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scarica pdf - Scuola e Laboratorio di Cultura delle Donne

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inghiottiti dal mare bianco”, emana un dolore così grande che a chi ascolta sembra <strong>di</strong> bere<br />

“quei singhiozzi”, e <strong>di</strong> avvertire “nella gola quell’acqua che non c’è”, <strong>di</strong> vedere “il<br />

deserto che non finisce” dove tanti/e gridano “per la paura <strong>di</strong> morire”. Gli Archivi <strong>delle</strong><br />

emozioni sono così <strong>di</strong>ventate le acque del Me<strong>di</strong>terraneo e ci invitano a ripartire dalla<br />

materialità dei corpi dal desiderio negato.<br />

“Ma si ricorda del naufragio <strong>di</strong> un mese fa? – continua Ali Farah - Delle salme dei<br />

somali trasportate a Roma? Della celebrazione dei funerali in Campidoglio? Quei funerali<br />

credo abbiano smosso qualcosa nel cuore della gente”. Di fronte al naufragio senza<br />

sopravvissuti dell’ottobre 2003, i TG offrirono – come <strong>di</strong> consueto - solo cifre: “non<br />

importava se quei corpi sarebbero stati seppelliti […] invece <strong>di</strong> marcire in pieno sole!. Era<br />

una <strong>delle</strong> tante imbarcazioni che “solcavano il mar Me<strong>di</strong>terraneo in cerca <strong>di</strong> un approdo<br />

verso un futuro qualsiasi in terra d’Occidente” . Ma quella volta la comunità somala –<br />

racconta Igiaba Scego - chiese al sindaco <strong>di</strong> Roma un aiuto per “dare giuste esequie a<br />

quegli …sfortunati”. La piazza del Campidoglio, dove si svolse la cerimonia era gremita<br />

da somale “con le lacrime agli occhi e uomini che stringevano i pugni per la rabbia” <strong>di</strong><br />

fronte a quelle bare in legno semplice, ricoperte dalla ban<strong>di</strong>era somala. Accorsero anche<br />

tanti italiani/e: “ la gente sapeva ancora in<strong>di</strong>gnarsi – commenta l’autrice – La gente non<br />

aveva perso tutta la sua tenerezza”, era “un’altra Italia […] Un’Italia che sapeva far suo il<br />

dolore degli altri. Un’ Italia che aveva ancora un’anima”. Tuttavia se il Campidoglio era il<br />

palcoscenico più solenne per un funerale, Scego pensa che l’unico posto giusto sarebbe<br />

stata la Stazione Termini, “galassia <strong>di</strong> affetti” che fin dall’inizio aveva davvero accolti i<br />

migranti somali. Quei funerali rappresentarono comunque una archiviazione privata che<br />

trovò memoria pubblica e <strong>di</strong>venne parte della Storia italiana. Quella cerimonia infatti mise<br />

in scena la materialità fisica, vocale, gestuale, affettiva della comunità somala, accolta dalla<br />

citta<strong>di</strong>nanza italiana e dalle istituzioni, per questo è inscritta in un Archivio privato e<br />

collettivo.<br />

Funerali pubblici non ci sono più stati, e prevalgono leggi dettate dall’ossessione<br />

della sicurezza, mentre si usano i Cie come carceri: mi limito a ricordare quando i giornali<br />

a giugno riferiscono che <strong>di</strong>versi migranti tunisini, rinchiusi nel centro <strong>di</strong> detenzione a<br />

Lampedusa, mettono in atto una protesta estrema ingoiando lamette da barba, pezzi <strong>di</strong><br />

vetro, frammenti affilati per evitare il rimpatrio forzato. Si mostra, ancora una volta, il<br />

volto brutale del potere liberista o<strong>di</strong>erno.<br />

Nell’assenza <strong>di</strong> culture pubbliche adeguate, mi appare significativa la ricerca <strong>di</strong><br />

Federica Sossi che, in Storie migranti, con determinazione indaga le fosse comuni nei<br />

cimiteri <strong>di</strong> Lampedusa, i cadaveri senza nome naufragati nelle carrette del mare, e le<br />

tombe, per restituire voce ai ‘fantasmi del Me<strong>di</strong>terraneo <strong>di</strong> cui si sono smarrite “le<br />

millenarie mescolanze” (Toni Maraini): è una ricerca estenuante nella assur<strong>di</strong>tà della<br />

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