scarica pdf - Scuola e Laboratorio di Cultura delle Donne
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convivenza. Una città/società che si prenda cura della <strong>di</strong>versità e la alimenti, che sappia<br />
offrire alle o<strong>di</strong>erne “culture in viaggio” varie sfere pubbliche dove possano manifestarsi<br />
incontri ravvicinati fra i tanti altri, strani incontri (Sara Ahmed) in un’apertura reale a<br />
soggettività non conformi e non identitarie, portatrici <strong>di</strong> desideri e pratiche <strong>di</strong><br />
trasformazione, in una ricerca del comune che esprima la tensione a costruire un orizzonte<br />
con<strong>di</strong>viso nella <strong>di</strong>versità.<br />
La letteratura, le notizie dei giornali sul confine-cimitero del Me<strong>di</strong>terraneo e sulla<br />
troppa ingiustizia nel mondo, brulicano <strong>di</strong> corpi e pongono interrogativi, “è un grido,<br />
sono <strong>delle</strong> grida”, scrive Hoda Barakat, che risvegliano le coscienze. Credo che sia<br />
possibile organizzare una coscienza politica intorno a tali emozioni. Le tante isole <strong>di</strong> un<br />
sentire <strong>di</strong>fferente devono <strong>di</strong>venire un arcipelago, nelle modalità <strong>di</strong> un sapere che<br />
Halberstam denota come più in<strong>di</strong>sciplinato e con molte domande. Se il mondo – come<br />
sostiene Očkayová – è ciò che scegliamo <strong>di</strong> scrivere, occorre tracciare sulla sua lavagna<br />
“parole profonde per vivere relazioni profonde”, affinchè il lessico della politica si riempia<br />
<strong>di</strong> luce. Solo così il Me<strong>di</strong>terraneo non si tingerà più <strong>di</strong> ombre, quasi <strong>di</strong>ventando un<br />
“Acheronte <strong>di</strong> sangue” (Fatos Arapi), e le stelle viste dal mare non saranno più semi o<br />
perle <strong>di</strong> pianto per i profughi, perchè insieme a chi sbarca, donne e uomini <strong>di</strong> varia<br />
provenienza, costruiremo una casa comune <strong>di</strong> memorie e <strong>di</strong> progetti, costellata –<br />
pensando all’immagine finale <strong>di</strong> Khaty Demba - <strong>di</strong> tante scale a pioli per infrangere<br />
politicamente i troppi muri che ci soffocano.<br />
Ha senso riproporre questo sogno me<strong>di</strong>terraneo che dagli anni trenta ad oggi<br />
intreccia e stu<strong>di</strong>osi e scrittori? Sarà possibile pervenire ad una visione d’insieme <strong>di</strong> tutti i<br />
popoli che si affacciano sulle sue rive? Nel Mare Nostrum, scrive Braudel, il plurale ha<br />
sempre avuto il sopravvento sul singolare, esistono <strong>di</strong>eci, venti, cento me<strong>di</strong>terranei. Lo<br />
spazio del Me<strong>di</strong>terraneo, che si estende tra Europa, Africa e Asia, è un’interrogazione<br />
perenne: il mare non si cattura né si possiede, è piuttosto un passaggio <strong>di</strong> saggezza, è un<br />
Me<strong>di</strong>terraneo multiplo che, come l’acqua, “libertà fatta elemento”, propone una<br />
mappatura lieve e fluida, ed incrina la rigi<strong>di</strong>tà dei confini e <strong>delle</strong> appartenenze rigide.<br />
Esistono memorie marine (Emma Belhaj Yahia), e storie incrociate nella complessità <strong>di</strong><br />
quella geografia plurale <strong>di</strong> luoghi, culture, corpi, che sembrano tracciare la speranza <strong>di</strong> un<br />
“azzurro fuso” – solcato da uccelli dalle lunghe ali grigie - per una pace, che non sia quella<br />
dei cimiteri.<br />
Riferimenti bibliografici<br />
Ahmed, Sara, Strange Encounters, Embo<strong>di</strong>ed Others in Post-Coloniality, London, Routledge<br />
2000.<br />
Ali Farah,Ubah Cristina, Madre piccola 2007, Milano, Frassinelli 2007.<br />
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