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Rivista della Diocesi 2011 - N. 1 - Webdiocesi

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RIVISTA<br />

DELLA DIOCESI<br />

DI VICENZA<br />

ATTI UFFICIALI E VITA PASTORALE - ANNO CII - N. 1/<strong>2011</strong><br />

Trimestrale - Poste Italiane s.p.a. - Spedizione in Abbonamento Postale - D.L. 353/2003 (conv. in L. 27/02/2004 nº 46) art. 1, comma 1, DCB Vicenza


Ambito vicentino secolo XIX<br />

Ritratto del Vescovo Bartolomeo da Breganze<br />

olio su tela, Seminario Vescovile di Vicenza


<strong>Rivista</strong> <strong>della</strong> <strong>Diocesi</strong> di Vicenza<br />

ATTI UFFICIALI E VITA PASTORALE Anno CII – N. 1 Gennaio-Marzo <strong>2011</strong><br />

SOMMARIO<br />

3<br />

4<br />

6<br />

7<br />

12<br />

12<br />

13<br />

ATTI DEL PAPA (elenco dei documenti)<br />

Angelus<br />

Catechesi settimanali<br />

Discorsi<br />

Lettere<br />

Messaggi<br />

Omelie<br />

15 ATTI DELLA SANTA SEDE (elenco dei documenti)<br />

17 ATTI DELLA CONFERENZA EPISCOPALE ITALIANA (elenco dei documenti)<br />

21<br />

22<br />

24<br />

ATTI DELLA CONFERENZA EPISCOPALE TRIVENETO<br />

Comunicato stampa direttori uffici Migrantes del NordEst e sacerdoti stranieri e<br />

italiani che seguono le comunità straniere di religione cattolica<br />

Riunione <strong>della</strong> Conferenza Episcopale Triveneto del 15 marzo <strong>2011</strong><br />

27<br />

28<br />

VITA DELLA DIOCESI<br />

Provvedimenti dell’Amministratore diocesano<br />

29 Assemblea del clero “C’è Campo?” (II parte, 10 febbraio <strong>2011</strong>)<br />

46 Rendiconto relativo all’erogazione delle somme attribuite alla <strong>Diocesi</strong> dalla Conferenza<br />

Episcopale Italiana ex art. 47 <strong>della</strong> legge 222/1985 (8 per mille) per l’anno 2010<br />

49 Bilancio Caritas<br />

53<br />

67<br />

Insegnanti di religione (elenco anno scolastico 2010-<strong>2011</strong>)<br />

Sacerdoti defunti<br />

71 CONTRIBUTI TEOLOGICO-PASTORALI<br />

72 Memoria di Aquileia. Presentazione del primo Convegno di Aquileia. Intervento di<br />

mons. Giuseppe Dal Ferro alla Consulta Triveneta delle Aggregazioni Laicali – Zelarino<br />

(VE), 30 ottobre 2010<br />

86 Il ruolo dei cattolici nella costruzione dell’Italia unita e <strong>della</strong> sua collocazione in Europa.<br />

Intervento tenuto da Luigi Pizzolato al Convegno socio-politico delle Aggregazioni<br />

Laicali su “I cattolici e l’unità d’Italia nel contesto europeo” – Vicenza, Palazzo delle<br />

Opere sociali, domenica 7 novembre 2010<br />

93 La nuova evangelizzazione. Fede cristiana e relativismo. Prolusione di S. Ecc. mons.<br />

Rino Fisichella, Presidente del Pontificio Consiglio per la Promozione <strong>della</strong> Nuova<br />

Evangelizzazione, alla Scuola di Cultura Cattolica “Mariano Rumor” – Vicenza, Palazzo<br />

delle Opere Sociali, 13 febbraio <strong>2011</strong><br />

103 Il vangelo guida maestra anche per la vita economica: Evangelizzare abitando l’impresa<br />

e la professione con sguardo di Fede. Lezione tenuta dal prof. Angelo Ferro,<br />

Presidente Nazionale UCID (Unione Cristiana Imprenditori Dirigenti), alla Scuola di<br />

Cultura Cattolica “Mariano Rumor” – Vicenza, Palazzo delle Opere Sociali, 27 febbraio<br />

<strong>2011</strong><br />

117 Il contributo <strong>della</strong> scuola alla responsabilità educativa <strong>della</strong> società. Riflessioni di<br />

mons. Roberto Tommasi, sulla scia degli Orientamenti Pastorali CEI 2010-2020, all’Incontro<br />

diocesano dei Dirigenti Scolastici – Villa San Carlo, Costabissara, 31 marzo<br />

<strong>2011</strong><br />

128 Fragilità umana. “Luogo evangelico di prossimità e di speranza”. Ciclo di lezioni tenute<br />

alla “Scuola del lunedì” nei mesi di febbraio-aprile <strong>2011</strong>:<br />

129 L’esperienza del dolore e la preziosa fragilità <strong>della</strong> persona umana (mons. prof.<br />

Roberto Tommasi, docente nello Studio Teologico del Seminario e all’I.S.S.R. di<br />

Vicenza, 7 marzo <strong>2011</strong>)<br />

165 “L’umano soffrire: approccio biblico” (prof. don Aldo Martin, biblista, docente nello<br />

Studio Teologico del Seminario e all’ISSR di Vicenza, 14 marzo <strong>2011</strong>)


COMITATO DI REDAZIONE<br />

Direttore: Mons. Dott. Pierantonio Pio Pavanello<br />

Membri: Mons. Dott. Lodovico Furian<br />

Mons. Flavio Grendele<br />

Mons. Dott. Antonio Marangoni<br />

Mons. Dott. Luigi Mattiello<br />

Mons. Massimo Pozzer<br />

Direzione, Redazione Curia Vescovile – Piazza Duomo, 10<br />

e Amministrazione: 36100 Vicenza<br />

Direttore responsabile: Mons. Dott. Pierantonio Pio Pavanello<br />

Segretaria di redazione: Anna Bernardi<br />

Periodicità: Trimestrale<br />

Autorizzazione del Tribu nale di Vicenza n. 296<br />

Registro Stampa del 16 marzo 1973<br />

Registrato nel registro nazionale <strong>della</strong> stampa quotidiana,<br />

periodica e agenzie di stampa il 12 ottobre 1978, n. 2149<br />

Stampato e distribuito in n. 500 copie.<br />

Stampa: Tipografia Rumor S.r.l. – Vicenza<br />

Contributo annuo: Uffici parrocchiali € 52,00<br />

altri (enti e persone fisiche) € 40,00<br />

Numero separato € 10,00<br />

Annuario € 11,00<br />

Conto corrente postale n. 12235362 intestato a Curia Vescovile, Vicenza<br />

Trimestrale – Poste Italiane s.p.a. – Spedizione in Abbonamento Postale – D.L. 353/2003<br />

(conv. in L. 27/02/2004 nº 46) art. 1, comma 1, DCB Vicenza<br />

In copertina:<br />

Ambito vicentino secolo XIX<br />

Ritratto del Vescovo Bartolomeo da Breganze, olio su tela, Seminario Vescovile di Vicenza<br />

Il ritratto conservato in Seminario presenta il vescovo Bartolomeo da Breganze, una delle<br />

personalità che hanno maggiormente influenzato la vita <strong>della</strong> Chiesa e <strong>della</strong> città di Vicenza.<br />

Frate domenicano, nel 1252 viene nominato vescovo di Limassol a Cipro, dove conoscerà,<br />

diventandone amico, il re di Francia san Luigi IX. Proprio dal re riceverà in dono, nel 1259,<br />

due reliquie che porterà con sé a Vicenza quando potrà entrarvi come vescovo: una spina<br />

<strong>della</strong> Corona di Cristo e un frammento <strong>della</strong> Vera Croce. Per conservare la reliquia <strong>della</strong><br />

spina, Bartolomeo farà costruire una delle chiese più importanti e preziose <strong>della</strong> città, ornata<br />

durante i secoli da opere meravigliose: Santa Corona.<br />

Il ritratto presenta Bartolomeo, con i simboli <strong>della</strong> dignità vescovile (mitra, pastorale, croce<br />

pettorale, anello e stemma) e l’abito domenicano, chino a venerare la Corona di Cristo che<br />

regge fra le mani, estratta da un prezioso reliquiario. Lo sguardo pensoso e assorto e la delicatezza<br />

delle mani, danno al dipinto un’atmosfera silente e carica di fede. La magnificenza<br />

dei paramenti svanisce di fronte alla reliquia, che è la realtà più sacra e preziosa rappresentata<br />

nell’opera.<br />

Si ringrazia L’Ufficio diocesano per i Beni culturali - Centro documentazione e catalogo<br />

Beni culturali ecclesiastici per aver concesso la pubblicazione dell’immagine.<br />

I numeri dell’annata <strong>2011</strong> <strong>della</strong> <strong>Rivista</strong> <strong>della</strong> <strong>Diocesi</strong> riportano in copertina le riproduzioni<br />

di alcuni ritratti di Vescovi illustri <strong>della</strong> <strong>Diocesi</strong> di Vicenza.


ATTI DEL PAPA


ANGELUS<br />

Durante la preghiera mariana del primo gennaio <strong>2011</strong> il Papa ha invitato<br />

ad abbandonare atteggiamenti che confinano la religione nella sfera privata<br />

ed ha affermato che la libertà religiosa è la via privilegiata <strong>della</strong> pace, in<br />

L’Osservatore Romano, 3-4 gennaio <strong>2011</strong>, p. 8.<br />

Il Papa ha definito un “vile gesto di morte”, sia l’attentato contro i cristiani<br />

copti ad Alessandria d’Egitto, sia le violenze compiute contro i cristiani<br />

in Iraq (2 gennaio <strong>2011</strong>), in L’Osservatore Romano, 3-4 gennaio <strong>2011</strong>, p. 1.<br />

La Chiesa – ha detto il Papa – vuole suscitare nel cuore di tutti gli uomini<br />

la domanda sulla identità di Gesù e i cristiani sono chiamati a imitare<br />

il servizio che fece la stella per i Magi (6 gennaio <strong>2011</strong>), in L’Osservatore<br />

Romano, 7-8 gennaio <strong>2011</strong>, p. 7.<br />

Il Papa ha anzitutto avuto un pensiero per la popolazione di Haiti<br />

nell’anniversario del terremoto ed ha poi ricordato che il nome cristiano,<br />

dato ai piccoli battezzati, è il “segno inconfondibile” che lo Spirito Santo<br />

fa nascere “di nuovo” l’uomo nel grembo <strong>della</strong> Chiesa (9 gennaio <strong>2011</strong>), in<br />

L’Osservatore Romano, 10-11 gennaio <strong>2011</strong>, p. 6.<br />

Alla preghiera dell’Angelus il Papa ha avuto un pensiero per i migranti<br />

e i rifugiati nella ricorrenza <strong>della</strong> loro Giornata mondiale nonché per l’unità<br />

dei cristiani nell’imminenza <strong>della</strong> settimana di preghiera per tale scopo (16<br />

gennaio <strong>2011</strong>), in L’Osservatore Romano, 17-18 gennaio <strong>2011</strong>, p. 8.<br />

Parlando <strong>della</strong> settimana di preghiera per l’unità dei cristiani il Papa ha<br />

affermato che “ogni divisione nella Chiesa è un’offesa a Cristo” (23 gennaio<br />

<strong>2011</strong>), in L’Osservatore Romano, 24-25 gennaio <strong>2011</strong>, p. 10.<br />

Le beatitudini lette nel vangelo <strong>della</strong> domenica non sono – ha detto il<br />

Papa – “una nuova ideologia, ma un nuovo programma di vita per liberarsi<br />

dai falsi valori del mondo e aprirsi ai veri beni, presenti e futuri” (30 gennaio<br />

<strong>2011</strong>), in L’Osservatore Romano, 31 gennaio-1 febbraio <strong>2011</strong>, p. 1.<br />

Prendendo spunto dal vangelo <strong>della</strong> domenica il Papa ha ricordato che<br />

Gesù “riempie” i comandamenti con l’amore di Dio, con la forza dello Spi-<br />

4<br />

NOTA: i testi citati sono reperibili su internet consultando il sito www.vatican.va


ito Santo che abita in Lui e che rende anche noi capaci di vivere l’amore<br />

divino, un amore che va oltre la giustizia degli uomini (15 febbraio <strong>2011</strong>) in<br />

L’Osservatore Romano, 14-15 febbraio <strong>2011</strong>, p. 1.<br />

Ha detto il Papa: solo chi accoglie lo Spirito Santo nella propria vita e<br />

si lascia trasformare dal suo amore può offrire agli altri una testimonianza<br />

cristiana “chiara, eloquente ed efficace” culminante nel perdono dei nemici<br />

(20 febbraio <strong>2011</strong>), in L’Osservatore Romano, 21-22 febbraio <strong>2011</strong>, p. 1.<br />

Commentando la parola di Dio <strong>della</strong> domenica il Papa ha ricordato che<br />

la fede “non dispensa dalla faticosa lotta per una vita dignitosa, ma libera<br />

dall’affanno per le cose e libera dalla paura del domani”: non si può servire<br />

Dio e la ricchezza (27 febbraio <strong>2011</strong>), in L’Osservatore Romano, 28 febbraio-1<br />

marzo <strong>2011</strong>, p. 8.<br />

Commentando il vangelo domenicale il Papa ha detto che Cristo è la roccia<br />

su cui costruire la vita guardandoci dall’illusione di edificare l’esistenza<br />

sulle sabbie delle ideologie e del potere; ha anche ricordato il sacrificio del<br />

ministro pakistano Bhatti e la crisi umanitaria in Libia (6 marzo <strong>2011</strong>), in<br />

l’Osservatore Romano, 7-8 marzo <strong>2011</strong>, p. 8.<br />

Dio, essendo amore, giustizia e fedeltà, non tollera il male: non vuole<br />

la morte del peccatore, ma che si converta e viva: lo ha detto il Papa nella<br />

prima domenica di Quaresima; ha anche espresso la sua “vicinanza spirituale”<br />

alle popolazioni del Giappone colpite dal terremoto e dallo tsunami (13<br />

marzo <strong>2011</strong>), in L’Osservatore Romano, 14-15 marzo <strong>2011</strong>, p. 8.<br />

Dopo il commento del vangelo <strong>della</strong> Trasfigurazione il Papa ha manifestato<br />

“viva trepidazione” per la drammatica escalation militare in Libia ed<br />

ha chiesto che siano garantiti l’incolumità dei cittadini e l’accesso ai soccorsi<br />

umanitari (20 marzo <strong>2011</strong>), in L’Osservatore Romano, 21-22 marzo <strong>2011</strong>,<br />

pp. 1 e 8.<br />

Con riferimento al dialogo di Gesù con la samaritana il Papa ha affermato<br />

che l’amore di Dio “rispetta sempre la libertà dell’uomo”. Benedetto<br />

XVI ha anche lanciato un appello “per l’immediato avvio di un dialogo che<br />

sospenda in Libia l’uso delle armi” (27 marzo <strong>2011</strong>), in L’Osservatore Romano,<br />

28-29 marzo <strong>2011</strong>, p. 8.<br />

5


CATECHESI SETTIMANALI<br />

Parlando dell’Incarnazione nei sermoni di Leone Magno il Papa ha<br />

invitato a riscattare “il tempo natalizio da un rivestimento troppo moralistico<br />

e sentimentale” (5 gennaio <strong>2011</strong>), in L’Osservatore Romano, 6 gennaio<br />

<strong>2011</strong>, pp. 7-8.<br />

Il Papa, dedicando la sua riflessione a santa Caterina da Genova, ha<br />

affermato: “C’è un filo d’oro che collega il cuore umano con Dio stesso” ed<br />

ha aggiunto che quanto più amiamo Dio, tanto più amiamo gli altri (12 gennaio<br />

<strong>2011</strong>), in L’Osservatore Romano, 13 gennaio <strong>2011</strong>, pp. 7-8.<br />

All’udienza generale il Papa ha parlato <strong>della</strong> settimana di preghiera per<br />

l’unità dei cristiani. Nella comunità cristiana – ha egli detto – “la comunione<br />

con Dio, realizzata come comunione fraterna, si esprime in concreto nell’impegno<br />

sociale, nella carità cristiana, nella giustizia” (19 gennaio <strong>2011</strong>), in<br />

l’Osservatore Romano, 20 gennaio <strong>2011</strong>, p. 8.<br />

Il Papa ha dedicato la catechesi alla santa francese Giovanna d’Arco,<br />

morta sul rogo a soli 19 anni, ed ha ravvisato nel “legame tra esperienza<br />

mistica e missione politica” uno degli aspetti più significativi <strong>della</strong> sua santità,<br />

da proporsi quindi come esempio “per i laici impegnati nella vita politica”<br />

(26 gennaio <strong>2011</strong>), in L’Osservatore Romano, 27 gennaio <strong>2011</strong>, p. 8.<br />

Il Papa ha parlato di santa Teresa d’Avila, riformatrice dell’Ordine<br />

Carmelitano. Ha definito la santa vera maestra di vita cristiana per i fedeli<br />

di ogni tempo. Pregare – ha spiegato Benedetto XVI – è scoprire l’essenza<br />

<strong>della</strong> nostra vita, cioè l’amore di Dio (2 febbraio <strong>2011</strong>), in L’Osservatore<br />

Romano, 3 febbraio <strong>2011</strong>, p. 8.<br />

Il Papa si è soffermato sulla figura di san Pietro Canisio, teologo<br />

olandese del Cinquecento, il cui insegnamento ha formato generazioni di<br />

cristiani. Benedetto XVI ha ricordato che catechisti e predicatori devono,<br />

sull’esempio di san Canisio, saper armonizzare “fedeltà ai principi dogmatici<br />

e rispetto ad ogni persona” (9 febbraio <strong>2011</strong>), in L’Osservatore Romano,<br />

10 febbraio <strong>2011</strong>, p. 7.<br />

Il Papa ha presentato san Giovanni <strong>della</strong> Croce, grande riformatore<br />

dell’Ordine Carmelitano, la cui dottrina mistica descrive il cammino verso<br />

la santità a cui sono chiamati tutti i cristiani: l’amore di Cristo – ha detto<br />

6


Benedetto XVI – “dà le ali all’uomo” (16 febbraio <strong>2011</strong>), in L’Osservatore<br />

Romano, 17 febbraio <strong>2011</strong>, pp. 1 e 7.<br />

Il Papa ha dedicato la riflessione alla figura di san Roberto Bellarmino,<br />

teologo <strong>della</strong> fine del Cinquecento. Alla luce dell’insegnamento del santo<br />

dottore Benedetto XVI ha detto che non ci può essere vera riforma nella<br />

Chiesa se prima non c’è la conversione del nostro cuore (23 febbraio <strong>2011</strong>),<br />

in L’Osservatore Romano, 24 febbraio <strong>2011</strong>, p. 8.<br />

Il Papa ha presentato la figura di san Francesco di Sales “testimone<br />

esemplare dell’umanesimo cristiano”. Attualizzando l’insegnamento del<br />

santo dottore Benedetto XVI ha ricordato che “lo spirito di libertà”, quella<br />

vera, esclude ogni forma di violenza (2 marzo <strong>2011</strong>), in L’Osservatore Romano,<br />

3 marzo <strong>2011</strong>, p. 8.<br />

Tema <strong>della</strong> riflessione del Papa è stata la Quaresima, un cammino da<br />

percorrere con Cristo per giungere con Lui alla gioia <strong>della</strong> risurrezione.<br />

Benedetto XVI ha riproposto in particolare le due pratiche quaresimali del<br />

digiuno e dell’elemosina definite da sant’Agostino “le due ali <strong>della</strong> preghiera”<br />

(9 marzo <strong>2011</strong>), in L’Osservatore Romano, 10 marzo <strong>2011</strong>, p. 7.<br />

Prendendo spunto dalla figura di san Lorenzo da Brindisi vissuto tra il<br />

Cinquecento e il Seicento e distintosi “per dirimere controversie e favorire<br />

la concordia fra gli stati europei”, il Papa ha affermato che “oggi il mondo<br />

ha tanto bisogno di pace, ha bisogno di uomini e donne pacifici e pacificatori”<br />

(23 marzo <strong>2011</strong>), in L’Osservatore Romano, 24 marzo <strong>2011</strong>, p. 8.<br />

Presentando la figura di sant’Alfonso Maria de’ Liguori il Papa lo ha<br />

indicato modello di mitezza cristiana e di azione missionaria. Benedetto<br />

XVI ha anche lanciato un appello per la pace in Costa d’Avorio insanguinata<br />

dalla guerra civile (30 marzo <strong>2011</strong>), in L’Osservatore Romano, 31 marzo<br />

<strong>2011</strong>, p. 8.<br />

DISCORSI<br />

Al termine <strong>della</strong> visita ai piccoli degenti nel reparto pediatrico del<br />

policlinico Gemelli il Papa ha ricordato che in ogni bambino dobbiamo<br />

riscoprire il volto di Dio (5 gennaio <strong>2011</strong>), in L’Osservatore Romano, 7-8<br />

gennaio <strong>2011</strong>, p. 7.<br />

7


Nel discorso al Corpo Diplomatico ricevuto per lo scambio di auguri del<br />

nuovo anno il Papa ha ribadito che la libertà religiosa è “il primo dei diritti<br />

umani”; ha denunciato le violenze contro i cristiani ed ha invocato misure<br />

efficaci per la protezione delle minoranze (10 gennaio <strong>2011</strong>), in L’Osservatore<br />

Romano, 10-11 gennaio <strong>2011</strong>, p. 8.<br />

Durante l’udienza agli amministratori <strong>della</strong> regione Lazio e del comune<br />

e provincia di Roma il Papa li ha invitati ad attuare politiche concrete di<br />

sostegno alla famiglia, alla maternità e al lavoro (14 gennaio <strong>2011</strong>), in L’Osservatore<br />

Romano, 15 gennaio <strong>2011</strong>, p. 7.<br />

Nell’udienza ad una delegazione <strong>della</strong> Finlandia, in occasione <strong>della</strong><br />

festa di sant’Enrico, il Papa ha detto: “Il vostro tradizionale pellegrinaggio<br />

attesta i rapporti collaborativi instaurati fra luterani e cattolici e fra tutti i<br />

cristiani del vostro Paese” (15 gennaio <strong>2011</strong>), in L’Osservatore Romano, 16<br />

gennaio <strong>2011</strong>, p. 7.<br />

Ricevendo gli agenti dell’Ispettorato di Pubblica sicurezza presso<br />

il Vaticano il Papa ha espresso apprezzamento per l’impegno di quanti<br />

“garantiscono la sicurezza e si pongono al servizio dei pellegrini” (15 gennaio<br />

<strong>2011</strong>), in L’Osservatore Romano, 16 gennaio <strong>2011</strong>, p. 7.<br />

Nell’udienza ai membri del Cammino Neocatecumenale il Papa ha affermato<br />

che l’annuncio del vangelo è “un impegno di tutti i cristiani, come conseguenza<br />

del battesimo” (17 gennaio <strong>2011</strong>), in L’Osservatore Romano, 17-18<br />

gennaio <strong>2011</strong>, p. 8.<br />

Durante l’udienza ai dirigenti e agenti <strong>della</strong> questura di Roma il Papa<br />

ha affermato: “Le nuove sfide che si affacciano all’orizzonte esigono che le<br />

istituzioni pubbliche ritrovino le loro radici spirituali e morali per dare consistenza<br />

ai valori etici e giuridici di riferimento e quindi all’azione pratica”<br />

(20 gennaio <strong>2011</strong>), in L’Osservatore Romano, 22 gennaio <strong>2011</strong>, p. 1.<br />

Nell’udienza alla Rota Romana per l’inaugurazione dell’anno giudiziario<br />

il Papa ha richiamato l’attenzione sulla dimensione giudiziale insita all’attività<br />

pastorale di preparazione e ammissione al matrimonio; ha in particolare<br />

date indicazioni su come prevenire le nullità matrimoniali (22 gennaio<br />

<strong>2011</strong>), in L’Osservatore Romano, 23 gennaio <strong>2011</strong>, pp. 1 e 8.<br />

8<br />

Ricevendo una delegazione <strong>della</strong> Chiesa unita evangelica luterana di


Germania il Papa ha auspicato una testimonianza comune sui temi riguardanti<br />

la vita dell’uomo, la famiglia e il matrimonio (24 gennaio <strong>2011</strong>), in l’Osservatore<br />

Romano, 24-25 gennaio <strong>2011</strong>, p. 10.<br />

Concludendo la settimana di preghiera per l’unità dei cristiani il Papa<br />

ha affermato che il cammino verso l’unità è “un imperativo morale” e per<br />

questo occorre vincere la tentazione del pessimismo, fidando sulla potenza<br />

dello Spirito Santo (25 gennaio <strong>2011</strong>), in L’Osservatore Romano, 27<br />

gennaio <strong>2011</strong>, p. 7.<br />

Durante l’incontro con la Commissione mista per il dialogo tra Chiesa<br />

cattolica e Chiese ortodosse il Papa ha espresso preoccupazione per le<br />

prove dei fedeli in diverse regioni ed ha invitato a proseguire in modo deciso<br />

il cammino verso la piena comunione (28 gennaio <strong>2011</strong>), in L’Osservatore<br />

Romano, 29 gennaio <strong>2011</strong>, p. 1.<br />

Nell’udienza al Pontificio Collegio Etiopico in Vaticano il Papa, prendendo<br />

spunto dall’esemplarità di san Giustino de Jacobis, patrono del<br />

Collegio, ha proposto la santità dei sacerdoti come segno di speranza per<br />

la Chiesa e per il mondo (29 gennaio <strong>2011</strong>), in L’Osservatore Romano, 30<br />

gennaio <strong>2011</strong>, p. 8.<br />

Ricevendo il nuovo Ambasciatore d’Austria il Papa ha detto che l’edificazione<br />

dell’Europa può sortire buon esito solo nella consapevolezza delle<br />

proprie fondamenta cristiane destinate a fermentare anche in futuro la<br />

civiltà europea (3 febbraio <strong>2011</strong>), in L’Osservatore Romano, 4 febbraio<br />

<strong>2011</strong>, p. 2.<br />

Ai membri <strong>della</strong> comunità dell’Emmanuel ricevuti in udienza il Papa ha<br />

ricordato che “una vita autenticamente eucaristica è una vita missionaria”<br />

(3 febbraio <strong>2011</strong>), in L’Osservatore Romano, 4 febbraio <strong>2011</strong>, p. 7.<br />

“Nel discorso alla plenaria del Supremo Tribunale <strong>della</strong> Segnatura Apostolica,<br />

la cui funzione riguarda anche la vigilanza sulla retta amministrazione<br />

<strong>della</strong> giustizia nel “Corpus Ecclesiae”, il Papa ha ricordato che l’amministrazione<br />

<strong>della</strong> giustizia nella Chiesa ha queste caratteristiche: “essere<br />

retta, pronta ed efficiente” (4 febbraio <strong>2011</strong>), in L’Osservatore Romano, 5<br />

febbraio <strong>2011</strong>, p. 8.<br />

Durante l’udienza alla Fraternità sacerdotale dei missionari di san Carlo<br />

9


Borromeo il Papa ha ricordato che il sacerdozio cristiano è stato voluto da<br />

Gesù in funzione <strong>della</strong> vita <strong>della</strong> Chiesa ed ha precisato: “Occorre stare con<br />

Gesù per poter stare con gli altri: è questo il cuore <strong>della</strong> missione” (12 febbraio<br />

<strong>2011</strong>), in L’Osservatore Romano, 13 febbraio <strong>2011</strong>, p. 8.<br />

Ad un gruppo di vescovi delle Filippine in visita “ad limina” il Papa ha<br />

ricordato che, separando autosufficienza e libertà “dalla loro dipendenza da<br />

Dio, si crea per l’uomo un falso destino e si perde di vista la gioia eterna per<br />

la quale, invece, egli è creato” (18 febbraio <strong>2011</strong>), in L’Osservatore Romano,<br />

19 febbraio <strong>2011</strong>, p. 8.<br />

Durante l’udienza alla comunità del Pontificio Collegio Filippino il Papa<br />

ha espresso l’augurio che vengano formati sacerdoti coraggiosi e preparati,<br />

capaci di affrontare qualsiasi cosa il futuro riservi loro (19 febbraio <strong>2011</strong>), in<br />

L’Osservatore Romano, 20 febbraio <strong>2011</strong>, p. 7.<br />

Nel discorso alla Pontificia Accademia per la Vita il Papa ha affermato<br />

che l’aborto volontario non è la soluzione a difficoltà familiari, economiche,<br />

sociali, o a problemi di salute del bambino, ma un dramma per la donna e<br />

una “ferita gravissima alla coscienza morale” (26 febbraio <strong>2011</strong>), in L’Osservatore<br />

Romano, 27 febbraio <strong>2011</strong>, p. 7.<br />

Ricevendo il Pontificio Consiglio delle Comunicazioni Sociali il Papa ha<br />

affermato che la Chiesa deve essere in grado di capire, interpretare e parlare<br />

i nuovi linguaggi digitali per parlare di Dio all’uomo contemporaneo (28<br />

febbraio <strong>2011</strong>), in L’Osservatore Romano, 28 febbraio-1 marzo <strong>2011</strong>, p. 8.<br />

Durante l’udienza ad un gruppo di vescovi filippini in visita “ad limina” il<br />

Papa ha affermato che nel dialogo con le altre religioni la Chiesa “opera per<br />

la comprensione reciproca e per il progresso comune dell’umanità” (3 marzo<br />

<strong>2011</strong>), in L’Osservatore Romano, 4 marzo <strong>2011</strong>, p. 8.<br />

La vocazione cristiana – ha detto il Papa nell’incontro col Pontificio Seminario<br />

Romano Maggiore – è una “chiamata personale”, ma ha anche una<br />

“dimensione ecclesiale” ed ha aggiunto che l’amore cristiano è “un vincolo<br />

che libera” (4 marzo <strong>2011</strong>), in L’Osservatore Romano, 6 marzo <strong>2011</strong>, p. 8.<br />

Durante l’incontro con i parroci di Roma il Papa ha ricordato che la<br />

vera umiltà non è “apparire davanti agli uomini, ma stare sotto lo sguardo<br />

di Dio, lavorare per Lui e così realmente servire anche tutti gli uomini”<br />

10


(10 marzo <strong>2011</strong>), in L’Osservatore Romano, 12 marzo <strong>2011</strong>, pp. 4-5.<br />

Ricevendo i membri <strong>della</strong> “Pro Petri Sede” il Papa ha sottolineato la<br />

nostra responsabilità nei confronti dei poveri ed ha detto che l’offerta<br />

<strong>della</strong> benemerita associazione sarà destinata alla popolazione di Haiti colpita<br />

un anno fa dal terremoto (11 marzo <strong>2011</strong>), in L’Osservatore Romano,<br />

12 marzo <strong>2011</strong>, p. 8.<br />

Durante l’incontro con l’Associazione nazionale comuni italiani il Papa<br />

ha affermato che la “variegata molteplicità di città e paesi non è in contraddizione<br />

con l’unità <strong>della</strong> nazione”; ha anche lanciato un appello perché gli<br />

amministratori locali sappiano “coniugare solidarietà e rispetto delle leggi”<br />

nell’accoglienza degli immigrati (12 marzo <strong>2011</strong>), in L’Osservatore Romano,<br />

13 marzo <strong>2011</strong>, p. 7.<br />

A conclusione degli esercizi spirituali in Vaticano il Papa ha detto: “La<br />

ragione grande e il grande amore vanno insieme, anzi, il grande amore vede<br />

più <strong>della</strong> ragione sola” (19 marzo <strong>2011</strong>), in l’Osservatore Romano, 21-22<br />

marzo <strong>2011</strong>, p. 8.<br />

Ricevendo i vescovi siro-malankaresi in visita “ad limina” il Papa ha<br />

affermato: “Per le sue radici antiche e per la sua storia particolare il cristianesimo<br />

in India apporta da tempo il suo contributo alla cultura e alle<br />

espressioni religiose e spirituali del Paese” (25 marzo <strong>2011</strong>), in L’Osservatore<br />

Romano, 26 marzo <strong>2011</strong>, p. 8.<br />

Nell’udienza ai partecipanti al corso sul foro interno promosso dalla<br />

Penitenzieria Apostolica il Papa ha detto: “L’ultima parola sul male dell’uomo<br />

e <strong>della</strong> storia è di Dio e <strong>della</strong> sua misericordia, capace di far nuove tutte<br />

le cose” (25 marzo <strong>2011</strong>), in L’Osservatore Romano, 26 marzo <strong>2011</strong>, p. 7.<br />

Durante l’udienza ai fedeli delle diocesi di Terni-Narni-Amelia il Papa<br />

ha affermato: “La Chiesa sostiene e conforta ogni sforzo diretto a garantire<br />

a tutti un lavoro sicuro, dignitoso e stabile” (26 marzo <strong>2011</strong>), in L’Osservatore<br />

Romano, 27 marzo <strong>2011</strong>, p. 7.<br />

Durante la visita al sacrario delle Fosse Ardeatine di Roma il Papa ha<br />

detto che è possibile “un futuro diverso, libero dall’odio e dalla vendetta, un<br />

futuro di libertà e di fraternità” (27 marzo <strong>2011</strong>), in L’Osservatore Romano,<br />

28-29 marzo <strong>2011</strong>, p. 8.<br />

11


LETTERE<br />

A CONCLUSIONE DELL’ANNO SANTO COMPOSTELANO. L’anno compostelano<br />

– scrive il Papa nel Documento – rappresenta un invito a rafforzare<br />

le radici cristiane dell’Europa e a intensificare la solidarietà (18 dicembre<br />

2010), in L’Osservatore Romano, 1 gennaio <strong>2011</strong>, p. 8.<br />

AL PATRIARCA DI ANTIOCHIA DEI MARONITI. Nel giorno in cui il cardinale<br />

Sfeir ha rinunciato all’ufficio di Patriarca di Antiochia dei Maroniti il<br />

Papa gli ha inviato una lettera nella quale lo ringrazia per la sua decisione,<br />

espressione di grande umiltà, e ne ricorda il lungo e generoso ministero<br />

svolto a favore <strong>della</strong> Chiesa e <strong>della</strong> pace (26 febbraio <strong>2011</strong>), in L’Osservatore<br />

Romano, 27 febbraio <strong>2011</strong>, p. 7.<br />

MESSAGGI<br />

Nel messaggio per la Giornata delle Comunicazioni Sociali (6 giugno<br />

<strong>2011</strong>) il Papa esprime l’invito alla coerenza con lo stile cristiano da mantenere<br />

e testimoniare nell’era del digitale (24 gennaio <strong>2011</strong>), in L’Osservatore<br />

Romano, 24-25 giugno <strong>2011</strong>, p. 11.<br />

Il compito missionario <strong>della</strong> Chiesa “non ha perso la sua urgenza” in un<br />

mondo globalizzato dove interi popoli non conoscono l’annuncio di Cristo e<br />

molte persone lo hanno dimenticato o abbandonato. Lo scrive il Papa nel<br />

messaggio per la Giornata missionaria mondiale che si celebrerà il prossimo<br />

23 ottobre (6 gennaio <strong>2011</strong>), in L’Osservatore Romano, 26 gennaio <strong>2011</strong>, p. 8.<br />

Nel messaggio al secondo congresso latino-americano il Papa scrive:<br />

“La vocazione non è frutto di un progetto umano. Nella sua realtà più profonda<br />

è un dono di Dio” (24 gennaio <strong>2011</strong>), in L’Osservatore Romano, 2 febbraio<br />

<strong>2011</strong>, p. 8.<br />

Nel messaggio per la prossima Giornata mondiale di preghiera per<br />

le vocazioni il Papa chiede alle chiese locali un maggior impegno “a livello<br />

familiare, parrocchiale, associativo” a sostegno di quanti mostrano<br />

segni <strong>della</strong> chiamata alla vita consacrata, specialmente in questo tempo<br />

nel quale la voce del Signore sembra soffocata “da altre voci” e quindi<br />

di difficile accoglienza (15 novembre 2010), in l’Osservatore Romano, 11<br />

febbraio <strong>2011</strong>, p. 8.<br />

12


Nel messaggio per la Quaresima il Papa invita a “superare l’egoismo<br />

per vivere nella logica del dono e dell’amore”, e mette in guardia dalla “bramosia<br />

di possesso che provoca violenza, prevaricazione e morte”, ed esorta<br />

a riscoprire le tradizionali pratiche del digiuno, dell’elemosina e <strong>della</strong> preghiera<br />

(4 novembre 2010), in L’Osservatore Romano, 23 febbraio <strong>2011</strong>, p. 7.<br />

Nel messaggio per la campagna di fraternità in Brasile il Papa scrive<br />

che la difesa delle creature esige un senso pieno <strong>della</strong> vita; in caso contrario<br />

l’uomo è portato a disprezzare se stesso e a non aver rispetto per l’ambiente<br />

in cui vive (16 febbraio <strong>2011</strong>), in L’Osservatore Romano, 10 marzo <strong>2011</strong>, p. 7.<br />

Nel messaggio per il centocinquantesimo anniversario dell’unificazione<br />

politica dell’Italia il Papa scrive: “l’unità d’Italia non è una artificiosa<br />

costruzione politica di identità diverse, ma il naturale sbocco politico di una<br />

identità nazionale forte e sostenuta, sussistente nel tempo” (17 marzo <strong>2011</strong>),<br />

in L’Osservatore Romano, 17 marzo <strong>2011</strong>, p. 8.<br />

In occasione dell’inaugurazione del “Cortile dei Gentili”, struttura permanente<br />

sul sagrato di Notre-Dame de Paris, il Papa, nel messaggio specialmente<br />

ai giovani, auspica lo sviluppo di ampi spazi di dialogo e di fraternità<br />

tra credenti e non credenti (25 marzo <strong>2011</strong>), in L’Osservatore Romano,<br />

27 marzo <strong>2011</strong>, p. 8.<br />

Nel messaggio per l’incontro delle Commissioni episcopali di famiglia<br />

e vita dell’America Latina il Papa scrive che le famiglie troveranno nell’incontro<br />

con Cristo la forza per rispondere alle sfide poste dai cambiamenti<br />

culturali e dai programmi educativi che banalizzano la sessualità (28 marzo<br />

<strong>2011</strong>), in L’Osservatore Romano, 30 marzo <strong>2011</strong>, p. 8.<br />

OMELIE<br />

Nei primi vespri <strong>della</strong> solennità <strong>della</strong> Madre di Dio e in concomitanza<br />

con la fine dell’anno civile il Papa ha invitato la comunità ecclesiale di Roma<br />

ad una testimonianza di solidarietà verso quanti vivono in condizioni di disagio<br />

(31 dicembre 2010), in L’Osservatore Romano, 3-4 gennaio <strong>2011</strong>, p. 6.<br />

Nella messa dell’uno gennaio <strong>2011</strong> il Papa ha ricordato che il mondo ha<br />

bisogno di Dio ed ha invitato a non rassegnarsi all’egoismo e alla violenza,<br />

in L’Osservatore Romano, 3-4 gennaio <strong>2011</strong>, p. 7.<br />

13


Nella solennità dell’Epifania il Papa, riproponendo i segni e il senso del<br />

cammino dei Magi, ha invitato a scoprire la “firma” che Dio ha posto nella<br />

creazione, in L’Osservatore Romano, 7-8 gennaio <strong>2011</strong>, p. 8.<br />

Nella festa <strong>della</strong> Presentazione di Gesù al tempio il Papa ha ricordato<br />

che le religiose e i religiosi sono chiamati a riprodurre nella Chiesa e nel<br />

mondo i tratti caratteristici di Gesù, vergine, povero ed obbediente (2 febbraio<br />

<strong>2011</strong>), in L’Osservatore Romano, 4 febbraio <strong>2011</strong>, p. 8.<br />

Nell’omelia <strong>della</strong> messa per l’ordinazione episcopale di cinque arcivescovi<br />

il Papa ha definito la missione dei vescovi essere “operai nelle messi <strong>della</strong><br />

storia” per aprire a Dio le porte del mondo ed ha descritto il loro magistero<br />

una partecipazione al dono dello Spirito Santo dato a Cristo in quanto Messia”<br />

(5 febbraio <strong>2011</strong>), in L’Osservatore Romano, 6 febbraio <strong>2011</strong>, p. 7.<br />

Durante la celebrazione del mercoledì delle Ceneri il Papa ha detto: “Il<br />

nostro mondo ha bisogno di essere convertito da Dio, ha bisogno del suo<br />

perdono, ha bisogno di un cuore nuovo” (9 marzo <strong>2011</strong>), in L’Osservatore<br />

Romano, 11 marzo <strong>2011</strong>, p. 8.<br />

Durante la messa per la dedicazione <strong>della</strong> chiesa <strong>della</strong> parrocchia<br />

romana nel quartiere dell’Infernetto il Papa ha sottolineato la universalità<br />

e l’unità <strong>della</strong> Chiesa secondo il messaggio di san Corbiniano a cui la<br />

nuova chiesa è intitolata (20 marzo <strong>2011</strong>), in L’Osservatore Romano, 21-22<br />

marzo <strong>2011</strong>, p. 7.<br />

14


ATTI DELLA<br />

SANTA SEDE


CONGREGAZIONE PER IL CLERO. Nel messaggio ai sacerdoti per la Quaresima<br />

il Prefetto <strong>della</strong> Congregazione, cardinale Mauro Piacenza, ricorda<br />

che il sacerdote deve essere “traccia di vangelo vivente che tutti possono<br />

leggere ed accogliere”. Per ottenere ciò è necessario che egli viva fino in<br />

fondo la conversione, adeguando la propria vita alla predicazione quotidianamente<br />

offerta ai fedeli, in Avvenire, 9 marzo <strong>2011</strong>, p. 19.<br />

PONTIFICIO CONSIGLIO PER IL DIALOGO INTERRELIGIOSO. In occasione<br />

<strong>della</strong> festa del Vesakh-Hanamatsuri è stato rivolto ai buddisti un messaggio<br />

nel quale viene sviluppato il tema: “Cercando la verità in libertà: cristiani e<br />

buddisti vivono in pace”. L’impegno a cercare la verità è condizione necessaria<br />

per perseguire una pace autentica ed offre ai seguaci delle diverse religioni<br />

un’opportunità di incontro e di crescita nel reciproco apprezzamento<br />

per i doni di ciascuno, in L’Osservatore Romano, 1 aprile <strong>2011</strong>, p. 8.<br />

16<br />

NOTA: i testi citati sono reperibili su internet consultando il sito www.vatican.va


ATTI DELLA<br />

CONFERENZA<br />

EPISCOPALE ITALIANA


COMMISSIONE EPISCOPALE PER IL CLERO E LA VITA CONSACRATA. Messaggio<br />

in vista <strong>della</strong> celebrazione <strong>della</strong> Giornata mondiale <strong>della</strong> vita consacrata<br />

del <strong>2011</strong>. È stato diffuso un messaggio che ha per titolo: “Testimoni<br />

<strong>della</strong> vita buona del vangelo” con evidente riferimento a quanti fanno <strong>della</strong><br />

propria vita un dono a Dio e ai fratelli, in Avvenire, 19 gennaio <strong>2011</strong>, p. 18.<br />

CONSIGLIO PERMANENTE CEI. Apertura <strong>della</strong> sessione invernale del<br />

Consiglio Permanente. Il presidente, cardinale Angelo Bagnasco, ha richiamato<br />

la necessità di chiarezza sul caso che coinvolge il premier e che sgomenta<br />

il Paese; ha inoltre sottolineata l’urgenza <strong>della</strong> questione giovanile,<br />

<strong>della</strong> giustizia fiscale e dell’impegno educativo contro il deserto dei valori, in<br />

Avvenire, 25 gennaio <strong>2011</strong>, pp. 6-8.<br />

CONSIGLIO PERMANENTE CEI. Comunicato conclusivo dei lavori <strong>della</strong><br />

sessione invernale. Tra i temi trattati: riflessione sui problemi attuali del<br />

Paese; ampio spazio alla formazione dei Seminari; l’impegno educativo,<br />

collegato alle attese dei giovani di oggi; la generazione alla fede: argomento<br />

principale <strong>della</strong> prossima Assemblea generale; pubblicazione del documento<br />

conclusivo <strong>della</strong> settimana sociale dei cattolici italiani, in Avvenire, 29 gennaio<br />

<strong>2011</strong>, p. 20.<br />

CONSIGLIO PERMANENTE CEI. Messaggio in vista del congresso eucaristico<br />

nazionale. I vescovi invitano le comunità cristiane a riscoprire la<br />

centralità dell’Eucaristia: “l’uomo – essi scrivono – è desideroso di vita<br />

piena. Aiutiamolo a scorgere in Gesù, Parola e Pane per la vita quotidiana,<br />

la risposta vera”, in Avvenire, 8 febbraio <strong>2011</strong>, p. 19.<br />

CONSIGLIO PERMANENTE CEI. Apertura dei lavori <strong>della</strong> sessione primaverile.<br />

Il cardinale presidente ha svolto alcune riflessioni in occasione dei<br />

cento cinquanta anni dell’unità d’Italia. Con lo sguardo volto al futuro egli,<br />

in particolare, ha sottolineato la necessità di un impegno contro l’individualismo<br />

e la rarefazione demografica; ha anche auspicato la formazione di una<br />

comunità solidale, la quale riparta dalla vita e dalla famiglia, in Avvenire, 29<br />

marzo <strong>2011</strong>, pp. 10-12.<br />

CONSIGLIO PERMANENTE CEI. Comunicato finale <strong>della</strong> sessione primaverile.<br />

Segnala i seguenti tre punti chiave: l) problemi legati all’intervento<br />

18<br />

NOTA: i testi citati sono reperibili su internet consultando il sito www.chiesacattolica.it


militare in Libia e, in particolare, l’emergenza dei profughi e rifugiati e conseguente<br />

motivo <strong>della</strong> prima accoglienza; 2) Preoccupazione per il dilagare<br />

di un paradigma antropologico che indebolisce l’identità personale e la solidarietà;<br />

3) L’orizzonte pastorale di una Chiesa che vive la evangelizzazione<br />

come il terreno <strong>della</strong> sua presenza nel mondo. È stato infine approvato l’ordine<br />

del giorno <strong>della</strong> Assemblea generale in programma a Roma dal 23 al 27<br />

maggio, in Avvenire, 2 aprile <strong>2011</strong>, p. 22.<br />

19


ATTI DELLA<br />

CONFERENZA<br />

EPISCOPALE TRIVENETO


COMUNICATO STAMPA<br />

DIRETTORI UFFICI MIGRANTES DEL NORDEST<br />

E SACERDOTI STRANIERI E ITALIANI CHE SEGUONO<br />

LE COMUNITÀ STRANIERE DI RELIGIONE CATTOLICA<br />

I direttori degli Uffici Migrantes del NordEst insieme ai sacerdoti stranieri<br />

ed italiani che seguono le comunità straniere di religione cattolica presenti<br />

all’interno <strong>della</strong> Regione Conciliare, riuniti a Zelarino – Venezia, presso<br />

Casa card. Urbani e sede <strong>della</strong> CET (Conferenza Episcopale Triveneta)<br />

in occasione di una riflessione sul tema “A servizio <strong>della</strong> fede dei fratelli<br />

immigrati”, in considerazione degli eventi sociali e politici delle ultime settimane<br />

che stanno provocando cambiamenti politici non privi di violenza in<br />

diversi Paesi del Nord Africa e del Medio Oriente, ritengono di dover esprimere<br />

particolare attenzione a quegli uomini e donne che si trovano coinvolti<br />

in tali eventi. Si tratta di situazioni che trovano la loro prima ragione nel<br />

desiderio di governi democratici e più partecipati e che tengano maggiormente<br />

in conto <strong>della</strong> condizione di povertà e di miseria di larghe fasce <strong>della</strong><br />

popolazione, pur abitando in regioni che godono di notevoli risorse naturali<br />

specie di petrolio.<br />

Auspichiamo un rapido raggiungimento di accordi pacifici e la ricerca di<br />

nuovi equilibri di governo rispettosi dei diritti fondamentali di ogni persona,<br />

e la fine di ogni forma di violenza escludendo interventi militari che possono<br />

provocare, come hanno provocato, centinaia di vittime.<br />

La situazione attuale di emergenza improvvisa ed imprevedibile che si è<br />

venuta a creare in quest’area del mondo richiede attenzione e disponibilità<br />

di andare incontro alle sofferenze di molte persone che vogliono fuggire da<br />

queste violenze.<br />

L’Italia viene ad essere per queste popolazioni il Paese europeo più<br />

prossimo da raggiungere. Auspichiamo che non venga meno l’ospitalità che<br />

ha sempre contraddistinto la nostra terra e di cui la nostra gente ha goduto<br />

presso altri Paesi: abbiamo infatti anche oggi numerose associazioni di<br />

‘Veneti nel mondo’. Non lasciamoci prendere da allarmismi che potrebbero<br />

solo creare reazioni spesso irrazionali o egoistiche di fronte alle sofferenze<br />

più grandi.<br />

Riteniamo che il NordEst d’Italia, seppur in sofferenza per la crisi economica<br />

attuale, possa offrire ancora condizioni per accogliere eventuali persone<br />

che le autorità vorranno inviare.<br />

Ci impegniamo a sensibilizzare ulteriormente le nostre comunità cristiane<br />

per uno stile di accoglienza, prossimità e mediazione che fanno parte del<br />

22


nostro Vangelo. Ci rendiamo disponibili per eventuali collaborazioni con chi<br />

opera su questo versante sia a livello nazionale che dell’UE.<br />

Questo atteggiamento di ospitalità può essere un contributo ed un invito<br />

a tutti ad essere attenti nei confronti dei Paesi attualmente in trasformazione<br />

e in ricerca di una forma democratica di vita politica e maggiormente<br />

rispettosa dei diritti fondamentali di ogni persona, specie per i più deboli.<br />

Direttori Uffici Migrantes<br />

Sacerdoti comunità straniere cattoliche del Triveneto<br />

23


RIUNIONE DELLA CONFERENZA EPISCOPALE TRIVENETO<br />

DEL 15 MARZO <strong>2011</strong><br />

È stata dedicata in gran parte alla preparazione e alla verifica dei vari<br />

aspetti organizzativi legati alla prossima visita del Papa del 7 e 8 maggio<br />

<strong>2011</strong> ad Aquileia e Venezia la riunione <strong>della</strong> Conferenza Episcopale Triveneto,<br />

che si è tenuta martedì 15 marzo presso il Centro pastorale “Card.<br />

Urbani” a Zelarino (Venezia).<br />

I Vescovi hanno nuovamente sottolineato come la visita del Papa rappresenti<br />

una grande occasione offerta alle comunità ecclesiali e civili del<br />

Nordest in cammino verso il secondo Convegno ecclesiale di Aquileia (aprile<br />

2012): “Nell’incontro diretto con Benedetto XVI ci è data l’opportunità di<br />

ridestare e ravvivare il dono più bello. Ci parlerà di Gesù, vera speranza del<br />

mondo. Ci aiuterà a riscoprire che Egli è vivo, vicino e contemporaneo a noi,<br />

tocca e interessa le corde più profonde e quotidiane <strong>della</strong> nostra esistenza”.<br />

Il momento culminante per tutti <strong>della</strong> visita pastorale del Santo Padre al<br />

Nordest sarà la grande messa <strong>della</strong> mattina di domenica 8 maggio al Parco<br />

di S. Giuliano di Mestre. Per questo, i Vescovi hanno espresso l’auspicio che<br />

da parrocchie, associazioni, movimenti ecclesiali ecc. si converga in gran<br />

numero e raccomandano di fornire al più presto l’adesione. Tale adesione –<br />

che permette di ottenere il pass d’ingresso – è un semplice gesto per favorire<br />

un migliore e ordinato afflusso dei fedeli all’area del Parco.<br />

Alcune note tecnico-logistiche<br />

Mentre il Comitato organizzatore sta definendo – con i diversi interlocutori<br />

istituzionali e tecnici – la complessa logistica di tale momento per con-<br />

24<br />

RIUNIONI DELLA CONFERENZA EPISCOPALE<br />

TRIVENETO


sentire a tutti di vivere una celebrazione bella e ordinata, emergono alcune<br />

prime concrete indicazioni per i fedeli che parteciperanno alla messa a S.<br />

Giuliano:<br />

<br />

possibilità di partecipare pienamente e in modo ordinato al gesto eucaristico.<br />

<br />

di punti di ristoro e soccorso (con ambulanze e servizio medico), servizi<br />

igienici e maxischermi.<br />

portunità<br />

di raggiungere Mestre in treno, anche attraverso l’organizzazione<br />

di appositi treni speciali; è garantita, infatti, la presenza di navette<br />

che, a ciclo continuo e dal primo mattino, collegheranno la stazione ferroviaria<br />

al Parco.<br />

<br />

presto indicati dalla segreteria organizzativa i parcheggi scambiatori<br />

di riferimento (previsti entro un raggio di un massimo di 4 km di<br />

distanza dal Parco) e da cui partiranno, in continuazione, le navette<br />

per S. Giuliano.<br />

<br />

per le biciclette per chi sceglierà (come hanno già fatto in molti) questo<br />

mezzo che si configura come particolarmente adeguato alla circostanza.<br />

<br />

aperto già a partire dalle ore 6.00 e fino alle ore 9.00, orario per il quale<br />

tutto dovrà essere pronto per la celebrazione con il Papa. I fedeli sono<br />

invitati, perciò, ad arrivare con buon anticipo nell’area e a considerare<br />

con molta attenzione i tempi di spostamento necessari dai parcheggi<br />

scambiatori o dalla stazione ferroviaria per il Parco. Il tragitto a piedi<br />

dei pellegrini all’interno del Parco non sarà, prevedibilmente, superiore<br />

al quarto d’ora.<br />

<br />

momento del loro arrivo.<br />

<br />

diversamente abili, uno per seminaristi e chierichetti ed un altro ancora<br />

per le rappresentanze civili ed ecclesiali.<br />

simo,<br />

un accompagnatore ciascuno; per favorire l’organizzazione gli<br />

interessati sono invitati a dare la loro adesione già entro il 1° aprile p.v.<br />

(sempre su www.ilpapaanordest.it o telefonando allo 041/5464417).<br />

<br />

25


che dovranno dare la loro adesione tramite i referenti diocesani e parrocchiali.<br />

gi<br />

scambiatori sarà garantito dal momento <strong>della</strong> fine <strong>della</strong> messa a circa<br />

metà pomeriggio (l’orario esatto sarà presto definito e comunicato).<br />

<br />

attraverso lo strumento delle “adesioni” per favorire una buona organizzazione,<br />

rimane in ogni caso aperta la possibilità per tutti – fino ad<br />

un’ora prima <strong>della</strong> messa – di accedere all’area liturgica del Parco.<br />

Il coinvolgimento <strong>della</strong> società civile<br />

Con il progredire dell’organizzazione dell’evento si registra un crescente<br />

coinvolgimento di varie realtà ed espressioni <strong>della</strong> società civile che desiderano<br />

esprimere il loro particolare benvenuto al Papa.<br />

Ad esempio, molto bello e suggestivo si preannuncia l’arrivo del Papa<br />

al molo di S. Marco nella serata di sabato 7 maggio: Benedetto XVI, al<br />

suo giungere nel Bacino di S. Marco, riceverà una speciale accoglienza da<br />

uno schieramento di barche delle associazioni di “Vela al terzo” (le tipiche<br />

imbarcazioni con vela quadrata di vari colori).<br />

La mattina di domenica 8 maggio, per il trasferimento dal Parco di<br />

San Giuliano a S. Marco, si formerà un corteo acqueo allestito dalle società<br />

remiere veneziane che accompagnerà il Papa, al suo arrivo dal Rio di Cannaregio<br />

e a partire al suo ingresso in Canal Grande (all’altezza <strong>della</strong> chiesa<br />

dei Ss. Geremia e Lucia), fino a S. Marco.<br />

Mentre si stanno completando le collette straordinarie nelle varie diocesi<br />

(a Udine e Treviso sono fissate per domenica 27 marzo), continua la<br />

raccolta di offerte e donazioni – in particolare attraverso il c/c postale e bancario<br />

– secondo le modalità indicate sul sito e che sta documentando, sin dai<br />

primi riscontri, il generoso desiderio di molti fedeli di contribuire concretamente<br />

alla preparazione dell’evento, ciascuno secondo le sue possibilità.<br />

26


VITA DELLA DIOCESI


In data 20 dicembre 2010 mons. Renato Dovigo è stato nominato Amministratore<br />

parrocchiale di Sant’Agostino in Vicenza, parrocchia divenuta<br />

vacante in seguito alla morte del parroco don Beniamino Nicolin (prot. gen.<br />

551/2010)<br />

In data 4 gennaio <strong>2011</strong> don Giorgio Dalla Costa è stato nominato Amministratore<br />

parrocchiale delle Parrocchie di San Giovanni Nepomuceno di<br />

Casotto e di S. Maria Assunta di Pedemonte (prot. gen. 4/<strong>2011</strong>).<br />

In data 22 febbraio <strong>2011</strong> don Secondo Martin è stato nominato Amministratore<br />

parrocchiale Parrocchie di San Michele Arcangelo di Brendola,<br />

<strong>della</strong> Beata Vergine Maria (Madonna dei Prati), di San Vito di Brendola e di<br />

Santo Stefano di Vo’ di Brendola (prot. gen. 60/<strong>2011</strong>).<br />

In data 3 marzo <strong>2011</strong> è stata accettata le rinuncia presentata da don<br />

Massimo Sbicego all’ufficio di parroco delle Parrocchie di San Giovanni<br />

Nepomuceno di Casotto e di S. Maria Assunta di Pedemonte (prot. gen.<br />

72/<strong>2011</strong>).<br />

In data 18 marzo <strong>2011</strong> è stata accettata le rinuncia presentata da don<br />

Livio Bolzon all’ufficio di parroco delle Parrocchie di San Michele Arcangelo<br />

di Brendola, <strong>della</strong> Beata Vergine Maria (Madonna dei Prati), di San Vito<br />

di Brendola e di Santo Stefano di Vo’ di Brendola (prot. gen. 97/<strong>2011</strong>).<br />

In data 29 marzo <strong>2011</strong> don Maurizio Gobbo, mons. Massimo Pozzer e<br />

mons. Bruno Stenco sono stati nominati membri <strong>della</strong> Commissione per<br />

l’amministrazione dell’Ente “Casa <strong>della</strong> Provvidenza” di Schio, civilmente<br />

riconosciuto con RD del 5.10.1939.<br />

28<br />

PROVVEDIMENTI<br />

DELL’AMMINISTRATORE DIOCESANO


ASSEMBLEA DEL CLERO<br />

C’È CAMPO?<br />

(Seminario vescovile – 10 febbraio <strong>2011</strong> – II parte)*<br />

Programma<br />

- ore 9.15 inizio con preghiera di Ora Media<br />

- ore 9.30 Presentazione <strong>della</strong> sintesi dei contributi dei Vicariati<br />

- ore 9.45 Intervento di don Andrea Guglielmi e illustrazione<br />

di alcune esperienze vissute da alcuni giovani<br />

- ore 11.00 Dibattito in Assemblea<br />

- ore 12.00 Conclusione<br />

- ore 12.15 Pranzo in Seminario<br />

* Per la 1 a parte dell’Assemblea cf. <strong>Rivista</strong> <strong>della</strong> <strong>Diocesi</strong> di Vicenza n. 3 (2010) pp. 592-604.<br />

29


RELAZIONE SINTETICA SUI CONTRIBUTI GIUNTI DOPO L’INCONTRO DEL<br />

23.09.2010 DAI LAVORI DEI GRUPPI E DALLE CONGREGHE VICARIALI<br />

SULLA SCHEDA INERENTE ALLA RICERCA “C’È CAMPO?”<br />

A cura di don Carlo Guidolin<br />

Premesse<br />

Hanno mandato le relazioni degli incontri vicariali sulla Scheda postassembleare<br />

N.17 Vicariati (Arsiero, Breganze-Marostica, Camisano,<br />

Chiampo, Montecchio Magg., Castelnovo, Cologna V.ta, Dueville, Fontaniva,<br />

Lonigo, Montecchia di Crosara, Noventa, Piazzola sul Brenta, Riviera<br />

Berica, San Bonifacio, Sandrigo, Valdagno).<br />

Molte relazioni hanno riferito <strong>della</strong> fatica dei preti ad affrontare direttamente<br />

le questioni, di dare risposte precise; si razionalizza, si generalizza: forse<br />

un modo per sfuggire dal fatto che questo tema ci mette con le spalle al muro?<br />

Altre riferiscono di un clima nella discussione fatto di “luoghi comuni”,<br />

di ripresa di soliti slogan. Non è apparsa la volontà di mettere in discussione<br />

gli schemi di riferimento per impararne di nuovi. È stanchezza, è scoraggiamento?<br />

Nel fare sintesi ho tralasciato ciò che già era stato messo in evidenza<br />

dalla Ricerca “C’è campo?”.<br />

Primo Nucleo:<br />

Noi preti, riusciamo a parlare “con” i giovani?<br />

Occasioni e luoghi… favorevoli. L’età del prete è decisiva?<br />

Riusciamo a parlare con i giovani?<br />

– In genere noi preti abbiamo qualche aggancio con quei giovani che partecipano<br />

ai gruppi, con i quali, comunque, non si va al di là di un saluto,<br />

di una battuta; per gli altri sono incontri occasionali. E comunque c’è un<br />

progressivo disinteresse dei giovani alle forme associative ecclesiali (la<br />

stessa proposta dell’AC appare per pochi eletti) e tanto più è evidente la<br />

loro assenza dalle nostre assemblee liturgiche.<br />

– Una qualche possibilità in più si ha in occasioni particolari (campeggi,<br />

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feste, sagre, recital…) ma appaiono cose limitate nel tempo. Più incisive<br />

appaiono circostanze come la morte, i compleanni, gli eventi straordinari…<br />

– C’è poi, in genere, una certa difficoltà del giovane ad aprirsi col prete,<br />

non avversione, semmai un certo disinteresse. Tutti fattori che rendono<br />

più difficile dialogare con i giovani. A volte sono delusi dal nostro modo<br />

sbrigativo di avvicinarli.<br />

– Appare chiaro a molti che bisognerebbe partire da interessi diversi<br />

da quello immediatamente di fede, ma qui ci scontriamo con un<br />

mondo di riferimento dei giovani che ci appare lontano e difficile da<br />

avvicinare.<br />

Luoghi e momenti favorevoli:<br />

– le confessioni; gli incontri di gruppo; occasioni di servizio;<br />

– un momento di grazia sembra presentarsi nel momento di passaggio<br />

dalla fine <strong>della</strong> Scuola Superiore alla scelta dell’università o dell’entrata<br />

nel mondo del lavoro. Ma qui latitano le iniziative…<br />

– nella preparazione al Matrimonio e al Battesimo del primo figlio, si<br />

incontrano dei giovani disponibili ad accogliere un dialogo ed una proposta<br />

di riflessione. Sarebbe importante seguire i giovani fidanzati dei vari<br />

corsi anche con dialoghi spirituali personali.<br />

– esperienze “forti” e coinvolgenti, i cosiddetti “grandi eventi”… sembrano,<br />

invece, non produrre legami significativi e durevoli nella comunità di<br />

origine, cosa che “smonta” assai il prete.<br />

– Una buona capacità di relazione e l’ascolto fatto col cuore sembrano essere<br />

lo stile che i giovani si attendono: il resto… sia opera dello Spirito!?<br />

– I temi <strong>della</strong> Natura e dell’Innamoramento sembrano essere luoghi in cui<br />

i giovani sperimentano una particolare vicinanza di Dio, ma sono temi<br />

poco presenti nella nostra azione.<br />

– Altro tema sensibile presso i giovani: i poveri.<br />

– Una nota circa gli oratori, nei quali si sono investiti notevoli energie:<br />

oggi servono alla catechesi o a riempire la giornata dei pensionati. I giovani<br />

non entrano in strutture condotte e strutturate con lo stile del passato,<br />

con statuti e regolamenti. I giovani richiedono spazi in cui possano<br />

entrare nella gestione, sentirli più loro. Ma la difficoltà nelle parrocchie<br />

sembra quella di reperire persone responsabili e con carisma adatto a<br />

questo tipo di presenza in ambienti. Molto spesso ci si affida a pensionati<br />

volontari e volenterosi. Figure di laici motivati ma anche pagati pos-<br />

31


sono dare forse un contributo particolare all’animazione di questi nostri<br />

ambienti.<br />

– La Benedizione delle Famiglie appare essere un’occasione propizia per<br />

incontrare i giovani tra le mura domestiche.<br />

L’età del prete… fattore decisivo?<br />

– L’età del prete non sembra essere un fattore decisivo: non si assistono<br />

a “corse” dietro al prete giovane, anche se la vicinanza di età può innescare<br />

una relazione più immediata. D’altra parte, però, l’età del prete<br />

rappresenta un fattore condizionante per il prete che si trova ad avere<br />

meno energie e maggiori impegni, in difficoltà a reggere i ritmi e le esigenze<br />

del giovane.<br />

– Certamente c’è un’età anagrafica che non collima sempre con l’età “interiore”,<br />

con l’animo: ma rimane comunque difficile avvicinare inevitabili<br />

distanze tra modi di pensare e di vivere la vita (esperienza comune in<br />

tutte le generazioni!).<br />

– A volte, come preti, ci si sente “pesci fuor d’acqua” anche quando ci<br />

avviciniamo a una festa dei giovani o ad un loro incontro negli ambienti<br />

parrocchiali che abbiamo dato noi stessi a loro.<br />

– Altre volte ci si sente nel ruolo del “nonno”, cioè in una posizione diversa<br />

che l’età stessa ti affida (a volte è nonno anche un prete giovane!).<br />

Come preti anziani ci sentiamo più a nostro agio nel compito di saper<br />

trasmettere le cose essenziali.<br />

– Non è solo l’età anagrafica del prete a essere un ostacolo nel rapporto<br />

coi giovani, ma è l’età <strong>della</strong> stessa Comunità Cristiana, intesa non tanto<br />

per la presenza degli anziani ma per un’aria “stantìa” che si respira nei<br />

nostri ambienti: le considerazioni che si fanno nelle riunioni dei nostri<br />

consigli pastorali, la loro stessa composizione o i toni che si usano nelle<br />

nostre chiese non hanno sapore di novità, di freschezza, di vita, ma<br />

infondono spesso la stanchezza del moralismo e del giudizio. In queste<br />

comunità il giovane fatica ad entrare.<br />

– Nel rapporto prete-giovane, gioca molto il fattore “rapporto personale”<br />

e questo, per noi preti, è spesso un problema perché i nostri rapporti<br />

rischiano spesso la superficialità e la frettolosità o la strumentalizzazione.<br />

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Secondo Nucleo:<br />

L’assenza di riferimenti a Cristo, alla Chiesa, nella ricerca…<br />

pone seri dubbi sull’incisività <strong>della</strong> nostra Catechesi ordinaria.<br />

– La mancanza di un riscontro in famiglia dei messaggi che si lanciano<br />

nella catechesi in parrocchia, costituisce il primo e fondamentale “difetto<br />

di fabbrica” <strong>della</strong> nostra proposta catechistica. In famiglia i ragazzi<br />

sperimentano che i riferimenti sono altri.<br />

– I contenuti stessi dei catechismi appaiono, per molti, ancora improntati<br />

più ad istruire che a formare, a fornire delle informazioni che a condurre<br />

ad un’esperienza di incontro con Cristo. Dovremmo favorire cammini<br />

che parlino al sentimento più che alla ragione, senza cedere però al sentimentalismo.<br />

– La forma stessa, la grafica, dei testi di catechesi, appaiono fuori dalla<br />

sensibilità dei ragazzi di oggi: gli stessi catechisti sperimentano ciò e<br />

sentono la povertà di questi mezzi.<br />

– Positiva appare l’esperienza di quelle parrocchie in cui si lascia alle<br />

famiglie la scelta di seguire il cammino esperienziale dell’ACR, invece<br />

del catechismo.<br />

– Nonostante da anni si parli di “itinerari catecumenali”, di “differenziazione”<br />

delle proposte, di “iniziazione” attraverso esperienze liturgiche,<br />

catechistiche e caritative, tutto questo risulta difficile da concretizzare<br />

in itinerari precisi.<br />

– Nella nostra <strong>Diocesi</strong> la proposta <strong>della</strong> Catechesi Biblico-Simbolica<br />

è stata “scartata” troppo velocemente, senza un paziente discernimento,<br />

a cominciare dai riscontri positivi che in molti catechisti stava<br />

ottenendo.<br />

– La sfida comunque più urgente, appare oggi la Catechesi con gli Adulti.<br />

– Anche gli itinerari dei Gruppi Giovanili rischiano di presentare Cristo<br />

come una “brava persona” soltanto. A mancare di riferimenti a Cristo,<br />

poi, sono molto spesso gli stessi animatori.<br />

– Si sente la mancanza di una rete di persone adulte significative. Così<br />

come si lamenta la mancanza di proposte “alte”.<br />

33


Terzo Nucleo:<br />

I giovani chiedono a noi preti e comunità cristiane di aprirci,<br />

di uscire, di incontrare la vita <strong>della</strong> gente.<br />

Provocazioni o appelli sinceri?<br />

– Anche noi preti constatiamo che i giovani acquistano fiducia in noi nella<br />

misura in cui li ascoltiamo e li accogliamo con le loro esigenze e con le<br />

loro “forme” diverse. L’ideale, perciò, sarebbe incontrarli là dove sono,<br />

nei bar, nello sport, nei parcheggi… Ma come conciliare questo con il<br />

nostro tempo che ci viene assorbito dalle incombenze del “sistema”?<br />

– Sembra necessario proporre esperienze guidate di “esodo” dalla famiglia:<br />

comunità di vita, periodi di vita insieme, campi formativi di lavoro e<br />

di preghiera (sul modello di Spello o di Bose).<br />

– Altra via di apertura appare quella di dare ai giovani responsabilità vere<br />

in parrocchia e non ruoli meramente esecutivi. Anche nelle nostre parrocchie<br />

sono i “vecchi” e gli adulti a decidere tutto?<br />

– Spesso ci lasciamo condizionare in negativo da una ostilità esibita e<br />

disinformata nei confronti <strong>della</strong> Chiesa che viene anche, ma non solo, dal<br />

mondo giovanile. Importante appare l’atteggiamento di noi preti, chiamati<br />

a non generalizzare né a colpevolizzare.<br />

– Appare decisivo il nostro stile di prete: un rapporto gratuito e disinteressato<br />

(sto insieme ai giovani con il fine di portarli ai gruppi in parrocchia<br />

o per assoldarli al gruppo dei “manovali” <strong>della</strong> pastorale quando ne<br />

ho bisogno!)<br />

– L’esperienza positiva di gruppi giovanili che si fondano sulla “praticità”<br />

di un servizio di solidarietà, di condivisione, domanda forse alla nostra<br />

pastorale, fondata più sulla formazione e istruzione, di rivedere i canali<br />

<strong>della</strong> comunicazione <strong>della</strong> fede.<br />

– Così pure il “sistema sacramentale” con cui è strutturata la chiesa italiana<br />

fa problema oggi: la Cresima in particolare. Collocata in un momento<br />

infelice <strong>della</strong> crescita dei ragazzi, non risulta più capace di comunicare<br />

quel senso di “investitura” che esprimeva un tempo nel concetto di<br />

“testimone di Cristo”.<br />

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Quarto Nucleo:<br />

l’immagine del “Laboratorio <strong>della</strong> Fede”:<br />

considerazioni ed esperienze…<br />

– La parola “Laboratorio <strong>della</strong> Fede” non è stata compresa bene nei suoi<br />

contenuti da alcuni. Basta non diventi uno “slogan” o una “parola magica”<br />

per sfuggire la complessità <strong>della</strong> questione.<br />

– Per qualcuno, luogo per questi laboratori <strong>della</strong> fede possono diventare<br />

le canoniche o altri ambienti nostri: proporre esperienze di vita guidate<br />

con la nostra presenza di preti, tralasciando altre cose.<br />

– In Città, o dove c’è un flusso notevole di studenti, proporre non le esperienze<br />

classiche dei “convitti”, ma esperienze di vita comune e di fede<br />

che si affianchino alla scuola, guidate da preti o da diaconi.<br />

– L’inserimento del prete nel mondo <strong>della</strong> Scuola Superiore appare ancora<br />

una grande possibilità di un laboratorio di fede.<br />

– Esperienze come Assisi, Sermig, Loppiano, Bose, Taizè… che nelle parrocchie<br />

ancora si propongono, costituiscono dei laboratori di fede ancora<br />

efficaci.<br />

IL PRESBITERO E I GIOVANI<br />

Intervento di don Andrea Guglielmi<br />

Gli disse allora uno dei discepoli, Andrea, fratello di Simon Pietro:<br />

“C’è qui un ragazzo che ha cinque pani d’orzo e due pesci; ma che cos’è<br />

questo per tanta gente?” (Gv 6,8-9)<br />

Alcune premesse<br />

– La pastorale giovanile è una questione che ci riguarda. Ognuno di noi<br />

preti entra in relazione con il mondo giovanile, a partire dai differenti<br />

contesti pastorali in cui ci troviamo a vivere: parrocchia, vicariato, diocesi;<br />

associazioni, movimenti, gruppi o esperienze più o meno particolari.<br />

Qualcuno li incontra a scuola in qualità di insegnante, ma la figura del<br />

prete che insegna religione è sempre più infrequente.<br />

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– La pastorale giovanile è una questione di età? Ci sono età diverse:<br />

preti giovani, preti adulti, preti anziani. L’età è un fattore discriminante<br />

nella facilità di dialogo con i giovani? Forse. Di fatto ci sono preti giovani<br />

che fanno fatica a stare con i giovani e preti anziani capaci di essere<br />

figure molto significative, attivi nella direzione spirituale, capaci di relazione.<br />

– La pastorale giovanile è una questione di attitudine? Può essere più<br />

discriminante la sensibilità personale; qualcuno pensa di non essere<br />

adatto a stare con i giovani. Ma che sia poi vero? A volte si incontrano<br />

preti che si sottovalutano e non si rendono conto che possono trasmettere<br />

alle nuove generazioni molto più di quello che immaginano, con il loro<br />

stile, con la condotta di vita, nella predicazione, in certi incontri occasionali<br />

cui non si dà importanza …<br />

– La pastorale giovanile è certamente una questione di stile. Il progetto<br />

di pastorale giovanile ci ricorda lo stile con cui la Chiesa incontra i giovani:<br />

stile <strong>della</strong> compagnia 1 .<br />

Non si tratta di dare risposte preconfezionate, ma di aprirsi alla<br />

‘compagnia <strong>della</strong> vita e <strong>della</strong> fede’. In essa le domande giovanili e<br />

le risposte ecclesiali stanno insieme in un reciproco confronto che<br />

le feconda, ricostruendo canali di comunicazione e di solidarietà. Lo<br />

stile <strong>della</strong> compagnia si basa sulle domande dei due interlocutori<br />

prima che sulle risposte:<br />

a) la logica delle risposte mantiene ognuno nella sua posizione: chi<br />

risponde parla ma non ascolta. È la logica del ricco che è sazio di<br />

quello che è, non è ‘affamato ed assetato’ e quindi non si aprirà al<br />

confronto e così facendo nega la dignità <strong>della</strong> persona;<br />

b) la logica delle domande è quella del ‘povero che chiede’, di chi è<br />

in ricerca, di chi condivide, di chi cura le ferite dell’altro versando<br />

il vino <strong>della</strong> consolazione e l’olio <strong>della</strong> speranza. Se il nostro<br />

atteggiamento è solo quello di ‘dare’, in questo stesso atto, invece<br />

di avvicinare, si crea una distanza, si sottolinea e si approfondisce.<br />

L’insulto più grande che si può fare ad un uomo è considerarlo<br />

capace solo di ricevere e non di dare. L’individuo si avvilisce se<br />

non ci si aspetta nulla da lui.<br />

1 Ci vuole più vivere dentro. Per un progetto pastorale con i giovani e per i giovani,<br />

DIOCESI DI VICENZA, UFFICIO DIOCESANO PER I GIOVANI, 1994, pp. 59-60.<br />

36


Entriamo nel cuore <strong>della</strong> relazione tra il presbitero e i giovani<br />

Proviamo a esplorare, a rileggere e a rilanciare il rapporto tra il prete e<br />

le nuove generazioni a partire da alcune sottolineature molto concrete.<br />

1. Il prete che entra in relazione ai giovani non è un single (!!), un solitario,<br />

un isolato, un battitore libero, uno che lavora da solo.<br />

a. Siamo inseriti in un presbiterio e viviamo la comunione e la collaborazione<br />

con altri preti: i preti con cui vivo insieme, i preti dell’unità<br />

pastorale, <strong>della</strong> zona pastorale, del vicariato, <strong>della</strong> diocesi; quasi<br />

sempre nei vicariati ci sono uno o più preti giovani che in maniera più<br />

diretta seguono la pastorale giovanile, con l’incarico di coordinare nel<br />

vicariato la pastorale giovanile, e quindi con il compito di mettere in<br />

rete le varie parrocchie, di tenere i contatti con i referenti parrocchiali.<br />

Anche a livello diocesano è attivo un ufficio di pastorale giovanile e<br />

ci sono alcuni preti che hanno un incarico specifico per i giovani, impegnati<br />

nell’AC, negli Oratori, nella pastorale vocazionale, nell’Agesci…<br />

Favorire un clima di fiducia, di stima e di collaborazione tra preti,<br />

superando gelosie, chiusure, competizioni, piccoli feudi, è un punto di<br />

partenza fondamentale nel rapporto tra ogni presbitero e i giovani.<br />

b. Siamo inoltre all’interno di una comunità cristiana e viviamo la<br />

corresponsabilità pastorale con l’intero popolo di Dio, dentro al<br />

quale e di fronte al quale ci collochiamo; il consiglio pastorale, ad<br />

esempio, è un luogo dove il rapporto tra la comunità cristiana e il<br />

mondo giovanile può e deve essere discusso, verificato, rilanciato.<br />

Inoltre, anche nella pastorale giovanile il presbitero vive rapporti di<br />

corresponsabilità diretta con coloro che nei gruppi e nelle associazioni<br />

sono punti di riferimento, figure significative. Alcuni esempi: i<br />

responsabili di AC, i capigruppo dell’Agesci, chi segue e coordina il<br />

gruppo animatori...<br />

2. Con quali giovani entriamo in contatto?<br />

a. I giovani che fanno un cammino o che frequentano in qualche modo<br />

la parrocchia. Sono giovani inseriti nei gruppi, nell’AC, negli scout;<br />

cantano nel coro; li incrociamo più o meno frequentemente in oratorio<br />

o in Chiesa; magari anche la canonica è un luogo familiare per<br />

loro (ed è sempre una bella cosa che la canonica sia per i giovani un<br />

ambiente ospitale, magari anche uno spazio di convivialità); nella<br />

migliore delle ipotesi li abbiamo anche accompagnati in qualche<br />

esperienza forte (uscite, campi estivi, pellegrinaggi, settimane di<br />

convivenza). Tra questi giovani presenti nella comunità, un’atten-<br />

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38<br />

zione prioritaria va data a coloro che hanno un compito educativo:<br />

animatori dell’ACR e dei giovanissimi, capi scout; limitatamente al<br />

periodo estivo gli animatori del GREST, gli animatori coinvolti in un<br />

campeggio o camposcuola. Un pastore non può non avere uno sguardo<br />

attento e vigile circa la formazione di questi giovani. Deve provocarli<br />

con delicatezza ma anche con fermezza a fare un cammino di<br />

fede personale e in gruppo. Deve essere a conoscenza delle proposte<br />

formative offerte dal vicariato e dalla diocesi e stimolarli a non perdere<br />

occasioni preziose, a non rinchiudersi, a non sentirsi già arrivati,<br />

a non limitarsi alla programmazione di attività o all’acquisizione<br />

di tecniche. È importante mantenere un atteggiamento discreto, non<br />

troppo invadente, ma al tempo stesso attento e incoraggiante.<br />

b. I giovani che si vedono in circostanze particolari: può essere l’occasione<br />

di un matrimonio, di un battesimo, di un funerale, la visita a<br />

una famiglia, la prossimità a un giovane che vive l’esperienza <strong>della</strong><br />

malattia, giovani che bussano alle porte <strong>della</strong> canonica per un motivo<br />

particolare, giovani che di tanto in tanto vengono a Messa.<br />

Quindi ci sono giovani che vediamo più spesso e giovani che incontriamo<br />

occasionalmente. A ben pensarci, anche Gesù ha vissuto qualcosa di simile<br />

nelle sue relazioni umane: aveva il gruppo dei discepoli con cui è stato possibile<br />

fare un cammino e alcune amicizie forti (Betania, il suo legame con Lazzaro,<br />

Marta e Maria); ma i vangeli raccontano una serie di incontri puntuali,<br />

singolari, occasionali che Gesù aveva con determinate persone a partire dai<br />

loro bisogni concreti. Guardando al percorso terreno di Gesù ci lasciamo<br />

sorprendere da questo dato di fatto che non dobbiamo mai dimenticare:<br />

anche un incontro occasionale può cambiare la vita a una persona. E questo<br />

vale certamente anche per i giovani del nostro tempo. Gesù ha dato grande<br />

attenzione anche a coloro che ha incontrato una volta sola.<br />

3. Il nostro dialogo con le nuove generazioni potrebbe avere oggi soprattutto<br />

questo scopo: aiutare ogni giovane ad assaporare la freschezza del<br />

primo annuncio, cioè l’incontro vitale con Gesù di Nazareth a partire<br />

dalle esperienze che fa, dalle emozioni che prova, dalle situazioni che si<br />

trova ad affrontare. Raccogliendo gli stimoli che ci vengono dall’inchiesta<br />

“C’è campo?” e dal prezioso documento dei vescovi lombardi “La<br />

sfida <strong>della</strong> fede: il primo annuncio”, potremmo chiederci quali sono per<br />

un giovane del nostro tempo le situazioni di vita che possono diventare<br />

soglie di apertura alla fede, cioè i momenti in cui è molto probabile<br />

che ci sia campo, perché è in gioco l’identità <strong>della</strong> persona e scatta la


domanda fondamentale: che senso ha la mia vita? Sono circostanze in<br />

cui un giovane sente il bisogno di interrogarsi e di aprirsi, di fare una<br />

verifica generale, di dialogare con qualcuno, ed è maggiormente disposto<br />

a captare parole, gesti, segni, messaggi, proposte.<br />

Proviamo ad elencare alcune di queste soglie, che emergono anche nel<br />

libro “C’è campo?”.<br />

a. l’amore di coppia: l’innamoramento oppure la scelta di sposarsi;<br />

b. il dolore provocato da una malattia grave (propria o altrui) o dalla<br />

morte di una persona cara;<br />

c. l’impatto <strong>della</strong> bellezza (la natura, un’opera d’arte …);<br />

d. trovarsi di fronte a determinati passaggi o svolte significative (come<br />

ad esempio al termine di un ciclo di studi: in terza media, in quinta<br />

superiore, nel momento <strong>della</strong> laurea);<br />

e. l’esperienza del fallimento: essere lasciati dalla persona che si ama,<br />

un insuccesso scolastico, lo sgretolarsi delle relazioni familiari,<br />

accorgersi di aver deluso o tradito le aspettative degli altri.<br />

f. alcuni ideali: pace, legalità, giustizia, diritti umani, stili di vita. Questi<br />

temi affascinano sempre meno in astratto; prediche e conferenze non<br />

prendono; è necessario fare un’esperienza e toccare con mano determinati<br />

ambienti dove questi ideali si incarnano e vengono testimoniati.<br />

Quali potrebbero essere per noi oggi le priorità?<br />

1. Un’attenzione specialissima agli educatori: il gruppo animatori e la<br />

comunità capi dovrebbero diventare delle piccole comunità di riferimento,<br />

luoghi dove si supera insieme la “dittatura del servizio”, la schiavitù<br />

delle cose da fare e da programmare, per guadagnare insieme spazi di<br />

amicizia, di gratuità, di convivialità, di crescita nella fede, nella relazione<br />

personale e comunitaria con il Signore Gesù. Compito del presbitero è<br />

stimolare il cammino spirituale dei singoli e del gruppo, invitarli a non<br />

perdere le occasioni vicariali e diocesane e possibilmente sostenere<br />

anche economicamente alcune esperienze formative, avere sempre un<br />

atteggiamento incoraggiante. È importante aiutare gli animatori a darsi<br />

un’identità come gruppo, a chiarire il patto educativo, a fare una scelta<br />

associativa (l’adesione all’Azione Cattolica non potrà mai essere imposta,<br />

ma certamente va accompagnata, incoraggiata e promossa).<br />

2. La cura dei passaggi: la cresima, la professione pubblica <strong>della</strong> fede, il passaggio<br />

da animato ad animatore, prendere la partenza (nei giovani scout) …<br />

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DIBATTITO<br />

I presenti, circa 150 fra sacerdoti e seminaristi, anche se in numero<br />

meno consistente di altre Assemblee del clero, hanno seguito con interesse<br />

la sintesi delle relazioni vicariali, l’approfondimento di don Andrea Guglielmi<br />

e le testimonianze di tre giovani; per circa un’ora poi hanno dibattuto<br />

l’argomento e presentato testimonianze personali.<br />

Tutti hanno espresso gradimento per la modalità dell’Assemblea e per<br />

la qualità e la freschezza di quanto i giovani hanno detto.<br />

I punti salenti espressi dal dibattito sono i seguenti:<br />

Invito a tutti i preti e in particolare agli ultrasettantenni a mettersi<br />

in gioco.<br />

Non è l’età che conta ma la passione umana, missionaria e per il Vangelo…<br />

che deve spingere ad andare verso i giovani, anche se ribelli e trasgressivi.<br />

i santi che possono fare da<br />

modelli a noi preti non sono tutti giovani; in particolare sono stati citati,<br />

san Giovanni Bosco, san Filippo Neri e il beato Giovanni Paolo II.<br />

L’innamoramento, l’attaccamento alla natura e la passione estetica…<br />

tipici dei giovani possono diventare spiragli di fede.<br />

Non sia passione lasciata a se stessa; attraverso la fede può portare a<br />

Dio.<br />

L’attrazione al femminile di S. Agostino, di S. Francesco e S. Chiara, di<br />

S. Francesco di Sales e Giovanna di Chantal … suggerisce di fare “percorsi<br />

di fede” (laboratorio <strong>della</strong> fede) a partire da questi santi.<br />

Per noi preti è importante cercare vivere la “vita buona” come suggerisce<br />

il programma delle CEI per il prossimo decennio. La prima cosa da<br />

fare allora è praticare l’accoglienza e accettare il disagio che i giovani possono<br />

creare ad una persona adulta o anziana; sono i giovani che danno vita<br />

ad una parrocchia.<br />

<br />

diamo risposte vecchie anche a domande che non ci fanno. Diventa indispensabile<br />

allora saper ascoltare i giovani. Abbiamo anche noi preti/chiesa<br />

bisogno dei giovani perché altrimenti non cambieremo mai.<br />

40


Come “sogniamo” la nostra organizzazione futura, visto che i preti diminuiscono<br />

sempre di più?<br />

Stiamo formando persone che diventeranno responsabili dei giovani?<br />

C’è un progetto diocesano per formare un “sostituto” dei cappellani?<br />

biamo<br />

fare qualcosa.<br />

È possibile “sequestrare” i cappellani e farli vivere insieme in piccole<br />

comunità per promuovere una ministerialità laicale anche con i giovani? (si<br />

tratta di una proposta fatta da mons. Nosiglia ai preti giovani).<br />

L’Amministratore Diocesano mons. Lodovico Furian conclude l’Assemblea<br />

con un interrogativo:<br />

“a chi consegneremo le riflessioni delle due Assemblee del Clero sui<br />

giovani?” e risponde:<br />

- a ciascuno di noi se ci aiutiamo a darci coraggio, non a deprimerci.<br />

- alla Pastorale Giovanile, alle Associazioni, alle Attività diocesane, ai<br />

Vicariati ( perché oggi la pastorale Giovanile più che nelle Parrochie si fa in<br />

Vicariato).<br />

a cura di mons. Renato Dovigo<br />

ESPERIENZA DI LAURA<br />

– Presentazione iniziale: Sono Carletto Laura, ho 22 anni, provengo<br />

dal vicariato di San Bonifacio, precisamente dalla Parrocchia di San<br />

Giuseppe Lavoratore-Praissola. Nella vita sono una studentessa,<br />

frequento il corso magistrale Scienze del Servizio Sociale presso l’università<br />

di Padova.<br />

– Mi è stato chiesto di ripensare alle esperienze forti e alle persone significative<br />

che hanno e che stanno caratterizzando il mio percorso di crescita,<br />

in particolare all’interno dell’Azione Cattolica. Sicuramente fin dalla<br />

mia infanzia c’è stata un’iniziale influenza da parte del contesto (famiglia,<br />

partecipazione all’acr, ai gruppi parrocchiali e al gruppo vicariale<br />

<strong>della</strong> Macina e <strong>della</strong> Cetra, animatrice acr…).<br />

– Successivamente è nato in me il desiderio di fare una scelta personale<br />

di fede.<br />

41


– Esperienza forte che ha contribuito in questo è stata sicuramente la mia<br />

partecipazione al Campo educatori diocesano, il quale mi ha permesso<br />

di scoprire una realtà più grande, quella diocesana, e di fare il punto<br />

<strong>della</strong> situazione rispetto alla mia vita spirituale e di fede; di prendere<br />

consapevolezza del fatto che come educatrice e come giovane avevo e ho<br />

il compito di testimoniare con la mia stessa vita il mio essere cristiana.<br />

– Due in particolare sono state le persone che hanno influenzato positivamente<br />

il mio percorso di crescita, il “vecchio” parroco di Praissola Don<br />

Emilio e l’animatore Alberto. Entrambi, sono state due figure particolarmente<br />

significative in quanto mi hanno accompagnato con costanza<br />

e attenzione nelle mie scelte quotidiane e nel mio percorso di educatrice<br />

acr, credendo in me e dandomi fiducia. Questa loro attenzione nei miei<br />

confronti ha fatto sì che mi mettessi pienamente in gioco.<br />

Due persone particolarmente credibili e “convincenti” in quanto, anche<br />

loro, avevano vissuto personalmente le esperienze a me proposte.<br />

– Al ritorno dal campo educatori, ho preso consapevolezza del fatto che<br />

ero in costante cammino, un cammino da “personalizzare” continuamente.<br />

È nata in me l’esigenza di vivere altre esperienze quali Week-end di<br />

spiritualità giovani, Week-end Mendicanti del Cielo e il gruppo giovani<br />

vicariale. Contesti che tuttora mi danno “ossigeno e forza” per vivere la<br />

quotidianità, situazioni nelle quali l’incontro con i testimoni presentati<br />

mi permettono di rinnovare e rinsaldare il mio percorso di vita.<br />

Ritengo particolarmente arricchente la condivisione e il confronto che<br />

avviene con gli animatori <strong>della</strong> mia parrocchia i quali, come me, vivono<br />

il desiderio di crescere nella fede e alcuni dei quali hanno deciso proprio<br />

quest’anno di fare un’esperienza particolare, quella del Sichem.<br />

– Con il tempo e in seguito a queste esperienze, è nato in me il desiderio<br />

di essere accompagnata da una guida spirituale, la quale rappresenta<br />

un punto di riferimento per la mia crescita di fede e umana, ed ha una<br />

capacità importante, quella di sapermi ascoltare. Grazie alla sua presenza<br />

è cambiato il mio rapporto con la Parola, scoprendone l’importanza e<br />

la necessità di un confronto quotidiano con essa.<br />

La fede attualmente rappresenta una sicurezza nella mia vita, mi permette<br />

di leggere la realtà nella quale mi trovo a vivere e mi guida nelle<br />

scelte che quotidianamente mi ritrovo a fare, all’università, in famiglia,<br />

con gli amici e nel lavoro.<br />

– Conclusione: Vivo con entusiasmo e serenità questo momento. Vi è in<br />

me la consapevolezza che non si è mai arrivati ed è mio desiderio “alimentarmi”<br />

con altre nuove esperienze.<br />

Laura<br />

42


ESPERIENZA DI ANDREA<br />

Ciao, sono Andrea, ho venticinque anni, sono <strong>della</strong> parrocchia di S.<br />

Francesco, qui a Vicenza, e faccio parte del movimento dei focolari.<br />

Svolgo diverse attività all’interno <strong>della</strong> Chiesa, intesa come parrocchia e<br />

come movimento, ma, quel che per me è importante non è quello che faccio:<br />

l’importante è il perché.<br />

Io, come qualsiasi altro cristiano, ho posto al centro <strong>della</strong> mia esistenza<br />

Dio.<br />

Una scelta inusuale in questi tempi, visto che gli dèi sono molti: il Denaro,<br />

il Successo, il Lavoro, ma anche Noi Stessi.<br />

Anche per me non è facile andare controcorrente ogni giorno e magari<br />

essere criticato per le mie scelte o per i miei valori, ma so che è nel Vangelo<br />

che posso trovare la ricetta giusta per costruire una vita degna di essere<br />

vissuta.<br />

Il cammino che mi ha portato a conoscere Dio è stato lungo.<br />

Il primo seme lo hanno posto nel mio cuore i miei genitori.<br />

Entrambi erano molto attivi in parrocchia, ma, a metà degli anni ottanta,<br />

su impulso del loro parroco, don Lorenzo Campagnolo, hanno capito che<br />

non era importante il fare e il proporre accattivanti attività parrocchiali,<br />

quello che contava era testimoniare Cristo prima nella vita quotidiana: gli<br />

incontri venivano dopo.<br />

Don Lorenzo, che faceva parte del movimento dei focolari, aveva preso<br />

come punto di partenza delle proprie attività pastorali non tanto i giovani,<br />

quanto le famiglie, viste come fulcro <strong>della</strong> comunità cristiana.<br />

Oltre ai miei genitori numerosi altri giovani <strong>della</strong> loro età hanno capito<br />

che la vita cristiana non si fonda su tradizioni morte, ma sul Vangelo vissuto.<br />

Di riflesso noi figli, cioè io e gli altri bambini (all’epoca), siamo stati cresciuti<br />

con l’idea che fare un’attività in parrocchia non fosse un banale stare<br />

con i propri amici: l’importante era donare.<br />

A parte la tradizionale attività di servizio eucaristico-liturgico dei chierichetti,<br />

molti di noi facevano parte del coro ragazzi, che raccoglieva i bambini<br />

dai cinque ai tredici anni e che era animato da alcuni giovani di diciottovent’anni.<br />

È stata una semplice esperienza, ma ci ha insegnato che anche chi ha<br />

poco può sempre dare qualcosa.<br />

Nel frattempo avevo iniziato a frequentare i gruppi dei bambini del<br />

43


movimento dei focolari, i gen 4 (fino ai dieci anni) e i gen 3 (fino ai 16). Nei<br />

nostri incontri abbiamo imparato a calare il Vangelo nella nostra vita di tutti<br />

i giorni. Poi, insieme, condividevamo le nostre esperienze di vita vissuta e i<br />

nostri piccoli atti d’amore.<br />

Qualche anno dopo ho avuto modo di approfondire il mio rapporto personale<br />

con Dio grazie al sacramento <strong>della</strong> confessione. È stato molto importante<br />

avere a fianco sacerdoti come don Mariano Piazza che non passava<br />

in rassegna in maniera inquisitoria alle mie debolezze, ma mi spronava a<br />

migliorare come se fosse un papà.<br />

In questo periodo, inoltre, sono stato colpito dalla persona di don Dario<br />

Vivian: nelle sue prediche ci spronava a vivere il nostro essere cristiani non<br />

solo nella quotidianità delle nostre giornate, ma anche come cittadini che<br />

devono dare il proprio contributo per costruire una società giusta.<br />

Durante l’adolescenza ho continuato la mia vita in parrocchia frequentando<br />

i gruppi giovanili, ma non sempre trovavo quella radicalità nel vivere<br />

il Vangelo di cui avevo sete. Mi sembravano più momenti per trovarci<br />

tra amici che per andare in profondità nella nostra vita cristiana. Alcune<br />

occasioni preziose, invece, potevano essere le veglie organizzate dall’unità<br />

pastorale e da quelle preparate dai giovani del seminario minore, ma la provocazione<br />

rimaneva circoscritta e limitata a quei momenti. Le attività certo<br />

non mancavano (raccolte di viveri, di carta, la “stella”, i campi scuola), ma,<br />

nonostante l’impegno degli animatori, noi ragazzi le vivevamo con un po’ di<br />

superficialità.<br />

Certamente questo tipo di esperienze di condivisione è utile, ma noi non<br />

siamo volontari qualunque, siamo volontari cristiani e per noi condividere<br />

un’esperienza non significa fare tutti la stessa cosa, ma costruire la presenza<br />

di Gesù fra di noi. Sono occasioni per sperimentare un clima diverso, un<br />

clima di “Gesù in mezzo”, che si è poi portati a trasmettere anche a chi queste<br />

esperienze non le ha fatte.<br />

In un campo di lavoro di qualche anno fa nel 2007 in Croazia ho avuto la<br />

possibilità di vivere appieno queste due dimensioni: quella pratica di volontario<br />

e quella di crescita spirituale cristiana. Cercavamo di fare il nostro<br />

lavoro con amore, anche se questo comportava lo sgobbare qualche ora in<br />

più, saltando o diminuendo le pause, per finire di imbiancare un muro o tinteggiare<br />

una staccionata. Abbiamo capito che anche queste semplici azioni<br />

diventavano un’occasione per amare Gesù nell’altra persona.<br />

Finora ho parlato del mio percorso per conoscere Dio, ma, in realtà, è<br />

sempre stato Lui a darmi tante occasioni per conoscerLo.<br />

44


Qualche anno fa è venuto a bussare alla mia porta con un volto nuovo,<br />

quello del dolore.<br />

Per circa tre anni ho avuto dei problemi polmonari (pneumotoraci) che<br />

mi hanno costretto a frequenti ricoveri in ospedale: la prima operazione, che<br />

doveva essere definitiva, ha infatti inaugurato una lunga serie di interventi<br />

chirurgici.<br />

Al di là del dolore fisico ho iniziato a perdere la speranza in una ripresa<br />

definitiva.<br />

Mi domandavo spesso, mentre assistevo al crollo del mio piccolo mondo<br />

e delle mie certezze (la salute, le uscite con gli amici, la chitarra, il nuoto,<br />

lo studio all’università, ecc...), perché Dio volesse la mia sofferenza e in che<br />

modo potessi viverla.<br />

È facile amare quando va tutto bene e quando ci sembra di avere qualcosa<br />

da dare, tuttavia ho capito che è possibile farlo anche quando si è “privi<br />

di mezzi” e si dipende dagli altri: il segreto è buttarsi verso il nostro prossimo<br />

(come il compagno di stanza che aveva bisogno di un aiuto per tirare su<br />

lo schienale del letto o l’infermiera alla quale cercavo di sorridere, mentre<br />

allungavo il braccio per i prelievi -odio gli aghi!-).<br />

La migliore medicina per il peggiore dei mali (non il pneumotorace, ma<br />

l’egoismo e la chiusura in noi stessi e nel nostro dolore) è quindi l’amore.<br />

Che è gratis, non presenta effetti collaterali dannosi, funziona anche nelle<br />

situazioni più delicate (quando viviamo un momento di dolore, di fronte al<br />

nostro nemico, ecc...) e non serve andarlo a prendere in farmacia: nel nostro<br />

cuore Dio ne ha messo una quantità infinita, se lo sappiamo tirare fuori!<br />

Dio non vuole mai il nostro male, anzi, cammina sempre accanto a noi.<br />

Io l’ho sentito nei miei genitori, in mio fratello e nei miei parenti (che mi<br />

portavano gelati per farmi “mangiare”), negli infermieri, negli operatori e<br />

nei medici (che mi raccontavano barzellette e rimanevano a scherzare con<br />

me), negli amici (che mi hanno sempre tirato su il morale), nelle persone<br />

<strong>della</strong> parrocchia (anche quelle che conoscevo di vista e mi sono venute a<br />

salutare) e nei sacerdoti che si sono succeduti a San Francesco.<br />

Alla fine sento di dover ringraziare Dio anche per quest’esperienza.<br />

E ora...l’avventura continua perché la scelta di Dio è una sfida quotidiana.<br />

Andrea<br />

45


FONDO PER ESIGENZE DI CULTO E PASTORALE ANNO 2010<br />

SOMME EROGATE DALLA DIOCESI PER:<br />

A. Esercizio del culto:<br />

1. Nuovi complessi parrocchiali 78.250,00<br />

2. Conservazione o restauro edifici di culto già esistenti<br />

o altri beni culturali ecclesiastici 92.500,00<br />

3. Arredi sacri delle nuove parrocchie 0,00<br />

4. Sussidi liturgici 10.000,00<br />

5. Studio, formazione e rinnovamento delle forme<br />

di pietà popolare 6.500,00<br />

6. Formazione di operatori liturgici 11.000,00<br />

Totale 198.250,00<br />

B. Esercizio e cura delle anime:<br />

1. Attività pastorali straordinarie 66.570,46<br />

2. Curia diocesana e centri pastorali diocesani 718.800,00<br />

3. Tribunale ecclesiastico diocesano 8.000,00<br />

4. Mezzi di comunicazione sociale a finalità pastorale 170.480,00<br />

5. Istituto superiore di scienze religiose 13.000,00<br />

6. Contributo alla facoltà teologica 16.670,61<br />

7. Archivi e biblioteche di enti ecclesiastici 0,00<br />

8. Manutenzione straordinaria di case canoniche<br />

e/o locali di ministero pastorale 44.000,00<br />

9. Consultorio familiare diocesano 17.500,00<br />

10. Parrocchie in condizioni di straordinaria necessità 42.000,00<br />

11. Enti ecclesiastici per il sostentamento dei<br />

sacerdoti addetti 0,00<br />

12. Clero anziano e malato 0,00<br />

13. Istituti di vita consacrata in straordinaria necessità 0,00<br />

Totale 1.097.021,07<br />

C. Formazione del clero:<br />

1. Seminario diocesano, interdiocesano, regionale 22.000,00<br />

2. Rette di seminaristi e sacerdoti studenti a Roma<br />

o presso altre facoltà ecclesiastiche 20.000,00<br />

3. Borse di studio per seminaristi 0,00<br />

46<br />

RENDICONTO RELATIVO ALL’EROGAZIONE<br />

DELLE SOMME ATTRIBUITE ALLA DIOCESI<br />

DALLA CONFERENZA EPISCOPALE ITALIANA<br />

EX ART. 47 DELLA LEGGE 222/1985<br />

(8 PER MILLE) PER L’ANNO 2010


4. Formazione permanente del clero 13.000,00<br />

5. Formazione al diaconato permanente 1.000,00<br />

6. Pastorale vocazionale 25.000,00<br />

Totale 81.000,00<br />

D. Scopi Missionari:<br />

1. Centro missionario diocesano e animazione missionaria 0,00<br />

2. Volontari missionari laici 0,00<br />

3. Cura pastorale degli immigrati presenti in diocesi 5.000,00<br />

4. Sacerdoti Fidei Donum 10.000,00<br />

Totale 15.000,00<br />

E. Catechesi ed educazione cristiana:<br />

1. Oratori e patronati per ragazzi e giovani 0,00<br />

2. Associazioni ecclesiali (per la formazione dei membri) 51.700,00<br />

3. Iniziative di cultura religiosa nell’ambito <strong>della</strong> <strong>Diocesi</strong> 5.000,00<br />

Totale 56.700,00<br />

F. Contributo al servizio diocesano per la promozione del<br />

sostegno economico alla Chiesa 2.324,06<br />

G. Altre erogazioni: 0,00<br />

TOTALE DELLE EROGAZIONI EFFETTUATE NEL 2010 1.450.295,13<br />

RIEPILOGO<br />

TOTALE DELLE SOMME DA EROGARE<br />

PER L’ANNO 2010 1.450.295,13<br />

A DEDURRE TOTALE EROGAZIONI EFFETTUATE<br />

NELL’ANNO 2010 (fino al 31 marzo <strong>2011</strong>) -1.450.295,13<br />

DIFFERENZA 0,00<br />

INTERESSI NETTI del 30.09.2010; 31.12.2010 e 31.03.<strong>2011</strong> 3.438,33<br />

SALDO CONTO CORRENTE AL 31 MARZO <strong>2011</strong> 3.438,33<br />

47


II. PER INTERVENTI CARITATIVI<br />

A. Distribuzione a persone bisognose:<br />

1. Da parte <strong>della</strong> diocesi 159.849,00<br />

2. Da parte delle parrocchie 44.350,00<br />

3. Da parte di altri enti ecclesiastici 107.544,00<br />

Totale 311.743,00<br />

B. Opere caritative diocesane:<br />

1. In favore di extracomunitari 16.402,00<br />

2. In favore di tossicodipendenti 10.000,00<br />

3. In favore di anziani 10.000,00<br />

4. In favore di portatori di handicap 13.514,00<br />

5. In favore di altri bisognosi 165.576,28<br />

6. Fondo antiusura (diocesano o regionale) 0,00<br />

Totale 215.492,28<br />

C. Opere caritative parrocchiali:<br />

1. In favore di extracomunitari 41.768,00<br />

2. In favore di tossicodipendenti 2.000,00<br />

3. In favore di anziani 0,00<br />

4. In favore di portatori di handicap 16.822,00<br />

5. In favore di altri bisognosi 12.000,00<br />

Totale 72.590,00<br />

D. Opere caritative di altri enti ecclesiastici: 20.000,00<br />

E. Altre erogazioni:<br />

1. Centro di accoglienza e attività promosse dalla Caritas<br />

Totale 284.051,00<br />

TOTALE DELLE EROGAZIONI EFFETTUATE NEL 2010 903.876,28<br />

RIEPILOGO<br />

TOTALE DELLE SOMME DA EROGARE<br />

PER L’ANNO 2010 903.876,28<br />

A DEDURRE TOTALE EROGAZIONI EFFETTUATE<br />

NELL’ANNO 2010 (fino al 31 marzo <strong>2011</strong>) -903.876,28<br />

DIFFERENZA 0,00<br />

INTERESSI NETTI del 30.09.2010; 31.12.2010 e 31.03.<strong>2011</strong> 2.404,76<br />

SALDO CONTO CORRENTE AL 31 MARZO <strong>2011</strong> 2.404,76<br />

48


BILANCIO CARITAS<br />

CARITAS DIOCESANA<br />

BILANCIO CONSUNTIVO ANNO 2010<br />

A GESTIONE ORDINARIA 2010<br />

Giacenza al 01/01/2010 4.094,35<br />

ENTRATE<br />

Dalla <strong>Diocesi</strong> 8‰ C.E.I. (Opere Caritative) 48.500,00<br />

Interessi attivi 1.227,53<br />

Trattenute su offerte (cfr. circ. C.E.I. n. 27/1998) per costi di gestione 39.366,67<br />

Entrate da commissioni 2.253,79<br />

Altre entrate (rimborsi sussidi, ecc.) 629,76<br />

Primo acconto sul risarcimento danni per alluvione<br />

del 1° novembre 2010 15.421,20<br />

Totale entrate 107.398,95<br />

USCITE<br />

Spese di segreteria 6.261,06<br />

- Spese telefoniche 2.244,50<br />

- Spese postali 414,43<br />

- Cancelleria, carta per fotocopie, toner, ecc. 921,25<br />

- Assicurazione sede, oneri per gestione rifiuti e pulizia 1.998,76<br />

- Altre spese 682,12<br />

Stipendi e oneri personale 60.298,34<br />

Oneri bancari, imposte e tasse 741,86<br />

Spese per direzione diocesana e per attività con Caritas Triveneto<br />

e Caritas Italiana 15.903,29<br />

- Caritas Italiana: formazione, assemblee, convegni, ecc. 1.092,00<br />

- Delegazione Caritas Nord Est per formazione, assemblee, ecc. 6.213,00<br />

- Caritas Diocesana: assemblee, esercizi spirituali, direttivo, ecc. 155,00<br />

- Rimborsi spese a direzione (quattro persone) 4.888,19<br />

- Per Collegamento Pastorale 46,50<br />

- Sussidi, abbonamenti a riviste specialistiche, quotidiani, ecc. 914,50<br />

- Altre spese per attività istituzionali 2.594,10<br />

Attività di animazione-formazione in <strong>Diocesi</strong> (Commissioni) 27.299,46<br />

- Spese per corsi di formazione, incontri e convegni formativi 17.182,07<br />

- Rimborsi spese a volontari 4.726,50<br />

- Spese per Comunità Cafarnao (fitto, utenze,ecc.) e giovani 4.202,07<br />

- Altre spese (sussidi, postali, ecc.) 1.188,82<br />

Spese per manutenzione e gestione ordinaria sede (contrà Torretti) 739,09<br />

Totale uscite 111.243,10<br />

Giacenza al 31/12/2010 per gestione ordinaria 250,20<br />

49


B OFFERTE 2010 NON VINCOLATE<br />

PER I SERVIZI DELLA CARITAS DIOCESANA<br />

Giacenza al 01/01/2010 74.834,00<br />

ENTRATE<br />

Dalla <strong>Diocesi</strong> 8‰ C.E.I. (Opere Caritative) 136.743,01<br />

Offerte a Caritas non finalizzate 36.302,24<br />

Offerte per lo sportello accoglienza 350,00<br />

Totale entrate 173.395,25<br />

USCITE<br />

Contributi ad Associazione Diakonia Onlus 237.582,51<br />

- Per servizi-segno 2010 62.000,00<br />

- Per servizi-segno <strong>2011</strong> 175.582,51<br />

Sostegno a enti e associazioni 3.044,36<br />

Sportello accoglienza Caritas 6.120,14<br />

Totale uscite 246.747,01<br />

Giacenza al 31/12/2010 per servizi <strong>della</strong> Caritas Diocesana 1.482,24<br />

C OFFERTE 2010 GIÀ FINALIZZATE<br />

IN AMBITO DIOCESANO<br />

Giacenza al 01/01/2010 per specifici progetti in ambito diocesano 115.239,77<br />

ENTRATE<br />

Dalla <strong>Diocesi</strong> 8‰ C.E.I. (Opere Caritative) 4.124,32<br />

Per percorso prima ospitalità 13.720,00<br />

Per progetto donna 1.900,00<br />

Per ricovero notturno e Casa S. Martino 8.087,32<br />

Per progetto microcredito etico-sociale 1.850,00<br />

Per fondo straordinario di solidarietà 15.164,31<br />

Per sostegni di vicinanza 1.250,00<br />

Da Caritas Italiana per progetti 8‰ 174.030,00<br />

Totale entrate 220.125,95<br />

USCITE<br />

Per percorso prima ospitalità (di cui € 20.000 a ass. Diakonia onlus) 25.771,78<br />

Per progetto donna 2.414,78<br />

Per ricovero notturno, Casa S. Martino e gruppo condivisione di strada 7.493,65<br />

Per progetto nomadi 5.499,98<br />

A Diakonia onlus per progetto microcredito etico-sociale 1.850,00<br />

Per progetto carcere (di cui € 60.000 a ass. Diakonia onlus) 67.910,70<br />

A Diakonia onlus per fondo straordinario di solidarietà 13.544,31<br />

A Diakonia onlus per fondo povertà estrema 25.582,51<br />

A Diakonia onlus per sostegni di vicinanza 750,00<br />

A Diakonia onlus per progetti 8‰ Caritas Italiana 174.030,00<br />

Totale uscite 324.847,71<br />

Giacenza al 31/12/2010 per specifici progetti in ambito diocesano 10.518,01<br />

50


D OFFERTE 2010 GIÀ FINALIZZATE PER EMERGENZE<br />

UMANITARIE E PROGETTI INTERNAZIONALI<br />

Giacenza collette al 01/01/2010 314.079,13<br />

ENTRATE<br />

Per sostegni a distanza di disabili 16.131,88<br />

- In India con la ONG Cater Trust 3.790,00<br />

- In India “Centri Diurni” con la ONG Cater Trust 6.726,88<br />

- In Repubblica Democratica del Congo con le suore Saveriane 4.225,00<br />

- In Togo e Benin con l’associazione Kekeli Neva (La Luce Venga) 620,00<br />

- In Thailandia con i missionari del PIME 770,00<br />

Per rimpatri mutuati 1.347,18<br />

Per emergenza fame nel terzo mondo 100,00<br />

Per emergenza terremoto Abruzzo (ottobre 2009) 70.695,00<br />

Per emergenza terremoto Haiti (gennaio 2010) 787.287,25<br />

Per emergenza terremoto Cile (febbraio 2010) 11.890,00<br />

Per emergenza terremoto Cina (aprile 2010) 100,00<br />

Per emergenza alluvione Vicenza (novembre 2010) 676.408,84<br />

- Per alluvionati 669.908,84<br />

- Espressamente finalizzati dai donatori al ripristino sede<br />

e servizi Caritas 6.500,00<br />

Per alluvione Pakistan (agosto 2010) 33.358,13<br />

Totale entrate 1.597.318,28<br />

USCITE<br />

Per sostegni a distanza di disabili 12.780,90<br />

- In India con la ONG Cater Trust 2.680,01<br />

- In India “Centri Diurni” con la ONG Cater Trust 5.575,89<br />

- In Repubblica Democratica del Congo con le suore Saveriane 3.135,00<br />

- In Togo e Benin con l’associazione Kekeli Neva (la Luce Venga) 620,00<br />

- In Thailandia con i missionari del PIME 770,00<br />

Per rimpatri mutuati 2.450,00<br />

Per emergenza maremoto sudest asiatico (dicembre 2004) 226,79<br />

Per emergenza fame nel terzo mondo 150,00<br />

Per progetto “bambini soldato in Repubblica Democratica del Congo” 12.100,00<br />

Per emergenza terremoto Abruzzo (ottobre 2009) 357.795,50<br />

Per emergenza terremoto Sumatra (ottobre 2009) 1.340,00<br />

Per emergenza terremoto Haiti (gennaio 2010) di cui € 102.664,52 inviate<br />

a Delegazione Caritas Nord Est per opere in via di realizzazione 700.735,83<br />

Per emergenza terremoto Cile (febbraio 2010) 11.890,00<br />

Per emergenza terremoto Cina (aprile 2010) 100,00<br />

Per emergenza alluvione Pakistan (agosto 2010) 33.223,13<br />

Per emergenza alluvione Vicenza (novembre 2010) 471.251,98<br />

- Per alluvionati 470.851,98<br />

- Per ripristino sede e servizi Caritas 400,00<br />

Totale uscite 1.604.044,13<br />

Giacenza collette al 31/12/2010 307.353,28<br />

51


52<br />

RIEPILOGO GENERALE ENTRATE - USCITE 2010<br />

Disponibilità<br />

al<br />

01.01.2010<br />

entrate uscite Disponibilità<br />

al<br />

31.12.2010<br />

GESTIONE ORDINARIA 4.094,35 107.398,95 111.243,10 250,20<br />

OFFERTE PER SERVIZI<br />

CARITAS DIOCESANA<br />

OFFERTE GIÀ FINALIZZATE<br />

IN AMBITO DIOCESANO<br />

74.834,00 173.395,25 246.747,01 1.482,24<br />

115.239,77 220.125,95 324.847,71 10.518,01<br />

OFFERTE GIÀ FINALIZZATE<br />

EM. UMANITARIE<br />

E AMBITO INTERNAZIONALE<br />

314.079,13 1.597.318,28 1.604.044,13 307.353,28<br />

TOTALE 508.247,25 2.098.238,43 2.286.881,95 319.603,73


INSEGNANTI DI RELIGIONE<br />

ELENCO INSEGNANTI DI RELIGIONE*<br />

PER L’ANNO SCOLASTICO 2010-<strong>2011</strong><br />

A. Scuole Secondarie di 2° grado<br />

VICENZA - Liceo Classico e Sperimentale “A. Pigafetta”: Pravato Dario (11), Caliaro<br />

Dino (20), Doro Nicoletta (18)<br />

Liceo Scientifico “P. Lioy”: Montepaone Antonio (18+4), Pravato Dario (10)<br />

Liceo Scientifico “G.B. Quadri”: Cisco Giuliano (18), Peron Diego (18), Viadarin Davide<br />

(19)<br />

Ist. Tec. Comm.le “A. Fusinieri”: Berti Carla (11), Zorzo Manuel (18)<br />

Ist. Tec.Comm.le “G. Piovene”: Bozzetto Monica (18), Gianello Maria Teresa (18+2),<br />

Martinello Elena (2)<br />

Ist. Tec. Geometri “A. Canova”: Krawcyzk p. Casimiro (18), Caleari Giorgia (18)<br />

Ist. Mag. e Sper. “G. Fogazzaro”: Franceschin Renzo (18), Confente Sr. Annamaria<br />

(18), Galvanin Anna (18), Martinello Elena (3)<br />

Ist. Tec. Ind. “A. Rossi”: Vignaga Maria Grazia (18+1), Gabrieletto Giancarlo (18+1),<br />

Berti Carla (8)<br />

Ist. Tec. “B. Boscardin”: Carezzoli Terenzio (18), Montemezzo Vania (18), Martinello<br />

Elena (13)<br />

Ist. Comm. Prof. Segr. Azienda “A. Da Schio”: Daddelli Franco (C.P.) (18), Bedin don<br />

Marco (13), Trentin don Luca (5)<br />

Ist. Prof. Femm. “B. Montagna”: Zanuso Giovanni (18), Pravato Diego (18), Callipo Sr.<br />

Rosaria (8)<br />

Ist. Prof. Ind. Art. “F. Lampertico”: Baretta Maria Pia (18), Bedin don Lino (18),<br />

Infanti Nicola (2)<br />

ARZIGNANO - Ist. d’Istruzione Superiore “L. Da Vinci”: Perlotto Anna (18), Corato Giuseppe<br />

(18+1)<br />

Ist. Tec. Conciario “G. Galilei”: Tonin Carlo (20), Massignani Michele (2)<br />

* tra parentesi le ore settimanali di lezione<br />

53


BASSANO - Liceo Ginnasio e Sperim. “GB Brocchi”: Poletto Riccardo (18), Maestro<br />

Piero (18), Zonta Maria Elena (18), Meneghetti Gianluigi (18), Fontana Andrea (8)<br />

Liceo Scientifico “J. da Ponte”: Gianesin Silvia (18), Carlesso Giampaolo (18), Bassan<br />

Alessandro (10)<br />

Ist. Tec. Comm. “L. Einaudi”: Frigo Giovanni Bruno (18), Bortolamai Giovanni (18),<br />

Baù Viviano (18), Bassan Alessandro (5)<br />

Ist. Tec. Ind. “E. Fermi”: Forlani sr. Margherita (18), Geremia Giuseppe (17)<br />

Ist. Prof. Comm. Segr. Azienda “G. A. Remondini”: Benetti Sergio (18+1), Zordan<br />

Gina (18), Filippucci Antonella (18)<br />

Ist. Prof. Agrario “Parolini”: Cuman Enrico (18), Fontana Andrea (6)<br />

BREGANZE - Ist. Prof. Stat. per l’Ind. e l’Art. “A. Scottono”: Zolin Carmen (12), Zanella<br />

Paola (15), Sezione staccata di Bassano: Rossi Lorenzo (C.P) (18), Zanella Paola (3),<br />

Fontana Andrea (4)<br />

LONIGO - Ist. d’Istruzione Superiore di Lonigo: Cerato Emanuela (18), Stocco don<br />

Simone (2), Alfonsi M. Giulietta (18+2)<br />

Ist. Tec. Agrario “A. Trentin”: Serena Davide (18+3), Stocco don Simone (8)<br />

MONTECCHIO MAGGIORE - Ist. d’Istruzione Superiore “S. Ceccato”: Diana Annalisa<br />

(18), Dalla Costa Dario (18)<br />

NOVE - Ist. D’Arte e Ceramica “G. De Fabris”: Geremia Giuseppe (1), Pietrobelli Paola (18)<br />

NOVENTA VICENTINA - Ist. Tec. Comm. “U. Masotto”: Chiumento Antonella (17), Dal<br />

Maso Fabio (18)<br />

Ist. Prof. Ind. Artigianato “L. da Vinci”: Vanzo Brian (18), Chiumento Antonella (2),<br />

Brombin Alessio (4)<br />

RECOARO TERME - Ist. Prof. Alberghiero “P. Artusi”: Pretto Giuseppe (18), Piccoli<br />

Damiano (18), Primon Massimiliano (5)<br />

SCHIO - Liceo Classico Statale “G. Zanella” con Sperimentazione ad Indirizzo Linguistico<br />

e Pedagogico Sociale: D’Autilia Ylenia (9), Milani Patrizia (18), Franzan Carlo (1)<br />

Liceo Scientifico “N.Tron”: Maso Paola (18), Ranzolin Antonio (18), Benazzato don<br />

Marco (3), Vaiente Luca (3)<br />

Ist. Tec. Geometri “L. e V. Pasini”: Borgo Basso Luisa (18), De Pretto Loredana (18),<br />

Vaiente Luca (6)<br />

Liceo Artistico “A. Martini”: Franzan Carlo (12) Sezione staccata: Novello Giambattista<br />

(18), Franzan Carlo (5)<br />

Ist. Tec. Ind. “S. De Pretto”: Castiglion Roberto (18), Vaiente Luca (9)<br />

Ist. Prof. Ind. Art. Comm. “G.B. Garbin”: Zambon Adolfo (15) Succursale di Via Marconi:<br />

D’Autilia Ylenia (9), Zambon Adolfo (3), Costa Laura (2)<br />

VALDAGNO - Liceo Classico e Scientifico “GG. Trissino”: Cocco Lasta Elisabetta (8+2),<br />

Povolo Davide (19)<br />

54


Liceo Artistico “U. Boccioni” (aggregato al Liceo Classico “G.G. Trissino”): Cocco Lasta<br />

Elisabetta (10)<br />

Ist. Tec. Ind. “V.E. Marzotto”: Massignani Stefano (3), Storato Paolo (18)<br />

Ist. Tec. Comm. “L. Luzzati”: Massignani Stefano (15), Lorenzi Lorella (18)<br />

PROVINCIA DI PADOVA<br />

PIAZZOLA SUL BRENTA - Ist. Tec. Comm. “R. da Piazzola”: Corradin Stefano (19), Corradin<br />

Caterina (18)<br />

PROVINCIA DI VERONA<br />

COLOGNA VENETA - Liceo Scientifico “Roveggio”: Gini Luciano (15)<br />

S. BONIFACIO - Ist. Magistrale “G. Veronese”: Bertagnin Annamaria (18), De Facci<br />

Damiano (19)<br />

Istituto Statale di istruzione secondaria superiore “M. O. Luciano dal Cero”: Nicolis<br />

Enzo (18), Restello Luca (18), Gini Luciano (3), Zuffolato Monica (4)<br />

B. Scuole Secondarie di 1° grado<br />

VICENZA - Istituto Comprensivo di VICENZA 1 Scuola Media Contra’ S. Caterina:<br />

Marchere M. Rosaria (13)<br />

Istituto Comprensivo di VICENZA 2 Scuola Media “ Bortolan” Via Piovene: Bonato<br />

Floriano (13)<br />

Istituto Comprensivo di VICENZA 3 Scuola Media “V. Scamozzi” Via Einaudi: Benato<br />

Cristina (4), Belluzzo Ersilia (5) Scuola Media Torri di Arcugnano (capoluogo): Benato<br />

Cristina (10)<br />

Istituto Comprensivo di VICENZA 4 Scuola Media: Corato Mario (10)<br />

Istituto Comprensivo di VICENZA 5 Scuola Media “Giuriolo” Contra’ Riale: Magarotto<br />

Monica (18), Dalla Vecchia Cristina (1)<br />

Istituto Comprensivo di VICENZA 6 Scuola Media “Muttoni” Via Massaria: Menegato<br />

Simonetta (16)<br />

Istituto Comprensivo di VICENZA 7 Scuola Media Via Mainardi – Anconetta: Menegato<br />

Simonetta (2+1), Fontana Scilla (6)<br />

Istituto Comprensivo di VICENZA 8 Scuola Media Via Carta: Infanti Nicola (11)<br />

Istituto Comprensivo di VICENZA 9 Scuola Media Via Bellini: Menini don Matteo (9),<br />

Infanti Nicola (5)<br />

Istituto Comprensivo di VICENZA 10 Scuola Media “Calderari” Via Legione Antonini:<br />

Menti Lamberto (17)<br />

Istituto Comprensivo di VICENZA 11 Scuola Media Via Prati: Mottin Donatella (18),<br />

Guiotto Alice (2)<br />

55


ALTAVILLA - Istituto Comprensivo “G. Marconi”: Maraschin Cinzia (16)<br />

ALTISSIMO/CRESPADORO - Istituto comprensivo “G. Ungaretti”: Dal Bianco Dario (6)<br />

Sezione staccata di S. Pietro Mussolino: Dal Bianco Dario (3)<br />

ARSIERO - Istituto Comprensivo: Schiavo Paolo (9) Sezione staccata di S. Pietro di Valdastico:<br />

Schiavo Paolo (3)<br />

ARZIGNANO - “E. Motterle”: Antonacci Gabriella (11+3), Massignani Michele (3)<br />

Sezione di Via Bonazzi: Massignani Michele (15) Sezione staccata di Montorso: Antonacci<br />

Gabriella (7)<br />

BARBARANO VICENTINO - Istituto Comprensivo “R. Fabiani”: Marchetto don Pietro (11)<br />

BASSANO DEL GRAPPA - Sc. Media di Piazzale Trento “Vittorelli”: Lollato Serena (17)<br />

Succursale di Via Generale Basso: Pizzato Vittoria (12) Succursale di Marchesane: Pizzato<br />

Vittoria (2), Lollato Serena (1+2)<br />

“G. Bellavitis” Sede principale: Loro Luigina (18+1), Pizzato Vittoria (4), Bassan<br />

Alessandro (2)<br />

BOLZANO VICENTINO - Istituto Comprensivo “G. Zanella”: Meneghini Dirce (9) Sezione<br />

staccata di Quinto Vic.no: Bonato Floriano (5), Meneghini Dirce (1)<br />

BREGANZE - Istituto Comprensivo “G. Laverda”: Ambrosi Angela (7), Filippi Giovanni<br />

(6)<br />

BRENDOLA - Istituto Comprensivo “G. Galilei”: Volpiana Pierluigi (3+2), Gironda<br />

Giampaolo (2+4)<br />

CALDOGNO - Istituto Comprensivo “D. Alighieri”: Fontana Scilla (12), Benetti Giuliana<br />

(3)<br />

CAMISANO - Istituto Comprensivo: Belluzzo Ersilia (13)<br />

CASSOLA - Istituto comprensivo “G. Marconi” S. Giuseppe di Cassola e Cassola centro:<br />

Battaglia Graziana (18)<br />

CASTELGOMBERTO - Istituto Comprensivo “E. Fermi”: Tamiozzo Dina (15)<br />

CHIAMPO - Scuola Media “S. Negro”: Folco don Franco (16)<br />

CORNEDO - Istituto Comprensivo “A. Crosara”: Tamiozzo Dina (3), Lora M. Rosa (6),<br />

Folco don Franco (2), Battistin Flavia (3)<br />

COSTABISSARA - Istituto Comprensivo “G. Ungaretti”: Pravato Luciano (11) Sezione<br />

staccata di Monteviale: Pravato Luciano (4)<br />

56


CREAZZO - Istituto Comprensivo “A. Manzoni”: Maraschin Cinzia (2), Rossi Luca (13)<br />

DUEVILLE - Istituto Comprensivo “A.G. Roncalli”: Guerra Doriana (18+1)<br />

GRANCONA - Istituto Comprensivo di Grancona: Volpiana Pierluigi (6)<br />

ISOLA VIC.NA - Istituto Comprensivo”G. Galilei”: Pravato Luciano (3), Rossi Luca (4)<br />

Sezione staccata di Castelnovo: Rossi Luca (6)<br />

LONGARE - Istituto Comprensivo “B. Bizio”: Cipriano Ciro (8) Sezione staccata di<br />

Castegnero: Cipriano Ciro (6)<br />

LONIGO - Istituto Comprensivo “C. Ridolfi”: Montagna Marisa (18), Stocco don Simone<br />

(3)<br />

MALO - Istituto Comprensivo “G. Ciscato”: Fontana Maurizio (18) Sezione staccata di<br />

Monte di Malo: Battistin Flavia (4)<br />

MARANO VICENTINO - Istituto Comprensivo “V. Alfieri”: Filippi Giovanni (14)<br />

MAROSTICA - “N. Dalle Laste”: Trentin Serena (18), Bernardi Giuliana (2)<br />

MASON VIC.NO - Istituto comprensivo “A. De Gasperi”: Angela Ambrosi (11)<br />

MONTEBELLO VIC.NO - Istituto Comprensivo “A. Pedrollo”: Gironda Giampaolo (11)<br />

Sezione staccata di Gambellara: Gironda Giampaolo (5)<br />

MONTECCHIO MAGG.RE - “A. Frank”: Martini Valeria (18) Sezione staccata di Alte Ceccato:<br />

Dal Bianco Dario (11)<br />

MONTICELLO CONTE OTTO - Istituto Comprensivo “D. Bosco” – Cavazzale: Signorato<br />

Monica (12)<br />

NOVE - Istituto Comprensivo “P. Antonibon”: Caliaro Mirko (9) Sezione staccata di Cartigliano:<br />

Caliaro Mirko (7) Sez. staccata di Pozzoleone: Caliaro Mirko (5)<br />

NOVENTA VICENTINA - Istituto Comprensivo “A. Fogazzaro”: Gazzetta Mariangela<br />

(12+2)<br />

ORGIANO - Istituto Comprensivo “G. Piovene”: Gazzetta Mariangela (6+2)<br />

POIANA MAGG.RE - Istituto Comprensivo “A. Palladio”: Costalunga M. Donatella (C.P.)<br />

(6) Sezione staccata di Campiglia dei Berici: Costalunga M. Donatella (C.P.) (4)<br />

RECOARO TERME - Istituto comprensivo: Montagna don Maurizio (9)<br />

57


ROSÀ - Istituto comprensivo “A.G. Roncalli”: Tosatto Paola (18), Meneghini Dirce (3)<br />

SANDRIGO - “G. Zanella”: Marin Federica (10), Signorato Monica (6)<br />

SANTORSO - Istituto Comprensivo di Santorso: Schiavo Paolo (9)<br />

SARCEDO - Istituto Comprensivo “T. Vecellio”: Bernardi Giuliana (8) Sezione staccata<br />

di Zugliano (in <strong>Diocesi</strong> di Padova): Bernardi Giuliana (9)<br />

SAREGO - Istituto Comprensivo “F. Muttoni”: Volpiana Pierluigi (9)<br />

SCHIO - Istituto Comprensivo B: Luccarda Massimo (18) Sezione staccata di S. Vito di<br />

Leguzz.: Danzo Lorenz (5), Ferretto Gabriella (1)<br />

Istituto Comprensivo “P. Maraschin”: Danzo Lorenz (13)<br />

Istituto Compresivo “A. Battistella”: Ferretto Gabriella (17)<br />

SOSSANO - Istituto Comprensivo: Costalunga Maria Donatella (C.P.) (6) Sezione staccata<br />

di Albettone: Costalunga Maria Donatella (C.P.) (2), Maddalena Ivano (1)<br />

SOVIZZO - Istituto Comprensivo di Sovizzo: Corato Mario (8), Menti Lamberto (2+2)<br />

TEZZE SUL BRENTA - Istituto Comprensivo “S. Francesco d’Assisi”: Cenzi Chiara (9+1)<br />

Sezione staccata di Belvedere di Tezze: Cenzi Chiara (9+1)<br />

TORREBELVICINO - Istituto Comprensivo “G. Carducci”: Battistin Falvia (11) Sez. staccata<br />

di Valli del Pasubio: Gobbo don Maurizio (6)<br />

TORRI DI QUARTESOLO 1 - Istituto comprensivo “Giovanni XXIII°”: Polesello Marina<br />

(11)<br />

TORRI DI QUARTESOLO 2 - Sez. staccata di Grumolo delle Abb.: Polesello Marina (7) Sc.<br />

Media di Marola: Marin Federica (8)<br />

TRISSINO - Istituto Comprensivo “A. Fogazzaro”: Peron Roberta (14)<br />

VALDAGNO - “M. Garbin”: Peron Roberta (4), Lorenzi Emanuela (18+2)<br />

Istituto Comprensivo di Via Pasubio Sc. Media “Lora” (Novale): Lora Maria Rosa (14)<br />

VILLAVERLA - Istituto Comprensivo “C. Goldoni”: Benetti Giuliana (10) Sezione staccata<br />

di Montecchio Prec.: Benetti Giuliana (7)<br />

58


PROVINCIA DI PADOVA<br />

CARMIGNANO DI BRENTA - Istituto Comprensivo “U. Foscolo”: Carolo Renata (11)<br />

FONTANIVA - Istituto Comprensivo “L. B. Alberti”: Tonellotto Santina (9), Agostini<br />

Federica (2)<br />

GRANTORTO - Istituto Comprensivo “J. R. Tintoretto”: Poloni Ivaba (2), Dal Lago Alessia<br />

(4) Sezione staccata di Gazzo Padovano: Poloni Ivana (4), Cipriano Ciro (2)<br />

PIAZZOLA SUL BRENTA - Istituto Comprensivo “L. Belludi”: Dal Lago Alessia (14)<br />

SAN GIORGIO IN BOSCO - Istituto Comprensivo: Tonellotto Santina (9)<br />

S. PIETRO IN GÙ - Istituto Comprensivo: Carolo Renata (7)<br />

VILLAFRANCA PADOVANA - Istituto Comprensivo: Cipriano Ciro (4)<br />

PROVINCIA DI VERONA<br />

COLOGNA VENETA - Istituto Comprensivo: Foscarin Simonetta (16)<br />

Istituto Comprensivo di Veronella e Zimella: Bortolaso d. Enrico (14)<br />

MONTECCHIA DI CROSARA - Istituto Comprensivo Sezione staccata di Montecchia di Cr.:<br />

Foscarin Simonetta (6) Sezione staccata di Roncà: Zaupa don Diego (6)<br />

S. BONIFACIO - Scuola Media “G. Bonturi- Piubello” sede principale: Presa Ilaria (18)<br />

Succursale di Prova: Benin Loreta (8), Guiotto Alice (3) Sezione staccata di Arcole:<br />

Benin Loreta (10)<br />

S. GIOVANNI ILARIONE - Scuola Media: Zuffolato Monica (8)<br />

C. Scuole Primarie<br />

VICENZA - Istituto Comprensivo Vicenza 1: Mori Nicoletta (22+2), Piemontese Biagio (6)<br />

Istituto Comprensivo Vicenza 2: Cascone Antonietta (22+2), Longhini Elisabetta<br />

(22+2), Piemontese Biagio (8+1), Chiofalo Paola (2)<br />

Istituto Comprensivo Vicenza 3: Guidolin Maria Chiara (22+2), Casarotto Mara<br />

(22+2), Monteleone sr. Giuseppina (20+2)<br />

Istituto Comprensivo Vicenza 4: Costalunga sr. Maria (22+2), Brombin Alessia (10+1)<br />

Istituto Comprensivo Vicenza 5: Giacometti Donata (16+2), Bersani Mario (22+2),<br />

Castagna Cristina (22+2)<br />

Istituto Comprensivo Vicenza 6: Mancino Pietro (22+2), Fiori Giovanna (22+2)<br />

Istituto Comprensivo Vicenza 7: Miglioranza sr. Giustina (22+2), Zigiotto Annalinda<br />

59


(16+1), Chiofalo Paola (20+2)<br />

Istituto Comprensivo Vicenza 8: Dinolfo Anna (22+2)<br />

Istituto Comprensivo Vicenza 9: Zanotto Michela (22+2), Zaupa Paola (22+2), Castagna<br />

Giovanna (12+1)<br />

Istituto Comprensivo Vicenza 10: Di Rienzo Paola (22+2), Rigodanza sr. Maria (16+1)<br />

Istituto Comprensivo Vicenza 11: Bressan Eva (22+2), Zancan Anna Angela (22+2),<br />

Castagna Giovanna (10+1), Piemontese Biagio (8+1)<br />

ALTAVILLA - Istituto Comprensivo: Benedetti Michela (22+2), Gaetano Clorinda<br />

(22+2), Repele Michela (2)<br />

ARSIERO - Istituto Comprensivo: Longhi Cristina (22+2), Carotta Emanuela (22+2),<br />

Lorenzi Federica (8+1), Cortiana Mara (4)<br />

ARZIGNANO - Direzione Didattica 1°: Dal Sacco Martina (22+2), Dal Pozzolo Maria (4)<br />

Direzione Didattica 2°: Lovato Renata (22+2), Acco Marianna (22+2), Selmo Anna<br />

(22+2), Dal Pozzolo Maria (6+1)<br />

BARBARANO - Istituto Comprensivo: Buccolieri sr. Alessandra (22+2), Saggiotto Marzia<br />

(22+2), De Guio Maria (6)<br />

BASSANO - Direzione Didattica 1°: Gnesotto Iole (22+2), Scalco Francesca (22+2), Caregnato<br />

Mirca (22+2), Fusina Daniela (2)<br />

Direzione Didattica 2°: Contri Maria (22+2), Carretta Alessandra (22+2), Iengo<br />

Annaida (16+1)<br />

Direzione Didattica 3°: Contri Monica (22+2), Cecchin Cristina (22+2), Borsato Emanuele<br />

(22+2), Zani Paola (22+2)<br />

BOLZANO VIC.NO - Istituto Comprensivo “G. Zanella”: Zamperin Luisa (22+2), Basso<br />

Silvia (22+2), Pirozzi Erika (16+1)<br />

BRENDOLA - Istituto Comprensivo “G. Galilei”: Berton Manuela (22+2), Zonato Annarosa<br />

(16+1)<br />

BREGANZE - Istituto Comprensivo “Laverda”: Frigo Maria Grazia (22+2), Filadi Stefania<br />

(16+1), Cingerle Massimo (10+1)<br />

CALDOGNO - Istituto Comprensivo “Alighieri”: Lazzarin Luana (22+2), Di Matteo<br />

Annamaria (22+2), Masin Davide (4)<br />

CAMISANO VIC.NO - Istituto Comprensivo: Bellin Cristina (22+2), Brombin Alessia<br />

(10+1), Facchini Monica (22+2)<br />

CASSOLA - Istituto Comprensivo “Marconi”: Locatelli Michele (12+1), Zonta Fiorella<br />

(22+2)<br />

Direzione Didattica: Battaglia Eleonora (22+2), Marangoni Francesco (22+2)<br />

60


CASTELGOMBERTO - Istituto Comprensivo “Fermi”: Fortuna Ester (22+2), Randon<br />

Monica (22+2), Zordan Giovanna (12+1), Dal Pozzolo Maria (6)<br />

CHIAMPO - Direzione Didattica: Franco Martina (22+2), Bassanese Giovanna (22+2),<br />

Sandron Renata (6+1), Sella Andrea (2)<br />

CORNEDO VIC.NO - Istituto Comprensivo “Crosara”: Scagno Stefania (22+2), Zarantonello<br />

Francesca (22+2),<br />

COSTABISSARA - Istituto Comprensivo: Marci Silcia (22+2), Reniero Maria Grazia<br />

(22+2), Masin Davide (8+1)<br />

CREAZZO - Istituto Comprensivo: Massignan Lara (2), Sanson Valentina (12+1)<br />

DUEVILLE - Istituto Comprensivo “Roncalli”: Saggio Antonio (18+2)<br />

Direzione Didattica: Saggio Antonio (4), Basso Cristina (22+2), Colella Carmine<br />

(22+2), Clementi Gabriella (10+1)<br />

GRANCONA - Istituto Comprensivo: Gianesini Monica (22+2),<br />

ISOLA VIC.NA - Istituto Comprensivo: Fortuna Erminia (22+2), Rancan Fanni (22+2)<br />

LONGARE - Istituto Comprensivo “Bixio”: Costalunga Annalisa (22+2), Gemo Silvia<br />

(22+2), Gennaro Andrea (22+2), Boem Crisitna (6+1)<br />

LONIGO - Direzione Didattica: Mistrorigo Marisa (22+2), Battaglia Ilaria (22+2),<br />

Mercante Ferruccio (10)<br />

Istituto Comprensivo: Farina Anna (4+1), Mastrotto Maria Rosa (22+2)<br />

MALO - Direzione Didattica: Pesavento Daniela (22+2), Savio M. Antonietta (22+2),<br />

Tezza Alessia (22+2), Bedendi Veronica (2)<br />

Istituto Comprensivo: Bertacco Chiara (14+1)<br />

MARANO VIC.NO - Istituto Comprensivo: Sartori Riccardo (22+2), Bedendi Veronica<br />

(18+2)<br />

MAROSTICA - Direzione Didattica: Basso Chiara (22+2), Basso Lucia (22+2), Rigon<br />

Daniel (22+2), Fusina Ornella (2)<br />

MASON - Istituto Comprensivo: Seganfreddo Maria (22+2), Cingerle Massimo (10+1)<br />

MOLINO DI ALTISSIMO - Istituto Comprensivo “Ungaretti”: Sandron Renata (16+1),<br />

Lovato Ombretta (22+2)<br />

MONTECCHIO MAGGIORE - Direzione Didattica 1°: Vantin Roberta (22+2), Fusa Elisa<br />

(22+2), Prisco Giuseppe (4+1)<br />

61


Direzione Didattica 2°: Meggiolaro Maria Rita (22+2), Zilio Paola (22+2), Repele<br />

Michela (16+2)<br />

MONTEBELLO - Istituto Comprensivo: Buratti Nuccia (20+2), Prisco Giuseppe (14+1)<br />

MONTICELLO CONTE OTTO - Istituto Comprensivo “Don Bosco”: Fasolo Annalisa<br />

(18+2), Sceni Carmelina (22+2)<br />

NOVE - Istituto Comprensivo “Antonibon”: Basso Elisa (22+2) Fusina Ornella (20+2),<br />

Fusina Anna (16+1)<br />

NOVENTA VIC.NA - Istituto Comprensivo “Fogazzaro”: Caldana Lidio (22+2), Fanin<br />

Maristella (22+2), Prisco Giuseppe (2)<br />

ORGIANO - Istituto Comprensivo: Valdisolo Stefania (14+1), Mosca Anna (22+2)<br />

POIANA MAGGIORE - Istituto Comprensivo “A. Palladio”: Faedo Tatiana (22+2), Castegnaro<br />

Chiara (22+2), Favero Andrea (6+1)<br />

RECOARO TERME - Istituto Comprensivo “Floriani”: Bertoldi Massimo (22+2), Refosco<br />

Marta (2)<br />

ROSÀ - Direzione Didattica: Maisano Caterina (22+2), Parolin Paola (22+2), Belmonte<br />

Vincenza (22+2)<br />

Istituto Comprensivo “A. Roncalli”: Menegon Cesarina (12+1)<br />

SANDRIGO - Istituto Comprensivo: Spadola Francesca (22+2), Naclerio Raffaela<br />

(22+2), Azzolin Chiara (18+2)<br />

SANTORSO - Istituto Comprensivo: Moro Paola (22+2), Bertacco Chiara (14+1)<br />

SARCEDO-ZUGLIANO - Istituto Comprensivo “Vecellio”: Nicolini Irene (22+2), Cingerle<br />

Massimo (2)<br />

SAREGO - Istituto Comprensivo “Muttoni”: Farina Anna (16+1), Marinello Paola<br />

(22+2)<br />

SCHIO - Direzione Didattica A: Crosato Simonetta (22+2), Bellotto Alberto (22+2),<br />

Lorenzi Federica (6)<br />

Istituto Comprensivo “Fusinato”: Faltracco Manuela (22+2), Scalzeri Lara (22+2),<br />

Gargaglione Annunziata (8+1), Lorenzi Federica (2)<br />

Istituto Comprensivo “Il Tessitore”: Gargaglione Annunziata (14+1), Poier Antonella<br />

(22+2)<br />

Istituto Comprensivo “Battistella”: Frigo Daniela (22+2), Tascino Luigi (22+2);<br />

Bedendi Veronica (2)<br />

62


SOSSANO - Direzione Didattica: Toninato Mariangela (22+2), De Guio Maria (10+1),<br />

Farina Anna (2)<br />

SOVIZZO - Istituto Comprensivo: Massignan Lara (20+2), Leo Arcangela (22+2)<br />

TEZZE SUL BRENTA - Istituto Comprensivo: Dalla Palma Francesco (22+2), Gianesin<br />

Roberta (22+2), Bresolin Lenni (22+2)<br />

TORREBELVICINO - Istituto Comprensivo “G. Carducci”: Sanson Valentina (8+1), Garbin<br />

Monica (22+2), Guerra Federica (22+2)<br />

TORRI DI QUARTESOLO - Istituto Comprensivo Torri 1: Bertoncello Mariangela (6+1),<br />

Toldo Cristina (22+2), Brombin Alessia (2), Iengo Annaida (2)<br />

Istituto Comprensivo Torri 2: Brusco Federica (22+2), Dalla Via Stella (22+2), Boem<br />

Cristina (4)<br />

TRISSINO - Istituto Comprensivo “Fogazzaro”: Zonta Chiara (22+2), Zordan Giovanna<br />

(10+1)<br />

VALDAGNO - Direzione Didattica: Zarantonello Christian (22+2), Grotto Alessia<br />

(14+1), Clementi Gabriella (12+1)<br />

Istituto Comprensivo: Antoniazzi Elena (22+2), Urbani Simonetta (22+2)<br />

VILLAVERLA - Istituto Comprensivo: Toniolo Veronica (22+2), Masin Davide (4),<br />

Binotto Laura (22+2)<br />

PROVINCIA DI VERONA<br />

COLOGNA VENETA - Direzione Didattica: Migliorini Milena (22+2), Conterno Andrea<br />

(10+1), Colognato Rosanna (18+2)<br />

MONTEFORTE D’ALPONE - Istituto Comprensivo: Bordignon Stefania (20+2)<br />

MONTECCHIA DI CROSARA - Istituto Comprensivo: Gazzo Marzia (22+2), Cengia Elisa<br />

(20+2)<br />

S. BONIFACIO - Direzione Didattica 1°: Castegini Lidia (22+2), Bubici Loredana<br />

(16+1), Dal Cortivo Monica (22+2)<br />

Direzione Didattica 2°: Viali Cristiana (22+2), Cengia Elisa (2), Aldighieri Erika<br />

(22+2), Conterno Andrea (12+1), Sella Andrea (6+1)<br />

S. GIOVANNI ILARIONE - Istituto Comprensivo: Tobaldini Luisa (22+2), Cavazza Ellen<br />

(10+1)<br />

63


VERONELLA - Direzione Didattica: Sartori Debora (22+2), Magnabosco Barbara<br />

(22+2), Cavazza Ellen (12+1), Colognato Rosanna (4), Bordignon Stefania (2)<br />

PROVINCIA DI PADOVA<br />

CARMIGNANO DI BRENTA - Direzione Didattica: Peruzzo Patrizia (22+2), Pirozzi Erika<br />

(4)<br />

CITTADELLA - Direzione Didattica: Fusina Daniela (20+2)<br />

FONTANIVA - Istituto Comprensivo “L.B. Alberti”: Agostini Federica (10+1), Pegoraro<br />

Laura (4)<br />

GRANTORTO - Istituto Comprensivo: Caron Samanta (22+2), Marchioron Michela (4),<br />

Favero Andrea (14+1)<br />

PIAZZOLA SUL BRENTA - Direzione Didattica: Pegoraro Laura (18+2), Roveggian M.<br />

Luisa (22+2), Piacere Sabrina (22+2)<br />

S. GIORGIO IN BOSCO - Istituto Comprensivo: Giacomazzi Marco (22+2), Agostini Federica<br />

(10+1)<br />

S. PIETRO IN GÙ - Istituto Comprensivo: Marchioron Michela (18+2)<br />

VILLAFRANCA - Istituto Comprensivo: Bertoncello Mariangela (16+1)<br />

D. Scuole dell’Infanzia<br />

VICENZA - Vicenza 1° Circolo: Vestrini Elda (7.30)<br />

Vicenza 2° Circolo: Meggiorin Gigliola (6)<br />

Vicenza 3° Circolo: Burlando Chiara (9)<br />

Vicenza 4° Circolo: Burlando Chiara (6), Calcaterra Silvia (3)<br />

Vicenza 5° Circolo: Allegranzi Annamaria (13.30)<br />

Vicenza 6° Circolo: Vestrini Elda (7.30)<br />

Vicenza 7° Circolo: Meggiorn Gigliola (4.30)<br />

Vicenza 8° Circolo: Meggiorin Gigliola (6)<br />

Vicenza 9° Circolo: Burlando Chiara (6)<br />

Vicenza 10° Circolo: Burlando Chiara (3), Allegranzi Annamaria (3)<br />

Vicenza 11° Circolo: Allegranzi Annamaria (7.30)<br />

ALTAVILLA - Istituto Comprensivo: Calcaterra Silvia (4.30)<br />

ARSIERO - Istituto Comprensivo: Bordina Paola (12)<br />

ARZIGNANO - Arzignano 1° Circolo: Calcaterra Silvia (10.30)<br />

Arzignano 2° Circolo: Fusaro Paola (7.30)<br />

BARBARANO VIC.NO - Istituto Comprensivo: Meneghini Annalisa (7.30)<br />

64


BASSANO DEL GRAPPA - Bassano 1° Circolo: Pedone Elvira (15)<br />

Bassano 2° Circolo: Pedone Elvira (9)<br />

Bassano 3° Circolo: Contaldo Laura Gilda (7.30), Rigodanzo Claudia (6)<br />

BREGANZE - Istituto Comprensivo: Refosco Marta (3), Turatello Giorgia (7.30)<br />

CALDOGNO - Istituto Comprensivo: Dionisi Francesca (10.30)<br />

CAMISANO VIC.NO - Istituto Comprensivo: Meneghini Annalisa (6)<br />

CASSOLA - Direzione Didattica: Rigodanzo Claudia (16.30)<br />

CHIAMPO - Direzione Didattica: Soprana Donatella (13.30)<br />

CORNEDO VIC.NO - Istituto Comprensivo: Calcaterra Silvia (4.30)<br />

CREAZZO - Istituto Comprensivo: Dionisi Francesca (7.30)<br />

COSTABISSARA - Istituto Comprensivo: Dionisi Francesca (6)<br />

DUEVILLE - Istituto Comprensivo: Lanza Elisabetta (7.30)<br />

Direzione Didattica: Lanza Elisabetta (16.30)<br />

GRANCONA - Istituto Comprensivo: Spezie Tatiana (6)<br />

LONGARE - Istituto Comprensivo: Meneghini Annalisa (4.30)<br />

LONIGO - Istituto Comprensivo: Fusaro Paola (1.30), Battilana Liliana (1.30)<br />

Direzione Didattica: Fusaro Paola (15)<br />

MALO - Istituto Comprensivo: Cortiana Mara (9)<br />

Direzione Didattica: Cortiana Mara (6)<br />

MARANO VIC.NO - Istituto Comprensivo: Turatello Giorgia (16.30)<br />

MAROSTICA - Direzione Didattica: Battaglia Daniela (13.30)<br />

MOLINO DI ALTISSIMO - Istituto Comprensivo: Soprana Donatella (9)<br />

MONTEBELLO VIC.NO - Istituto Comprensivo: Angiulli Adriana (6)<br />

MONTECCHIO MAGGIORE - Montecchio 1° Circolo: Mistrorigo Michela (6), Scortegagna<br />

Anna (4.30)<br />

Montecchio 2° Circolo: Mistrorigo Michela (18)<br />

MONTICELLO CONTE OTTO - Istituto Comprensivo: Meggiorin Gigliola (6)<br />

NOVENTA VIC.NA - Istituto Comprensivo: Dal Maso Fabiola (10.30)<br />

ORGIANO - Istituto Comprensivo: Dal Maso Fabiola (3)<br />

POIANA MAGGIORE - Istituto Comprensivo: Dal Maso Fabiola (6)<br />

RECOARO TERME - Istituto Comprensivo: Randon Michela (4.30)<br />

ROSÀ - Direzione Didattica: Contaldo Laura Gilda (7.30)<br />

SANDRIGO - Direzione Didattica: Tangredi Fiorenza (6)<br />

SAREGO - Istituto Comprensivo: Battilana Liliana (12)<br />

SCHIO - Direzione Didattica A: Negrizzolo Francesca (4.30)<br />

Istituto Comprensivo “Maraschin”: Negrizzolo Francesca (12)<br />

Istituto Comprensivo “Battistella”: Bordina Paola (7.30)<br />

SOSSANO - Istituto Comprensivo: Meneghini Annalisa (7.30)<br />

TORRI DI QUARTESOLO - Istituto Comprensivo: Vestrini Elda (9)<br />

TRISSINO - Istituto Comprensivo: Refosco Marta (9)<br />

VALDAGNO - Istituto Comprensivo: Randon Michela (9)<br />

Direzione Didattica: Randon Michela (9)<br />

65


PROVINCIA DI PADOVA<br />

CARMIGNANO SUL BRENTA - Direzione Didattica: Scortegagna Anna (13.30)<br />

PIAZZOLA SUL BRENTA - Direzione Didattica: Scortegagna Anna (3)<br />

PROVINCIA DI VERONA<br />

COLOGNA VENETA - Direzione Didattica: Spezie Tatiana (4.30)<br />

S. BONIFACIO - S. Bonifacio 1° Circolo: Gecchele Claudia (9)<br />

S. Bonifacio 2° Circolo: Gecchele Claudia (13.30)<br />

VERONELLA - Direzione Didattica: Spezie Tatiana (7.30)<br />

66


SACERDOTI DEFUNTI<br />

DIAN DON ELIO<br />

Nato a San Bonifacio il 19 dicembre 1940 fu ordinato sacerdote il 28<br />

giugno 1964. Fu vicario cooperatore a san Pio X in Vicenza, a san Pietro<br />

di Montecchio Maggiore, a Marano Vicentino, a Ponte dei Nori di Valdagno.<br />

Dal 1974 al 1978 visse l’esperienza di prete operaio. Tornò quindi al<br />

ministero diretto come vicario cooperatore a Villaverla e quindi a Case<br />

di Malo. Nel 1983 fu nominato parroco a SS. Trinità di Montecchio Maggiore,<br />

incarico che lasciò nel 1991 per svolgere negli anni successivi il<br />

compito di collaboratore pastorale a san Pietro di Montecchio Maggiore,<br />

prima parrocchia del suo ministero sacerdotale. Era di temperamento<br />

esuberante, ma schietto e sincero; sotto l’apparenza di una scorza ruvida<br />

manteneva una finezza d’animo che lo portava a condividere le tribolazioni<br />

nascoste del prossimo e una generosità senza confini e disinteressata. I<br />

giovani, specialmente <strong>della</strong> parrocchia di Marano, lo ricordano con riconoscenza<br />

come impareggiabile formatore di coscienze umane e cristiane;<br />

lo stesso migrare da una parrocchia all’altra, se da un lato è segno del suo<br />

spirito irrequieto, dall’altro lato è indice <strong>della</strong> sua generosità e <strong>della</strong> sua<br />

pronta obbedienza alle chiamate dei superiori. Esercitò costantemente il<br />

ministero sacerdotale fino alla chiamata definitiva del Signore avvenuta il<br />

9 febbraio <strong>2011</strong>.<br />

BALESTRO DON VIRGINI0<br />

Nato a san Pietro di Montecchio Maggiore il 24 agosto 1924 fu ordinato<br />

sacerdote il 26 giugno 1948. Svolse l’ufficio di vicario cooperatore<br />

a Bassano del Grappa, a Cereda e a Zimella. Nel 1963 fu nominato parroco<br />

a san Germano dei Berici e nel 1970 ritornò a Cereda, suo primo<br />

campo di attività sacerdotale, questa volta in qualità di parroco. Restò<br />

alla guida di detta comunità per trent’anni donando tutto se stesso per<br />

67


il bene delle anime a lui affidate. Nel 2000 si ritirò non solo per raggiunti<br />

limiti di età, ma anche perché afflitto da un fastidioso disturbo<br />

alla vista. Ciò non gli impedì di continuare l’esercizio del suo ministero<br />

come collaboratore pastorale a Cornedo. Trascorse gli ultimi anni<br />

ospite alla RSA Novello a Vicenza. Chiuse la sua terrena giornata il 14<br />

marzo <strong>2011</strong>.<br />

68<br />

COCCO MONS. FELICE<br />

Nato a Valdagno il 28 settembre 1918 fu ordinato sacerdote il 4 aprile<br />

1942. Dopo l’ordinazione proseguì gli studi in teologia presso l’Università<br />

Gregoriana a Roma conseguendo la laurea in “teologia universa”. Dopo<br />

un breve periodo di ministero svolto a Pugnello come vicario economo, si<br />

trasferì definitivamente in Seminario. Studioso appassionato delle scienze<br />

naturali conseguì la relativa laurea presso l’università di Padova. Nel<br />

Seminario diocesano fu per alcuni anni insegnante di matematica e di<br />

scienze naturali. Dal 1958 svolse l’incarico di docente di teologia morale<br />

nei corsi teologici e, contemporaneamente, fu assistente <strong>della</strong> gioventù<br />

femminile di Azione Cattolica. È un sacerdote che appartiene alla storia<br />

del Seminario e che ha segnato la formazione di generazioni di sacerdoti.<br />

È vivo il ricordo <strong>della</strong> sua piena disponibilità e dell’entusiasmo che hanno<br />

contrassegnato la sua opera di sacerdote educatore. Preziosa è anche<br />

l’opera da lui svolta per molti anni come giudice presso il Tribunale Ecclesiastico<br />

Triveneto. A riconoscimento dei suoi meriti fu nominato nel 1969<br />

Cappellano di Sua Santità e nel 1990 Prelato di onore. Trascorse gli ultimi<br />

mesi <strong>della</strong> sua lunga giornata terrena presso la RSA Novello. Si spense<br />

serenamente il 12 marzo <strong>2011</strong>.<br />

MANTIERO DON GASTONE<br />

Nato a Novoledo il 15 ottobre 1924 fu ordinato sacerdote il 26 giugno<br />

1949. Fu vicario cooperatore a San Giorgio in Bosco, a Quinto Vicentino e a<br />

Longare. Nel 1959 fu nominato rettore <strong>della</strong> chiesa di santa Chiara e cappellano<br />

dell’omonimo Istituto. Nel 1971 gli fu assegnato l’ufficio di parroco<br />

di Belvedere di Tezze sul Brenta ove rimase per quasi un trentennio: lasciò<br />

infatti la parrocchia per raggiunti limiti di età nel 2000. In quanti lo hanno<br />

conosciuto resta vivo il ricordo di un sacerdote generosamente dedito al suo<br />

ministero, animato da fede profonda e sincero amore per le anime. Trascor-


se gli ultimi anni a Carmignano di Brenta presso la Residenza per anziani<br />

“G. Botton” dell’Opera Concezione Immacolata. Il Signore lo ha chiamato a<br />

sé il 21 marzo <strong>2011</strong>.<br />

Sacerdoti defunti dal primo gennaio <strong>2011</strong>: quattro.<br />

69


CONTRIBUTI<br />

TEOLOGICO PASTORALI


MEMORIA DI AQUILEIA.<br />

PRESENTAZIONE DEL PRIMO CONVEGNO DI AQUILEIA<br />

Intervento di mons. Giuseppe Dal Ferro alla Consulta Triveneta<br />

delle Aggregazioni Laicali – Zelarino (VE), 30 ottobre 2010<br />

Il primo convegno ecclesiale delle quindici chiese del Veneto, Friuli-<br />

Venezia Giulia, Trentino-Alto Adige, celebrato ad Aquileia-Grado dal<br />

28 aprile al 1° maggio 1990 sul tema “Comunità cristiane e futuro delle<br />

Venezie”, è un fatto inedito nella storia di queste diocesi, giuridicamente<br />

unite, con una tradizione più che secolare convergente attorno all’antica<br />

evangelizzazione che ha avuto Aquileia come centro di irradiazione. Di queste<br />

chiese la storia ricorda tre concili veneti (1859, 1923, 1953), dei quali il<br />

primo significativo per aver rivendicato, anche se con limitati risultati, l’autonomia<br />

e la libertà religiosa dall’impero asburgico. Il convegno di Aquileia-Grado<br />

invece, che di tali concili regionali evitò il carattere giuridico per<br />

agire con maggiore scioltezza, è risultato nuovo nell’impostazione, preparato<br />

da laici, religiosi e sacerdoti delle parrocchie e delle diocesi e da studiosi<br />

per circa due anni, attraverso discussioni convegni, seminari, ricerche,<br />

sotto il coordinamento di un comitato composto da una sessantina di persone,<br />

il quale lavorò in stretta intesa con i vescovi. Tale struttura aperta<br />

consentì di prendere atto di quanto gli studi su queste regioni avevano già<br />

prodotto ed insieme di sentire le esigenze di rinnovamento presenti nelle<br />

varie comunità.<br />

La preparazione, intensa ed articolata, si svolse sulla traccia di un primo<br />

sussidio, predisposto da un comitato provvisorio nominato dai vescovi, pubblicato<br />

con il titolo Comunità cristiane e futuro delle Venezie 1 . I risultati<br />

poi del lavoro successivo furono raccolti in sintesi in un secondo sussidio dal<br />

titolo Nuova evangelizzazione delle Venezie 2 . Con questi strumenti gli ottocento<br />

delegati, in gran parte inviati dalle diocesi, presero parte al convegno<br />

e offrirono il loro contributo, suddivisi in ventiquattro commissioni, all’interno<br />

di una esperienza ecclesiale di intensa vita liturgica e comunitaria.<br />

Nei sussidi preparatori fin dall’inizio furono delineati gli ambiti e le<br />

prospettive sui quali si sarebbe sviluppato il convegno stesso. Si chiedeva<br />

infatti di “verificare come le comunità cristiane vivono la fede oggi, come<br />

1 CONFERENZA EPISCOPALE TRIVENETO, Comunità cristiane e futuro delle Venezie. Sussidio<br />

per la preparazione, Messaggero, Padova, 1987, pp. 48.<br />

2 CONFERENZA EPISCOPALE TRIVENETO, Nuova evangelizzazione delle Venezie. Secondo<br />

sussidio per la preparazione, Messaggero, Padova, 1989, pp. 108.<br />

72


educano a viverla e come di essa fanno l’anima <strong>della</strong> civiltà contemporanea”<br />

3 . Fin dalle prime battute poi il convegno si collocò all’interno <strong>della</strong><br />

cosiddetta “Nuova evangelizzazione dell’Europa”, come appare evidente<br />

dal sussidio Vademecum del convegno 4 , nel quale la prima parte è riservata<br />

ad una antologia dei discorsi di Giovanni Paolo II sul tema “Per una nuova<br />

evangelizzazione dell’Europa”.<br />

Due anni di preparazione<br />

La preparazione immediata del convegno si articolò in tre filoni convergenti:<br />

il coinvolgimento <strong>della</strong> base ecclesiale attraverso la riflessione delle<br />

comunità cristiane sul tessuto esistenziale religioso ed ecclesiale; la ricerca<br />

scientifica sulle trasformazioni socio-culturali e sul quadro di riferimento<br />

istituzionale futuro delle Venezie da parte degli studiosi; e la lettura teologica<br />

<strong>della</strong> situazione per l’individuazione delle linee pastorali di una nuova<br />

evangelizzazione da parte del comitato preparatorio stesso.<br />

Del primo filone si interessarono le parrocchie, le diocesi, le aggregazioni<br />

laicali, i religiosi e i vari organismi pastorali presenti nelle tre regioni. Si<br />

chiedeva loro di prendere in esame la vita religiosa delle comunità cristiane<br />

nei suoi vari aspetti, le istituzioni attraverso le quali si trasmette la fede,<br />

e infine l’incidenza <strong>della</strong> fede nelle varie espressioni <strong>della</strong> vita civile. Con<br />

l’aiuto di tredici schede presentate dal sussidio preparatorio 5 , le diocesi si<br />

impegnarono per un anno intero, giungendo, nella maggioranza dei casi, ad<br />

un convegno diocesano, nel quale formularono e verificarono il contributo<br />

diocesano predisposto per il convegno. Documenti sull’argomento sono stati<br />

presentati anche dai religiosi e dalla Consulta triveneta dell’apostolato dei<br />

laici.<br />

All’analisi sulle trasformazioni socio-culturali delle Venezie furono interessati<br />

i centri culturali di ispirazione cristiana delle Venezie, ed alcuni studiosi<br />

delle diverse università presenti nelle tre regioni. La riflessione sfociò<br />

in quattro seminari di ricerca, in preparazione dei quali erano stati presentati<br />

più di trenta contributi scritti. I seminari furono i seguenti: “Religiosità<br />

3<br />

CONFERENZA EPISCOPALE TRIVENETO, Comunità cristiane e futuro delle Venezie…,<br />

pp. 11-12.<br />

4 I° CONVEGNO ECCLESIALE TRIVENETO, Vademecum del convegno, Rezzara, Vicenza,<br />

1990, pp. 144.<br />

5<br />

CONFERENZA EPISCOPALE TRIVENETO, Comunità cristiane e futuro delle Venezie…,<br />

pp. 21-46.<br />

73


ed espressioni <strong>della</strong> fede” (Vicenza 13-14 maggio 1989, coordinatore il prof.<br />

Ulderico Bernardi); “Trasformazioni sociali, diritti umani, pace” (S. Giustina<br />

Bellunese 19-21 maggio 1989, coordinatore il prof. Franco Demarchi);<br />

“Formazione, comunicazioni e istituzioni culturali” (Pordenone 3-4 giugno<br />

1989, coordinatore prof. Lucio Soravito); “Tecnologie, economia, ambiente<br />

e territorio” (Mestre-Venezia 10 giugno 1989, coordinatori i proff. Marino<br />

Nicolini e Luigi Mariani). Nel corso dei lavori si tennero complessivamente<br />

35 relazioni e un centinaio di interventi da parte dei circa duecento studiosi<br />

invitati ai seminari, in base alla competenza specifica. Tutto il materiale fu<br />

poi raccolto in apposite sintesi e messo a disposizione del convegno.<br />

Sui due argomenti invece, prospettive europee e aspetti teologici <strong>della</strong><br />

nuova evangelizzazione, si impegnò direttamente il comitato preparatorio,<br />

formato, come abbiamo detto, da numerosi studiosi e teologi. Al tema<br />

dell’Europa fu dedicato l’incontro del 12 giugno 1988, introdotto dal vescovo<br />

di Vicenza mons. prof. Pietro Nonis, e alla riflessione teologica l’incontro del<br />

5 febbraio 1989, introdotto da una relazione predisposta da un gruppo di<br />

teologi del comitato stesso.<br />

Il materiale elaborato fu sintetizzato successivamente nell’agile sussidio<br />

intitolato Nuova evangelizzazione delle Venezie. Il lavoro preparatorio del<br />

convegno fu guidato dal comitato accennato, che tenne regolari incontri dal<br />

10 aprile del 1988 al 10 febbraio 1990, per complessive otto riunioni 6 , quasi<br />

tutte di una giornata intera. Il coordinamento dell’attività invece fu <strong>della</strong><br />

presidenza del comitato, composta dal 15 novembre 1987 al 28 dicembre<br />

1988 da sei persone 7 e successivamente da tredici 8 . La presidenza si riunì<br />

quattordici volte prima del convegno 9 e successivamente, trasformata in<br />

6 Le riunioni del comitato si svolsero due a Praglia (10 aprile 1988; 12 giugno 1988) e sei<br />

a Mestre (6 novembre 1988; 18 dicembre 1988; 5 febbraio 1989; 1 luglio 1989; 2 settembre<br />

1989; 10 febbraio 1990).<br />

7 Della prima presidenza fecero parte, oltre al vescovo mons. Filippo Franceschi presidente,<br />

mons. Giuseppe Dal Ferro (coordinatore), padre Dino Buso, suor Maria Luisa Benazzato,<br />

prof. Giovannella Baggio, prof. Enrico Berti, don Gabriele Pedrina (segretario).<br />

8 Alla presidenza precedente furono aggiunti il prof. Livio Crepaldi, mons. Paolo Doni,<br />

dott. Tullio Maddalosso, mons. Antonio Marangon, mons. Lucio Soravito, mons. Remo<br />

Vanzetta; successivamente il ragionier Mario Murer (economo) e don Ugo Moretto (ufficio<br />

stampa).<br />

9 Le riunioni <strong>della</strong> presidenza si tennero sette a Padova (15 novembre 1987; 15 febbraio<br />

1988; 23 marzo 1988; 6 maggio 1988; 1 luglio 1988; 20 ottobre 1988; 28 novembre 1988) e<br />

sette a Mestre (5 gennaio 1989; 24 febbraio 1989; 27 aprile 1989; 9 ottobre 1989; 15 novembre<br />

1989; 25 gennaio 1990; 20 marzo 1990).<br />

74


gruppo di lavoro, altre due volte 10 per raccogliere i risultati del “dopo Aquileia-Grado”.<br />

A presiedere il comitato e la presidenza i vescovi designarono l’arcivescovo<br />

di Padova mons. Filippo Franceschi, il quale però, colpito nel frattempo<br />

da grave malattia, partecipò soltanto alle due prime riunioni <strong>della</strong> presidenza<br />

del 15 novembre 1987 e del 15 febbraio 1988 e porse un breve saluto<br />

alla seconda riunione del comitato del 12 giugno 1988, quando la malattia,<br />

che lo avrebbe portato rapidamente alla tomba, gli permise una breve tregua.<br />

Alla morte di mons. Franceschi, avvenuta il 30 dicembre 1988, subentrò<br />

nell’incarico l’arcivescovo di Gorizia mons. Antonio Vitale Bommarco.<br />

Quanto veniva elaborato dal comitato preparatorio era successivamente<br />

esaminato ed approvato dalla Conferenza episcopale triveneta, la quale nei<br />

due anni di preparazione diede largo spazio al convegno nei suoi periodici<br />

incontri.<br />

Negli ultimi quattro mesi funzionò un’articolata segreteria 11 , che predispose<br />

nei dettagli l’iniziativa, in stretto collegamento con gli incaricati<br />

diocesani.<br />

Svolgimento del convegno<br />

I quattro giorni del convegno si svolsero in un clima di intensa spiritualità,<br />

creato dalla liturgia, che ebbe come luoghi delle celebrazioni le basiliche<br />

di Aquileia, Grado, Barbana. Già nella seduta inaugurale fu intronizzato<br />

il Vangelo e il cero pasquale prima delle relazioni introduttive nella giornata<br />

di sabato 28 aprile. In segno di fraternità tutti i convegnisti si scambiarono<br />

la croce di Aquileia, che era stata a tutti consegnata come segno di partecipazione.<br />

Anche i rappresentanti delle Chiese cristiane ortodosse e protestanti<br />

parteciparono al gesto significativo. Il giorno seguente, domenica 29,<br />

la celebrazione fu ad Aquileia, presieduta dal card. Marco Cè con i vescovi<br />

del Triveneto e con i vescovi delle regioni limitrofe dell’Austria, <strong>della</strong> Iugo-<br />

10 Il gruppo di lavoro si riunì a Mestre il 14 luglio 1990 e l’1 settembre 1990. Successivamente<br />

alcuni incaricati lavoravano nella raccolta dei risultati del convegno.<br />

11 La segreteria fu così articolata: mons. Giuseppe Dal Ferro (segretario generale), don<br />

Gabriele Pedrina (coordinamento e affari generali), mons. Paolo Doni (commissioni e documentazione),<br />

ragionier Francesco Moise (accoglienza), padre Pelagio Visentin (liturgia), don<br />

Armando Zorzin (servizio liturgico), geometra Mario Murer (economia), don Ugo Moretto<br />

(ufficio stampa), Radio Telepace (registrazione audio-video), don Graziano Marini e mons.<br />

Silvano Fain (servizio basiliche Aquileia e Grado).<br />

75


slavia e <strong>della</strong> Lombardia, quest’ultima rappresentata dal card. Carlo Maria<br />

Martini. Era presente per la Santa Sede il nunzio per l’Italia mons. Luigi<br />

Poggi. Mentre i giorni seguenti hanno avuto come luogo delle celebrazioni<br />

la basilica di S. Eufemia di Grado, nella basilica di Aquileia i convegnisti<br />

sono ritornati nel pomeriggio del primo maggio per il commiato, durante il<br />

quale ci furono anche i saluti dei tre presidenti delle regioni del Triveneto.<br />

Nella serata di lunedì 30 aprile i convegnisti si recarono con alcune motonavi<br />

al Santuario di Barbana. I lavori del convegno si svolsero nel Palazzo dei<br />

Congressi di Grado per le sedute plenarie degli 800 partecipanti, due terzi<br />

dei quali inviati dalle diocesi, nei vari alberghi invece quelli delle 24 commissioni,<br />

divise in tre ambiti: esperienza <strong>della</strong> fede in un mondo secolarizzato;<br />

trasmissione <strong>della</strong> fede nella comunità cristiana; testimonianza <strong>della</strong> fede<br />

nel nostro tempo. Sui tre argomenti erano stati raccolti i contributi delle<br />

diocesi e dei convegni preparatori in una pubblicazione, che servì di guida<br />

ai lavori. La conclusione delle commissioni fu presentata in tre sintesi nella<br />

mattinata del 1° maggio a cui seguì una tavola rotonda su “I cristiani e l’Europa”<br />

con rappresentanti di alcuni Paesi europei significativi.<br />

Sarebbe lungo evocare le esperienze vissute nei giorni del convegno<br />

dove tutti si trovarono a loro agio, anche se di lingue ed esperienze diverse.<br />

I laici si sono sentiti Popolo di Dio accanto ai loro pastori, a contatto con le<br />

Chiese confinanti rappresentate da vescovi autorevoli appartenenti ad altre<br />

nazioni e con fratelli cristiani ortodossi e protestanti.<br />

Dopo il convegno<br />

A convegno avvenuto, la presidenza fu trasformata in gruppo di lavoro<br />

allo scopo di accogliere in sintesi i temi emersi dall’incontro ecclesiale. In<br />

due incontri 12 il gruppo stabilì l’articolazione <strong>della</strong> sintesi e il metodo di<br />

ricerca. Il risultato del lavoro fu inviato alle diocesi ed alla Consulta triveneta<br />

dell’apostolato dei laici per una verifica. Dodici diocesi e la Consulta<br />

dei laici inviarono loro osservazioni, con le quali il testo iniziale fu integrato.<br />

I vescovi infine aggiunsero alla sintesi una lettera pastorale collettiva per<br />

proporre alle diocesi le conclusioni pastorali del convegno. La segreteria<br />

generale curò infine la pubblicazione degli atti del convegno e di quattro<br />

seminari svolti in preparazione.<br />

Ad Aquileia-Grado le Chiese del Triveneto enuclearono alcuni orien-<br />

76<br />

12 Le due riunioni si tennero a Mestre il 14 luglio 1990 e il 1° settembre 1990.


tamenti comuni <strong>della</strong> “nuova evangelizzazione”, all’interno dell’impegno<br />

comune di ridare un’anima cristiana all’Europa. Ciò però che di più singolare<br />

si ebbe durante il convegno fu l’esperienza del modo con il quale tale<br />

evangelizzazione deve attuarsi. L’intenso clima di spiritualità liturgica, che<br />

permeò i lavori, evidenziò la centralità per la vita del cristiano <strong>della</strong> Parola<br />

di Dio e la suggestività dei luoghi, gesti, segni di cui anche la pietà popolare<br />

abbonda. L’uomo di oggi spesso senza identità e senza speranza, appiattito<br />

nella ricerca degli interessi immediati, ha bisogno di imparare ad andare al<br />

di là delle cose attraverso questi segni, che nella liturgia sono anche tramite<br />

<strong>della</strong> grazia.<br />

Sono emerse così tre grandi istanze: il bisogno di recuperare la freschezza<br />

dell’annuncio evangelico; la priorità dell’educazione alla fede di cristiani<br />

adulti capaci di leggere in profondità la realtà quotidiana e coglierne<br />

il profondo valore simbolico derivante dalla fede; l’impegno a costruire la<br />

casa comune, che è il mondo, nel rispetto delle diversità, per fare di essa il<br />

regno di Dio.<br />

Ci sembra utile ricordare come il convegno di Aquileia sia diventato un<br />

modello di lavoro nel Triveneto almeno per due percorsi di riflessione realizzati<br />

dalla Commissione Giustizia e Pace (1993-1997) e dalla Consulta dei<br />

laici (1992-1996).<br />

La Commissione triveneta Giustizia e Pace si è proposta di riflettere<br />

con altre Commissioni regionali (Lavoro e problemi sociali, Migrantes,<br />

Comunicazioni sociali, Ecumenismo e dialogo, Scuola ed educazione, Caritas,<br />

Consulta dei laici) sul tema “La nuova Europa”. Allo scopo ha promosso<br />

tre seminari di studio seguiti sempre da un convegno per la presentazione<br />

dei risultati, sui temi: “Il pluralismo culturale e religioso in Europa”<br />

(Mestre 9 ottobre 1993); “Le radici dei conflitti in Europa e i risvolti extraeuropei”<br />

(Mestre 29 ottobre 1995); “Le regioni del Nord Est d’Italia e la<br />

nuova realtà europea: identità e dialogo nella situazione attuale delle Tre<br />

Venezie, contraddizioni e prospettive” (Mestre 22 febbraio 1997). Ai seminari<br />

hanno partecipato docenti universitari delle tre regioni ed operatori<br />

sociali. Il lavoro si è concluso con un convegno a Bressanone (17-18 ottobre<br />

1997) sul tema “I credenti e la nuova Europa: valori e speranze di una realtà<br />

che cresce e guarda al futuro. Quale impegno pastorale?”. I lavori <strong>della</strong><br />

Commissione sono stati raccolti in quattro volumi, l’ultimo dei quali in lingua<br />

italiana e tedesca.<br />

La Consulta triveneta dei laici si è proposta di ripensare la vita associativa<br />

alla luce delle riflessioni di Aquileia, dedicando il proprio lavoro a tre<br />

grandi temi: “Aggregazioni laicali e pastorale” (1992); “Riamare la politica.<br />

Come?” (1993); “Laici e servizio al mondo” (1994). Il lavoro si è concluso con<br />

77


il documento approvato dalla Conferenza episcopale triveneto Orientamenti<br />

per le aggregazioni ecclesiali laicali con lettera di presentazione <strong>della</strong><br />

Conferenza episcopale triveneto (1996). I lavori <strong>della</strong> Consulta sono stati<br />

raccolti in tre volumi, mentre il documento finale è stato pubblicato a parte.<br />

Alcuni orientamenti di Aquileia<br />

Nel convegno ecclesiale di Aquileia del 1990, nel quale le Chiese del Triveneto<br />

ebbero la possibilità di riflettere insieme su che cosa comportasse la<br />

nuova evangelizzazione delle regioni del Nord Est d’Italia, dove in passato<br />

il Vangelo si era profondamente inculturato con la vita <strong>della</strong> gente, apparvero<br />

con chiarezza alcuni “nodi” con cui la pastorale doveva confrontarsi.<br />

Questi erano l’indifferenza e la secolarizzazione conseguenti al benessere<br />

raggiunto; la scarsa incisività delle strutture ecclesiali per l’irrompere<br />

<strong>della</strong> soggettività; la crisi dei modelli tradizionali ispirati all’etica del mondo<br />

agricolo e fra questi la famiglia; il pluralismo etnico culturale e religioso<br />

visto allora come conseguenza dell’apertura delle frontiere dell’Est europeo<br />

(CDA, II, 2) 13 .<br />

Come potevano nella nuova situazione le Chiese, ci si domandò allora,<br />

vivere la fede, trasmetterla, fare di essa l’anima <strong>della</strong> cultura e <strong>della</strong> civiltà<br />

(CDA, II, 1)? Il clima del convegno ecclesiale consentì una analisi serena<br />

<strong>della</strong> nuova situazione, con un certo ottimismo, e propose alcune ipotesi<br />

pastorali. Per la prima volta i cristiani di diocesi diverse, unite da una antica<br />

tradizione comune, si erano trovate a comunicare fra loro esperienze e ricchezze.<br />

Successivamente però si è ritornati agli schemi pastorali di diocesi<br />

discretamente autosufficienti, per tradizione abituate a lavorare per conto<br />

proprio, e sono subentrate paure e incertezze.<br />

Fra gli argomenti pastorali ci limiteremo a considerare tre grandi<br />

indicazioni emerse ad Aquileia, per vederne la eventuale ancora validità e<br />

la loro assunzione da parte delle Chiese del Triveneto nella progettazione<br />

pastorale. Parleremo <strong>della</strong> prospettiva <strong>della</strong> nuova evangelizzazione, <strong>della</strong><br />

vita nel pluralismo e dell’impegno di rifare il tessuto sociale, con riferimenti<br />

al documento La croce di Aquileia (CDA).<br />

13 Cfr. CONFERENZA EPISCOPALE TRIVENETO, La croce di Aquileia. Lettera pastorale<br />

dei vescovi alla comunità cristiana del Nord Est, Rezzara, Vicenza, 1991, parte II, n. 2 (nel<br />

testo CDA).<br />

78


1. La nuova evangelizzazione<br />

Nell’analisi di Aquileia era emersa una crescente indifferenza per la<br />

religione, conseguenza del benessere raggiunto da queste regioni, contrassegnate<br />

in precedenza da una precarietà economica diffusa. I frequentanti<br />

all’eucarestia domenicale si erano di molto ridimensionati e la stessa scuola<br />

di catechismo, frequentata dalla quasi totalità dei ragazzi, non riusciva a<br />

formare credenti. Ci si chiese di conseguenza “come superare una pastorale<br />

<strong>della</strong> conservazione in favore di una pastorale dell’annuncio” (CDA, II, 12).<br />

Con ottimismo si affermò: “Eppure tale indifferenza non è un muro impenetrabile<br />

(...). Da molte parti vediamo riemergere una domanda di senso<br />

per la vita, magari formulata in forme ambigue, ma non per questo meno<br />

inquietanti. Soprattutto si avverte l’esigenza di un’etica che abbia fondamenta<br />

più sicure di quelle che la ragione umana da sola può garantire: la<br />

morale divina e umanissima del Vangelo” (CDA, I, 9).<br />

Le proposte pastorali formulate in questo primo ambito potrebbero<br />

essere raggruppate in cinque.<br />

La prima indicazione riguarda il recupero pastorale dell’annuncio,<br />

soprattutto agli adulti, che finiscono per identificare la propria fede con<br />

una certa prassi etica comune. Ognuno deve ritrovare il significato profondo<br />

di una scelta, la gioiosa adesione a Cristo, l’apertura all’azione dello<br />

Spirito Santo che salva e guida alla verità tutta intera (CDA, II, 5). Si dice<br />

che nell’evangelizzazione si devono trovare le parole capaci di veicolare<br />

il messaggio con un riferimento alla cultura e ai valori del tempo in cui<br />

viviamo, non disdegnando di partire anche dalle forme tradizionali <strong>della</strong><br />

religiosità popolare (CDA, I, 11). Si osserva che è sproporzionato lo sforzo<br />

delle parrocchie per la catechesi dei ragazzi rispetto allo scarso impegno nei<br />

confronti degli adulti, che poi finiscono per essere di modello nella vita agli<br />

stessi ragazzi (CDA, II, 12).<br />

La seconda indicazione è una revisione <strong>della</strong> iniziazione cristiana,<br />

attraverso la quale i ragazzi vengono inseriti nella comunità cristiana. Si<br />

dice in proposito: “Noi Vescovi siamo (...) convinti che sia ormai necessario<br />

prevedere e proporre itinerari organici e prolungati di iniziazione cristiana,<br />

nei quali le verità <strong>della</strong> fede siano riscoperte ed approfondite, per giungere<br />

a una celebrazione rinnovata e consapevole” (CDA, I, 5).<br />

Una terza indicazione riguarda il rinnovamento <strong>della</strong> parrocchia. Si<br />

afferma che essa deve amare la gente, rendere comprensibile e credibile il<br />

Vangelo annunciato, abbattere i muri del campanilismo, superare la presunta<br />

autosufficienza e la chiusura a nuove forme pastorali (CDA, I, 7).<br />

Una quarta indicazione concerne la priorità pastorale <strong>della</strong> famiglia<br />

79


nell’educazione alla fede. Si ritiene che la cesura fra catechesi e prassi<br />

familiare sia all’origine di tanti abbandoni dopo i sacramenti dell’iniziazione<br />

cristiana. Si parla di famiglia “luogo privilegiato di comunicazione dell’annuncio<br />

cristiano e di esperienza di fede”, di “cellula primaria <strong>della</strong> Chiesa<br />

e <strong>della</strong> società”. La famiglia “presenta molte potenzialità, anche in ordine<br />

alla traduzione del Vangelo nella vita, alla maturazione cristiana delle nuove<br />

generazioni, alla costruzione <strong>della</strong> comunità cristiana, alla promozione nella<br />

società dei valori umani elevati dalla visione evangelica” (CDA, I, 13).<br />

Una quinta indicazione infine riguarda il recupero del “giorno del<br />

Signore” come momento privilegiato “per la rigenerazione permanente<br />

<strong>della</strong> fede dei credenti” (CDA, II, 13). “Come pastori delle nostre Chiese –<br />

affermano i Vescovi – sentiamo allora il dovere di richiamare tutti i fratelli e<br />

le sorelle a non smarrire il senso <strong>della</strong> domenica e a partecipare alla messa<br />

domenicale nella propria comunità di fede” (CDA, I, 8). Si vede in questa<br />

esigenza la necessità di dare priorità alla prospettiva ascensionale <strong>della</strong><br />

pastorale, recuperando la categoria biblica del “sabato”, inteso come ritorno<br />

<strong>della</strong> creazione a Dio.<br />

Le indicazioni elencate vanno certamente, come si può osservare, alla<br />

radice <strong>della</strong> pastorale, richiedendo ad essa di rinnovarsi sia nella esperienza<br />

ecclesiale di comunione, sia negli itinerari di educazione alla fede. Il tutto<br />

viene riassunto nella celebrazione del giorno del Signore. Le Chiese nell’attuazione<br />

però vennero a scontrarsi con prassi antiche consolidate dal tempo<br />

e con la scarsa disponibilità degli operatori pastorali a rinnovarsi. Ecco perché<br />

ad Aquileia si era fatto appello esplicito alla dimensione escatologica,<br />

cioè alla novità dello Spirito (CDA, II, 9).<br />

2. Vivere nel pluralismo<br />

In questi anni nel Triveneto si è affermato un pluralismo etnico, culturale<br />

e religioso, dovuto all’arrivo in queste regioni di molti immigrati dall’Est<br />

europeo e dall’Africa. La denatalità crescente e l’incremento produttivo<br />

dagli anni Settanta in poi del Nord Est offriva possibilità di lavoro a differenza<br />

di molte altre regioni d’Italia.<br />

Sulla nuova situazione di pluralismo culturale e religioso aveva già parlato<br />

il convegno di Aquileia. In quell’occasione fu la stessa esperienza di<br />

cristiani veneti, friulani, altoatesini, ladini a porre il problema delle relazioni<br />

fra diversi, regolate “non da rapporti di forza, di dominio o di convenienza<br />

economica, bensì di fraternità e di solidarietà”. Si affermò così ne La croce<br />

di Aquileia la necessità di “fare del nuovo e del diverso non una minaccia,<br />

80


ma, pur nella consapevolezza del peccato nel mondo, una ricchezza con la<br />

quale entrare in dialogo” (CDA, II, 6). Il testo del documento citato si dilunga<br />

nel sottolineare la necessaria prospettiva ecumenica, intesa come obbedienza<br />

al comandamento di Gesù prima ancora che come doveroso rapporto<br />

fra le Chiese: “Spirito ecumenico – si dice – è passione per la verità, ricercata<br />

insieme con gli altri; è ricerca e riscoperta di valori comuni. Nello stesso<br />

tempo è rispetto delle coscienze, <strong>della</strong> libertà e del pluralismo” (CDA, II,<br />

6/b). Circa il dialogo interreligioso si parla di fedeltà alla propria identità<br />

religiosa e di accoglienza <strong>della</strong> ricchezza dell’altro, di superamento dei pregiudizi<br />

e di capacità di dialogo, di rifiuto <strong>della</strong> comunicazione autoritaria e di<br />

superamento del falso irenismo. Si conclude con un invito alla promozione<br />

dei diritti umani, alla solidarietà con i poveri e gli emarginati, alla costruzione<br />

<strong>della</strong> pace nella sua pienezza, alla difesa del creato (CDA, II, 6/c).<br />

Gli orientamenti pastorali emersi in questo secondo ambito possono<br />

essere riassunti in quattro indicazioni.<br />

Un primo orientamento riguarda la capacità di guardare con simpatia<br />

chi è diverso anche se la sua presenza può essere motivo di disturbo e a<br />

volte di conflitto.<br />

Un secondo orientamento è quello di allargare le tradizionali categorie<br />

religiose del sacro attraverso il recupero <strong>della</strong> fede e di superare i pregiudizi<br />

attraverso la relazione. Lo stile <strong>della</strong> carità, si afferma ne La croce di<br />

Aquileia, ci porta “a camminare in compagnia con gli uomini del nostro<br />

tempo, con gli atteggiamenti di ‘simpatia’ e di dialogo” (CDA, I, 11). Questa<br />

“compagnia” “richiede di ascoltare e di accogliere con riconoscenza quanto<br />

di buono può venire da ogni parte, dai cristiani di altre confessioni, dai credenti<br />

di altre religioni, dai non credenti: Dio semina a piene mani il buon<br />

grano <strong>della</strong> salvezza nel campo del mondo (cfr. Mt 13, 24-30)” (CDA, I, 11).<br />

Un terzo orientamento è costituito dal connubio fra identità e dialogo,<br />

fra valori e responsabilità. Ne La croce di Aquileia si afferma: “il dialogo<br />

ecumenico ed interreligioso (...) richiede una educazione all’identità cristiana<br />

ed insieme all’ascolto, a guisa del rapporto che Dio ha voluto stabilire<br />

con il mondo” (CDA, II, 6).<br />

Un quarto orientamento indica nel dialogo ecumenico e interreligioso<br />

una necessità ed insieme una ricchezza. Esplicita al riguardo è La croce di<br />

Aquileia quando parla dell’ecumenismo essenziale all’evangelizzazione e<br />

al ringiovanimento <strong>della</strong> Chiesa e del dialogo interreligioso come scoperta<br />

<strong>della</strong> “fede di Abramo nell’unico Dio onnipotente e misericordioso (Giovanni<br />

Paolo II ad Ankara 1979)” (CDA, II, 6).<br />

Queste indicazioni, espresse nei documenti citati, sono presentate come<br />

il recupero <strong>della</strong> dimensione cattolica <strong>della</strong> Chiesa e come contributo speci-<br />

81


fico delle Chiese del Triveneto alla unificazione europea. Le nostre terre, si<br />

afferma ne La croce di Aquileia, “collocate come punte fra l’Ovest e l’Est,<br />

in un tempo nel quale sembrano aprirsi all’Europa nuove prospettive per un<br />

cammino comune”, possono in tal modo offrire “un contributo per ridare a<br />

questa Europa in movimento un’anima religiosa e cristiana” (CDA, II, 15).<br />

Sono prospettive di grande respiro, oggi ancora più attuali di allora.<br />

Lo sviluppo dell’immigrazione nelle nostre regioni interpella oggi le<br />

Chiese che, dopo una prima accoglienza, si trovano ad affrontare i delicati<br />

problemi dell’integrazione. Possiamo ritenere che le Chiese del Triveneto<br />

non abbiano ancora affrontato i gravi problemi interreligiosi posti dalla<br />

intercultura, prospettiva ineludibile, che comporta un ripensamento globale<br />

<strong>della</strong> pastorale intera, in quanto richiede il passaggio educativo dalla conoscenza<br />

alla relazione, e la capacità di programmazione tenendo conto <strong>della</strong><br />

presenza di persone di altre culture e religioni.<br />

3. Rifare il tessuto sociale<br />

Il passaggio da una società culturalmente omogenea al pluralismo ha<br />

portato a una frammentazione che rende difficile ogni intervento e che<br />

provoca un alto tasso di conflittualità. A questo si era aggiunta la crisi politica<br />

del nostro Paese per il crollo <strong>della</strong> presenza politica dei cattolici. Si era<br />

aperto così un periodo di grande incertezza e di contrapposizioni delicate,<br />

non ancora concluso. La crisi <strong>della</strong> società politica si è riflessa anche nel tessuto<br />

<strong>della</strong> società civile, il quale ha spesso coinvolto le stesse aggregazioni<br />

ecclesiali laicali.<br />

In questo contesto è divenuto ancor più pressante quanto era risuonato<br />

al convegno ecclesiale di Aquileia, la necessità di promozione di un’animazione<br />

cristiana <strong>della</strong> società e di organizzazione politica, favorendo<br />

una comunicazione sincera e una assunzione di responsabilità nelle scelte<br />

comuni (CDA, II, 8). Nel documento La croce di Aquileia si afferma che le<br />

Chiese del Triveneto “sembrano talvolta soffrire di incomunicabilità” e si<br />

parla <strong>della</strong> necessità di recuperare un “supplemento di fantasia nella comunicazione<br />

e nel linguaggio, in una società culturalmente complessa e frammentata”<br />

(CDA, II, 8/a). Si elencano al riguardo alcuni settori di impegno<br />

da privilegiare, tra cui la promozione di un volontariato capace di realizzare<br />

forme di solidarietà “lunghe” (CDA, II, 8/d) e si parla dell’impegno politico:<br />

le comunità cristiane “sono altresì chiamate – attraverso gruppi associativi<br />

o specifiche iniziative – a formare la coscienza dei fedeli a vivere nella società<br />

nella luce e nell’orizzonte <strong>della</strong> fede, ad imparare a leggere le situazioni<br />

82


in modo sapienziale e ad assumere criteri comuni di discernimento” (CDA,<br />

II, 8/e).<br />

In questo quadro di analisi, possiamo cogliere una serie di proposte<br />

pastorali precise, che elenchiamo in quattro.<br />

La prima proposta per importanza ed attualità è quella accennata di<br />

una nuova inculturazione. L’argomento è vasto e di non facile attuazione<br />

ed è parallelo a quella chiamata precedentemente nuova evangelizzazione,<br />

che comprende la ricerca di nuovi linguaggi ed insieme lo stimolo affinché<br />

la realtà e le situazioni nuove riesprimano la fede. A tale esigenza si riferisce<br />

La croce di Aquileia quando invita a “parlare la lingua degli uomini del<br />

nostro tempo” (CDA, I, 11) e quando afferma la necessità di “curvarsi con<br />

amore e umiltà sulla nostra società (...) per aiutarla a vivere in rinnovata<br />

pienezza il messaggio liberante del Vangelo nella concretezza <strong>della</strong> nostra<br />

storia e <strong>della</strong> nostra civiltà” (CDA, II, 2).<br />

La seconda proposta riguarda l’impegno nella rivitalizzazione dei<br />

mondi vitali, che costituiscono il tessuto <strong>della</strong> società, con la promozione<br />

dell’associazionismo, del volontariato e <strong>della</strong> pastorale d’ambiente. Circa<br />

il volontariato un richiamo è presente ne La croce di Aquileia circa la sua<br />

necessaria testimonianza di gratuità e di integrazione con le istituzioni civili<br />

(CDA, II, 8/d).<br />

La terza proposta parla <strong>della</strong> necessità di un impegno socio-politico<br />

attraverso l’elaborazione culturale e la formazione socio-politica di persone<br />

libere e responsabili, cristianamente motivate.<br />

La quarta ed ultima proposta invita a ritrovare la dimensione laicale<br />

<strong>della</strong> Chiesa “sacramento di salvezza per il mondo”. “La nuova evangelizzazione<br />

– osserva La croce di Aquileia – (...) si propone di stabilire un rapporto<br />

di ‘simpatia’ con il mondo presente, per cogliere in esso i ‘semi del Verbo’,<br />

operanti fin dalla creazione e nell’azione dello Spirito in secoli di vita cristiana<br />

già attuata nelle nostre regioni”. Essa quindi si propone di raggiungere<br />

“gli ambiti di vita dove l’uomo lavora, studia, fa economia e cultura, dove<br />

impegna il suo tempo libero” (CDA, II, 4).<br />

Queste proposte sono ancor oggi suggestive e sembrano rispondere alle<br />

esigenze più profonde dell’uomo che vive nel mondo, amando le cose che fa<br />

e nello stesso tempo cercando di trovare di esse il significato cristiano. Le<br />

parrocchie del Nord Est hanno una lunga tradizione di inserimento nella<br />

vita <strong>della</strong> gente e quindi rischiano più delle altre di porre attenzione più<br />

ai propri fedeli che a quanti sono estranei, più al proprio territorio che al<br />

mondo.<br />

83


Conclusione<br />

Aquileia era stata scelta come luogo del convegno per la sua “ricchezza<br />

simbolica, rappresentata dalla prima evangelizzazione legata alla tradizione<br />

di San Marco, ai martiri aquileiesi, alle espressioni <strong>della</strong> fede antica, al<br />

patrimonio artistico e architettonico, all’aderenza al territorio” (CDA, II,<br />

3). Possiamo concludere affermando che lo stesso convegno di Aquileia,<br />

con le sue proposte, si colloca esso pure nella memoria delle Chiese del Triveneto<br />

come “simbolo”. Ed è così che la stessa “lettera di Aquileia” lo ha<br />

consegnato ai fedeli, ricordando di quei giorni la centralità del Vangelo, lo<br />

scambio <strong>della</strong> croce di Aquileia (CDA, I, 2), le celebrazioni liturgiche nelle<br />

basiliche di Aquileia e Grado (CDA, I, 4), la lampada accesa distribuita<br />

(CDA, I, 9) al termine dei lavori, il pellegrinaggio notturno al Santuario di<br />

Barbana (CDA, I, 16). Nella memoria delle Chiese rimane così il ricordo di<br />

una esaltante esperienza comune di ricerca, di studio e di programmazione<br />

pastorale, mezzo indispensabile in futuro per rispondere alla ricerca di Dio<br />

presente degli uomini del nostro tempo.<br />

BIBLIOGRAFIA<br />

1. Documenti del convegno di Aquileia<br />

CONFERENZA EPISCOPALE TRIVENETO, Comunità cristiane e futuro<br />

delle Venezie, atti del 1° convegno ecclesiale Aquileia-Grado 28 aprile-1°<br />

maggio 1990, DAL FERRO G.-DONI P. (a cura di), Messaggero, Padova, 1991.<br />

CONFERENZA EPISCOPALE TRIVENETO, Le chiese del Nord-Est. Religiosità<br />

e cultura, atti dei seminari in preparazione al I convegno ecclesiale<br />

triveneto Aquileia-Grado 1990, DAL FERRO G.-FONTANA S.-NODARI M.V. (a<br />

cura di), Messaggero, Padova, 1991.<br />

CONFERENZA EPISCOPALE TRIVENETO, Le regioni del Nord-Est. Società,<br />

economia e ambiente, atti dei seminari in preparazione al I convegno ecclesiale<br />

triveneto Aquileia-Grado 1990, DAL FERRO G.-FONTANA S.-NODARI<br />

M.V. (a cura di), Messaggero, Padova, 1991.<br />

2. Riflessione di “Giustizia e Pace”<br />

84<br />

CONFERENZA EPISCOPALE TRIVENETO COMMISSIONE GIUSTIZIA E PACE,


Il pluralismo culturale e religioso in Europa, Seminario di studio, Mestre<br />

9 ottobre 1993, Trieste, 1994.<br />

CONFERENZA EPISCOPALE TRIVENETO COMMISSIONE GIUSTIZIA E PACE,<br />

Le radici del conflitto in Europa e i risvolti extraeuropei, Seminario di studio,<br />

Mestre 29 ottobre 1994, Trieste, 1995.<br />

CONFERENZA EPISCOPALE TRIVENETO COMMISSIONE GIUSTIZIA E PACE,<br />

Le regioni del Nord Est d’Italia e la nuova realtà europea, Seminario di<br />

studio, Mestre 22 febbraio 1997, Trieste, 1997.<br />

CONFERENZA EPISCOPALE TRIVENETO COMMISSIONE GIUSTIZIA E PACE,<br />

I credenti e la nuova Europa, Seminario di studio, Bressanone 17/18 ottobre<br />

1997, Trieste, 1998.<br />

3. Riflessione <strong>della</strong> Consulta triveneta delle Aggregazioni laicali<br />

CONSULTA TRIVENETA DELLE AGGREGAZIONI LAICALI, Orientamenti per<br />

le aggregazioni ecclesiali laicali, con lettera di presentazione <strong>della</strong> Conferenza<br />

episcopale italiana, Rezzara, Vicenza, 1996.<br />

DAL FERRO G.-DONI P.-MARANGON A. ET AL., Aggregazioni laicali e<br />

pastorale, Rezzara, Vicenza, 1993.<br />

CREPALDI L.-DAL FERRO G.-DONI P.-FONTANA G.L. ET AL., Riamare la<br />

politica. Come?, Rezzara, Vicenza, 1993.<br />

BIGNARDI P.-BORDIGNON L.-BRUNELLI G.-CREPALDI L.-DAL FERRO G.-<br />

SCABINI G. ET AL., Laici e servizio al mondo, Rezzara, Vicenza, 1994.<br />

85


IL RUOLO DEI CATTOLICI NELLA COSTRUZIONE<br />

DELL’ITALIA UNITA E DELLA SUA COLLOCAZIONE<br />

IN EUROPA<br />

Intervento tenuto da Luigi Pizzolato al Convegno socio-politico<br />

delle Aggregazioni Laicali su “I cattolici e l’unità d’Italia nel<br />

contesto europeo” – Vicenza, Palazzo delle Opere sociali, domenica<br />

7 novembre 2010<br />

Da tempo si parla dell’inconsistente azione dei cattolici italiani al processo<br />

dell’unità d’Italia; bisogna, peraltro, distinguere tra masse ed élites,<br />

ed è noto che è più difficile studiare le masse articolate e in posizione non<br />

di vertice. Le masse contadine a volte erano trattenute, perché insofferenti<br />

ed ostili verso i movimenti politici che erano diretti da signori, a volte erano<br />

influenzabili e trascinate in un disegno progettuale che poteva essere anche<br />

eccentrico rispetto alle loro radici. Nel passato la critica storica italiana ha<br />

lavorato molto sulla storia ecclesiastica, ossia sulla politica <strong>della</strong> Chiesa, ma<br />

poco sulla storia religiosa, vale a dire sulla ricostruzione dei sentimenti e<br />

delle concezioni religiose di un popolo. Il problema è complesso, in quanto il<br />

discorso non riguarda solo l’indipendenza nazionale, ma anche l’unità delle<br />

sue varie parti e la presenza di uno Stato, che è particolare ed ha una missione<br />

universale.<br />

Dopo la Rivoluzione francese ed i suoi eccessi anticlericali e antireligiosi,<br />

la religione è stata vista come elemento coalizzante degli Stati assoluti<br />

ed in Italia il problema è stato quello di dissociarla dall’assolutismo e<br />

dalla dominazione straniera per associarla, invece, con la libertà e con la<br />

democrazia. Sappiamo che la Chiesa è stata tirata nel gioco risorgimentale<br />

attraverso il richiamo delle coscienze individuali dei cattolici ed il principio<br />

cavouriano di distinzione di “libera Chiesa in libero Stato”. I cattolici hanno<br />

talora gestito il cattolicesimo liberale, ma hanno sempre ritenuto fondamentale<br />

analizzare il rapporto tra religione e politica e non solo fra Stato<br />

e Chiesa. La presenza di uno Stato confessionale, quale lo Stato pontificio<br />

all’interno dell’Italia, trasformava il discorso del rapporto Stato-Chiesa<br />

anche all’interno <strong>della</strong> Chiesa come Stato, quindi il rapporto tra religione<br />

e politica. A volte i cattolici sono stati sottratti, dalla critica, alla coscienza<br />

risorgimentale in maniera errata perché alcuni non avevano tendenze di<br />

tipo liberale, ma si faceva coincidere, per molti aspetti, il liberalismo e il cattolicesimo<br />

liberale con lo spirito risorgimentale.<br />

86


Il rapporto religione politica<br />

Il <strong>2011</strong>, oltre al centocinquantesimo dell’unità d’Italia, è anche il centenario<br />

<strong>della</strong> morte di Antonio Fogazzaro ed a Vicenza vi è l’obbligo di<br />

ricordarlo, anche perché è una figura che rappresenta la costruzione del<br />

sentimento nazionale e del rapporto di riflessione tra religione e politica.<br />

Il Fogazzaro, su queste posizioni debitore del Rosmini, era convinto che<br />

la questione romana fosse stata provvidenziale per la Chiesa e lamentava<br />

che “purtroppo la Santa Sede è stata spogliata da noi con la forza e non si è<br />

spogliata da sé per amore”. La posizione del Fogazzaro andava oltre quella<br />

conciliatorista perché dal Rosmini aveva tratto la convinzione che la Chiesa<br />

non ha bisogno di fatti e di protezione, ma necessita, invece, di libertà. L’Italia,<br />

in ogni caso, è stata riunita e Roma è diventata italiana, senza scismi e<br />

scomuniche papali. L’unica conseguenza veramente rilevante è stato il non<br />

expedit, cioè il divieto ai cattolici di partecipare attivamente alla vita politica<br />

italiana, che ha costituito un blocco alla formazione dei cattolici in questo<br />

campo.<br />

Chi legge la produzione del Risorgimento, non tanto quella dei vertici<br />

(ad esempio Mazzini, Cavour, Cattaneo, Balbo…) ma quella più minuta,<br />

avverte il tentativo di tener legato questo movimento ad una appartenenza<br />

religiosa: le poesie dei fratelli napoletani Poerio, ad esempio, sono imbevute<br />

di spirito religioso ed ecclesiale, anche se furono martiri risorgimentali.<br />

Nel passaggio dall’Italia preunitaria all’Italia unitaria non si è avvertita<br />

una diminuzione di religiosità, anzi qualcuno ha ritenuto che se la Chiesa<br />

avesse posto la questione in termini più drastici, in senso religioso la perdita<br />

sarebbe stata letale. Novelli diceva: “Guardatevi dal mettere il popolo in<br />

una difficile alternativa tra il suo sentimento nazionale e il suo sentimento<br />

religioso”; oggi, posta in questa alternativa, la gente sceglierebbe per il sentimento<br />

nazionale. Il sentimento di un popolo oramai avviene su fatti civili;<br />

sappiamo che c’è stata una miriade di manifestazioni, di inaugurazioni e di<br />

monumenti dedicati a Garibaldi (Vicenza fu la prima ad erigerlo, n.d.r.) ed<br />

altri con presenze massoniche anticlericali, però erano una goccia d’acqua<br />

nel mare dell’adesione di coscienza ad un sentimento nazionale, che pure si<br />

era creato, e <strong>della</strong> consapevolezza di essere una nazione che deve diventare<br />

una patria.<br />

Il Manzoni, già nella lirica Marzo 1821, dice: “Una d’arme, di lingua,<br />

d’altare, / di memorie, di sangue e di cor” e poi declina l’idea di nazione<br />

come un insieme di forze morali; caratteri di unità nazionale erano gli elementi<br />

politici, la libertà ed i componenti culturali. I cattolici più illuminati,<br />

ma anche il popolo ne avvertiva il senso, pensavano che non era il caso di<br />

87


sacrificare la nazione, e con essa anche il senso religioso, per una questione<br />

politica di individuazione di spazio da parte dello Stato pontificio. In Piccolo<br />

mondo antico e in Piccolo mondo moderno, i personaggi vicini al popolo<br />

avvertono dei legami stretti tra la religione che diventa religiosità e poi<br />

ritualità e potere: cosa comportava tutto ciò per il clero, che tutti i giorni<br />

andava a mangiare e a giocare ai tarocchi in casa dei potenti?<br />

Ben presto si giungerà alla questione sociale, che costringerà il liberalismo<br />

e i cattolici liberali a porsi il problema dei rapporti politici, non più<br />

sotto l’angolo dell’etica individuale (padrone-operaio), ma in relazioni di<br />

struttura dei rapporti fra mondo del lavoro e mondo dell’impresa, tra rivendicazioni<br />

di ceti come ricerca di regole comuni, di leggi sociali, fondamentali<br />

insomma di un’etica sociale e politica. Sarà uno stimolo nuovo che verrà ai<br />

cattolici attraverso anche le grandi encicliche sociali. Chi sposa in pieno la<br />

questione sociale (Piccolo mondo moderno), rischia di vedersi colluso coi<br />

socialisti e di essere espulso dall’appartenenza religiosa tradizionale. È un<br />

periodo molto crudo e molto ricco, però tale epoca non si può liquidare nel<br />

rapporto costituzione federalistica-costituzione unitaria. In Europa il clima<br />

è ancora nazionale e si ha la percezione <strong>della</strong> difficoltà di mantenere l’unità<br />

<strong>della</strong> nazione, anche perché i vari Stati d’Italia hanno diverse provenienze e<br />

generazioni. Non a caso, il fascismo, che è una forma, a mio avviso, futuristica,<br />

ha sfruttato il centralismo perché era più facile controllare la posizione<br />

unitaria che mediare tra i diversi.<br />

Era quasi impossibile costruire un’Italia federale, perché il Romanticismo<br />

ed il Risorgimento nascono con l’idea che ogni nazione ha una sua<br />

missione nel mondo, e la missione esercitata dà l’idea di un’azione unica,<br />

giusta o sbagliata che essa sia, perciò l’Italia avrebbe ottenuto il suo ruolo<br />

nel mondo solo presentandosi come nazione unita. La Costituzione italiana<br />

ha portato i cattolici al largo, cioè a non costruire la nazione perché questa<br />

aveva dato pessima prova di sé a causa dei totalitarismi del XX secolo, che<br />

avevano dato luogo ai nazionalismi, dove l’ammissione di una nazione era<br />

diventato il suo diritto di prevalere sulle altre per imporre se stessa. Il principio<br />

di nazionalismo era quindi scaduto e la carta costituzionale accettava il<br />

principio costituzionalistico, secondo il quale ogni popolo si deve dare delle<br />

regole-quadro per non cadere nella dittatura di una maggioranza impazzita.<br />

Mediazione tra diversi<br />

La Costituzione è costruita per tutelare i periodi di debolezza e si protende<br />

in avanti; essa non è basata sul grembo materno, ma sulle tradizioni<br />

88


che si è riusciti ad approvare mediante una faticosa opera di mediazione tra<br />

diversi ed è stata costruita grazie ad un velo d’ignoranza, perché nessuna<br />

forza sapeva cosa avrebbe prevalso e, quindi, i costituenti hanno cercato<br />

di tutelare i perdenti e di costruire un quadro di riferimento che tenesse<br />

insieme in Italia le coscienze dei diversi. La redazione <strong>della</strong> Costituzione,<br />

quindi, non guarda indietro, alla tradizione, ma guarda in avanti, in modo da<br />

costruire una società. Nella Costituzione italiana c’è già il principio di sussidiarietà<br />

che è alla base di un sano federalismo; in essa vi è l’idea che il popolo<br />

non è una mera sommatoria di individui, ma una federazione che vive di<br />

una pluralità di formazioni sociali, di comunità territoriali intermedie, di<br />

entità distinte anche sotto il profilo linguistico, di confessioni religiose, ecc.<br />

Sono la ricchezza delle relazioni e dei mondi vitali a fare l’unità del popolo e<br />

non un originario ed un po’ tribale legame tra consanguinei.<br />

I cattolici italiani non hanno potuto portare sulla scena europea l’elaborazione<br />

di un’etica civile. L’Italia non ha avuto la riforma protestante e,<br />

quindi, è rimasta al riparo e dalla caduta del protestantesimo e dalle guerre<br />

di religione, che hanno imperversato in Europa, soprattutto durante il<br />

Settecento. L’Italia, sostanzialmente, è stata un Paese monoconfessionale;<br />

ciò ha comportato una serie di vantaggi, ma ha anche un limite perché ha<br />

impedito ai cattolici italiani di costruirsi un’etica di confronto con altri.<br />

Mentre in Paesi interconfessionali si è stati costretti a venire a degli accordi<br />

non tanto di tipo confessionale ma di tipo civile e politico, in Italia l’unità è<br />

stata possibile anche grazie all’appartenenza religiosa e spesso l’elaborazione<br />

dell’etica civile è stata o delegata alla Chiesa o dedotta meccanicamente<br />

dai principi religiosi. Ciò ha costituito un adeguamento del cattolicesimo<br />

italiano, quando ha dovuto aprirsi e nel momento in cui ha avuto il problema<br />

di elaborare una unità condivisa nella secolarizzazione come avviene ora, ad<br />

esempio, dato che l’organicità religiosa non tiene più coesamente unita tutta<br />

la società. A mio avviso, nel rapporto europeo ci sono stati degli intoppi<br />

perché i cattolici italiani avrebbero potuto apportare alcuni dati tratti dalla<br />

Costituzione, se questa fosse stata interiorizzata dal popolo italiano, come<br />

l’idea <strong>della</strong> difficile e continua armonizzazione tra i principi di riferimento<br />

e la storia. I cattolici italiani più avveduti hanno sempre operato nel senso<br />

di trasportare nella storia i principi religiosi, senza prescindere da essi ed<br />

evitando di ricavarli immediatamente: si è cercato di trasformare i principi<br />

religiosi in maniera antropologica, ossia si è voluto far vedere come essi<br />

funzionano nella costruzione <strong>della</strong> città dell’uomo (questo compito poteva<br />

essere svolto da De Gasperi e da don Sturzo, ma non dai dossettiani perché<br />

questi erano stati troppo impegnati in discorsi interni di costruzione <strong>della</strong><br />

Costituzione).<br />

89


Radici cristiane dell’Europa<br />

I costruttori dell’Europa idealisti puntano ad arrivare a conclusioni pratiche<br />

e positive, mentre i pragmatisti discutono delle radici cristiane dell’Europa,<br />

ma non di come trasportarle in termini politici. Mettere a tema il rapporto<br />

tra la costruzione di un organismo politico e le culture o le religioni stesse<br />

significa riflettere sul legame tra la fede e la politica, tenendo presente che,<br />

per di più, qui si tratta <strong>della</strong> realizzazione di un organismo sopranazionale,<br />

multietnico, multiculturale, multireligioso e ciò rende tutto molto complesso.<br />

Che le basi dell’Europa siano fondate sul Cristianesimo è un fatto indubbio,<br />

che non può essere messo in discussione da alcuno. Il mondo cattolico ripropone<br />

le stesse posizioni che erano state superate dalla Costituente, dove era<br />

prevalsa, nel ricordo delle divisioni <strong>della</strong> guerra, la posizione del cattolicesimo<br />

democratico, cioè la traduzione dei valori cristiani in valori umani. Giorgio La<br />

Pira aveva proposto di aprire la Costituzione nel nome <strong>della</strong> Santissima Trinità,<br />

ma è stato un gesto provocatorio che ha attirato subito l’attenzione ed ha<br />

fatto vedere che se fosse stato messo un marchio sui valori antropologici, si<br />

sarebbe finito per farli rifiutare. Le garanzie dell’Europa di per sé potrebbero<br />

riposare anche sulle dichiarazioni del fondamento religioso, però, da molti<br />

sintomi, prevediamo che queste siano troppo costose sul piano <strong>della</strong> concordia<br />

politica, specie se si volessero declamare le radici cristiane nel testo<br />

costitutivo, quindi è preferibile soffermarsi su quelle che Maritain chiamava<br />

conclusioni pratiche che siano in grado di soddisfare la concezione dell’uomo.<br />

L’avanzamento dell’unità, oltre che per un interessato silenzio, può avvenire<br />

sui valori fondamentali anche per via <strong>della</strong> forza omogeneizzatrice del consumo<br />

e del mercato. Studiando la crisi dell’epoca antica, quando le antiche<br />

sintesi sono distolte dalla materia sparpagliata, gli elementi liberi dal legame,<br />

incapaci di sopravvivere nell’anarchia, chiamano un germe che torni ad unirli.<br />

Oggi viviamo un periodo di trapasso epocale di mancanza di sintesi e,<br />

per questo, la sirena <strong>della</strong> paura è avvertita ancora di più, ma non si deve<br />

trovare un surrogato di una sintesi mancante. Hegel affermava che quando<br />

si avvicina il crepuscolo dei valori, leva il suo volo la civetta (uccello <strong>della</strong><br />

sapienza) per prendere ciò che di vivo vi è nel passato per farne la sostanza<br />

dell’avvenire. L’Europa potrà trovare una sua vera unità, consona alla<br />

sua vocazione, e storicamente praticabile, se nel rispetto delle convinzioni<br />

ultime di tutti, religiose o laiche che siano, saprà scoprire una concordia su<br />

alcuni fondamentali tasti temuti, cioè lavorando ad un nuovo patto di valori<br />

etici che potranno ridisegnare gli stessi schieramenti politici. La designazione<br />

di questo patto sarà sempre più esigita dal sopraggiungere, in Europa,<br />

di nuovi membri che sarà pur possibile integrare per via religiosa (si pensi,<br />

90


ad esempio, alla Turchia). Sarà necessario, quindi, fondare alcune basi<br />

antropologiche profonde, senza lasciare che ci pensi a farlo il mercato: solo<br />

così gli immigrati presenti in Europa riusciranno ad interiorizzare e rispettare<br />

le ragioni profonde dello spirito europeo con il quale vengono a contatto,<br />

proprio in quanto riusciranno a vederlo consono allo sviluppo anche <strong>della</strong><br />

loro persona: questa, non le dichiarazioni di principio religiose, è la vera<br />

posta in gioco dell’Europa e delle sue radici cristiane.<br />

Il senso dell’apertura non è una graziosa concessione, quasi uno sperpero<br />

prodigo dell’identità cristiana europea, ma è la disponibilità descritta<br />

nel dna dell’Europa e del Cristianesimo. Questa situazione esige che il riferimento<br />

ai valori religiosi sia custodito, sia elaborato e sia continuamente<br />

ribadito all’interno delle famiglie spirituali, quelle religiose in testa e, poi,<br />

quelle culturali e politiche, che dovranno riscoprire e dichiarare le radici<br />

che hanno spesso con faciloneria abbandonato per le ideologie, in nome di<br />

un accomodamento su logiche funzionalistiche e di interesse. Nei luoghi<br />

religiosi e culturali potranno essere custoditi più propriamente i valori e<br />

i riferimenti ideologici precisi, perché sono ancora riconoscibili come forgiatori<br />

di un sentire comune. Per essere validi fattori di cittadinanza, però,<br />

dovranno essere proposti a tutti in onore al progresso di tutta la famiglia<br />

umana delle città europee. Il ruolo delle famiglie religiose e delle famiglie<br />

culturali non finisce qui perché non è semplicemente una parte dove si<br />

depotenziano i valori, è invece il luogo dove si custodiscono, si approfondiscono,<br />

si forniscono i valori all’elaborazione antropologica. È un lavoro che<br />

non è svolto da nessun altro, anche perché i partiti politici hanno perso il<br />

contatto con le ideologie e sono diventati semplicemente partiti funzionali a<br />

scelte di potere ed interessi immediati.<br />

Il riferimento al Cristianesimo, poi, deve trovare un’elaborazione<br />

soprattutto in quegli Stati dove il costume cristiano è ancora riconoscibile.<br />

La costruzione europea unifica le culture dei Paesi membri, ed essi possono<br />

proseguire nella loro linea culturale portante. La cultura cristiana potrà<br />

sviluppare il suo ruolo di umanizzazione, forse fino ad un punto in cui i suoi<br />

valori possono diventare di nuovo valide basi di convivenza. Temiamo che<br />

a troppi politici, che amano dirsi cattolici, interessi di più sbandierare gli<br />

stendardi <strong>della</strong> fede piuttosto che raccogliersi dentro per capirne il senso e<br />

a coglierne l’impegno etico di spiegare la realtà politica.<br />

Questione antropologica del federalismo<br />

Vorrei chiudere con un piccolo accenno sulla questione antropologica<br />

del federalismo in questo quadro. La Costituzione italiana ha affrontato il<br />

91


federalismo in maniera seria, però nell’attuale cultura si rischia di ripetere in<br />

piccolo le azioni ottocentesche, ma mentre nell’Ottocento tali eventi univano<br />

le nazioni, ora queste rivendicazioni all’interno degli Stati tendono a formare<br />

tanti cerchi nazionalistici che non hanno missioni ma solo tendenze economicistiche<br />

e rivendicano spazi di potere in ogni funzione politica. In momenti in<br />

cui il discorso generale verte sull’invecchiamento progressivo <strong>della</strong> popolazione<br />

occidentale, sullo sviluppo sostenibile, sulle economie emergenti, come<br />

ci si può illudere di poter tappare il buco mettendoci il dito? Va fatto allora<br />

un discorso di apertura globale: se il federalismo deve essere un’articolazione<br />

dello Stato ben venga, ma tale articolazione deve essere fatta per responsabilizzare<br />

il governo nella gestione delle risorse interne. È necessario porre<br />

attenzione allo spirito del federalismo, che deve essere quello di servire a<br />

disegni più vasti, ai quali lo Stato stesso dovrà “inchinarsi” in quanto non è<br />

possibile risolvere i problemi rinchiudendosi in macro regioni. La sociologia<br />

francese Lynda Dematteo nel recente libro L’idiotie en politique studia il<br />

fenomeno leghista. In questo caso idiozia non è un insulto, è il termine tecnico<br />

che i greci usano per indicare come il privato vede esprimere se stesso<br />

nella realizzazione del proprio particolare. Tale termine dalla Dematteo è<br />

messo in relazione a tutti questi fenomeni globali ed è facile prevedere che<br />

queste soluzioni parcellizzate saranno travolte dal movimento storico, ma la<br />

civetta deve vedere prima che avvengano le tragedie.<br />

Grazie alla ragione e alla sapienza dobbiamo prevenire i disastri e guidare<br />

i processi storici perché, a volte, si ha la sensazione che il federalismo<br />

localistico sia paura <strong>della</strong> modernità, sia rinchiudersi perché il mondo esterno<br />

è troppo difficile. L’uomo, però, in questo modo non cresce ma ritarda<br />

solo il suo declino e la sua morte. Se si interpretano le identità locali come<br />

definitive, ineluttabili, si compie un doppio grave errore perché si confonde<br />

con un dato di natura quello che, invece, è il frutto di una storia di incontri e<br />

di relazioni tra diversi (le comunità locali, infatti, sono state costruite negli<br />

incontri tra diversi) e, al contempo, si pretende di fermare questo moto<br />

incessante e mai concluso <strong>della</strong> costruzione dell’identità di una persona. È<br />

mai possibile che in territori di così alta densità religiosa, come quelli italiani,<br />

si sviluppino fenomeni ancestrali favoriti da persone che non hanno la<br />

visione di una costruzione di una società di tutti? Si impone allora la ripresa<br />

di una pastorale che sappia legare e dare sostanza ad un sano e vero discorso<br />

federalistico, che sarà stimolato anche dalla riflessione sul centenario<br />

dell’unità d’Italia.<br />

92<br />

Deregistrazione non rivista dall’autore.


LA NUOVA EVANGELIZZAZIONE<br />

FEDE CRISTIANA E RELATIVISMO<br />

Prolusione di S. Ecc. mons. Rino Fisichella, Presidente del Pontificio<br />

Consiglio per la Promozione <strong>della</strong> Nuova Evangelizzazione,<br />

alla Scuola di Cultura Cattolica “Mariano Rumor” – Vicenza,<br />

Palazzo delle Opere Sociali, 13 febbraio <strong>2011</strong><br />

“Il punto cruciale <strong>della</strong> questione sta in questo: se un uomo, imbevuto<br />

<strong>della</strong> civiltà moderna, un europeo, può ancora credere; credere proprio<br />

nella divinità del Figlio di Dio Gesù Cristo. In questo infatti sta tutta la<br />

fede”. Sono le parole cariche di provocazione che provengono da uno degli<br />

scrittori più significativi del secolo scorso: Dostoewskij. Chiedersi se l’uomo<br />

di oggi è ancora disposto a credere in Gesù come Figlio di Dio comporta<br />

necessariamente la questione sottesa: se l’uomo di oggi sente ancora il bisogno<br />

<strong>della</strong> salvezza. Sta tutto qui il problema per noi credenti, per la nostra<br />

credibilità nel mondo di oggi; ma è il problema anche per quanti non credono<br />

e desiderano dare un senso compiuto alla loro vita. Non trovo altra possibilità<br />

al di fuori di questa condizione che provoca a trovare una risposta.<br />

Davanti alla possibilità di Gesù Cristo non si può rimanere neutrali; si deve<br />

dare una risposta se si vuole trovare un senso alla propria vita. Per alcuni, si<br />

concentrano qui le grandi questioni che toccano ognuno di noi e la semplice<br />

risposta che la Chiesa offre annunciando, come se il tempo non fosse mai<br />

passato, lo stesso contenuto dei primi anni <strong>della</strong> nostra esistenza come cristiani:<br />

Gesù, crocifisso e risorto; lui che è passato in mezzo a noi, annunciando<br />

il regno di Dio e facendo del bene a quanti si rivolgevano a lui.<br />

Uno dei tratti peculiari del cristianesimo è la sua concezione di essere<br />

profondamente inserito nella storia. Le parole di Gesù ai suoi discepoli<br />

quando ricorda loro di essere nel mondo, ma di non essere del mondo (cfr.<br />

Gv 15,19; 17,13-14), sono state interpretate come un impegno fondamentale<br />

a condividere le vicende <strong>della</strong> storia, pur sapendo che l’obiettivo ultimo che<br />

dà significato pieno agli avvenimenti, va oltre la storia stessa. Con la Lettera<br />

Apostolica, Ubicumque et semper, del 21 settembre 2010, il Santo Padre<br />

ha istituito il Pontificio Consiglio per la Promozione <strong>della</strong> Nuova Evangelizzazione.<br />

Lo scopo appare da subito come una grande sfida. Dovremmo essere<br />

capaci di guardare con realismo al presente <strong>della</strong> Chiesa, per prospettarle<br />

un cammino che la impegnerà non poco nel prossimo futuro. D’altronde,<br />

viviamo un tempo di gradi sfide, che incidono non poco nei comportamenti<br />

di intere generazioni, dovute al fatto <strong>della</strong> conclusione di un’epoca con l’ingresso<br />

in una nuova fase per la storia dell’umanità. A tanti elementi positivi,<br />

93


che consentono di vedere un impegno più coerente nella vita di fede, corrispondono<br />

non di rado forme di “distacco dalla fede” come conseguenza di<br />

una diffusa forma di indifferenza religiosa, preludio per un ateismo di fatto.<br />

Spesso la mancanza di conoscenza dei contenuti basilari <strong>della</strong> fede<br />

porta, inevitabilmente, ad assumere comportamenti e forme di giudizio<br />

morale spesso in contrasto con l’essenza stessa <strong>della</strong> fede, così come è stata<br />

sempre annunciata e vissuta nel corso dei venti secoli <strong>della</strong> nostra storia. Il<br />

relativismo, di cui Papa Benedetto ha sempre denunciato i limiti e le contraddizioni,<br />

proprio in vista di una corretta antropologia, emerge come la<br />

nota caratteristica di questi decenni segnati sempre più dalle conseguenze<br />

di un secolarismo teso ad allontanare il nostro contemporaneo dalla sua<br />

relazione fondamentale con Dio. In questo senso, sono soprattutto le Chiese<br />

di antica tradizione che risentono di questa condizione, anche se nel processo<br />

di globalizzazione in cui siamo inseriti nessuno sembra sfuggire a questa<br />

drammatica situazione che crea un “deserto interiore”, allontanando l’uomo<br />

da se stesso. È questo uno dei motivi per promuovere la nuova evangelizzazione.<br />

Essa, è la missione che “sempre e dovunque” la Chiesa ha sentito<br />

come suo compito fondamentale per corrispondere in pieno al comando<br />

del Signore di andare in tutto il mondo e fare suoi discepoli tutti i popoli<br />

<strong>della</strong> terra. Il tema <strong>della</strong> nuova evangelizzazione è stato oggetto di attenta<br />

riflessione da parte del magistero <strong>della</strong> Chiesa negli ultimi decenni. È<br />

obbligatorio ricordare, anzitutto, il concilio Vaticano II; per alcuni versi, mi<br />

sembra di poter dire che il nuovo Pontificio Consiglio risulta essere il frutto<br />

maturo del concilio. Non tutti, forse ricorderanno il discorso di apertura di<br />

Giovanni XXIII; in quelle parole il papa descriveva le finalità del Vaticano<br />

II. Un’espressione permane come punto di riferimento per comprendere a<br />

pieno quell’evento: “Occorre che la stessa dottrina sia esaminata più largamente<br />

e più a fondo e gli animi ne siano più pienamente imbevuti e informati,<br />

come auspicano ardentemente tutti i sinceri fautori <strong>della</strong> verità cristiana,<br />

cattolica, apostolica; occorre che questa dottrina certa ed immutabile, alla<br />

quale si deve prestare un assenso fedele, sia approfondita ed esposta secondo<br />

quanto è richiesto dai nostri tempi. Altro è infatti il deposito <strong>della</strong> Fede,<br />

cioè le verità che sono contenute nella nostra veneranda dottrina, altro è<br />

il modo con il quale esse sono annunziate, sempre però nello stesso senso<br />

e nella stessa accezione”. Come si nota, il desiderio di Giovanni XXIII era<br />

quello di parlare all’uomo di oggi con un linguaggio comprensibile, non frutto<br />

<strong>della</strong> condanna ma <strong>della</strong> misericordia.<br />

Un passo ulteriore venne compiuto con la Evangelii nuntiandi di Paolo<br />

VI del 1974, a conclusione del Sinodo sull’evangelizzazione. Anche se in quel<br />

testo non compare l’espressione “nuova evangelizzazione”, il contenuto non<br />

94


è altro che una ripetuta riflessione sul tema che mantiene la sua profonda<br />

attualità fino ai nostri giorni. Per alcuni versi, essa potrebbe ritrovarsi nel<br />

famoso testo del Papa: “L’uomo di oggi non ascolta volentieri i maestri, ma<br />

i testimoni e se ascolta i maestri è perché sono testimoni”. Un passo fondamentale,<br />

in questo senso, venne compiuto da Giovanni Paolo II; a lui si deve<br />

l’espressione “nuova evangelizzazione” che permane come una costante nei<br />

suoi ventisette anni di pontificato. Da ultimo, Benedetto XVI ha voluto raccogliere<br />

il testimone compiendo un ulteriore passo concreto con l’istituzione<br />

di questo Pontificio Consiglio e stabilendo che il prossimo Sinodo dei Vescovi<br />

abbia come suo oggetto: “La nuova evangelizzazione e la trasmissione<br />

<strong>della</strong> fede cristiana”.<br />

La Chiesa è stata voluta da Gesù di Nazareth perché fosse la continuazione<br />

viva <strong>della</strong> sua presenza in mezzo al mondo. Dopo duemila anni dal comando<br />

di andare per il mondo intero ad annunciare il Vangelo e fare suoi discepoli<br />

tutti i popoli <strong>della</strong> terra, la Chiesa non è mai venuta meno in questo compito<br />

così essenziale per la sua vita. Essa è nata con la missione di evangelizzare<br />

e nel momento in cui rinunciasse a questo suo compito, verrebbe meno alla<br />

sua stessa natura. Annunciare il Vangelo di Gesù Cristo non ci rende migliori<br />

degli altri, ma certamente abilita a essere più responsabili. È questa una<br />

missione che diventa più evidente in un momento di crisi come quello che<br />

stiamo attraversando. Siamo alla fine di un’epoca che, nel bene e nel male, ha<br />

segnato la storia di questi ultimi secoli; stiamo per entrare in una nuova era<br />

del mondo che ancora appare incerta nei suoi primi passi e sembra vacillare<br />

per la debolezza del pensiero. Il ruolo dei cattolici per questo motivo diventa<br />

ancora più significativo per il carico di tradizione che abbiamo costruito nel<br />

passato. I discepoli del Signore, infatti, sono stati invitati a essere “sale” e<br />

“luce” per dare sapore alla vita e illuminare quanti sono alla ricerca di un<br />

senso. Se questa responsabilità venisse meno, il mondo non avrebbe una<br />

parola di speranza e noi saremmo destinati ad essere insignificanti.<br />

Il Signore Gesù, infatti, ha voluto la Chiesa per trasmettere in maniera<br />

viva il suo Vangelo di generazione in generazione non conoscendo nessun<br />

confine territoriale né temporale. La Chiesa vive per la missione affidatale<br />

dal suo Maestro di portare nel mondo la bella notizia che si realizza nel<br />

mistero <strong>della</strong> sua incarnazione. Da sempre in obbedienza a questo comando,<br />

dalla prima comunità dei discepoli fino alla multiforme presenza <strong>della</strong> Chiesa<br />

nel mondo contemporaneo abbiamo portato l’annuncio del germe di vita<br />

eterna, che è la salvezza realizzata dal mistero <strong>della</strong> morte e risurrezione<br />

del Signore. In questi ventun secoli, la Chiesa si è inserita nella pluralità<br />

delle culture dei diversi popoli per far emergere in esse quella tensione di<br />

verità che provoca a riconoscere la rivelazione di Gesù Cristo come momen-<br />

95


to ultimo e definitivo del processo delle religioni nella loro tensione verso<br />

l’assoluto. L’opera di evangelizzazione, quindi, entra direttamente a contatto<br />

con le culture, le plasma e trasforma così come ne viene determinata nel suo<br />

linguaggio e nella sua espressività. Una cosa è costantemente verificabile<br />

nei duemila anni del cristianesimo: l’attenzione permanente che la comunità<br />

cristiana ha avuto nei confronti del tempo in cui viveva e del contesto culturale<br />

in cui veniva ad inserirsi. Una lettura dei testi degli apologeti, dei Padri<br />

<strong>della</strong> Chiesa e dei vari maestri e santi che si sono succeduti nel corso di questi<br />

duemila anni mostrerebbero con estrema facilità l’attenzione al mondo<br />

circostante e il desiderio di inserirsi in esso per comprenderlo e orientarlo<br />

alla verità del Vangelo. Alla base di questa attenzione vi era la convinzione<br />

che nessuna forma d’evangelizzazione sarebbe stata efficace se la Parola<br />

di Dio non fosse entrata nella vita delle persone, nel loro modo di pensare<br />

e di agire per chiamarli alla conversione. Questo è stato in tempi diversi,<br />

ciò che oggi noi chiamiamo “nuova evangelizzazione”. Non è differente ai<br />

nostri giorni; possiamo usare un’espressione diversa, ma la sostanza permane<br />

identica. Siamo chiamati ad annunciare il Vangelo in maniera efficace;<br />

questo richiede, in primo luogo, la frequentazione con la Parola di Dio che<br />

consente a quanti ascoltano di verificare non solo la nostra conoscenza del<br />

Vangelo, ma soprattutto la nostra credibilità che si esprime in una coerente<br />

testimonianza di vita. Non è escluso da questo processo, comunque, l’attenzione<br />

permanente a quanto si vive e si pensa da parte del nostro contemporaneo;<br />

in una parola, la “cultura” del nostro tempo. L’obiettivo appare<br />

da subito quello di riflettere e trovare le forme adeguate per rinnovare il<br />

proprio annuncio presso tanti battezzati che non comprendono più il senso<br />

di appartenenza alla comunità cristiana e sono vittima del soggettivismo<br />

dei nostri tempi con la chiusura in un individualismo privo di responsabilità<br />

pubblica e sociale. Più direttamente, siamo chiamati a rinnovare lo spirito<br />

missionario per compiere quel balzo necessario capace di corrispondere alle<br />

nuove esigenze che la situazione storica contemporanea richiede. In questo<br />

senso, il compito che ci attende non è diverso da quello che ha segnato la<br />

Chiesa da sempre: far conoscere il vero volto di Gesù Cristo, unico salvatore,<br />

rivelatore dell’amore misericordioso del Padre che va incontro a tutti<br />

senza escludere nessuno. Nel mistero <strong>della</strong> sua incarnazione egli porta a<br />

compimento la promessa antica di Dio e nella sua morte e risurrezione ha<br />

posto nel mondo il germe di quella speranza che non delude perché risponde<br />

all’esigenza dell’intimo di ogni persona di dare senso alla propria vita,<br />

fondandosi non sulle ipotesi peregrine del momento, ma sulla certezza che<br />

proviene dalla fede. La Chiesa, quindi, è chiamata a rinvigorire se stessa in<br />

ciò che ha di più essenziale quale il suo annuncio missionario.<br />

96


Qualcuno, potrebbe insinuare che decidersi per una nuova evangelizzazione<br />

equivale a giudicare l’azione pastorale svolta in precedenza dalla<br />

Chiesa come fallimentare per la negligenza posta o per la scarsa credibilità<br />

offerta dai suoi uomini. Anche questa considerazione non è priva di una sua<br />

plausibilità, solo che si ferma al fenomeno sociologico preso nella sua frammentarietà<br />

senza considerare che la Chiesa nel mondo presenta tratti di<br />

santità costante e di testimonianze credibili che ancora ai nostri giorni sono<br />

segnate con il dono <strong>della</strong> vita. Quando si smarrisce la ricerca del genuino<br />

senso dell’esistenza, inoltrandosi per sentieri che immettono in una selva di<br />

proposte effimere, senza che si comprenda il pericolo in agguato, allora è<br />

giusto parlare di nuova evangelizzazione. Essa si pone come vera provocazione<br />

a prendere sul serio la vita per orientarla verso un senso compiuto e<br />

definitivo che trova unico riscontro nella persona di Gesù di Nazareth. Una<br />

nuova evangelizzazione, quindi, perché nuovo è il contesto in cui vive il nostro<br />

contemporaneo sballottato spesso qua e là da teorie e ideologie datate.<br />

In questo senso, viene a porsi la relazione più diretta con l’Europa. Da<br />

questa prospettiva, il cammino dell’Europa nel futuro dovrebbe essere,<br />

per molti versi, già segnato. L’unità di queste terre si è verificata nel passato<br />

remoto e ciò che si prospetta per il futuro o sarà in continuità con il<br />

percorso di questi 2000 anni oppure sarà destinato al fallimento. Sulla base<br />

dell’esperienza storica possiamo affermare che il nostro futuro è determinato<br />

dal nostro passato e da come la nostra generazione sarà capace<br />

di trasmettere il patrimonio di civiltà e di storia alle generazioni che verranno<br />

dopo di noi. Probabilmente, poche civiltà come la nostra conoscono<br />

una ricchezza di cultura e di conquista scientifica. Se fossimo ripetitivi del<br />

passato, diventeremmo presto noiosi e incapaci di trasmissione che genera<br />

cultura; se, invece, saremo capaci di interpretare, secondo lo spirito proprio<br />

del nostro tempo, il patrimonio di cultura che abbiamo ricevuto e di<br />

cui viviamo, allora la ricchezza si accrescerà e con essa diventeremo significativi<br />

per scrivere un’ulteriore pagina di storia. Non vedo alternativa a<br />

questa condizione; essa si fa forte del pensiero che è chiamato a guardare<br />

sempre oltre per dare forza alla ragione nella sua capacità di puntare verso<br />

la verità. D’altronde, come ha detto Benedetto XVI: “Il mondo soffre per<br />

la mancanza di pensiero”. A tutti noi il compito di accettare questa sfida<br />

per diventare produttori di pensiero in grado di creare una nuova sintesi<br />

feconda per il futuro di questo nostro continente. La storia dell’Europa,<br />

dopotutto, non inizia con i trattati di Roma del 1950. La condivisione delle<br />

risorse come il carbone e l’acciaio, l’Euratom, il mercato comune, la moneta<br />

unica sono solo tappe di un processo che deve guardare oltre gli strumenti<br />

per cogliere il senso sotteso e l’obiettivo da raggiungere. Questo dovrebbe<br />

97


essere l’unità riconquistata di popoli che pur nella diversità delle tradizioni<br />

e delle proprie storie hanno una matrice comune che è riconducibile al<br />

cristianesimo. Questi valori realizzati con fatica, perché composti di una<br />

sintesi tra il pensiero greco e romano riletto alla luce <strong>della</strong> Sacra Scrittura,<br />

in questi ultimi secoli si sono ossidati e rischiano di essere sottoposti a un<br />

struggente logorio non per il passare degli anni, ma per la corrosione di<br />

fenomeni culturali e legislativi che minano il tessuto sociale. Avere spalancato<br />

le porte a presunti diritti non ha portato a maggior coesione sociale né<br />

tanto meno a un crescente senso di responsabilità. Ciò che è dato verificare,<br />

piuttosto, è un preoccupante rinchiudersi in un individualismo senza sbocco<br />

che, presto o tardi, porterà all’asfissia dei singoli e <strong>della</strong> società. L’Europa di<br />

oggi, d’altronde, sembra vivere con una profonda paura. Essa diviene quasi<br />

congenita presso popolazioni che avevano vissuto un lungo periodo di ricostruzione<br />

dopo la barbarie di due guerre, di crescente benessere e di pace;<br />

vacillano molte certezze perché, forse, raggiunte con troppa fretta e senza<br />

la dovuta perspicacia. La sicurezza del lavoro, l’assistenza nella malattia, la<br />

casa, la pensione... insomma, ciò che si conosce sotto il nome di progresso<br />

sociale tutto si sbriciola sotto la scure di una crisi che non lascia spazio se<br />

non all’incertezza, al dubbio e quindi alla paura e all’angoscia. In che modo<br />

si potrà uscire da questo tunnel che non è solo di ordine economico e finanziario,<br />

ma primariamente culturale e in modo ancora più specifico antropologico,<br />

è facile affermarlo, ma più complesso poterlo realizzare.<br />

Quanto vedo personalmente all’orizzonte, proprio in forza <strong>della</strong> nuova<br />

evangelizzazione, è l’esigenza di creare un modello antropologico capace di<br />

compiere la necessaria sintesi tra quanto è frutto <strong>della</strong> conquista dei secoli<br />

precedenti e la sensibilità con la quale interpretiamo il nostro presente. Per<br />

alcuni versi vorrei vedere all’orizzonte un neoumanesimo. Uso intenzionalmente<br />

questo termine, perché carico del significato acquistato con ragione<br />

nel corso dei secoli. Esso ha determinato una tappa fondamentale per la<br />

cultura europea. L’umanesimo, infatti, segnò a suo tempo un autentico entusiasmo<br />

che investì tutti gli ambiti dell’attività umana; ciò che costituì la sua<br />

fortuna fu appunto la freschezza del movimento che si mise in atto e che<br />

coinvolse lo spirito del tempo in modo tale da re-interpretare in modo nuovo<br />

le problematiche di sempre. L’Umanesimo fu la capacità di comprendere il<br />

cambiamento che si stava realizzando, ma ugualmente espresse la convinzione<br />

di poter rileggere e per alcuni versi risolvere i problemi che l’umanità<br />

possedeva da sempre. Non fu una visione frammentaria del mondo, ma<br />

unitaria; così come unitaria era la lettura dell’uomo che era stato posto al<br />

centro del creato. In questa fase, che si estese dalla filosofia alla letteratura,<br />

dall’arte alla scoperta di nuove terre, Dio non era escluso ma diventava<br />

98


l’orizzonte di senso <strong>della</strong> ricerca personale e <strong>della</strong> vita sociale. Un umanesimo<br />

in cui la passione per la verità acquisita nel passato diventava vero<br />

traino di trasmissione di una cultura fortemente valorizzata, perché segno<br />

<strong>della</strong> conquista del sapere di cui ognuno si sentiva responsabile perché fosse<br />

custodito e reinterpretato.<br />

Ricreare questo orizzonte è un compito che spetta a tutti e la sua realizzazione<br />

non può essere unilaterale. Noi cattolici desideriamo dare il nostro<br />

contributo peculiare come lo è stato nei secoli passati. Abbiamo a cuore il<br />

destino dei popoli e dei singoli, perché la nostra storia ci ha resi “esperti<br />

in umanità”. Il Vangelo che trasmettiamo di generazione in generazione è<br />

annuncio di un nuovo modo di vivere, realizzato per superare la paura più<br />

grande che l’uomo possiede: la morte come annientamento di sé. Qualcuno<br />

potrebbe avere paura che la nostra azione tenda a distruggere le conquiste<br />

<strong>della</strong> modernità a cui è particolarmente legato. Niente di più falso. Non c’è<br />

in noi volontà alcuna di distruzione delle vere conquiste operate nel corso<br />

dei secoli; non lo potremmo fare, non ne saremmo capaci e non possiamo<br />

contraddire gli insegnamenti del concilio Vaticano II. Se il mondo di oggi<br />

conosce la ricchezza del patrimonio di cultura filosofico, letterario, artistico<br />

e giuridico dell’antica Atene e di Roma, lo deve a noi cristiani. Forti del<br />

nostro concetto di tradizione viva, noi siamo stati fondati per conservare<br />

quanto la sapienza degli uomini ha saputo realizzare non per distruggerla;<br />

se mai ci sentiamo responsabili per purificarla dalle incrostazioni che le inevitabili<br />

contraddizioni portano con sé. Nessuno, inoltre, può negare che le<br />

grandi conquiste operate nel corso dei secoli trovano il loro fondamento nel<br />

cristianesimo. Nessuno tra di noi dovrebbe cadere nella trappola di pensare<br />

all’unione dell’Europa dimenticando che le sue radici affondano in una fede<br />

che ha alimentato per secoli la convivenza e il progresso di popoli diversi. Noi<br />

non abbiamo una sola lingua e possediamo tradizioni culturali e giuridiche<br />

diverse; eppure, il nostro denominatore comune è facilmente rinvenibile nel<br />

cristianesimo. Per questo, nessuno si illuda sul futuro. Non ci sarà un’Europa<br />

realmente unita, prescindendo da ciò che essa è stata. Non si potrà imporre<br />

a cittadini così diversi un senso di appartenenza a una realtà senza radici<br />

e senza anima; il progetto non riuscirà, perché l’identità richiede certezze<br />

e queste possono essere consolidate non attraverso strumenti esterni, ma<br />

mediante la riscoperta <strong>della</strong> propria tradizione comune. Questo crea identità<br />

e desiderio di appartenenza; altrimenti, saremo destinati a veder prevalere i<br />

singoli egoismi di turno e la reazione sarà quella di rinchiudersi in nuovi confini,<br />

probabilmente non territoriali, ma certamente frustranti e fallimentari.<br />

Solo una forte identità condivisa potrà debellare forme di fondamentalismo<br />

e di estremismo che ripetutamente si affacciano nei nostri territori. Perché<br />

99


questo avvenga, è necessario uscire da una forma di neutralità in cui l’Europa<br />

si è rinchiusa pur di non prendere posizione a favore di se stessa e <strong>della</strong><br />

sua storia. Conati di anticattolicesimo sempre più frequenti in questi ultimi<br />

anni, presenti in diversi settori <strong>della</strong> società, dovrebbero vederla in una reazione<br />

attenta e pronta almeno tanto quanto viene riservato ad altre religioni.<br />

Se l’Europa si vergogna di ciò che è stata, delle radici che la sostengono e<br />

dell’identità cristiana che ancora la plasma allora non avrà futuro. La conclusione<br />

potrà essere solo quella di un declino irreversibile.<br />

Mettere di nuovo al centro alcuni principi valoriali che sono frutto <strong>della</strong><br />

nostra evangelizzazione, non potrà che essere salutare per il suo futuro.<br />

In primo piano, la famiglia che rappresenta il soggetto determinante del<br />

tessuto sociale; se non lo si vuole fare per convinzione, lo si faccia almeno<br />

per calcolo economico. La centralità <strong>della</strong> famiglia appare come la trincea<br />

necessaria per evitare il declino <strong>della</strong> responsabilità sociale che ormai<br />

troppo spesso è dato verificare. Il primato <strong>della</strong> vita umana, dal suo primo<br />

istante fino alla sua conclusione naturale, appare come l’urgente presa di<br />

consapevolezza davanti a una generalizzata forma di denatalità e di spregio<br />

per la vita che pone in crisi la stessa sopravvivenza <strong>della</strong> civiltà. La china<br />

dell’invecchiamento, verso cui i nostri Paesi si stanno dirigendo, mostrano<br />

la stagione invernale di questa Unione che ha scelto il declino pur di imporre<br />

un discusso diritto del più forte nei confronti <strong>della</strong> vita innocente. A un<br />

uomo rinchiuso nella paura e sempre più solo ciò che gli si propone è una<br />

morte veloce e chiamata beffardamente felice. L’ultima illusione, eufemisticamente,<br />

è una “dolce morte”, come se la morte non portasse con sé il<br />

dramma del limite ultimo di una domanda esistenziale perenne che chiede<br />

di essere vinta e non subita. Questo pendio è troppo scivoloso per essere<br />

difeso come diritto quando, invece, nasconde la paura e la sopraffazione<br />

del nulla, per non saper dare senso completo all’esistenza. L’economia e<br />

la finanza, inoltre, dinanzi al dilagare di una prospettiva di mercato che<br />

sembra schiacciare conquiste sociali raggiunte faticosamente nel corso dei<br />

secoli, dovranno riscoprire l’istanza etica. Questo riferimento diventa sempre<br />

più urgente quanto più si percepisce la crisi in cui siamo inseriti. Essa<br />

dipende da una cinica visione <strong>della</strong> società, tesa sempre più verso una sottile<br />

forma di discriminazione, e ormai incapace di salvaguardare la dignità <strong>della</strong><br />

persona; questa non può essere determinata dallo stato sociale, dalla razza,<br />

dalla religione né tanto meno dal reddito o dalla prestanza fisica; si fonda,<br />

piuttosto, sull’uguaglianza che riconosce ognuno per ciò che è e non per<br />

quanto possiede. L’istanza etica, quindi, appare tanto più urgente quanto<br />

più verifichiamo l’imporsi di forme che attentano la dignità <strong>della</strong> persona.<br />

Infatti, il mercato, la finanza, l’economia, la scienza, la tecnica... senza il rife-<br />

100


imento al principi etici potrebbero diventare facilmente fonte di ingiusta<br />

discriminazione.<br />

Come si può osservare, l’esemplificazione provoca a riflettere sulla<br />

nostra capacità di poter creare un processo di trasmissione di valori e<br />

contenuti che formano l’identità dei nostri popoli, così da radicarsi per consentire<br />

un significativo senso di appartenenza a una realtà nuova eppure<br />

antica. Noi cattolici non indietreggeremo in questa assunzione di responsabilità<br />

e non accetteremo di essere emarginati. Siamo convinti, infatti, che<br />

la nostra presenza sia essenziale perché il processo in corso possa giungere<br />

a buon fine. Nessun altro potrebbe sostituirci nel portare quel contributo<br />

peculiare che ci appartiene e che ha segnato nel corso dei millenni una storia<br />

di umanizzazione senza confronti. Privo <strong>della</strong> presenza significativa dei<br />

cattolici, comunque, il mondo sarebbe in ogni caso più povero, più isolato e<br />

meno attraente. Non vogliamo che questo avvenga e per questo chiediamo<br />

di essere ascoltati e messi alla prova per verificare ancora una volta la ricchezza<br />

<strong>della</strong> nostra fede per il genuino progresso <strong>della</strong> società. La speranza<br />

che noi portiamo ha qualcosa di straordinariamente grande, perché consente<br />

di guardare al presente, pur con le sue difficoltà, con uno sguardo carico<br />

di fiducia e di serenità. È la speranza che non delude perché forte di una<br />

promessa di vita che supera ogni limite e punta a fissare lo sguardo sull’unico<br />

necessario: un Dio che ama e che ha condiviso la nostra esistenza umana.<br />

Sappiamo di essere nel mezzo di una profonda crisi che è divenuta una<br />

crisi di Dio. Schematicamente si potrebbe dire: la religione sì, Dio no e tantomeno<br />

la Chiesa. Questo no, comunque, non è da intendere nel senso categorico<br />

dei grandi ateismi. Non esistono più grandi ateismi. La crisi odierna<br />

è determinata dal potere e sapere parlare di Dio; la cosa non ci può lasciare<br />

neutrali. La crisi che viviamo, comunque, si potrebbe riassumere in maniera<br />

ancora più sintetica: Dio oggi non è negato, è sconosciuto. Probabilmente,<br />

all’interno di quest’espressione c’è qualcosa di vero circa il modo di porsi del<br />

nostro contemporaneo dinanzi alla problematica che ruota intorno a “Dio”.<br />

Dovremmo essere capaci di gettare un sasso nello stagno su due fronti:<br />

quello dell’indifferenza, che spesso domina il contesto culturale su questa<br />

problematica, e quello dell’ovvietà che evidenzia quanta ignoranza domini<br />

spesso sovrana sui contenuti religiosi. Indifferenza e ovvietà, purtroppo,<br />

rodono alla base quel comune senso religioso che è ancora presente, rendendo<br />

sempre più debole la domanda religiosa e, soprattutto, la sua scelta<br />

consapevole e libera. Ritorna immediata la scena familiare di Paolo per le<br />

vie di Atene (At 17,16-34). Non è cambiato molto da allora. Le strade delle<br />

nostre città sono cariche di nuovi idoli. L’interesse verso un generico senso<br />

religioso sembra voler riprendersi una sorta di rivincita; espressioni religio-<br />

101


se si moltiplicano e sono spesso prive di spessore razionale. In alcuni casi<br />

prende il sopravvento l’emotività, in altri, al contrario, forme di fondamentalismo;<br />

ambedue, comunque, non fanno altro che evidenziare la mancanza<br />

di spessore intellettuale. Da ultimo, appaiono di nuovo all’orizzonte nuovi<br />

messia dell’ultima ora, predicando l’imminente fine del mondo. In questo<br />

contesto è necessario chiedersi chi sono i nuovi Paolo di Tarso coscienti<br />

di essere portatori di una bella notizia che entra nell’areopago del nostro<br />

piccolo mondo con la convinzione e la certezza di voler annunciare il “Dio<br />

sconosciuto”.<br />

La nuova evangelizzazione, dunque, richiede la capacità di saper dare<br />

ragione <strong>della</strong> propria fede, mostrando Gesù Cristo il Figlio di Dio, unico<br />

salvatore dell’umanità. Nella misura in cui saremo capaci di questo, potremo<br />

offrire al nostro contemporaneo la risposta che attende o che dobbiamo<br />

provocare in lui. Come diceva Benedetto XVI il giorno prima di essere<br />

eletto Papa: “Ciò di cui abbiamo bisogno in questo momento <strong>della</strong> storia<br />

sono uomini che, attraverso una fede illuminata e vissuta, rendano Dio<br />

credibile in questo mondo ... Abbiamo bisogno di uomini che tengano lo<br />

sguardo dritto verso Dio, imparando da lì la vera umanità. Abbiamo bisogno<br />

di uomini il cui intelletto sia illuminato dalla luce di Dio e a cui Dio apra il<br />

cuore, in modo che il loro intelletto possa parlare all’intelletto degli altri e<br />

il loro cuore possa aprire il cuore degli altri. Soltanto attraverso uomini che<br />

sono toccati da Dio, Dio può far ritorno presso gli uomini”. La nuova evangelizzazione,<br />

pertanto, riparte da qui: dalla credibilità del nostro vivere da<br />

credenti e dalla nostra convinzione che la grazia agisce e trasforma fino al<br />

punto da convertire il cuore. Il mondo di oggi ha bisogno profondo di amore,<br />

perché conosce, purtroppo, solo i suoi grandi fallimenti. Qui, probabilmente,<br />

nasce il paradosso che si apre dinanzi ai nostri occhi e che provoca la mente<br />

a riflettere sul senso di una tale azione. Guardare al futuro con la certezza<br />

<strong>della</strong> speranza vera è ciò che consente a noi di non rimanere rinchiusi né<br />

in una sorta di romanticismo che guarda solo al passato né di cadere in<br />

un orizzonte di utopia perché ammaliati da ipotesi che non potranno avere<br />

riscontro. La fede impegna nell’oggi che viviamo e per questo non corrispondervi<br />

sarebbe ignoranza e paura; a noi cristiani, tuttavia, questo non è<br />

consentito. Rimanere rinchiusi nelle nostre chiese potrebbe darci qualche<br />

consolazione ma renderebbe vana la Pentecoste. È il tempo di spalancare<br />

le porte e ritornare ad annunciare la risurrezione di Cristo di cui siamo<br />

testimoni. Secondo le parole del santo Vescovo Ignazio agli albori del cristianesimo:<br />

“Non basta essere chiamati cristiani, bisogna esserlo davvero”<br />

(Ai Cristiani di Magnesia, 1,1). Se qualcuno vuole riconoscere i cristiani lo<br />

deve poter fare per il loro impegno nella fede non per le loro intenzioni.<br />

102


IL VANGELO GUIDA MAESTRA ANCHE PER LA VITA<br />

ECONOMICA: EVANGELIZZARE ABITANDO L’IMPRESA<br />

E LA PROFESSIONE CON SGUARDO DI FEDE<br />

Lezione tenuta dal prof. Angelo Ferro, Presidente Nazionale<br />

UCID (Unione Cristiana Imprenditori Dirigenti), alla Scuola<br />

di Cultura Cattolica “Mariano Rumor” – Vicenza, Palazzo delle<br />

Opere Sociali, 27 febbraio <strong>2011</strong><br />

Nel linguaggio comune, gli uomini d’impresa sono visti come persone<br />

che privilegiano i loro interessi, ricercano essenzialmente il profitto, agiscono<br />

allo scopo di massimizzare l’efficienza finanziaria. Così sono spessissimo<br />

affiancati a mammona. Il termine ricchezza è detto nel testo greco con la<br />

parola mammona, una parola aramaica che non compare mai nell’Antico<br />

Testamento. Forse era il nome di una divinità fenicia e nell’uso fenicio voleva<br />

proprio dire “guadagno”. Esso determina la ricchezza come una forze<br />

personificata, un anti-Dio, un idolo. La cupidigia è infatti l’antitesi <strong>della</strong><br />

carità è idolatria (cfr. Col 3,5).<br />

La ricchezza, mammona, viene chiamata ingiusta: essa è ingannatrice, è<br />

un bene che perisce (cfr. Mt 6,19); non ci si può appoggiare su di essa, non ci<br />

appartiene. È opposta non ai beni legittimi, ma a quelli eterni: ogni possesso<br />

umano è contaminato di ingiustizia perché sviluppa nell’uomo la tendenza<br />

al possesso. Il vero bene, la vera ricchezza è quella eterna. Si possiede solo<br />

ciò che si dona; il discepolo è chiamato a condividere i beni terreni nella consapevolezza<br />

che tutto viene da Dio (cfr. 1Ptl).<br />

La ricchezza poi ha in sé il grave pericolo di farci sentire al sicuro, appagati,<br />

autonomi, indipendenti da Dio; pensiamo allora a tutte le varie forme<br />

di ricchezza: da quella economica, a quella culturale, alla salute ... Il salmo<br />

49 sottolinea nel suo ritornello: “L’uomo nella prosperità non comprende: è<br />

come gli animali che periscono!”. La parabola del seme (cfr. Lc 8,14) ricorda<br />

che il seme caduto fra le spine, cioè le preoccupazioni, la ricchezza, i piaceri,<br />

non giunge a maturazione. Lo stesso concetto di San Paolo: “Ai ricchi il<br />

Signore raccomanda che non pongano la loro fiducia nelle incerte ricchezze,<br />

ma che facciano opere buone”. (1Rm 6,17)<br />

Ecco perché molto spesso solo nel momento di difficoltà si cerca Dio:<br />

sono quei periodi in cui facciamo esperienza <strong>della</strong> nostra povertà e del<br />

nostro bisogno di Lui.<br />

Un altro passaggio importante che colora nel Vangelo chi gestisce attività<br />

economiche, riguarda la fedeltà ai propri doveri: qui l’amministratore<br />

infedele è richiamato come esempio negativo: se si è infedeli come lui nelle<br />

103


cose piccole, nei beni terreni, non potremo essere chiamati a governare i<br />

beni più importanti e solenni.<br />

La conclusione, con il versetto 13, propone una sentenza sapienziale:<br />

Dio e mammona sono presentati come due avversari in concorrenza. La<br />

lotta in realtà non è fra Dio e mammona: la loro incompatibilità sta nel<br />

cuore dell’uomo, che può innamorarsi <strong>della</strong> ricchezza e dimenticare Dio e il<br />

Vangelo, guida maestra anche per la vita economica. Dio e mammona chiedono<br />

tutto, vogliono tutto l’uomo: non ammettono compromessi. Gesù però<br />

non vuole porre alternative: per Lui non ci sono, perché solo Dio può essere<br />

amato sopra tutto (cfr. Mc 12,29ss), non si possono far coabitare i due<br />

amori, Dio è l’unico dio: “Non avrai altro Dio di fronte a me” (Es 20,3). Solo<br />

la scelta di Dio senza compromessi implica il distacco da mammona e rende<br />

possibile il corretto uso delle ricchezze.<br />

Sta qui il punto di svolta per ribaltare il pregiudizio <strong>della</strong> premessa<br />

iniziale: sentirsi liberi dai condizionamenti del denaro rende possibile il<br />

corretto uso delle ricchezze e, a monte, la corretta “professione” del “creare<br />

ricchezze”. È questo il punto centrale – “fare frutti” – la discriminazione<br />

dal capitalista/finanziere, in quanto l’imprenditore è colui che agisce, opera,<br />

lavora mettendo insieme risorse per generarne nuove, maggiori e migliori<br />

di quelle impiegate. È il processo produttivo dell’intraprendere caposaldo<br />

dell’impresa. E chi ne è a capo, lo guida, lo plasma, lo dirige nella consapevolezza<br />

del dono del creare, si trova dentro nel progetto di Dio.<br />

Nella storia economica il sorgere e il diffondersi dell’impresa industriale<br />

ha rappresentato un enorme fattore di progresso che tra l’altro ha permesso<br />

di dare sostanza all’invito biblico del “crescete e moltiplicatevi”.<br />

Se in poco più di duecento anni la Terra ha quasi duplicato la popolazione,<br />

determinante è stato il contributo dell’impresa ad organizzare, innovando<br />

continuamente una produzione di beni e servizi enormemente aggiuntivi<br />

rispetto allo stock esistente in natura, indirizzandola al miglioramento<br />

<strong>della</strong> qualità <strong>della</strong> vita. Il profitto serve, misura la capacità dell’impresa a<br />

crescere e affermarsi. Ma l’impresa che persegue consapevolmente la sua<br />

missione nel contempo produce e realizza valori: valori personali, come<br />

l’onestà e la trasparenza; valori professionali, come la spinta all’eccellenza<br />

e alla sinergia tra competenze diverse; valori collettivi, come la premiazione<br />

del merito, l’assunzione <strong>della</strong> responsabilità, il rispetto degli impegni; valori<br />

istituzionali, come la capacità di ottenere più di quanto consuma, un output<br />

maggiore all’input, legittimando con questa creazione di risorse la propria<br />

soggettività istituzionale.<br />

Oggi di fronte alla crisi di tanti assetti aggregativi, l’impresa rappresenta<br />

una comunità di uomini che si muove unita, coinvolgendoli con finalità<br />

104


condivise: quasi un’eccezione nel desolante panorama delle frammentazioni,<br />

degli egoismi e delle separatezze che ci circonda. Sta qui la coscienza<br />

dell’imprenditore: una coscienza che lo rende partecipe, attivo nella costruzione<br />

del Bene Comune.<br />

Nella storia, l’avvio <strong>della</strong> Rivoluzione Industriale trova, come pensiero<br />

guida, l’assunto degli ideali <strong>della</strong> Rivoluzione Francese, incipit dell’era<br />

moderna: Liberté, Egalité, Fraternité. Ma, subito dopo, quest’ultima parola<br />

fu eliminata e rimasero le prime due. Inizialmente per creare l’eguaglianza<br />

si è ricorsi alla pianificazione collettiva. Ma il fallimento del comunismo ha<br />

dimostrato i limiti di questo approccio. Successivamente si è creduto che la<br />

libertà consistesse nell’avere la possibilità di acquistare molti beni e servizi<br />

per cui serve il denaro: da qui l’introduzione di scorciatoie finanziarie lontane<br />

dai meccanismi dell’economia reale. E la devastante crisi che stiamo<br />

vivendo ha mostrato i danni enormi causati da simili deviazioni.<br />

È la fraternità che consente di superare le disuguaglianze ed allargare<br />

gli spazi di libertà: vivere in fraternità, cioè con “amore ed intelligenza”,<br />

con la logica del dono e <strong>della</strong> gratuità, con la sequenza del “fare, conoscere,<br />

avere per essere di più”. La Caritas in Veritate lo sostiene razionalmente<br />

ed antropologicamente.<br />

Nel DNA dell’imprenditore, del dirigente, del professionista ispirati al<br />

Bene Comune c’è questa competenza di unire frammenti, di mettere insieme<br />

fattori diversi per realizzare un risultato, un prodotto che vale di più.<br />

Di fronte ai problemi di crescenti disuguaglianze nel mondo, impossibili da<br />

risolvere con il bagaglio delle politiche tradizionali; di fronte a una società<br />

incapace di ritrovare coesione; di fronte ad un impianto sociale in cui gli<br />

uomini vivono da competitori e da rivali, chi ha queste competenze capaci<br />

di valore aggiunto economico-sociale attraverso processi di connessione e<br />

trasformazione, non può non avvertire l’urgenza di promuovere lo Sviluppo.<br />

Ma quale Sviluppo? Quello disordinato e contradditorio che separa l’economico<br />

dal sociale, la ricchezza dal lavoro, il mercato dalla democrazia, gli<br />

strumenti dai fini, l’individuo dalla comunità? Certamente no, perché le rotture<br />

portano al disfacimento e alla distruzione del tessuto civile.<br />

L’impresa ha una sua capacità nell’aggregare, riunire, finalizzare. È<br />

quindi momento importante, struttura fondamentale in questa ricomposizione.<br />

Siccome l’impresa è fatta di uomini, è l’uomo che deve assumere un<br />

abito imprenditoriale di creatività nel conoscere, fare ed avere, protagonista<br />

di traguardi più avanzati, in continuità con il progetto di Dio Creatore.<br />

Ecco l’imprenditore, il dirigente, il professionista, che per assolvere a questo<br />

compito sa di doversi applicare su tre must: “discernere, partecipare,<br />

accompagnare”.<br />

105


Discernere innanzitutto, perché la realtà in cui operiamo è completamente<br />

diversa – e il dinamismo non si ferma – da quella fino a ieri vissuta e<br />

considerata. Ed allora teorie, dottrine, modelli, politiche micro e macro che<br />

per oltre due secoli avevano rappresentato le traiettorie economiche, oggi<br />

non servono più. Di fronte alle negative conseguenze <strong>della</strong> crisi, si pone un<br />

generale ripensamento per riportare al centro l’uomo.<br />

Un’esigenza ineludibile, anche per il laico. I meccanismi, le istituzioni,<br />

gli ordinamenti creati a partire dalla Rivoluzione Industriale e dall’Era<br />

Moderna, attraverso guerre, conflitti, tensioni si sono in gran parte consumati<br />

o comunque hanno perduto efficacia di sostanza rispetto alla centralità<br />

dell’uomo.<br />

Il mercato è sottoposto a forze imponenti che alterano le sue capacità di<br />

premiare l’offerta migliore, di ampliare la consapevolezza <strong>della</strong> domanda, di<br />

rappresentare valori di scambio equivalenti.<br />

La Borsa non è più il veicolo che raccoglie il risparmio per trasformarlo<br />

in iniziative incrementative <strong>della</strong> base produttiva e dell’occupazione, ma<br />

sta diventando uno sportello di negoziazione e di trading per titoli a prezzi<br />

manovrati.<br />

La visione <strong>della</strong> democrazia, con l’assegnare alla maggioranza la legittimazione<br />

delle scelte per la collettività, ha spinto ad un marketing spasmodico<br />

per raggiungere quel livello e quindi esercitare il potere attraverso<br />

rappresentanze di interessi, trasformando il voto in adesione a meccanismi<br />

di facciata privi di partecipazione effettiva.<br />

Affidarsi a tecniche, ad istituzioni, a regole, non basta più; l’efficienza<br />

non è un criterio neutro; questa mistificazione ha fatto assurgere gli strumenti<br />

a ruolo di fine. Ma è il sabato per l’uomo, non l’uomo per il sabato.<br />

Ecco il risultato del discernimento che richiama l’uomo alle proprie<br />

responsabilità di ragione e di cuore per tornare a indirizzare, promuovere,<br />

costruire lo sviluppo. Un uomo cosciente delle possibilità dell’impresa, in<br />

quanto comunità, di riuscire – senza indulgenti commistioni compassionevoli-assistenzialistiche<br />

– a fare insieme creazione di valore e Bene Comune.<br />

Un uomo che non ci sta di fronte ad un sistema monetario impostato sulle<br />

logiche <strong>della</strong> finanza speculativa con l’assolutezza del dato quantitativo,<br />

con l’arroganza del breve termine, con la compressione dell’indipendenza<br />

dei mercati e invece vuole investire in prospettive di medio-lungo periodo,<br />

vuole fare nuova offerta di nuovi servizi, nuovi prodotti, nuove opportunità<br />

di utilizzo individuale e di copertura di bisogni collettivi, vuole esercitarsi<br />

nel dono del creare. L’attività del “discernere” compendia l’evoluzione<br />

dell’economia per ribadire che suo principio e suo fine sono la vita umana<br />

ed i suoi valori; il che reclama la convergenza di ogni risorsa a questa fina-<br />

106


lità primaria. Occorre un uomo nuovo, motivato di energia, di coraggio, di<br />

coscienza del limite: l’Enciclica Caritas in Veritate offre un’interpretazione<br />

esemplare per stimolare il dove e il come impegnarsi di più e meglio per<br />

uscire dalla crisi con le opportunità che si aprono, operando a tutto campo.<br />

Per questo è utile un contesto in cui trovare la forza per applicare questi<br />

principi: ecco l’UCID-Unione Cristiana Imprenditori Dirigenti, che stimola:<br />

Il partecipare: nelle dinamiche globali con l’internazionalizzazione<br />

responsabile; nel mettersi in gioco con tutti i talenti per cambiare la realtà,<br />

esercitando il lavoro come dono; nel gestire le imprese con strategie aziendali<br />

per il Bene Comune; nel sostenere i giovani a fare impresa con il microcredito<br />

e il supporto dei senior partners. Un partecipare diretto, sporcandosi<br />

le mani, non declamatorio né autoreferenziale, ma vissuto, sperimentato,<br />

in ricerca.<br />

L’accompagnare la cultura d’impresa fuori dei recinti dell’azienda capitalistica,<br />

all’interno dei quali è rimasta comodamente adagiata senza portare<br />

significativi contributi all’evoluzione del sistema socioeconomico. Anche<br />

qui raccontando di interventi concreti in alcune iniziative di natura settoriale,<br />

di natura trasversale, di natura intergenerazionale.<br />

Risulta chiaro il sentiero del cammino dell’imprenditore cristiano:<br />

– Ci sono obiettivi più alti <strong>della</strong> massimizzazione del profitto a breve,<br />

dell’impresa come commodity, <strong>della</strong> finanziarizzazione del sistema;<br />

– Sono gli obiettivi che attengono all’uomo, alla sua dignità, alla sua libertà,<br />

ai bisogni di giustizia e di equità per la famiglia umana universale;<br />

– Il prevalere degli obiettivi più bassi ed immediati ha determinato questa<br />

crisi epocale in un mondo che cambia;<br />

– Attendersi dai piani superiori, dai palazzi, una scelta decisiva con l’arrivo<br />

delle soluzioni, rappresenta un’attesa che distrugge la voglia di fare e<br />

di costruire;<br />

– Serve un supplemento d’anima per impegnarsi in prima persona sugli<br />

obiettivi alti: una sfida che deve portare a risultati tangibili, esemplificativi<br />

del “si può”, per cui necessitano le capacità sistemiche di chi è<br />

imprenditore, dirigente, professionista, nell’esercitare la “responsabilità<br />

dei primi”.<br />

– La coerenza tra comportamenti e valori unita al far constatare come<br />

realizzando questi valori si superano egoismi, frammentazioni, disuguaglianze,<br />

produce fiducia, l’architrave <strong>della</strong> relazione positiva nel corpo<br />

sociale.<br />

Parte da qui la volontà di sentirsi cristiani e la conseguente “capacità” di<br />

evangelizzare.<br />

C’è la parabola di Zaccheo a ricordarcelo (Luca cap. 19,1-10)<br />

107


“(1) Entrato in Gerico, attraversava la città. (2) Ed ecco un uomo di<br />

nome Zaccheo, capo dei pubblicani e ricco, (3) cercava di vedere quale fosse<br />

Gesù, ma non gli riusciva a causa <strong>della</strong> folla, poiché era piccolo di statura.<br />

(4) Allora corse avanti e, per poterlo vedere, salì su un sicomoro poiché<br />

doveva passare di là (5) Quando giunse sul luogo, Gesù alzò lo sguardo e gli<br />

disse: “Zaccheo, scendi subito, perché oggi devo fermarmi a casa tua”. (6)<br />

In fretta scese e lo accolse pieno di gioia. (7) Vedendo ciò, tutti mormoravano:<br />

“È andato ad alloggiare da un peccatore!” (8) Zaccheo, alzatosi, disse al<br />

Signore “Ecco, Signore, io do la metà dei miei beni ai poveri; e se ho frodato<br />

qualcuno, restituisco quattro volte tanto” (9) Gesù gli rispose: “Oggi la salvezza<br />

è entrata in questa casa, perché anch’egli è figlio di Abramo; (10) il<br />

Figlio dell’uomo infatti è venuto a cercare e a salvare ciò che era perduto”.<br />

Zaccheo, il cui significato è il “puro”, è un ebreo che ha una posizione<br />

privilegiata rispetto agli altri, a servizio dei romani è un riscossore di<br />

tasse. La reazione <strong>della</strong> folla, sembra essere simile a quella <strong>della</strong> chiamata<br />

di Levi: evidentemente entrambi non godevano buona stima. Zaccheo non<br />

è curioso di vedere Gesù, ma vuole conoscerlo, desidera incontrarlo. Però<br />

a causa <strong>della</strong> sua condizione è costretto a mettersi su un albero, forse per<br />

farsi notare da Gesù, ma anche per evitare che la folla lo linciasse. Anche<br />

Gesù, desidera incontrarlo: Egli stesso dirà che è venuto a cercare chi era<br />

perduto. L’uno cerca l’altro, ma tra Zaccheo e Gesù c’è la folla, cioè c’è un<br />

contesto sociale, politico, morale: Zaccheo è un escluso, tutto e tutti lo separano<br />

da Gesù. Il suo rango sociale lo spingerebbe ad essere più riservato<br />

ed invece ha come una forza interiore che lo spinge a comportarsi come un<br />

bimbo. Chiamato da Gesù si affretta a scendere dall’albero. Qualcuno, e<br />

proprio colui che desiderava incontrare, adesso lo sta chiamando per nome.<br />

Gesù è più desideroso di Zaccheo, lui è venuto a salvare chi era perduto. La<br />

misericordia di Dio accorcia e sopprime le distanze. La richiesta di Gesù<br />

non è sorprendente ma scandalosa non solo per i farisei ma per tutta la<br />

folla; Il Santo di Dio sceglie la casa di un pubblico peccatore, l’amico dei<br />

poveri va ad abitare nella casa di un ricco. Zaccheo fa esperienza dell’amore<br />

gratuito di Dio e pare deciso a mettere ordine nella sua vita. Incontrare Dio<br />

vuol dire trasformazione di pensiero, di modo di vivere. Zaccheo sceglie di<br />

ripagare il danno arrecato secondo il diritto romano. Non cambia professione<br />

ma è esplicito nel far intendere che da oggi il suo lavoro lo svolgerà<br />

onestamente. La parola qui, nel vangelo di Luca è caratteristica. Indica<br />

l’attualità <strong>della</strong> salvezza e la necessaria sollecitudine a non lasciarsi sfuggire<br />

l’occasione. La casa non indica tanto le mura, quanto tutta la famiglia<br />

di Zaccheo. L’espressione Figlio di Abramo, vuole intendere che la salvezza<br />

promessa ad Abramo consiste nell’adesione a Cristo Gesù. È Gesù che<br />

108


istabilisce, ridà la dignità a Zaccheo come ad ogni uomo. Questo versetto<br />

rimanda all’ultimo annuncio <strong>della</strong> Passione (Lc 18,319 che i discepoli non<br />

avevano compreso. Adesso gli Apostoli iniziano a comprendere qualcosa del<br />

grande mistero che avvolge Gesù di Nazareth. Egli accetterà di perdere la<br />

sua dignità, la sua vita, come un maledetto, per salvare i peccatori.<br />

Questa parabola per chi opera nell’impresa, è base formativa.<br />

1. La crescita è un processo che implica un alto grado di progettualità;<br />

non c’è crescita autentica senza disciplina, senza un continuo confronto<br />

tra l’essere e il dover essere (tra la situazione di fatto in cui ci troviamo e<br />

l’obiettivo, l’ideale che vogliamo raggiungere). Dallo stesso punto di partenza<br />

iniziano molte strade, le possibilità sono molteplici; dobbiamo scegliere e<br />

scegliere la via migliore. Si cresce con l’apporto e l’aiuto degli altri.<br />

2. Zaccheo è un uomo che tratta con i beni. Trasforma il concetto di bene<br />

“accumulato” in concetto di bene condiviso (do la metà dei miei beni ai poveri<br />

e restituirò quattro volte tanto a chi ho frodato). Il bene non è un male in<br />

sé, nemmeno la ricchezza. Dipende dall’uso condiviso. Lui trasforma i beni<br />

accumulati in un dono e ciò nonostante i suoi beni “circolano”.<br />

3. Non c’è crescita senza sofferenza. Bisogna scomodarsi, bisogna impegnarsi<br />

in prima persona. Crescere è cambiare, è trasformarsi, una trasformazione<br />

da vivere come processo armonico e lineare, sereno e liberante.<br />

Solo così ogni rinuncia, ogni fatica non è mortificante, solo se è vista come<br />

condizione per raggiungere un valore.<br />

4. Gesù non chiede a Zaccheo di smettere la sua attività ma di dare ad<br />

essa un altro senso dove il bene diventa patrimonio condiviso, che va e torna.<br />

Anche l’impresa umana è un bene, si tratta solo di metterla a servizio.<br />

C’è una morale immediata per chi àncora al Vangelo la propria vita professionale<br />

nell’economia: occorre agire.<br />

Occorre agire: perché non basta parlare di valori per trasmetterli; in<br />

un’epoca di continuo cambiamento e di intensa complessità come l’attuale<br />

sarebbe un esercizio a rapida obsolescenza, un discredito per chi investe a<br />

medio-lungo termine. Occorre incarnarli e testimoniarli con coerenza applicativa<br />

anche se si tratta di spazi ridotti e limitati, entusiasmandosi nel ruolo<br />

di “minoranza creativa” che virtuosamente si alimenta.<br />

La cifra dell’etica <strong>della</strong> virtù sta infatti nella capacità di risolvere, superandola,<br />

la contrapposizione tra interesse proprio e interesse per l’altro, tra<br />

egoismo ed altruismo. È questa contrapposizione, figlia <strong>della</strong> tradizione di<br />

pensiero individualista e delle logiche esclusivamente efficientiste, a non<br />

consentire di afferrare ciò che costituisce il nostro proprio bene. La vita virtuosa<br />

è la vita migliore non solo per gli altri, ma anche per se stessi. Sta in<br />

ciò la ragione ultima per “essere etici”. La soluzione del problema del com-<br />

109


portamento morale del soggetto stesso non è tanto quella di fissargli vincoli,<br />

di stabilire codici, di offrirgli incentivi, quanto piuttosto di prospettagli<br />

una più completa comprensione del suo stesso bene.<br />

Ecco la missione di imprenditori che abitano cristianamente l’impresa e<br />

la professione, diventando testimoni <strong>della</strong> speranza cristiana.<br />

Un percorso impegnativo che porta ad avere chiaro il senso <strong>della</strong> vita e<br />

il perché <strong>della</strong> testimonianza cristiana nel nostro lavoro.<br />

C’è la parabola evangelica (Matteo 20,1-16) “Gli operai chiamati all’ultima<br />

ora” che offre la chiave interpretativa del supplemento d’anima per<br />

esercitare la “responsabilità dei primi”. Il padrone aveva corrisposto una<br />

retribuzione secondo gli accordi. Ma anche chi ha lavorato pochissimo,<br />

entrando all’ultima ora, riceve un uguale compenso. Questa imprevista<br />

decisione del padrone di corrispondere pari retribuzione a tutti i lavoratori<br />

nonostante la diversa durata <strong>della</strong> loro prestazione, trova il corollario del<br />

severo rimprovero che il padrone rivolge subito dopo ai primi operai che si<br />

lamentano perché avendo lavorato più a lungo ritengono di aver subìto un<br />

trattamento ingiusto. “Perché ve ne state qui tutto il giorno senza fare niente?”<br />

aveva chiesto il padrone <strong>della</strong> vigna agli ultimi operai – Ed essi risposero:<br />

“perché nessuno ci ha chiamati”. Nella sua onnipotenza, nella sua verità,<br />

nella sua giustizia, Iddio li ha ricompensati come gli altri. Ma perché non<br />

sono stati chiamati? Forse perché è più comodo giocare con la finanza e non<br />

impegnarsi nell’economia reale?? E chi dovrebbe farlo se non coloro che<br />

hanno avuto il dono <strong>della</strong> Fede e i talenti in grado di organizzare e gestire<br />

imprese? Con quella parabola il Signore ha voluto sottolineare l’esistenza di<br />

una disparità di risorse, di occasioni; solo chi si trova più in alto sollecitato<br />

da un atto di amore, da una relazione di bene, può ridurre le disuguaglianze<br />

con l’offerta di opportunità.<br />

Sta qui la responsabilità dell’imprenditore, del dirigente: sta qui il: “da<br />

questo vedranno che siete cristiani perché vi amate gli uni con gli altri”.<br />

Al lavoro quindi, raccogliendo la storia di imprese che hanno voluto<br />

dimostrare concretamente come il donare non sia una sottrazione al profitto.<br />

Un esempio viene da un’industria che fabbrica impianti esportando nel<br />

mondo gran parte <strong>della</strong> sua produzione. Gli specialisti andando in vari paesi<br />

ancora in fase di sviluppo per montare tali macchinari, si accorsero come<br />

era scarsa l’attenzione agli incidenti sul lavoro, all’integrità fisica <strong>della</strong> persona<br />

che lavorava; non c’erano processi formativi al riguardo in quelle fabbriche,<br />

e quindi percependo con crescente preoccupazione queste situazioni<br />

negative, informarono i vertici aziendali. L’azienda decise di organizzare<br />

degli interventi, gratuitamente, da un lato insegnando ai lavoratori a proteggere<br />

e tutelare il proprio corpo, dall’altro aiutando le imprese a installa-<br />

110


e meccanismi di controllo. Diminuendo l’assenteismo nella fabbrica italiana<br />

il ricupero di questi giorni unito ad una parte delle ferie, venne utilizzato<br />

dagli addetti per recarsi in quei paesi, senza alcuna remunerazione, ad insegnare<br />

a quei colleghi stranieri come lavorare senza mettere a repentaglio<br />

la propria vita e a suggerire a tante altre fabbriche adeguati dispositivi di<br />

intervento. L’impresa italiana si faceva carico delle spese di viaggio e soggiorno<br />

dei propri lavoratori per questa missione. Una scelta libera aziendale,<br />

in cui tutte le componenti d’impresa hanno donato qualcosa, per un<br />

care estraneo a quello tipico focalizzato soltanto sul business che persegue<br />

esclusivamente il profitto a favore degli azionisti in un’ottica di breve termine.<br />

E questo dono è servito – essendo ormai in corso da oltre 4 anni questi<br />

rapporti – a ridurre del 40% incidenti mortali e gravi in quelle fabbriche,<br />

consentendo così a lavoratori più integri di partecipare alla costruzione del<br />

Bene Comune grazie alla gratuità dell’apporto dell’impresa italiana.<br />

Un’altra impresa, constatato che le nuove tecnologie consentivano<br />

minor utilizzo di spazi produttivi, mise a disposizione in comodato gratuito,<br />

ad artigiani ed a cooperative, le porzioni dei fabbricati liberati dopo averli<br />

resi idonei e funzionali.<br />

In più, i centralinisti dell’impresa gratuitamente si resero disponibili<br />

a rispondere anche al telefono di queste nuove realtà, e lo stesso fecero i<br />

reparti di amministrazione del personale, contabilità, servizi acquisti. In tre<br />

anni questa delocalizzazione all’incontrario, grazie alla gratuità e a questa<br />

articolata gamma di doni posta in essere dalla comunità impresa, ha creato<br />

decine e decine di posti di lavoro. Anche qui un concorso libero, responsabile<br />

di come costruire il Bene Comune.<br />

Discernere, partecipare accompagnare, formarsi, testimoniare non<br />

rappresentano ambiti delimitati per cui il percorso consente ulteriori tappe,<br />

nuove sperimentazioni, più avanzate frontiere: da soli è difficile farlo, ma se<br />

c’è un’aggregazione di persone che credono in questi valori e come uomini<br />

di buona volontà intendono applicarli, allora è possibile. Ecco l’UCID, elemento<br />

costitutivo di questa tensione cristiana.<br />

Come imprenditori, dirigenti, professionisti d’impresa abbiamo operato<br />

nel costruire comunità organiche, dove si pensa, si fatica, si soffre, si gioisce<br />

e si vive nel lavoro gomito a gomito, faccia a faccia, famiglia a famiglia,<br />

strada per strada del paesino e <strong>della</strong> cittadina. Non ci sono formule matematiche<br />

per definire e per capire queste imprese: ci sono le regole <strong>della</strong> vita<br />

in comunità, nella cultura del lavoro e nel rispetto del patto che s’instaura<br />

con coloro che con l’imprenditore lavorano. E che sono pronti a seguire non<br />

tanto lui, ma soprattutto l’impresa con lui, l’impresa che dopo anni e anni<br />

di lavoro diventa una proprietà condivisa moralmente prima che giuridica-<br />

111


mente. Ciò porta a declinare l’economia morale in una forma particolarissima<br />

e speciale, perché il suo passato contadino non è ancora passato: è ancora<br />

lì dietro l’angolo e tutti i valori <strong>della</strong> civiltà contadina informano ancora<br />

vita e pensiero di milioni di persone, soprattutto quelle che rinnovano nel<br />

lavoro industriale la fedeltà del principio dell’onestà legittimata dal sacrificio<br />

che dalle campagne si è trasferita, grazie alla spiritualità delle persone,<br />

nelle industrie. È stato un lievito che ha agito di nascosto, sommerso dal<br />

consumismo, stravolto dalla caduta del sacro, ma che non ha mai cessato,<br />

tuttavia, di agire e che inaspettatamente risorge quando la crescita economica<br />

s’interrompe e ci si deve fermare per forza: a pensare, a meditare.<br />

Allora ci si guarda dentro e si scopre che è la persona il fondamento di tutto<br />

il creato, anche dell’economia. E se è così, tutto ciò lo è anche per le persone<br />

che con me, imprenditore, lavorano. Il detto che “nessun è un’isola”, ci<br />

risuona allora nella mente e nel cuore e scopriamo che l’isola, purtroppo, sta<br />

franando attorno a noi. Ciò accade quando, per le scelte economiche che mi<br />

attanagliano in una spirale di crisi creata da altri, come l’attuale, io imprenditore<br />

non riesco più ad essere fedele ai patti morali con coloro che lavorano<br />

con me e che ogni giorno incontro e guardo negli occhi. Ebbene, il patto<br />

morale sottoscritto con quelle persone devo lacerarlo contro la mia volontà<br />

nonostante i valori che le generazioni che mi hanno preceduto mi hanno trasmesso.<br />

Solitudine. Angoscia. Disperazione, Ecco l’atto estremo, il suicidio.<br />

È il mondo dei primi attori, che sul palcoscenico dei media vedono recitare<br />

parti spesso incomprensibili: appaiono ora fantocci assetati di crudeltà,<br />

cannibali che sono pronti a divorarmi, nonostante tutte le loro rassicuranti<br />

campagne pubblicitarie, televisive e non, nonostante i loro codici etici e la<br />

loro Corporate Social Responsability, nonostante le loro immagini su carta<br />

patinata.<br />

Ecco il vuoto del nulla che a nulla serve e servirà se non ci risvegliamo<br />

moralmente e chiamiamo finalmente le cose con il loro nome, ossia come<br />

sono. E diremo: l’economia è frutto del comportamento umano, è il frutto<br />

dell’azione e <strong>della</strong> cultura delle persone, non <strong>della</strong> finanza speculativa. Nel<br />

bene e nel male. Sempre. Lo dobbiamo anche a coloro che non ci sono più.<br />

È questo il supplemento d’anima dell’UCID, quella spiritualità delle<br />

persone che si aggregano per testimoniare come abitare l’economia, l’impresa<br />

e la professione con spirito di Fede.<br />

E qui vorrei parteciparvi ad una esperienza personale che mi vede profondamente<br />

coinvolto:<br />

La longevità come risorsa.<br />

Se Dio ci fa vivere in un’epoca in cui l’allungamento dell’età anagrafica<br />

si è enormemente dilatato, non possiamo limitarci alla sfera tecnica del<br />

112


problema ma interrogarci sulla sapienza provvidenziale di tale disegno e<br />

inserirlo creativamente in un visione più armonica ed avanzata <strong>della</strong> società,<br />

attraverso contesti che favoriscano questi obiettivi. Così si rinnova il solido<br />

fondamento <strong>della</strong> speranza cristiana.<br />

La straordinaria rivoluzione ancorché silenziosa dell’invecchiamento<br />

<strong>della</strong> popolazione richiede infatti di capovolgere il paradigma <strong>della</strong> longevità<br />

dall’assistenzialismo a risorsa civile ed umana: la pietra scartata dai<br />

costruttori diventa testata d’angolo.<br />

I decenni di vita dopo la pensione offrono un patrimonio esperienziale<br />

di grande rilevanza soprattutto per l’educazione dei giovani. La generale<br />

efficacia del rapporto nonno-nipote, sempre più diffuso, promuove in chiave<br />

antropologica positiva l’interrelazione tra generazioni distanti.<br />

Il senso <strong>della</strong> longevità attiva sta nel riprogettare la propria esistenza<br />

nella “libertà per”... Mentre nella prima e nella seconda età è la “libertà<br />

da”... a consentire il passaggio (dall’ignoranza, dal proprio ambiente, etc...)<br />

grazie alla “libertà di” (iniziative, studio, lavoro, etc...) nella terza età si<br />

aprono gli scenari – una volta assolte le responsabilità genitoriali da un lato<br />

ed esauritesi le aspirazioni di carriera dall’altro – offerti dalla libertà per gli<br />

altri.<br />

Queste persone longeve, non più produttori tradizionali, diventano produttori<br />

di relazione basata sulla gratuità, il bene più raro in una società contrassegnata<br />

dall’egoismo e dalla frammentazione.<br />

Quando la longevità si trasforma in “non auto sufficienza”, questo fenomeno<br />

di massa sollecita la società a interrogarsi sul come affrontarla. Qui<br />

si promuove la “cultura del limite”: non dipende da medicine, da terapie, da<br />

droghe il superamento del limite, ma soprattutto dalla capacità di relazione,<br />

di vicinanza, di condivisione. Il benessere del longevo non autosufficiente<br />

richiede supporti sociosanitari ma soprattutto relazionali. Una grande lezione<br />

verso chi affronta con logiche specialistiche il limite ed in generale verso<br />

tutti i normodotati che credendosi autosufficienti si rendono poco conto<br />

che la loro vita è fatta dai rapporti con gli altri. C’è invece sempre bisogno<br />

dell’altro, non solo in senso orizzontale ma verticale nella ricerca di Dio.<br />

Il problema <strong>della</strong> proliferazione <strong>della</strong> soggettività individuale, che è la<br />

radice profonda <strong>della</strong> nostra inarrestabile frantumazione, non può essere<br />

lasciato allo spontaneo andare delle cose e alla sua trattazione sociologica<br />

o antropologica. Va affrontato con proposte concrete, fondamentalmente di<br />

“contesto”. La soggettività informa tutte le sfere comportamentali (familiare,<br />

personale, di consumo, di lavoro, di studio, di svago, di autotutela dei<br />

bisogni, etc....) ed è quindi un fenomeno da assumere nella complessità di un<br />

“contesto aggregante” per cultura del servizio, per atmosfera di solidarietà,<br />

113


per domanda ed offerta di relazioni capaci di senso, per flussi di collegamento<br />

intergenerazionale. Un contesto capace di entrare nella dimensione<br />

soggettiva attraverso la valorizzazione delle responsabilità verso se stessi<br />

(con l’investimento sulle potenzialità residue, con il mettere in gioco i propri<br />

talenti, con lo stimolare le proprie vocazioni, con la reciprocità diritti/doveri,<br />

etc. etc.) e verso gli altri, con la spinta alla prossimità, per uscire dall’io<br />

ed entrare nel NOI. Li abbiamo chiamati Civitas Vitae questi contesti che<br />

valorizzano le opportunità connesse al vivere positivamente la longevità di<br />

massa come risorsa.<br />

Andare al di là delle concezioni mercantili o assistenziali con cui “sfruttare”<br />

gli anziani per costruire una nuova dimensione di comunità operosa,<br />

serena, che supera il particolarismo dell’IO, del mio, – ora, tutto e subito<br />

– per rinvigorire il tessuto relazionale, che unisce generazioni, che fa convivere<br />

situazioni estreme dal versante di debolezza e fragilità a quello di<br />

prestanza ed energia, che arricchisce l’articolazione dei momenti del quotidiano.<br />

Se è permesso usare termini e concetti su cui siamo sempre bloccati<br />

dal pudore, con questi contesti si promuove un segno concreto di speranza<br />

verso un domani migliore; una speranza in cui credono tutti, anche chi non<br />

ha fede; una speranza complessa e non di generico emotivo ottimismo; una<br />

speranza di presenza nella storia, e non di fideismo fondamentalista; una<br />

speranza vissuta partendo dalla comune valutazione dell’esistente e da una<br />

comune rinnovata volontà di opporsi alla deriva egoistica e frammentata,<br />

sperimentando ed operando con quel pragmatismo locale di popolo, che si è<br />

mostrato capace di attivare industrie, sviluppare risorse e competenze lavorative,<br />

mantenere un saldo legame con il territorio e le origini, innovando,<br />

conservando ed evolvendosi per diventare realtà socio-economico qualificata.<br />

Qui, alla base di questi decenni di crescita, ci sono valori forti, comportamenti<br />

di passo lungo, scenari consueti di solidarietà espressi, anche se non<br />

dichiarati, con il linguaggio dell’agire donativo. Di questa valenza territoriale<br />

ci sentiamo interpreti fedeli, è la cultura del dono a spiegarne la crescita<br />

dimensionale e la sua identità nel valorizzare i doni ricevuti dall’interno e<br />

dall’esterno per avanzare le frontiere del benessere umano e sociale senza<br />

discriminazioni di nascita, di razza, di religione.<br />

Questa impostazione ha alimentato l’idea del Civitas Vitae proprio nel<br />

significato di “contesto” per la centralità <strong>della</strong> persona e la civiltà <strong>della</strong> vita<br />

declinando una profonda discontinuità:<br />

– dal concetto di Casa di Riposo (parcheggio per vecchi) a quello di Centro<br />

Residenziale di servizi ed aggregazione comunitaria;<br />

– da formule burocratico-sanitarie per l’utente anziano alla valorizzazione<br />

sempre e comunque <strong>della</strong> dignità <strong>della</strong> persona ospite;<br />

114


– da ospedalizzazioni forzatamente prolungate a contesti aperti di riabilitazione<br />

e ricupero;<br />

– da cesure funzionalistiche di età a reti di connessione intergenerazionali;<br />

– dall’erogazione di servizi assistenziali al prendersi cura con competenza<br />

e cuore, con intelletto ed amore.<br />

I valori di fondo sono:<br />

– la longevità promuove relazione<br />

– la longevità rafforza la coscienza cristiana del limite e <strong>della</strong> creaturalità<br />

– la longevità è “cura” contro l’individualismo<br />

– la longevità opera per l’educazione di fanciulli e giovani, trasmettendo<br />

con amore di generazione in generazione l’entusiasmo per la vita.<br />

Il Civitas Vitae accoglie:<br />

– persone in stato vegetativo (da noi chiamate “condizioni di minima<br />

coscienza”)<br />

– persone dimesse dagli ospedali dopo il post acuzie<br />

– persone soggette a “tumori inguaribili”<br />

– persone anziane per lungodegenze<br />

– persone anziane non autosufficienti<br />

– persone affette da demenza senile<br />

– sacerdoti, religiosi e religiose anziani<br />

– disabili giovani, quali coach per aiutare a vivere fisiologicamente le disabilità<br />

<strong>della</strong> vecchiaia<br />

– bimbi (da 6 mesi a 5 anni) nel Centro Infanzia Intergenerazionale<br />

– scolaresche che vengono a visitare il Museo Veneto del Giocattolo<br />

– frequentatori di percorsi formativi “3ª Età Protagonista”<br />

– nuclei famigliari in alloggi sociali<br />

– anziani soli in nuclei abitativi ad hoc<br />

– operatori sanitari e socio-assistenziali, volontari, personale religioso per<br />

la promozione spirituale, collaboratori per mestieri, addetti a palestre,<br />

piscine, giochi, giardinaggio, musicoterapia, informatica, etc. capaci di<br />

promuovere il ricupero delle potenzialità residue<br />

– famigliari, congiunti, amici degli ospiti<br />

– allievi/studenti per corsi di aggiornamento e preparazione professionale.<br />

Le persone ospiti e le persone che a loro si dedicano vivono a contatto<br />

quotidiano le une con le altre nel tempo e nello spazio: un simile contesto di<br />

relazioni interpersonali diffonde ben-essere naturale, non artificiale, senza<br />

attese miracolistiche dall’esterno o dalle tecnologie; un ben-essere ed una<br />

serenità fondati sulla condivisione.<br />

Il nome “Civitas Vitae” intende esprimere che per mezzo <strong>della</strong> Carità<br />

ispirata dal Vangelo e dalla vita cristiana è possibile “costruire una città<br />

115


degli uomini” in cui tutte le risorse anche economiche convergono sul<br />

benessere, sul bene morale, sullo sviluppo, sull’occupazione, sul lavoro come<br />

dono, con la circolazione dei valori umani più autentici superando le logiche<br />

dell’assistenzialismo. Nessuno è così “povero” da non poter offrire qualcosa<br />

per la città <strong>della</strong> vita. Se Dio ha scelto la pietra scartata dai costruttori per<br />

renderla testata d’angolo, qui si raccolgono quanti per la società sono emarginati,<br />

perché non più produttivi, facendoli diventare risorse per la relazione.<br />

Intorno a queste dimensioni si è intessuta una rete di persone, di imprese,<br />

di istituzioni, di associazioni, etc., che a diverso titolo, gratuitamente<br />

sostengono la nostra Fondazione. L’ultimo esempio è stata la sottoscrizione<br />

di un accordo sindacale, con CGIL, CSIL e UIL, secondo cui i lavoratori<br />

regalano all’OIC (Organismo Italiano Contabilità) almeno un’ora di lavoro<br />

senza corrispettivo retributivo.<br />

Questo contesto vitale, che è il CIVITAS VITAE, ha come risultato una<br />

forza educativa intergenerazionale; il che ha generato una recente intuizione<br />

legata alle emergenza formativa degli adolescenti. Dovendo la scuola<br />

pubblica garantire 20 ore di educazione stradale a 14 anni per il patentino<br />

motoscooter, abbiamo pensato che il Civitas Vitae, attraverso accordi con le<br />

istituzioni scolastiche, potesse realizzare non solo le infrastrutture tecniche<br />

necessarie (pista, dispositivi idonei per praticare la circolazione stradale) ma<br />

offrire alle scolaresche dagli 11 ai 14 anni appropriati momenti educativi.<br />

Rimanendo per l’intera giornata in questo Centro gli adolescenti, non<br />

solo si preparano alla guida ma percepiscono l’importanza di un progetto di<br />

vita venendo a contatto con persone di età avanzata di grande esperienza,<br />

che li aiutano in appositi laboratori a scoprire le loro genuine aspirazioni<br />

(musica, informatica, coltivazione orti, meccanica, arte, pittura, pet therapy,<br />

etc..). I longevi così li incontrano, entrano in relazione per far loro capire<br />

il dono dei talenti che Dio ha assegnato a ciascuno. Questa nuova realtà<br />

intendiamo qualificarla Distretto di Cittadinanza: non destino di luoghi<br />

organizzati ma assimilazione di contesti in un continuum di generazione in<br />

generazione.<br />

La spinta per questo ulteriore tassello operativo è venuta dall’Enciclica<br />

Caritas in Veritate come volontà di applicare le indicazioni del Cap. V “La<br />

collaborazione <strong>della</strong> famiglia umana” nel solido fondamento <strong>della</strong> speranza<br />

cristiana.<br />

Non c’è mammona ma cultura d’impresa che interpreta il messaggio<br />

evangelico. Abitare l’economia e la professione con sguardo di Fede costituisce<br />

specie in questi tempi una sfida da non disattendere “perché gli uomini<br />

vedano le vostre opere buone e rendano gloria al vostro Padre che è nei<br />

Cieli”. (Matteo 5,13)<br />

116


IL CONTRIBUTO DELLA SCUOLA<br />

ALLA RESPONSABILITÀ EDUCATIVA DELLA SOCIETÀ<br />

Riflessioni di mons. Roberto Tommasi, sulla scia degli Orientamenti<br />

Pastorali CEI 2010-2020, all’Incontro diocesano dei Dirigenti<br />

Scolastici – Villa San Carlo, Costabissara, 31 marzo <strong>2011</strong><br />

Premessa<br />

Desidero anzitutto porgervi il mio più cordiale saluto e ringraziare tutti<br />

e ciascuno di voi per quanto fate, nei vostri specifici ruoli, perché la scuola<br />

funzioni bene e possa raggiungere al meglio possibile le sue finalità formative,<br />

culturali ed educative.<br />

Da parte mia vorrei che l’odierna presentazione degli Orientamenti<br />

pastorali decennali dell’episcopato italiano intitolati Educare alla vita<br />

buona del Vangelo fosse l’occasione per far emergere il tema dell’educazione<br />

come elemento di dialogo tra di noi e, augurabilmente, tra coloro che,<br />

credenti e non, hanno responsabilità nella scuola.<br />

Occasione che ben si comprende se collocata nel suo più ampio orizzonte<br />

di significato: la frontiera educativa infatti è un terreno culturale e sociale<br />

interessante in cui il credente e il non credente si confrontano e cooperano<br />

per la crescita dell’uomo e <strong>della</strong> società e può costituire il luogo per un’ampia<br />

convergenza di intenti. La formazione delle giovani generazioni, in<br />

particolare, non può che stare a cuore a tutti, interpellando la capacità <strong>della</strong><br />

società intera, nelle sue diverse componenti, di indicare riferimenti autorevoli<br />

e affidabili per lo sviluppo armonico delle persone, dei cammini <strong>della</strong><br />

loro libertà e delle relazioni e cooperazioni che costituiscono il nucleo vivo<br />

<strong>della</strong> nostra società.<br />

1. Sguardo d’assieme agli Orientamenti Pastorali<br />

Come è nella loro natura gli Orientamenti dei vescovi che qui esaminiamo<br />

si muovono nell’orizzonte di una preoccupazione pastorale 1 . Essa<br />

affonda le sue radici nella chiara percezione che le sfide culturali del nostro<br />

1 CONFERENZA EPISCOPALE ITALIANA, Educare alla vita buona del Vangelo. Orientamenti<br />

pastorali dell’episcopato italiano per il decennio 2010-2020, EDB, Bologna 2010.<br />

Accanto al testo dei vescovi si può utilmente leggere: COMITATO PER IL PROGETTO CULTURALE<br />

DELLA CONFERENZA EPISCOPALE ITALIANA (a cura di), La sfida educativa, Roma-Bari 2009.<br />

117


tempo, a partire dall’eclissi di Dio e dall’offuscarsi <strong>della</strong> dimensione dell’interiorità<br />

fino alle difficoltà che la formazione dell’identità personale sconta<br />

nel contesto pluralistico caratterizzato dalla molteplicità di riferimenti<br />

valoriali, dalla globalizzazione delle proposte e degli stili di vita, dai nuovi<br />

scenari resi possibili dallo sviluppo tecnologico rappresentano degli elementi<br />

nuovi e rilevanti che segnano il venir meno di un modo quasi automatico<br />

di prospettare modelli di identità e inaugurano dinamiche inedite (cfr. n.<br />

10) che richiedono nuove capacità educative in grado di formare al vivere<br />

autenticamente e a scelte pensate e responsabili capaci di contrastare l’assimilazione<br />

passiva di modelli ampiamente divulgati. Il che richiede la capacità<br />

di accompagnare la crescita integrale <strong>della</strong> persona in ciascun uomo.<br />

«“La vera formazione consiste nello sviluppo armonioso di tutte le capacità<br />

dell’uomo e <strong>della</strong> sua vocazione personale, in accordo ai principi fondamentali<br />

del Vangelo e in considerazione del suo fine ultimo, nonché del bene<br />

<strong>della</strong> collettività umana di cui l’uomo è membro e nella quale è chiamato a<br />

dare il suo apporto con cristiana responsabilità” (PAOLO VI, Discorso alla<br />

federazione europea per l’educazione cattolica degli adulti, 3 maggio 1971).<br />

Così la persona diventa capace di cooperare al bene comune e di vivere<br />

quella fraternità universale che corrisponde alla sua vocazione» (n. 15). E lo<br />

diventa iniziando dal contesto effettivo dei suoi rapporti e delle sue azioni.<br />

Ci sono due ordini di fattori che secondo il testo dell’episcopato concorrono<br />

a rendere oggi difficile il compito educativo: le trasformazioni pratiche<br />

che conosce la vita effettiva e la qualità delle idee e dei discorsi che accompagnano<br />

tali trasformazioni. Di fronte a ciò i vescovi – sulla scorta <strong>della</strong><br />

lettera inviata loro da Benedetto XVI il 27 maggio 2010 2 – propongono un<br />

educare che è «formare le nuove generazioni perché sappiano entrare in<br />

rapporto con il mondo, forti di una memoria significativa che non è solo<br />

occasionale, ma accresciuta dal linguaggio di Dio che troviamo nella natura<br />

e nella Rivelazione, di un patrimonio interiore condiviso, <strong>della</strong> vera sapienza<br />

che, mentre riconosce il fine trascendente <strong>della</strong> vita, orienta il pensiero, gli<br />

affetti, il giudizio».<br />

I vescovi, nei loro Orientamenti da un lato si rivolgono alla comunità<br />

cristiana, per invitarla a riassumersi con responsabilità il compito educativo<br />

a cominciare dalla comunicazione <strong>della</strong> fede nel Dio di Gesù Cristo e dalla<br />

pratica dell’educazione cristiana (nn. 16-34); dall’altro intendono parlare a<br />

tutta la società che «costituisce un ambiente vitale dal forte impatto educativo:<br />

essa veicola una serie di riferimenti fondamentali che condizionano in<br />

118<br />

2 La Lettera si trova in Appendice a Educare alla vita buona..., pp. 85-92.


ene o in male la formazione dell’identità, incidendo profondamente sulla<br />

mentalità e sulle scelte di ciascuno» (n. 50). Alla società richiamano l’importanza<br />

di un’alleanza educativa in cui siano coinvolte tutte le sue differenti<br />

componenti ed offrono in questo la collaborazione delle comunità cristiane e<br />

dei singoli credenti.<br />

Per quanto ci riguarda mi sembra significativo prendere spunto da alcune<br />

sollecitazioni che il documento presenta per riflettere intorno ad alcuni<br />

lineamenti fondamentali dell’atto educativo e per evidenziare alcuni aspetti<br />

del rapporto che la scuola intrattiene con la questione educativa.<br />

2. Alcuni lineamenti fondamentali dell’educare<br />

1. Educare è l’atto/relazione con cui l’uomo introduce via via il suo piccolo<br />

a dire di sì in modo libero e originale, con responsabilità e competenza,<br />

alla vita che gli ha dato.<br />

La comprensione di questo compito, che nell’uomo si presenta nella<br />

forma di una vocazione ben più originale, consapevole e prolungata di quanto<br />

avvenga nell’animale, suppone che si abbia presente come quella umana<br />

sia in realtà un’identità aperta, in fieri, dove l’elemento umano che ciascuno<br />

di noi ha ricevuto in dotazione alla sua nascita viene progressivamente plasmato<br />

dal sentire, dalle azioni e dalle relazioni e dal pensare che ciascuno di<br />

noi esercita nell’arco <strong>della</strong> sua vita. In questo senso il vivere umano è, come<br />

si espresse Romano Guardini, un continuo «dare forma al divenire» 3 . Di<br />

fronte a ciò oggi appaiono significative due considerazioni.<br />

La prima verte sul fatto che nel contesto attuale, che potremmo contrassegnare<br />

come «società delle abilità, <strong>della</strong> tecnica e del saper fare» si<br />

ripropone in modo originale la questione che la nostra tradizione occidentale<br />

ha denominato «questione delle virtù», intese come «abilità ad esistere»,<br />

in grado di darci stabilità e consistenza all’interno di un mondo che sembra<br />

esserne privo, e che tende a frantumare l’identità personale individuale in<br />

mille diversi ruoli, o personaggi, o esperienze a seconda <strong>della</strong> prestazione<br />

che siamo di volta in volta chiamati a fornire 4 .<br />

La seconda conduce a osservare che la consistenza <strong>della</strong> relazione educativa<br />

è compresa quando si prende atto <strong>della</strong> necessaria mediazione storica<br />

<strong>della</strong> coscienza umana, e il chiarimento di tale mediazione storica esige il<br />

3 Cfr. R. GUARDINI, Lettere dal Lago di Como, Brescia 2001.<br />

4 Cfr. S. NATOLI, Il buon uso del mondo. Agire nell’età del rischio, Milano 2010.<br />

119


iferimento alla necessaria connotazione storico/culturale <strong>della</strong> coscienza<br />

stessa (nel doppio senso di autocoscienza e coscienza morale) per cui si può<br />

dire che la coscienza è per un verso l’evento di una datità originaria (naturale/sovrannaturale),<br />

per altro verso ha un carattere storico.<br />

In questo senso emerge la fondamentalità <strong>della</strong> libertà umana in ordine<br />

alla formazione del sé singolare e collettivo.<br />

2. Educare significa mettere consapevolmente in relazione la «persona»<br />

con la «realtà» e quindi pro-vocare incessantemente la sua libertà per<br />

farla entrare in un rapporto coinvolgente e integrale con gli altri, le cose,<br />

i processi e le circostanze in cui si imbatte. L’educazione è dunque l’arte di<br />

accompagnare l’inevitabile tensione <strong>della</strong> libertà delle persone ad «adeguare»<br />

la realtà. In questo senso essa è apertura alla verità bene che si offre e<br />

si promette anzitutto come quella «manifestazione» chiamante-coinvolgente<br />

che è la radice dell’adaequatio intellectus et rei. Che l’uomo sia fatto per la<br />

verità lo richiama fortemente il cristianesimo e non cessano di ricordarlo<br />

anche le altre religioni, in particolare la fede musulmana. Il che intercetta<br />

l’obiezione di certa cultura postmoderna che avanza l’ipotesi di una inconciliabilità<br />

tra un’autentica libertà umana e il fondamento veritativo. Ma tale<br />

obiezione si fonda acriticamente su una doppia riduzione: quella che concepisce<br />

la verità in senso razionalistico-deduttivo (il che dimentica che l’apertura<br />

umana alla verità è integrale: estetica, etica ed epistemica) e quella che<br />

intende la libertà come la capacità creativa di stabilire da me stesso cosa sia<br />

bene e male (il che ignora l’essenziale elemento di incondizionatezza che la<br />

libertà porta sempre in sé). Questa doppia riduzione di verità e libertà e del<br />

loro rapporto genera un serio fraintendimento circa la natura dell’educazione<br />

e circa la natura <strong>della</strong> libertà religiosa.<br />

3. Noi siamo memoria di storia e relazioni e in questo senso la nostra<br />

identità personale, identità aperta, è frutto di un elemento originario, la vita<br />

umana, che prende forma in modi molteplici attraverso la memoria individuale<br />

e collettiva, i pensieri, le relazioni e le azioni presenti e l’attesa-progettazione<br />

del futuro. L’atto educativo è strettamente connesso alla memoria<br />

e alla narrazione, ma a una memoria e una narrazione che, propiziando<br />

la trasmissione-condivisione del patrimonio culturale contestuale ai grandi<br />

gruppi umani e alla loro storia, responsabilizzino al compito/vocazione di<br />

vivere il presente in qualche modo preparando in modo aperto e originale il<br />

futuro 5 . In questo senso la storia precede l’individuo, ma l’individuo si pone<br />

120<br />

5 Cfr. P. RICOEUR, Tempo e racconto, 3 voll., Milano 2001.


come innovativo rispetto alla propria e altrui tradizione. Da questo punto di<br />

vista è interessante osservare come nella memoria collettiva, colta nel suo<br />

nucleo vivente e non soltanto nella sua cristallizzazione monumentale/museale,<br />

si possano distinguere due dimensioni tra loro connettibili: quella <strong>della</strong><br />

memoria comunitaria, in cui avviene il racconto dei racconti dei testimoni<br />

oculari e quella <strong>della</strong> memoria culturale in cui il patrimonio di sapienza ed<br />

esperienza intorno alla vita e al senso <strong>della</strong> realtà si conserva e si comunica<br />

ai nuovi venuti attraverso codici (miti, riti, stili di vita) che istituzionalizzano<br />

il ricordo e non attraverso la voce narrante di chi ha esperienza. In questo<br />

senso i singoli prendono significato entro le generazioni, ricevendo l’eredità<br />

e trasformandola 6 .<br />

In verità per comprendere le ragioni e il senso <strong>della</strong> crisi educativa<br />

attuale occorre considerare le nuove forme che assume nella società complessa<br />

il rapporto tra le generazioni. Più precisamente occorre prendere<br />

atto delle difficoltà obiettive che incontrano i processi di tradizione culturale<br />

da una generazione all’altra. Infatti l’educazione, comunque la si voglia<br />

definire, comporta come suo momento qualificante la trasmissione <strong>della</strong><br />

cultura da una generazione all’altra. Educare significa in tal senso iniziare<br />

il minore a quei significati del vivere che sono inscritti nelle forme <strong>della</strong><br />

vita comune. Quei significati definiscono la figura <strong>della</strong> vita buona, che è<br />

la norma del vivere comune: appunto il complesso di quei significati costituisce<br />

la cultura di un popolo. E tuttavia oggi, più che in passato, questa<br />

forma di educazione, che si realizza a monte di ogni scelta deliberata, appare<br />

oramai a rischio, nel senso che nella società di massa e complessa l’appropriazione<br />

da parte delle nuove generazioni del patrimonio culturale che<br />

sta sullo sfondo <strong>della</strong> vita comune delle generazioni adulte, appare sempre<br />

meno probabile.<br />

In ogni caso occorre aver presente l’imprecisione del termine «trasmissione»:<br />

la cultura infatti non è qualcosa di definito a lato rispetto alla<br />

coscienza, che dunque possa essere trasmessa alla coscienza solo in seconda<br />

battuta; essa è forma cooriginaria <strong>della</strong> coscienza, nel senso che senza cultura<br />

non è possibile la coscienza. Dunque la trasmissione culturale assume<br />

una consistenza radicale in rapporto alla formazione <strong>della</strong> coscienza 7 .<br />

4. Di questo atto educativo – che chiede passione educativa e un cam-<br />

6 Su questo tema è interessante quanto detto dal filosofo Salvatore Natoli nella lectio<br />

magistralis tenuta come anteprima del festivalbiblico <strong>2011</strong> (il video integrale si trova in<br />

www.festivalbiblico.it/multimedia/video<strong>2011</strong>).<br />

7 Cfr. G.ANGELINI, Educare si deve ma si può?, Milano 2002.<br />

121


mino di relazione e fiducia-credibilità – abbiamo tutti bisogno. Sembrano<br />

averne particolarmente bisogno i ragazzi e soprattutto i giovani che portano<br />

nel cuore una sete che è domanda di significato e di rapporti umani<br />

autentici che li aiutino a non sentirsi soli davanti alle complesse sfide <strong>della</strong><br />

vita che pure ciascuno deve affrontare con le sue forze. Ma un tale compito<br />

educativo, che valorizza segni e tradizioni di cui l’Italia è ricca, coinvolge<br />

necessariamente gli adulti e necessita di luoghi credibili, tra i quali anzitutto<br />

la famiglia, con il suo ruolo peculiare e irrinunciabile; la scuola, orizzonte<br />

comune al di là delle opzioni ideologiche; la parrocchia, luogo che inizia alla<br />

fede e alla socialità. Senza con ciò dimenticare che i vari ambienti di vita<br />

e di relazione – non ultimi quelli del divertimento, del tempo libero, e del<br />

turismo – esercitano un’influenza talvolta maggiore di quella dei luoghi tradizionalmente<br />

deputati all’educazione (cfr. n. 50), per cui è auspicabile che<br />

l’alleanza educativa di cui si parlava trovi adesione responsabile da parte di<br />

tutte le componenti sociali.<br />

3. La responsabilità educativa <strong>della</strong> scuola<br />

I nn. 46-49 degli Orientamenti sono quelli che in questa sede ci interessano<br />

più da vicino. Essi, partendo dal fatto che nell’educazione non tutti<br />

fanno tutto, ci possono aiutare a mettere a fuoco alcune specificità educative<br />

proprie dell’istituzione scolastica. Naturalmente si tratta di un testo che ha<br />

bisogno di essere letto cercando quella comprensione volta all’intesa che<br />

è essenziale nel contesto pluralista e che accade solo allorquando i partecipanti<br />

a un dialogo o un’impresa comune cercano una chiarificazione dei<br />

termini del problema tenendo reciprocamente conto delle possibili «differenze<br />

linguistiche» che segnano ed eventualmente arricchiscono l’approccio<br />

alla realtà. In questo caso si tratta di mettere in relazione il linguaggio del<br />

magistero ecclesiale (in questo caso si tratta di «orientamenti») e i linguaggi<br />

degli uomini e donne di scuola.<br />

La considerazione del documento (n. 46) parte dalla situazione complessa<br />

in cui oggi la scuola viene a trovarsi. «La scuola si trova oggi ad<br />

affrontare una sfida molto complessa, che riguarda la sua stessa identità e<br />

i suoi obiettivi. Essa infatti ha il compito di trasmettere il patrimonio culturale<br />

elaborato nel passato, aiutare a leggere il presente, far acquisire le<br />

competenze per costruire il futuro, concorrere, mediante lo studio e la formazione<br />

di una coscienza critica, alla formazione del cittadino e alla crescita<br />

del senso del bene comune. La forte domanda di conoscenze e di capacità<br />

professionali e i rapidi cambiamenti economici e produttivi inducono spesso<br />

122


a promuovere un sistema efficiente più nel dare istruzioni sul “come fare”<br />

che nel senso delle scelte di vita e sul “chi essere”. Di conseguenza anche<br />

il docente tende ad essere considerato non tanto un maestro di cultura e<br />

di vita, quanto un trasmettitore di nozioni e di competenze e un facilitatore<br />

dell’apprendimento; tutt’al più un divulgatore di comportamenti socialmente<br />

accettabili».<br />

Il testo sottolinea poi come sia urgente che la scuola promuova anzitutto<br />

una cultura umanistica e sapienziale, abilitando gli studenti ad affrontare<br />

le sfide del nostro tempo, in particolare l’ingresso competente nel mondo<br />

del lavoro e delle professioni; la cittadinanza e i valori che la sorreggono:<br />

la solidarietà, la legalità e il rispetto delle diversità; l’uso sapiente dei nuovi<br />

linguaggi.<br />

In particolare i vescovi affermano che «il carattere pubblico [<strong>della</strong> scuola]<br />

non ne pregiudica l’apertura alla trascendenza e non impone una neutralità<br />

rispetto a quei valori morali che sono alla base di ogni autentica formazione<br />

<strong>della</strong> persona e <strong>della</strong> realizzazione del bene comune».<br />

Un numero particolare viene dedicato al contributo del docente di religione<br />

(47), visto nell’ottica di una forma di servizio <strong>della</strong> comunità ecclesiale<br />

all’istituzione scolastica. Un altro (48) alla scuola cattolica e ai centri di formazione<br />

professionale d’ispirazione cristiana che, nel rispetto delle norme<br />

comuni a tutte le scuole, hanno il compito di sviluppare una proposta pedagogica<br />

e culturale di qualità, radicata nei valori educativi ispirati al Vangelo.<br />

Il n. 49 infine è dedicato all’università.<br />

Volendo riprendere il tema lasciandoci stimolare da quanto il documento<br />

afferma, mi sembra che esso ci induca a riflettere sul ruolo educativo <strong>della</strong><br />

scuola, questione intorno alla quale vi sono opinioni differenti.<br />

Anche se la scuola oggi sembra coinvolta nello stesso travaglio delle<br />

altre istituzioni esplicitamente deputate all’educazione (famiglia, chiesa<br />

ecc.), travaglio accresciuto dalle fatiche di una riforma che non riesce a dare<br />

alla proposta culturale ed educativa che essa offre alle nuove generazioni<br />

i caratteri di una adeguatezza alle esigenze culturali e sociali del tempo,<br />

conoscenze e abilità possono e devono essere effettivamente trasmesse<br />

attraverso una istituzione apposita come la scuola. Anzi essa può e deve<br />

anche educare – come si continua ad affermare –, certo in una sua modalità<br />

specifica che non è quella <strong>della</strong> famiglia o <strong>della</strong> chiesa, ma che con queste<br />

può in certo modo allearsi in vista di una maggiore efficacia.<br />

Il punto è capire cosa significhi educazione nella scuola, al di là del mero<br />

insegnamento. Essa è anzitutto qualcosa di legato all’acquisizione <strong>della</strong><br />

capacità fondamentale di apprezzare la vita e di condursi in essa con maturo<br />

discernimento. Mi permetto di citare in proposito le espressioni di tre<br />

123


alunni, riportate da P. Bignardi nel suo testo Il senso dell’educazione 8 . «I<br />

professori – afferma Luigi, terza superiore – tendono ad inculcarci soltanto<br />

nozioni <strong>della</strong> loro materia senza “applicarla” ad un contesto di vita vera. In<br />

classe si parla solo di atomi, polinomi, date, scrittori..., ma non si parla mai<br />

di politica ed economia o di avvenimenti determinanti che riguardano la<br />

vita <strong>della</strong> collettività». Gli fa eco lo scetticismo di Andrea: «La scuola è una<br />

delusione totale, tenendo conto che al giorno d’oggi non penso sia così utile<br />

avere un attestato che indichi il proprio livello di studio, visto che lavoro non<br />

ce n’è. È vero che più si studia più ci si accultura, ma oggi ci sono persone<br />

che riescono ad avere una carriera piena di successi in qualsiasi ambito,<br />

nonostante siano poveri di cultura». Francesca aggiunge: «Mi annoiano quei<br />

professori che parlano con un tono di voce basso e in modo confuso, quelli<br />

che sanno poco <strong>della</strong> loro materia, quelli che sembrano stanchi di fare questo<br />

mestiere».<br />

Ma l’apprezzamento e il discernimento circa la vita non si guadagna al<br />

solo prezzo di definizioni obiettive e neutrali. Questo discorso è connesso<br />

alla questione del carattere pubblico <strong>della</strong> scuola e, conseguentemente,<br />

<strong>della</strong> sua laicità, la quale non è – né può essere – sinonimo di neutralità, ma<br />

indica che nello spazio pubblico vi è un necessario riconducimento del sapere<br />

e delle decisioni all’istanza veritativa e valutativa <strong>della</strong> razionalità umana,<br />

che – comprensibile e condivisibile da tutti – si dà come razionalità pluralisticamente<br />

aperta al senso 9 . Di conoscenze e abilità può occuparsi un’istituzione<br />

specialistica, perché esse hanno una definizione obiettiva e, per così<br />

dire «neutrale», acquisita al consenso sociale a prescindere da ogni riferimento<br />

all’identità del singolo, e dunque anche alle questioni supreme relative<br />

al senso <strong>della</strong> vita. Lo sviluppo prodigioso delle scienze è fin dall’origine<br />

garantito esattamente da questa sua neutralità. La natura – come segnala<br />

con fine ironia R. Musil ne L’uomo senza qualità 10 – ha cominciato a consegnare<br />

i propri segreti con un’esuberanza addirittura sorprendente proprio<br />

dal momento in cui l’uomo ha rinunciato a rivolgere ad essa domande<br />

troppo ambiziose. La divertente e penetrante critica del sapere scientifico<br />

moderno, può essere meglio compresa alla luce delle più pacate affermazioni<br />

husserliane de La crisi delle scienze europee e la fenomenologia trascendentale<br />

dove si legge che «Le mere scienze di fatti creano uomini di fatto» 11 .<br />

8 P. BIGNARDI, Il senso dell’educazione. La libertà di diventare se stessi, Roma <strong>2011</strong>.<br />

9 Su questo punto mi permetto rimandare a: R. TOMMASI, La forma religiosa del senso.<br />

Al crocevia di filosofia, religione e cristianesimo, Padova 2009, pp. 469-475.<br />

10 R. MUSIL, L’uomo senza qualità, vol. 1, Torino 1991, pp. 291-292.<br />

11 E. HUSSERL, La crisi delle scienze europee e la fenomenologia trascendentale, Mila-<br />

no 1987, pp. 35-36.<br />

124


In altri termini il sapere <strong>della</strong> scienza (e quello formativo alle professioni)<br />

è sapere senza coscienza e questo consente ad esso di essere insegnato e<br />

appreso senza necessità di mettere in questione il soggetto. Il vantaggio<br />

ha un prezzo: quel sapere in nessun modo concorre alla crescita personale.<br />

Le scienze generano una consuetudine e una mentalità scientifica che<br />

plasma una serie di visioni del mondo che lo riducono alla figura piuttosto<br />

scadente di un repertorio di materiali a disposizione delle azioni presenti e,<br />

prima ancora, dei progetti dell’uomo. Ma – come afferma G. Angelini – quali<br />

progetti e azioni vorrà intraprendere e perseguire l’uomo? Come potrà egli<br />

volere? Che cosa di fatto vuole e vorrà? Più radicalmente che cosa significa<br />

volere? A queste domande le scienze e le tecnologie non possono rispondere:<br />

non lo consente la loro costitutiva neutralità, per altro di fatto irraggiungibile.<br />

E questo vale anche, se in modo differente che nel caso delle altre<br />

imprese scientifiche, anche per gli approcci scientifici alla realtà dell’uomo<br />

(quelle che con una nominazione molto problematica e insufficiente chiamiamo<br />

scienze umane) 12 .<br />

Proprio questa neutralità dei saperi scientifici oggetto d’insegnamento<br />

scolastico è alla radice remota del disinteresse che spesso caratterizza il<br />

rapporto degli adolescenti con la scuola. La neutralità – che spesso viene<br />

invocata in nome di un male inteso senso <strong>della</strong> laicità – pare in tal senso<br />

frustrare le possibilità educative <strong>della</strong> scuola. Al che si può rimediare a condizione<br />

che la scuola non si limiti soltanto a insegnare le scienze e affronti<br />

anche gli interrogativi relativi al significato delle scienze. Significato che,<br />

come subito si capisce, è una questione che oltrepassa le competenze delle<br />

scienze stesse e si connette alla questione antropologica e dei significati<br />

radicali del vivere umano che trovano espressione sociale attraverso le<br />

forme <strong>della</strong> lingua, del costume, <strong>della</strong> religione. All’origine e a fondamento<br />

di tali forme civili stanno le esperienze fondamentali del vivere umano: anzitutto<br />

la nascita, la morte, la fraternità, il matrimonio; e poi anche l’amicizia<br />

e l’odio, l’ammirazione e l’invidia, l’egoismo e la capacità di dono, la salute e<br />

la malattia. Sono le esperienze che stanno all’origine di ogni cultura e che<br />

oggi spesso diventano oggetto di censura nelle forme <strong>della</strong> comunicazione<br />

pubblica corrente, perché considerate faccende assolutamente private.<br />

Mi sembra chiaro che la scuola potrà assolvere adeguatamente la propria<br />

funzione, non sostituibile, e recuperare quell’autorevolezza che sembra<br />

avere in parte perduto ripensando il suo modo di essere e il suo ruolo alla<br />

luce di queste questioni e di queste esigenze.<br />

12 Cfr. ANGELINI, cit., p. 170.<br />

125


All’inizio del Novecento, in un’Italia in larga parte analfabeta, il compito<br />

<strong>della</strong> scuola si è riassunto nell’impegno dell’insegnare a leggere e a scrivere,<br />

primo passo per vivere la titolarità dei propri diritti/doveri di cittadinanza.<br />

Nella seconda metà del secolo scorso – si pensi all’esperienza di don Milani<br />

– si è avvertita la necessità di una scuola capace di dare la parola, dicendo<br />

le proprie ragioni e le proprie esigenze. Oggi, in un tempo complesso e<br />

frammentato, dalle grandi potenzialità e dai grandi limiti, alla scuola viene<br />

richiesto di riscoprire in modo nuovo il suo compito educativo e di riorganizzarsi<br />

per assolvere in maniera rinnovata questa funzione 13 . Oggi, molti<br />

ragazzi e giovani che approdano alla scuola mostrano una grande fragilità<br />

emotiva; non di rado portano in classe la fatica delle loro famiglie e la conseguente<br />

solitudine; e cresce il numero di coloro che provengono da diversi<br />

Paesi, rendendo più ricca, ma anche più complicata la vita scolastica. La<br />

tentazione <strong>della</strong> scuola di oggi può essere quella di rifugiarsi nella mera<br />

trasmissione dei contenuti culturali di un sapere oggettivo. Posto che l’oggettività<br />

pura del sapere costituisce un’illusione (o una menzogna), resta<br />

il fatto che i ragazzi e i giovani non si accontentano di una cultura libresca<br />

o di laboratorio che non prenda posizione sulla vita e che si rinchiude<br />

nell’idea di un sapere fine a se stesso, perché così come viene loro spesso<br />

consegnata la sentono lontana dalla loro vita, dai loro interessi e dalle loro<br />

curiosità. Occorre che la scuola – facendo la sua parte in collaborazione<br />

con altre istanze e agenzie educative e con un significativo riferimento al<br />

patrimonio racchiuso nella Costituzione <strong>della</strong> Repubblica Italiana (che è<br />

un Testo irrinunciabile, «costitutivo» e fondamentale per la delineazione<br />

attuale dell’identità nazionale italiana, ma pur sempre «umano» e dunque<br />

– alle dovute condizioni – riformabile e mutevole come tutte le istituzioni<br />

umane e storiche) – si faccia attenta anche alla dimensione soggettiva del<br />

sapere, e formi i giovani a trovare una sintesi di ciò che viene loro insegnato,<br />

sintesi che richiede di assumere delle chiavi interpretative e di acquisire<br />

la capacità di compiere delle scelte ragionevoli entro un contesto pluralista.<br />

Altrimenti la scuola viene esperita come un supermarket dove negli scaffali<br />

sono esposti oggetti diversi che ciascuno acquista in base alle sue necessità<br />

e ai suoi gusti. Qui gli insegnanti si trasformano da maestri in commessi o<br />

valletti, perdendo il ruolo di punto di riferimento e l’autorevolezza: non si<br />

può pensare che l’istruzione da sé educhi.<br />

Il modo tipico di educare proprio <strong>della</strong> scuola è quello di farlo attraverso<br />

la cultura, umanistica, civile, scientifica e tecnica, mostrandone il suo<br />

significato in ordine alla vita dell’uomo e <strong>della</strong> società e facendo gustare ai<br />

126<br />

13 Cfr. BIGNARDI, pp. 106ss..


agazzi e ai giovani la ricchezza che essa rappresenta in ordine alla crescita<br />

in umanità di ciascuno. La cultura, passata e presente, colta nelle sue radici<br />

– greche, cristiane e moderne – e sperimentata nelle sue contingenze presenti<br />

dà gli strumenti per capire la realtà e per interagire nell’oggi in vista<br />

del futuro; nello stesso tempo dà anche le chiavi per vivere e comprendere<br />

il proprio essere persona umana nel suo senso e nel suo valore; e dà parole<br />

pluralistiche per narrare la propria vita e per metterla in comunicazione e<br />

in cooperazione con gli altri. Per raggiungere tutto questo nella scuola sembra<br />

importante la cura di alcuni aspetti: l’educazione al sentire, al pensare<br />

e al volere in un contesto pluralista; la formazione al senso critico; il senso<br />

<strong>della</strong> cittadinanza e del rapporto con l’altro e con gli altri. Il che richiede<br />

l’elaborazione di un sapere seriamente attento alla dimensione oggettiva e a<br />

quella soggettiva, cioè al dato molteplice e alla persona.<br />

Impegnando il suo progetto educativo in queste direzioni la scuola potrà<br />

fare al meglio possibile la sua parte per l’educazione in quanto partecipa al<br />

mettere consapevolmente in relazione la «persona» con la «realtà» e quindi<br />

a quel pro-vocare incessantemente la sua libertà per farla entrare in un<br />

rapporto reale, coinvolgente e integrale con gli altri, le cose, i processi, le<br />

buone pratiche e le circostanze in cui si imbatte.<br />

127


FRAGILITÀ UMANA<br />

“Luogo evangelico di prossimità e di speranza”<br />

Ciclo di lezioni tenute alla “Scuola del lunedì”<br />

nei mesi di febbraio-aprile <strong>2011</strong><br />

Presentazione<br />

L’ambito in cui operiamo a livello pastorale ci mette quotidianamente<br />

a contatto con la “fragilità” <strong>della</strong> persona umana e la precarietà del suo<br />

equilibrio. I fattori che rendono oggi la persona più indifesa ed esposta<br />

agli imprevisti <strong>della</strong> vita sono molteplici e acuiti da una cultura sempre<br />

più efficientista e alla ricerca dell’apparire. Il Convegno di Verona, a suo<br />

tempo, ha sottolineato come la nostra società metta sempre più alla prova<br />

questa condizione dell’uomo disumanizzandolo. Esso ci ha anche indicato<br />

alcuni atteggiamenti da assumere per ridare alla persona la sua giusta<br />

dimensione e dignità: la cura del malato, il soccorso al povero, l’ospitalità<br />

dell’emarginato e dell’immigrato, la protezione dell’anziano, ecc.<br />

Come l’incontro con queste diverse forme <strong>della</strong> fragilità costituisce<br />

luogo di confronto, di dialogo, di solidarietà, di speranza? Come rispondere<br />

a queste fragilità? Quali gli strumenti più efficaci a nostra disposizione?<br />

La tematica sarà letta in forma trasversale, privilegiando alcune<br />

forme di fragilità. Dopo uno sguardo generale sul senso, il valore, i limiti<br />

<strong>della</strong> “fragilità umana” (Dott. Antonio Zuliani), seguirà la rilevazione<br />

di alcune fragilità attraverso alcuni specifici percorsi di prossimità <strong>della</strong><br />

Caritas diocesana (Operatori Caritas). Una lettura di tipo antropologico<br />

(prof. Tommasi Roberto) e successivamente biblico (Prof. Martin don<br />

Aldo), completerà il quadro generale. A seguire, ascolteremo la testimonianza<br />

di chi vive la fragilità personale nel tempo e nella forma <strong>della</strong><br />

* Questi i temi trattati: Fragilità umana: Malattia, sofferenza, morte (A. Zuliani); Prossimità<br />

caritas e fragilità: crisi, stili di vita e debito; esperienza del limite, lutto, solitudine.<br />

(Operatori degli sportelli Caritas); Prossimità caritas e fragilità: relazioni fragili in famiglia,<br />

fragilità e paura del futuro in una società plurale (Operatori degli sportelli Caritas);<br />

Fragilità umana. L’umana esperienza del dolore: approccio filosofico (R. Tommasi); Fragilità<br />

umana. L’umano soffrire: approccio biblico (A. Martin); Fragilità umana: una grazia o<br />

una disgrazia? (M. Melazzini); Fragilità umana e ministero <strong>della</strong> comunità (preti, religiosi<br />

e laici) (A. Pancrazi)<br />

128


malattia (Dott. Mario Melazzini). L’ascolto di tale fragilità mira a problematizzare<br />

l’approccio pastorale al tema <strong>della</strong> fragilità, in particolare: il<br />

ruolo <strong>della</strong> famiglia accanto al malato (prof. Angelo Brusco) e il ministero<br />

<strong>della</strong> consolazione <strong>della</strong> comunità cristiana: sacerdoti, religiosi e laici<br />

(prof. Arnaldo Pancrazi).<br />

L’ESPERIENZA DEL DOLORE<br />

E LA PREZIOSA FRAGILITÀ DELLA PERSONA UMANA<br />

Lezione tenuta dal mons. prof. Roberto Tommasi, docente nello<br />

Studio Teologico del Seminario e all’I.S.S.R. di Vicenza – “Scuola<br />

del lunedì”, 7 marzo <strong>2011</strong><br />

1. Il dolore espressione <strong>della</strong> fragilità dell’umano<br />

Isidoro di Siviglia, nelle sue celebri Etimologie, definisce la fragilità in<br />

questi termini: “Fragilis dictus eo quod facile frangi potest” (“Fragile, così<br />

chiamato in quanto può essere facilmente infranto”) 1 . Nel caso dell’uomo,<br />

<strong>della</strong> fragilità umana, l’informazione che si tratta di qualcosa di fragile vuol<br />

richiamare l’attenzione su qualcosa che può essere frantumato e al quale si<br />

tiene particolarmente per cui va protetto e curato. Con questo con la fragilità<br />

ne va del prezioso dell’uomo, <strong>della</strong> sua ricchezza. L’aggettivo fragile dunque<br />

non segnala un negativo, ma parla di un positivo che deve essere salvaguardato<br />

perché può andare perduto in quanto costitutivamente vulnerabile 2 .<br />

La fragilità umana, così intesa, si mostra in tre esperienze umane fondamentali:<br />

quella <strong>della</strong> vulnerabilità/prossimità che è stata profondamente<br />

esplorata da Levinas, quella del dolore e quella del male.<br />

Tralasciando la prima esperienza, dato il titolo di questa conversazione,<br />

ci concentreremo in particolare sulla seconda.<br />

In proposito va subito detto che il dolore e, in particolare, l’invecchiamento,<br />

la malattia e la morte, appartengono al novero di quelle esperienze fondamentali<br />

che concorrono a definire la qualità <strong>della</strong> condizione umana e che<br />

1 ISIDORO DI SIVIGLIA, Etimologie o origini, Utet, Torino 2004, p. 819.<br />

2 Cfr. C. CANULLO, “Fragilità e vulnerabilità dell’umano”, in Anthropologica. Annuario<br />

di Stufi filosofici 2001, p.49.<br />

129


segnano quindi la vita di tutti noi. Esse segnano la nostra vita sia nel momento<br />

preciso in cui ci toccano personalmente, ma prima ancora, quando toccano<br />

persone care e amici e così appaiono soltanto come una possibilità, remota<br />

o prossima, anche nell’orizzonte del nostro presente 3 . Lo spazio che queste<br />

esperienze occupano nella vita di ciascuno di noi cresce con il crescere <strong>della</strong><br />

nostra vita. Per quanto possa apparire paradossale, proprio questo è l’effetto<br />

prodotto oggi dagli enormi progressi <strong>della</strong> medicina. E d’altra parte paiono<br />

diminuire le risorse di cui dispone la coscienza del singolo per vivere la<br />

malattia e il dolore, per integrarla cioè nel disegno complessivo <strong>della</strong> vita, per<br />

riconoscere quale sia il messaggio che esprime e come rispondere ad esso 4 .<br />

Il tempo del dolore e <strong>della</strong> malattia infatti propone alla coscienza umana<br />

un compito, quello di cercare una forma di volere diverso. La domanda sul<br />

dolore, sulla malattia e sulla morte, una domanda che resta sempre aperta,<br />

anche se non osiamo ammetterlo, attraversa perciò tutta la nostra esistenza.<br />

Che reale portata ha questa domanda per una coscienza che torna riflessivamente<br />

su di sé? A quali condizioni è una domanda sul “senso” e quindi<br />

ha a che fare con la vita? Che cosa significa per l’assunzione responsabile<br />

<strong>della</strong> propria vita sapersi contrassegnati del dolore e mortali? 5<br />

L’interrogativo, antico quanto la storia dell’uomo, intorno al perché del<br />

dolore, alla sua origine e al suo senso è ancora ammesso, giusto e sensato?<br />

Oppure vale per esso ciò che Voltaire formulò in questo modo: “Il problema<br />

del male è un gioco intellettuale per coloro che ne disputano: sono detenuti<br />

che fanno fracasso con le loro catene”?<br />

Che filosofia e teologia incontrino il male come una sfida senza pari, i<br />

maggiori pensatori dell’una e dell’altra disciplina concordarono nel riconoscerlo,<br />

talvolta con grandi gemiti. L’importante non è tuttavia questo<br />

consenso, ma il modo in cui la sfida – perfino la sconfitta – è riconosciuta:<br />

come un invito a pensare meno o una provocazione a pensare di più, addirittura<br />

a pensare altrimenti? 6 Una sfida infatti è di volta in volta uno scacco<br />

per delle sintesi sempre premature, e una provocazione a pensare di più e<br />

altrimenti 7 . Si scoprirà così come l’interrogativo: “Perché il dolore?” non<br />

sia solo l’interrogativo: “da dove viene il dolore? è conciliabile col buon Dio<br />

3 Cfr. M. HEIDEGGER, Essere e tempo, Longanesi, Milano 19866, pp. 289-324.<br />

4 Cfr. G. ANGELINI, La malattia, un tempo per volere. Saggio di filosofia morale, Vita e<br />

Pensiero, Milano 2000.<br />

5 Cfr. V. MELCHIORRE, Sul senso <strong>della</strong> morte, Morcelliana, Brescia 1964; ID., Al di là<br />

dell’ultimo. Filosofie <strong>della</strong> morte e filosofie <strong>della</strong> vita, Vita e Pensiero, Milano 19918 .<br />

6 P. RICOEUR, Il male. Una sfida alla filosofia e alla teologia, Morcelliana, Brescia 1993,<br />

p. 7.<br />

7<br />

IVI, p. 47.<br />

130


Creatore?”, ma anche: “che cosa ci insegna e dove porta il dolore?” 8 Qual è<br />

la sfida che, in questa prospettiva, lancia la fragilità umana?<br />

2. Grammatica del patire<br />

2.1 Il dolore e il male<br />

La prima cosa che balza agli occhi quando ci volgiamo al problema del<br />

male è che la sua problematica è resa più enigmatica – almeno nella tradizione<br />

dell’Occidente giudeo-cristiano – dal nostro collocare sotto un medesimo<br />

termine fenomeni in prima approssimazione così disparati come il<br />

peccato, la sofferenza e la morte.<br />

Essi sono tutti segni <strong>della</strong> fragilità <strong>della</strong> condizione umana. Quando in<br />

proposito si prende la sofferenza come termine di riferimento la questione<br />

del male si distingue da quella del peccato e <strong>della</strong> colpevolezza.<br />

Prima di dire che cosa, nel fenomeno del male commesso e in quello<br />

del male sofferto, va nella direzione di una enigmatica profondità comune,<br />

occorre insistere sulla loro disparità di principio.<br />

A rigor di termine, il male morale (il “peccato” nel linguaggio religioso)<br />

designa ciò che rende l’azione umana oggetto d’imputazione, d’accusa e di<br />

biasimo. L’imputazione consiste nell’attribuire ad un soggetto responsabile<br />

un’azione suscettibile di valutazione morale o teologale. L’accusa caratterizza<br />

l’azione stessa come violazione del codice etico o teologico dominante<br />

nella comunità considerata. Il biasimo designa il giudizio di condanna in<br />

forza del quale l’autore dell’azione è dichiarato colpevole e merita d’essere<br />

punito. È qui che il male morale interferisce con la sofferenza, nella misura<br />

in cui la punizione è una sofferenza inflitta.<br />

Presa ugualmente nel rigore del suo significato, la sofferenza si distingue<br />

dal peccato per le caratteristiche contrarie: mentre l’imputazione<br />

focalizza il male morale su un agente responsabile, la sofferenza sottolinea<br />

il proprio carattere essenzialmente subìto: non la facciamo accadere, essa<br />

ci colpisce. Di qui la sorprendente varietà delle sue cause: l’avversità <strong>della</strong><br />

natura, malattie ed infermità del corpo e dello spirito, l’afflizione prodotta<br />

dalla morte di altri, la prospettiva spaventosa <strong>della</strong> propria mortalità ecc..<br />

Al contrario poi dell’accusa che denuncia una devianza morale, la sofferenza<br />

8 Cfr. G. GRESHAKE, Il prezzo dell’amore. Riflessioni sul dolore, Morcelliana, Brescia<br />

1983, p. 52. Si allude alla ricerca <strong>della</strong> direzione nella quale il dolore vada compreso e dunque<br />

“rielaborato” e integrato a livello esistenziale.<br />

131


si caratterizza come semplice contrario del piacere, ossia come non-piacere<br />

derivante dalla diminuzione <strong>della</strong> nostra integrità fisica, psichica o spirituale.<br />

Al biasimo, infine, la sofferenza oppone la lamentazione, perché se l’errore<br />

rende l’uomo colpevole, la sofferenza lo rende in qualche modo vittima.<br />

Stante ciò ci chiediamo che cosa, a dispetto di questa irrecusabile polarità,<br />

invita la filosofia (e la teologia) a pensare il male come radice comune del<br />

peccato e <strong>della</strong> sofferenza?<br />

È innanzitutto lo straordinario sviluppo di questi fenomeni: da una parte<br />

la punizione è una sofferenza fisica o morale aggiunta in più al male morale,<br />

sia che si tratti di punizione corporale, di privazione <strong>della</strong> libertà, di onta,<br />

di rimorso – e per questo la stessa colpevolezza è chiamata pena, termine<br />

che scavalca la frattura tra male commesso e male subìto. D’altra parte,<br />

una tra le cause principali <strong>della</strong> sofferenza è la violenza esercitata dall’uomo<br />

sull’uomo: in verità, compiere il male è sempre, in forma diretta o indiretta,<br />

far torto ad un altro e quindi farlo soffrire. Nella sua struttura relazionale e<br />

dialogica il male commesso dall’uno trova la sua replica nel male subìto da un<br />

altro. È in questo punto di maggiore intersezione che il grido <strong>della</strong> lamentazione<br />

è più acuto, quando l’uomo si sente vittima <strong>della</strong> malvagità dell’uomo.<br />

Siamo così condotti un grado più lontano, in direzione di un unico misteryum<br />

iniquitatis, dal presentimento che peccato, sofferenza e morte esprimano<br />

in modo molteplice la condizione umana nella sua unità profonda.<br />

Raggiungiamo qui il punto dove la fenomenologia del male è sostituita<br />

da un’ermeneutica dei simboli e dei miti che offrono la prima mediazione<br />

linguistica di un’esperienza confusa e muta.<br />

2.2 Mutezza e comunicabilità nel dolore<br />

Il dolore si conosce per esperienza 9 . D’altra parte ogni conoscenza è da<br />

ritenersi, sia pure a diverso titolo, contenuto d’esperienza. Dove mai infatti<br />

potrebbe accadere il conoscere se non all’interno di un generale esperire<br />

che parte dagli avvenimenti che, attivamente o passivamente, viviamo? Ciò<br />

sta a significare che la conoscenza, in quanto accadimento, prende ad esistere<br />

nel campo del sentirsi nell’esperienza. Si tratta di una considerazione<br />

molto importante che taglia corto sull’antico e fuorviante preconcetto che<br />

opponeva in forma radicale (dualistica) l’esperienza sensibile (o esperienza<br />

9 Nell’elaborazione di questa fenomenologia seguiremo particolarmente S. NATOLI,<br />

L’esperienza del dolore. Le forme del patire nella cultura occidentale, Feltrinelli, Milano<br />

19895, in partic. pp. 7-35.<br />

132


in senso stretto) al mondo intellegibile e razionale di cui si avrebbe notizia<br />

a prescindere dalla sensibilità: da qui quell’opposizione tra realtà fisica e<br />

mondo interiore, tra corpo e anima che tanto ha nuociuto alla comprensione<br />

dell’umano. Al contrario, se l’esperienza è cognizione dell’accadere nel gioco<br />

di affetti, agire e sapere, in quanto essa stessa flusso di accadimenti, essa è<br />

anche il luogo in cui accadono quegli eventi che usiamo distinguere in fisici,<br />

psichici e ideali: la distinzione fra essi permane, ma come modulazione del<br />

flusso dell’esperienza stessa.<br />

Nell’esperienza del dolore il nesso conoscenza-esperienza si configura<br />

in modo del tutto particolare: se è infatti vero che il dolore si conosce per<br />

esperienza, è ancor più vero che l’esperienza del dolore produce e genera un<br />

modo del tutto nuovo di conoscenza, ove la crucialità dell’esperimento non<br />

annulla il sapere ma lo acuisce (pathos mathos). Il patire fa irrompere un<br />

diverso modo di “vedere” e quindi anche di considerare e comprendere la<br />

vita e il mondo: esso inaugura una tipologia di conoscenza del tutto irriducibile<br />

alle altre modalità di percezione del mondo e <strong>della</strong> vita. Sotto la luce<br />

del dolore il mondo appare trasformato nella sua interezza: in questo senso<br />

il dolore appare a quel genere di esperienze cruciali perché sottopone gli<br />

uomini ad una tensione che, quando non produce distruzione, accresce certamente<br />

la percezione. Il dolore, qualunque sia la sua origine e la sua tipologia<br />

e in qualunque modo sia vissuto, rompe il ritmo abituale dell’esistenza,<br />

per cui tutto appare come ovvio, e produce quella discontinuità sufficiente<br />

per porre tutte le cose in un nuovo gioco di luce e tenebra ed essere insieme<br />

patimento e rivelazione. Con ciò si raccomanda alla libertà, con nuova<br />

urgenza, la rinnovata disposizione di sé 10 .<br />

10 Si pensi per esempio a cosa capita in questo senso in quel particolare caso di dolore<br />

che è la malattia. Uno dei primi effetti che produce la malattia, che sia proporzionalmente<br />

grave, è quello di suscitare nella persona la consapevolezza improvvisa, e anche stupita, di<br />

quanto poco abbia saputo apprezzare la salute nel tempo in cui era fiorente. Considerata<br />

nel momento <strong>della</strong> malattia, la precedente vita sana appare all’improvviso come una vita<br />

sprecata. Non è necessario che la gravità <strong>della</strong> malattia sia mortale perché prenda forma<br />

questa consapevolezza: basta anche solo il timore di una malattia che possa produrre effetti<br />

invalidanti. Allora occupazioni e preoccupazioni, che in maniera tutta persuasiva riempivano<br />

il tempo <strong>della</strong> vita e i pensieri dei giorni <strong>della</strong> salute, nel tempo <strong>della</strong> malattia appaiono<br />

improvvisamente assai inconsistenti, futili e poco interessanti. Si esperisce la propria finitezza<br />

e mortalità. Tale esperienza è spesso intesa da chi la vive – con le parole e soprattutto con<br />

i gesti e i sentimenti – in forma “patetica”, conferendo cioè ad essa la figura di una constatazione<br />

impotente e desolata che chiude in se stessi. Assumere “autenticamente” l’esperienza<br />

del dolore suppone invece che questo stato di cose apra ad un nuovo atteggiamento <strong>della</strong><br />

libertà e dell’essere-per-ciò-che-si-ha-da-essere che è capace di “convertire” la qualità dei<br />

desideri e delle occupazioni che polarizzavano la vita e di cercare una forma del volere diversa,<br />

capace di resistere agli effetti crudelmente demistificanti <strong>della</strong> malattia.<br />

133


Oltre certi limiti controllabili dall’uomo il dolore si fa experimentum<br />

crucis, in quanto sottopone a “prova” l’individuo che lo vive e si erge a controprova<br />

del senso dell’esistere. Esso veicola questa conoscenza non per<br />

astrazione, ma per immedesimazione.<br />

A questo livello il dolore è fatto personale, direi personalissimo, ma è<br />

anche evento “cosmico”: è intimamente e unicamente mio, ed è qualcosa<br />

che va oltre me, di cui partecipo e che non posso determinare totalmente<br />

e governare o dominare a partire da me. Questo intreccio di singolare e<br />

universale, mai del tutto districabile nell’esperienza del dolore, permette a<br />

questa esperienza di farsi linguaggio. Se nel dolore non si intrecciassero, in<br />

modo indissolubile seppur enigmatico, l’individuale e l’universale, mai esso<br />

giungerebbe alla parola: la sofferenza rimarrebbe l’esperienza muta che è.<br />

Solo il riverbero di universale che è presente in ogni esperienza individuale<br />

di dolore permette a chi soffre di comunicarlo e a chi guarda di presentirlo e<br />

riconoscerlo.<br />

A controprova di questo basta considerare quanto accade nella vita<br />

quotidiana comune: il muro di silenzio che si innalza tra coloro che soffrono<br />

e coloro che non soffrono e che separa, al di là di ogni sentimento di pietà:<br />

l’impotenza <strong>della</strong> consolazione, la vanità di tante parole che pretendono di<br />

portare sollievo. Il dolore crea questi intransitabili confini: essi si formano<br />

subito ed inevitabilmente in proporzione alla densità del dolore perché la<br />

sofferenza accerchia e divide. L’assedio e la separazione rendono le parole<br />

eccedenti rispetto al dolore: nella sofferenza avviene una recessione <strong>della</strong><br />

comunicazione.<br />

Il rischio non è il fraintendimento, ma il muto patire che si imparenta<br />

strettamente alla morte. Il dolore infatti, in certo senso, è vita che si riduce.<br />

Il sofferente tende al silenzio o al grido: se la sofferenza non lo invade gli è<br />

più o meno possibile dissimulare. Ad ogni modo il dolore tende a sfuggire al<br />

discorso 11 .<br />

Eppure del dolore si parla. Il sofferente, nonostante il muro di silenzio<br />

che lo separa dagli altri, per quel tanto che ha di vita cerca le parole e forse<br />

anche le trova. C’è infatti come una muta solidarietà tra chi soffre, e tra chi<br />

soffre e chi non soffre: tutto ciò non avviene attraverso la via <strong>della</strong> comunicazione<br />

individuale e diretta, ma per il fatto che dinanzi ad ogni emblema di<br />

sofferenza ognuno, a suo modo, si sente chiamato in causa. Il dolore è proprio<br />

di chi soffre, ma di fronte a qualsiasi sofferenza irrompe, tremenda, la<br />

11 L’amore, anche quando tace, parla. Al contrario il dolore non riesce ad accedere alla<br />

parola neppure quando lo vorrebbe, poiché la sofferenza inibisce l’espressione e quando non<br />

la inibisce la deforma.<br />

134


possibilità di soffrire: di qui il coinvolgimento e il colloquio senza parole tra<br />

i segnati dal dolore e i candidati possibili. La dimensione del dolore diviene<br />

immagine familiare sempre allontanata, ma riemergente e interpellante.<br />

La riflessione personale sul dolore diviene allora meditazione sulla propria<br />

sofferenza possibile e proiezione di sé nella sofferenza universale. Tutti<br />

sono candidati al colpo imprevisto e imprevedibile: da qui l’elaborazione<br />

delle immagini del dolore che costituiscono gli scenari entro cui ogni individuo<br />

proietta se stesso come uomo sofferente e trova il lessico e le idee per<br />

rendersi in qualche modo capace del suo dolore e farsene interprete.<br />

Il dolore è un’esperienza a suo modo originaria. L’umanità, provata dal<br />

dolore, si cimenta con esso e tenta risposte: ora lo sublima, ora lo subisce,<br />

ora lo vanifica come apparenza, ora lo percepisce come ineluttabile.<br />

Il dolore allora, come contrassegno di ciò che esiste, diviene occasione<br />

di prova e di giudizio per l’intero senso dell’esistenza. E qui il dolore dei<br />

singoli non può essere separato dal dolore di tutti, dal dolore del mondo: per<br />

comprendere il senso dell’esperienza del dolore, ammesso che sia possibile,<br />

occorre stare a questo intreccio.<br />

L’approccio minimo all’esperienza del dolore consiglia di coglierlo guardando<br />

il volto del sofferente, di soffermarsi sui tratti alterati che il dolore<br />

disegna su di esso: ogni uomo afflitto dal dolore nel momento in cui lo soffre<br />

in certo senso lo tradisce 12 , nel doppio significato per cui insieme lo dissimula<br />

e lo trasmette. Questa situazione ambigua e ambivalente costituisce<br />

il terreno propizio per l’elaborazione delle maschere <strong>della</strong> sofferenza, in cui<br />

il dolore in quanto viene vissuto non viene del tutto taciuto. Le maschere<br />

del dolore, secondo questa fenomenologia, danno al sofferente un contegno,<br />

mentre egli vuole e invoca pietà: s’intende, il sofferente vuole pietà e cioè<br />

immedesimazione e compartecipazione al suo dolore, e non commiserazione.<br />

Il rischio di una pietà equivoca, “pietà pelosa”, accentua nel sofferente l’ambiguità<br />

del contegno tra il tacere e il far sapere. L’ambiguità <strong>della</strong> maschera<br />

denota che il sofferente ha ancora dominio sul proprio dolore, che riesce a<br />

contenere in una forma il suo patire; d’altra parte ogni maschera possiede<br />

quella deformazione sufficiente che dal dolore proviene, che ad esso accenna<br />

e perciò lo esprime. La maschera per un verso è esigenza soggettiva, per<br />

altro oggettiva: per implicare gli altri nel proprio dolore occorre in qualche<br />

modo renderli partecipi. Se è così, per un verso la sofferenza produce le<br />

sue maschere, per un altro verso le prende a prestito e le indossa perché<br />

12 Nel senso proprio del verbo latino tradere che significa: porgere, consegnare, trasmettere,<br />

ma anche lasciare, abbandonare e quindi lasciar trasparire, lasciar intravedere<br />

(appunto tradire che è un rivelare standosene nascosti e nascondendo).<br />

135


già prima di ogni individuale patire esistono nel mondo le figure sociali del<br />

dolore: ad esse gli uomini corrispondono quando la necessità del dolore lo<br />

impone, tramite esse lo comunicano. È tramite queste maschere sociali che<br />

l’individuo esce dall’isolamento e comunica il suo soffrire, rendendolo in<br />

alcune circostanze persino comune.<br />

Le maschere del dolore segnano la separazione tra chi soffre e chi non<br />

soffre e ad un tempo rendono possibile e producono la comunicazione. La<br />

maschera è quindi il modo per dire la sofferenza e, sotto questo aspetto,<br />

essa produce sollievo. Essa rende reciprocamente riconoscibile il dolore tra<br />

chi soffre e perciò accomuna nella sofferenza sotto il segno <strong>della</strong> reciproca<br />

comprensione. Suscita inoltre compassione in chi non soffre, o almeno commiserazione:<br />

in ogni caso un con-venire, un partecipare, un sollevare. Il sollievo<br />

avviene già in quanto il dolore non grava più solamente su chi soffre,<br />

ma – a vario titolo – è suddiviso e condiviso.<br />

2.3 Il dolore come esperienza individualizzante<br />

Il dolore si patisce e si interpreta. Quel che vi è di comune nel dolore<br />

e nella sofferenza è affatto generale: laddove c’è dolore c’è anche un ben<br />

definito corredo di segni, che pur difficilmente classificabili, possono essere<br />

segni fisici, morali o sociali implicantesi a vicenda.<br />

I segni fisici riguardano lo stato del corpo nella sua spazialità ed estensione<br />

e il cambiamento di stato del medesimo secondo una sua temporalità,<br />

evoluzione, decorso. Sotto questo aspetto il dolore, come percezione del<br />

proprio malessere e perciò delle ridotte possibilità di percepire ed agire, si<br />

traduce in malattia quale espediente oggettivo-razionale per definire il caso<br />

secondo una sintassi semeiotica e clinica. Ciò vale sia per una clinica del<br />

dolore in senso fisico che per l’interiorizzazione del dolore fisico in sofferenza<br />

spirituale e morale.<br />

Qui fisico e psichico stanno in circolo: l’oggettività del dolore è in questo<br />

caso del tutto corrispondente all’oggettività del corpo e la persona stessa si<br />

intende e si interpreta secondo la sua oggettività corporea. Il “corpo” <strong>della</strong><br />

medicina desta nell’individuo l’interpretazione medicalizzata <strong>della</strong> propria<br />

corporeità. L’esperienza del dolore ha oggi, nel suo complesso, un oggettività<br />

clinico-scientifica (chirurgica o psicoanalitica) ed i fantasmi corporei e il<br />

plesso di sofferenze ad essi connesso non sono scindibili dal sapere medico e<br />

dai suoi corollari immaginari. Lo scetticismo che talvolta si riscontra rispetto<br />

a questo sapere è l’indiretta conferma dei grandi risultati che gli uomini<br />

da esso si attendono e, soprattutto, desiderano. Nell’età <strong>della</strong> tecnica l’espe-<br />

136


ienza del dolore e il dolore vivo non può non essere toccata dalla speranza<br />

tecnologica.<br />

Se si considera la sofferenza con un’attenzione rivolta al vissuto psichico<br />

e morale o, più generalmente, umano di chi soffre, varia il codice di<br />

decifrazione e organizzazione dei segni. Tra il muto silenzio e lo strazio si<br />

iscrivono i moti dell’anima e gli umori del carattere del sofferente: la tristezza,<br />

la speranza, il pianto, la rassegnazione, la paura, perfino l’ironia e il<br />

sarcasmo sul proprio dolore. Emerge qui il carattere cruciale dell’esperienza<br />

del dolore. Il dolore delimita, perché fa esperire la propria limitazione.<br />

E in questo consente all’uomo di costituirsi integralmente come individuo<br />

per la semplice ragione che nessuno è sostituibile nel proprio dolore. Come<br />

aveva ben visto Kierkegaard l’io è un rapporto che si rapporta a se stesso.<br />

Questo rapportarsi dell’io con se stesso va interpretato come un intreccio<br />

o un nodo: l’io è infatti una rete polimorfa e multiversa di rapporti, che ha<br />

certo una sua consistenza, ma anche una sua posizione apparente in base al<br />

sistema di relazioni in cui è disposto. La rete di relazioni che costituiscono<br />

il soggetto non è una giustapposizione estrinseca di sequenze eterogenee,<br />

ma la coordinazione complessiva di forze gerarchiche. In questo senso il<br />

soggetto si costituisce come una relazione complessa e come un che di inesplicabile<br />

nella sua integralità. Il soggetto attinge la rappresentazione di sé<br />

come fascio d’esperienze ossia raccoglie in unità il flusso continuo dei suoi<br />

stati d’esistenza. Quest’unità di riferimento che intendiamo come io e che è<br />

interpretabile come un rapportarsi gerarchico di rapporti, si fa io in modo<br />

tutto peculiare nel dolore. Nel dolore non si è sostituibili perché il dolore è<br />

anticipazione <strong>della</strong> morte. In certo senso la morte è anticipata ogni giorno: è<br />

un’esperienza che si svolge nel cuore stesso <strong>della</strong> vita e che non è data solo<br />

da ciò che il tempo toglie e consuma, ma dal ridursi delle possibilità espansive<br />

<strong>della</strong> vita che si restringono e si ripiegano su se stesse. Il dolore, per il<br />

fatto stesso di restringere le possibilità di vita approssima alla fine dando<br />

sentore di essa. In ciò la sapienza cristiana che insegna che media vita in<br />

morte sumus è stata più perspicace di Epicuro che affermava che “la morte<br />

per noi non è nulla, perché quando ci siamo noi non c’è la morte, quando c’è<br />

la morte non ci siamo noi” 13 : in certo senso nel dolore la vita e la morte, che<br />

sono entità discordi, trovano un accordo e una possibilità di coesistenza.<br />

Il dolore è una diminuzione di sé e perciò contraddice il sé. Proprio per<br />

questo l’individuo lo subisce e non può sceglierlo, pena l’autodistruzione. Il<br />

dolore, in quanto evento negativo, è male: quando lo si sceglie o lo si accetta,<br />

lo si sceglierà e accetterà come passaggio obbligato o come rischio calco-<br />

13 EPICURO, Lettera a Meneceo, in Opere, Einaudi, Torino 1973, p. 108.<br />

137


lato per un bene maggiore; oppure lo si sceglierà – per errore – come bene<br />

apparente che poi si rivelerà esito doloroso. Il che significa che il dolore è<br />

inflitto e, come tale, può essere soltanto sopportato e, a certe condizioni,<br />

accettato. Questa accettazione del dolore è perfettamente espressa dalla<br />

parola greca pathos, che nella sua forma originaria significa “essere colpito<br />

dall’esterno”, indipendentemente dalla determinazione negativa o positiva<br />

dell’evento che colpisce. Pathos significa appunto “evento”, “avvenimento”,<br />

“congiuntura” e assume poi la valenza negativa di “sofferenza”, “disgrazia”,<br />

“sciagura”. L’accadimento del dolore è ciò che costitutivamente si subisce ed<br />

in tale subire esso è appunto un patire: di qui la “pazienza” come virtù per<br />

eccellenza nella sofferenza, come capacità di saper sopportare.<br />

Per la sua inevitabilità l’esperienza del dolore diviene così un’esperienza<br />

radicale che incide in modo determinante sulla valutazione <strong>della</strong> realtà,<br />

sulle decisioni e sul modo di fare esperienza <strong>della</strong> mondità del mondo: in<br />

una parola il dolore dà una diversa orientazione all’interno dell’esistenza.<br />

L’uomo vincolato al dolore prende la misura di se stesso e si dimensiona<br />

secondo la misura <strong>della</strong> propria finitezza: il dolore apre all’esperienza del<br />

proprio limite e mantiene aperti sul limite. Una tale apertura sul limite<br />

permette di attingere sia l’eventualità dell’esistenza, il suo essere un fragile<br />

dono, un miracolo e una possibilità rischiosa da assumere da cima a fondo<br />

sia l’apertura ad un oltre, a un al-di-là in quanto il limite è anche un limitare,<br />

un confine che rinvia oltre se stesso, relativizzando la pretesa assolutistica<br />

<strong>della</strong> misura <strong>della</strong> finitezza. Una tale apertura rende più profondo lo<br />

sguardo, in quanto libera dalla prigionia del “per lo più”.<br />

In tutto questo il dolore – con il senso di precarietà e di angoscia che lo<br />

accompagna – è ciò che si prova e che mette alla prova; diviene interrogazione<br />

profonda sul valore dell’esistenza. La grande domanda, ripresa dalla<br />

teodicea 14 , “perché c’è il dolore?” diviene motivo di richiesta di una giustificazione<br />

totale del mondo.<br />

In questo senso il dolore, sia esso fisico, psichico o morale, è da ritenersi<br />

circostanza idonea e luogo in cui matura una buona preoccupazione per sé e<br />

per l’universale.<br />

Pare dunque riservato proprio al dolore e alla malattia il compito di proporre<br />

la “grande questione” che da sempre l’uomo è per se stesso: mi riferisco<br />

alla sentenza di Agostino: factus eram ipse mihi magna quaestio 15 .<br />

Il cimento con l’esperienza del dolore e <strong>della</strong> malattia non è una possibi-<br />

14 Brevi ma significativi cenni all’immane problematica <strong>della</strong> teodicea in GRESHAKE, cit,<br />

pp. 11ss.<br />

15<br />

AGOSTINO, Confessioni 1, IV, 4.9.<br />

138


lità soltanto eventuale, ma attende, prima o dopo, proprio tutti. Da questo<br />

riconoscimento di carattere radicale dipende la stessa possibilità per chi<br />

è provvisoriamente “sano” di stare accanto al fratello “malato” come chi è<br />

“prossimo”.<br />

Se l’esperienza del dolore ha questa strutturazione complessa ed è<br />

suscettibile di una gamma infinita di modificazioni, è razionale ritenere<br />

che ogni umano soffrire, nel momento in cui è vissuto, pur nell’orizzonte di<br />

precarietà che esso dischiude, è interpretato. E ciascuno è interprete <strong>della</strong><br />

propria sofferenza a seconda dell’insieme di disposizioni in cui al suo dolore<br />

è dato accadere, dei diversi fili e delle molteplici provenienze tramite cui<br />

quel soggetto sofferente è istituito nel mondo e di quelle intenzioni esplicite<br />

e modulazioni inconsce che lo fanno sussistere come complessità.<br />

3. I livelli del discorso nella riflessione sul dolore<br />

La grammatica del patire apre l’interrogativo sul senso del male e del<br />

dolore. Si raggiunge così il punto in cui la fenomenologia è sostituita da una<br />

ermeneutica dei simboli e dei miti e da un impegno del pensiero riflesso a<br />

rendere ragione di questa esperienza fondamentale dell’uomo che concorre<br />

a dischiuderne il senso dell’esistenza e <strong>della</strong> vita.<br />

Si tratta del fatto che l’esperienza del dolore risulta inseparabile<br />

dall’orizzonte interpretativo in cui è posta ed entro cui necessariamente si<br />

svolge. Quest’orizzonte, in genere e per lo più, corrisponde ad una metafisica<br />

(implicita) e coincide con una visione del mondo o è ad essa congruente.<br />

Perciò la nostra indagine sull’esperienza del dolore prosegue assumendo<br />

come oggetto di analisi le grandi visioni <strong>della</strong> sofferenza, alcuni spazi eidetici<br />

che – nella storia <strong>della</strong> cultura occidentale – hanno consentito agli uomini<br />

l’ermeneutica del loro patire, non solo come astratta interpretazione o come<br />

conoscenza separata, ma come modalità storica e concreta di vivere il proprio<br />

dolore, di sopportarlo o di morirne.<br />

3.1 Il dolore nella forma del tragico greco: la dimensione di “naturalità”<br />

del dolore<br />

a) Lo scontro con l’ineluttabile<br />

Il dolore è esperienza di morte e in questo senso è tragedia. Al tragico<br />

appartiene infatti la dimensione dell’ineluttabile e nulla è per l’uomo più<br />

ineluttabile del movimento verso la morte, che è come il sigillo <strong>della</strong> necessi-<br />

139


tà impresso in ogni vivente 16 , su tutti coloro che Eschilo chiama “i vivi di un<br />

giorno”. Su questa base ogni dolore potrebbe definirsi tragico: ma si tratta<br />

di tragedia in senso lato e non del tutto proprio. Infatti la tragedia è qualcosa<br />

di più del semplice soffrire o <strong>della</strong> stessa esperienza <strong>della</strong> morte: essa<br />

non è la pura consumazione dell’ineluttabile, ma è anche e soprattutto lo<br />

scontro con esso, la resistenza, il contrasto. C’è tragedia laddove c’è questo<br />

dissidio. Sotto questo aspetto gli antichi Greci hanno sperimentato, come<br />

nessun altro, il dolore nella forma del tragico: per essa l’esistenza, nella sua<br />

totalità, è contrassegnata da irriducibili dissidi e da inconciliabili conflitti<br />

17 : il dolore è in questo senso l’espressione e la conseguenza <strong>della</strong> mobile<br />

antinomicità del reale. Presso i Greci, che in questo parlano anche a noi<br />

istituendo una potente ermeneutica del patire, non è l’intensità del dolore e<br />

neppure l’esperienza di morte ad esso connessa che rende tragico il soffrire,<br />

ma è la percezione “tragica” dell’esistenza 18 che muta il dolore in tragedia,<br />

ossia lo fa vivere ed esistere nella forma del tragico.<br />

La visione tragica del mondo insorge in uno con la scoperta <strong>della</strong> crudeltà<br />

dell’esistenza: la physis 19 , compresa come grembo originario del prodursi<br />

e dissolversi di tutto ciò che è, è la matrice permanente del differire, del<br />

perpetuo attivarsi e riprodursi dell’opposizione; è natura ebbra e felice, ma<br />

insieme distruttiva e violenta, insieme madre e matrigna.<br />

16 Con questo la filosofia non intende escludere a priori l’esistenza di un al-di-là oltre<br />

la morte, peraltro oggetto tematico <strong>della</strong> teologia. Resta tuttavia il fatto <strong>della</strong> ineluttabilità<br />

dell’incontro con la morte come esperienza necessaria ed inquietante di ogni vita: si tratta<br />

di un incontro che non sta solo alla fine <strong>della</strong> vita umana, ma che tutta la qualifica come vita<br />

“mortale”.<br />

17 La storia <strong>della</strong> filosofia ci istruisce sul fatto che la ragione umana, già fin dal tempo<br />

dei Greci, ha cercato di trovare oltre questa conflittualità lacerante anche ciò che è stabile ed<br />

eterno e che permette, a chi lo sa riconoscere, un’esistenza armonica e pacificata. Si tratta<br />

di vedere se un tale orizzonte di armonia e stabilità sia solo un costrutto <strong>della</strong> ragione e dei<br />

sensi che cercano pace nascondendosi l’ineluttabilità del conflitto e la forza distruttiva del<br />

dionisiaco, o se non costituisca piuttosto un elemento significativo che la ragione aperta sa<br />

cogliere come struttura fondamentale del reale e che va polarizzato col contrasto e il conflitto<br />

in un continuo complesso e aporetico rimando di unità e molteplicità, stabilità e divenire,<br />

identità e differenze.<br />

18 Il tragico, in questo senso, non è anzitutto relativo e fenomeni dolorosi, ma costituisce<br />

una sorta di dimensione ontologica: è un evento ermeneutico che apre un nuovo scenario per<br />

l’interpretazione-comprensione dell’esperienza del dolore.<br />

19 Presso i Greci la Physis (che piuttosto indebitamente traduciamo con “natura”) ha un<br />

significato ben diverso dalla “natura” come realtà oggettivata, misurabile e sperimentabile<br />

tipica <strong>della</strong> concettualità moderna: Physis, coestensiva all’essere, è l’onniabbracciante grembo<br />

e patria di ogni cosa, lo schidentesi-permanente-imporsi nella cui evenemenzialità vive<br />

ogni cosa e ogni fatto.<br />

140


La circolarità di vita e di morte è il motivo mitico che trapassa nelle<br />

filosofie e nelle cosmologie. Vi è un’andatura circolare di vita e di morte, in<br />

quanto il flusso <strong>della</strong> vita è scandito ritmicamente dal ritorno <strong>della</strong> morte.<br />

E nel darsi di quest’andatura e di questo ricambio vi è lotta: non si tratta<br />

di un’andatura quieta, c’è lotta per generare e lotta per non morire. Se,<br />

infatti, è vero che ci si ammala perché si muore è peraltro vero che si muore<br />

perché si vive: la morte è un destino che tocca ai viventi. Ora finché ogni<br />

determinazione vive la vita, si appassiona alla vita: in tal caso la vita vivente<br />

si oppone, con tutte le sue forze a ciò che la contrasta. Questo dissidio è, in<br />

senso eminente, dolore: confronto attivo di vita e di morte. Se il morire è<br />

“naturale”, altrettanto lo è il vivere: l’individuo che deve cedere al tempo<br />

non si concede ad esso in una semplice resa, ma, al contrario, tende a farlo<br />

suo, a dominarlo e, se potesse, a fermarlo. In questo senso a parte subjecti<br />

il singolo tende a suo modo a conservarsi e a rendersi immortale: la naturalità<br />

<strong>della</strong> morte non esclude la repulsione di essa. Perciò giustamente è stato<br />

detto che la vita è “agonica” ed in questo senso dolorosa, anche se esiste un<br />

dolore fecondo. Tutto ciò che vive, finché vive, non solo resiste alla morte,<br />

ma, se è il caso, produce la morte per preservarsi e accrescersi o, come<br />

afferma Nietzsche “accrescersi per preservarsi”. Ogni individuo è pretesa<br />

di vita e protesta verso ciò che la comprime, in una parola è volontà di vivere:<br />

in questo senso la naturalità <strong>della</strong> morte è incentivazione alla vita.<br />

b) La naturalità del morire e l’istanza di pienezza finita del vivere<br />

La visione greca, in questo senso, esclude l’astratta immortalità e rende<br />

impossibile la liberazione dalla morte come liberazione dalla legge del ciclo.<br />

Una tale esclusione dell’immortalità (ad essere immortale è, eventualmente,<br />

l’anima destinata a reincarnarsi e non questo uomo) è ciò che incentiva al<br />

massimo le istanze vitali: la naturalità del morire significa allora, per ogni<br />

vivente, esigere per sé la pienezza finita del vivere: in tal modo quando ad<br />

ogni vivente, a turno, toccherà di doversi ritirare dalla scena del mondo lo<br />

farà da commensale sazio che si leva soddisfatto dal banchetto dell’esistenza.<br />

Vita lunga e felice, non vita eterna: la naturalità <strong>della</strong> morte non produce<br />

un rapporto depressivo con l’esistenza, ma al contrario attivo e propulsivo.<br />

L’uomo, quanto più intende il pericolo di morte, tanto più cerca di farsi<br />

signore <strong>della</strong> vita e dominatore del mondo: il vivente in generale e l’uomo in<br />

particolare tendono ad allontanare la morte diventando previdenti e, proprio<br />

per questo, anche impietosi e talvolta crudeli. La potenza <strong>della</strong> natura<br />

che fa nascere ed uccide diventa nell’uomo hybris tremenda che non sa<br />

tracciare il giusto segno tra il difendersi e l’aggredire (ciò che si sente risuonare<br />

nel terribile detto mors tua vita mea).<br />

141


Nell’eterno flusso del divenire ogni morire è nascere e quindi ogni fine<br />

può essere considerata inizio; al contrario ogni determinazione che nasce,<br />

a partire dal suo nascere, si immette in un sentiero di morte. La sapienza<br />

dei Greci e di molti popoli sa che l’uomo, ab origine, è implicato in questo<br />

destino. L’intrinseco dissidio tra lo svolgimento del ciclo naturale e le pretese<br />

vitali dell’individuo, che è conato d’esistenza (Spinoza) e “centro di forze”<br />

(Nietzsche), costituisce il profilo essenziale del tragico. La ripetizione, ossia<br />

l’eterno ritorno dell’identico nell’infinita metamorfosi del tutto, non consola<br />

dalla morte, perché non mette alcuna determinazione al riparo da essa. Ne<br />

valgono considerazioni come quelle di Epicuro (“quando ci siamo noi non c’è<br />

la morte, quando c’è la morte non ci siamo noi”) a sciogliere gli uomini dal<br />

timore, che non è solo paura del dopo, ma anche del dover morire.<br />

c) Tragico antico e tragico moderno<br />

Se il tragico permette di portare in luce un aspetto importante dell’esperienza<br />

del dolore è però vero che l’esperienza umana del soffrire – del dolore<br />

sia fisico che morale – è molto più estesa <strong>della</strong> sua configurazione tragica.<br />

Kierkegaard ha il merito di avere identificato perfettamente la concettualità<br />

del tragico antico ed insieme di mostrare come nel moderno la tragicità<br />

attinga il suo culmine e perciò, in certo senso, la sua verità. Studiando<br />

questo problema il pensatore danese raggiunge una interessante chiarificazione<br />

sulla questione del dolore nella sua generalità. Secondo Kierkegaard<br />

il tragico antico è caratterizzato fondamentalmente dalla pena.<br />

Egli scrive in proposito<br />

142<br />

Nella tragedia antica la pena è più profonda, minore il dolore; nella tragedia<br />

moderna il dolore è più grande, minore la pena. La pena contiene sempre in<br />

sé qualcosa di più sostanziale che non il dolore. Il dolore suppone sempre una<br />

riflessione sulla sofferenza, che la pena non conosce. Dal punto di vista psicologico<br />

è molto interessante osservare un fanciullo quando vede un anziano patire.<br />

Il fanciullo non è abbastanza dotato di riflessione per provare dolore, eppure la<br />

sua pena è infinitamente profonda. Non è abbastanza dotato per avere una rappresentazione<br />

di peccato e delitto: quando vede un anziano patire non gli capita<br />

di pensarci, eppure, se la ragione <strong>della</strong> sofferenza gli resta nascosta, ce n’è un<br />

vago presentimento nella sua pena. Così, ma in perfetta e profonda armonia, è<br />

la pena greca, ed è per questo che essa è ad un tempo tanto dolce e tanto profonda.<br />

20<br />

20 S. KIERKEGAARD, Il riflesso del tragico antico nel tragico moderno, in Enten-Eller,<br />

Adelphi, Milano 1977, pp. 29- 30.


Il passo è interessante: l’esperienza greca del dolore si formula, in<br />

prima istanza come pena, cioè come pathos, che è insieme empatia e compassione,<br />

ovvero immedesimazione radicale con la situazione di dolore.<br />

Ciò che di assolutamente primo c’è nel tragico greco è questa immediatezza:<br />

il dolore esiste, di dolore si muore prima ancora di ogni giustificazione,<br />

se mai il dolore possa essere giustificato o di giustificazioni abbia<br />

bisogno, visto che appartiene all’innocenza <strong>della</strong> physis. La sofferenza dei<br />

moderni è invece secondo Kierkegaard “dolore” in senso stretto, in quanto<br />

è interiorizzazione <strong>della</strong> pena ed è vissuta nel quadro <strong>della</strong> responsabilità:<br />

qui la responsabilità diviene chiave per l’interpretazione autentica del dolore<br />

e la ricerca di una giustificazione del patire elabora una rete di motivi che<br />

sottraggono il dolore alla sua immediatezza facendolo diventare interiore.<br />

Il carattere imprevisto e paralizzante del dolore attiene al tragico come<br />

dimensione metafisica: esso è inviato e nel contempo immotivato. Bisogna<br />

in primo luogo subirlo; operare poi per lenirlo; vivere infine nella speranza<br />

del suo dileguare. Quando il dolore è immane, stringe la sua morsa e non<br />

lascia scampo, soprattutto chiude il futuro e rende impossibile la speranza 21 .<br />

Di dolore si muore, ma ad esso anche si scampa, ad esso si sopravvive. Di<br />

più: se ad esso si sopravvive, attraverso il dolore si cresce perché la sofferenza,<br />

data la radicalità dell’esperienza, produce sapienza. Vi è dunque<br />

anche la possibilità di convivere con il dolore: esso appare allora come uno<br />

spazio aperto di possibilità, senza con ciò perdere il suo carattere di prova<br />

e di prova mortale. In questo caso la sofferenza, anche la più atroce non<br />

riesce a spegnere la speranza: quando questa prende piede, s’impianta<br />

come decisione per la vita che è un riflesso dell’istinto di vita che abita ogni<br />

uomo. In questo senso la speranza ha a che fare con il desiderio e la volontà:<br />

in quanto è orientata ad una meta, ad un obiettivo futuro essa è traccia<br />

dell’essere-aperto-progettante costitutivo <strong>della</strong> profondità <strong>della</strong> coscienza<br />

umana. Si tratta qui, nel contesto greco, di una speranza “pagana”, carica di<br />

incertezza e rivolta alla “riserva di bene” che il possibile contiene e che, ad<br />

ogni momento, si può realizzare.<br />

Il piacere del corpo e il gusto dell’ebbrezza vitale riemergono nel cristianesimo<br />

paganizzante dell’Umanesimo e del Rinascimento e tornano a rendere<br />

pagana la speranza cristiana. Ma si tratta di un paganesimo filtrato,<br />

perché porta con sé – in un certo senso “secolarizzati” – i caratteri cristiani.<br />

21 La concezione che i greci avevano del mondo permetteva loro di coltivare una “speranza<br />

breve”, per nulla assimilabile alla speranza ebraico-cristiana, fondata sull’Alleanza e<br />

vincolata al paradosso cristiano <strong>della</strong> fede pasquale.<br />

143


Così nel moderno la tragicità dell’esistere si evolve in sentimento di caducità,<br />

attraversato da una profonda malinconia 22 che spinge alla fuga nell’avventura<br />

e nell’impresa. In questo senso i moderni sperano non tanto perché<br />

amino la terra con questo dolore, ma perché ritengono che la circolarità<br />

possa essere definitivamente infranta e la terra stessa dominata (regnum<br />

hominis). I moderni non amano il presente, ma forzano il futuro per diventare<br />

padroni e perciò autogarantiti.<br />

L’intimità del greco col dolore, ossia la comprensione profonda dell’esistenza<br />

come destino di sofferenza per qualsiasi essere determinato e finito<br />

comportava, nel greco stesso, una disposizione <strong>della</strong> mente tale che, se il<br />

dolore non poteva in alcun modo essere evitato – o perché inviato dagli dei,<br />

o perché generato dalla necessità, doveva essere affrontato con coraggio e<br />

sostenuto con forza. Nel dolore bisogna essere più forti del dolore, volgendo<br />

la sofferenza in stimolo. In tale circostanza il dolore è peso, fatica, rischio,<br />

ma anche avventura, investimento <strong>della</strong> propria spirituale energia e perciò<br />

principio di generazione e creatività nelle arti e nelle tecniche.<br />

Gli uomini, consci <strong>della</strong> loro mortalità e perciò dei loro limiti naturali,<br />

forzano la natura stessa per carpirne il segreto e sapere che cosa essi stessi<br />

sono, fissando il loro posto in essa. Forzano per scoprire, scoprono per imitare,<br />

imitano per dominare 23 : Prometeo è la mitica figura del previdente e<br />

perciò padre delle tecniche, attraverso le quali tenta di porre al riparo gli<br />

uomini dalla distretta e dal dolore. La medicina ippocratica stessa è emblema<br />

<strong>della</strong> circolarità tra conoscenza e tecnica ed è perciò matrice del nesso<br />

tra esplicare e guarire 24 .<br />

Il concetto greco di aretè, che piuttosto impropriamente traduciamo con<br />

“virtù”, prima di essere categoria etica è nozione dinamica: indica la forza<br />

quale capacità di eccellere ed essere il migliore, in quanto capace di emergere<br />

dalla difficoltà per la propria capacità di reazione, di adattamento, di<br />

invenzione congetturale e strategica.<br />

Il dolore insegna a commisurare le proprie azioni alle proprie forze, ad<br />

22 L’esperienza moderna del dolore non coincide con la percezione immediata <strong>della</strong> pena,<br />

ma con la comprensione del mondo intero sotto il segno <strong>della</strong> sofferenza. Il soffrire come<br />

tonalità media dell’esistere è prioritariamente moderno ed in questo senso solo i moderni<br />

sono capaci in senso stretto di melanconia. Se l’esistenza è esperita come caducità, allora la<br />

melanconia diviene uno stato del carattere anche quando non c’è l’immediatezza del penare.<br />

23 Si osservi come, nella sua prospettiva di fondo, il moderno Bacone non si distanzia di<br />

molto dalla saggezza di questi antichi.<br />

24 Cfr. D. GRACIA, Fondamenti di bioetica. Sviluppo storico e metodo, San Paolo, Cinisello<br />

Balsamo 1993, pp. 32-88.<br />

144


investirsi senza sprecarsi, a saper durare nella precarietà, capaci di amministrare<br />

le forze disponibili. In questo senso, se è vero – come dice Eschilo,<br />

che “sapere è soffrire”, vale anche il contrario, che “soffrire è sapere”. Qui<br />

infatti l’io perviene più propriamente ed autenticamente a sé: la percezione<br />

del sentimento di sé, il dire “io” è infatti il riflesso di qualcosa di più originario<br />

<strong>della</strong> propria egoità, è l’evidenza del divenire ed il contrasto tra l’esigenza<br />

di stabilità delle determinazioni ed il naturale fluire delle cose. Questa<br />

“situazione emotiva” fa da ambiente alla esposizione oggettiva del sé e il<br />

dolore sviluppa una situazione emotiva privilegiata per la comprensione e lo<br />

sdoppiamento, in quanto raffinato laboratorio in cui l’uomo si mette a tema<br />

e si comprende come ente esposto e in balia, contrassegnato dalla precarietà<br />

<strong>della</strong> finitezza e contingenza dell’esistere.<br />

Si tratta dunque di temprarsi nel dolore e di temprare il dolore, trovando<br />

il giusto equilibrio tra forza e misura, un equilibrio che non è dato una<br />

volta per tutte, ma qualcosa che va guadagnato di volta in volta. La vita<br />

dev’essere vissuta pienamente nonostante il dolore. La “metafisica del tragico”,<br />

poiché rende manifesto il contrasto originario, si riflette nel quotidiano<br />

come istanza di moderazione, che dà luogo ad una dinamica attiva e non<br />

ad una normativa repressiva: misura nella gioia e misura nel dolore, questo<br />

è il più alto concentrato di forza che il pensiero greco ha elaborato.<br />

La metafisica del tragico – così intesa e con la radicale e irresolubile<br />

enigmaticità che l’attraversa – costituisce per l’uomo greco la dimensione<br />

fondamentale del suo relazionarsi all’essere e di sussistervi come relazione:<br />

è la forma essenziale dello stare e dell’appartenere.<br />

3.2 Il dolore e l’interrogativo intorno a Dio: il livello ottimistico <strong>della</strong> teodicea<br />

La riflessione sul dolore ha ben presto coinvolto anche il tema del divino<br />

e del sacro. Alla domanda, vecchia quanto l’uomo, “perché il dolore?”<br />

è strettamente connesso, fin dalla riflessione dell’antichità, quello che da<br />

Leibniz è stato chiamato il problema <strong>della</strong> teodicea 25 : come possano, e se in<br />

ogni caso possano stare insieme da una parte la fede in Dio, che nella sua<br />

25 Scrive in proposito Kant: “Per teodicea si intende la difesa <strong>della</strong> somma sapienza del<br />

creatore del mondo contro l’accusa mossale dalla ragione a motivo di ciò che, nel mondo,<br />

appare contrario allo scopo. Ciò che si dice sostenere la causa di Dio.”<br />

145


onnipotenza 26 e nel suo amore infinito ha creato il mondo e lo guida benevolmente,<br />

e dall’altra l’esperienza del male, delle tenebre, del dolore, soprattutto<br />

del dolore innocente.<br />

Dio sarà buono o ingannatore, amico o nemico? 27<br />

Già uno dei primi scrittori ecclesiastici latini, Lattanzio, rifacendosi a<br />

Epicuro, aveva formulato il problema in questo modo: “Dio o vuole eliminare<br />

il male e non può; oppure può e non vuole; oppure non vuole e non può” 28 .<br />

Tuttavia l’ultima possibilità “Dio lo vuole e lo può fare” sembra contrastare<br />

con ogni esperienza e in questo modo fornire addirittura una prova concreta<br />

contro l’esistenza di un Dio onnipotente e universalmente buono.<br />

Va oggi registrato, sia da parte dei filosofi che dei teologi, un atteggiamento<br />

negativo nei confronti <strong>della</strong> problematica <strong>della</strong> teodicea, un atteggiamento<br />

che ha la sua storia che lo rende in parte più comprensibile.<br />

La risposta classica alla questione <strong>della</strong> conciliabilità del dolore e del<br />

problema di Dio era la tesi secondo la quale Dio, che è bontà e amore infinito,<br />

non vorrebbe il dolore, ma (solo) lo permetterebbe (problema che va<br />

sotto il nome di “permissione del male”). Ma con ciò il problema è solamente<br />

spostato all’interrogativo: perché Dio lo può permettere?<br />

La teologia tradizionale, per bocca di Agostino rispondeva che la bellezza<br />

dell’ordine del mondo rifulge e brilla proprio nei contrasti: se anche il<br />

26 Notevoli difficoltà vengono da un modo errato di intendere l’onnipotenza divina. Se<br />

infatti si considera l’onnipotenza divina come quella proprietà di Dio in virtù <strong>della</strong> quale<br />

egli può fare tutto ciò che vuole si potrebbe erroneamente dedurre che Dio potrebbe allora<br />

creare un cerchio quadrato o un ferro ligneo, ovvero qualcosa che è in contraddizione con<br />

l’essenza stessa delle cose. In realtà le contraddizioni che riguardano l’essenza stessa delle<br />

cose sono escogitazioni artificiose e prive di senso e nulla toglie alla vera onnipotenza di Dio<br />

che Egli non possa crearle, in quanto l’onnipotenza come proprietà dell’essere divino si fonda<br />

sull’essere e non sul non-essere. Anche il concetto di una libertà <strong>della</strong> creatura che sia assolutamente<br />

esente dal dolore è contraddittorio: ciò sta a significare che se Dio vuole la libertà<br />

creaturale, con ciò è data la possibilità del dolore, in quanto la libertà essenziale dell’uomo<br />

consiste nel fatto che, grazie ad essa, l’uomo può determinare – entro certi limiti precisi – la<br />

propria posizione nella realtà, e quindi anche la propria posizione pro o contro Dio, stante<br />

che scegliendosi in Dio egli cresce e si ritrova, mentre volendosi autonomamente da Lui, o<br />

contro di Lui, si aliena da se stesso (dolore). L’onnipotenza di Dio dunque non consiste nel<br />

fatto che la potenza di Dio possa imporsi ad ogni cosa, anche alla libertà umana (concetto<br />

di onnipotenza che è alla base di molti percorsi dell’ateismo moderno), ma è la potenza del<br />

suo amore, che dà spazio accanto a sé all’uomo e al mondo e assicura la loro libertà. Si tratta<br />

dunque di un’onnipotenza che è identica alla bontà, bontà per cui Dio dona in modo tale da<br />

rendere indipendente colui che riceve.<br />

27 Molto interessante su questo punto P. SEQUERI, Il timore di Dio, Vita e pensiero,<br />

Milano 1993.<br />

28<br />

LATTANZIO, De ira Dei, 13 (= PL 7,121).<br />

146


male si trova in esso, deve servire il bene 29 .<br />

In epoca moderna questa idea fondamentale fu sviluppata da Leibniz in<br />

una teoria generale che fece epoca e che può essere riassunta nella frase:<br />

“Se il mondo non fosse il migliore di tutti i mondi possibili, Dio non lo avrebbe<br />

creato” 30 . Nella teodicea di Leibniz il discorso viene oramai costruito nel<br />

quadro dell’ontoteologia, coniugando termini mutuati dal discorso religioso<br />

(essenzialmente “Dio”) e termini dipendenti dalla tradizione metafisica<br />

(“essere”, “niente”, “causa prima”, “finalità” ecc.): in questo senso va riconosciuto<br />

che la teodicea, in senso stretto, è il principale fregio <strong>della</strong> tradizione<br />

ontoteologica. 31<br />

Il grande tentativo leibniziano riguardo alla teodicea ha determinato<br />

la storia spirituale dell’epoca moderna fino ai grandi sistemi dell’idealismo<br />

tedesco. Nonostante tutti gli elementi di divergenza, il pensiero di<br />

fondo rimase lo stesso: Dio e il dolore non si contraddicono l’un l’altro, dal<br />

momento che il dolore ha un altro, più alto significato, che dev’essere capito.<br />

Eppure questo grande tentativo ottimistico <strong>della</strong> tradizione filosoficoteologica,<br />

il quale francamente negava la profondità e la dignità del dolore<br />

umano, portò alla crisi <strong>della</strong> teodicea.<br />

Già in Kant troviamo che il fallimento risiede in ultima istanza nel riconoscimento<br />

che “la nostra ragione è assolutamente incapace di comprendere<br />

il rapporto che lega alla somma saggezza un mondo, così come lo conosciamo<br />

attraverso l’esperienza” 32 . In altri termini: con la sua ricerca intorno<br />

alla conciliabilità del dolore e di un Dio buono, l’uomo si arroga qualcosa che<br />

gli è assolutamente negato. Non potendo un intelletto finito accedere ai dati<br />

di quel calcolo grandioso, non può che raccogliere i segni sparsi dell’eccesso<br />

<strong>della</strong> perfezione in rapporto alle imperfezioni sulla bilancia del bene e del<br />

male e c’è bisogno di un forte ottimismo umano per affermare che il bilancio<br />

è positivo. E poiché non abbiamo che le briciole del principio del meglio, ci<br />

dobbiamo accontentare del suo corollario estetico, in virtù del quale il con-<br />

29 AGOSTINO, De ordine I, 7, 18 (= CC 29,97ss.).<br />

30 G. W. LEIBNIZ, Teodicea I, § 8. Altrove Leibniz spiega: “L’infinita saggezza dell’Onnipotente,<br />

insieme con la sua incommensurabile bontà, ha fatto sì che, nel complesso, non<br />

potesse risultare nulla di meglio di quello che è stato creato da Dio […] Per questo ogni volta<br />

che nelle opere di Dio qualcosa pare riprovevole, è necessario pensare che esse non ci siano<br />

sufficientemente note, e che il saggio in grado di capire riterrebbe che non potrebbero neppure<br />

essere desiderate migliori” (Causa Dei adserta per iustitiam eius cum caeteris eius<br />

perfectionibus cunctisque actionibus conciliatam, §§ 46ss. (Opera omnia I, Köln-Berlin<br />

1789, pp. 481ss.).<br />

31 Così P. RICOEUR, Il male, cit., p. 29.<br />

32 I. KANT, Sul fallimento di ogni tentativo filosofico di teodicea, p. 105.<br />

147


trasto tra il negativo e il positivo concorre all’armonia del tutto. A fallire è<br />

proprio questa pretesa di stabilire un bilancio positivo nei confronti dei beni<br />

e dei mali su questa base estetica, allorché la si confronta con i mali e i dolori<br />

il cui eccesso non pare poter essere compensato da nessuna perfezione<br />

conoscitiva.<br />

Dunque ultimamente l’obiezione più severa contro ogni tentativo di dare<br />

risposta all’interrogativo sul perché del dolore contesta proprio l’utilità e<br />

la sensatezza dello sforzo di dare una risposta universalmente valida da un<br />

punto di vista teoretico-razionale a un interrogativo di carattere profondamente<br />

esistenziale.<br />

3.3 La simbolica ebraico-cristiana del male e <strong>della</strong> speranza e l’interpretazione<br />

“soteriologica” del dolore<br />

a) L’orizzonte <strong>della</strong> speranza: il Patto, la Promessa, la Legge<br />

Se nella forma del tragico la malattia e il dolore sono il contrassegno<br />

<strong>della</strong> morte e <strong>della</strong> mortalità come dimensione ultimativa dell’umano e<br />

nell’ottimismo razionale ontoteologico essi sono dissolti come un momento<br />

in vista del migliore funzionamento del migliore dei mondi possibili, la simbolica<br />

ebraico-cristiana del male e del dolore – oltre il pretenzioso ottimismo<br />

di alcune teodicee – attinge dalla fede in YHWH, il Dio di Gesù Cristo,<br />

la capacità di sperare di una speranza senza limiti, incondizionata, capace<br />

di passare attraverso la morte per giungere oltre la morte. Secondo la promessa<br />

“il Signore eliminerà la morte per sempre, Jahvè asciugherà le lacrime<br />

su ogni volto” (Is 25,8) e “Questa malattia non è per la morte, ma per la<br />

gloria di Dio” (Gv 11,4).<br />

La concezione biblica del reale, nella sua indole fondamentale si oppone<br />

alla “metafisica del tragico” a cui pure corrisponde come costrutto figurale<br />

o visione del mondo e con cui storicamente è venuta a flettersi e mediarsi<br />

avendo come suo culmen et fons il mysterium paschale di Cristo – immagine<br />

del Dio vivente che nessuno ha mai visto – ove dolore-morte e resurrezione-vita<br />

si sono affrontate in un prodigioso duello che tocca il cuore stesso<br />

del divino e il mistero del mondo e nel quale “il Signore <strong>della</strong> vita era morto,<br />

ma ora vivo trionfa” (sequenza liturgica del giorno di Pasqua). Le due tradizioni<br />

hanno elementi simili, ma esse restano estranee nella radice, dove<br />

deciso e discriminante è il senso del dolore: non si può infatti parlare <strong>della</strong><br />

tradizione ebraico-cristiana senza illustrare lo sfondo di speranza propulsiva<br />

in cui la sofferenza emerge e si inscrive.<br />

JHWH è la speranza e la fede in Lui coincide con la capacità assoluta di<br />

148


sperare: la sua autocomunicazione nella creazione e nell’opera redentiva<br />

che ha storicamente il suo culmine nell’incarnazione del Verbo divino fa<br />

irrompere nel mondo, una volta per tutte e definitivamente, la speranza illimitata,<br />

mai nota agli uomini prima di questo gesto. Si può e si deve quindi<br />

dire che non vi è speranza assoluta senza JHWH, né JHWH senza speranza<br />

assoluta: se la speranza assoluta si può rinvenire in culture diverse da quella<br />

ebraico-cristiana è verosimile ritenere che si abbia a che fare con una versione<br />

modificata o con una secolarizzazione del medesimo modello 33 .<br />

La speranza ebraico-cristiana ha poco da spartire con la fiducia semplicemente<br />

umana nella buona sorte, ovvero con quella fiducia che si fonda<br />

sulla constatazione esperienziale delle alterne vicende <strong>della</strong> vita per cui ci<br />

si può sempre attendere il bene nel dolore o il male nella gioia: la speranza<br />

cristiana – che non contraddice, ma neppure corrisponde alla capacità<br />

umana di progettare – vince la morte. In questo senso, poiché la speranza<br />

cristiana risplende anche nel fallimento, il dolore è nella speranza. E proprio<br />

per questo si dà anche il caso opposto: la disperazione. Si noti come,<br />

invece, la tradizione ebraico-cristiana non conosca, in senso proprio, la tragedia:<br />

vi è certamente un confronto serio con il fondo tragico dell’esistenza,<br />

ma invero non vi è spazio alcuno per la tragedia laddove vige l’esperienza di<br />

JHWH, il Dio affidabile 34 .<br />

Il Dio biblico è il Dio vivente, che si rende manifesto attraverso la sua<br />

azione in favore delle sue creature. La disperazione (e con ciò la perdita<br />

di sé) non è solo l’esperienza di un dolore infinito, ma è soprattutto colpa<br />

che nasce dal rifiuto che l’uomo compie nei confronti di Dio con la sua vana<br />

pretesa di poter sussistere indipendentemente da Lui, rigettando l’elezione.<br />

L’uomo infatti è posto nella speranza poiché è posto in esistenza attraverso<br />

la relazione con Dio ed è originariamente aperto a Lui.<br />

In questo senso la forza dell’uomo consiste nel riconoscere e accogliere<br />

“liberamente” la dipendenza da Dio e Dio è essenzialmente promessa e<br />

legge. La legge non sarebbe intesa, e anzi sarebbe subito fraintesa, qualora<br />

non se ne riconoscesse il nesso con la precedente promessa. Essa sarà di<br />

fatto fraintesa, in senso “mercenario” quasi costituisse cioè una condizione<br />

onerosa da adempiere per ottenere vantaggi <strong>della</strong> cui qualità l’uomo<br />

sarebbe l’unico giudice competente. La “legge” è invece intesa da Dio quale<br />

“istruzione” (è il significato approssimativo dell’ebraico torah) a proposito<br />

di quel cammino di cui lui stesso ha preso l’iniziativa e del quale egli solo<br />

33 Cfr. K. LÖWITH, Significato e fine <strong>della</strong> storia, Il Saggiatore, Milano 1989.<br />

34 Cfr. P. SEQUERI, Il Dio affidabile. Saggio di teologia fondamentale, Queriniana, Bre-<br />

scia 1996.<br />

149


conosce ambiguamente la meta. Attraverso la docilità e l’obbedienza fiduciose<br />

alla legge l’uomo esprime nella pratica il suo consenso incondizionato<br />

alla “promessa” di vita di Dio e soltanto attraverso tale pratica egli perverrà<br />

insieme alla conoscenza <strong>della</strong> verità-affidabilità di tale promessa. Il<br />

Dio <strong>della</strong> promessa e <strong>della</strong> legge è infatti un Dio incatturabile, ma sempre<br />

presente nella nostra vita. Egli segnala la sua presenza attraverso la sua<br />

opera passata, presente e futura: sempre presente nella storia e attivo in<br />

essa a favore dell’uomo, ma ad essa irriducibile. Egli è del tutto implicato<br />

nel tempo senza tuttavia essere irretito dalla temporalità, perché infinito.<br />

Un Dio che chiama l’uomo ad un Patto, a quell’Alleanza che fonda e istituisce,<br />

attraverso l’inevitabile tensione di promessa e adempimento, la fede e<br />

la responsabilità dell’uomo.<br />

L’attesa veterotestamentaria si riveste nel cristianesimo di una luce<br />

nuova: il tratto singolare del cristianesimo non è separabile dalla tensione<br />

che si sprigiona in seno all’alleanza, ma è caratterizzato da un’idea nuova:<br />

il compimento nella “pienezza dei tempi” (Gal 4,4-6) del già-non ancora<br />

dell’evento cristologico. In base all’evento cristologico l’Antico Testamento<br />

viene reinterpretato e attualizzato, ma nell’uno come nell’altro caso non<br />

viene meno la speranza quale categoria essenziale dell’alleanza.<br />

Il Dio biblico ed il Dio di Gesù Cristo garantiscono la certezza dell’esito<br />

al di là di ogni sconfitta: oltre ogni fallimento – che mantiene tutto il suo<br />

realistico peso doloroso – si apre nuovamente un orizzonte di possibilità. Il<br />

Dio cristiano perpetua e rinnova la comprensione ebraica di Dio come Dio<br />

<strong>della</strong> consolazione, <strong>della</strong> speranza, <strong>della</strong> promessa, che ora risultano – nel<br />

compimento – affidabili. All’ombra di questo Dio si rifugia il povero, attinge<br />

vigore il dannato <strong>della</strong> terra, il marginale trova per sé una via nel mondo,<br />

non importa se in questo o nell’altro: tutti gli uomini divengono protagonisti<br />

di un futuro costruibile e di un’indefettibile speranza fondata nella certezza<br />

che Dio è fedele al suo amore, speranza che anima il presente e concorre a<br />

determinare il passato (in quanto ogni passato, in certo senso, è passato di<br />

un futuro).<br />

Una tale speranza prende il nome e la forma <strong>della</strong> fiducia: una fiducia<br />

che esige perseveranza e insieme impone compiti nel tempo dell’attesa, al<br />

fine di essere meglio alimentata. Vivere in speranza in certo senso è un precetto:<br />

essa dev’essere sempre voluta, in quanto la salvezza, già realizzata<br />

in Cristo Gesù, attende di compiersi in tutti noi. Si può sperare in qualcosa<br />

perché si ha fiducia in Qualcuno: la speranza sfugge all’indeterminazione e<br />

diviene assoluta perché si ha la certezza che la promessa verrà mantenuta,<br />

che Dio – il quale non tradisce il suo popolo perché lo ama – porterà a compimento<br />

quanto ha annunciato e iniziato.<br />

150


) La simbolica ebraico-cristiana del dolore<br />

La teologia <strong>della</strong> promessa e del patto da luogo a un vissuto permeato<br />

dalla fiducia e dalla speranza che non riposa, ultimamente, sulle incerte<br />

sorti dei mortali, ma è capace di sperare l’impossibile: “sperare contro ogni<br />

speranza” (Rm 4,18) è appunto credere. L’“essere fiduciosi” coincide con<br />

l’aver fede, nel senso di fidarsi, esser certi dell’adempimento <strong>della</strong> promessa;<br />

l’“essere fedeli” riguarda invece il modo di corrispondere alla promessa,<br />

in una parola lo stare ai patti. Nel credere vi è quindi un abbandonarsi con<br />

tutto se stessi all’affidabile Iddio.<br />

Su questa base e con questo carattere s’impianta la simbolica ebraicocristiana<br />

del dolore. Senza una teologia dell’alleanza e <strong>della</strong> speranza, che<br />

si caratterizza per conseguente la capacità psicologica e sociologica di sperare<br />

senza condizioni, l’esperienza ebraico-cristiana del dolore non sarebbe<br />

spiegabile. E, di fatto, al di fuori dello scenario ebraico-cristiano larga parte<br />

dell’umanità occidentale avrebbe difficilmente attinto speranza.<br />

Scrive S. Paolo:<br />

E non soltanto questo: noi ci vantiamo anche nelle tribolazioni, ben sapendo che<br />

la tribolazione produce pazienza, la pazienza una virtù provata e la virtù provata<br />

la speranza: La speranza poi non delude perché l’amore di Dio è stato riversato<br />

nei nostri cuori per mezzo dello Spirito Santo che ci è stato dato. 35<br />

Si tratta di un passo superbo per la sua chiarezza e molto importante<br />

nella pedagogia cristiana del soffrire.<br />

Una volta costruito lo scenario <strong>della</strong> fiducia il dolore può essere consumato<br />

fino in fondo e persino diventare oggetto di vanto e di gloria, non per<br />

sé certamente, ma perché il Signore sa come destinare i frutti <strong>della</strong> sofferenza,<br />

che – in quanto sofferenza donata nell’amore – se non è espiazione<br />

per le proprie colpe è olocausto per i peccati del mondo e benedizione per la<br />

sua vita. Emblema culminante di questa esperienza è Gesù nel Getsemani:<br />

Padre, se vuoi allontana da me questo calice, però non la mia ma la tua volontà<br />

sia fatta. 36<br />

Al fondo del dolore l’ultimo ed estremo rifugio è l’abbandono, l’affidamento:<br />

solo lì è possibile la consolazione.<br />

Ma questo abbandono non significa quiete, rassegnazione o eutanasia: la<br />

percezione del dolore resta viva, la sofferenza dura e atroce. La redazione<br />

lucana sottolinea la depressione e l’abbattimento in cui Gesù cade nella contemplazione<br />

<strong>della</strong> propria morte nella propria agonia e angoscia:<br />

35 Rm 5,3-5.<br />

36 Lc 22,42.<br />

151


152<br />

In preda all’angoscia pregava più intensamente; e il suo sudore diventò come<br />

gocce di sangue che cadevano a terra. 37<br />

Qui il Maestro cade preda dell’agonia: veramente Deus passus est.<br />

Tuttavia per il cristiano anche nel momento estremo del dolore non c’è<br />

sconfitta: l’atteggiamento con cui Gesù affronta la sua sofferenza dice che<br />

è possibile ancora ritrovarsi. Dove? Nella preghiera. Qui, nel colmo del<br />

dolore e dell’angoscia, Gesù è rapito nell’incandescenza dell’amore divino e<br />

per questo guadagna interamente la sua vita mentre la dona, senza cadere<br />

preda del nemico. Qui Gesù si offre: in senso stretto non prega, si fa interamente<br />

preghiera. Nell’abbandono l’offerta, nella pienezza dell’offerta l’olocausto,<br />

in tutto l’amore. Nel dolore l’amore. Non si tratta però di amore per<br />

questa terra dolente, così come essa è e nonostante il suo dolore; si tratta<br />

invece di un amore-dono che conosce la promessa e vive nella sicura fiducia<br />

<strong>della</strong> “redenzione”. In questa prospettiva la sofferenza di Gesù, e quella del<br />

cristiano, se è inevitabile, non è semplicemente un dato, ma un prezzo di<br />

riscatto per la vita propria e altrui. In Gesù che offre la sua vita e la sua sofferenza<br />

l’amore di Dio si fa pienamente manifesto: nella Pasqua del Figlio<br />

si misura l’incommensurabilità dell’amore divino per l’umanità: “si è fatto<br />

obbediente fino alla morte e alla morte di croce” (Fil 2,8). E il cristiano è<br />

invitato a seguire Cristo:<br />

Fatevi dunque imitatori di Dio, quali figli carissimi, e camminate nella carità,<br />

nel modo che anche Cristo vi ha amati e ha dato se stesso per noi, offrendosi in<br />

sacrificio di soave odore. 38<br />

“Offerta e sacrificio”: in quest’orizzonte espiatorio-sacrificale la morte<br />

per uccisione, che pure resta delitto, diviene pegno d’amore e dono gradito.<br />

Il modello “cristico” si diversifica dalla più consueta pietà religiosa:<br />

la vittima non è un’offerta dei mortali ai divini, ma Dio stesso fornisce ai<br />

mortali la vittima gradita. L’amore di Dio rende gli uomini capaci di amore.<br />

In questa scena il dolore guadagna un senso altrimenti non configurabile,<br />

in essa si inscrive l’anonima e quotidiana sofferenza degli uomini, diviene<br />

possibile sopportare la sconfitta e l’ingratitudine, i tormenti che giungono<br />

dalla malattia e dalla morte. Infine è possibile il perdono che è amore per<br />

chi infligge sofferenza.<br />

Da qui scaturisce inevitabilmente un rapporto sereno con il mondo.<br />

Sereno, ma non idilliaco, anzi drammatico, tremendo, atroce. Tuttavia paci-<br />

37 Lc 22,44. Si badi al significato greco di agonia, che significa “lotta”, “spasmo”, ma<br />

allude anche all’“essere in ansia”, “sentirsi agitato”, “temere”.<br />

38 Ef 5,2.


ficato nella speranza: Dio è salvezza. Ciò non toglie che il male – ciò che<br />

nuoce sia in senso fisico che morale – irrompa nel mondo e che tra mondo<br />

e uomo si apra una crisi profonda: la terra appare veramente una valle di<br />

lacrime e ciononostante bisogna coltivare la fiducia mettendocela tutta<br />

perché il mondo sia restituito alla sua integrità, alla bontà originaria <strong>della</strong><br />

creazione.<br />

c) Alle radici del dolore<br />

Nella Bibbia il dolore non è del tutto insensato: esso consegue alla colpa<br />

umana ed è frutto del peccato, <strong>della</strong> rottura dell’alleanza 39 . Nella tradizione<br />

ebraica – contrariamente a quanto avviene nelle metafisiche del tragico ove<br />

la colpa se non scaturisce direttamente dall’innocente crudeltà dell’esistere,<br />

trova certamente in essa la ragione primordiale del suo sorgere – la colpa<br />

origina la sofferenza ed il dolore viene agli uomini come salario del peccato:<br />

dolori, tribolazione e morte conseguono al peccato. E se tribolazione, dolore<br />

e morte ci sono, ciò significa che il peccato agisce nel mondo. La ricerca di<br />

una soluzione al problema del dolore rinvia quindi a due questioni “preliminari”:<br />

la natura del peccato e i suoi effetti e la bontà originaria <strong>della</strong> creazione.<br />

Per quanto riguarda il primo aspetto il peccato è possibile solo all’interno<br />

dell’alleanza, che è insieme promessa e legge: la colpa è il voltafaccia di<br />

fronte al Signore, l’infrazione del suo comando di vita. L’inosservanza dei<br />

precetti è infedeltà e abbandono di un amore: è tradimento. Chi pecca si<br />

allontana dalle vie del Signore – via di vita – e perciò cade su di lui la maledizione;<br />

la sofferenza purifica e invita a cambiare direzione. Con ciò Iddio<br />

non viene però meno alla fedeltà alla sua promessa di vita: la promessa<br />

rischia sempre di fallire per l’infedeltà umana, ma ciononostante, da parte<br />

di Dio, essa rimane impregiudicata: “Egli è fedele e non può rinnegare se<br />

stesso”. Per questo il mondo non può perire e l’elemento <strong>della</strong> promessa<br />

carica di tensione il tempo e manifesta la radicale intenzione salvifica di Dio:<br />

il mondo dovrebbe perire ad ogni istante per la giusta retribuzione <strong>della</strong><br />

colpa, se la misericordia di Dio non lo preservasse. Sofferenza e perdono<br />

si richiamano in un contrappunto perfetto e ciò che la prima sottrae, l’altro<br />

restituisce e se il dolore tribola, la confidenza e la fiducia danno sollievo.<br />

Questa simbolica del male che è venuta man mano elaborandosi nella tra-<br />

39 Sotto questo aspetto il dolore trova nella tradizione biblica quella giustificazione che<br />

nella metafisica del tragico non poteva mai trovare per il semplice fatto che non ne aveva<br />

bisogno.<br />

153


dizione ebraico-cristiana è stata capace di persuasione. La storia dell’Occidente<br />

è visibilmente segnata da questa visione e la conferma più evidente di<br />

questo è sia nella civilizzazione sviluppatasi attorno all’idea di salvezza, sia<br />

nelle rotture che l’hanno fortemente deformata, come i processi di secolarizzazione<br />

tanto eversivi quanto subalterni.<br />

Per quanto riguarda il secondo aspetto la bontà <strong>della</strong> creazione e il suo<br />

carattere di promessa nella Bibbia è inequivoca e la si rinviene fin dal primo<br />

capitolo <strong>della</strong> Genesi (Gn 1,31). Nel primo capitolo <strong>della</strong> Genesi – spiega<br />

Neher – la creazione sembra svolgersi in un getto continuo, armonioso,<br />

equilibrato. Nessun intoppo, nessun insuccesso, nessun ritocco: alla parola<br />

di Dio fa eco la creatura che sorge integra, docile, perfetta.<br />

Nessuna dimenticanza, nessuna lacuna, nessun vuoto: ad ogni creatura<br />

il suo tempo e il suo luogo 40 . Si manifesta qui il potere sovrano di Dio, che<br />

non solo crea, ma regge e governa, ma lo scenario luminoso <strong>della</strong> creazione<br />

è immediatamente turbato: alla parola creatrice di Dio la creatura replica<br />

subito con un’opposizione, con un no al Signore: la creatura che dice no al<br />

suo creatore è in ciò miserabilmente affetta dal negativo, diviene potenza di<br />

negazione 41 .<br />

Ciò significa che la creazione di Dio fallisce e può fallire: essa è un esperimento,<br />

non un progetto: da un lato esso può sempre venir meno; è da<br />

escludere che sia il migliore dei mondi possibili, in quanto è solo una delle<br />

possibilità attuate e perciò può esservene uno di migliore e questo stesso<br />

può essere migliorato. Il fallimento del mondo non intacca però l’amore di<br />

Dio per il suo popolo: il fallimento del mondo è concepibile a condizione che<br />

Dio resti Dio e va reso compatibile con la sua promessa. L’idea di promessa<br />

limita l’idea di fallimento e, nonostante la presenza del male e perciò del<br />

40 Cfr. A. NEHER, Il silenzio <strong>della</strong> Parola. Dal silenzio biblico al silenzio di Auschwitz,<br />

Marietti, Casale Monferrato 1983, p. 69.<br />

41 Si tenga presente come nella Bibbia il male, per quanto abbia consistenza, non ha, né<br />

può mai avere valore di principio: esso è sempre qualcosa di conseguente e principiato e non<br />

può esistere come un’entità opposta a Dio. La non originarietà del male balza all’occhio nella<br />

Bibbia in modo abbastanza evidente, senza che per ciò il male venga sottovalutato: il male,<br />

per quanto non sia elevabile a principio, non è un puro e semplice non-essere. Il male è la<br />

trasgressione alla legge e satana stesso, che induce l’uomo al male, è pur sempre una realtà<br />

creata e dipendente. Sotto questo aspetto la tradizione ebraica e quella cristiana sono assolutamente<br />

antidualiste e antignostiche. La concezione dualistica del male ha la sua formulazione<br />

alta nel parsismo ed è principalmente di tradizione iranica, ove, secondo la dottrina di<br />

Zarathustra, la lotta fra bene e male ha un prologo in cielo, prosegue nel tempo e, alla fine,<br />

culminerà in una vittoria del bene e nella dissoluzione del male (cfr. H. JONAS, Lo Gnosticismo,<br />

Sei, Torino 1973; U. BIANCHI, Zaman i Ohrmazd. Lo Zoroastrismo nelle sue origini e<br />

nella sua essenza, Sei, Torino 1958).<br />

154


dolore e <strong>della</strong> morte, il mondo non è consegnato alla catastrofe se non nella<br />

forma del rischio. La creazione fallisce non per un errore di Dio, ma perché<br />

la creatura resiste al Signore. La parola <strong>della</strong> creazione non può naufragare,<br />

perché la potenza che pone in essere il mondo è unica e il fare divino non<br />

è omologabile alla fabbrilità degli uomini. Dio non fallisce come Dio, ma è<br />

coinvolto in una relazione d’amore così profonda che non può non “svuotarsi”<br />

se l’umanità precipita: nella morte del Verbo incarnato questo svuotarsi<br />

raggiunge il suo culmine: qui, al fondo dell’annientamento si attinge il punto<br />

di inversione e Dio riappare nella potenza del suo amore fedele.<br />

Alla luce di queste riflessioni risulta chiaro che il male è conseguenza<br />

e non principio, è forza attiva nel tempo, ma non vittoriosa, sua radice è<br />

la ribellione, suo prezzo il dolore e la morte. Ma dove è grande il peccato<br />

ancora più grande è la misericordia. Se il Signore ha il potere di lavare ogni<br />

colpa, ogni uomo può vivere il dolore presente come espiazione e offerta<br />

nella speranza <strong>della</strong> redenzione. Il mondo redento non conoscerà più il peccato<br />

e perciò tornerà ad essergli ignoto il dolore.<br />

d) Lo scandalo del dolore del giusto: Giobbe e Cristo<br />

Tuttavia questa bella visione non è così semplice come a prima vista<br />

potrebbe sembrare: lo schema “retributivo” non si rivela del tutto convincente<br />

e va incontro a grosse difficoltà. Nel momento in cui l’uomo non si<br />

sente meritevole di soffrire mette in questione la congruenza tra la simbolica<br />

del male e la logica del senso così come essa si configura nella teologia<br />

del patto e <strong>della</strong> promessa. La frattura tra il lessico <strong>della</strong> sofferenza ed il<br />

vissuto rende ingovernabile quel dolore che è già di per sé una potenza dissolutrice<br />

dell’identità.<br />

Giobbe grida questa controversia, proclama il dolore come enigma ed<br />

a seguito <strong>della</strong> sua confutazione il male torna ad essere ingiustificato. Se il<br />

dolore è un tributo per la colpa, perché l’innocente e il giusto debbono soffrire?<br />

Giobbe discute sulla giustizia. E lo fa restando più che mai fedele al<br />

suo Dio: egli non accede al tragico e tuttavia non precipita nell’assurdo. Egli<br />

dall’assurdo è toccato, ma non travolto: si mantiene nel paradosso come il<br />

suo Dio.<br />

L’io-tu che si instaura fra l’uomo biblico e Dio rende l’esistenza di ogni<br />

uomo paradossale perché la radica nell’insondabilità di Dio. Giobbe non sa<br />

più come deve agire: egli non solo è atterrito, ma paralizzato da Dio e dal<br />

suo lungo silenzio. Non gli resta che interrogare, che chiedergli: Perché?<br />

Ciò che lo inquieta non è la sofferenza, il dolore esperito, ma l’esperienza<br />

di un dolore ingiustificato. La delusione di Giobbe può essere diradata solo<br />

da una fede più forte e da un più intenso amore per Dio. Perciò Giobbe deve<br />

155


inevitabilmente scovare Dio, forzare le porte del suo silenzio. E finalmente<br />

Dio si fa vivo e degna Giobbe <strong>della</strong> sua parola, ma parla senza rispondere<br />

alle domande di Giobbe e anzi replica con altre domande.<br />

Alla situazione imponderabile in cui si trova Giobbe, Dio replica rendendo<br />

manifesta la sua imponderabilità, infrangendo ogni misura che l’uomo<br />

impiega per renderlo commisurabile a sé. Ma in questa controversia la<br />

potenza insondabile con la quale Dio si manifesta, lungi dall’essere cagione<br />

di terrore, sarà presto fonte di consolazione. Dio non gioca sulla pelle <strong>della</strong><br />

sua vittima, perché conosce la fedeltà del suo servitore più e meglio del tentatore<br />

satanico: Giobbe infatti non cede all’insidia del dubbio, ma vuol sentire<br />

cosa dice il Signore.<br />

E Dio gli viene incontro su questa strada, spingendolo a guardare più<br />

lontano, ad andare oltre i ragionamenti <strong>della</strong> logica retributiva che alla fine<br />

lo strangolerebbe. L’anomalia del principio di retribuzione non può venire<br />

risolta, perché diventa segno di un evento più radicale: l’incommensurabilità<br />

fra l’uomo e Dio 42 .<br />

Dio non fornisce a Giobbe le ragioni del suo dolore, ma gli richiede solo<br />

un’incondizionata fiducia. Giobbe deve nutrirsi di una sola speranza, <strong>della</strong><br />

certezza che Dio lo ama, perché i suoi limiti creaturali non gli permettono<br />

di capire l’insondabile. La vita del singolo viene così assorbita nel mistero<br />

dell’esistenza e l’esistenza viene interamente raccolta nel mistero-promessa<br />

del Dio fedele. Giobbe non può capire, ma Dio gli dà segni sufficienti perché<br />

possa intendere che il suo dolore non è vano. Ciò che Giobbe ha patito e<br />

patisce non diventa con ciò meno doloroso, ma più sostenibile. Egli non sa<br />

perché ha sofferto, ma sa che Dio continua ad amarlo anche quando soffre e<br />

nonostante la perdita irreversibile con cui l’esperienza dolorosa lo ha segnato<br />

per sempre: la sua speranza rimane ferma anche senza la siepe dei beni<br />

abituali, appoggiata soltanto alla fede nella fedeltà e misericordia di Dio. La<br />

famosa “pazienza di Giobbe” si radica sul terreno di questa speranza e quindi<br />

è, insieme, tensione di resistenza e resa, fortezza ed abbandono.<br />

La protesta di Giobbe appare alla fine rivolta non contro Dio stesso, ma<br />

42 In realtà Giobbe non denuncia una pretesa impertinenza radicale del cosiddetto principio<br />

di retribuzione, il quale oltre tutto appare chiaramente ribadito dalla cornice narrativa<br />

nella quale il libro riassume la favola antica per cui a Giobbe verranno alla fine restituiti i<br />

beni di un tempo. Giobbe intende invece denunciare il carattere impertinente dell’uso che<br />

di quel principio gli “amici” fanno per dare risposta all’interrogativo da lui posto sul male<br />

ingiustificato. Il principio <strong>della</strong> retribuzione – cosi potremmo sinteticamente interpretare –<br />

non serve affatto a giudicare quel che fa Dio, ma a tener ferma la speranza che il giusto può<br />

e deve nutrire nei confronti di Dio anche quando i suoi occhi non vedono più nulla che possa<br />

confermare la sua fedeltà.<br />

156


contro l’intempestiva teodicea degli “amici di Giobbe” 43 , contro i ragionamenti<br />

di chi difende Dio e presume di poter “dimostrare” che egli è giusto e<br />

che il mondo è governato secondo un ordine ineccepibile. A fronte di queste<br />

questioni nel libro di Qohelet affiora uno spirito di moderazione che ricorda<br />

il criterio – tutto mondano – del “giusto mezzo”, ma che in realtà ha la sua<br />

misura nella fede in Dio.<br />

Il Servo sofferente di Jahvè, nella sua genesi profetica e nel suo compimento<br />

cristologico è la risposta a Giobbe, se mai per Giobbe possa esserci<br />

una risposta. Il Servo – popolo o individuo – risponde con la sua stessa vita<br />

al dramma che in Giobbe è figurato. Egli soffre in quel silenzio che non è il<br />

rinchiudersi nel dolore muto, né il pietrificarsi nella propria pena, ma proprio<br />

quel consegnarsi ad altre mani che il finale di Giobbe suggeriva: in Lui<br />

si vede che l’unico modo di dare soluzione al dolore, proprio e altrui, è di<br />

attraversarlo.<br />

Gesù, personificazione perfetta del Servo sofferente, redime l’umanità<br />

dal suo peccato e dona ad essa salvezza: con la sua morte vissuta come dono<br />

di sé per amore – estrema testimonianza alla verità di Dio – egli discioglie<br />

in uno dalla colpa e dal dolore.<br />

Giobbe sfida, il Servo tace. Perché questo silenzio? Verosimilmente perché<br />

il Servo sa ciò che Giobbe ignorava, ossia che il suo dolore vissuto come<br />

dono di amore, non è martirio gratuito, ma sacrificio efficace: la traboccante<br />

ricchezza del dono rimpiazza la logica compensativa <strong>della</strong> retribuzione.<br />

Nella croce si mostra come, laddove la sofferenza venga vissuta per<br />

amore, col fine di superarla, essa sia accompagnata dalla promessa di vita:<br />

in Gesù Cristo diviene chiaro che Dio si immette realmente nella nostra storia<br />

di dolore, che egli con-soffre insieme con noi per vincere il dolore all’interno<br />

e la resurrezione, risposta positiva del Padre alla croce del Figlio, è<br />

l’inizio dell’eliminazione di ogni dolore. Gesù non ha voluto l’insuccesso, la<br />

43 È più facile che si pecchi contro Dio quando lo si difende che quando lo si accusa:<br />

quando si discorre di Lui come di uno noto piuttosto che interrogandolo come chi è Straniero.<br />

L’incauta difesa di Dio da parte degli amici ha questa struttura di fondo: il mondo va<br />

bene così, rivela la su giustizia e l’ordine chiaro secondo cui Dio governa. Se qualcuno soffre<br />

e muore occorre certo pensare che si tratti di un suo peccato; non è proprio il caso che egli<br />

scarichi la sua colpa su Dio. Giobbe dunque deve esaminare attentamente la propria vita e<br />

capirà che non ha proprio nulla da protestare. Appunto questa è la giustificazione che Giobbe<br />

non può accettare. In questo egli mostra di essere più credente degli amici e Dio prenderà le<br />

sue parti. Neppure allora però appariranno in alcun modo chiare ragioni capaci di giustificare<br />

il dolore di Giobbe e il modo di fare di Dio.<br />

157


passione e la croce 44 ; ciò che ha voluto è l’allontanamento dell’uomo dal peccato<br />

che crea sempre nuovo dolore; ha voluto la gioia <strong>della</strong> signoria di Dio<br />

e ha cercato di realizzarla inizialmente nell’amore per i sofferenti e nella<br />

consolante parola <strong>della</strong> promessa. Così la croce fu la conseguenza del suo<br />

sforzo e del suo impegno contro il dolore: nella sua libera con-sofferenza ci<br />

viene aperta la strada per uscire dalla sofferenza.<br />

Proprio in quanto Dio entra nella nostra storia di dolore, il dolore, la sua<br />

mancanza di una via d’uscita, la sua ottusità e la sua insensatezza vengono<br />

posti nella luce <strong>della</strong> speranza. Nel fatto che il “Cristo glorioso” porta le<br />

sue ferite per tutta l’eternità alla destra del Padre si mostra infatti come<br />

la sofferenza trovi effettivamente accesso per tutta l’eternità in Dio e come<br />

la sua smisurata negatività non si opponga alla riconciliazione ultima del<br />

“Dio che sarà tutto in tutti”. Il dolore passa, il fatto che si sia sofferto no,<br />

osserva Leon Bloy: se infatti si è sofferto nell’amore vale quanto dice la<br />

prima lettera ai Corinti: l’amore è ciò che rimane 45 . Il prezzo sin troppo alto<br />

per la sofferenza è stato dunque pagato da Dio stesso e in maniera tanto<br />

comprensiva che ogni sofferenza umana può trovare riparo nell’amore <strong>della</strong><br />

con-sofferenza di Dio e rinvenire nella con-sofferenza di Dio la forza per lottare<br />

contro il dolore, per resistere nel dolore inevitabile e per cercarne un<br />

senso. Si vede così come l’interrogativo “perché il dolore?” non sia solamente<br />

l’interrogativo: “da dove viene il dolore”, ma anche “dove porta il dolore?<br />

a quale meta lo porta Dio?”.<br />

Su questo sfondo va ricordato anche il posto dei malati nel ministero<br />

messianico di Gesù: tra tutti i “poveri” la cui causa è adottata dal Figlio<br />

dell’uomo quasi fosse la sua stessa causa, il malato ha un posto di prima<br />

evidenza. Si pensi in primo luogo ai miracoli di Gesù, che hanno un posto<br />

assolutamente imprescindibile nella proclamazione del Vangelo del Regno e<br />

che – nella massima parte – sono guarigioni. A quelle operate dal Maestro<br />

dovranno poi corrispondere quelle dei discepoli-missionari da lui mandati: il<br />

Risorto, riferendosi a quelli che credono, annuncia: “imporranno le mani ai<br />

malati e questi guariranno” 46 . Le guarigioni operate da Gesù valgono come<br />

44 Concepire la sofferenza quasi fosse per se stessa un valore, appellandosi alla croce di<br />

Gesù, sarebbe tradire la verità di quella croce. La croce non fa certo tornare in pari i conti<br />

del mondo; non dà nome all’incognita che rimane nell’equazione <strong>della</strong> vita trasformando la<br />

vita stessa in una sorta di teorema risolto. La croce è piuttosto il manifesto <strong>della</strong> suprema<br />

incompiutezza <strong>della</strong> storia, dello strappo che rimane nel mondo, <strong>della</strong> contraddizione tra<br />

quella che gli uomini chiamano giustizia e la giustizia più grande che Dio persegue.<br />

45 1Cor 3,8.<br />

158<br />

46 Mc 16,18.


documento del perdono di Dio; quindi, insieme, come argomento <strong>della</strong> speranza<br />

che, mediante la fede, è concessa anche ai peccatori.<br />

Gesù porta la salvezza perché dona la salute: qui emerge la fedeltà alla<br />

terra propria del cristianesimo stesso.<br />

Ma la liberazione <strong>della</strong> terra oggi è solo una promessa e perciò può<br />

essere unicamente attesa e preparata. Un tale principio dichiara l’incompiutezza,<br />

la relatività <strong>della</strong> terra perché la terra con questo dolore non è la<br />

definitività <strong>della</strong> terra: definitiva è la terra del Regno.<br />

3.4 L’esperienza del dolore oggi: ottimizzazione <strong>della</strong> vita e rimozione del<br />

dolore<br />

a) La secolarizzazione <strong>della</strong> salvezza e la sua crisi<br />

La peculiare certezza <strong>della</strong> salvezza e <strong>della</strong> redenzione ha suscitato un<br />

bisogno irrefrenabile di essa che perdura anche quando essa si va secolarizzando<br />

47 . La mondanizzazione del piano salvifico deve però fare i conti con<br />

il male e il dolore presenti nel mondo e a seconda dell’enfasi che si dà ad<br />

esso si approntano progetti evolutivi o si perseguono capovolgimenti radicali:<br />

l’ottimismo scientistico e l’apocalittica utopico-rivoluzionaria in parte si<br />

oppongono e in parte si integrano, ma concorrono ad una medesima meta,<br />

quella di liberare la terra. La ricerca scientifica, l’impresa tecnologica, la<br />

programmazione economica e sociale – forme <strong>della</strong> moderna razionalizzazione<br />

del mondo (Weber) – tendono a ridurre progressivamente il male,<br />

quanto le grandi strategie gnostico-rivoluzionarie presumono di abbatterlo.<br />

Si tratta di progetti di razionalizzazione del mondo che ai nostri giorni<br />

rivelano i loro limiti e la loro crisi.<br />

L’inarrestabile sviluppo tecnoscientifico e l’ingovernabile forza dell’economico<br />

globalizzato è progresso o minaccia per l’uomo? È liberante o depotenziante<br />

<strong>della</strong> vita dell’uomo e del mondo o meglio dell’essere-nel-mondo<br />

dell’uomo? 48<br />

Ma semplicemente indietro non si torna, né si può tornare. Le correnti<br />

neopagane dei nostri giorni ritengono che la realizzazione dell’uomo deve<br />

compiersi in questo mondo in termini pragmatici ed una delle più grandi<br />

47 Cfr. C. TAYLOR, L’età secolare, Feltrinelli, Milano 2008.<br />

48 Sul tema del progresso tecnoscientifico si possono utilmente confrontare: P. RICOEUR,<br />

Storia e verità, Marco editore, Lungro 1991; U. GALIMBERTI, Psiche e Techne, Feltrinelli,<br />

Milano 1999; P. SEQUERI, L’umano alla prova. Soggetto, identità, limite, Vita e Pensiero,<br />

Milano 2002.<br />

159


ealizzazioni <strong>della</strong> tecnica non è tanto il superamento del dolore, quanto la<br />

capacità di rimuoverlo ovvero di isolarlo e non farlo vedere. Il dolore è sempre<br />

di altri o consiste in un errore o handicap.<br />

b) Tratti dell’esperienza del dolore oggi<br />

L’esperienza contemporanea del dolore si svolge per lo più entro questa<br />

scena, né potrebbe essere diversamente. Proprio per questo oggi il dolore<br />

si comprende come qualcosa che può e deve essere dominato ed è affrontato<br />

come qualcosa di dominabile. Controllare la soglia del dolore vuol dire<br />

decidere intorno alla modalità di farlo essere nella presenza. Che il dolore<br />

debba o no apparire, quando, come ed a chi sono cose che non dipendono da<br />

un’unica decisione, ma sono variabili di un insieme interattivo e tutt’altro<br />

che gerarchico.<br />

In questa situazione il dolore può essere “definito” in termini neurofisiologici,<br />

clinici, psicologici, psicoanalitici, sociali, religiosi, comportamentali<br />

e così via. Con ciò l’esperienza del dolore è smembrata e compresa in<br />

base a corpi disciplinari differenziati, che sono però accomunati dalla persuasione<br />

che l’uomo possa tecnicamente dominare il dolore e che comunque<br />

la tecnica sia la forma oggettiva e, nella convinzione comune, naturale<br />

di dominarlo.<br />

Così la società contemporanea occidentale associa sempre più il dolore<br />

ad una proposta terapeutica che è in grado di amministrarlo, mediante<br />

l’affidamento ad una competenza che si pone in una relazione di distanza<br />

tecnica dominata dal principio di monetarizzazione, la quale invero favorisce<br />

la fuga. Ma tutto ciò che l’organizzazione sociale ha predisposto e<br />

quanto la tecnoscienza medica ha scoperto con indubbi benefici restano<br />

comunque qualcosa di scontato per chi è stato reso “unico” dal dolore. Se<br />

il dolore mette veramente in questione la vita, il desiderio di vivere sporge<br />

oltre l’assistenza tecnico-scientifica. Tra ciò che gli uomini si aspettano e<br />

ciò che li colpisce esistono sempre scarti imprevedibili che cambiano da un<br />

momento all’altro il panorama dell’esistenza. La tecnica consente, in certa<br />

misura, l’occultamento del dolore, ma è anche vero che il dolore (almeno<br />

localmente, ma non incidentalmente) dà scacco alla tecnica, che non porta<br />

salvezza, ma garantisce l’aiuto. E l’uomo contemporaneo conosce tutto<br />

questo, percepisce il rumore di fondo del dolore e <strong>della</strong> sofferenza: anche<br />

se essa è tolta dalla scena del mondo e occultata, mantiene la sua forza<br />

interrogante e probante.<br />

Va detto che il sapere pubblico circa la malattia sconta oggi l’egemonia<br />

culturale <strong>della</strong> medicina: proprio la scienza medica infatti ha propiziato le<br />

trasformazioni più profonde che l’esperienza di malattia ha conosciuto nel<br />

160


nostro tempo, ma la consistenza e il significato di tali trasformazioni vanno<br />

al di là di quanto previsto dalla medicina stessa. Le possibilità enormemente<br />

cresciute di diagnosi e cura hanno vistosamente mutato la percezione<br />

<strong>della</strong> malattia da parte <strong>della</strong> coscienza. Per essere individuati essi chiedono<br />

che ci si ponga nell’ottica <strong>della</strong> coscienza personale, cui viene invece solitamente<br />

dedicata poca attenzione. Anche quando questo accade, gli apprezzamenti<br />

proposti sono soprattutto di genere psicologico: difficilmente si raggiunge<br />

il punto essenziale nel quale la malattia diviene un compito proposto<br />

alla libertà dell’uomo.<br />

In realtà i mutati rapporti tra soggetto e malattia riguardano due aspetti<br />

fondamentali: la lievitazione del potere <strong>della</strong> medicina sulla malattia e la<br />

lievitazione del potere <strong>della</strong> malattia sulla vita dell’uomo 49 . Al crescente e<br />

per molti aspetti apprezzabile potere del medico corrisponde un diminuito<br />

potere del malato.<br />

Si registra una crescente estensione dei tempi <strong>della</strong> malattia in rapporto<br />

all’arco complessivo <strong>della</strong> vita umana che, a sua volta, si è notevolmente<br />

disteso. Proprio perché di molte malattie (anzi, di quasi tutte) oggi non si<br />

muore subito, ma neppure si guarisce, la persona appare destinata a convivere<br />

a lungo con la malattia e ciò alimenta la diffusa percezione <strong>della</strong> vulnerabilità<br />

umana e produce una ferita che non riguarda soltanto l’efficienza<br />

somatica, ma anche e soprattutto la consistenza <strong>della</strong> speranza di cui l’uomo<br />

vive. La malattia infatti non interessa soltanto organi e funzioni, ma anche<br />

le emozioni e i significati del vivere. Essa propone sempre alla coscienza<br />

una questione di senso: l’inconveniente è che tale processo di metaforizzazione<br />

<strong>della</strong> malattia, costretto nella clandestinità <strong>della</strong> coscienza individuale,<br />

si produce in forme nascoste e talvolta selvagge 50 .<br />

c) Riappropriarsi <strong>della</strong> questione del “senso” e <strong>della</strong> speranza<br />

Se la cura, in accezione clinica, assume di conseguenza i volti privilegiati<br />

<strong>della</strong> “riabilitazione” e del “sollievo dalla sofferenza”, già la considerazione<br />

<strong>della</strong> reciproca relazione tra questi due aspetti istruisce a proposito di una<br />

terza questione che riaffiora con decisione, quella del “senso”. Il dolore<br />

infatti non appare così grave quando se ne conosca la ragione.<br />

Il dolore e il senso di precarietà che esso porta con sé apre al problema<br />

49 Cfr. ANGELINI, La malattia…, cit. pp. 45ss..<br />

50 Alludiamo alle fantasie che associano il vissuto di malattia e il timore di colpa, fantasie<br />

che la riflessione “razionale” e “illuminata” non è sempre capace di dissolvere o neutralizzare.<br />

161


del senso 51 in quanto dissolve le certezze <strong>della</strong> vita ordinaria: esso costringe<br />

a riconoscere come quelle certezze avessero un prezzo di fiducia e libertà.<br />

Soltanto quando viene meno la salute appare con tutta evidenza quello che<br />

essa sempre è, ossia un bene grande e arcano. Soltanto allora appare con<br />

chiarezza come fosse già da sempre necessario chiedersi “che cos’è?” e non<br />

invece fruirne sconsideratamente, quasi si trattasse di un bene abbondante<br />

e sempre a disposizione. In tal modo la malattia pone la questione del senso:<br />

non solo in relazione alla malattia, ma anche in riferimento alla salute.<br />

Il fatto che la vita, quando c’è la salute, vada da sé, non giustifica il fatto<br />

che non ci si interroghi a proposito del senso <strong>della</strong> salute: essa racchiude<br />

infatti un messaggio che va decifrato e un carattere di dono e di promessa.<br />

La malattia induce la necessità di rifare il cammino <strong>della</strong> vita precedente,<br />

di riprendere in mano il tempo già vissuto che sembrava già concluso<br />

e immodificabile, per comprenderlo più profondamente e comprendere<br />

più profondamente in esso anche la propria identità: il compito è quello di<br />

non arrendersi all’idea che essa sia ormai già soltanto passata e di cercare,<br />

anche e soprattutto nel tempo <strong>della</strong> malattia o nella nuova condizione in<br />

cui il passaggio per essa pone, il volto <strong>della</strong> promessa che rendeva la vita<br />

grata e giustificava il consenso e l’impegno dato ad essa. Una tale ricerca,<br />

alla luce <strong>della</strong> nuova situazione, permette di discernere ciò che nella vita<br />

passata dev’essere riconosciuto come tempo perduto o sprecato e ciò che è<br />

stato invece valorizzato e di confermare la speranza in questo per l’oggi e il<br />

domani.<br />

Occorre vigilare affinché il volto “umanitario” <strong>della</strong> medicina non si<br />

riduca al profilo <strong>della</strong> semplice anestesia coll’intenzione di alleviare il dolore<br />

fisico e si rivolga invece anche alla coscienza, alla libertà e dunque alla speranza<br />

del malato. Il compito <strong>della</strong> carità cristiana verso i malati, oltre che<br />

opera per sollevare dal dolore è anche quello di nutrire la speranza. Ma una<br />

51 Il “senso” delle “cose” con le quali l’uomo ha a che fare dice la proporzione delle<br />

“cose” stesse con la propria persona; dice cioè <strong>della</strong> ragione di familiarità che le diverse<br />

realtà di questo mondo hanno con la sua vita. Il mondo infatti è per l’uomo come una “casa”<br />

o comunque come un ambiente famigliare entro cui egli vede dischiudersi una strada praticabile<br />

e promettente che lo invita al cammino. L’uomo infatti non sa da solo quale sia il<br />

suo destino, il suo orientamento, ma lo cerca: il cammino è suo e le “cose” glielo ricordano.<br />

Abbiamo sempre scritto “cose” virgolettando: le realtà molteplici di questo mondo non possono<br />

infatti acquistare un “senso”, una proporzione con la vita dell’uomo, finché rimangono<br />

“cose” morte di fronte alle quali l’uomo se ne stia come uno spettatore. Le cose diventano<br />

sensate soltanto attraverso gli eventi che accadono all’uomo e le persone che incontra. Il<br />

senso si manifesta perciò attraverso la parola, che nasce originariamente dal dialogo (e non<br />

dalla riflessione solitaria).<br />

162


speranza intesa nel suo senso più autentico, che la salvaguarda da decadere<br />

in ideologia:<br />

Non possiamo avvalerci di questo atto e partire rassicurati come dopo lo happy<br />

end di un film triste. L’atto di speranza, certo, ha il presentimento di una totalità<br />

buona dell’essere all’origine e alla fine del «sospiro <strong>della</strong> creazione»; ma questo<br />

presentimento è solo l’idea regolatrice del mio tatto metafisico; e resta inestricabilmente<br />

mescolato all’angoscia che presenta una totalità propriamente<br />

insensata. Che «ciò sia buono» – Wie auch es sei das Seben, es ist gut – io non<br />

lo vedo: lo spero nella notte. E poi, sono nella speranza? Ecco perché, nonostante<br />

la speranza sia il vero contrario dell’angoscia, io non differisco granché dal<br />

mio amico disperato; sono inchiodato nel silenzio come lui, davanti al mistero<br />

di iniquità. Nulla è più vicino al nonsenso dell’angoscia che la timida speranza.<br />

E tuttavia questo atto infimo opera in silenzio e insieme si nasconde e si mostra<br />

nella sua potenza di ricapitolare a sua volta tutti i gradi dell’affermazione<br />

originaria. [...] La speranza entra dunque nel campo <strong>della</strong> riflessione, come<br />

riflessione <strong>della</strong> riflessione e tramite l’idea regolatrice di un tutto dell’essere<br />

buono; ma, a differenza di un sapere assoluto, l’affermazione originaria segretamente<br />

armata di speranza, non opera alcuna Aufhebung rassicurante; essa<br />

non «sovrasta», ma «affronta»; essa non «riconcilia», ma consola: ecco perché<br />

l’angoscia l’accompagnerà fino all’ultimo giorno. 52<br />

E ancora:<br />

La resurrezione, interpretata in una teologia <strong>della</strong> promessa, non è un avvenimento<br />

che chiude, nel compimento <strong>della</strong> promessa, ma un avvenimento che<br />

apre, perché rafforza la promessa confermandola. La resurrezione è il segno di<br />

una promessa che è ormai per tutti e così il senso <strong>della</strong> resurrezione è nel suo<br />

avvenire, la morte <strong>della</strong> morte, la resurrezione di tutti dai morti. Il Dio che si<br />

attesta non è dunque il Dio che è, ma il Dio che viene, e il già <strong>della</strong> resurrezione<br />

acuisce il non ancora <strong>della</strong> ricapitolazione finale. Ma questo significato <strong>della</strong><br />

resurrezione ci giunge mascherato dalle cristologie greche, che hanno fatto<br />

dell’incarnazione la manifestazione temporale dell’essere eterno ed eternamente<br />

presente, dissimulando così la significazione principale, cioè che il Dio <strong>della</strong><br />

promessa, il Dio di Abramo, di Isacco e di Giacobbe si è avvicinato, si è rivelato<br />

come colui che viene per tutti. Così mascherata dalla religione epifanica, la<br />

resurrezione è divenuta il pegno di ogni presenza del divino nel mondo presente:<br />

presenza culturale, presenza mistica; mentre il compito di una ermeneutica<br />

<strong>della</strong> resurrezione è di restituirne il potenziale di speranza di dire il futuro <strong>della</strong><br />

resurrezione. Il significato di «risurrezione » è in sospeso fin tanto che non è<br />

compiuto in una nuova creazione, in una nuova totalità dell’essere, cosicché<br />

52 RICOEUR, Storia e verità,, p. 289.<br />

163


164<br />

conoscere la resurrezione di Gesù Cristo significa entrare nel movimento <strong>della</strong><br />

speranza <strong>della</strong> resurrezione dai morti, significa attendere la nuova creazione ex<br />

nihilo, cioè fuori <strong>della</strong> morte. Se tale è la speranza a livello del discorso che gli<br />

è proprio, quello di una ermeneutica <strong>della</strong> resurrezione, che ne è <strong>della</strong> libertà,<br />

se anch'essa deve essere convertita dalla speranza? Dirò in breve: è il senso<br />

<strong>della</strong> mia esistenza alla luce <strong>della</strong> resurrezione, cioè ricollocato nel movimento<br />

che abbiamo chiamato futuro <strong>della</strong> resurrezione di Cristo. 53<br />

53 Ivi, p. 419.


L’UMANO SOFFRIRE: APPROCCIO BIBLICO<br />

Lezione tenuta dal prof. don Aldo Martin, biblista, docente nello<br />

Studio Teologico del Seminario e all’ISSR di Vicenza – “Scuola<br />

del lunedì”, 14 marzo <strong>2011</strong><br />

Introduzione<br />

Di per s’è l’intero racconto biblico si presterebbe ad un’indagine attenta<br />

al tema <strong>della</strong> sofferenza umana. Come nel testo biblico si riflette l’intera<br />

gamma delle esperienze umane, così l’umano soffrire trova un’attestazione<br />

molto ampia. Basterebbe solo menzionare come questo tema appaia fin dai<br />

testi genesiaci e si ripresenti ancora nelle pagine dell’Apocalisse:<br />

a) Inizio e fine<br />

Alla donna disse: «Moltiplicherò i tuoi dolori e le tue gravidanze, con dolore<br />

partorirai figli. Verso tuo marito sarà il tuo istinto, ed egli ti dominerà». All’uomo<br />

disse: «Poiché hai ascoltato la voce di tua moglie e hai mangiato dell’albero<br />

di cui ti avevo comandato: “Non devi mangiarne”, maledetto il suolo per causa<br />

tua! Con dolore ne trarrai il cibo per tutti i giorni <strong>della</strong> tua vita. Spine e cardi<br />

produrrà per te e mangerai l’erba dei campi. Con il sudore del tuo volto mangerai<br />

il pane, finché non ritornerai alla terra, perché da essa sei stato tratto:<br />

polvere tu sei e in polvere ritornerai!» (Gen 3,16-17).<br />

La descrizione <strong>della</strong> Gerusalemme celeste domina gli ultimi due capitoli.<br />

Una delle qualifiche è l’assenza del dolore:<br />

E vidi un cielo nuovo e una terra nuova: il cielo e la terra di prima infatti erano<br />

scomparsi e il mare non c’era più. E vidi anche la città santa, la Gerusalemme<br />

nuova, scendere dal cielo, da Dio, pronta come una sposa adorna per il suo sposo.<br />

Udii allora una voce potente, che veniva dal trono e diceva: «Ecco la tenda di Dio<br />

con gli uomini! Egli abiterà con loro ed essi saranno suoi popoli ed egli sarà il Dio<br />

con loro, il loro Dio. E asciugherà ogni lacrima dai loro occhi e non vi sarà più<br />

la morte né lutto né lamento né affanno, perché le cose di prima sono passate». E<br />

Colui che sedeva sul trono disse: «Ecco, io faccio nuove tutte le cose» (Ap 21,1-5).<br />

Ma già questo accostamento, ancora solamente iniziale e grossolano<br />

(“epidermico”), è assai indicativo: ci svela subito qualcosa di estremamente<br />

prezioso: la sofferenza domina, sì, l’intera esperienza umana e affiora spessissimo<br />

nella testimonianza biblica, ma è estranea alla volontà originaria<br />

di Dio (è completamente assente nei primi due capitoli di Gen e scompare<br />

165


negli ultimi due capitoli di Ap). Come si può notare, pur con un approccio<br />

appena appena incipiente, si nota come una realtà massicciamente presente<br />

nella vita dell’uomo, sia comunque totalmente estranea ai racconti delle origini<br />

e ai racconti del compimento escatologico.<br />

Inizio e fine in qualche modo coincidono: creazione e ricreazione in<br />

fondo sono le due sfumature di un unico progetto buono di Dio, un unico<br />

sogno di vita, goduto in pienezza dall’uomo. Eppure la sofferenza segna l’intero<br />

percorso biblico…<br />

b) Chiarimento metodologico<br />

Ovviamente nella ricognizione del testo biblico mi sono dovuto porre dei<br />

limiti, non potendo accostare tutti i testi/brani che parlano o alludono alla<br />

sofferenza (un lavoro immane).<br />

Infatti la Bibbia ci mostra tutta la gamma dell’umano soffrire: la sofferenza<br />

causata dalla malattia (Gb 3,24-25: «… al posto del pane viene la<br />

mia sofferenza e si riversa come acqua il mio grido, perché ciò che temevo<br />

mi è sopraggiunto, quello che mi spaventava è venuto su di me. Non ho<br />

tranquillità, non ho requie, non ho riposo ed è venuto il tormento!»), quella<br />

che nasce dall’ostilità di uno o più avversari (Sal 31,16: «Liberami dalla<br />

mano dei miei nemici e dai miei persecutori»), la sofferenza che nasce nella<br />

persecuzione, da un lutto (la morte di un figlio: Rachele, Davide), il soffrire<br />

l’assenza di Dio (il suo silenzio: Gb 30,20: «Io grido a te, ma tu non mi<br />

rispondi»), il dolore per il peccato (Sal 32,3: «Tacevo e si logoravano le mie<br />

ossa, mentre (gemevo) ruggivo tutto il giorno»). Per quale di questi optare?<br />

Si poteva pure la categoria quella del non senso, cioè l’umano soffrire<br />

come esperienza assurda, che contraddice la bontà del vivere e pone seri<br />

interrogativi sulla natura umana e su Dio stesso (l’interrogativo classico: si<br />

Deus bonus, unde mala?). Tuttavia lo specifico del testo biblico non è solo<br />

l’interrogare di tipo filosofico (come Qohelet) ma mi sembrava un po’ riduttivo,<br />

perché l’uomo biblico, se pone delle domande, le rivolge anche a Dio;<br />

quindi mi sembrava che il punto prospettico dell’odierna indagine potesse<br />

essere la dimensione appellante <strong>della</strong> sofferenza. È un tentativo: vedremo<br />

se ne nasce qualcosa…<br />

1) Salmi<br />

166<br />

In alcuni salmi incontriamo l’orante che chiaramente si trova a sop-


portare la malattia e comunica i suoi sentimenti con una vasta gamma di<br />

espressioni. Con i lavori di W. B. Jacob (1897), H. Duesberg (1952) e K.<br />

Seybold (1973) si cominciò a parlare del “Salterio dei malati” o “Salmi <strong>della</strong><br />

malattia”, stabilendo i criteri in base ai quali si possono individuare quei<br />

salmi in cui chiaramente l’orante si definisce esplicitamente come malato/<br />

sofferente o allude ad una condizione di sofferenza fisica 1 .<br />

Vi emerge una sorta di “grammatica” del dolore, cioè una facoltà che<br />

abilita alla comunicazione del dolore stesso:<br />

La modernità è caratterizzata dall’incapacità di dar forma ai nostri sentimenti<br />

fondamentali, dalla perdita di un linguaggio. Oggi si muore due volte: prima<br />

del decesso, noi moriamo senza aver potuto esprimerci; moriamo <strong>della</strong> morte<br />

<strong>della</strong> Parola in noi. Mentre le società tradizionali esprimono il tragico <strong>della</strong> vita<br />

umana in maniera diretta e cruda, grazie a rituali che ci sono ormai sconosciuti<br />

e facendo ricorso in particolare al linguaggio forte e rivendicatore dei Salmi,<br />

la società moderna spegne il lamento, inibisce la collera e la rivolta, dimostra<br />

imbarazzo davanti all’esplosione degli affetti e delle emozioni 2 .<br />

Tale grammatica, poi, è declinata in senso corporeo, con il coinvolgimento<br />

diretto, verbale, di alcune parti del corpo. In altre parole è il corpo stesso<br />

a fornire il linguaggio.<br />

ossa<br />

· Svaniscono in fumo i miei giorni e come brace ardono le mie ossa (Sal<br />

102,4);<br />

· Hanno scavato le mie mani e i miei piedi. Posso contare tutte le mie<br />

ossa (Sal 22,17-18);<br />

· A forza di gridare il mio lamento mi si attacca la pelle alle ossa (Sal<br />

102,6);<br />

· Nulla è intatto nelle mie ossa per il mio peccato (Sal 38,4).<br />

occhi<br />

· I miei occhi nel dolore si consumano, invecchiano fra tante mie afflizioni<br />

(Sal 6,8);<br />

· Guarda, rispondimi, Signore, mio Dio, conserva la luce ai miei occhi,<br />

perché non mi sorprenda il sonno <strong>della</strong> morte (Sal 13,4);<br />

· Le forze mi abbandonano, non mi resta neppure la luce degli occhi<br />

(Sal 38,11);<br />

1 Tre gruppi: il primo sicuramente di “salmi di malattia e guarigione” (Sal 38,41,88), il<br />

secondo con testi che molto probabilmente sono tali (Sal 30, 39, 69, 102, 103, e Is 38,9-20), un<br />

terzo gruppo composto di testi che non sicuramente ma con una certa probabilità possono<br />

essere annoverati in tale categoria (Sal 6, 13, 32, 51, 91 e forse anche 31, 35, 71, 73).<br />

2 MOTTU H., “Les Psaumes et le travail de deuil”, ÉTRel 3 (1995), 391.<br />

167


· Si consumano i miei occhi nel patire (Sal 88,10).<br />

lacrime<br />

· Sono stremato dai miei lamenti, ogni notte inondo di pianto il mio giaciglio,<br />

bagno di lacrime il mio letto (Sal 6,7).<br />

Le lacrime sono un linguaggio silenzioso ma eloquentissimo: esprimono<br />

dolore, prorompono come sfogo, e arrecano pure un beneficio; affiorano<br />

all’esterno, ma testimoniano qualcosa di interno all’uomo; nella tradizione<br />

ebraica sono più efficaci <strong>della</strong> preghiera silenziosa e del grido stesso; nella<br />

tradizione del cristianesimo (soprattutto) orientale vengono richieste come<br />

dono (la compunzione); cadono a terra ma salgono verso il cielo. Sono un<br />

appello a Dio perché intervenga: linguaggio eloquente e silenzioso.<br />

lingua<br />

· Arido come un coccio è il mio vigore, la mia lingua si è incollata al<br />

palato (Sal 22,16);<br />

· Sono sfinito dal gridare, la mia gola è riarsa (Sal 69,4).<br />

cuore<br />

· Il mio cuore è come cera, si scioglie in mezzo alle mie viscere (Sal<br />

22,15);<br />

· Sfinito e avvilito all’estremo, ruggisco per il fremito del mio cuore<br />

(Sal 38,9);<br />

· Palpita il mio cuore, le forze mi abbandonano (Sal 38,11);<br />

· Falciato come erba, inaridisce il mio cuore, dimentico di mangiare il<br />

mio pane (Sal 102,5).<br />

carne<br />

· Per il tuo sdegno, nella mia carne non c’è nulla di sano, nulla è intatto<br />

nelle mie ossa per il mio peccato […] nella mia carne non c’è più nulla<br />

di sano (Sal 38,4.8).<br />

fianchi<br />

· Sono tutti infiammati i miei fianchi (Sal 38,8).<br />

ventre<br />

· Abbi pietà di me, Signore, sono nell’affanno; per il pianto si consumano<br />

i miei occhi, la mia gola e le mie viscere (Sal 31,10).<br />

Questa rapida carrellata mostra come sia il corpo stesso a fornire una<br />

sorta di “topografia” fisica del dolore, limitata quanto alla diagnostica (di<br />

quali malattie si tratta? i sintomi sono troppo generici) ma assai vivace e<br />

personale quanto all’espressione dei sentimenti del malato: il dolore dunque<br />

non rimane inespresso, soffocato, rimosso, non detto, ma può essere collocato/comunicato<br />

all’interno di una relazione, di una comunicazione appunto.<br />

Pure l’espressione <strong>della</strong> collera e <strong>della</strong> protesta, anche se in forma violenta,<br />

sono comunque manifestazioni di vitalità, di volontà di reagire, di non<br />

168


esa alla malattia e di richiesta di aiuto. Questo è un passo importantissimo,<br />

perché non condanna il malato abbandonandolo alla sua solitudine e ad un<br />

processo autodistruttivo, ma lo mantiene all’interno di un processo comunicativo.<br />

Non dunque una rabbia, una ribellione consumate esclusivamente<br />

dentro di sé, ma espresse, comunicate, dette ai vicini, e rivolte pure a Dio 3 .<br />

A volte, poi, nei salmi il dolore fisico più che evidenza di una malattia<br />

sono l’espressione sensibile di qualcos’altro rispetto alla malattia stessa. In<br />

fondo è questo l’ostacolo principale per restringere con esattezza il campo<br />

dei salmi di malattia; l’orante che esprime dolore fisico non sempre è malato,<br />

ma si trova in condizione di peccato, di minaccia, di pericolo, tutto ciò che<br />

minaccia la vita. Per l’uomo biblico la sfera <strong>della</strong> morte fa irruzione in ogni<br />

esperienza di diminuzione <strong>della</strong> vita: debolezza, malattia, prigionia, minaccia<br />

nemica, privazione dei diritti, accuse e angoscia.<br />

La ragione profonda del terrore che si manifesta in tutto ciò sta nel fatto che<br />

il rapporto con JHWH è interrotto e distrutto. Se la morte separa definitivamente<br />

l’uomo da Dio, gli stati di “morte relativa” sono le infinite vie dolorose<br />

dell’abbandono da parte di Dio (Sal 22,2). La realtà <strong>della</strong> morte comincia, infatti,<br />

là dove JHWH tace, dove l’uomo da lui abbandonato grida dal profondo (Sal<br />

130,1). Se è vero che, secondo la concezione moderna, lo stato di morte è fissato<br />

a partire dal momento dello spegnimento <strong>della</strong> vita fisica, nell’AT si trova<br />

invece una concezione incomparabilmente più complessa e anche più profonda,<br />

fondata esclusivamente sul rapporto con JHWH. Che cosa sia la vita e che cosa<br />

renda tale la morte è determinato da JHWH soltanto 4 .<br />

Infatti, per l’orante, ciò che conta è la comunicazione con Dio, a tenerlo<br />

in vita è proprio la relazione con Lui: «A te grido, Signore, mia roccia, con<br />

me non tacere: se tu non mi parli, sono come chi scende nella fossa» (Sal<br />

28,1).<br />

2) Giobbe<br />

a) Il dolore di Giobbe<br />

Quando si parla dell’umano soffrire nella Bibbia, spontaneamente si<br />

corre col pensiero alla figura di Giobbe, il quale pur essendo «integro e<br />

retto, timorato di Dio e lontano dal male» (1,1) vien colpito da una piaga<br />

3 Cfr. MANICARDI L., L’umano soffrire (Qiqajon 2006) 23.<br />

4 H. J. KRAUS, Teologia dei salmi (Paideia, Brescia 1989) 271.<br />

169


dolorosa (2,7).<br />

Giobbe incarna un iter assai interessante nella tormentata assunzione<br />

<strong>della</strong> malattia. Lui non accetta passivamente il dolore e ingaggia una battaglia.<br />

All’invito di maledire Dio, Giobbe risponderà piuttosto maledicendo<br />

il giorno <strong>della</strong> sua nascita: «Allora Giobbe aprì la bocca e maledisse il suo<br />

giorno. Prese a dire: «Perisca il giorno in cui nacqui e la notte in cui si disse:<br />

“È stato concepito un maschio!”» (3,1).<br />

Fin dal primo momento Giobbe è consapevole che l’unico interlocutore<br />

competente sulla sua situazione è Dio, verso il quale egli continua a mantenersi<br />

giusto: «In tutto questo Giobbe non peccò e non attribuì a Dio nulla di<br />

ingiusto» (1,22); e al quale egli si rivolge:<br />

170<br />

· Se ho peccato, che cosa ho fatto a Te, o custode dell’uomo? Perché mi hai preso<br />

a bersaglio e sono diventato un peso per me? (7,20);<br />

· Dirò a Dio: “Non condannarmi! Fammi sapere di che cosa mi accusi (10,2);<br />

· Quel che sapete voi, lo so anch’io; non sono da meno di voi. Ma io all’Onnipotente<br />

voglio parlare, con Dio desidero contendere (13,2-3);<br />

b) I visitatori e la loro teodicea<br />

Innanzitutto Giobbe contesta radicalmente le facili frasi consolatorie<br />

con cui gli amici in visita tentano di gestire ed esorcizzare il dramma del<br />

dolore. Egli rifiuta l’improvvida teodicea dei saggi che gli fanno visita: essi<br />

sono mossi dai più nobili sentimenti e pongono segni sinceri di partecipazione<br />

al suo dolore:<br />

· Tre amici di Giobbe vennero a sapere di tutte le disgrazie che si erano abbattute<br />

su di lui. Partirono, ciascuno dalla sua contrada, Elifaz di Teman, Bildad di<br />

Suach e Sofar di Naamà, e si accordarono per andare a condividere il suo dolore<br />

e a consolarlo. Alzarono gli occhi da lontano, ma non lo riconobbero. Levarono<br />

la loro voce e si misero a piangere. Ognuno si stracciò il mantello e lanciò<br />

polvere verso il cielo sul proprio capo. Poi sedettero accanto a lui in terra, per<br />

sette giorni e sette notti. Nessuno gli rivolgeva una parola, perché vedevano<br />

che molto grande era il suo dolore (2,11-13).<br />

Tuttavia subito dopo si trasformano ben presto in visitatori molesti e<br />

nemici 5 :<br />

5 I visitatori diventano nemici pure nei salmi: «I miei nemici mi augurano il male:<br />

«Quando morirà e perirà il suo nome?». Chi viene a visitarmi dice il falso, il suo cuore cova<br />

cattiveria e, uscito fuori, sparla. Tutti insieme, quelli che mi odiano contro di me tramano<br />

malefìci, hanno per me pensieri maligni: «Lo ha colpito una malattia infernale; dal letto dove<br />

è steso non potrà più rialzarsi» (Sal 41,6-10).


· Voi imbrattate di menzogne, siete tutti medici da nulla. Magari taceste del<br />

tutto: sarebbe per voi un atto di sapienza! (13,4-5);<br />

· Giobbe prese a dire: «Ne ho udite già molte di cose simili! Siete tutti consolatori<br />

molesti (16,1-2).<br />

Giobbe, infatti, sembra addirittura blasfemo e sacrilego agli occhi dei<br />

suoi interlocutori, Elifaz, infatti, gli dice:<br />

· Ma tu distruggi la religione e abolisci la preghiera innanzi a Dio (15,4).<br />

D’altra parte lui stesso aveva rivendicato il diritto di godere <strong>della</strong> vicinanza<br />

affettuosa degli amici, che deve essere donata anche quando il malato<br />

abbia abbandonato la fede. Si tratta di un’affermazione assai ardita:<br />

· A chi è sfinito dal dolore è dovuto l’affetto degli amici, anche se ha abbandonato<br />

il timore di Dio (6,14).<br />

c) La topografia del dolore (come nei salmi)<br />

· Ricoperta di vermi e di croste polverose è la mia carne, raggrinzita è la mia<br />

pelle e si dissolve (7,5);<br />

· Di notte mi sento trafiggere le ossa e i dolori che mi rodono non mi danno<br />

riposo […]. Le mie viscere ribollono senza posa e giorni d’affanno mi hanno<br />

raggiunto. Avanzo con il volto scuro, senza conforto, nell’assemblea mi alzo per<br />

invocare aiuto. La mia pelle annerita si stacca, le mie ossa bruciano per la febbre<br />

(30,17.27-30).<br />

L’importanza capitale del non reprimere rabbia e ribellione:<br />

Il momento dell’espressione <strong>della</strong> collera e <strong>della</strong> protesta sono manifestazioni<br />

di vitalità, di reazione e non di resa alla malattia. Allora le lacrime, il pianto, il<br />

grido, divengono valvole di sfogo importanti attraverso cui il malato, esprimendo<br />

– anche se non con il linguaggio discorsivo – la propria sofferenza, manifesta<br />

un potere sulla sua malattia. Accogliere il malato anche nella sua ribellione<br />

diventa così un fattore essenziale per i suoi accompagnatori, affinché il malato<br />

stesso non si rinchiuda nella prigione dell’isolamento di chi si ribella contro<br />

tutti e contro tutto e neppure resti preda delle spire dell’autodistruzione 6 .<br />

6 MANICARDI L., L’umano soffrire (Qiqajon 2006) 23.<br />

171


d) Giobbe contesta Dio ma dialogando con Lui<br />

Giobbe poi rifiuta la logica retributiva, secondo la quale l’arrivo di una<br />

malattia era causata sicuramente da qualche peccato. Lui non rinuncia alla<br />

certezza di essere innocente e consapevole dell’eccesso <strong>della</strong> sua pena, arriva<br />

a contestare coraggiosamente anche la stessa giustizia di Dio. Tanto che<br />

continua a chiederGli conto del suo operato verso di lui.<br />

172<br />

Le domande di Giobbe danno voce all’angoscia più radicale dell’uomo: quella di<br />

scoprirsi un figlio tradito, imbrogliato da un Dio che gli dà una vita limitata e<br />

sofferta, e per di più oscurata dal suo ostile silenzio. In realtà, le sue domande<br />

distruggono i confini di una religione appiattitasi nella concezione <strong>della</strong> retribuzione;<br />

Giobbe mette in crisi il concetto di giustizia distributiva, mostrando come<br />

la ripartizione dei mali è arbitraria e indiscriminata […]. [Dio] riconosce Giobbe<br />

innocente, ma vuole stanarlo da quella logica ristretta per cui l’innocenza<br />

dell’uomo vorrebbe che fosse ricompensata nella salute e nei beni; al contrario,<br />

postulerebbe automaticamente la colpevolezza di Dio. Giustizia dell’uomo e giustizia<br />

di Dio non sono pensabili soltanto in termini di alternativa, per cui l’affermazione<br />

dell’una comporta necessariamente la negazione dell’altra 7 .<br />

I capp. 9-10 e 23-24 sono una sorta di atto di accusa a Dio, nella quale<br />

affiorano affermazioni dalle tinte molto forti, che rasentano quasi la blasfemia<br />

o somigliano a caricature deformi (diaboliche) del volto di Dio:<br />

· Per questo io dico che è la stessa cosa: egli fa perire l’innocente e il reo! Se un<br />

flagello uccide all’improvviso, <strong>della</strong> sciagura degli innocenti egli ride (9,22-23)<br />

· Dalla città si alza il gemito dei moribondi e l’anima dei feriti grida aiuto, ma<br />

Dio non bada a queste suppliche (24,12);<br />

Ma il problema che attanaglia Giobbe nella sua malattia è il silenzio di<br />

Dio. Lui lo cerca appassionatamente per poter porgli domande brucianti e<br />

strapparli una risposta, ma Dio si sottrae a questa ricerca:<br />

· Poiché [Dio] non è uomo come me, al quale io possa replicare: “Presentiamoci<br />

alla pari in giudizio” (9,32);<br />

· Perché mi nascondi la tua faccia e mi consideri come un nemico? (13,24);<br />

· Oh, potessi sapere dove trovarlo, potessi giungere fin dove risiede! […] Ma se<br />

vado a oriente, egli non c’è, se vado a occidente, non lo sento. A settentrione lo<br />

cerco e non lo scorgo, mi volgo a mezzogiorno e non lo vedo (23,3.8-9);<br />

· Io grido a te, ma tu non mi rispondi, insisto, ma tu non mi dai retta. Sei diventato<br />

crudele con me e con la forza delle tue mani mi perseguiti (30,20-21).<br />

7 MARENCO BOVONE M.R., “Introduzione al libro di Giobbe”, Parole di vita 2(2003), 5.


Solo alla fine del suo percorso, vissuto fino in fondo nell’impari “braccio<br />

di ferro” con Dio, Giobbe può veder confermata la correttezza <strong>della</strong> sua<br />

posizione, a contrario di quella dei visitatori, condannata da Dio. Solo Giobbe<br />

ha detto cose rette su Dio (42,7) e può sentire con le sue orecchie l’intervento<br />

di Dio e<br />

Lamentarsi di Dio con Dio è audacia da vero credente, è un atto di fiducia infinita,<br />

anzi è la scommessa più alta e rischiosa <strong>della</strong> fede che impegna la santità e<br />

l’onore stesso di Dio a intervenire, provocando una vera ordalia in cui nemmeno<br />

l’Onnipotente può a lungo sottrarsi 8 .<br />

3) Gesù<br />

Si impongo alcune scelte: i brani da porre sotto indagine potrebbero<br />

moltiplicarsi a dismisura.<br />

Li raccolgo/riduco attorno a tre capisaldi: Gesù che guarisce i malati (a),<br />

Gesù che sperimenta la sofferenza in prima persona (b), la comunità cristiana<br />

nei confronti dei malati (c).<br />

a) Gesù guarisce i malati<br />

Quando Gesù guarisce si interessa <strong>della</strong> situazione del malato, non lo<br />

considera un “caso clinico”, e dà avvio al percorso di guarigione trattandolo<br />

da persona, si informa sulla sua condizione (Mc 9,21) e interpella la sua collaborazione,<br />

chiedendo l’adesione di fede (Mc 9,24). «Non risulta che Gesù<br />

abbia mai dato ai malati una spiegazione <strong>della</strong> loro malattia. Per il Vangelo<br />

l’incontro con il malato non è, anzitutto, il momento <strong>della</strong> catechesi, ma <strong>della</strong><br />

partecipazione» 9 .<br />

Addirittura Gesù si lascia talmente coinvolgere nel dialogo che giunge a<br />

modificare la decisione iniziale:<br />

· Ed egli rispose: «Non è bene prendere il pane dei figli e gettarlo ai cagnolini».<br />

«È vero, Signore – disse la donna –, eppure i cagnolini mangiano le briciole che<br />

cadono dalla tavola dei loro padroni». Allora Gesù le replicò: «Donna, grande è<br />

la tua fede! Avvenga per te come desideri». E da quell’istante sua figlia fu guarita<br />

(Mt 15,26-28).<br />

8 BELLIA G., “La contestazione di Dio”, Parole di vita 2(2003), 27.<br />

9 MAGGIONI B., “Ero malato e mi avete visitato”, in La pazienza del contadino. Note di<br />

cristianesimo per questo tempo (Vita e pensiero, Milano 1997) 202.<br />

173


174<br />

Incontrando i malati, Gesù non predica mai rassegnazione, non ha atteggiamenti<br />

fatalistici, non afferma mai che la sofferenza avvicini maggiormente<br />

a Dio, non chiede mai di offrire la sofferenza a Dio, non nutre atteggiamenti<br />

doloristici: egli sa che non la sofferenza, ma l’amore salva! Gesù cerca sempre<br />

di restituire l’integrità <strong>della</strong> salute e <strong>della</strong> vita al malato, lotta contro la malattia,<br />

dice di no al male che sfigura l’uomo. Così Gesù, “medico <strong>della</strong> carne e dello<br />

spirito” (Sacrosantum Concilium, 5), fa delle sue guarigioni un vero e proprio<br />

vangelo in atti, delle profezie del regno 10 .<br />

Nell’episodio del lebbroso, di cui conosciamo a menadito la condizione<br />

infima di reietto dalla società per il timore del contagio, Gesù esprime il<br />

coinvolgimento in modo totale: con gli affetti (ne ebbe compassione), con la<br />

vicinanza fisica/corporea (lo toccò), con la volontà (lo voglio): «Venne da lui<br />

un lebbroso, che lo supplicava in ginocchio e gli diceva: «Se vuoi, puoi purificarmi!».<br />

Ne ebbe compassione, tese la mano, lo toccò e gli disse: «Lo voglio,<br />

sii purificato!» (Mc 1,40-45):<br />

La guarigione emerge qui nella sua dimensione di evento relazionale. Sua premessa<br />

è il sapere che la reintegrazione del malato nella pienezza di vita è voluta<br />

da un altro, dà gioia a un altro; cioè che la sua persona e la sua vita è preziosa<br />

per un altro. Gesù allora prova compassione: si lascia ferire dalla sofferenza del<br />

malato e agisce di conseguenza entrando nella sua situazione. Lo tocca e così<br />

non solo rischia il contagio, ma si contamina e contrae impurità rituale, quella<br />

che esclude dalla partecipazione a gesti cultuali: questa esclusione è il prezzo<br />

per andare incontro a un escluso strappandolo alla sua solitudine mortale 11 .<br />

Il coinvolgimento giunge all’apice, quando, nell’episodio di Lazzaro,<br />

Gesù è implicato a tal punto da mettersi a piangere (Gv 11,35-36): il cuore<br />

compassionevole di Gesù arriva al segno umanissimo <strong>della</strong> commozione.<br />

Con il dialogo, la vicinanza, l’ascolto, il coinvolgimento in prima persona<br />

e la guarigione, Gesù intraprende un percorso, durante il quale segna le<br />

tappe con cui restituisce al malato una dignità che sembrava essere perduta:<br />

è un uomo, un essere vivente, non solo un problema da affrontare o da<br />

rimuovere prima possibile. In questo modo viene superata la solitudine in<br />

cui il malato è relegato, e lo fa sentire ancora parte del consorzio dei vivi,<br />

gli fa percepire chiaramente la sua preziosità: è ancora un essere umano, un<br />

uomo vivente, nonostante la malattia.<br />

10 MANICARDI L., L’umano soffrire (Qiqajon 2006) 114.<br />

11 MANICARDI L., L’umano soffrire (Qiqajon 2006) 119-120.


S. Ambrogio:<br />

Cristo è tutto per noi. Se vuoi curare una ferita, egli è medico;<br />

se bruci dalla febbre, egli è la fonte d’acqua;<br />

se hai bisogno d’aiuto, egli è la forza;<br />

se temi la morte, egli è la vita 12 .<br />

b) Gesù sperimenta la sofferenza in prima persona: il Getzemani e la croce<br />

· Allora Gesù andò con loro in un podere, chiamato Getsèmani, e disse ai discepoli:<br />

«Sedetevi qui, mentre io vado là a pregare». E, presi con sé Pietro e i due<br />

figli di Zebedeo, cominciò a provare tristezza e angoscia. E disse loro: «La mia<br />

anima è triste fino alla morte; restate qui e vegliate con me». Andò un poco più<br />

avanti, cadde faccia a terra e pregava, dicendo: «Padre mio, se è possibile, passi<br />

via da me questo calice! Però non come voglio io, ma come vuoi tu!». Poi venne<br />

dai discepoli e li trovò addormentati. E disse a Pietro: «Così, non siete stati<br />

capaci di vegliare con me una sola ora? Vegliate e pregate, per non entrare in<br />

tentazione. Lo spirito è pronto, ma la carne è debole» (Mt 26,36-46).<br />

L’episodio del Getzemani, mostra tutta l’intensità spirituale ed emotiva<br />

<strong>della</strong> sofferenza di Gesù, che cerca conforto sia nella preghiera, sia nella<br />

vicinanza degli amici («vegliate con me»). Il parallelo sinottico ci aiuta a<br />

cogliere sia il conforto di Dio tramite un angelo, sia la somatizzazione del<br />

dolore con l’essudazione di sangue (Lc 22,43-44: «Gli apparve allora un<br />

angelo dal cielo per confortarlo. Entrato nella lotta, pregava più intensamente,<br />

e il suo sudore diventò come gocce di sangue che cadono a terra»).<br />

I racconti <strong>della</strong> passione mostrano come i discepoli non sono in grado di<br />

accompagnare con la loro amicizia il cammino di Gesù e lo lasciano solo con<br />

il suo dolore e la sua angoscia. Ed è precisamente qui che inizia l’itinerario<br />

di morte. Gesù non è morto solo nell’attimo in cui è spirato, perché la morte<br />

inizia a dilagare nel momento in cui è condannato all’isolamento, alla solitudine<br />

radicale: lo abbandonano gli amici: «Allora tutti lo abbandonarono e<br />

fuggirono» (Mc 14,50) e si sente abbandonato perfino dal Padre «Perché mi<br />

hai abbandonato?» (Mc 15,34). La solitudine assoluta, è sperimentata sulla<br />

croce. Assieme alla esplicita demolizione di ciò che ha sostenuto l’intera<br />

esistenza di Gesù: l’intima fiducia in Dio: «ha confidato in Dio: lo liberi lui<br />

ora se gli vuole bene» (Mt 27,43). Tutta intera la sua vita, la sua intimità col<br />

Padre viene in qualche modo smentita: vi può essere dolore più lancinante<br />

di questo?<br />

12 De virginitate, 16,99.<br />

175


176<br />

Lacerante è il grido sulla croce: «Dio mio perché mi hai abbandonato?».<br />

A chi doveva ancora rivolgersi il Gesù abbandonato e reietto, il Gesù tormentato<br />

e schernito? A chi se non a Dio, al quale si sono sempre rivolti i giusti e alla<br />

volontà del quale egli si era arreso nel Getsemani? Ma, adesso, neppure Dio c’è<br />

più per lui! Ora, anche lui lo ha abbandonato. Gesù deve ancora patire anche<br />

questo, che Dio gli si sottragga e si nasconda e si spalanchi attorno a lui il tenebroso<br />

vuoto del nessuno e del nulla. Ora egli attinge il profondo e beve fino alla<br />

feccia il calice <strong>della</strong> passione. Anche Dio l’abbandona. Egli sperimenta per noi<br />

l’abbandono totale. “Dio mio, Dio mio, perché mi hai abbandonato?”. Ma neppure<br />

in questo momento egli abbandona Dio! Proprio adesso, nel momento in<br />

cui Dio gli fa gustare anche questo: l’essere senza Dio, il dover patire senza Dio<br />

e il morire, egli si volge a Dio e si tiene saldo a lui. Prega, non grida nel vuoto,<br />

ma a lui, verso di lui! Egli si volge, senza Dio, a Dio! Depone ai piedi di Dio ogni<br />

angoscia, e, ora, anche questa tremenda angoscia del morire senza Dio. “Mio<br />

Dio, mio Dio…”. Proprio così facendo, alla fine, egli diviene per tutti il vincitore<br />

del morire abbandonati da Dio e il vincitore <strong>della</strong> morte senza Dio – per tutti 13 .<br />

Questo rilievo è importantissimo: al tempo di Gesù i condannati alla crocifissione<br />

morivano in modo tragico, urlando per l’atrocità <strong>della</strong> sofferenza e<br />

bestemmiando per la disperazione.<br />

Ciò nondimeno, nell’apice del suo dolore, Gesù, invece di rinchiudersi<br />

nella disperazione, si apre nonostante tutto al Padre, lanciando a Lui questo<br />

dolorosissimo ultimo appello.<br />

Gesù fa del suo grido una preghiera 14 . E l’immediato successivo squarcio<br />

del velo del tempio indica che la cortina che separava il Santo dei santi<br />

da qualunque altro mortale, impedendo l’accesso a Dio, è rimossa. Ora la<br />

comunione con Dio è garantita: non più nella mediazione del tempio, ma<br />

nella mediazione di Gesù crocifisso: in lui ogni uomo ora può giungere al Dio<br />

inaccessibile.<br />

c) La comunità cristiana nei confronti dei malati<br />

La comunità cristiana continua nel tempo la sollecitudine del suo Maestro<br />

nei confronti dei sofferenti, in particolare mediante tre convinzioni: la<br />

cura dei malati, la beatitudine riservata agli afflitti, la convinzione che Cristo<br />

si identifica coi sofferenti.<br />

13 SCHLIER H., La passione secondo Matteo (Jaka Book, Milano 1979) 97-98.<br />

14 Luca, pur presentando differenze notevoli, mostra comunque come nella morte di<br />

Gesù emerga il tratto del rapporto con il Padre, non nella forma drammatica dell’abbandono,<br />

ma in quella <strong>della</strong> consegna fiduciosa: «Padre nelle tue mani consegno il mio spirito» (22,46).


· Andate in tutto il mondo e proclamate il Vangelo a ogni creatura. Chi crederà<br />

e sarà battezzato sarà salvato, ma chi non crederà sarà condannato. Questi<br />

saranno i segni che accompagneranno quelli che credono: nel mio nome scacceranno<br />

demòni, parleranno lingue nuove, prenderanno in mano serpenti e, se<br />

berranno qualche veleno, non recherà loro danno; imporranno le mani ai malati<br />

e questi guariranno (Mc 16,15-18).<br />

L’andare contro corrente imponendo le mani ai malati e facendoli guarire, significa<br />

una vera, individuale – le mani infatti si impongono uno per uno –, autentica,<br />

capillare vicinanza all’uomo con la sua malattia, sofferenze e difficoltà,<br />

accettandolo così com’è, standogli vicino, imponendogli le mani con amore e con<br />

fede perché, non per nostro potere ma unicamente nel nome di Gesù, noi pensiamo<br />

di poter aiutare qualcuno. Il vostro andare contro corrente è la vicinanza<br />

all’uomo e a tutte le situazioni umane quotidiane più misere, più abbandonate;<br />

le situazioni <strong>della</strong> parrocchia e del quartiere alle quali nessuno pensa perché<br />

non hanno etichetta e non hanno colore, bensì grigiore 15 .<br />

Cfr. HÄRING B., Preti di oggi preti per domani. Quale prete per la Chiesa<br />

e per il mondo? (Queriniana, Brescia 1995) 20-23.<br />

<br />

· Beati quelli che sono nel pianto (CEI ‘77: afflitti) perché saranno consolati (Mt<br />

5,4).<br />

La beatitudine promessa non sta nel pianto in sé, quasi lo si debba ricercare<br />

per essere nella gioia. La beatitudine sta tutta nella vicinanza provvidente<br />

di Dio, il quale – e Lui solo –, promette la gioia agli afflitti, gioia beata<br />

che consisterà nell’essere consolati non nel permanere nello stato di afflizione<br />

ma nella scomparsa definitiva (escatologica) <strong>della</strong> causa del pianto.<br />

Il lutto significa un esporsi a quei dolori ed un accettare quelle sofferenze che<br />

provocano la morte – ed il suo ambito – ed il peccato nelle persone che si impegnano<br />

in legami stretti e profondi con gli uomini e con Dio; esso vuol dire accettare<br />

e vivere quella vulnerabilità che è una forma <strong>della</strong> nostra povertà, non tentare<br />

un falso superamento di quest’ultima mediante una chiusura egoistica ed<br />

una vita di lusso, ma attendere da Dio il superamento <strong>della</strong> detta povertà […].<br />

La seconda beatitudine parla al futuro e presenta, inoltre, un’azione più specifica<br />

di Dio, che, però, fa parte del suo dominio regale escatologico. Dio consolatore<br />

farà sparire le cause del lutto. Egli mediante la sua presenza manifesta<br />

15<br />

MARTINI C.M., Liberi di credere. I giovani verso una fede consapevole (Ed. In dialogo,<br />

2009) 156.<br />

177


178<br />

ed il dono <strong>della</strong> comunione personale, abolirà la “valle di lacrime” e creerà la<br />

nuova città <strong>della</strong> gioia: «Ecco la dimora di Dio con gli uomini! Egli dimorerà tra<br />

di loro ed essi saranno suo popolo ed egli sarà il “Dio-con-loro”. E tergerà ogni<br />

lacrima dai loro occhi; non ci sarà più la morte, né lutto, né lamento, né affanno,<br />

perché le cose di prima sono passate» (Ap 21,3-4) 16 .<br />

<br />

· “Venite, benedetti del Padre mio, ricevete in eredità il regno preparato per voi<br />

fin dalla creazione del mondo, perché ho avuto fame e mi avete dato da mangiare,<br />

ho avuto sete e mi avete dato da bere, ero straniero e mi avete accolto, nudo<br />

e mi avete vestito, malato e mi avete visitato, ero in carcere e siete venuti a<br />

trovarmi” (Mt 25,36).<br />

Gesù afferma una identificazione con i bisognosi. Lui il Risorto, Signore<br />

glorioso, si identifica con chi nella storia soffre. Una immedesimazione<br />

così forte non è presente in nessun altro passo evangelico. Tale rapporto<br />

si fonda sulla continuità: Gesù ha sofferto, vivendo sulla sua pelle rifiuto e<br />

dolore, così i sofferenti sono i primi con cui egli si identifica. Nel momento<br />

<strong>della</strong> parusia, <strong>della</strong> venuta gloriosa, esplicita di Cristo alla fine <strong>della</strong> storia,<br />

verrà svelata la venuta umile già accaduta nella storia: la parusia nascosta<br />

è in essere in tutti coloro che soffrono. Al cristiano non tanto il compito di<br />

scorgerla, di scoprire la presenza del Cristo, quanto piuttosto di servirla.<br />

Sarà rivelata solo alla fine.<br />

4) Paolo<br />

Di Paolo rammentiamo solo una frase, che forse può aver dato adito a<br />

qualche fraintendimento.<br />

Si tratta di Col 1,24.<br />

CEI ’77: «Sono lieto delle sofferenze che sopporto per voi e completo<br />

(avntanaplhrw/) nella mia carne quello che manca (ta. u`sterh,mata) ai<br />

patimenti di Cristo, a favore del suo corpo che è la Chiesa».<br />

Il problema nasce quando giustamente ci si interroga: manca ancora<br />

qualcosa alla passione di Cristo? Posso io completare la passione di Cristo?<br />

Fortunatamente basta seguire la scansione dei lessemi, rispettandone l’ordine<br />

nel testo originario. Ed è quello che ha fatto la nuova traduzione.<br />

16<br />

STOCK K., Discorso <strong>della</strong> Montagna. Le beatitudini (Ed. Pontificio Istituto Biblico,<br />

Roma 1997) 55-56.


CEI ’08: «Io sono lieto nelle sofferenze che sopporto per voi e do compimento<br />

a ciò che, dei patimenti di Cristo, manca nella mia carne, a favore<br />

del suo corpo che è la Chiesa».<br />

Ciò che manca dunque non riguarda i patimenti di Cristo, ma quello che<br />

manca nella carne di Paolo.<br />

Le afflizioni (sofferenze) di Cristo sono ormai finite: Colossesi insiste troppo<br />

sulla pienezza, sulla supremazia totale e attuale del Cristo glorificato, al quale<br />

non manca niente, per poterla dimenticare; non dice che Cristo non abbia<br />

compiuto tutto ciò che doveva compiere, né che non abbia sofferto abbastanza,<br />

perché l’apostolo debba portare a compimento le sofferenze redentrici per la<br />

chiesa: perché allora, la mediazione del Cristo non sarebbe perfetta, mentre la<br />

lettera non smette di dire il contrario. Ciò che manca, ciò che Paolo deve condurre<br />

a termine, è il proprio itinerario, che egli chiama «tribolazioni del Cristo<br />

nella mia carne», e che riproduce quello del Cristo, nel suo modo di vivere e<br />

di soffrire mediante/per l’annuncio del vangelo e per la chiesa […]. L’apostolo<br />

non intende dire che egli aggiunga qualcosa all’opera mediatrice e salvifica del<br />

Cristo […]. Ma egli soffre per il bene <strong>della</strong> chiesa, per la sua saldezza, la sua<br />

costanza, la sua crescita nella conoscenza dei tesori resi manifesti da Dio in suo<br />

Figlio […]. Non è dunque per masochismo che Paolo si rallegra di soffrire, ma<br />

perché quello ch’egli sopporta giova alla chiesa, e le thlipseis sono un combattimento<br />

necessario perché tutti i gentili (ogni uomo) possano intendere il vangelo,<br />

credervi e divenire perfetti in Cristo 17 .<br />

Conclusione<br />

Dalla rapida indagine che abbiamo condotto, anche se in forma rapsodica<br />

e del tutto asistematica, una categoria fra le altre potrebbe proporsi<br />

come approccio fecondo al tema dell’umano soffrire, così com’è testimoniato<br />

nelle Scritture. Tale chiave di lettura unitaria potrebbe essere proprio la<br />

dimensione dell’appello, perché solitamente dalle situazioni di afflizione<br />

sorge una domanda, un’interpellanza (che, tra l’altro, accomuna credenti<br />

e non credenti). Il dolore è un luogo dove si affacciano prepotentemente<br />

tante domande (magari fino a quel momento del tutto latenti): perché? che<br />

senso ha? perché Dio lo ha permesso? aiutami! non lasciarmi solo! L’umano<br />

soffrire, dunque, chiede di potersi esprimere e lo fa soprattutto in forme<br />

raccoglibili tutte sotto la categoria – non è l’unica, ovvio – dell’appello, come<br />

invocazione di aiuto e di senso, rivolta ad un altro uomo o a Dio stesso.<br />

17 ALETTI J.-N., Lettera ai Colossesi. Introduzione, versione, commento (Scritti delle<br />

origini cristiane 12; Dehoniane Bologna, 1994) 121-122.<br />

179


Ne emerge una struttura dialogica nel binomio soffrire/ascoltare: persona<br />

sofferente/ persona la che ascolta. Se collocata in prospettiva di fede:<br />

l’uomo che soffre vuole porre il suo interrogativo direttamente a Dio, che<br />

talora diviene l’unico interlocutore autorevole.<br />

Resta un ulteriore quesito: tale appello trova risposta? Questa domanda<br />

sembra in qualche modo uscire dal testo biblico stesso. Infatti, rispondere<br />

frettolosamente che Cristo morto e risorto costituisce la risposta, non risolve<br />

interamente la questione. Perché? Perché questa dimensione appellante<br />

non cerca una risposta discorsiva, argomentativa, una spiegazione. Invoca<br />

piuttosto una compagnia, una relazione. Compagnia che ogni singola esistenza<br />

credente dovrà appassionatamente ricercare, e che la comunità cristiana<br />

non si stancherà di donare.<br />

Dice Lévinas:<br />

180<br />

Il dolore isola assolutamente ed è da questo isolamento assoluto che nasce<br />

l’appello all’altro, l’invocazione all’altro. Non è la molteplicità umana che crea<br />

la socialità, ma è questa relazione strana che inizia nel dolore, nel mio dolore<br />

in cui faccio appello all’altro, e nel suo dolore che mi turba, nel dolore dell’altro<br />

che non mi è indifferente. È la compassione. Soffrire non ha senso, ma la sofferenza<br />

per ridurre la sofferenza dell’altro è la sola giustificazione <strong>della</strong> sofferenza,<br />

è la mia più grande dignità 18 .<br />

Dice S. Agostino: «Io non so come accada che, quando un membro soffre,<br />

il suo dolore divenga più leggero se le altre membra soffrono con lui. E<br />

l’alleviamento del dolore non deriva da una distribuzione comune dei medesimi<br />

mali, ma dalla consolazione che si trova nella carità degli altri» 19 .<br />

18 LÉVINAS E., “Une étique de la souffrance”, in Souffrances. Corps et âme, épreuves<br />

partagées, a cura di J.-M. von Kaenel (Autrement, Paris 1994) 133-135.<br />

19 Lettere, 99,2

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