPRUDENZA
Principali note ed osservazioni a sentenza
Francesco Cordopatri, La Corte costituzionale ritorna sul rapporto
fra tutela giurisdizionale dei diritti e adempimenti fiscali Pag. 1
Simonetta Ronco, L’appropriazione di fondi sociali costituisce
atto gestorio? .......................................................................... » 10
Giuseppe Fauceglia, Brevi considerazioni sui poteri del Tribunale
in tema di concordato preventivo .................................. » 18
Giulia Barlucchi, I creditori postergati ex art. 2467 cod. civ. nel piano
di concordato preventivo: offerta, collocazione, diritto di voto » 24
Maurizio Galardo, «Interesse di gruppo» e accordi di ristrutturazione
(il caso ‘‘Gabetti’’) .................................................. » 40
Il dir. fallim. - n. 1-2011

Michele Fatigato, Sulla responsabilità della società di revisione:
spunti minimi dal «caso» Parmalat ................................. Pag. 53
Filippo Murino, Note in tema di legittimazione ed interesse
dell’amministratore giudiziario ad agire e ad intervenire nel
giudizio di impugnazione della sentenza dichiarativa di fallimento
di società di capitali .................................................... » 93
Antonio Caiafa, Sulla contestata natura contenziosa del giudizio
di opposizione a stato passivo .......................................... » 106
Pietro Paolo Ferraro, Sulla responsabilità degli amministratori
di società a responsabilità limitata nei confronti dei creditori
sociali ............................................................................... » 113
Accordi di ristrutturazione dei debiti
Gruppo di società – Attività di direzione
e coordinamento – Relazione
dell’esperto – Relazione unitaria
per l’intero gruppo – Opportunità
– Sussistenza – Tribunale Milano,
17 giugno 2009, con nota di M.
Galardo .................................... 40
Amministrazione straordinaria
Responsabilità del revisore – Caso
‘‘Parmalat’’ – Tutela dell’investitore
– Obblighi informativi – Tribunale
Milano, 6 ottobre 2008, con
nota di M. Fatigato .................. 53
Concordato preventivo
Ammissione della domanda – Poteri
del tribunale – Valutazione di merito
del piano – Fattibilità – Esclusione
– Appello Roma, 18 settembre
2010, con nota di G. Fauceglia
.........................................
Voto favorevole dei creditori – Controllo
del tribunale – Assenza di
opposizioni – Verifica della regolarità
della procedura e dell’esito
delle operazioni – Appello Roma,
18 settembre 2010, con nota di
18
G. Fauceglia ............................ 18
Decreto di rigetto della omologazio-
Il dir. fallim. - n. 1-2011
Pag. Pag.
ne – Reclamo – Poteri della Corte
d’appello – Omologazione del
concordato – Appello Roma, 18
settembre 2010, con nota di G.
Fauceglia .................................. 18
Giudizio di omologazione – Classi di
creditori – Crediti per finanziamento
dei soci – Postergazione –
Derogabilità – Collocazione dei
soci finanziatori in autonoma classe
– Diritto di voto – Esclusione –
Tribunale Firenze, 19 aprile 2010,
con nota di G. Berlucchi ....... 24
Fallimento
Accertamento del passivo – Verbale
di conciliazione giudiziale – Insinuazione
al passivo fallimentare –
Previo assolvimento della tassa di
registrazione – Incostituzionalità
– Corte cost., 10 giugno 2010, n.
198, con nota di F. Cordopatri 1
Accertamento del passivo – Opposizione
allo stato passivo – Rito applicabile
– Natura contenziosa del
giudizio – Irrilevanza della scelta
del rito – Determinazione delle
competenze – Tariffa professionale
relativa ai giudizi – Tribunale
Roma,28giugno2010,connota
di A. Caiafa ............................. 106
Fallimento delle società – Opposizio-

ne a sentenza dichiarativa di fallimento
di società a responsabilità
limitata – Legittimazione ad agire
– Custode e amministratore giudiziario
di beni o quote – Qualità di
debitore – Esclusione – Qualità di
terzo interessato – Esclusione –
Tribunale Salerno, 8 marzo 2010,
con nota di F. Murino ............. 93
Fallimento delle società – Società in
accomandita semplice – Fallimento
– Estensione – Socio accomandan-
Pag. Pag.
te – Immistione – Prestazione di
garanzia – Ingerenza – Insussistenza–Cassazioneciv.,3giugno2010,
n. 13468, con nota di S. Ronco . 10
Fallimento delle società – Società di
capitali – Società a responsabilità
limitata – Amministratori – Responsabilità
– Azione di responsabilità
dei creditori sociali – Esclusione
– Tribunale Sant’Angelo
dei Lombardi, 3 novembre 2009,
con nota di P. Ferraro ............ 113
INDICE CRONOLOGICO DELLE SENTENZE (*)
2008
Ottobre
6 Tribunale Milano (*), in tema di
responsabilità del revisore contabile
.............................................. 53
2009
Giugno
17 Tribunale Milano (*), in tema di
accordi di ristrutturazione dei debiti
............................................... 40
Novembre
3 Tribunale Sant’Angelo dei Lombardi
(*), in tema di azione di responsabilità
degli amministratori
promossa dai creditori ............... 113
2010
Marzo
8 Tribunale Salerno (*), in tema di
Pag. Pag.
legittimazione ad opposizione a
dichiarazione di fallimento ........ 93
Aprile
19 Tribunale Firenze (*), in tema di
concordato preventivo, classi e finanziamenti
soci ......................... 24
Giugno
3 Cassazione civile, n. 13468 (*), in
tema di s.a.s. e fallimento dell’accomandante
................................ 10
10 Corte Cost., n. 198 (*), in tema di
insinuazione al passivo ............... 1
28 Tribunale Roma (*), in tema di
procedimento di opposizione a
stato passivo ............................... 106
Settembre
18 Appello Roma (*), in tema di
concordato preventivo ............... 18
(*) Le sentenze contrassegnate con un asterisco sono corredate di nota od osservazione
di autore; tutte le altre sono annotate dalla Redazione.
Il dir. fallim. - n. 1-2011

IL DIRITTO FALLIMENTARE
E DELLE SOCIETÀ COMMERCIALI
PARTE PRIMA

CONCORDATO PREVENTIVO E ACCORDI
DI RISTRUTTURAZIONE DEI DEBITI.
LE NOVITÀ INTRODOTTE DAL D.L. 31 MAGGIO 2010, N. 78
E DALLA L. 30 LUGLIO 2010, N. 122
di
Gabriele Racugno (*)
I
Le nuove disposizioni in tema di prededucibilità dei crediti nel concordato
preventivo e negli accordi di ristrutturazione dei debiti
1. La disciplina del concordato preventivo e degli accordi di ristrutturazione
dei debiti – codificata dal D.L. 14 marzo 2005, n. 35 (conv. con la L. 14
maggio 2005, n. 80) ed emendata dal decreto «correttivo» 12 settembre
2007, n. 169 ( 1 ) – ha subito una positiva evoluzione ad opera dell’art. 48,
D.L. 31 maggio 2010, n. 78 (conv. con la L. 30 luglio 2010, n. 122), che ha
innovato, in primo luogo, sulla disciplina generale della prededuzione dei crediti,
introducendo nella legge fallimentare l’art. 182-quater ( 2 ).
Questa norma, che garantisce la prededuzione per la nuova finanza, c.d.
«finanza a fini ristrutturativi» ( 3 ), nonché per i c.d. finanziamenti ponte, mi-
(*) Professore ordinario di Diritto commerciale all’Università di Cagliari.
( 1 ) Cfr. G. Racugno, inTrattato di diritto fallimentare diretto da V. Buonocore e A.
Bassi, I, Padova, 2010, pag. 470.
( 2 ) Per una prima panoramica delle novità introdotte dal d.l. 31 maggio 2010, n. 78 e
dalla l. 30 luglio 2010, n. 122, v. S. Ambrosini, inIl nuovo diritto fallimentare. Novità ed
esperienze applicative a cinque anni dalla riforma, Commentario sistematico diretto da A. Jorio
e M. Fabiani, Bologna, 2010, pag. 1168 seg. I difetti dell’intervento riformatore sono ben evidenziati
da A. Nigro, Manovra economica e legge fallimentare, inDir. banca e merc. fin.,
2010, pag. 123 seg.
( 3 ) Cfr. L. Quagliotti, I finanziamenti a fini ristrutturativi, inLe operazioni di finanziamento
alle imprese. Strumenti giuridici e prassi, a cura di I. Demuro, Torino, 2010, pag.
245.

2
Il diritto fallimentare e delle società commerciali - n. 1-2011
ra ad agevolare il superamento dello stato di crisi dell’impresa, riconoscendo
ad una serie qualificata di finanziamenti, nel rispetto dei requisiti di cui
si dirà in appresso, la prededuzione in caso di successivo fallimento dell’impresa
e quindi il soddisfacimento in preferenza con le somme ricavate dalla
liquidazione dell’attivo fallimentare.
La nuova norma rafforza quella tutela che la riforma della legge fallimentare
ha offerto, con l’esenzione da revocatoria (art. 67, comma 3, lett.
e), al rilascio di nuove garanzie in relazione a finanziamenti effettuati in esecuzione
di un concordato preventivo o di un accordo omologato. Protezione
questa ritenuta evidentemente inadeguata dal sistema creditizio ( 4 ).
La prededuzione ( 5 ), seppure con differenze di disciplina, assiste i finanziamenti
effettuati da:
– banche e intermediari finanziari abilitati;
– soci-capogruppo;
nonché i compensi spettanti ai:
– professionisti attestatori.
2. Per quanto concerne i finanziamenti effettuati da banche e da intermediari
finanziari deve precisarsi che presupposto perché questi ultimi possano
godere della prededuzione è l’iscrizione nell’«elenco generale» e/o nell’«elenco
speciale» di cui agli artt. 106-107 TUB (d.lgs. n. 385/1993): vale a
dire intermediari soggetti quantomeno ad una limitata vigilanza di tipo formale
a carattere informativo (art. 106), o piuttosto alla vigilanza prudenziale
della Banca d’Italia, cioè ad una serie di controlli assorbenti volti ad assicurare
stabilità ed efficienza al soggetto vigilato (art. 107).
Il legislatore distingue quindi, rispettivamente, al 1º ed al comma 2 dell’art.
182 quater:
a. i crediti derivanti da finanziamenti in qualsiasi forma effettuati in esecuzione
di un concordato preventivo, ovvero di un accordo di ristrutturazione
dei debiti omologato;
b. i crediti derivanti da finanziamenti effettuati in funzione della presentazione
della domanda di ammissione alla procedura di concordato preventivo
o della domanda di omologazione dell’accordo di ristrutturazione dei
debiti.
In questa prima ipotesi (a) la prededuzione presuppone che i finanziamenti
siano previsti nel «piano» posto a base della domanda di concordato
preventivo (art. 160) o dell’accordo di ristrutturazione (ed in
( 4 ) Così,M.Fabiani, L’ulteriore up-grade degli accordi di ristrutturazione e l’incentivo ai
finanziamenti nelle soluzioni concordatarie, inFall., 2010, pag. 904.
( 5 ) Che non trova, peraltro, applicazione ai piani di risanamento e di riequilibrio di cui
all’art. 67, comma 3, lett. d), con conseguente verosimile minor appetibilità di questo istituto.

Parte I - Dottrina 3
tal senso possono anche essere deliberati sub condicione), ed abbiano
quindi esecuzione in seguito all’omologa del concordato preventivo o degli
accordi di ristrutturazione. I programmati finanziamenti vanno a costituire
una componente essenziale del piano, che ne consentono l’attuazione
di guisa che la previsione degli stessi dovrà contenere altresì ogni
opportuno dettaglio circa i soggetti erogatori, i tempi di erogazione e i
tassi di interesse.
Nella seconda ipotesi (b) il legislatore ha sancito la prededuzione per i
finanziamenti volti a rendere possibile la presentazione della domanda di
ammissione al concordato preventivo o la domanda di omologazione dell’accordo
di ristrutturazione ( 6 ), ed il pensiero, quantomeno per la prima
ipotesi, va alle somme necessarie per il deposito di cui all’art. 163, comma
2, n. 4.
Ma di questo comma 2 dell’art. 182 quater è possibile un’interpretazione
estensiva di guisa da ricomprendere anche quei finanziamenti, c.d.
«finanziamenti ponte», necessari per il periodo che decorre dalla presentazione
della domanda di concordato all’omologa, periodo questo
che, considerati anche i tempi necessari, talvolta per il subingresso dell’eventuale
istruttoria ex art. 173, può prolungarsi sensibilmente, di guisa
che senza finanziamenti di supporto la procedura di concordato si
perfezionerebbe quando lo stato di crisi potrebbe non essere più recuperabile
( 7 ). A conferma dell’interpretazione estensiva proposta, può aggiungersi
che il comma 2 dell’art. 182 quater risulterebbe del tutto privo
di operatività, ove appunto non venisse letto estensivamente, con riferimento
agli accordi di ristrutturazione dei debiti, in relazione ai quali
non vi sono costi immediati «in funzione della presentazione della domanda».
In questa seconda ipotesi, peraltro, la prededuzione non è automatica
ma presuppone che «sia espressamente disposta nel provvedimento con
cui il tribunale accoglie la domanda di ammissione al concordato preventivo
ovvero l’accordo sia omologato».
Per quanto concerne il controllo giudiziale appena menzionato, appare
diverso il ruolo del tribunale, dovendo ritenersi che, circa i finanziamenti in
( 6 ) Vale a dire in funzione dei procedimenti, piuttosto che in esecuzione.
( 7 ) Si pensi ad uno stabilimento industriale dotato di impianti che debbono rimanere
perennemente «accesi», pena l’irreversibile futura inutilizzabilità. Ebbene, ove siffatta impresa
dovesse presentare domanda di concordato preventivo e non disporre nelle more dell’omologa
dei finanziamenti indispensabili per mantenere in vita gli impianti, il concordato
non avrebbe alcuna possibilità di essere portato avanti. La norma è sostanzialmente volta alla
possibilità di conseguimento di finanza-ponte destinata ad assicurare, in genere, la continuità
aziendale.

4
Il diritto fallimentare e delle società commerciali - n. 1-2011
funzione di un concordato, il tribunale abbia facoltà di entrare nel merito
del finanziamento e, quindi, della sua funzionalità alla procedura; mentre,
per quanto concerne gli accordi di ristrutturazione, deve ritenersi, come
già sièdetto ( 8 ), che i poteri del tribunale si estendono anche al profilo
del merito, soltanto in caso di opposizione dei creditori.
In ogni caso, la prededuzione, una volta che sia stata disposta dal tribunale,
non può essere inficiata da successivi sviluppi, in negativo, del concordato
o dell’accordo.
3. Per quanto concerne i finanziamenti effettuati dai soci o dalla capogruppo,
come pure da altri soggetti ad essa sottoposti, il comma 3 dell’art.
182 quater introduce una drastica deroga alle rigorose disposizioni
volte, secondo la riforma del diritto societario del 2003 (d.lgs. 17 gennaio
2003, n. 6), ad una riqualificazione in apporti dei finanziamenti effettuati
dai soci (art. 2467 cod. civ.) e da chi esercita attività i direzione e coordinamento
(art. 2497 quinquies cod. civ.), in presenza i) di un eccessivo
squilibrio dell’indebitamento rispetto al patrimonio, oppure ii) in una situazione
finanziaria della società nella quale sarebbe stato ragionevole un
conferimento ( 9 ).
È evidente che in assenza di una disposizione come quella contenuta nel
comma 3 dell’art. 182 quater, i soci o la capogruppo ben si guarderebbero
dall’effettuare finanziamenti alla società in stato di crisi in funzione di un
concordato preventivo come pure di un accordo di ristrutturazione, ante
omologazione. Detti finanziamenti, secondo la previgente disciplina, in caso
di successivo fallimento sarebbero stati destinati ad una collocazione postergata
rispetto alla soddisfazione degli altri creditori, dopo i prededucibili,
i privilegiati e i chirografari.
La deroga concerne peraltro i finanziamenti effettuati dai soci limitatamente
all’ottanta per cento del loro ammontare, continuando a trovare applicazione,
per il residuo venti per cento, la disciplina riqualificativa dettata
dal codice civile, con conseguente postergazione di questa porzione del credito.
4. Per quanto concerne i crediti dei professionisti, la prededuzione concerne
unicamente i compensi di quanti sono incaricati di predisporre la relazione
di cui al comma 3 dell’art. 161, concernente la veridicità dei dati
( 8 ) G. Racugno, op. cit., pag. 555.
( 9 ) Sulla fattispecie di cui al comma 2 dell’art. 2467 e sugli indici in genere di anomalia
dei finanziamenti, v., ora, per tutti, G. Zanarone, Della società a responsabilità limitata, inIl
codice civile. Commentario, fondato da P. Schlensinger, diretto da F.D. Busnelli, Milano,
2010, pag. 439.

Parte I - Dottrina 5
aziendali e la fattibilità del piano di concordato preventivo, ed al comma 1
dell’art. 182 bis, relativamente all’attuabilità dell’accordo di ristrutturazione
ed in particolare alla sua idoneità ad assicurare il regolare pagamento dei
creditori esterni all’accordo. Al pari di quanto previsto per i finanziamenti
di cui al par. 2 che precede (sub b), è necessario che la prededuzione del
compenso professionale sia espressamente disposta nel provvedimento ( 10 )
con cui il tribunale accoglie la domanda di ammissione al concordato preventivo
ovvero l’accordo sia omologato.
Il credito passa così dal ruolo di privilegiato (art. 2751 bis, n. 2) a quello
di prededucibile.
5. La prededuzione, secondo quanto stabilisce l’art. 111 – espressamente
richiamata dal comma 1 dell’art. 182 quater - pone i creditori che ne beneficiano
al primo posto nella erogazione delle somme ricavate dalla liquidazione
fallimentare, con applicazione della disciplina ad hoc prevista dall’art.
111 bis.
6. La prededuzione comporta, per i crediti indicati al secondo, terzo e
comma 4 dell’art. 184 bis, l’esclusione dal voto e dal computo delle maggioranze
per l’approvazione del concordato di cui all’art. 177 e dal computo
della percentuale dei creditori prevista all’art. 182 bis, primoecomma
6.
II
Le nuove disposizioni peculiari agli accordi di ristrutturazione dei debiti.
L’art. 182 bis, sempre ad opera della richiamata L. 30 luglio 2010, n.
122, ha visto incrementato il proprio dettato di tre nuovi commi (sesto,
settimoeottavo),cheintegranoladisciplina degli accordi di ristrutturazione
già esaminata( 11 ), allargando la protezione del patrimonio dell’imprenditore
ancor prima della pubblicazione dell’accordo nel registro delle
imprese.
Le nuove norme prevedono che il divieto di iniziare o proseguire azioni
cautelari o esecutive per i creditori aventi causa anteriore, già prevista per
un periodo di sessanta giorni dalla data di pubblicazione nel registro delle
imprese dell’accordo di ristrutturazione, possa esser richiesto dall’imprendi-
( 10 ) È da condividersi l’opinione secondo cui «il controllo preliminare del tribunale sia
soltanto di mera legittimità, così da tradursi in un riscontro del fatto che quella attestazione è
stata effettivamente funzionale all’ammissione al concordato»: M. Fabiani, op. cit., pag. 906.
( 11 ) G. Racugno, op. cit., pag. 545 seg.

6
Il diritto fallimentare e delle società commerciali - n. 1-2011
tore anche durante le trattative volte alla definizione dell’accordo di ristrutturazione,
prima della sua formalizzazione, onde evitare aggressioni da parte
dei creditori, non solo con azioni esecutive e cautelari ma anche mediante
acquisizione di titoli di prelazione ( 12 ) (sostanzialmente ipoteche giudiziali)
( 13 ).
A tal fine l’imprenditore dovrà depositare presso il tribunale del luogo
dove ha la sede principale dell’impresa ( 14 ) la documentazione di cui all’art.
161, primo e secondo comma, e una proposta di accordo corredata da una
dichiarazione dell’imprenditore, avente valore di autocertificazione, attestante
che sulla proposta sono in corso trattative con i creditori che rappresentano
almeno il sessanta per cento dei crediti, e da una dichiarazione del
professionista avente i requisiti di cui all’art. 67, comma 3, lettera d), circa la
idoneità della proposta, se accettata, ad assicurare il regolare pagamento dei
creditori con i quali non sono in corso trattative o che hanno comunque negato
la propria disponibilità a trattare.
Dispone quindi la nuova legge n. 122/2010 che l’istanza di sospensione
di cui al presente comma è pubblicata nel registro delle imprese e produce
l’effetto del divieto di inizio o prosecuzione delle azioni esecutive e cautelari,
nonché del divieto di acquisire titoli di prelazione, se non concordati, dalla
pubblicazione.
La pubblicazione dell’istanza produce così un istantaneo ed immediato
effetto protettivo del patrimonio dell’impresa fin dalla fase della negoziazione
dell’accordo per la durata di sessanta giorni (art. 182 bis, comma 6, che
richiama il comma 3).
Il tribunale, verificata la completezza della documentazione ( 15 ) depositata,
fissa con decreto l’udienza entro il termine di trenta giorni dal deposito
dell’istanza di sospensione, disponendo la comunicazione ai creditori della
documentazione stessa. Nel corso dell’udienza, riscontrata la sussistenza dei
presupposti ( 16 ) per pervenire a un accordo di ristrutturazione dei debiti
( 12 ) Precedentemente a quest’ultima riforma, negli accordi di ristrutturazione (a differenza
da quanto stabilito dall’ultimo comma dell’art. 168 sul concordato preventivo), non
era ricompreso il divieto di acquisizione di titoli di prelazione da parte dei creditori.
( 13 ) Rimane naturalmente ferma la possibilità per l’imprenditore di concedere ipoteche
volontarie.
( 14 ) Con la precisazione che il trasferimento della sede intervenuto nell’anno antecedente
non rileva ai fini della competenza. In tal modo il legislatore ha allineato il foro competente
secondo quanto già previsto per il concordato preventivo (art. 161, comma 1): norma quest’ultima
che non trovava applicazione, fino alla riforma de qua, come già sièdetto: G. Racugno,
op. cit., pag. 552, nt. 344.
( 15 ) Dalla ratio della norma può desumersi, a contrariis, che se la documentazione non è
completa, il tribunale debba procedere per la rimozione degli effetti inibitori della pubblicazione
dell’istanza di sospensione.
( 16 ) Quindi, sempre ragionando a contrariis, ove la verifica del tribunale dia esito nega-

Parte I - Dottrina 7
con le maggioranze di cui al comma 1 dell’art. 182 bis e delle condizioni per
il regolare pagamento dei creditori con i quali non sono in corso trattative o
che hanno comunque negato la propria disponibilità trattare, dispone con
decreto motivato il divieto di iniziare o proseguire le azioni cautelari o esecutive
e di acquisire titoli di prelazione se non concordati, assegnando il termine
di non oltre sessanta giorni per il deposito dell’accordo di ristrutturazione
e della relazione redatta dal professionista a norma del comma 1 dell’art.
182 bis. Il decreto è reclamabile ( 17 ) alla Corte d’appello nel termine di
quindici giorni dalla sua pubblicazione nel registro delle imprese.
A seguito del deposito dell’accordo di ristrutturazione dei debiti nei termini
assegnati dal tribunale trovano applicazione le disposizioni di cui al secondo,
terzo, quarto e comma 5 dell’art. 182 bis ( 18 ).
tivo, lo stesso procederà alla rimozione ex tunc degli effetti inibitori derivanti dalla pubblicazione
dell’istanza di sospensione.
( 17 ) Sia nell’ipotesi di accoglimento, come pure in caso di rigetto (Corte Cost., 23 giugno
1994, n. 253, in Fall., 1994, pag. 1111). Il rigetto non dovrebbe comunque precludere la possibilità
di riproposizione dell’istanza di sospensione.
( 18 ) Già esaminato nel Trattato, cit., sub nt. 1.

GLI ACCORDI DI RISTRUTTURAZIONE DEI DEBITI
(ART. 182-BIS LEGGE FALLIM.) (*)
(PRESUPPOSTI, PROCEDIMENTO ED EFFETTI
DELLA ANTICIPAZIONE DELLE MISURE PROTETTIVE
DELL’IMPRESA IN CRISI) ( 1 )
di
Antonio Didone (**)
Sommario: 1.1. L’originario art. 182 bis legge fallim. – 1.2. Le modifiche del c.d. «correttivo». –
1.3. La novella del 2010. – 2.1. Nuovi e vecchi effetti protettivi. – 2.2. Conseguenze sulla natura
del procedimento. – 3.1. Contenuto degli accordi. – 3.2. Forma della domanda. – 3.3. Il
procedimento di omologazione. – 4.1. Anticipazione delle misure di protezione. – 4.2. Il procedimento.
– 4.3. Natura. – 4.3.1. Il divieto di acquisire titoli di prelazione. – 4.4. Sanzioni per
la violazione del divieto. – 4.5. Rapporti tra domanda di anticipazione e istanza di fallimento. –
4.6. Le impugnazioni e la provvisoria esecutività. – 5. Note conclusive.
1.1. L’imprenditore in stato di crisi può domandare, depositando la documentazione
richiesta dall’articolo 161 legge fallim. per il concordato preventivo,
l’omologazione di un accordo di ristrutturazione dei debiti stipulato
con i creditori rappresentanti almeno il sessanta per cento dei crediti. ( 1 )
(*) Relazione svolta al Convegno «La ristrutturazione dei debiti civili e commerciali»,
Lanciano, 26 e 27 novembre 2010, Auditorium «Gennaro Paone» Banca di Lanciano
e Sulmona soc. per az.
(**) Magistrato.
( 1 ) La bibliografia sugli accordi di ristrutturazione è così ampia (e inversamente proporzionale
alla diffusione – finora – dell’istituto nella pratica) che non è possibile una esaustiva
elencazione di essa alla luce dei limiti di queste poche pagine. Per una esauriente rassegna
bibliografica relativa all’istituto vigente prima delle modifiche introdotte con la l. n. 122/
2010 cfr. Frascaroli Santi, Gli accordi di ristrutturazione dei debiti, Un nuovo procedimento
concorsuale, Padova, 2009; Falcone, Gli accordi di ristrutturazione, in AA.VV., Le riforme
della legge fallimentare a cura di Didone, Torino, UTET, 2009, II, 1957 seg.; Fabiani, Accordi
di ristrutturazione, ruolo del giudice e processo per fallimento, inFallimento, 2010,
195 seg.; Racugno e Pagni, Concordato preventivo, accordi di ristrutturazione e transazione
fiscale, in AA.VV., Trattato di diritto fallimentare a cura di Buonocore e Bassi, Padova, 2010,

Parte I - Dottrina 9
L’accordo deve essere idoneo ad assicurare il regolare pagamento dei
creditori estranei all’accordo stesso e l’attuabilità di esso, con particolare riferimento
alla predetta idoneità di soddisfacimento degli estranei deve essere
attestata da una relazione redatta da un professionista iscritto nel registro
dei revisori contabili e che abbia i requisiti richiesti dall’art. 28, lettere a) e
b), legge fallim. per la nomina a curatore fallimentare ( 2 ).
La domanda si propone con ricorso, sottoscritto dal debitore, al tribunale
competente ai sensi dell’art. 9 legge fallim. e, unitamente alla cennata
relazione del professionista circa l’attuabilità dell’accordo, al ricorso debbono
essere allegati: a) una aggiornata relazione sulla situazione patrimoniale,
469 seg.; Rovelli, I nuovi assetti privatistici nel diritto societario e concorsuale e la tutela creditoria,inFallimento,
2009, 1029 seg.; Zanichelli, I concordati giudiziali, Torino, 2010, 599
segg. Sugli aspetti di diritto sostanziale cfr. Roppo, Profili strutturali e funzionali dei contratti
«di salvataggio» (o di ristrutturazione dei debiti d’impresa), inDir. Fall., 2008, I, 373 segg. Per
una rapida rassegna di giurisprudenza cfr. Ambrosini, Gli accordi di ristrutturazione nella
più recente giurisprudenza romana e milanese, in www.ilcaso.it, n. 180/2009; Boggio, Gli accordi
di ristrutturazione: il primo «tagliando» a tre anni dal «decreto competitività»,inBanca,
borsa, tit. cred., 2009, I, 77.
Sulla disciplina risultante dalla novella del 2010 cfr. Ambrosini, Appunti «flash» sull’art.
182-quater della legge fallimentare, in www.ilcaso.it, 15 giugno 2010, doc. n. 204 (relativo al
solo decreto legge); Bonfatti, Le procedure di composizione negoziale delle crisi d’impresa:
opportunità e responsabilità, relazione svolta al Convegno Nazionale di Reggio Emilia, 8 ottobre
2010, Il sostegno finanziario dell’impresa nelle procedure di composizione negoziale delle
crisi, in www.ilcaso.it; Costa, Esenzione dall’azione revocatoria e prededuzione nelle procedure
stragiudiziali di risanamento delle imprese, inDir. Fall., 2010, 532 seg.; D’Amora, La nuova
prededuzione, Relazione svolta al Convegno organizzato dall’OCI, Le ricerche sulle prassi giudiziarie
e le caratteristiche delle imprese: l’istruttoria prefallimentare e lo stato passivo, Bari 8-9
ottobre 2010, in www.osservatorio-oci.org; Fabiani, L’ulteriore up-grade degli accordi di ristrutturazione
e l’incentivo ai finanziamenti nelle soluzioni concordate, inFallimento, 2010,
898 seg.; Lo Cascio, Finanziamenti alle imprese in crisi: nuove garanzie alle banche, inCorr.
Giur., 2010, 1265; Gio. Tarzia, La nuova tutela del debitore e dei finanziatori negli strumenti
di prevenzione del fallimento, inDir. Fall., 2010, 543 seg.; Zanichelli, Gli accordi di ristrutturazione
dei debiti, Relazione svolta a Rovigo il 29 giugno 2010, incontro organizzato dall’Ass.
Dottori Comm. Esperti Contabili delle Tre Venezie.
( 2 ) L’art. 182 bis fa riferimento ad un professionista in possesso dei requisiti di cui all’articolo
67, comma 3, lettera d). Tale disposizione, però, rinvia ulteriormente all’art. 28, lett.
a e b, legge fallim. Pertanto si tratta degli avvocati, dottori commercialisti, ragionieri e ragionieri
commercialisti nonché gli studi professionali associati o società tra professionisti, sempre
che i soci delle stesse abbiano i requisiti professionali di cui alla lettera a). In tale caso, all’atto
dell’accettazione dell’incarico, deve essere designata la persona fisica responsabile della procedura.
Va evidenziato pure che la norma richiama l’art. 67, comma 3, lett. d) legge fallim. nel
quale è contenuto un incomprensibile richiamo all’art. 2501-bis, comma 4, cod. civ. («ai sensi
dell’articolo 2501-bis, comma 4, del codice civile»). Secondo Roppo, op. cit., 368, l’attestazione
di ragionevolezza deve essere modellata «sulla relazione di esperti che deve accompagnare
il progetto di fusione ex art. 2501 bis, comma 4, cod. civ.».
Sarebbe stato auspicabile qualche rinvio in meno.

10
Il diritto fallimentare e delle società commerciali - n. 1-2011
economica e finanziaria dell’impresa; b) uno stato analitico ed estimativo
delle attività e l’elenco nominativo dei creditori, con l’indicazione dei rispettivi
crediti e delle cause di prelazione; c) l’elenco dei titolari dei diritti reali o
personali su beni di proprietà o in possesso del debitore; d) il valore dei beni
e i creditori particolari degli eventuali soci illimitatamente responsabili.
L’accordo è pubblicato nel registro delle imprese e acquista efficacia dal
giorno della sua pubblicazione, producendo quale effetto, dal momento
della pubblicazione (deposito) e per i sessanta giorni successivi, il divieto
per i creditori per titolo e causa anteriore alla predetta data di iniziare o
proseguire azioni cautelari o esecutive sul patrimonio del debitore, con l’ulteriore
conseguenza che le prescrizioni che sarebbero state interrotte dagli
atti predetti rimangono sospese e le decadenze non si verificano.
Si tratta degli effetti della presentazione della domanda di concordato
preventivo disciplinati dal primo e dal comma 2 dell’articolo 168 legge fallim.,
con la inspiegabile differenza che per la violazione del divieto di azioni
esecutive e cautelari non è espressamente comminata la nullità.
Entro trenta giorni dalla pubblicazione della domanda di omologazione
dell’accordo i creditori e ogni altro interessato possono proporre opposizione.
Il tribunale, decise le opposizioni, procede all’omologazione in camera
di consiglio con decreto motivato reclamabile alla corte di appello ai sensi
dell’articolo 183, in quanto applicabile, entro quindici giorni dalla sua pubblicazione
nel registro delle imprese.
1.2. Fin qui la disciplina prevista dall’originario art. 182 bis legge fallim.
come emendato dal d.lgs. correttivo n. 169 del 2007 a seguito del quale, come
spiegava la Relazione, il comma 1 dell’art. 182 bis ha subito correzioni
meramente formali, ad eccezione della precisazione dei requisiti che deve
possedere l’esperto chiamato a redigere una relazione in ordine alla attuabilità
dell’accordo.
Invero, al fine di uniformare i requisiti previsti dall’art. 182 bis, dall’art.
67, comma terzo, lett. d) e dall’art. 161 si è previsto, anche in considerazione
del fatto che si tratta di una attività avente un contenuto marcatamente
tecnico-contabile, che il professionista incaricato anche in relazione agli accordi
di ristrutturazione debba possedere, oltre le caratteristiche contemplate
dall’articolo 28, lett. a) eb) del r.d., anche l’iscrizione nel registro
dei revisori contabili.
Nulla è stato cambiato quanto alla necessità che i creditori estranei all’accordo
vedano il loro credito pagato in modo regolare, ossia per l’intero
ed alla scadenza mentre alla norma originaria è stato aggiunto un comma 2,
che sancisce, nelle more del procedimento omologatorio e comunque per
un tempo non superiore a sessanta giorni, la sospensione ope legis degli atti
esecutivi e delle azioni cautelari sul patrimonio del debitore perché la protezione
automatica del patrimonio del debitore risulta funzionale all’attua-

Parte I - Dottrina 11
zione dell’accordo e, in particolare, alla sua idoneità ad assicurare il regolare
pagamento dei creditori estranei. In tal modo, si è voluto ovviare ad una
delle questioni che maggiormente potevano avere reso poco conveniente
la presentazione di un accordo di ristrutturazione, al fine di rendere più
agevole l’utilizzazione di un istituto che non aveva avuto la diffusione auspicata.
1.3. L’art. 48 del d.l. n. 78 del 2010, convertito in l. n. 122 del 2010, ha
introdotto nel testo dell’art. 182 bis i commi da 6 a 9 prevedendo, su richiesta
dell’imprenditore in stato di crisi, un’anticipazione degli effetti della domanda
di omologazione dell’accordo di ristrutturazione.
Si è così previsto che il divieto di iniziare o proseguire le azioni cautelari
o esecutive possa essere richiesto dall’imprenditore anche nel corso delle
trattative e prima della formalizzazione dell’accordo di ristrutturazione mediante
deposito, presso il tribunale competente ai sensi dell’articolo 9 legge
fallim., della documentazione richiesta per la domanda di concordato preventivo
(articolo 161, primo e secondo comma) e di una proposta di accordo
corredata da una dichiarazione dell’imprenditore stesso, avente valore di
autocertificazione, attestante che sulla proposta sono in corso trattative con
i creditori che rappresentano almeno il sessanta per cento dei crediti.
Al ricorso e alla documentazione deve essere unita una dichiarazione di
un professionista avente i requisiti di cui all’articolo 67, comma 3, lettera d),
circa la idoneità della proposta, se accettata, ad assicurare il regolare pagamento
dei creditori con i quali non sono in corso trattative o che hanno comunque
negato la propria disponibilità a trattare.
L’istanza di sospensione è pubblicata nel registro delle imprese e produce,
dal momento della pubblicazione, l’effetto del divieto di inizio o prosecuzione
delle azioni esecutive e cautelari, nonché – e ciò costituisce rilevante
novità rispetto alla previgente disciplina – del divieto di acquisire titoli di
prelazione, se non concordati.
I nuovi commi da 7 a 9 disciplinano il procedimento di concessione della
sospensione prevedendo che il tribunale, verificata la completezza della
documentazione depositata, fissa con decreto l’udienza entro il termine di
trenta giorni dal deposito dell’istanza di cui al comma 6, disponendo la comunicazione
ai creditori della documentazione stessa.
«Nel corso dell’udienza» – e tale precisazione ha il chiaro significato di
vietare qualsiasi rinvio dell’udienza – il tribunale, riscontrata la sussistenza
dei presupposti per pervenire a un accordo di ristrutturazione dei debiti
con le maggioranze di cui al comma 1 e delle condizioni per il regolare pagamento
dei creditori con i quali non sono in corso trattative o che hanno
comunque negato la propria disponibilità a trattare, dispone con decreto
motivato il divieto di iniziare o proseguire le azioni cautelari o esecutive e
di acquisire titoli di prelazione se non concordati.
Con il medesimo provvedimento il tribunale assegna all’imprenditore il

12
Il diritto fallimentare e delle società commerciali - n. 1-2011
termine non superiore a sessanta giorni per il deposito dell’accordo di ristrutturazione
e della relazione redatta dal professionista a norma del comma
1 dell’art. 182 bis.
Il decreto del tribunale («del precedente periodo»: e il comma?) è reclamabile
alla corte di appello ai sensi dell’art. 183 legge fallim. in quanto
applicabile.
L’ultimo comma, infine, dispone che se nel termine assegnato dal tribunale
l’imprenditore provvede a depositare l’accordo di ristrutturazione dei
debiti trovano applicazione le disposizioni di cui al secondo, terzo, quarto e
quinto 5.
La norma non fa più riferimento alla domanda di omologazione dell’accordo,
ma appare una svista evidente.
Talché, nel termine assegnato, l’imprenditore dovrà depositare tale domanda
con i documenti e la relazione indicati nel comma 1 dell’art. 182 bis,
unitamente alla relazione del professionista.
Con la pubblicazione dell’accordo si produrranno gli effetti sospensivi
previsti dal comma 3 (divieto di azioni esecutive e cautelari sul patrimonio
del debitore; effetto sospensivo dei termini di prescrizione e decadenze),
decorrerà il termine di trenta giorni per le opposizioni all’omologazione
da parte dei creditori e di ogni altro interessato e il tribunale, decise le eventuali
opposizioni, provvederà sulla domanda di omologazione con decreto
reclamabile alla corte di appello.
2.1. Gli atti, i pagamenti e le garanzie posti in essere in esecuzione dell’accordo
di ristrutturazione omologato ai sensi dell’articolo 182-bis legge fallim.
non sono soggetti all’azione revocatoria (art. 67, comma 3, lett. e, legge fallim.).
Esenzione che, secondo parte della dottrina, riguarderebbe soltanto
gli atti posti in essere dal debitore con i creditori aderenti all’accordo, mentre
i creditori estranei – i quali altrimenti cumulerebbero il diritto all’integrale e
puntuale pagamento con l’esenzione da revocatoria degli atti solutori nell’ipotesi
di fallimento dell’accordo – avrebbero tutto l’interesse ad aderire proprio
per beneficiare dell’esenzione ( 3 ). Si è rilevato, invero, che «l’esenzione è garantita
per gli atti, i pagamenti e le garanzie posti in essere «in esecuzione dell’accordo»
e se è vero che il piano deve essere idoneo «ad assicurare il rego-
( 3 ) Pagni, op. cit., 606 la quale aderisce all’opinione prospettata da Gentili, Accordi di
ristrutturazione e tutela dei terzi,inDir. fall., 2009, I, 652. Nello stesso senso, ora, Zanichelli,
Gli accordi, cit., pag. 27 del dattiloscritto In senso contrario v. Bonfatti, Gli accordi di
ristrutturazione dei debiti, inBonfatti-Censoni, Manuale di diritto fallimentare, Padova,
2007, 473 e, più di recente, Roppo, op. cit., 387, il quale propone di considerare l’accordo
alla stregua di contratto a favore di terzo, ossia il creditore non aderente, il quale beneficerebbe
dell’irrevocabilità del pagamento ricevuto in esecuzione dell’accordo omologato. Nello
stesso senso cfr. Frascaroli Santi, op. cit., 172-173.

Parte I - Dottrina 13
lare pagamento dei creditori estranei» tale pagamento non è una modalità
esecutiva del piano ma una condizione per l’omologabilità del medesimo
mentre ciò che viene compiuto «in esecuzione» dell’accordo sono unicamente
le attività nello stesso concordate con i creditori aderenti, proprio perché
solo con loro e non con gli estranei un accordo è stato concluso» ( 4 ). Opinione
questa che si scontra con il rilievo per il quale il pagamento in favore di
terzo estraneo all’accordo omologato sarebbe eseguito in una situazione tale
da escludere l’esistenza di uno stato di insolvenza.
Tale effetto protettivo (dei creditori e dei terzi) era già previsto dall’originaria
disciplina degli accordi di ristrutturazione mentre con l’intervento
legislativo del 2010 – innanzi richiamato – è stata prevista la prededucibilità
per finanziamenti eseguiti in «esecuzione» dell’accordo omologato mentre
quelli eseguiti «in funzione» della presentazione della domanda di omologazione
dell’accordo di ristrutturazione dei debiti, sono «parificati» ai prededucibili
ex art. 111, a condizione che «siano previsti ... dall’accordo di ristrutturazione
e purché la prededuzione sia espressamente disposta nel
provvedimento con cui (il tribunale accoglie la domanda di ammissione
al concordato preventivo ovvero) l’accordo sia omologato».
Prededucibilità sic et simpliciter, dunque, per la c.d. «nuova finanza» e
mera parificazione per i c.d. finanziamenti-ponte, o finanza interinale ( 5 ).
L’espressa qualificazione dei crediti «funzionali» all’accordo come «parificati»
ai crediti prededucibili e non come meramente prededucibili, si è
esattamente osservato, conferma, evitandosi così uno strappo sistematico,
«che di prededucibilità in senso proprio non può parlarsi in relazione a crediti
sorti al di fuori (in particolare, prima) della procedura e attraverso una
iniziativa non controllata dell’imprenditore» ( 6 ).
Si è rilevato, in dottrina, che il riconoscimento della prededucibilità non
implica «la necessità che il finanziamento sia successivo alla stipulazione
dello «Accordo» tra i suoi firmatari, dovendosi ritenere sufficiente che l’utilizzo
del finanziamento, anche avvenuto prima della formalizzazione dello
«Accordo», sia comunque previsto dallo stesso come funzionale alla presentazione
della domanda di omologazione, e con ciò approvato dai creditori
che aderiscono allo «Accordo» ( 7 ) e, d’altra parte, la prededuzione per i fi-
( 4 ) Zanichelli, op. loc. cit.
( 5 ) Secondo la definizione di Costa, op. cit., 537.
( 6 ) D’Amora, op. cit., pag. 8 del dattiloscritto, il quale correttamente rileva che «di particolare
rilievo da un punto di vista sistematico è la sofisticata modifica fra la versione di cui al
d.l. 78 e quella definitiva di cui alla legge di conversione 122/2010: nel primo testo tali crediti
venivano qualificati tout court come prededucibili, nel secondo come «parificati ai prededucibili»
ai sensi e per gli effetti di cui all’art. 111».
( 7 ) Bonfatti, op. cit., pag. 12 del dattiloscritto.

14
Il diritto fallimentare e delle società commerciali - n. 1-2011
nanziamenti successivi compete ai crediti sorti dopo il perfezionamento dell’accordo
e in esecuzione di esso, anche se precedente all’omologazione ( 8 ).
Una parte della dottrina ha dubitato dell’idoneità della modifica normativa
a conseguire il risultato perseguito di agevolare con l’erogazione
della nuova finanza in un momento anteriore alla procedura perché la
banca difficilmente erogherà il credito prima che il tribunale si sia pronunciato
in sede di ammissione al concordato preventivo e perché «addirittura
negli accordi di ristrutturazione è necessario attendere il giudizio di
omologazione» ( 9 ).
È da chiedersi, però, se l’inconveniente possa essere eliminato con l’inserimento
negli accordi di un contratto preliminare di mutuo ( 10 ).
Non condivisibile, poi, appare l’opinione, pur autorevole, secondo la
quale il provvedimento di omologa non deve «disporre espressamente» la
prededuzione, né quella per i finanziamenti funzionali alla presentazione
della domanda, né quella relativa ai finanziamenti funzionali all’esecuzione
dell’Accordo ( 11 ).
Infatti, la norma va letta – pena un’ingiustificata difformità di disciplina
rispetto al concordato preventivo – nel senso che la prededuzione spetta
purché sia espressamente disposta nel provvedimento con cui l’accordo
sia omologato. Ciò che costituisce, indubbiamente, un ampliamento della
cognizione del tribunale in sede omologazione.
Sono prededucibili – in deroga agli articoli 2467 e 2497-quinquies del
codice civile – anche i finanziamenti effettuati dai soci, fino alla concorrenza
dell’ottanta per cento del loro ammontare ( 12 ).
( 8 ) Bonfatti, op. cit., pag. 13 del dattiloscritto.
( 9 ) Lo Cascio, Finanziamenti, cit., 1270.
( 10 ) Su questa figura contrattuale cfr. Cassazione, 18 giugno 1981 n. 3980, in Giust. Civ.,
1982, I, 202, con nota di Morelli, Sulla ammissibilità del preliminare e su altri aspetti della
problematica attuale del contratto di mutuo ediTriola, Mutuo e promessa di mutuo e, in dottrina,
Teti, Il mutuo, inTrattato di diritto privato diretto da P. Rescigno, Torino, 1985, 12,
639-687.
( 11 ) Bonfatti, op .loc. cit.
( 12 ) Secondo Lo Cascio, Finanziamenti, cit., 1271, la norma introdurrebbe un espediente
del quale molti soci potrebbero approfittare per eludere i vincoli imposti dalle regole
codicistiche e rileva che se l’abbattimento del 20% del credito per finanziamento effettuato
dal socio in ordine al riconoscimento della prededucibilità ha avuto lo scopo di ridurre il rischio
di eventuali condotte inaffidabili dei soci, «il mezzo è stato insufficiente ad evitarle».
Per contro, aggiunge l’illustre A., se, invece, l’intervento legislativo mirava «ad incentivare
l’erogazione del credito alle imprese in crisi da parte di soggetti che intendono perseguire
il recupero imprenditoriale, non si è considerato che simile intervento avviene di solito con
mezzi diversi dall’operazione economica menzionata», mentre «se si tenta di intravedere nella
disposizione in esame un incentivo di pressione delle banche per la concessione del credito,
non è certo il finanziamento soci che può agevolarla e semmai la prestazione di garanzie da
parte di quest’ultimi soggetti». È facile obiettare, però, che non è dato evincere dalla critica

Parte I - Dottrina 15
È dubbio se la prededuzione assista soltanto i crediti per finanziamenti
effettuati in esecuzione dell’accordo omologato, come farebbe pensare il richiamo,
per i finanziamenti dei soci, al comma 1 dell’art. 182-quater, dettato
per i finanziamenti di banche e intermediari esecutivi di accordi, la «nuova
finanza», ovvero anche i finanziamenti-ponte effettuati dai soci.
Il dato testuale della norma e l’espresso richiamo del comma 1, invero,
non impediscono di aderire alla diversa opinione ( 13 ), secondo la quale la
prededucibilità, sebbene limitata all’ottanta per cento del credito, assisterebbe
anche i finanziamenti-ponte dei soci, perché, altrimenti, sarebbe inspiegabile
la norma di cui al comma 5 dell’art. 182-quater, secondo la quale
«con riferimento ai crediti indicati ai commi secondo, terzo e quarto, i creditori
sono esclusi dal voto e dal computo delle maggioranze per l’approvazione
del concordato ai sensi dell’art. 177 e dal computo della percentuale
dei crediti prevista all’art. 182-bis, primo e comma 6».
Si è, quindi, concluso nel senso che la disciplina in questione «rappresenta
la dimostrazione che possono essere qualificati finanziamenti effettuati
«in esecuzione» di un Accordo (o di un Concordato Preventivo) anche
operazioni produttive di crediti sorti anteriormente all’Accordo (o alla domanda
di Concordato), se è vero – come è vero – che la legge ritiene di dovere
disporre in materia di esclusione degli stessi dal computo delle maggioranze
rilevanti per la configurazione di un «Accordo di Ristrutturazione»
propriamente detto (o dal computo delle maggioranze previste per l’approvazione
del Concordato: art. 182-quater, comma 5, legge fallim.)» ( 14 ).
Infatti, se si trattasse di finanziamenti eseguiti in esecuzione di accordi –
quindi di crediti che sorgono successivamente all’omologazione – la norma
sarebbe del tutto inspiegabile e oscura.
Sono, inoltre, prededucibili i compensi spettanti al professionista incaricato
di predisporre la relazione di cui all’art. 182-bis, comma 1, (e comma
6?) «purché ciò sia espressamente disposto nel provvedimento con cui il tribunale
accoglie la domanda di ammissione al concordato preventivo ovvero
l’accordo sia omologato» ( 15 ).
quali siano i diversi interventi economici sostitutivi del finanziamento dei soci né perché la
fiducia dimostrata da questi ultimi nel riversare denaro nell’impresa in crisi non dovrebbe
indurre le banche a formulare un giudizio di meritevolezza del tentativo di risanamento.
( 13 ) Manifestata da D’Amora, op. cit., pag. 9 del dattiloscritto.
( 14 ) Bonfatti, op. cit., pag. 15 del dattiloscritto. Rileva Ambrosini, Appunti flash, cit.,
pag. 3, che non completamente perspicua, almeno a tutta prima, è ... l’esclusione dal voto nel
concordato dei crediti indicati ai commi secondo, terzo e quarto, quale stabilita dall’ultimo
comma, dal momento che sono notoriamente privi di voto i creditori privilegiati e quindi,
a fortiori, quelli da soddisfarsi in prededuzione.
( 15 ) Secondo Ambrosini, Appunti flash, cit., pag. 4, «qualche perplessità può suscitare,
sul piano della coerenza complessiva del sistema, l’attenzione riservata esclusivamente ai «for-

16
Il diritto fallimentare e delle società commerciali - n. 1-2011
La norma richiama solo la relazione del comma 1 talché la prededuzione
assiste solo il credito relativo all’opera prestata per la stesura della relazione
accompagnatoria degli accordi e non quello attinente alla dichiarazione
del professionista che deve corredare la richiesta di anticipazione degli
effetti protettivi ( 16 ).
Anche in relazione a tali crediti, assistiti dall’indicata prededucibilità, «i
creditori sono esclusi ... dal computo della percentuale dei crediti prevista
all’articolo 182-bis, primo e comma 6».
La norma, evidentemente, muta, ampliandolo, l’oggetto dell’accertamento
del giudice in sede di omologazione degli accordi di ristrutturazione
e conferma la natura di procedura concorsuale del procedimento di omologazione
di tali accordi ( 17 ).
Incidentalmente, va detto che il dato letterale dell’art. 182-quater impedisce
di ritenere, come pure è stato prospettato ( 18 ), che la parificazione ai
nitori» finanziari e non anche a quelli commerciali, giacché spesso il sostegno di quanti riforniscono
l’impresa in crisi è altrettanto importante e, come tale, meritevole di forme analoghe
di tutela. Sarebbe quindi opportuno inserire fra i destinatari del beneficio della prededuzione
le imprese che forniscono beni e servizi necessari all’esercizio dell’attività d’impresa quando
ciò avvenga in funzione o in occasione del concordato preventivo o dell’accordo di ristrutturazione».
( 16 ) Così anche Zanichelli, Gli accordi, cit., pag. 29 del dattiloscritto.
( 17 ) Ma per una diversa (e opposta) lettura v. Bonfatti, op. cit., pag. 11 del dattiloscritto,
secondo il quale « prima della introduzione nella legge fallimentare dell’art. 182-quater, la
disciplina della «prededuzione» non poteva essere applicata agli atti posti in essere in connessione
con un «Accordi di Ristrutturazione», per l’esclusione della natura di «procedura concorsuale»
– che rappresenta il presupposto indicato dall’art. 111, comma 2, legge fallim. per
l’applicabilità dell’istituto – del procedimento disciplinato dall’art. 182-bis legge fallim. Non
era quindi sostenibile che agli atti «preparatori» dell’omologazione dello «Accordo» potesse
applicarsi la disposizione (artt. 111, comma 3, legge fallim.) che prevede la prededuzione per
i crediti sorti «in funzione» di una procedura concorsuale. Il richiamato art. 111, comma 2,
legge fallim. afferma peraltro che sono prededucibili anche i crediti «così qualificati da una
specifica disposizione di legge»: e l’art. 182-quater, comma 2, (e comma 1) legge fallim., si è
oggi venuto ad aggiungere a quelle disposizioni che prevedono casi speciali di «prededuzione»«.
Identica conclusione, secondo l’A., era valida per i crediti sorti in esecuzione di accordi
omologati (ivi, pag. 12 del dattiloscritto).
( 18 ) D’Amora, op. cit., pag. 9 del dattiloscritto, secondo il quale «al controllo di funzionalità
ex ante si supplisce con un controllo di utilità ex post». Tale Autore (ivi, pag. 17) così
schematizza la prededuzione nelle procedure di insolvenza (concordato e ADR): «1) finanziamento
ponte (antecedente alla presentazione della domanda di procedura di insolvenza): possibile,
con effetti di stabilità e prededucibilità condizionata, ex art. 182-quater comma 2 sia
nel concordato preventivo sia nell’accordo di ristrutturazione dei debiti; 2) finanziamento
«ponte» (successivo alla presentazione della domanda ma antecedente al decreto di ammissione):
possibile, con effetti di stabilità e prededucibilità, solo nel concordato preventivo in
base ad una interpretazione ragionevole degli artt. 167 e 168; 3) finanziamento (successivo
al decreto di ammissione e fino all’omologa): possibile, con effetti di stabilità e prededucibilità,
ex art. 167 nel solo concordato preventivo; 4) finanziamento in esecuzione (successivo

Parte I - Dottrina 17
crediti prededucibili e la prededucibilità dei crediti dei professionisti, anche
in relazione al concordato preventivo, se non espressamente previsti come
tali dal provvedimento di ammissione al concordato possano, poi, essere disposte
con il decreto di omologazione del concordato stesso.
2.2. È immaginabile la delusione e, in alcuni casi, neppure celata, di coloro
che, all’indomani dell’entrata in vigore della riforma delle procedure
concorsuali, opinavano ( 19 ), forse, che fosse possibile la composizione dello
stato di insolvenza di un imprenditore commerciale senza alcuna ingerenza
dell’autorità giudiziaria e del tutto fuori dalle aule dei tribunali. Con gli accordi
di ristrutturazione dei debiti, si è autorevolmente affermato, sarebbe
caduto il dogma dell’indisponibilità della gestione dell’insolvenza, riconsegnata,
ora, in larga misura all’autonomia privata ( 20 ). Ma bisogna prenderne
atto: se già dopo l’entrata in vigore del d.lgs. correttivo del 2007 risultava
più difficilmente sostenibile la natura meramente privatistica degli accordi
di ristrutturazione dei debiti ( 21 ), oggi, dopo le modifiche introdotte dall’art.
48 d.l. n. 78/2010, conv. in l. n. 122/2010, soltanto con acrobazie ermeneutiche
e giochi di parole quella natura può essere sostenuta. Tanto che
la delusione è manifestata definendosi come «due tarli insidiosi» (della ricostruzione
privatistica) il divieto di azioni esecutive e cautelari e la prededuzione,
e si conclude affermando che ora, più che mai, gli accordi di ristrutturazione
appaiono «nella loro innaturale complessità duale» ( 22 ).
Si discorre, ormai, di «mutazione genetica» dell’istituto, di un simulacro
di transizione degli accordi di ristrutturazione in un «simulacro» di procedura
concorsuale ( 23 ).
alla omologa): possibile, con effetti di stabilità e prededucibilità, ex art. 182-quater comma 1
sia nel concordato preventivo sia nell’accordo di ristrutturazione dei debiti.
( 19 ) V., in proposito, Rovelli, op. cit., § 3, secondo il quale «non necessariamente la
crisi d’impresa – anche quando si traduca in uno sbilancio, nel patrimonio dell’imprenditore
che gli impedisce l’adempimento regolare delle obbligazioni – deve passare attraverso una
procedura d’insolvenza, essendo riconosciuta dalla legge e sottoposta ad un regime di favore
la soluzione privatistica della crisi, che vede sì l’intervento del giudice, ma solo nel ruolo di
«stabilizzatore», che cioè si limita, con l’omologazione, a riconoscere all’accordo concluso fra
soggetti privati la conformità al modello legale, ed a conferire così, a quell’accordo una stabilità
che da solo esso non avrebbe». Secondo tale A. «Se l’impresa insolvente e non tutti i
suoi creditori, ma una parte di essi vengono ad essere autorizzati e quasi incoraggiati dall’ordinamento
a porre in essere delle attività negoziali con l’imprenditore insolvente, questo pare
smentire un dogma che credevamo ricevuto dalla legislazione anteriore: quello dell’indisponibilità
dell’insolvenza».
( 20 ) Roppo, op. cit., 371.
( 21 ) Gio. Tarzia, La nuova tutela del debitore e dei finanziatori negli strumenti di prevenzione
del fallimento, inDir. Fall., 2010, 548.
( 22 ) Fabiani, L’ulteriore up-grade degli accordi di ristrutturazione e l’incentivo ai finanziamenti
nelle soluzioni concordate, inFallimento, 2010, 902.
( 23 ) Fabiani, op. cit., 899.

18
Il diritto fallimentare e delle società commerciali - n. 1-2011
Ancora oggi, peraltro, si afferma che gli accordi di ristrutturazione costituiscono
un istituto «a metà del «guado» fra l’accordo stragiudiziale puro (il
piano attestato di risanamento) e il concordato preventivo (che è, a tutto tondo,
una procedura concorsuale) e rappresentano pertanto il terreno elettivo
delle nuove forme di autonomia negoziale con controllo giudiziale» ( 24 ).
Da altri si sostiene che l’istituto in esame costituisce «un concordato minore»
( 25 ).
È certo, però, che, dopo le modifiche del 2010, non è più sostenibile
l’idea che l’art. 182 bis si limiti a disciplinare «un procedimento giudiziario
rivolto a dare efficacia ad un accordo negoziale fra parti» ( 26 ), mentre si
consolida il dubbio che già con l’originaria formulazione della norma il legislatore
avesse inteso concepire gli accordi di ristrutturazione «come una
forma (alternativa) di procedura di concordato preventivo, piuttosto che
come una forma di accordo (semi) stragiudiziale» ( 27 ).
Ancora oggi, peraltro, si assume logico ritenere che la mancanza di indicazioni
circa il rito applicabile al procedimento di omologazione degli accordi
di ristrutturazione «debba essere intesa come implicito richiamo a
quello dell’omologazione del concordato preventivo, stante l’analogia tra
le due figure, entrambe finalizzate a risolvere la crisi di impresa prima della
sua deflagrazione in una procedura liquidatoria, e soprattutto l’espresso richiamo
operato dallo stesso legislatore a tale figura di concordato sia per
quanto attiene alle formalità di presentazione della domanda di omologazione
che per la individuazione del mezzo di impugnazione, identificato
in quello di cui all’art. 183» ( 28 ).
3.1. Definizione: «la formula, di derivazione aziendalistica, «ristrutturazione
dei debiti» è intesa, dalla dottrina, nel senso della rinegoziazione da
parte del debitore delle proprie esposizioni, al fine di operarne una novazione
o una modificazione idonea a prevenire o a rimuovere lo stato di decozione,
per attuare un piano di risanamento dell’impresa, sul presupposto
che vi sia una ragionevole prospettiva di reversibilità della crisi ( 29 ).
( 24 ) Fabiani, op. cit., 900.
( 25 ) Gio. Tarzia, op. cit., 549. Riteneva trattarsi di «piccolo concordato» già prima delle
innovazioni legislative del 2007 e del 2010 Ferro, art. 182 bis, La nuova ristrutturazione
dei debiti, inIl nuovo diritto delle società, 2005, n. 24, 56.
( 26 ) Fabiani, Competizione» fra processo per fallimento e accordi di ristrutturazione e altre
questioni processuali, inFallimento, 2010, 195 seg.
( 27 ) Così Bonfatti, Gli accordi di ristrutturazione dei debiti, inBonfatti-Censoni,
Manuale di diritto fallimentare, Padova, 2007, 480, il quale, alla luce della previgente disciplina
propendeva per la seconda soluzione.
( 28 ) Zanichelli, Gli accordi, cit., pag. 22 del dattiloscritto.
( 29 ) Gabrielli, Autonomia privata e accordi di ristrutturazione dei debiti, inRiv. esecuzione
forzata, 2006, 433 seg.

Parte I - Dottrina 19
Il rischio, anche alla luce della disciplina di cui all’art. 182 bis legge fallim.
è quello dello «schermo protettivo dietro il quale giustificare quelle costruzioni
di c.d. «ingegneria concorsuale» che in realtà sovente nascondono
vere e proprie operazioni illecite o comunque poste in essere in frode ai creditori
o ad alcune delle loro possibili «classi» ( 30 ).
L’accordo si perfeziona secondo i criteri civilistici ma la sua efficacia discende
dalla pubblicazione, mentre l’omologazione costituisce condizione
sospensiva di efficacia ( 31 ).
L’effetto sospensivo delle azioni esecutive o cautelari si produce dalla
pubblicazione e per 60 giorni.
Si è rilevato in dottrina che l’accordo può «comporsi di un unico atto,
ovvero essere caratterizzato da una pluralità, da un fascio, di accordi conclusi
con i creditori, ovvero soltanto con alcune loro classi» ma in ogni caso
le singole convenzioni o pattuizioni che compongono «l’accordo», anche separatamente
concepite e concluse, «sono comunque tra loro funzionalmente
collegate al fine del superamento della crisi, dando in tal modo luogo ad
un’operazione economica funzionalmente unitaria» ( 32 ).
Il contenuto dell’accordo può essere il più vario perché l’art. 182-bis
legge fallim. stabilisce solo i limiti quantitativi della partecipazione di almeno
il sessanta per cento dei creditori (recte: dei crediti), mentre dal
punto di vista qualitativo l’accordo stesso deve essere idoneo ad assicurare
il regolare pagamento dei creditori estranei: in tale cornice «il potere di
autonomia delle parti può realizzare forme di composizione e regolazione
della crisi d’impresa e, per l’effetto, anche di prevenzione dell’insolven-
( 30 ) Gabrielli, op cit.
( 31 ) Falcone, op. cit., 1990. Per le problematiche relative all’apposizione di clausola
risolutiva espressa che il debitore non sia dichiarato fallito cfr. Frascaroli Santi, op.
cit., 121 seg.
( 32 ) Gabrielli, op. cit., § 5; Frascaroli Santi, op. cit., 126 seg. Per una disamina
della struttura degli accordi, sebbene in termini problematici, cfr. Roppo, op. cit., 374 e,
per l’affermazione dell’esistenza di molteplicità di livelli dell’architettura contrattuale (in
cui l’accordo di ristrutturazione finisce per essere un contratto-quadro o contratto preliminare
rispetto a successivi contratti) ivi, 376-377. In dottrina si è sottolineato che «la circostanza
che il legislatore si riferisca ad «un accordo di ristrutturazione dei debiti stipulato con i creditori»
e poiché in tutte le procedure concordatarie è principio pacifico quello secondo cui
l’accettazione della proposta presuppone la completa conoscenza delle condizioni riservate a
tutti i creditori in modo che ciascuno possa valutare la convenienza dell’accettazione anche
alla luce del trattamento riservato agli altri, pure in relazione all’istituto in esame» occorre
ritenere «che non possa derogarsi a tale esigenza di trasparenza e che quindi il debitore,
nel momento in cui acquisisce il consenso del creditore, deve renderlo edotto anche delle
condizioni riservate agli altri e che eventuali mutamenti migliorativi impongano di acquisire
nuovamente il consenso di chi ha firmato sulla conoscenza di diversi presupposti» (Zanichelli,
Gli accordi, cit., pag. 9 del dattiloscritto).

20
Il diritto fallimentare e delle società commerciali - n. 1-2011
za» ( 33 ) e, si assume, persino una versione privatistica di amministrazione
controllata ( 34 ).
Quanto al presupposto soggettivo per la proposizione di una domanda
di omologazione di accordo di ristrutturazione, sembra pacifico, in dottrina,
che esso sia costituito dalla qualità di imprenditore commerciale soggetto
al fallimento o all’amministrazione straordinaria ( 35 ): non si spiegherebbe,
altrimenti, la finalità protettiva di esenzione dalla revocatoria degli atti
esecutivi dell’accordo ( 36 ).
Se fosse confermata – come riteniamo – la natura di procedura concorsuale
dell’omologazione degli accordi, sarebbe esclusa l’applicabilità dell’istituto
a banche e intermediari finanziari in forza dell’art. 80, comma 6,
T.U. bancario ( 37 ).
Si ritiene che all’accordo possano partecipare anche soggetti terzi, vale a
dire «non creditori» dell’imprenditore che propone l’accordo, in particolare
«quei soggetti che apportino finanza aggiuntiva, ovvero che concludano
operazione di acquisto di beni dell’imprenditore (appositamente previste
come parte dell’accordo, o della relazione che l’accompagna)» ( 38 ).
Il presupposto oggettivo indicato dalla norma è lo stato di crisi, ma
manca l’equiparazione di cui all’art. 160, ult. comma, con lo stato di insolvenza.
Secondo alcuni si tratterebbe di temporanea difficoltà di adempiere ( 39 ).
Altri hanno rilevato che, indubbiamente, l’accordo esclude l’insolvenza
( 40 ).
Altri, ancora, hanno rilevato che ha «poco senso interrogarsi, come saremmo
portati a fare, se condizione di validità o di efficacia dell’accordo di
ristrutturazione è l’inesistenza di una situazione di insolvenza ma di semplice
crisi. Perché èl’accordo privatistico quello che è in grado di trasformare
una situazione finanziaria che sarebbe da qualificare come insolvenza, in
( 33 ) Gabrielli, op. loc. cit.
( 34 ) Rovelli, op. cit., § 5. Sulla sottoposizione a vincoli esterni dell’imprenditore v., già,
Roppo, op. cit., 376.
( 35 ) Gabrielli, op. cit., § 4.
( 36 ) V., per tutti, Roppo, op. cit., 370; Racugno, Concordato preventivo, accordi di ristrutturazione
e transazione fiscale, in AA.VV., Trattato di diritto fallimentare a cura di Buonocore
e Bassi, Padova, 2010, 548, nota 323; Zanichelli, I concordati, cit., 604. In giurisprudenza,
da ultimo, cfr. Tribunale Roma, 20 maggio 2010, in Redazione Giuffrè 2010, secondo
il quale «il procedimento di cui all’art. 182 bis legge fallim. può essere attivato solo da
un imprenditore commerciale, in stato di crisi, assoggettabile alle procedure concorsuali,
quindi da un imprenditore che superi le soglie di fallibilità di cui all’art. 1 legge fallim.».
( 37 ) Falcone, Gli accordi di ristrutturazione, cit., 1974.
( 38 ) Gabrielli, op. cit., § 4.
( 39 ) Pennafina, 115.
( 40 ) Falcone, Gli accordi di ristrutturazione, cit., 1980.

Parte I - Dottrina 21
una diversa situazione che sarà da valutare alla stregua dei criteri posti dall’art.
182 bis»( 41 ).
La distinzione, se si pone mente alla soluzione accolta dalla giurisprudenza
in tema di amministrazione controllata, prima della soppressione,
non sembra rilevare in relazione alla eventuale consecuzione ( 42 ), una volta
chiarito che di procedura concorsuale si tratta.
È opinione dominante, in ogni caso, quella secondo la quale lo «stato di
crisi» quale presupposto oggettivo della nuova procedura di concordato
preventivo (come oggi disposto dell’art. 160 legge fallim.), ricomprende
la situazione di «temporanea difficoltà di adempiere», che un tempo condizionava
l’ammissione dell’impresa all’Amministrazione Controllata (cfr. art.
187 legge fallim. previgente) ( 43 ).
Talché èlegittimo sostenere che la ricorrenza di una situazione di temporanea
difficoltà di adempiere giustifichi la possibilità di accedere alla procedura
di omologa degli accordi.
Si ritiene che la forma dell’accordo debba essere ( 44 ) quella della scrittura
privata autenticata per la necessità di deposito e pubblicazione nel registro
delle imprese ( 45 ) mentre è pacifico che il contenuto dell’accordo possa
essere, come già detto, a «geometria variabile» ( 46 ).
3.2. Prima delle modifiche introdotte dalla l. n. 122/2010 si riteneva che
la percentuale, pari al 60% dei crediti aderenti all’accordo, fosse raggiungibile
fino all’omologazione ( 47 ).
Tale opinione può senza dubbio essere confermata per la fase delle trat-
( 41 ) Rovelli, op. cit., § 4.
( 42 ) In argomento v. Falcone, Gli accordi di ristrutturazione, cit., 1978.
( 43 ) Bonfatti, op. cit., pag. 16 del dattiloscritto.
( 44 ) Necessitata empiricamente: Roppo, op. cit., 374.
( 45 ) Falcone, op. cit., 1982. In giurisprudenza cfr. Tribunale Milano, 25 marzo 2010.
in www.ilcaso.it, Codice del Fallimento a cura di Benassi, secondo cui «Gli accordi di ristrutturazione
di cui all’art. 182 bis, legge fallimentare, ancorché pubblicati nel Registro delle imprese
devono essere depositati presso la cancelleria del tribunale e, a pena di ammissibilità,
muniti di firma autenticata delle parti dell’accordo, con possibilità per il tribunale di concedere
un termine per la sanatoria di tali irregolarità» Tribunale Milano, 25 marzo 2010, in
www.ilcaso.it, Codice del Fallimento a cura di Benassi.
( 46 ) Così Falcone, op. cit., 1981. In giurisprudenza cfr. Tribunale Roma, 20 maggio
2010, in Redazione Giuffrè 2010, secondo cui «l’accordo di ristrutturazione, purché raccolga
il consenso del 60% dei creditori, può prevedere percentuali diverse di pagamento tra creditori
privilegiati e chirografari, anche con soddisfacimento maggiore per i chirografari, senza
il rispetto della «par condicio creditorum». In dottrina cfr. Roppo, op. cit., 375-376.
( 47 ) Falcone, op. cit., 1982. In giurisprudenza cfr. Tribunale Milano, 24 gennaio 2007,
in www.ilcaso.it, Codice del Fallimento a cura di Benassi, secondo cui «Negli accordi di ristrutturazione
dei debiti di cui all’art. 182 bis legge fallim., il raggiungimento della percentuale
minima di adesioni non è presupposto dell’azione ma condizione di omologazione del piano
sicché tale percentuale può essere raggiunta mentre gli accordi sono in fieri».

22
Il diritto fallimentare e delle società commerciali - n. 1-2011
tative mentre è dubbio se la predetta percentuale debba essere raggiunta già
al momento della presentazione della domanda.
Il ricorso presentato al fine dell’omologazione degli accordi di ristrutturazione
dei debiti (ex art. 182 bis legge fallim.) deve essere corredato dalla
relazione redatta da un esperto (munito dei requisiti di legge) sull’attuabilità
dell’accordo, la quale, secondo la giurisprudenza di merito, necessariamente
deve contenere l’attestazione di veridicità dei dati contabili aziendali e
l’esame che il tribunale è chiamato a compiere su di essa in punto di attuabilità/fattibilità
degli accordi non si traduce in una valutazione di merito,
essendo finalizzato unicamente ad accertare che le previsioni dell’esperto
siano connotate, nel loro insieme, da un livello adeguato di completezza e
di coerenza e che siano fondate su di un percorso motivazionale immune
da vizi logici evidenti ( 48 ). In ipotesi di opposizioni all’omologazione, invece,
si ritiene che il tribunale possa investigare gli specifici aspetti di (non)
fattibilità derivanti dalle critiche concrete e specifiche articolate dagli opponenti
( 49 ). Ma la migliore dottrina ha evidenziato che la fattibilità («attuabilità»)
dell’accordo costituisce elemento costitutivo del diritto all’omologazione
e, come tale, il suo difetto deve essere rilevato d’ufficio dal tribunale,
prescindendo dall’esistenza di opposizioni e in modo autonomo, non soltanto
attraverso la valutazione del professionista ( 50 ).
In giurisprudenza si è ritenuto che la facoltà del pubblico ministero di
intervenire nel procedimento di cui all’art. 182 bis, legge fallimentare, opponendosi
alla omologazione degli accordi di ristrutturazione, trova fondamento
sia nell’art. 70, ultimo comma, codice procedura civile, secondo il
quale il pubblico ministero può intervenire in ogni procedimento civile
nel quale ravvisi l’esistenza di un pubblico interesse, sia nello stesso art.
182 bis, comma 4, secondo il quale sono legittimati all’opposizione i creditori
ma anche ogni altro interessato, posto che il pubblico ministero, quale
organo cui l’ordinamento giuridico affida la tutela dell’interesse pubblico, è
titolare di un interesse giuridicamente apprezzabile ( 51 ).
( 48 ) Tribunale Milano, sez. II, 11 febbraio 2010, in Redazione Giuffrè 2010.
( 49 ) Tribunale Milano, sez. II, 25 marzo 2010, Redazione Giuffrè 2010. Per la nomina di
un consulente da parte del tribunale cfr. Bonfatti, Gli accordi di ristrutturazione dei debiti,
in Bonfatti-Censoni, Manuale di diritto fallimentare, Padova, 2007, 472 e, sembra, solo
per l’ipotesi di opposizioni, Roppo, op. cit., 381.
( 50 ) Pagni, op. cit., 608 s.; Frascaroli Santi, Gli accordi di ristrutturazione dei debiti,
cit., 159 seg., la quale opportunamente precisa che si può discorrere di valutazione di merito
sull’attuabilità dell’accordo ma non anche sulla convenienza (ivi, 161).
( 51 ) Tribunale Milano, 25 marzo 2010, in www.ilcaso.it, Codice del Fallimento a cura di
Benassi. In senso contrario Zanichelli, Gli accordi, cit., pag. 23 del dattiloscritto, il quale
rileva che «la soluzione non convince in quanto la facoltà di intervenire non comporta necessariamente
quella di impugnare che è circoscritta alle cause in cui il P.M. ha il potere di ini-

Parte I - Dottrina 23
3.3. Quanto al procedimento di omologazione, mentre secondo una
parte della giurisprudenza l’art. 182 bis legge fallim. introduce un nuovo
istituto che deve essere considerato autonomo e distinto rispetto al concordato
preventivo, con la conseguenza che la richiesta del debitore al Tribunale
ha ad oggetto la sola omologa dell’accordo che ne sancisce l’efficacia e
non l’apertura di un procedimento, con relativa istruttoria, come previsto
invece per il concordato preventivo ( 52 ), secondo un giudice del merito il
procedimento omologatorio può seguire un iter anche diverso da quello
presupposto dalla norma.
Si riferisce, invero, di una vicenda giudiziaria nella quale «a) l’istanza di
omologa, unitamente all’accordo raggiunto con i creditori, è stata preventivamente
depositata in Tribunale e successivamente pubblicata presso il Registro
delle Imprese; b) il Registro delle Imprese di Rimini non ha richiesto
le adesioni alla proposta in forma autenticata, limitandosi a richiedere la dichiarazione
di conformità del documento ex art. 19 del D.P.R. 445/2000; c)
il Tribunale ha ritenuto di nominare un consulente tecnico per la verifica
dei requisiti di cui all’art. 182 bis legge fallimentare, con ciò non ritenendo
sufficiente l’attestazione dell’esperto; d) in prima battuta il Tribunale, sulla
scorta delle risultanze della CTU, ha ritenuto non sussistenti i presupposti
per l’omologazione concedendo tuttavia termine per l’integrazione della documentazione
relativa ad alcune adesioni, che sono dunque pervenute dopo
il deposito della istanza» ( 53 ).
Anche in dottrina si ritiene che «se vengono proposte opposizioni,
che nel silenzio della legge dovrebbero avere la forma del ricorso, il tribunale
assume i mezzi istruttori proposti dalle parti o ritenuti d’ufficio
ziativa che certamente nella materia non gli compete». V. anche Tribunale Bari, 21 novembre
2005, in Dir. fall., 2006, 536 seg., con nota di Caiafa, Accordi di ristrutturazione dei debiti:
natura giuridica e giudizio di omologazione, il quale considera corrette «le considerazioni svolte
dal tribunale nel provvedimento con il quale ha ritenuto di dover disporre la comparizione
in camera di consiglio dell’imprenditore, prevedendo la trasmissione degli atti al Procuratore
della Repubblica presso lo stesso tribunale, per le sue eventuali osservazioni, una volta reputata
possibile la presentazione dell’accordo pur in presenza dello stato di insolvenza che, però,
rende, appunto, indispensabile il coinvolgimento del Pubblico Ministero, essendo venuto
meno il potere del tribunale di dichiarare d’ufficio il fallimento, e sul presupposto che debba
trovare, quindi, applicazione l’art. 7, n. 2, qualora appunto l’insolvenza risulti, come in questo
caso, da una segnalazione proveniente dal giudice che la abbia rilevata nel corso di un procedimento
civile che, certamente, deve ritenersi attivato con la presentazione della domanda
diretta ad ottenere la omologazione di un accordo di ristrutturazione».
( 52 ) Tribunale Bari, 21 novembre 2005, in www.ilcaso.it, Codice del Fallimento a cura di
Benassi.
( 53 ) Così Tribunale Rimini, 20 marzo 2009, in www.ilcaso.it, Codice del Fallimento a
cura di Benassi. Per l’ammissibilità di informazioni e consulenze cfr. Frascaroli Santi,
Gli accordi di ristrutturazione dei debiti, cit., 161.

24
Il diritto fallimentare e delle società commerciali - n. 1-2011
necessari, eventualmente delegando per l’incombente un componente del
collegio» ( 54 ).
4.1. Tratteggiata per sommi capi la disciplina dell’istituto, può essere
ora affrontato il punto relativo all’anticipazione delle misure di protezione.
I lavori preparatori evidenziano che la preoccupazione del Legislatore è
stata quella di tutelare la fase delle trattative degli accordi di ristrutturazione.
Esigenza da tempo segnalata dalla dottrina più accorta la quale non aveva
mancato di rilevare che i presupposti per il successo di una disciplina di
composizione negoziale delle crisi d’impresa erano costituiti dalla previsione
di effetti protettivi non solo per i creditori (dalle revocatorie e da possibili
imputazioni di bancarotta) ma anche della c.d. «nuova finanza», con la
prededuzione, nonché dello stesso debitore ( 55 ).
La relazione al Senato spiega che nel caso degli accordi di ristrutturazione,
la disciplina previgente consentiva all’imprenditore in crisi che avesse
raggiunto un’intesa con la maggioranza qualificata dei creditori di chiederne
l’omologa al tribunale, beneficiando nel frattempo della sospensione delle
azioni esecutive e cautelari per un periodo di sessanta giorni. Tuttavia, la
prassi applicativa aveva evidenziato come momento cruciale e critico fosse
anche quello delle trattative, nel corso delle quali è del pari importante eliminare
eventuali azioni di disturbo e consentire alle parti in trattativa di fotografare
con certezza i beni patrimoniali dell’impresa per determinare le
misure concretamente realizzabili per la ristrutturazione dei debiti.
La norma proposta mirava a garantire soltanto la sospensione delle azioni
esecutive e cautelari in corso anche durante le trattative, preservando al
contempo i diritti dei creditori estranei, garantiti dall’intervento dell’autorità
giudiziaria, posto che la predetta sospensione è decisa dal tribunale all’esito
di un’udienza alla quale sono chiamati a partecipare tutti i creditori.
Opportunamente, in sede di conversione del decreto legge ( 56 ) n. 78/
2010, l’effetto protettivo dell’istanza dell’imprenditore è stato esteso al-
( 54 ) Zanichelli, Gli accordi, cit., pag. 24 del dattiloscritto, nel presupposto dell’applicabilità
per analogia delle norme dettate per il concordato preventivo: v. supra nel testo e
relativa nota. Secondo tale A. sarebbe applicabile anche la disposizione dell’art. 180 a mente
della quale se il tribunale respinge la domanda e vi è istanza di un creditore o del pubblico
ministero, accertati i presupposti di cui agli artt. 1 e 5, dichiara il fallimento (ivi, pag. 24).
Anche secondo Frascaroli Santi, Gli accordi di ristrutturazione dei debiti, cit., 156, l’art.
180 legge fallim. costituisce un modello di riferimento per l’omologazione degli accordi.
( 55 ) Bonfatti, Gli accordi di ristrutturazione dei debiti,inBonfatti-Censoni, Manuale
di diritto fallimentare, Padova, 2007, 475. L’art. 217 bis legge fallim., introdotto dalla l. n.
122/2010, prevede che ai pagamenti e operazioni esecutivi di accordi di ristrutturazione omologati
(e di concordati preventivi) non si applicano le disposizioni di cui agli artt. 216, comma
3 e 217 legge fallim. Per la responsabilità civile (non esclusa dalla disciplina degli AdR) delle
banche «fiancheggiatrici» ex art. 2497 cod. civ., cfr. Bonfatti, op. ult. cit., 476.
( 56 ) Come segnala Fabiani, op. cit., 902.

Parte I - Dottrina 25
l’acquisto di titoli di prelazione per i quali è disposto il divieto, se non
concordati.
La dottrina ha evidenziato che la norma è specificamente rivolta a negare
ingresso, sostanzialmente, alle ipoteche giudiziali e confermerebbe, implicitamente,
che l’imprenditore, durante la fase delle trattative, conserva la
piena capacità negoziale, potendo vincolare il patrimonio a favore di taluni
creditori, «ben sapendo che queste operazioni saranno poi poste sotto la
lente di ingrandimento dei creditori estranei e dei creditori aderenti ma
più riottosi a concludere l’accordo» ( 57 ).
Va, per contro, evidenziato che il divieto non riguarda i soli titoli di prelazione
acquisiti senza il concorso della volontà del debitore, ma tutti quelli
acquisiti senza che siano previsti dagli accordi di ristrutturazione e, in questo
senso, la norma spiega effetto proprio sul potere dispositivo dell’imprenditore,
impedendogli di concedere garanzie al di fuori di quelle concordate
(o da concordare) con i creditori aderenti. E ciò si riflette, indubbiamente,
su operazioni dirette a violare la par condicio al di fuori di un accordo
di ristrutturazione, com’è ipotizzabile che possa accadere, anche indirettamente,
con la stipula di negozi collegati.
4.2. Il procedimento diretto all’anticipazione degli effetti protettivi degli
ADR è stato definito da una parte della dottrina quale sub-procedimento
avente natura cautelare, con conseguente applicabilità degli artt. 669 sexies,
669 octies e 669 terdecies del cod. proc. civ. ( 58 ).
Se si riflette, però, che il procedimento diretto all’anticipazione di effetti
protettivi precede il procedimento di omologa dell’accordo, appare chiaro
che si è fuori dal campo dei sub-procedimenti, i quali presuppongono l’esistenza
di un procedimento principale nel quale sono inseriti e dal quale
dipendono.
Appare più confacente, pertanto, l’assimilazione con i procedimenti
cautelari ante causam.
La previsione di analoghi provvedimenti cautelari richiedibili al tribunale
fallimentare in sede prefallimentare, però, potrebbe far dubitare dell’applicabilità
della disciplina delle norme sul procedimento cautelare uniforme.
Presentata da parte dell’imprenditore la richiesta di anticipazione degli
effetti protettivi, il tribunale deve verificare, ancor prima di fissare l’udienza
nei trenta giorni dal deposito dell’istanza, «la completezza della documentazione
depositata» con essa.
( 57 ) Fabiani, op. cit., 904.
( 58 ) Fabiani, op. cit., 903 e, adesivamente, Lo Cascio, Finanziamenti, cit., 1272, il
quale (ivi) giudica positivamente le innovazioni legislative concernenti l’anticipazione degli affetti
protettivi.

26
Il diritto fallimentare e delle società commerciali - n. 1-2011
La dottrina è incerta sulle conseguenze dell’esito negativo di tale accertamento.
Da un lato, infatti, si afferma ( 59 ) che l’accertata incompletezza della documentazione
dovrebbe condurre alla declaratoria (de plano, si presume)
dell’istanza, con la conseguenza che gli effetti preliminari prodotti dalla
pubblicazione della domanda verrebbero caducati ex tunc.
Subito dopo, però, si aggiunge che non è da escludere che «si possa
avanzare la tesi che muovendo da quanto disposto nell’art. 162, comma 1
legge fallim., il tribunale conceda al debitore un termine per integrare la documentazione»,
anche se a conforto della soluzione negativa e dell’immediata
dichiarazione di inammissibilità «milita il fatto che gli effetti che si
producono e che non sono per nulla irrilevanti perché impingono direttamente
sulla tutela del diritto di credito, non possano prescindere dalla serietà
della richiesta» ( 60 ).
Va ricordato, peraltro, che in relazione alla domanda di omologazione
di AdR parte della giurisprudenza di merito ha ritenuto che «gli accordi
di ristrutturazione di cui all’art. 182 bis, legge fallimentare, ancorché pubblicati
nel Registro delle imprese devono essere depositati presso la cancelleria
del tribunale e, a pena di ammissibilità, muniti di firma autenticata delle
parti dell’accordo, con possibilità per il tribunale di concedere un termine
per la sanatoria di tali irregolarità»( 61 ).
Se la valutazione sulla completezza della documentazione depositata è
positiva, il tribunale fissa l’udienza entro il termine di trenta giorni dal deposito
dell’istanza di anticipazione disponendo la comunicazione ai creditori
della documentazione stessa.
Tale adempimento è stato giudicato come una cautela eccessiva da una
parte della dottrina ( 62 ).
Sennonché, la gravità degli effetti che discendono dalla mera presentazione
(e pubblicazione) della domanda dell’imprenditore inducono a non
ritenere eccessiva la cautela e, quanto al dispendio che discenderebbe dalla
comunicazione, va rilevato che nella pratica, nell’ipotesi di numero elevato
di creditori e, quindi, di comunicazioni da eseguire, si è fatto ricorso alla
richiesta di autorizzazione al tribunale di eseguire la comunicazione stessa
a mezzo di pubblici proclami ex art. 150 cod. proc. civ.
Si è già evidenziato, innanzi, che il tribunale provvede sull’istanza, nel
contraddittorio delle parti, dopo avere riscontrato la sussistenza dei presup-
( 59 ) Fabiani, op. loc. cit.
( 60 ) Fabiani, op. loc. cit., nota 16.
( 61 ) Tribunale Milano, 25 marzo 2010, in www.ilcaso.it, Codice del Fallimento a cura di
Benassi.
( 62 ) Fabiani, op. loc. cit.

Parte I - Dottrina 27
posti richiesti dalla norma, ossia della verosimiglianza (perché semplicemente
attestata dall’imprenditore con autocertificazione) delle trattative
in corso con i creditori che rappresentano il sessanta per cento dei crediti
nonché dell’idoneità dell’accordo ad assicurare il regolare pagamento dei
creditori non aderenti o con i quali non siano in corso trattative ( 63 ).
Il provvedimento è emesso con decreto motivato con il quale è disposto
il divieto di iniziare o proseguire le azioni cautelari o esecutive e di acquisire
titoli di prelazione se non concordati.
Il divieto opera per i sessanta giorni successivi, termine massimo entro il
quale l’imprenditore deve provvedere al deposito dell’accordo di ristrutturazione
corredato dalla relazione del professionista.
La norma dispone che il decreto del tribunale è reclamabile alla corte di
appello: non specifica che lo è solo il decreto di accoglimento.
Pertanto, anche il provvedimento con il quale viene respinta la domanda
dell’imprenditore – e che assume necessariamente la forma del decreto –
è reclamabile (ovviamente dall’imprenditore) alla corte di appello.
Quindi non v’è alcuna necessità di richiamo alla disciplina del procedimento
cautelare uniforme ( 64 ) e alla pronuncia della Corte costituzionale
che ne ha dichiarato l’illegittimità costituzionale nella parte in cui non
consentiva il reclamo contro il provvedimento di diniego della tutela cautelare
( 65 ).
Infatti, o si ritiene applicabile la disciplina del procedimento cautelare
uniforme ( 66 ), allora è applicabile anche il nuovo art. 669 terdecies cod.
proc. civ., nel testo introdotto dalla l. n. 51 del 2006, che consente il reclamo
sia contro l’ordinanza con la quale è concesso il provvedimento cautelare
sia contro quella che lo nega, e allora il richiamo alla pronuncia della
Corte costituzionale è superfluo (perché pronuncia superata dalla nuova
norma), oppure si ritiene inapplicabile quella disciplina e, mediante un’interpretazione
costituzionalmente orientata dell’ottavo comma dell’art. 182
bis legge fallim., si deve ritenere che anche il provvedimento che nega l’anticipazione
degli effetti protettivi sia reclamabile dall’istante.
( 63 ) Opportunamente Zanichelli, Gli accordi, cit., pag. 21 del dattiloscritto, sottolinea
che «il controllo del tribunale è necessariamente esclusivamente formale, visto che quello sui
presupposti per il raggiungimento dell’accordo con i creditori previsti come aderenti può
consistere solo nel calcolo della percentuale dei crediti di cui gli stessi sono portatori, dal momento
che nulla può sapere circa il possibile esito della trattativa, e che quello sulle condizioni
per il regolare pagamento dei creditori estranei si deve basare solo sulla dichiarazione del professionista
che, consistendo appunto in una mera enunciazione e non in una motivata relazione,
non consente alcuna valutazione neppure sulla congruità delle argomentazioni».
( 64 ) Così, invece, Fabiani, op. loc. cit., nota 17.
( 65 ) Corte cost., 23 giugno 1994, n. 253.
( 66 ) In tal senso, appunto, Fabiani, op. loc. cit.

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Il diritto fallimentare e delle società commerciali - n. 1-2011
4.3. In virtù dell’art. 669 quaterdecies cod. proc. civ. la disciplina del
procedimento cautelare uniforme, nei limiti della compatibilità, si applica
– tra l’altro – anche ai provvedimenti cautelari previsti dalle leggi speciali.
Fra le norme che parte della dottrina ha ritenuto applicabili all’anticipazione
degli effetti protettivi va segnalata quella di cui all’art. 669 octies cod.
proc. civ.
Questa prevede che il provvedimento di accoglimento della domanda
cautelare proposta prima dell’inizio della causa di merito, deve fissare un
termine perentorio non superiore a sessanta giorni per l’inizio del giudizio
di merito e che in mancanza di fissazione del termine da parte del giudice,
la causa di merito deve essere iniziata entro il termine perentorio di sessanta
giorni.
Il termine decorre dalla pronuncia dell’ordinanza se avvenuta in udienza
o altrimenti dalla sua comunicazione.
Quella parte della dottrina che ha ritenuto l’applicabilità della disciplina
del procedimento cautelare uniforme ha espressamente indicato gli artt.
669 sexies, 669 octies e 669 terdecies e non anche l’art. 669 nonies la cui applicabilità,
se fosse applicabile l’art. 669 octies, discenderebbe dalla logica.
Dunque, in virtù dell’art. 669 nonies, se il procedimento di merito non è
iniziato nel termine perentorio di cui all’articolo 669-octies, ovvero se successivamente
al suo inizio si estingue, il provvedimento cautelare perde la
sua efficacia e il giudice che ha emesso il provvedimento, su ricorso della
parte interessata, convocate le parti con decreto in calce al ricorso, dichiara,
se non c’è contestazione, con ordinanza avente efficacia esecutiva, che il
provvedimento è divenuto inefficace e dà le disposizioni necessarie per ripristinare
la situazione precedente. In caso di contestazione l’ufficio giudiziario
al quale appartiene il giudice che ha emesso il provvedimento cautelare
decide con sentenza provvisoriamente esecutiva, salva la possibilità di
emanare in corso di causa i provvedimenti di cui all’articolo 669-decies.
La predetta disposizione prevede altresì che il provvedimento cautelare
perde efficacia anche se non è stata versata la cauzione di cui all’articolo
669-undecies, ovvero se con sentenza, anche non passata in giudicato, è dichiarato
inesistente il diritto a cautela del quale era stato concesso. In tal
caso i provvedimenti di cui al comma precedente sono pronunciati nella
stessa sentenza o, in mancanza, con ordinanza a seguito di ricorso al giudice
che ha emesso il provvedimento.
Appare evidente l’inapplicabilità della seconda parte della disposizione,
mentre la prima parte è difficilmente raccordabile al procedimento di omologazione
degli accordi di ristrutturazione.
In realtà, a differenza degli altri provvedimenti cautelari disciplinati dal
codice, l’efficacia del decreto che dispone l’anticipazione degli effetti protettivi
della domanda di omologazione degli accordi contiene già inséil termine
di efficacia. Sì che, o nel termine di sessanta giorni dal decreto che

Parte I - Dottrina 29
dispone l’anticipazione l’imprenditore deposita la domanda di omologazione
dell’accordo, unitamente a questo e alla restante documentazione, e allora
in virtù del comma 3 dell’art. 182 bis legge fallim., dalla data della pubblicazione
nel registro delle imprese e per i sessanta giorni successivi si produce
l’ulteriore effetto del divieto di iniziare o proseguire azioni esecutive o
cautelari sul patrimonio dell’imprenditore, oppure la presentazione non avviene
e gli effetti protettivi di cui è stata disposta l’anticipazione cessano.
Quanto alle modalità e al luogo ove far valere la sopravvenuta inefficacia,
non può che farsi riferimento ai procedimenti ordinari nei quali gli effetti
stessi si sono prodotti: nel processo esecutivo, ovvero nel procedimento
cautelare instaurati contro il debitore.
Quanto ai titoli di prelazione acquisiti e non concordati, invece, occorre
distinguere.
4.3.1. È necessario, in ordine alle prelazioni, aprire una parentesi per
segnalare che, mentre tra gli effetti del decreto che dispone l’anticipazione
degli effetti protettivi, oltre al divieto di azioni esecutive e cautelari, vi è
quello del divieto di acquisire titoli di prelazione non concordati (con l’imprenditore
e con il sessanta per cento dei creditori), tale ultimo effetto non
è contemplato tra quelli che conseguono al deposito (recte: alla pubblicazione)
della domanda di omologazione dell’accordo.
Si verifica, dunque, che, nel lasso di tempo (30 giorni + 60 giorni) intercorrente
tra la pubblicazione della domanda di anticipazione degli effetti
protettivi e la presentazione della domanda di omologazione i creditori
non aderenti non possono, ad es., iscrivere ipoteche giudiziali sui beni
del debitore.
Nondimeno, cessato il divieto disposto con il decreto di anticipazione e
pubblicato l’accordo di ristrutturazione – che non produce effetti sulle prelazioni
– i creditori non aderenti possono acquisire titoli di prelazione iscrivendo
ipoteche giudiziali.
Tale discrasia non è colmabile estendendo alla domanda di omologazione
gli effetti previsti per domanda di anticipazione, trattandosi indubbiamente
di norma eccezionale (in quanto introduce un divieto per i creditori).
4.4. Si è innanzi rilevato che l’art. 182 bis legge fallim. prevede il divieto
di intraprendere o proseguire azioni esecutive e cautelari sul patrimonio
dell’imprenditore così come l’art. 168 legge fallim. fa discendere tale effetto
dalla presentazione della domanda di ammissione al concordato preventivo.
Ma quest’ultima norma aggiunge che la sanzione del divieto è la nullità
(«non possono, sotto pena di nullità, iniziare o proseguire...») mentre sulle
conseguenze della violazione del divieto tace l’art. 182 bis in relazione agli
accordi di ristrutturazione.
Peraltro, già in relazione alla disciplina dettata dall’art. 51 legge fallim. –
la cui formula relativa al divieto è ricalcata dall’art. 182 bis – la S.C. ha rilevato
che il divieto di esecuzioni individuali sancito da tale norma non ine-

30
Il diritto fallimentare e delle società commerciali - n. 1-2011
risce alla oggettiva validità dell’atto di pignoramento in sè, riflettendo, per
converso, l’opponibilità di esso al fallimento, con la conseguenza che unico
soggetto legittimato a farne valere l’inefficacia è il curatore, in costanza di
procedura fallimentare e alla luce di tale principio ha escluso la nullità di
un’azione esecutiva immobiliare intrapresa dal creditore con notifica dell’atto
di cui all’art. 555 cod. proc. civ. al debitore eseguita dopo la pubblicazione
del decreto di chiusura del suo fallimento, ma prima della scadenza
del termine per il relativo reclamo ( 67 ).
4.5. Secondo una parte della giurisprudenza di merito ( 68 ) il procedimento
per la dichiarazione di fallimento e quello per l’omologazione dell’accordo
di ristrutturazione dei debiti vanno trattati unitariamente in quanto
i presupposti del secondo si risolvono in un pregiudiziale accertamento
sulla insussistenza dello stato di insolvenza. Talché, nel caso in cui pendano
contemporaneamente un procedimento per la dichiarazione di un fallimento
(nella specie, promosso ad iniziativa del p.m.) e un procedimento per
omologazione dell’accordo di ristrutturazione dei debiti, i due procedimenti
vanno riuniti.
Si è ritenuto, invero, che la presentazione di un ricorso per omologazione
dell’accordo di ristrutturazione dei debiti non renda improcedibile l’iniziativa,
pendente, per la dichiarazione di fallimento.
Nella giurisprudenza di legittimità non constano ancora precedenti specifici.
Sembra neutra, all’uopo, la pronuncia secondo la quale «non sussiste un
diritto del debitore, convocato avanti al giudice per la dichiarazione di fallimento,
ad ottenere il differimento della trattazione per consentire il ricorso
a procedure concorsuali alternative (nella specie, il concordato preventivo
o l’accordo di ristrutturazione dei debiti), né il relativo diniego da parte
del giudice configura una violazione del diritto di difesa, in quanto tali iniziative
(nella specie, nemmeno promosse con il deposito dei relativi atti) sono
riconducibili all’autonomia privata, il cui esercizio dev’essere oggetto di
bilanciamento, ad opera del giudice, con le esigenze di tutela degli interessi
pubblicistici al cui soddisfacimento la procedura fallimentare è tuttora finalizzata»
( 69 ).
Più risalente, invece, è la pronuncia (di cui non risultano precedenti
conformi o difformi successivi) secondo la quale «il divieto per il creditore
( 67 ) Cassazione, 3 dicembre 2002, n. 17109, in Dir. Fall., 2003, 1268, con nota di Baccaglino,
Il divieto di azioni esecutive individuali, fra nullità ed inefficacia degli atti compiuti.
( 68 ) Tribunale Milano, 10 novembre 2009, in Foro it., 2010, 1, 297 e in Fallimento,
2010, 195, con nota di M. Fabiani, Competizione» fra processo per fallimento e accordi di ristrutturazione
e altre questioni processuali.
( 69 ) Cassazione, 4 settembre 2009, n. 19214.

Parte I - Dottrina 31
di iniziare o proseguire azioni esecutive, previsto dall’art. 168 del R.d. 16
marzo 1942 n. 267 a seguito dell’ammissione del debitore al concordato
preventivo, riguarda le esecuzioni individuali, e non osta, pertanto, alla proposizione
o prosecuzione di istanze di esecuzione concorsuale» ( 70 ).
Secondo una parte della dottrina il fallimento non può essere dichiarato
pendente il ricorso per omologa ex art. 182 bis, perché la decisione sul fallimento
è pregiudicata dalla decisione sugli accordi, talché «per il breve periodo
di due mesi, nessuna aggressione sui beni del debitore è tollerabile e
ciò perché sarebbe in conflitto con la funzione del divieto, quella di giungere
alla omologazione con un patrimonio intatto in quanto non depauperato
da iniziative di singoli creditori» ( 71 ). In caso contrario si arriverebbe
all’assurdo che il procedimento pre-fallimentare potrebbe essere avviato
ma sarebbero inibite le misure cautelari pur previste dal novellato art. 15
legge fallim. ( 72 ).
Si tratta di argomenti certamente di buon senso, ma dal punto di vista
tecnico-giuridico l’unica ragione che renderebbe improcedibile (temporaneamente)
l’iniziativa per la dichiarazione di fallimento è quella per la quale,
essendo il fallimento una procedura esecutiva (concorsuale), per il termine
di sessanta giorni previsto dall’art. 182 bis legge fallim. non può essere iniziata
o proseguita, al pari delle esecuzioni individuali.
Del tutto condivisibile, poi, appare il rilievo secondo il quale «fra il procedimento
per la dichiarazione di fallimento e quello per omologa degli accordi
esiste una parziale sovrapposizione, generata dal fatto che il secondo
ha per oggetto l’idoneità di un piano (sul quale è stato raggiunto il consenso
del sessanta per cento dei creditori) a consentire il soddisfacimento dei creditori
non aderenti» ( 73 ). Pertanto, l’omologabilità dell’accordo altro non significa
che l’esclusione dell’insolvenza e «il procedimento ex art. 182 bis e
di poi il decreto di omologazione, si pongono quali necessari antecedenti
logici del giudizio richiesto al tribunale con la presentazione di un ricorso
per fallimento» mentre il decreto di omologazione costituirà un accertamento
pregiudiziale sulla insussistenza dello stato di insolvenza, vincibile,
però, con la dimostrazione della incapacità, in concreto, dell’imprenditore
di far fronte regolarmente ai debiti nei confronti dei non aderenti» ( 74 ).
( 70 ) Cassazione, 3 ottobre 1986, n. 5854, in Giust. Civ., 1987, I, 1508.
( 71 ) Fabiani, Competizione, cit., § 3.
( 72 ) Fabiani, Competizione, loc. cit.
( 73 ) Fabiani, Competizione, cit., § 5.
( 74 ) Fabiani, Competizione, loc. cit., il quale segnala anche che non sia da escludere «un
accordo non omologato egualmente idoneo a far recedere l’insolvenza; pensiamo al caso in
cui l’accordo sia concluso con il cinquantacinque per cento dei creditori e che, pur tuttavia,
gli aderenti abbiano manifestato di volersi attenere alle condizioni dell’accordo anche in caso

32
Il diritto fallimentare e delle società commerciali - n. 1-2011
Infine, esattamente si è rilevato che il giudizio di omologazione – nel
quale le opposizioni sono svolte, anche dagli aderenti all’accordo per motivo
sopravvenuto a questo, nella forma dell’intervento ( 75 )–èdisciplinato
dagli artt. 737 segg. cod. proc. civ., alla luce del disposto dell’art. 742 bis
cod. proc. civ. che estende tali disposizioni a tutti i procedimenti in camera
di consiglio ancorché non contemplati dal codice di rito o estranei alla materia
della famiglia o di stato delle persone ( 76 ).
Ancora il parallelismo tra il procedimento di omologazione degli AdR e
la procedura di concordato preventivo ha fatto ritenere che anche del primo,
come nel concordato preventivo, il decreto che omologa in assenza di
opposizioni non sia soggetto a gravame pur mancando per gli AdR una
esplicita disposizione come quella del comma 3 dell’art. 180, dettata per
il concordato. Ciò in quanto «l’assenza di opposizioni denuncia la carenza
di interesse a contrastare la richiesta di omologazione» ( 77 ).
4.6. L’ennesima conseguenza che è stata tratta ( 78 ) dall’inquadramento
del decreto di anticipazione degli effetti protettivi fra i provvedimenti cautelari
è costituita dalla non ricorribilità per cassazione del provvedimento
della corte di appello che decide sul reclamo contro il decreto del tribunale
(di accoglimento o rigetto dell’istanza di anticipazione).
E su tale conclusione si può senza dubbio convenire alla luce della natura
non decisoria del provvedimento, tra l’altro destinato a perdere efficacia
– se positivo e non seguito dalla domanda di omologa – ovvero ad essere
sostituito dal decreto di omologazione nell’ipotesi di presentazione della relativa
domanda.
Quanto a quest’ultimo, invece, va notata la differenza con la disciplina
del decreto di omologazione del concordato preventivo, dichiarato espressamente
provvisoriamente esecutivo dalla legge (art. 180, comma 5, legge
fallim.).
Aciòva aggiunta l’ulteriore differenza per la quale, mentre il decreto
della corte di appello che decide sul reclamo contro il provvedimento del
tribunale di anticipazione degli effetti non è impugnabile ex art. 111, comma
7, Cost., quello con il quale la corte decide sul reclamo proposto contro
il decreto di omologazione degli accordi di ristrutturazione è certa-
di non omologazione; in questo caso l’accordo privatistico, come le anziane convenzioni di
salvataggio, può dimostrare la riacquistata solvibilità dell’impresa».
( 75 ) Diretto a far valere l’eccezione di difetto di fattibilità o circostanze analoghe: Pagni,
op. cit., 608.
( 76 ) Così Pagni, op. cit., 607.
( 77 ) Zanichelli, Gli accordi, cit., pag. 25 del dattiloscritto.
( 78 ) Fabiani, L’ulteriore up-grade, cit., 903.

Parte I - Dottrina 33
mente ricorribile per cassazione, almeno quando abbia deciso anche sulle
opposizioni.
Ciò che consente di attribuire una certa stabilità all’accordo omologato
e di escludere l’esperibilità di impugnative negoziali successive all’omologa
( 79 ), anche se a seguito della novella del 2010 la dottrina ha evidenziato
la disposizione particolare dettata dal d.l. n. 78/2010 in favore del fisco e in
virtù della quale si verifica la risoluzione di diritto dell’accordo se il debitore
non esegue integralmente, entro 90 giorni dalle scadenze previste, i pagamenti
dovuti alle Agenzie fiscali e agli enti gestori della previdenza ( 80 ).
Talché appare giustificata la preoccupazione di quella parte della dottrina
la quale ha paventato i rischi per i crediti relativi alla nuova finanza
erogata dopo l’accordo ma prima della definitività del decreto di omologazione.
Si è rilevato, infatti, che tra le condizioni previste dalla legge affinché il
credito sia assistito dalla prededucibilità quella dell’intervenuta omologazione
dello «Accordo» è senza dubbio la condizione più stringente perché l’osservanza
delle altre condizioni «non varrebbe ad assicurare la prededuzione
del credito prodotto dal finanziamento «bancario», se l’Accordo di Ristrutturazione
non giungesse ad essere omologato». Rischio aumentato dal dubbio,
discendente dal silenzio della legge sulla circostanza che «il decreto di
omologazione del Tribunale sia o non sia provvisoriamente esecutivo, se la
prededuzione si produca pur che l’Accordo risulti omologato, oppure sia
condizionata alla circostanza che il provvedimento di omologa divenga definitivo»
( 81 ).
Non resta, allora, che riconoscere la natura di procedura concorsuale
del procedimento di omologa degli accordi di ristrutturazione e ammettere
che i crediti sorti in occasione o in funzione della procedura sono prededucibili
ai sensi dell’art. 111, comma 2, legge fallim.
In proposito appare opportuno confutare l’argomento in apparenza più
«forte» tra quelli invocati per negare la natura concorsuale degli accordi:
l’essere gli stessi stipulati solo da alcuni creditori. Non essendo tutti i creditori
coinvolti, si afferma, mancherebbe la regolazione concorsuale dell’insolvenza
( 82 ).
Argomento che può essere confutato con le parole autorevolissime di
altra parte della dottrina che pure considera gli AdR dal solo punto di vi-
( 79 ) Pagni, op. cit., 609.
( 80 ) Zanichelli, Gli accordi, cit., pag. 26 del dattiloscritto.
( 81 ) Bonfatti, op. cit., pag. 12 del dattiloscritto.
( 82 ) Fabiani, L’ulteriore up-grade, cit., 902. V. anche Zanichelli, Gli accordi, cit., pag.
29 del dattiloscritto, secondo il quale «non si tratta di una procedura concorsuale, non essendo
destinata a disciplinare la posizione di tutti i creditori».

34
Il diritto fallimentare e delle società commerciali - n. 1-2011
sta privatistico. In tale prospettiva, invero, posta la funzione economicosociale
dell’accordo di ristrutturazione come quella del superamento della
crisi d’impresa o dell’eliminazione dell’insolvenza, si è affermatocheladimostrazione
che quella funzione è attuataècostituita dal ««regolare pagamento
dei creditori estranei» all’accordo, di cui parla l’art. 182-bis, comma
1, ultimo inciso. L’ordinamento considera gli accordi di ristrutturazione
«meritevoli di tutela», in quanto garantiscano che tutti i creditori che
non ne sono parte vengano regolarmente pagati. Per tal via, il pagamento
dei creditori «estranei» — che sembrerebbe a prima vista un elemento del
tutto estrinseco all’accordo, in quanto riferito a soggetti che per definizione
non vi partecipano — si rivela in realtà un dato intrinsecamente essenziale
e fondante dell’accordo stesso, diciamo pure un elemento significativo
della sua causa (nell’accezione «oggettiva» e tipizzante di funzione
economico-sociale)» ( 83 ).
5. La vicenda del dubbio fugato dalla S.C. (si spera definitivamente) sulla
persistenza del dogma della consecuzione delle procedure concorsuali
( 84 ) e, ancor prima, con altra pronuncia, sulla persistenza di un interesse
pubblico alla sistemazione dell’insolvenza, alla luce delle «esigenze di tutela
degli interessi pubblicistici al cui soddisfacimento la procedura fallimentare
è tuttora finalizzata» ( 85 ), convince dell’attualità dell’insegnamento per il
quale «quando trattiamo problemi pratici o intellettuali non possiamo
mai fare completamente tabula rasa e partire da zero», perché «la miglior
indicazione che stiamo trattando i nostri problemi in maniera razionale o
ragionevole non sta nel rifiutare i concetti tradizionali, ma nell’usare l’esperienza
per perfezionarli»( 86 ).
Applicata nel campo del diritto questa regola si traduce nella preferenza
del canone ermeneutico che impone di prevenire antinomie nell’ambito di
un singolo testo normativo, nel presupposto della coerenza del sistema nor-
( 83 ) Roppo, op. cit., 378.
( 84 ) Cassazione, 6 agosto 2010, n. 18437 in Giust. Civ., 2010, I, in corso di pubblicazione
con nota di Didone, Note minime sulla consecuzione delle procedure concorsuali, ed ivi le
medesime considerazioni svolte nel testo.
( 85 ) Cassazione, 4 settembre 2009, n. 19214: «in tema di procedimento per la dichiarazione
di fallimento, non sussiste un diritto del debitore, convocato avanti al giudice, ad ottenere
il differimento della trattazione per consentire il ricorso a procedure concorsuali alternative
(nella specie, il concordato preventivo o l’accordo di ristrutturazione dei debiti), né il
relativo diniego da parte del giudice configura una violazione del diritto di difesa, in quanto
tali iniziative (nella specie, nemmeno promosse con il deposito dei relativi atti) sono riconducibili
all’autonomia privata, il cui esercizio dev’essere oggetto di bilanciamento, ad opera del
giudice, con le esigenze di tutela degli interessi pubblicistici al cui soddisfacimento la procedura
fallimentare è tuttora finalizzata.
( 86 ) S. Toulmin, Cosmopolis, La nascita, la crisi e il futuro della modernità, (trad. it.),
Milano, Rizzoli, 1991, 121 seg.

Parte I - Dottrina 35
mativo ( 87 ), nella presunzione che «la nuova legge venga armonicamente incorporata
come integrazione di una legge già esistente» ( 88 ), nella consapevolezza
che la norma «non è mai sola, ma esiste ed esercita la sua funzione
unita all’ordinamento» ( 89 ).
«Il legislatore non è mai il legislatore dell’intero ordinamento simultaneamente,
cosicché si possa dire che ciò che è in vigore è effettivamente voluto,
esplicitamente o implicitamente, a causa della mancata abrogazione, in
ciascun momento in cui è in vigore. La realtà èinvece che il legislatore interviene
sempre in modo marginale sull’ordinamento, modificandone aspetti
particolari, ed avendo di fronte a sé un sistema normativo che si pone come
un dato oggettivo». Occorre, inoltre, «considerare che le statuizioni legislative
non costituiscono elementi in sé isolati, ma confluiscono necessariamente
in un sistema, senza di che si negherebbe la realtà stessa del diritto
come ordinamento. Ora un sistema è tale perché ogni elemento che lo compone
entra in relazione con gli altri, influenzandolo ed essendone influenzato».
Ciò vale sia sincronicamente, come, ad esempio, nell’ambito dello
stesso testo, «sia soprattutto diacronicamente, quando regole successive
vengono ad inserirsi determinando conseguenze sistematiche assolutamente
non previste e neppure prevedibili nel momento iniziale» ( 90 ). Invero, «il
mutamento dell’ordinamento giuridico per l’aggiunta di una norma o di
un insieme di norme incide anche sull’interpretazione e sull’individuazione
delle norme precedenti in quanto l’ordinamento giuridico è unitario e va
quindi interpretato sistematicamente» ( 91 ). Sì che, nell’alternativa tra la fedeltà
alla lettera della legge e l’esigenza di armonizzazione con i principi dell’ordinamento
( 92 ) va tenuto conto del monito a dare prevalenza alla «linea
di coerenza logica, che si dimostra immanente all’ordinamento giuridico
considerato nella sua organica totalità»( 93 ), tenendo conto, peraltro, del diverso
tecnicismo legislativo del nuovo legislatore rispetto a quello del passato
( 94 ).
( 87 ) È sufficiente il richiamo a Guastini, L’interpretazione dei documenti normativi, Milano,
Giuffrè, 2004, 172 seg.; Tarello, L’interpretazione della legge, Milano, Giuffrè, 1980,
360 seg. e 376 seg.
( 88 ) A. Ross, Diritto e giustizia, (trad. it.), Torino, Einaudi, 1990, 125.
( 89 ) Perlingieri, Scuole, tendenze e metodi, Problemi del diritto civile, Napoli, E.S.I.,
1989, 283.
( 90 ) Zagrebelsky, Diritto costituzionale, Torino, Utet, 1987, I, 74.
( 91 ) Perlingieri, Profili istituzionali del diritto civile, E.S.I., Napoli, 1979, 18 seg.
( 92 ) Carratta, Liquidazione e ripartizione dell’attivo nel fallimento, in AA.VV., La riforma
della legge fallimentare, Bonomia University Press, Bologna, 2008, 87.
( 93 ) Betti, L’interpretazione della legge e degli atti giuridici, Milano, 1949, 22 seg.; Carratta,
op. cit., 88 e nota 10.
( 94 ) Per critiche violente alle riforme della legge fallimentare cfr. Lanfranchi, Civile
giurisdizione e procedure concorsuali, inCorr. Giur., 2007, 877 seg.: «Il «vandalismo istituzio-

36
Il diritto fallimentare e delle società commerciali - n. 1-2011
Per contro proprio il sistema della tabula rasa sembra abbia ispirato certi
atteggiamenti della dottrina di fronte a norme introdotte dalla legge fallimentare
a far tempo dal 2005 con il sistema della novellazione.
Peraltro, quella stessa parte della dottrina che aveva «creduto in un’effettiva
innovazione del diritto concorsuale e nella privatizzazione del concordato
preventivo» ha dovuto riconoscere che «il legislatore non ha ritenuto
di liberarsi totalmente dei vecchi schemi del 1942 e, pur volendo innovare,
ha preferito la strada del compromesso, introducendo nuove formule,
ma conservando anche vecchie regole» ( 95 ).
La dottrina specialistica ha, invero, evidenziato con forza che «l’indisponibilità
dell’insolvenza sussiste ancora se questa è intesa nei limiti in
cui l’iniziativa del fallimento è nelle mani del pubblico ministero e nei limiti
in cui per la rimozione dell’insolvenza il solo rimedio possibile è costituito
dai procedimenti concorsuali, se si intende assicurare con il concorso
dei creditori la totale liberazione del debitore e la tutela dell’interesse
pubblico e dell’economia che dall’insolvenza dell’impresa può risultare
pregiudicato» ( 96 ).
È opinione di chi scrive che la recente modifica legislativa dell’istituto
degli accordi di ristrutturazione possa condurre ad analogo ripensamento
nei confronti dell’art. 182 bis legge fallim.
Invero, l’alternativa privatistica alla composizione dell’insolvenza costituita
dagli accordi di ristrutturazione di cui al nuovo art. 182-bis legge fallim.,
dopo la modifica introdotta con il decreto correttivo 169/2007, con la
previsione della sospensione delle azioni esecutive e cautelari per la durata
di sessanta giorni dalla data di pubblicazione nel registro delle imprese, era
già stata correttamente inserita tra le procedure concorsuali dalla migliore
nale» (G. Costantino) posto in essere in questi ultimi tempi anche con la legislazione in materia
concorsuale, è culminato, l’anno passato, nella devastante «novella» sul fallimento, varata
con il d.lgs. 9 gennaio 2006, n. 5, che segue – con un incredibile tasso di analfabetismo
tecnico aggiuntivo – la non meno devastante «variante» pro Parmalat della amministrazione
straordinaria «speciale» inaugurata con il d.lgs. 23 dicembre 2003, n. 347. Questo attuale
vandalismo legislativo analfabeta affonda le sue velenose radici nei tempi meno recenti delle
«magnifiche sorti e progressive» dell’italiana età della neoesegesi e della decodificazione. Età,
che ha incominciato a svilupparsi, anche in relazione al settore delle procedure concorsuali,
soprattutto a partire «dagli anni ’80, quando distorsioni interpretative e conseguenti prassi
deviate ancora più antiche (ad esempio, in materia di amministrazione controllata e di consecuzione
delle procedure concorsuali) sono sfociate nel torbido mare del generalizzato ‘‘uso
alternativo del diritto’’ e della iperliberista globalizzazione neocontrattualistica».
( 95 ) Lo Cascio, Classi di creditori e principio di maggioranza nel concordato preventivo,
in Fallimento, 2010, 385 seg.
( 96 ) Così, esattamente, Frascaroli Santi, Gli accordi di ristrutturazione dei debiti, cit.,
82. Per l’immanenza del contrasto fra esigenze privatistiche e pubblicistiche nella legge fallimentare
cfr. anche Carratta, op. cit., 91.

Parte I - Dottrina 37
dottrina, la quale ha evidenziato, oltre al divieto di azioni esecutive, l’apertura
dell’accordo all’intero ceto creditorio, le percentuali minime di partecipazione
e l’esclusione di effetti per gli estranei, nonché l’esenzione da revocatoria
nel successivo fallimento con previsione analoga a quella dettata
per il concordato preventivo ( 97 ). Con l’ulteriore opportuna precisazione
che il principio di concorsualità, che accomuna tutti i procedimenti concorsuali,
si attua attraverso peculiari momenti che non si manifestano necessariamente
tutti insieme nei singoli procedimenti.
( 97 ) Frascaroli Santi, Gli accordi di ristrutturazione dei debiti, cit., 83 seg.

CONCORDATO PREVENTIVO E CESSIO BONORUM CON CLASSI:
TRATTAMENTO DEI CREDITORI PRIVILEGIATI GENERALI
E INQUADRAMENTO GIURIDICO
DEL «VANTAGGIO DIFFERENZIALE»
di
Gianfranco Peracin (*)
Sommario: 1. Introduzione. – 2. Evoluzione della normativa e della giurisprudenza di
riferimento in tema di trattamento dei creditori privilegiati con particolare riguardo
ai privilegi mobiliari generali. – 3. L’interpretazione dell’art. 160, comma 2, legge
fallim. – 4. La qualificazione giuridica del vantaggio «differenziale». – 5. Conclusioni.
( 1 )
1. Introduzione. – A cinque anni dall’avvio della Riforma fallimentare il
trattamento dei creditori privilegiati nell’ambito delle procedure di concordato
preventivo resta una delle tematiche di maggiore complessità interpretativa
e non appare affrontato in modo compiuto dalla Dottrina, né in sede
giurisprudenziale.
Tra le questioni aperte, il dibattito circa la possibilità ed i limiti dell’eventuale
soddisfacimento parziale dei creditori muniti di prelazione,
con particolare riferimento alle ipotesi di privilegio generale mobiliare,
assumeunarilevanzaconcretaedattualeinipotesidiconcordatocon
cessione dei beni, fattispecie prevista anche prima della Riforma ed oggi
contemplata dal comma 1 lett. a) dell’art. 160 legge fallim., tra le varie
declinazioni ammesse di concordato preventivo quella ancora maggiormente
utilizzata.
Pur inquadrandosi nell’ambito degli strumenti di natura liquidatoria,
nella prassi il concordato attuato mediante cessio bonorum poggia di frequente
su schemi che vedono, in tutto od in parte, la continuazione dell’azienda
o di un ramo aziendale in capo ad un altro soggetto, diverso da quel-
(*) Dottore Commercialista in Padova.

Parte I - Dottrina 39
lo che ha avuto accesso alla procedura, con l’evidente intento di valorizzare
componenti materiali ed immateriali dell’azienda altrimenti destinati alla
svalutazione o all’azzeramento.
Quando, per converso, l’obiettivo diventa quello di realizzare gli asset in
modo atomistico, il piano proposto contiene, di regola, elementi tali da differenziare,
migliorandoli, gli esiti del processo liquidatorio da quelli che caratterizzerebbero
la procedura fallimentare (ad es. in presenza di postergazioni
di creditori, offerte superiori al valore di mercato prospettate da soggetti
interessati al buon fine della procedura, etc.).
Il concordato con cessio bonorum, se correttamente costruito, trova
quindi idonea collocazione all’interno delle nuove regole post Riforma mirate
alla valorizzazione di strumenti di soluzione della crisi aziendale, flessibili
ed idonei a garantire in via prioritaria la tutela del bene azienda nella
sua valenza economica e sociale in quanto funzionante, ed a procurare comunque
ai creditori, anche in ipotesi meramente liquidatoria, esiti satisfattivi
migliori rispetto a quelli tipici del fallimento.
In coerenza con questi obiettivi è importante ricordare alcuni tra i
più importanti capisaldi della Riforma che hanno radicalmente mutato
la precedente impostazione, attribuendo all’istituto una connotazione decisamente
privatistica e contrattuale: 1) l’eliminazione del requisito della
«meritevolezza» per poter accedere alla procedura; 2) la modifica del
presupposto oggettivo per l’accesso al concordato ampliandolo dall’insolvenza
a qualunque stato di crisi economico/finanziaria non irreversibile;
3) la possibilità di proporre il concordato preventivo utilizzando
un’ampia gamma di modalità operative compatibili con gli istituti di corporate
finance esistenti; 4) l’attenuazione del principio della par condicio
creditorum, tramite la possibilità di stabilire la suddivisione dei creditori
in classi e di prevedere trattamenti differenziati per creditori appartenenti
a classi diverse.
Invero la volontà del Legislatore era quella di dare al concordato
preventivo la valenza di un involucro protettivo nell’ambito del quale
garantire al soggetto imprenditore in crisi la continuità della gestione
alla stregua di altri esempi provenienti soprattutto dal sistema anglosassone
(concordati di natura conservativa del soggetto proponente); non
quindi solo di favorire l’uso di strumenti utilizzati già invigenzadella
precedente normativa fallimentare per garantire la continuità aziendale,
trasferendo il core business da un soggetto insolvente ad un terzo interessato.
Come già evidenziato, l’esperienza dei primi cinque anni dalla prima
norma introduttiva della Riforma ha visto però soprattutto il ricorso al concordato
con cessio bonorum di tipo tradizionale, probabilmente per motivi
culturali (gli attori d’altra parte non sono cambiati), o a causa di problemi

40
Il diritto fallimentare e delle società commerciali - n. 1-2011
obiettivi legati anche alle difficoltà nell’accesso alla finanza in sede pre-concorsuale
ed in corso di procedura ( 1 ).
2. Evoluzione della normativa e della giurisprudenza di riferimento in tema
di trattamento dei creditori privilegiati con particolare riguardo ai privilegi
mobiliari generali. – Per potersi addentrare nell’esame dell’aspetto specifico
riguardante il trattamento dei creditori privilegiati in sede di concordato
preventivo non può essere trascurato un accenno all’evoluzione della normativa.
L’introduzione nel nostro ordinamento del concetto di classi di creditori
con possibilità di operare trattamenti differenziati fra le stesse avviene antecedentemente
alla Riforma con l’art. 4 bis del D.L. n. 347/2003 convertito
poi dalla Legge 18 febbraio 2004 n. 39 (procedura Parmalat); è il primo
tentativo di traduzione in Italia di istituti provenienti da normative ed esperienze
straniere ( 2 ), anche se le caratteristiche della procedura (soprattutto
la struttura del debito) hanno condizionato le scelte in fase di utilizzo della
facoltà concessa dalla norma.
Il mattone normativo originario della Riforma organica della Legge Fallimentare,
la cosiddetta «Miniriforma» (D.L. 14 marzo 2005, n. 35), rivisita
integralmente la procedura di concordato preventivo; non solo elimina i limiti
percentuali per la soddisfazione dei creditori chirografari previsti nel
R.D. 16 marzo 1942 n. 267, ma riprende le statuizioni del Decreto Parmalat
ed allarga a tutti gli imprenditori «in crisi» la possibilità di presentare una
proposta concordataria contenente la suddivisione dei creditori in classi
«secondo posizione giuridica e interessi economici omogenei» ( 3 ) e la possibilità
di operare «trattamenti differenziati tra creditori appartenenti a classi
diverse».
( 1 ) Con riguardo al tentativo di attenuare le problematiche connesse ai finanziamenti a
soggetti che accedono agli istituti del concordato preventivo ed agli accordi di ristrutturazione
dei debiti ai sensi dell’art. 182 bis legge fallim. vedi il nuovo art. 182 quater introdotto dall’art.
48 del Decreto Legge 31 maggio 2010 n. 78 convertito nella Legge 30 luglio 2010, n.
122, in tema di prededucibilità dei crediti da finanziamenti ai sensi e per gli effetti dell’art.
111 legge fallim.
( 2 ) La norma citata testualmente stabilisce che «Nel programma di ristrutturazione il
commissario straordinario può prevedere la soddisfazione dei creditori attraverso un concordato,
di cui deve indicare dettagliatamente le condizioni e le eventuali garanzie. Il concordato
può prevedere: a) la suddivisione dei creditori in classi secondo la posizione giuridica ed interessi
economici omogenei; b) trattamenti differenziati fra creditori appartenenti a classi diverse;
....».
( 3 ) In merito alla formazione delle classi e specificamente all’individuazione dei criteri
per stabilire l’omogeneità di posizione giuridica ed interessi economici, il dibattito in ambito
dottrinale e giurisprudenziale è ancora aperto, ma questo aspetto non è oggetto del presente
scritto.

Parte I - Dottrina 41
A tutela dei creditori raggruppati per categorie si pone l’art. 180, comma
4, con l’istituto del «Cram Down» di matrice anglosassone ove, nel testo
in vigore alla data del presente contributo, si prevede che «se un creditore
appartenente ad una classe dissenziente contesta la convenienza della proposta,
il Tribunale può omologare il concordato qualora ritenga che il credito
possa risultare soddisfatto dal concordato in misura non inferiore rispetto
alle alternative concretamente praticabili» ( 4 ).
Viene quindi costruita una struttura normativa volta al coordinamento
sistematico della novità riguardante la possibilità di suddividere in classi i
creditori, caratterizzata da più livelli di controllo in ambito giudiziario.
Un primo livello in sede di ammissione (art. 163 legge fallim. e di preammissione
ex art. 162, comma 1, legge fallim.), un secondo livello di monitoraggio
in corso di procedura (controllo del Commissario e del Giudice
ex art. 172 e 180 legge fallim.) ed un terzo livello di accertamento in sede di
omologa con possibilità di una verifica di resistenza incardinata sulla convenienza
ai sensi dell’art. 180, comma 4, legge fallim. (c.d. «Cram Down»).
Uno dei problemi che subito si pone agli interpreti riguarda la possibilità
di prevedere una suddivisione per classi e trattamenti differenziati anche
per i creditori muniti di prelazione.
In questa prima fase in merito alla possibilità di interpretare la norma
nel senso della possibilità di «sacrificare» i privilegiati, la Dottrina esprime
posizioni anche significativamente divergenti; a supporto della tesi negativa
vi è principalmente la valenza attribuita al dettato del comma 3 dell’art. 177
laddove, prevedendosi per i creditori privilegiati la perdita del diritto di
prelazione in ipotesi di espressione del voto, sembra essere ribadita la
non tangibilità naturale del creditori prelatizio ( 5 ). Inoltre l’orientamento
( 4 ) Il testo originario dell’art. 180, comma 4, prima della modifica portata dal D.lgs.
169/2007, operante dall’1 gennaio 2008, recitava: «quando sono previste diverse classi di
creditori, il Tribunale, riscontrata in ogni caso la maggioranza di cui al comma 1 dell’art.
177, può approvare il concordato nonostante il dissenso di una o più classi di creditori,
se la maggioranza delle classi ha approvato la proposta di concordato e qualora ritenga
che i creditori appartenenti alle classi dissenzienti possano risultare soddisfatti in misura
non inferiore rispetto alle alternative concretamente praticabili». Mancava ad evidenza
una tutela individuale del creditore dissenziente all’interno della classe, che invece il nuovo
testo normativo prevede.
( 5 ) In senso negativo M. De Crescenzo e L. Panzani, Il Nuovo Diritto Fallimentare,
Milano 2005, 25-27; S. Ambrosini, sub art. 160, inS. Ambrosini e P.G. De Marchi, Il
nuovo concordato preventivo e gli accordi di ristrutturazione dei debiti, Milano, 2005, pag.
34 seg.; G. Canale, Le nuove norme sul concordato preventivo e sugli accordi di ristrutturazione,
inRiv. Dir. Process., 2005, pag. 897 seg.; M. Ferro, I nuovi strumenti di regolazione
negoziale dell’insolvenza e la tutela giudiziaria delle intese tra debitore e creditori: storia italiana
della timidezza competitiva, inIl Fallimento, 2005, pag. 592; G. Bozza, Le condizioni soggettive
ed oggettive del nuovo concordato, inIl Fallimento, 2005, pag. 952. Nel senso dell’ammis-

42
Il diritto fallimentare e delle società commerciali - n. 1-2011
negativo poggia sulla difficoltà di alterare, in assenza di una disposizione
espressa, i principi generali statuiti negli artt. 2740 e 2741 del Codice Civile,
trasfusi nell’ambito della procedura fallimentare nell’art. 111, comma 1, n. 2
legge fallim. e nelle successive disposizioni in tema di trattamento dei creditori
prelatizi ( 6 ).
A fronte delle obiezioni richiamate viene tuttavia sottolineata la necessità
di una lettura più aderente alla ratio della riforma che, per proprie caratteristiche
e finalità, non può far escludere in modo aprioristico la possibilità
di coinvolgimento dei creditori muniti di diritti di prelazione.
La collocazione dell’art. 111 legge fallim. nell’ambito della procedura
liquidatoria fallimentare sembra essere inoltre un aspetto non secondario
ai fini interpretativi, escludendo la generale estensibilità di tale norma specifica
ad altre procedure concorsuali ( 7 ).
L’introduzione «definitiva» della Riforma mediata dalla Legge Delega
14 maggio 2005 n. 80 e sfociata nel Decreto Legislativo 9 gennaio 2006
n. 5 apre nuovi orizzonti interpretativi.
La novellata disciplina del concordato fallimentare di cui all’art. 124
prevede infatti espressamente la possibilità di un pagamento in percentuale
dei privilegiati, purché in misura non inferiore al valore dei beni sui quali
grava il privilegio. Viene altresì introdotto l’istituto della transazione fiscale
(art. 182 ter), ove è consentita la soddisfazione parziale dei crediti tributari
anche privilegiati.
Parte della Dottrina ( 8 ) e della Giurisprudenza ( 9 ) operando un’analogia
juris con le richiamate fattispecie al concordato preventivo o considerando
sibilità P.F. Censoni, Il «nuovo» concordato preventivo,inGiur. comm., 2005, I, pag. 736; G.
Giannelli, Concordato preventivo, accordi di ristrutturazione dei debiti, piani di risanamento
dell’impresa nella riforma delle procedure concorsuali. Prime riflessioni, inDiritto Fallimentare.,
2005, I, pag. 1162; L. Mandrioli, Il Piano di ristrutturazione nel concordato preventivo
tra profili giuridici ed aspetti aziendalistici, inIl Fallimento, 2005, pag. 1337 seg.; C. Ferri, I
crediti privilegiati nel mio nuovo concordato preventivo, inIl Fallimento, 2006, pag. 696.
( 6 ) P. F. Censoni, Concordato preventivo e coinvolgimento dei creditori con diritti di prelazione,
commento alla sentenza del Tribunale di Torino, 20 dicembre 2006, in Il Fallimento,
2007, pag. 434 seg.
( 7 ) Si veda ancora P.F. Censoni, Il «nuovo» concordato preventivo, cit.
( 8 ) Cfr. P.f. Censoni, La Riforma della disciplina dell’azione revocatoria fallimentare, del
concordato preventivo e degli accordi di ristrutturazione (a cura di S. Bonfatti e P.F. Censoni),
2ª ediz., Padova, 2007, pag. 448 seg.; A. Caiafa, Nuovo Diritto delle procedure concorsuali,
Padova, 2006, pag. 545 seg.; L. Guglielmucci, Diritto Fallimentare, Torino, 2006, pag. 326
seg.; G.B. Nardecchia, Sub. Art. 177, inIl nuovo diritto fallimentare (diretto da) A. Jorio e
(coordinato da) M. Fabiani, II, Bologna, 2007, pag. 2489 seg.
( 9 ) Sul punto Tribunale di Torino, 20 dicembre 2006, in Il Fallimento, 2007, pag. 431,
con nota di Censoni che critica la decisione laddove limita l’ampliamento ai privilegi speciali;
Tribunale di Verona, 13 ottobre 2006, in Il Fallimento, 2007, pag. 665 seg. con nota di F.
Marelli.

Parte I - Dottrina 43
comunque le stesse una conferma indiretta della voluntas legis ispiratrice
della Riforma, arrivano ad ammettere la possibilità di pagamento parziale
dei crediti privilegiati.
Resta il dubbio circa la possibilità di utilizzare un canone interpretativo
mutuato per analogia dal concordato fallimentare in quanto istituto che si
incardina nell’ambito di una procedura di natura liquidatoria, ma anche
con riguardo alla transazione fiscale (e oggi anche la transazione previdenziale)
se considerata un istituto dotato di peculiarità non solo procedimentale,
ma anche sostanziale, speciale ( 10 ) o eccezionale ( 11 ) o comunque uno
«jus singulare» non suscettibile di fissare regole generali applicabili a tutti i
creditori privilegiati ( 12 ); in Giurisprudenza viene a negarsi il carattere autonomo
della transazione fiscale, attribuendole la natura di istituto a carattere
endoconcorsuale ( 13 ).
Da altra parte inoltre si evidenzia che, anche se si accetta il carattere
speciale della norma riguardante la transazione fiscale, resta il dubbio del
significato che il Legislatore avrebbe inteso attribuire alla locuzione contenuta
nell’art. 182 ter «Se il credito tributario è assistito da privilegio, la percentuale,
i tempi di pagamento e le eventuali garanzie non possono essere
inferiori a quelli offerti ai creditori che hanno un grado di privilegio inferiore
o a quelli che hanno una posizione giuridica ed interessi economici omogenei
a quelli a quelli delle agenzie fiscali...»; alla luce di questa disposizione,
diviene infatti difficile una lettura che escluda la presenza di creditori
privilegiati sacrificati e sembra attenuata, se non svilita, la concreta operatività
dell’art. 182 ter in presenza di privilegi di rango superiore a quelli erariali
(impossibilità di fatto di proporre all’Erario un sacrificio per la parte
privilegiata) o di grado inferiore (secondo la teoria restrittiva non potrebbero
essere falcidiati) ( 14 ).
Cionondimeno, la modifica normativa di cui all’art. 12 comma 2 D.lgs.
12 settembre 2007 n. 169, avente effetto per le procedure aperte dal 1º gennaio
2008, segna un passo deciso verso l’apertura al sacrificio dei creditori
( 10 ) Sulla natura di norma speciale dell’art. 182 ter G. Bozza, «L’utilizzo di nuova finanza
nel concordato preventivo e la partecipazione al voto dei creditori privilegiati incapienti»,inIl
Fallimento, 2009, pag. 1441 seg.
( 11 ) In questo senso G. Lo Cascio, Il Concordato preventivo, Milano, 2007, pag. 270
seg.
( 12 ) Vedi Tribunale di Messina, 18 febbraio 2009, in Il Fallimento, 2010, pag. 81.
( 13 ) Vedi Tribunale di Milano, 13 dicembre 2007 (caso «Giovenzana») e successiva Corte
di Appello di Milano, 14 maggio 2008, in www.tribunale-milano.net.
( 14 ) In questo senso F. Marelli, «Transazione fiscale, principi generali del concorso e
soddisfazione parziale dei creditori privilegiati nel concordato preventivo», Il Fallimento,
2007, pag. 669 seg.

44
Il diritto fallimentare e delle società commerciali - n. 1-2011
prelatizi apportando nuovi elementi per una lettura sistematica della fattispecie
( 15 ).
L’art. 160 comma 2 (nel testo inserito dall’art. 12 comma 2 D.lgs. 12
settembre 2007 n. 169 avente effetto per le procedure aperte dal 1º gennaio
2008) consente che la proposta concordataria preveda «che i creditori
muniti di privilegio, pegno o ipoteca, non vengano soddisfatti integralmente,
purché il piano ne preveda la soddisfazione in misura non inferiore
a quella realizzabile, in ragione della collocazione preferenziale, sul
ricavato in caso di liquidazione, avuto riguardo al valore di mercato attribuibile
ai beni o diritti sui quali sussiste la causa di prelazione indicato
nella relazione giurata di un professionista in possesso dei requisiti di
cui all’art. 67 comma 3 lett. d). Il trattamento stabilito per ciascuna classe
non può avere l’effetto di alterare l’ordine delle cause legittime di prelazione»
( 16 ).
L’art. 177, comma 3, nella versione novellata regolamenta la qualificazione
giuridica ed il diritto di voto per i creditori muniti di diritto di prelazione
di cui la proposta di concordato prevede, ai sensi dell’art. 160, la
soddisfazione non integrale, essendo equiparati ai chirografari per la parte
residua del credito ( 17 ).
La definitiva apertura alla possibilità di chiedere un sacrificio ai creditori
generali mobiliari viene ad evidenza nella stessa Relazione illustrativa
al decreto «correttivo» (D.lgs. n. 169/2007) ove si precisa che il debitore
ha la possibilità di offrire un pagamento in percentuale non solo ai creditori
muniti di un privilegio speciale, nella parte in cui il credito sia incapiente,
( 15 ) Con riguardo alla portata innovativa e non interpretativa del D.lgs. 169/2007 rispetto
alla normativa precedente da ultima Corte di Cassazione, Sez. Prima Civ., 22 marzo 2010
n. 6901, in unijuris.it.
( 16 ) Nonostante la formulazione particolarmente articolata la verifica dell’attestatore è
incentrata nell’individuazione del valore ritraibile in caso di realizzo dei beni aziendali sui
quali sussistono i diritti di prelazione nell’ipotesi alternativa a quella di riuscita nel piano concordatario.
In Dottrina e Giurisprudenza si è consolidato l’orientamento che il riferimento
debba essere fatto con riguardo al valore di mercato effettivamente realizzabile con la liquidazione
fallimentare al netto delle spese inerenti di carattere specifico. Con riguardo all’oggetto
ed ai contenuti della valutazione dell’esperto ex art. 160, comma 2, legge fallim., vedi il
Lavoro della Commissione Nazionale di Studio «Il Diritto Fallimentare dopo la riforma» del
Consiglio Nazionale dei Dottori Commercialisti e degli esperti contabili: «La Relazione Giurata
estimativa del professionista nel concordato preventivo e nel concordato fallimentare».
( 17 ) Decisiva appare la formulazione dell’articolo 177 con riguardo alla possibilità di
proporre un sacrificio ai creditori privilegiati precisandosi che «I creditori muniti di privilegio,
pegno o ipoteca, ancorché la garanzia sia contestata, dei quali la proposta di concordato
prevede l’integrale pagamento, non hanno diritto al voto se non rinunciano in tutto od in parte
al diritto di prelazione».

Parte I - Dottrina 45
ma anche a quelli muniti di un privilegio generale, sempre nella misura in
cui tale credito non risulti capiente ( 18 ).
A questo punto sarebbe solo l’ultimo periodo del comma 2 dell’art. 160,
ove viene sancito che «il trattamento stabilito per ciascuna classe non può
avere l’effetto di alterare l’ordine delle cause legittime di prelazione» a creare
un ostacolo, per taluni insormontabile, con riguardo alla possibilità di sacrificare
i privilegiati mobiliari nell’ambito dei concordati preventivi con
cessio bonorum, salvo per particolari fattispecie che vedremo in seguito.
3. L’interpretazione dell’art. 160, comma 2, legge fallim. – Il dettato normativo
contenuto nell’odierno art. 160, comma 2, non è di facile lettura, restando
comunque ormai condivisa, come appena evidenziato, in Dottrina
ed in Giurisprudenza, la possibilità di proporre in sede di concordato un
soddisfacimento parziale anche dei creditori con privilegio generale.
Le divergenze hanno per oggetto le modalità e le ipotesi nelle quali è
possibile sacrificare questa tipologia di creditori prelatizi. Una disamina
con pretesa di esaustività sul tema non appare semplice, tenuto conto dell’esigenza
di un’analisi sistematica delle norme introdotte dalla Riforma fallimentare,
dell’evoluzione dei lavori preparatori, degli aspetti di diritto
comparato con riferimento ad istituti analoghi in altri Paesi e, non da ultimo,
della presenza di dati testuali non di chiara formulazione.
Secondo una impostazione restrittiva in Dottrina ( 19 ), il limite contenuto
nella norma («Il trattamento stabilito per ciascuna classe non può avere l’effetto
di alterare l’ordine delle cause legittime di prelazione») deve essere inteso
come conferma di un principio sancito nel nostro ordinamento secondo
cui i creditori di rango inferiore possono essere soddisfatti solo se quelli
di rango poziore sono stati integralmente pagati. Taluni fanno accostamen-
( 18 ) Nella Relazione illustrativa al D.lgs. 169/2007 si precisa che «La normativa precedentemente
in vigore non consentiva, in sede di concordato preventivo, ed a differenza di
quanto poteva invece accadere nell’ambito di un concordato fallimentare, di offrire un pagamento
in percentuale dei creditori privilegiati, neppure con riferimento a quella parte del loro
credito destinata a rimanere comunque insoddisfatta avuto riguardo al presumibile valore di
realizzo dei beni sui quali il privilegio cade. Si è quindi voluto, al fine di incentivare ulteriormente
il ricorso allo strumento del concordato preventivo, e di eliminare una illogica diversità
di disciplina rispetto al concordato fallimentare, prevedere che anche la proposta di concordato
preventivo possa contemplare il pagamento in percentuale dei creditori privilegiati, sempreché
la misura del soddisfacimento proposta non sia inferiore a quella realizzabile sul ricavato
in caso di vendita dei beni sui quali il privilegio cade».
( 19 ) G. Bozza, Formazione delle classi e alterabilità delle graduazioni legislative, Relazione
al Convegno Dai Piani attestati ai concordati giudiziali: finanziamento e mercato delle crisi,
Milano, 21 ottobre 2008, in allegato Il Fallimento, n. 1/2009. G. Bozza, L’utilizzo di nuova
finanza nel concordato preventivo e la partecipazione al voto dei creditori preferenziali incapienti,
Il Fallimento, 2009, pag. 1441.

46
Il diritto fallimentare e delle società commerciali - n. 1-2011
to con il principio di matrice anglosassone, noto con il termine di A.P.R.
(absolute priority rule) che, nel nostro ordinamento giuridico troverebbe
espresso recepimento, quale principio cardine, nell’art. 111 legge fallim.
in tema di fallimento ( 20 ).
Da questa assimilazione discenderebbe l’impossibilità nei concordati
con cessio bonorum di prevedere un adempimento non integrale dei creditori
prelatizi generali prima di passare al soddisfacimento dei creditori di
rango inferiore. Con una apparente apertura vengono fatte salve due fattispecie
nelle quali l’adempimento parziale sarebbe ammesso: 1) in presenza
di una espressa adesione dei creditori «sacrificati» ( 21 ); 2) quando secondo
le previsioni del piano sia previsto l’apporto (condizionato all’omologa del
concordato) di «nuova finanza» esterna rispetto alle risorse desumibili dal
patrimonio aziendale, con tutti i necessari distinguo con riguardo al concetto
di «nuova finanza» ( 22 ). Per contro resterebbe esclusa la possibilità
di applicazione dell’art. 160, comma 2, legge fallim., con sacrificio dei creditori
garantiti da privilegio generale nelle ipotesi liquidatorie «tradizionali»,
non sussistendo la possibilità, in presenza di patrimonio mobiliare insufficiente,
di soddisfare i creditori se non attribuendo le risorse derivanti
dalla liquidazione dell’azienda in modo scalare ai creditori ed applicando la
decurtazione solo al grado di privilegio successivo all’ultimo soddisfatto integralmente
( 23 ).
È evidente che l’adesione a questa linea di pensiero particolarmente rigorosa
ed ancorata al dato letterale della norma ( 24 ), in assenza di apporti di
risorse esterne, limita fortemente l’applicazione delle importanti innovazioni
contenute nella riforma, fino a confinare l’utilizzo della disposizione richiamata
a situazioni scolastiche e/o marginali almeno rispetto alla platea
( 20 ) Sulla non riconducibilità delle disposizioni riguardanti il concordato preventivo
all’absolute priority rule nordamericano, tra gli altri, S. Ambrosini in S. Ambrosini-P.
G. De Marchi-M. Vitello, Il concordato preventivo e la transazione fiscale, Zanichelli,
2009, pag. 35.
( 21 ) Adesione che dovrebbe probabilmente essere espressa prima del deposito della domanda
di concordato alla luce della previsione di cui all’art. 163 legge fallim. che assegna al
Tribunale la verifica di legittimità della formazione delle classi ai fini dell’ammissione alla procedura.
( 22 ) G. Bozza, Formazione delle classi ed alterabilità delle graduazioni legislative, cit. Relazione
al Convegno Dai Piani attestati ai concordati giudiziali: finanziamento e mercato della
crisi, Milano, 21 ottobre 2008, in allegato Il Fallimento, n. 1/2009.
( 23 ) P.F. Censoni, Il Concordato preventivo e la prospettiva della ricollocazione del patrimonio
dell’impresa in crisi, inDiritto Fallimentare, 2008, I, pag. 866.
( 24 ) Si osserva peraltro che il termine «alterare» utilizzato dal legislatore non consente
una interpretazione letterale stringente e sicuramente non esclude l’intenzione di voler garantire
meramente l’ordine della posizione in termini di vantaggio relativo dei creditori poziori.

Parte I - Dottrina 47
di concordati sorti dopo la riforma (abbiamo già evidenziato come la maggior
parte dei concordati in Italia siano con cessio bonorum).
Seguire questa tesi con particolare riferimento alla costruzione dottrinale
dell’eccezione per la «nuova finanza», secondo una visione prettamente
economica e sostanziale, può peraltro portare alla conseguenza di favorire
l’imprenditore che detiene risorse extra-aziendali ed è in grado di re-immetterle
nell’ambito del concordato direttamente o per tramite di terzi. È inoltre
evidente che laddove la proposta concordataria contenga obiettivi vantaggi
in termini di incremento del patrimonio, l’adesione alla impostazione
restrittiva comporta normalmente sacrifici non solo per i soggetti chirografari,
ma per gli stessi creditori privilegiati che potrebbero godere di un trattamento
differenziale comunque migliorativo rispetto all’ipotesi liquidatoria
fallimentare ( 25 ).
Un aspetto che per taluni sembra imprescindibile nel ragionamento che
nega la sacrificabilità dei privilegiati mobiliari generali è quello legato alla natura
di questo tipo di prelazione rispetto ai privilegi speciali. Viene evidenziato
che, nel caso dei privilegi generali, non ci si muove da un diritto reale
di garanzia, ma da una qualità del credito. Si sottolinea come la specialità stia
a significare l’inerenza della prelazione ad un bene vincolato, il cui ricavato
segna il limite della sua partecipazione preferenziale, attuando una situazione
ad estensione oggettiva più limitata rispetto al privilegio generale ( 26 ).
A supporto della tesi che nega, o limita fortemente, la possibilità di prevedere
un sacrificio per i creditori aventi privilegi generali vi sarebbero
quindi le difficoltà connesse all’inquadramento di un diritto di soddisfazione
che, in ambito concorsuale non si limiterebbe solo agli elementi dell’attivo
esistente al momento dell’accesso alla procedura, ma si riverberebbe
sulle risorse acquisite successivamente, quali le somme percepite in seguito
al recupero dei crediti, gli incassi derivanti dalla prosecuzione dell’attività
d’impresa o dall’effettuazione di transazioni, ovvero dall’esperimento vittorioso
di azioni legali, risarcitorie e recuperatorie ( 27 ).
Vedremo in seguito che questa impostazione si basa sull’applicazione in
( 25 ) Con riguardo agli effetti rispetto alla finalità di salvataggio delle aziende derivanti
dalla valutazione dei privilegiati in ossequio al principio di non alterazione dell’ordine dei privilegi
vedi P. Catallozzi, «La falcidia concordataria dei creditori assistiti da prelazione», Il
Fallimento, 2008, pag. 1017.
( 26 ) G. Bozza, Il Fallimento n. 12/2009, pag. 1441 seg. con nota adesiva alla posizione
espressa dal Tribunale di Treviso 11 febbraio 2009, in Il Fallimento, 2009, pag. 1439. Lo stesso
decreto è invece critcato da N.A. Bottai, Trattamento dei crediti privilegiati, nuova finanza
e rapporto tra classi e privilegi, inIl Fallimento, 1/2010, pag. 83.
( 27 ) In questo senso L. Mandrioli, La riforma organica delle procedure concorsuali, a
cura di S. Bonfatti e L. Panzani, 2008, pag. 682 seg. Su posizione analoga vedi il Lavoro della
Commissione Nazionale di Studio «Il Diritto Fallimentare dopo la riforma» del Consiglio Na-

48
Il diritto fallimentare e delle società commerciali - n. 1-2011
ogni fase della procedura di concordato dei principi tipici dell’espropriazione
forzata individuale o concorsuale; ciò implica l’estensione dei privilegi
anche a quella parte dell’attivo meramente eventuale, che si può realizzare
solo in ipotesi di riuscita del piano concordatario.
La posizione dottrinale richiamata, come già evidenziato, non arriva ad
escludere la possibilità di sacrificare i privilegiati mobiliari in ogni circostanza,
ma «attenua» la propria visione limitativa stabilendo due eccezioni: l’ipotesi
di assenso dei creditori coinvolti e quella di apporto di finanza esterna estranea
al patrimonio del creditore alla data della ammissione al concordato.
In linea con questo orientamento la «nuova finanza» non seguirebbe le
regole del concorso, trattandosi di elemento accrescitivo rispetto all’originario
patrimonio del debitore cristallizzato alla data di apertura della procedura
( 28 ).
Sempre secondo tale linea di pensiero, anche dopo l’ulteriore modifica
normativa del D.lgs. 12 settembre 2007 n. 169, l’aspetto dell’applicazione
analogica al dettato dell’art. 182 ter non assume particolare rilievo in quanto
norma speciale ( 29 ), anche se in ambito giurisprudenziale si assiste invece
alla sempre più diffusa adesione all’orientamento che vede nella transazione
fiscale «un sub-procedimento eventuale ed accessorio al concordato preventivo»
( 30 )( 31 ).
zionale dei Dottori Commercialisti e degli esperti contabili: «La Relazione Giurata estimativa
del professionista nel concordato preventivo e nel concordato fallimentare».
( 28 ) L. Mandrioli, op. cit.
( 29 ) G. Bozza, Formazione delle classi ed alterabilità delle graduazioni legislative, Relazione
al Convegno Dai Piani attestati ai concordati giudiziali: finanziamento e mercato della
crisi, Milano, 21 ottobre 2008, in allegato Il Fallimento, n. 1/2009.
( 30 ) Tribunale di Asti, 3 febbraio 2010, Il Fallimento, 2010, pag. 707 seg., ove si afferma
la non obbligatorietà di utilizzo dello strumento della transazione fiscale in un piano concordatario
che preveda il sacrificio dell’Erario «in quanto la possibilità del soddisfacimento non
integrale dei creditori privilegiati, senza alcuna distinzione di sorta, è previsto dall’art. 160,
comma 2, legge fallim., norma di portata generale, che non pone alcuna limitazione in relazione
alla natura dei crediti falcidiati. ....». Nel senso della non obbligatorietà della transazione
fiscale per poter proporre in ambito concordatario un sacrificio per l’Erario, restando solo
preclusa la possibilità di veder realizzato il consolidamento fiscale e la cessazione degli eventuali
contenziosi pendenti vedi Tribunale di La Spezia, 2 luglio 2009, Tribunale di Mantova,
26 febbraio 2009, Tribunale di Pescara, 2 dicembre 2008, Tribunale di Pavia, 8 ottobre 2008,
Corte di Appello di Genova, 19 dicembre 2009, www.ilcaso.it; vedi da ultimo anche Tribunale
di Roma, 27 gennaio 2009, Il Fallimento, 2010, pag. 232 seg., commentato da A. Penta,
«Obbligatorietà o facoltatività nel «classamento» dei creditori e carattere autonomo o dipendente
della transazione fiscale».
( 31 ) Anche se non ha carattere risolutivo si segnala la posizione espressa dall’Agenzia
delle Entrate con la Circolare della Direzione Centrale Normativa e Contenzioso dell’Agenzia
delle Entrate n. 40/E del 18 aprile 2008. Il documento si sofferma sulla novità contenuta nel
D.lgs. n. 169/2007 riguardante la possibilità di proporre un pagamento in misura ridotta ai
creditori muniti di prelazione ed in sede esplicativa ipotizza una proposta di concordato ca-

Parte I - Dottrina 49
Altre posizioni dottrinali poggiano su argomentazioni che appaiono
maggiormente ispirate alla ratio legis, aprendo la strada a soluzioni concordatarie
flessibili nella gestione degli asset delle aziende in crisi, senza per
questo sfociare nell’utilizzo strumentale ed «illecito» della facoltà consentita
dalla riforma.
Per questa parte della Dottrina la previsione del rinovellato art. 160 legge
fallim. va intesa nel senso che la non alterazione dell’ordine delle cause
legittime di prelazione comporta semplicemente che i creditori di rango superiore
non possano essere trattati in maniera deteriore rispetto a quelli di
posizione successiva nell’ordine dei privilegi ( 32 ).
In effetti, il Legislatore all’art. 160, comma 2, sembra preoccuparsi dei
rapporti tra le diverse cause di prelazione nel senso che la mancata soddisfazione
integrale – consustanziale o fisiologica al sistema – non deve comportare
distorsioni nei rapporti di preferenza, ossia sacrifici maggiori nelle
categorie poziori. La norma infatti si riferisce all’«alterazione» (etimologicamente
«diversità») dell’ordine, non di «violazione» dell’ordine; quindi la
deroga al principio di soddisfazione preferenziale-integrale incontra un limite,
consistente nell’impossibilità di creare una «preferenzialità» (appunto
in deroga) inversa rispetto alla legge.
In altri termini la disposizione dovrebbe essere «interpretata e applicata,
attribuendo al divieto di alterare l’ordine delle cause legittime di prelazione,
un valore relativo e non assoluto, nel senso di prevedere unicamente
la necessità che il creditore di grado superiore debba godere di un trattamento
comunque più favorevole di quello di grado successivo» ( 33 ).
Coloro che seguono questo indirizzo non ritengono indispensabile l’apporto
di risorse finanziarie aggiuntive o per l’intervento di un assuntore o
per la previsione di erogazione di denaro da parte di un soggetto esterno.
L’aspetto che determina la fattibilità giuridica del piano (anche liquidatorio)
è che questo contenga elementi tali da modificare l’attivo o il passivo
ratterizzata dalla presenza di classi di creditori privilegiati soddisfatti parzialmente in modo
scalare (le percentuali sono decrescenti), avallando quindi l’interpretazione «flessibile» del divieto
di alterazione dell’ordine delle cause legittime di prelazione.
( 32 ) Vedi S. Ambrosini in S. Ambrosini-P. G. De Marchi-M. Vitello, Il concordato
preventivo e la transazione fiscale, Zanichelli, 2009, pag. 43. Nello stesso senso, fra gli altri,
Calandra Buonaura, Il Concordato Preventivo (Tavola rotonda), inJorio (a cura di), Il
nuovo diritto delle crisi d’impresa, Milano, 2009, pag. 20; Vitello, Il nuovo concordato preventivo,
inRiv. It. Ragioneria economia aziendale, 2008, pag. 165 seg.; G. De Marchi, Il
Concordato preventivo alla luce del decreto «correttivo», inAmbrosini (a cura di), Le nuove
procedure concorsuali: dalla riforma «organica» al decreto «correttivo», Bologna, 2008, pag.
491 seg. Con riguardo alla Giurisprudenza vedi Tribunale di Mantova, 30 ottobre 2008 e
26 febbraio 2009 su Il Caso.it.
( 33 ) Calandra Buonaura, cit.

50
Il diritto fallimentare e delle società commerciali - n. 1-2011
in modo significativo rispetto alla prospettiva della liquidazione fallimentare.
Deve trattarsi quindi di un intervento sulla struttura del debito e/o quella
dell’attivo tale da realizzare un vantaggio differenziale per i creditori coinvolti
nella procedura ( 34 ).
In altre parole il concordato liquidatorio è incompatibile con la falcidia
del credito privilegiato solo nel caso in cui non intervengano attraverso la
costruzione concordataria modificazioni degli attivi e/o passivi in grado
di apportare, a prescindere dall’afflusso di nuova finanza, un miglioramento
rispetto allo scenario fallimentare ( 35 ).
Il limite massimo rispetto al sacrificio richiedibile ai creditori, si collega
al valore di possibile realizzo degli asset aziendali sui quali si riverbera il privilegio,
determinato dall’attestatore di cui all’art. 160 legge fallim., inserito
all’interno di una procedura liquidatoria di tipo fallimentare ( 36 ) e tenuto
conto degli oneri connessi alla liquidazione stessa.
Questo orientamento tende ad enfatizzare il carattere distintivo del concordato
preventivo post Riforma rispetto alle procedure meramente liquidatorie,
cui si ispirerebbe l’art. 111 legge fallim., ed anche l’art. 124 legge fallim.
La deroga alle norme che regolano questi istituti si giustifica ancora una
volta nella ratio normativa sottesa, cioè quella di trovare soluzioni alternative
alla dissoluzione favorendo la continuità aziendale o comunque la migliore
soluzione economica per i creditori coinvolti ( 37 ).
La soluzione concordataria proposta dal debitore non deve essere co-
( 34 ) F. Ambrosini, op. cit., l’Autore precisa che «il quid pluris rispetto alla prospettiva
insita nella liquidazione fallimentare ben può scaturire, ad esempio, da una rinuncia totale o
parziale da parte di alcuni creditori, dall’adesione di essi a veder postergate le proprie pretese,
ma anche dall’esistenza di offerte di acquisto di beni a valori superiori a quelli di mercato, o
da proposte transattive vantaggiose per il debitore, subordinate, in entrambi i casi, all’omologazione
del concordato...
( 35 ) F. Ambrosini, op. cit.
( 36 ) Si è già evidenziato che, solo di recente, a seguito della posizione assunta da parte
della Dottrina, taluna Giurisprudenza (Tribunale di Pordenone, 21 ottobre 2009, in www.ilcaso.it)
e Organismi di Categoria a livello nazionale (Lavoro della Commissione Nazionale di
Studio «Il Diritto Fallimentare dopo la riforma» del Consiglio Nazionale dei Dottori Commercialisti
e degli esperti contabili: «La Relazione Giurata estimativa del professionista nel concordato
preventivo e nel concordato fallimentare»), si è venuto consolidando l’orientamento
che il riferimento dell’art. 160, comma 2, al «ricavato in caso di liquidazione», debba essere
interpretato come il valore dell’insieme dei beni e/o diritti (il patrimonio aziendale) nell’ambito
di uno scenario fallimentare. Secondo questo orientamento la valutazione deve tenere
conto degli oneri connessi alla procedura liquidatoria fallimentare e delle passività anche potenziali
riferibili al compendio aziendale nella sua interezza, oltre che alle attività potenzialmente
riferibili al compendio aziendale nella sua interezza e dalle attività potenzialmente ritraibili
da azioni risarcitorie e/o revocatorie ordinarie o fallimentari.
( 37 ) Cfr. C. Ferri, Classi di creditori e poteri del giudice nel giudizio di omologazione del
«nuovo» concordato preventivo, inGiur. Comm., 2006, I, pag. 553 seg.

Parte I - Dottrina 51
munque tale da privare il creditore del risultato che il privilegio gli assicurerebbe,
in termini percentuali e di tempo del pagamento, attraverso la prospettazione
di un trattamento non deteriore rispetto a quello che la legittima
causa di prelazione vantata dal creditore stesso garantirebbe a quest’ultimo
nell’ambito dell’esecuzione collettiva di natura fallimentare. A questo
riguardo l’introduzione di un limite quantitativo stabilito attraverso l’asseverazione
di un esperto si pone come garanzia del rispetto, seppur sulla base
di stime, dei limiti anzidetti. È evidente che la verifica deve tenere conto
nel caso dei privilegi generali anche dei diritti sussidiari immobiliari che in
taluni casi spettano a tali creditori e deve procedere simulando gli esiti di un
ipotetico riparto in ambito fallimentare ( 38 ).
4. La qualificazione giuridica del vantaggio «differenziale». – Se l’indicazione
normativa di non alterare i gradi prelatizi deve essere letta nel senso di
rispettare comunque l’ordine in termini di commisurazione della soddisfazione
(chi sta sotto non può avere un trattamento migliore) e la misura di
questa non può comunque essere inferiore alla stima del realizzo (da parte
di un perito) in ipotesi fallimentare, ciò che assume rilievo è la verifica dell’esistenza
di un «vantaggio differenziale» nel perseguimento di una proposta
concordataria e della possibilità di escludere che questo vantaggio confluisca
nel patrimonio (del debitore), che sarebbe oggetto dell’esecuzione
concorsuale secondo l’ordine dei privilegi tradizionalmente inteso.
A questo riguardo un aspetto su cui appare necessario dedicare attenzione
è quello del momento nel quale i privilegi esplicano la propria efficacia sui
beni, cha la legge vincola al loro soddisfacimento. È stato affermato in più
occasioni che la previsione di cui all’art. 160, comma 2, legge fallim. è finalizzata
ad individuare il limite minimo di realizzo degli asset aziendali al di
sotto del quale non è ammesso proporre un sacrificio al creditore prelatizio.
Ai fini di una valutazione di eventuali lesioni potenziali dei diritti gravanti
sui beni la proposta concordataria deve quindi superare la prova del confronto
tra il patrimonio offerto ai creditori alla data della domanda di ammissione alla
procedura (o di ammissione alla stessa) ed il valore stimato dal perito.
Dal tenore letterale, ma anche da una valutazione sostanziale del dettato
normativo sembra emergere che, con riguardo ai privilegi (non solo quelli
speciali) il valore «promesso» al creditore nella proposta concordataria, necessariamente
non inferiore a quello di liquidazione stimato ai sensi dell’art.
160, comma 2, legge fallim. sarà il riferimento in sede di esecuzione del concordato
a prescindere dall’effettivo realizzo successivo in corso di procedu-
( 38 ) Si è già evidenziato in precedenza come il riferimento allo scenario fallimentare sia
una costruzione dottrinale non emergendo in modo univoco dal dato letterale della norma.

52
Il diritto fallimentare e delle società commerciali - n. 1-2011
ra ( 39 ). Non sembra esservi quindi, di regola, alla luce dei diversi presupposti
del nuovo concordato preventivo rispetto alla situazione ante Riforma,
una coincidenza tra il momento in cui il diritto prelatizio viene misurato
e quello in cui viene esercitato, aspetto invece intrinseco nell’ambito dell’esecuzione
individuale o in quella concorsuale fallimentare. In altri termini,
nell’ambito del procedimento tradizionale del concorso il diritto tutelato
dal privilegio si esercita in fase di vendita del bene gravato dal vincolo prelatizio
e si misura con il ricavato della stessa; nel concordato preventivo post
Riforma sembra invece possibile, come detto, proporre ai creditori un valore
di soddisfacimento sulla base di una stima di realizzo del proponente
riferita al bene al momento di inizio della procedura, con l’unico limite minimo
individuato dall’attestatore ex art. 160, comma 2, legge fallim. Questo
aspetto può trovare in taluni casi enfasi in ipotesi di concordato conservativo
(continuazione dell’impresa a seguito di una riorganizzazione protetta
dell’azienda), in presenza ad esempio di proposte di pagamento parziale dei
debiti privilegiati sulla base di stime di realizzo liquidatorio dei beni gravati
da prelazione, ma in assenza di vendita dei beni stessi.
Se la verifica di legittimità nel trattamento dei creditori privilegiati poggia
sulla individuazione di un valore minimo che non altererebbe il trattamento
degli stessi in sede di procedura liquidatoria alternativa fallimentare, l’assunto
è estensibile nel caso in cui l’oggetto dei privilegi è costituito dall’intero patrimonio
mobiliare del debitore esistente al momento dell’esecuzione, comprensivo
di universalità di mobili, crediti ed altri diritti aventi per oggetto beni
mobili secondo la regola generale di cui all’art. 813 del Codice Civile.
Sembra quindi più aderente all’interpretazione della norma in esame la
tesi di coloro che sottolineano la differenza di natura e funzione tra gli istituti
fallimentari di cui all’art. 54, 124 e 111 e seguenti della Legge Fallimentare
ed il concordato preventivo Post Riforma laddove, valorizzandosi nella
individuazione di soluzioni di stampo privatistico, quest’ultimo sfugge all’assimilazione,
divaricandosi in modo sostanziale dalle fattispecie richiamate.
Emerge però un ulteriore aspetto rilevante e cioè la focalizzazione del
Legislatore sul minimo ammissibile per garantire la legittimità della proposta,
elemento al quale sembra riferirsi il richiamo normativamente conseguenziale
al divieto di alterazione dell’ordine del privilegi. Le regole del
concorso parrebbero applicabili solo nei limiti dei valori conseguibili in
un procedimento fallimentare, alternativo a quello costruito su base pattizia,
i cui valori incrementali sfuggono invece a tali regole.
( 39 ) Si tratta evidentemente dell’ipotesi che sembra ammessa e disciplinata dalla norma
di proposta concordataria che individua e fissa un impegno quantificato nei confronti dei creditori
privilegiati, non anche delle ipotesi in cui la proposta prevede il riconoscimento di
quanto verrà in seguito realizzato sui beni soggetti a privilegio, qualunque sia il ricavato.

Parte I - Dottrina 53
D’altra parte, se si dovesse argomentare sostenendo la assimilabilità dell’attuale
concordato alle procedure liquidatorie, nella fase post omologa
nessuna differenza dovrebbe esserci tra finanza aggiuntiva proveniente da
terzi e valori incrementali derivanti dalla proposta concordataria avvalorati
dal perito; entrambi sono solo eventuali ed entrambi sono costituiti da risorse
che si uniscono e accrescono il patrimonio del debitore in sede di esecuzione
del concordato, a seguito dell’omologa.
È peraltro da sottolineare che nei concordati conservativi non è scontato
l’apporto di «nuova finanza», ma il vantaggio del mantenimento della
continuità aziendale in termini di risorse può derivare anche dalla rimodulazione
dei flussi finanziari derivanti dalla gestione aziendale sotto l’ombrello
protettivo concordatario, con evidenti vantaggi per i creditori. In questi
casi, come già evidenziato, non sembra potersi escludere una proposta che
veda sacrificati i creditori privilegiati, ma con trattamenti migliorativi rispetto
anche solo ad una liquidazione in bonis del compendio aziendale ( 40 ).
Forse ciò che sembra non essere stato oggetto di adeguata riflessione è
che, rispetto alla precedente normativa fallimentare, il concordato non rappresenta
una procedura esecutiva senza ritorno. Il presupposto infatti è la
crisi e non l’insolvenza e, in assenza di omologa, non vi è un accesso automatico
al fallimento.
Il piano concordatario, assumendo la natura di una proposta ai creditori
per un percorso oggi alternativo a quello che derivava dall’insolvenza, può, a
certe condizioni, differenziarsi dalle procedure che hanno nell’insolvenza il
presupposto oggettivo naturale. Così come in ipotesi di continuazione aziendale
il concordato rimane l’alveo per la conservazione della ricchezza aziendale
in un’ottica di concorso virtuoso dei creditori nel soddisfacimento delle
proprie ragioni, allo stesso modo nelle fattispecie liquidatorie la capacità di
costruire un vantaggio differenziale permetterebbe di considerarlo un premio
da ripartire tra i creditori senza essere subordinato alle regole tradizionali del
concorso. L’aspetto premiante e l’agevolazione nell’interesse del sistema si
evince anche dalla creazione dell’incentivo fiscale mediante la transazione fiscale,
istituto applicabile nell’ambito del concordato preventivo e degli accordi
di ristrutturazione, ma non nell’ambito del concordato fallimentare.
Il divieto di alterazione dell’ordine delle cause di prelazione stabilito
dall’art. 160, comma 2, legge fallim. assume alla luce di queste considerazioni
una valenza diversa dalla medesima enunciazione letterale nell’ambito
dell’art. 124 legge fallim. in tema di concordato fallimentare.
( 40 ) Potrebbe essere questo il caso in cui il riferimento dell’art. 160, comma 2, al «ricavato
in caso di liquidazione» non è riconducibile all’ipotesi fallimentare, ma semplicemente
all’ipotesi liquidatoria di tipo «atomistico» dissolutiva non solo dell’avviamento, ma anche
dei valori di funzionamento degli asset gravati da privilegio.

54
Il diritto fallimentare e delle società commerciali - n. 1-2011
Nel primo caso il rispetto del limite viene verificato con riferimento al
patrimonio del debitore all’apertura della procedura e non a tutto il patrimonio
valorizzato mediante la proposta concordataria, ed il differenziale dell’attivo
rispetto all’ipotesi fallimentare diviene qualificabile come un elemento
giuridicamente disponibile fuori delle regole tradizionali del concorso.
Il surplus concordatario diviene il premio del sistema liberamente disponibile
( 41 ) in quanto generato in ambito diverso da quello che caratterizza la
procedura atomistica liquidatoria del fallimento.
In altri termini, l’anima pattizia del concordato preventivo post Riforma
influisce sugli esiti della procedura senza distorcere le regole del concorso
con riguardo ai valori che verrebbero assoggettati ad esecuzione, in assenza
del quid pluris creato dalla soluzione individuata dal proponente, salva la
verifica del perito necessaria per confermare o meno l’esistenza di un vero
elemento differenziale realizzabile.
Nel concordato fallimentare, trattandosi di procedura di liquidazione
già avviata, il divieto di alterare l’ordine dei privilegi assume pregnanza
su tutto il patrimonio in quanto valorizzato dalla procedura stessa (anche
la parte differenziale) e non grazie ad un piano ed un accordo privatistico.
5. Conclusioni. – Alla luce delle considerazioni svolte, la tesi che riconosce
la possibilità di prevedere il pagamento non integrale per i creditori privilegiati
generali, pur in assenza di interventi di «nuova finanza», e anche
nell’ambito di concordati di tipo liquidatorio, sembra poggiare non solo
su ragioni di ordine operativo, peraltro non di poco rilievo in fase applicativa
nei concordati con cessio bonorum, ma trova ormai un avallo importante
da un punto di vista strettamente giuridico.
Vi è in primo luogo l’interpretazione letterale della norma, laddove il
divieto di alterare i rapporti tra portatori di diritti di prelazione assume
una valenza ordinatoria, ma non esprime un obbligo di soddisfazione preferenziale
integrale.
Si aggiunge la ratio normativa più volte richiamata per la quale l’obiettivo
di individuare soluzioni negoziate della crisi aziendale passa per il ridimensionamento
di molti principi cardine operanti nel sistema pre-Riforma,
non meno rilevanti di quello riguardante l’alterabilità dell’ordine delle cause
legittime di prelazione ( 42 ).
( 41 ) Ci si chiede se questa disponibilità in presenza di un differenziale rilevante possa
anche modificare l’ordine naturale dei privilegi o si mantenga la regola che vede comunque
il creditore poziore in posizione dominante in termini di soddisfazione complessiva. La risposta
dovrebbe comunque essere negativa posta la lettera della norma in esame.
( 42 ) Si pensi alla deroga alla par condicio creditorum attuata con l’introduzione della possibilità
di formazione delle classi, alla modifica dei presupposti soggettivi ed oggettivi per l’ac-

Parte I - Dottrina 55
L’evoluzione del testo della norma, volta a colmare gradualmente e per
approssimazioni successive i vuoti lasciati dal Legislatore della prima Riforma,
difficilmente riconducibile ad una volontà meramente interpretativa di
situazioni già risolte in passato in sede giurisprudenziale, sembra seguire un
linea coerente con le esigenze di flessibilità applicativa, pur nell’alveo dalla
legittimità sostanziale nella regolazione della fattispecie.
L’analisi sistematica della normativa in vigore, anche alla luce di un graduale
consolidamento giurisprudenziale in sede di valutazione degli istituti
della transazione fiscale e previdenziale, mette in evidenza un insieme coordinato
di statuizioni che regolano la formazione delle classi e stabiliscono il
limite del sacrificio anche dei creditori privilegiati generali; il tutto sottoposto
al controllo giudiziale, preventivo ed in corso di procedura, oltre che da
parte dei creditori in sede di adunanza.
Si è peraltro evidenziato come il richiamo alle norme di riferimento nelle
procedure individuali o collettive, nonché il parallelismo con le previsioni
contenute nell’art. 124 legge fallim. non possa portare ad equiparare le modalità
di regolazione dei rapporti con i creditori trattandosi di istituti operanti
in ambiti distinti: l’uno in una procedura non naturalmente finalizzata
alla liquidazione e comunque attratta nell’alveo delle soluzioni concordate
della crisi; l’altro essendo già inserito in una fase esecutiva liquidatoria fallimentare.
L’assenza della necessaria correlazione con la fase concorsuale
fallimentare indebolisce anche il richiamo all’art. 111 legge fallim. come traduzione
dell’absolute priority rule di stampo anglosassone.
Neppure l’apparente apertura alla costruzione dottrinale della «nuova
finanza» derivante da terze economia appare convincente. Non solo per
motivi concreti potendosi prestare ad utilizzi strumentali o ad abusi soprattutto
in ipotesi liquidatorie, ma anche perché debole nel momento in cui si
vuole differenziarla rispetto ad altre tipologie di vantaggio concordatario.
È la qualificazione del surplus concordatario l’aspetto che necessita un
inquadramento giuridico, sia esso derivante dal «quid pluris» emergente
dalla soluzione prospettata ai creditori oppure, o anche, dalla «nuova finanza»
proveniente dall’esterno, e sembra trovarlo, in coerenza e nel rispetto
delle regole che tutelano i creditori privilegiati, senza per questo annullare
i vantaggi concreti che anche a questi stessi soggetti possono derivare da
costruzioni concordatarie più flessibili di quelle ante Riforma.
cesso al concordato e, da ultimo, all’introduzione di situazioni di prededucibilità di crediti
nominalmente chirografari (vedi prededuzione per «Nuova Finanza» prevista nel nuovo
art. 182 quater legge fallim.) al solo fine di favorire la realizzazione di accordi volti alla salvaguardia
dei creditori, ma anche della continuità aziendale e dei benefici connessi.

CONSIDERAZIONI CRITICHE SUL COMITATO DEI CREDITORI
di
Alessandro Carducci Artenisio (*)
Sommario: 1. Premessa. – 2. La nomina del comitato dei creditori. – 3. L’assenza di requisiti
di professionalità dei componenti il comitato dei creditori. – 4. L’eventuale compenso
riservato ai componenti. – 5. Conclusioni e prospettive.
1. Premessa. – La legge fallimentare riformata attribuisce funzioni di
particolare rilevanza al comitato dei creditori ( 1 ). Il legislatore – com’è noto
– ha voluto privatizzare la procedura concorsuale, riducendo i poteri del
(*) Avvocato in Palermo. Dottore di ricerca in Diritto dell’impresa.
( 1 ) In prospettiva comparatistica, si segnala che il legislatore spagnolo ha riformato nel
2004 la ley Concursal; per quel che concerne il ruolo attribuito alla junta de acreedores, detta
riforma è andata in senso diametralmente opposto rispetto alla scelta operata in Italia; invero,
mentre prima del 2004 la junta aveva un ruolo centrale ed indefettibile nello svolgimento della
procedura concorsuale, la recente riforma ha relegato il comitato a mero organo eventuale;
in particolare l’esistenza del comitato è limitata all’apertura della fase (non anticipata) di «convenio».
Per una disamina, anche storica, del comitato dei creditori in Spagna cfr. Quijano
Gonzáles, La junta de acreedores en la nueva legislación concursal, inRevista de derecho concursal
y paraconcursal, 2005, 3, 65 segg.; Pulgar Ezquerra, Alcune considerazioni relative
alla riforma del diritto concorsuale spagnolo, inLa legislazione concorsuale in Europa, a cura di
Bonfatti e Falcone, Milano, 2004, 144 segg.; Falcone, La riforma concorsuale spagnola, Quaderni
di Giur. comm., Milano, 2006, 122 segg. Sulla junta de acreedores in Spagna si segnala da
ultimo la monografia di Porfirio Carpio, La junta de acreedores (su especial consideración
como órgano del concurso), Civitas ediciones, 2008, ove l’Autore si sofferma ampiamente sulla
natura di organo solo eventuale nonché sulla riduzione delle attribuzioni rispetto al sistema
previgente, con conseguente affievolimento del ruolo svolto dai creditori nel concorso: la procedura
concorsuale è così svolta per i creditori, ma senza i creditori. Precisa l’autore che la
scelta di ridurre il peso del comitato è dipesa anche dalla considerazione che tale organo si
è storicamente caratterizzato per la sua scarsa competenza.
Evidenzia Carbone, I nuovi compiti degli organi fallimentari nella liquidazione concorsuale,
in AA.VV., Il nuovo diritto fallimentare ed il ruolo del notaio, Milano, 2008, 23, che la vera scommessa
della riforma della discplina fallimentare italiana è quella di aver optato per la rivitalizzazione
del ruolo attribuito al comitato anziché per la eliminazione di tale organo.

Parte I - Dottrina 57
giudice delegato e rafforzando, tra l’altro, quelli del comitato dei creditori,
quale organo portatore dell’interesse (di respiro generale) al proficuo svolgimento
della vicenda fallimentare. Tale impostazione si pone in perfetta
sintonia con l’idea secondo cui in caso di insolvenza il controllo dell’impresa
(o del patrimonio riferibile all’imprenditore) debba fisiologicamente trasferirsi
in capo ai creditori ( 2 ).
Tuttavia, la prima esperienza applicativa della riforma testimonia, almeno
con riferimento alle procedure fallimentari con esiguo attivo ( 3 ), che il
comitato non ha ottenuto il successo sperato dal legislatore. È assai frequente
infatti che coloro i quali vengono nominati componenti del comitato da
parte del giudice delegato rifiutino di accettare tale incarico ( 4 ); inoltre, nei
pochi casi in cui si riesce a costituire l’organo ( 5 ) (la maggior parte delle volte
in epoca successiva all’udienza di verifica dei crediti), quest’ultimo, spesso,
non riesce a svolgere le proprie funzioni, con conseguente riespansione
dei poteri del giudice delegato che, ai sensi dell’art. 41 comma 4 legge fallim.,
si sostituisce al comitato «in caso di inerzia, di impossibilità di costituzione
per insufficienza di numero o indisponibilità dei creditori, o di funzionamento
[...] o di urgenza» ( 6 ).
( 2 ) Affronta la questione relativa al trasferimento del controllo ai creditori nell’ambito
delle procedure concorsuali Stanghellini, Le crisi di impresa tra diritto ed economia, Bologna,
2007, 49 segg., che segnala anche lo scritto di Libonati, Prospettive di riforma sulla crisi
d’impresa, inGiur. comm., I, 2001, 327 segg.
( 3 ) Il comitato dei ceditori, con gli importanti compiti che gli sono stati attribuiti, sembra
oggi un organo (o ufficio) disegnato per le procedure che si propongono di soddisfare un
elevato numero di stakeholders e che possono, prima facie, vantare buone possibilità di recupero
per i creditori.
( 4 ) Si è utilizzata nel testo l’espressione «rifiuto di accettazione» anziché «rinuncia all’incarico»,
in quanto si condivide l’idea di chi ritiene necessaria l’accettazione dell’investitura
(sebbene non espressamente prevista) per divenire membro del comitato; cfr. in tal senso Michelotti,
Il comitato dei creditori: nomina, attribuzioni, responsabilità e funzionamento, in
Dir. fall., 2006, I, 736; Esposito, Il comitato dei creditori: la necessità dell’accettazione ai fini
della composizione di un organo non necessario, inFallimento, 2007, 111.
( 5 ) Prima della riforma fallimentare, escludeva che il comitato dei creditori potesse essere
qualificato organo Sandulli, La crisi dell’impresa, inManuale di diritto commerciale,
a cura di Buonocore, Torino, 2005, 113; secondo Rocco di Torrepadula, Il nuovo comitato
dei creditori, inDir. fall., 2006, 1085 segg., al comitato dei creditori, così come delineato
dalla riforma fallimentare, può essere attribuita la qualifica di ufficio.
( 6 ) Secondo Tribunale Roma, 20 marzo 2008, in Fallimento, 1, 2009, 110 segg., il giudice
delegato dovrebbe svolgere la funzione suppletiva del comitato anche a seguito di una
situazione di stallo derivante da una votazione con esito di parità. Detta circostanza si può
verificare sia perché l’art. 41 comma 3 legge fallim. stabilisce che le deliberazioni del comitato
sono assunte con la maggioranza dei «votanti», con la conseguenza che gli astenuti restano
esclusi dal conteggio dei voti, sia in quanto la legge non prevede un quorum costitutivo
per la validità delle deliberazioni del comitato. Segnala Rocco di Torrepadula, Il nuovo
comitato dei creditori, cit., 1006, che il comitato può deliberare senza previa convocazione,

58
Il diritto fallimentare e delle società commerciali - n. 1-2011
Si è anche fatto notare ( 7 ) che la presenza nel tessuto della disciplina fallimentare
della disposizione da ultimo citata avrebbe persino determinato
in alcuni tribunali la prassi di non dar luogo alla costituzione dell’organo
in commento.
Con il presente lavoro si intendono mettere in rilievo alcune incongruenze
normative che, verosimilmente, impediscono al comitato di svolgere
quel ruolo di co-protagonista (unitamente al curatore) della procedura
fallimentare, che il legislatore gli aveva riservato.
2. La nomina del comitato dei creditori. – Competente alla nomina del
comitato dei creditori è, ex art. 40 legge fallim., il giudice delegato, che deve
provvedervi entro 30 giorni ( 8 ) decorrenti dalla sentenza dichiarativa di fallimento
«sulla base delle risultanze documentali, sentiti il curatore e i creditori
che, con la domanda di ammissione al passivo o precedentemente
hanno dato la disponibilità ad assumere l’incarico ovvero hanno segnalato
purché siano presenti tutti i componenti del comitato e gli stessi siano informati sugli argomenti
da trattare; segnala poi l’Autore che non è necessaria l’adozione del metodo collegiale,
con la conseguenza che i membri del comitato possono esprimere il proprio voto in qualsiasi
forma, purché delle votazioni espresse sia possibile conservare traccia (fax, mail, posta ecc.),
così come previsto dall’art. 41 comma 3 legge fallim. A tal proposito sembra però che l’adozione
del metodo collegiale debba ritenersi necessaria almeno in sede di prima convocazione
del comitato da parte del curatore, ex art. 40 comma 3 legge fallim. (convocazione da effettuarsi
entro 10 gg. dalla nomina, al fine di procedere all’elezione del presidente). Tale conclusione
discende, in primo luogo, dal tenore letterale del testo normativo che sembra circoscrivere
la facoltatività del metodo collegiale alle votazioni indette dal presidente del comitato;
in secondo luogo ragioni di opportunità inducono a ritenere che il curatore, anche nell’ottica
di poter riferire al giudice delegato sul funzionamento del comitato, debba constatare di
persona l’effettiva volontà dei neo componenti di svolgere le funzioni cui saranno tenuti istituzionalmente.
Del resto il curatore, successivamente alla nomina del presidente, sottoporrà
solo a quest’ultimo le sue istanze e non anche agli altri membri del comitato. Ad altro titolo si
ricorda che nella procedura di amministrazione straordinaria la nomina del presidente del comitato
di sorveglianza è riservata all’organo politico e non agli stessi componenti dell’organo.
Inoltre nell’ambito di quest’ultima procedura concorsuale il comitato è chiamato ad esprimere
i pareri, generalmente entro dieci giorni (e non quindici come nella procedura di fallimento);
tuttavia nei casi di urgenza, il comitato può essere chiamato ad estrinsecare la propria
volontà in un termine più breve, comunque non inferiore a tre giorni. La disciplina fallimentare
non prevede, invece, la riduzione del termine ove ricorra una situazione di urgenza, al
verificarsi della quale sarà comunque il giudice delegato a sostituirsi al comitato dei creditori.
( 7 ) Ricci, Note sugli organi del fallimento dopo le riforme, inGiur. comm., 2008, 2, I,
196 segg. che segnala che «il legislatore da un lato compie una scelta, dall’altro fa il possibile
perché tale scelta resti non attuata nella pratica».
( 8 ) Il termine in questione sembra da ritenersi ordinatorio: in tal senso, tra gli altri, Rocco
di Torrepadula, Il nuovo comitato dei creditori, cit., 1062, nt. 13, che fonda tale conclusione
«sulla base dell’ampio potere attribuito al giudice delegato di intervenire in qualsiasi
momento sul comitato». Secondo l’Autore sarebbe stata più utile la previsione della nomina
del comitato dei creditori con la sentenza dichiarativa di fallimento.

Parte I - Dottrina 59
altri nominativi aventi i requisiti previsti». Il giudice delegato quindi, prima
di nominare i membri del comitato, dovrebbe, tra l’altro, entro 30 giorni
dalla dichiarazione di fallimento sentire i creditori (verosimilmente tramite
il curatore) che, nella propria domanda di insinuazione, abbiano manifestato
la disponibilità a divenire componenti dell’organo o abbiano indicato altri
soggetti ( 9 ) disposti a comporre il comitato. A tal proposito si ricorda che
la sentenza dichiarativa di fallimento deve indicare (art. 16 legge fallim.) i) la
data dell’udienza di verifica dei crediti, che deve rimanere fissata entro i
quattro mesi (cinque in caso di procedura di particolare complessità) dal
deposito del provvedimento; e ii) che i creditori del soggetto fallito possono
proporre le domande di insinuazione, ex art. 93 legge fallim., nei trenta
giorni precedenti l’udienza di verifica.
Le disposizioni da ultimo richiamate denotano la prima incongruenza.
Nella pratica risulta poco verosimile che il deposito della domanda di insinuazioneavvenganeitrentagiornicheseguono
la dichiarazione di fallimento: ciò
presupporrebbe che entro tale termine il curatore abbia esaminato le scritture
contabili dell’impresa, abbia assunto informazioni idonee a individuare i potenziali
creditori, abbia provveduto a convocare e sentire il fallito e abbia poi
avvisato tutti i possibili creditori ex art. 92 legge fallim. Si deve allora concordare
sul fatto che coloro che possono aver richiesto di divenire membri del
comitato dei creditori nei primi trenta giorni sono pochi soggetti, cioè coloro
che (oltre a chi ha presentato l’istanza di fallimento) informalmente o tramite
la consultazione del registro delle imprese hanno avuto contezza della sentenza
dichiarativa ed hanno ritenuto di presentare immediatamente l’insinuazione,
molto tempo prima della scadenza prevista dalla legge. Se tutto ciò èvero,
se ne possono trarre alcune conseguenze. La prima è che ad essere «sentiti»
sarebbero solo i creditori più attenti e più veloci, con violazione, in un certo
senso, della par condicio creditorum. La seconda è che il comitato potrebbe
risultare composto da soggetti non creditori della massa ( 10 ). Ed infatti, solo
al momento in cui lo stato passivo diviene esecutivo è possibile conoscere quali
saranno i creditori che potranno partecipare ai riparti ( 11 ). Autorizzazioni e
( 9 ) La norma fa riferimento ad «altri nominativi aventi i requisiti previsti». Tale terminologia
sembra impropria, posto che la legge non prevede, come si vedrà nel prosieguo del
testo, particolari requisiti per divenire membro del comitato; pertanto, sarà sufficiente che i
nominativi segnalati si identifichino con soggetti creditori del fallito. Del resto la scelta in ordine
al modo in cui sarà composto l’organo, sulla base dei criteri di qualità, quantità e grado
di possibile soddisfacimento dei crediti, è riservata al giudice delegato e non di certo ai creditori
che segnalano altri nominativi.
( 10 ) Il giudice delegato, al momento della scelta dei componenti del comitato, non è
chiamato ad effettuare un giudizio prognostico in ordine alla possibile partecipazione del presunto
creditore ai futuri riparti.
( 11 ) È noto che il decreto che rende esecutivo lo stato passivo ha efficacia endofallimen-

60
Il diritto fallimentare e delle società commerciali - n. 1-2011
pareri resi dal comitato prima dell’esecutività dello stato passivo potrebbero
dunque essere imputabili ad un organo composto da membri non legittimati
alla partecipazione. Del resto il comitato dei creditori nominato prima dell’udienza
di verifica non è organo provvisorio ( 12 ) con poteri limitati (salva una
diversa interpretazione che si potrebbe fondare sulla isolata previsione di cui
all’art. 87 bis legge fallim. che, in tema di «inventario su altri beni», fa riferimento
ad un comitato dei creditori provvisoriamente nominato), ma è organo
definitivo investito di tutti i poteri attributi dalla legge, salva la possibilità, ex
art. 37 bis legge fallim., da parte dei creditori (rectius di coloro che rappresentano
la maggioranza dei crediti ammessi) di designare, in sede di udienza di
verifica, altri membri del comitato; e fermo inoltre il più generale potere-dovere
del giudice delegato di modifica della composizione ex art. 40 comma 4
legge fallim., nonché ilpoteredirevocapergiustificatimotiviriconosciutoal
tribunale fallimentare dall’art. 23 legge fallim.
3. L’assenza di requisiti di professionalità dei componenti il comitato dei
creditori. – Come evidenziato in premessa, il comitato dei creditori è investito
di importanti funzioni, molte delle quali in passato ( 13 ) erano di competenza
del giudice delegato. In particolare il comitato ha poteri ispettivi
(art. 41 comma 5 legge fallim.), ha accesso al fascicolo della procedura
(art. 90 legge fallim.), vigila sull’operato del curatore, ne autorizza gli atti
( 14 ) (così svolgendo una funzione di amministrazione attiva), esprime i pa-
tare; conseguenza di ciò èche il rigetto della domanda di insinuazione non equivale alla negazione
assoluta del credito, ma impedisce solo la partecipazione ai riparti della procedura;
sul punto si segnala Cavalaglio, L’accertamento del passivo, inLa riforma del diritto fallimentare,
a cura di Campiani, Napoli, 2008, 119 segg.
( 12 ) In senso contrario Rocco di Torrepadula, Il nuovo comitato dei creditori, cit.,
1063, che fonda la propria conclusione sul fatto che i creditori presenti in sede di adunanza
dello stato passivo possono effettuare nuove designazioni in ordine ai membri del comitato,
nonché sulla circostanza che il giudice delegato possa modificare la composizione dell’organo
in qualsiasi tempo, in relazione alle variazioni dello stato passivo o per altro giustificato motivo.
Così ragionando, però, il comitato sarebbe perennemente da considerare organo provvisorio
e lo stesso ragionamento potrebbe in parte valere anche per il curatore fallimentare.
( 13 ) Prima della riforma il comitato dei creditori aveva funzioni meramente consultive
(rendeva pareri generalmente obbligatori, ma non vincolanti salvo il caso relativo alla possibile
continuazione dell’attività d’impresa): era perciò considerato dalla dottrina un organo
«privo di rilevanza», così Rocco di Torrepadula, Il nuovo comitato dei creditori, cit.
1059 segg., il quale menziona Segni, Il nuovo progetto di legge sul fallimento, inJus, 1943,
176, che dipingeva il comitato come «un fantasma di organo fallimentare» da sopprimere,
anziché «conservarlo nell’attuale stato di progressiva atrofia».
( 14 ) Tra le autorizzazioni di competenza del comitato dei creditori si ricordano quelle
riguardanti: il compimento da parte del curatore di atti di straordinaria amministrazione
(art. 35 legge fallim.); il subentro del curatore nei rapporti contrattuali pendenti o lo scioglimento
dai relativi vincoli (artt. 72, 73, 81 legge fallim.); la rinunzia a beni sopravvenuti il cui

Parte I - Dottrina 61
reri ( 15 ) nei casi previsti dalla legge e quando richiesto dal giudice delegato o
valore di realizzo risulta inferiore ai costi da sostenere per il loro acquisto e per la loro conservazione
(art. 42 co. 3 legge fallim.); la nomina di delegati e di coadiutori da parte del curatore
(art. 32 legge fallim.); l’impiego di disponibilità liquide in investimenti a capitale garantito
(art. 34 legge fallim.). In ordine ai poteri del comitato in materia di rapporti pendenti cfr.
Inzitari, Sospensione del contratto per sopravvenuto fallimento ed incerti poteri autorizzativi
del comitato dei creditori, inContratto e impresa, 2007, 1, 11 segg.
( 15 ) Tra i pareri ritenuti non vincolanti si ricordano: quello relativo all’attribuzione al fallito
di un sussidio alimentare (art. 47 legge fallim.), quello relativo alle modalità di soddisfacimento
anticipato dei creditori muniti di pegno o di privilegio ex art. 2756 e 2751 cc. (art. 53
legge fallim.); i pareri relativi alla sorte dei finanziamenti destinati di cui all’art. 2447 bis c.c.,
co. 1, lett. B) (art. 72 ter legge fallim.); il parere in ordine all’istanza (rivolta al tribunale) formulata
dal curatore di omettere l’accertamento del passivo in caso di previsione di insufficienza
di attivo (art. 102 legge fallim.); quello reso in tema di sospensione delle operazioni
di vendita in caso di gravi e giustificati motivi (art. 108 legge fallim.); il parere in tema di chiusura
anticipata della procedura concorsuale (art. 119 legge fallim.); il parere avente ad oggetto
l’esercizio delle azioni di responsabilità contro gli organi sociali e, in caso di s.r.l., anche contro
i soci che hanno deciso o autorizzato atti di gestione (art. 146 legge fallim.).
Quanto ai pareri ritenuti vincolanti si segnalano: quello relativo alla restituzione di beni
mobili di terzi (art. 87 bis legge fallim.); quelli relativi all’affitto d’azienda (art. 104 bis legge
fallim.), alla proposta di concordato fallimentare (art. 125 legge fallim.), alla continuazione (o
cessazione della prosecuzione) dell’attività d’impresa (art. 104 legge fallim.; in caso di continuazione
dell’attività il comitato ha diritto ad essere informato in ordine ad eventuali circostanze
sopravvenute che possono influire sulla prosecuzione dell’attività); precisa Giannelli,
Commento agli artt. 155 e 156 legge fallim., in Commentario Egea, in corso di pubblicazione
(consultato per la cortesia dell’A.), che il legislatore non ha invece previsto analoga competenza
in tema di eventuale prosecuzione della gestione del patrimonio destinato ad uno specifico
affare. Per quel che concerne invece il caso di finanziamento destinato ad unico affare
rileva sempre Giannelli, I finanziamenti destinati ad uno specifico affare e il contenimento
del rischio di impresa, inRds, 2008, 4, 797, che l’art. 72 ter legge fallim., per il caso di continuazione
dell’operazione, prevede solo un parere non vincolante del comitato dei creditori;
tale scelta, ad avviso dell’Autore, sarebbe giustificata dal fatto che la gestione dell’operazione
non comporta rischi per i creditori della massa, ma solo per il creditore finanziatore. Sulla
differenza tra pareri vincolanti ed autorizzazioni del comitato dei creditori si sofferma Tomasso,
Aspetti del funzionamento del comitato dei creditori come disegnato dalla riforma della
legge fallimentare, inFallimento, 1, 2009, 114, il quale nota che la differenza risiederebbe nella
motivazione che, nel caso del parere, dovrebbe essere più estesa e dovrebbe ripercorrere
l’iter logico che ha determinato l’opinione, mentre nel caso dell’autorizzazione potrebbe essere
assolta mediante la mera apposizione di una frase di stile. Corollario di tale ragionamento,
secondo il citato Autore, sarebbe che il comitato dei creditori, in caso di emissioni di pareri,
dovrebbe funzionare con metodo collegiale. Pone su piani diversi, almeno da un punto
di vista ontologico, autorizzazioni e pareri vincolanti Rocco di Torrepadula, Il nuovo comitato
dei creditori, cit., 1075 segg.; in particolare, secondo quest’ultimo studioso i pareri vincolanti
si tradurrebbero in un diritto di veto da parte del comitato dei creditori; più in generale
l’Autore rileva come le autorizzazioni ed i pareri vincolanti diano vita ad una sorta di cogestione
tra comitato dei creditori, curatore e giudice delegato. Segnala ancora tale Autore
come il legislatore della riforma non abbia previsto le conseguenze giuridiche derivanti dal
compimento di atti compiuti dal curatore senza la preventiva autorizzazione del comitato o
in assenza del parere vincolante.

62
Il diritto fallimentare e delle società commerciali - n. 1-2011
dal tribunale (art. 41 legge fallim.), approva il programma di liquidazione
(art. 104 legge fallim.) ( 16 ).
Dal punto di vista della politica legislativa la scelta di rafforzare il ruolo
del comitato appare astrattamente condivisibile, se si approva l’idea che
quest’organo è quello che meglio può curare gli interessi dei creditori. Sembra
però incoerente non aver previsto requisiti di professionalità per divenire
membro del comitato o, in mancanza di tali requisiti, non avere stabilito
l’assistenza obbligatoria da parte di professionisti qualificati.
Invero l’art. 40 comma 2 legge fallim. si limita a stabilire il numero dei
componenti (3 o 5 membri) e le modalità di «estrazione» dal ceto creditorio,
in modo che all’interno del comitato siano rappresentati in misura equilibrata
quantità ( 17 ) e qualità dei crediti, avuto riguardo alla possibilità di
soddisfacimento dei creditori ( 18 ); ma nulla è invece previsto in ordine alla
professionalità dei possibili partecipanti all’organo.
L’astratta mancanza di professionalità dei membri del comitato presenta
delle evidenti ripercussioni sul buon esito e prima ancora sul corretto
svolgimento della procedura concorsuale. Il comitato dei creditori, come
è noto, è tra l’altro competente ad approvare il programma di liquidazione
( 19 ) che rappresenta l’indefettibile atto propedeutico alla realizzazione
( 16 ) Si ricorda poi che il comitato può chiedere la revoca del curatore (art. 37 legge fallim.)
e, al termine della prima udienza di verifica, può anche indicare al tribunale un soggetto
che sostituisca il precedente curatore (art. 38 legge fallim.); ha diritto ad essere informato in
ordine agli esiti delle procedure di vendita; autorizza l’azione di responsabilità promossa dal
nuovo curatore nei confronti del precedente (art. 38 legge fallim.); provvede (uno dei suoi
componenti) alla vidimazione del registro nel quale il curatore annota giorno per giorno le
operazioni relative all’amministrazione. Più in generale, quanto ai compiti attribuiti al comitato,
segnala Vigo, Poteri e rappresentatività del «nuovo» comitato dei creditori, inRiv. dir.
civ., 2007, 2, 114, che il legislatore delegato si è spinto oltre le previsioni della delega. In realtà,
osserva Proto, Il comitato dei creditori nella legge delega per la riforma organica della disciplina
delle procedure concorsuali, cit., 1002 segg., che il legislatore delegante (con l’art. 6
della legge 14 maggio 2005, n. 80) aveva solo genericamente indicato i compiti da attribuire
al comitato dei creditori.
( 17 ) Si segnala che in Spagna la Junta de acredorees deve essere composta da creditori che
rappresentano almeno la metà dei crediti ammessi: così l’art. 116 della ley concorsual; cfr.
Quijano Gonzáles, La junta de acreedores en la nueva legislación concursal, cit., 74 segg.
( 18 ) Il possibile soddisfacimento dei crediti potrà sommariamente essere valutato dal
giudice delegato sulla base, tra l’altro, dell’eventuale privilegio che assiste il credito. Per quel
che concerne la qualità dei creditori si ricorda che Libonati, Prospettive di riforma sulla crisi
d’impresa, cit., 332 individua la classe dei creditori d’impresa propriamente detti (commerciali
e finanziari), quella rappresentata dal Fisco ed infine quella dei lavoratori.
( 19 ) Così prevede l’art. 104 ter legge fallim., in seguito alla modifica apportata dal decreto
correttivo n. 169 del 2007. Fa notare che l’attribuzione al comitato della funzione di approvare
il programma di liquidazione ha reso l’organo in discorso dominus della fase di liquidazione
Bozza, L’approvazione del programma di liquidazione e l’autorizzazione degli atti ad
esso conforme, inFallimento, 2008, 1058.

Parte I - Dottrina 63
dell’attivo. Il curatore, nei sessanta giorni successivi alla redazione dell’inventario,
redige il programma di liquidazione, così proponendo, tra l’altro,
al comitato dei creditori come e con quali strumenti giuridici intende procedere
al fine di recuperare utilità per la massa. L’organo in discorso è quindi
chiamato ad approvare o no il programma sulla base di una ponderata
valutazione giuridica del quadro prospettato dal curatore. Sembra che
una così delicata funzione (l’approvazione del programma) non possa essere
attribuita a soggetti, almeno in astratto, professionalmente incompetenti, le
cui scelte (nella maggior parte dei casi) potrebbero essere frutto di una valutazione
atecnica, eventualmente orientate dal curatore o dall’imprenditore
fallito.
Requisiti di professionalità sono invece previsti per i soggetti delegati.
Invero ciascun componente del comitato dei creditori può, ai sensi dell’art.
40 ultimo comma della legge fallimentare, delegare parzialmente o interamente
i propri compiti ( 20 ), previa comunicazione al giudice delegato, ad
un soggetto che disponga dei requisiti di professionalità previsti per assumere
l’incarico di curatore ( 21 ). Tale facoltà di nomina, in particolare nelle
procedure di scarsa rilevanza, non viene quasi mai utilizzata dai membri del
comitato, i quali, già incerti in ordine al possibile recupero dei propri crediti,
preferiranno evitare di sostenere altre spese derivanti dal pagamento
dei compensi ai professionisti delegati, i quali ultimi del resto (se si accede
alla condivisibile tesi, secondo cui l’interesse di cui sarebbe portatore l’organo
trascende quello dei suoi componenti) sarebbero chiamati a tutelare
solo indirettamente gli interessi particolari dei deleganti. Infatti, i componenti
del comitato hanno diritto al rimborso delle spese sostenute, mentre
la possibilità di ottenere un compenso per l’attività svolta è rimessa al verificarsi
di alcune circostanze che di seguito verranno rappresentate.
4. L’eventuale compenso riservato ai componenti. – L’art. 37 bis legge
( 20 ) Secondo Cesqui, Note sul «nuovo» comitato dei creditori nel fallimento, inBanca,
borsa, tit. cred., 2007, VI, 763 segg., la delega potrebbe avere ad oggetto singoli compiti (procura)
o la funzione nel suo complesso (delega in senso stretto), con diverse ripercussioni in
punto di responsabilità del delegante e del delegato. Su tale ultimo aspetto cfr. anche Inzitari,
La responsabilità del comitato dei creditori, inilcaso.it, sez. II, doc. n. 123, 4; nonché
Inzitari, La responsabilità del comitato dei creditori, inContratto e impresa, 2009, 1, 24 segg.
Si segnala che la ley concursal spagnola (art. 118) prevede espressamente la possibilità che un
componente della giunta dei creditori possa delegare un altro componente, il quale ultimo
potrà esprimere distinte manifestazioni di voto; cfr. sul punto Quijano Gonzáles, La junta
de acreedores en la nueva legislación concursal, cit., 77.
( 21 ) Si condivide l’affermazione di Vigo, Poteri e rappresentatività del «nuovo» comitato
dei creditori, cit., 115 segg., secondo cui nonostante la delega, il creditore resta il titolare delle
funzioni attribuite all’organo, con la conseguenza che in qualsiasi momento può esercitare le
funzioni connesse al proprio mandato.

64
Il diritto fallimentare e delle società commerciali - n. 1-2011
fallim. prevede al comma 3 che, in sede di udienza di verifica, la maggioranza
dei creditori ammessi, da calcolarsi con voto computato per teste,
possa stabilire l’assegnazione ai componenti del comitato di un compenso
per l’attività svolta, da aggiungere al rimborso delle spese previsto dall’art.
40 legge fallim. ( 22 ). Detto compenso non potrà risultare superiore al dieci
per cento di quello che verrà liquidato al curatore. Non è chiaroseillimite
del dieci per cento valga per l’intero comitato o per il singolo componente:
l’interpretazione letterale orienta a ritenere il limite relativo a ciascun componente;
l’interpretazione sistematica, anche sulla base del raffronto dei
compiti e delle responsabilità di ciascun componente con quelli del curatore,
induce a ritenere che il previsto limite si riferisca complessivamente
all’intero comitato.
Tale disposizione, che si rinviene nell’ambito della sezione III riservata
al curatore (e non della sezione IV dedicata al comitato), limita temporalmente
la possibilità di votare per il compenso ad un preciso momento della
procedura (l’udienza di verifica dei crediti), senza peraltro stabilire a chi
spetti il potere di iniziativa della richiesta di votazione. L’esperienza pratica
denota che difficilmente tale facoltà èstata utilizzata.
In primo luogo si osserva che il momento in cui il comitato riesce a costituirsi
è normalmente successivo alla prima udienza di verifica, al termine
della quale, come noto, il giudice delegato rende esecutivo lo stato passivo.
È infatti dopo tale udienza, sulla base dello stato passivo, che si cristallizzano
le posizioni di coloro che sono in concreto interessati al proficuo svolgimento
della vicenda fallimentare. Non è un caso allora se la nomina del comitato
da parte del giudice delegato, in tempo anteriore all’udienza di verifica,
determini numerosi rifiuti di accettazione dell’incarico da parte di coloro
che sono stati nominati; del resto, non pare possa esser revocata in
dubbio la legittimità di non assumere l’incarico ( 23 ). Se questo è ciò che accade
(anche per le incongruenze normative già segnalate) si spiega perché
all’udienza di verifica, (in particolare) di una procedura in cui non risulta
ancora formato l’organo che qui ci occupa, normalmente non si proceda al-
( 22 ) Precisa persuasivamente Rocco di Torrepadula, Il nuovo comitato dei creditori,
cit., 1069 che, una volta accordato il compenso ai membri del comitato (compenso che fisiologicamente
– come accade per il curatore – andrà corrisposto a carico della massa al termine
della procedura), è ben possibile corrispondere degli acconti ai componenti: ciò almeno, si
aggiunga, nel caso in cui sia stato venduto qualche bene o comunque a fronte della realizzazione
di somme da ripartire. Si ricorda che il nuovo testo della legge fallimentare all’art. 110
stabilisce che, nel caso di somme disponibili, il curatore debba procedere ogni quattro mesi
alla redazione di un progetto di ripartizione.
( 23 ) In tale senso cfr. Cesqui, Note sul «nuovo» comitato dei creditori nel fallimento, cit.,
760.

Parte I - Dottrina 65
la votazione per stabilire il compenso da riservare ai (futuri) componenti del
comitato.
Si rileva poi che l’ultimo comma dell’art. 37 bis legge fallim. nulla prevede
in ordine al soggetto che debba farsi promotore in udienza dell’iniziativa,
volta a proporre ai creditori ammessi di votare sul compenso dei componenti
del comitato dei creditori. Restando fedeli al dato testuale, sembrerebbe
che il legislatore avesse in mente un’udienza di verifica in cui i creditori
ammessi presenti, subito prima del decreto che rende esecutivo la stato
passivo, esprimano spontaneamente il proprio voto sul compenso dei componenti.
Ma è evidente che tale eventualità risulta assolutamente peregrina,
in particolare nelle procedure medio-piccole, in cui generalmente non si
ravvisa un preventivo raccordo tra i creditori insinuati in vista della possibile
partecipazione alla votazione sul compenso.
Non è stabilito poi chi possa votare nell’ipotesi in cui, in sede di prima
udienza di verifica, non si riescano a trattare tutte le domande di insinuazione
tempestive e conseguentemente il giudice delegato disponga un rinvio
per la trattazione di quelle restanti. Il legislatore fa riferimento «all’adunanza»
per l’esame dello stato passivo, lasciando così intendere che il voto sul
compenso debba spettare ai creditori presenti; con la conseguenza che, in
caso di differimento d’udienza, nella successiva avranno diritto di voto i creditori
ammessi e presenti, oltre quelli già ammessi all’udienza precedente
che spontaneamente si sono presentati alla nuova unicamente al fine di votare
sul compenso e che abbiano chiesto al giudice delegato di far constare
nel verbale d’udienza la loro presenza.
Altra questione è se l’udienza di verifica indicata nell’art. 37 bis legge
fallim. sia solo quella in cui sono esaminate le domande di insinuazione tempestive
ovvero anche le altre che, ai sensi dell’art. 101 legge fallim., si celebrano
ogni quattro mesi e non oltre un anno dal giorno in cui il primo stato
passivo è stato reso esecutivo. L’interpretazione più aderente al testo di legge
sembra quella, in base alla quale la votazione sul compenso da riconoscere
al comitato debba avvenire all’udienza di verifica delle insinuazioni tempestive:
con la conseguenza pratica che, per le ragioni già esposte, difficilmente
il comitato dei creditori svolgerà la propria attività a fronte di un
compenso.
La laconica e inadeguata regolamentazione delle modalità di attribuzione
del compenso ha inevitabili ripercussioni in ordine alla professionalità
del comitato dei creditori. Si è già detto che la legge non prevede requisiti
di professionalità per i componenti del comitato (a fronte del regime di responsabilità
delineato dall’art. 41 legge fallim., in forza del richiamo alle disposizioni
normative in tema di collegio sindacale di società per azioni) e
che i requisiti di professionalità devono sussistere solo in capo agli eventuali
soggetti delegati. Invero, a fronte della difficoltà per i componenti del comitato
di ottenere un compenso, difficilmente gli stessi, in particolare nelle

66
Il diritto fallimentare e delle società commerciali - n. 1-2011
procedure medio-piccole, saranno disposti – come già accennato – a nominare
professionisti delegati a proprie spese, preferendo invece agire personalmente
o, eventualmente, rinunciare all’incarico ( 24 ).
5. Conclusioni e prospettive. – Sulla base di quanto fin qui descritto, onde
rappresentare il «com’è», che peraltro non offre spazi sufficienti per interpretazioni
estensive volte a rendere funzionale l’organo di cui stiamo discorrendo,
si può provare ad ipotizzare, de iure condendo, il «come potrebbe
essere».
Si potrebbe rendere obbligatoria la nomina del comitato dei creditori
solo nell’ipotesi di sussistenza di un prestabilito rapporto percentuale tra
l’importo complessivo dei crediti derivanti dalle domande tempestive ammesse
e il valore totale di stima dei beni mobili, immobili e delle altre componenti
patrimoniali attive rinvenute dal curatore ( 25 ). In tale prospettiva, il
momento di (eventuale) nomina del comitato sarebbe spostato in avanti rispetto
alla previsione attuale: il giudice delegato sarebbe chiamato, al ricorrere
dei presupposti, a nominare il comitato successivamente al decreto con
cui rende esecutivo il primo stato passivo (così come era previsto prima della
riforma fallimentare ( 26 )) e una volta concluse le operazioni di inventario
e di stima delle entità patrimoniali riferibili al fallimento ( 27 ). La nomina
successiva al primo stato passivo esecutivo consentirebbe poi di scegliere
( 24 ) Sottolinea Fortunato, Rilievi sulle principali novità della riforma fallimentare, in
Dir. fall., 2006, I, 1034 segg., come la solo eventuale retribuzione prevista per i componenti
del comitato e la responsabilità connessa alla funzione di membro del comitato abbiano l’effetto
di depotenziare sul nascere il ruolo del comitato rendendo quasi normale la sussistenza
dei presupposti di inerzia, impossibilità di costituzione e di funzionamento, richiesti per attivare
il potere di sostituzione del giudice delegato.
( 25 ) Non si vede infatti quale interesse possa avere un creditore a divenire membro (assumendosi,
tra l’altro, le conseguenti responsabilità) di un comitato dei creditori in un fallimento
«ricco» solo di qualche bene mobile da liquidare. Del resto prima della riforma fallimentare
l’esigenza di privatizzare la procedura concorsuale era avvertita in particolare per le
grandi imprese in crisi, così, tra gli altri, Libonati, Prospettive di riforma sulla crisi d’impresa,
cit., 339.
( 26 ) Si ricorda che l’art. 41 della legge fallimentare prima della riforma stabiliva la nomina
dell’organo entro dieci giorni dal decreto di esecutività dello stato passivo, con la facoltà
per il giudice delegato, ove ritenuto opportuno, di provvedere ad una nomina provvisoria anticipata.
( 27 ) Rocco di Torrepadula, Il nuovo comitato dei creditori, cit., 1062, nt. 12, 1063,
nt. 19 e 1064 nt. 21, ricorda che nell’ordinamento tedesco la legge sull’insolvenza (Inzolvenzordnung)
attribuisce al giudice la facoltà e non l’obbligo di nominare immediatamente il comitato
dei creditori. Il comitato eventualmente nominato dal giudice delegato è provvisorio;
quello definitivo è nominato dall’assemblea dei creditori. L’organo in questione deve rappresentare
al suo interno i creditori privilegiati, i creditori con maggiore e con minore credito;
inoltre uno dei componenti deve essere espressione dei lavoratori dell’impresa fallita.

Parte I - Dottrina 67
i componenti del comitato tra quei creditori che verosimilmente (salvi i possibili
cambiamenti derivanti dall’esito delle eventuali impugnazioni di cui
all’art. 98 legge fallim.) parteciperanno al riparto. Detto sistema sarebbe
poi reso elastico accordando al giudice delegato la possibilità di revocare
o di nominare l’organo in caso di modifica del citato rapporto tra indebitamento
e attivo, sulla base del nuovo quadro esistente trascorso l’anno utile
per la valutazione delle domande tardive (ex art. 101 legge fallim.) e/o sulla
base del sopraggiungere di nuovi beni o della rinuncia ad altri (ex art. 104
ter comma 7); ferma restando la possibilità per il giudice delegato di modificare
la composizione dell’organo sulla scorta delle risultanze definitive dei
giudizi di impugnazione di cui all’art. 98 legge fallim.
Così ragionando, il primo compito del comitato dei creditori sarebbe
l’approvazione del programma di liquidazione, attività questa che andrebbe
effettuata successivamente al decreto che rende esecutivo lo stato passivo
( 28 ); fino a tale momento della procedura i compiti che oggi il legislatore
attribuisce al comitato sarebbero svolti istituzionalmente (e non in sostituzione,
come per l’attuale art. 41 comma 4 legge fallim.) dal giudice delegato.
Per garantire poi un’adeguata professionalità della composizione del comitato,
tenuto conto delle delicate funzioni attribuite a quest’ultimo, si potrebbe
prevedere che i componenti presentino i requisiti di cui all’art. 28
legge fallim.( 29 ), restando esclusi gli studi professionali o le società tra professionisti
(salvo il caso in cui non siano essi stessi creditori dell’imprenditore
fallito). In mancanza sarebbe auspicabile la previsione dell’obbligatorietà
della delega a soggetti che presentino requisiti di professionalità ( 30 ).
( 28 ) In altre parole, sebbene l’accertamento del passivo e l’attività di identificazione e
stima dei beni del fallimento (cui attualmente deve seguire nei sessanta giorni la predisposizione
del programma di liquidazione) camminino su binari diversi, l’idea che si prospetta nel
testo è che gli organi della procedura percorrano tali binari alla stessa velocità, in modo da
giungere, quasi contestualmente al decreto che rende esecutivo lo stato passivo, alla nomina
del comitato ed alla conseguente approvazione del programma di liquidazione.
( 29 ) Si ricorda che possono essere nominati curatori anche coloro che hanno (ben) svolto
funzioni di amministrazione, di direzione e di controllo in società; ebbene tali soggetti saranno
coloro che, nel caso di creditori-società, siederanno nel comitato. Perrino, Programma di
liquidazione e tecniche di cessione in blocco, inDir. fall., 2006, 6, 1090, giustifica la scelta legislativa
di allargare il campo dei soggetti che possono assumere l’incarico di curatore, tra l’altro,
anche a soggetti che hanno svolto in precedenza funzioni di amministrazione, direzione e
controllo in società per azioni, facendo osservare che un’attività liquidatoria con carattere
conservativo deve necessariamente essere alimentata da un professionale espletamento di attività
gestoria (di tipo non sostitutivo, salvo il caso di esercizio provvisorio).
( 30 ) Con riferimento ai delegati limiterei il campo dei soggetti indicati nell’art. 28 legge
fallim. agli avvocati, ai commercialisti ed agli studi o associazioni professionali e società di
professionisti, escludendo la categoria dei soggetti che abbiano gestito controllato o diretto
società, con riferimento ai quali la norma pone la necessità di un giudizio di meritevolezza
che creerebbe qualche problema in termini di speditezza della procedura.

68
Il diritto fallimentare e delle società commerciali - n. 1-2011
A tal proposito si segnala che in materia di amministrazione straordinaria
delle grandi imprese in stato di insolvenza, il comitato di sorveglianza (di
nomina ministeriale) deve essere composto da tre o cinque membri, la maggioranza
dei quali devono essere scelti tra esperti del ramo dell’attività d’impresa
esercitata o di procedure concorsuali ( 31 ).
Il tema della professionalità del comitato andrebbe raccordato all’altro
relativo alle modalità di corresponsione del compenso. L’interesse generale
e non particolare (dei singoli componenti) che il legislatore ha voluto sottendere
alla funzione del comitato, nonché la scelta di attribuire a tale organo
importanti funzioni non solo meramente consultive (con conseguente
aumento di responsabilità dei componenti ( 32 )) comportano inevitabilmente
dei costi da sopportare.
La stabilità del nominato comitato dipende, tra l’altro, dall’eventuale riconoscimento
del compenso. In tale ottica pare opportuno e utile attribuire
al giudice delegato la possibilità di stabilire una remunerazione – sulla base
della richiesta dei componenti in qualsiasi momento della procedura e non,
come avviene adesso, solo in un determinato momento della stessa. Il riconoscimento
del compenso, da rimettere al prudente apprezzamento del giudice,
dovrebbe determinarsi anche sulla base della maggiore o minore complessità
dei compiti che il comitato sarà chiamato a svolgere. Sarebbe poi
utile, nell’ottica di garantire la funzionalità dell’organo, prevedere l’obbligatorietà
del compenso in caso di delega a professionisti, alla stessa maniera di
quanto previsto nell’ambito della procedura di amministrazione straordinaria,
con riferimento ai membri esperti del comitato di sorveglianza ( 33 ): ap-
( 31 ) Cfr. art. 45 del d.lgs. n. 270 del 1999.
( 32 ) Si ricorda che l’art. 41 legge fallim., richiama, in quanto compatibile, il primo ed il
comma 3 dell’art. 2407 c.c. in tema di responsabilità dei componenti del collegio sindacale.
Prima del decreto correttivo n. 169 del 2007, il richiamo era esteso anche al comma 2 della
citata disposizione codicistica che, com’è noto, si riferisce alla c.d. culpa in vigilando. Mostra
qualche perplessità in ordine all’assimilazione della responsabilità dei membri del comitato a
quella dei componenti del collegio sindacale, Lo Cascio, Organi del fallimento e controllo
giurisdizionale, inFallimento, 2008, 373. Considera contrattuale la responsabilità dei componenti
del comitato Cesqui, Note sul «nuovo» comitato dei creditori nel fallimento, cit. 762,
senza però esplicitare le ragioni di siffatta conclusione. Considera invece aquiliana (derivante
da lesione del credito) la responsabilità dei componenti del comitato, con le connesse conseguenze
in punto di prescrizione, Rocco di Torrepadula, Il nuovo comitato dei creditori,
cit., 1080 segg., il quale tra l’altro afferma la possibilità di graduare la responsabilità di ciascun
componente del collegio sulla base del comportamento effettivamente tenuto.
( 33 ) Si ricorda che, nella procedura di amministrazione straordinaria, i componenti
«esperti» del comitato di sorveglianza, ai quali spetta un compenso (ex art. 45 del d.lgs. n.
270 del 1999, determinato sulla base di un regolamento adottato dal Ministro di grazia e giustizia,
di concerto con i Ministri dell’industria e del tesoro, del bilancio e della programmazione
economica) non necessariamente devono appartenere al ceto creditorio.

Parte I - Dottrina 69
pare infatti poco probabile che il creditore, già costretto a sopportare le
conseguenze derivanti dall’insolvenza del proprio debitore, sia disposto anche
a sostenere personalmente i costi dipendenti dalla delega.
Le soluzioni fin qui prospettate partono anche dalla considerazione che
i componenti del comitato nell’esercizio delle proprie funzioni non possano
perseguire direttamente l’interesse proprio, bensì siano chiamati a contemperare
una molteplicità di interessi superindividuali ( 34 ).
Quanto al primo assunto, e cioè che il componente dell’organo non
possa perseguire direttamente un interesse egoistico ( 35 ), esso emerge implicitamente
dalla norma di cui all’art. 40 comma 5 legge fallim., ove è stabilito
che il membro del comitato che si trovi in conflitto di interessi debba astenersi
dalla votazione ( 36 ). Nonostante non siano previste espressamente le
conseguenze derivanti dalla violazione di tale precetto, sembra possibile ritenere
che il provvedimento adottato dal comitato con il voto determinante
di un membro in conflitto di interessi sia reclamabile davanti al giudice delegato
ex art. 25 legge fallim. Occorre inoltre chiedersi se possa ritenersi reclamabile
anche un provvedimento adottato dal comitato in contrasto con
interessi di soggetti a vario titolo coinvolti nella vicenda fallimentare. La risposta
positiva al quesito presuppone necessariamente l’identificazione della
finalità, tutelata dalla legge, che l’organo di cui stiamo discorrendo deve
di volta in volta perseguire, nonché la definizione di una scala gerarchica
degli interessi che il comitato deve, sulla base della norma vigente, tenere
a mente nell’esercizio delle proprie funzioni; solo in tal modo si potrà ipotizzare
un sindacato di legittimità da parte del giudice delegato ( 37 ), volto a
( 34 ) Affronta il problema dell’interesse di cui è portatore il comitato dei creditori Tomasso,
Aspetti del funzionamento del comitato dei creditori come disegnato dalla riforma della
legge fallimentare, cit. 112, ove richiami dottrinali. Più in generale sulla tematica degli interessi
coinvolti nelle procedure d’insolvenza cfr. Stanghellini, Le crisi d’impresa fra diritto
ed economia, cit., 68 segg.
( 35 ) Si ricorda che nel vecchio codice di commercio il comitato dei creditori era nominato
dalla maggioranza dei creditori e non dal giudice; da ciò la naturale tendenza al perseguimento
di interessi particolari e non generali; sul comitato dei creditori così come delineato
dal codice di commercio e dalla legge fallimentare anteriore alla riforma cfr. Proto, Il comitato
dei creditori nella legge delega per la riforma organica della disciplina delle procedure concorsuali,
inFallimento, 2005, 9, 1001 segg.
( 36 ) Si pensi ad esempio al caso del comitato chiamato a decidere, ex art. 104 ter comma
6 legge fallim., in ordine alla possibile rinuncia di liquidazione di un bene oggetto di un privilegio
speciale: in tale ipotesi il membro del comitato titolare del privilegio dovrà astenersi
dalla votazione.
( 37 ) Si occupa delle differenze tra i poteri da riconoscere al giudice nella valutazione delle
scelte operate nell’ambito del diritto societario e del diritto concorsuale (sebbene a proposito
dell’approvazione del concordato) Terranova, Conflitti d’interessi e giudizio di merito
nelle soluzioni concordate delle crisi d’impresa, relazione svolta al Convegno tenutosi a Palermo
il 18 e 19 giugno 2010 sul tema La riforma della legge fallimentare:bilanci e prospettive alla

70
Il diritto fallimentare e delle società commerciali - n. 1-2011
valutare l’eventuale sviamento dell’agire del comitato rispetto agli interessi
da salvaguardare ed alla finalità da assumere come istituzionale. Si tratta di
una questione dai contorni evidentemente poco netti, che non può trovare
il giusto approfondimento nella presente ricerca; in questa sede, ci si limiterà
a registrare alcuni dei possibili interessi (talora contrapposti a quelli dei
creditori concorsuali) con cui dovranno confrontarsi i membri del comitato
nell’espletamento del proprio mandato.
Invero, a fianco al generale interesse ( 38 ) al soddisfacimento dei credi-
luce delle esperienze maturate, in corso di pubblicazione negli Atti del convegno (consultato
per la cortesia dell’Autore).
( 38 ) È discutibile quale sia la natura giuridica da riconoscere all’interesse di cui sono
complessivamente portatori i creditori concorsuali; volendo inquadrare la tematica nell’ambito
delle situazioni giuridiche si potrebbe, per grandi linee, tentare un accostamento alla categoria
degli interessi collettivi: in particolare il comitato potrebbe risultare espressivo di
un gruppo non occasionale di soggetti (i creditori concorsuali) autonomamente individuabili;
sul tema degli interessi collettivi e sulla differenza con gli interessi diffusi (o adespoti) si rinvia,
tra l’altro, a Giannini, La tutela degli interessi collettivi nei procedimenti amministrativi,
in Le azioni a tutela degli interessi collettivi, Padova, 1996, 23 segg.; Ruffolo, Interessi collettivi
o diffusi e tutela del consumatore, Milano, 1985, 21 e segg. ove ampi richiami dottrinali.
Per quel che concerne la tutela degli interessi collettivi dei consumatori, ed in particolare sul
tema della class action, si rinvia a Ruffolo, op. ult. cit., 59 segg.; per un commento in ordine
all’azione collettiva introdotta all’art. 140 bis del codice del consumo cfr. Citroni-Stornarello,
Class action statunitense e nuova azione collettiva italiana: due sistemi a confronto, in
Comm. int., 2009, 15-16, 5 segg.; Vigoriti, Giustizia e futuro: conciliazione e class action, in
Contr. e impr., 2010, 1, 1 segg.; Stuyck, Class action in Europe? To Opt-in or to Opt-out, that
is the Question, inEuropean business law review, 2009, 4, 483 segg.
Per quel che concerne l’oggetto della presente indagine si è già fatto osservare che il comitato
potrebbe risultare rappresentativo anche di soggetti non individuati (i creditori non
ancora ammessi al passivo che diverranno concorsuali a seguito dell’accoglimento di una domanda
tardiva o di esito positivo di un giudizio di opposizione ex art. 98 legge fallim.); sembra
allora più opportuno il richiamo alla categoria degli interessi di serie (da contrapporre agli
interessi di gruppo) come segnalata, a proposito dell’approvazione dei concordati, da Terranova,
Conflitti d’interessi e giudizio di merito nelle soluzioni concordate delle crisi d’impresa,
cit., che richiama lo scritto di N. Jaeger, Il fallimento e le altre forme di tutela giurisdizionale,
inTrattato di dir. civ., diretto da Grosso e Santoro Passarelli, Milano, 1964.
Sia consentito notare che gli studi in tema di interessi superindividuali sono sorretti preliminarmente
dall’esigenza di trovare strumenti giuridici di tutela (siano essi di natura procedimentale
o giudiziale); si segnalano in tal senso gli scritti di Costantino, Brevi note sulla
tutela giurisdizionale degli interessi collettivi davanti al giudice civile, inLe azioni a tutela degli
interessi collettivi, 223 segg.; Vigoriti, Interessi collettivi e processo. La legittimazione ad agire,
Milano, 1979; AA.VV., Le azioni a tutela degli interessi collettivi (Atti del convegno di Pavia,
11-12 giugno 1974), Padova, 1976; Carpi, Cenni sulla tutela degli interessi collettivi nel
processo civile e la cosa giudicata, inRiv. trim. dir. proc. civ., 1974, 956 segg.; Cappelletti,
Appunti sulla tutela giurisdizionale di interessi collettivi o diffusi, inGiur. it., 1975, IV, 49
segg.; Rodotà, Tecniche risarcitorie e nuovi interessi, inTutela dell’onore e mezzi di comunicazione
di massa, Milano, 1979, 45 segg.; Patroni Griffi, Note in tema di tutela giudiziaria
di interessi diffusi,inGiust. civ., 1980, II, 294; Grasso, Gli interessi della collettività e l’azione

Parte I - Dottrina 71
tori ammessi al concorso, il comitato si dovrà confrontare con altre esigenze
che potrebbero talora risultare tra loro contrastanti: così l’interesse alla
continuazione dell’impresa o alla costituzione di una società oveconferire
l’azienda del fallito potrebbe scontrarsi con quello tendente alla rapida liquidazione
di beni altamente appetibili al mercato ( 39 ); l’interesse di una
collettività territoriale affinché venga proseguita l’attività di servizi di
una società partecipata dall’ente pubblico di riferimento sottoposta a fallimento,
potrebbe confliggere con l’interesse dei creditori concorsuali ad ottenere
una celere liquidazione dell’attivo, eventualmente tramite l’alienazione
di beni a favore di enti esercenti la medesima attività in altro contesto
territoriale; ancora, l’interesse alla continuazione del rapporto di lavoro,
anche per un breve periodo ( 40 ), tramite l’esercizio provvisorio ( 41 ) potrebbe
collidere con la possibilità prevista per il caso di cessione dell’azienda di
convenire il trasferimento solo parziale dei lavoratori alle dipendenze dell’acquirente
( 42 ).
collettiva, inRiv. dir. proc., 1983, 24 segg.; Morelli, Interesse di categoria e tutela giurisdizionale
amministrativa, inGiust. civ., 1974, I, 1433 segg.; Id., Interesse superindividuale e tutela
giurisdizionale amministrativa,inGiust. civ., 1980, I, 687 segg.; Ferrara, Contributo allo
studio della tutela del consumatore, Profili pubblicistici, Milano, 1983; Mastelloni, Un problema
trascurato: la tutela del consumatore, inForo amm., 1980, I, c. 876.
Con riferimento alla materia oggetto di questo lavoro invece, lo studio volto all’identificazione
degli interessi superindividuali in gioco trova linfa preliminarmente nell’esigenza di
definire teleologicamente l’agire degli organi della procedura, ed in particolare, per quel
che qui interessa, del comitato dei creditori.
( 39 ) Evidenzia Stanghellini, Le crisi d’impresa tra diritto ed economia, cit., 49, che
«l’accanimento terapeutico verso l’impresa in crisi [...] può avere effetti devastanti per gli interessi
dei creditori».
( 40 ) Ad esempio al fine di maturare un altro periodo di anzianità utile a beneficiare delle
agevolazioni previste dagli enti previdenziali.
( 41 ) Si ricorda che l’esercizio provvisorio dell’impresa non disposto con la sentenza dichiarativa
di fallimento necessita del parere favorevole del comitato dei creditori ai sensi dell’art.
104 comma 2 legge fallim.; il successivo comma prevede poi la possibilità di far cessare
l’esercizio provvisorio ove il comitato dei creditori non ne ravvisi più l’opportunità.
( 42 ) Si segnala che i crediti da lavoro ricevono una maggior tutela rispetto agli altri; è
noto infatti che il legislatore riserva ai lavoratori strumenti giuridici, anche al di fuori del concorso,
volti a garantire almeno il parziale soddisfacimento delle ragioni creditorie; si pensi in
tal senso alla l. del 25 maggio 1982 n. 297 che legittima i dipendenti dell’impresa fallita a presentare
domanda al fondo di garanzia per ottenere il trattamento di fine rapporto ed al d.lgs.
del 27 gennaio 1992, n. 80 che consente ai lavoratori di recuperare, sempre a carico del fondo,
le ultime tre mensilità non corrisposte rientranti nei dodici mesi antecedenti la dichiarazione
di fallimento. Per uno studio in ordine agli strumenti di tutela accordati nell’ordinamento
francese ai lavoratori nell’ambito delle procedure concorsuali cfr. Piepoli, Interessi
individuali e interessi collettivi nel risanamento della grande impresa, inQuaderni di Giur.
comm., Milano, 1983, 114 segg.; Stanghellini, Le crisi di impresa fra diritto ed economia,
cit., 78 segg., ove riferimenti anche all’ordinamento spagnolo.

72
Il diritto fallimentare e delle società commerciali - n. 1-2011
In prima approssimazione sembra possibile affermare che gli interessi
che a vario titolo ruotano all’esterno dell’impresa fallita dovrebbero cedere
il passo al soddisfacimento delle ragioni dei creditori concorrenti ( 43 ); la
questione si fa più complessa allorquando si tratta di dirimere il potenziale
conflitto tra l’interesse (anche del mercato) alla continuazione dell’impresa
( 44 ) e quello alla più rapida soddisfazione dei creditori (così dando rilie-
( 43 ) Stanghellini, Le crisi di impresa fra diritto ed economia, cit., 79 segg. critica chi
ritiene ad esempio che tra un potenziale acquirente italiano dell’azienda ed uno estero debba
essere preferito il primo anche se quest’ultimo abbia presentato un’offerta più svantaggiosa;
l’Autore parte dal presupposto che non esiste un interesse alla proprietà nazionale dell’impresa.
( 44 ) Come è noto il legislatore della riforma fallimentare sembra aver abbandonato la
concezione del fallimento come procedura unicamente orientata verso finalità liquidatorie,
avendo invece arricchito la disciplina concorsuale di strumenti giuridici che consentono di
dirigere la procedura verso finalità conservative; in tal modo la procedura fallimentare si è
avvicinata a quella dell’amministrazione straordinaria delle grandi imprese in stato di insolvenza,
la cui disciplina peraltro è attualmente oggetto di un progetto di legge delega (del 3
giugno 2009, n. 176). In un clima di imminente riordino della disciplina dell’amministrazione
non sembra azzardato ipotizzare un possibile utilizzo a trecentosessanta gradi della disciplina
fallimentare, con gli adattamenti e gli innesti necessari, recependo quegli aspetti peculiari che
hanno dato buona prova, che il legislatore ha previsto in tema di amministrazione straordinaria,
lasciando in soffitta l’autonoma disciplina oggi riservata a quest’ultima procedura.
La finalità dell’amministrazione straordinaria, e cioè la conservazione del patrimonio produttivo
della grande impresa commerciale insolvente tramite la prosecuzione, riattivazione o riconversione
dell’attività imprenditoriale, può essere perseguita con i nuovi strumenti offerti
dalla legge fallimentare riformata, volti a preservare la continuazione (o la cessazione e contestuale
inizio) dell’attività d’impresa a prescindere dal soggetto a cui la stessa sia imputabile:
tra tutti, l’esercizio provvisorio dell’impresa, l’affitto d’azienda e la sua cessione in blocco o
per rami, la tutela accordata in tali casi ai lavoratori, la possibilità di conferire l’azienda in
una società preesistente o di nuova costituzione; strumenti questi che certamente sono rivolti
a salvaguardare l’unità operativa dei complessi aziendali. Raffrontando infatti la disciplina
dell’amministrazione straordinaria con quella fallimentare (alla quale ultima peraltro la prima
rinvia per innumerevoli aspetti), non si scorgono più macroscopiche differenze (a parte i poteri
di nomina, autorizzativi e di controllo riservati al Ministero dello sviluppo economico, che
ben potrebbero distribuirsi tra gli organi della procedura, in particolare appannaggio del tribunale
fallimentare, del comitato dei creditori e del giudice delegato). In tale prospettiva il
comitato dei creditori, sulla scorta delle nuove attribuzioni che la riforma fallimentare ha
ad esso assegnato e data la sua naturale indole per procedure di maggior rilevanza, sembra
idoneo, con gli adattamenti del caso, a prendere il posto del comitato di sorveglianza di
cui al d.lgs. n. 270 del 1999, nonché a recepire molti dei compiti che la disciplina dell’amministrazione
straordinaria oggi riserva all’organo politico. In tale prospettiva, la scelta tra i programmi
contenuti nell’art. 27 del citato decreto legislativo (programma di cessione dei complessi
aziendali o programma di ristrutturazione) potrebbe, con piccoli adattamenti legislativi,
confluire nel programma di liquidazione di cui all’art. 104 ter legge fallim.; con conseguente
spostamento, dal Ministro dell’industria al comitato dei creditori, della competenza ad autorizzare
il programma prescelto, lasciando all’organo politico l’espressione del solo parere, necessario
in particolare per la valutazione dell’eventuale ricorso ad agevolazioni pubbliche (di
qualsiasi specie) connesse alla realizzazione del programma.

Parte I - Dottrina 73
vo al fattore tempo) mediante la semplice alienazione dei beni riferibili al
compendio fallimentare; si pensi ad esempio alla delicata scelta, ove risulti
impossibile alienare nell’immediato il complesso aziendale a titolo definitivo,
tra l’affitto dell’azienda di cui all’art. 104 bis legge fallim. ( 45 ), al fine di
ottenere, verosimilmente nell’ottica di lungo periodo, una più proficua
vendita del complesso aziendale o di parte di esso (ma che impedisce, fino
alla cessazione o allo scioglimento ( 46 ) del rapporto, vendite di tipo atomistico),
e l’alienazione dei singoli beni, quando quest’ultima forma di liquidazione
risulti idonea a garantire in tempi ragionevolmente brevi le ragioni
creditorie; ciò che in altre parole, potrebbe tradursi nella delicata attività di
contemperamento tra l’interesse alla prosecuzione (rectius nuovo inizio)
dell’attività dell’impresa fallita (perché dotata di going concern) e il rischio
di determinare il fallimento di un altro soggetto, e cioè di quel creditore
che non è in grado di attendere per molto tempo il soddisfacimento del
proprio credito ( 47 ).
( 45 ) L’istituto dell’affitto d’azienda nell’ambito della procedura fallimentare è stato introdotto
dal legislatore della riforma fallimentare, sulla scia di quanto già avvenuto in tema
di amministrazione straordinaria, nell’ottica della conservazione dei patrimoni produttivi e
di favorire le cessioni aggregate. Per i diritti da riconoscere ai lavoratori in caso di affitto d’azienda
cfr. Corrado, La riforma della legge fallimentare: implicazioni giuslavoristiche del
d.lgs. 5/2006; parte seconda: l’esercizio provvisorio e l’affitto d’azienda, inRiv. crit. dir. lav.,
2006, 2, 357 segg.
L’affitto dell’azienda può essere proposto anche prima dell’approvazione del programma
di liquidazione: in questo caso provvede il giudice delegato che dovrà, previo parere favorevole
del comitato dei creditori, effettuare una valutazione di merito in ordine alla convenienza
dell’operazione; sul punto cfr. Quaranta, inIl nuovo diritto fallimentare, a cura di Santangeli,
Milano, 2006, 498. Nell’ipotesi invece in cui l’affitto non sia stato preventivamente disposto,
esso sarà oggetto, ricorrendone i presupposti, di apposita proposta del curatore, contenuta
nel programma di liquidazione, che dovrà essere approvata dal comitato dei creditori.
Si è già rilevato che l’affitto d’azienda è stato previsto dal legislatore quale strumento funzionale
alla più proficua vendita del complesso aziendale. In realtà èpossibile ipotizzare casi
in cui l’istituto potrà essere utilizzato direttamente con finalità liquidatorie; si pensi all’eventualità
che risulti impossibile trovare sul mercato un acquirente dell’azienda, ma la curatela,
tramite apposite procedure competitive, riesca a stipulare un contratto d’affitto idoneo esso
stesso (con i canoni) a soddisfare le pretese dei creditori concorrenti.
( 46 ) Stabilisce l’art. 104 bis comma 3 legge fallim. che il contratto d’affitto debba prevedere
il diritto di recesso (ad nutum) che il curatore può esercitare sentito il comitato dei creditori.
A fronte di tale recesso l’affittuario avrà diritto ad un equo indennizzo che rappresenta
per la massa fallimentare un debito da soddisfare in prededuzione.
( 47 ) Stanghellini, Le crisi di impresa fra diritto ed economia, cit., 71 prende in considerazione
come unico caso in cui possa prospettarsi un problema di contemperamento di vari
interessi, quello della vendita dell’azienda in attività che non genera il massimo prezzo rispetto
ad altre forme di cessione. Nel testo invece, partendo dal presupposto che il fattore temporale
di soddisfacimento dei creditori sia una variabile da tenere in considerazione, si intende
mettere in rilievo che il contemperamento di vari interessi può affiorare anche quando la
cessione disaggregata di beni consenta, se pur in misura minore, di tacitare celermente le ra-

74
Il diritto fallimentare e delle società commerciali - n. 1-2011
Da queste poche battute risulta palese la difficoltà di comporre gli interessi
che si possono prospettare al comitato nell’esercizio delle proprie funzioni,
in particolare in sede di approvazione del programma di liquidazione:
una così complessa opera di ponderazione non potrà che essere svolta da
soggetti motivati quanto meno dal riconoscimento di un compenso per l’attività
svolta e dovrà essere riservata esclusivamente a figure professionalmente
competenti.
gioni creditorie, rispetto a forme di prosecuzione dell’attività idonee a generare un attivo
maggiore, ma in tempi molto più lunghi.

OSSERVATORIO STRANIERO
LA PREVENZIONE ED IL TRATTAMENTO
DELL’INSOLVENZA DELLE FAMIGLIE E DEI CONSUMATORI
NELL’ORDINAMENTO SPAGNOLO
di
Juana Pulgar Ezquerra ( 1 )
1. Il «consumatore famiglia» e le difficoltà economiche nelle politiche di
concessione del credito al consumo. –Cièdato di vivere nella società dei
consumi, in cui la globalizzazione delle economie e il carattere transnazionale
dei mercati hanno inciso in modo rilevante sulla evoluzione delle «abitudini
di consumo», evoluzione che ha comportato un crescente ricorso al
credito come strumento di finanziamento, soprattutto per i consumatori e
per le economie familiari o domestiche. Le famiglie costituiscono attualmente
– in quanto «unità economiche di consumo», orientate prioritariamente
al soddisfacimento delle necessità individuali e collettive dei propri
membri – il supporto principale del consumo stesso, incentrato prevalentemente
su beni di prima necessità, e in particolar modo sulla abitazione familiare.
Tuttavia, ciò non è stato accompagnato da un incremento del tasso di
risparmio, ma, al contrario, dal ricorso al finanziamento esterno, specialmente
da parte degli intermediari finanziari, che dalla fine del 2004 alla metà
del 2006, hanno «ammorbidito» le condizioni per la concessione di tali
tipologie di crediti, alla luce delle aspettative favorevoli circa l’impiego e
in generale le condizioni economiche esistenti in quel momento nel contesto
europeo e nordamericano.
Sebbene sia indubbio che il ricorso al finanziamento abbia inciso favorevolmente
sull’incremento della qualità della vita e del benessere materiale,
è anche vero, però, che entrano in gioco variabili come l’aumento dei tassi
( 1 ) Professore Ordinario di Diritto Commerciale nella Universidad Complutense di Madrid.
La traduzione italiana è di Giovanni Falcone. Il saggio costituisce il testo della relazione
presentata al convegno Il ruolo della banca nella attuazione delle misure di sostegno delle imprese
e delle famiglie «in crisi», svoltosi in Lanciano nei giorni 22 e 23 gennaio 2010.

76
Il diritto fallimentare e delle società commerciali - n. 1-2011
di interesse, la precarietà dell’impiego, la malattia o le separazioni tra coniugi,
che possono fare sì, in pratica, che i debiti nei confronti delle banche
superino i redditi di cui si dispone, generando il sovrindebitamento ed
eventualmente l’insolvenza de consumatori e delle famiglie determinati da
differenti tipologie di debiti (crediti ipotecari, crediti al consumo, carte di
credito).
Questa la situazione nella quale sembra attualmente immerso il contesto
europeo e nordamericano, specialmente a partire dal 2007, in conseguenza
della crisi dei prestiti «subprime» negli Stati Uniti. Ciò, per una parte, ha
determinato un cambiamento nella politica creditizia delle banche, con
una restrizione nelle condizioni di accesso al credito ipotecario e al consumo;
dall’altro, ha avviato un dibattito intorno al trattamento normativo da
darsi alla prevenzione e al trattamento delle crisi economiche delle persone
fisiche e delle famiglie: un tema trasversale su cui incidono aspetti di diritto
patrimoniale, fallimentare, diritto dei consumi e anche diritto di famiglia
(es.: posizione del coniuge del fallito, situazione del regime patrimoniale
della famiglia).
Nell’ambito del sovraindebitamento dei consumatori e delle famiglie, si
distingue innanzi tutto il cosiddetto «sovrindebitamento attivo», che trova
la sua causa nella assunzione di debiti in maniera incontrollata, senza attenzione
al livello dei redditi e alla capacità di rimborso da parte di chi si indebita,
che talora trasmoda nel vero e proprio consumo irresponsabile, e sul
quale incidono massimamente le campagne pubblicitarie aggressive, la immediata
disponibilità di denaro attraverso carte di credito o politiche «blande»
nella concessione del credito al consumo. Dall’altro lato, il «sovrindebitamento
passivo», la cui causa è da situarsi al di fuori dell’ambito della
volontà e del comportamento responsabile del soggetto, in contingenze inaspettate
che determinano una incapacità sopravvenuta di fare fronte ai crediti
(es. malattia, incidente, morte, separazione...) o di contingenze che pur
potendo essere previste, oltrepassano le più ragionevoli previsioni (es.: aumento
dei tassi di interesse, specie dei mutui ipotecari). Sul sovrindebitamento
passivo incide inoltre, in modo particolare, il tipo di politica sviluppata
a livello europeo e nordamericano nel contesto dello stato sociale (es.
in materia di sanità e disoccupazione), che risulta determinante rispetto al
modo con cui trattare il problema da un punto di vista normativo.
Orbene, né il sovrindebitamento attivo, né quello passivo comportano
necessariamente una situazione di insolvenza, dal momento che, finché il
debitore continua ad adempiere le proprie o obbligazioni, o finché non si
possa prevedere che cessi di farlo – negli ordinamenti nei quali la insolvenza
futura sia prevista come presupposto di apertura dei procedimenti concorsuali
(Germania: Drohende Zahlungsunfaigkeit, art. 18 InsO; o Spagna:
insolvencia inminente dell’art. 2.3 Ley Concursal) – non sarà insolvente.
Per questa ragione, una politica di trattamento delle crisi economiche

Parte I - Dottrina 77
del consumatore deve essere affrontata da una duplice punto di vista: da un
lato, dal punto di vista della prevenzione delle situazioni di sovraindebitamento
(o addirittura della evoluzione posteriore verso situazioni di insolvenza);
dall’altro, dal punto di vista di un atteggiamento curativo, relativo
ai meccanismi attraverso i quali devono essere trattate quelle situazioni nelle
quali il debitore non può fare fronte al regolare adempimento delle proprie
obbligazioni, normativizzando il procedimento da seguire nella ristrutturazione
dei debiti dei consumatori.
L’ordinamento giuridico comunitario risulta privo, fino ad ora, di una
normativa preventiva specifica relativa al sovrindebitamento familiare e delle
persone fisiche, o di trattamento di quelle situazioni in cui queste versino
in situazioni di insolvenza a causa di un previo sovrindebitamento o per altra
causa. Tali temi sono soltanto incidentalmente toccati dalla applicazione
della direttiva 87/102 CEE del 22 dicembre del 1986, del Consiglio, relativa
all’adeguamento delle disposizioni legali regolamentari e amministrative degli
Stati membri in materia del consumo (Direttiva 2007/48 CEE del Parlamento
Europeo e del Consiglio del 23 aprile 2008) o nei documenti relativi
alla prestazione dei servizi finanziari ai consumatori.
In questo contesto di assenza di armonizzazione comunitaria in materia,
nei paesi europei più vicini possono distinguersi almeno due modelli
differenziati: da un lato, quello francese, fortemente amministrativizzato,
incuisièscelto di affrontare in modo preventivo il sovrindebitamento,
prima che si trasformi in insolvenza, nell’ambito del diritto dei consumi
(art. L 331-2 del Codice del consumo del 31 dicembre 1989, modificato
l’8 febbraio 1995 e il 29 luglio 1998, che stabilisce un procedimento davanti
alla «Commission de Surendettement des particuliers», cui bisogna
aggiungere l’ultima riforma introdotta in questo ambito nel 2003); dall’altro,
il modello tedesco (InsolvenzOrdnung del 1994), dopo la modifica legislativa
inserita nella InsO nel 2001, seguito in questa direzione dalla riforma
portoghese attuata con il «Codigo da Insolvencia e da Recuperaçao
de Empresas» approvato con Decreto Legge n. 53/2004. In questo secondo
tipo di modello sono previste in sede concorsuale e all’interno della
unificazione procedimentale introdotta dalla InsolvenzOrdnung del
1994, norme speciali relative al concorso dei debitori persone fisiche, includendo
i consumatori e i piccoli imprenditori, che comportano una notevole
contrazione dei costi e una semplificazione procedimentale (Verbraucherinsolvenzverfahren,
art. 301, II, InsO) che si combina con meccanismi
pure previsti in sede concorsuale, di liberazione o condono di debiti
non soddisfatti nei concorsi dei debitori persone fisiche dopo la loro conclusione
(Restschuldbefreiung, artt. 286-303 InsO). In questo modo viene
inserita, tra le finalità del sistema concorsuale in ambito europeo, l’idea
della «seconda possibilità» (second chance) o«fresh start», tipicamente
nordamericana, che costituisce una delle raccomandazioni contenute nella

78
Il diritto fallimentare e delle società commerciali - n. 1-2011
guida sull’insolvenza di Uncitral del 25 giugno 2004 (Capitolo VI, conclusione
del procedimento. A - Esdebitazione).
2. L’attuale dibattito sul trattamento del sovrindebitamento dei consumatori
e delle famiglie nell’ordinamento italiano ed in quello spagnolo. – Attualmente,
nell’ordinamento spagnolo e in quello italiano si è avviato un dibattito
sul trattamento da darsi al sovrindebitamento ed alla insolvenza delle
persone fisiche e delle famiglie. Nonostante il parallelismo temporale nel dibattito
sul tema diversi restano sostanzialmente i termini in cui, rispetto ad
altri modelli di diritto comparato (ed in particolare rispetto al diritto nordamericano,
pioniere nel trattamento di tali temi), si pone la discussione in
quello che potremmo chiamare «blocco giuridico continentale latino» (ordinamento
italiano e spagnolo).
Effettivamente, fino ad ora, non si è prodotta nell’ordinamento italiano
né in quello spagnolo una contrapposizione pubblica tra gli interessi della
«lobby» dell’industria del credito al consumo e il sovrindebitamento familiare
e delle persone fisiche nell’ambito delle prestazioni dello Stato sociale, come è
accaduto nel modello nordamericano. Il dibattito, invece, è parso centrarsi
maggiormente sui meccanismi preventivi del trattamento di tali crisi che debbano
essere posti a disposizione per dare, da parte del sistema, una risposta
efficace a tale problematica in termini di costi economici e temporali.
A dispetto della identità del punto di partenza tra i due ordinamenti, è
necessario evidenziare come i termini in cui viene posto attualmente il dibattito
sul trattamento del sovrindebitamento delle persone fisiche e dei
consumatori siano sostanzialmente diversi.
Infatti, nel momento attuale, in cui in Italia si è in attesa di approvazione
da parte della Camera del progetto di legge su «Disposizioni in materia
di usura e di estorsione, nonché di composizione delle crisi da sovrindebitamento»,
approvata dal Senato il 1º aprile 2009 (che introdurrebbe nell’ordinamento
italiano uno specifico procedimento di composizione negoziale
dell’insolvenza non soltanto dei debitori persone fisiche o famiglie, ma anche
di quegli altri soggetti che nel diritto italiano non siano assoggettabili ai
procedimenti concorsuali previsti), in Spagna il Ministro di Giustizia Francisco
Camano ha costituito una sezione speciale all’interno della Comision
General de Codificación, costituita da giudici, avvocati, amministratori concorsuali
e professori universitari – cui ho l’onore di partecipare come «vocal»
– con il compito di completare la riforma parziale che è stata introdotta
nella Ley Concursal spagnola dal RDL 3/2009. Non è in progetto, pertanto,
una riforma generale della Ley Concursal spagnola 22/2003 ( 2 ), di elevata
( 2 ) D’ora in poi indicata come «LC».

Parte I - Dottrina 79
qualità tecnica e approvata con un amplissimo margine di consenso (una
sola astensione e un solo voto contrario), e la cui rilevanza pratica si è manifestata
soprattutto nell’attuale contesto di crisi economica, ma, di nuovo,
di una riforma parziale che permetta di incrementare il suo ambito operativo.
Uno dei compiti che abbiamo ricevuto all’interno di tale commissione è
quello di revisionare la scelta sul trattamento delle crisi economiche delle
persone fisiche e delle famiglie, e tutto ciò in un contesto nel quale sebbene
sia vero che il sovrindebitamento di tali operatori in Spagna è sceso leggermente
nel terzo trimestre del 2009 a 943.870 – essendo questo il livello più
basso registrato a partire dal primo trimestre del 2008 – questo continua a
costituire il 94% del PIL, aumentando inoltre il numero di dichiarazioni di
concorso di persone fisiche, che, sebbene continui ad essere più basso del
numero di dichiarazioni di concorso di debitori imprenditori (nell’ultimo
trimestre del 2008 di 764 dichiarati in concorso, soltanto 119 sono persone
fisiche), ha sperimentato un importante aumento rispetto all’ultimo trimestre
del 2007, in cui i concorsi di persone fisiche furono soltanto 23.
Nonostante il riferito parallelismo temporale nel dibattito sulla materia
iniziato in Spagna ed in Italia, occorre evidenziare come siano sostanzialmente
distinti il contesto normativo ed i termini nei quali nell’uno e nell’altro
ordinamento si progetta di affrontare il trattamento della materia, nel
perseguimento dei diversi intenti di politica legislativa che hanno ispirato
le recenti riforme concorsuali realizzate nei due ordinamenti.
Di fatti, la opzione adottata nel modello italiano nella riforma del
2005-2007 è stata quella di continuare a distinguere, a dispetto di quanto
accade nella generalità dei modelli di diritto comparato, il trattamento
delle crisi economiche del debitore in funzione della condizione e della
dimensione di questi, attraverso una pluralità di procedimenti concorsuali,nelcuiambitoilconsumatoreelepersonefisicheingeneralerestano
esclusi dal relativo ambito di applicazione e dal regime di «esdebitazione»,
di cui potranno beneficiare soltanto i debitori persone fisiche imprenditori.
Nell’ordinamento italiano, pertanto, sembra mancare un trattamento
concorsuale specifico per il sovrindebitamento delle persone fisiche
e delle famiglie: la crisi economica di questi, pertanto, dovrà essere
affrontata con il ricorso alla categoria generale dell’inadempimento delle
obbligazioni.
In questo ambito la già ricordata proposta di legge sulla «composizione
delle crisi da sovraindebiamento» che, pur ispirandosi al modello francese,
assume tuttavia caratteri propri e differenziati, persegue l’obiettivo di dare
un modello normativo preventivo e di regolazione delle crisi economiche:
non soltanto, però, delle persone fisiche e delle famiglie, ma anche di tutti
quegli altri debitori che non possono essere assoggettati ai procedimenti
concorsuali tipizzati nell’ordinamento italiano.

80
Il diritto fallimentare e delle società commerciali - n. 1-2011
Nell’ordinamento spagnolo, peraltro, i termini del dibattito sono sostanzialmente
diversi dal momento che in, virtù della LC, è stato introdotto
il principio di unità nel trattamento delle crisi economiche del debitore comune,
manifestato non soltanto in un ambito procedimentale e legale, ma
anche e soprattutto soggettivo, essendo previsto un unico procedimento denominato
«concurso de acreedores» per qualsiasi debitore di una pluralità di
creditori che sia soggetto di diritto: sicché il sovrindebitamento delle persone
fisiche e delle famiglie è in linea di principio assoggettato a tale procedimento,
rimettendosi la prevenzione di tali crisi all’ambito extraconcorsuale,
talora in quello del diritto dei consumi, della disciplina della pubblicità o
della protezione del consumatore.
Pertanto, nell’ordinamento spagnolo la prevenzione ed il trattamento
del sovrindebitamento e dell’insolvenza delle famiglie e delle persone fisiche
non risultano carenti di una disciplina: semplicemente si è scelto espressamente
di sottoporle alla disciplina di crisi di qualsiasi altro debitore, senza
specificità, dal momento che in questo ambito – e diversamente dal modello
tedesco – la unità soggettiva è stata identificata con uniformità, senza che
neppure venissero introdotte espressamente specialità all’interno del procedimento
per tali tipologie di debitore, al di là di quelle che saranno analizzate
tra poco e che derivano più dalla natura propria di tali debitori che da
una opzione di politica legislativa volta ad individuare specialità all’interno
del regime comune.
Tale opzione di politica legislativa, a cinque anni dalla entrata in vigore
della LC, sembra comunque opportuna, dal momento che, anche se il numero
dei concorsi delle persone fisiche è aumentato, tale numero continua
essere notevolmente inferiore a quello dei debitori imprenditori in concorso:
e comunque, in generale, si tratta di concorsi senza massa nei quali c’è
solo un bene che normalmente è la casa di abitazione che è per di più ipotecata
e pertanto destinata nella sua realizzazione al soddisfacimento di un
creditore in concreto, e la prevenzione di tali crisi viene lasciata ad ambiti
diversi da quello concorsuale. Tuttavia, questa stessa opzione comporta alcuni
problemi pratici che dovrebbero essere risolti in vista di una maggiore
efficienza del sistema.
Tali problemi, come si esaminerà qui di seguito, si incentrano essenzialmente
nei costi economici e temporali conseguenti al fatto di assoggettare
tali debitori a un procedimento lungo e costoso come il concorso dei creditori;
e nella assenza di meccanismi esdebitatori rispetto ai debiti residui
dopo la chiusura del concorso per mancanza di attivo.
3. Il trattamento normativo della crisi economica della famiglia e del
debitore persona fisica nell’ordinamento spagnolo. –3.1.La prevenzione
del sovrindebitamento. –Comesièavuto modo di anticipare, nella riforma
del diritto fallimentare spagnolo realizzata attraverso la LC non si è

Parte I - Dottrina 81
scelto – differentemente da quanto accade nell’ordinamento francese –
di adottare un trattamento preventivo dell’insolvenza dei consumatori
nella disciplina del credito al consumo. Tuttavia è possibile distinguere,
all’interno dell’ordinamento spagnolo, alcuni istituti volti al trattamento
preventivo di una eventuale insolvenza e perfino di uno stato anteriore al
sovrindebitamento che può sfociare in insolvenza del consumatore persona
fisica, che si riscontrano in alcune forme pubblicitarie, nella disciplina
del credito al consumo, in quella della vendita a rate, e anche in
taluni tratti della attività giudiziale, bancaria e assicurativa. Si pensi alle
informazioni sulla situazione economica del debitore che possono essere
conseguite attraverso i «registros de solvencia», sia che si tratti di informazioni
positive (che aiutano a prevenire il sovrindebitamento eccessivo
offrendo informazioni non soltanto sugli eventi negativi), sia che si tratti
della ricostruzione storica relativa ai debitori morosi (attività gestita in
Spagna dal Banco de España); oppure attraverso i registri negativi gestiti
da soggetti privati. In ogni caso la previsione di tali informazioni con finalità
preventive incide anche nell’ambito della tutela dei dati personali
( 3 ) e potrebbe determinare anche una eventuale responsabilità diquegli
enti creditizi che concedano credito o finanziamenti a persone con alto
rischio di sovrindebitamento alla luce dei dati di cui si dispone nei registri
positivi o negativi, sebbene fino ad ora nell’ordinamento spagnolo
non venga disciplinata la cosiddetta «concessione abusiva di credito da
parte della banca».
D’altra parte, la prevenzione incide anche sulla informazione precontrattuale,
che deve essere orientata verso la costruzione di un mercato trasparente
del credito che metta in grado i consumatori di calcolare il proprio
livello di sovrindebitamento ( 4 ).
Allo sesso modo, rivestono una finalità preventiva del sovrindebitamento
del consumatore (e quindi della sua insolvenza) la concessione di un termine
di riflessione a seguito della conclusione di un contratto, nel corso del
quale termine si può liberamente recedere dallo stesso ( 5 ). Infine, possono
essere considerati misure orientate alla prevenzione del sovrindebitamento
( 3 ) Art. 29 LO 13 dicembre 1999, n. 15, sulla protezione dei dati di natura personale,
pubblicata nel BOE n. 298 del 14 dicembre dello stesso anno
( 4 ) Legge 11 novembre 1998, n. 34, cosiddetta «legge generale sulla pubblicità»; regime
di previa autorizzazione dei prodotti bancari ai sensi dell’art. 48.2d; circolare del Banco de
España 8/1990; art. 13 della legge sulla vendita a termine di beni mobili; norma 6, capoverso
3, paragrafo 2 della circolare del Banco de España n. 8/1990 relativamente alle aperture di
credito in conto corrente.
( 5 ) Artt. 44-45 della legge del 15 gennaio n. 7 sul commercio al dettaglio; artt. 5-7 della
legge 21 novembre 1991, n. 26 sui contratti conclusi fuori dei locali commerciali; art. 9 della
legge sulla vendita a termine dei beni mobili; art. 9.4 della Legge sui viaggi organizzati.

82
Il diritto fallimentare e delle società commerciali - n. 1-2011
i meccanismi di dimostrazione iniziale di certa solvenza ( 6 ), e la concertazione
di garanzie e assicurazioni che proteggano i consumatori e i finanziati a
fronte di possibili sinistri che incidano sulla solvenza del debitore (assicurazioni
sulla solvenza, sull’ammortamento dei mutui ipotecari), o infine la limitazione
volontaria o imposta della capacità di credito dei consumatori.
3.2. Le misure per il trattamento dell’insolvenza del consumatore alla luce
della unificazione soggettiva introdotta dalla Ley Concursal. – In quei casi in
cui le misure prima descritte non dispieghino la propria pretesa efficacia
preventiva, e il sovraindebitamento sfoci nella insolvenza, si produrrà la
eventuale dichiarazione di concorso della persona fisica, resa possibile dalla
unificazione soggettiva introdotta dalla LC, che costituisce una delle grandi
novità della riforma concorsuale spagnola.
Con tale riforma viene superato, sulla scia dei modelli anglosassoni, il
tradizionale trattamento differenziato delle crisi in funzione della qualità
imprenditoriale del debitore (tradizionale invece nel blocco giuridico latino)
al contrario della opzione fatta propria da altre riforme, come quella italiana,
che continua a riservare i procedimenti concorsuali ai debitori che rivestano
detta qualità (D.Lgs. n. 5 del 2006).
Tuttavia, come si è anticipato, nella riforma spagnola – al contrario di
quanto accade nel sistema tedesco o portoghese – la unità significa «uniformità»
e non sono previste norme speciali in funzione della distinta tipologia
del debitore, e, più in particolare, non sono previste norme speciali per il
caso in cui il debitore sia un consumatore. Di più: in questo sistema di unità
soggettiva, il legislatore prende a modello il debitore imprenditore persona
giuridica e non la persona fisica, essendo regolati dettagliatamente, ad
esempio, gli effetti della dichiarazione del concorso sulla persona giuridica
(art. 48 LC) ma non altrettanto dettagliatamente per le persone fisiche ed in
particolare i consumatori, i quali talora risultano implicitamente esclusi da
alcuni degli effetti «vantaggiosi» del concorso (per esempio il blocco delle
azioni esecutive sui beni) essendo scarsi gli «incentivi» introdotti per favorire
la relativa dichiarazione, poiché non viene contemplato nessun meccanismo
di esdebitazione dal passivo residuo a seguito della liquidazione, al di
là della efficacia novativa del concordato, al contrario di quanto accade in
altri modelli riscontrabili nel diritto comparato.
3.2.1. Le previsioni speciali implicite del concorso dei consumatori e i costi
temporali ed economici del concorso: procedura abbreviata e proposta antici-
( 6 ) Gli artt. 2.9 e 16 LVPBM del 16 luglio 1965 prevedevano l’obbligo di un pagamento
iniziale nelle vendite a rate, previsione successivamente soppressa dalla LVPBM del 13 luglio
1998, che consente la dilazione ed il finanziamento dell’importo totale del prezzo.

Parte I - Dottrina 83
pata di concordato. – Uno dei principali problemi posti dalla inesistenza, nel
modello spagnolo, di procedimenti speciali autonomi o di norme speciali di
natura procedimentale nell’ambito del concorso dei creditori in ragione della
natura del debitori, è dato dai costi economici e temporali che tutto questo
comporta, specialmente per le persone fisiche e le piccole imprese, e tutto
questo nonostante le specialità implicite nella procedura che si notano
nella LC, e nonostante i lori effetti sui debitori persone fisiche (che tuttavia,
come si evidenzierà, non riescono a ridurre tali costi). Questi temi, come si è
anticipato, sono attualmente oggetto di studio e di analisi nella commissione
per la riforma del diritto concorsuale spagnolo.
Negli articoli 190-191 LC viene disciplinato il cosiddetto «procedimentoabbreviato»,o,piùpropriamente,
una «procedura abbreviata di
concorso dei creditori», che, sebbene in linea di principio potrebbe adattarsi
a qualcuna delle specialità del concorso delle persone fisiche (dal momento
che comporta un risparmio di tempo e una semplificazione organica)
può sollevare dubbi in ordine sulla applicabilità al debitore non imprenditore
e più specificamente alle persone fisiche consumatrici. In effetti,
nell’articolo 190.1 LC viene delimitato l’ambito di applicazione soggettivo
della procedura abbreviata sulla base del concorso cumulativo di un
requisto relativo all’entità del passivo (non deve superare 10.000.000 di
euro, somma così elevata dal RDL 3/2009 rispetto a quella inizialmente
stabilita, proprio al fine di ampliare l’ambito soggettivo di applicazione
della procedura) e di uno relativo alla condizione del debitore come «persona
fisica o giuridica che secondo la legge commerciale sia autorizzata a
presentare un bilancio in forma abbreviata», ciò che pone l’interrogativo
se tale secondo requisito debba essere riferito unicamente alla persona
giuridica (così che la persona fisica possa comunque essere assoggettata
alla procedura abbreviata) o anche alla persona fisica (che allora potrebbe
essere assoggettata alla procedura abbreviata soltanto quando la legge
commerciale la autorizzi a presentare bilancio in forma abbreviata secondo
gli articoli 190-191 LC). Anche se la interpretazione dell’art. 190.1
sembra dover essere nel senso di richiedere la presentazione del bilancio
in forma abbreviata solo alla persona giuridica, è comunque da riconoscere
che con la procedura abbreviata non si introducono norme speciali riferite
unicamente al consumatore (così come invece nel modello tedesco
della Verbraucherinsolvenzverfahren, dicuiagliartt.304segg.InsO). Infatti,
a tale procedura possono avere accesso non soltanto il consumatore,
ma le persone fisiche in generale, siano esse o no consumatori, e quegli
imprenditori, che per essere autorizzati a redigere il bilancio in forma abbreviata,
siano di piccole dimensione (regola 1 parte IV RD 1643/1990,
che approva il piano generale di contabilità), non essendo neppure prevista
una «procedure simplifiée» di tipo francese, dal momento che non vengono
ridotte le fasi del procedimento, ma soltanto abbreviati i suoi termini

84
Il diritto fallimentare e delle società commerciali - n. 1-2011
e ridotta la composizione della amministrazione concorsuale, che può avere
struttura unipersonale (mentre, secondo la regola generale, dovrebbe
avere struttura collegiale: avvocato, commercialista, revisore dei conti o
diplomato in materia commerciale e un creditore).
D’altra parte, la proposta anticipata di concordato (artt. 104 segg. LC),
in virtù della quale il debitore può presentare al giudice una proposta di
concordato negoziata stragiudizialmente con i creditori che l’abbiano accettata
al fine di darle una tramitazione concorsuale e che si pone nella fase
comune del concorso, può comportare un risparmio di tempi e nello stesso
modo potrebbe favorire un trattamento preventivo delle crisi dei debitori
persone fisiche, dal momento che, se la domanda interviene in una situazione
di insolvenza imminente (art. 2.2 LC), si può prevenire l’aggravamento
della crisi. Tuttavia inzialmente rappresentavano un ostacolo per l’utilizzo
nella pratica di tale soluzione i divieti previsti nell’art. 105 LC, che permettevano
soltanto ai debitori non rientranti in tali situazioni di presentare tale
proposta. Peraltro tali divieti erano inerenti a condizioni imprenditoriali che
non riguardavano tale tipologia di debitori, e per di più essi sono stati notevolmente
ridotti dal RDL 3/2009.
A margine di tutto ciò, e sebbene non venga prevista una procedura
speciale per le persone fisiche, nella LC vi sono alcune norme speciali
che, in materia di dichiarazione, pubblicità e effetti della dichiarazione
del concorso, possono trovare applicazione unicamente ai debitori persone
fisiche. In questo senso, è opportuno richiamare le norme relative alla convocazione
del debitore (art. 184,7, inciso 2), alla pubblicità nel Registro
Mercantil della dichiarazione di concorso (art. 24.1), alla morte del soggetto
sottoposto a concorso (art. 182), al diritto agli alimenti (art. 47 e 84.2.4
LC), alle persone collegate al debitore (art. 93.1 e 92.5 LC), agli effetti dell’apertura
della liquidazione (art. 145.2), alla conclusione (art. 178.2 LC) o
alla riapertura del concorso (art. 179.1 LC). Tutto ciò deve essere inoltre
completato con quei precetti che presuppongono che il debitore persona
fisica sia coniugato, in cui viene disciplinato il contenuto della memoria
che lo stesso debitore deve accompagnare alla richiesta di concorso o allegare
nei casi di concorso necessario, nel termine di dieci giorni a decorrere
dalla notificazione della ordinanza di dichiarazione del concorso dei creditori
(art. 6.2.2. II in connessione con l’art. 21.1.3 LC). Allo stesso modo, in
altre norme vengono disciplinati i beni coniugali (artt. 77 e 78), i crediti nei
confronti del coniuge del debitore sottoposto a concorso (art. 84.1 inciso
2), la formazione dell’inventario (art. 82.1 inciso 2) o il diritto del coniuge
del debitore sottoposto a concorso a richiedere lo scioglimento della comunione.
In senso contrario, vi è una serie di norme che regolano aspetti che in
pratica sono relativi al debitore imprenditore o professionista e non al consumatore,
come quelle, tra le altre, relative alla continuazione della attività

Parte I - Dottrina 85
imprenditoriale o professionale durante il concorso (art. 44 LC) o al contenuto
del concordato con procedura ordinaria per quello che riguarda le eccezioni
alle limitazioni temporali e quantitative inerenti al suo contenuto remissorio
e/o dilatorio (art. 100.1 paragrafo 2 LC con riguardo al concorso
di imprese la cui attività possa avere particolare importanza per l’economia)
o in connessione con il suo possibile contenuto riorganizzativo in ragione di
un piano di fattibilità, quando venga previsto, per fare luogo all’adempimento
del concordato, di disporre delle risorse generate dalla continuazione
totale o parziale dell’esercizio dell’attività professionale o imprenditoriale
(art. 100.5 LC). In tale ambito occorre evidenziare inoltre la previsione contenuta
nella LC di limitare alcuni effetti derivanti dalla dichiarazione del
concorso al debitore imprenditore e, in particolare, quello consistente nel
divieto di azioni esecutive individuali aventi per oggetto beni gravati da garanzie
reali (art. 56 LC), fino a che venga approvato un concordato il cui
contenuto non riguardi l’esercizio di questo diritto o sia trascorso un anno
dalla dichiarazione di concorso senza che si sia prodotta l’apertura della liquidazione,
soltanto se tali azioni abbiano per oggetto beni del debitore destinati
alla sua attività professionale o imprenditoriale o ad una unità produttiva
di cui sia titolare: con il che il debitore persona fisica resterebbe
escluso da uno dei più importanti benefici derivanti dalla dichiarazione
di concorso che potrebbe incentivare la sua richiesta. In questo senso, il debitore
con la propria dichiarazione di concorso non conseguirebbe l’effetto
di bloccare l’azione esecutiva derivante dal credito ipotecario avente ad oggetto
la sua abitazione, poiché questa non sarebbe «destinata alla sua attività
professionale o imprenditoriale o a una unità produttiva di sua titolarità».
Questo, peraltro, non è l’unico aspetto in cui il debitore persona fisica,
lungi dal ricevere dalla riforma spagnola un trattamento attenuato o privilegiato,
è oggetto di un trattamento ancor più rigoroso di quello riservato al
debitore imprenditore (particolarmente se persona giuridica), dovendo evidenziarsi
in questo senso gli effetti che la chiusura del concorso per mancanza
di attivo ha sul passivo residuo, particolarmente in relazione alla
sua possibile esdebitazione, aspetto quest’ultimo sul quale, per la sua importanza
pratica, porteremo immediatamente la nostra attenzione.
3.2.2. La inesistenza nel modello spagnolo di meccanismi di esdebitazione
dai debiti residui dopo la conclusione del concorso: «fresh start» e «esclusione
sociale». – In generale negli ordinamenti europei sono stati introdotti,
attraverso le ultime riforme dei sistemi concorsuali, meccanismi di esdebitazione
rispetto al passivo residuo dopo la chiusura del concorso. Non ci si
riferisce, dunque, al concordato, uno dei cui effetti, dovuti alla sua natura
novativa, risiede precisamente in tale esdebitazione. Ci si riferisce, invece, a
situazioni in cui il procedimento concorsuale si sia concluso e in cui risul-

86
Il diritto fallimentare e delle società commerciali - n. 1-2011
tino dei crediti insoddisfatti per insufficienza o inesistenza di beni o di diritti
di contenuto patrimoniale di cui sia titolare il debitore. Il riferimento è
al «discharge» di tradizione anglosassone, successivamente inserito nella generalità
degli ordinamenti europei in occasione di recenti riforme (Germania,
Italia e Portogallo), e che la guida legislativa sull’insolvenza elaborata
da Uncitral il 24 giugno 2004 raccomanda ai legislatori di fare proprio (Capitolo
VI.A Esdebitazione) in quanto considerato uno strumento volto ad
incentivare le richieste di procedimenti concorsuali (per lo meno volontari)
e favorire il recupero patrimoniale del debitore una volta conclusosi il procedimento.
Il fatto è che tali meccanismi sono intimamente connessi con le
finalità attribuite dal sistema normativo ad un procedimento concorsuale:
infatti questi strumenti, attraverso la deroga al principio della responsabilità
patrimoniale universale, muovono dalla filosofia genuinamente nordamericana
della «seconda possibilità» (second chance), con riferimento all’inzio
di nuove attività, ciò a cui ci si riferisce normalmente con la espressione
«fresh start policy» («discharge from remaining debts»). Questo meccanismo
non viene attivato generalmente nei confronti dei debitori persone
giuridiche, giacché normalmente le legislazioni prevedono che al termine
del procedimento concorsuale per mancanza di beni la persona giuridica
si estingua: tale situazione, sebbene in alcuni ordinamenti non pregiudichi
una riapertura del procedimento in caso di sopravvenienze attive, comporta
comunque una estinzione implicita dei debiti non onorati per venir meno
del debitore. Ciò, tuttavia, non accade con riguardo al debitore persona
fisica che, prevedibilmente, dopo la conclusione del procedimento, ricomincerà
la propria attività, la qual cosa renderà possibili nuove entrate e
la necessità di non trascinarsi le «remore del passato» al fine di favorire
il citato «fresh start», soprattutto alla luce del fatto che, in base al principio
generale della responsabilità universale (art. 1911 cod. civ.) il debitore continuerebbe
altrimenti a rispondere dei debiti restati non onorati dopo la
conclusione del concorso con assoggettamento ai termini di prescrizione
delle obbligazioni.
Allo stesso modo, i meccanismi di esdebitazione dal passivo residuo rivestono
importanza non soltanto relativamente a debitori imprenditori (ai
quali permettono di riprendere una attività professionale o imprenditoriale
senza conseguenze del passato), ma anche relativamente al debitore persona
fisica consumatore e all’indebitamento della famiglia, dal momento che –
quantunque sia vero che questi non svolgono attività professionale o imprenditoriale
che necessiti di essere ripresa – non è meno vero che in, questi
casi, il «discharge» permette di evitare situazioni di «esclusione sociale» che
può derivare dal continuare ad essere obbligato dopo la conclusione del
procedimento al soddisfacimento del passivo non onorato in un ambito
concorsuale, con assoggettamento ai termini di prescrizione delle obbligazioni
a volte abbastanza lunghi. Tutto ciò sebbene in taluni modelli, come

Parte I - Dottrina 87
quello italiano, tali soggetti siano esclusi dall’ambito del modelli esdebitatori
(nuovo capitolo IX introdotto nella legge fallimentare italiana dal D.Lgs.
n. 5 del 2006, sotto la rubrica «esdebitazione»).
Purtuttavia, bisogna rimarcare che il «discharge» costituisce un meccanismo
di cui si avvantaggia non soltanto il debitore, ma anche, indirettamente
il creditore e la circolazione dei beni in generale. Infatti, come si
è anticipato, il «discharge» costituisce un potente incentivo per una tempestiva
richiesta di concorso (specialmente volontario), nei casi in cui tale richiesta
non costituisca un dovere, ma soltanto una facoltà: infatti la richiesta
precoce favorisce i creditori che, in linea di principio, potranno disporre
di un patrimonio maggiore su cui soddisfare i propri crediti. È peraltro
vero che questo istituto può costituire anche un incentivo ad una condotta
finanziaria non prudente da parte del debitore, che vi potrebbe essere indotto
in considerazione della possibile esdebitazione nell’ambito di un
eventuale procedimento concorsuale: tutto ciò con i conseguenti costi a carico
del sistema finanziario dovuti al mancato recupero di quanto prestato
(anche se, a sua volta, la prospettiva di un mancato recupero, seppur parziale,
del credito in un procedimento concorsuale potrebbe costituire un
indirizzo verso una politica responsabile di concessione di prestiti al consumo).
È per questo che il «discharge», più che costituire un «diritto» del
debitore assoggettato a concorso, è sostanzialmente un beneficio che diversi
ordinamenti prevedono in relazione alla sussistenza, in capo ad debitore,
di determinati requisiti stabiliti legalmente, dalla presenza dei quali si possa
sostanzialmente concludere di trovarsi di fronte ad un debitore «onesto,
ma sfortunato» (da notare, peraltro, che il «test» di «discharge» èstato inasprito
nel modello nordamericano con il Consumer Protection Act del
2005). Con tutto questo, non ci si riferisce ad una categoria «etico-morale»,
ma al modo con cui il debitore è andato gestendo in pratica la sua attività
economica, specialmente con riferimento alle obbligazioni che ha assunto
e alle cause del suo inziale sovrindebitamento che alla fine è sfociato
in insolvenza, ai cui effetti sarà rilevante la accennata distinzione tra sovirndebitamento
attivo e passivo.
Nell’ordinamento spagnolo, come si è anticipato, non vengono disciplinati
meccanismi propriamente esdebitatori del passivo residuo, probabilmente
alla luce della finalità essenzialmente solutoria attribuita al concorso
dei creditori dalla LC, funzione al cui servizio ne vengono previste di ulteriori,
relative all’incremento e al completamento della massa attiva al fine di
favorire il soddisfacimento dei creditori: questo spiega anche in buona misura
l’assenza, nella riforma spagnola del 2003, di qualsiasi meccanismo di
esdebitazione dal passivo residuo dopo la chiusura del concorso, perché
questo – attraverso la concessione al debitore di una «seconda opportunità»
che favorisca il «fresh start» – finirebbe per attribuire al concorso finalità
ulteriori.

88
Il diritto fallimentare e delle società commerciali - n. 1-2011
È possibile che a questo si aggiunga anche la implicita mancanza di fiducia
da parte del legislatore spagnolo in ordine all’«uso e all’abuso» che
nella pratica potrebbe essere fatto di questo meccanismo esdebitatorio, soprattutto
da parte dei «cattivi pagatori», consapevoli delle «perversioni» generate
nel sistema durante la vigenza dell’antico ordinamento concorsuale
spagnolo e la intenzione di compensare in qualche modo i sacrifici dei creditori
professionali (che devono sopportare, nel caso di debitore imprenditore,
il blocco della esecuzione su beni gravati da garanzie reali ex art. 56
LC) evitando i costi che su di essi produrrebbe la irrecuperabilità di parte
dei propri crediti nei confronti dei propri mutuatari in un eventuale meccanismo
esdebitatorio concorsuale. In effetti, il «discharge» concede una
«seconda opportunità» al debitore, nel momento in cui gli permette di tornare
ad iniziare da zero la sua attività, però, nello stesso tempo, in qualche
misura, può favorire la utilizzazione, da parte del debitore, della richiesta
del suo proprio concorso soprattutto quando questa richiesta costituisca
una facoltà (insolvenza imminente, art. 2.3 LC) e non un dovere (insolvenza
attuale, art. 2.2 LC), avendo un «effetto di richiamo» che potrebbe ancor di
più saturare gli attuali «juzgados de lo mercantil», e ledendo in qualche modo
i diritti di credito, specialmente dei creditori professionali, spingendo,
d’altra parte, di fronte all’aspettativa dell’esdebitazione, condotte finanziarie
irresponsabili da parte del debitore.
Ad ogni modo, queste considerazioni sono attualmente oggetto di revisione
dalla commissione costituita nell’attuale processo di riforma del diritto
concorsuale spagnolo, dovendosi evidenziare che comunque esistono
nella LC alcuni meccanismi che impropriamente potrebbero avere un effetto
parallelo a quello del «discharge», che analizzerò sommariamente qui di
seguito.
3.2.3. I meccanismi impropri di «discharge» nell’ambito della Ley Concursal.
– A. L’esdebitazione in sede concordataria. –Èdiscutibile se un meccanismo
esdebitatorio possa operare per mezzo del concordato quando il contenuto
di quest’ultimo sia remissorio (art. 136 LC, che dispone che «i crediti
dei creditori privilegiati che abbiano votato a favore del concordato,
quelli dei creditori ordinari e dei creditori subordinati resteranno estinti
per la parte oggetto di remissione, rimessi in termini,quanto alla loro esigibilità,
per il tempo della dilazione e in generale subiranno gli effetti di quanto
stabilito nel concordato»).
Ci si chiede allora, soprattutto con riferimento alla «quita», che costituisce
un «pactum de non petendo» di efficacia temporale illimitata, se il concordato
abbia un effetto novativo e se questa novazione sia modificativa o
estintiva, potendo, in quest’ultimo caso,produrre effetti paralleli a quelli derivati
dai meccanismi di esdebitazione sul modello del «discharge».
In effetti, si tratterebbe di considerare novativa la efficacia del concor-

Parte I - Dottrina 89
dato, l’estinzione parziale delle obbligazioni oggetto della rimessione, vale a
dire per la parte in cui questa le riguardi e che, secondo quanto previsto
dall’art. 100 LC.,non potranno eccedere del 50% i crediti ordinari, cercando
poi in pratica di ridurre questo limite legale massimo mediante misure
indirette che favoriscano le maggioranze richieste per l’approvazione del
concordato (art. 163.1.1 LC) in quei casi in cui la quita non superi il terzo
dell’importo dei loro crediti. Tuttavia, è prevista la possibilità di superare
eccezionalmente i limiti legali al contenuto dilatorio o remissorio del concordato,
richiedendosi a tale fine che il debitore sia una «impresa la cui attività
possa avere particolare importanza per l’economia» e che sia accompagnata
una relazione dell’amministrazione economica competente (art.
100.1.2. paragrafo LC). Questi requisiti vengono attenuati nei casi di proposta
anticipata di concordato, dove, per derogare ai limiti legali del contenuto
remissorio, è il giudice l’organo competente ad autorizzare il superamento
degli stessi su richiesta del debitore (art. 104.2 LC).
Tuttavia, riteniamo che, a rigore, l’efficacia remissoria del concordato
non produca l’estinzione dell’obbligazione, in quanto la «remissione» accordata
in un concordato (quita) non può considerarsi una vera e propria
remissione in senso tecnico ( 7 ). In effetti, da un lato, la riduzione del credito
contenuta all’interno di un concordato non è un atto di liberalità – come lo
sarebbe una vera e propria remissione – dal momento che i creditori accettano
la riduzione proprio a loro vantaggio, giacché non potrebbero ottenere
una soluzione più favorevole per i loro interessi, alla luce della situazione in
cui versa il debitore (ad esempio: si rinuncia al 40% per recuperare un 60%
al posto di nulla). D’altra parte, gli effetti della riduzione non sono neppure
quelli tipici della remissione (art. 1156 cod. civ.), dal momento che – ove si
sostenesse che la «quita» fosse un condono – si dovrebbe accettare l’idea
che il concordato produca effetti anche con riferimento a obbligazioni
non assoggettate al concorso, estinguendosi non soltanto l’obbligazione
principale nei confronti del debitore, ma anche quelle accessorie alla principale
(per esempio, obbligazione del garante, art. 1847 cod. civ.). Questo
tuttavia non accade nel concorso, dal momento che l’art. 135 LC stabilisce
( 7 ) Nota del traduttore: nell’ordinamento spagnolo, l’istituto corrispondente alla remissione
(come causa di estinzione dell’obbligazione) prevista nel codice civile italiano è lacondonación,
qui tradotta con l’espressione «remissione in senso stretto» (o remissione tout
court), giacché l’Autrice, nel riferirsi al contenuto «remissorio» del concordato (la c.d. quita),
intende precisamente spiegare che non si tratta di una vera e propria «remissione» (vale a dire
di una vera e propria condonación, ai sensi dell’art. 1156 del codice civile spagnolo). Per questo
motivo, laddove nell’originale in lingua spagnola si allude al pagamento parziale che può
attuarsi nel concordato (indicandolo come «effetto remissorio»), si è preferito volgere il concetto
in italiano con l’espressione «riduzione del debito concordatario», o semplicemente richiamare
la «quita», che è l’espressione che sinteticamente individua tale nozione nella LC.

90
Il diritto fallimentare e delle società commerciali - n. 1-2011
la sussistenza piena dei diritti nei confronti degli obbligati solidalmente con
il debitore soggetto a concorso e nei confronti dei fideiussori o garanti con
riferimento ai «creditori che non abbiano votato a favore del concordato»
come mezzo di estinzione di una obbligazione e di sua sostituzione con una
nuova.
Ciò esclude l’assimilazione della riduzione concorsuale (quita) alla novazione
estintiva perché, se questa fosse la sua portata, di nuovo, bisognerebbe
considerare estinte le obbligazioni accessorie senza che sia equiparabile il
contenuto dell’art. 135 LC a quanto disposto nell’art. 1207 cod. civ., in
quanto continuerebbero a sussistere le obbligazioni accessorie a favore di
terzi che non abbiano prestato il proprio consenso.
In effetti, ciò che l’art. 135 LC stabilisce è la piena sussistenza dei diritti
nei confronti degli obbligati solidali del debitore assoggettato a concorso e
nei confronti dei suoi garanti o fideiussori a favore dei «creditori che non
abbiano votato a favore del concordato», non potendo individuarsi in tali
creditori quelli a cui si riferisce l’art. 1207 cod. civ. Ci troveremmo, pertanto,
di fronte ad una situazione nella quale il debitore «de facto» viene liberato
a tempo indeterminato dall’obbligazione di pagare la parte oggetto di
riduzione nel concordato, non costituendo peraltro tale liberazione la conseguenza
di una estinzione della obbligazione, ma soltanto della rinuncia
dei creditori ad esigere il pagamento da parte del debitore (pactum de
non petendo). È vero che l’effetto pratico di tale liberazione è molto simile
a quello che conseguirebbe ad una vera e propria remissione, dal momento
che, in entrambi i casi, il risultato è che i creditori non hanno azione nei suoi
confronti per il pagamento di tale parte, potendo il debitore, a fronte di una
eventuale azione, allegare l’esistenza del patto (art. 405 Ley de Enjuiciamento
Civil per le azioni dichiarative e art. 556.1 per le azioni esecutive). Tuttavia,
le conseguenze giuridiche derivanti dalla riduzione del credito in sede
concorsuale e dalla remissione sono differenti, non soltanto per quanto si è
detto con riferimento al tema della estinzione delle obbligazioni accessorie,
ma anche per il fatto che l’efficacia liberatoria derivante dalla riduzione del
credito in sede concordataria (quita) ècondizionata all’adempimento del
concordato stesso, poiché l’art. 140.4 LC, sull’esempio dell’art. 140 della
legge fallimentare italiana, stabilisce che «la dichiarazione di inadempimento
del concordato comporterà la risoluzione di quest’ultimo ed il venir meno
degli effetti sui crediti di cui all’art. 136 LC». D’altra parte, l’art. 162.1
LC dispone che «nel caso in cui la liquidazione sia stata preceduta da un
adempimento parziale di un concordato, si presumono legittimi i pagamenti
effettuati in esecuzione di tale concordato, salvo che venga provata la frode,
la contrarietà al concordato, o l’alterazione nella parità di trattamento dei
creditori». Pertanto nel caso in cui, essendo stato approvato un concordato
con contenuto remissorio, il debitore lo abbia adempiuto, durante il concorso
i creditori potranno esigere unicamente il soddisfacimento dei propri

Parte I - Dottrina 91
crediti nei termini concordatari, restando tali diritti estinti definitivamente
per la parte ridotta dal concordato una volta concluso il concorso per essere
diventata definitiva la dichiarazione di adempimento del concordato: questa
è una delle differenze tra il concordato e la liquidazione, nella quale ultima
il debitore in ogni caso, dopo la conclusione del concorso, resta responsabile
del pagamento dei propri debiti che non si sia potuto soddisfare attraverso
il ricavato della liquidazione concorsuale (art. 178.2). Diversamente,
ove il debitore non adempia il concordato, la dichiarazione di inadempimento
comporta la risoluzione e, a seguito della stessa, i creditori potrebbero
tornare a reclamare integralmente il proprio credito, senza doversi attestare
all’importo previsto dal concordato, e concorrendo nella liquidazione
che farà seguito alla dichiarazione di inadempimento (art. 143.1.5 LC) per
l’importo del credito risultante dall’elenco definitivo dei creditori, previa
deduzione dell’importo percepito in esecuzione del concordato (art. 162.2).
Nei casi di responsabilità residuale del debitore per i debiti non adempiuti
dopo la realizzazione concorsuale del patrimonio mediante la liquidazione,
con riferimento al debitore persona fisica, l’art. 178.2 prevede –
quando la conclusione del concorso sia dovuta all’inesistenza di beni o di
diritti – la responsabilità per il pagamento dei crediti residui: i creditori,
quindi, potranno riprendere le esecuzioni individuali nei confronti del debitore,
similmente a quanto si prevedeva nell’art. 1136 del Codice di Commercio
del 1829 e nell’art. 907 del Codice di Commercio del 1885,
Non essendo perciò strettamente equiparabile la «quita» concorsuale ad
una remissione, non può considerarsi fatto imponibile agli effetti dell’imposta
sulle successioni e sulle donazioni (art. 3.1.B, LISD in fine) anche se il
«pacto de non petendo» ad efficacia indeterminata nel tempo venga considerato
come produttore di un effetto simile a quello di una remissione, perché,
anche in questo caso, non ricorrerebbe l’inesistenza di una causa lucrativa,
che costituisce il presupposto di quella imposta, giacché, come si è evidenziato,
la «quita» cui accede il creditore non costituisce un atto gratuito
che comporti un arricchimento del debitore, costituendo invece l’unico modo
di recuperare parte del proprio credito.
Delimitate in tal modo le differenze tra la riduzione del credito in sede
concordataria e la remissione in ragione della natura dell’importo oggetto di
rimessione, si può osservare come tale importo sia assimilabile, per certi
versi, alle obbligazioni naturali – nel senso che i creditori non possono esigerne
l’adempimento, essendo il pagamento spontaneo possibile ed irripetibile.
Ma questo non significa che il «pactum de non petendo» trasformi una
obbligazione civile in una naturale, in quanto l’obbligazione continua ad essere
un’obbligazione civile dopo l’approvazione del concordato anche se i
creditori, in virtù del contenuto di quest’ultimo, non possano reclamarne
l’importo.
In definitiva, anche se il «pactum de non petendo» ad efficacia indeter-

92
Il diritto fallimentare e delle società commerciali - n. 1-2011
minata (in cui consiste la «quita») si può in qualche modo avvicinare, nei
suoi risultati pratici, alla rimessione del debito («discharge») prevista in altri
modelli di diritto comparato per i debitori persone fisiche nell’ambito del
procedimento concorsuale, sussistono delle differenze di natura sostanziale.
In effetti, la «quita», come possibile contenuto del concordato relativo alle
modalità di sistemazione del passivo, non è riservata esclusivamente al debitore
persona fisica, ma a anche a persone giuridiche, imprese o no, e indipendentemente
dalla propria condizione di debitore «onesto, ma sfortunato»,
dal momento che, anche se è vero che i debitori che si trovassero in
una delle situazioni di divieto di cui all’art. 105 LC non potrebbero accedere
a un concordato remissorio per mezzo di una proposta anticipata di concordato,
potrebbero comunque farlo per mezzo della procedura ordinaria
di concordato, nella quale non vengono richieste condizioni particolari in
capo al debitore.
Né in alcun modo potrebbero considerarsi i due meccanismi equiparabili,
visto che la «quita» non costituisce una remissione ma un mero patto di
non esigibilità fintantoché il debitore adempia il concordato (art. 136 LC),
continuando a sussistere l’obbligazione e recuperando i creditori la possibilità
di azionare il proprio credito nei casi di inadempimento del concordato
da parte del debitore, e non incidendo, per di più,la«quita» sulla sussistenza
delle obbligazioni accessorie (per esempio nei confronti di fideiussori e
garanti).
B. Gli effetti della conclusione del concorso della persona giuridica per
inesistenza di beni nell’ordinamento spagnolo. – Secondo quanto disposto
dall’art. 176.4.1. LC, è causa di chiusura provvisoria del concorso (in qualunque
stato del procedimento) la verifica della «inesistenza di beni e diritti
del debitore sottoposto a concorso, né di terzi responsabili, attraverso i quali
poter soddisfare i creditori». L’art. 178.2, in questi casi, dispone che «il
debitore resterà responsabile del pagamento dei crediti residui», vale a dire
del passivo residuo dopo la chiusura del concorso, di cui è prevista la possibilità
di una riapertura in caso di sopravvenienze attive e senza nessuna
limitazione temporale. Questo può accadere con riferimento al debitore
persona giuridica (art. 179.2 LC) e, trattandosi di persone fisiche, in caso
di consumatori, nell’ambito del limite temporale di 5 anni a partire dalla
conclusione del concorso, e questa volta non soltanto per sopravvenienze
attive, ma anche passive (art. 179.1 LC).
Pertanto non è previsto (indipendentemente dalla natura imprenditoriale
del debitore o dalla sua condizione di persona fisica o giuridica) alcun
meccanismo di esdebitazione del passivo che residuasse dopo la chiusura
del concorso per mancanza di attivo. Ciò ècoerente con il regime di responsabilità
universale previsto nell’art. 1911 cod. civ. secondo cui «il debitore
risponde dell’adempimento delle sue obbligazioni con tutti i suoi beni pre-

Parte I - Dottrina 93
senti e futuri», nonché con quanto discende dagli artt. 1566 e 1157 dello
stesso codice civile, secondo cui la estinzione delle obbligazioni si produce
unicamente attraverso il pagamento totale ovvero con il compimento della
prestazione, senza che venga limitato l’ambito di tale responsabilità, come
invece avviene in altri ordinamenti, proprio in virtù di meccanismi di esdebitazione
dai debiti non adempiuti dopo la conclusione del concorso.
Tuttavia, la sussistenza del regime generale di responsabilità patrimoniale
universale con oggetto il passivo restato insoddisfatto dopo la conclusione
del concorso a causa dell’inesistenza di beni, e perfino le possibilità
che di fatto il concorso possa riaprirsi per sopravvenienze attive o passive,
possono avere una portata distinta se il debitore è un consumatore. Ciò èda
porsi in relazione con gli effetti che la conclusione del procedimento per
insussistenza di attivo produce nell’ordinamento spagnolo sulla stessa esistenza
del debitore, che si distinguono a seconda che quest’ultimo sia
una persona fisica o giuridica. A seconda che ricorra l’una o l’altra condizione
gli effetti della chiusura del concorso per mancanza di attivo operano
in modo diverso, trovando tale differenziato trattamento la propria giustificazione
proprio nella differente natura del debitore. Quanto appena detto
può rivestire rilevanza con riguardo agli effetti derivanti dalla mancanza, nel
nostro ordinamento, di meccanismi esdebitatori del passivo residuo dopo la
chiusura del procedimento e perfino con riguardo ad una eventuale riapertura
del concorso.
In questo senso – e come è dato rilevare in altri ordinamenti – secondo
quanto previsto dall’art. 177.3, la chiusura del concorso per mancanza di
beni e diritti del debitore persona giuridica comporta la sua estinzione. Il
concorso potrà riaprirsi nel caso di sopravvenienze attive, ma si limiterebbe
alla liquidazione di queste; non è ipotizzabile il caso di sopravvenienze passive,
giacché la persona giuridica, si estingue per effetto della chiusura del
concorso. Di fatto, peraltro, l’ipotesi di responsabilità per sopravvenienze
passive dopo la chiusura del concorso persona giuridica, soprattutto se società,
è di difficile realizzabilità.
Infatti, prima della liquidazione, saranno state attivate eventualmente la
responsabilità dei soci personalmente responsabili (art. 48.5 LC) – ai quali
non viene estesa la dichiarazione di concorso della società, al contrario di
quanto precedentemente previsto nell’abrogato art. 923 del codice civile
– alla cui azione è legittimata l’amministrazione concorsuale. Tale responsabilità
sussidiaria dei soci personalmente responsabili è rafforzata concorsualmente,
vista la possibilità che il giudice, fin dalla dichiarazione di concorso,
disponga il sequestro, a garanzia di tale responsabilità, dei beni di tali
soci, quando si preveda che la massa attiva sarà insufficiente al soddisfacimento
di tutti i debiti (art. 48.5 LC). Nella stessa direzione, quando il concorso
venga definito «colpevole» e pervenga alla liquidazione, si potrà azionare
eventualmente la responsabilità degli amministratori e dei liquidatori

94
Il diritto fallimentare e delle società commerciali - n. 1-2011
di diritto e di fatto e di coloro che avessero esternato tale qualità nei due
anni anteriori alla dichiarazione di concorso, nell’ipotesi in cui abbiano contribuito
a generare o aggravare lo stato di insolvenza. Tale responsabilità ha
per oggetto il soddisfacimento totale o parziale del passivo insoddisfatto
(art. 172.3 LC). Anche in questo caso, a garanzia dell’adempimento di tale
responsabilità concorsuale degli amministratori e dei liquidatori, il giudice,
fin dal momento della dichiarazione di concorso, può disporre il sequestro
dei beni di tali soggetti, laddove sussista la fondata possibilità che il concorso
venga qualificato come colpevole e risulti insufficiente la massa attiva necessaria
al soddisfacimento dei creditori (art. 172.3 LC).
Orbene, tutti questi meccanismi di completamento del patrimonio del
debitore persona giuridica, specialmente società, non operano con riguardo
al debitore persona fisica, se si eccettuano le possibili responsabilità di terzi
garanti. Inoltre la chiusura del concorso per mancanza di beni non determina
l’estinzione del debitore persona fisica: se tale ultima eventualità si verificasse,
il procedimento continuerebbe come concorso dell’eredità (art.
182.1 LC). Tutto ciò fasìche le possibilità di debiti residui dopo la chiusura
del concorso siano maggiori nel caso di persona fisica (specialmente
consumatore) che in quello di persone giuridiche. Nel contempo, il debitore
potrà riprendere la sua attività dopo la chiusura del concorso, ciò che è
inconcepibile in caso di persona giuridica, che si estingue con la chiusura
del concorso per mancanza di beni, restando sussistente la sua responsabilità,
assoggettata ai termini di prescrizione delle obbligazioni, la cui interruzione,
effetto della dichiarazione di concorso (art. 60 LC), viene meno dopo
la conclusione del concorso, determinando una nuova decorrenza del termine,
senza che possa essere computato quello trascorso anteriormente.
Da considerare anche che nell’ordinamento spagnolo tali termini possono
essere molto lunghi (15 anni, secondo l’art. 1964 cod. civ., che possono arrivare
fino a 30 anni secondo l’art. 1963 cod. civ.).
Inoltre pende sul debitore consumatore un termine di cinque anni durante
il quale è possibile la riapertura del procedimento per sopravvenienze
attive o passive (art. 179.1 LC), con i conseguenti problemi che tale riapertura
comporta con riguardo al trattamento da riservarsi ai creditori del concorso
originario (chiuso per mancanza di beni) ed a quelli successivi a tale
chiusura.
Juana Pulgar Ezquerra

IL DIRITTO FALLIMENTARE
E DELLE SOCIETÀ COMMERCIALI
PARTE SECONDA

CORTE COSTITUZIONALE
10 giugno 2010, n. 198
Pres. Amirante - Est. A. Finocchiaro
Factorit Soc. per az. c. Cancelleria Tribunale Trani
Fallimento - Accertamento del passivo - Verbale di conciliazione giudiziale
- Insinuazione al passivo fallimentare - Previo assolvimento della tassa
di registrazione - Incostituzionalità
(Art. 66, comma 2, D.P.R. 26 aprile 1986, n. 131 (Approvazione del testo
unico delle disposizioni concernenti l’imposta di registro)
È costituzionalmente illegittimo l’art. 66, comma 2, del D.P.R. 26 aprile
1986, n. 131 (approvazione del testo unico delle disposizioni concernenti l’imposta
di registro), nella parte in cui non prevede che la disposizione di cui al
comma 1 non si applichi al rilascio di copia dell’atto conclusivo (sentenza o
verbale di conciliazione) della causa di opposizione allo stato passivo fallimentare,
ai fini della variazione di quest’ultimo ( 1 ).
La Corte (omissis) – 1. Il giudice delegato del tribunale ordinario di
Trani dubita della legittimità costituzionale dell’art. 66 del D.P.R. 26 aprile
( 1 ) La Corte costituzionale ritorna sul rapporto fra tutela giurisdizionale dei diritti e
adempimenti fiscali.
1. – I termini della fattispecie sottesa alla decisione in commento sono i seguenti. Il cancelliere,
sull’assunto che non era stata ancora versata la relativa tassa di registro, si è rifiutato
di rilasciare copia autentica del verbale di conciliazione conclusiva del processo di opposizione
ex art. 98 legge fallim. e ha impedito così al creditore richiedente di proporre domanda di
insinuazione nello (e quindi di variazione dello) stato passivo fallimentare.
Le argomentazioni della Corte costituzionale traggono le mosse dal precedente arrêt ( 1 ),
che aveva dichiarato illegittimo l’art. 66, comma 2, del D.P.R. 26 aprile 1986, n. 131, nella
parte in cui non prevedeva che la disposizione di cui al comma 1 non si applicasse al rilascio
dell’originale o della copia della sentenza o di altro provvedimento giurisdizionale, che dovesse
essere utilizzato per procedere all’esecuzione forzata. Più precisamente, nella parte in cui
vietava al cancelliere o ad altro preposto di rilasciare, ai fini dell’esperimento dell’azione esecutiva,
prima della registrazione, copia autentica del provvedimento. La Corte aveva omologato
il giudizio di valore per cui, nel bilanciamento tra l’interesse fiscale alla riscossione dell’imposta
e quello all’attuazione della tutela giurisdizionale, il primo è ritenuto sufficientemente
garantito dal solo obbligo imposto al cancelliere di informare l’ufficio finanziario dell’esistenza
dell’atto non registrato, ponendolo così in grado di procedere alla riscossione. A
giudizio della Corte la scelta compiuta dalla norma censurata si risolveva nella lesione dell’art.
( 1 ) Corte cost. 21 novembre 2002, n. 522.

2
Il diritto fallimentare e delle società commerciali - n. 1-2011
1986, n. 131 (approvazione del testo unico delle disposizioni concernenti
l’imposta di registro) – rectius art. 66, comma 2, dello stesso D.P.R. – nella
parte in cui non consente il rilascio di copia dell’atto conclusivo (sentenza o
verbale di conciliazione) della causa di opposizione allo stato passivo fallimentare,
ai fini della variazione di quest’ultimo, prima del pagamento dell’imposta
di registro, per violazione dell’art. 3 della Costituzione, sotto il
profilo della ingiustificata disparità di trattamento di situazioni analoghe,
in funzione della circostanza che il debitore da aggredire sia fallito ovvero
in bonis, poiché solo nel secondo caso il creditore potrebbe, in pendenza
24 Cost., giacché la garanzia della tutela giurisdizionale deve coprire anche la fase dell’esecuzione
forzata, che è diretta per l’appunto a rendere effettiva la attuazione del provvedimento
di giustizia. Ed era anche irragionevole perché concretava la rilevata valutazione di bilanciamento
fra l’interesse all’effettività della tutela giurisdizionale e quello alla riscossione dei tributi
in modo irragionevolmente diverso per i due tipi di processo (di cognizione e di esecuzione):
l’inadempimento della obbligazione tributaria non preclude lo svolgimento del processo
di cognizione fino all’emanazione della sentenza (o di altro provvedimento esecutivo) ( 2 )
ma impedisce senz’altro che alla sentenza (o al provvedimento esecutivo) sia data attuazione
mediante l’esercizio della tutela giurisdizionale in via esecutiva.
2. – A vero dire, l’arrêt richiamato dalla sentenza in commento si poneva alla fine dell’interessante
parabola evolutiva, dall’andamento peraltro non sempre lineare, della configurazione
del rapporto tra l’effettività della tutela giurisdizionale dei diritti e degli interessi legittimi,
da un lato, e le previste incombenze di carattere fiscale, dall’altro lato.
Infatti, prima della riforma del 1971, non poche norme ponevano oneri fiscali per lo
svolgimento del processo civile, nel senso che la tutela giurisdizionale civile subiva delle limitazioni
dovute all’esigenza di adempiere previamente le relative obbligazioni tributarie.
Come ricorda la Corte, è stato l’art. 7, n. 7, della l. 9 ottobre 1971, n. 825, a porre, come
principio direttivo, la eliminazione di «ogni impedimento fiscale al diritto del cittadino di agire
in giudizio per la tutela dei propri diritti ed interessi legittimi» ( 3 ). In attuazione di detto
principio, l’art. 63 del D.P.R. 26 ottobre 1972, n. 634, prima, e l’art. 65 del D.P.R. 26 aprile
1986, n. 131, successivamente, hanno soppresso il divieto di utilizzare in giudizio degli atti
non registrati e, correlativamente, hanno imposto l’obbligo al cancelliere di rinviarli al competente
Ufficio del Registro.
( 2 ) In tal caso il cancelliere, come si è rilevato, ha solo l’obbligo di comunicare all’ufficio del registro l’elenco
degli atti non registrati e da registrare.
( 3 ) La legge n. 825 del 1971 ha imposto, infatti, al legislatore delegato, come principio di delega, di eliminare
«ogni impedimento fiscale al diritto dei cittadini di agire in giudizio per la tutela dei propri diritti ed interessi
legittimi» (articolo 7, n. 7). In attuazione di tale principio, l’art. 63 del D.P.R. 26 ottobre 1972, n. 634 (Disciplina
dell’imposta di registro), il cui contenuto è poi sostanzialmente confluito nell’articolo 65 del D.P.R. n. 131 del
1986, ha soppresso il divieto di utilizzazione in giudizio di atti non registrati (previsto dalla disciplina precedente,
la cui incostituzionalità era stata esclusa da questa Corte, con le citate sentenze n. 45 del 1963 e n. 157 del 1969)
ed al suo posto ha previsto l’obbligo del cancelliere di inviarli all’ufficio del registro. Il legislatore della riforma ha
pertanto ritenuto che la situazione di inadempimento dell’obbligazione relativa all’imposta di registro, emergente
in occasione del processo di cognizione, non può avere l’effetto di precluderne lo svolgimento e la conclusione.

Parte II - Giurisprudenza 3
della registrazione, ottenere subito la copia dell’atto, indispensabile alla realizzazione
del diritto accertato giudizialmente, promuovendo l’azione forzata;
nonché per violazione dell’art. 24 della Costituzione, per l’impedimento
all’attuazione del diritto di credito accertato giurisdizionalmente.
2. – La questione è fondata.
2.1. – L’art. 66, comma 1, del D.P.R. n. 131 del 1986 stabilisce che «i
soggetti indicati nell’art. 10, lettere b)ec), possono rilasciare originali, copie
ed estratti degli atti soggetti a registrazione in termine fisso da loro formati
o autenticati solo dopo che gli stessi sino stati registrati». Il successivo com-
Invero, la Corte aveva già affermato da tempo e in più riprese ( 4 ) che la Costituzione
«non vieta di imporre prestazioni fiscali in stretta e razionale correlazione con il processo,
sia che esse configurino vere e proprie tasse giudiziarie sia che abbiano riguardo all’uso di
documenti necessari alla pronunzia finale dei giudici». Né aveva mancato di aggiungere
che occorre distinguere fra «oneri che siano razionalmente collegati alla pretesa dedotta in
giudizio, allo scopo di assicurare al processo uno svolgimento meglio conforme alla sua funzione»
– da ritenersi consentiti – e oneri che invece tendano «alla soddisfazione di interessi
del tutto estranei alle finalità predette, e, conducendo al risultato di precludere o ostacolare
gravemente l’esperimento della tutela giurisdizionale, incorrono nella sanzione dell’incostituzionalità»(
5 ). E aveva precisato che l’interesse del cittadino alla tutela giurisdizionale e quello
generale della comunità alla riscossione dei tributi «sono armonicamente coordinati» ( 6 ).
In altra occasione, la Corte aveva invece affermato che «condizionare l’esercizio del diritto
del cittadino alla tutela giurisdizionale, all’adempimento del suo dovere di contribuente»
non contrasta con la Costituzione, salvo il caso dell’azione giudiziaria diretta a contestare la
legittimità del tributo ( 7 ). E aveva ribadito, più di recente, il principio secondo cui l’onere fiscale
non lede il diritto alla tutela giurisdizionale ove tenda ad assicurare al processo uno svolgimento
conforme alla sua funzione ed alle sue esigenze (e non miri, invece, al soddisfacimento
di interessi del tutto estranei alle finalità processuali) ( 8 ).
In definitiva, il giudizio della Corte oscillava fra il principio per il quale la tutela giurisdizionale
dovesse trovare piena espansione al di fuori e a prescindere dall’assolvimento di
obblighi fiscali e il principio per il quale la imposizione di oneri fiscali non recava vulnus alla
integrità della tutela giurisdizionale. Esso, in buona sostanza, teneva fermo il principio che la
imposizione di oneri fiscali non potesse comunque comportare intralcio o deviazioni al giusto
corso della tutela giurisdizionale.
( 4 ) Corte cost. 4 aprile 1963, n. 45, e, poi, Corte cost. 19 novembre 1964, n. 91 e Corte cost. 3 dicembre
1964, n. 100.
( 5 ) Corte cost. 15 giugno 1966, n. 80, segnatamente sull’illegittimità costituzionale della norma che vietava
di rilasciare copie di sentenze non ancora registrate, il cui deposito in giudizio condizionasse la procedibilità dell’impugnazione.
( 6 ) Corte cost. 22 dicembre 1969, n. 157 e Corte cost. 22 aprile 1970, n. 61.
( 7 ) Corte cost. 5 ottobre 2001, n. 333, dichiarativa dell’illegittimità costituzionale della norma che condizionava
l’attuazione della tutela giurisdizionale al pagamento dell’Ici, dell’Irpef e della tassa di registrazione
del contratto di locazione.
( 8 ) V. ancora le citate Corte cost. 157/1969 e Corte cost. 111/1971, con riferimento alla pretesa preclusione
discendente dal mancato assolvimento di alcune imposte, fra cui quella di registro, per l’esercizio dell’azione esecutiva
di rilascio dell’immobile locato.

4
Il diritto fallimentare e delle società commerciali - n. 1-2011
ma 2 prevede che la disposizione indicata non si applica ad una serie di atti
tassativamente enunciati.
Questa Corte ha già dichiarato l’illegittimità costituzionale della norma
censurata nella parte in cui non prevede che la norma contenuta nel comma
Le superiori disposizioni normative e le decisioni del giudice delle leggi riguardavano,
però, il solo processo di cognizione ma non erano applicabili agli atti utilizzati per l’esecuzione
forzata. Di guisa che la sentenza, conclusiva dell’ordinario processo di cognizione abbisognava,
per essere posta in executivis, del previo adempimento dell’obbligo di registrazione.
La richiamata sentenza 21 novembre 2002, n. 522, aveva già ritenuto, in buona sostanza,
che l’adempimento della tassa di registro non può avere l’effetto di precludere lo svolgimento
dell’esecuzione forzata e che, nel bilanciamento fra l’interesse fiscale alla riscossione forzata e
quello all’attuazione della tutela giurisdizionale, il primo è da ritenersi sufficientemente garantito
dall’obbligo imposto al cancelliere di informare l’ufficio finanziario dell’esistenza dell’atto
non registrato. In una, aveva proclamato la prevalenza della esigenza dell’esaustività della tutela
giurisdizionale sulla esigenza dell’assolvimento dell’obbligazione tributaria. Il cancelliere
era tenuto a rilasciare la copia autentica del provvedimento anche prima che venisse corrisposta
la relativa tassa di registrazione.
Dunque, per la sentenza richiamata, la tutela giurisdizionale comprende anche l’esecuzione
forzata per cui gli atti di questa non possono trovare nella tassa di registro (o, ad esempio,
di successione, di bollo, e Invim) un trattamento diverso dagli atti della cognizione. Come dire
che il bilanciamento fra l’interesse all’effettività della tutela giurisdizionale e quello alla riscossione
del tributo non può essere irragionevolmente diverso per i due tipi di processo. Così, il
creditore, anche se non abbia ancora assolto la tassa di registrazione del provvedimento di
condanna in suo favore, ha comunque il diritto di ottenerne dal cancelliere il rilascio in copia
autentica onde potere aggredire in executivis il patrimonio del debitore in bonis.
Aggiungeva la richiamata sentenza 522 del 2002 che è pur vero che l’interesse alla riscossione
dei tributi è posto dall’art. 53 Cost. sullo stesso piano di ogni diritto individuale. Ma ciò
non può giustificare il divieto dello svolgimento dei processi. Con la conseguenza che non
rientra – né può rientrare – nella discrezionalità del legislatore ordinario il potere di introdurre
eccezioni fondate sull’interesse alla riscossione. Pena la violazione dell’art. 24 Cost., che
assicura la possibilità di agire in giudizio, e dell’art. 3 Cost., per l’ingiustificata disparità di
trattamento per le due procedure (di cognizione e di esecuzione). La verità èche – verrebbe
da aggiungere – per dare un senso compiuto alla topografia della Carta fondamentale, è d’uopo
leggere l’art. 24 fra le norme dedicate ai rapporti civili e l’art. 53 fra quelle concernenti i
rapporti politici.
3. – Orbene. Se ci si potesse fermare qui, la pronuncia sotto analisi non prospetterebbe,
all’evidenza, motivo alcuno di interesse perché la Corte, come rilevato, si limita a fare mera
relatio ad altra precedente pronuncia, della quale richiama, omologa e ribadisce le conclusioni.
Sennonché, a ben guardare, la gittata della sentenza va ben oltre perché la statuizione da
essa portata, oltre a contenere di per sé unquid novi, sottende delle considerazioni e autorizza
delle conclusioni certamente meritevoli dell’attenzione dell’operatore giuridico.
La pronuncia in commento dichiara, infatti, l’illegittimità costituzionale dell’art. 66, comma
2, del D.P.R. 26 aprile 1986, n. 131, sotto un profilo e per una motivazione diversa. Ad
accoglimento dell’eccezione sollevata nell’ordinanza di rimessione, essa basa la censura sulla
disparità di trattamento, irrogata dalla norma fulminata d’incostituzionalità, fra le situazioni
giuridiche creditorie. Invero, la previa richiesta della registrazione della sentenza porrebbe il
creditore del debitore fallito in una posizione di assoluto svantaggio e di arbitraria disparità

Parte II - Giurisprudenza 5
1 dello stesso art. 66 non si applica al rilascio dell’originale o della copia
della sentenza o di altro provvedimento giurisdizionale che debba essere
utilizzato per procedere all’esecuzione forzata (sentenza n. 522 del 2002).
La decisione muove dalla considerazione che la legge 9 ottobre 1971, n.
825 (delega legislativa al Governo della Repubblica per la riforma tributa-
rispetto a quella del creditore del debitore in bonis: invero, solo il creditore del secondo, e
non anche quello del primo, potrebbe esperire l’azione esecutiva ancorché munito di sentenza
di condanna non ancora registrata. Al contrario, il creditore del fallito, alla luce della norma
censurata, dovrebbe previamente procedere alla registrazione del provvedimento onde insinuare
il proprio credito nel passivo fallimentare. Condizionare il rilascio della copia del
provvedimento all’effettivo pagamento della tassa di registro equivarrebbe ad impedire l’attuazione
del diritto di credito accertato giudizialmente ( 9 ).
Ma vi è di più. La Corte estende ed applica le considerazioni di cui sopra, relative alla
sentenza e in genere ai provvedimenti giurisdizionali, pure al verbale di conciliazione giudiziale
con cui si conclude il processo di opposizione ai sensi dell’art. 98 legge fallim. Così, anche
il creditore del fallito, che sia munito del verbale di conciliazione, può chiedere al cancelliere,
al fine di potersi insinuare al passivo, ancor prima della registrazione, il rilascio in copia
autentica. Invero, precisa la Corte, «posto che la conciliazione giudiziale accerta il credito da
ammettere al passivo, l’unico sistema attraverso il quale il creditore può ottenere tutela del
proprio diritto è quello della partecipazione al riparto attraverso l’inserimento del creditore
nello stato passivo. Pertanto, l’esclusione di tale possibilità, prima della registrazione dell’atto,
pone il creditore in una condizione analoga a quella in cui viene a trovarsi il creditore cui sia
inibita la esecuzione forzata per il mancato rilascio della copia della sentenza che abbia accertato
il credito prima della registrazione dell’atto».
La garanzia di cui all’art. 24, comma 1, Cost. non si limita a coprire, a giudizio della Corte,
soltanto il momento dichiarativo ma si estende fino a comprendere anche e soprattutto il
momento esecutivo della tutela giurisdizionale del diritto, meglio, la concreta attuazione e
l’effettivo soddisfacimento del diritto dichiarato. La portata, semantica ancor prima che esegetica,
dell’art. 24, comma 1, Cost. sarebbe nel senso che l’effettività della tutela giurisdizionale
dei diritti e degli interessi legittimi deve comprendere, accanto alla componente stricto
sensu dichiarativa, anche e soprattutto il momento esecutivo. Di guisa che la tutela giurisdizionale
non si ferma, né può fermarsi, al loro accertamento o alla loro dichiarazione ma deve
giungere a concretarsi effettivamente nell’esperimento dell’azione esecutiva ( 10 ). Ne consegue
allora che l’irragionevolezza della norma censurata discende da ciò, che non è affatto sufficiente
che il mancato assolvimento della tassa di registro non sia di ostacolo alla dichiarazione
e/o cognizione del diritto, ma è necessario altresì che esso non sia di impedimento neppure
all’esecuzione, val dire all’attuazione coattiva del diritto. E ciò tanto con riferimento alla sentenza
o altro provvedimento giurisdizionale che con riguardo al verbale di conciliazione, purché
cuspidati ovviamente di efficacia esecutiva.
( 9 ) Tanto più, precisa E. De Mita, La registrazione non può limitare il diritto di difesa, inIl sole 24 Ore, 11
luglio 2010, «laddove penda contenzioso proprio in ordine alla legittimità della pretesa sul quantum debeatur eil
tributo richiesto abbia anche consistenza notevole».
( 10 ) Sono a tutti noti i termini della querelle circa il se l’esecuzione forzata concreti, più correttamente, la
tutela giurisdizionale dei diritti o se questa non si esaurisca piuttosto nella sola cognizione (sul punto, per tutti già
E. T. Liebman, I presupposti dell’esecuzione forzata, inRiv. dir. proc., 1953, pag. 266 seg.).

6
Il diritto fallimentare e delle società commerciali - n. 1-2011
ria), ha imposto al legislatore delegato, come principio direttivo, di eliminare
«ogni impedimento fiscale al diritto dei cittadini di agire in giudizio per
la tutela dei propri diritti ed interessi legittimi» (articolo 7, n. 7).
In attuazione di tale principio, l’articolo 63 del D.P.R. 26 ottobre 1972,
n. 634 (disciplina dell’imposta di registro), il cui contenuto è poi sostanzialmente
confluito nell’art. 65 del D.P.R. n. 131 del 1986, ha soppresso il divieto
di utilizzazione in giudizio di atti non registrati previsti dalla disciplina
precedente, stabilendo, in luogo dello stesso, l’obbligo del cancelliere di inviarli
all’ufficio del registro.
«Il legislatore della riforma – osserva la citata sentenza – ha pertanto
4. – Le considerazioni fatte da ultimo dalla Corte prospettano due corollari e richiedono
perciò ulteriori sviluppi e più articolati snodi argomentativi.
Intanto, è da premettere che un passaggio della pronuncia in commento, dalla parvenza
quasi di un inciso, sollecita, laddove denuncia qualche incertezza di carattere sistematico, dei
chiarimenti e delle precisazioni.
Il giudice delle leggi, invero, equipara il verbale di conciliazione giudiziale (nella specie,
quello che conclude il processo di opposizione allo stato passivo ex art. 98 legge fallim.) alla
sentenza o ad altro provvedimento giurisdizionale, nel senso di attribuire anche ad esso una
funzione lato sensu dichiarativa. Sono però a tutti noti i termini dell’annosa diatriba, ormai
dai dichiarati risvolti classici, circa la natura della conciliazione – che, per taluno ( 11 ) ha connotazione
di tipo amministrativistica, per talaltro ( 12 ) ha connotati stricto sensu giurisdizionali,
e per talaltro ancora ( 13 ) ha connotati volontari – perché si possa omologare tout court l’assunto
della Corte. Si vuol dire che l’equiparazione, sub specie aeternitatis, fra il provvedimento
di giurisdizione vero e proprio e la conciliazione giudiziale non è –népuò essere – assolutamente
scontata ( 14 ), come lascerebbe intendere il giudice delle leggi. Ma questo, ovviamente,
sarebbe altro e diverso discorso, in questa sede non del tutto conferente.
La verità èche, a guardar bene – e qui sta il primo corollario – la Corte ha inteso cogliere,
al fondo, il comune denominatore fra il provvedimento di giurisdizione e il verbale di conciliazione
giudiziale essenzialmente in ciò, che entrambi potrebbero essere muniti di efficacia
esecutiva, sono cioè preordinati alla realizzazione coattiva del diritto in essi incorporato. Tanto
la sentenza che chiude un processo dichiarativo, recte, di cognizione, quanto il verbale di
( 11 ) V. Andrioli, Diritto processuale civile, I, Napoli 1979, pag. 1017; E. T. Liebman, Risoluzione convenzionale
del processo, inRiv. dir. proc. civ., 1932, I, pag. 260 seg.; e L. Montesano, La tutela giurisdizionale
dei diritti, Torino 1985, pagg. 34-36.
( 12 ) Con qualche perplessità, S. Satta, Commentario al codice di procedura civile, I, Milano 1959, pag. 43;
Id., Dalla conciliazione alla giurisdizione, inRiv. dir. proc. civ., 1939, I, pag. 200 seg.; e con certezza C.A. Nicoletti,
La conciliazione nel processo civile, Milano 1963, pag. 147.
( 13 ) G. Chiovenda, Istituzioni di diritto processuale civile, II, Napoli 1936, pag. 22; P. Calamandrei,
Istituzioni di diritto processuale civile, Padova 1943, I, pag. 77; C. Vocino, Della conciliazione in genere e di quella
sindacale in particolare, inRiv. giur. lav., 1952, II, pag. 347 seg.; G.A. Micheli, Corso di diritto processuale
civile, I, Milano 1959, pag. 57; E. Fazzalari, Istituzioni di diritto processuale, Padova 1996, pag. 140; e V. Denti,
Profili dell’intervento del giudice nella conciliazione, inRiv. dir. proc., 1961, pag. 16 seg.
( 14 ) Al punto che molto autorevolmente si è rilevato, nella struttura dell’istituto conciliativo, una doppia
componente: quella di giurisdizione e quella schiettamente convenzionale (C. Punzi, Il processo civile. Sistema
e problematiche, II, Torino 2010, pag. 70).

Parte II - Giurisprudenza 7
ritenuto che la situazione di inadempimento dell’obbligazione relativa all’imposta
di registro, emergente in occasione del processo di cognizione,
non può avere l’effetto di precluderne lo svolgimento e la conclusione. È
chiaro il giudizio di valore così espresso, per cui, nel bilanciamento tra l’interesse
fiscale alla riscossione dell’imposta e quello all’attuazione della tutela
giurisdizionale, il primo è ritenuto sufficientemente garantito dall’obbligo
imposto al cancelliere di informare l’ufficio finanziario dell’esistenza
dell’atto non registrato, ponendolo così in grado di procedere alla riscossone.
Discipline di contenuto sostanzialmente identico sono state introdotte
– sia pure in tempi diversi – per le imposte di successione, di bollo e sul
valore aggiunto».
Considerando il bilanciamento fra i due interessi alla luce del principio
secondo cui la garanzia della tutela giurisdizionale posta dall’art. 24, comma
1, Cost. comprende anche la fase dell’esecuzione forzata, la quale è diretta a
rendere effettiva l’attuazione del provvedimento giurisdizionale, la scelta
compiuta dalla norma di cui si tratta è stata ritenuta da questa Corte irragionevole
e contrastante con l’art 24 della Costituzione (sentenza n. 321 del
1998).
Tale scelta comportava che la valutazione di bilanciamento fra l’interesse
all’effettività della tutela giurisdizionale e quello alla riscossione del tribu-
conciliazione, che tale accertamento è discutibile che comprenda, hanno entrambi efficacia
esecutiva e sono perciò prodromici dell’esecuzione forzata.
Ne segue che si potrebbe ragionevolmente assumere – se ben si intende il pensiero della
Corte – che qualsivoglia provvedimento (sia esso sentenza o decreto ingiuntivo, e che so io) e
anche un verbale di conciliazione giudiziale, quand’anche si volesse conferire a questo natura
di atto negoziale, muniti però di efficacia esecutiva e dunque con la naturale vocazione all’esperimento
della azione esecutiva, non abbisognano della previa registrazione per essere rilasciati
dal cancelliere in copia autentica e per consentire al creditore di soddisfare il proprio
diritto: così, di aggredire in executivis il patrimonio del debitore in bonis o di insinuarsi indifferentemente
al passivo del debitore fallito.
5. – L’altro corollario insito nella pronuncia in commento, motivo pur esso di novità edi
interesse, attiene più particolarmente al diritto concorsuale.
La Corte, come si è rilevato, ritiene che, «posto che la conciliazione giudiziale accerta il
credito da ammettere al passivo, l’unico sistema attraverso il quale il creditore può ottenere
tutela del proprio diritto è quello della partecipazione al riparto attraverso (il suo) inserimento
... nello stato passivo».
Ma per questa via la decisione sotto analisi finisce per incorrere in un’evidente incongruenza
e per dar luogo, al fondo, ad una complessa questione dal sicuro afflato sistematico.
A ben guardare, la Corte fa mostra non solo di contemplarlo alla stregua di atto munito
di efficacia esecutiva e di considerare dunque il diritto in esso incartato passibile di attuazione
coattiva quanto di ritenere il verbale di conciliazione quale atto di vero e proprio ‘accertamento’
del diritto. Con la conseguenza che il diritto così ‘accertato’, poiché èportato anche
da un atto munito di efficacia esecutiva, troverebbe (dovrebbe trovare) tutela nell’insinuazione
sic et simpliciter nello stato passivo fallimentare.

8
Il diritto fallimentare e delle società commerciali - n. 1-2011
to fosse effettuata, per i due tipi di processo, in modo irragionevolmente
diverso: l’inadempimento dell’obbligazione tributaria – che pure non ha
precluso lo svolgimento del processo di cognizione fino all’emanazione della
sentenza (o di altro provvedimento esecutivo) ed ha determinato solo la
comunicazione da parte del cancelliere all’ufficio del registro degli atti registrati
– impediva infatti che alla sentenza (o al provvedimento esecutivo)
fosse data attuazione mediante l’esercizio della tutela giurisdizionale in
via esecutiva.
I principi posti a base della richiamata sentenza si attagliano anche alla
fattispecie in esame. Infatti, posto che la conciliazione giudiziale accerta il
credito da ammettere al passivo, l’unico sistema attraverso il quale il creditore
può ottenere tutela del proprio diritto è quello della partecipazione al
riparto attraverso l’inserimento del credito nello stato passivo. Pertanto, la
esclusione di tale possibilità, prima della registrazione dell’atto, pone il creditore
in una condizione analoga a quella in cui viene a trovarsi il creditore
cui sia inibita la esecuzione forzata per il mancato rilascio della copia della
sentenza che ne abbia accertato il credito, prima della registrazione dell’at-
Orbene. A parte il rilievo che, come è a tutti noto, il diritto di credito non richiede, perché
possa essere insinuato al passivo della procedura concorsuale, alcuna ricognizione o alcun
previo riconoscimento di carattere giudiziale, né abbisogna, meno che mai, di essere incartato
in provvedimenti o atti muniti di efficacia esecutiva, è comunque da non trascurare che, alla
luce e sotto il riflesso dell’art. 94 legge fallim., esso deve assoggettarsi, più semplicemente –
quale che ne sia la configurazione teorica ( 15 ) – all’accertamento proprio e peculiare della procedura
concorsuale.
Del resto, assumere che ad insinuarsi al passivo sia il diritto di credito ‘accertato’ – come
la Corte intende sia ‘accertato’ – in un verbale di conciliazione giudiziale significa porlo in un
non corretto rapporto con l’oggetto vero e proprio dell’accertamento tipico della procedura
concorsuale ( 16 ). Non solo, ma significa pure dare l’adito alla più complessa questione, di ca-
( 15 ) Quanto alla configurazione e all’efficacia dell’accertamento in discorso, ed evidentemente senza la pretesa
della completezza, basti ricordare che, fra gli altri, sono dell’avviso di attribuire ad esso attitudine al giudicato:
V. Andrioli, Volontà e giudizio nel processo civile, inAnnali dell’Università di Genova, 1962, pag. 127; L.
Lanfranchi, La verificazione del passivo nel fallimento: contributo allo studio dei procedimenti sommari, Milano
1979, p. 71 seg.; e, forse, anche G. Bongiorno, I provvedimenti del tribunale fallimentare, Milano 1979, pag.
109. È, invece, dell’avviso di riconoscergli una connotazione di tipo esecutivo: E. Garbagnati, Fallimento ed
azioni dei creditori, inRiv. trim. dir. proc. civ., 1960, pag. 368 segg. Sono del parere di attribuirgli un connotato
di tipo volontario: F. Carnelutti, Diritto e processo, Napoli 1958, pag. 389; E. Fazzalari, La giurisdizione
volontaria, Milano 1953, pag. 208 seg.; N. Picardi, La dichiarazione di fallimento. Dal procedimento al processo,
Milano 1974, pag. 201 seg.; e A. Cavalaglio, Fallimento e giudizi pendenti, Padova 1975, pag. 125 segg.
( 16 ) Che potrebbe essere costituito ovviamente non dal diritto soggettivo di credito sibbene, come correttamente
e autorevolmente per taluno è costituito (cfr. E. F. Ricci, Diritto al concorso, formazione del passivo fallimentare
e decisione sul credito, Milano 1979, pag. 45 seg.; alla tesi di E. F. Ricci accede A. Saletti, Ancora sulla
(il)legittimità costituzionale dell’art. 100, comma 1, legge fallim., inGiur. comm., 1982, II, pag. 21 seg.), dal diritto
al concorso.

Parte II - Giurisprudenza 9
to. Condizione, quest’ultima, presa appunto in considerazione e tutelata
con la declaratoria di illegittimità costituzionale di cui alla citata sentenza
n. 522 del 2002.
Né può accedersi alla tesi dell’Avvocatura dello Stato, secondo cui appartiene
in ogni caso alla discrezionalità del legislatore attribuire prevalenza
all’interesse alla riscossione delle imposte e, quindi legittimare il divieto di
rilascio di documenti relativi ad atti non registrati, trovando, invece, tale discrezionalità
un limite insuperabile con riferimento alle ipotesi in cui, come
nella specie, il divieto sia, per le stesse ragioni esposte nella sentenza da ultimo
richiamata, irragionevole.
(Omissis).
rattere anche pratico, della individuazione e della gittata degli effetti della eventuale esdebitazione
( 17 ).
Ma anche questo è, all’evidenza, altro e diverso discorso, i cui sviluppi e le cui articolazioni
sarebbero in questa sede del tutto inopportuni.
Francesco Cordopatri
Professore ordinario
di diritto processuale civile
Facoltà di Giurisprudenza
Università degli Studi di Cagliari
( 17 ) Basti por mente alla nota differenza, in relazione, per l’appunto, alla gittata degli effetti della esdebitazione,
fra crediti concorrenti e crediti concorsuali. Spunti, in proposito, in C. Ferri, L’esdebitazione, inIl fallimento,
2005, pag. 1085 seg.; G. Costantino, L’esdebitazione,inIl foro it., 2006, I, c. 208 seg.; E. Frascaroli
Santi, L’esdebitazione del fallito, inAA.VV., Le nuove procedure concorsuali per la prevenzione e per la sistemazione
delle crisi di impresa, a cura di Bonfatti e Falcone, Milano 2006, pag. 395 seg.; G. Scarselli, L’esdebitazione
nella legge fallimentare, in questa Rivista, 2007, I, pag. 29 seg.; L. Panzani, inAA.VV., Il nuovo diritto
fallimentare. Commentario diretto da A. Jorio, Torino 2007, sub art. 142, pag. 2096 seg.; D. Spagnuolo, La
nuova legge fallimentare ‘rivista e corretta’, inI quaderni della Giur. comm., a cura di Bonfatti e Falcone, pag.
448 seg.

CORTE DI CASSAZIONE
3 giugno 2010 n. 13468
Pres. Panebianco - Giudice rel. Nappi
Fallimento F. S. c. X
Fallimento - Fallimento delle società - Società in accomandita semplice -
Fallimento - Estensione - Socio accomandante - Immistione - Prestazione
di garanzia - Ingerenza - Insussistenza
(Legge fallim. art. 147 legge fallim.; cod. civ., art. 2320)
Con riguardo all’immistione dell’accomandante di soc. in acc. sempl. nella
gestione sociale, prevista dall’art. 2320 cod. civ., fatto da cui consegue l’estensione
al socio del fallimento della società ex l’art. 147 legge fallim., la prestazione
di garanzie e il prelievo di fondi dalle casse sociali per le esigenze personali
non integrano atti di ingerenza nell’amministrazione ( 1 ).
(Omissis) 3.1 – Con il primo motivo del suo ricorso il Fallimento F. S.
deduce violazione degli art. 147 legge fallim., e 2320 cod. civ.
( 1 ) L’appropriazione di fondi sociali costituisce atto gestorio?
La sentenza della Corte di Cassazione n. 13468 del 3 giugno 2010, tratta di uno dei problemi
tradizionalmente più dibattuti nell’ambito della disciplina della società in accomandita
semplice, ossia quello della possibilità di estendere il fallimento della società anche a quel socio
accomandante che si sia incautamente ingerito nella gestione sociale, contravvenendo così
al divieto espresso dall’art. 2320 cod. civ.
Come si avrà modo di puntualizzare, la disciplina di questa fattispecie è cambiata, in seguito
alla riforma organica della legge fallimentare, e in particolare in seguito alla modifica
apportata al comma 1 dell’art. 147 che tratta, come noto, del fallimento delle società con soci
illimitatamente responsabili e dell’estensione a detti soci della procedura stessa.
I passaggi logici da compiere nell’ambito della problematica summenzionata sono tre: in
primo luogo occorre analizzare gli obblighi incombenti sugli accomandanti della società in
accomandita semplice; in secondo luogo si devono stabilire le condizioni che devono sussistere
perché si possa parlare di atti di immistione da parte di un socio accomandante; in terzo
luogo occorre compiere l’analisi della norma di cui all’art. 147 legge fallim. per trarne le dovute
conseguenze in ordine alla estensione del fallimento della società anche al socio accomandante
il quale, almeno nominalmente, non è illimitatamente responsabile.
1. I soci accomandanti nella società in accomandita semplice. – La forma della società in
accomandita semplice, consente, è risaputo, la coesistenza di soci accomandatari, amministratori,
e soci accomandanti, soggetti che intendono effettuare un investimento con limitazione
del rischio, partecipando agli eventuali utili senza assumere responsabilità illimitata per le obbligazioni
sociali. Tale responsabilità èriservata invece, in linea di principio, ai soli soci accomandatari.
La figura del socio accomandante assume, nel contesto societario, una rilevanza partico-

Parte II - Giurisprudenza 11
Sostiene che erroneamente i giudici del merito abbiano escluso la rilevanza
delle sistematiche prestazioni di garanzia da parte di F. S. quali manifestazioni
della sua ingerenza nella gestione della società garantita. E aggiunge
che anche i prelievi dalle casse sociali operati dalla F. S. dovessero
essere considerati come atti di disposizione del patrimonio sociale.
Il motivo è infondato.
Non v’è dubbio, infatti, che «l’esistenza del rapporto sociale, anche al
fine della dichiarazione di fallimento del socio illimitatamente responsabile
a norma dell’art. 147 della legge fallim., può risultare da indici rivelatori
quali le fiesiussioni e i finanziamenti in favore dell’imprenditore, allorquan-
lare, determinata soprattutto dalla peculiare funzione che la normativa civilistica gli attribuisce,
funzione che lo colloca in una posizione per certi versi privilegiata e per certi versi limitativa.
Questo in quanto, pur lasciando l’accomandante ai margini della gestione della società,
il legislatore ha attribuito a tale socio precisi diritti e prerogative, anche a livello gestionale,
ancorché rigorosamente ancorati al potere decisionale e gestionale degli accomandatari.
La disciplina della società in accomandita semplice è contenuta nel capo IV, titolo V del
libro V del codice civile. Si tratta di dodici articoli, dal 2313 al 2324, il cui contenuto spesso
rinvia, implicitamente o esplicitamente, a quanto previsto per la società in nome collettivo, o
addirittura a quanto previsto per la società semplice.
La peculiarità dei soci accomandanti rispetto agli accomandatari è precisata dall’art.
2315 cod. civ. che puntualizza il regime di responsabilità patrimoniale che vige in capo a ciascuna
delle due categorie di soci: i soci accomandatari rispondono solidalmente e illimitatamente
per le obbligazioni sociali, mentre i soci accomandanti rispondono soltanto nei limiti
della quota conferita ( 1 ).
Venendo al pacchetto di vincoli che sono legislativamente previsti in capo ai soci accomandanti,
è in primo luogo da menzionare quello relativo alla impossibilità per gli stessi di
inserire o consentire l’inserimento del proprio nome all’interno della ragione sociale. Secondo
l’art. 2314 cod. civ. infatti, la società in accomandita semplice agisce sotto una ragione sociale
«costituita dal nome di almeno uno dei soci accomandatari e dall’indicazione di soc. in acc.
sempl.», più altri elementi aggiuntivi anche di fantasia. È vietato dunque agli accomandanti di
consentire che il proprio nome venga compreso nella ragione sociale, pena la responsabilità
illimitata e solidale per le obbligazioni sociali che non comporta però il mutamento della qualità
di socio da accomandante in accomandatario.
L’art. 2320 cod. civ., poi, è dedicato interamente ai diritti e doveri dell’accomandante.
Dopo aver trattato al comma 1 del divieto di immistione nella gestione sociale, di cui parleremo
in seguito, si precisano le prerogative spettanti alla categoria. I soci accomandanti possono
prestare la loro opera sotto la direzione degli amministratori e, se l’atto costitutivo lo consente,
possono dare autorizzazioni e pareri per determinate operazioni e compiere atti di ispezione
e di sorveglianza. A ben vedere, la formulazione normativa appare generica, in particolare
con riferimento ai limiti entro i quali il socio accomandante può essere dotato di poteri
( 1 ) F. Di Sabato, La società in accomandita semplice,inTrattato Rescigno, vol. 16, Tomo III, Torino, 1985,
159 seg.; F. Ferrara-F. Corsi, Gli imprenditori e le società, Milano, 1994, 369 seg.; S. Ronco, La società in
accomandita semplice, inG. Schiano di Pepe (a cura di), Trattato teorico pratico delle società, II Ed., Milano,
IPSOA, 1999, vol. I, 543 seg.; Id., Il diritto dell’impresa e delle società di persone, Roma, Aracne, 2008, 73 segg.

12
Il diritto fallimentare e delle società commerciali - n. 1-2011
do essi – ancorché riguardanti il solo momento esecutivo dei rapporti obbligatori
della società – siano, per la loro sistematicità e per ogni altro elemento
concreto, ricollegabili ad una costante opera di sostegno dell’attività
di impresa, qualificabile come collaborazione di un socio al raggiungimento
degli scopi sociali» (Cassazione, sez. I, 16 marzo 2007, n. 6299, m. 597150).
Tuttavia, come hanno ben evidenziato i giudici d’appello, non è qui in
discussione la qualità di socia di F. S., è in discussione il suo presunto ruolo
di amministrazione e gestione della società. E secondo la giurisprudenza di
questa corte, la stessa «situazione di socio occulto di una società in accomandita
semplice – la quale è caratterizzata dall’esistenza di due categorie
di soci, che si diversificano a seconda del livello di responsabilità (illimitata
per gli accomandatari e limitata alla quota conferita per gli accomandanti, ai
autorizzativi e, di conseguenza, alla linea di confine tra effettiva concretizzazione del dettato
dell’art. 2320 comma 2 cod. civ. e ambito di operatività del divieto di immistione previsto
dallo stesso articolo.
La Corte di Cassazione, a questo proposito, ha avuto modo di affermare, in una importante,
anche se risalente pronuncia del 1978, che «il divieto del socio accomandante di ingerirsi
nella gestione della società, con riguardo sia agli atti di amministrazione interna sia
di amministrazione esterna, è diretto alla tutela non dell’interesse di terzi, né diquellodel
socio accomandatario, ma dell’esigenza di ordine generale a che l’impresa collettiva su basi
personali venga responsabilmente gestita secondo le caratteristiche del tipo societario prescelto»
( 2 ).
2. Il divieto di immistione del socio accomandante. – La fonte normativa del divieto di
immistione è costituita, come già accennato, dall’art. 2320 cod. civ., che al comma 1 prevede:
«i soci accomandanti non possono compiere atti di amministrazione né trattare o concludere
affari in nome della società se non in forza di una procura speciale per singoli affari». Questo
a pena della assunzione della responsabilità illimitata e solidale nei confronti dei terzi per tutte
le obbligazioni sociali e dell’eventuale esclusione ai sensi dell’art. 2286 cod. civ.
Per quanto concerne la ratio del divieto di ingerenza degli accomandanti nella amministrazione
della società, la dottrina più autorevole afferma che la norma di cui all’articolo 2320
comma 1 cod. civ. è tesa a garantire in primis l’interesse generale e in particolare quello dei
terzi, attraverso la correlazione potere-responsabilità, reprimendo gli abusi del socio accomandante
il quale, proprio perché limitatamente responsabile, non può compiere atti di gestione
( 3 ).
Esaminando nel particolare quali sono gli atti ritenuti di ingerenza (o immistione che dir
si voglia), e quindi vietati, occorre ricordare che la casistica è molto varia. A titolo introduttivo
si può dire che per quanto concerne le tipologie di atti vietati, si ritiene debba trattarsi di
atti aventi un’influenza determinante nella vita dell’impresa, in quanto esprimano l’indirizzo
gestionale della società. Dalla dizione dell’art. 2320 cod. civ. si deduce che nella categoria de-
( 2 ) Cassazione, 19 dicembre 1978, n. 6085, in Giust. Civ., 1979, I, 418.
( 3 ) V. P. Montalenti, Il socio accomandante, Milano, 1985, 318; F. Denozza, Responsabilità dei soci e
rischio di impresa nelle società personali, Milano, 1973, 216.

Parte II - Giurisprudenza 13
sensi dell’art. 2312 cod. civ.) – non è idonea a far presumere la qualità di
accomandatario, essendo necessario, a tal fine, accertare di volta in volta
la posizione in concreto assunta da detto socio, il quale, di conseguenza, assume
responsabilità illimitata per le obbligazioni sociali, ai sensi dell’art.
gli atti vietati possono rientrare sia atti di carattere interno che atti che mettono la società in
rapporto con i terzi ( 4 ).
Pertanto la caratteristica principale che fa di un atto, un atto di ingerenza, è laindipendenza
decisionale dell’accomandante rispetto alle direttive e alle autorizzazioni degli accomandatari
( 5 ).
Ecco quindi, per esempio, che è principio costantemente affermato in giurisprudenza
che la responsabilità per ingerenza nasce se l’attività dell’accomandante afferisce alla costituzione
del vincolo obbligatorio, mentre non è rilevante ciò che attiene alla fase meramente esecutiva
di un rapporto giuridico già costituito ad opera degli accomandatari ( 6 ).
Anche l’accomandante il cui nome viene inserito nella ragione sociale risponde illimitatamente,
come già segnalato, nei confronti dei terzi, in base all’art. 2314 comma 2 cod. civ.. Il
presupposto del sorgere della sua responsabilità èperò, secondo una corrente maggioritaria,
la prestazione preventiva del consenso alla inserzione del suo nome nella ragione sociale. In
proposito si ritiene che la semplice indicazione del nome costituisca soltanto presunzione del
consenso da parte dell’accomandante, ma che è possibile che l’accomandante provi l’insussistenza
del suo preventivo consenso dimostrando la sua inconsapevolezza o addirittura la sua
contraria volontà.
Un’occhiata panoramica sulla giurisprudenza mostra poi altre tipologie di atti di immistione:
dalla designazione dell’amministratore ad opera degli accomandanti al di fuori delle
ipotesi previste dall’art. 2323 comma 2 cod. civ., alla stipulazione del contratto di locazione
relativo alla sede sociale; dalla conclusione di contratti di utenza telefonica al conferimento di
incarichi di lavoro a terzi, all’intrattenimento di rapporti con i terzi in relazione ad affari sociali.
A questo proposito si può ricordare la fattispecie trattata da una recente sentenza del
Tribunale di Mantova: in seguito al fallimento di una società in accomandita semplice era
emerso che il socio accomandante, in palese violazione del divieto legislativo, si occupava
di contattare i fornitori presentandosi come dipendente dell’ufficio commerciale, effettuava
ordinativi, ritirava la merce senza presentare il conto della gestione. Era persino arrivato a
distruggere la documentazione che attestava gli ordini ricevuti. Insomma, una classica attività
di immistione fraudolenta nella gestione societaria, che ha dato luogo, conseguentemente, alla
sua dichiarazione di fallimento ( 7 ).
( 4 ) Tra le altre pronunce si v. Cassazione, 19 gennaio 1991, n. 508, in Dir. Fall., 1991, II, 433; Cassazione,
26 febbraio 1988, n. 2041, in Giur. It., 1988, I, 1, 1333, con nota di P. Montalenti, Accomandita irregolare,
prestazione di garanzia, divieto di immistione: problemi ancora aperti.
( 5 ) Così sempre la Cassazione: «Ben diversamente, la procura, se, come nel caso di specie risulta indiscusso,
al di là della sua espressa denominazione, conferisce invece un ventaglio di attribuzioni, anche indeterminate, che
implicano un astratto potere di scelta, rimette al delegato il potere decisionale, tassativamente spettante all’accomandatario,
consentendogli un’ingerenza indiscriminata nell’amministrazione, e lo espone per l’effetto alla responsabilità
illimitata e solidale con l’altro socio».
( 6 ) V. Tribunale Velletri, 24 giugno 1992, in Riv. Dir. Comm., 1992, II, 495; Cassazione, 28 novembre
1992, n. 12732, in Nuova giurisprudenza Civile Commentata, 1993, I, 828. In dottrina Fazzutti, L’accomandante
falsus procurator e il divieto di immistione, inGiust. Civ., 1976, I, 669 seg.
( 7 ) Tribunale Mantova, 11 ottobre 2007, in Le Società, 2008, 735 seg., con nota di S. Ronco.

14
Il diritto fallimentare e delle società commerciali - n. 1-2011
2320 cod. civ., solo ove contravvenga al divieto di compiere atti di amministrazione
(intesi questi ultimi quali atti di gestione, aventi influenza decisiva
o almeno rilevante sull’amministrazione della società, non già di atti di
mero ordine o esecutivi) o di trattare o concludere affari in noe della società»
(Cassazione, sez. I, 25 luglio 1996, n. 6725, m. 498754).
Più recentemente anche la Corte d’Appello di Torino ( 8 ) ha sottolineato che la gestione
compiuta dall’accomandante per conto della società in accomandita semplice della cassa sociale,
tramite una banca, sia con operazioni di bonifico per pagamento ai creditori, sia soprattutto
con prelievi, costituisce un grave ed univoco indizio di un autonomo controllo e disposizione
della cassa ( 9 ). Interessante è soprattutto la conclusione della pronuncia della Corte
torinese, che individua nella fattispecie di partecipazione del socio un’ipotesi non di ingerenza
dell’accomandante, ma di attività di un «accomandatario di fatto».
Per quanto poi riguarda la procura speciale per un singolo affare che viene considerata
legislativamente la fonte di legittimità degli atti di gestione del socio accomandante, accade
talvolta di trovarsi in presenza di una procura che, sebbene denominata speciale, ha invece
i caratteri della procura generale. Per esempio quella conferita per operare nel conto corrente
bancario della società con riferimento ad una pluralità indeterminata di atti, come le operazioni
bancarie in conto corrente. È sicuramente una procura generale anche quella che riguarda
la rappresentanza sotto il profilo amministrativo (gestione del patrimonio sociale, facoltà
di assumere e licenziare personale), commerciale e/o processuale ( 10 ).
Inoltre secondo l’opinione dominante, un unico atto di immistione è sufficiente a generare
responsabilità nell’accomandante ( 11 ), anche se è rinvenibile un orientamento secondo
cui occorre avere riguardo alla rilevanza dell’atto nell’ambito dei rapporti della società
( 12 ).
3. Il fallimento della società con soci illimitatamente responsabili e la sorte dell’accomandante
ingeritosi. – Passando ora al problema specifico affrontato dalla sentenza della Corte di
Cassazione, ossia quello del fallimento dell’accomandante in conseguenza del fallimento della
società in accomandita semplice, occorre preliminarmente osservare che l’art. 147 della legge
fallim. estende il fallimento della società «appartenente ad uno dei tipi regolati nei capi III, IV
e VI del titolo V del libro quinto del codice civile» anche ai soci illimitatamente responsabili.
Pare senz’altro corretta, a questo proposito, l’affermazione di un’autorevole dottrina secondo
cui è pacifico che «per aversi fallimento anche dei soci illimitatamente responsabili è
( 8 ) Appello Torino, 10 marzo 2009, inedita.
( 9 ) «Si comprende così come la superiore attività già si configuri, essa sola, come di gestione interna della
società (pure integrando una distribuzione di proventi sociali ai soci), al di fuori di ogni procura speciale, né autorizzazione
od istruzione direttiva, neppure allegate, dal socio accomandatario...» Appello Torino, cit.
( 10 ) P. Montalenti, Il divieto di immistione del socio accomandante: una sentenza innovativa, inGiur. it.,
1995, I, 2, 39.
( 11 ) In giurisprudenza si v. Cassazione, 6 giugno 2000, n. 7554, in Giur. it., 2000, 530 seg.; Tribunale Modena,
15 ottobre 1973, in Giur. comm., 1974, II, 685.
( 12 ) Tribunale Catania, 8 marzo 2000. Nella specie il Tribunale ha ritenuto atti di gestione ai sensi dell’art.
2320 cod. civ. sia la prestazione sistematica e durevole di garanzie da parte del socio accomandante mediante la
sottoscrizione di fideiussioni omnibus in favore dei tre istituti bancari con i quali operava la soc. in acc. sempl., sia
l’accesso del socio accomandante alle casse sociali in modo del tutto svincolato da specifiche autorizzazioni da
parte del socio accomandatario.

Parte II - Giurisprudenza 15
È indiscusso in realtà che, «per aversi ingerenza dell’accomandante nell’amministrazione
della società in accomandita semplice, – vitata dall’art.
2320 cod. civ. – non è sufficiente il compimento, da parte dell’accomandante,
di atti riguardanti il momento esecutivo dei rapporti obbligatori dalla società,
ma è necessario che l’accomandante svolga una attività gestoria che si
concreti nella direzione degli affari sociali, implicante una scelta che è propria
del titolare della impresa» (Cassazione, sez. I, 14 gennaio 1987, n. 172,
m. 449940, Cassazione, sez. III, 28 luglio 1986, n. 4824, m. 447529, Cassazione,
sez. I, 15 dicembre 1982, n. 6906, m. 424557, Cassazione, sez. I, 26
giugno 1979, n. 3563, m. 399978). E mentre la prestazione di garanzia attiene
evidentemente al momento esecutivo delle obbligazioni, il prelievo di
fondi dalle casse sociali per le esigenze personali del socio, quand’anche in-
indispensabile che nella sentenza dichiarativa di fallimento sia espressamente dichiarato, oltre
al fallimento della società, anche il fallimento dei soci illimitatamente responsabili, esattamente
indicati ( 13 ). L’esistenza del rapporto sociale, anche al fine della dichiarazione di fallimento
del socio illimitatamente responsabile, a norma dell’art. 147 legge fallim., può risultare da indici
rivelatori, quali le fideiussioni e i finanziamenti in favore dell’imprenditore, allorquando
essi, ancorché riguardanti il solo momento esecutivo dei rapporti obbligatori della società,
siano per la loro sistematicità e per ogni altro elemento concreto, ricollegabili ad una costante
opera di sostegno dell’attività di impresa, qualificabile come collaborazione di un socio al raggiungimento
degli scopi sociali.
Tuttavia, la Cassazione ha affermato che secondo la sua stessa giurisprudenza la situazione
di socio occulto di una società in accomandita semplice, la quale è caratterizzata dall’esistenza
di due categorie di soci, che si diversificano a seconda del livello di responsabilità non
è idonea a far presumere la qualità di accomandatario, essendo necessario, a tal fine, accertare
di volta in volta la posizione in concreto assunta da detto socio, il quale, di conseguenza, assume
la responsabilità illimitata per le obbligazioni sociali, ai sensi dell’art. 2320 cod. civ. solo
ove contravvenga al divieto di compiere atti di amministrazione, intesi questi ultimi quali atti
di gestione, aventi influenza decisiva o almeno rilevante sull’amministrazione della società,
non già atti di mero ordine o esecutivi, o di trattare o concludere affari in nome della società.
Per aversi ingerenza dell’accomandante nell’amministrazione della società in accomandita
semplice, non è sufficiente il compimento da parte dell’accomandante, di atti riguardanti il
momento esecutivo dei rapporti obbligatori della società, ma è necessario che l’accomandante
svolga un’attività gestoria che si concretizzi nella direzione degli affari sociali, implicante una
scelta che è propria del titolare dell’impresa. E mentre la prestazione di garanzia attiene evidentemente
al momento esecutivo delle obbligazioni, il prelievo di fondi dalle casse sociali
per le esigenze personali del socio, quand’anche indebito o addirittura illecito, non costituisce
certamente un atto di gestione della società.
( 13 ) G. U. Tedeschi, Manuale del nuovo diritto fallimentare, Cedam, 2006, 521. Si v. anche Corte d’Appello
di Bologna, 11 giugno 2008, n. 965, in Il Fallimento, 2008, pag. 1293, in cui si afferma che «tra la pronuncia
di fallimento della società e quella dei soci illimitatamente responsabili esiste un rapporto di dipendenza unidirezionale,
nel senso che la dichiarazione di fallimento del socio trova il suo presupposto nella dichiarazione di
fallimento della società».

16
Il diritto fallimentare e delle società commerciali - n. 1-2011
debito o addirittura illecito, non costituisce certamente un atto di gestione
della società.
3.2. – Con il secondo motivo del suo ricorso il Fallimento F. S. deduce
violazione dell’art. 112 cod. proc. civ. ed eccepisce la nullità della sentenza
impugnata per omessa pronuncia sulla richiesta della curatela di ribadire il
fallimento di F. S. quale socia irregolare del marito G. D. B. o come imprenditrice
individuale.
Il motivo è manifestamente infondato.
Infatti i giudici d’appello non hanno omesso di pronunciarsi sulle richieste
subordinate del curatore, ma le hanno dichiarate inammissibili.
E questa decisione è del tutto corretta, perché come ben rilevato dalla
corte d’appello, è indiscusso nella giurisprudenza di questa corte che, quando
la dichiarazione di fallimento abbia avuto come presupposto la qualità di
socio di una determinata società di persone, «viola il principio del rispetto
del contraddittorio, stabilito nell’art. 15 legge fallim., la sentenza emessa all’esito
del giudizio di opposizione con la quale venga riconscoiuta al fallito
la qualità di imprenditore individuale» (Cassazione, sez. I, 30 agosto 1995,
Ciò non toglie, comunque, che come precisa il comma 2 dell’art. 147, qualora successivamente
alla dichiarazione di fallimento della società e dei soci illimitatamente responsabili
conosciuti, emerga l’esistenza di altri soci, precedentemente occulti, il fallimento è estensibile
anche a costoro.
La spiegazione più frequente e diretta che è stata da sempre fornita al fallimento dei soci
illimitatamente responsabili è che essi, entrando nella società, hanno assunto il rischio di impresa
proprio anche dell’imprenditore individuale, rischio che al contempo attribuisce loro il
potere di amministrare e gestire la società personalmente e direttamente. Dunque, il collegamento
gestione della società-responsabilità illimitata-fallimento, se regge nel caso dei soci illimitatamente
responsabili ab origine, deve reggere anche per quelli illimitatamente responsabili
a seguito di anomalie successive, come accade nel caso dell’accomandante ingeritosi ( 14 ).
Tutto sta nel verificare se a monte di questo vi è un vero e proprio caso di immistione. Ed è
proprio quanto fa la Suprema Corte nella sentenza che si commenta.
La fattispecie concerne l’attività di una imprenditrice, a sua volta socia accomandante di
una s.a.s. nella quale il marito era socio accomandatario. Secondo la corte, l’attività di amministrazione
e gestione della società deve essere verificata in concreto attraverso l’individuazione
di atti di contravvenzione di precisi divieti, come quello di compiere atti di amministrazione
intesi come atti che abbiano una effettiva influenza sul processo decisionale o rilevanti comunque
per l’amministrazione della società. Atti di direzione degli affari sociali, insomma,
che implichino una scelta propria del titolare dell’impresa.
( 14 ) La dottrina e la giurisprudenza dominanti concordano su tale soluzione. Tra le tante sentenze v. Cassazione,
14 gennaio 1987, n. 172, in Giur. comm., 1987, II, 394; Cassazione, 14 gennaio 1987, n. 172; Cassazione,
6 dicembre 1984, n. 6429; Cassazione, 15 dicembre 1982, n. 6906; Cassazione, 13 marzo 1982, n. 1632; Cassazione,
20 gennaio 1955, n. 158; in dottrina v. da ultimo, S. Bonfatti-P.F. Censoni, Manuale di diritto fallimentare,
Cedam, 2007, 405.

Parte II - Giurisprudenza 17
n. 9156, m. 493804) o di socio di altra società (Cassazione, sez. I, 30 agosto
1995, n. 9156, m. 493804).
Il ricorrente invoca in senso contrario il principio inquisitorio, cui era
all’epoca ispirato anche in appello il procedimento fallimentare, e rileva
di avere formulato già nel primo grado del giudizio di opposizione le sue
richieste subordinate, riproposte poi nel giudizio d’appello.
Sennonché non rileva qui quanto il curatore abbia dedotto nel giudizio
di opposizione, in primo o in secondo grado, rileva invece su quali presupposti
del fallimento sia stata chiamata a difendersi F. S. nella fase prefallimentare;
e su quali presupposti sia stata poi dichiarata fallita.
E secondo i giudizi del merito, non contestati sul punto, «nel caso di
specie il contraddittorio risulta instaurato esclusivamente sul presupposto
specifico dell’esistenza delle condizioni di cui all’art. 2320 cod. civ. per la
decadenza dell’odierna appellante dal beneficio della limitazione della responsabilità
e della conseguente estensibilità, alla stessa, del fallimento della
società ai sensi dell’art. 147 legge fallim., ma non anche su quele, evidentemente
affatto diverse, della coesistenza di un’atuonoma società irregolare
ovvero della ricorrenza dei presupposti soggettivi ed oggettivi per la dichiarazione
del fallimento della S. come imprenditore individuale». (Omissis)
L’analisi compiuta dalla Cassazione si collega a quel filone interpretativo che riguarda il
problema dei limiti e dei contenuti delle procure che possono venire conferite ad un socio
accomandante e in cui si afferma un concetto fondamentale in materia, ossia che la disposizione
dettata dall’art. 2320 cod. civ. esclude l’assunzione della responsabilità illimitata per le
obbligazioni sociali da parte del socio accomandante soltanto se costui ha agito in forza di
una procura speciale rilasciata dal socio accomandatario per uno specifico affare, in quanto
solo questa esprime una scelta gestionale dell’organo cui tale potere è istituzionalmente attribuito.
Se invece la procura conferisce un astratto potere di scelta rimettendo al delegato un
potere decisionale e consentendogli una ingerenza indiscriminata nell’amministrazione, lo
espone alla responsabilità illimitata e solidale.
Interessante, è in conclusione, ricordare un recente orientamento della Cassazione penale
in materia di amministratore di fatto e di reato di bancarotta. In questo caso, la valutazione
dell’atto di ingerenza da parte dell’accomandante diventa più severa e le maglie della classificazione
più strette. La Cassazione ha infatti affermato, ribadendo un suo orientamento consolidato,
che l’amministratore di fatto, che abbia esercitato in concreto poteri di amministrazione
(di soc. in nome coll. o di soc. in acc. sempl.) pur non avendo la qualifica di socio illimitatamente
responsabile può essere incriminato per reato di bancarotta ( 15 ).
( 15 ) Cassazione Pen., 11 novembre 2009, n. 43036, in Il Fallimento, 2010, 679.
Simonetta Ronco
Avvocato in Genova

CORTE DI APPELLO DI ROMA
18 settembre 2010 (decreto)
Pignatelli - Pres. Rel. recl.
F.D.M. Soc. a resp. lim. (avv.ti Della Cortiglia e Rivellese)
Concordato preventivo - Ammissione della domanda - Potere del Tribunale
- Valutazione di merito del piano - Fattibilità - Escusione
(Artt. 160, 161 e 162 legge fallim.)
Concordato preventivo - Voto favorevole dei creditori - Controllo del Tribunale
- Assenza di opposizioni - Verifica delle regolarità delle procedure
e dell’esito delle votazioni
(Artt. 177 e 180 legge fallim.)
Decreto di rigetto della omologazione - Reclamo - Poteri della Corte di
Appello - Omologazione del concordato
(Art. 180 legge fallim.)
In sede di ammissione della domanda di concordato preventivo, che sia
accompagnata dalla documentazione indicata dalla legge e dalla relazione
del professionista, al tribunale è preclusa ogni valutazione nel merito della fattibilità
del piano, se non nel caso in cui siano state rilevate macroscopiche assurdità
( 1 ).
In sede di omologazione, il concordato è approvato se riporta il voto favorevole
dei creditori che rappresentino la maggioranza dei crediti ammessi alla
votazione ed il controllo del tribunale è limitato, in assenza di opposizioni,
alla verifica della regolarità della procedura e all’esito delle votazioni ( 2 ).
La corte di appello, in sede di gravame avverso il decreto di non omologazione
del concordato preventivo come disposto dal tribunale, può omologare
il concordato preventivo proposto dal debitore secondo il piano allegato ( 3 ).
(Omissis)
Con ricorso in riassunzione depositato il 2 marzo 2009, la F.D.M. soc. a
resp. lim. ha esposto che: a) il reclamo avverso il provvedimento indicato in
oggetto (al quale era seguita la dichiarazione di fallimento) da lei proposto,
tra stato dichiarato inammissibile da questa Corte; b) tale decisione era stata
( 1-3 ) Brevi considerazioni sui poteri del Tribunale in tema di concordato preventivo.
Il decreto in oggetto riguarda una domanda di concordato preventivo presentata in ragione
del D.l. 35/2005 convertito in L. 80/2005, ma alcune delle conclusioni raggiunte possono
essere evocate pur dopo l’entrata in vigore del c.d. «decreto correttivo», di cui al d.lgs.

Parte II - Giurisprudenza 19
riformato dalla Suprema Corte che l’aveva cassata rimettendo le parti dinanzi
ad altra sezione di questa Corte, sul rilievo che la disciplina applicabile
era da individuarsi in quella di cui alla legge n. 80/2005 che aveva convertito
il D.l. n. 35/2005; c) il Tribunale di Cassino con il provvedimento
indicato in oggetto, era incorso lao violazione dell’art. 180 legge fallim.
per il quale il Tribunale, se le maggioranze sono state raggiunte, approva
il concordato essendo il suo sindacato limitato alla legittimità in assenza
di divisione in classi dei creditori; d) vi era una errata valutazione degli
aspetti tecnici relativi alla fattibilità del piano.
Ha chiesto che, in riforma del provvedimento impugnato venisse omologato
il concordato.
Si era costituita la curatela che ha chiesto il rigetto del gravame.
All’udienza del 18 marzo 2010, le parti hanno concluso riponendosi ai
rispettivi scritti ed il Collegio ha riservato la decisione.
Ad avviso del Collegio il reclamo è fondato e deve essere accolto con la
conseguente omologazione del proposto concordato.
Va premesso che, come sottolineato dalla Suprema Corte, al presento
giudizio è applicabile, ratione temporis, il disposto della legge n. 80/2005
che ha convertito il D.l. n. 35/2005.
169/2007, che, secondo una certa interpretazione, avrebbe ridisegnato i poteri dell’Autorità
giudiziaria sia in sede di ammissione che di omologazione della domanda concordataria. Innanzi
tutto, viene ritenuto che al potere valutativo, in sede di ammissione alla procedura, debba
essere sottratto il riscontro sulla «fattibilità» del piano ( 1 ), ritenendosi, cioè, che la stessa
resti affidata alla valutazione dei creditori, in relazione ad ogni profilo connesso al rapporto
tra rischio (di inadempimento del piano concordatario) ed opportunità connessa al piano di
( 1 ) Appello Milano, 4 ottobre 2007, in Dir. fall., 2008, II, pag. 317, con nota di Gaeta, Fabbisogno concordatario
e poteri di accertamento del Tribunale; nel regime conseguente all’entrata in vigore del d.lgs. n. 5 del
2006 e prima dell’entrata in vigore del «correttivo» di cui al d.lgs. 169 del 2007, il controllo del tribunale ha ad
oggetto la completezza e la regolarità della documentazione senza che il tribunale possa valutarne l’adeguatezza
sotto il profilo del merito: Cassazione, 29 ottobre 2009, n. 22927, in Rep. Foro it., 2009, voce «Concordato preventivo»,
n. 92; per un controllo sulla mera legittimità formale della proposta Appello Torino, 19 giugno 2007, in
Fallimento, 2007, pag. 1315; diversamente, anche per un controllo di merito della domanda e del piano concordatario:
Appello Bologna, 15 giugno 2009, in Corriere merito, 2009, con nota di Amendolagine; Tribunale Roma,
24 aprile 2008, in Dir. fall., 2008, II, pag. 573, con nota di Fauceglia, Ancora sui poteri del Tribunale per
l’ammissibilità del concordato preventire: errare è umano, perseverare diabolico. Sul tema, anche Appello Salerno, 2
settembre 2008, in www.ilcaso.it, che, pur affermando che il sindacato del tribunale deve incentrarsi sulla «regolarità
formale della proposta» e della relativa documentazione allegata, specifica, però, che il sindacato in questione
«si sostanzia in un controllo logico della proposta e dei suoi allegati», con un controllo sulla serietà dei
criteri adottati dal professionista per esprimere le attestazioni di sua competenza (profilo, quest’ultimo, che
non si sostanzia in un controllo sulla «fattibilità» della proposta). Sul tema: Fauceglia-Rocco di Torrepadula,
Diritto dell’impresa in crisi, Bologna, 2010, pag. 330; Zanichelli, I concordati giudiziari, Torino, 2010,
pag. 184 seg., che correttamente esclude qualsiasi profilo valutativo in ordine alla fattibilità del piano, pur dopo
la modifica dell’art. 162 legge fallim.

20
Il diritto fallimentare e delle società commerciali - n. 1-2011
Orbene, ai sensi dalla normativa suddetta, al momento della proposizione
delle domanda di concordato il debitore deve presentare anche: a) una
aggiornata relazione sulla situazione patrimoniale, economica e finanziaria
dell’impresa; b) uno stato analitico ed estimativo delle attività e l’elenco nominativo
dei creditori, con l’indicazione dei rispettivi crediti e delle cause di
prelazione; c) l’elenco dei titolari dei diritti reali o personali su beni di proprietà
o in possesso del debitore; d) il valore dei beni e i creditori particolari
degli eventuali soci illimitatamente responsabili.
Il piano e la suddetta documentazione, inoltre, devono essere accompagnati
dalla relazione di un professionista avente i requisiti previsti per la nomina
a curatore (cfr. art. 28 legge fallim.), che attesti la veridicità dei dati
aziendali e la fattibilità del piano medesimo (dalla suddetta norma sembra
emergere che non potrà «certificare» il piano il professionista che abbia già
esercitato la propria attività professionale nei confronti dell’imprenditore o
che comunque si sia ingerito nella gestione dell’impresa nei due anni anteriori
all’apertura della procedura).
superamento della crisi ( 2 ). In questa prospettiva, deve ravvisarsi in capo al tribunale il potere-dovere
di non ritenere ammissibile la domanda di concordato, ove la relazione del professionista
appaia immediatamente inidonea ad assolvere la funzione «certificativa» che la legge
attribuisce alla stessa, ovvero allorquando contenga macroscopiche assurdità (sotto il profilo
della illogicità e della incongruenza) in ordine alla stessa fattibilità del piano. Tale potere valutativo,
che, è bene rimarcarlo, non si trasforma mai in un giudizio sul «merito» del piano,
corrisponde alla rilevanza della relazione del professionista in ordine alla verifica concreta di
fattibilità del piano, ed in tal senso il sindacato giudiziario non ha ad oggetto direttamente la
( 2 ) Sul tema: Trib. Salerno, 9 novembre 2010, inedita, aderisce alla tesi che, anche dopo l’entrata in vigore
del d.lgs. 169 del 2007, al Tribunale resti preclusa ogni valutazione in ordine al c.d. fabbisogno concordatario,
che è, invece, affidata all’esclusivo interesse dei creditori: Fauceglia, Autonomia privata e concordato preventivo,
in Riv. dir. impresa, 2010, pag. 1 segg. In sostanza, il ruolo attribuito al tribunale conserva la funzione di rendere
possibile la formulazione da parte dei creditori di un «reale consenso informato», con una volontà non viziata,
sulla fattibilità del piano proposto, fermo restando che solo a questi ultimi competa la valutazione dello stesso:
Racugno, Concordato preventivo, accordi di ristrutturazione e transazione fiscale, inTrattato di diritto fallimentare,
diretto da Buonocore e Bassi, vol. I, Padova, 2010, pag. 307; esclude un controllo sulla fattibilità del piano
anche: Sacchi, Concordato preventivo, conflitto di interessi fra creditori e sindacato dell’autorità giudiziaria,inFallimento,
2009, pag. 39. Nel senso che la composizione dei conflitti di interessi fra le diverse parti coinvolte nella
crisi è definitivamente affidata alle rispettive capacità di proporre la più idonea architettura finanziaria e patrimoniale
e alle contrapposte capacità di comprenderle ed approvarle: Jachia, Il concordato preventivo e la sua
proposta, inFallimento e altre procedure concorsuali, diretto da Fauceglia e Panzani, vol. III, Torino, 2009,
pag. 1581. Diversa resta la questione connessa alla successiva valutazione della fattibilità del piano da parte
del commissario sulla base di dati obiettivi: Tribunale Cagliari, 12 marzo 2009, in Dir. fall, 2010, II, pag. 304,
con nota di Schiano di Pepe, Alcune considerazioni sui poteri dell’autorità giudiziaria con riguardo al concordato
preventivo. Con esclusione di un «giudizio di merito» sulla proposta, sia pure in una diversa perimetrazione del
controllo esercitabile dal Tribunale sin dalla fase ammissiva (in termini di «chiarezza» della proposta), però escludendo
ogni controllo sulla «fattibilità»: Ambrosini, Il controllo giudiziale sull’ammissibilità della domanda di concordato
preventivo e sulla formazione delle classi, inDir. fall., 2010, I, pag. 551 seg.

Parte II - Giurisprudenza 21
Tali incombenti sono stati tutti espletati dall’istante (non si rinviene in
atti la relazione del professionista, ma la sua produzione emerge dal provvedimento
del 20 luglio 2005, con il quale la società reclamante è stata ammessa
al concordato.
I presupposti per l’ammissione hanno carattere formale e solo per quanto
attiene alla relazione del professionista – che deve attestare la veridicità
dei dati aziendali e la fattibilità del piano – è da escludere che il giudice possa
valutare nel merito tale fattibilità, se non nel caso che vi abbia rilevato
macroscopiche assurdità: in sostanza il tribunale deve verificare se esista
una relazione che, con motivazione non illogica e non incongrua, certifichi
la fattibilità del piano, mentre va escluso un giudizio sulla condivisibilità
delle conclusioni alle quali è giunto il professionista.
L’attenzione che il legislatore ha rivolto alla figura del professionista incaricato
dalla parte di attestare la veridicità dei dati, e la fattibilità del piano,
è indice della decisiva rilevanza che ha il giudizio di tale professionista apparendo
privo di senso affidare ad un esperto titolarmente qualificato l’attestazione
di fattìbilità, se poi, si potesse liberamente rivederne il giudizio,
come se l’atto provenisse dal proponente,
La sede di omologazione, ai sensi del novellato art. 177 legge fallim., il
concordato è approvato se riporta il voto favorevole dei creditori che rappresentino
la maggioranza dei crediti ammessi ed il controllo è limitato –
salvo il caso di opposizioni – alla verifica della regolarità della procedura
e dell’esito della votazione. In tale sede è esclusa una qualche valutazione
sul merito della proposta, come si desume da quanto previsto dall’art.
fattibilità, tanto più che il tribunale prima della nomina del commissario è privo di adeguati
strumenti di analisi, ma solo la coerenza e esaustività informativa (per i creditori) della relazione
predisposta dal professionista ( 3 ). E ciò ètanto più evidente laddove si considera che
«la finalità di questa informazione garantita dalla chiarezza (perché comprensibile nelle sue
fonti e nella sua rappresentazione), nella genuinità e nell’esaustività dell’attento e critico sindacato
del tribunale, risiede nella formulazione di un reale «consenso informato» dei creditori,
posti così in condizione di esprimere il loro libero convincimento, con una volontà non
viziata, sulla fattibilità del piano proposto, la cui valutazione solo ad essi spetta» ( 4 ). In sostanza,
la valutazione sulla fattibilità del piano consiste in un giudizio «prognostico» o «previsio-
( 3 ) Ambrosini, op. ult. cit., pag. 554.
( 4 ) Appello Torino, 19 giugno 2007, in Fallimento, 2007, pag. 1315; Fauceglia, Paternalismo giudiziario
ed esigenza di tutela dei creditori nella disciplina del concordato preventivo, nota a Tribunale Milano, 20 luglio
2007, in Giur. it., 2008, pag. 117 segg. D’altro canto, vi è chi ritiene che solo consentendo al tribunale un controllo
«forte» sulla fattibilità del piano è possibile reprimere clamorosi «abusi» del debitore e di creditori eventualmente
collusi con lo stesso, Galletti, La revoca dell’ammissione al concordato preventivo, inGiur. comm.,
2009, I, pag. 734, così, però, omettendo di considerare che è «la regola della maggioranza dei crediti» a decidere
sull’ammissibilità, con una funzione «dispositiva» del credito affidata non già al singolo creditore, ma ad una
«maggioranza di crediti» qualificata dalla legge.

22
Il diritto fallimentare e delle società commerciali - n. 1-2011
180 legge fallim. per il quale il tribunale, se la maggioranza di cui al primo
comma dell’articolo 177 è raggiunta, approva il concordato con decreto
motivato.
In sostanza, nel contesto di una procedura largamente ispirata in massima
parte all’accordo tra debitore e creditori, il controllo dell’autorità gíudiziaria
appare notevolmante ridotto e relegato a profili di mera legittimità.
Il primo motivo di censura è, quindi. fondato.
Al Tribunale compete esclusivamente di verificare se siano corretti e veritieri
i dati di fatto posti a base della relazione.
Osserva la Corte che la relazione del professionista deve in primo luogo
attestare la veridicità, dei dati aziendali, cioè non solo la corrispondenza dei
documenti prodotti a corredo della proposta di concordato preventivo con
gli atti contabili del proponente, ma anche la veridicità di questi ultimi. Ne
consegue che la verifica attuabile in sede di ammissibilità della proposta, oltre
che quella della ritualità dall’attestazione è quella formula di conformità
dei dati attestati con quelli risultanti dalla documentazione comunque allegata.
Solo quando si riscontri una tale difformità potrà essere rilevata la non
verità dei dati attestati. Al di fuori di tale ipotati è preclusa ogni censura di
merito.
nale» che solo il professionista deve esprimere, assumendo come base di riferimento i dati
contabili di cui dispone e dei quali deve attestare la veridicità, ed ogni ulteriore valutazione
della proposta compete ai creditori, i quali, in sede di votazione, possono assumere – sempre
in una prospettiva di «chiarezza» della proposta nonché di corretto esercizio del diritto di
voto – anche come riferimento la relazione predisposta dal commissario giudiziale: in sostanza,
una diversa valutazione del commissario non può sovrapporsi a quella operata dal professionista,
ma, se mai, la integra, e ciò al fine di rendere più informati i creditori.
Ulteriore principio che può essere tratto dal decreto risiede nell’affermazione che una
volta raggiunta la maggioranza dei crediti e in assenza di opposizioni, al tribunale in sede
di omologazione sia riservato il solo potere di verifica sulla regolarità della procedura e sull’esito
della votazione, sottraendo così il procedimento ad una sorta di «gioco dell’oca», alla
cui stregua in sede di omologazione possano evincersi deficienze della proposta (già rappresentate
dal commissario nella sua relazione) che sia stata approvata dai creditori, conseguendo
le maggioranze richieste dalla legge (in questa prospettiva, si restringe anche la possibilità
di interruzione della procedura, ai sensi dell’ultimo comma dell’art. 173 legge fallim., se non
in presenza di fatti significativi successivi alla votazione e precedenti all’omologazione) ( 5 ). In
questa prospettiva, milita la stessa norma dell’art. 180 legge fallim., alla cui stregua il tribu-
( 5 ) In termini: Appello Salerno, 25 ottobre 2010, inedita, la quale ritiene che «intanto è possibile accedere
alla valvola di sicurezza di cui all’ultima proposizione dell’art. 173 legge fallim., in quanto sopravvengano fatti
nuovi, come tali non previamente sottoposti a giudizio di ammissibilità. Dunque, giammai sarà possibile accedere
a cotale intervento sulla base della sola rivisitazione delle medesime condizioni legittimanti la procedura, se già
preventivamente e positivamente esitate». La Corte di Appello accede all’interpretazione che della norma è data
da Fauceglia, Revoca dell’ammissione al concordato e dichiarazione di fallimento in corso di procedura, inFallimento
e altre procedure concorsuali, diretto da Fauceglia e Panzani, vol. III, Torino, 2009, pag. 1698 segg.

Parte II - Giurisprudenza 23
I rilievi che si rinvengono nel provvedimento impugnato, concretandosi
in apprezzamenti di merito sulla valutazione del professionista, appaiono
esulare dai limiti sopra evidenziati di incongruità di illogicità della valutazione
del professionista.
Il gravame è da ritenersi, quindi, fondato e, in riforma del decreto reclamato,
devesi omologare il concordato preventivo proposto dalla reclamante.
Attesa la peculiarità delle questioni trattate, appare equo compensare le
spese di tutti i gradi di giudizio.
P.Q.M., la Corte, definitivamente pronunciando, in riforma del provvedimento
del Tribunale di Cassino n. 1146 depositato il 29 giugno 2006,
omologa il concordato preventivo proposto dalla F.D.M. soc. a resp.
lim., secondo il piano dalla stessa presentato; compensa le spese di tutti i
gradi di giudizio. (Omissis)
nale, una volta verificata la regolarità della procedura e l’esito della votazione, omologa il concordato
«con decreto motivato non soggetto a reclamo»( 6 ), né per estendere i poteri attribuiti
all’autorità giudiziaria può addivenirsi ad un’interpretazione ampliativa del termine «regolarità
della procedura» (come introdotta dal d.lgs. 169/2007), sì da far in essa rientrare qualsiasi
valutazione anche elidente la espressa volontà adesiva dei creditori ( 7 ). In sostanza, l’espressione
utilizzata sembra consentire un’indagine solo in ordine all’effettivo rispetto delle disposizioni
volte a garantire l’effettiva informazione dei creditori e la validità della formazione del
consenso ( 8 ).
La Corte di Appello di Roma, cui con il reclamo è stato devoluto il riesame del processo
deliberativo in ordine all’accertamento dei presupposti per l’omologazione del concordato,
non ha ritenuto di rimettere gli atti al tribunale, ma ha revocato il decreto di rigetto, così pronunciandosi
in ordine all’omologazione del concordato ( 9 ).
Giuseppe Fauceglia
Professore ordinario di Diritto Commerciale
nell’Università di Salerno
( 6 ) A conferma di questa impostazione milita la stessa previsione dell’irreclamabilità del decreto, laddove
emerge la diversa volontà del legislatore di delineare una netta differenziazione di rito del medesimo giudizio di
omologazione a seconda che il procedimento assuma o meno un carattere contenzioso, ovvero che sussistano o meno
opposizioni, ciò lasciando ipotizzare anche un diverso potere del tribunale nelle due ipotesi (così: Di Cecco,
Sub art. 180,inLa legge fallimentare dopo la riforma, a cura di Nigro, Sandulli e Santoro, vol. III, Torino, 2010, pag.
2219; Pagni, Il controllo del tribunale e la tutela dei creditori nel concordato preventivo, inFallimento, 2008, pag.
1075; Bozza, Il nuovo concordato preventivo. L’omologazione della proposta (i limiti della valutazione del giudice),in
Fallimento, 2006, pag. 1067 seg.; Zanichelli, op. ult. cit., pag. 283). Sul tema: Tribunale Milano, 23 maggio 2008,
in Fallimento, 2008, pag. 1226; Tribunale Milano, 16 febbraio 2007, in Fallimento, 2007, pag. 548.
( 7 ) Come sembra ritenere, ad esempio, Tribunale Arezzo, 19 novembre 2008, in Fallimento, 2009, pag. 742.
( 8 ) Anche se si rileva che la sindacabilità sul carattere informato del consenso, presupponga pur sempre
una opposizione (Jorio, Il nuovo diritto fallimentare, Appendice, Bologna, 2007, pag. 56).
( 9 ) Sul tema: Brenca, Il reclamo avverso il decreto di omologa del concordato preventivo, inFallimento e
altre procedure concorsuali, cit., pag. 1749 seg., ed ivi ampia bibliografia.

TRIBUNALE DI FIRENZE
19 aprile 2010
Pres. Riviello - Est. Settembre
Poggerina Soc. a resp. lim.
Concordato preventivo - Giudizio di omologa - Classi di creditori - Crediti
per finanziamento dei soci - Postergazione - Derogabilità - Collocazione
dei soci finanziatori in autonoma classe - Diritto di voto - Esclusione
(Codice civile, art. 2467; Legge fallim., art. 160)
In un piano di concordato preventivo, nell’ipotesi in cui il debitore scelga
di suddividere i creditori in classi, i crediti dei soci per finanziamenti nei confronti
della società che risultino soggetti a postergazione debbono andare a costituire
una classe autonoma, la quale tuttavia non può risultare destinataria
di alcuna offerta di soddisfacimento, stante l’inderogabilità del principio stabilito
dall’art 2467 cod. civ., né concorrere, tramite l’espressione del voto, alla
formazione delle maggioranze prescritte per l’approvazione del piano ( 1 ).
Svolgimento del processo. – Con ricorso depositato in data 10 giugno
2009 la Poggerina soc. a resp. lim. in liquidazione chiedeva di essere ammessa
alla procedura di concordato preventivo, ai sensi degli artt. 160 e
segg. legge fallim.
Dopo l’audizione del legale rappresentante della ditta istante, il Giudice
delegato rimetteva gli atti alla camera di consiglio. Il Tribunale, con provvedimento
emesso in data 28 ottobre 2009, ritenute sussistenti le condizioni
della domanda, dichiarava aperta la procedura di concordato preventivo e
fissava l’udienza del 14 gennaio 2010 per l’adunanza dei creditori e la votazione.
Nelle more dell’adunanza la società, con memoria del 17 dicembre
2009, modificava la domanda, che risultava, infine, così formulata:
( 1 ) I creditori postergati ex art. 2467 cod. civ. nel piano di concordato preventivo: offerta,
collocazione, diritto di voto.
Sommario: 1. Premessa. – 2. Inclusione e collocazione dei creditori postergati nel piano di
concordato preventivo. – 3. Creditori postergati e diritto di voto. – 4. Conclusioni.
1. Premessa. – La sentenza in commento ci pone dinanzi al problema della collocazione
dei creditori c.d. «postergati» nel piano di concordato preventivo.

Parte II - Giurisprudenza 25
cessione ai creditori di tutti i beni sociali, costituiti, in grande prevalenza,
da appartamenti in costruzione e pressoché ultimati;
suddivisione dei creditori tra privilegiati e chirografari. Ai primi veniva
proposto il pagamento integrale subito dopo la vendita degli immobili. I
chirografari venivano divisi in tre classi, così composte:
classe A: promittenti acquirenti degli appartamenti in costruzione, cui
veniva proposta la risoluzione del contratto preliminare e la restituzione
del 40% della caparra;
classe B: creditori chirografari indistintamente, cui veniva promesso il
5% del credito;
classe C: creditori postergati per legge, ex art. 2467 cod. civ. (soci ed ex
soci per finanziamenti), con non veniva fatta nessuna offerta.
All’udienza del 14-1-2010, e nei venti giorni successivi, venivano raggiunte
le maggioranze per crediti e per classi (nella classe A la maggioranza
raggiungeva il 100%; nella classe B i voti favorevoli rappresentavano solo il
6,27% del totale; nella classe C i voti favorevoli riguardavano il 76,18% dei
crediti).
Pertanto, il Tribunale, con provvedimento del 9 febbraio 2010, fissava
la camera di consiglio del 10 marzo 2010 per l’eventuale omologazione.
L’ordinanza veniva pubblicata per affissione e notificata ai sensi dell’art.
180 legge fallim..
All’udienza suddetta si sono costituiti il debitore proponente ed il commissario
giudiziale. Si sono altresì costituiti la Cons.Edil soc. a resp. lim. e la
Comservice soc. a resp. lim., creditrici, che si sono opposte all’omologazione
del concordato, facendo valere quattro motivi comuni:
inammissibilità della proposta concordataria, poiché la stessa «attribui-
È noto come la riforma societaria del 2003 abbia introdotto nella disciplina della soc. a
resp. lim., allo scopo di combattere il rischio ricorrente della sottocapitalizzazione ( 1 ), la regola,
che pare circoscritta al fallimento, della postergazione dei crediti c.d. «anomali». Il nuovo
art. 2467 cod. civ. ha sancito il principio per cui i finanziamenti effettuati dai soci a favore
della società che formalmente si presentano come capitale di credito, ma che, per la situazione
finanziaria in cui si trovava la società al tempo dell’atto, nella sostanza economica costituiscono
parte del capitale di rischio, debbono essere postergati a quelli degli altri creditori ( 2 ).
Ove poi il credito del socio sia stato oggetto di rimborso nell’anno precedente la dichiarazio-
( 1 ) F. Ferrara jr.-F. Corsi, Gli imprenditori e le società, Milano, 2009, 904.
( 2 ) La dottrina vede i fautori della tesi sostanzialista, i quali sono dell’opinione che la subordinazione del
rimborso debba trovare applicazione anche quando l’impresa è in bonis, contrapporsi a coloro i quali sostengono
che la postergazione presuppone il concorso; per quanto interessa in questa sede, la regola della postergazione si
applica indubbiamente nell’ambito del fallimento, dove la possibilità di soddisfacimento di tali creditori sarà subordinata
alla presenza eventuale di un attivo residuo, una volta soddisfatti i creditori prededucibili, privilegiati e
chirografari per l’intero.

26
Il diritto fallimentare e delle società commerciali - n. 1-2011
sce il diritto di voto ad una classe di creditori non avente alcun interesse alla
procedura» (vale a dire ai postergati ex lege);
inammissibilità della proposta, che nega una qualsiasi soddisfazione ad
un’intera classe di creditori (i postergati, appunto);
non fattibilità del piano, dal momento che questo non prevede tempi
certi di pagamento, non contempla «garanzie esterne» né accantonamenti
adeguati per rischi potenziali;
non convenienza del concordato, per i creditori di tutte le classi.
La Cons.Edil soc. a resp. lim. ha aggiunto un quinto motivo di opposizione:
non convenienza della proposta per sé (la Cons.Edil appartiene alla
classe B, dissenziente).
ne di fallimento della società, esso deve essere restituito ( 3 ). L’art. 2497 quinquies provvede
poi ad estendere l’applicazione dell’art. 2467 ai gruppi di società, con riguardo ai finanziamenti
effettuati a favore della società da chi esercita attività di direzione e coordinamento
nei suoi confronti, direttamente o indirettamente, per il tramite di altri soggetti ad essa sottoposti.
Tra i molteplici interrogativi sollevati dalla riforma societaria, indubbia rilevanza, in
quanto idonei ad estendere il novero dei soggetti il cui credito può andare soggetto a postergazione,
hanno quelli che concernono l’esatta definizione della nozione di finanziamento ( 4 )e
l’individuazione dei parametri in base ai quali valutare l’eccessività dell’indebitamento o la
ragionevolezza di un apporto di capitale per far fronte a una situazione finanziaria squilibrata
( 5 ) (condizioni alternative che, ex art. 2467 comma 2 cod. civ., determinano la natura anomala
del prestito e conseguentemente la sua postergazione). Alla luce della attuale disciplina
della procedura di concordato preventivo, occorre definire in che modo si sviluppi, all’interno
del piano, la posizione dei creditori postergati ex lege: in particolare, ci si domanda se vi
sia o meno la possibilità di renderli destinatari, riservando quindi loro una qualche soddisfazione,
di una proposta di concordato preventivo; quale debba essere la loro collocazione, in
( 3 ) L’obbligo di restituzione dei rimborsi ricevuti in caso di fallimento configurerebbe una vera e propria
ipotesi di azione revocatoria, in cui il pagamento effettuato è inefficace nei confronti della massa, senza tra l’altro
che il creditore – in questo caso, il socio – possa opporre l’ignoranza dello stato di insolvenza: in tal senso A.
Postiglione, La nuova disciplina dei finanziamenti di soci di soc. a resp. lim.: dubbi interpretativi e limiti applicativi,
inSocietà, 2007, 929.
( 4 ) Sotto la categoria del finanziamento andrebbero ricomprese tutte le operazioni che hanno ad oggetto la
messa a disposizione, da parte del socio, in forma diretta o indiretta, di somme di denaro; in tale ampia formulazione
rientrerebbero per tanto il mutuo, l’anticipazione, l’apertura di credito, ma anche i casi in cui il socio creditore
della società rinunci anche di fatto alla restituzione del credito ovvero conceda dilazioni di pagamento non
riscontrabili nella prassi commerciale, o conceda garanzia per l’acquisizione di un mutuo presso terzo: in tal senso,
A. Postiglione, La nuova disciplina dei finanziamenti di soci di soc. a resp. lim. ..., cit., 932.
( 5 ) V. Salafia, I finanziamenti dei soci alla società a responsabilità limitata, inSocietà, 2005, 1079, ha suggerito
un criterio fondato sui limiti stabiliti dall’art. 2412 cod. civ. per l’emissione di un prestito obbligazionario
da parte della soc. per az., il quale non può essere superiore al doppio del capitale sociale, della riserva legale e
delle riserve disponibili risultanti dall’ultimo bilancio approvato. A tale proposito A. Postiglione, op. ult. cit.,
osserva come in ogni caso la valutazione richiesta comporti la ricostruzione della situazione patrimoniale e finanziaria
della società al momento in cui l’operazione è stata compiuta: occorrerà dunque fare riferimento non soltanto
alla natura dell’apporto, ma anche alle circostanze che hanno reso necessaria l’operazione.

Parte II - Giurisprudenza 27
Motivi della decisione. – Il concordato non può essere omologato, per
due motivi, ognuno dei quali sufficiente, da solo, a legittimare la decisione
annunciata:
perché, escludendo dal computo dei voti i crediti postergati, non sono
raggiunte le maggioranze di legge;
perché un creditore appartenente ad una classe dissenziente contesta la
convenienza del concordato per sé e non è possibile operare il cram down
in suo danno.
Vediamo separatamente.
A) La proposta prevede una classe di creditori postergati ex lege (i soci
finanziatori), alla quale non è offerto nulla, se non il pagamento del credito
nell’ipotesi, del tutto inverosimile, che siano pagati interamente tutti gli altri
crediti.
La proposta è formulata correttamente, giacché le classi sono omogenee.
Infatti, la classe A ha una sua coerenza, comprendendo tutti i creditori
che hanno stipulato, prima della domanda, un contratto preliminare di
compravendita; la classe B comprende tutti i chirografi; la classe C comprende
tutti (e soli) i postergati ex lege. Non è quindi questione di ammissibilità
della domanda.
È, invece, questione di «approvazione» della domanda, ovvero di formazione
di un valido accordo tra debitore e creditori, dal momento che
le maggioranze sono raggiunte solo se si prendono in considerazione, attribuendo
loro validità, le manifestazioni di voto dei creditori che vantano un
credito postergato ex lege.
Ciò non è possibile fare, giacché ritiene questo Tribunale (anche se l’argomento
è controverso) che i postergati ex lege non possano essere presi in
considerazione nel computo delle maggioranze. Ritiene cioè il Tribunale
che la loro posizione debba essere evidenziata ed enucleata nel corpo di
una domanda di concordato, essendo creditori concorsuali (com’è stato
correttamente fatto), ma che gli stessi non abbiano diritto di voto, non es-
particolar modo in relazione alla facoltà, concessa al debitore ex art 160 comma 2 lett. c legge
fallim., di suddividere i creditori in classi; infine se tali creditori possano, attraverso l’attribuzione
del diritto di voto, concorrere all’approvazione della proposta concordataria.
Nel caso di specie, il Tribunale di Firenze è stato chiamato ad esprimersi in merito all’omologabilità
di un piano che prevedeva la suddivisione dei creditori in tre classi, l’ultima
della quali raggruppava i crediti di soci ed ex soci per finanziamenti, e che, pur non risultando
destinataria di alcuna offerta di soddisfacimento, aveva comunque concorso, tramite espressione
di voto, al raggiungimento della maggioranza prescritta per l’approvazione. Proprio la
censura posta dal Tribunale fiorentino in merito alla possibilità di attribuire anche ai creditori
postergati ex lege il diritto di partecipare alle operazioni di voto, ha determinato la mancata
omologazione del piano in questione, risultando tali voti decisivi ai fini del raggiungimento
delle maggioranze prescritte; in ogni caso, le considerazioni svolte dal Collegio giudicante
in tale occasione appaiono di particolare interesse, in relazione agli interrogativi sopra esposti.

28
Il diritto fallimentare e delle società commerciali - n. 1-2011
sendo creditori concorrenti. Questo perché la loro posizione, seppur genericamente
qualificabile come «creditoria», ha, nella sostanza, il significato di
partecipazione al capitale di rischio.
L’art. 2467 cod. civ., infatti, come riformato dal D.Lvo n. 6 del 2003,
specificando ed estendendo l’ambito della postergazione, vi ha compreso
anche i finanziamenti dei soci che, in qualunque forma effettuati, siano stati
concessi ad una società in stato di eccessivo squilibrio nell’indebitamento o
in una situazione finanziaria che avrebbe richiesto un «conferimento», com’è
avvenuto, pacificamente, nel caso di specie (la circostanza, infatti, non è
contestata nemmeno dalle dirette interessate).
Ciò comporta che «i finanziamenti» dei soci, fatti nelle condizioni sopradette,
in qualunque maniera qualificati, debbono essere trattati, ai fini
che interessano, come i conferimenti effettuati dai soci in occasione della
costituzione o della ricapitalizzazione di una società, in quanto necessari alla
sua costituzione o alla sua sopravvivenza (nelle forme prescelte). Questo
non significa che detti finanziamenti siano da equiparare, in tutto e per tutto,
ai conferimenti, in quanto conservano la loro natura di capitale di cre-
2. Inclusione e collocazione dei creditori postergati nel piano di concordato preventivo. –
Sin dall’entrata in vigore della riforma della disciplina societaria, la giurisprudenza si è confrontata,
con esiti decisamente eterogenei, sulla questione preliminare relativa alla possibilità
di includere i creditori postergati nel piano concordatario, nel caso in cui la proposta non
preveda il soddisfacimento integrale dei chirografari ( 6 ).
Nel febbraio del 2009 la Corte di Cassazione, nell’unica sua pronuncia ad oggi resa in
materia di classi creditorie, è intervenuta a sciogliere in senso positivo l’interrogativo in questione
( 7 ).
Nel caso di specie, due tra le classi previste nel piano risultavano destinate a raggruppare
rispettivamente i soci fideiussori escussi dalle banche e i soci finanziatori della società concordataria;
la proposta interessava anche creditori chirografari di altra tipologia, e tuttavia pro-
( 6 ) In senso negativo si è pronunciato in passato il Tribunale di Messina (decr. 29 dicembre 2005, in Fall.,
2006, 678 e seg.), il quale in sede di giudizio di ammissione al concordato preventivo, ha rilevato l’opportuna
modificazione dell’originaria proposta di concordato, la quale prevedeva il pagamento dei soci finanziatori, inclusi
nella classe dei chirografari, nella misura del 5% del credito, osservando che «ove la proposta preveda ... che gli
altri chirografari vengano pagati solo in percentuale, nulla potrà residuare per i soci finanziatori che sono postergati
a quegli stessi creditori chirografari». Avviso del tutto opposto, pressoché in concomitanza, ha manifestato
invece il Tribunale di Bologna (decr. 26 gennaio 2006, in Fall., 2006, 676 e seg.), ritenendo legittima la formazione
di una classe composta da soci finanziatori, destinati a essere soddisfatti nella misura del 5% del loro crediti,
mentre i creditori chirografari, divisi in due classi (banche e altri creditori) risultavano soddisfatti rispettivamente
nei limiti del 35 e del 50%. Nel provvedimento non è ben chiarito se ricorressero le condizioni per applicare
la postergazione ai soci finanziatori, e tuttavia il Tribunale osserva come si debbano «preferire ad ogni
modo i diritti che non sono sorti in collegamento ad un ruolo analogo a quello del rischio d’impresa»: proprio
l’uso dell’espressione «preferire» sembra suggerire implicitamente che un soddisfacimento dei creditori postergati
sia possibile, purché inferiore, percentualmente, a quello riservato ai chirografari.
( 7 ) Cassazione, Sez. I, sent. 4 febbraio 2009 n. 2706, in Dir. Fall., , 2010, II, 1 e seg.

Parte II - Giurisprudenza 29
dito e sono certamente inidonei a superare tutte le questioni poste dalla sottocapitalizzazione
della società ( 1 ), ma comporta, ad avviso di questo Tribunale,
che ai postergati non possono essere riconosciuti tutti i diritti e le prerogative
degli altri creditori, tra cui il diritto di voto nel concordato preventivo.
Essi, infatti, seppur creditori della società, sono tuttavia creditori sui
generis, che possono, per legge, vantare pretese verso la società solo all’esito
della liquidazione, allorché, risolte tutte le pendenze e soddisfatti interamente
tutti gli altri creditori (salvo rinuncia da parte di costoro), resti qualcosa
da distribuire loro. Sono quindi equiparati, sotto questo profilo, ai soci
per i conferimenti; e come i soci conferenti (oltre a restare estranei al concorso
finché dura la liquidazione) non possono incidere, con la loro volontà,
sull’esito della proposta concordataria.
Bisogna considerare, infatti, che l’art. 2467 cod. civ. è dettato appositamente
per le procedure di insolvenza, come provato dal fatto che la norma
prevede l’espressa revocabilità dei pagamenti avvenuti nell’anno antecedente
alla dichiarazione di fallimento e come di deduce dal fatto che la postergazione
presuppone il concorso dei creditori sui beni del debitore, giacché,
al di fuori del concorso, non v’è motivo di trattare il credito del socio in
maniera diversa dall’ordinario (vale a dire, con pagamento dell’intero importo
e alla naturale scadenza).
Ora, se è indubbio che, nel fallimento, il pagamento fatto al socio creditore
è revocabile (quando ricorrono le condizioni dell’art. 2467), lo stesso
prio i soci fideiussori escussi risultavano costituire, nel complesso, la più ampia porzione dell’esposizione
debitoria della società concordataria, ed erano quindi destinati a ricoprire un
ruolo decisivo nell’approvazione della proposta.
In tale sede, la S.C. ha rilevato come la previsione nel piano concordatario di un soddisfacimento
dei soci finanziatori, in deroga alla regola della postergazione, sia possibile, ma
subordinata al rispetto di due condizioni necessarie: la collocazione di tali creditori in una
classe autonoma, risultando l’interesse economico degli stessi non omogeneo a quello degli
altri creditori chirografari – assimilabili invece per quanto riguarda la posizione giuridica,
ad avviso della Corte ( 8 ) –, e il consenso maggioritario di tutte le classi rispetto al piano, fatta
salva la possibilità dicram down. In altre parole, nel momento in cui ha affermato che «deve
escludersi che i soci finanziatori possano essere inseriti nel piano di cui facciano parte anche altri
creditori chirografari», e rilevato l’insufficienza, allo scopo di approvare un piano che preveda
( 8 ) Tuttavia, questo assunto non appare generalmente condiviso: la postergazione, attenendo alla graduazione
nel soddisfacimento dei crediti, è una circostanza che sembrerebbe poter essere inclusa, più correttamente,
tra quelle che influiscono sulla posizione giuridica del credito: in questo senso S. Pacchi, Il concordato fallimentare,inFallimento
e le altre procedure concorsuali, a cura di G. Fauceglia e L. Panzani, Torino, 2009, III, 1412;
concorde G. Bozza, La facoltatività ... cit., 428, nt. 6; nel senso che l’interesse economico potrebbe operare come
fattore di differenziazione solo nell’ambito dei creditori ammessi al concorso, quali non risultano, appunto, i creditori
postergati, vedi R. Battaglia, Postergazione ex lege del credito e formazione delle classi nel concordato
preventivo: alla ricerca di un locus standi, in Giur. Comm., 2010, II, 1 e seg.

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Il diritto fallimentare e delle società commerciali - n. 1-2011
deve affermarsi per i pagamenti effettuati in esecuzione di un concordato
preventivo sfociato in fallimento, in deroga a quanto previsto dall’art. 67,
comma 2, lett. e), come ha rimarcato, da ultimo, la Suprema Corte ( 2 ).
Dal che si deduce che i soci finanziatori non possono ricevere alcunché
nel concordato, posto che diritto al concorso e obbligo di restituzione sono
tra loro incompatibili.
Questa conclusione è valida sia nel concordato senza classi che nel concordato
con classi. Infatti, nel primo caso non sussistono dubbi sul fatto che
i creditori siano sullo stesso piano, a parte le cause legittime di prelazione, e
debbano essere trattati paritariamente, con la conseguenza che la previsione
di pagamenti a favore dei postergati entrerebbe subito in conflitto con l’art.
2467 cod. civ. Se ne deduce, quindi, che in un concordato senza classi non
sono possibili pagamenti a favore dei postergati, se non dopo l’estinzione
degli altri crediti.
Nel secondo caso (concordato con classi) è possibile la deroga al principio
della par condicio creditorum, nel rispetto della posizione giuridica e
dell’omogeneità degli interessi economici, per cui parrebbe ammissibile
una proposta che includa un pagamento a favore dei postergati ex lege
(col consenso degli altri creditori), ma la revocabilità dei pagamenti effettuati
in esecuzione del concordato rende evidente che così non è, giacché
è sempre possibile che il concordato sfoci in fallimento e che i postergati
siano costretti a restituire ciò che hanno percepito (stante il perdurante
principio della consecuzione delle procedure). Il vulnus ai principi sulla
conservazione degli atti giuridici e sull’economia dell’attività giuridica (oltre
che giudiziaria) sarebbe evidente, giacché non può consentirsi che una volontà
validamente espressa resti inficiata dalla circostanza, puramente
estrinseca, che il concordato sia sfociato in fallimento, in un contesto che
esclude la revocabilità dei pagamenti effettuarti a favore di tutti gli altri cre-
un qualche soddisfacimento per tali creditori, della semplice maggioranza dei chirografari calcolata
al di fuori delle classi, la S.C. ha accolto l’assunto per cui, in caso di mancato classamento
dei creditori, nessuno spazio si potrebbe attribuire ai postergati ex lege, se non nell’ipotesi
in cui sia previsto l’integrale soddisfacimento dei creditori chirografari stessi ( 9 ).
È evidente pertanto come la Cassazione abbia in questa occasione fatto propria la teoria
per cui, costituendo la suddivisione in classi lo strumento che il legislatore ha introdotto allo
scopo precipuo di derogare, nell’ambito dei chirografari, alla regola generale del concorso, la
quale impone il rispetto della par condicio, nulla osterebbe, in linea di principio, a che il medesimo
strumento possa servire allo scopo di realizzare una deroga alle regole del concorso
anche in relazione ai creditori postergati.
( 9 ) Vedi L. Guglielmucci, Sub art. 124 legge fallim.,inG. Lo Cascio (a cura di), Codice commentato del
fallimento, Torino, 2008, 1216.

Parte II - Giurisprudenza 31
ditori e sebbene l’esigenza di stabilità delle situazioni giuridiche sia la stessa
per i creditori di tutte le classi.
D’altra parte, se si ammettesse la partecipazione del socio finanziatore
(e postergato) al concordato (nel senso che possa essergli riservata una parte
dell’attivo), bisognerebbe anche riconoscere che il debitore (la società concordataria)
possa scegliere la misura della partecipazione (il quantum da riservare
ai postergati), con la conseguenza, inaccettabile dal punto di vista
normativo, che alla classe dei postergati può andare anche una parte consistente
dell’attivo, secondo l’arbitrio del debitore (anche più di quanto sia
riservato agli altri creditori chirografari), con buona pace dell’art. 2467
cod. civ. e dei principi sulla postergazione.
Né le singolarità finirebbero qui, perché al creditore che partecipa alla
ripartizione dell’attivo bisogna riconoscere, necessariamente, il diritto di voto,
giacché la partecipazione al concordato non può prescindere dal diritto
di concorrere alla formazione delle maggioranze, talché potrebbe anche accadere
(e accadrebbe sicuramente) che i soci finanziatori e postergati (quelli
che, si ripete, hanno diritto di concorrere solo sul residuo della liquidazio-
In realtà, la pronuncia in epigrafe dimostra chiaramente come l’indirizzo espresso dalla
S.C. in questa occasione, non solo non abbia sortito l’auspicabile effetto di stabilire un punto
fermo in tema di trattamento e collocazione dei crediti postergati nel concordato preventivo,
ma si esponga al contrario a più di un profilo di critica.
La pronuncia del Tribunale di Firenze pare in effetti offrire una ricostruzione decisamente
antitetica rispetto a quella della Cassazione, nonché, non è forse eccessivo affermarlo,
maggiormente lineare e ponderata. Secondo questo Tribunale infatti, la natura dei creditori
postergati quali creditori pur sempre concorsuali, in quanto titolari di un diritto sorto anteriormente
all’apertura del fallimento, rende sì necessaria, nel caso in cui il debitore scelga liberamente
di avvalersi della facoltà di suddivisione dei creditori in classi, l’enucleazione della
loro posizione separata tramite collocazione in una classe apposita ( 10 ); d’altra parte, l’avere
( 10 ) In senso conforme L. Panzani, La postergazione dei crediti nel nuovo concordato preventivo, inFall.,
2006, 683, il quale sostiene che l’esclusione dei creditori postergati dal concorso non determini l’impossibilità del
loro classamento: l’art. 160. 1 lett. c consentirebbe infatti la suddivisione in classi di tutti i creditori che sono tali
per «titolo o causa anteriore al decreto» di ammissione alla procedura di concordato, e per i quali scatta il divieto
di azioni esecutive in pendenza dello stesso (art. 168 legge fallim.): tra di essi sono evidentemente suscettibili di
essere ricompresi anche i creditori postergati.
In questo caso, nel momento in cui afferma che, se il debitore opta per la suddivisione in classi, i postergati
ex lege debbono necessariamente andare a costituire una classe apposita, il Tribunale di Firenze ne fa, con tutta
evidenza, una questione di posizione giuridica: se infatti la valorizzazione del parametro dell’interesse economico,
per via del carattere indeterminato dello stesso, è necessariamente rimessa alla libera scelta del debitore, essa può
avvenire solo nell’ambito di una primaria e corretta suddivisione secondo posizione giuridica, la quale, secondo la
dottrina prevalente, non fa altro che ricalcare i trattamenti predeterminati per legge (in tal senso, G. Bozza, La
proposta di concordato preventivo, la formazione delle classi e le maggioranze richieste dalla nuova disciplina, in
Fall., 2005, 1208 e seg., nonché V. Zanichelli, La nuova disciplina del fallimento e delle altre procedure concorsuali,
Torino, 2008, 351). Proprio tra i trattamenti legalmente predeterminati il Tribunale di Firenze sembra, in
questo caso, annoverare, oltre alla classica suddivisione tra privilegiati e chirografari, anche la postergazione.

32
Il diritto fallimentare e delle società commerciali - n. 1-2011
ne) decidano le sorti di un concordato che li vede destinatari della parte più
sostanziosa dell’attivo.
Deve affermarsi, perciò, che il socio finanziatore non partecipa al concorso
(sempre, beninteso, che ricorrano le condizioni dell’art. 2467 cod.
civ.). E se non partecipa al concorso non partecipa alle votazioni, giacché
non può permettersi che partecipi alla formazione delle maggioranze chi
non è destinatario della proposta concordataria.
Infatti, quale valore si dovrebbe attribuire al voto del postergato legale?
Non certo il valore di un atto di adesione alla proposta concordataria nella
parte che lo riguarda, giacché, da questa parte, nulla v’è da decidere, dal
momento che sua posizione è regolata dalla legge.
Avrebbe, invece, senz’altro il valore di un atto di adesione alla proposta,
nella parte che riguarda gli altri creditori. Ma, a parte l’incongruenza di
consentire un voto sulla posizione di terzi, ammettere che il postergato legale
voti significa, spesso (non solo quando il postergato è titolare di più del
50% dei crediti, ma anche quando, seppur marginale, è determinante nella
formazione delle maggioranze) mettere nelle sue mani non solo l’approvazione
della proposta, ma anche la ripartizione tra i creditori dell’attivo disponibile
(vale a dire, il quantum della soddisfazione dei singoli creditori).
Il che appare fuori del sistema.
Né deve meravigliare il fatto che possa esservi classe senza (diritto di)
voto, giacché non è l’unico caso conosciuto dalla legge fallimentare, seppur
per motivi diversi: anche i privilegiati costituiscono classe, ma sono pacificamente
esclusi dalle votazioni. In questi casi l’inserimento in una «classe»
serve ad enucleare, dal coacervo del ceto creditorio, la posizione di particolari
creditori, ma non è detto che tutti debbano avere le stesse facoltà, come
l’art. 2467 cod. civ. stabilito l’equiparazione della loro posizione sostanziale a una partecipazione
al capitale di rischio, determina il carattere non concorrente dei creditori postergati, ed
esclude la possibilità per gli stessi di beneficiare di una qualsiasi percentuale satisfattiva, in
mancanza del soddisfacimento integrale dei chirografari. Tale preclusione risulterebbe, ad
opinione del Tribunale fiorentino, supportata dall’obbligo di restituzione che l’art. 2467 comma
1 stabilisce in relazione ai rimborsi effettuati a favore dei soci finanziatori nell’anno precedente
la dichiarazione di fallimento.
La posizione di questo Tribunale è in effetti conforme a quella della dottrina tutt’ora
maggioritaria, la quale, quando non sostiene che la regola della postergazione possa derogarsi
solo attraverso il consenso specifico e individuale di ciascuno dei creditori chirografari ( 11 ),
trova nell’obbligo di restituzione appena menzionato un limite insormontabile alla possibilità
di includere i postergati ex lege nel piano concordatario.
( 11 ) In questo senso G. Bozza, La facoltatività della formazione delle classi nel concordato preventivo, in
Fall., 2009, 428, nt. 6.

Parte II - Giurisprudenza 33
non è detto che tutti abbiano le stesse aspettative (infatti, sono aspettative
di pagamento integrale per i privilegiati; di pagamento eventuale per i postergati).
L’esclusione dalle votazioni ha però la stessa spiegazione: il fatto,
cioè, che in un caso e nell’altro la posizione creditoria è regolata dalla legge.
Né può affermarsi che i postergati ex lege debbano votare perché risentono
comunque degli effetti del concordato (sotto specie di estinzione, con
l’omologa, del loro credito), giacché èproprio la premessa che non può essere
condivisa, quantomeno in un concordato di carattere liquidatorio: i soci
finanziatori, postergati ex lege, non sono destinatari della proposta concordataria,
e quindi non risentono in nessuna maniera degli effetti del concordato
(se non come soci). Per loro, infatti, vale (deve valere) il principio
recentemente espresso della Suprema Corte, secondo cui gli effetti esdebitativi
non si estendono «a quei creditori che non abbiano preso parte alla
procedura» ( 3 ), o perché tenuti fuori dal debitore, che ometta di comprenderli
nel proprio piano (è il caso esaminato dalla Corte), o perché esclusi
per legge dal piano (è il caso che ci occupa).
Sotto il profilo dei principi si rileva, infine, che la limitazione della capacità
di voto dei postergati non contrasta con i principi che presiedono alla
tutela del credito, né con quelli che disciplinano il diritto di proprietà, giacché
si tratta di una limitazione giustificata dalla particolare connotazione del
diritto di cui costoro sono titolari. Essa si spiega col fatto, già evidenziato,
che nel concordato i postergati legali sono sostanzialmente estranei alla procedura,
che si pone, rispetto ad essi, come res inter alios acta e destinata ad
In effetti, ponendosi in un’ottica di superamento del dibattito, perlopiù teorico, intorno
all’individuazione dell’autentica ratio dell’istituto delle classi, quale strumento generale di deroga
alle regole del concorso, oppure istituto che il legislatore ha introdotto allo scopo di permettere
un trattamento più elastico dei soli chirografari nei propri rapporti reciproci e con il
debitore, il dato risolutivo in relazione all’interrogativo sollevato in questa sede, e correttamente
enucleato nella pronuncia in epigrafe, è rappresentato dalla mancata predisposizione,
da parte del legislatore, di un disegno organico e coerente in merito al trattamento dei creditori
postergati nel piano di concordato preventivo. Il fatto che i pagamenti posti in essere in
esecuzione del piano nei confronti di tali creditori non siano espressamente ricompresi nel
novero dei pagamenti che godono, ex art. 67 comma 3 legge fallim., dell’esenzione dalla revocatoria
( 12 ), e che quindi tali atti, nel successivo eventuale fallimento, possano essere posti
( 12 ) Nel senso che l’esenzione si riferisce alle sole ipotesi di revocatoria contenute nell’art. 67. 3 legge fallim.:
U. De Crescenzo-L. Panzani, Il nuovo diritto fallimentare, Milano, 2005, 92 e seg.; diversa dottrina è
pervenuta alle medesime conclusioni sulla premessa che gli artt. 2467 e 2497 quinquies cod. civ. rappresentino
due norme speciali all’interno della più generale disciplina delle obbligazioni, traendone la conclusione che l’esenzione
da revocatoria fallimentare non produce alcun effetto protettivo in relazione alle fattispecie in esame:
vedi L. Mandrioli, Disciplina dei finanziamenti dei soci nelle società di capitali, inSocietà, 2006, 179 e seg.

34
Il diritto fallimentare e delle società commerciali - n. 1-2011
avere effetti sulla loro posizione solo dopo la chiusura della stessa, esattamente
come avviene per i soci in quanto tali.
Anzi, a ben vedere, la disciplina così ricostruita della postergazione appare
perfettamente in linea con la posizione dei soci nella società, che sono
creditori anche per altra via: vale a dire, per il capitale sociale versato. E
come il credito di restituzione del capitale sociale non dà il diritto di partecipare
alla procedura (e di incidere, col voto, sulle maggioranze), lo stesso
accade per il credito di restituzione del finanziamento, fatto quando le condizioni
della società richiedevano invece un conferimento (cioè, l’apporto di
capitale di rischio).
In sostanza, è la particolare natura del credito che prevale, invece che
l’astratta qualifica di creditore.
Da queste considerazioni discende che il concordato proposto dalla
Poggerina soc. a resp. lim. non può essere omologato, giacché èpacifico
che, espungendo dal novero dei crediti quelli che fanno capo ai soci finanziatori,
non è raggiunta la maggioranza né per crediti né per classi.
B) Il concordato non può essere omologato anche perché il creditore
Cons.Edil soc. a resp. lim., appartenente alla classe B (dissenziente), si è opposto
all’omologazione, ritenendo può conveniente, per sé, il fallimento.
nel nulla, in violazione dei più elementari principi di stabilità e tutela dell’affidamento, nonché
di economia degli atti giuridici, rende se non altro sconsigliabile, da un punto di vista
dell’opportunità, il coinvolgimento di tali creditori nel perseguimento della soluzione concordataria.
Se il legislatore ha introdotto una disciplina organica finalizzata al trattamento più elastico
dei creditori chirografari, altrettanto non si può affermare in relazione ai postergati: in particolare,
la circostanza che il decreto correttivo ( 13 ), il quale pure è intervenuto sulla disciplina
della revocatoria, abbia omesso di fornire elementi chiarificatori in relazione alla questione in
oggetto, spinge a ritenere che l’esenzione genericamente stabilita dall’art. 67 comma 2 lett. e
legge fallim. in relazione a atti, pagamenti e garanzie posti in essere in esecuzione di un concordato
preventivo, lasci impregiudicato l’obbligo di restituzione sancito dall’art. 2567 cod.
civ. ( 14 ).
3. Creditori postergati e diritto di voto. – La pronuncia in epigrafe fornisce interessanti
spunti di riflessione anche in merito all’indesiderabilità di almeno una delle conseguenze
cui l’inclusione dei creditori postergati nel piano di concordato darebbe necessariamente luogo:
l’attribuzione agli stessi del diritto di voto.
( 13 ) D. lgs. 12 settembre 2007, n. 169.
( 14 ) Èda notare tra l’altro (vedi Fall. 2009, 792) come la sentenza n. 2706 del 2009, pur soffermandosi sulla
portata dell’obbligo di restituzione sancito dall’art. 2467.1, sembri non trarne le logiche conseguenze sistematiche:
in particolare, non è chiaro il percorso argomentativo per cui tale obbligo, configurato dal legislatore in via
del tutto generale, e che per espressa ammissione della S.C., costituisce condizione ostativa alla possibilità di coinvolgere
i creditori postergati ex lege in un piano che di classi sia privo, possa invece risultare legittimamente frustrato
attraverso il classamento dei creditori.

Parte II - Giurisprudenza 35
È principio generalmente condiviso che, nel regime dell’attuale art. 180 legge
fallim., i creditori appartenenti a classi dissenzienti possono impedire l’omologazione
del concordato, quand’anche abbia ottenuto le maggioranze di
legge. Ed è quello che richiede la Cons.Edil soc. a resp. lim.
Tuttavia, per evitare opposizioni pretestuose e defatigatorie, il Tribunale
può «ingozzare» il creditore dissenziente quando ritenga che questi non
sarebbe meglio soddisfatto negli scenari alternativi.
Il Tribunale non ha, però, nel caso di specie, elementi per operare il
cram-down in dallo della Cons.Edil soc. a resp. lim., ammessa al voto per
euro 978.014,00, in una classe per cui è previsto il pagamento al 5%. È certo
che, in caso di fallimento, il curatore potrebbe sciogliersi dai contratti
preliminari, per cui il 40% previsto a favore della classe A) si ridistribuirebbe
a vantaggio di tutti i chirografari, con conseguente maggiore soddisfazione
dei creditori della classe B). Non solo, quindi, non può dirsi che Cons.Edil
soc. a resp. lim. non otterrebbe maggiore soddisfazione nello scenario
Il Tribunale di Firenze, partendo dal corretto presupposto per cui il diritto di concorrere
alla formazione delle maggioranze deriva necessariamente dalla concreta partecipazione del
creditore alla ripartizione dell’attivo, nega la possibilità ai creditori postergati di poter esprimere
un proprio orientamento in merito alla proposta. Più precisamente, l’attribuzione ai postergati
del diritto di voto va negata per lo stesso motivo per cui è negata ai creditori privilegiati
per l’intero, o per la porzione del credito coperta dalla garanzia: il creditore è chiamato
a votare nella misura in cui deve esprimere la propria volontà rispetto a un atto che, mediante
il sigillo dell’omologazione, è destinato a modificare in maniera permanente il suo diritto di
credito. Per quanto riguarda postergati e privilegiati, la predeterminazione legale del loro
trattamento li pone in una condizione di «insensibilità» rispetto alla configurazione della proposta
concordataria. Né poi, come il Tribunale fa giustamente notare, deve stupire l’enucleazione
di una classe priva del diritto di voto: una ricca prassi concordataria testimonia l’ammissibilità
di piani concordatari in cui i privilegiati, nella misura dell’intero credito o della
capienza della garanzia, vanno a costituire una classe che non viene poi in considerazione nella
formazione delle maggioranze.
D’altronde, la circostanza che i creditori postergati, qualora titolari di crediti per importi
consistenti, possano concorrere in maniera determinante a decidere le sorti della proposta
concordataria, desta più di una perplessità. In effetti, già in relazione al fenomeno della postergazione
volontaria ( 15 ) – la quale si configura come atto di disposizione che non comporta
la rinuncia alla titolarità del credito, ma solo l’accettazione di un’alea di incertezza riguardo il
suo soddisfacimento il quale, in quanto subordinato al previo soddisfacimento degli altri crediti,
può avvenire in misura minore del previsto o addirittura non avvenire affatto – a fronte
di una dottrina prevalente che conserva, in capo al creditore che l’abbia posta in atto, il diritto
( 15 ) Escamotage che, nel sistema ante riforma, era utilizzato dai soggetti che avevano un particolare interesse
nella riuscita della soluzione concordataria, e tramite il quale si otteneva l’omologazione nei casi in cui non
sarebbe risultato altrimenti possibile raggiungere la soglia minima di soddisfacimento nella misura del 40% di
ciascun credito chirografario; vedi L. Guglielmucci, Sub art. 124 legge fallim., inG. Lo Cascio (a cura
di), Codice commentato del fallimento, Milano, 2008, 1216.

36
Il diritto fallimentare e delle società commerciali - n. 1-2011
fallimentare, ma deve dirsi che, molto probabilmente, otterrebbe di più, posto
che l’attivo a disposizione non scemerebbe col fallimento.
È vero che, come rimarcato dal debitore proponente, il credito della
Cons.Edil soc. a resp. lim. è contestato, ma è altresì vero che il Tribunale
non dispone di strumenti per vagliare la fondatezza della pretesa di detto
creditore (ammesso che lo possa fare in questa sede), per cui è da escludere
che la valutazione della convenienza possa essere effettuata sulla base di un
diverso ammontare del credito.
di voto ( 16 ), vi è chi ha fatto notare come non sarebbe corretto che un soggetto il quale ha
accettato di rimanere fuori dal novero dei creditori necessariamente destinatari della soddisfazione
concorsuale, possa invece, tramite il voto, concorrere a determinare le sorti della procedura
( 17 ). Quest’ultima osservazione risulta ancora più pertinente in relazione alla postergazione
legale: non sembra giustificato che il socio finanziatore possa, con il proprio voto positivo
– in quanto la convenienza dell’opzione concordataria rispetto al fallimento è intrinseca,
per il creditore postergato, nel semplice fatto che esso lo includa, trovandosi costui a non disporre,
a differenza degli altri creditori, del termine di paragone costituito dall’alternativa fallimentare
– concorrere al raggiungimento della maggioranza necessaria per l’approvazione.
4. Conclusioni. – La sentenza in epigrafe appare dunque improntata, rispetto a quella
della S.C., ad una lettura maggiormente rigorosa del dato normativo. Tale scelta appare opportuna,
anche in considerazione della maggiore facilità di omologazione del piano concordatario
che il decreto correttivo ha determinato. È il caso di tenere a mente infatti come la
sentenza della Cassazione sia stata resa in merito ad una fattispecie che si collocava sotto
la vigenza del regime di concordato preventivo determinato dal D.l. n. 35 del 2005, il quale
prevedeva un cram down officioso in ambito di omologazione e una disciplina delle maggioranze
parzialmente diversa da quella attuale.
A parte l’immutata difficoltà di capire il senso di un controllo di convenienza nei casi di
concordati a finalità liquidatoria, o comunque privi di un apporto di finanza esterna, nei quali
il concorso dei creditori postergati non potrà che determinare, per i chirografari, una situazione
svantaggiosa rispetto al fallimento ove il soddisfacimento di tali creditori è inderogabilmente
rimesso alla presenza di un attivo residuo al momento di chiusura della procedura, la
nuova disciplina dell’art. 180 legge fallim., il quale come sappiamo limita l’eventualità del
controllo di convenienza all’iniziativa del creditore dissenziente, sembrerebbe rendere astrattamente
possibile, in assenza di opposizioni, l’omologazione di un concordato che preveda il
soddisfacimento, in una qualche misura, dei creditori postergati, anche in presenza di classi
dissenzienti, che tuttavia non rappresentino il maggior numero delle stesse.
È evidente come anche in questo caso, il ridimensionamento del margine di sindacato del
giudice voluto dalla riforma e accentuato dal correttivo rischia di tradursi nell’impossibilità di
bloccare un concordato preventivo che sacrifichi le ragioni dei creditori chirografari, e per di
più in palese violazione delle regole sul concorso: ecco dunque che la resistenza della giuri-
( 16 ) Nel senso che il creditore che opta per la postergazione volontaria non rinuncia a far valere le proprie
ragioni, ma accetti semplicemente di farle valere dopo quelle degli altri creditori, vedi G. Rago, La domanda di
concordato preventivo, inDir. Fall., 1998, I, 61 e seg.
( 17 ) In tal senso, G. Jachia, Il concordato preventivo e la sua proposta, inFallimento e le altre procedure
concorsuali, a cura di G. Fauceglia e L. Panzani, Torino, 2009, 1718.

Parte II - Giurisprudenza 37
Allo stato, pertanto, deve concludersi per l’impraticabilità del cramdown.
Vuol dire che la Cons.Edil soc. a resp. lim. si assume il rischio di
un esito sfavorevole del giudizio che la riguarda.
Il concordato, comunque, non può essere omologato.
C) Deve, infine, essere dichiarato il fallimento della Poggerina soc. a
resp. lim., ricorrendo le ipotesi di cui all’art. 179 e all’art. 180/4 legge fallim.
Dall’esame del verbale di adunanza e dalla relazione del commissa-
sprudenza successiva alla pronuncia della Suprema Corte rispetto alla configurabilità di
un’offerta concordataria che coinvolga anche i crediti postergati, così come testimoniata dalla
pronuncia in commento ( 18 ), può forse trovare giustificazione convincente nella volontà di
estirpare alla radice la possibilità di ulteriori abusi a danno dei chirografari.
D’altronde, che le condotte dei soci nell’ambito del finanziamento all’impresa debbano
continuare ad essere oggetto di valutazioni caratterizzate da una certa prevenzione, lo ribadisce
il più recente, in ordine di tempo, degli interventi posti in essere dal legislatore in materia
fallimentare ( 19 ). Con il nuovo art. 182 quater è stata introdotta una deroga a dir poco dirompente
alla regola della postergazione: il comma 3 di tale articolo stabilisce infatti la prededucibilità
nell’eventuale e successivo fallimento, ai sensi e per gli effetti dell’art. 111 legge fallim.,
dei crediti per finanziamenti effettuati dai soci in esecuzione di un accordo di ristrutturazione
dei debiti omologato o di un piano di concordato preventivo; tale prededucibilità, pur non
essendo integrale, può coprire tuttavia sino all’80% dell’ammontare dei crediti in questione.
Il comma 5 dello stesso articolo stabilisce tra l’altro come tali crediti siano esclusi da voto e
dal computo delle maggioranze per l’approvazione del concordato ai sensi dell’art. 177 legge
fallim. (nonché dal computo della percentuale dei crediti prevista per l’approvazione dell’accordo
di ristrutturazione) ( 20 ).
Tale previsione, unitamente a quelle di identica impronta che prendono in considerazione
banche ed altri intermediari finanziari, costituisce il necessario completamento di una stra-
( 18 ) Tra gli altri, il Tribunale di Messina (decr. 4 marzo 2009, in Fall., 2009, 795 e seg.) rimane fermo sulle
posizioni precedentemente espresse a riguardo della possibilità di destinare, nel piano concordatario, un qualche
soddisfacimento anche ai creditori postergati, ma argomenta, in questo caso, a partire dall’art. 160. 2 legge fallim.,
il quale troverebbe applicazione analogica alla situazione in esame nella parte in cui stabilisce che «la proposta
può prevedere che i creditori muniti di privilegio, pegno o ipoteca, non vengano soddisfatti integralmente, purché
il piano ne preveda la soddisfazione in misura non inferiore a quella realizzabile, in ragione della collocazione
preferenziale, sul ricavato in caso di liquidazione»: i chirografari si troverebbero, ad avviso del Tribunale siciliano,
nella condizione di essere «privilegiati» rispetto ai creditori postergati ex lege,sìche questi ultimi non potrebbero
essere soddisfatti neppure in parte, in sede di concordato, se non quando i creditori chirografari abbiano ricevuto
un trattamento equivalente a quello di cui sarebbero stati destinatari in sede di liquidazione.
( 19 ) D.L. n. 78/2010 convertito in L. 30 luglio 2010 n. 122.
( 20 ) Nel senso che tale previsione risulterebbe superflua, in quanto l’esclusione del voto dei privilegiati renderebbe
automatica, a fortiori, l’esclusione anche per i crediti prededucibili, vedi S. Ambrosini, Appunti «flash»
sull’art. 182 quater della legge fallimentare, in www.ilcaso.it, Sezione II, 204/2010, 3; di diverso avviso M. Fabiani,
L’ulteriore up-grade degli accordi di ristrutturazione e l’incentivo ai finanziamenti nelle soluzioni concordate,
in Fall. 2010, 907, per cui la sottrazione del diritto di voto trova la propria causa nell’indifferenza del creditore
rispetto alla proposta concordataria, la quale non dipende tanto dalla mera previsione del soddisfacimento integrale,
quanto invece dalla concreta presenza di beni che garantiscono in ogni caso il creditore rispetto agli altri:
l’esplicita esclusione dal voto sarebbe quindi in questo caso norma non pleonastica, ma frutto di un valutazione
probabilistica in merito alla recuperabilità del credito.

38
Il diritto fallimentare e delle società commerciali - n. 1-2011
rio del 25 febbraio 2010 (pag. 10) risulta che, esclusi i postergati ex lege
ed inclusi i postergati volontari, il totale degli aventi diritto al voto ammonta
ad euro 2.413.970,06 (861.467,00+ 1.414.533,15+137.970,00) e
che i voti favorevoli ammontano ad soc. a resp. lim. 1.088.069,00
(861.476,00+88.632,00+137.970,00): quindi, certamente sotto il 50%.
Non è stata raggiunta, pertanto, la maggioranza per crediti.
A ciò va aggiunto che all’udienza del 10 marzo 2010 i creditori Cons.Edil
soc. a resp. lim. e Comservice soc. a resp. lim. hanno insistito per la dichiarazione
di fallimento della Poggerina soc. a resp. lim. Questa domanda
va senz’altro accolta, in quanto lo stato di insolvenza della società èconclamato.
La società, infatti, è in liquidazione e non è, pertanto, in grado di produrre
reddito. Purtuttavia, dall’esame della situazione patrimoniale, accertata
dal commissario, emerge un’esposizione debitoria di oltre 8.715.000
euro, a fronte di attivo per euro sei milioni circa, peraltro tutto da liquidare.
Ciò significa che la società non è in grado di assolvere alle sue obbligazioni
con i normali mezzi di pagamento e nei tempi prescritti.
Sussistono tutte le altre condizioni, oggettive e soggettive, per la dichiarazione
di fallimento.
P.Q.M., visti gli artt. 162-179-180/4 del R.D. 16 marzo 1942 n. 267 non
omologa il concordato preventivo richiesto dalla Poggerina soc. a resp. lim.
tegia volta a potenziare gli strumenti di risoluzione concordata della crisi, facendone, attraverso
l’incentivo all’apporto di nuova finanza, non meri strumenti liquidatori, ma di rilancio
dell’impresa: se è logico che tra i soggetti chiamati a dare nuova linfa all’impresa decotta debbano
ricoprire un ruolo primario coloro che ne hanno originariamente determinato l’esistenza,
è tuttavia evidente come il legislatore abbia usato una certa cautela nel considerare la posizione
dei soci, rispetto a quella dei finanziatori di altra natura. La norma sembra infatti
escludere in relazione ai questi ultimi, e diversamente da quanto invece previsto in relazione
a banche e altri intermediari finanziari, la prededucibilità dei cosiddetti «finanziamenti – ponte»,
ossia finanziamenti prestati in un momento cronologicamente precedente la domanda di
ammissione al concordato preventivo (oppure, naturalmente, alla domanda di omologazione
dell’accordo di ristrutturazione), ma pur sempre in funzione di tale domanda, purché specificamente
indicati nel piano concordatario. Alla base di tale previsione vi è probabilmente la
volontà di limitare al minimo le possibilità, per i soci, di pervertire l’apporto di nuova finanza
in uno strumento che permetta agli stessi di evitare le gravose conseguenze del fallimento ( 21 ):
non è infatti peregrino ipotizzare come un surrettizio inserimento all’interno del piano concordatario
potrebbe avvenire proprio allo scopo di assicurare il beneficio della prededuzione
anche al finanziamento effettuato dal socio in un momento antecedente all’apertura della fase
giudiziale del concordato preventivo o dell’accordo di ristrutturazione.
( 21 ) In tal senso vedi M. Fabiani, L’ulteriore up-grade..., cit., 906.

Parte II - Giurisprudenza 39
in liquidazione, con sede in Firenze, via Pier Capponi, n. 89; dichiara il fallimento
della stessa Poggerina soc. a resp. lim. in liquidazione, con sede in
Firenze, via Pier Capponi, n. 89.
In conclusione, in un contesto in cui la volontà legislativa, peraltro ampiamente condivisibile,
di fare delle procedure concorsuali alternative degli strumenti di rilancio del valore
d’impresa ha come contraltare la costante erosione delle ragioni dei creditori concorsuali, pare
tutt’altro che inopportuno il tentativo di certa giurisprudenza di preservare i pochi spazi di
tutela rimasti a disposizione dei chirografari, quale si esprime, nella pronuncia in commento,
nella forma dell’esclusione dei soci finanziatori dalla possibilità di essere destinatari di pagamenti
nel concordato preventivo, nonché di incidere sulla formazione delle maggioranze.
Dott.ssa Giulia Barlucchi
dell’Università di Siena

TRIBUNALE DI MILANO
Sezione Seconda Civile
17 giugno 2009
Decreto di omologazione ex art. 182 bis legge fallim.
Pres. Relatore Galioto - M. Vitiello - R. Nunnari
Gabetti Property Solutions Soc. per az.
Accordi di ristrutturazione dei debiti - Gruppo di società - Attività di direzione
e coordinamento - Relazione dell’esperto - Relazione unitaria
per l’intero gruppo - Opportunità - Sussistenza
(Art. 182 bis legge fallim. - Artt. 2497 e segg. cod. civ.)
Nell’ipotesi di accordo di ristrutturazione dei debiti, proposto da una società
capogruppo, il cui piano industriale strategico, costituente parte integrante
dell’accordo, coinvolge, complessivamente, non solo tale società, ma in ragione
dell’attività di direzione e coordinamento da questa esercitata, anche le società
controllate o collegate, la relazione dell’esperto, può essere opportunamente redatta
in maniera unitaria e contenere valutazioni inerenti l’intero piano di riorganizzazione,
motivate in maniera coerente sotto il profilo della ragionevole
prospettiva di riuscita del piano medesimo, sia pure con diversi gradi di positività
della prognosi, in relazione alle singole società del gruppo ( 1 ).
(Omissis)
Fatto e diritto. – Con ricorso depositato il 28 aprile 2009 – integrato
con nota del 9 giugno 2009 – la Gabetti Property Solutions soc. per az. ha
( 1 ) «Interesse di gruppo» e accordi di ristrutturazione (il caso ‘‘Gabetti’’).
1. La disciplina degli accordi di ristrutturazione ( 1 ) (art. 182 bis legge fallim.) non prende
in considerazione l’ipotesi in cui la crisi coinvolga più società appartenenti allo stesso gruppo,
anche se proprio in relazione ad una ad una fattispecie di questo tipo, risulta evidente che la
strategia di risanamento debba essere complessiva e coinvolgere il gruppo nel suo insieme.
L’autonoma soggettività giuridica di ciascuna società, impone tuttavia che ognuna pre-
( 1 ) Cfr. Fauceglia G., Accordi di ristrutturazione dei debiti, commento sub Art. 182 bis, legge fallim., in
Codice commentato del fallimento, diretto da G. Lo Cascio, Ipsoa 2008, pag. 1605 e segg.; Fauceglia G., Prime
osservazioni sugli accordi di ristrutturazione dei debiti, inDir. Fall., 2005, I, pag. 845; Fauceglia G., L’anticipazione
della crisi d’impresa: profili di diritto comparato e prospettive future - Atti del Convegno di Milano del 21
ottobre 2008, inIl Fall. n. 1/2009 (Allegato), pag. 14 e segg.
C. D’Ambrosio, Gli accordi di ristrutturazione dei debiti, inFallimento e altre procedure concorsuali, Trattato
a cura di G. Fauceglia e L. Panzani, Utet, Milano, 2009, pag. 1827.

Parte II - Giurisprudenza 41
chiesto l’omologazione degli accordi stragiudiziali di ristrutturazione dei debiti,
presentando un piano industriale strategico per gli esercizi 2009-2011
che coinvolge, complessivamente, non solo la società predetta, ma anche
l’intero gruppo Gabetti, in ragione dell’attività di direzione e controllo esercitato
da Gabetti Property Solutions soc. per az. quale capogruppo, e per il
fatto che il piano predetto implica un continuo scambio di flussi di cassa tra
le società del gruppo, sia a titolo di finanziamenti, sia per pagamento di dividendi.
La ricorrente ha premesso che l’attività del gruppo si articola in quattro
linee di attività, denominate rispettivamente Agency (intermediazione immobiliare),
Finance (intermediazione di prodotti creditizi e brokeraggio assicurativo),
Technical services (servizi tecnici e valutativi), ed infine Investment
and property (attività di investimento, sviluppo, commercio e gestione
di patrimoni immobiliari in Italia ed estero).
La società predetta ha esposto che il gruppo si trova in uno stato di ten-
disponga il proprio accordo di ristrutturazione, ciascuno dei quali riceverà un’autonoma attestazione
da parte del professionista.
Allo stesso tempo, nella complessiva strategia di ristrutturazione del gruppo, ogni società
potrà utilizzare lo strumento di risanamento più confacente alle proprie esigenze, (es. accordo
di ristrutturazione ex art. 182 bis, piano di risanamento attestato ex art. 67 lett. d) legge fallim.,
concordato preventivo, concordato stragiudiziale), pertanto non vi è in linea di principio
nessun ostacolo all’utilizzo da parte delle singole società, di strumenti di risanamento diversi.
È inoltre opportuna la predisposizione di un piano complessivo di risanamento del gruppo,
il quale potrà contemplare per alcune società l’utilizzo di strumenti di composizione negoziale
della crisi d’impresa ( 2 ), e per altre l’assoggettamento ad una procedura fallimentare o
l’apertura della procedura di amministrazione straordinaria.
In questo caso è sicuramente opportuno che nella relazione che il professionista redige
sull’attuabilità dell’accordo, ed in particolare sull’idoneità dello stesso ad assicurare il regolare
pagamento dei creditori estranei, venga evidenziata anche la complessiva strategia di risanamento
del gruppo, delineando i punti di condizionamento reciproco tra le società coinvolte.
Il professionista inoltre, potrebbe formulare un giudizio, che pur valutando la situazione
di ciascuna società, prenda in considerazione anche aspetti legati alla ristrutturazione del
gruppo nel suo complesso, ed in particolare relativi alla situazione della capogruppo, in
considerazione del fatto che il superamento della crisi della holding, puògenerare talvolta
delle risorse che possono essere utilmente impiegate, per il superamento della crisi delle
controllate.
Il questa prospettiva l’attività di direzione e coordinamento esercitata dalla holding svolge
una funzione «nevralgica» nella pianificazione ed esecuzione della complessiva strategia di
risanamento del gruppo, determinando in alcuni casi significative modifiche alla disciplina
applicabile rispetto caso di società operanti in maniera autonoma.
( 2 ) Accordo di ristrutturazione o concordato preventivo, piano di risanamento attestato o accordo di salvataggio.

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Il diritto fallimentare e delle società commerciali - n. 1-2011
sione finanziaria che presenta un forte indebitamento verso le banche (231
milioni al 31 dicembre 2008) con uno sbilanciamento verso la componente
a breve termine, sicché il consiglio di amministrazione ha deliberato, in data
30 settembre 2008, una sostanziale riorganizzazione del gruppo, orientato
da un duplice obiettivo:
– riduzione dei costi mediante la conversione integrale della rete diretta
di intermediazione residenziale al dettaglio, facente capo alla Gabetti Pro-
Ad esempio la remissione del debito da parte della capogruppo a favore di una sua società
controllata, non è tassabile come atto di liberalità, trovando la propria giustificazione in
un interesse patrimoniale della prima, anche se mediato e indiretto, finalizzato a ridurre il
passivo della controllata per salvarla dal fallimento ( 3 ). Così come le fideiussioni rilasciate
da una società del gruppo a favore di altra società del medesimo gruppo non rappresentano
atti estranei all’oggetto sociale della prima, perché «preordinati ad un interesse sia pure mediato
e indiretto della società, ma giuridicamente rilevante, e non possono pertanto, a causa
della semplice mancanza di controprestazioni contrattualmente esigibili, essere considerate
contrarie o estranee al conseguimento dell’oggetto sociale della società che li ha compiuti» ( 4 ).
La giurisprudenza ha altresì precisato che non costituisce atto di liberalità, come tale revocabile
ai sensi dell’art. 64 legge fallim., la cessione gratuita di crediti verso terzi da una società
all’altra del medesimo gruppo, trattandosi di atto che «ubbidisce ad una logica di gruppo»
ed è quindi espressione di una logica imprenditoriale volta al perseguimento di obbiettivi
che trascendono quelli delle singole società»( 5 ). Neppure è ritenuta atto di liberalità, agli effetti
dell’art. 64 legge fallim., la fideiussione infragruppo, perché diretta a realizzare un interesse
«sia pure mediato e indiretto» del fideiussore ( 6 ).
È discussa in dottrina ( 7 ), l’utilizzabilità di un regolamento di gruppo, volto a disciplinare
i diversi aspetti e le concrete modalità di svolgimento dell’attività didirezioneecoordinamento.
Il legislatore nell’art. 2497 septies, ha previsto la possibilità di estendere la disciplina in
tema di direzione e coordinamento anche a fattispecie diverse da quelle contemplate dall’art.
2497 sexies, e precisamente a quei casi in cui l’attività di direzione e coordinamento viene
esercitata sulla base di un contratto con le società medesime o di clausole dei loro statuti.
Secondo parte della dottrina ( 8 ) questa norma consente la regolamentazione contrattuale
della direzione e del coordinamento di gruppo, tra società controllante e società controllate.
( 3 ) Cassazione, 20 marzo 1968, n. 2215, in Riv. Legisl. Fiscale, 1969, 263; Cassazione, 2 aprile 1969, n.
1693, ivi, 1969, 1948; Cassazione, 20 ottobre 1969 n. 907, ivi, 1970, 1853.
( 4 ) Cassazione, 14 settembre 1976, n. 3150, in Riv. Dir. Comm., 1978, II, 220, con nota adesiva di G.
Ferri.
( 5 ) Cassazione, 11 marzo 1996, n. 2001, in Foto It., I, 1222.
( 6 ) Cassazione, 29 settembre 1997, n. 9532, in Fallimento, 1998, 1041; Tribunale Milano, 4 luglio 1991, in
Giur. Comm., 1992, II, 1019.
( 7 ) P. Montalenti, Direzione e coordinamento nei gruppi societari: principi e problemi. inRiv. Soc., 2007,
331; F. Galgano, Il regolamento di gruppo nei gruppi bancari, inBBTC, 2005, I, pagg. 86 e segg.; Valzer, Il
potere di direzione e coordinamento di società tra fatto e contratto, inIl Nuovo diritto delle società, Liber amicorrum,
Gianfranco Campobasso, diretto da Abadessa e Portale, 3, 2006, pag. 876 e segg.
U. Tombari, Studio del Consiglio Nazionale del Notariato, n. 248/2009-1, in, www.notariato.it.
( 8 ) P. Montalenti, Direzione e coordinamento nei gruppi societari: principi e problemi, inRiv. Soc.,
2007, 331.

Parte II - Giurisprudenza 43
perty Solutions Agency soc. per az., nel modello franchising immobiliare,
mediante chiusura delle agenzie dirette, e successiva apertura nei medesimi
punti vendita, ovvero in altre zone, ove possibile, di agenzie in franchising,
con l’obiettivo di realizzare 215 punti vendita in luogo delle attuali 102
agenzie dirette. La chiusura delle agenzie dirette è stata resa indispensabile,
a dire della ricorrente, dagli ingenti costi fissi e ricavi insufficienti, tanto da
imporre una procedura di licenziamento collettivo conclusasi il 17 dicembre
2008 con la stipula di un accordo con le organizzazioni sindacali. In parallelo,
è stata decisa la riorganizzazione della rete Corporate (intermediazione
immobiliare rivolta alle imprese), attraverso la chiusura delle filiali meno
efficienti. La conversione descritta è mirata alla razionalizzazione dei costi,
ed alla limitazione dei rischi legati alla crisi del mercato immobiliare ed alla
sua ciclicità;
– riequilibrio della situazione patrimoniale e finanziaria: una volta superato
l’originario progetto di emissione di prestito obbligazionario converti-
L’adozione di un regolamento di gruppo, potrebbe consentire di disciplinare le modalità
di gestione della crisi nell’ambito del gruppo stesso, in quanto consentirebbe di regolamentare
in maniera più trasparente le interrelazioni tra la varie società. Attraverso l’adozione del
regolamento, la capogruppo potrebbe assumere una funzione di direzione, nella complessiva
strategia di risanamento che coinvolge anche le controllate e le collegate (art. 2359 cod. civ.),
attraverso una precisa individuazione delle funzioni e la pianificazione preliminare dello svolgimento
della varie fasi.
La previsione di un regolamento per la gestione della crisi del gruppo potrebbe essere
recepita un più ampio modello organizzativo ex D.Lgs. 231/2001, con importanti risvolti positivi
per quanto concerne eventuali conseguenze penali di un successivo fallimento, non rientranti
nell’ambito dell’esenzione prevista dal nuovo art. 217 bis legge fallim.
La recente modifica della legge fallimentare ad opera del D.L. 31 maggio 2010 n. 78,
convertito con la legge n. 122 del 30 luglio 2010, ha introdotto con il nuovo art. 182 quater,
al comma 3 l’espressa previsione della prededucibilità dei finanziamenti erogati dai soci, in
esecuzione di un concordato preventivo (art. 160 e segg. legge fallim.), ovvero di un accordo
di ristrutturazione dei debiti, (art. 182 bis legge fallim.), fino a concorrenza dell’ottanta per
cento del finanziamento stesso, così derogando al disposto degli artt. 2467 e 2697 quinquies,
che prevedono invece la postergazione del rimborso dei finanziamenti dei soci rispetto agli
altri creditori e la restituzione se erogati nell’anno precedente alla dichiarazione di fallimento
della società.
Tale novità normativa evidenzia tra l’altro il favor del legislatore per una gestione complessiva
della crisi del gruppo, valorizzando così il sostegno finanziario infragruppo all’impresa
in crisi.
2. Un accordo di ristrutturazione che coinvolga un gruppo nel suo complesso, potrebbe
pianificare operazioni societarie che possono costituire fonte di danno, attuale o potenziale,
per singole società del gruppo, si pensi alla cessione di assets, o addirittura alla decisione di
cedere o liquidare alcune società controllate. Tuttavia i rapporti infragruppo, tra le società
coinvolte nella ristrutturazione, possono essere tali da introdurre un elemento di compensazione
del pregiudizio che alcune di esse, potranno eventualmente subire, nel perseguimento
dell’obbiettivo condiviso, di consentire il risanamento del gruppo.

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Il diritto fallimentare e delle società commerciali - n. 1-2011
bile, che verrà revocato, è previsto il raggiungimento di tale obiettivo mediante
un finanziamento da parte dei soci, i quali hanno firmato lettere di
impegno con le quali dichiarano di essere disponibili a trasformare i versamenti
effettuati a titolo di finanziamento soci in versamenti in conto futuro
aumento di capitale; alcuni di essi hanno poi assunto l’impegno ad effettuare
ulteriori versamenti a tale titolo fino all’intero importo dell’aumento del
capitale (alla data di presentazione del ricorso era stato corrisposto dai soci
un importo complessivo di euro 19.283.360).
Le trattative con gli istituti di credito hanno permesso una moratoria
fino al 31 gennaio 2009. Il 27 marzo 2009 il consiglio di amministrazione
ha approvato il piano strategico che, oltre a confermare le predette linee
guida relative alla riorganizzazione del piano relativo al periodo 2009-
Con la riforma del diritto societario introdotta con il D.Lgs. n. 6/2003 il concetto di «interesse
di gruppo» è stato inserito nel codice civile, in tal modo è stato evidenziato che la collocazione
all’interno di un gruppo, muta le condizioni di esercizio dell’impresa, nel senso che
il quadro economico e di riferimento, e talvolta la stessa possibilità di esistenza dell’impresa,
variano notevolmente, a seconda che essa sia organicamente inserita o meno in un gruppo.
Pertanto, ai sensi dell’art. 2497 ter «le decisioni delle società soggette ad attività di direzione
e coordinamento, quando da questa influenzate debbono essere analiticamente motivate e recare
puntuale indicazione delle ragioni e degli interessi la cui valutazione ha inciso sulla decisione».
Nel caso di ristrutturazione del debito di società operanti in forma di gruppo, la presenza
di un interesse riconducibile allo stesso, può essere dimostrata, valutando l’interesse sociale al
risanamento, non solo con riferimento alla singola operazione riorganizzativa, che si inserisce
all’interno della ristrutturazione come elemento non autosufficiente dell’insieme, ma piuttosto
con riferimento al quadro generale, industriale, finanziario e economico, nell’ambito del
quale il gruppo opera come entità economica unitaria, anche se scomposta in autonomi centri
di imputazione giuridica.
Una conferma di questa prospettiva, si rinviene nel disposto dell’art. 2497 comma 1 che
esclude la responsabilità della controllante per la lesione dei diritti dei soci o dei creditori della
controllata, quando il danno risulta mancante alla luce del risultato complessivo dell’attività
di direzione e coordinamento, ovvero integralmente eliminato anche a seguito di operazioni a
ciò dirette.
3. In molti casi la crisi non è soltanto di natura finanziaria, di frequente a questa si aggiungono
problemi di natura economica, dovuti alla presenza di costi troppo gravosi rispetto
alla redditività dell’organizzazione aziendale.
In presenza di queste situazioni la ristrutturazione del debito, può realizzarsi solo attraverso
la negoziazione, tra creditori e imprenditore in stato di crisi, di un accordo che preveda
anche una «riorganizzazione» aziendale, attraverso interventi sul piano societario, industriale
e finanziario.
In tale prospettiva potranno essere previsti la dismissione di cespiti e di attività ritenute
non strategiche, la riduzione dei livelli occupazionali e/o dell’orario di lavoro, il cambio del
management, l’utilizzo delle risorse disponibili per lo sviluppo di determinati settori di attività
o prodotti, la modifica delle politiche commerciali e di marketing, la razionalizzazione dei costi
della rete distributiva, ecc.

Parte II - Giurisprudenza 45
2011, ha esteso il programma strategico fino al 2013, con crescente attenzione
per la riduzione dei costi, e tenendo conto di una riduzione del volume
dei ricavi; ha previsto la progressiva dismissione di cespiti immobiliari
(linea Investment and property) in vista della riduzione dell’indebitamento
finanziario; ristrutturazione dell’indebitamento finanziario tramite sottoscrizione
ed esecuzione dell’accordo ex art. 182 bis legge fallim.; rafforzamento
della struttura patrimoniale della ricorrente e dell’intero gruppo mediante
due aumenti di capitale per complessivi euro 50 milioni.
Al 31 dicembre 2008 la ricorrente aveva un indebitamento verso banche
di 94,6 milioni di euro, ed ha raggiunto con tali creditori e con altre società
del gruppo Gabetti (anch’esse creditrici della ricorrente) che rappresentano
il 93% dei propri debiti complessivi, un accordo di ristrutturazione dei de-
In tal modo l’accordo di ristrutturazione, condiviso con i creditori diverrà il percorso che
l’imprenditore dovrà seguire per realizzare il risanamento dell’impresa.
Altrettanto delicata rispetto alla fase preliminare di formazione del consenso è quella esecutiva,
anche in considerazione della durata, normalmente pluriennale della stessa.
Al fine di favorire e, successivamente garantire la realizzazione degli accordi di ristrutturazione,
le parti potranno prevedere, almeno nei casi di imprese medio-grandi, che i rapporti
tra loro siano intrattenuti per il tramite di organismi di consultazione e di controllo creati appositamente,
ai quali potrà essere attribuito anche un potere di rappresentanza negoziale, al
fine di semplificare i rapporti tra imprenditore in crisi e creditori partecipanti all’accordo ( 9 ).
In considerazione dell’importanza e della reciproca fiducia, sulla effettività e consequenzialità
degli impegni assunti nell’ambito del complessivo disegno di ristrutturazione, potrà addivenirsi
all’attribuzione della gestione del piano a soggetti graditi al ceto creditorio o addirittura
da questo designati.
In tal senso gli accordi di ristrutturazione potranno prevedere la sostituzione degli organi
sociali o comunque del management, posto che la scelta di affidare la negoziazione e l’attuazione
del piano a consulenti specializzati nella gestione di imprese in crisi, potrà tranquillizzare
i creditori, mettendoli in condizione di accettare anche il rischio connesso ad alcune decisioni
aziendali, La fiducia personale e la procedimentalizzazione dei rapporti possono costituire
in molti casi ragioni di successo degli accordi, in quanto favoriscono il superamento di
contrasti e resistenze anche di natura psicologica.
Il conseguimento di questi obiettivi può essere favorito attraverso la creazione di strutture
partecipative che consentendo ai creditori di confrontarsi tra loro e di ottenere informazioni
più complete.
( 9 ) In tal modo il singolo creditore non avrà diretta cognizione delle informazioni messe a disposizione dall’imprenditore
in crisi, al contempo l’imprenditore non avrà una relazione personale e diretta con i singoli creditori,
tuttavia entrambi demanderanno ad altri l’attività di negoziazione, verifica della fattibilità del piano e controllo
della sua puntuale e profittevole esecuzione. Cfr. G Fauceglia, Accordi di ristrutturazione dei debiti, commento
sub Art. 182 bis, legge fallim., inCodice commentato del fallimento, diretto da G. Lo Cascio, Ipsoa, 2008,
pag. 1605 e segg.; L. Boggio, Gli accordi di salvataggio delle imprese in crisi, Milano, 2007, pag. 7 e segg.; E.
Frascaroli Santi, Gli accordi di ristrutturazione dei debiti, Padova, 2009, pag. 112 e segg.; Ambrosini S.,
Il Concordato preventivo e gli accordi di ristrutturazione dei debiti, inTrattato di diritto commerciale, diretto da
G. Cottino, Padova, 2008, pag. 157 e segg.

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Il diritto fallimentare e delle società commerciali - n. 1-2011
biti sottoscritto il 24 aprile 2009 che prevede, tra l’altro, la razionalizzazione,
la pattuizione di nuova scadenza e la ridefinizione dei termini economici
e contrattuali dell’indebitamento finanziario della stessa Gabetti Property
Solutions soc. per az., e di altre società del gruppo Gabetti.
L’accordo prevede, oltre alla ristrutturazione predetta, la revoca del
Questo modello, in un primo momento storico è stato utilizzato soprattutto da aziende
di gradi dimensioni ( 10 ) (es. Belleli, Cameli, Ferruzzi, Montedison ecc.), oggi invece a seguito
dell’introduzione del nuovo art. 182 bis. l’utilizzo di questi modelli potrà essere esteso anche
ad aziende di dimensioni medio-piccole.
Occorre osservare come l’obiettivo principale dell’accordo di ristrutturazione rappresentato
dal superamento della situazione di crisi, non richiede necessariamente la continuazione
dell’attività di impresa in capo all’originario titolare, in quanto, soprattutto nei casi in cui il
dissesto è più grave, e si intenda comunque procedere al salvataggio dell’impresa ( 11 ), questo
potrà essere realizzato attraverso la costituzione di un nuovo soggetto giuridico. È il caso ad
esempio, frequente nella prassi, del salvataggio attuato anche mediante la creazione di una
nuova società di capitali, partecipata magari dai creditori o da una parte di essi, in particolare
da quelli bancari, la quale stipula con il titolare dell’impresa in crisi un contratto di affitto di
azienda, risolutivamente condizionato alla mancata accettazione dell’operazione da parte di
un numero sufficiente di creditori e con clausola di conversione in vendita per l’ipotesi di
accettazione da parte dello stesso numero di creditori.
Dunque benché la legge parli di accordi di ristrutturazione dei debiti, in realtà e non diversamente
per ciò che riguarda il piano di risanamento attestato di cui all’art. 67, comma 3
lett. d) legge fallim., il contenuto dell’accordo dovrà, quasi necessariamente pianificare anche
( 10 ) Cfr. F. Bonelli, Nuove esperienze nella soluzione stragiudiziale della crisi delle imprese, inGiur.
Comm., 1997, pag. 488/I e segg.; Panzani, Il Caso Federconsorzi, inIl Fall., n. 9/1996, pag. 849 e segg.; R. Vivaldi,
Il caso Serafino Ferruzzi soc. a resp. lim., inIl Fall., 1996, pag. 343 e segg.; G. Sansone, Il caso Tripcovich,
in Il Fall., 1996, pag. 833: «Pur trattandosi di un fenomeno al quale il legislatore ha dedicato solo poche norme,
questa rinnovata visione nasce, tra l’altro, dalla considerazione che negli ultimi dieci anni, le crisi finanziarie di
importanti gruppi industriali, sono state gestite ricorrendo all’utilizzo di strumenti di natura privatistica.
Le ragioni che inducevano l’imprenditore in difficoltà a ricorrere alla strada degli accordi di salvataggio stragiudiziali
con i creditori, privilegiando questo mezzo anche rispetto al concordato preventivo e all’amministrazione
controllata possono essere così individuate: 1) nei costi rilevanti delle procedure concorsuali; si pensi ad esempio
al compenso del commissario e alle spese di registrazione della sentenza di omologazione del concordato ecc.
2) nella notevole limitazione dei poteri del debitore nella gestione dell’impresa a causa della presenza del commissario
giudiziale oltre che per il regime autorizzativo previsto ex art. 167 legge fallim. per il compimento di una
serie di atti; 3) nell’obbligo di pagare i creditori privilegiati integralmente ed immediatamente subito dopo l’omologazione,
mentre nel concordato stragiudiziale la posizione di questi poteva essere negoziata con maggiore
elasticità; 4) nella difficoltà di procurarsi le garanzie reali o personali necessarie per l’ammissione alla procedura.
Tuttavia la scelta della composizione negoziale della crisi, in mancanza di una disciplina specifica, poteva comportare
una serie di effetti negativi, nell’ipotesi di successivo fallimento, sia per il debitore che per i creditori, con
conseguenze rilevanti sotto il profilo della responsabilità civile e penale, legate al protrarsi dell’attività di una impresa
insolvente: Così C. Costa, La soluzione stragiudiziale della crisi d’impresa, inRiv. Dir. Fall., 1998, pag. 964
e segg.
( 11 ) Piuttosto che alla sua liquidazione, scopo che potrebbe essere comunque conseguito con gli accordi,
dato che la loro finalità risiede nel superamento della crisi dell’impresa, attraversa il salvataggio o appunto la liquidazione.
Cfr. Capobianco E., Gli accordi stragiudiziali per la soluzione della crisi d’impresa. Profili funzionali
e strutturali e conseguenze dell’inadempimento del debitore, inBBTC, 2010, n. 3, parte I, pag. 295 e segg.

Parte II - Giurisprudenza 47
prestito obbligazionario convertibile, l’eliminazione del valore nominale
delle azioni, la delibera della delega al consiglio di amministrazione di approvare
un aumento di capitale a pagamento, scindibile, con opzione a favore
dei soci, per un importo complessivo compreso tra euro 25.136.170 e
un massimo si euro 26.136.170 a un prezzo di emissione determinato sulla
altre operazioni di «riorganizzazione» societaria ( 12 ), che possono diventare strumentali alla
realizzazione della vera e propria «ristrutturazione del debito».
I grandi creditori infatti valuteranno, senza dubbio, la capacità dell’impresa di permanere
nel circuito economico, riprendendo a produrre reddito e non sempre si accontenteranno
di remissioni del debito, concedere dilazioni ed erogare nuova finanza.
Essi spesso cercheranno di realizzare forme di controllo sulla gestione dell’impresa.
Inoltre stante la previsione del regolare pagamento dei creditori estranei, che costituisce
uno degli aspetti caratterizzanti dell’istituto, il programma di ristrutturazione dovrà delineare
uno scenario futuro, in cui l’attività d’impresa anche attraverso la liquidazione e il trasferimento
di asset, sia in grado di consentire il pagamento dei creditori estranei all’accordo, avvantaggiandosi
dal punto di vista fiscale anche del regime delle plusvalenze, rinvenienti dalle
rinunzie o dalle dilazioni effettuate dai sottoscrittori.
Il contenuto dell’accordo dunque, è più ampio della semplice ristrutturazione del debito,
potendosi scindere il contenuto in due parti fra loro collegate.
Da un lato infatti si pongono i contenuti che incidono direttamente sul debito e ne realizzano
tipicamente la ristrutturazione.
Questi possono essere a livello più semplice, le transazioni, le remissioni del debito, la
dilazione di termini, la rinuncia agli interessi, ma anche l’emissione di titoli di debito.
Dall’altro lato invece, si potrà prevedere, sotto l’aspetto societario ( 13 ) la conversione di
crediti in capitale, attraverso degli aumenti di capitale sottoscritti con il meccanismo della
compensazione; l’erogazione di nuova finanza dietro presentazione di garanzie.
4. Per quanto concerne il contenuto e le caratteristiche della relazione sull’attuabilità dell’accordo,
questa dovrà riguardare, secondo quanto dispone l’art. 2501 bis comma 4 e 2, la
ragionevolezza del piano di ristrutturazione, specificando le risorse finanziarie previste per il
pagamento dei creditori estranei all’accordo.
La consegna della relazione esaurisce l’attività del professionista, salvo successive integrazioni
e delucidazioni eventualmente richieste anche in sede di omologa ( 14 ).
La relazione si dovrà concludere con un giudizio finale di attuabilità o meno dell’accordo,
cioè con un’attestazione positiva o negativa, in quanto il dettato legislativo non lascia spazio
ad altre soluzioni, che ad esempio sottopongano l’attestazione a termini, condizioni o riserve
( 15 ).
( 12 ) Cfr. Guerrera F. e Maltoni M., Concordati Giudiziali e operazioni societarie di «riorganizzazione»,
in Riv. Dir. Soc., 2008, pag. 35 e segg., nonché inwww.notariato.it, Studio n. 77-2007/I.
( 13 ) Cfr. Guerrera F. e Maltoni M., Concordati Giudiziali e operazioni societarie di «riorganizzazione»,
in Riv. Dir. Soc., 2008 pag. 35 e segg., nonché inwww.notariato.it, Studio n. 77-2007/I.
( 14 ) Bello, Il nuovo diritto della crisi d’impresa e del fallimento (a cura di), F. Di Marzio, Milano,
2006, 494.
( 15 ) In questi casi infatti il tribunale non potrebbe che dichiarare inammissibile la domanda, per mancanza
di uno dei presupposti di legge richiesti per il suo accoglimento.

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Il diritto fallimentare e delle società commerciali - n. 1-2011
base della media ponderata delle quotazioni del titolo Gabetti dell’ultimo
semestre antecedente alla data della delibera del consiglio di amministrazione,
negoziabili – separatamente rispetto alle azioni ordinarie GPS – sul
Mercato telematico azionario gestito da Borsa Italiana soc. per az., assegnati
gratuitamente nel numero di un warrant per ogni azione da emettere, esercitabili
in ogni momento fino al 31 dicembre 2013.
Ed ancora, è programmato un ulteriore aumento di capitale fino ad un
massimo di euro 35 milioni, al servizio dei warrant; oltre ad un aumento di
capitale a pagamento, scindibile, riservato alle Banche, per euro 25 milioni,
mediante emissione di azioni di categoria B da liberarsi mediante compensazione
con un pari importo dei crediti delle Banche a un prezzo di
emissione pari al prezzo di emissione di cui all’aumento di capitale sopra
descritto.
È dibattuto in dottrina se il professionista debba garantire la veridicità dei dati aziendali
o se invece egli debba limitarsi ad un esame documentale.
Secondo una prima prospettiva ( 16 ) il controllo del professionista, dovrebbe essere solo
documentale, in quanto nell’esercizio dello stesso occorrerebbe presumere, se non emergono
elementi contrari, la veridicità delle scritture in quanto oggetto della relazione non è la verifica
dell’attendibilità dei dati aziendali, ma la previsione di regolare pagamento dei creditori
estranei, in base a quei dati.
Tuttavia è chiaro che il professionista non potrà recepire acriticamente dati contabili
che siano palesemente contraddittori, dovendo comunque effettuare un controllo documentale
( 17 ).
Sembra pertanto preferibile ritenere che il professionista debba comunque garantire la
veridicità dei dati aziendali, costituendo essi il presupposto del giudizio di fattibilità dell’accordo,
in questa attività, pertanto, egli non potrà limitarsi a garantire la mera corrispondenza
tra i dati utilizzati nel piano e la contabilità aziendale, dovendo invece garantire l’esattezza dei
dati aziendali sui quali si basa l’accordo.
La mancanza di un giudizio di attendibilità dei dati aziendali priverebbe di fondamento
la successiva attestazione di attuabilità dell’accordo e la sua idoneità ad assicurare il pagamento
dei creditori estranei ( 18 ).
Nelle imprese di dimensioni medio grandi data l’impossibilità di eseguire una verifica di
tutti i dati aziendali in tempi ragionevoli e con costi non esorbitanti, è opportuno che il professionista
ponga particolare attenzione agli elementi di maggiore importanza sotto il profilo
quantitativo, con particolare riferimento ai flussi di cassa attesi, nonché agli aspetti che pre-
( 16 ) F. Innocenti, Gli accordi di ristrutturazione dei debiti nel quadro dell’intervento correttivo del 2007:
una possibile soluzione alla crisi d’impresa, inRiv. Dir. Fall., n. 6, 2007, pag. 932; Proto, Gli accordi di ristrutturazione,
cit., pag. 133.
( 17 ) F. Innocenti, op. ult. cit., pag. 933.
( 18 ) Cfr. Tribunale Milano, 10 novembre 2009, (decr.) Pres. Lamanna, Rel. Perrotti, in www.ilcaso.it; Linee
Guida sul Il Finanziamento alle Imprese in Crisi del 2010, pag. 13 e segg., elaborate nell’ambito di un progetto
che ha visto la collaborazione dell’Università di Firenze, del Consiglio Nazionale dei Dottori Commercialisti e
degli Esperti Contabili e dell’Assonime. Il documento è disponibile agli indirizzi: www.unifi.i/nuovodirittofallimentare;
oppure www.cndcec.it, o anche www.assonime.it.

Parte II - Giurisprudenza 49
Il ricorso è accompagnato dalla relazione dell’esperto prescritta dall’art.
182 bis legge fallim., il quale ha attestato l’attuabilità dell’accordo, con particolare
riguardo all’esattezza dei dati di partenza sui quali l’accordo stesso
si fonda, e sull’attuabilità della convenzione medesima, unitamente al piano
industriale strategico di cui esso costituisce parte integrante, con speciale
riguardo al controllo del raggiungimento della percentuale richiesta dalla
legge (oltre il 60%) ed all’idoneità ad assicurare l’integrale e tempestivo pagamento
dei creditori non aderenti all’accordo. Nella relazione dell’esperto
si legge che oltre all’accordo sulla sottoscrizione di azioni di categoria B, è
stata accettata la modifica del tasso di interesse relativamente alle linee ipotecarie,
nonché del termine di pagamento degli interessi maturati, prorogato
al 31 dicembre 2009, ed è stato prorogato di dodici mesi il periodo entro
il quale possono essere erogati e utilizzati da Myrsine soc. a resp. lim. i fi-
sentano possibili rischi ai fini dell’attestazione e alla mancanza di elementi che destino sospetti
in relazione alla veridicità delle rappresentazioni contabili dei fatti di gestione.
In linea con questa interpretazione, la giurisprudenza ( 19 ) ha valutato negativamente un
accordo di ristrutturazione, per il quale vi era una relazione molto generica sulla fattibilità del
piano, e da cui non risultava quale fosse la percentuale dei creditori aderenti e quindi se fosse
stata raggiunta la soglia del 60% dei crediti.
È chiaro poi che l’oggetto dell’attestazione dipenderà dall’ampiezza del contenuto dell’accordo.
Un elemento che differenzia e caratterizza l’attività del professionista di cui all’art. 182
bis, rispetto alla disciplina del concordato preventivo, è la circostanza che esso non dovrà soltanto
attestare in maniera generica la fattibilità e la attuabilità del piano, ma dovrà attestare
altresì l’idoneità dell’accordo ad assicurare il regolare pagamento dei creditori estranei.
La relazione pertanto dovrebbe descrivere in maniera dettagliata le attività destinate al
pagamento dei creditori estranei, l’effettiva possibilità dell’accordo di ristrutturazione di generare
la liquidità necessaria, nel caso in cui lo stesso non contenga già l’indicazione di una
somma vincolata per tale finalità.
Costituendo la valutazione della veridicità dei dati aziendali un presupposto logico indefettibile
della relazione redatta dal professionista, ed essendo questa valutazione assoggettata,
attraverso l’omologazione, ad un giudizio di conformità ad un modello legale, deve ritenersi
che il fallimento dell’impresa, in seguito all’omologazione, non possa far sorgere alcuna responsabilità
del professionista attestatore, il cui operato è stato già oggetto di un giudizio positivo
da parte del giudice in sede di omologa.
Sarebbe infatti eccessivamente gravoso, attribuire al professionista attestatore una indistinta
responsabilità per un ipotetico danno causato alla massa dei creditori, danneggiata da
un’eventuale ritardato fallimento o da atti di disposizione del patrimonio dell’impresa fallita,
attuati in esecuzione dell’accordo omologato.
D’altro canto le vicende dell’impresa, anche successive all’omologazione dell’accordo,
sono conseguenza soprattutto di scelte strategiche del management e di fattori di mercato, e
( 19 ) Cfr. Tribunale Bari, 21 novembre 2005, in Fall., 2006, pag. 169 e segg.

50
Il diritto fallimentare e delle società commerciali - n. 1-2011
nanziamenti concessi da Unicredit Banca con i contratti stipulati il 15 dicembre
2006. In termini analoghi è stato poi ristrutturato il debito chirografario
(identica modifica del tasso d’interessi; slittamento del termine di pagamento
interessi al 31 dicembre 2010; rimborso in parallelo con la dismissione
dei cespiti immobiliari).
Il Tribunale è competente a decidere, tenuto conto che tutte l’imprenditore
ha la sede legale nel circondario del Tribunale di Milano.
Appare poi adeguatamente motivata la relazione dell’esperto (dr. Giovanni
La Croce), redatta unitariamente per l’intero gruppo. Essa contiene,
ad avviso del Collegio, ed anche alla luce del contenuto della nota integrativa
datata 8 giugno 2009, un adeguato livello di approfondimento dei dati
di partenza, accompagnato da valutazioni inerenti all’intero piano strategico
coinvolgente il gruppo Gabetti, che appare coerentemente motivato sotto il
profilo della ragionevole prospettiva di riuscita del piano medesimo, sia pure
con gradi diversi di positività della prognosi, in relazione ai singoli rami
di attività del gruppo.
non certo delle prospettazioni del professionista attestatore, a loro volta confermate dal giudice
dell’omologa ( 20 ). Ciò trova oggi un’ulteriore conferma nella recente introduzione dell’art.
217 bis nella legge fallimentare ad opera della legge n. 122/2010, con il quale sono
state previste delle ipotesi di esenzione dai reati di bancarotta semplice e c.d. preferenziale
con riguardo ai pagamenti e agli atti attuativi di un accordo di ristrutturazione dei debiti
omologato.
5. Problemi particolari, nella determinazione della percentuali di adesione all’accordo, si
pongono laddove la ristrutturazione veda all’interno dello stesso gruppo societario, alcune società
quali proponenti l’accordo e altre nella veste di creditori aderenti.
Di recente questa problematica è stata portata all’attenzione del Tribunale di Milano ( 21 ),
nell’ambito della procedura di omologa di alcuni accordi di ristrutturazione dei debiti (art.
182 bis), depositati da nove società proponenti, appartenenti a due distinti gruppi societari:
il «gruppo Risanamento soc. per az.» e il «gruppo Zunino soc. per az.», a loro volta collegati fra
loro, ciascuno composto da decine di società. Gli accordi di ristrutturazione hanno coinvolto,
nella veste di creditori aderenti anche numerose società appartenenti ai due gruppi, pertanto
un profilo problematico, che la struttura di gruppo in cui erano organizzate le società proponenti,
ha fatto emergere, è stato quello di determinare i criteri di calcolo della percentuale
minima del sessanta per cento dei crediti, laddove ad aderire agli accordi siano anche altre
società dello stesso gruppo e sussistano rapporto credito/debito in senso inverso, tra la società
proponente e quella aderente.
( 20 ) Sul contenuto del giudizio di omologa cfr. A. Patti, Crisi d’impresa e ruolo del giudice, Milano, 2009,
pag. 76; L. Montesano e G. Arieta, Le Tutele Camerali Autorizzative - Omologatorie, inTrattato di diritto
processuale civile, Padova, 2003, Vol. II/2, pagg. 1285 e segg.
( 21 ) Cfr. Tribunale Milano, 10 novembre 2009 (Decr.): Pres. Lamanna, Rel. Perrotti, in Dir. Fall., n. 3-4
2010, pag. 343 e segg., con nota di M. Galardo.

Parte II - Giurisprudenza 51
L’esperto, nella relazione ex art. 182 bis legge fallim. ha compiuto con
adeguato approfondimento la verifica dei dati aziendali di partenza, spiegando
di avere concentrato il proprio lavoro su un analitico controllo delle
principali poste critiche del capitale circolante e della loro valorizzazione
nel piano. Ha precisato infatti che Gabetti è società quotata in borsa, e il
cui bilancio civilistico e consolidato è certificato da una primaria società
di revisione. In particolare, l’esperto ha riferito di avere nominalmente verificato
i crediti scaduti valutando le singole criticità di incasso, avuto riguardo
ai piani di rientro concordati ed alla solvibilità dei principali debitori;
i valori delle rimanenze sono stati confrontati con quelli della perizia
del febbraio 2009 fatta effettuare da un primario operatore internazionale,
e, quando possibile, anche con i corrispettivi di vendita di immobili simili
negli stessi stabili; per l’esposizione debitoria ai rischi di soccombenza nei
giudizi pendenti.
Nel corso del procedimento di omologazione di quegli accordi ( 22 ) infatti, il Pubblico
Ministero aveva contestato la correttezza dei criteri adottati per il computo di dette percentuali,
ritenendo che con riguardo alle adesioni provenienti da altre società, controllate, controllanti
o collegate, del medesimo gruppo, si dovesse procedere alla preventiva compensazione
dei rapporti debito/credito maturati infragruppo.
Il Tribunale Milano, nel discostarsi da tale interpretazione, ha evidenziato invece, l’inapplicabilità,
anche analogica dell’art. 127 legge fallim., che in tema di concordato fallimentare
esclude dal computo delle maggioranze i crediti delle società controllanti, controllate o sottoposte
a comune controllo.
Quest’ultima opzione interpretativa è sicuramente preferibile, in quanto più aderente alla
natura giuridica di questo istituto ( 23 ).
L’esclusione dell’applicabilità analogica dell’art. 127 legge fallim. consegue infatti al riconoscimento
della fisionomia autonoma degli accordi di ristrutturazione rispetto, ai concordati
di matrice giudiziale, in quanto oggetto di una disciplina eccezionale e come tale non suscettibile
di estensione analogica.
Deve infatti evidenziarsi la assoluta diversità strutturale delle posizioni obbligatorie nelle
due discipline.
L’adesione dei creditori negli accordi di ristrutturazione, rappresenta infatti una manifestazione
di volontà di tipo negoziale ( 24 ), traducendosi in un impegno diretto di natura sostanziale,
finalizzato all’assunzione di un vincolo contrattuale, al quale si applicherà il principio
di relatività degli effetti negoziali (art. 1372 comma 2 cod. civ.).
Al contrario, il voto nell’ambito del concordato, è un elemento che concorre al perfezionamento
di una fattispecie articolata in senso procedimentale, nell’ambito della quale il voto
serve solo ad esprimere il consenso in ordine all’ipotesi sattisfattiva prospettata.
( 22 ) Si tratta di Tribunale Milano, 10 novembre 2009 (Decr.): Pres. Lamanna, Rel. Perrotti, in Dir. Fall., n.
3-4, 2010, pag. 343 e segg., con nota di M. Galardo.
( 23 ) Tribunale Milano, 23 gennaio 2007, (decr.).
( 24 ) Così G. Fauceglia, Gli accordi di ristrutturazione dei debiti (commento sub art. 182 bis legge fallim.),
in Codice Commentato del Fallimento, diretto da G. Lo Cascio, Ipsoa, 2008, pag. 1614.

52
Il diritto fallimentare e delle società commerciali - n. 1-2011
Il dr. La Croce ha inoltre ragionatamente attestato la prognosi favorevole
di riuscita del piano strategico, specificando che i crediti scaduti da
soddisfare integralmente troveranno soddisfazione con le risorse già disponibili.
L’aumento di capitale si appalesa – a suo dire – risolutivo, ed ha valutato
poi positivamente il progetto industriale Agency, considerandolo adeguato
a conseguire gli obiettivi di contenimento dei costi (già realizzato attraverso
la riduzione del personale), che ha già comportato la riduzione di
259 posti di lavoro dipendente e di 178 rapporti di collaborazione con incentivazione
all’esodo. Il ricorso al sistema organizzativo del franchising (già
realizzato per 42 agenzie nei primi due mesi del 2009), ha portato l’esperto
a concludere che in tal modo si può raggiungere il risultato della diversificazione
del rischio.
La prospettiva di dismissione dei cespiti immobiliari, che costituisce
uno dei cardini del piano industriale, è stata poi giudicata realizzabile dall’esperto,
sia in termini di tempi sia di valori, per le ragioni già indicate. Il
dr. La Croce ha inoltre formulato gradi diversi di considerazione positiva in
ordine alle altre linee di operatività del Gruppo, senza tuttavia esprimere
apprezzamenti negativi di inidoneità.
L’accordo è stato depositato presso il Registro delle imprese in data 28
aprile 2009, ed inoltre pubblicizzato sul sito Internet del Tribunale di Milano.
Nel termine di trenta giorni previsto dalla legge non sono pervenute opposizioni.
Da tutto ciò deriva, anche in ragione della mancanza di contestazioni,
che non vi sono ostacoli all’omologazione dell’accordo per ciascuna società
del Gruppo.
P.Q.M., il Tribunale di Milano omologa l’accordo di ristrutturazione
presentato da Gabetti Property Solutions soc. per az. con ricorso depositato
il 28 aprile 2009 ed iscritto nel Registro delle imprese in pari data incaricando
il Cancelliere della comunicazione del presente decreto al competente
Registro delle imprese per la pubblicazione.
Inoltre nel concordato la volontà della maggioranza vincola anche i dissenzienti, e in ciò
risiederebbe la ratio della limitazione introdotta dal legislatore nell’art. 127 legge fallim. con
riferimento al voto espresso da società creditrici, appartenenti al medesimo gruppo, essa risponderebbe
cioè all’esigenza di limitare gli effetti della manifestazione di volontà di questa
maggioranza. Limitazione peraltro prevista soltanto con riguardo alla disciplina del concordato
fallimentare e non anche in tema di concordato preventivo.
Deve inoltre escludersi la possibilità di considerare questa un’ipotesi di compensazione
legale, in considerazione della disponibilità dei diritto che ne forma oggetto.
Maurizio Galardo

TRIBUNALE DI MILANO
Ottava Sezione Civile
6 ottobre 2008
Pres. Ciampi - Giudice Rel. Fiecconi - Giudice Vanicelli
Cirillo ed altri c. Italaudit Soc. per az.
Amministrazione straordinaria delle grandi imprese insolventi - Responsabilità
del revisore - Caso ‘‘Parmalat’’ - Tutela dell’investitore - Obblighi
informativi
(Artt. 155 e 164 T.U.F.; D.L. 23 dicembre 2003, n. 347)
Amministrazione straordinaria delle grandi imprese insolventi - Responsabilità
del revisore - Caso ‘‘Parmalat’’ - Tutela dell’investitore - Obblighi
informativi
(Artt. 155 e 164 T.U.F.; D.L. 23 dicembre 2003, n. 347)
L’interesse degli investitori a orientare liberamente le proprie scelte negoziali
di investimento e disinvestimento sulla base di corrette informazioni risulta
direttamente protetto dalla norma di cui all’art. 164 T.U.F., nell’ambito
della quale la tutela offerta in via immediata e diretta alla sicurezza del mercato
e all’interesse generale al corretto svolgimento degli scambi finanziari corre
in parallelo con la tutela espressamente accordata ai terzi investitori-risparmiatori
( 1 ).
L’accertamento della sussistenza del nesso di causalità tra l’inadempimento
del revisore agli obblighi di cui all’art. 155 T.U.F. e i danni patiti dai terzi
deve fondarsi su un giudizio ipotetico avente ad oggetto la comparazione tra il
comportamento effettivamente tenuto dall’investitore e quello che lo stesso investitore
avrebbe posto in essere qualora fosse stato correttamente informato.
In questa prospettiva, il canone in base al quale svolgere tale giudizio ipotetico
non può che essere fondato sul comportamento tipico che un investitore di
media ragionevolezza, correttamente informato, avrebbe tenuto nelle condizioni
di mercato del termpo in cui si è realizzato l’inadempimento del revisore,
visto che la prevedibilità di un evento non è quella riferibile al singolo soggetto
contraente, bensì quella astratta inerente ad una data categoria di rapporti,
valutata ex ante secondo le ordinarie regole di comportamento dei soggetti
economici ( 2 ).
( 1-2 ) Sulla responsabilità della società di revisione: spunti minimi dal «caso» Parmalat.
1. Il caso e la soluzione fornita dai giudici ambrosiani. – Con la sentenza in epigrafe il Tribunale
di Milano affronta la questione della responsabilità della società di revisione nei confronti
dei soci e degli obbligazionisti che, estranei al contratto di revisione, siano stati danneg-

54
Il diritto fallimentare e delle società commerciali - n. 1-2011
(Omissis)
Motivi della decisione. – La domanda merita integrale accoglimento per
i seguenti motivi.
Le principali fonti di prova indicate dalle parti sono:
1) la relazione del consulente tecnico del pubblico ministero dottoressa
Stefania Chiaruttini depositata nel procedimento penale aperto innanzi al
tribunale di Milano;
2) le ricostruzioni dei fatti gestionali e dei bilanci fatte dalla società Price
WaterHouse& Cooper soc. per az. (PWC) incaricata dal commissario liquidatore
Bondi;
3) i risultati dell’indagine della Consob e la relativa contestazione della
violazione di norme in ordine alla circolarizzazione dei documenti del 27
maggio 2004;
4) la relazione del commissario straordinario Bondi;
5) le trascrizioni degli interrogatori dei responsabili dell’Audit Maurizio
Bianchi (esecutore materiale dell’attività di certificazione) e Lorenzo Penca
(presidente della società di revisione secondaria) resi all’udienza del 28 gennaio
2008 nel procedimento penale per aggiotaggio pendente innanzi al tribunale
di Milano;
6) il report dell’Audit in relazione al bilancio di Bonlat chiuso al 2002
in cui si evidenziavano le problematiche relative alla documentazione disponibile
in merito agli investimenti di Bonlat nel fondo Epicurum (il documento
non è stato però allegato e prodotto perché sottoposto a sequestro
penale, né la parte convenuta ha insistito per la produzione o l’esibizione
in giudizio);
7) il «limited report review» trasmesso a Deloitte in occasione della revisione
semestrale al 30 giugno 2003 in ordine a correzioni inerenti all’operazione
di swap (per l’importo di A 6.100.000), all’eliminazione dei ricavi di
giati dal negligente svolgimento dell’attività di audit ( 1 ), misurandosi, dunque, con quello che
rappresenta «il» problema per eccellenza in materia di revisione contabile ( 2 ).
La vicenda si può cosi sintetizzare. Un gruppo di azionisti ed obbligazionisti della Parmalat
conveniva in giudizio la Italaudit soc. per az., controllata italiana della G.T. – revisore
( 1 ) La sentenza è stata pubblicata in numerose riviste: in Società, I, 2009, 76 seg., con nota di V. Salafia,
Revisione obbligatoria e responsabilità; inCorr. Giur., 2009, 531 seg., con nota di V. Sangiovanni, La responsabilità
extracontrattuale della società di revisione nel caso Parmalat; inGiur. it., 2009, 8, 1980 seg., con nota di P.
Fiorio, La responsabilità della società di revisione nei confronti degli azionisti e degli obbligazionisti, note a margine
del caso «Parmalat»; in Riv. dir. soc., 2010, 114 seg., con nota di G.M. Buta, La responsabilità della società di
revisione per danni prodotti a terzi da un erroneo giudizio sul bilancio: il caso Parmalat.
( 2 ) Cfr. E. Barcellona, Responsabilità da informazione al mercato: il caso dei revisori legali dei conti, Torino,
2005, 3.

Parte II - Giurisprudenza 55
vendita del marchio Santal (A 13.000.000) e alla rettifica su crediti non esigibili
(A 4.358.000) (doc. 3 di parte convenuta).
La consulenza tecnica effettuata sul gruppo Parmalat riguarda in particolare
l’esame dei bilanci, anche a livello di consolidato di gruppo, così come
ricostruiti dalla società PWC, incaricata di analizzare la situazione creatasi
prima del default. Nella relazione depositata dal CT Chiaruttini si riferisce
che i bilanci delle società del gruppo dal 1999 al 2002 contengono falsità
materiali, irregolarità formali, scarsa e fuorviante informativa (pag. 361
della relazione del CT). Il periodo considerato principalmente dal consulente
del pubblico ministero, pertanto, copre interamente l’arco temporale in
cui i soci attori hanno acquistato titoli azionari e obbligazionari emessi dal
gruppo Parmalat e offerti sul mercato della borsa valori di Milano.
Dovendosi valutare il grado di incidenza che le falsificazioni dei bilanci
certificati dalla convenuta hanno avuto sul bilancio di gruppo, e in particolare
sulla società quotata in borsa emittente di azioni e obbligazioni collocate
sul mercato nazionale della borsa valori, quanto di seguito riportato
cercherà di mettere in evidenza che le prove indicate dall’attore, lungi dal
costituire una semplice enunciazione di fatti notori per i quali sarebbe mancato
l’assolvimento dell’onere probatorio, poggiano su corrette ricostruzioni
contabili e solidi elementi fattuali in relazione ad una ormai nota vicenda di
cui l’attore ha voluto solo rimarcare la risonanza che ha avuto a livello di
economia nazionale e internazionale, anche in termini di coinvolgimento
su larga scala di molti risparmiatori, data l’entità e le dimensioni dell’indebitamento
mascherato al mercato per notevole tempo.
L’elemento distonico di tutta la vicenda è rappresentato dal fatto che
nessun organo di vigilanza, sia esso interno od esterno alla società, privato
o pubblico, è stato per lungo tempo – durato più di due lustri – nelle condizioni
di avvertire alcuni campanelli di allarme che avrebbero dovuto far
destare qualche dubbio sulla liquidità dichiarata dal gruppo, concentrata
primario del gruppo sino al 1998 e revisore solo di alcune società esterovestite dal 1999 sino
alla data di default, vale a dire il 31 dicembre 2003 – per vederla condannata in via extracontrattuale
al pagamento dei danni patiti a causa delle innumerevoli omissioni e del costante
inadempimento ai propri doveri nell’esercizio delle funzioni di audit.
Gli attori contestavano alla società di aver compiuto atti di imprudenza, negligenza ed
imperizia e di aver sistematicamente violato le norme di legge in materia di revisione, vigenti
all’epoca dei fatti di causa ( 3 ), violazioni, in assenza delle quali, non si sarebbe potuto certi-
( 3 ) La disciplina del revisore dei conti è stata, infatti, oggetto di una modifica di tipo sistematico da parte
del d.lgs. del 27 gennaio 2010, n. 39, del 27 gennaio 2010, n. 39, recante disposizioni per l’attuazione della direttiva
2006/43/CE, relativa alle revisioni legali dei conti, entrato in vigore il 7 aprile 2010, sul quale, cfr. diffusamente
infra, par. 2.

56
Il diritto fallimentare e delle società commerciali - n. 1-2011
su società esterovestite, e indurre allo svolgimento di qualche migliore verifica
dei dati di bilancio: basti pensare che l’ammontare della liquidità
complessivamente iscritta nelle scritture contabili del gruppo Parmalat
raggiunge, a partire dal 1997, livelli che, pur considerando le ragguardevoli
dimensioni del gruppo, il Ct Chiaruttini definisce essere esorbitanti (e
in tale periodo la società convenuta aveva l’incarico di revisore di tutto il
gruppo). A partire dal 1999, una porzione della liquidità iscritta nei consolidati
Parfin (società finanziaria del gruppo controllante Bonlat) deriva
dalla partecipata Bonlat ed è liquidità completamente inesistente; mentre,
la restante porzione della liquidità èiscritta nei bilanci delle partecipate
BV e Parmalat Netherlands BV e si correla all’indebitamento per le emissioni
di titoli obbligazionari avvenute acavallodeivarieserciziche,come
si vedrà, sono state permesse grazie all’apparente liquidità che si era creata
all’interno del gruppo.
È significativo che, ad esempio, per l’anno 2002, il raffronto tra la consistenza
della liquidità iscritta nel bilancio consolidato Parfin (la finanziaria
del gruppo) e quella iscritta nel consolidato dei principali gruppi italiani
operanti nel settore alimentare, nonché quella di alcuni gruppi alimentari
operanti su scala internazionale, porta alla immediata considerazione di
una evidente sproporzione tra la consistenza della liquidità iscritta nel consolidato
del gruppo Parmalat e quella iscritta nei consolidati dei gruppi presi
in esame al titolo comparativo (cfr. pag. 144 rel. in atti). Pur trattandosi di
un rilievo comparatistico non in grado di valere da solo a fini valutativi, si
tratta comunque di un elemento del tutto trascurato da parte di coloro che
erano incaricati a svolgere l’attività di controllo contabile, non potendo
sfuggire agli occhiuti professionisti del settore che tra i ricavi ottenuti dal
gruppo dalle varie attività e la liquidità dichiarata vi era già in partenza
ficare il bilancio della società revisionata e, conseguentemente, quest’ultima non avrebbe potuto
quotarsi in borsa né avrebbe potuto indebitarsi sul mercato mediante consistenti e ripetute
emissioni di titoli obbligazionari.
I giudici ambrosiani, nel merito, ritengono fondate le domande attoree, rilevando innumerevoli
omissioni a carico della convenuta nell’espletamento delle proprie funzioni ( 4 ), attra-
( 4 ) In particolare, alla società di revisione viene addebitato di aver svolto controlli solo formali, omettendo
sistematicamente di verificare la corrispondenza tra i dati contabili e i «fatti di gestione»; di aver omesso le verifiche
necessarie nel corso dell’esercizio sociale; di non aver rispettato, nell’effettuare i controlli, la c.d. procedura
di circolarizzazione (si tratta di una procedura prevista nei Principi di Revisione n. 505, paragrafo 30, n. 505,
paragrafo 33 e n. 610, paragrafo 16), che impone la richiesta di informazioni direttamente ai terzi che intrattengono
rapporti di qualsiasi natura con la società revisionata, non ritenendosi sufficientemente attendibili le informazioni
fornite, a tal proposito, da quest’ultima; di aver avuto, infine, un atteggiamento di totale acquiescenza di
fronte ai numerosi comportamenti omissivi e censurabili degli amministratori, che avrebbero, al contrario, dovuto
essere oggetto di denuncia al collegio sindacale.

Parte II - Giurisprudenza 57
una notevole sproporzione tale da far suscitare ragionevoli dubbi sulla correttezza
dei dati contabili e delle informazioni date dal gruppo al mercato.
Se la grossolanità delle irregolarità accertate mette certamente in rilievo
come nella catena dei controlli sia sostanzialmente mancata la dovuta verifica
delle informazioni rilasciate al mercato da parte di tutti gli addetti del
settore, privati o pubblici, questo tuttavia non significa che le responsabilità
personali giuridiche possano elidersi a vicenda. La società di Audit convenuta
è chiamata a rispondere degli omessi controlli evidenziatisi nel corso
della sua attività di certificazione dei bilanci di alcune società del gruppo,
emersi in seguito a una normale attività di revisione dei dati di bilancio.
Un diligente controllo dei conti da parte della società di Audit che certifica
i bilanci, difatti, si porge da sé quale valido filtro di quasi ogni possibile distorsione
delle informazioni rilasciate al mercato dai vari operatori del gruppo
societario e del mercato in generale.
Entrando nel dettaglio delle irregolarità di bilancio accertate, riferibili al
particolare ruolo svolto dalle partecipate esterovestite revisionate dalla società
di revisione convenuta si sono così riscontrate le seguenti irregolarità
formali e sostanziali.
a) Falsità materiali. – Nel periodo preso in considerazione l’indebitamento
finanziario è costantemente cresciuto sino a pervenire, alla data
del default (23 dicembre 2003), alla considerevole somma di A 14,1 miliardi
di euro; oltre la metà di detto importo (A 7,7 miliardi) risale all’anno 1998.
La società di revisione Grand Thornton (GT) sino al 1998 ha revisionato
il bilancio di tutte le società del gruppo, compreso il bilancio consolidato;
dal 1999 in poi ha certificato i bilanci di alcune delle società che
facevano parte del gruppo Parmalat come società di revisione secondaria,
essendo stata affidata la revisione primaria alla Deloitte dopo la scadenza
del mandato. In particolare la società di revisione GT ha sempre certificato
i bilanci delle società Curcastle – Zilpa – e Contall (di diritto antillano)
e della società Bonlat (di diritto caymano), costituita nel 1998 da Fausto
Tonna, amministratore delegato di Parmalat soc. per az., al fine di convogliarvi
i crediti ormai in sofferenza acquistati in precedenza dalle società di
diritto antillano.
GT pertanto ha mantenuto l’incarico di revisione per alcune società, so-
verso una sostanziale e sistematica violazione delle norme contenute negli artt. 155 segg.
T.U.F. e dei Principi di Revisione Contabile, che hanno permesso, sino all’ultimo momento
di vita del gruppo, la copertura di una lunga serie di irregolarità nella redazione dei bilanci
delle società estere del gruppo, sottoposte a revisione dalla G.T., che quest’ultima, utilizzando
la diligenza professionale impostale, avrebbe potuto – e dovuto – rilevare.
Il Tribunale di Milano, individuati i gravi inadempimenti della società di audit, manca,
tuttavia, di prendere posizione sulla natura della responsabilità del revisore nei confronti dei
terzi e limitandosi ad affermare che «l’ampiezza e la gravità delle condotte (...), indicate come

58
Il diritto fallimentare e delle società commerciali - n. 1-2011
prattutto nel comparto estero, le quali si sono rivelate strategiche ai fini della
costruzione di falsa liquidità e redditività del gruppo.
Sino al 1998 nei bilanci esaminati dal consulente sono stati riscontrati
numerosi falsi grossolani mediante interventi diretti sui bilanci civilistici e
rettifiche sul consolidato, anche in carenza di supporto documentale.
Le falsificazioni materiali in generale attengono a indicazioni di crediti
falsi, mancata svalutazione dei crediti non più esigibili, ricorso al credito
bancario mediante operazioni di irregolare cartolarizzazione del credito
(«securitization» nel gergo finanziario) che hanno consentito al gruppo di
ottenere la combinazione di tre risultati favorevoli alla società:
1) aumentare il fatturato;
2) ottenere liquidità mediante ricorso al credito bancario;
3) diminuire il debito verso le banche con operazioni di storno.
Le rettifiche apportate ai bilanci da parte della società PWC permettono
di riscontrare una perdita di oltre il terzo del capitale del gruppo sin dall’anno
1992 e di rilevare che sin dal 1996 l’intero gruppo avrebbe dovuto
considerarsi senza capitale e in stato di insolvenza. Quindi l’attività di falsificazione
materiale dei dati contabili è servita a mascherare una situazione
di perdita di capitale e di insolvenza in un arco di tempo in cui GT ha operato
come certificatore primario di tutte le società appartenenti al gruppo.
Nel 1999, allorché GT opera come società di revisione secondaria della
società Bonlat (cfr. pag. 367 e seg. della relazione della dottoressa Chiaruttini),
le falsità materiali si raffinano perché da interventi correttivi incidenti
solo sui dati dei bilanci civilistici e sul consolidato si passa a creare un supporto
contrattuale fittizio delle operazioni da riportare nei bilanci, e dunque
si comincia a fornire una base documentale formale di documenti falsi a
supporto delle poste di bilancio.
In merito alle appostazioni che appaiono nel bilancio di Bonlat – dal
1999 in poi – e delle altre due società di diritto antillano, il CT riferisce
che si tratta di dati inverosimili e incongruenti poiché:
1) si tratta di operazioni di riacquisto di prestiti obbligazionari con falsa
liquidità che appare in un conto presso la Bank of America (BofA), le quali
vengono riclassificate come «debiti intercompany» anziché come debiti della
società;
fonte primaria della responsabilità aquiliana dell’ente verso i terzi» sarebbero tali da rendere
superfluo l’approfondimento di «argomenti teorici tutto sommato non decisivi», essendo pacifico
– proseguono i giudici ambrosiani – che «diversi atteggiamenti d’inosservanza di norme
di comportamento professionale, legislativamente tipizzati, quali quelli rivolti agli amministratori
e ai sindaci di società di capitali, possono determinare il simultaneo concorso delle
due fattispecie di responsabilità – contrattuale ed extracontrattuale – verso la società, i soci
ed i creditori».
Affrontati i problemi relativi alla natura della responsabilità, il collegio meneghino giun-

Parte II - Giurisprudenza 59
2) sono confezionati da Bonlat «participation agreements» fittizi, in modo
da trasferire liquidità fittizia a partecipate del gruppo per consentire loro
di accedere facilmente al credito bancario (p. 373, con tabella di riepilogo
dei singoli falsi dal 1999 al 2002);
3) sono create da Bonlat operazioni di swap fittizie (v. operazioni di acquisto
di titoli derivati con Sumitomo Bank per 159 milioni di dollari e con
il fondo Epicurum per 500 milioni di euro) che portano a fare apparire nei
bilanci ricavi fittizi: nel fondo Epicurum, costituito da Bonlat in corrispondenza
all’emissione di obbligazioni – nel 2003 – da parte della finanziaria
del gruppo, vengono convogliati 500 milioni di euro in titoli fittizi (pag.
378 e tab. 50) che, come nella loro apparenza hanno determinato un rafforzamento
dei titoli Parmalat (inseriti nel 2003 negli indici MIB 30 della borsa
italiana), nel momento in cui hanno rivelato al mercato la loro inconsistenza
hanno fatto emergere la situazione di default di tutto il gruppo.
La società Bonlat viene definita dal CT quale «stamperia di fatture false»
del gruppo Parmalat perché, sebbene fosse una società completamente
controllata dalla Parmalat Finanziaria soc. per az. (Parfin), e quindi posta al
di sotto della controllante, funzionava in realtà quale fabbrica di liquidità
del gruppo e custode del finto tesoro, oltre che come intermediatrice di fittizie
operazioni di finanziamento o di forniture di prodotti all’estero (latte
in polvere a Cuba) che alimentavano l’apparenza di redditività dell’intero
gruppo, al fine di bilanciare la falsa liquidità.
In particolare sono messe in evidenza alcune rilevanti operazioni che
vengono registrate sui bilanci di Bonlat e che hanno molto inciso in termini
negativi sul bilancio reale del gruppo:
– fino al 2000, la società ha operato come intermediatrice del business
fittizio di fornitura di latte in polvere a Cuba, sostenuto con fatture false per
ingenti e improbabili quantitativi provenienti da una fornitrice estera del
gruppo (Camfield). L’invenzione del commercio del latte in polvere ha consentito
alla Parmalat di risolvere ogni anno il problema della tenuta dei margini
operativi lordi e netti consolidati e di migliorare la posizione finanziaria
netta del gruppo, posto che i margini derivanti dalla vendita del latte sono
sempre stati cospicui (pag. 370 della relazione Chiaruttini);
– la Bonlat aveva sin dall’inizio fatto apparire un conto corrente fittizio
ge ad affermare l’esistenza di un nesso eziologico tra le condotte omissive e i danni patiti dagli
attori attraverso un giudizio prognostico ex ante, parametrato sul comportamento ipotetico
che un investitore di media diligenza avrebbe tenuto qualora fosse stato correttamente informato,
per, poi, procedere alla quantificazione dei pregiudizi patiti dai risparmiatori, ai quali
viene riconosciuto il diritto al rimborso dell’intero valore dell’investimento.
La sentenza in commento offre lo spunto per alcune (brevi) riflessioni, specialmente alla
luce dell’intervenuta riforma normativa, su due profili particolarmente problematici della materia
in esame, vale a dire il nesso di causalità tra l’inadempimento del revisore ai propri ob-

60
Il diritto fallimentare e delle società commerciali - n. 1-2011
con la Bank of America (BOFA) nel quale la liquidità si creava attraverso il
fittizio incasso di crediti inesigibili o in sofferenza acquistati dalle società del
gruppo Parmalat, usate da sempre come «discariche» di poste attive da svalutare
(Zilpa e Curcastle, anch’esse revisionate da GT); successivamente,
per incassare altri crediti fittizi, al fine di sgonfiare il conto corrente pieno
di falsa liquidità, si effettuavano altri fittizi investimenti con fondi esteri (v.
Epicurum). In questo modo si è riuscita a creare un’apparenza di liquidità a
crescita esponenziale che viene definita sin dal 1997 come esorbitante, ma
inesistente (pag. 146) ed afferente a tutto il gruppo Parmalat.
Bonlat, dunque, rappresentava una notevole porzione della liquidità che
deteneva Parfin, la finanziaria del gruppo. Alla fine di ogni anno, la liquidità
fittizia che risultava depositata presso il suo conto è stata in parte impiegata
per l’acquisto fittizio di titoli, emissione di «promissory notes» e riacquisto
di obbligazioni, con operazioni che vengono poi riclassificate come «debiti
intercompany», al fine di rappresentare un’apparente diminuzione del debito
verso gli obbligazionisti.
b) Le irregolarità formali. – Il CT rileva che vi sono irregolarità formali,
attinenti alle appostazioni in bilancio, in ordine all’ammortamento di 25 anni
dei marchi (oltre il termine massimo di legge), al valore di avviamento dei
vari comparti aziendali, alle obbligazioni indicate come debiti verso banche.
In particolare, con riferimento alle operazioni a cui hanno preso parte le
società revisionate dalla Audit convenuta, le appostazioni contabili erroneamente
classificate trasmigrano dalle controllate nei bilanci di Parfin senza
alcun rilievo da parte dell’Audit.
Esse si delineano nei seguenti termini.
1) I titoli emessi e le «promissory notes» (cambiali finanziarie emesse a
scopo di finanziamento) iscritte nelle «attività finanziarie che non costituiscono
immobilizzazioni» delle società Contal, Bonlat e Capital Finance, tutte
revisionate da G.T., sono risultate relative a operazioni inesistenti e sostenute
da false informazioni. Basti pensare che in relazione ai titoli emessi, «promissory
notes» e investimenti nel fondo Epicurum, dal 2002, nei bilanci
Parfin si esplicita che «la liquidità del gruppo viene investita principalmente
blighi e i danni patiti dagli investitori e, soprattutto, la natura della conseguente responsabilità
nei confronti dei terzi danneggiati.
2. L’evoluzione della disciplina normativa della revisione contabile. – Il Tribunale di Milano,
nel decidere la controversia sottoposta al suo vaglio, ha applicato la disciplina della revisione
contabile in vigore al momento della proposizione del giudizio. Essa trovava i propri
riferimenti normativi sia nel testo unico della finanza, agli artt. 155 e seguenti, che si applicavano
ai revisori delle società quotate nonché alle altre ipotesi di revisione contabile obbligatoria
previste dal T.U.F., sia nel codice civile, agli artt. 2409-bis segg., cui erano sottoposti
«i soggetti incaricati della revisione contabile nelle società chiuse ed aperte».

Parte II - Giurisprudenza 61
in strumenti finanziari di breve termine a primaria condizione di mercato e
con basso profilo di rischio, rating minimo Single A».
2) La classificazione operata da Parfin in relazione ai debiti per
«bonds» (prestiti obbligazionari) non è conforme alle disposizioni civilistiche
previste dall’articolo 2424 cod. civ. Lo schema numerico del bilancio,
infatti, così come previsto dal d.lgs. 127/91, prevede che i debiti verso gli
obbligazionisti siano indicati in un’apposita separata voce della sezione
debiti. Detta voce, indicata come D.1) è ben distinta e separata da quella
dei debiti verso banche, indicata come D.3). La versione addotta da Parfin
in nota integrativa in relazione alla classificazione è privadiognifondamento
e per nulla legata alla normativa di riferimento. La banca agente,
infatti, svolge esclusivamente un ruolo di collettore della liquidità raccolta
a seguito dell’emissione dei bonds e, successivamente, di quella necessaria
perilpagamentoperiodicodiinteressi,edelrimborsodelcapitalealla
scadenza. I fondi necessari al pagamento degli interessi vengono periodicamente
trasferiti dall’emittente del prestito obbligazionario, così come
Gli aspetti più rilevanti della disciplina in esame, quantomeno ai fini della decisione
adottata dai giudici ambrosiani, attengono sicuramente agli obblighi che il legislatore poneva
a capo del revisore ed alla responsabilità conseguente alla loro violazione. I primi, definiti negli
articoli 155 T.U.F. e 2409 bis cod. civ., si risolvevano fondamentalmente nella verifica,
«nel corso dell’esercizio», della «regolare tenuta della contabilità sociale» e della «corretta rilevazione
dei fatti di gestione nelle scritture contabili», nonché della corrispondenza del bilancio
di esercizio e del consolidato «alle risultanze delle scritture contabili e degli accertamenti
eseguiti» e della loro conformità alle norme che li disciplinavano ( 5 ).
( 5 ) La dottrina, nell’interpretare il contenuto dell’art. 155 T.U.F., riteneva che l’attività di audit, per un verso,
non dovesse concentrarsi solo in prossimità dell’approvazione del bilancio ma compiersi durante l’intero corso
dell’esercizio sociale (così, G.M. Buta, La responsabilità nella revisione obbligatoria delle soc. per az., Torino,
2005, 36 e, di recente, Id., La responsabilità della società di revisione per danni prodotti a terzi da un erroneo giudizio
sul bilancio: il caso Parmalat, cit., 128; A. Rossi, Revisione contabile e certificazione obbligatoria, Milano,
1985, 132 seg.; M. Franzoni, La responsabilità dei controllori esterni alla società, inTrattato di diritto commerciale
e diritto pubblico dell’economia, diretto da Galgano, vol. XIX, Torino, 1994, 204; contra, nel senso di considerare
l’attività di revisione come unitaria e non divisa in fasi, cfr. M. Bussoletti, Le società di revisione, Milano,
1985, 77; S. Fortunato, Bilancio e contabilità d’impresa in Europa, Bari, 1993, 23), e, per l’altro, lungi dal
configurarsi quale semplice accertamento della regolarità formale della tenuta dei libri contabili, dovesse, al contrario,
esplicarsi in un controllo sostanziale dell’effettiva corrispondenza della contabilizzazione ai fatti di gestione,
così come rappresentati nei relativi documenti «primari» [sottolineavano il carattere sostanziale del controllo
contrabile dei revisori: G.E. Colombo, sub art. 155, in Testo unico della finanza (d.lgs. 24 febbraio 1998, n. 58),
Commentario diretto da Campobasso, II, Torino, 2002, 1290,; F. Radaelli, Società di revisione, inDigesto. Discipline
privatistiche. Sezione commerciale, Torino, 230; V. Salafia, Revisione obbligatoria e responsabilità, inSocietà,
I, 2009, 76; A. Rossi, cit., 148; M. Bussoletti, op. cit., 40 e 41; E. Barcellona, op. cit., 272; F. Bonelli,
La responsabilità della società di revisione nella certificazione volontaria e obbligatoria dei bilanci, inRiv.
soc., 1979, 968; R. Caldarone-G. Tucci, La responsabilità nell’esercizio dell’attività di revisione e certificazione
del bilancio: prime pronunce della giurisprudenza e tendenze evolutive, inGiur. comm., 1995, I, 297; M. Nuzzo,
sub art. 164, in Testo unico della finanza (d.lgs. 24 febbraio 1998, n. 58), Commentario diretto da Campobasso, II,
Torino, 2002, 1503; P. Fiorio, op. cit., 1980].

62
Il diritto fallimentare e delle società commerciali - n. 1-2011
quelli necessari al rimborso del capitale alla scadenza (cfr.relazione CT
Chiaruttini, pag. 416 e seg).
3) Le «preference shares» (titoli incorporanti sia il rischio ad un titolo
azionario sia il diritto al rimborso del valore ad alcune date prestabilite) sono
state classificate nei bilanci Parfin tra le poste di patrimonio netto di
spettanza dei terzi. Trattandosi, invece, di titoli con diritto di rimborso a
favore di chi le detiene, gli stessi avrebbero dovuto essere più correttamente
classificati tra le poste di debito.
4) I conti d’ordine non contengono alcuna informazione relativa all’operatività
del gruppo in strumenti finanziari appartenenti alla classe dei cd derivati,
come espressamente previsto dai principi contabili: la valutazione, e
conseguentemente il debito sorto in relazione alla chiusura di tali contratti
alla data del default, èpari a 333 milioni di euro (cfr. All. 27 e 210 rel. CT,
pag. 421).
5) Quasi tutti gli effetti in scadenza (RIBA), già anticipati al gruppo dal
sistema bancario che ha concesso credito, sono sempre stati falsi e di importi
superiori a quelli indicati nel bilancio Parfin. I dati provenienti dalla centrale
rischi sul rischio della sola Parmalat per debiti autoliquidanti (e quindi
RIBA in scadenza) per l’arco temporale che va dal 1999 al 2003 sono di ammontare
superiore a quelli emergenti dai bilanci consolidati Parfin per rischi
legati a ricevute bancarie, non scadute, e già anticipate dal sistema bancario.
Quindi non solo l’importo riportato in bilancio Parfin al 31 dicembre
di ogni anno è risultato inferiore rispetto a quello reale in scadenza, ma quasi
tutte le RIBA in scadenza sono false. Tale importo, secondo il CT Chiaruttini,
avrebbe dovuto essere riportato tra i debiti verso banche, come poi
si è dovuto registrare alla data del default (pag. 421 rel. Chiaruttini).
Il 26 febbraio 2003 il gruppo Parmalat avvia il lancio di un prestito
obbligazionario di 300 milioni di euro, estendibile a 500 milioni, emesso
dalla controllata estera e rivolto ad investitori istituzionali: nella relazione
del CT, peraltro, non sussiste menzione di rilievi svolti dai certificatori dei
bilanci, ma anzi viene espressamente indicato che nella relazione semestrale
al 30 giugno del 2003, anch’essa certificata, non viene data alcuna informativa
in relazione all’operatività del gruppo in prodotti derivati (pag. 436
rel. CT).
c) Carenza di informazioni. – A un controllo normale è risultato che non
La responsabilità dei revisori nei confronti della società revisionata e dei terzi era contenuta
negli articoli 164 T.U.F. e 2409 sexies cod. civ., che individuavano il presupposto del
sorgere dell’obbligo risarcitorio, il primo sia nell’inadempimento ai propri doveri sia nei fatti
illeciti, il secondo nel solo inadempimento ai propri doveri. Entrambe le norme rinviavano,
inoltre, all’art. 2407 cod. civ. in tema di responsabilità dei sindaci, che, di conseguenza, veniva
considerata «norma cardine del sistema della responsabilità dei soggetti preposti ai controlli,

Parte II - Giurisprudenza 63
sono state rilasciate informazioni, anche solo nelle note integrative, dei cosiddetti
«covenants», vale a dire delle garanzie che il debitore rilascia al suo
finanziatore, con le quali si impegna a mantenere in equilibrio la sua struttura
finanziaria e a conseguire un livello minimo di margine operativo che
consenta di realizzare flussi di cassa tali da essere sufficienti al rimborso dei
debiti collegati ai contratti di finanziamento bancario. È emerso che le società
del gruppo che accedevano al credito bancario – e tra queste vi è Bonlat
che ha intrattenuto molti rapporti con Bank of America, al di là del conto
di liquidità risultato falso – si impegnavano al riacquisto delle obbligazioni
emesse dalla finanziaria o alla loro estinzione negoziando condizioni di
copertura dei rischi a favore delle banche molto onerose per tutto il gruppo.
Il frequente ricorso al prestito obbligazionario, invece, avrebbe dovuto
indurre l’Audit quantomeno a intensificare i controlli sui dati relativi alla
liquidità dichiarata nei suoi conti. Di contro, nessun rilievo è stato sollevato
dalla società di revisione di fronte al fatto che il gruppo, soprattutto nell’ultimo
periodo, ricorreva all’emissione di obbligazioni per ottenere finanziamenti
nonostante in apparenza avesse una notevole liquidità e redditività.
sia interni che esterni alla società»( 6 ). Proprio il rinvio congiunto alla norma codicistica, permetteva
alla dottrina di far assurgere la «professionalità e la diligenza richieste dalla natura
dell’incarico» a presupposti comuni della responsabilità dei revisori, vale a dire a parametri
sulla scorta dei quali valutare l’adempimento di questi ai propri doveri ( 7 ).
( 6 ) Si esprime in questi termini, G.M. Buta, La responsabilità della società di revisione per danni prodotti a
terzi da un erroneo giudizio sul bilancio: il caso Parmalat, cit., 123.
( 7 ) Così, R.Caldarone-G. Tucci, op. cit., 303; G.M. Buta, op. ult. cit., 123; M. Nuzzo, op. cit., 164.
Con il rinvio all’art. 2407 cod. civ., contenuto, come detto, negli artt. 164 T.U.F. e 2409 sexies cod. civ., il legislatore
non aveva fatto altro che recepire, a livello normativo, quello che era l’orientamento dottrinale e giurisprudenziale
pressoché unanime sotto il vigore del D.P.R. 136/1975, vale a dire che la diligenza richiesta ai revisore
fosse di natura professionale, applicandosi ad essi il comma 2 dell’art. 1176 cod. civ., sia per la natura, appunto,
professionale dell’attività svolta sia, nel caso delle società di revisione, per la complessità della propria organizzazione
(cfr. F. Bonelli, op. cit., 990 M. Bussoletti, op. cit., 85 e 100; A. Rossi, op. cit., 21 e 183; S. Fortunato,
La certificazione del bilancio. Profili giuridici, Napoli, 1985, 169 segg. e, in giurisprudenza, Tribunale
Milano, 18 giugno 1992, in Giur. it., 1993, I, 2, 1; Appello Milano, 7 luglio 1998, in Società, 1998, 1171; Tribunale
Milano, 21 ottobre 1999, in Giur. it., 2000, 553). L’individuazione della diligenza professionale come criterio
generale di valutazione dell’adempimento dei revisori ai propri obblighi aveva spinto la dottrina prevalente a ritenere
la scoperta delle frodi perpetrate dagli amministratori nella redazione dei bilanci non rientrante tra i compiti
dei revisori, posto che le modalità di svolgimento dell’attività di audit e il carattere valutativo della maggior
parte dei dati inseriti nel bilancio avrebbero reso impossibile la rilevazione di tutti i falsi contenuti nei documenti
contabili. La mancata scoperta delle frodi, in tale prospettiva, poteva determinare l’insorgere della responsabilità
solo qualora, come nel caso sottoposto al vaglio del Tribunale di Milano, tali frodi avrebbero potuto essere scoperte
se il revisore avesse utilizzato la diligenza impostagli dal legislatore. In questo senso, G. Facci, Il danno da
informazione inesatta nell’attività di revisione contabile, inResp. civ. e prev., Milano, 2007, 2023; P. Fiorio, op.
cit., 1980; G. Caldarone-G. Tucci, op. cit., 309 e 310; G.M. Buta, La responsabilità nella revisione obbligatoria
delle soc. per az., cit., 67 seg.; F. Galgano, Società con titoli quotati in borsa, inEnc. giur., XXIX, Roma,
1993, 12; F. Bonelli, op. cit., 955 segg. Ritengono, invece, che la scoperta delle frodi sia in obbligazione, A.
Rossi, op. cit., 148 segg. e M. Bussoletti, op. cit., 67 seg.

64
Il diritto fallimentare e delle società commerciali - n. 1-2011
Si consideri che, sulla base di quanto ricostruito nella relazione del CT,
il gruppo ha iniziato a riacquistare – sempre con operazioni mascherate –
propri prestiti obbligazionari già nel corso del 1999, e di ciò non è mai stata
data alcuna evidenza nei bilanci. Una specifica informativa in tal senso invece
è espressamente prevista dai principi contabili (vedi allegato 215 della
relazione) in base ai quali, nella nota integrativa, va fatta menzione del debito
complessivo delle obbligazioni proprie.
d) Informativa fuorviante. – L’informativa fuorviante è relativa al programma
di cartolarizzazione dei crediti (securitization) operata sistematicamente
dalle società revisionate da GT (Curcastle, Bonlat e Zilpa). Si trattava
di crediti per lo più scaduti e in sofferenza di cui il gruppo doveva in qualche
modo disfarsi per acquisire liquidità e mantenere nel bilancio le poste
attive dichiarate. In realtà, le operazioni di cartolarizzazione servivano a fare
apparire un realizzo mai esistito.
Nei bilanci consolidati di Parfin le operazioni di cessione dei crediti attraverso
la cosiddetta cartolarizzazione vengono definite operazioni di «securitization»
relative allo smobilizzo pro soluto di crediti di natura commerciale
e vengono erroneamente descritte come operazioni di cartolarizzazione
ai sensi della legge 130/1999, pur non avendone le caratteristiche. Queste
operazioni sono state gestite, per quanto riguarda le operazioni negoziate
con Eureka, dalla società Curcastle di cui la società convenuta era pure
incaricata alla revisione.
Quanto sopra esposto, mette in sufficiente rilievo che le società revisionate
dalla Audit secondaria hanno avuto un ruolo centrale nella creazione
della (falsa) liquidità che ha consentito la prosecuzione di tutta l’attività
del gruppo e, in ultimo, l’emissione di ingenti quantitativi di prestiti obbligazionari:
già solo il continuo e frequente ricorso al prestito obbligazionario
avrebbe dovuto indurre l’Audit quantomeno a intensificare i controlli sui
dati relativi alla liquidità dichiarata, utilizzando i poteri d’indagine di cui dispone.
Come falsificazioni così macroscopiche abbiano potuto sfuggire all’analisi
dell’ente certificatore dei bilanci non è poi così inspiegabile.
Il materiale probatorio raccolto rivela una situazione di massima gravità
in ordine alle modalità con cui è stata espletata l’attività di revisione dei bi-
L’individuazione della diligenza professionale come presupposto per la responsabilità
del revisore imponeva l’individuazione di parametri che, in concreto, permettessero di valutare
l’esatto adempimento ai propri doveri. All’uopo, la dottrina pressoché unanime, nel vigore
della disciplina precedente, riteneva che tale funzione potesse essere normalmente svolta
dai Principi di Revisione Contabile, pur con l’avvertenza che, per un verso, la loro scrupolosa
osservanza non era, comunque, sufficiente per sottrarsi a responsabilità, in quanto la semplice
conformità ad essi delle procedure di revisione non bastava per poter considerare diligente il
comportamento dei revisori, tutte le volte in cui le peculiarità del caso concreto imponessero

Parte II - Giurisprudenza 65
lanci di Bonlat e delle società esterovestite che hanno materialmente creato
le condizioni per le falsificazioni dei bilanci del gruppo. In merito, rilevano
le dichiarazioni del presidente di G.T., dott. Penca, che riferisce che i controlli
erano formali e documentali e non attenevano a fatti di gestione, non
rientranti nell’oggetto del controllo del revisore, facendo essi parte dei compiti
propri dei sindaci della società. (cfr. dichiarazioni rese all’udienza del
28 gennaio 2008 in atti allegate). Sempre con riguardo a questo punto – i
controlli – il dott. Bianchi, partner della società GT che ha materialmente
svolto la revisione nel periodo che qui interessa, ha dichiarato che si aspettava
la fine dell’anno per far quadrare i bilanci delle controllate estere, in
quanto l’amministratore di Parmalat – il rag. Fausto Tonna – tardava a fornirli
per sua comodità.
È parimenti accertato che i controlli mediante la c.d. procedura di «circolarizzazione»
delle informazioni contabili richieste a terzi (finanziatori,
banche o fornitori della società Bonlat) non venivano svolti in ottemperanza
di quanto disposto dal regolamento Consob, poiché venivano accettate informative
sui conti correnti e sulle forniture di terzi direttamente dalla società
che, in tal modo, ha potuto agevolmente costruire in via del tutto indiscriminata
e per molti anni dati contabili e supporti cartacei assolutamente
falsi (cfr. contestazione della Consob in atti, doc. 77 attore). GT è stata
l’adozione di metodi alternativi ( 8 ), e per l’altro, la violazione di tali standards non determinava
l’automatica responsabilità, ma rappresentava un semplice indice di inadempimento, salva
la prova contraria, da parte del revisore, dell’adeguatezza dei metodi alternativi concretamente
adottati, tenuto conto delle particolarità del caso ( 9 ). In altri termini, il rispetto dei Principi
di Revisione rappresentava un rilevante indizio – ma non la prova decisiva – del rispetto, da
parte della società di audit, del grado di diligenza richiesto dall’art. 2407 cod. civ. ( 10 ).
( 8 ) Cfr. F. Bonelli, op. cit., 988 seg., in particolare, nota 35, il quale riteneva che, nel caso del revisore, la
diligenza si ponesse «quale criterio per individuare l’esatta prestazione dovuta, cioè il contenuto stesso dell’obbligazione
del debitore»; M. Bussoletti, op. cit., 85 e 100; A. Rossi, op. cit., 21 e 183; S. Fortunato, La certificazione
del bilancio. Profili giuridici, Napoli, 1985, 169 segg.; R. Caldarone-G. Tucci, op. cit., 303; G.M.
Buta, La responsabilità nella revisione obbligatoria delle soc. per az., cit., 62; M. Nuzzo, op. cit., 164. Nella sentenza
annotata, il Tribunale di Milano ha recepito l’orientamento dottrinale prevalente accertando la negligenza
della società convenuta sul presupposto che, tra le altre cose, si era discostata dalle procedure previste dai Principi
di Revisione senza che fosse emersa alcuna peculiarità che, nel caso concreto, giustificasse tale scostamento.
Negli ordinamenti di common law, i Giudici considerano i principi di revisione promulgati «very strong evidence»
(ove per evidence si intendono i mezzi mediante i quali i fatti oggetto di giudizio sono resi provati) dello standard
di diligenza utilizzato dal revisore, con la conseguenza che uno scostamento da essi, salvo giustificazioni derivanti
dalle peculiarità del caso concreto, dà luogo ad inadempimento.
( 9 ) In senso conforme, cfr. la dottrina citata alla nota precedente. Contra, il solo M. Bussoletti, op. cit.,
105, secondo cui la mancata adozione dei Principi di Revisione avrebbe rappresentato la prova assoluta della
mancanza di diligenza.
( 10 ) Cfr. G.M. Buta, La responsabilità nella revisione obbligatoria delle soc. per az, cit., 62 seg., ove altri
riferimenti.

66
Il diritto fallimentare e delle società commerciali - n. 1-2011
colpita dalla sanzione della cancellazione dall’albo dei revisori proprio perché
le indagini svolte dalla Consob sulle modalità seguite nell’ottenimento
dei dati di conferma delle operazioni risultanti in contabilità hanno rivelato
che la procedura di circolarizzazione veniva sostanzialmente e sistematicamente
non osservata. In merito riferisce ancora Bianchi: «...in generale,
quindi anche per tutte le società che erano gestite a Collecchio, veniva fatta
la scelta del campione, fatte preparare le lettere, firmate, ecc., e poi si utilizzava
questo ufficio posta, che era, direi uso e consuetudine anche su altri clienti
utilizzare l’ufficio postale della società... E d’altra parte io non mi sarei mai
immaginato che comunque... perché le lettere ci venivano consegnate, e i nostri
assistenti le mostravano e chiudevano le buste, poi le mettevano in una
scatola, andavano all’ufficio posta, e glielo lasciavano lì da spedire. Questa
era la procedura. È quindi lontano pensare che poi ci fosse qualcuno, tipo Bocchi
o non so chi altro, che andava giù e sfilava le lettere... Invece per Bonlat le
risposte arrivavano sempre via fax in Parmalat».
In tutta la vicenda «Parmalat» colpisce in particolar modo l’atteggiamento
di totale acquiescenza, se non di soggezione, da parte dei professionisti
dell’Audit a comportamenti omissivi e censurabili dell’amministrazione
che avrebbero, invece, dovuto indurre la società a segnalarli quantomeno al
collegio sindacale e a svolgere più approfondite indagini in ordine alla contabilità
messa a disposizione.
È emerso in tutta evidenza che la società di revisione abbia avuto il ruolo
di consulente del gruppo non solo nella creazione della società Bonlat,
ma nella particolare destinazione data all’attività finanziaria e commerciale
da questa gestita. Bianchi riferisce chiaramente: «nel 1998 a ridosso dell’ultimo
anno di revisione contabile ...avevamo il problema che in Curcastle e Zilpa
c’erano dei crediti che erano lì fermi da tempo, da anni, e non si... erano
diciamo immobilizzati. E quindi... non venivano svalutati e non si sapeva bene
se erano esigibili o non erano esigibili. Il fatto poi che avevamo diciamo
ceduto alle richieste di Tonna a suo tempo per questo discorso dell’occultamento
di conti bancari, aveva poi accresciuto in lui la... diciamo arroganza eccetera,
per cui ci teneva a distanza e quindi anche se noi chiedevamo di fornire
La disciplina della revisione contabile, come anticipato, circa un anno e mezzo dopo la
pubblicazione della sentenza annotata, è stato oggetto di una radicale modifica da parte d.lgs.
del 27 gennaio 2010, n. 39. La prima innovazione apportata è stata di carattere sistematico in
quanto l’intera normativa è ora contenuta nel citato decreto legislativo senza più alcuna distinzione
tra società quotate e società non quotate.
Le modifiche introdotte hanno riguardato anche, per quel che interessa ai fini del presente
lavoro, gli obblighi dei revisori ed il regime della loro responsabilità. Innanzitutto, il
legislatore ha espressamente abrogato i commi 1 e 3 dell’art. 155 T.U.F. e gli obblighi dei
revisori sono attualmente disciplinati dall’art. 14 del nuovo decreto, il quale, a prima vista,
sembra aver introdotto innovazioni soltanto formali che non modificano la sostanza delle co-

Parte II - Giurisprudenza 67
della documentazione a supporto di queste cose lui poi le ignorava completamente.
Per cui ci trovavamo dal nostro punto di vista colla preoccupazione che
il revisore che subentrava poi avesse da ridire su come avevamo o non avevamo
trattato queste posizioni. E quindi andammo con Penca da Tonna, credo
fosse in settembre, perché appunto bisognava parlare della successione del revisore
e quindi Tonna ci chiese quali società di revisione si potevano contattare
eccetera...». Alla precisa domanda se avesse avuto l’incarico da Tonna
di costituire Bonlat o di occuparsi delle procedure di sua costituzione il revisore
Bianchi risponde in maniera positiva (v. pag. 26-28 della trascrizione
dell’interrogatorio del 28 gennaio 2008 in atti).
Il teste Bianchi, poi, ammette il suo personale ruolo di copertura delle
false informazioni allorché dichiara che il gruppo, sin dalla chiusura del bilancio
al 1996, avrebbe dovuto «portare i libri in tribunale», confermando
pertanto il dato già obiettivamente riscontrato dal CT nella sua relazione.
Il viatico delle falsità riscontrate, dunque, è primariamente rinvenibile
nella sistematica mancata verifica della congruenza dei dati contabili trasmessi
dalla società coi documenti attestanti i rapporti commerciali o finanziari
cui si riferiscono i cd. «fatti di gestione».
Sorprende in particolare che in riferimento alla liquidità risultante depositata
presso il conto della Banca d’America aperto da Bonlat, che ha
consentito l’emissione dell’ultimo prestito obbligazionario, la richiesta d’informativa
mediante la procedura di «circolarizzazione» (prevista nei Principi
di Revisione n. 505, par. 30, n. 505, par. 33 e n. 610, par. 16), è partita nei
primi mesi del 2003 dalla sede della società Parmalat – Collecchio – e la
risposta risulta essere conservata dalla società di revisione senza la busta
che attesta l’ufficio postale di provenienza. Nella missiva manca anche il
timbro del funzionario della banca che ha sottoscritto l’estratto conto dal
quale risulta la liquidità. Ma si è già visto che non si è trattato di un episodio
isolato, perché l’indagine compiuta dalla Consob, a campione, sulle modalità
con cui l’Audit effettuava la circolarizzazione dei dati sottoposti al suo
controllo come società di revisione permette di rilevare numerose e sostanziali
irregolarità dello stesso tenore. Per quanto riguarda Bonlat, poi, si trat-
se. Se, da un lato, infatti, è stato eliminato l’obbligo autonomo di verificare «che il bilancio di
esercizio e il bilancio consolidato corrispondano alle risultanze delle scritture contabili e degli
accertamenti eseguiti e che siano conformi alle norme che li disciplinano», dall’altro, nel predeterminare
il contenuto della relazione al bilancio del revisore, la norma vi ha incluso espressamente
«un giudizio sul bilancio che indica chiaramente se questo è conforme alle norme
che ne disciplinano la redazione e se rappresenta in modo veritiero e corretto la situazione
patrimoniale e finanziaria e il risultato economico dell’esercizio». Per verificare se il bilancio
della società revisionata rappresenti in modo veritiero e corretto la situazione patrimoniale e
finanziaria ed il risultato economico dell’esercizio, il revisore deve, prima di tutto, verificare la
rispondenza tra il bilancio stesso, le scritture contabili e gli accertamenti eseguiti nel corso

68
Il diritto fallimentare e delle società commerciali - n. 1-2011
tava di un’accettazione piena di ciò che trasmetteva la società Parmalat direttamente
da Collecchio (sede della capogruppo Parfin).
Sicché, i mancati controlli sui dati contabili e sulle operazioni ad essi riferite
hanno permesso la costruzione di falsi materiali di particolare rilevanza
e la comunicazione al mercato di falsi dati economico-finanziari in ordine
ai ricavi e ai proventi finanziari del gruppo, tant’è che Parfin, la società finanziaria
del gruppo, avrebbe dovuto comunicare al mercato ogni anno, a
partire dal ’90, di aver realizzato perdite e non utili (cfr. tab. 54, pag. 378
della relazione del CT). Questo si sottolinea per dire che, al di là della consapevolezza
o meno della falsificazione da parte di alcuni preposti dell’Audit
convenuta, risulta pienamente accertato che la società di revisione adottava
metodi e procedure di controllo illegittime che certamente ne agevolavano
la costruzione.
Dovendo trarre le debite conclusioni dal quadro fattuale sopra riferito,
appare evidente il rilevante contributo causale delle società esterovestite del
gruppo, revisionate da GT, nella costruzione di falsi bilanci che hanno trascinato
il gruppo al default finale, emerso solo dopo una lunga fase di latente
contenimento delle notizie e di vorticosi passaggi di carta fasulla. Le false
operazioni registrate nella contabilità di queste società e il correlato mancato
riscontro della falsità dei dati riportati nei bilanci certificati rappresentano
certamente il volano dei falsi in bilancio di tutto il gruppo.
Le specifiche responsabilità giuridiche dell’Audit si riconducono direttamente
alla sostanziale e sistematica violazione delle norme della legge
Draghi che ne regolano l’attività.
In particolare l’art. 155 d.lgs. 58/1998 sancisce: «1. Una società di revisione
iscritta nell’albo speciale previsto dall’articolo 161 verifica: a)nel corso
dell’esercizio, aventi ad oggetto, come detto, proprio la corretta tenuta delle scritture contabili
stesse sia dal punto di vista formale che da quello sostanziale ( 11 ).
Modifiche di maggior peso hanno, invece, interessato la disciplina della responsabilità
dei revisori, ora contenuta nell’art. 15 del decreto a seguito dell’abrogazione degli artt.
2409 sexies cod. civ. e 164 T.U.F. Nella nuova norma, di non felice formulazione ( 12 ), infatti,
non viene ribadito il richiamo all’art. 2407 cod. civ., che, come detto, rendendo applicabile ai
revisori la diligenza professionale prevista per i sindaci, faceva assurgere quest’ultima a presupposto
unitario della loro responsabilità. Il carattere valutativo e le modalità di svolgimento
( 11 ) L’innovazione, dunque, sembra essere consistita solo nel prevedere che l’esito della verifica della corrispondenza
tra il bilancio e le scritture contabili e gli accertamenti compiuti ed il rispetto delle norme in tema di
redazione del bilancio stesso, debba essere riportato nella relazione di cui all’art. 14 del d.lgs. 39/2010.
( 12 ) Denunciano la poca chiarezza della norma P. Giudici, La responsabilità civile del revisore legale, in
Società, Numero monografico, 2010, 33 segg. e G.M. Buta, La responsabilità della società di revisione per danni
prodotti a terzi da un erroneo giudizio sul bilancio, cit., 139.

Parte II - Giurisprudenza 69
dell’esercizio, la regolare tenuta della contabilità sociale e la corretta rilevazione
dei fatti di gestione nelle scritture contabili; b)che il bilancio di esercizio e
il bilancio consolidato corrispondano alle risultanze delle scritture contabili e
degli accertamenti eseguiti e che siano conformi alle norme che li disciplinano.
2. La società di revisione ha diritto di ottenere dagli amministratori della società
documenti e notizie utili alla revisione e può procedere ad accertamenti,
ispezioni e controlli; informa senza indugio la Consob e il collegio sindacale
dei fatti ritenuti censurabili». L’articolo 164 d.lgs. 58/1998, inoltre, delinea
lo spettro di responsabilità della società di revisione:
«1. Alla società di revisione si applicano le disposizioni dell’articolo 2407
del codice civile. 2. I responsabili della revisione e i dipendenti che hanno effettuato
l’attività di revisione contabile sono responsabili, in solido con la società
di revisione, per i danni conseguenti da propri inadempimenti o fatti illeciti
nei confronti della società che ha conferito l’incarico e nei confronti dei
terzi danneggiati».
Dall’esame della disciplina si deduce che il contratto con la società di
dell’attività di revisione, tuttavia, valorizzando le argomentazioni prospettate dalla dottrina
nel vigore del d.p.r. 136/1975 ( 13 ), potrebbero, comunque, indurre ad identificare nella diligenza
professionale di cui al comma 2 dell’art. 1176 cod. civ. il parametro alla stregua del
quale debba essere valutato l’adempimento del revisore ai propri doveri ( 14 ).
La riforma del 2010 ha inciso anche sul ruolo svolto dai principi di revisione contabile
nell’ambito dell’attività di audit. Ad essi fa espresso riferimento l’art. 11 del d.lgs. n. 39/2010,
( 13 ) L’art. 12 D.p.r. 135/1979, infatti, non conteneva né direttamente né indirettamente un riferimento alla
diligenza professionale ma nonostante ciò, la dottrina maggioritaria riteneva, comunque, che il parametro alla cui
stregua valutare il corretto adempimento del revisore ai propri obblighi fosse comunque la diligenza professionale
di cui al comma 2 dell’art. 1176 cod. civ. Per questa posizione, cfr., in dottrina, F. Bonelli, op. cit., 990 M.
Bussoletti, op. cit., 85 e 100; A. Rossi, op. cit., 21 e 183; S. Fortunato, La certificazione del bilancio. Profili
giuridici, cit., 169 segg. e, in giurisprudenza, Tribunale Milan,o 18 giugno 1992, cit.; Appello Milano, 7 luglio
1998, cit.; Tribunale Milano, 21 ottobre 1999, cit.
( 14 ) Ritiene che la disciplina della responsabilità del revisore non abbia subito modifiche sostanziali a seguito
dell’entrata in vigore del d.lgs. n. 15/2010, P. Giudici, La nuova disciplina della revisione legale, inSocietà,
2010, 540. Un’altra novità di rilievo solo apparente è rappresentata dalla disposizione, contenuta sempre nell’art.
15 del d.lgs. 39/2010, secondo cui «nei rapporti interni tra i debitori solidali, essi sono responsabili nei limiti del
contributo effettivo al danno cagionato». Si tratta di una previsione che ricalca, in parte, quella contenuta nell’art.
92, comma 8, T.U.F., che – in tema di prospetto di offerta al pubblico di strumenti finanziari – dispone una responsabilità
pro quota, anche nei confronti dei terzi, dei soggetti coinvolti nell’informazione contenuta nel prospetto.
A differenza di questa ipotesi, tuttavia, la ripartizione pro quota dei danni cagionati agli investitori nel
caso del revisione contabile riguarda solo i rapporti interni, così da tutelare l’interesse dei danneggiati, e quindi
dell’investitore che abbia fatto affidamento sull’opinion del revisore. Il rischio di insolvenza di uno dei coobbligati,
dunque, se nel caso del prospetto è posta a carico dell’investitore danneggiato (cfr. G. Presti, La responsabilità
del revisore, inBanca, borsa, tit. cred., 2007, 168; G. Facci, Il danno da informazione inesatta nell’attività di
revisione contabile, cit., 2043), nel caso in esame, invece, grava sui corresponsabili solidali. L’aggiunta è stata definitiva
«assolutamente pleonastica» (così,P.Giudici, La responsabilità civile del revisore legale, cit., 35), in quanto
riaffermerebbe «il regime generale dei rapporti interni tra debitori solidali, che nessuno ha mai posto in discussione
con riguardo ai revisori legali (cfr. artt. 1298 e 2055 cod. civ.)».

70
Il diritto fallimentare e delle società commerciali - n. 1-2011
revisione, per la società quotata sottoposta alla vigilanza della Consob, è un
rapporto imposto sia per quanto riguarda il contenuto che per quanto riguarda
la durata e la determinazione del corrispettivo, secondo i criteri indicati
dalla legge o dalla Consob con apposito regolamento (art. 155). Nel
regolamento della Consob, poi, per i maggiori dettagli delle procedure da
seguire nel corso dell’attività di Audit si rinvia a una fonte secondaria, riscontrabile
nei Principi Contabili che regolano l’attività di revisione che,
nel loro insieme, contribuiscono a predeterminare le modalità di esecuzione
dell’incarico secondo canoni comportamentali uniformi.
L’attività di certificazione comporta il rilievo professionale, che si accompagna
al bilancio certificato, sulla corretta tenuta dei dati contabili della
società e l’accertamento della congruenza dei dati contabili coi fatti di gestione
che esprimono. L’art. 164 d.lgs., richiamando la responsabilità prevista
dall’art. 2407 cod. civ. (riferita ai sindaci delle società) quale parametro
di riferimento per configurare la natura e lo spettro di responsabilità inerente
a detta attività, sancisce una responsabilità che si deve misurare coi particolari
doveri dei revisori, previsti in linea generale in termini di controllo
non solo formale della regolare tenuta delle scritture contabili, cui si aggiunge
un dovere di esame e di indagine sulla corretta rilevazione dei fatti gestionali
nelle scritture contabili; ai doveri di controllo e di indagine si accompagnano
specifici poteri di acquisizione di documenti e di informazioni,
nonché il dovere di svolgere accertamenti, ispezioni e controlli sulla società
soggetta a revisione.
Si tratta dunque di una funzione diversa da quella, per certi versi più
secondo cui la revisione deve essere svolta «in conformità ai principi adottati dalla Commissione
europea» ( 15 ), che possono essere derogati solo su espressa previsione normativa dei
singoli stati membri, specificamente dettata in tema di revisione dei conti, che ne vieti l’utilizzo
( 16 ). La riforma sembra aver notevolmente accresciuto l’importanza dei principi di revisione
sia dal punto di vista sistematico ( 17 ) che da quello sostanziale. Sotto quest’ultimo profilo,
invero, pare possibile sostenere che il legislatore abbia recepito quello che sotto il vigore
della disciplina precedente era l’orientamento minoritario, vale a dire che la violazione dei
( 15 ) Tali principi devono essere adottati secondo le procedure previste dalla direttiva 2006/43/CE. La norma
precisa che sino all’adozione dei Principi da parte dell’organo dell’UE, la revisione legale «è svolta in conformità
ai principi di revisione elaborati da associazioni e ordini professionali e dalla Consob», secondo le modalità
di cui all’art. 12 dello stesso decreto.
( 16 ) Norme specifiche interne, sempre secondo l’art. 11 del d.lgs. 39/2010, possono anche introdurre l’obbligo
per i revisori di rispettare procedure specifiche di revisione.
( 17 ) Il legislatore, infatti, ha modificato la collocazione sistematica dei principi in esame che prima della
riforma erano menzionati dall’art. 162 T.U.F. – ora espressamente abrogato – intitolato «Vigilanza sulle società
di revisione», mentre attualmente sono inseriti nel capo IV del d.lgs. 36/2010 intitolato «Svolgimento della revisione
legale», così sottolineando la loro rilevanza già nel momento fisiologico dell’esercizio dell’attività.

Parte II - Giurisprudenza 71
diversificata e ampia, esercitata dai sindaci, tenuti in generale al controllo e
alla vigilanza della corretta amministrazione della società, attività cui si affianca
un dovere di controllo contabile che è necessariamente meno approfondito
di quello di stretta competenza della società di revisione. L’attività
dell’Audit consiste in un riscontro di tipo documentale e formale finalizzato
a verificare la corretta tenuta della contabilità, nonché la corretta redazione
del bilancio, funzione che richiede un più analitico e dettagliato apprezzamento
di congruità della documentazione posta a supporto dei dati contabili,
demandata non a caso a un soggetto – persona giuridica – dotato di
idonea struttura, sufficiente organizzazione professionale e garanzie di indipendenza.
Poiché il controllo del revisore si pone ad ulteriore garanzia del rispetto
del principio di chiarezza e di corretta rilevazione dei dati contabili inseriti
nei bilanci delle società quotate, destinati a influire sull’andamento delle
contrattazioni dei titoli collocati sul mercato, l’attività del revisore non
può certamente limitarsi a un formale esame del mero dato contabile
che, invece, va periodicamente svolto unitamente ad eventuali altri indici
di comparazione, quali gli atti deliberativi del consiglio di amministrazione,
gli eventuali rilievi dei sindaci, nonché la documentazione di supporto ricevuta
attraverso le previste procedure di ricezione (circolarizzazioni) e le notizie
economiche sull’andamento del settore di mercato in cui opera la società
revisionata, con riferimento alle passate gestioni e alle prospettive future.
Per espletare correttamente questo ruolo, pertanto, è necessario che la
società di revisione osservi in primo luogo i protocolli di comportamento
che regolano la sua attività, richiamati nel regolamento Consob, proprio
perché funzionali al contenimento del rischio di verifiche formali non idonee
a garantire un effettivo controllo. La sua certificazione finale, difatti,
opera come sigillo di garanzia di rilievi svolti secondo le procedure stabilite
e i parametri normativi che regolano la stesura dei bilanci.
principi di revisione rappresenti la prova assoluta della mancanza di diligenza dei revisori nello
svolgimento della propria attività ( 18 ). In sostanza, la possibilità che i principi possano essere
derogati solo su espressa previsione normativa induce a ritenere che questi siano gli unici
parametri alla cui stregua valutare il comportamento tenuto dalla società di revisione e la cui
violazione determinerebbe un’automatica responsabilità.
( 18 ) Cfr., in tal senso, nel vigore della precedente disciplina, il solo M. Bussoletti, op. cit., 105. Anche la
Assonime, con circolare n. 16 del 3 maggio 2010, fornendo una prima interpretazione del d.lgs. 39 del 2010, ha
ritenuto che «una volta adottati in sede comunitaria i nuovi principi saranno dotati di efficacia normativa e, quindi,
il loro mancato rispetto da parte del revisore potrà determinare in capo allo stesso specifiche responsabilità».
L’Associazione, tuttavia, ritiene che il pedissequo rispetto di tali principi non renda esente da responsabilità i
revisori, se la funzione non sia altresì svolta con diligenza professionale.

72
Il diritto fallimentare e delle società commerciali - n. 1-2011
La normativa in esame, proprio per dare il giusto rilievo al ruolo assolto
dall’Audit, e delimitare il terreno d’indagine in ordine alla valutazione sull’adempimento
della funzione di controllo contabile, ha previsto la responsabilità
diretta dell’ente che certifica la contabilità della società cui si affianca,
in via eventuale e solidale, quella delle persone fisiche che hanno svolto
l’attività nel suo interesse. La responsabilità dell’ente non è necessariamente
collegata ad un accertamento di responsabilità colposa o dolosa dei suoi dipendenti,
poiché le norme che regolano l’Audit delle società quotate sono
indirizzate alla società di revisione in quanto unico soggetto – persona giuridica
– abilitato a svolgere detta attività. Sicché non si tratta di responsabilità
indiretta dell’ente per attività di persone fisiche, alla stregua dell’art.
2049 cod. civ., ma di responsabilità diretta che si riflette, in via discendente,
nella sfera delle persone fisiche che hanno agito nel suo interesse (è paragonabile
pertanto al modello di responsabilità della società controllante oggi
prevista anche nell’art. 2497 cod. civ. in riferimento all’attività di controllo
e di direzione del gruppo).
Da quanto sopra enunciato in via necessariamente sintetica, si deduce
che la verifica sul corretto svolgimento dell’attività di Audit porta l’interprete
a emettere primariamente un giudizio sulle modalità con cui è stato espletato
il controllo contabile attraverso la struttura organizzativa con cui opera,
la valutazione non ricollegandosi necessariamente alle condotte assunte dai
singoli professionisti incaricati: per questo motivo risulta essenziale verificare
se nel corso dell’Audit sono state seguite le procedure che dall’esterno
regolano e ritmano la sua attività.
La norma, nella formulazione anteriore ai fatti di cui è causa, configurava
solo l’inadempimento ai doveri professionali quale fonte generatrice di
responsabilità dell’ente, mentre la menzione del fatto illecito è stata inserita
3. Il nesso di causalità. – La natura essenzialmente immateriale dell’informazione resa e la
difficoltà di ricondurre entro uno schema causale la successione degli eventi che determinano
una scelta di investimento inducono a ritenere che l’accertamento del nesso di causalità tra la
condotta del revisore e i danni patiti dai terzi debba essere fondato su un giudizio ipotetico
avente ad oggetto la comparazione tra il comportamento effettivamente tenuto e quello che
l’investitore avrebbe posto in essere se fosse stato correttamente informato ( 19 ). Solo qualora
il comportamento ipotetico dell’investitore correttamente informato sarebbe stato diverso da
( 19 ) Concordano nel ritenere che il giudizio sul nesso di causalità in tema di responsabilità del revisore debba
essere di natura ipotetica: G. Facci, Il danno da informazione inesatta nell’attività di revisione contabile, cit.,
2031; P. Fiorio, op. cit., 1983; E. Barcellona, op. cit., 320; G.M. Buta, La responsabilità nella revisione obbligatoria
delle soc. per az., cit., 298 ed Id., La responsabilità della società di revisione per danni prodotti a terzi da
un erroneo giudizio sul bilancio: il caso Parmalat, cit., 134 e seg. Tale impostazione, come anticipato, è stata seguita
anche da Tribunale di Milano nella sentenza annotata.

Parte II - Giurisprudenza 73
dal legislatore nel 1998, con ciò distinguendo chiaramente un’ipotesi dall’altra.
Sul punto che è oggetto del decidere, tuttavia, non rileva operare una
scelta tra le due diverse ipotesi che configurano la responsabilità dell’ente
certificatore verso i terzi, poiché è la stessa parte attrice a sostenere che
gli inadempimenti commessi dalla società convenuta integrano sia fatti illeciti
che inadempimenti a propri obblighi professionali, in termini di omissioni
dei controlli dovuti, ritenendo che questi ultimi siano di per sé sufficienti
ad affermare la responsabilità extracontrattuale dell’ente certificatore
verso i terzi risparmiatori. In tal modo parte attrice si è inserita sulla scia di
una corrente dottrinale – tuttora dominante – a favore della natura extracontrattuale
della responsabilità verso i terzi originante dall’omissione di
condotte professionali formalmente normate (in merito alla responsabilità
per violazione di obblighi correlati all’attività bancaria si segnala Cass,
S.U. 26 giugno 2007 n. 14712, che offre un innovativo spunto di riflessione
sulla natura contrattuale di una simile responsabilità). L’ampiezza e la gravità
delle condotte sopra esaminate, indicate come fonte primaria della responsabilità
aquiliana dell’ente verso i terzi, non impone pertanto di soffermarsi
su argomenti teorici tutto sommato non decisivi: in giurisprudenza,
difatti, è pacifico che diversi atteggiamenti d’inosservanza di norme di comportamento
professionale, legislativamente normati, quali quelli rivolti agli
amministratori e ai sindaci di società di capitali, possono determinare il si-
quello effettivamente tenuto, infatti, può affermarsi che l’inadempimento dei revisori sia stato
conditio sine qua non del danno subito ( 20 ).
La prova che il giudizio sul bilancio sia stato conditio sine qua non del pregiudizio patitodagliinvestitori,tuttavia,èelemento
necessario ma non sufficiente, alla luce dei più recenti
orientamenti giurisprudenziali ( 21 ), per dimostrare la sussistenza del nesso causale; occorre,
all’uopo, che la relazione del revisore sia stata causa efficiente, e non semplicemente
uno dei vari antecedenti causali, del danno patito, in ossequio al principio della causalità
adeguata ( 22 ).
( 20 ) Cfr. in tal senso, in dottrina, E. Barcellona, op. cit., 320; G.M. Buta, La responsabilità nella revisione
obbligatoria delle soc. per az., cit., 298; D. Casadei, La responsabilità delle società di revisione, Milano, 2000,
131 segg. In giurisprudenza: Tribunale Torino 18 settembre 1993, in Giur. it., 1994, I, 2, 655 e Tribunale Milano
21 ottobre 1999, cit.
( 21 ) Cfr., in tal senso, Cassazione, sez. un., 11 gennaio 2008, n. 576, in Dir. e giust., 2008; Cassazione, sez.
un., 11 gennaio 2008, n. 581, in Resp. civ. e prev., 2008, 527; Cassazione, sez. un., 11 gennaio 2008, n. 584, in
Foro it., 2008, I, 451. Secondo l’orientamento espresso dalle Sezioni Unite della Suprema Corte, è necessario selezionare
tra i vari antecedenti quelli che effettivamente, secondo un giudizio di adeguatezza, abbiano dato causa
all’evento, per poi integrare il criterio della regolarità causale con il calcolo delle probabilità, al fine di attenuare il
legame tra causa ed effetto inteso in senso rigoroso (cfr., sul punto, G. Alpa, Dove va la responsabilità civile?, in
NGCC, 2010, 179). I principi delle Sezioni unite sono stati recepiti dalla giurisprudenza successiva: cfr. Cassazione
11 maggio 2009, n. 1074, in Dir. e giust., 2009.
( 22 ) Sulla causalità adeguata, cfr. diffusamente, R. Scognamiglio, Responsabilità civile, Noviss. Dig. It.,
Torino, 650.

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Il diritto fallimentare e delle società commerciali - n. 1-2011
multaneo concorso delle due fattispecie di responsabilità – contrattuale ed
extracontrattuale – verso la società, i soci e i creditori (v. Cassazione 18939/
2007 e Cassazione 11410/2007).
Dovendo quindi il tribunale dare conto del contributo causale delle violazioni
commesse dalla società per mezzo degli inadempimenti (numerosi e
gravi) nella determinazione dell’evento lesivo lamentato dai risparmiatori (la
perdita dei loro investimenti), il nesso diretto tra i falsi bilanci riscontrati in
tutto il gruppo che hanno determinato il default e gli inadempimenti professionali
relativi alla certificazione dei falsi bilanci delle controllate si individua
già se solo si considera che le società revisionate dalla convenuta erano
le fautrici della liquidità del gruppo sin dal tempo della loro costituzione.
A livello temporale, dunque, le date delle omissioni più rilevanti commesse
dall’ente certificatore coincidono con le date di acquisto dei titoli
da parte dei risparmiatori.
Al di là del sostanziale travisamento del ruolo neutrale di controllore dei
conti che emerge dall’esame delle dichiarazioni dei preposti alla certificazione,
imputabile anch’esso all’ente, si è visto come i falsi riscontrati nei bilanci
revisionati sono d’immediata evidenza e dunque immediatamente percepibili
con un normale controllo documentale, in quanto operavano a livello di
dati di bilancio civilistico sino al 1998. A partire da tale data, Bonlat, costituita
nel 1998 da Tonna su consiglio di Bianchi (partner di GT), è diventata
il principale collettore della falsa liquidità del gruppo con operazioni di materiale
costruzione di documentazione finanziaria e bancaria falsa a supporto
di operazioni (altrettanto false) che fanno apparire una crescente liquidità
del gruppo, tuttavia non proporzionata alla redditività delle imprese del
gruppo (v. ad esempio il problema della fornitura di latte in polvere). Le
certificazioni, effettuate dalla società di revisione nonostante la macroscopicità
dei falsi riscontrabili da qualsiasi professionista del settore, hanno permesso
così di diffondere nel tempo dati contabili del tutto inveritieri, non
risultando mai alcun rilievo o accertamento quanto meno in ordine alla
sproporzione esistente tra la liquidità dichiarata, i redditi effettivamente
In questa ottica, l’investitore dovrebbe provare, da un lato, l’idoneità in astratto del giudizio
del revisore ad incidere sulle proprie scelte di investimento/disinvestimento (materiality)
e, dall’altro, che la concreta scelta pregiudizievole sia ragionevolmente dipesa dalla omessa,
non tempestiva o errata informazione (reliance). In realtà, perché possa dirsi realmente sussistente
il nesso di causalità, il risparmiatore dovrebbe dimostrare di aver effettivamente letto
l’opinion del revisore e fondato su di essa la propria scelta ( 23 ).
( 23 ) Sottolinea che, a rigor di legge, il risparmiatore dovrebbe fornire tale prova, G.M. Buta, La responsabilità
nella revisione obbligatoria delle soc. per az., cit., 298.

Parte II - Giurisprudenza 75
percepibili e lo spropositato ricorso all’emissione di bonds (che rappresentano
per la società un costoso mezzo di acquisizione di liquidità).
I presunti rilievi inseriti nell’ultimo bilancio di Bonlat chiuso al 2002,
come si è visto, non risultano in atti; quelli contenuti nella certificazione della
relazione semestrale chiusa al 30 giugno 2003, in atti prodotti, invece,
meritano un discorso a parte.
Le rettifiche dell’Audit convenuta, difatti, intervengono sull’errato trattamento
dell’operazione di swap (per l’importo di A 6.100.000), sull’eliminazione
dei ricavi di vendita del marchio Santal (A 13.000.000) e sulla rettifica
di crediti non esigibili (A 4.358.000) (doc. 3 di parte convenuta), nonché
sulla circostanza che la società di revisione non era stata in grado di valorizzare
l’investimento nel fondo Epicurum.
La difficoltà di provare l’uso effettivo dell’informazione sul bilancio messa a disposizione
dal revisore, tuttavia, ha spinto parte della dottrina a ricercare soluzioni che possano rendere
meno impegnativo l’onere gravante in capo all’investitore. Tra le varie proposte elaborate ( 24 ),
( 24 ) Una prima soluzione è stata rinvenuta nell’inversione dell’onere della prova attraverso il ricorso ad una
presunzione semplice che troverebbe giustificazione in un’ipotesi socialmente tipica di affidamento, con la conseguenza
che il risparmiatore sarebbe esonerato dalla prova di aver fondato le sue scelte sull’opinion del revisore.
Secondo questa impostazione, le finalità della disciplina e, in particolare, la pubblicità della relazione consentirebbero
di fondare una presunzione semplice di causalità efficiente, ritenendo, dunque, sussistente il nesso causale
anche qualora il terzo non abbia concretamente esaminato la relazione del revisore (cfr., per questa posizione,
F. Bonelli, op. cit., 985; A. Rossi, op. cit., 201 seg.; M. Bussoletti, op. cit., 3454 seg.; M. Nuzzo, op. cit.,
1511 seg.; D. Casadei, op. cit., 156; G. Romagnoli, Un caso di responsabilità della società di revisione nei confronti
degli investitori per negligente certificazione, inGiur. comm., II, 1994, 292; G. Partesotti, Società di revisione,
inEnc. giur., Roma, 1993, 9). Tale orientamento è stato recepito anche in giurisprudenza da Tribunale
Torino 18 settembre 1993, cit. (ripreso, poi, da Tribunale Milano 21 ottobre 1999, cit.), il quale ha cercato di
alleggerire notevolmente l’onere probatorio gravante in capo all’attore attraverso un ricorso alla teoria della conditio
sine qua non combinata con la tecnica delle presunzioni. Altra parte della dottrina, invece, non ammettendo
il ricorso alle presunzioni semplici, se non nei casi espressamente previsti dalla legge – altrimenti generandosi
un’incontrollata ed incontrollabile estensione della responsabilità dei revisori, con conseguente rischio di proliferazione
delle azioni risarcitorie – ritiene necessario individuare criteri di selezione che circoscrivano l’ampiezza
del danno alle porzioni dello stesso immediatamente e direttamente derivanti dall’inadempimento/fatto illecito
della società di audit, facendo gravare sull’attore l’onere di provare l’effettivo utilizzo della opinion e, quindi,
la sua incidenza sulle scelte di investimento/disinvestimento concretamente compiute (in questi termini, M. Santaroni,
La responsabilità del revisore, Milano, 1984, 214; F. Di Majo, Quali responsabilità per i revisori contabili?,
inSocietà, 1994, 100; Caldarone-G. Tucci, op. cit., 308). Affermano la necessità di valutare in concreto
la sussistenza del nesso di causalità anche P. Montalenti, La società quotata, cit., 295, secondo cui «non è condivisibile
l’idea che il rapporto eziologico sia sostanzialmente presunto, dovendosi al più ritenere che secondo l’id
quod plerunque accidit, èragionevole ipotizzare, ma in via di mero indizio, che la mancata certificazione avrebbe
sconsigliato l’investimento, ma senza che ciò esima dal ricercare un nesso tra il giudizio positivo sul bilancio e
l’opzione dell’investitore»; M. Maggiolino, sub art. 2409 sexies, inLa riforma delle società, Commentario diretto
da Marchetti, Milano, 2006, 597, la quale, pur non prendendo espressamente una posizione sul punto, definisce
un’anomalia «il fatto che il terzo non sia tenuto a provare di aver basato le proprie decisioni economiche
sulla relazione del revisore». In favore di una definizione rigorosa del nesso causale e di una limitazione della
responsabilità all’area del danno prevedibile al momento dell’effettuazione della revisione, si esprime, infine,
M. Cera, Quotazione di nuove società e tutela del pubblico investitore: il ruolo delle società di revisione, in
AGE, 2002, 206.

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Il diritto fallimentare e delle società commerciali - n. 1-2011
Nella relazione del CT si legge che l’organo pubblico di vigilanza (Consob),
nell’autunno del 2003, aveva attivato i suoi poteri di controllo sollecitando
un riscontro da parte dei revisori sulla liquidità presente nelle casse di
Bonlat, allorché al mercato erano giunti vari «rumors» sul possibile mancato
rientro degli investimenti di Bonlat nel fondo Epicurum. In quest’ultimo
periodo di vita del gruppo i tentativi di mascheramento sono stati ancora
più grossolani e maldestri (rel. del CT pag. 434 e seg.) e non è un caso
che il CT lo rilevi come un dato che ha contribuito a gettare ulteriore fumo
su una situazione già poco chiara. Difatti, tanto più il mercato mostrava l’esigenza
di avere maggiore trasparenza da parte degli organi di gestione e
controllo della società (tra cui si annoverano le società di revisione preposte
per legge al controllo contabile) e di utilizzare standards più rispondenti alla
normativa e ai principi contabili in vigore in considerazione dell’entità dei
bonds emessi e in scadenza, tanto più dall’altro lato gli organi della società,
avallati da compiacenti controllori, erano costretti a dare informazioni false
e fuorvianti, come cronologicamente riportato dal CT nella tabella inserita a
pag. 75 della relazione.
Sicché, a fronte dell’incasso di 110 milioni di euro da un’operazione
(UBS/Totta) e di un livello di indebitamento incrementato di 420 milioni
di euro, resta il dato storico che non è stata fornita alcuna informativa in
relazione all’operatività in prodotti derivati da parte del gruppo, che è stata
particolarmente significativa proprio nel corso del 2003, né vièstato alcun
autonomo impulso investigativo o di accertamento da parte delle società di
revisione (v. relazione CT pag. 436).
Dovendo tirare le somme sul comportamento assunto in questo periodo,
pertanto, risalta che l’Audit, neanche al capezzale del gruppo societario
ha permesso, coi suoi rilievi, di far percepire al mercato la grandezza, di tipo
esponenziale, dell’indebitamento creatosi per mezzo dei falsi investimenti
equilibrato appare il tentativo di individuare criteri obiettivi di selezione che circoscrivano
l’ampiezza del danno risarcibile alle porzioni dello stesso immediatamente e direttamente derivanti
dall’inadempimento ( 25 ), al fine, da un lato, di evitare sia un’incontrollata proliferazione
di risarcimenti in danno ai revisori sia il rischio di arbitrii interpretativi e, dall’altro, di non
rendere eccessivamente gravosa, se non impossibile, la prova della materiality e della reliance
posta a carico del risparmiatore. In quest’ottica, la materiality si risolverebbe nell’idoneità dell’informazione
ad incidere sul prezzo di mercato degli strumenti finanziari mentre con riferimento
alla reliance, la prova dell’utilizzo in concreto dell’informazione verrebbe surrogata
da una valutazione oggettiva del comportamento che avrebbe tenuto un investitore di media
( 25 ) Ragionando in questi termini si esclude, infatti, che possa sussistere il nesso di causalità con riguardo ai
pregiudizi non derivanti immediatamente dalle scelte di investimento dettate dalle false informazioni del revisore.

Parte II - Giurisprudenza 77
della liquidità dichiarata (pari a 500 milioni di euro) in strumenti finanziari.
I rilievi che l’Audit convenuta porge a sua difesa, dunque, rappresentano
solo modeste correzioni numeriche di dati sostanzialmente falsi di cui poteva
dar giusto conto (come ha poi tardivamente fatto su sollecitazione della
Consob poco prima del default).
Le omissioni dell’Audit, sostanziatesi in un completo travisamento del
suo ruolo di controllore indipendente e nell’inosservanza delle procedure
che presidiano la sua attività, hanno nei fatti impedito la corretta rilevazione
di esatti dati contabili nei bilanci sino all’ultimo momento di vita del gruppo,
contribuendo in maniera sostanziale all’occultamento della perdita nel
bilancio della società quotata Parmalat, da considerarsi decotta senza soluzione
di continuità sin dal 1996.
Una volta individuato il grave inadempimento dell’Audit convenuta e il
suo effettivo contributo causale nelle rilevate falsificazioni dei bilanci del
gruppo Parmalat, il tema d’indagine concerne il danno da questa causato
agli attori e, dunque, il risarcimento da accordare loro, poiché l’affermazione
della responsabilità civile si collega all’individuazione di un danno logicamente
e direttamente connesso alla condotta negligente accertata, essen-
diligenza. Si deve, in sostanza, verificare se un tale investitore, nell’effettuare le proprie scelte,
avrebbe tenuto conto dell’informazione resa dal revisore ( 26 ).
Il ricorso ad un criterio oggettivo di valutazione della sussistenza del nesso di causalità ed
il riferimento all’investitore tipo impongono, per evitare possibili distorsioni interpretative, di
individuare adeguati indici presuntivi che consentano di determinare, in concreto, quale sarebbe
stata la condotta ipotetica di quell’investitore ( 27 ).
( 26 ) Cfr., in tal senso, G.M. Buta, La responsabilità nella revisione obbligatoria delle soc. per az., cit., 305; E.
Barcellona, op. cit., il quale precisa che «per definire la condotta ipotetica dell’investitore correttamente informato
(= il comportamento ipotetico in assenza dell’inadempimento dei revisori) si debba avere riguardo non
all’investitore concreto che agisce per i danni (criterio soggettivo) ma all’investotore-tipo di media diligenza (criterio
oggettivo)». Propende per l’utilizzo del criterio oggettivo anche P. Fiorio, op. cit., 1983. Parzialmente difforme
è l’opinione di C. Angelici, il quale, in un recente scritto (Id., Su mercato finanziario, amministratori e
responsabilità, inRiv. dir. comm., 2010, 1 seg., e, in particolare, 36 seg.) riflettendo sulla responsabilità delle società
quotate (e dei loro amministratori) per false informazioni al mercato, ritiene sufficiente ai fini della sussistenza
del nesso di causalità tra l’informazione in ipotesi falsa e i danni patiti dagli investitori la concreta materialiy
della falsa informazione, intesa come l’influenza di quest’ultima sul prezzo di mercato degli strumenti finanziari
negoziati, senza necessità di dimostrare la reliance. La giurisprudenza, sul punto, appare piuttosto oscillante,
in quanto se in tema di prevedibilità del danno opta per il criterio oggettivo (cfr. Cassazione, 11 marzo 1992, n.
2910, in Giust. civ,. 1992, I, 3072) rispetto alla specifica fattispecie della responsabilità dei revisori, nell’unica
decisione che, seppur indirettamente, ha approfondito la questione (Tribunale Torino 18 settembre 1993, cit.)
sembrerebbe utilizzare un criterio soggettivo allorché individua due diversi comportamenti ipotetici degli investitori
anziché uno solo.
( 27 ) L’esigenza di ancorare a criteri adeguati il giudizio sul comportamento ipotetico dell’investitore tipo è
avvertita da tutta la dottrina che propende per una valutazione del nesso di causalità mediante il criterio oggettivo:
cfr., G.M. Buta, La responsabilità nella revisione obbligatoria delle soc. per az., cit., 306; E. Barcellona,
op. cit., 328 seg.; P. Fiorio, op. cit., 1983.

78
Il diritto fallimentare e delle società commerciali - n. 1-2011
do questo elemento la condizione necessaria di ogni affermazione di civile
responsabilità.
Nel caso specifico il pregiudizio si è verificato rispetto all’interesse all’informazione
corretta che risulta direttamente protetto dalla norma di
cui all’art. 164 d.lgs. 59/98 prevedente la responsabilità verso i terzi danneggiati.
La protezione accordata dal legislatore ai terzi, in questo caso,
non risulta solamente quale effetto riflesso (o di rimbalzo) di una norma
perseguente diverse finalità, anche pubblicistiche, come si ritiene generalmente
avvenire per le norme che, regolando il mercato dei valori mobiliari,
impongono agli operatori precise regole di comportamento: la tutela offerta
in via immediata e diretta alla sicurezza del mercato e all’interesse generale
al corretto svolgimento degli scambi finanziari corre in parallelo con la tutela
accordata ai terzi investitori-risparmiatori.
In questo caso, è lo stesso legislatore a considerare la non corretta infor-
La dottrina, all’uopo, concorda nel ritenere che il criterio preferibile, perché l’unico realmente
scientifico ed oggettivo, sia quello del prezzo delle dei titoli ( 28 ) che riflette non l’apprezzamento
che di un determinato strumento finanziario esprime una determinata categoria
di investitori, bensì la valutazione che di quel determinato strumento opera il mercato nel suo
insieme ( 29 ).
( 28 ) Sulla utilizzazione del prezzo quale criterio per valutare il comportamento che avrebbe tenuto l’investitore
tipo di media diligenza, cfr. E. Barcellona, op. cit., 330 seg., il quale precisa che «il prezzo di mercato è
l’unico veramente oggettivo proprio perché esso rappresenta la media (tendenzialmente) perfetta di tutti prezzi
soggettivi correnti ad una determinata data»; nello stesso senso, G.M. Buta, La responsabilità nella revisione obbligatoria
delle soc. per az., cit., 305 seg.; P. Fiorio, op. cit., 1983. Per il rilievo secondo cui i prezzi degli strumenti
finanziari riflettono le informazioni disponibili al pubblico, cfr. A. Perrone, Informazione al mercato e
tutele dell’investitore, Milano, 2003, 77 seg.; S. Bruno, L’azione di risarcimento, cit., 224 seg., la quale, tuttavia,
a differenza degli autori appena citati ritiene, comunque, necessario l’utilizzo da parte dei giudici di una presunzione
relativa che permetta l’inversione dell’onere della prova. Fanno riferimento al criterio del prezzo, seppur in
relazione a fattispecie diverse dalla responsabilità del revisore, anche D. Regoli, Offerte pubbliche di acquisto e
comunicati agli azionisti, Torino, 1996, 228 seg.; A. Mazzoni, op. cit., 251 segg. Il criterio in esame è universalmente
accolto anche nell’ordinamento nordamericano, cfr. M. Ventoruzzo, La responsabilità da prospetto negli
stati Uniti d’America tra regole del mercato e mercato delle regole, Milano, 2003, 81 seg.; nonché, B. Cornell-
G.R. Morgan, Using Finance Theory to measure damages on the market cases, in37 UCLA L. Rev., 1990, 883;
L.D. Lowenfels-A.R. Bromberg, Compensatory damages in rule 10b-5 actions: pragmatic justice or chaos, in30
Seton Hall L. Rev., 1990, 1098 segg. Nella sentenza annotata, il Tribunale di Milano, tuttavia, sembra optare per
un criterio diverso dal prezzo delle azioni allorché fonda il giudizio sul probabile comportamento dell’investitore
di media diligenza correttamente informato non sulla reazione del mercato alla scoperta della verità bensì sul fatto
che, al momento della negoziazione dei titoli, l’emittente aveva, da tempo, perso l’intero capitale e si trovava in
stato di insolvenza.
( 29 ) Come correttamente rilevato (cfr. G.M. Buta, La responsabilità della società di revisione per danni prodotti
a terzi da un erroneo giudizio sul bilancio: il caso Parmalat, cit., 136, nt. 79) la riconduzione della prova del
nesso eziologico alla dimostrazione che il prezzo si sia artificialmente formato in conseguenza della falsa informazione
dei revisori «ben si adatta al caso in cui la società revisionata sia quotata in borsa, data la facile misurabilità
del corso degli strumenti finanziari attraverso le quotazioni ufficiali. Più complicata risulterà la determinazione
per quanto riguarda le azioni non quotate, mancando un prezzo di mercato verificabile in modo oggettivo ed
immediato». Nello stesso senso anche E. Barcellona, op. cit., 333, nt. 25.

Parte II - Giurisprudenza 79
mazione dell’Audit quale possibile fonte di pregiudizio per la società e per i
singoli azionisti risparmiatori che, usufruendo delle informazioni rilasciate
al mercato, investono i loro risparmi in strumenti finanziari inseriti nel circuito
del mercato regolamentato. La normativa in esame, difatti, tende a favorire
e proteggere gli investimenti in strumenti finanziari, intesi quale nuova
forma di raccolta di capitali. Poiché questo nuovo canale di reperimento
dei capitali è diventato il fulcro del capitalismo attuale globalizzato, ove la
partecipazione al capitale di rischio delle società a capitale diffuso è aperta a
soggetti eventualmente non interessati a partecipare alla vita della società,
ma certamente propensi a investire in forma agile e redditizia i loro risparmi,
le informazioni rilasciate sulle situazioni societarie e di bilancio cui si
ricollegano i titoli offerti assumono grande rilevanza per sostenere la stessa
credibilità del mercato. Il legislatore, in contropartita, ha offerto ai fruitori
di questo particolare mercato una diretta protezione dai rischi derivanti da
una negligente informazione, sancendo espressamente la responsabilità dell’ente
che istituzionalmente ne certifica i bilanci.
Sul piano teleologico è dunque certo che lo scopo della certificazione
dei bilanci è quello di elargire al mercato e ai suoi fruitori, oltre agli azionisti
di minoranza, un arricchimento informativo mediante un giudizio professionale
espresso con principi standardizzati, e non di aiutare i sindaci e
gli amministratori a far di conto.
Posto quanto sopra in via generale, ai fini della valutazione dell’effettivo
Di conseguenza, la valutazione del comportamento ipotetico dell’investitore tipo deve
essere incentrata sull’influenza che l’informazione ha dispiegato sulla formazione del prezzo
degli strumenti finanziari, dovendosi concludere per la sussistenza del nesso di causalità non
quando il singolo risparmiatore ha fatto affidamento sulla correttezza dell’opinion, ma quando
quest’ultima ha inciso sul prezzo che si è artificiosamente formato a seguito dell’inadempimento
del revisore ( 30 ). Per contro, si deve ipotizzare che il comportamento dell’investitore
non sarebbe cambiato anche in caso di erronea revisione qualora la scoperta della verità non
produca alcun effetto sulla quotazione degli strumenti finanziari ( 31 ).
Una volta che il risparmiatore abbia fornito una prova di questo tipo, spetterà al revisore,
per andare esente da responsabilità, dimostrare l’esistenza di circostanze, rilevanti sul piano
della causalità materiale, che possano interrompere il nesso causale ( 32 ).
( 30 ) Cfr., in tal senso, G.M. Buta, La responsabilità nella revisione obbligatoria delle soc. per az., cit., 305
seg.; E. Barcellona, 335.
( 31 ) Come giustamente affermato da E. Barcellona, op. cit., 338, in questi casi vi sarebbe inadempimento
ma non danno.
( 32 ) Sulla possibilità per il revisore di provare anche per presunzioni l’interruzione del nesso di causalità,
cfr. M. Bussoletti, op. cit., 348 e 351; P. Fiorio, op. cit., 1984; F. Bonelli, op. cit., 984; A. Rossi, op.
cit., 201; E. Norelli, op. cit., 346; P. Montalenti, op. cit., 317; D. Casadei, op. cit., 155. Per un’ampia ricognizione
delle possibili circostanze che il revisore potrebbe provare per far venir meno il nesso di causalità, cfr.
M. Maggiolino, op. cit., 595 seg.

80
Il diritto fallimentare e delle società commerciali - n. 1-2011
danno sofferto dagli investitori occorre riportarsi alle consuete considerazioni
in termini di nesso logico-temporale tra condotta illecita (inadempimento)
accertata ed evento lesivo occorso in considerazione del bene della
vita che si assume danneggiato. Difatti nell’azione aquiliana i danni risarcibili
sono eziologicamente collegati, secondo un criterio di ragionevolezza,
alla condotta che ha causato l’evento lesivo ingiusto e, in questo caso, ogni
valutazione in termini di indennizzo si deve confrontare con la lesione del
diritto (o legittima aspettativa) dell’investitore a orientare le proprie scelte
negoziali sulla base di corrette informazioni.
4. Fondamento e natura della responsabilità del revisore. Da un approccio strutturale ad
una considerazione funzionale del problema. – Tralasciando l’esame delle problematiche relative
alla quantificazione del danno subito dagli investitori ( 33 ), l’aspetto più controverso della
fattispecie in esame che ha maggiormente stimolato l’approfondimento degli interpreti è rap-
( 33 ) Dissentibile appare, comunque, il modo in cui il Tribunale di Milano ha affrontato la questione della
quantificazione del pregiudizio patito dai risparmiatori. Una corretta liquidazione dei danni, infatti, avrebbe imposto
un ragionamento articolato che prendesse le mosse dai principi generali in materia civilistica e, in particolare,
dall’art. 1223 cod. civ., dovendosi il danno risarcibile misurare sulla scorta della differenza tra il patrimonio
ipotetico che l’investitore avrebbe avuto se si fosse comportato come l’investitore di media ragionevolezza e il
patrimonio effettivo che l’investitore si ritrova a seguito della scelta indotta dalla opinion rilasciata dal revisore
(si tratta, in sostanza, dell’applicazione della Differenztheorie, su cui, cfr. R. Scognamiglio, Risarcimento del
danno, inNoviss. Dig. It., Torino, 1969, 623 seg.; A. Graziani, Appunti sul lucro cessante (Studi di diritto civile
e commerciale), Napoli, 1953, 249; G. Visintini, op. cit., 249 segg. Tale criterio è sostanzialmente analogo a quello
degli out of pocket damages (il relazione al quale, v. M. Ventoruzzo, op. cit., 103) – generalmente accolto
nell’ordinamento statunitense – secondo cui il danno subito è pari alla differenza tra il prezzo pagato per l’acquisto
dello strumento finanziario ed il valore che tale strumento avrebbe avuto in caso di corretta informazione
(prezzo virtuale). In giurisprudenza un’applicazione di tale principio si è avuta, da ultimo, in Tribunale Milano
25 luglio 2008, in www.ilcaso.it. Per un approfondimento dei criteri di quantificazione del danno causato dal
revisore, cfr., diffusamente, E. Barcellona, op. cit., 343 segg. Si discosta parzialmente da questa impostazione
C. Angelici (Id., op. cit., 41 seg.), il quale, ritenendo che, nelle ipotesi di danno da false informazioni economiche
nel mercato secondario, l’interesse protetto sia rappresentato dalla corretta formazione del prezzo, afferma
la necessità di concentrare su questo aspetto la tutela risarcitoria. In tale ottica, l’A., rinnegando la tutela reintegratoria,
determina il danno risarcibile «nella differenza tra il prezzo sulla base del quale è avvenuta la negoziazione
ed il prezzo che si sarebbe avuto se la falsa informazione non l’avrebbe distorto». Occorre precisare, in
merito al problema in esame, che nelle società chiuse in assenza di un riferimento oggettivo ed immediato, quale
è appunto quello delle quotazioni di borsa, la determinazione del danno causato dalla falsa informazione del revisore
risulterà ancora più complesso, con necessità di ricorrere, in caso di assoluta impossibilità, alla valutazione
equitativa del danno di cui all’art. 1226 cod. civ. Le difficoltà connesse alla quantificazione dei danni causati dal
revisore avevano spinto parte della dottrina a suggerire l’adozione di un tetto massimo di danno risarcibile sulla
scorta di quanto previsto nell’ordinamento tedesco (sul dibattito circa la limitazione della responsabilità dei revisori
e sui i rischi connessi alla fissazione di un tetto massimo alla responsabilità dei revisori, cfr. G. Presti, op.
cit., 166; G.M. Buta, La responsabilità nella revisione obbligatoria delle soc. per az., cit., 320; G. Facci, Il danno
da informazione inesatta nell’attività di revisione contabile, cit., 2033 e, da ultimo, P. Giudici, La responsabilità
civile del revisore legale, cit., 34). Il legislatore della riforma, tuttavia, non ha recepito le proposte elaborate in tal
senso, imponendo conseguentemente ai giudici nostrani di effettuare complessi calcoli fondati su dati ipotetici,
con elevato rischio di errori o di soluzioni equitative come quella adottata dal Tribunale di Milano nella sentenza
annotata, ma con il vantaggio di evitare che una responsabilità limitata possa rendere, attraverso meccanismi di
assicurazione, i revisori sostanzialmente irresponsabili e, quindi, privi di ogni tensione a porre in essere comportamenti
diligenti.

Parte II - Giurisprudenza 81
Certamente la tutela accordata non si estende a tutti i rischi del settore,
trattandosi comunque di investimenti funzionalmente ricollegati al capitale
di rischio di una società e che subiscono l’influenza di vari fattori esterni
sulle loro quotazioni, quali l’andamento del mercato borsistico e dell’economia
in generale. E allora, il canone in base al quale dover valutare il comportamento
ipotetico degli investitori correttamente informati non può che
essere fondato sul comportamento tipico di un investitore di media ragionevolezza
nella condizione di mercato del tempo, visto che la prevedibilità
di un evento non è quella riferibile al singolo soggetto contraente, ma è
presentato sicuramente dalla natura della responsabilità del revisore verso i terzi. Se, infatti,
l’orientamento a tutt’oggi prevalente in dottrina, sulla scorta di diverse argomentazioni attinenti
alla struttura della fattispecie, attribuisce alla stessa veste aquiliana ( 34 ), non manca chi,
valorizzando lo schema della responsabilità contrattuale per violazione degli obblighi di pro-
( 34 ) Non vi era, tuttavia, unità di vedute in dottrina sul ruolo rivestito dall’abrogato art. 164 T.U.F. e prima
ancora dall’art. 12 d.p.r. n. 136/75. Nel disegnare la struttura della responsabilità del revisore nei confronti dei
terzi, l’opinione prevalente (cfr., con riferimento alla disciplina contenuta nell’art. 12 d.p.r. n. 136/1975, M. Santaroni,
op. cit., 199 seg.; M. Bussoletti, op. cit., 332; A. Rossi, op. cit., 192 seg.; G. Partesotti, Società di
revisione, inEnc. giur., XXIX, Roma, 1993, 8 seg.; G. Ferrarini, La responsabilità da prospetto, Milano, 1986,
168 segg. e con riferimento all’art. 164 T.U.F., M. Nuzzo, op. cit., 1510; P. Balzarini, sub art. 164, inLa disciplina
delle società quotate, Commentario a cura di Marchetti e Bianchi, Milano, 1999, 1945 seg.; D. Casadei,
op. cit., 48; Caldarone-G. Tucci, op. cit., 308; T. Di Marcello, La responsabilità della società di revisione nei
confronti dei terzi tra violazione di obblighi e lesione di interessi protetti, inGiur. comm., II, 2003, 451; V. Sangiovanni,
op. cit., 540. M. Maggiolino, op. cit., 586) ne riconduceva le fattezze al più generale dovere di neminen
laedere, contenuto nell’art. 2043 cod. civ., rispetto al quale la norma in esame si sarebbe posta in relazione
di species a genus, così attribuendo ad essa una mera funzione dichiarativa di rinvio ai principi generali dell’ordinamento.
In giurisprudenza, per questa posizione, cfr., oltre alla sentenza annotata, Tribunale Milano 18 giugno
1992, in Giur. it., 1993, I, 2, 1; Tribunale Torino, 18 settembre 1993, cit., 655, confermata da Appello Torino
30 maggio 1995, cit., 376; Appello Milano 7 luglio 1998, cit., 1171; Tribunale Milano 21 ottobre 1999, cit., 533;
Cassazione 18 luglio 2002, n. 10403, in Società, 2002, 1513. Altri Autori (G. Partesotti, op. cit., 8 s.; A. Rossi,
op. cit., 201 s.; G. Castellano, I controlli esterni, inTrattato delle società per azioni, diretto da Colombo e Portale,
vol. 5, Torino, 1988, 374 seg.), invece, riconoscendo all’art. 164 T.U.F. una funzione istitutiva della responsabilità
de qua, disciplinante un illecito aquiliano tipizzato, attribuivano a tale norma la funzione di esonerare l’interprete
dal dover accertare, in concreto, l’ingiustizia del danno subito dagli investitori, avendo il legislatore, nel
disciplinare apertis verbis la responsabilità del revisore nei confronti dei terzi, espresso, già in linea di principio,
un giudizio di meritevolezza dell’interesse dei risparmiatori ad essere correttamente informati dal revisore e, quindi,
l’esigenza di tutelare il legittimo affidamento che essi ripongono nella correttezza delle informazioni fornite.
Anche la giurisprudenza, pur orientata, come detto, a rinvenire il fondamento della responsabilità del revisore
nell’art. 2043 cod. civ., pare attratta da tale prospettazione: cfr. Tribunale Milano 18 giugno 1992, cit.; Tribunale
Torino, 18 settembre 1993, cit. e la sentenza in epigrafe nella parte in cui si legge che «nel caso specifico, il pregiudizio
si è verificato rispetto all’interesse all’informazione corretta che risulta direttamente protetto dalla norma
di cui all’art. 164 d.lgs. 59/98 prevedente la responsabilità (del revisore) verso i terzi», per poi ribadire: «in questo
caso, è lo stesso legislatore a considerare la non corretta informazione dell’Audit quale possibile fonte di pregiudizio
per la società e per i singoli azionisti risparmiatori che, usufruendo delle informazioni rilasciate al mercato,
investono i loro risparmi in strumenti finanziari inseriti nel circuito del mercato regolamentato». Non manca, infine,
chi (cfr. G. Facci, Il danno da informazione inesatta nell’attività di revisione contabile, cit., 2022) sottolinea
«la sostanziale inutilità pratica del dibattito in ordine alla natura della responsabilità del revisore verso i terzi, non
rilevando alcuna distinzione in relazione all’onere della prova da fornire in giudizio».

82
Il diritto fallimentare e delle società commerciali - n. 1-2011
quella astratta inerente ad una data categoria di rapporti, valutata ex ante
secondo le ordinarie regole di comportamento dei soggetti economici (Cassazione
2910-1992 in Giustizia Civile, 1992 parte prima, pagina 3072). In
merito, poi, occorre anche far riferimento al margine di rischio tollerabile desumibile
dal contratto d’investimento stipulato.
Ora, proprio adottando il criterio della prevedibilità dell’evento secondo
il canone dell’«investitore di media diligenza» proiettato al tempo dell’inadempimento
(fatto illecito), categoria in cui si devono ricomprendere tutti
gli attori del presente giudizio che hanno acquistato titoli piazzati sul mer-
tezione ( 35 ), ne afferma la natura contrattuale, quale responsabilità per violazione di preesistenti
doveri, rinvenienti la loro fonte o nel legittimo affidamento dei terzi ( 36 ) o direttamente
nella legge ( 37 ).
Gli orientamenti sinora elaborati dalla dottrina in merito alla natura della responsabilità
del revisore sono accomunati da un approccio all’istituto in esame fondato sulla valorizzazio-
( 35 ) Si fa riferimento alla nota teoria di Castronovo (da ultimo, in Id, La nuova responsabilità civile, Milano,
2006, 443 seg.) della responsabilità per violazione di «obblighi di protezione senza dovere primario di prestazione»,
generati dall’affidamento legittimo che un soggetto ripone nelle informazioni rilasciate da un altro soggetto,
affidamento che trasforma il «contatto sociale» in un vero e proprio vinculum iuris. Si tratterebbe, in sostanza, di
responsabilità contrattuale derivante dalla violazione di preesistenti obblighi che trovano la loro fonte non nel
contratto ma nell’affidamento, quale fonte atipica dell’obbligazione ai sensi dell’art. 1173 cod. civ. Sulla distinzione
della responsabilità di diritto civile in responsabilità da violazione di obblighi preesistenti (contrattuale) e
responsabilità da lesione di situazioni soggettive altre (aquiliana), cfr. le pagine di R. Scognamiglio, Responsabilità
contrattuale ed extracontrattuale, inNoviss. dig. it., Torino, 1968, 675 e L. Mengoni, Responsabilità contrattuale,
inEnc. dir., Milano, XXXIX, Milano, 1988, 1072.
( 36 ) È la tesi di P. Montalenti, op. cit., 312, che riprende la tesi sostenuta da Castronovo adattandola
alla fattispecie del revisore contabile. I Giudici ambrosiani, nella sentenza annotata, pur accogliendo, come anticipato,
le azioni proposte in via extracontrattuale, lasciano trasparire, comunque, una certa «apertura» verso
l’orientamento che considera contrattuale la responsabilità per informazioni economiche inesatte rese, nell’esercizio
delle proprie funzioni legislativamente o contrattualmente definite, da soggetti che posseggono un particolare
status. L’orientamento volto a qualificare come contrattuale la responsabilità per danni causati a terzi a
seguito della violazione di obblighi professionali tipizzati dalla legge è stato recepito anche dalla giurisprudenza
a Sezioni Unite della Suprema Corte (cfr. Cassazione, Sez. Un., 26.06.2007, n. 14712, in Giur. it., 2007, 1150,
con nota di G. Cottino, Dalle Sezioni unite alle Sezioni semplici: precisazioni (e dubbio) in tema di responsabilità
per il pagamento di assegno bancario (trasferibile e non) e soggetto non legittimato ad esigerlo), richiamata
in motivazione, che, con riferimento alla responsabilità degli istituti bancari per danni causati da false informazioni
rese nell’esercizio dell’attività professionale, è giunta alla stessa conclusione della dottrina citata alla nota
21 seguendo, tuttavia, un percorso logico differente. Le sezioni unite, infatti, hanno preso le mosse del proprio
ragionamento da una diversa interpretazione del termine «contratto» contenuto nell’art. 1173 cod. civ., ritenendo
che tale locuzione rappresenterebbe una sineddoche – figura retorica consistente nell’esprimere una
parte per il tutto – attraverso cui il legislatore avrebbe voluto intendere tutte le obbligazioni diverse da quelle
generate da fatti illeciti o da «ogni altro atto o fatto», cui sarebbero riconducibili solo le obbligazioni «integranti
la cosiddetta responsabilità da fatto lecito».
( 37 ) In quest’ottica, G.M. Buta, La responsabilità della società di revisione per danni prodotti a terzi da un
erroneo giudizio sul bilancio: il caso Parmalat, cit., 131 seg., la quale pur partendo dal presupposto che la responsabilità
del revisore trovi il suo fondamento nella violazione di obblighi di protezione, si discosta dalla prospettazione
di Castronovo allorché rinviene il fondamento di tali obblighi direttamente nelle norme di legge (art. 164
T.U.F. e 2409 sexies cod. civ.) e non nell’affidamento legittimo derivante dallo status del revisore. Sempre nella
stessa ottica, cfr. A. Di Majo, La responsabilità contrattuale. Modelli e rimedi, Torino, 2002, 82.

Parte II - Giurisprudenza 83
cato regolamentato della borsa valori di Milano, e ribaltando la situazione
di anomala e macroscopica disinformazione in cui versavano sin dal tempo
dei loro primi acquisti, il comportamento ipotetico sarebbe stato certamente
di fuga dall’investimento in caso di diligente revisione.
È il caso di sottolineare ancora una volta che gli investitori che agiscono
in giudizio per ottenere ristoro dei danni hanno tutti negoziato le azioni e le
obbligazioni dal 1999 al 2003 (quando l’Audit era certificatore secondario);
che le società estere Bonlat, Curcastle e Zilpa i cui bilanci sono stati certificati
dalla società di revisione convenuta sono tra le principali cause generatrici
del mantenimento in vita di una società decotta e della creazione della
falsa liquidità che ha creato il falso affidamento negli azionisti e obbligazionisti
investitori. Nella situazione data al tempo dell’inadempimento, pertanto,
è certo – e non solo probabile – che gli azionisti e obbligazionisti di
media avvedutezza non avrebbero acquistato le azioni e obbligazioni del
gruppo Parmalat se solo avessero saputo che si trattava di titoli di una società
che non solo aveva perso l’intero capitale dal 1992, ma si trovava in
stato d’insolvenza sin dal 1996 (v. rel. CT e dichiarazioni del teste Bianchi).
ne della struttura della fattispecie e poco incline ad esaltarne i profili funzionali. Si è discostato
da questo metodo di indagine soltanto chi, prendendo le mosse dall’individuazione dello
«scopo e senso» del contratto di revisione contabile, è giunto a qualificarne la natura come
contratto in favore di terzo con efficacia meramente interna e, di conseguenza, a definire la
responsabilità del revisore nei confronti del pubblico dei risparmiatori, come responsabilità
di fonte contrattuale ( 38 ). L’impostazione da ultimo riportata – indipendentemente dalla condivisibilità
o meno delle conclusioni raggiunte ( 39 )–ècertamente utile nel metodo in quanto
proprio la funzione che il legislatore ha inteso attribuire agli obblighi posti a carico del revisore
può fungere da criterio decisivo per comprendere la natura della sua responsabilità verso
i terzi ( 40 ).
( 38 ) Cfr., E. Barcellona, op. cit., 317 segg. L’Autore, prediligendo una lettura funzionale della responsabilità
del revisore, individua una serie di indici da cui possa desumersi che i beneficiari del contratto di revisione
siano in realtà i terzi che, tuttavia, diventerebbero tali non nel momento della stipulazione del contratto, come
avviene nel contratto a favore di terzo con efficacia esterna (unico espressamente disciplinato nel nostro ordinamento),
ma al momento dell’esecuzione della prestazione, vale a dire una volta che il revisore ha predisposto e
pubblicato la relazione al bilancio.
( 39 ) Le critiche mosse alla soluzione prospettata nascono fondamentalmente dai dubbi sull’ammissibilità di
un contratto in favore del terzo con efficacia meramente interna e dalla necessaria determinatezza o quantomeno
determinabilità dei terzi beneficiari del contratto.
( 40 ) Per una valorizzazione del profilo funzionale nella lettura della responsabilità civile, cfr., in generale,
M. Barcellona, Struttura della responsabilità e ingiustizia del danno, inEuropa e diritto privato, 2000, 401
seg.; A Di Maio, Delle obbligazioni, artt. 1173-1176, in Commentario Scialoja e Branca, Bologna-Roma,
1988, 72 segg. e, con particolare riferimento alla responsabilità per violazione dell’obbligo di o.p.a., G. Guizzi,
Noterelle in tema di OPA obbligatoria, violazione dell’obbligo di offerta ed interessi protetti, inRiv. dir. comm.,
2005, II; 251 segg. e A. Tucci, Obbligo di offerta e responsabilità civile, inRiv. soc., 2007, 999 segg. ed in particolare,
1048 seg.

84
Il diritto fallimentare e delle società commerciali - n. 1-2011
Quanto alla continuità logico temporale tra condotta ed evento, nel caso
specifico, non occorre spendere molte altre parole per dimostrare che la
caduta dell’intero valore dei titoli Parmalat, alla data della scoperta della verità,
non è stata influenzata da altri fattori, posto che la vicenda relativa al
gruppo Parmalat, conclusasi con il disvelamento dell’indebitamento e del
dissesto in cui versavano tutte le società del gruppo, anche quelle dotate
di grande capacità reddituale, si offre nel panorama degli accadimenti storici
ed economici del nostro paese come un fenomeno del tutto straordinario
sia per le dimensioni del default accertato, sia per la durata e consistenza
del mascheramento al mercato dei dati riportati in bilancio, a fronte di una
forte credibilità imprenditoriale e finanziaria accordata al gruppo da parte
dell’intera comunità economica internazionale. A livello societario essa si è
conclusa con un passivo fallimentare prevedibilmente non più risanabile in
termini numerici e con uno scorporo dei cespiti attivi residui confluiti nella
società «Nuova Parmalat», rientrata nelle quotazioni di borsa, di cui gli attori
hanno beneficiato in parte solo come obbligazionisti, ottenendo in concambio
titoli azionari valutati di ammontare pari all’11% del capitale investito
in titoli obbligazionari. A tale ristoro si è sommato quello relativo ai
titoli «warrant» della Nuova Parmalat valutati al prezzo di mercato del tempo
dell’offerta.
Sul piano causale, come si è già accennato, non rileva più di tanto il riscontro
di una mancanza di controllo di vigilanza sull’attività dell’Audit da
parte di enti o soggetti ad esso preposti, e nemmeno il contributo di condotte
illecite e/o omissive altrui nel mascheramento dell’indebitamento
del gruppo, perché sièvisto come la mancata espressione di un corretto
Orbene, seguendo tale approccio è certamente preferibile ritenere che la fattispecie della
responsabilità del revisore nei confronti dei terzi e dei soci non sia tesa a realizzare un risultato
distributivo di ricchezza ma semplicemente a garantire una possibilità di razionale ed efficiente
gestione del proprio patrimonio ( 41 ) da parte dei risparmiatori attuali e potenziali ( 42 ).
Dalla lettura delle norme che ne costituiscono la disciplina, infatti, si evince che gli obblighi
posti in capo ai revisori sono funzionali non solo ad accrescere la «reputazione» della società
( 41 ) Discorrono, in generale, di un pregiudizio alla corretta ed efficiente gestione del patrimonio degli investitori,
seppur con riferimento a ipotesi diverse di responsabilità nel mercato finanziario, G. Guizzi, op. cit.,
254 seg.; F. Guerrera, Illecito e responsabilità nelle organizzazioni collettive, Milano, 1991, 282; G. Facci, Il
danno da informazione finanziaria inesatta, Bologna, 2009, 226 segg. Ritiene, invece, che nelle ipotesi di danno
dovuto a false informazioni diffuse nel mercato dalle società quotate, oggetto di tutela sia l’interesse alla «corretta
formazione del prezzo» degli strumenti finanziari, C. Agelici, op. cit., 37 seg.
( 42 ) La distinzione tra investitori potenziali ed attuali è stata prospettata con esaustività daD.Regoli, op.
cit., 201; G. Alpa, L’informazione del risparmiatore, inBanca, borsa, tit. cred., 1990, I, 479 seg. e, con riferimento
alla responsabilità delle società di revisione, da E. Barcellona, op. cit., 341 s.

Parte II - Giurisprudenza 85
giudizio professionale sui bilanci delle società Bonlat, Curcastle e Zilpa abbia
causalmente provocato, al di là di ogni ragionevole dubbio, la copertura
dell’intero dissesto del gruppo; pertanto, l’eventuale riscontro di un concorrente
contributo causale di condotte illecite altrui non potrebbe mai attenuare
la responsabilità primaria dell’Audit convenuta in questo giudizio,
potendo semmai costituire la premessa dell’affermazione di un vincolo di
solidarietà tra i diversi corresponsabili nell’adempimento dell’obbligazione
risarcitoria, sulla scorta del principio di responsabilità solidale contenuto
nell’art. 2055, 1 e 2 comma, cod. civ.
Alla luce di quanto sopra appare più che ragionevole che gli attori affermino
di essere stati incisi nella loro libertà negoziale dalla condotta colposa
dell’Audit, potendo all’epoca fare massimo affidamento nella professionalità
della società che ha certificato i bilanci, e deducano di essere stati
lesi per sua causa nel loro diritto a ricevere un’informazione corretta, consistente
in un giudizio professionale sul bilancio, prima e dopo l’acquisto.
L’informazione falsa, causata dal continuato e persistente inadempimento
della società di revisione, secondo un criterio di normale adeguatezza cau-
revisionata nei confronti del pubblico ( 43 ) ma, soprattutto, a riequilibrare l’asimmetria informativa
esistente tra società emittenti strumenti finanziari e risparmiatori, al fine di permettere
a questi ultimi di effettuare scelte di investimento consapevoli ed oculate ( 44 ). Da quest’ultimo
punto di vista, le informazioni fornite dal revisore, dunque, non rappresentano un bene appropriabile
( 45 ) il cui «vizio» possa dar luogo a responsabilità contrattuale ma uno strumento
indispensabile di conservazione dell’investimento ( 46 ), con un duplice ordine di conseguenze.
Innanzitutto, gli obblighi posti in capo al revisore nell’interesse dei terzi – proprio in ragione
( 43 ) Nei confronti della società cliente la responsabilità del revisore è di natura contrattuale in quanto il
risarcimento dei danni è finalizzato proprio a surrogare in termini monetari il mancato o difettoso trasferimento
di ricchezza sotto forma di «reputazione» che una corretta revisione assicura.
( 44 ) Valorizzano la funzione istituzionale dell’attività di revisione contabile, deputata a tutelare interessi che
trascendono quelli propri della società revisionata, G.M. Buta, La responsabilità nella revisione obbligatoria delle
soc. per az., cit., 169 seg.; E. Barcellona, op. cit., 247 seg., G. Facci, Il danno da informazione inesatta nell’attività
di revisione contabile, cit., 2019; P. Fiorio, op. cit., 1981; M. Nuzzo, op. cit., 1508; V. Sangiovanni, op.
cit., 537. Lo stesso Tribunale di Milano, nella sentenza annotata, individua l’interesse tutelato dall’abrogato art.
164 T.U.F. nel «diritto (o legittima aspettativa) dell’investitore a orientare le proprie scelte negoziali sulla base di
corrette informazioni».
( 45 ) I soggetti destinatari delle informazioni del revisori, infatti, non sono identificati né identificabili ab
initio e le informazioni sono diffuse ad incertam personam, al pubblico in generale e, quindi, in fin dei conti, alla
generalità dei consociati, con la conseguenza che non possono essere in alcun modo oggetto di appropriazione
egoistica ed entrare a far parte del patrimonio di un singolo investitore. Precisa che le informazioni oggetto della
disciplina della trasparenza dei mercati finanziari siano destinate alla totalità dei consociati e non a soggetti determinati,
S. Bruno, op. cit., 108 seg.
( 46 ) Sulla distinzione tra funzione distributiva e funzione conservativa della ricchezza come criterio discretivo
tra, rispettivamente, responsabilità contrattuale e responsabilità aquiliana cfr. M. Barcellona, op. cit., 465
seg.; A Di Maio, Delle obbligazioni, cit., 72 seg.; G. Guizzi, op,. cit., 254 segg. e, con specifico riferimento alla
revisione contabile, da E. Barcellona, op. cit., 317 seg.

86
Il diritto fallimentare e delle società commerciali - n. 1-2011
sale, ha dunque indotto gli attori ad investire i propri risparmi in titoli di
nessun valore che, in situazione di corretta informazione, non avrebbero
certamente neanche trovato in circolazione e, in ogni caso, non avrebbero
certamente mantenuto nel loro portafoglio. Nella determinazione all’acquisto
e nel mantenimento delle partecipazioni, in ogni caso, non hanno influito
altri diversi fattori di speculazione.
La quantificazione del danno da risarcire agli azionisti deve svolgersi osservando
che sebbene la perdita del valore dell’investimento debba riferirsi,
in linea capitale, al valore d’acquisto dei titoli, da questo dato numerico dovrebbe
essere comunque detratto il valore dei rendimenti eventualmente ottenuti
con la distribuzione dei dividendi sino alla data del default (23 dicembre
2003). Tuttavia, nonostante sussista riscontro documentale degli investimenti
effettuati da ogni investitore che ha agito in giudizio, si prende atto
che parte attrice, nel quantificare il danno al termine di questo giudizio si è
della funzione conservativa espletata – assumono il carattere di «meri obblighi», senza assurgere
ad «obbligazioni», come accade, invece, nei confronti della società revisionata ( 47 ). In
secondo luogo, il mancato rispetto da parte del revisore degli obblighi imposti configura, rispetto
ai risparmiatori, un comportamento non iure interferente con uno dei poteri giuridicamente
rilevanti che, se pregiudicati, sono oggetto di tutela in via aquiliana quale strumento
di risoluzione dei conflitti conservativi ( 48 ) che la vita di relazione genera tra sfere giuridiche
interferite e comportamenti interferenti ( 49 ).
In sostanza, nel disciplinare espressamente la responsabilità del revisore nei confronti dei
terzi e dei singoli soci della società revisionata, il legislatore non ha fatto altro che «regolare»
un conflitto conservativo «modale» tra la condotta disinformativa della società di audit e la
sfera giuridica degli investitori ( 50 ), prediligendo come criterio di soluzione del conflitto stesso
( 47 ) Ciò pur se gli obblighi in esame gravano su soggetti determinati in quanto, come autorevolmente affermato
(cfr. M. Barcellona, op. cit., 466) non «è il carattere relativo o assoluto della doverosità di un comportamento
che dà senso alla sua qualificazione» ma «la funzione conservativa o traslativa cui tale doverosità è
preordinata». Da ciò scaturisce la configurabilità di meri obblighi gravanti su soggetti determinati tutte le volte in
cui è possibile individuare a priori la potenziale interferenza dannosa di un facere permesso su di una sfera giuridica
altrui. L’assolutezza e la relatività, dunque, secondo l’Autore non sono rilevanti ai fini della qualifica della
responsabilità ma soltanto per delimitare l’estensione del campo nel quale l’ordinamento vede il tipo di problema
che la responsabilità stessa è chiamata a risolvere.
( 48 ) A loro volta distinti in «occasionali,» in cui l’interferenza è solo fortuita e casuale, e «modali», in cui
l’interferenza è fisiologica, e cioè prevista e voluta dal sistema giuridico. Nello stesso senso, cfr. G. Guizzi, op.
cit., 259, nt. 15; A. Tucci, La violazione dell’obbligo di offerta pubblica di acquisto. Rimedi e tutele, Milano, 2008,
83. Sulla distinzione tra «conflitti occasionali» e «conflitti modali» cfr. M. Barcellona, op. cit., 426 seg.
( 49 ) Per una lettura della responsabilità civile come strumento predisposto dall’ordinamento per risolvere i
conflitti conservativi a differenza della responsabilità contrattuale tesa, invece, a dirimere i conflitti attributivi di
ricchezza, cfr., per tutti, M. Barcellona, op. cit., 426 seg.
( 50 ) Oggetto della tutela conservativa cui tende la responsabilità civile è, infatti, proprio la sfera giuridica
preesistente di un soggetto, intesa come l’insieme dei valori da esso appropriabili attraverso l’uso e lo scambio
delle res, il fare proprio permesso, il fare altrui dovuto e permesso (cfr. M Barcellona, op. cit., 437) e, quindi,
più ampia di quella elaborata dalla dottrina tradizionale e ricomprendente i soli diritti soggettivi.

Parte II - Giurisprudenza 87
limitata a circoscrivere il risarcimento richiesto al valore del capitale investito,
senza più indicare eventuali altri fattori che lo compongono (quali la rivalutazione);
inoltre, non ha più insistito nella liquidazione del danno morale.
Poiché la liquidazione del danno aquiliano (debito di valore) è comunque
demandata a una valutazione discrezionale secondo indici e valori che,
per quanto certi e obiettivi, tengono tuttavia conto di tutte le circostanze
del caso concreto, si ritiene che i dividendi annualmente ottenuti possano
nel caso concreto compensare gli attori degli altri fattori che naturalmente
lo compongono. Per questo motivo, si ritiene non necessario disporre CTU
al fine della valutazione e scomputo dei rendimenti ottenuti dai singoli azionisti,
posto che il danno richiesto nelle finali domande è certamente minore
di quello effettivamente subito, in ipotesi dovendo la rivalutazione calcolarsi
«l’inadempimento del revisore ai propri doveri» ( 51 ) e, quindi, in sostanza, la diligenza professionale
che, come si è visto ( 52 ), deve connotare l’attività di revisione.
L’utilizzo della diligenza (professionale) ( 53 ) come criterio di soluzione di un conflitto
modale, secondo moderna dottrina che si intende valorizzare ( 54 ), configurerebbe un’ipotesi
eccezionale – essendo il dolo il criterio di soluzione tipico dei conflitti modali ( 55 ) – che potrebbe
trovare giustificazione nel fatto che le informazioni economiche, in generale, nel sistema
concorrenziale di mercato, svolgono un ruolo preponderante e quelle fornite dal revisore,
in particolare, perché provenienti da un soggetto terzo ed indipendente, rappresentano uno
strumento indispensabile per permettere ai risparmiatori di effettuare scelte di mercato consapevoli
( 56 ).
In definitiva, la circostanza che le condotte fonte di responsabilità per il revisore nei confronti
dei terzi consistano nell’«inadempimento ai propri doveri» non assume rilevanza ai fini
della determinazione della natura della responsabilità ( 57 ) ma soltanto della individuazione del
tipo di conflitto interferenziale, in questo caso modale, che il sistema della responsabilità civile
è chiamato a dirimere ( 58 ).
5. (segue) Cenni sui riflessi applicativi della prescelta prospettiva aquiliana. – Le conse-
( 51 ) Si esprime in questi termini l’art. 15 del d.lgs. 39/2010 che ha, in sostanza, ricalcato, da questo punto di
vista, l’art. 2409 sexies cod. civ.
( 52 ) Cfr., supra, par. 2.
( 53 ) Pur non identificandosi con la essa, la diligenza è concettualmente più simile alla colpa che non al dolo.
( 54 ) Il riferimento è ovviamente a M. Barcellona, op. cit., 401 seg., il quale rinnega l’equivalenza tra dolo
e colpa nell’ambito della responsabilità aquiliana, valorizzandone, al contrario, la diversa funzione di criteri di
soluzione, rispettivamente, dei conflitti modali e di quelli occasionali.
( 55 ) Sul punto, cfr. diffusamente M. Barcellona, op. cit., 449 e 455, il quale giustifica tale conclusione
nel presupposto che i conflitti modali sono voluti e programmati dall’ordinamento e, quindi, il comportamento
interferente, per essere causa di responsabilità, deve essere caratterizzato dal dolo.
( 56 ) Per questa posizione seppur elaborata con riferimento alla responsabilità per false informazioni rese da
una società di raccolta e diffusione dati (c.d. società dirating), cfr. M. Barcellona, op. cit., 462 seg.
( 57 ) Così, invece, ritiene la dottrina tradizionale che predilige una lettura strutturale della responsabilità.
( 58 ) Gli obblighi del revisore nei confronti dei terzi, infatti, rappresentano la condotta interferente tipica
che qualifica come modale il conflitto con la sfera interferita dei risparmiatori.

88
Il diritto fallimentare e delle società commerciali - n. 1-2011
dal tempo dell’acquisto. Dalle liquidazioni che verranno di seguito calcolate
per ciascuna posizione creditoria in linea capitale, pertanto, decorrono gli
interessi legali dalla data degli acquisti al saldo.
Nel caso delle obbligazioni, vale lo stesso discorso di cui sopra, perché
le emissioni di circa 50 prestiti obbligazionari sono state fatte dalla società
Parmalat a fronte di onerosi finanziamenti bancari di cui è mancata sempre
un’adeguata comunicazione sulle condizioni di anticipato rimborso e di garanzie
rilasciate (covenants), essendo queste risultate sorrette da artificiose
operazioni contabili (contratti di swap e investimenti in fondi sconosciuti
al mercato), messe in opera all’interno della società Bonlat, che ha funzionato
da cassaforte della falsa liquidità del gruppo. Sicché anche in questo
caso deve assumersi che le obbligazioni non sarebbero state emesse se le informazioni
rilasciate dai revisori fossero state corrette, soprattutto perché
guenze pratiche della natura aquiliana attribuita alla responsabilità del revisore attengono, soprattutto,
alla ripartizione dell’onere della prova ( 59 ), essendo le stesse state neutralizzate, in
tema di prescrizione, prima dalla previsione di cui all’art. 2409 sexies cod. civ. ed ora da quella
contenuta nell’art. 15 d.lgs. 39/2010, che prevede un termine quinquennale sia per l’azione
esperibile dalla società revisionata sia per quella attribuita ai terzi danneggiati ( 60 ).
Orbene, il creditore che agisce per la risoluzione contrattuale, il risarcimento del danno,
ovvero per adempimento di un’obbligazione deve provare solo la fonte legale o negoziale del
suo diritto, il danno patito ed il nesso di causalità, limitandosi alla mera allegazione dell’inadempimento
della controparte ( 61 ). Spetta, invece, al debitore l’onere di fornire, ai sensi del-
( 59 ) Per essere più precisi, tali differenze si colgono non solo sul piano strettamente probatorio ma anche su
quelli della differenza tra allegazione e prova di una circostanza di fatto e della reciproca interferenza tra i due
oneri processuali.
( 60 ) L’art. 15 d.lgs. 39/2010, tuttavia, ha modificato il dies a quo in precedenza identificato dalla norma
codicistica con la data di cessazione dell’incarico del revisore, prevedendo che il termine prescrizionale inizia
a decorrere «dalla data della relazione di revisione sul bilancio d’esercizio o consolidato emessa al termine dell’attività
di revisione cui si riferisce l’azione di risarcimento».
( 61 ) Tale principio, divenuto ormai ius receputm sulla scia della nota sentenza della Corte di Cassazione a
Sezioni Unite, n. 13533, del 30 ottobre 2001, è stato, poi, espressamente esteso anche alle ipotesi di inadempimento
di obblighi di diligenza o di obblighi accessori, come quello di informazione. La decisa presa di posizione
della Corte di Cassazione a Sezioni Unite ha permesso il definitivo superamento di quell’orientamento dottrinale
e giurisprudenziale che tendeva a distinguere l’onere della prova gravante sull’attore ex art. 1218 cod. civ., in base
al tipo di azione proposta in giudizio, ritenendo che, solo nel caso di domanda di adempimento, non gravasse sul
creditore l’onere di provare l’inadempimento del debitore, onere, invece, gravante su di esso in caso di contestazione
dell’esattezza dell’adempimento o in caso di domanda di risarcimento dei danni (cfr., in tal senso, L. Mengoni,
op. cit., 1095 seg.). La regola in esame trova la sua ratio nel principio della c.d. vicinanza alla prova o di
riferibilità (cfr. Cassazione 9 novembre 2006, n. 23918, in Giust. mass. civ., 2006, 11; Cassazione 29 luglio 2004,
n. 11488, in Giust. civ., 2005, 2115; Cassazione, Sez. Un., 3 ottobre 2001, cit.) espressione di un’esigenza che
risulta ancor più marcata nel caso in cui l’esecuzione della prestazione riguardi l’applicazione di regole tecniche
sconosciute al creditore, essendo estranee alla comune esperienza, e viceversa proprie del bagaglio del debitore
come nel caso della revisione e, più in generale, dell’esecuzione di una prestazione di natura professionale (cfr.
Cassazione civ., sez. III, 13 aprile 2007, n. 8826. In dottrina, cfr. G. Facci, Il danno da informazione inesatta
nell’attività di revisione contabile, cit., 2029 seg.).

Parte II - Giurisprudenza 89
sarebbe emerso che la società non aveva i requisiti per accedere a questa
particolare e regolamentata fonte di finanziamento.
Pertanto, anche in questo caso la perdita dell’investimento è secca e risalente
al tempo dell’acquisto dei titoli obbligazionari: il concambio offerto
in titoli della Nuova Parmalat e warrants (opzioni di acquisto) su titoli di
futura emissione ha così determinato solo una riduzione del maggior danno
sofferto, ma non il suo integrale ristoro.
Il risarcimento parziale ottenuto, inoltre, come non vale a ristorare gli
obbligazionisti dell’intero danno sofferto, in pari modo non costituisce
una rinuncia o transazione della pretesa risarcitoria di cui è causa perché,
l’art. 1218 cod. civ., la prova liberatoria di aver adempiuto esattamente o, quantomeno, di
essere stata impossibilitato a farlo per cause sopravvenute a lui non imputabili ( 62 ).
Il danneggiato che agisca in via aquiliana per ottenere il ristoro del pregiudizio patito, al
contrario, ha l’onere di provare non solo il danno e il nesso di causalità ma anche il fatto illecito
e l’elemento soggettivo.
Si tratta di una distinzione di non poco conto se solo si prende in considerazione che
proprio la gravosità dell’onere probatorio viene considerato, nella materia in esame, come
principale ostacolo ad una esaustiva tutela dell’investitore. La difficoltà, per il terzo, di fornire
la prova della colpa del revisore, infatti, ha indotto parte della dottrina che propende per la
natura aquiliana della responsabilità de quo a porvi rimedio attraverso tecniche che permettano
l’inversione dell’onere probatorio, ricorrendo a presunzioni ( 63 ), ovvero valorizzando il
principio, elaborato, come detto, in ambito contrattuale, della vicinanza alla prova ( 64 ).
Tali tentativi, tuttavia, seppur mossi dal condivisibile intento di tutelare l’investitore quale
soggetto «debole» del mercato, si scontrano apertamente con la regola processuale dell’onere
della prova contenuta nell’art. 2697 cod. civ. e derogabile solo per espressa previsione
normativa ( 65 ).
( 62 ) A tal proposito, conserva una certa rilevanza la tanto criticata distinzione tra obbligazioni di risultato
ed obbligazioni di mezzi in quanto, nel primo caso, il debitore può andare esente da responsabilità solo dimostrando
di aver assicurato il risultato dedotto in obbligazione o, in alternativa, che lo stesso era divenuto impossibile
per causa sopravvenuta a lui non imputabile (sul concetto di «causa sopravvenuta non imputabile», cfr.,
diffusamente, L. Mengoni, op. cit., 1073 seg.), mentre nel secondo caso può limitarsi a provare di aver utilizzato
la diligenza richiesta. Per un netto rifiuto della distinzione tra obbligazioni di mezzi e di risultato, cfr. Cassazione,
Sez. Un. Civ., 28 luglio 2005, n. 15781, e, già in precedenza, C.M. Bianca, Diritto civile, L’obbligazione, Milano,
1990, 70; P. Rescigno, Obbligazioni (nozioni), inEnc. dir., XII, Milano, 1964, 539.
( 63 ) Cfr. S. Faillace, La responsabilità da contatto sociale, Padova, 2004, 149; G. Facci, Il danno da informazione
inesatta nell’attività di revisione contabile, cit., 2029 segg. Valorizzano le presunzioni in relazione al
tema più ampio della responsabilità da informazioni economiche inesatte: F.D. Busnelli, Itinerari europei nella
«terra di nessuno» fra contratto e fatto illecito: la responsabilità da informazioni economiche inesatte, inContr. e
impr., 1991 570; G. Alpa, Il prospetto informativo, inNuova giur. civ. comm., 1988, II, 312.
( 64 ) Cfr. S. Fortunato, op. cit., 858; e prima della riforma, M. Bussoletti, op. cit., 363.
( 65 ) Analogo rilievo viene mosso da G.M. Buta, La responsabilità nella revisione obbligatoria delle soc. per
az., cit., 242 e P. Fiorio, op. cit., 1982. In giurisprudenza, per inammissibilità del ricorso alla colpa presunta se
non nelle ipotesi espressamente previste dalla legge, cfr., da ultimo, Cassazione 19 gennaio 2010, n. 694, secondo
cui «la colpa non può essere presunta se non nei casi tassativamente previsti dalla legge d in ogni caso deve essere
provata dalla parte che l’invoca».

90
Il diritto fallimentare e delle società commerciali - n. 1-2011
da un lato, parte attrice ha continuato a coltivare le sue domande anche in
relazione alle perdite subite con gli investimenti obbligazionari; dall’altro,
invece, parte convenuta, nelle sue difese, non ha neanche dichiarato di voler
eventualmente profittare del negozio transattivo intervenuto tra gli attori e
l’organo fallimentare, in qualità di condebitrice solidale ai sensi dell’art.
1304 cod. civ.
La società di Audit convenuta, piuttosto, vorrebbe opporre «in compensazione»
la sussistenza di ingenti pretese giudiziali risarcitorie coltivate dal
commissario straordinario nei confronti di altri soggetti ritenuti corresponsabili
del default (tra i quali vi è Bank of America per l’ingente credito concesso
a fronte di onerosi «covenants») che andrebbero, ove fossero accolte,
a vantaggio della massa dei creditori e della società fallita: questi argomenti
difensivi, tuttavia, sono del tutto inidonei a sciogliere la società convenuta
dall’obbligo risarcitorio accertato nei confronti degli attori, posto che l’eventualità
prospettata andrebbe a vantaggio dei soli condebitori solidali
che, in seguito al pagamento del debito, conservano l’azione di regresso verso
i coobbligati prevista nell’art. 2055 cod. civ. Trattandosi pertanto di questioni
che attengono al pagamento del debito, pacificamente rimasto inso-
Ciò non toglie, tuttavia, che ad analoga conclusione possa pervenirsi senza stravolgere i
principi generali e valorizzando le peculiarità della disciplina della responsabilità dei revisori
verso i terzi. Ed invero, la circostanza che la condotta interferente dei revisori non coincida
con ogni fatto doloso o colposo ma si sostanzi nell’«inadempimento ai propri doveri», come
espressamente previsto prima dall’art. 2409 sexies cod. civ. ed ora dall’art. 15 d.lgs. 39/
2010, importa per i terzi danneggiati, intenzionati a conseguire il risarcimento dei danni, l’onere
di provare l’inadempimento, da parte del revisore contabile, degli obblighi posti a suo
carico, non anche l’elemento soggettivo ( 66 ).
A tal proposito, l’aver qualificato le obbligazioni del revisore come obbligazioni di diligenza
( 67 ) non comporta che il terzo danneggiato, per provare l’inadempimento, debba, comunque,
dimostrare la colpa della società di audit ( 68 ), in quanto una conclusione di questo
genere si fonda sulla confusione tra la diligenza quale criterio di valutazione dell’esattezza del-
( 66 ) Un’impostazione analoga con riferimento ai danni da informazione economica inesatta nei mercati finanziari
è seguita da S. Bruno, op. cit., 131 seg., la quale identifica la condotta illecita dei legittimati passivi dell’azione
di risarcimento del danno nella violazione delle norme in materia di trasparenza dei mercati stessi.
( 67 ) Cfr., supra, par. 2.
( 68 ) Così, invece, G. Osti, Revisione critica della teoria sulla impossibilità della prestazione, inRiv. dir. civ.,
1918, 422 seg. e, con riferimento alla responsabilità del revisore, M. Maggiolino, op. cit., 587; E. Norelli, Le
omissioni di controllo dei sindaci e delle società di revisione, inDir. fall., 2001, 356, secondo cui «il terzo danneggiato
che agisce in responsabilità aquiliana si trova gravato, in pratica del medesimo onere probatorio che incombe
alla società (...) che agisce in responsabilità contrattuale, dato che la mancanza di diligenza ex art. 2407, comma
1, e la colpa ex art. 2043 finiscono, in fatto, col coincidere». Le conclusioni cui giunge l’Autore non possono
essere condivise anche sotto un altro aspetto: la posizione della società revisionata e quella dei terzi non sono
equiparabili in quanto la prima dovrà limitarsi alla mera allegazione dell’inadempimento mentre i secondo dovranno
fornire la prova dell’inadempimento stesso.

Parte II - Giurisprudenza 91
luto, esse non assumono alcun rilievo in ordine all’accertamento e alla liquidazione
del credito da risarcire in questa sede processuale.
Il calcolo indicato da parte attrice in ordine al credito da risarcire per il
mancato rimborso delle obbligazioni è dunque sostanzialmente corretto, essendo
scontato il valore dei titoli ottenuti in concambio da parte dell’organo
della procedura concorsuale, sulla base del valore «nominale» di concambio
da questi assegnato alle obbligazioni rimaste impagate. Sebbene il valore
complessivo dei titoli ottenuti in luogo delle obbligazioni non abbia certamente
ripagato tutto l’investimento in linea di interessi convenzionali pattuiti
e di capitale investito, tuttavia, deve ritenersi che l’accettazione dei titoli
della Nuova Parmalat, quotata in borsa, e di warrants, costituisce una
vantaggiosa compensazione del danno, trattandosi di partecipazioni di
una società sgravata del debito fallimentare e valorizzate dalla confluenza
in questa nuova società delle attività redditizie della vecchia Parmalat. Pertanto
l’assegnazione di titoli della «rinata» Nuova Parmalat in concambio
ha un valore indennitario leggermente superiore a quello numerico di scambio,
e ben può ritenersi che possa andare a compensare gli interessi convenzionali
persi e chiesti a titolo di maggior danno. Occorre solo aggiungere, in
l’adempimento e la diligenza intesa come criterio di imputazione della responsabilità. Solo nel
secondo caso, infatti, la diligenza può essere equiparata alla colpa, con conseguente equivalenza
della relativa prova, mentre nel primo caso, i due concetti restano ben distinti ( 69 ), ragion
per cui la prova della mancanza di diligenza non si riduce a quella della colpa ma si arresta
ad un momento anteriore, risultando più semplice per l’investitore adempiere al proprio
onere e gravando, al contrario, sul revisore l’onere di fornire la prova della non evitabilità del
danno, e quindi l’assenza di colpa nell’inadempimento ( 70 ).
In definitiva, aderendo alle riflessioni appena svolte, le conseguenze della prospettata na-
( 69 ) Cfr., con riferimento alla responsabilità contrattuale, le riflessioni di L. Mengoni, op. cit., 1097, secondo
cui la coincidenza tra la prova dell’inadempimento e quella della colpa «scambia, almeno sul piano terminologico,
la diligenza come parametro di valutazione dell’esatto adempimento con la diligenza come criterio di
responsabilità del debitore, quasi che nelle obbligazioni in discorso (cosiddette obbligazioni di diligenza o di mezzo)
il limite di responsabilità del debitore non fosse quello indicato dall’art. 1218 cod. civ., bensì la semplice assenza
di colpa».
( 70 ) Per il rilievo, cfr. L. Mengoni, op. cit., 1097; G. Visintini, La Responsabilità contrattuale, Napoli,
1979, 181 e, con riferimento specifico alla responsabilità del revisore, G.M. Buta, La responsabilità della società
di revisione per danni prodotti a terzi da un erroneo giudizio sul bilancio: il caso Parmalat, cit., 113, nt. 59. In questo
caso, infatti, la prova si incentra sul confronto tra la prestazione in concreto resa dal creditore ed il contenuto
dell’obbligazione assunta, senza necessità di spingersi a valutare la concreta possibilità per il debitore di adeguarvisi.
La prova che il revisore, nello svolgimento dell’attività di audit, non si sia adeguato alle regole di comportamento
compendiate nel modello dell’art. 1176 cod. civ. ed, in particolare, ai principi di revisione contabile quale
parametro tipico di esattezza dell’adempimento (cfr. supra, par. 3), fissa soltanto la materialità dell’inadempimento
e non è una prova di colpa; spetterà, al contrario, al revisore fornire la prova che tale inadempimento non sia
dovuto a sua colpa ma ad una causa sopravvenuta a lui non imputabile. Ciò conferma la necessità di distinguere la
colpa dall’inadempimento per mancanza di diligenza, essendo configurabili ipotesi di inadempimento senza colpa,
allorquando questo è dovuto a causa non imputabile al debitore.

92
Il diritto fallimentare e delle società commerciali - n. 1-2011
ultimo, che l’accordo di ristrutturazione del credito accettato dagli obbligazionisti,
agli occhi del debitore tenuto al pagamento dell’obbligazione risarcitoria,
si conforma al generale dovere del creditore di non aggravare le conseguenze
lesive dell’inadempimento del debitore, desumibile nell’art. 1227
cod. civ. e valido anche con riferimento al danno aquiliano.
Il tribunale, alla luce di quanto sopra, ritiene che anche in questo caso il
danno da risarcire corrisponde a quello residuale indicato dagli attori in linea
capitale nelle finali difese, cui si aggiungono gli interessi legali dagli acquisti
al saldo.
(Omissis).
tura aquiliana della responsabilità del revisore nei confronti dei terzi investitori e creditori, si
coglierebbero non sul piano dell’oggetto della prova da fornire bensì su quello, ugualmente
rilevante, della distinzione tra mera allegazione dell’inadempimento e dimostrazione dello
stesso da parte dell’attore ( 71 ), gravando, sempre e comunque, sul revisore l’onere di dimostrare
l’assenza di colpa.
Michele Fatigato
Dottorando di ricerca in pubblico
e privato nel diritto d’impresa
presso l’Università Partenopea di Napoli
( 71 ) La differente consistenza dei due oneri processuali è di immediata percezione se solo si considera che
l’allegazione – a differenza della prova – di un determinato fatto si sostanzia nella semplice affermazione dello
stesso in giudizio, senza necessità di provarne la veridicità attraverso l’uso dei mezzi istruttori tipici ed atipici.

TRIBUNALE CIVILE DI SALERNO
8 marzo 2010
Pres. Russo - Est. Iannicelli
Custodia ed amministrazione giudiziaria della Bioagricola Cilento
Soc. a resp. lim. (avv. Fauceglia); Custodia ed amministrazione
giudiziaria della Impronta Italia Soc. a resp. lim. (avv. Bisogno);
Fall.to Bioagricola Cilento Soc. a resp. lim.
e Edilnatura Soc. a resp. lim. (contumace)
Fallimento - Fallimento delle società - Opposizione a sentenza dichiarativa
di fallimento di società a responsabilità limitata - Legittimazione ad
agire - Custode e amministratore giudiziario di beni o quote - Qualità
di debitore - Esclusione - Qualità di terzo interessato - Esclusione
(Legge fallim., artt. 18, comma 1, e 147, comma 3, previgenti)
Il custode e amministratore giudiziario delle quote o dell’azienda nominato
in caso di sequestro penale preventivo non è legittimato a proporre, né quale
«debitore» né quale terzo che vi abbia «interesse» ex art. 18 legge fallim.,
opposizione alla sentenza dichiarativa di fallimento di una soc. a resp. lim. ovvero
ad intervenire nel relativo giudizio ( 1 ).
(Omissis)
Ragioni della decisione. – Il custode ed amministratore giudiziario del
sequestro preventivo della società Bioagricola Cilento soc. a resp. lim., autorizzato
dal pubblico ministero, propone opposizione alla sentenza del Tribunale
di Salerno, depositata in data 12 giugno 2006, che ha dichiarato il
fallimento della società, per vizio inerente la convocazione del rappresen-
( 1 ) Note in tema di legittimazione ed interesse dell’amministratore giudiziario ad agire
e ad intervenire nel giudizio di impugnazione della sentenza dichiarativa di fallimento di
società di capitali.
1. La questione oggetto della pronuncia in commento della sussistenza della legittimazione
dell’amministratore giudiziario (nominato in sede di emanazione del sequestro penale preventivo)
ad agire e ad intervenire nel giudizio di impugnazione della sentenza dichiarativa di
fallimento risulta essere stata affrontata raramente in giurisprudenza e con pronunce di segno
opposto. La stessa inoltre sottende la complessa problematica inerente alla risoluzione del
conflitto tra, da un lato, lo Stato al cui demanio il bene è eventualmente destinato a devolversi
in caso di conversione del sequestro preventivo in confisca (e dunque, in via di principio, titolare
di una situazione finale o reale); e, dall’altro, i creditori (e, non da ultime, le persone
offese aventi diritto alle restituzioni ed al risarcimento del danno) che hanno interesse a soddisfarsi
coattivamente sul bene mediante vendita forzata e pertanto liquidazione dello stesso
(e, dunque, titolari di una situazione strumentale o relativa).

94
Il diritto fallimentare e delle società commerciali - n. 1-2011
tante legale, non identificabile nelle disposizioni sul fallimento, e dello stato
di insolvenza, erroneamente desunto dall’inadempimento di un credito contestato
con opposizione tardiva a decreto ingiuntivo. A tal fine, ha convenuto
in giudizio il curatore della società fallita e la società Edilnatura soc.
a resp. lim., rimasto unico creditore ricorrente dopo la rinuncia ai rispettivi
ricorsi degli altri due creditori, chiedendo, nei loro confronti, la dichiarazione
di nullità della sentenza o la revoca, con ogni conseguenza in ordine ai
danni prodotti dall’istanza di fallimento.
È intervenuto in giudizio, ai sensi dell’art. 105 cod. proc. civ., il custode
ed amministratore giudiziario del sequestro preventivo della società Impronta
Italia soc. a resp. lim., con comparsa depositata in data 22 novembre
2006, in funzione adesiva, avendone interesse per la titolarità di una quota
di partecipazione del 90% del capitale sociale della fallita, riproponendo le
ragioni e conclusioni dell’opponente.
Preliminarmente va dichiarata la contumacia della curatela e del creditore
convenuto in giudizio, non costituitisi nonostante la ritualità delle notifiche
(eseguite dall’ufficiale giudiziario con consegna della copia nelle mani
proprie del curatore in data 4 luglio 2006 e a mezzo posta alla società
Edilnatura soc. a resp. lim., che ha ricevuto il plico in data 5 luglio 2006).
Un corretto inquadramento della questione presuppone, come ha fatto il Tribunale di
Salerno – seppure pervenendo ad esiti solo in parte condivisibili – la distinzione delle fattispecie
sia sotto un profilo soggettivo (a seconda, cioè, che il custode debba considerarsi «debitore»
o terzo «interessato» sulla base delle categorie dei soggetti legittimati individuate dall’art.
18 legge fallim.) sia sotto un profilo oggettivo (a seconda cioè che il sequestro abbia colpito
l’azienda ovvero le partecipazioni sociali).
Per tutte e quattro le ipotesi possibili derivanti dalla combinazione dei due criteri (soggettivo
ed oggettivo) il Tribunale giunge ad escludere la legittimazione del custode. Un ulteriore
criterio di differenziazione scaturisce dalla natura del sequestro penale, ossia conservativo
o preventivo.
2. Quanto alla qualifica di «debitore», il Tribunale esclude che la stessa possa attagliarsi
al custode in quanto:
a) nel caso di sequestro dell’azienda la qualifica è impedita dalla circostanza che l’amministratore
giudiziario non ha la rappresentanza legale della società ( 1 );
( 1 ) Nega la legittimazione processuale dell’amministratore giudiziario senza che peraltro venga fatto riferimento
alla ragione ostativa Tribunale Roma, 30 dicembre 1997, in Fall., 1998, 628, pubblicata solo in massima e
relativa a beni sequestrati ai sensi dell’art. 2-sexies L. 31 maggio 1965, n. 575; contra, Tribunale Milano, 2 marzo
1987, in Fall., 1987, 776 e Tribunale Milano, 10 giugno 1985, in Fall., 1986, 881 (beni confiscati ai sensi della L.
13 settembre 1982, n. 646). Dell’avviso che debba essere esclusa la legittimazione del custode è pure Cassazione,
30 maggio 2000, n. 7147, in Fall., 6, 2001, 625 segg. con nota di Zanichelli V., I poteri del custode dei beni
sottoposti a sequestro sebbene in relazione ad un caso diverso da quello oggetto della fattispecie in commento
in quanto inerente ad un sequestro penale conservativo e non preventivo.

Parte II - Giurisprudenza 95
Va inoltre data atto dell’integrità del contraddittorio rispetto ai creditori
ricorrenti e della tempestività dell’opposizione, notificata al curatore e all’unico
creditore ricorrente che aveva proposto ricorso per la dichiarazione di
fallimento (gli altri due creditori ricorrenti, Manini Prefabbricati soc. per
az. e Catalpe soc. per az., avevano depositato dichiarazione di rinuncia al
ricorso nel procedimento prefallìmentare), con atto di citazione pervenuto
al primo destinatario in data 4 luglio 2006, entro giorni quindici dalla notifica
all’opponente dell’estratto della sentenza di fallimento (avvenuta in
data 21 giugno 2006, come da relata prodotta).
La verifica dell’integrità del contraddittorio rispetto alla curatela e al
creditore ricorrente non esaurisce l’esame pregiudiziale sulla titolarità della
partecipazione al processo poiché va rilevata, sul fronte opposto, la questione
della legittimazione attiva del custode ed amministratore giudiziario.
L’art. 18 comma 1 legge fallim., nel testo anteriore alle modifiche apportate
dal D.lgs. 9 gennaio 2006 n. 5 e, in seguito, dal D.lgs. 12 settembre
2007 n. 169, applicabile al caso di specie, in virtù della disciplina transitoria
dettata dall’art. 150 del D.lgs. n. 5/2006 (la sentenza opposta è stata
depositata in data 12 giugno 2006, anteriore all’entrata in vigore della riforma,
con conseguente permanenza della competenza funzionale del Tribunale
fallimentare nel giudizio di opposizione), conferisce la legittimazione
attiva nel giudizio di opposizione alla dichiarazione di fallimento al «debitore»
e a «qualunque interessato». La questione che la norma legittimante
pone, nel caso di specie, consiste nello stabilire se, sottoposta la società
fallita a sequestro preventivo in un procedimento penale, l’opposizione alla
sentenza di fallimento del custode ed amministratore giudiziario possa
qualificarsi come opposizione del «debitore» o di altro «interessato» o in-
b) la stessa ragione dell’assenza della qualifica di rappresentante legale, secondo il Tribunale,
sarebbe ostativa a legittimare il custode per il caso di sequestro di quote.
Se la prima affermazione pare condivisibile ed in linea con una parte della giurisprudenza
di merito ( 2 ), la seconda conclusione, come si vedrà, sembra non potersi condividere.
Anche in relazione alla qualifica di terzo «interessato» il Tribunale esclude che la stessa
possa attagliarsi al custode. Infatti:
c) nel caso di sequestro dell’azienda il patrimonio separato oggetto di vincolo non subirebbe
effetti patrimoniali sfavorevoli dall’apertura della procedura fallimentare;
d) nel caso di sequestro delle quote, poiché l’interesse del socio ad impugnare la sentenza
può avere solo carattere morale, la legittimazione del custode andrebbe esclusa essendo quest’ultimo
portatore di un interesse esclusivamente patrimoniale.
Entrambe tali ulteriori conclusioni non sembrano potersi condividere.
( 2 ) Cassazione, 30 maggio 2000, n. 7147, cit., sia pure come anticipato inerente ad una fattispecie di sequestro
penale conservativo e non preventivo.

96
Il diritto fallimentare e delle società commerciali - n. 1-2011
vece sia estranea all’area entro la quale l’art. 18 circoscrive la legittimazione.
In altri termini, se l’opponente esercita poteri rappresentativi della società
fallita, in forza di una rappresentanza legale, o agisce quale sostituto
processuale per factum principis, o invece poteri di un ufficio pubblico
qualificabile come organo terzo rispetto alla società sottoposta a sequestro
preventivo, alla stessa stregua, ad es., del curatore fallimentare che, per
giurisprudenza pacifica, non ha la veste di rappresentante sostanziale o
processuale del fallito. Nel secondo caso, poi, se il custode-terzo ha un interesse
all’opposizione, nei termini in cui deve intendersi la qualità soggettiva
richiesta dal comma 1 dell’art. 18.
Non è dato sapere, per mancanza di produzione del decreto che dispone
il sequestro preventivo, se la custodia ha ad oggetto solo il patrimonio
della società o anche le quote sociali. In ogni caso, la prima qualifica legittimante
è indubbiamente insussistente, alla luce del principio di diritto alternato
dalla suprema Corte in caso analogo, nel quale ha escluso la legittimazione
del custode di un sequestro preventivo all’impugnazione della dichiarazione
di fallimento (Cassazione, sez. I, 30 maggio 2000 n. 7147). Nella
motivazione si afferma, dopo aver richiamato la norma generale sulle funzioni
del custode dettata dall’art. 65 cod. proc. civ. (a cui affidata «la conservazione
e l’amministrazione dei beni pignorati o sequestrati») e la disciplina
in tema di sequestro civile di beni mobili (l’art. 676 cod. proc. civ. per
3. Analizzando innanzitutto l’ipotesi della legittimazione del custode quale «debitore» va
condivisa la soluzione sub a) in tema di sequestro di azienda dal momento che è evidente che
l’assenza in capo all’amministratore giudiziario della qualifica di rappresentante legale della
società non lo legittima a proporre opposizione quale «debitore», appunto.
Va invece contestata la seconda affermazione sub b) in tema di sequestro di quote e cioè
quella per cui sarebbe la stessa assenza della qualifica di rappresentante legale in capo all’amministratore
giudiziario ad escludere la legittimazione del custode quale «debitore». In effetti,
la ragione ostativa a legittimare il socio di società di capitali ad impugnare la sentenza non
risiede tanto nella circostanza dell’assenza di rappresentanza legale della persona giuridica
in capo alla società quanto piuttosto, tout court, nell’esclusione della posizione di debitore.
Peraltro, va anche considerato che la giurisprudenza ravvisa in capo ai soci limitatamente responsabili
l’interesse a proporre opposizione come terzi interessati sul presupposto della probabilità
di perdere il capitale investito con l’azzeramento della partecipazione ( 3 ).
4. I rilievi critici alla pronuncia in commento si accentuano nell’analizzare la successiva
ipotesi della legittimazione del custode quale terzo interessato.
Quanto all’affermazione sub c) – secondo cui nel caso di sequestro dell’azienda il patrimonio
separato oggetto di vincolo non subisce effetti patrimoniali sfavorevoli dall’apertura
( 3 ) Cassazione, 24 febbraio 1997, n. 1663, in Fall., 1997, 519; Tribunale Monza, 31 ottobre 1990, in Dir.
fall., 1991, II, 120; Tribunale Torino, 9 dicembre 1987, in Giur. piemontese, 1988, 453 ove è stato affermato che
la legittimazione spetta anche ai soci di società collegate alla fallita.

Parte II - Giurisprudenza 97
il sequestro giudiziario, l’art. 678 cod. proc. civ. per il sequestro conservativo),
in terna di pignoramento mobiliare (artt. 520 e 521 cod. proc. civ.), di
sequestro conservativo e pignoramento immobiliare (artt. 679 c 559 cod.
proc. civ.), di sequestro conservativo in sede penale (artt. 316 e 317 cod.
proc. pen.), che «in qualunque situazione processuale e in ogni tipo di procedimento
il custode – tenuto conto della concezione unitaria della sua figura –
ha una funzione limitata alla conservazione ed amministrazione dei beni, per
cui i poteri, derivati direttamente dalla legge o determinati dal provvedimento
giudiziale, non possono non trovare in essa l’area di esercizio ed i limiti massimi
di espansione, oltre i quali opera un divieto insuperabile, perché connaturale
a siffatta funzione di custodire, in quanto la norma, parlando di conservazione
e amministrazione, non formula due ipotesi nettamente distinte, ma
considera la seconda strumentale alla prima. Connessa a tale potere, nella misura
ad esso corrispondente, è la legittimazione ad agire come attore e a stare
in giudizio come convenuto, non essendo esso esercitabile nella necessaria pienezza,
se fosse esclusa l’azione relativa». Proseguendo nel ragionamento, il
giudice di legittimità evidenzia che «Il custode opera in tal caso come rappresentante
di ufficio – in quanto ausiliare del giudice – di un patrimonio separato,
che costituisce centro di imputazione di rapporti giuridici attivi e passivi,
e in tale veste – e dunque solo per la tutela degli interessi che vi si collegano –
ha la legittimazione processuale (Cassazione, n. 7354/1991; n. 2232/1987; n.
della procedura fallimentare – la stessa non pare fondata. Di per sé infatti il fallimento non
può che essere pregiudizievole per la conservazione del valore dei beni; con la conseguenza
che la legittimazione andrebbe affermata. Va ricordato come la dottrina abbia osservato che
l’attività di custodia ed i compiti del custode possono risultare estremamente diversificati andando
dalla mera attività conservativa all’amministrazione della cosa sottoposta a sequestro; il
custode non ha comunque alcuna autonomia decisionale in quanto solo l’autorità giudiziaria
può dare disposizioni al riguardo, alla luce della particolare natura del bene ( 4 ). Pertanto,
qualora la custodia del bene sottoposto a sequestro implichi anche un’attività di amministrazione
(come nell’ipotesi di sequestro di azioni) l’autorità giudiziaria procedente dovrà fornire
al custode le istruzioni necessarie per la gestione del bene, affinché non vi sia una dispersione
del suo valore patrimoniale ( 5 ).
( 4 )Rivello P.P., sub art. 259, in Codice di procedura penale commentato, a cura di A. Giarda e G. Spangher,
Milano, 2007, 1856.
( 5 )De Crescienzo, Il sequestro penale e civile, Torino, 1997, 89. In relazione alle ipotesi sequestro giudiziario
e conservativo di azioni di cui all’art. 2352 cod. civ. si ritiene ad es. che il custode sequestratario deve ispirare
l’esercizio del diritto di voto alla funzione conservativa della partecipazione (Morera, inCommentario a
cura di Niccolini e Stagno d’Alcontres, Napoli, 2004, I, 316): egli dovrà chiedere al giudice, dal quale ripete i
suoi poteri, l’autorizzazione a partecipare all’assemblea e il giudice potrà dare istruzioni circa il comportamento
che il custode dovrà tenere (Di Sabato, Diritto delle società, Milano, 2005, 258; Campobasso, Diritto commerciale,
2,Diritto delle società, Torino, 2009, 238) previa audizione del sequestrato (Ferrara-Corsi, Gli imprenditori
e le società, Milano, 2006, 445).

98
Il diritto fallimentare e delle società commerciali - n. 1-2011
381/1974), la quale resta, sempre e comunque, limitata alle azioni relative alla
custodia e alla amministrazione dei beni», In base a tali premesse, la Corte
ha accolto l’eccezione di inammissibilità dell’opposizione sollevata dal curatore
«atteso che la contestazione dello stato di insolvenza, ai fini della revoca
della sentenza dichiarativa del fallimento, è estranea al potere del custode giudiziario,
restando invece in capo alla società fallita e al suo legale rappresentante,
sia in termini di legitimatio ad causam che di legitimatio ad processum.
Né rileva la circostanza che ad abilitare il custode al ricorso per cassazione
sia stato il presidente della sezione penale del tribunale, presso la quale il
giudizio pendeva, non potendo quel provvedimento giovare od allargare i limiti
della funzione in esame, sia perché ciò porterebbe a snaturarla sia perché
tale eccesso determinerebbe una indebita invasione dell’area ad altri soggetti
riservata». (Cass. n. 7147/2000, citata).
Anche nell’ipotesi in cui l’ausiliario del giudice sia stato investito dell’ufficio
di conservazione e amministrazione delle quote sociali, come sembrerebbe
nel caso in esame dalla spendita, nell’atto di citazione, della qualità di
«custode ed amministratore giudiziario della Bioagricola Cilento soc. a resp.
lim.», tale sua qualità non coincide con quella di rappresentante legale della
società fallita. Giova, a tal proposito, il richiamo ad una recente pronuncia
della Suprema Corte, che ha confermato la legittimazione all’istanza di
autofallimento proposta dall’amministratore nominato dal custode giudizia-
Proprio il rischio di dispersione del valore patrimoniale del bene sequestrato legittimerebbe
il custode ad impugnare la sentenza dichiarativa di fallimento. Tanto più poi che, in
particolare a seguito della riforma, non è scontato che prima dello spirare del termine di trenta
giorni per impugnare la sentenza dichiarativa di fallimento sia stato autorizzato l’affitto dell’azienda
del fallito a terzi ai sensi dell’art. 104-bis legge fallim.; circostanza che potrebbe, in
teoria, evitare il rischio della dispersione del valore patrimoniale delle quote e dell’azienda
sequestrate.
Va infine contestata l’affermazione sub d) secondo cui nel caso di sequestro delle quote,
poiché l’interesse del socio ad impugnare la sentenza può avere solo carattere morale, la legittimazione
del custode andrebbe esclusa, essendo quest’ultimo soltanto portatore di un interesse
patrimoniale.
Senza considerare come la classica dicotomia tra interesse morale e interesse patrimoniale
sia stata di recente messa in discussione per l’assenza di addentellati normativi cui ancorare
il primo ( 6 ), va comunque rimarcato che il socio – e dunque in sua vece il custode – secondo
la giurisprudenza è portatore di un interesse patrimoniale e non morale: segnatamente, come
anticipato, la giurisprudenza riconosce ai soci limitatamente responsabili l’interesse a propor-
( 6 ) In tema, per tutti, Fabiani, Commento sub art. 18, inIl nuovo diritto fallimentare, diretto da Jorio e
coordinato da Fabiani, Bologna-Torino, 2006, I, 360-361 e 356, nota 31; contra, per l’attuale rilevanza dell’interesse
«morale», v. Chimenti, La sentenza dichiarativa di fallimento. I mezzi di gravame. Revoca del fallimento:
effetti, inFallimento e altre procedure concorsuali, diretto da G. Fauceglia e L. Panzani, 1, Torino, 2009, 257.

Parte II - Giurisprudenza 99
rio dell’intero capitale sociale, ribadendo, nelle motivazioni, che la legittimazione
spetta al rappresentante legale della società (Cassazione, sez. I,
16 settembre 2009 n. 19983). Ebbene, in ipotesi di sequestro delle quote
sociali, il custode non esercita i poteri spettanti all’amministratore e non
ha la rappresentanza legale della società bensì i diritti che la legge e il contratto
sociale conferiscono al socio. In tale veste, ove si tratti di sequestro
dell’intero capitale (come nella sentenza n. 19983/2009, appena citata) o
della quota maggioritaria, può nominare l’amministratore. Ma spetterà sempre
e solo a quest’ultimo la rappresentanza legale della società, sia esso di
nomina dei soci o del custode in loro sostituzione, e non direttamente al
custode. Quest’ultimo, in altri termini, amministra la quota sociale e i diritti
connessi e non la società, che è soggetto giuridico distinto dai titolari delle
quote. Sicché la legittimazione del «debitore» ex art. 18 comma 1 legge fallim.
spetta alla società, rappresentata dall’amministratore, e non al custode.
Di tale distinzione ne è avvertito lo stesso opponente che, nell’esporre
l’ultimo motivo di impugnazione, afferma testualmente, nel corpo dell’atto
di citazione, che il dott. Ciro Montella «non è il legale rappresentante dell’impresa
fallita ma il semplice custode della stessa».
Non si ravvisa, nell’opponente, neppure la seconda qualifica legittimante,
vale a dire quella del terzo «interessato» all’opposizione. La nozione di
interesse, cui fa riferimento l’art. 18 comma 1 legge fallim., non può che essere
riferita alla sfera giuridica del terzo, che non sia parte del procedimento
prefallimentare, la quale subisca effetti sfavorevoli dalla dichiarazione di fallimento
dell’imprenditore. Tale interesse qualificato coincide, perciò, con il
pregiudizio arrecato al terzo, di natura patrimoniale, come nel caso ad es.
del socio non amministratore, dell’amministratore in proprio e non nella
re opposizione sul presupposto della probabilità di perdere il capitale investito con l’azzeramento
della partecipazione ( 7 ); interesse certamente patrimoniale e la cui tutela processuale,
inerendo alla conservazione del solo bene sottoposto al vincolo, pare doversi affidare al custode.
5. Come anticipato, oltre ai criteri soggettivo ed oggettivo considerati dal Tribunale la
fattispecie potrebbe essere vagliata pure alla luce della peculiare natura del sequestro penale,
che nel caso di specie era preventivo.
In riferimento a tale misura il Tribunale di Salerno ha correttamente affermato che «anche
in costanza di fallimento, e finché permanga il sequestro preventivo, il custode conserva i
poteri di amministrazione, a fini conservativi, dei beni. Continua ad esercitare le facoltà edi
poteri compresi nei rapporti giuridici, attivi e passivi, che fanno capo al patrimonio separato e
che non si trasferiscono al curatore fallimentare».
( 7 )V.supra nota 3.

100
Il diritto fallimentare e delle società commerciali - n. 1-2011
qualità, dei creditori non ricorrenti, dei terzi potenziali destinatari di azioni
revocatorie o aventi un rapporto contrattuale con il fallito sul quale il fallimento
esplica gli effetti previsti dagli artt. 72 e segg. legge fallim. Possono
ravvisarsi, eventualmente, anche interessi di ordine morale, come, ad es.,
quello dell’erede del fallito, dell’ex socio, ecc.
Così inteso, non è ravvisabile alcun interesse all’impugnazione della sentenza,
concreto o anche solo potenziale, in capo al custode ed amministratore giudiziario
del sequestro preventivo. Egli è gestore solo degli interessi di un patrimonio,
separato dalla soggettività dell’imprenditore fallito in virtù del vincolo
di indisponibilità imposto dal provvedimento cautelare, che non subisce effetti
sfavorevoli dall’apertura della procedura fallimentare. Anche in costanza di fallimento,
e finché permanga il sequestro preventivo,ilcustodeconservaipoteri
di amministrazione, a fini conservativi, dei beni. Continua ad esercitare la facoltà
ed i poteri compresi nei rapporti giuridici, attivi e passivi, che fanno capo al
patrimonio separato e che non si trasferiscono al curatore fallimentare. Ed infatti,
i beni della società fallita ancor oggi sono sottratti alle funzioni gestorie e
liquidatorie del curatore fallimentare che, a riprova di quanto si sostiene, ha
avanzato istanze di revoca del sequestro, rigettate dal Tribunale di Salerno.
Neppure l’eventuale qualità di custode delle quote sociali conferisce al-
Diversamente a dirsi per il caso di sequestro penale conservativo parificato dalla giurisprudenza
al sequestro conservativo civile ( 8 ) il quale, essendo inammissibile ex art. 51 legge
fallim., in corso di fallimento diventa inefficace: in particolare si ritiene che «la dichiarazione
di fallimento vanifichi sostanzialmente la misura cautelare sottraendo la disponibilità del bene al
giudice che l’ha disposta e, di conseguenza, al creditore che l’ha richiesta, a nulla rilevando che
questi possa insinuare la sua pretesa (subendo peraltro i concorso degli altri creditori) nella procedura
fallimentare, senza considerare che il legale rappresentante della società potrebbe non
avere alcun interesse pratico ad opporsi al fallimento nell’ipotesi in cui si prospettasse comunque
la perdita della stessa»( 9 ). Per tale ipotesi è stato sostenuto che «pare potersi ipotizzare la legittimazione
ad agire del custode anche nel caso in cui sia in discussione l’esistenza stessa o comunque
l’efficacia della misura cautelare, quantomeno come legittimazione ad processum concorrente
con quella del titolare della legittimazione ad causam che resti inerte»( 10 ).
Quanto al sequestro penale preventivo, poi, è stato correttamente rimarcato che il legislatore
penale è orientato ad ampliare l’ambito delle competenze della persona che è chiamata
a«provvedere alla custodia alla conservazione e all’amministrazione dei beni sequestrati»: «l’art.
2 sexies legge 31 maggio 1965, n. 575 (e succ. modifiche) prevede infatti che detta persona, che
non a caso è qualificata ‘‘amministratore’’, non debba limitarsi alla semplice custodia (così come
pare intenderla la sentenza in rassegna) ma debba operare «anche al fine di incrementare, se
possibile, la redditività dei beni ‘‘e tale compito è talmente rilevante che, quando oggetto del
( 8 )Zanichelli, op. cit., 629; in giurisprudenza, Tribunale Milano, 16 settembre 1996, in Fall., 1997, 216;
Appello Roma, 14 settembre 1992, ivi, 1993, 289.
( 9 )Zanichelli, ibidem.
( 10 )Zanichelli, ibidem.

Parte II - Giurisprudenza 101
l’opponente la legittimazione all’impugnazione ex art. 18 legge fallim., con
una sorta di sua sostituzione al socio avente «interesse». Quest’ultimo, infatti,
uno specifico interesse di ordine morale alla revoca del fallimento, come
tale personale ed intrasmissibile, sul quale non incide minimamente il
sequestro, che comporta solo l’indisponibilità dei diritti patrimoniali e societari
inerenti la quota sequestrata e giammai lo priva dell’esercizio di interessi
strettamente personali. In sostanza, l’interesse dell’ausiliario del giudice
penale non può essere di ordine morale ma solo patrimoniale e deve
potersi ravvisare solo nel caso in cui il fallimento sta potenzialmente un fattore
di rischio di conservazione delle quote e dei beni sequestrati. Ma, come
evidenziato, ciò non è e, pertanto, va esclusa la legittimazione del custode ex
art. 18 comma 1 legge fallim. anche sotto tale aspetto.
L’inammissibilità dell’opposizione si riflette sull’intervento volontario in
giudizio spiegato dal custode ed amministratore giudiziario della società
Impronta Italia soc. a resp. lim. Anche in questo caso, l’interventore non
è la società titolare delle quote, in persona del suo rappresentante legale,
che può partecipare al giudizio di opposizione alla dichiarazione di fallimento
della partecipata, bensì il custode ed amministratore giudiziario della
società (che, come nel primo caso, non specifica se l’oggetto dei sequestro
comprende solo i beni della società o anche il capitale sociale).
Orbene, ove si tratti di un intervento adesivo c.d. dipendente, l’inammissibilità
dell’opposizione proposta dall’opponente si trasmette all’intervenuto,
poiché, come è noto, tale ipotesi di litisconsorzio facoltativo successivo
non amplia l’oggetto del giudizio e, nel caso di opposizione alla sentenza
di fallimento, non introduce un’autonoma impugnazione.
sequestro sia un’azienda, è previsto che l’amministratore possa essere scelto anche tra quei soggetti
che svolgono o hanno svolto le funzioni di commissario per l’amministrazione delle grandi
imprese in crisi’’; ‘‘analogamente l’art. 12 sexies D.L. 8 giugno 1992, n. 306 convertito nella
legge 7 agosto 1992, n. 365 (Modifiche urgenti al nuovo codice di procedura penale e provvedimenti
di contrasto alla criminalità mafiosa) dispone che il giudice con la sentenza di condanna
o di ‘‘patteggiamento’’ per determinati gravi reati «nomina un amministratore con il compito di
provvedere alla custodia, alla conservazione e all’amministrazione dei beni confiscati»( 11 ).
6. Un ulteriore elemento che, accompagnato al permanere delle funzioni di amministratore
giudiziario a seguito della dichiarazione di insolvenza, in caso di sequestro preventivo di
azienda fa sorgere l’interesse del custode a promuovere il giudizio di opposizione è costituito
dal fatto che tale misura per l’ipotesi di condanna dell’imputato è eventualmente destinata a
convertirsi nella confisca la quale, come noto, consiste nell’espropriazione ad opera dello Stato
delle cose che servirono o furono destinate a commettere il reato ovvero ne rappresentano
il prodotto od il profitto (art. 240 c.p.). Il provvedimento di sequestro preventivo costituisce,
infatti, una fase anticipatoria e strumentale alla futura confisca (facoltativa o obbligatoria) dei
( 11 )Zanichelli, ibidem.

102
Il diritto fallimentare e delle società commerciali - n. 1-2011
In verità, il fondamento della legittimazione enunciato dall’interventore
(la titolarità della quota maggioritaria nel capitale della società fallita) sembra
corrispondere alla situazione giuridica processuale propria dell’interventore
adesivo autonomo (c.d. intervento litisconsortile). L’interesse dedotto
in giudizio non appare, infatti, dipendente da quello dell’opponente
ma, così come prospettato, autonomo rispetto ad esso e tale da qualificare
un proprio interesse all’opposizione (l’interesse, di cui all’art. 18 comma 1
legge fallim.). In tal caso, l’inammissibilità della prima opposizione non si
trasmette alla seconda, che è domanda autonoma proposta dall’interventore
nei confronti della curatela e del creditore ricorrente e diretta a far valere un
proprio interesse, che si afferma tutelato dall’art. 18 comma 1 legge fallim.
Ma la domanda autonoma, che amplia l’oggetto del giudizio, deve essere
introdotta con le forme previste dalla legge processuale, al fine di garantire
il contraddittorio e la difesa in giudizio della controparte (curatore e creditore).
In particolare, la comparsa di costituzione contenente la domanda
beni sottoposti a tale misura, rientrando tra gli atti ablatori con i quali viene autoritativamente
tolta ad un soggetto la proprietà o la disponibilità di alcuni beni ( 12 ).
Pertanto, qualora dovesse intervenire la condanna dell’imputato (anche in virtú delle riconsiderazioni
del brocardo societas delinquere non potest che il D.lgs. n. 231 del 2001 ha
imposto), ai sensi e per gli effetti dell’art. 323 comma 3 cod. proc. pen. si avrebbe l’automatica
conversione del sequestro preventivo nella sanzione della confisca.
È evidente, tuttavia, come, in tale evenienza, sorgerebbe un conflitto tra lo Stato, portatore
dell’interesse pubblicistico all’ablazione dei beni e i creditori a soddisfarsi con adempimento
coattivo (concorsuale o meno) sugli stessi beni oggetto del sequestro preventivo (art
321, comma 2, cod. proc. pen.) destinato a tramutarsi in confisca obbligatoria o facoltativa
( 13 ). Il conflitto si presenterebbe anche in assenza della dichiarazione di fallimento e in relazione
all’esecuzione forzata per espropriazione individuale; con conseguente posizione della
questione della legittimazione del custode e amministratore giudiziario a proporre le opposizioni
all’esecuzione o agli atti esecutivi.
Sulla questione si registrano due opposti orientamenti a seconda che la situazione soggettiva
dello Stato venga considerata come finale o reale ovvero come strumentale o relativa.
6.1. Secondo un primo orientamento nel conflitto tra i creditori – i quali intendono soddisfare
le proprie pretese sui beni oggetto della potenziale confisca – e lo Stato – che può
(confisca facoltativa) o deve (confisca obbligatoria) applicare sugli stessi beni la sanzione abla-
( 12 ) Per l’affermazione della funzionalità del sequestro alla confisca v., da ultimo, Cassazione, Sez. Un., 25
ottobre 2005, n. 41396; Cassazione, 27 gennaio 2005, n. 11902.
( 13 ) Il tema del conflitto tra creditore che intende soddisfarsi sui beni del debitore e Stato che dispone la
confisca sugli stessi trova un precedente storico nella vicenda giudiziaria oggetto della XVII orazione – senza titolo
– di Lisia che tratta di un’azione proposta contro il fisco da parte di un cittadino che non riesce a soddisfare
un proprio credito derivante da un mutuo erogato a un tale Eratone perché i beni di costui erano stati, appunto,
confiscati dallo Stato (sull’orazione, v. Talamanca M., Qualche osservazione sull’orazione 17 di Lisia, inXenion.
Festschrift für Pan. I. Zepos, Atene, 1973, I, 599 seg.). Per l’orazione, v. Lisia, Orazioni (XVI-XXXIV), a cura di
E. Medda, Rizzoli, Milano, 2007, 96 seg.

Parte II - Giurisprudenza 103
nuova doveva essere notificata ai convenuti contumaci, secondo quanto
previsto dall’art. 292 comma 1 c.p.c.
La mancanza di notifica della comparsa dell’interventore non è emendabile
con l’ordinanza di fissazione del termine per la notifica, prevista dalla
norma appena citata. Ed infatti, stante l’inammissibilità della prima opposizione,
la sua originaria notifica non paralizza la decorrenza del termine decadenziale
per la proposizione dell’opposizione alla sentenza di fallimento.
Ne segue che la comparsa dell’interventore doveva essere notificata entro il
termine previsto dall’art. 18 legge fallim.
Come è noto, l’art. 18 legge fallim. è stato dichiarato costituzionalmente
illegittimo limitatamente alla parte in cui stabiliva «per il debitore» la decorrenza
del termine di 15 giorni, per proporre opposizione, dalla data di affissione
della sentenza di fallimento (Corte Cost. sent. n. 151 del 1980).
Successivamente, il Giudice delle leggi ha dichiarato manifestamente infondata
la stessa questione sollevata in riferimento ai soggetti diversi del debitore
(sent. n. 273 del 1987). Dalla duplice pronuncia si ricava che l’art. 18
legge fallim., nel testo anteriore alla recente novella, prevede una diversa
decorrenza del termine di decadenza dall’opposizione, a seconda se l’opponente
sia il fallito (o la società fallita) o un qualsiasi terzo interessato. Per il
primo, il termine decorre dalla comunicazione o notificazione della senten-
toria – non può che prevalere il secondo. Sulla problematica – che involge anche i rapporti tra
procedura concorsuale e procedimento penale – è intervenuta la Suprema Corte la quale, a
Sezioni Unite, ha chiarito che «il sequestro preventivo avente ad oggetto un bene confiscabile in
via obbligatoria deve ritenersi assolutamente insensibile alla procedura fallimentare, prevalendo
l’esigenza di inibire l’utilizzazione di un bene intrinsecamente e oggettivamente «pericoloso» in
vista della sua definitiva acquisizione da parte dello Stato»( 14 ). Chiarisce la Suprema Corte che,
in tal caso, «le ragioni di tutela dei terzi creditori sono destinate ad essere pretermesse rispetto
alla prevalente esigenza di tutela della collettività»; da tale premessa dovrebbe discendere de
plano l’interesse della custodia ad impugnare la sentenza dichiarativa di fallimento con la quale
vengono acquisiti alla massa i beni suscettibili di confisca obbligatoria; e questo, anche al
fine di evitare la liquidazione del patrimonio. Tanto più poi che nell’evoluzione della giurisprudenza
di legittimità èstato ulteriormente chiarito che «il curatore del fallimento possa
chiedere ed ottenere l’autorizzazione alla loro vendita ed alla conseguente distribuzione del ricavato
ai creditori concorsuali, dandosi luogo anche in tal modo alla realizzazione della finalità
perseguita dal legislatore, costituita dallo spossessamento del condannato, con l’avvertenza, peraltro,
che il giudice, in tal caso, è tenuto a esercitare un più rigido e penetrante controllo onde
acquisire la ragionevole certezza che i beni che sarebbero stati da confiscare non ritornino surrettiziamente
in altro modo, attraverso prestanomi o con altri fraudolenti accorgimenti, nella
diretta o indiretta disponibilità del condannato medesimo»( 15 ).
( 14 ) Cassazione pen. SS. UU., 24 maggio 2004, n. 29951, in Fall., 2005, 1265 segg. con nota di Iacoviello,
Fallimento e sequestri penali.
( 15 ) Cassazione pen., 2 febbraio 2007, n. 20443, in Cassazione, pen., 2009, 1, 273.

104
Il diritto fallimentare e delle società commerciali - n. 1-2011
za; per i secondi resta, invece, il dies a quo previsto dalla formulazione originaria
della norma, ovverosia la data di affissione della sentenza, quale forma
di pubblicità idonea a far decorrere il termine per l’impugnazione. Per i
terzi, infatti, «non è prevista alcuna forma di notificazione o di comunicazione
della sentenza di fallimento di modo che, per gli stessi, il dies a quo per la
proposizione dell’istanza «regolamento di competenza» (così come, del resto,
per la proposizione dell’opposizione alla dichiarazione di fallimento) non può
che essere costituito dall’atto processuale che – secondo l’art. 17 comma 2 legge
fallim. – vale a creare la presunzione legale di conoscenza della sentenza di
fallimento, e che è, appunto, l’affissione della sentenza alla porta esterna del
Tribunale» (Cass., sez. I, 7 agosto 1992 n. 9353). Ed allora, il termine di
decadenza maturava, per l’interveniente, alla scadenza del quindicesimo
giorno dalla data di affissione della sentenza di fallimento (depositata in da-
Per l’ipotesi invece di sequestro preventivo funzionale alla confisca facoltativa le Sezioni
Unite hanno deciso che è legittima la misura in relazione a beni di provento di attività illecita
e appartenenti ad un’impresa dichiarata fallita, nei cui confronti sia instaurata la relativa procedura
concorsuale, a condizione che il giudice, nell’esercizio del suo potere discrezionale, dia
motivatamente conto della prevalenza delle ragioni sottese alla confisca rispetto a quelle attinenti
alla tutela dei legittimi interessi dei creditori nella procedura fallimentare.
Anche nel caso di confisca facoltativa tuttavia il conflitto degli interessi dello Stato – di
cui è portatore l’amministratore giudiziario – e degli interessi dei creditori concorsuali – di cui
è portatore il curatore fallimentare – pare da solo essere sufficiente a legittimare il primo ad
impugnare la sentenza dichiarativa di fallimento ( 16 ); quanto meno per contrastare l’eventualità
che l’autore del reato paghi i creditori fallimentari con i proventi dell’attività criminosa
( 17 ). Del resto con la stessa pronuncia la Suprema Corte ha ravvisato il capo al curatore
fallimentare la legittimazione a proporre istanza di riesame del provvedimento di sequestro
preventivo, sia quella di revoca delle misura, ai sensi dell’art. 322 cod. proc. civ., nonché
di ricorrere per cassazione ai sensi dell’art. 325 cod. proc. pen. avverso le relative ordinanze
emesse dal tribunale del riesame ( 18 ).
Secondo tale primo orientamento tra la pretesa dello Stato ad espropriare mediante confisca
la res frutto dell’attività delittuosa e quella dei creditori che, avendo un credito pecuniario,
intendono soddisfarsi coattivamente e in via concorsuale non può allora che prevalere lo
Stato e ciò in ossequio al principio dell’ordinaria prevalenza delle situazioni finali o reali su
quelle strumentali o relative. L’interesse del custode sarà allora quello di rimuovere la procedura
concorsuale funzionale alla liquidazione dei beni colpiti dal sequestro preventivo e ciò a
tutela dell’interesse superiore dello Stato all’eventuale acquisizione mediante la confisca degli
stessi beni in caso di condanna dell’imputato.
( 16 ) Cassazione pen. SS. UU., 24 maggio 2004, n. 29951, cit.
( 17 ) Come chiarito, infatti, «non è un problema di par condicio creditorum (che non si pone mai in caso di
confisca). È un problema di tutela delle aspettative legittime di tutti i creditori. A fronte di questa esigenza si pone
l’esigenza penalistica di prevenzione speciale (smorzare la pericolosità del reo rompendo il suo legame con la cosa). I
reati che accrescono la massa attiva sono solitamente reati criminologicamente connotati dal fine di lucro. Sottrarre il
profitto al reo significa togliergli un potente motivo per delinquere» (Iacoviello, op. cit., 1278).
( 18 ) Cassazione pen. SS. UU., 24 maggio 2004, n. 29951, cit.

Parte II - Giurisprudenza 105
ta 12 giugno 2006). Nel caso di specie, la comparsa è stata depositata in data
22 novembre 2006, a distanza di cinque mesi dal deposito della sentenza
di fallimento. Di qui l’inammissibilità anche dell’intervento volontario.
Nulla per le spese processuali, stante la contumacia dei convenuti.
P.Q.M., il Tribunale di Salerno, terza sezione civile, definitivamente decidendo
in primo grado nel giudizio di opposizione alla sentenza dichiarativa
di fallimento iscritto al R.G. n. 5595/06, così provvede: 1. dichiara la
contumacia della curatela del fallimento della società Bioagricola soc. a
resp. lim. e del creditore convenuto Edilnatura soc. a resp. lim.; 2. dichiara
l’inammissibilità dell’opposizione alla sentenza dichiarativa di fallimento
proposta dal dott. Montella Ciro, nella qualità di custode ed amministratore
giudiziario del sequestro preventivo della società Bioagricola Cilento soc. a
resp. lim., e dall’intervento in giudizio del dott. Ietto Nicola, nella qualità di
custode ed amministratore giudiziario del sequestro preventivo della società
Impronta Italia soc. a resp. lim; 3. nulla per le spese processuali.
6.2. Sennonché la più recente giurisprudenza sembra non considerare quella dello Stato
come situazione finale o reale. Infatti, da ultimo, la questione è stata risolta secondo i principi
della trascrizione nei registri immobiliari dando pertanto rilievo all’anteriorità della formalità.
Ha chiarito infatti la Suprema Corte che la confisca di un immobile dà sempre luogo ad un
acquisto a titolo derivativo in favore dello Stato che non prescinde dal rapporto tra bene e
precedente titolare; sul presupposto che i diritti reali limitati si estinguono per le sole cause
indicate nell’art. 2778 cod. civ. ne consegue che la confisca «non può pregiudicare i diritti reali
di garanzia costituiti sui beni oggetto del provvedimento ablativo, in epoca anteriore all’instaurazione
del procedimento di prevenzione, in favore di terzi estranei ai fatti, senza che possa farsi
distinzione [...] tra giudice civile e penale»( 19 ).
Senza necessariamente arrivare a considerare il fallimento come un pignoramento generale,
il principio potrebbe estendersi pure all’ipotesi di procedura concorsuale ai sensi dell’art.
45 L. fall. Ne deriva allora che con l’opposizione il custode può far valere la prevalenza
del procedimento di prevenzione instaurato anteriormente all’«ora zero» cui retroagiscono gli
effetti dello spossessamento ai sensi dell’art. 42 legge fallim. ( 20 ).
Filippo Murino
( 19 ) Cassazione, 5 ottobre 2010, n. 20664 (in terminis, v. già Cassazione, 29 ottobre 2003, 16227). Anche
con speciale riferimento all’azione revocatoria fallimentare, il conflitto tra Stato e curatela è stato risolto mediante
le regole della trascrizione nei registri immobiliari da Cassazione, 7 febbraio 2007, n. 2718 la quale ha chiarito
che, qualora il sequestro di prevenzione cui retroagiscono gli effetti della confisca sia stato trascritto anteriormente
alla trascrizione della domanda, l’ablazione sarà opponibile dallo Stato.
( 20 ) In tema, si rinvia a Rocco di Torrepadula N., Commento sub art. 42, inIl nuovo diritto fallimentare,
diretto da Jorio e coordinato da Fabiani, Bologna-Torino, 2006, I, 690 seg.; nonché aParisi A., Commento
sub art. 42, inCommentario alla legge fallimentare, diretto da C. Cavallini, Milano, 2010, 881 seg.; Genoviva P.,
Gli effetti patrimoniali e personali del fallimento per il fallito,inFallimento e altre procedure concorsuali, diretto da
G. Fauceglia e L. Panzani, 1, Torino, 2009, 446 seg.

TRIBUNALE DI ROMA
28 giugno 2010 (decr.)
Pres. Monsurrò - Est. Miccio
Fall. Immobiliare Valadier / C.F.
Fallimento - Accertamento del passivo - Opposizione allo stato passivo -
Rito applicabile - Natura contenziosa del giudizio - Irrilevanza della
scelta del rito - Determinazione delle competenze - Tariffa professionale
relativa ai giudizi contenziosi
(Legge fallim., artt. 98 e 99)
Per dirimere la questione concernente la natura contenziosa o meno del giudizio
di opposizione allo stato passivo occorre aver riguardo non tanto alla tipologia
del rito, quanto, piuttosto, alla natura contenziosa o meno del giudizio. La
scelta del rito, camerale dovuta alla capacità acceleratoria di tale procedimento
non ne esclude la natura contenziosa e l’applicazione della correlata tariffa professionale
per la determinazione delle competenze spettanti per il patrocinio prestato
( 1 ).
Rilevato che tra la reclamante ed il fallimento era intervenuto un accor-
( 1 ) Sulla contestata natura contenziosa del giudizio di opposizione a stato passivo.
Il decreto, pur se con una motivazione estremamente sintetica, ha comunque il pregio di
affrontare e risolvere la querelle determinata dalla scelta operata dal legislatore della riforma
di ricondurre i giudizi impugnatori (opposizione, revocazione ed impugnazione) nell’ambito
del procedimento camerale ( 1 ), in ragione della natura ad esso riconosciuta dai giudici di legittimità
di«contenitore neutro» ( 2 ), sì da poter essere utilizzato in modo indistinto per qualsiasi
procedimento avente, o meno, natura contenziosa.
Il provvedimento reso dal Tribunale di Roma in sede di reclamo, nel pronunciare la revoca
del decreto di liquidazione impugnato, con il quale era stata negata l’applicazione della
( 1 ) Cassazione, 28 luglio 2004, n. 14200, in Foro it., 2005, I, 777, sulla tendenza alla utilizzazione del procedimento
camerale quale strumento idoneo a regolare le liti su diritti soggettivi; Cassazione, 19 giugno 1996, n.
5629, in Giur. it., 1996, I, 1, 1300, con nota di Caratta, La procedura camerale come «contenitore neutro» e
l’accertamento dello «status» di figlio naturale dei minori; Vona, Gli strumenti di tutela endofallimentari: brevi
riflessioni, inLe procedure concorsuali nel nuovo diritto fallimentare, a cura di Caiafa A., con la collaborazione
di De Matteis S.-Scarafoni.
( 2 ) Costantino G., Profili processuali, inIl fallimento, 2005, 997, che, operata una ricostruzione dei diversi
riti introdotti dal Legislatore per la regolazione delle controversie civili, ha sottolineato, opportunamente,
che la mancanza di regole predeterminate avrebbe potuto essere fonte di incertezza per inevitabili contrasti interpretativi;
Pagni, L’accertamento del passivo nelle riforme della legge fallimentare, inForo it., 2006, V, 187; per
una analisi critica del fenomeno della cameralizzazione della tutela giurisdizionale, si veda Proto-Pisani, Il nuovo
art. 111 Cost. e il giusto processo civile, inForo it., 2000, V, 241.

Parte II - Giurisprudenza 107
do professionale di pattuizione del compenso in misura corrispondente ai
minimi tariffari;
rilevato che l’unica questione posta dalla lite è quella della applicabilità,
in sede di determinazione dei diritti e degli onorari spettanti per il patroci-
tariffa professionale prevista per i procedimenti contenziosi, sul presupposto che quello nell’ambito
del quale il professionista aveva prestato assistenza fosse da inquadrare tra gli speciali,
con conseguente applicazione dell’onorario unico previsto dalla relativa tabella di riferimento
(art. 11, comma 1, D.M. n. 127/2004), ha argomentato muovendo da quanto stabilito
nella relazione accompagnatoria, laddove risultano chiarite le ragioni dell’opzione normativa.
La questione affrontata, per la sua rilevanza, avrebbe meritato un maggior approfondimento,
essendo ad essa ancorata la soluzione della stessa natura del procedimento che consegue,
e si instaura, quante volte il creditore, le cui ragioni siano state integralmente, ovvero
parzialmente, disattese nel quantum, o per effetto della negata collocazione richiesta, proponga
opposizione allo stato passivo per veder modificata la statuizione cui, attualmente, è riconosciuta
efficacia endoconcorsuale.
Per poter fornire una risposta maggiormente articolata e decisamente più convincente
rispetto a quanto appare dalla motivazione del decreto capitolino, appare opportuno chiedersi
se, con l’attuale riforma, il legislatore abbia inteso diversamente configurare, rivisitandone il
contenuto, il procedimento impugnatorio che si instaura con l’opposizione allo stato passivo.
La risposta che sarà data ad un siffatto interrogativo, ove negativa, sarà estensibile, per
coerenza logica, anche ai procedimenti di impugnazione e revocazione.
Nessuno ha dubitato in passato, difatti, della natura contenziosa dei giudizi regolati allora,
partitamente, dagli artt. 98, 99 e 100 legge fallim.
Vigente, difatti, la precedente disciplina, era pacifico l’inquadramento della opposizione
allo stato passivo nella categoria dei procedimenti aventi natura giurisdizionale, contenziosa,
cognitiva e decisoria ( 3 ).
Si discuteva, piuttosto, tra coloro i quali individuavano nell’opposizione un vero e proprio
giudizio di opposizione ( 4 ), e chi, al contrario, ravvisava nello stesso semplicemente gli
estremi di una distinta e successiva fase del giudizio di primo grado, volta al riesame, in sede
di cognizione piena ed esauriente, dei risultati ai quali fosse approdata la precedente fase, sulla
scorta della deliberazione sommaria compiuta dal Giudice delegato ( 5 ).
La Suprema Corte ( 6 ) ha, di recente, stabilito che il procedimento di opposizione allo
stato passivo si configura come un giudizio speciale di cognizione al quale possono essere applicate
le regole in tema di appello e, ancora, che possono essere prodotti nuovi documenti, in
quanto le decadenze fissate nell’art. 93, settimo comma, legge fallim., non si comunicano nella
successiva fase dell’opposizione, aggiungendo che, peraltro, nella stessa fase sommaria i do-
( 3 ) Montanari, Dell’accertamento del passivo e dei diritti mobiliari dei terzi, le procedure concorsuali, a cura
di Tedeschi, I, 2, Torino, 1996, 797; Lanfranchi, Procedimenti decisori sommari, inEnc. giur., XXIV, Roma,
1991, 8.
( 4 ) Satta, Diritto fallimentare, Padova, 1990, 311; Ragusa Maggiore, Passivo (accertamento), inEnc.
giur., XXXII, Roma, 1982, 211.
( 5 ) Russo, L’accertamento del passivo nel fallimento, Milanofiori, Assago, 1995, 240; Bonsignori, Il fallimento,
Trattato di diritto commerciale e di diritto pubblico dell’economia, a cura di Galgano, IX, Padova, 1986,
606.
( 6 ) Cassazione, 11 settembre 2009, n. 19697, in Foro it., 2009, 462, con nota di Fabiani M.

108
Il diritto fallimentare e delle società commerciali - n. 1-2011
nio prestato in un giudizio di opposizione allo stato passivo ex art. 98 legge
fallimentare, della tariffa professionale con riferimento alla voce afferente i
procedimenti speciali (come ritenuto nel provvedimento reclamato) ovvero
dei procedimenti contenziosi di primo grado (come ritenuto da parte reclamante);
cumenti giustificativi del credito possono essere prodotti sino all’udienza che si svolge davanti
al giudice delegato ( 7 ).
Il legislatore della riforma ha regolato, d’altronde, la formazione dello stato passivo, partitamente,
prevedendo, all’art. 93 legge fallim., le domande di ammissione al passivo, nonché
quelle rivendica e di restituzione, con l’indicazione analitica del contenuto del ricorso; all’art.
94 legge fallim., gli effetti di quest’ultimo; all’art.95 legge fallim., lo svolgimento dell’udienza
dinanzi al Giudice delegato; all’art. 96 legge fallim., la formazione e gli effetti dello stato passivo;
all’art. 97 legge fallim. la relativa comunicazione.
In particolare, l’art. 98 legge fallim., nel prevedere un unico procedimento per l’opposizione,
l’impugnazione elarevocazione, individua la funzione di ciascun rimedio, precisando
che l’opposizione è diretta a contestare il rigetto, anche parziale, della domanda di ammissione,
ovvero di quelle di rivendica e di restituzione, mentre l’impugnazione e la revocazione
sono volte a contestare l’accoglimento di tali domande.
Oggetto delle controversie rimane, dunque, l’accertamento dell’esistenza o dell’ammontare
dei crediti, nonché dell’esistenza e della collocazione delle cause di prelazione e, con specifico
riferimento all’opposizione, questa costituisce l’unico rimedio a disposizione dei creditori
esclusi, ovvero ammessi in modo difforme dalla domanda, sicché appare evidente la natura
tipicamente contenziosa della stessa, quante volte il tribunale, nel contraddittorio delle
parti in conflitto, è chiamato a pronunciare attraverso l’esatta individuazione del thema probandum
e decidendum, così come risultante dalle richieste formulate ( 8 ).
Non a caso, la disciplina novellata stabilisce che «l’opposizione è proposta nei confronti
del curatore», ciò in quanto, in effetti, il risultato che si intende perseguire consiste nella modificazione
dello stato passivo, sicché il curatore è contraddittore necessario, tant’è che la
mancata partecipazione al processo di quest’ultimo renderebbe il provvedimento inutiler dato,
poiché inidoneo a realizzare gli effetti tipici previsti dalla legge.
Ne consegue, inevitabilmente, l’applicabilità alle dette azioni della disciplina di cui agli
artt. 102 (litisconsorzio necessario); 268 (termini per l’intervento); 310 (effetti dell’estinzione
del processo); 354 (rimessione al primo giudice per altri motivi) e 383 (cassazione con rinvio)
del codice di rito e, specularmente, il potere del giudice di ordinare l’integrazione del contraddittorio
nei confronti del curatore; la facoltà di quest’ultimo di intervenire in giudizio senza
subire preclusione alcuna; l’onere delle parti di rispettare l’ordine di integrazione del contraddittorio;
il potere della Corte di rilevare, anche d’ufficio, la mancata partecipazione del
curatore e di rimettere la causa al primo giudice affinché il processo si svolga nel contraddittorio
integro ( 9 ).
Ovviamente, tale disciplina deve essere adeguata alla struttura del nuovo procedimento
speciale previsto per l’opposizione allo stato passivo, che non si caratterizza, esclusivamente,
( 7 ) In tal senso l’art. 93, nel testo risultante dall’art. 6 del d.lgs. 12 settembre 2007, n. 169, che ha abrogato,
con decorrenza del 1º gennaio 2008, il comma settimo del d.lgs. 9 gennaio 2006, n. 5.
( 8 ) Caiafa A., L’accertamento del passivo, inLe procedure concorsuali nel nuovo diritto fallimentare, a cura
di Caiafa A., 2009.
( 9 ) Costantino G., La riforma della legge fallimentare, a cura di Nigro A. e Sandulli M., 2006, 560.

Parte II - Giurisprudenza 109
ritenuto che, secondo la giurisprudenza del supremo collegio, al fine di
dirimere la questione occorre fare riferimento non tanto alla tipologia di ri-
per avere il legislatore privilegiato il rito camerale, solo per ragioni di celerità e speditezza,
avendo operato tale scelta ben consapevole della natura contenziosa della controversia, che
dunque permane.
Il procedimento, seppur è introdotto con il ricorso, si svolge in camera di consiglio e si
conclude con decreto, ed è pertanto simile ed affine al modello generale regolato dall’art. 737
e segg. cod. proc. civ., non ne condivide la natura, atteso che differenti sono le modalità di
introduzione della causa, essendo regolate espressamente le forme di attuazione del contraddittorio,
non affidate alla discrezione del giudice, in conseguenza della prevista locuzione
«convocate le parti», e, altresì, perché diversa è la disciplina concernente la formazione del
convincimento del giudice, non essendo a questi riconosciuto il potere di «assumere informazioni».
Tutto ciò èconfermato dalla stessa formulazione dell’art. 99 legge fallim. che, puntualmente,
individua il contenuto del ricorso; fissa i termini a comparire; regola la costituzione
dei resistenti; stabilisce il contenuto delle memorie; impone alle parti di articolare i mezzi
di prova e regolamenta i poteri istruttori d’ufficio.
Il criterio discretivo tra procedimenti a contraddittorio ed a cognizione pieni, e quelli a
cognizione sommaria, risiede nella circostanza che, nei primi, è la legge a predeterminare modi
e forme di realizzazione del contraddittorio e di formazione del convincimento del giudice,
laddove, nei secondi, al contrario, gli uni e gli altri sono affidati a formule ampie, che il giudice
deve riempire di contenuto in relazione alle specifiche esigenze della controversia sottoposta
al suo vaglio ( 10 ).
La mera previsione della trattazione in camera di consiglio, pertanto, non è certamente
sufficiente a qualificare come sommario il procedimento, quante volte per effetto della natura
contenziosa della controversia le parti confliggenti vengono autorizzate al deposito di specifici
scritti, e compaiono per la discussione in una pluralità di udienze.
E d’altronde, da un semplice esame dell’art. 99 legge fallim., è facile comprendere la rigida
regolamentazione del procedimento in questione – a differenza del modello camerale
uniforme – prevedendo la disposizione normativa specifici contenuti del ricorso e dettando,
ancora, i relativi termini ( 11 ), come sembra evidente dalla circostanza che il resistente ha l’onere
di costituirsi in giudizio dieci giorni prima «depositando una memoria difensiva contenente,
a pena di decadenza, le eccezioni processuali e di merito non rilevabili d’ufficio, nonché l’indicazione
dei mezzi di prova e dei documenti prodotti»( 12 ), ed il tribunale all’udienza «....assume,
in contraddittorio tra le parti, i mezzi di prova ammessi, anche delegando uno dei suoi componenti»
e«se necessario può assumere informazioni anche d’ufficio e può autorizzare la produzione
di ulteriori documenti».
La decisione, dunque, non si fonda soltanto sulle informazioni di cui all’art. 738, comma
3, cod. proc. civ., ed il riferimento ai mezzi di prova – che devono essere articolati negli atti
introduttivi – evoca chiaramente la comune disciplina dell’istruzione probatoria, in relazione
alla individuazione dei mezzi utilizzabili, alla efficacia degli stessi, ed ai modi e tempi della
relativa assunzione.
Non a caso, di recente, è stato affermato che «il giudizio di opposizione allo stato passivo,
( 10 ) Costantino G., La riforma della legge fallimentare, a cura di Nigro A. e Sandulli M., 2006, 561.
( 11 ) Costantino G., La riforma della legge fallimentare, a cura di Nigro A. e Sandulli M., 2006, 560.
( 12 ) La previsione ricalca il rito del lavoro: art. 416 cod. proc. civ.

110
Il diritto fallimentare e delle società commerciali - n. 1-2011
to applicabile (camerale ovvero ordinario) quanto alla natura contenziosa o
meno del giudizio (così Cassazione, 2613/2010; Cassazione, 21371/2009;
Cassazione, 25352/2008);
ritenuto che nessun dubbio può esservi in ordine alla natura contenziosa
del giudizio di opposizione a stato passivo, rispetto al quale la scelta del
al pari di qualunque altro giudizio di cognizione di natura contenziosa, è retto dal principio dispositivo
e il giudice non può procedere d’ufficio all’acquisizione del fascicolo della procedura
fallimentare»( 13 ).
Ed ancora, il potere di assumere informazioni è residuale, in quanto utilizzabile, unicamente
ed esclusivamente, «se necessario», dovendo combinarsi lo stesso, in ogni caso, con gli
ordinari poteri istruttori, in ragione della indiscussa operatività delle regole di cui agli artt.
115 e 116 cod. proc. civ., per le quali «il giudice deve porre a fondamento della decisione le
prove» e deve valutarle «secondo il suo prudente apprezzamento».
L’indagine istruttoria, dunque, deve essere effettuata secondo i modi della cognizione
ordinaria esclusivamente nell’ipotesi in cui ciò non permetta al giudice la ricostruzione dei
fatti, riconoscendo a questi di avvalersi dello strumento delle informazioni ( 14 ).
Il procedimento si conclude, poi, con decreto, che può fondarsi anche sulla «non contestazione»
delle domande, proveniente «dal curatore o dai creditori intervenuti».
Il tribunale, in tale ultima ipotesi, non può che limitarsi a prendere atto del comportamento
delle parti ed ammettere il credito e, forse, solo in questo caso, potrebbe accedersi alla
tesi della natura camerale non contenziosa.
Nell’ipotesi, invero, fisiologica, dell’esistenza di un conflitto e di precise contestazioni, si
passa inevitabilmente dalla fase di trattazione a quella decisoria, che contiene, al suo interno,
passaggi comuni ad ogni processo a cognizione piena ( 15 ).
Il passaggio alla fase decisoria presuppone, d’altronde, che l’istruttoria sia compiuta, ovvero
sia considerata superflua – come dispongono per il processo ordinario gli artt. 187, comma
1, e 188 cod. proc. civ. – sicché rimane affidato al collegio il potere di dirigere il processo
e, dunque, la scelta tra la decisione immediata, con invito alla discussione, ovvero la concessione
dei termini per il deposito di memorie, a seconda della complessità della controversia.
In sede di opposizione allo stato passivo, infatti, l’indagine del tribunale non è limitata
solo alla legittimità del provvedimento pronunciato dal giudice delegato, ma è estesa al riesame
dell’intero rapporto dal quale il credito insinuato trae origine, con la conseguenza
che gli è consentito valutare tutte le ragioni ed eccezioni dirette, rispettivamente, a sorreggere
ed a contrastare il fondamento delle domande originarie ( 16 ).
Nel giudizio di opposizione il creditore assume la veste di attore, mentre il curatore, che
contesta la pretesa, quella di convenuto, tanto che quest’ultimo ha la possibilità di sollevare
tutte le eccezioni inerenti la infondatezza della pretesa diverse da quelle enunciate in sede di
verifica.
( 13 ) Tribunale Rimini, 23 dicembre 2008, in www.ilcaso.it.
( 14 ) Costantino G., La riforma della legge fallimentare, a cura di Nigro A. e SandulliI M., 2006, 567;
Montanari, L’art. 99, inIl nuovo diritto fallimentare, Commentario diretto da Jorio A. e coordinato da Fabiani
M., 2006, 1505.
( 15 ) Costantino G., La riforma della legge fallimentare, a cura di Nigro A. e Sandulli M., 2006, 570.
( 16 ) Ferro, La legge fallimentare, Commentario teorico-pratico, 2007, 706; Montanari, Dell’accertamento
del passivo e dei diritti mobiliari dei terzi, le procedure concorsuali, a cura di Tedeschi, I, 2, Torino, 1996, 800;
Maffei Alberti, Commentario breve alla legge fallimentare, Padova, 2000, 397.

Parte II - Giurisprudenza 111
rito camerale operata dal Legislatore si giustifica in virtù di una asserita capacità
acceleratoria di tale tipologia procedimentale, non a caso, peraltro, a
sua volta modellata sullo schema del processo del lavoro, ovvero di un procedimento
contenzioso (cfr. relazione di accompagnamento alla riforma
della legge fallimentare, sub art. 99 legge fallim., ove si legge quanto segue:
La nuova disciplina, pertanto, non accusa alcun reale deficit per quel attiene alle garanzie
processuali rispetto all’ordinamento ante riforma, rimanendo pienamente salvaguardata la disponibilità
della cognizione piena ed esauriente ai fini della revisione delle decisioni emesse, a
cognizione sommaria, dal giudice delegato.
Proprio in conseguenza di ciò, nel rispetto dei principi costituzionali, la pronuncia che
scaturisce dal procedimento in esame ha forza di cosa giudicata, a differenza dei procedimenti
di tipo camerale ( 17 ).
Il provvedimento conclusivo del giudizio di opposizione ha, quindi, tutti i connotati essenziali
della sentenza, in quanto emesso all’esito di un procedimento contenzioso a cognizione
piena, non camerale ( 18 ).
La stessa Suprema Corte ( 19 ) ha affermato che, ai fini della liquidazione delle spese processuali,
il procedimento camerale per l’equa riparazione del pregiudizio derivante dalla riduzione
del termine di ragionevole durata del processo – di cui alla legge n.89 del 2001 – ha
natura contenziosa, con la conseguenza che, ai fini della liquidazione degli onorari e dei diritti
spettanti per l’attività prestata «....trovano applicazione le tabelle A, paragrafo IV, e B, paragrafo
I, allegate al d.m. 8 aprile 2004, n. 127, nonché il principio, di cui all’art. 24 della legge n.
794 del 1942, delle inderogabilità degli onorari minimi e dei diritti stabiliti in detta tariffa».
E d’altronde, i procedimenti cautelari, in quanto costituiscono una fase del procedimento
di merito, non rientrano, per la stessa ragione, tra quelli speciali, con la conseguenza che
sono dovuti gli onorari del processo ordinario.
La Suprema Corte ( 20 ), al riguardo, ha stabilito che la previsione in ragione della quale
spetta all’avvocato un onorario unico ed omnicomprensivo per tutta l’opera prestata nell’ambito
dei «procedimenti speciali», si riferisce unicamente – come si evince anche dall’art. 13
dell’anzidetto d.m. n. 585 del 1994 – alla fase non contenziosa dei procedimenti previsti
nel libro IV del codice di rito, e cioè quella che si sviluppa fino a quando non sorgano contestazioni,
il cui esame, poi, si intende devoluto al giudice in sede di cognizione, sì da essere
dovuti, in tal caso, gli onorari di cui ai capi II, III e V della tabella allegata al d.m. 5 ottobre
1994, n. 585.
( 17 ) Montanari, L’art. 99, inIl nuovo diritto fallimentare, Commentario diretto da Jorio e coordinato da
Fabiani M., 2006, 1505; Tribunale Udine, 26 giugno 2008, in Il Fallimento, 2009, 481, con nota di Commisso,
ha ritenuto che «nei procedimenti camerali di natura contenziosa, quale è quello di opposizione allo stato passivo, di
cui agli artt. 98 e 99 legge fallim., introdotti con la legge di riforma, la parte non può stare in giudizio senza il ministero
di un difensore»; Tribunale Novara, decreto, 16 novembre 2009, in www.filodiritto.com, che ha affermato
non potersi dubitare che la natura del procedimento regolato dai citati art. 98 e 99 legge fallim. sia quella di un
giudizio speciale avente natura contenziosa ed a cognizione piena, essendo esplicitamente prevista la tutela del
principio del contraddittorio e del giusto processo, con emissione di un provvedimento che, pur avendo la forma
di decreto, appare avere natura sostanziale di giudicato e valenza decisoria.
( 18 ) Cassazione, 22 luglio 2009, n. 17154, in www.filodiritto.com; Tribunale Milano, decreto, 4 marzo 2008;
Tribunale Mantova, decreto, 11 dicembre 2007, entrambe in Giur. it., 2009, 142, con nota di Donvito.
( 19 ) Cassazione, 7 ottobre 2009, n. 21371; Cassazione, 4 febbraio 2010, n. 2613.
( 20 ) Cassazione, Sez. II, 7 gennaio 2003, n. 51, in Rep. Foro it., 2003, voce Onorari e competenze, n. 189.

112
Il diritto fallimentare e delle società commerciali - n. 1-2011
«...i commi dal secondo all’ottavo disciplinano la fase introduttiva del procedimento,
ancora una volta sulla falsa riga del rito del lavoro...»);
ritenuto pertanto che non possa non trovare applicazione la tariffa professionale
nella parte relativa ai giudizi contenziosi di primo grado;
vista la notula in atti
P.Q.M., revoca il provvedimento reclamato.
Quelle che precedono, in estrema sintesi, le ragioni per le quali, in effetti, appare logico e
coerente ritenere che l’onorario dell’avvocato, per l’assistenza prestata, debba essere determinato,
nei giudizi impugnatori, tenendo conto della tariffa prevista per i procedimenti contenziosi
e, non già, camerali, non potendosi fare riferimento alla tipologia del rito quanto, piuttosto,
alla natura contenziosa, o meno, del procedimento.
Avv. Prof. Antonio Caiafa

TRIBUNALE DI SANT’ANGELO DEI LOMBARDI
3 novembre 2009
Pres. Beatrice - Rel. est. Levita
Fall.to XXX Soc. a resp. lim. c. M.D. e P.A.
Fallimento - Fallimento delle società - Società di capitali - Società a responsabilità
limitata - Amministratori - Responsabilità - Azione di responsabilità
dei creditori sociali - Esclusione
(Codice civile art. 2476)
A seguito della riforma del diritto societario, i creditori di una società a
responsabilità limitata non sono legittimati a proporre l’azione di responsabilità
nei confronti degli amministratori ( 1 ).
(Omissis) –Motivi della decisione. – La domanda della Curatela è fondata
e va accolta per le ragioni che di seguito si espongono. Nella vicenda in
esame, il Giudice Delegato autorizzava la Curatela ad esercitare l’azione di
responsabilità ex art. 146 legge fallim. nei confronti degli amministratori le-
( 1 ) Sulla responsabilità degli amministratori di società a responsabilità limitata nei confronti
dei creditori sociali.
1. – Con la sentenza in epigrafe, il Tribunale di Sant’Angelo dei Lombardi affronta diverse
questioni, inerenti la responsabilità degli amministratori di soc. a resp. lim., che si prospettano
nell’ambito dell’ordinamento societario riformato con il d.lgs. 17 gennaio 2003, n. 6,
ed alla luce delle modifiche apportate alla legge fallimentare dal d.lgs. 9 gennaio 2006, n. 5.
In particolare, nel caso di specie, dichiarato il fallimento di una soc. a resp. lim., il curatore
fallimentare esercitava l’azione di responsabilità ex art. 146 legge fallim. nei confronti
degli amministratori (unico e di fatto) della società fallita.
I convenuti si costituivano in giudizio eccependo in via preliminare la prescrizione dell’azione,
nel merito l’assenza del nesso causale fra la loro condotta ed il dissesto della società e
comunque la piena legittimità del loro operato.
Il Tribunale, dopo aver precisato che l’azione di cui all’art. 146 legge fallim. comprende,
in modo unitario ed inscindibile, tanto l’azione sociale di responsabilità, quanto quella spettante
ai creditori sociali, consentendo al curatore fallimentare di cumulare i vantaggi di entrambe
le azioni, ha escluso che nel sistema riformato i creditori della soc. a resp. lim. – e
quindi per essi il curatore in caso di fallimento della società – siano ancora legittimati a proporre
l’azione di responsabilità nei confronti degli amministratori. Ed infatti, come constatato
in sentenza, l’attuale art. 2476 cod. civ., che regolamenta la responsabilità degli amministratori
di soc. a resp. lim., non richiama più gli artt. 2393-2395 cod. civ. Sempre secondo il Tribunale,
il silenzio del legislatore su tale aspetto non può essere neppure colmato in via interpretativa
dalle norme in tema di scioglimento e liquidazione delle società di capitali, dal momento
che gli artt. 2485, comma 1, e 2486 cod. civ., in considerazione della specificità delle
previsioni ivi contenute e della diversità dei presupposti della responsabilità nei casi in esame,
non giustificano la proponibilità della suddetta azione.

114
Il diritto fallimentare e delle società commerciali - n. 1-2011
gale e di fatto della XXX soc. a resp. lim. (come ormai pacificamente riconosciuto
in giurisprudenza: cfr. da ultimo Cassazione Civ., sez. I, 12 marzo
2008, n. 6719, sulla scia dei leading cases di Cassazione Civ., 6 marzo 1999,
n. 1925 e Cassazione Civ., 14 settembre 1999, n. 9795).
E nel caso in esame non vi è dubbio che il P.A. abbia rivestito la qualifica
di amministratore di fatto della XXX soc. a resp. lim., come tale rispondendo
verso la società ed i creditori sociali dei danni cagionati dalla
violazione dei propri doveri (cfr. Tribunale Milano, 21 maggio 2008; Tribunale
Milano, 18 ottobre 2007; Tribunale Milano, 8 marzo 2007; Tribunale
Roma, 27 gennaio 2006): è infatti provato per tabulas (cfr. contratto del 6
ottobre 2001 con la «Coviello soc. a resp. lim.», nel quale il P.A. sottoscrive
quale amministratore di fatto della XXX soc. a resp. lim.) che il P.A. si sia
sistematicamente ingerito nella concreta gestione della società, ricoprendo
un ruolo direttivo nelle scelte strategiche attinenti all’amministrazione dell’ente
ed intrattenendo rapporti con i terzi (circostanza confermata dallo
stesso P.A. in sede di audizione davanti al Curatore in data 17 novembre
Peraltro, il Giudicante ha opportunamente evidenziato che la soluzione prescelta è in linea
con l’obiettivo dei recenti interventi normativi, dai quali risulta, fra l’altro, che il modello
della soc. a resp. lim. tratteggiato dalla legislazione vigente si configura come autosufficiente
rispetto a quello della soc. per az.
Esclusa, pertanto, l’esperibilità dell’azione dei creditori sociali, il Tribunale è passato a
verificare nel merito la fondatezza dell’azione sociale di responsabilità esercitata dal curatore
fallimentare nei confronti dei convenuti, dopo aver disatteso l’eccezione di prescrizione da
questi ultimi sollevata, in quanto la prescrizione, che decorre a partire dalla data di commissione
del fatto dannoso (ovvero di emersione del relativo pregiudizio), è sospesa ex art. 2491,
n. 7, cod. civ. finché gli amministratori rimangono in carica, per cui tale sospensione, nel caso
in esame, è cessata il giorno della dichiarazione di fallimento.
Il Tribunale ha così accolto la domanda attorea, dal momento che, considerata la natura
contrattuale dell’azione esercitata, la curatela ha provato l’inadempimento da parte degli amministratori,
il danno patito dalla società ed il nesso causale tra la condotta e l’evento dannoso,
mentre i convenuti, dal canto loro, non hanno fornito alcuna prova idonea ad escludere la
loro responsabilità.
Per quanto riguarda infine l’entità del danno, il Giudice di merito, applicando il criterio
dell’accertamento causale della condotta, ha ritenuto che, in conseguenza dell’assoluta inattendibilità
della contabilità sociale, il danno in questione dovesse essere quantificato nell’intero
ammontare del passivo accertato, delle minusvalenze delle vendite e degli illeciti prelevamenti
bancari.
2. – Prendendo spunto dalla sentenza del Tribunale di Sant’Angelo dei Lombardi, in
questa sede ci si intende soffermare sulla questione relativa alla possibilità di configurare, nell’ambito
del sistema giuridico attualmente vigente, un’azione di responsabilità dei creditori
sociali nei confronti degli amministratori di soc. a resp. lim., che, in caso di fallimento della
società, possa essere esercitata dal curatore fallimentare ex art. 146 legge fallim.
Tale questione, particolarmente controversa, deve essere esaminata in una prospettiva
storica, che tenga conto dell’evoluzione normativa che ha riguardato prima il diritto societario
e poi la disciplina fallimentare.

Parte II - Giurisprudenza 115
2006). Ciò premesso, va anzitutto evidenziato che l’azione ex art. 146 legge
fallim., come è ius receptum, affascia con carattere unitario e inscindibile l’azione
sociale di responsabilità ex artt. 2392 e 2393 cod. civ. e l’azione spettante
ai creditori sociali ex art. 2394 cod. civ., ragion per cui il curatore cumula
i vantaggi di ciascuna di esse senza dover scegliere quale esercitare
(cfr. da ultimo Cassazione Civ., sez. I, 29 ottobre 2008, n. 25977; Cassazione
Civ., 6 ottobre 1981, n. 5241; nella giurisprudenza di merito, cfr. Tribu-
Com’è noto, anteriormente alla riforma del diritto societario realizzata con il d.lgs. n. 6/
2003, la responsabilità degli amministratori di società di capitali era disciplinata in modo uniforme
dagli artt. 2392-2395 cod. civ. relativi alla soc. per az., i quali trovavano applicazione
anche alla soc. a resp. lim. in virtù del rinvio contenuto nel previgente art. 2487, comma 2,
cod. civ., per cui gli amministratori di soc. a resp. lim., al pari di quelli di s.p.a., erano responsabili
non solo nei confronti della società, ma anche verso i creditori sociali, oltre che nei confronti
dei singoli soci e terzi ( 1 ).
In questo contesto, era pacifico che il curatore del fallimento di una soc. a resp. lim. – in
forza del combinato disposto dell’art. 146, comma 2, legge fallim. (nel testo anteriore alle modifiche
apportate dal d.lgs. n. 5/06) e dell’allora vigente art. 2487, comma 2, cod. civ. – potesse
esercitare, anche cumulativamente, nei confronti degli amministratori sia l’azione di responsabilità
in favore della società (art. 2393 cod. civ.), sia quella in favore dei creditori sociali
(art. 2394 cod. civ.) ( 2 ).
Il quadro normativo è profondamente mutato con la riforma societaria del 2003, dal momento
che il nuovo art. 2476 cod. civ. – che disciplina, per la soc. a resp. lim., la responsabilità
degli amministratori (o, per meglio dire, la più ampia responsabilità gestionale ( 3 )) –
prevede soltanto la legittimazione del singolo socio ad esercitare l’azione sociale di responsabilità
nei confronti degli amministratori, ma non contempla espressamente né l’esercizio di
tale azione da parte della società, né una responsabilità degli amministratori nei confronti
dei creditori sociali ( 4 ).
Per quanto concerne l’azione sociale di responsabilità, non vi è dubbio che la stessa, per
ragioni di ordine logico e sistematico, sia presente anche nel sistema riformato, in quanto il
rapporto di amministrazione intercorre con la società edèquest’ultima ad essere direttamente
danneggiata dalla condotta illecita dell’amministratore ( 5 ). Al tempo stesso, è pacifico che,
a seguito del fallimento della società, il curatore fallimentare sia legittimato (in via esclusiva)
ad esercitare l’azione sociale ex art. 2476 cod. civ. (anche ai sensi dell’art. 2486, comma 2,
cod. civ. per i pregiudizi derivati al patrimonio sociale dalla violazione dei doveri di cui al
( 1 ) Sulla disciplina previgente, si vedano, per tutti, G. Minervini, Gli amministratori di società per azioni,
Milano, 1956, 229 seg.; F. Bonelli, La responsabilità degli amministratori, inTrattato Colombo-Portale, 4, Torino,
1991, 323 seg.
( 2 ) Per una disamina degli aspetti problematici che si ponevano in passato, si veda, fra gli altri, A. Nigro,
Le società per azioni nelle procedure concorsuali, inTrattato Colombo-Portale, 9**, Torino, 1993, 370 seg.
( 3 ) Basti pensare a quanto stabilito dal comma 7 dell’art. 2476 cod. civ., secondo il quale sono solidalmente
responsabili con gli amministratori i soci che hanno intenzionalmente deciso o autorizzato il compimento di atti
gestionali dannosi per la società, i soci o i terzi.
( 4 ) Cfr. O. Cagnasso, Commento ad art. 2476,inIl nuovo diritto societario, diretto da G. Cottino, G. Bonfante,
O. Cagnasso e P. Montalenti, II, Bologna, 2004, 1875 seg.
( 5 ) In questi termini, V. Salafia, Il nuovo modello di società a responsabilità limitata, inSocietà, 2003, 5;
Tribunale Napoli, 10 gennaio 2007, ivi, 2008, 1031.

116
Il diritto fallimentare e delle società commerciali - n. 1-2011
nale Milano, 14 novembre 2006; Tribunale Napoli, 16 aprile 2004). Occorre
quindi innanzitutto interrogarsi se, a seguito della riforma del diritto societario,
i creditori di una s.r.l. (e quindi il curatore fallimentare per essi,
nell’ipotesi di fallimento) siano ancora legittimati a proporre l’azione di responsabilità
nei confronti degli amministratori. A siffatto quesito il Collegio
ritiene di dover fornire risposta negativa.
Il problema giuridico, di non poco momento, viene evidenziato già dalla
Relazione Governativa al d.lgs. n. 5/2006 («Quanto agli amministratori della
comma 1 dell’art. 2486 cod. civ.), in base al combinato disposto degli artt. 42 e 43 legge fallim.,
che lo abilitano all’esercizio delle posizioni soggettive del fallito ( 6 ).
È piuttosto controverso, invece, se sia tuttora presente nella nuova soc. a resp. lim. un’azione
dei creditori sociali verso gli amministratori, pur in mancanza di un’espressa previsione
normativa, analoga a quella contenuta nell’art. 2394 cod. civ., che contempla la specifica responsabilità
degli amministratori di soc. per az. nei confronti dei creditori per l’inosservanza
degli obblighi inerenti alla conservazione dell’integrità del patrimonio sociale.
La problematica non è stata risolta neppure dalla successiva riforma della legge fallimentare
realizzata con il d.lgs. n. 5/2006, la quale, anche per non incorrere in un eccesso di delega,
si è limitata ad adottare una «formulazione aperta» (come risulta testualmente dalla relazione
illustrativa al decreto delegato), prevedendo all’art. 146, comma 2, legge fallim., senza
alcuna specificazione, che il curatore fallimentare è legittimato alle azioni di responsabilità
contro i componenti degli organi di gestione e di controllo, lasciando così all’interprete il
compito di individuare quali siano le azioni esperibili in sede concorsuale ( 7 ).
La soluzione che, sul piano ricostruttivo, si ritiene di adottare in merito all’ammissibilità
nella soc. a resp. lim. riformata di una azione di responsabilità che possa essere promossa dai
creditori sociali nei confronti degli amministratori è destinata ad avere significative ripercussioni
proprio in ambito fallimentare ( 8 ).
Ed infatti, riconoscendo la legittimazione dei creditori sociali ad agire nei confronti degli
amministratori, in caso di fallimento della società, il curatore avrebbe la possibilità di esercitare
ex art. 146 legge fallim. sia l’azione sociale di responsabilità sia l’azione di responsabilità
nell’interesse dei creditori, cumulando i vantaggi offerti da entrambe le azioni.
In tal senso, per quanto l’azione nell’interesse della società miri ad una più ampia reintegrazione
del patrimonio sociale, l’inclusione nell’iniziativa giudiziaria del curatore fallimentare
anche dell’azione dei creditori sociali presenta una specifica rilevanza nel caso in cui la società
abbia rinunziato ad esercitare l’azione sociale di responsabilità oppure qualora la stessa
abbia concluso con gli amministratori una transazione pregiudizievole per i creditori, impugnabile
con l’azione revocatoria di cui all’art. 2901 cod. civ.
( 6 ) Cfr. Cassazione, 22 ottobre 1998, n. 10488, in Mass. Giur. it., 1998; Tribunale Napoli, 24 gennaio 2007,
in Fall., 2007, 946; Tribunale Napoli, 10 gennaio 2007, ibidem, 948; Tribunale Milano, 25 gennaio 2006, in Società,
2007, 320.
( 7 ) Si trattava di una soluzione obbligata, dal momento che la legge delega si era disinteressata del fallimento
delle società, per cui, intervenendo sull’art. 146 legge fallim., non era possibile integrare le norme civilistiche
senza che si configurasse un eccesso di delega: così V. Caridi, Commento ad art. 146, inLa riforma della legge
fallimentare, a cura di A. Nigro e M. Sandulli, II,Torino, 2006, 879.
( 8 ) Sui termini della questione, si veda N. Rocco di Torrepadula, La responsabilità degli amministratori
nel fallimento della società a responsabilità limitata, inFall., 2006, 1464 seg., ove ulteriori riferimenti bibliografici.

Parte II - Giurisprudenza 117
società a responsabilità limitata e al dibattito in ordine alla sussistenza di una
loro specifica responsabilità verso i creditori sociali, si è preferito, considerato
che la delega legislativa è muta al riguardo, adottare una formula ‘‘aperta’’ che
lasci cioè agli interpreti il compito di stabilire se il curatore possa esercitare nei
confronti degli amministratori di società a responsabilità limitata solo l’azione
di responsabilità sociale o anche quella verso i creditori sociali»: così sub art.
146 nella nuova formulazione). Esiste, in argomento, un orientamento giurisprudenziale
di merito secondo cui tale legittimazione possa ritenersi an-
Peraltro, sempre in sede concorsuale assumono particolare rilievo le differenze che, sul
piano sostanziale e processuale, sussistono fra le due azioni, segnatamente per quanto concerne
gli aspetti probatori, le eccezioni opponibili e la prescrizione ( 9 ).
3. – Sulla possibilità di configurare, nel sistema riformato, un’azione di responsabilità dei
creditori sociali nei confronti degli amministratori di soc. a resp. lim. si è sviluppato un acceso
dibattito che ha visto coinvolta non solo la dottrina ( 10 ), ma anche e soprattutto la giurisprudenza
di merito ( 11 ), la quale se ne è occupata maggiormente con riguardo alle relative implicazioni
di ordine fallimentare.
Al riguardo, l’orientamento prevalente ( 12 )ènel senso di riconoscere la legittimazione dei
creditori sociali ad agire in responsabilità contro gli amministratori di soc. a resp. lim., ora
ritenendo tale forma di tutela espressione di un principio generale operante per tutte le imprese
ad autonomia patrimoniale perfetta, per cui sarebbe superflua un’espressa previsione
normativa ( 13 ), ora propendendo per un’applicazione analogica dell’art. 2394 cod. civ. relativo
alla soc. per az. ( 14 ), o ancora riconducendo l’azione in questione nell’ambito del principio
( 9 ) Cfr. G.U. Tedeschi, La prescrizione delle azioni di responsabilità, inSocietà, 1988, 1010 seg.; nonché,
più di recente, S. Ambrosini, Le azioni di responsabilità, inIl fallimento, a cura di S. Ambrosini, G. Cavalli e A.
Jorio, in Trattato di diritto commerciale diretto da G. Cottino, XI, Padova, 2009, 754 seg.
( 10 ) Per una ricognizione delle diverse opinioni espresse in dottrina, si veda A. Angelillis,G.Sandrelli,
Commento ad art. 2476, inSocietà a responsabilità limitata, a cura di L.A. Bianchi, in Commentario alla riforma
delle società, diretto da P. Marchetti, L.A. Bianchi, F. Ghezzi e M. Notari, Milano, 2008, 771 seg.; nonché G.
Mollo, La responsabilità per danni nella s.r.l., inGiur. comm., 2008, I, 806 seg.
( 11 ) La Corte di Cassazione, invece, non si è ancora pronunciata sulla questione.
( 12 ) Tribunale Novara, 12 gennaio 2010, in www.novaraius.it; Tribunale Nola, 18 giugno 2009, in Fall.,
2010, 121; Tribunale Roma, 23 febbraio 2009, ibidem, 97; Tribunale Biella, 21 ottobre 2008, in www.ilcaso.it;
Tribunale Verona, 27 febbraio 2008, in www.ilcaso.it; Tribunale Milano, 10 ottobre 2007, in Giur. it., 2008,
2511; Tribunale Mantova, 20 dicembre 2007, in www.ilcaso.it; Tribunale Pescara, 15 novembre 2006, in Foro
it., 2007, 1, 2262; Tribunale Mantova, 14 settembre 2005, in Fall., 2006, 98; Tribunale Udine, 11 febbraio
2005, in Dir. fall., 2005, II 808; Tribunale Napoli, 12 maggio 2004, in Società, 2005, 1013; Tribunale Napoli,
28 aprile 2004, in Fall., 2005, 681; Tribunale Napoli, 16 aprile 2004, ibidem, 687.
( 13 ) In tal senso P. Benazzo, L’organizzazione della nuova s.r.l. fra modelli legali e statutari, inSocietà,
2003, 1074; S. Ambrosini, Commento ad art. 2476, inSocietà di capitali. Commentario, a cura di G. Niccolini
e A. Stagno d’Alcontres, III, Napoli, 2004, 1606, il quale considera l’azione dei creditori sociali «connaturale alla
stessa funzione gestoria esercitata nell’ambito di qualunque impresa ad autonomia patrimoniale perfetta».
( 14 ) Così, fra gli altri, O. Cagnasso, Commento ad art. 2476, inIl nuovo diritto societario, 1890; G. Zanarone,
Della società a responsabilità limitata, inCommentario Schlesinger, diretto da F.D. Busnelli, Milano,
II, 2010, 1099 seg.; R. Teti, La responsabilità degli amministratori di s.r.l., inIl nuovo diritto delle società, diretto
da P. Abbadessa e G.B. Portale, 3, Torino, 2007, 660 seg.; V. Salafia, L’azione di responsabilità contro gli amministratori
di società di capitali, inSocietà, 2008, 163.

118
Il diritto fallimentare e delle società commerciali - n. 1-2011
cora sussistente, nonostante la riforma legislativa (cfr. Tribunale Biella, 21
ottobre 2008; Tribunale Udine, 17 ottobre 2008; Tribunale Milano, 10 ottobre
2007; Tribunale Roma, 22 maggio 2007; Tribunale Pescara, 15 novembre
2006; Tribunale Catania, 17 febbraio 2006; Tribunale Mantova,
14 maggio 2005; Tribunale Napoli, 28 aprile 2004). Le richiamate decisioni
propendono – fra l’altro – per una mera svista del legislatore societario, avvalorata
dalla circostanza che anche nel nuovo codice societario sia espressamente
prevista la legittimazione dei creditori sociali ad agire nei confronti
dei sindaci (in virtù del richiamo di cui all’art. 2477 cod. civ. alla disciplina
in materia di società per azioni) e dei liquidatori (ex art. 2489 cod. civ.). Il
richiamo analogico alle norme dettate per le società per azioni, che sarebbero
espressione di un principio generale insito nell’ordinamento, varrebbe
altresì – per le pronunce in argomento – a vincere eventuali profili di incostituzionalità
della norma, pena l’introduzione di una ingiustificata disparità
di trattamento fra i soci ed i creditori di una s.r.l. rispetto a quelli di una
società per azioni. Tuttavia, secondo altra parte della giurisprudenza (cfr.
del «neminem laedere» di cui all’art. 2043 cod. civ. ( 15 ), oppure aderendo ad una interpretazione
dell’art. 2394 cod. civ. in chiave di legittimazione surrogatoria rispetto all’azione sociale,
così da ammetterne l’esercizio in tutte le società ( 16 ).
In questa prospettiva, peraltro, si sostiene diffusamente che vi sarebbero diversi indici
normativi, i quali deporrebbero in favore dell’ammissibilità dell’azione dei creditori sociali
anche con riguardo alla soc. a resp. lim.
Innanzi tutto, rileverebbe la disciplina relativa a scioglimento e liquidazione, che opera
per tutte le società di capitali, ed in particolare l’art. 2486, comma 2, cod. civ., il quale contempla
espressamente la responsabilità, verso i creditori sociali, degli amministratori che abbiano
violato il dovere di conservare l’integrità ed il valore del patrimonio sociale, a seguito
del verificarsi di una causa di scioglimento.
Si fa, inoltre, riferimento all’art. 2477, ultimo comma, cod. civ., che richiama, per le soc.
a resp. lim. dotate obbligatoriamente del collegio sindacale, le norme relative a tale organo
previste per la soc. per az., fra le quali vi è anche l’art. 2407 cod. civ., che a sua volta contempla
la responsabilità dei sindaci ex art. 2394 cod. civ. Si ritiene, pertanto, che quest’ultima
norma debba applicarsi –sussistendo una eadem ratio – anche agli amministratori di soc. a
resp. lim., altrimenti si arriverebbe alla paradossale conseguenza che i creditori potrebbero
agire nei confronti dei sindaci per omesso controllo, ma non nei confronti degli amministratori
autori dell’illecito dannoso.
Ed ancora, sempre secondo l’orientamento dominante, vi sarebbe l’art. 2497 cod. civ.
che, nel prevede la responsabilità della capogruppo nei confronti dei creditori delle società
( 15 ) La tesi è particolarmente diffusa in giurisprudenza: cfr. Tribunale Novara, 12 gennaio 2010, cit.; Tribunale
Biella, 21 ottobre 2008, cit.; Tribunale Verona, 27 febbraio 2008, cit.; Tribunale Mantova, 20 dicembre
2007, cit.; Tribunale Napoli, 12 maggio 2004, cit.; Tribunale Napoli, 28 aprile 2004, cit.
( 16 ) In questi termini A. Nigro, Diritto societario e procedure concorsuali, inIl nuovo diritto delle società,
diretto da P. Abbadessa e G.B. Portale, 1, Torino, 2007, 197; V. Salafia, Profili di responsabilità degli amministratori
di società di capitali, inSocietà, 2005, 1336.

Parte II - Giurisprudenza 119
Appello Napoli, 7 luglio 2008; Tribunale Milano, 25 gennaio 2006; Tribunale
S. Maria Capua Vetere, 18 marzo 2005; Tribunale Napoli, 11 novembre
2004), a seguito della riforma del diritto societario, i creditori di una
s.r.l. (e quindi il curatore fallimentare) non sono più legittimati a proporre
l’azione di responsabilità nei confronti degli amministratori. Ed infatti, l’attuale
disposto dell’art. 2476 cod. civ., che oggi regolamenta la responsabilità
degli amministratori della s.r.l. e che è stato innovato dall’art. 3, d.lgs. 6/
2003, non fa più richiamo agli artt. 2393-2395 cod. civ.
Secondo il Collegio, il silenzio del legislatore in parte qua non può essere
colmato in via interpretativa (tanto che neppure la Corte Costituzionale,
con la sentenza n. 481/2005, ha inteso prendere esplicita posizione in tal
senso), dal momento che gli artt. 2485 comma 1 e 2486 cod. civ., in consi-
soggette ad attività di direzione e coordinamento, implicitamente ammette l’azione dei creditori
contro gli amministratori della capogruppo, la quale potrebbe essere anche una soc. a
resp. lim.
Gli articoli richiamati, in maniera a volte tralatizia, per giustificare la responsabilità degli
amministratori di soc. a resp. lim. nei confronti dei creditori sociali sono – a ben vedere –
irrilevanti o, comunque, non decisivi.
Ed infatti, occorre precisare che l’applicazione alla soc. a resp. lim. delle norme della soc.
per az. relative al collegio sindacale deve avvenire entro i limiti di compatibilità. Pertanto, dal
momento che la responsabilità dei sindaci segue quella degli amministratori, la mancata previsione
della responsabilità degli amministratori nei confronti dei creditori sociali non può
che comportare anche l’irresponsabilità dei sindaci nei confronti di tali soggetti.
Altrettanto inconferente, poi, è l’art. 2486 cod. civ., come puntualmente rilevato dal Tribunale
di Sant’Angelo dei Lombardi, dal momento che l’articolo in questione prende in considerazione
l’ipotesi particolare in cui la società si avvia alla liquidazione, la quale è prioritariamente
indirizzata alla soddisfazione dei creditori sociali. In tal senso, l’art. 2486 cod. civ.
riguarda solo il periodo che intercorre fra il verificarsi della causa di scioglimento e la sostituzione
degli amministratori con i liquidatori e contempla una responsabilità diversa da quella
di cui all’art. 2394 cod. civ., in quanto è riferita all’obbligo di assicurare una «gestione conservativa»
proprio in vista della liquidazione.
Infine, è piuttosto evidente che la responsabilità contemplata dall’art. 2497 cod. civ. è
riconducibile ad una tutela speciale che opera nell’ambito dei gruppi societari, la quale
non è suscettibile di essere estesa a situazioni differenti.
A parte queste precisazioni, comunque, appare decisamente più convincente l’orientamento
minoritario ( 17 ), il quale esclude la proponibilità dell’azione dei creditori sociali nei
confronti degli amministratori di soc. a resp. lim., oltre che in forza dell’argomento letterale,
per l’autonomia del relativo corpus normativo e per l’impossibilità di individuare un obbligo
di buona amministrazione azionabile da parte dei creditori della società.
( 17 ) Cfr. Appello Napoli, 28 giugno 2008, in Giur. merito, 2009, 2470; Tribunale Milano, 25 gennaio 2006,
in Società, 2007, 320; Tribunale S. Maria Capua Vetere, 18 marzo 2005, in Fall., 2006, 190; Tribunale Napoli, 11
novembre 2004, in Società, 2005, 1007; Tribunale Napoli, 6 ottobre 2004, in Fall., 2006, 194; in dottrina, fra gli
altri, S. Di Amato, Le azioni di responsabilità nella nuova disciplina della società a responsabilità limitata, inGiur.
comm., 2003, I, 298 seg.

120
Il diritto fallimentare e delle società commerciali - n. 1-2011
derazione della specificità delle previsioni ivi racchiuse e della diversità dei
presupposti della responsabilità nei casi in esame, non giustificano la proponibilità
della detta azione. Tale secondo orientamento risulta da preferire
anche alla luce delle modifiche normative degli ultimi anni le quali, nel disciplinare
l’impianto delle società di capitali e delle procedure concorsuali,
hanno perseguito l’obiettivo indiscusso di valorizzare le dinamiche del mercato
e l’autonomia dei soci della soc. a resp. lim.; il modello della società a
responsabilità limitata tratteggiato dalla legislazione vigente si configura infatti,
ad avviso del Collegio, come autosufficiente rispetto a quello delle società
per azioni. Esclusa pertanto l’esperibilità dell’azione dei creditori sociali,
il Collegio è chiamato quindi a vagliare nel merito la fondatezza dell’azione
sociale di responsabilità esercitata dal curatore fallimentare nei confronti
degli odierni convenuti, azione non intaccata dalla novella di cui si è
detto e quindi pienamente ammissibile.
In via preliminare, i convenuti hanno eccepito la prescrizione dell’azione
medesima, argomentando che il dies a quo vada individuato dal momento
in cui si manifesti l’insufficienza del patrimonio sociale al soddisfacimento
dei crediti e segnatamente già sin dal 10 giugno 1999, allorquando venne
depositato il bilancio ordinario dell’esercizio finanziario 1998 della XXX
soc. a resp. lim. (cfr. in tema cfr. Cassazione Civ., sez. I, 22 aprile 2009,
4. – Il Tribunale di Sant’Angelo dei Lombardi, con la sentenza in commento, aderisce
alla tesi da ultimo richiamata, secondo cui, con riguardo alla soc. a resp. lim., non è più presente
un’azione analoga a quella prevista dall’art. 2394 cod. civ. in materia di soc. per az.
La soluzione adottata va senz’altro condivisa, dal momento che l’esclusione dell’azione di
responsabilità dei creditori sociali nell’ambito della nuova soc. a resp. lim. trova giustificazione
in diversi argomenti di ordine logico e sistematico.
Innanzi tutto, è appena il caso di evidenziare che il silenzio del codice civile non è certo
frutto di una mera dimenticanza del legislatore della riforma, anche perché questi vi avrebbe
potuto porre rimedio con i successivi decreti correttivi ( 18 ).
Occorre, poi, tenere nel debito conto che, nel sistema riformato, la soc. a resp. lim. si
presenta come un modello societario autonomo e distinto dalla soc. per az., il quale è dotato
di un proprio statuto normativo ( 19 ). In tal senso, rileva la circostanza che la soc. a resp. lim. è
intesa dal legislatore maggiormente come «affare dei soci», che vede accentuata la responsabilità
gestionale sul solo fronte interno ( 20 ).
( 18 ) Tuttavia, sostiene Tribunale Napoli, 28 aprile 2004, cit., che si tratti di un mero difetto di coordinamento
tra la disciplina della soc. per az. e quella della soc. a resp. lim.
( 19 ) Sulla collocazione della nuova soc. a resp. lim. nell’ambito del sistema societario, si veda, ex multis, O.
Cagnasso, La società a responsabilità limitata, inTrattato di diritto commerciale diretto da G. Cottino, V, Padova,
2007, 41 seg.; nonché, da ultimo, G. Zanarone, Della società a responsabilità limitata, inCommentario Schlesinger,
diretto da F.D. Busnelli, Milano, I, 2010, 11 seg.
( 20 ) Così B. Libonati, Creditori sociali e responsabilità degli amministratori nelle società di capitali, inIl
nuovo diritto delle società, diretto da P. Abbadessa e G.B. Portale, 3, Torino, 2007, 630.

Parte II - Giurisprudenza 121
n. 9619, secondo cui «l’azione di responsabilità dei creditori sociali nei confronti
degli amministratori di società èsoggetta a prescrizione quinquennale,
decorrente dal momento in cui i creditori sono oggettivamente in grado di venire
a conoscenza dell’insufficienza del patrimonio sociale ai fini della soddisfazione
dei loro crediti; tale incapienza, consistente nell’eccedenza delle passività
sulle attività, non corrisponde alla perdita integrale del capitale sociale,
che può verificarsi anche in presenza di un pareggio tra attivo e passivo, né
allo stato d’insolvenza di cui all’art. 5 legge fallim., trattandosi di una condizione
di squilibrio patrimoniale più grave e definitiva, la cui emersione non
coincide necessariamente con la dichiarazione di fallimento, potendo essere
anteriore o posteriore»).
Rilevando che la citazione del presente giudizio è stata notificata il 6
agosto 2007, i convenuti hanno quindi dedotto il pieno decorso del termine
quinquennale e di conseguenza la prescrizione dell’azione, anche sulla scia
dell’orientamento giurisprudenziale secondo cui l’azione di responsabilità
può essere proposta dai creditori sociali allorché l’insufficienza del patrimonio
sociale al soddisfacimento dei crediti risulti da qualsiasi fatto che possa
essere conosciuto, anche senza verifica diretta della contabilità della società,
non richiedendosi a tal fine che essa risulti da un bilancio approvato dall’assemblea
dei soci (e quindi a maiori allorché un bilancio esista e venga depositato,
come nel caso in esame: cfr. in tema Cassazione Civ., sez. I, 22 ottobre
2004, n. 20637). L’eccezione di prescrizione va nondimeno disattesa.
Ed infatti, la disciplina ex art. 146 legge fallim. configura per l’ipotesi di fallimento
la legittimazione esclusiva in capo al curatore alle azioni normalmente
esperibili dalla società ovvero dai creditori sociali, con la conseguenza
che, laddove il curatore abbia fatto valere entrambi i profili di responsa-
Pertanto, deve ritenersi che, nell’ordinamento societario attualmente vigente, la particolare
forma di tutela dei creditori sociali offerta dall’art. 2394 cod. civ. risponde alle caratteristiche
tipologiche della soc. per az., trovando giustificazione nella peculiare struttura organizzativa
di tale modello di società, nel quale gli amministratori sono competenti, in via esclusiva,
della gestione sociale ed il controllo sul loro operato è rigorosamente procedimentalizzato.
Nella soc. a resp. lim., invece, non c’è bisogno di questa specifica forma di tutela dei creditori
sociali, in quanto il sistema di governance è molto più informale e fluido, ed i soci hanno ampi
ed indisponibili poteri di controllo e di reazione nei confronti degli amministratori.
In sostanza, la mancata previsione per la soc. a resp. lim. di una disposizione analoga a
quella contenuta nell’art. 2394 cod. civ. corrisponde ad una precisa scelta del legislatore, il
quale ha voluto adottare soluzioni in parte diverse per soc. per az. e soc. a resp. lim. (anche)
in merito alle azioni di responsabilità.
In tal senso, la profonda differenza, sul piano tipologico, fra i due modelli di società di
capitali consente anche di superare agevolmente i dubbi di legittimità costituzionale per asserita
disparità di trattamento tra i rispettivi creditori, per quanto entrambe le società siano
dotate di autonomia patrimoniale perfetta e siano caratterizzate da un regime di responsabilità
limitata.
In questa prospettiva, la disposizione di cui all’art. 2394 cod. civ., proprio in quanto pe-

122
Il diritto fallimentare e delle società commerciali - n. 1-2011
bilità, il compimento del termine prescrizionale (in entrambi i casi di durata
quinquennale) dovrà essere valutato in riferimento allo specifico dies a quo
relativo a ciascuna delle due azioni, ed in particolare per l’azione di responsabilità
sociale in riferimento alla data di commissione del fatto dannoso
(ovvero di emersione del relativo pregiudizio) (così Tribunale Milano, 29
novembre 2003). Tuttavia, la Curatela fondatamente ha sollevato eccezione
di sospensione del decorso della prescrizione finché gli amministratori rimangono
in carica, ex 2941 n. 7 cod. civ., sospensione cessata il giorno della
sentenza dichiarativa di fallimento (13-19 agosto 2002). Ne discende che la
notificazione della citazione, avvenuta come detto il 6 agosto 2007, risulta
eseguita anteriormente al maturarsi del quinquennio.
Venendo quindi al merito della domanda, la Curatela ha chiesto la con-
culiare ed esclusiva delle sole società azionarie, non può essere estesa agli altri modelli societari
( 21 ).
D’altra parte, occorre tenere presente che i creditori sociali sono tali soltanto nei confronti
della società, con la quale intercorre il rapporto obbligatorio, per cui la previsione
di un’azione dei creditori nei confronti degli amministratori non può che avere carattere eccezionale,
cosicché anche per tale ragione non è suscettibile di applicazione, neppure in via
analogica, ad altre fattispecie ( 22 ).
A ciò si aggiunga che la tutela offerta dall’art. 2394 cod. civ. ai creditori sociali neppure è
assimilabile a quella riconosciuta dal comma 6 dell’art. 2476 cod. civ. (e, per le soc. per az.,
dall’art. 2395 cod. civ.) ai singoli terzi direttamente danneggiati: quest’ultima forma di tutela,
infatti, che presuppone un danno diretto nel patrimonio del terzo, lascia il creditore sociale
privo di tutela proprio nei casi di colposo o doloso depauperamento del patrimonio sociale.
È altresì da escludere che si possa ritenere applicabile alla soc. a resp. lim. l’azione dei
creditori sociali sostenendo che tale tipo di azione sia riconducibile nell’ambito della tutela
aquiliana del credito (art. 2043 cod. civ.) ( 23 ). Innanzi tutto, a differenza dell’azione di responsabilità
extracontrattuale, che in linea teorica spetterebbe individualmente a qualsiasi soggetto
ingiustamente danneggiato, quella contemplata dall’art. 2394 cod. civ. è un’azione specifica
a tutela dei creditori. Pertanto, la qualificazione della responsabilità in questione come
extracontrattuale non sembra del tutto appagante. Invece, appare preferibile ritenere che
con l’azione ex art. 2394 cod. civ. viene fatta valere una «responsabilità da inadempimento»,
per violazione dei doveri imposti agli amministratori direttamente dalla legge ( 24 ). In altri ter-
( 21 ) Nei medesimi termini C. Angelici, Note sulla responsabilità degli amministratori di società a responsabilità
limitata, inRiv. soc., 2007, 1236.
( 22 ) Cfr. B. Libonati, Creditori sociali e responsabilità degli amministratori nelle società di capitali, 623.
( 23 ) L’orientamento prevalente riconosce all’azione ex art. 2394 cod. civ. natura extracontrattuale: cfr. Cassazione,
22 ottobre 1998, n. 10488; Appello Milano, 14 gennaio 1992, in Giur. comm., 1993, II, 63; Tribunale
Milano, 6 febbraio 1989, ivi, 1989, II, 906; contra Tribunale Milano, 22 dicembre 1983, in Società, 1984, 883.
( 24 ) Com’è noto, rispetto al binomio responsabilità contrattuale/responsabilità extracontrattuale, è andata
emergendo una recente tendenza a configurare un tertium genus, costituito dalla «responsabilità da inadempimento»,
riferibile all’ipotesi in cui, pur in mancanza di un diretto rapporto contrattuale tra danneggiato e danneggiante,
quest’ultimo abbia violato una disposizione normativa. In sostanza, tale forma di responsabilità deriva
da una preesistente obbligazione posta dalla legge e non dal mero compimento di un atto dannoso: cfr. L. Mengoni,
voce Responsabilità contrattuale, inEnc. dir., XXXIX, Milano, 1988, 1072.

Parte II - Giurisprudenza 123
danna dei convenuti alla complessiva somma di euro 340.523,62, quale risultante
dalla sommatoria del passivo accertato (euro 260.245,99), delle minusvalenze
di alcuni beni indicati nel libro dei beni ammortizzabili (euro
69.948,49) e del totale (euro 10.329,14) di alcuni prelevamenti illeciti sul
conto corrente n. 1352.76 presso la Banca del Monte dei Paschi di Siena.
Orbene, quanto al passivo accertato, la Curatela ha senza dubbio provato
nel presente giudizio, come richiesto dalle più recenti acquisizioni giurisprudenziali:
l’inadempimento, da parte degli amministratori degli obblighi
imposti dalla legge o dall’atto costitutivo con la diligenza che ci si deve attendere
da un amministratore di beni altrui; il danno patito dalla società
mini, si è in presenza di un apposito strumento che da forza effettuale all’obbligazione inadempiuta
dalla società estendendo la responsabilità da inadempimento al gestore, ossia ad
un soggetto diverso da quello tenuto ad eseguire la prestazione.
Sulla base di tali elementi, anche a prescindere dalle diverse opinioni circa la natura,
autonoma o surrogatoria ( 25 ), dell’azione dei creditori sociali di cui all’art. 2394 cod.
civ. ( 26 ), si può fondatamente ritenere che la riforma societaria abbia sancito il carattere eccezionale
di tale azione, prevista espressamente solo per le società azionarie.
Ciò non significa che nelle società diverse dalla soc. per az. i creditori sociali siano privi
di tutela. Con riguardo alle altre società, infatti, la salvaguardia delle ragioni creditorie è affidata
agli ordinari strumenti di diritto comune.
Pertanto, nella soc. a resp. lim., così come nelle società di persone, i creditori possono in
ogni caso ricorrere alla tutela aquiliana del credito ex art. 2043 cod. civ. e possono avvalersi
dell’azione surrogatoria di cui all’art. 2900 cod. civ. ( 27 ). In particolare, il creditore sociale – in
coerenza con quanto previsto dall’art. 2476, comma 6, cod. civ. – può sempre invocare la
clausola generale dell’art. 2043 cod. civ. per la lesione del proprio credito da parte dell’amministratore,
nella misura in cui sia imputabile a quest’ultimo il fatto doloso o colposo che ha
reso il patrimonio sociale inidoneo al soddisfacimento dei debiti. Al tempo stesso, il creditore
ha una legittimazione surrogatoria all’esercizio dell’azione sociale, in caso di inerzia della società,
qualora ricorrano le condizioni previste dall’art. 2900 cod. civ. ( 28 ).
( 25 ) La giurisprudenza più recente propende per la natura autonoma e diretta dell’azione in questione: cfr.
Cassazione, 6 dicembre 2000, n. 15487, in Giust. civ., 2001, I, 2716; Cassazione, 22 ottobre 1998, n. 10488, in
Giust. civ., 1999, I, 75; Appello Milano, 14 gennaio 1992, cit.; in dottrina, ex multis, F.Bonelli, La responsabilità
degli amministratori, 439 segg. La tesi della natura surrogatoria, invece, è sostenuta, fra gli altri, da G. Minervini,
Gli amministratori di società per azioni, 329; Cassazione, 28 febbraio 1998, n. 2251, in Dir. fall., 1999,
II, 307; Cassazione, 14 dicembre 1991, n. 13498, in Foro it., 1992, I, 1803; Cassazione, 28 novembre 1984, n.
6187, in Giust. civ., 1985, I, 1409; Cassazione, 27 novembre 1982, n. 6431, in Fall., 1983, 810; Tribunale Milano,
22 dicembre 1983, in Società, 1984, 833.
( 26 ) Il nuovo assetto normativo sembra confermare che quella contenuta nell’art. 2394 cod. civ. sia una
azione autonoma, piuttosto che surrogatoria, rispetto a quella della società: così A. Silvestrini, Commento
ad art. 2394, inLa riforma delle società, a cura di M. Sandulli e V. Santoro, 2/I, Torino, 2003, 498.
( 27 ) Sugli aspetti problematici che si pongono in ordine al ricorso da parte dei creditori ai rimedi di diritto
comune, si vedano A. Angelillis, G.Sandrelli, Commento ad art. 2476, 780 segg.
( 28 ) In tal caso, ovviamente i risultati sono diversi da quelli conseguibili con l’azione ex art. 2394 cod. civ.,
in quanto il provento dell’azione confluisce nel patrimonio della società, senza andare a diretto beneficio del creditore
procedente, e non è possibile fare salvi i diritti dei creditori in caso di rinuncia o transazione dell’azione di
responsabilità da parte della società, se non entro i limiti dell’azione revocatoria di cui all’art. 2901 cod. civ.

124
Il diritto fallimentare e delle società commerciali - n. 1-2011
XXX soc. a resp. lim.; il nesso causale che discende in via immediata e diretta
dalla condotta dolosa o colposa degli amministratori M.D. e P.A. L’irregolarità
della gestione della XXX soc. a resp. lim., in particolare, risulta
per tabulas dalle numerose violazioni accertate e dal costante inadempimento
degli obblighi di legge, fra cui: la totale assenza dei movimenti finanziari
sul libro giornale nel periodo intercorrente fra il 1 gennaio 2002 ed il 31
agosto 2002; la totale mancanza di istituzione del libro giornale per il periodo
27 gennaio 1997-1º giugno 1998; l’assenza della sottoscrizione dei bilanci
da parte dell’amministratore unico; la totale assenza dei partitari per gli
esercizi dal 1997 al 2000 (senza considerare che gli altri partitari depositati
sono privi della sottoscrizione dell’amministratore unico); la tardiva istituzione
del Registro Unico IVA; l’assenza dei verbali di approvazione, nel libro
dei verbali delle assemblee dei soci, dei bilanci relativi agli esercizi
In conclusione, si può senz’altro sostenere che i creditori di soc. a resp. lim. non dispongono
più di una specifica azione nei confronti degli amministratori e la loro protezione non
può che essere affidata agli ordinari strumenti di tutela previsti dall’ordinamento giuridico.
5. – Aderendo alla tesi secondo la quale nella nuova soc. a resp. lim. non è presente una
specifica azione di responsabilità nell’interesse del ceto creditorio, è conseguentemente da
escludere una legittimazione in tal senso in capo al curatore fallimentare che possa essere ricondotta
nell’ambito della previsione dell’art. 146 legge fallim. ( 29 ).
Né ad una diversa soluzione sembra si possa arrivare riconoscendo una valenza autonoma
all’azione contemplata dall’art. 146 legge fallim. (come modificato dal d.lgs. n. 5/06), il
quale attribuirebbe al curatore una legittimazione generale alle azioni di responsabilità, ivi
compresa quella dei creditori sociali, che pertanto sarebbero proponibili indipendentemente
dal tipo di società assoggettata a procedura concorsuale ( 30 ). Ed infatti, è difficile da sostenere
che il curatore possa essere legittimato ad esperire un’iniziativa giudiziale che sarebbe preclusa
ai creditori sociali, ai quali l’organo del fallimento si sostituisce ( 31 ).
( 29 ) Così Tribunale Milano, 25 gennaio 2006, cit.; Tribunale Santa Maria Capua Vetere, 18 marzo 2005,
cit.; Tribunale Napoli, 11 novembre 2004, cit.; N. Rocco di Torrepadula, La responsabilità degli amministratori
nel fallimento della società a responsabilità limitata, 1472. In senso contrario, Tribunale Padova, 24 giugno
2009, in Fall., 2010, 729; Tribunale Napoli, 12 maggio 2004, cit.; Tribunale Napoli, 16 aprile 2004, cit.; M. Rescigno,
Rapporti e interferenze tra riforma societaria e fallimentare, inIl nuovo diritto fallimentare, diretto da A.
Jorio, II, Bologna, 2007, 2129 seg.; V. Caridi, Commento ad art. 146, 886; M. Cristiano, Azioni di responsabilità
contro gli amministratori della soc. a resp. lim. nella riforma del diritto societario, inSocietà, 2005, 1021 seg.
( 30 ) Cfr. M. Sandulli, La crisi dell’impresa, Torino, 2009, 179; S. Ambrosini, Le azioni di responsabilità,
740.
( 31 ) Qualora si ritenga che l’azione ex art. 2934 cod. civ. abbia natura surrogatoria rispetto a quella sociale,
la legittimazione del curatore fallimentare ad esercitarla discenderebbe dal subingresso di tale organo in tutte le
c.d. azioni di massa: così A. Nigro, Le società per azioni nelle procedure concorsuali, 375. Se, invece, si ritenga –
come sembra preferibile – che l’azione dei creditori sia autonoma e diretta, il trasferimento della stessa all’organo
della procedura fallimentare troverebbe giustificazione nell’esigenza di garantire la par condicio creditorum: in
questi termini G. De Crescenzio, L’azione di responsabilità nei confronti di amministratori e sindaci di società
fallite, inIl fallimento e le altre procedure concorsuali, diretto da L. Pansani, IV, Torino, 1999, 364; S. Di Amato,
Le azioni di responsabilità nella nuova disciplina della società a responsabilità limitata, 44 segg.

Parte II - Giurisprudenza 125
1997-1999-2000-2001 (bilanci non formati ovvero non sottoscritti, oltre che
notevolmente carenti sotto i profili richiesti dalla legge), una pressoché totale
assenza di pagamenti fiscali e tributari. Il quadro descritto dalla Curatela,
documentalmente provato e non contestato dai convenuti, offre la certezza
del palese inadempimento degli obblighi di legge da parte degli amministratori,
con conseguente gravissimo danno per la XXX soc. a resp.
lim.
Né i convenuti, seppur tenuti ad una condotta di valore ed impegno superiore
a quella richiesta al buon padre di famiglia ex art. 1176 cod. civ.,
hanno dimostrato la non imputabilità del fatto dannoso, mediante la prova
positiva, con riferimento agli addebiti contestati, dell’osservanza dei doveri
e dell’adempimento degli obblighi posti a loro carico: nulla hanno infatti
dedotto sull’insussistenza del danno e sull’insussistenza del nesso causale
(stante la natura contrattuale dell’invocata responsabilità), né hanno allegato
elementi atti a far ritenere che il compimento degli atti lesivi potesse apparire
conforme a diligenza. Quanto ai prelevamenti presso il conto corrente
n. 1352.76 del Monte dei Paschi di Siena, essi risultano provati documentalmente
e, in assenza di qualsivoglia contestazione da parte dei convenuti,
possono ritenersi sicuramente illeciti, di talché le somme indicate – più volte
richieste ufficialmente dalla Curatela all’amministratore unico – vanno restituite
in toto. Quanto alle minusvalenze invocate dalla Curatela, i convenuti
ne hanno sostenuto sic et simpliciter l’inesistenza, ritenendo che i beni
mobili oggetto delle alienazioni (compressore con botte ad aria compressa;
compressore Mattei; motogeneratore; Alfa 166 2.4 TD; sabbiatrice) siano
stati venduti al loro valore reale (inferiore rispetto alle indicazioni della Curatela
a causa dell’usura e dell’obsolescenza), ovvero siano ancora presenti
In tal senso, deve ritenersi che l’azione del curatore ex art. 146 legge fallim. non è autonoma
e distinta rispetto a quelle di cui agli artt. 2393-2394 cod. civ., dal momento che lo stesso
curatore subentra nella titolarità esclusiva delle azioni che, prima dell’apertura della procedura
concorsuale, appartenevano alla società o ai creditori ( 32 ).
Dunque, seguendo l’impostazione più rigorosa che non ammette l’azione dei creditori
sociali nell’ambito della soc. a resp. lim., è da escludere la legittimazione del curatore falli-
( 32 ) Si veda Cassazione, S.U., 6 ottobre 1981, n. 5241, in Foro it., 1982, I, 103; Tribunale Milano, 8 ottobre
2001, in Giur. it., 2002, I, 2, 795; F. Bonelli, La responsabilità degli amministratori, 455; G. Fauceglia, Commento
ad art. 146, inIl nuovo diritto fallimentare, diretto da A. Jorio, II, Bologna, 2007, 2143. Secondo l’orientamento
consolidato della giurisprudenza, in caso di fallimento, le azioni ex artt. 2393 e 2394 cod. civ. confluiscono
in un’unica azione che assume carattere unitario ed inscindibile, la quale cumula i presupposti e gli scopi di
entrambe: cfr. Cassazione, 25 maggio 2005, n. 11018, in Impresa, 2005, 1993; Cassazione, 7 novembre 1997, n.
10937, in Fall., 1998, 697; Cassazione, S.U., 6 ottobre 1981, n. 5241, cit.; Tribunale Milano, 14 novembre 2006,
in Società, 2007, 864; Tribunale Milano, 28 novembre 2005, ibidem, 67; Tribunale Roma, 8 maggio 2003, in G.
romana, 2003, 381; Tribunale Lucera, 15 gennaio 2002, in Dir. fall., 2002, II, 337.

126
Il diritto fallimentare e delle società commerciali - n. 1-2011
al patrimonio sociale (Fiat Punto; Fiat Panda). Ad avviso del Collegio tali
argomentazioni non hanno pregio, dal momento che: i due compressori sono
stati alienati a poco tempo dall’acquisto – allorquando non appare ragionevole
discorrersi di obsolescenza – e con una evidente disparità fra i rispettivi
valori di libro e valori di alienazione; l’asserita alienazione della sabbiatrice
(a società peraltro inesistente) non risulta documentata da alcun contratto
o fattura (che i convenuti avrebbero depositato se in loro possesso); le
vetture Fiat Punto e Fiat Panda non sono state mai ritrovate dalla Curatela
e, nel caso dell’Alfa 166, la vendita era addirittura annotata a matita sul libro
dei beni ammortizzabili.
Del resto e conclusivamente, non va tralasciato che nell’ambito del cd.
rito societario l’onere di contestazione è particolarmente gravoso nei confronti
della parte costituita (la quale è tenuta a contestare specificamente
i fatti dedotti dalla controparte, altrimenti gli stessi si intendono pacifici:
cfr. l’art. 10, comma 2-bis, d.lgs. n. 5/2003, aggiunto dal d.lgs. n. 310/
2004): l’assenza pressoché integrale di contestazioni da parte dei convenuti
mentare ad azionare il diritto dei creditori pregiudicati dall’incapienza patrimoniale della società
insolvente ( 33 ).
Non resta, pertanto, che verificare la possibilità per il curatore di avvalersi degli strumenti
di portata generale messi dall’ordinamento giuridico a disposizione dei creditori, quali l’azione
di responsabilità ex art. 2043 cod. civ. e l’azione surrogatoria di cui all’art. 2900 cod.
civ.
A tal proposito, occorre preliminarmente chiarire che il nuovo art. 146 legge fallim., per
quanto contenga una «formula aperta», è riferibile soltanto all’azione sociale di responsabilità
ed a quella nell’interesse dei creditori sociali, come è chiarito dalla stessa relazione di accompagnamento
del decreto di riforma n. 5/2006.
Pertanto, è fuori dall’ambito applicativo dell’art. 146 legge fallim. l’azione prevista dagli
artt. 2395 e 2476, comma 6, cod. civ., la quale riguarda i singoli soggetti danneggiati e non la
collettività dei creditori ( 34 ). Ciò trova giustificazione nel fatto che, in sede concorsuale, sono
esperibili da parte del curatore fallimentare soltanto azioni della massa, ossia azioni spettanti
ai creditori e dirette ad ottenere, nell’interesse degli stessi, la ricostituzione del patrimonio del
debitore.
Ne consegue che non è possibile esercitare in forza dell’art. 146 legge fallim. l’azione ex
art. 2043 cod. civ., la quale non è un’azione che può essere intrapresa nell’interesse della collettività
dei creditori, poiché èvolta a tutelare il singolo creditore danneggiato e non il ceto
creditorio nel suo complesso.
Un discorso diverso deve farsi per l’azione surrogatoria di cui all’art. 2900 cod. civ., la
quale, essendo finalizzata ad incrementare il patrimonio del debitore, torna a vantaggio di tut-
( 33 ) Così L. Abete, Azioni di responsabilità contro amministratori e membri di organi di controllo, inFallimento
e altre procedure concorsuali, diretto da G. Fauceglia e L. Panzani, 2, Torino, 2009, 1495 seg.; N. Rocco
di Torrepadula, La responsabilità degli amministratori nel fallimento della società a responsabilità limitata,
1472.
( 34 ) Cfr. Cassazione, S.U., 28 marzo 2006, n. 7029, in Mass. Giur. it., 2006.

Parte II - Giurisprudenza 127
conforta pertanto il percorso argomentativo sin qui delineato. L’entità del
danno in tal modo dimostrato dalla Curatela deve essere calcolata applicando
il criterio dell’accertamento causale della condotta (cfr. Cassazione Civ.,
sez. I, 4 aprile 1998, n. 3483), laddove l’assoluta inattendibilità della contabilità
sociale della XXX soc. a resp. lim. consente di quantificare tale danno
nel pieno ammontare del passivo sinora accertato (euro 260.245,99), delle
minusvalenze sulle vendite (euro 69.948,49) e degli illeciti prelevamenti
bancari (euro 10.329,14). A tali importi, infine, vanno aggiunti gli interessi
compensativi al saggio legale dalla data della sentenza sino all’effettivo soddisfo.
(Omissis).
ti i creditori, a prescindere da chi abbia assunto la relativa iniziativa, per cui può essere qualificata
come un’azione della massa, in quanto tale esperibile da parte della curatela fallimentare
( 35 ).
In conclusione, è senz’altro da condividere la decisione con cui il Tribunale irpino ha
stabilito che, con riguardo alla nuova soc. a resp. lim., manca una specifica azione dei creditori
sociali, come quella prevista per le società azionarie dall’art. 2394 cod. civ., che, in caso di
fallimento, possa essere esercitata ai sensi dell’art. 146 legge fallim. dal curatore fallimentare,
insieme all’azione sociale.
Pietro Paolo Ferraro
Professore Aggregato di diritto commerciale
nella Seconda Università di Napoli
( 35 ) In tal senso, L. Guglielmucci, Diritto fallimentare, 3 a ed., Torino, 2008, 284, nt. 3.