28.05.2013 Views

patologie del ginocchio - Federazione Italiana Tennis

patologie del ginocchio - Federazione Italiana Tennis

patologie del ginocchio - Federazione Italiana Tennis

SHOW MORE
SHOW LESS

Create successful ePaper yourself

Turn your PDF publications into a flip-book with our unique Google optimized e-Paper software.

CORSO NAZIONALE DI SPECIALIZZAZIONE<br />

PER ALLENATORI DELLA FIT EQUIVALENTE<br />

AL QUARTO LIVELLO EUROPEO<br />

Anno Accademico 2002/2004<br />

Project Work<br />

in<br />

PATOLOGIE DEL GINOCCHIO:<br />

PREVENZIONE<br />

E<br />

RIABILITAZIONE<br />

Gian Marco Benveduti<br />

Roberto Raffio


INDICE 2<br />

Prefazione<br />

4<br />

Capitolo 1: ANATOMIA DEL GINOCCHIO<br />

1.1 Ossa e legamenti <strong>del</strong> <strong>ginocchio</strong> 6<br />

1.2 Menischi 9<br />

1.3 Membrana sinoviale e cavità articolare 10<br />

1.4 Vasi e nervi 11<br />

1.5 Patella 12<br />

1.6 I muscoli<br />

Capitolo 2: TRAUMI DEL GINOCCHIO<br />

13<br />

Introduzione 15<br />

2.1 Lesioni meniscali<br />

2.2 Rotture meniscali<br />

2.3 Fratture <strong>del</strong>la rotula<br />

2.4 Rotture <strong>del</strong> tendine quadricipitale e <strong>del</strong> legame rotuleo<br />

2.5 Sublussazione e lussazioni <strong>del</strong>la rotula<br />

2.6 Lesioni dei legamenti collaterali mediale e laterale<br />

20<br />

22<br />

24<br />

26<br />

28<br />

30<br />

2.7 Rottura <strong>del</strong> legamento crociato anteriore 32<br />

2.8 Rottura <strong>del</strong> legamento crociato posteriore 36<br />

2.9 Lussazioni <strong>del</strong> <strong>ginocchio</strong><br />

Capitolo 3: LE PATOLOGIE PIU’ FREQUENTI<br />

NEL TENNIS<br />

38<br />

3.1 Le <strong>patologie</strong> più frequenti<br />

3.2 Patologie meno frequenti<br />

3.3 Atleti infortunati<br />

3.4 Casistica nella distorsione <strong>del</strong> <strong>ginocchio</strong><br />

40<br />

47<br />

48<br />

50<br />

Capitolo 4: PREVENZIONE DEGLI INFORTUNI<br />

NEL TENNIS<br />

4.1 Come prevenire i traumi 52<br />

4.2 Tecnologie per la prevenzione 54<br />

4.3 L’importanza <strong>del</strong>lo stretching 57<br />

4.4 Esempi di stretching 63<br />

4.5 Il riscaldamento e la sua importanza nel tennis 67<br />

4.6 Gli studi sull’argomento 71<br />

4.7 Le diverse superfici dei campi da tennis 72<br />

4.8 Le capacità coordinative generali 73<br />

Capitolo 5: RIABILITAZIONE<br />

Introduzione 76<br />

5.1 Riabilitazione dopo intervento per condropatia 77<br />

5.2 Protocollo di rieducazione dopo intervento chirurgico <strong>del</strong> lca 82<br />

5.3 Il trattamento <strong>del</strong>le lesioni meniscali 95<br />

5.4 Protocollo riabilitativo dopo intervento dl meniscectomia artroscopica 98<br />

5.5 Protocollo riabilitativo dopo intervento dl sutura meniscale 102<br />

5.6 La tecnica Wat Job 105<br />

5.7 ”Riabilitazione <strong>del</strong> <strong>ginocchio</strong> “Metodo tradizionale” 117<br />

5.8 Il trattamento <strong>del</strong>le lesioni cartilaginee <strong>del</strong> <strong>ginocchio</strong> 126<br />

2


Capitolo 6: LA GESTIONE PSICOLOGICA DELL’ATLETA<br />

INFORTUNATO<br />

6.1 Prevenzione e riabilitazione psicologica 132<br />

6.2 Le reazioni <strong>del</strong>l’atleta all’infortunio 136<br />

6.3 La riabilitazione psicologica 137<br />

CONCLUSIONI 139<br />

BIBLIOGRAFIA 140<br />

3


Prefazione<br />

Il project work da noi impostato ha preso in esame i problemi relativi ai<br />

traumi <strong>del</strong>l’articolazione <strong>del</strong> <strong>ginocchio</strong> e le possibilità di recupero motorio di<br />

atleti d'alto livello che hanno patito questa patologia.<br />

Pensiamo che in questi anni il tennis si sia evoluto enormemente da tutti i<br />

punti di vista. In particolare i carichi di lavoro eccessivi, utilizzando<br />

sovraccarichi, causano con maggiore frequenza danni a livello articolare e<br />

muscolare.<br />

Crediamo che il <strong>ginocchio</strong> sia un’articolazione molto coinvolta proprio per<br />

tutti gli spostamenti e cambi di direzione che nel campo da tennis vengono<br />

effettuati, ed è per questo che il nostro interesse applicativo è stato rivolto a<br />

quest'articolazione. Lo abbiamo analizzato dapprima con una metodologia<br />

basata su una bibliografia dettagliata a livello anatomico e fisiologico; dopo di<br />

che siamo passati ad analizzare i vari traumi con protocolli di riabilitazione<br />

utilizzati da medici esperti.<br />

Da analisi fatte abbiamo considerato una casistica su giocatori di alto livello<br />

che hanno supportato questi infortuni e che ne sono usciti più o meno<br />

correttamente con programmi studiati in maniera<br />

dettagliata dai loro medici.<br />

Obiettivi prefissati da questo project work<br />

riguardano la definizione di problemi specifici,<br />

quali: la prevenzione degli infortuni dopo lesioni<br />

<strong>del</strong> <strong>ginocchio</strong>; l’importanza <strong>del</strong> riscaldamento, <strong>del</strong><br />

defaticamento, <strong>del</strong>le superfici di gioco;<br />

l’importanza <strong>del</strong>la gestione psicologica <strong>del</strong>l’atleta<br />

infortunato.Il tennista di alto livello, per la<br />

ripetitività <strong>del</strong> gesto atletico, sia in allenamento che<br />

in gara, sottopone a sollecitazione l’articolazione <strong>del</strong><br />

<strong>ginocchio</strong> esponendosi al rischio di produrre nel<br />

tempo <strong>patologie</strong> da sovraccarico funzionale.Per<br />

meglio comprendere il lavoro articolare di un<br />

professionista, basti pensare che un atleta durante<br />

una stagione agonistica di 12 mesi, tra allenamenti e gare, esegue con gli arti<br />

inferiori una quantità enorme di movimenti in tutte le direzioni ad intensità<br />

diverse e spesso vicine ai massimali con tutte le implicazioni che ciò può<br />

comportare alle ginocchia. Il <strong>ginocchio</strong> è un’articolazione complessa,<br />

sottoposta a forze che si esprimono contemporaneamente su più piani,<br />

sottoponendo le strutture ossee, capsulari, meniscali, legamentose e<br />

miotendinee a notevoli sollecitazioni; l’esecuzione scorretta <strong>del</strong> gesto atletico,<br />

un improvviso sovraccarico funzionale al <strong>ginocchio</strong>, un contrasto con piede<br />

fisso a terra possono produrre lesioni acute.Il <strong>ginocchio</strong> è sicuramente<br />

l'articolazione che nell'ultimo ventennio ha goduto dei maggiori vantaggi<br />

4


derivanti dai progressi <strong>del</strong>le tecniche chirurgiche utilizzate per la riparazione<br />

dei suoi costituenti anatomici; non altrettanto significative sono state le<br />

innovazioni nell'ambito <strong>del</strong>la riabilitazione dopo trattamento chirurgico al<br />

punto che, sino a pochi anni orsono dopo una ricostruzione, i programmi di<br />

riabilitazione erano iperprotettivi e caratterizzati da un periodo di<br />

immobilizzazione <strong>del</strong>l'arto di almeno 6 settimane, nel convincimento che in<br />

tal modo si potesse garantire una ottimale cicatrizzazione <strong>del</strong><br />

trapianto.Tuttavia, gli effetti non favorevoli di un prolungato periodo di<br />

immobilizzazione sulla cartilagine articolare, sui legamenti, sulle strutture<br />

capsulari e sulla muscolatura <strong>del</strong>l'arto inferiore, hanno di fatto valorizzato il<br />

concetto opposto, vale a dire quello di una precoce mobilizzazione <strong>del</strong><br />

<strong>ginocchio</strong>,attraverso metodiche riabilitative sempre più aggressive. Alcuni di<br />

questi interventi, come la mobilizzazione passiva precoce, l'immediata<br />

concessione <strong>del</strong>l'estensione passiva, il carico completo in deambulazione<br />

entro il primo mese, non solo hanno ridotto la percentuale di complicanze<br />

quali rigidità o gravi ipotrofie, ma sono stati anche riconosciuti come<br />

elementi in grado di favorire un miglior processo riparativo <strong>del</strong> neolegamento,<br />

permettendo spesso all’atleta di poter rientrare a competere con<br />

successo dopo un periodo di sospensione adeguato e tale da non<br />

compromettere eccessivamente la propria classifica.<br />

5


Capitolo 1<br />

ANATOMIA DEL GINOCCHIO<br />

1.1 Ossa e Legamenti <strong>del</strong> <strong>ginocchio</strong><br />

Prendono parte all'articolazione <strong>del</strong> <strong>ginocchio</strong>, i due condili <strong>del</strong> femore, le due fosse<br />

glenoidee dei condili tibiali, e la faccia posteriore <strong>del</strong>la rotula. Il <strong>ginocchio</strong> è<br />

un’articolazione a cerniera che consente movimenti di flessione e di estensione. In<br />

flessione esiste una sufficiente lassità che permette una piccola rotazione volontaria;<br />

nel movimento di completa estensione vi è una leggera rotazione mediale <strong>del</strong> femore<br />

(rotazione congiunta) che consente il raggiungimento <strong>del</strong>la posizione di maggior<br />

stabilità. I condili <strong>del</strong> femore hanno superfici articolari più ampie rispetto a quelle dei<br />

condili <strong>del</strong>la tibia e vi è una componente di rotazione e di scivolamento <strong>del</strong>le superfici<br />

<strong>del</strong> femore che esaurisce tale discrepanza. Allorché si è raggiunta la posizione di<br />

estensione, il menisco laterale, più piccolo, viene dislocato in avanti sulla tibia e si<br />

pone saldamente in un incavo <strong>del</strong> condilo laterale di femore, il che tende a bloccare<br />

l’estensione. Il condilo mediale <strong>del</strong> femore è comunque ancora in grado di scivolare<br />

verso l’addietro, portando così la sua superficie anteriore e più piatta a completo<br />

contatto con la tibia. Tali movimenti di rotazione congiunta portano i legamenti<br />

crociati in una posizione di tensione o di blocco. I legamenti collaterali vengono tesi<br />

massivamente e ne risulta una posizione di estensione completa stabile e serrata. La<br />

tensione dei legamenti e la stretta vicinanza <strong>del</strong>le parti più piatte dei condili fa sì che<br />

la posizione eretta possa essere mantenuta con relativa facilità.<br />

La sequenza di eventi che si verificano nella flessione è l’’universo di quanto avviene<br />

nell’estensione. La flessione può essere effettuata con un movimento di circa 130<br />

gradi e alla fine viene limitata dal contatto fra il polpaccio e la coscia. I muscoli<br />

implicati in tali movimenti <strong>del</strong> <strong>ginocchio</strong> sono principalmente i muscoli <strong>del</strong>la coscia.<br />

Nel <strong>ginocchio</strong> vi sono tre articolazioni: l’articolazione femore-patellare e le due<br />

articolazioni femoro-tibiali. Le ultime due sono separate dai legamenti crociati intraarticolari<br />

e dalla piega sinoviale infrapatellare. Le tre cavità articolari sono connesse<br />

da strette aperture.<br />

Le superfici articolari <strong>del</strong> femore sono i suoi condili mediale e laterale e la superficie<br />

patellare. I condili sono foggiati a forma di spessi ovoidi divergenti inferiormente e<br />

posteriormente. Le loro superfici gradualmente variano da una leggera curvatura<br />

anteriore ad una curvatura più accentuata posteriormente e sono separate dalla<br />

superficie patellare da un lieve solco.<br />

Sulla faccia superiore <strong>del</strong>la tibia vi sono due distinte aree, ricoperte da cartilagine. La<br />

superficie <strong>del</strong> condilo mediale è più ampia, ovalare e leggermente concava; quella <strong>del</strong><br />

condilo laterale è approssimativamente circolare, concava trasversalmente, ma<br />

concavo-convessa antero-posteriormente. Le fosse <strong>del</strong>le superfici articolari sono rese<br />

più profonde da menischi discoidali.<br />

6


La capsula articolare <strong>del</strong>l’articolazione <strong>del</strong> <strong>ginocchio</strong> è difficilmente separabile dai<br />

legamenti e dalle aponeurosi sovrapposti ad essa. In posizione posteriore le sue fibre<br />

verticali originano dai condili e dalla fossa intercondiloidea <strong>del</strong> femore; inferiormente<br />

tali fibre sono ricoperte dal legamento popliteo obliquo. La capsula articolare si<br />

inserisce ai condili <strong>del</strong>la tibia e, in forma incompleta, ai menischi. I legamenti esterni<br />

che rinforzano la capsula articolare sono costituiti dalla fascia lata e dal tratto iliotibiale,<br />

dai retinacoli <strong>del</strong>la patella mediale e laterale e dai legamenti patellare, popliteo<br />

obliquo e popliteo arcuato. Anche il legamento collaterale tibiale costituisce un valido<br />

rinforzo alla capsula articolare sul lato mediale.<br />

I tendini aponevrotici dei muscoli vasti aderiscono ai lati <strong>del</strong>la patella e<br />

successivamente si espandono sulla faccia anteriore e sui lati <strong>del</strong>la capsula articolare<br />

come retinacoli mediale e laterale <strong>del</strong>la patella. Inferiormente, essi si inseriscono sulla<br />

faccia anteriore dei condili <strong>del</strong>la tibia e sulle loro linee oblique fino ai lati dei<br />

legamenti collaterali. Superficialmente, la fascia lata riscopre e si confonde con i<br />

retinacoli <strong>del</strong>la patella, quando essa si porta in basso per aderire ai condili <strong>del</strong>la tibia e<br />

alle loro linee oblique. Lateralmente, il tratto ilio-tibiale si piega verso l’avanti al di<br />

sopra <strong>del</strong> retinacolo laterale <strong>del</strong>la patella e si fonde con la capsula articolare<br />

anteriormente; il suo margine posteriore è libero ed il tessuto adiposo tende ad<br />

interporsi fra esso e la capsula.<br />

Il legamento patellare è la continuazione <strong>del</strong> tendine <strong>del</strong> muscolo quadricipite <strong>del</strong><br />

femore diretto alla tuberosità <strong>del</strong>la tibia. Fascio estremamente robusto e relativamente<br />

piatto, esso si attacca sul contorno superiore <strong>del</strong>la patella e si continua davanti alla sua<br />

faccia anteriore, terminando talora obliquamente sulla tuberosità <strong>del</strong>la tibia. Una borsa<br />

infrapatellare profonda è interposta fra il legamento patellare e l’osso. Un’’ampia<br />

borsa infrapatellare sottocutanea è presente nel tessuto che ricopre il legamento<br />

patellare.<br />

Il legamento popliteo obliquo è una <strong>del</strong>le espansioni <strong>del</strong> tendine <strong>del</strong> muscolo<br />

semimembranoso che rafforza la faccia posteriore <strong>del</strong>la capsula articolare. Allorché<br />

questo tendine si inserisce nel solco posto sulla superficie posteriore <strong>del</strong> condilo<br />

mediale <strong>del</strong>la tibia, esso emette tale espansione obliqua che, diretta lateralmente e<br />

verso l’alto, incrocia la faccia posteriore <strong>del</strong>la capsula articolare.<br />

I legamenti collaterali sono molto importanti per la stabilità <strong>del</strong> <strong>ginocchio</strong>,<br />

impediscono l’ipertensione <strong>del</strong>l’articolazione e qualsiasi angolazione in abduzioneadduzione.<br />

Essi decorrono ai lati <strong>del</strong> <strong>ginocchio</strong> ed il loro compito è di stabilizzare<br />

l’articolazione nei movimenti di traslazione laterale . I vasi sanguiferi geniali inferiori<br />

passano fra essi e l’articolazione, ma soltanto il legamento collaterale fibulare si trova<br />

chiaramente al di fuori <strong>del</strong>la capsula articolare.<br />

Il legamento collaterale tibiale è un fascio robusto e piatto che si estende fra i<br />

condili mediali <strong>del</strong> femore e <strong>del</strong>la tibia. Esso è ben definito anteriormente e si unisce<br />

al retinacolo mediale <strong>del</strong>la patella. Il tendine <strong>del</strong>la zampa d’oca ricopre inferiormente<br />

7


il legamento ed essi sono separati dalla borsa anserina. La parte posteriore <strong>del</strong><br />

legamento è caratterizzata da fibre a decorso obliquo le quali convergono a livello<br />

<strong>del</strong>l’articolazione provenendo da sopra e da sotto e fornendo al legamento<br />

un’intersezione nel menisco mediale. La principale inserzione inferiore <strong>del</strong> legamento<br />

è situata circa 5 cm. inferiormente alla superficie articolare <strong>del</strong>la tibia,<br />

immediatamente dietro all’’inserzione <strong>del</strong>la zampa d’oca.<br />

Il legamento collaterale fibulare è una formazione cordoniforme, arrotondata, che è<br />

completamente separata dalla capsula articolare <strong>del</strong>l’articolazione <strong>del</strong> <strong>ginocchio</strong>. Esso<br />

prende inserzione sul condilo laterale <strong>del</strong> femore, superiormente ed inferiormente al<br />

solco <strong>del</strong> muscolo popliteo; termina inferiormente sulla faccia laterale <strong>del</strong>la testa <strong>del</strong>la<br />

fibula circa 1 cm. anteriormente al suo apice. Il tendine <strong>del</strong> muscolo popliteo si porta<br />

in profondità al legamento collaterale fibulare, ed il tendine <strong>del</strong> muscolo bicipite <strong>del</strong><br />

femore si divarica attorno alla sua inserzione fibulare, con l’interposizione di una<br />

piccola borsa sottotendinea inferiore. Un’altra borsa è situata sotto l’estremità<br />

superiore <strong>del</strong> legamento collaterale fibulare e lo separa dal tendine <strong>del</strong> muscolo<br />

popliteo. La membrana sinoviale <strong>del</strong>l’articolazione, protendendo in forma di recesso<br />

sottopopliteo, separa il tendine <strong>del</strong> muscolo popliteo dal menisco laterale.<br />

I legamenti crociati impediscono il movimento in avanti o in addietro <strong>del</strong>la tibia<br />

sotto i condili <strong>del</strong> femore; sono in una certa tensione in tutte le posizioni di flessione,<br />

ma vengono posti veramente sotto tensione nella completa estensione e nella completa<br />

flessione. La funzione biomeccanica è di stabilizzare reciprocamente durante il<br />

movimento l’articolazione <strong>del</strong> <strong>ginocchio</strong>, impedendo il movimento di <strong>del</strong>la cavità<br />

articolare. traslazione anteriore e posteriore <strong>del</strong>la tibia rispetto al femore . Si chiamano<br />

crociati, perché si incrociano al centro <strong>del</strong>l’articolazione. Essi sono situati interamente<br />

nella capsula articolare <strong>del</strong>l’articolazione <strong>del</strong> <strong>ginocchio</strong> nel piano verticale fra i due<br />

condili, ma sono esclusi dalla cavità sinoviale da rivestimenti <strong>del</strong>la membrana<br />

sinoviale.<br />

Il legamento crociato anteriore origina dall’area rugosa e non articolare posta<br />

davanti all’eminenza intercondiloidea <strong>del</strong>la tibia e si estende verso l’alto e verso il<br />

dietro fino alla parte posteriore <strong>del</strong>la faccia mediale <strong>del</strong> condilo laterale <strong>del</strong> femore. Il<br />

legamento crociato posteriore si porta verso l’alto e verso l’avanti sul lato mediale <strong>del</strong><br />

legamento anteriore. Esso si estende da dietro l’eminenza intercondiloidea <strong>del</strong>la tibia<br />

alla faccia laterale <strong>del</strong> condilo mediale <strong>del</strong> femore.<br />

8


1.2 Menischi<br />

Queste formazioni semilunari di fibrocartilagine sono sovrapposte alle porzioni<br />

periferiche <strong>del</strong>le superfici articolari <strong>del</strong>la tibia. Più spessi a livello dei loro margini<br />

esterni ed assottigliantisi via via con i bordi liberi all’’interno <strong>del</strong>l’articolazione, i<br />

menischi si portano in posizione profonda nella fossa articolare per raccordarsi con i<br />

condili <strong>del</strong> femore. Essi sono inseriti ai margini esterni dei condili <strong>del</strong>la tibia e con le<br />

loro estremità anteriore e posteriore alla sua eminenza intercondiloidea. Essi sono<br />

addossati e fusi con la capsula articolare, possiedono una discreta mobilità e<br />

deformabilità che consente loro di adattarsi ai mutamenti spaziali che si verificano<br />

durante i diversi movimenti articolari; la loro funzione è di stabilizzare il movimento<br />

di scivolamento e rotolamento <strong>del</strong>l’estremità femorale, grossolanamente sferica, su<br />

una superficie piatta quale è quella <strong>del</strong>la tibia rendendo agevole e meno intenso<br />

l'attrito.<br />

Il menisco mediale è più largo e di forma quasi ovalare. Più ampio posteriormente, si<br />

assottiglia anteriormente nel punto di inserzione all’area intercondiloidea <strong>del</strong>la tibia<br />

davanti all’origine <strong>del</strong> legamento crociato anteriore.<br />

Il menisco laterale è più circolare. Per quanto più piccolo <strong>del</strong> menisco mediale, esso<br />

ricopre una parte un poco maggiore di superficie tibiale. Anteriormente, esso si<br />

inserisce all'area intercondiloidea anteriore, lateralmente e posteriormente alla<br />

estremità <strong>del</strong> legamento crociato anteriore. Posteriormente, esso termina a livello<br />

<strong>del</strong>l’area intercondiloidea posteriore davanti all’estremità <strong>del</strong> menisco mediale. Il<br />

menisco laterale è debolmente attaccato attorno al margine <strong>del</strong> condilo laterale <strong>del</strong>la<br />

tibia e manca di un attacco dove esso è incrociato dal tendine <strong>del</strong> muscolo popliteo.<br />

Nella parte posteriore <strong>del</strong>l’articolazione, il menisco laterale dà origine ad alcune <strong>del</strong>le<br />

fibre <strong>del</strong> muscolo popliteo e, in prossimità <strong>del</strong>la sua inserzione posteriore alla tibia,<br />

esso spesso dà origine ad un gruppo di fibre note come legamento menisco-femorale<br />

posteriore. Questo può unirsi al legamento crociato posteriore o può inserirsi al<br />

condilo mediale <strong>del</strong> femore posteriormente al legamento crociato. Un occasionale<br />

legamento menisco-femorale anteriore presenta rapporti simili ma in avanti con il<br />

legamento crociato posteriore.<br />

Il legamento traverso <strong>del</strong> <strong>ginocchio</strong> connette il margine convesso anteriore <strong>del</strong><br />

menisco laterale all’estremità anteriore <strong>del</strong> menisco mediale.<br />

9


1.3 Membrana sinoviale e cavità articolare<br />

La cavità articolare <strong>del</strong> <strong>ginocchio</strong> è il più grosso spazio articolare <strong>del</strong> corpo. Essa<br />

comprende lo spazio fra e attorno ai condili, si estende verso l’alto al di dietro <strong>del</strong>la<br />

patella per includere l’articolazione femoro-patellare e comunica liberamente con la<br />

borsa soprapatellare fra il tendine <strong>del</strong> muscolo quadricipite <strong>del</strong> femore ed il femore. La<br />

membrana sinoviale riveste la capsula articolare e la borsa soprapatellare. Recessi<br />

<strong>del</strong>la cavità articolare sono pure <strong>del</strong>imitati dalla membrana sinoviale; il recesso<br />

sottopopliteo è già stato descritto. Esistono altri recessi dietro la parte posteriore di<br />

ogni condilo <strong>del</strong> femore; all’estremità superiore <strong>del</strong> recesso mediale, la borsa posta<br />

sotto il capo mediale <strong>del</strong> muscolo gastrocnemio può aprirsi all’interno<br />

Il corpo adiposo infrapatellare costituisce la posizione anteriore <strong>del</strong> setto mediano che,<br />

con i legamenti crociati, separa le due articolazioni femoro-tibiali. Dai margini laterale<br />

e mediale <strong>del</strong>la superficie articolare <strong>del</strong>la patella alcune pieghe <strong>del</strong>la membrana<br />

sinoviale si spingono all’interno <strong>del</strong>l’articolazione e formano due pieghe alari<br />

frangiformi, che raccolgono raccolte di tessuto adiposo.<br />

10


1.4 Vasi e nervi.<br />

Nella regione <strong>del</strong> <strong>ginocchio</strong> esiste un’importante anastomosi <strong>del</strong> <strong>ginocchio</strong>. Essa è<br />

costituita da un plesso superficiale posto superiormente ed inferiormente alla patella,<br />

cui si associa un plesso profondo posto sulla capsula articolare <strong>del</strong>l’articolazione <strong>del</strong><br />

<strong>ginocchio</strong> e sulle adiacenti superfici ossee. Tale anastomosi prende origine dalle<br />

interconnessioni terminali di dieci vasi. Due di questi discendono al <strong>ginocchio</strong>: il ramo<br />

discendente <strong>del</strong>l’arteria circonflessa laterale <strong>del</strong> femore e l’arteria suprema <strong>del</strong><br />

<strong>ginocchio</strong> <strong>del</strong>l’arteria femorale. Cinque sono rami <strong>del</strong>l’arteria poplitea a livello <strong>del</strong><br />

<strong>ginocchio</strong>: le arterie superiore mediale, superiore laterale, media, inferiore mediale e<br />

inferiore laterale <strong>del</strong> <strong>ginocchio</strong>. Tre rami di arteria <strong>del</strong>la gamba risalgono fino<br />

all’anastomosi: le arterie ricorrente tibiale posteriore, peronea circonflessa e ricorrente<br />

tibiale anteriore. Vene che portano gli stessi nomi accompagnano tali arterie. I vasi<br />

linfatici <strong>del</strong>l’articolazione <strong>del</strong> <strong>ginocchio</strong> drenano nei linfonodi poplitei ed inguinali.<br />

I nervi <strong>del</strong>l’articolazione <strong>del</strong> <strong>ginocchio</strong> sono numerosi. Rami articolari <strong>del</strong> nervo<br />

femorale raggiungono il <strong>ginocchio</strong> tramite i nervi per i muscoli vasti ed il nervo<br />

safeno. Il ramo posteriore di divisione <strong>del</strong> nervo otturatore termina nell’articolazione,<br />

dove anche sono presenti rami articolari dei nervi tibiale e peroneo comune.<br />

11


1.5 Patella<br />

La patella o rotula, è un grosso osso sesamoideo sviluppatosi nel tendine <strong>del</strong> muscolo<br />

quadricipite <strong>del</strong> femore. La rotula ha funzione di centratura durante la contrazione <strong>del</strong><br />

quadricipite con effetto di aumentare la forza e frenare il movimento di flessione <strong>del</strong><br />

<strong>ginocchio</strong>, oltre a ripartire gli sforzi applicati al tendine rotuleo e a stabilizzare il<br />

<strong>ginocchio</strong> nei movimenti rotatori.Essa è giustapposta alla superficie articolar anteriore<br />

<strong>del</strong>l’estremità inferiore <strong>del</strong> femore e, tenendo a distanza il tendine stesso dall’estremità<br />

inferiore <strong>del</strong> femore, migliora l’angolo di inserzione <strong>del</strong> tendine sulla tuberosità<br />

tibiale. La superficie anteriore, convessa, <strong>del</strong>la patella appare striata verticalmente<br />

dalle fibre tendinee. Il margine superiore è spesso e fornisce inserzione alle fibre<br />

tendinee dei muscoli retto <strong>del</strong> femore e vasto intermedio. I margini laterale e mediale<br />

sono più sottili: essi ricevono le fibre provenienti dai muscoli vasto laterale e vasto<br />

mediale. Tali margini convergono verso l’apice, appuntito, <strong>del</strong>la patella il quale dà<br />

inserzione al legamento patellare. La superficie articolare è un’area liscia ovolare,<br />

divisa in due faccette da un rilievo verticale. Il rilievo si adatta al solco <strong>del</strong>la superficie<br />

patellare <strong>del</strong> femore e la faccetta mediale e laterale vanno a corrispondere alla<br />

superficie <strong>del</strong> femore che le fronteggia. La faccetta laterale è più profonda rispetto a<br />

quella mediale. Inferiormente all’area articolare <strong>del</strong>le faccette esiste una porzione<br />

rugosa, non articolare, dalla quale origina la metà inferiore <strong>del</strong> legamento patellare.<br />

La patella mantiene un contatto mobile con il femore in tutte le posizioni <strong>del</strong><br />

<strong>ginocchio</strong>. Allorché il <strong>ginocchio</strong> si sposta da una posizione di completa estensione ad<br />

una posizione di completa flessione, prima la parte superiore, poi quella media ed<br />

infine quella inferiore <strong>del</strong>la patella vengono a contatto con la superficie patellare <strong>del</strong><br />

femore.<br />

L’ossificazione avviene con partenza da un singolo centro, il quale compare all’inizio<br />

<strong>del</strong> terzo anno di vita. L’ossificazione completa si attua all’età di circa 13 anni nel<br />

maschio e di circa 10 anni nella femmina.<br />

12


1.6 I muscoli<br />

I muscoli che agiscono sull'articolazione <strong>del</strong> <strong>ginocchio</strong> possono essere suddivisi in<br />

anteriori e posteriori in base alla posizione rispetto all'asse trasversale<br />

<strong>del</strong>l'articolazione dei loro tendini distali.<br />

Anteriori<br />

Quadricipite femorale: è il muscolo estensore <strong>del</strong> <strong>ginocchio</strong> ed è tre volte più potente<br />

dei flessori.<br />

È formato da quattro muscoli che si inseriscono con un tendine terminale sulla<br />

tuberosità anteriore <strong>del</strong>la tibia, in quanto il legamento rotuleo può essere considerato<br />

come una continuazione <strong>del</strong> tendine <strong>del</strong> quadricipite che si inserisce alla base <strong>del</strong>la<br />

rotula. Tre muscoli sono monoarticolari: il vasto intermedio (che origina dalla parte<br />

anteriore <strong>del</strong>la diafisi femorale) il vasto mediale ( che origina dal labbro mediale <strong>del</strong>la<br />

linea aspra <strong>del</strong> femore arrivando prossimalmente sino all'estremità inferiore <strong>del</strong>la linea<br />

trocanterica) il vasto laterale ( che origina dal labbro laterale <strong>del</strong>la linea aspra <strong>del</strong><br />

femore arrivando in alto sino alla base <strong>del</strong> grande trocantere). Il retto femorale è<br />

invece biarticolare originando con due distinti tendini dalla spina iliaca anteriore<br />

inferiore e dal margine superiore <strong>del</strong>l'acetabolo.<br />

Posteriori<br />

Bicipite femorale: il capo lungo origina dalla tuberosità ischiatica, il capo breve dalla<br />

linea aspra <strong>del</strong> femore; i due capi si riuniscono in un tendine distale che si inserisce<br />

sulla testa <strong>del</strong> perone. Questo muscolo è un importante flessore <strong>del</strong> <strong>ginocchio</strong> ed a<br />

<strong>ginocchio</strong> flesso ruota all'esterno la gamba .<br />

Semimembranoso: origina dalla tuberosità ischiatica e si inserisce a livello <strong>del</strong><br />

condilo mediale tibiale, posteriormente .<br />

Semitendinoso: origina dalla tuberosità ischiatica e si porta alla faccia mediale <strong>del</strong>la<br />

tibia. Questi ultimi due muscoli sono flessori <strong>del</strong> <strong>ginocchio</strong> ed a <strong>ginocchio</strong> flesso<br />

agiscono come intrarotatori. Il bicipite femorale, il semimembranoso ed Il<br />

semitendinoso costituiscono il gruppo dei muscoli ischiocrurali. Il semitendinoso<br />

inoltre fa parte dei muscoli <strong>del</strong>la zampa d'oca, insieme con il sartorio ed il gracile .<br />

Sartorio: origina dalla spina iliaca anteriore superiore e termina alla faccia mediale<br />

<strong>del</strong>la tibia presso la tuberosità anteriore .<br />

Gracile (o retto interno): origina vicino alla sinfisi pubica e termina alla faccia<br />

mediale <strong>del</strong>la tibia I muscoli ischiocrurali sono estensori <strong>del</strong>l'anca e fiessori <strong>del</strong><br />

<strong>ginocchio</strong> e la loro azione in tale senso è legata alla posizione <strong>del</strong>l'anca.<br />

Il sartorio è soprattutto fiessore, abduttore, rotato re esterno <strong>del</strong>l'anca, oltre che<br />

fiessore <strong>del</strong> <strong>ginocchio</strong>; il gracile agisce invece come adduttore <strong>del</strong>l'anca ed<br />

accessoriamente come fiessore <strong>del</strong>l'anca, fiessore <strong>del</strong> <strong>ginocchio</strong>, intrarotatore <strong>del</strong><br />

<strong>ginocchio</strong>.<br />

13


Popliteo: nasce dal condilo femorale laterale per terminare alla linea poplitea <strong>del</strong>la<br />

tibia; agisce come intrarotatore <strong>del</strong>la gamba e contribuisce alla flessione <strong>del</strong> <strong>ginocchio</strong><br />

sbloccandola dalla condizione di rotazione esterna che si stabilisce automaticamente<br />

al termine <strong>del</strong>l'estensione<br />

Gastrocnemio: origina .dalle regioni sovracondiloidee mediale e laterale <strong>del</strong> femore<br />

per terminare, insieme al soleo, alla faccia posteriore <strong>del</strong> calcagno. E un flessore<br />

ausiliario <strong>del</strong> <strong>ginocchio</strong> ma è soprattutto un flessore piantare <strong>del</strong> piede.<br />

Tensore <strong>del</strong>la fascia lata che rinforza l'azione degli estensori a <strong>ginocchio</strong> esteso ed<br />

agisce come rotatore esterno.<br />

14


Introduzione<br />

Capitolo 2<br />

TRAUMI DEL GINOCCHIO<br />

Il <strong>ginocchio</strong> è l’articolazione più soggetta a traumi nella pratica di quegli sport in<br />

cui l’atleta deve eseguire con gli arti inferiori gesti tecnici ad elevata velocità<br />

(spostamenti laterali e antero-posteriori) con arresti bruschi <strong>del</strong> movimento o<br />

quando l’atleta effettua salti ripetuti. Dopo un trauma distorsivo è importante la<br />

ricostruzione <strong>del</strong>l’accaduto con l’atleta, per intervenire nel modo più corretto: le<br />

modalità con cui è avvenuto l’incidente, la percezione da parte <strong>del</strong>l’atleta di<br />

rumori tipo “crack” all’interno <strong>del</strong>l’articolazione e la sensazione di instabilità<br />

articolare sono segni di una probabile distorsione grave. Generalmente, inoltre,<br />

una distorsione grave non consente la prosecuzione <strong>del</strong>la prestazione sportiva e<br />

spesso impedisce addirittura la deambulazione o il semplice carico<br />

sull’articolazione stessa: di conseguenza essere in grado di continuare l’attività<br />

sportiva è quasi sempre segno di un trauma distorsivo di grado lieve. In presenza<br />

di una tumefazione <strong>del</strong> <strong>ginocchio</strong> occorre indagare se il gonfiore sia comparso<br />

precocemente già dalle prime ore consecutive al trauma, o si sia instaurato<br />

lentamente nel corso di un paio di giorni: un edema precoce è spesso dovuto ad un<br />

emartro da lacerazione di strutture vascolarizzate, quali il legamento crociato<br />

anteriore ed il margine meniscale. Nel caso di emartro è possibile riscontrare<br />

l’aumento <strong>del</strong>la temperatura locale nei confronti <strong>del</strong> <strong>ginocchio</strong> controlaterale. Di<br />

fronte ad un probabile emartro occorre consigliare il ricovero in un reparto di<br />

traumatologia; per il trasporto è bene provvedere ad immobilizzare l’arto,<br />

mettendo sul <strong>ginocchio</strong> una borsa di ghiaccio, e somministrare un analgesico.<br />

Nella maggior parte <strong>del</strong>le distorsioni, il trauma sollecita il <strong>ginocchio</strong> in abduzione<br />

e rotazione esterna, per cui il dolore è localizzato sulla faccia mediale <strong>del</strong><br />

<strong>ginocchio</strong> in corrispondenza <strong>del</strong>l’inserzione prossimale <strong>del</strong> legamento collaterale<br />

interno. Il dolore impedisce, a causa di una contrattura muscolare antalgica di<br />

difesa, 1’estensione completa <strong>del</strong>la gamba. Il trattamento, in assenza di una<br />

rilevante obiettività, consiste in un periodo di riposo assoluto a letto, con un<br />

cuscino sotto il <strong>ginocchio</strong> in modo da consentire una postura senza dolore. Sulla<br />

faccia mediale <strong>del</strong> <strong>ginocchio</strong> si può applicare uno strato di pomata contenente<br />

eparina, ricoperta da un sottile strato di plastica, ponendovi sopra, ad intervalli,<br />

una borsa <strong>del</strong> ghiaccio. E’ opportuno somministrare dei farmaci miorilassanti, per<br />

favorire 1’estensione <strong>del</strong> <strong>ginocchio</strong>, diminuendo di pari passo lo spessore <strong>del</strong><br />

cuscino fino a toglierlo <strong>del</strong> tutto. In seguito il medico, a seconda <strong>del</strong>l’entità <strong>del</strong><br />

dolore, effettuerà una fasciatura elastica adesiva che sarà mantenuta per una<br />

settimana, o una doccia gessata posteriore che dovrà essere portata per 15-20<br />

giorni.<br />

15


L’immobilizzazione protratta ha effetti assai sfavorevoli su qualsiasi organo.<br />

Poiché l’’immobilità spesso prolunga e ostacola il programma riabilitativo, è<br />

necessario che la sua durata venga ridotta al minimo e che essa sia limitata quanto<br />

più possibile al solo organo o segmento interessato.Anche un’immobilizzazione di<br />

sole 24 ore può dare inizio a fenomeni di retrazione capsulare,dei tessuti molli e<br />

<strong>del</strong>la muscolatura periarticolare .Un’immobilizzazione <strong>del</strong>la durata di due<br />

settimane può essere responsabile di retrazioni la cui correzione necessita di mesi<br />

di terapia; dopo due mesi di immobilizzazione forzata è frequentemente necessario<br />

ricorrere a interventi chirurgici.Le retrazioni possono essere prevenute con<br />

l’immobilizzazione in posizione fisiologica, con la mobilizzazione precoce e con<br />

l’esecuzione, almeno ogni 8 ore, di esercizi di mobilizzazione attiva o passiva di<br />

tutte le articolazioni interessate. Una volta instaurate, le retrazioni articolari<br />

vengono trattate mediante esercizi di mobilizzazione passiva associati a manovre<br />

di stiramento graduale e protratto, mediante applicazione di ortesi dinamiche e con<br />

interventi chirurgici di detenzione.<br />

L’immobilità prolungata inoltre riduce la forza <strong>del</strong> muscolo, la sua resistenza e<br />

le sue funzioni aerobiche. L’alterazione <strong>del</strong>la funzione muscolare si manifesta con<br />

la scarsa coordinazione e con la diminuzione <strong>del</strong> movimento. L’ipostenia<br />

secondaria a disuso o a immobilizzazione può essere prevenuta ricorrendo a un<br />

programma di esercizi di contrazione muscolare, di elettrostimolazione e di<br />

esercizi isometrici.Le sollecitazioni dovute al carico e alla trazione muscolare<br />

mantengono il normale contenuto calcico <strong>del</strong>l’’osso. L’immobilità e la sottrazione<br />

dal carico riducono significativamente questo tipo di sollecitazioni, in carenza<br />

<strong>del</strong>le quali l’attività osteoclastica viene a prevalere sull’’attività osteoblastica:<br />

dopo un certo periodo è infatti possibile osservare un aumento <strong>del</strong>l’’escrezione<br />

urinaria <strong>del</strong> calcio. L’osteopenia che ne deriva indebolisce l’’osso, esponendolo al<br />

rischio di fratture patologiche. La decalcificazione può essere prevenuta con<br />

l’’immobilizzazione in posizione antigravitaria. Quando sia immobilizzato un solo<br />

arto, l’elettrostimolazione con correnti a bassa intensità può determinare un<br />

aumento <strong>del</strong>l’’attività osteoformativa.L’apparato cardio-vascolare risponde<br />

all’immobilizzazione prolungata con l’’ipotenzione posturale, con la diminuzione<br />

<strong>del</strong>la resistenza allo sforzo e con manifestazioni troboflebitiche.Tutte queste<br />

complicanze possono essere prevenute dalla mobilizzazione precoce e dalla terapia<br />

fisica. L’’allettamento e la deprivazione di stimoli sensitivi che da esso deriva<br />

esercita un’influenza negativa sul sistema nervoso, peggiorando la coordinazione<br />

motoria e riducendo la capacità intellettiva. La deprivazione sensoriale è causa di<br />

confusione e di disorientamento, che a loro volta favoriscono la comparsa di<br />

sindromi ansiose e depressive.L’immobilizzazione inoltre aumenta la dipendenza<br />

<strong>del</strong> paziente: la durata <strong>del</strong> periodo di immobilizzazione è direttamente<br />

proporzionale alle difficoltà <strong>del</strong>la terapia riabilitativa e <strong>del</strong> ritorno all’autonomia.<br />

La comparsa di piaghe da decupito in un paziente costretto a letto rappresenta<br />

un’evenienza frequente, prevedibile e costosa. La causa principale <strong>del</strong>le piaghe<br />

risiede nella compressione protratta; la posizione <strong>del</strong> paziente costretto a letto o su<br />

16


una sedia a rotelle o immobilizzato in un apparecchio gessato deve essere<br />

frequentemente cambiata. Per la prevenzione è fondamentale l’attenta sorveglianza<br />

<strong>del</strong>le zone solitamente esposte a necrosi da compressione. Trascorso il periodo di<br />

immobilizzazione, 1’atleta dovrà effettuare un trattamento riabilitativo ed una<br />

graduale ripresa <strong>del</strong>l’attività sportiva. In caso di lesioni più gravi il trattamento di<br />

elezione dovrà essere quello chirurgico.<br />

L'epidemiologia traumatica sportiva cerca di analizzare l'incidenza <strong>del</strong>le lesioni<br />

sportive che avvengono per determinate gestualità sportive tenendo conto <strong>del</strong> tipo di<br />

popolazione praticante, <strong>del</strong> luogo in cui si effettua lo sport e <strong>del</strong>le modalità di<br />

insorgenza traumatica (Articolo “Epidemiologia traumatica nello sport” -Dr.Volpi -<br />

Centro di Traumatologia <strong>del</strong>lo Sport e di Chirurgia Artroscopica - Istituto Ortopedico<br />

Galeazzi – Milano).<br />

Notevoli sono le difficoltà a comparare studi epidemiologici diversi in quanto fra i<br />

vari lavori presenti in letteratura spesso non c'e uniformità nel definire le lesioni o nel<br />

raccogliere i dati in modo uguale in quanto vengono di volta in volta presi in<br />

considerazione parametri differenti circa il livello sportivo, le modalità traumatiche, i<br />

meccanismi lesivi, ecc..<br />

E' un dato certo che la popolazione sportiva negli ultimi 25 anni è considerevolmente<br />

aumentata per numero, e per impegno: infatti è incrementato il "range" di età (più<br />

bambini, più anziani), sono aumentate le donne che praticano sport, fra le varie scelte<br />

a disposizione si sono affermati nuovi sport quali il calcetto, lo squash, il beach volley<br />

e altri ancora, infine è notevolmente cresciuto l'agonismo e la competitività nelle<br />

manifestazioni sportive a tutti i livelli. L'incidenza <strong>del</strong>le lesioni può essere raccolta in<br />

molti modi, per numero di lesioni per 1000 atleti, per numero di lesioni per stagione,<br />

per gara, per allenamento, per espositività per atleta o per sport, ecc. Inoltre numerosi<br />

sono i fattori in causa che possono modificare o variare ogni ricerca epidemiologica<br />

quali l'età <strong>del</strong> praticante, il livello di competizione, la diffusione loco-regionale o<br />

nazionale per quel tipo di sport, le competenze <strong>del</strong>l'allenatore o <strong>del</strong> preparatore, il tipo<br />

di sport (alta o bassa lesività traumatica), ecc.<br />

Le lesioni possono essere suddivise in acute cioè dovute ad un singolo episodio<br />

macrotraumatico e in croniche cioè dovute a episodi microtraumatici ripetuti nel<br />

tempo e spesso conseguenti alle sollecitazioni gestuali tipiche di ogni sport. E'<br />

indubbio che solo attraverso una conoscenza diretta dei dati epidemiologici si possa<br />

meglio applicare i principi di prevenzione per ridurre e contenere il numero e la<br />

gravità <strong>del</strong>le lesioni di quel tipo di sport, così come solo approfondendo le conoscenze<br />

biomeccaniche dei gesti sportivi, <strong>del</strong>le attrezzature e dei materiali si possa pretendere<br />

di rispettare i carichi di lavoro negli allenamenti, i tempi di recupero fra una<br />

competizione e l'altra, la protezione necessaria al fine che lo sport non rappresenti un<br />

danno ma bensì un bene per tutti coloro che lo praticano.<br />

17


Le lesioni acute possono essere di due tipi:<br />

DA SOVRACCARICO FUNZIONALE<br />

sollecitazione articolare abnorme e/o eccessivamente ripetuta<br />

TRAUMATICHE<br />

cadute o colpi diretti<br />

PATOLOGIA DA SOVRACCARICO FUNZIONALE<br />

La ripetizione di gesti sportivi, o comunque di movimenti specifici, per tempi lunghi e<br />

ad intensità elevata, può determinare un’azione meccanico-traumatica sulle strutture<br />

interessate; ciò può venire facilitato da difetti di assialità articolare o da postumi di un<br />

trauma acuto: questa situazione si definisce di “sovraccarico funzionale”. L’attività<br />

fisica in genere e le tecniche di allenamento che ricorrono all’impiego di esercizi<br />

contro resistenza e con sovraccarichi (pesi), indubbiamente possono esercitare effetti<br />

lesivi sulle strutture <strong>del</strong>l’apparato muscolo-scheletrico e anche su legamenti e tendini.<br />

Analoghe azioni lesive possono essere determinate dalle risposte elastiche fornite<br />

dalle pavimentazioni plastiche <strong>del</strong>le palestre o, in particolare, da superfici troppo dure<br />

che causano un incremento dei microtraumi sull’atleta. Queste azioni traumatiche<br />

esterne ed interne inducono sui tessuti alterazioni <strong>del</strong>la componente cellulare con<br />

insorgenza <strong>del</strong> noto processo difensivo e riparativo locale, che prende il nome di<br />

“infiammazione”. Tale reazione che risulta clinicamente evidente nei traumi acuti<br />

(contusioni e distrazioni muscolari, distorsioni articolari), nelle lesioni da<br />

sovraccarico funzionale, essendo inferiore, anche se reiterata, l’entità <strong>del</strong> singolo<br />

stimolo traumatico, assume minore rilevanza. Gli esempi più tipici di queste lesioni<br />

sono le tendiniti rotulee ed achillee; in queste, tuttavia, qualora la causa<br />

microtraumatica si ripeta incessantemente nel tempo, come in genere accade<br />

nell’attività sportiva, possono concomitare processi degenerativi che a volte diventano<br />

prevalenti. Le strutture tendinee, infatti, possono adattarsi a sollecitazioni funzionali<br />

quantitativamente abnormi, ma ciò avviene solo entro certo limiti, che vengono<br />

spesso superati nell’attività sportiva ad alto livello di impegno. E’ indubbio che nelle<br />

lesioni da sovraccarico funzionale il fattore meccanico ha una sua individualità lesiva<br />

tipica e ben definita, ma è altrettanto vero che le complesse componenti anatomiche,<br />

vascolari, neuro-umorali e metaboliche ne possono condizionare in molti casi<br />

l’insorgenza o quanto meno le modalità ed i tempi di evoluzione. Risulta quindi<br />

comprensibile come, a parità di esposizione traumatica, solamente un certo numero di<br />

atleti presenti lesioni da sovraccarico funzionale clinicamente evidenti. La<br />

sintomatologia comune è rappresentata, fondamentalmente, dal dolore di differente<br />

entità; questo sintomo appare correlato alle sollecitazioni funzionali, è provocato dalla<br />

digitopressione, può essere limitato o esteso a seconda <strong>del</strong>la zona interessata. Alla<br />

ispezione l’obiettività risulta scarsa ove si eccettui il caso <strong>del</strong>le tendiniti, in cui si può<br />

apprezzare l’aumento di volume <strong>del</strong> tendine. Nella patologia da sovraccarico<br />

funzionale, essendo l’obiettività clinica spesso non molto manifesta, risulta utile<br />

l’impiego diagnostico di alcune tecniche strumentali come la radiografia a raggi<br />

molli, la xeroradiografia, la teletermografia a colori, l’ecografia. L’esame radiografico<br />

18


a raggi molli, effettuato cioè mediante radiazioni a debole penetrazione, risulta<br />

particolarmente valido nella patologia inserzionale da sport. La xeroradiografia, ormai<br />

poco utilizzata a causa <strong>del</strong>l’elevata quantità di radiazioni dannose a cui viene esposto<br />

l’atleta nell’esecuzione <strong>del</strong>l’esame, può offrire alla osservazione quadri<br />

particolarmente utili dal punto di vista anatomo-patologico. La teletermografia, con i<br />

miglioramenti tecnici raggiunti, permette di realizzare <strong>del</strong>le mappe termiche <strong>del</strong>la<br />

regione cutanea in esame perfettamente tarate e ripetibili nel tempo; va sottolineato il<br />

suo indubbio valore discriminativo fra forme infiammatorie e degenerative e<br />

nell’ambito degli stadi intermedi. Attualmente, comunque, in tutte quelle <strong>patologie</strong> da<br />

sovraccarico che interessano i tendini, l’ecografia sembra essere la metodica in grado<br />

di fornire il maggior aiuto per una diagnosi corretta e soprattutto per una verifica dei<br />

risultati terapeutici, senza peraltro pericoli per l’organismo anche in caso di ripetizioni<br />

<strong>del</strong>l’esame, a differenza di altre metodiche che possono al contrario, pur se valide,<br />

risultare dannose. Comunque, nonostante i recenti progressi sia nel campo <strong>del</strong>le<br />

metodiche strumentali d’indagine che <strong>del</strong>l’istochimica, nonché <strong>del</strong>la biomeccanica<br />

applicata al gesto sportivo, la reale essenza <strong>del</strong>le lesioni da sovraccarico non è stata<br />

<strong>del</strong> tutto chiarita. E’ per questi motivi che nella definizione <strong>del</strong>la patologia da<br />

sovraccarico funzionale hanno incontrato il favore degli esperti dei termini che<br />

indicano, accanto alla regione interessata, talvolta solo il gesto tecnico responsabile<br />

senza ulteriori informazioni circa la natura, flogistica o degenerativa <strong>del</strong>la lesione.<br />

19


2.1 Le lesioni meniscali<br />

Le lesioni meniscali sono piuttosto frequenti, colpiscono soggetti di qualsiasi<br />

età e possono coinvolgere il corpo <strong>del</strong> menisco, il corno anteriore e quello<br />

posteriore; si dividono in radiali, orizzontali e verticali; esistono poi altri tipi<br />

di lesione, che meritano di essere ricordate per la loro frequenza anche se<br />

possono rientrare nella classificazione precedente e sono la lesione a "manico<br />

di secchia" e le lesioni degenerative, che possono assumere caratteristiche<br />

complesse per combinazione dei diversi tipi di lesione.<br />

Le lesioni <strong>del</strong> menisco mediale sono insieme alla lesione <strong>del</strong> collaterale mediale le<br />

più comuni lesioni <strong>del</strong> <strong>ginocchio</strong>. Le ragioni <strong>del</strong>la alta frequenza <strong>del</strong>le lesioni<br />

meniscali sono da ricercarsi nell’anatomia <strong>del</strong> menisco mediale che risulta adattarsi<br />

peggio <strong>del</strong> menisco laterale alle dislocazioni ed inoltre alla maggior frequenza dei<br />

traumatismi in valgismo <strong>del</strong> <strong>ginocchio</strong> con intrarotazione <strong>del</strong> femore rispetto al<br />

piatto tibiale (il piede fa da perno).<br />

Il menisco mediale può inoltre essere soggetto alla lesione degenerativa, cioè<br />

essere "consumato" nell'attrito che si sviluppa tra tibia e femore, nel caso essi non<br />

siano perfettamente allineati. Questo tipo di lesione è classica dei soggetti con età<br />

superiore ai 40 anni ed è un segno iniziale <strong>del</strong>l'artrosi.<br />

Clinicamente vi è presenza di forte dolore, tumefazione, impotenza<br />

funzionale, è perciò necessario attendere un paio di settimane per poter<br />

effettuare una diagnosi precisa <strong>del</strong> tipo di lesione e di quelle eventualmente<br />

associate.<br />

La diagnosi può essere più semplice quando vi sia la presenza di un blocco<br />

articolare come nelle lesioni a manico di secchia oppure complessa come<br />

nelle lesioni degenerative; in generale è possibile apprezzare una dolenzia<br />

localizzata all’emirima mediale. Il test specifico per la diagnosi è quello di<br />

Steinman con paziente sdraiato sul lettino, <strong>ginocchio</strong> flesso a 90°, cadente dal<br />

lettino, e movimenti di extrarotazione che suscitano dolore all’emirima<br />

mediale nel caso vi sia la lesione sospettata.<br />

Le lesioni <strong>del</strong> menisco laterale hanno una frequenza minore rispetto a quelle<br />

<strong>del</strong> menisco mediale poichè il menisco laterale è più grande ed è in grado di<br />

sopportare meglio gli spostamenti. Inoltre il meccanismo traumatico è più<br />

insolito, essendo dovuto a traumatismi in extrarotazione <strong>del</strong> femore sulla<br />

gamba.<br />

La clinica è sovrapponibile a quella <strong>del</strong>la lesione <strong>del</strong> menisco mediale, ovviamente<br />

riferita alla rima articolare laterale, così come la terapia.<br />

20


La risonanza magnetica (RMN) può essere dirimente nei casi in cui la diagnosi sia<br />

più difficile, normalmente lo specialista ortopedico è in grado di diagnosticare con<br />

attendibilità <strong>del</strong> 90% un'eventuale lesione.<br />

21


2.2 Rotture meniscali.<br />

La rottura <strong>del</strong> menisco può manifestarsi a qualsiasi età. In generale ci si procura una<br />

rottura <strong>del</strong> menisco in seguito ad una distorsione con il <strong>ginocchio</strong> flesso a circa 20° e il<br />

piede bloccato a terra: è la classica distorsione di <strong>ginocchio</strong> <strong>del</strong> calciatore. Un altro<br />

meccanismo, per lo più osservato negli atleti meno giovani, è rappresentato da<br />

un'iperflessione seguita dal ritorno in piedi. Il menisco mediale, schiacciato dal condilo<br />

femorale mediale, si rompe: la parte lesionata può lussarsi nella gola intercondiloidea,<br />

dando luogo al vero "blocco meniscale" (impossibilità ad estendere completamente il<br />

<strong>ginocchio</strong>). Siamo di fronte alla classica rottura a manico di secchio <strong>del</strong> menisco<br />

mediale.<br />

Due cartilagini semilunari, i menischi mediale e laterale, aumentano la congruenza<br />

articolare <strong>del</strong> <strong>ginocchio</strong> e svolgono una funzione di ammortizzazione. Le<br />

fibrocartilagini meniscali, che hanno forma a “C”, sono frequentemente sede di lesioni<br />

traumatiche, per lo più secondarie a sollecitazioni di tipo torsionale. Le lacerazioni<br />

possono interessare l’uno o l’altro dei menischi o entrambi contemporaneamente. La<br />

rottura meniscale diviene sintomatica allorché la porzione lacerata divenuta mobile,<br />

scivolando si interpone fra le superfici articolari <strong>del</strong> femore e <strong>del</strong>la tibia. I pazienti con<br />

rottura e lussazione meniscale spesso lamentano dolore a livello <strong>del</strong>la rima articolare e<br />

blocco <strong>del</strong>l’estensione, <strong>del</strong>la flessione o di entrambi i movimenti. Spesso il <strong>ginocchio</strong><br />

presenta cedimenti e versamenti recidivanti.<br />

La lesione a manico di secchio consiste in una lacerazione longitudinale <strong>del</strong><br />

menisco. La porzione lacerata resta unita ai corni anteriore e posteriore, La porzione<br />

instabile (il manico <strong>del</strong> secchio) che si lussa all’interno <strong>del</strong>la gola intercondiloidea<br />

impedisce la completa estensione <strong>del</strong> <strong>ginocchio</strong>. Il paziente può essere capace di<br />

portare manualmente il <strong>ginocchio</strong> in completa estensione, e ciò spesso avviene con un<br />

rumore chiaramente udibile e con uno scatto apprezzabile con la palpazione. Questo<br />

suono e la transitoria risoluzione <strong>del</strong>la sintomatologia testimoniano la riduzione <strong>del</strong>la<br />

porzione <strong>del</strong> manico di secchio in posizione normale.<br />

Le piccole rotture a decorso radiale sono inizialmente causa di una sintomatologia<br />

assai sfumata; se non trattate possono evolvere in rotture “a becco di pappagallo”, più<br />

ampie e più sintomatiche. Il lembo mobile <strong>del</strong> menisco è responsabile di segni di<br />

origine meccanica, quali versamenti recidivanti, cedimenti e sensazioni di blocco. Le<br />

lacerazioni orizzontali si presentano come <strong>del</strong>aminazioni <strong>del</strong> tessuto meniscale; se<br />

trascurate danno frequentemente luogo alla formazione di un lembo meniscale, che<br />

può essere responsabile di segni meccanici.<br />

Quando la porzione instabile <strong>del</strong> menisco resta incarcerata nella gola<br />

intercondiloidea, il <strong>ginocchio</strong> va incontro a blocco. Un blocco articolare può essere<br />

dovuto anche a un corpo libero o a un moncone residuo <strong>del</strong> legamento crociato<br />

anteriore lacerato. Questa situazione richiede un intervento urgente; i tentativi di<br />

carico e di mobilizzazione, infatti, provocano lesioni erosive gravi e permanenti a<br />

carico <strong>del</strong>le superfici articolari <strong>del</strong> femore e <strong>del</strong>la tibia. Allo scopo di ridurre le<br />

sollecitazioni traumatiche sulla cartilagine articolare, durante l’artroscopia viene<br />

22


asportata solamente la porzione <strong>del</strong> menisco interessata. Nel corso <strong>del</strong>l’intervento è<br />

possibile che, con il paziente anestetizzato, si verifichi la spontanea riduzione <strong>del</strong><br />

blocco. Una volta indotta l’anestesia, il <strong>ginocchio</strong> viene esaminato alla ricerca di<br />

eventuali instabilità legamentose, dopo di che si procede all’intervento artroscopico.<br />

In presenza di rottura meniscale, la porzione lacerata viene asportata con l’apposito<br />

strumentario.<br />

Poiché il terzo esterno <strong>del</strong> menisco è vascolarizzato, è possibile che le piccole<br />

lacerazioni periferiche localizzate in questa zona guariscano. Le lacerazioni<br />

periferiche di dimensioni superiori possono venire riparate artroscopicamente<br />

mediante suture che accollano la porzione a manico di secchio alla parte meniscale<br />

vascolarizzata.<br />

Il programma riabilitativo che segue all’artroscopia e alla menisctectomia parziale<br />

prevede generalmente un periodo assai breve di immobilizzazione, l’inizio immediato<br />

<strong>del</strong> carico e la fisioterapia precoce. Questa consiste nella rieducazione al passo, nella<br />

mobilizzazione attiva e passiva e negli esercizi di rinforzo <strong>del</strong>la muscolatura<br />

quadricipitale. Dopo sutura meniscale è preferibile attendere alcune settimane prima<br />

di intraprendere la fisioterapia e la mobilizzazione articolare.<br />

23


2.3 Fratture <strong>del</strong>la rotula<br />

La rotula va incontro a frattura quando la sua resistenza intrinseca, sommata a<br />

quella <strong>del</strong>l’espansione quadricipitale, viene superata dalla trazione esercitata dal<br />

muscolo quadricipite. Le fratture sono solitamente causate da traumi indiretti,<br />

soprattutto nei casi in cui il quadricipite si contrae violentemente nel tentativo di<br />

estendere il <strong>ginocchio</strong> che si trova in flessione forzata. Il paziente inciampa, avverte il<br />

dolore di rottura, sente uno scroscio e cade allorché si verifica la frattura <strong>del</strong>la rotula.<br />

Immediatamente dopo la frattura, se il quadricipite continua a contrarsi e il <strong>ginocchio</strong><br />

a flettersi, si verifica la lacerazione dei legamenti alari mediale e laterale. Il grado<br />

<strong>del</strong>la loro lacerazione condiziona l’entità <strong>del</strong>la diastasi dei frammenti rotulei. Le<br />

fratture da trauma indiretto hanno solitamente decorso trasversale e talvolta sono<br />

comminute.<br />

La rotula, osso sesamoide, è inoltre esposta alle lesioni derivanti da traumi diretti.<br />

L’urto <strong>del</strong> <strong>ginocchio</strong> contro il cruscotto di un’automobile o una caduta a terra spesso<br />

determinano fratture gravemente comminute. Si tratta per lo più di fratture composte:<br />

se la sintomatologia dolorosa non è eccessiva, il paziente è in grado di estendere<br />

attivamente il <strong>ginocchio</strong>. Le fratture verticali sono rare e solitamente la loro<br />

scomposizione è minima.<br />

Le fratture composte vengono trattate immobilizzando il <strong>ginocchio</strong> in estensione<br />

completa con una ginocchiera o con una doccia gessata. La consolidazione richiede<br />

circa sei settimane; trascorso tale periodo è possibile iniziare la mobilizzazione attiva<br />

e cauti esercizi di mobilizzazione passiva. Le fratture trasversali con diastasi superiore<br />

a qualche millimetro richiedono il trattamento chirurgico; i frammenti devono essere<br />

ridotti in posizione anatomica. I retinacula mediale e laterale vengono ricostruiti e i<br />

frammenti ossei vengono sintetizzati con cerchiaggio dinamico “a 8” attorno a due<br />

chiodi di Steinmann paralleli. L’estensione completa <strong>del</strong> <strong>ginocchio</strong> non deve essere<br />

consentita prima <strong>del</strong>la consolidazione completa.<br />

Nelle fratture <strong>del</strong> polo prossimale o distale con grave comminuzione viene eseguita<br />

una patellectomia parziale allo scopo di conservare almeno una metà <strong>del</strong>la superficie<br />

articolare. Il tendine quadricipitale o il legamento rotuleo vengono reinseriti alla<br />

porzione residua <strong>del</strong>la rotula e i retinacula mediale e laterale vengono ricostruiti. Il<br />

<strong>ginocchio</strong> viene quindi immobilizzato in estensione completa con una ginocchiera o<br />

con una doccia gessata per sei settimane; successivamente è possibile iniziare la<br />

mobilizzazione protetta e il carico diretto. La patellectomia viene presa in<br />

considerazione solo nel caso di fratture severamente comminute, dato che<br />

l’asportazione <strong>del</strong>la rotula compromette gravemente la biomeccanica <strong>del</strong>l’apparato<br />

estensore.<br />

Le fratture osteocondrali sono causate da un meccanismo completamente diverso.<br />

Durante una manovra forzata di riduzione di lussazione laterale <strong>del</strong>la rotula, dalla sua<br />

faccetta mediale ( e più raramente dal condilo femorale laterale) può distaccarsi un<br />

frammento osseo. La sintomatologia clinica è allora caratterizzata dal dolore lungo il<br />

versante anteromediale <strong>del</strong> <strong>ginocchio</strong>, da spiccata tumefazione dovuta a emartro, da<br />

blocco meccanico e da scroscio articolare. I frammenti possono essere interamente<br />

24


cartilaginei e quindi risultare difficilmente visibili all’esame radiografico standard,<br />

mentre la loro visualizzazione è possibile nelle proiezioni assiali <strong>del</strong>la rotula. Il<br />

frammento mobile viene solitamente rimosso artroscopicamente; quando il frammento<br />

sia di dimensioni notevoli, è possibile la sua sintesi.<br />

25


2.4 Rotture <strong>del</strong> tendine quadricipitale e <strong>del</strong> legame rotuleo<br />

Le lesioni <strong>del</strong>l’apparato quadricipitale, che sono generalmente più frequenti<br />

nell’anziano, si verificano solitamente durante la contrazione attiva <strong>del</strong> quadricipite<br />

sul <strong>ginocchio</strong> in flessione forzata . Il tendine può risultare indebolito per fenomeni<br />

involutivi legati all’invecchiamento o per alterazioni secondarie ad artrite psoriasica,<br />

artrite reumatoide, arteriosclerosi, gotta, iperparatiroidismo, diabete, insufficienza<br />

renale cronica o terapia steroidea.<br />

Al momento <strong>del</strong> trauma il paziente accusa un dolore improvviso, che può essere<br />

associato a sensazione di lacerazione a carico <strong>del</strong> <strong>ginocchio</strong>. All’esame clinico il<br />

riscontro più importante è costituito dall’impossibilità di estendere attivamente e<br />

completamente il <strong>ginocchio</strong> contro gravità. Il paziente inoltre può non essere in grado<br />

di mantenere esteso il <strong>ginocchio</strong>, una volta che questo sia stato portato passivamente<br />

in estensione. I soggetti con rottura <strong>del</strong> tendine quadricipitale o <strong>del</strong> legamento rotuleo<br />

possono riuscire a estendere attivamente il <strong>ginocchio</strong> fino a 10° dall’estensione<br />

completa, quando i retinacula mediale o laterale siano integri. In caso di ampia<br />

diastasi <strong>del</strong> tendine o <strong>del</strong> legamento associata ad interessamento dei retinacula mediale<br />

e laterale, l’’estensione attiva risulta assai difficile.<br />

La palpazione <strong>del</strong> <strong>ginocchio</strong> rivela la presenza di un ematoma che può renderne<br />

difficoltoso l’esame. Una patella in posizione eccessivamente alta può essere indice di<br />

rottura <strong>del</strong> legamento rotuleo, mentre la situazione bassa <strong>del</strong>la rotula depone per la<br />

rottura <strong>del</strong> tendine quadricipitale. All’esame palpatorio la diastasi può risultare<br />

evidente: se la rottura viene misconosciuta, dopo alcune settimane o mesi il solco<br />

viene riempito da tessuto cicatriziale. I pazienti con rottura inveterata <strong>del</strong> tendine<br />

quadricipitale lamentano fenomeni di cedimento <strong>del</strong> <strong>ginocchio</strong> e marcata riduzione<br />

<strong>del</strong>la forza <strong>del</strong>l’apparato estensore.<br />

Generalmente la rottura <strong>del</strong> tendine quadricipitale si verifica a livello <strong>del</strong>la sua<br />

inserzione al polo superiore <strong>del</strong>la rotula, mentre la rottura <strong>del</strong> legamento rotuleo<br />

avviene solitamente a livello <strong>del</strong> margine inferiore: in entrambi i casi, per ripristinare<br />

la continuità <strong>del</strong>l’apparato estensore è necessario ricorrere al trattamento chirurgico. Il<br />

tendine o il legamento vengono reinseriti con una sutura pesante attraverso fori<br />

transossei; vengono quindi ricostruiti i retinacula mediale e laterale. Dopo l’intervento<br />

il <strong>ginocchio</strong> viene immobilizzato in estensione completa per 6 settimane in una<br />

ginocchiera o in una doccia gessata.<br />

I pazienti affetti da malattie metaboliche croniche o sottoposti a trattamento<br />

steroideo a lungo termine solitamente richiedono trattamenti più complessi, che<br />

prevedono il rinforzo <strong>del</strong>l’apparato estensore mediante innesti di tendine, di fascia o<br />

con cerchiagli. Dopo un periodo post-operatorio di immobilizzazione <strong>del</strong>la durata di<br />

8-100 settimane i pazienti vengono gradualmente avviati a esercizi di mobilizzazione<br />

protetta e per qualche tempo devono utilizzare le stampelle o un bastone.<br />

La rottura <strong>del</strong> legamento rotuleo può localizzarsi anche a livello <strong>del</strong>l’’inserzione<br />

tibiale ed essere eventualmente associata a frattura <strong>del</strong>la tuberosità tibiale.<br />

Nei bambini con cartilagini di accrescimento ancora fertili il legamento deve<br />

essere suturato, poiché questo tipo di lesione può disturbare l’accrescimento <strong>del</strong>la<br />

26


porzione prossimale <strong>del</strong>la tibia. Nell’adulto l’avulsione <strong>del</strong> legamento dalla tuberosità<br />

tibiale viene riparata con una sutura passata attraverso fori transtibiali o reinserendo il<br />

legamento stesso con una cambra o una vite. Le fratture scomposte <strong>del</strong>la tuberosità<br />

tibiale vengono trattate con riduzione e sintesi con vite.<br />

27


2.5 Sublussazione e lussazioni <strong>del</strong>la rotula<br />

La sublussazione <strong>del</strong>la rotula è una condizione di comune riscontro nella quale<br />

la rotula non scorre correttamente nella fossa patellare <strong>del</strong>l’epifisi femorale distale. La<br />

sublussazione, che è spesso associata a <strong>ginocchio</strong> valgo e a extratorsione tibiale, è più<br />

frequentemente sintomatica nelle adolescenti e nelle giovani donne.<br />

L’aumento <strong>del</strong>l’angolo Q (formato dall’intersezione di due linee tracciate dalla<br />

spina iliaca anteriore-posteriore e dalla tuberosità tibiale verso il centro <strong>del</strong>la rotula)<br />

sembra associarsi a un’aumentata predisposizione alla sublussazione o alla lussazione<br />

<strong>del</strong>la rotula.<br />

I pazienti lamentano una gonalgia in sede anteriore, accentuata da alcune attività quali<br />

il salire le scale e associata a sensazione di cedimento <strong>del</strong> <strong>ginocchio</strong>. L’esame clinico<br />

evidenzia una dolorabilità lungo il margine mediale <strong>del</strong>la patella, la presenza di<br />

scroscio femoro-rotuleo, l’atrofia <strong>del</strong> quadricipite (particolarmente evidente a carico<br />

<strong>del</strong>le fibre oblique <strong>del</strong> vasto mediale) e un’aumentata mobilità laterale <strong>del</strong>la rotula. Il<br />

test <strong>del</strong>l’apprensione (segno di Fairbank) è positivo se il paziente avverte dolore nel<br />

contrarre con vigore il quadricipite mentre l’esaminatore tenta di sublussare<br />

lateralmente la rotula. Se la sublussazione non viene trattata il retinaculum laterale va<br />

progressivamente incontro a retrazione, peggiorando così ulteriormente la dinamica<br />

femoro-rotulea.<br />

Nelle sublussazioni il trattamento di scelta è di tipo conservativo e consiste in<br />

esercizi di rinforzo <strong>del</strong> quadricipite effettuati in un arco ridotto di movimento e<br />

nell’impiego di anti-infiammatori non steroidei a scopo antalgico. La terapia fisica ha<br />

il fine di aumentare il tono dei fasci obliqui <strong>del</strong> vasto mediale, che migliora i rapporti<br />

femoro-rotulei. Per un reale rinforzo di questo muscolo è necessario che durante gli<br />

esercizi venga raggiunta l’estensione completa <strong>del</strong> <strong>ginocchio</strong>. Nei pazienti affetti da<br />

sublussazione <strong>del</strong>la rotula, la compressione <strong>del</strong>la patella contro il femore provoca la<br />

comparsa di dolore. Limitando il grado di flessione <strong>del</strong> <strong>ginocchio</strong> durante gli esercizi<br />

si riduce il grado di compressione; ciò appare utile per alleviare la sintomatologia<br />

durante la fase di riabilitazione <strong>del</strong> quadricipite. Talora l’applicazione di un tratto di<br />

benda elastica adesiva a livello <strong>del</strong> legamento rotuleo si rivela utile nel ridurre la<br />

sintomatologia.<br />

Nei casi in cui il trattamento conservativo non ha successo e persiste una<br />

significativa limitazione funzionale, trovano indicazione le numerose tecniche<br />

chirurgiche descritte per il riallineamento <strong>del</strong>l’apparato estensore. Nei pazienti con<br />

angolo Q normale che non rispondono al trattamento conservativo può essere<br />

necessaria la detenzione (release) <strong>del</strong> retinaculum laterale, che può essere eseguita<br />

artroscopicamente o artrotomicamente. Il release <strong>del</strong> retinaculum laterale retratto<br />

consente alla contrazione dei fasci obliqui <strong>del</strong> vasto mediale di riposizionare la rotula<br />

all’interno <strong>del</strong>la fossa patellare.<br />

Con un’incisione artromica parapatellare mediale è possibile eseguire una<br />

plastica “a paletot” <strong>del</strong>la capsula articolare, avanzando distalmente e lateralmente i<br />

28


fasci obliqui <strong>del</strong> vasto mediale. L’intervento determina lo spostamento mediale <strong>del</strong>la<br />

rotula e migliora lo scorrimento femoro-rotuleo.<br />

Nei pazienti con un angolo Q abnormemente ampio può essere necessario<br />

eseguire la detensione <strong>del</strong> retinaculum laterale associata alla trasposizione <strong>del</strong>la<br />

tuberosità tibiale. Occorre fare attenzione a non trasporre la tuberosità in posizione<br />

distale o posteriore.<br />

29


2.6 Lesioni dei legamenti collaterali mediale e laterale<br />

Il legamento collaterale mediale e collaterale laterale sono molto importanti per la<br />

stabilità <strong>del</strong> <strong>ginocchio</strong>. Essi decorrono ai lati <strong>del</strong> <strong>ginocchio</strong> ed il loro compito è di<br />

stabilizzare l’articolazione nei movimenti di traslazione laterale .<br />

Le lesioni legamentose <strong>del</strong> collaterale mediale sono assai comuni negli atleti. Nelle<br />

distorsioni di primo grado il legamento risulta stirato, in assenza di lacerazioni o con<br />

lacerazioni di grado minimo. Queste lesioni sono causa di lieve dolorabilità locali,<br />

scarso stravaso ematico e tumefazione. In corrispondenza <strong>del</strong>la regione dolente si può<br />

manifestare una soffusione ecchimotica che si risolve comunque entro 2 o 3 settimane<br />

dal trauma. Mancano i segni di lassità articolare e il trauma non determina alcuna<br />

significativa invalidità a lungo termine. Il trattamento prevede il riposo e la successiva<br />

riabilitazione muscolare. Le distorsioni di secondo grado sono caratterizzate dalla<br />

lacerazione parziale <strong>del</strong> legamento con conseguente lassità articolare, dolore<br />

localizzato, dolorabilità e tumefazione. Se durante l’esame clinico l’operatore esegue<br />

dei movimenti di stress, è possibile percepire con precisione una sensazione di “fine<br />

corsa” durante la manovra. Dato che la lesione legamentosa è parziale, l’articolazione<br />

si mantiene stabile e un’’intensa terapia riabilitativa può essere da sola sufficiente: Le<br />

distorsioni di terzo grado inducono la rottura completa <strong>del</strong> legamento, essendo<br />

quindi causa di instabilità articolare. I segni caratteristici di questo tipo di distorsione<br />

consistono nella dolorabilità, nell’instabilità, nell’assenza di sensazione di “fine corsa”<br />

alla manovra di stress e nella presenza di una vasta ecchimosi. Le lesioni di questo<br />

tipo richiedono talvolta il trattamento chirurgico.<br />

Gli strumenti <strong>del</strong> legamento collaterale mediale si verificano quando viene<br />

applicata al <strong>ginocchio</strong> una sollecitazione di tipo valgizzante. I pazienti riferiscono per<br />

lo più una sensazione di scatto o di lacerazione al versante mediale <strong>del</strong> <strong>ginocchio</strong>.<br />

Nelle lesioni isolate <strong>del</strong> legamento collaterale mediale il paziente è spesso in grado di<br />

deambulare e talvolta porta a termine l’attività durante la quale ha riportato il trauma.<br />

L’’esame clinico evidenzia una dolorabilità lungo il percorso <strong>del</strong> legamento<br />

collaterale tibiale; con un’attenta palpazione è possibile identificare il livello preciso<br />

<strong>del</strong>la lesione: all’inserzione <strong>del</strong> legamento, a livello <strong>del</strong> condilo femorale mediale,<br />

sulla rima articolare (tratto intermedio) o lungo l’estesa area di inserzione <strong>del</strong><br />

legamento al versante mediale <strong>del</strong>la tibia. Il paziente viene più agevolmente esaminato<br />

in decubito supino, con la coscia appoggiata al piano <strong>del</strong> lettino. Il medico afferra<br />

l’arto inferiore con entrambe le mani, portandolo oltre il bordo <strong>del</strong> lettino e<br />

successivamente sollecita il <strong>ginocchio</strong> in varismo o in valgismo (stress in varo-valgo).<br />

Quando il <strong>ginocchio</strong> è in estensione completa, la stabilità in senso medio-laterale è<br />

affidata principalmente al legamento crociato posteriore. Flettendo il <strong>ginocchio</strong> a 30°,<br />

il ruolo di stabilizzazione <strong>del</strong> crociato posteriore viene escluso e con lo stress in valgo<br />

diviene così possibile la valutazione <strong>del</strong> legamento collaterale mediale.<br />

Le distorsioni di terzo grado <strong>del</strong> legamento collaterale mediale possono<br />

richiedere la sutura chirurgica diretta: le distorsioni isolate di terzo grado possono<br />

essere trattate anche solo con il semplice controllo <strong>del</strong>la tumefazione e,<br />

30


successivamente, con la cinesiterapia e il rinforzo <strong>del</strong> quadricipite femorale e dei<br />

muscoli posteriori <strong>del</strong>la coscia.<br />

Una spiccata lassità mediale (in valgismo) può indicare la lesione <strong>del</strong> punto<br />

d’angolo postero-mediale <strong>del</strong>la capsula articolare. In questi casi la terapia chirurgica<br />

diviene necessaria per prevenire le instabilità rotatorie residue.<br />

31


2.7 Rottura <strong>del</strong> legamento crociato anteriore<br />

I legamenti crociati, anteriore e posteriore, alloggiati all’interno <strong>del</strong> <strong>ginocchio</strong> sono<br />

tesi tra il femore e la tibia incrociandosi l’un con l’altro; la funzione biomeccanica è<br />

di stabilizzare reciprocamente durante il movimento l’articolazione <strong>del</strong> <strong>ginocchio</strong>.<br />

Come per i menischi un’anomala energia impressa ai legamenti da movimenti<br />

abnormi può causarne una distensione tale da provocarne la rottura parziale o totale.<br />

Il legamento crociato anteriore va spesso incontro a rottura a seguito di lesioni che si<br />

verificano in corso di accese competizioni atletiche, come ad esempio nel caso in cui<br />

un giocatore, nel compiere uno scatto improvviso, torce il <strong>ginocchio</strong> mentre il piede è<br />

fermamente fissato al suolo. L’atleta avverte uno scatto, ha una sensazione di<br />

lacerazione e accusa un dolore acuto a carico <strong>del</strong> <strong>ginocchio</strong>; spesso è impossibile la<br />

prosecuzione <strong>del</strong>l’attività. Sotto carico il <strong>ginocchio</strong> è notevolmente instabile: La<br />

rottura <strong>del</strong> legamento crociato anteriore è spesso causa di emartro. I test clinici<br />

impiegati per valutare il grado di instabilità <strong>del</strong> legamento crociato anteriore sono il<br />

test di Lachman, il test <strong>del</strong> cassetto anteriore e il pivot shift test.<br />

Test di Lachman. Si tratta di una manovra di facile esecuzione e relativamente<br />

indolore, anche nel paziente con lesione acuta. Il medico confronta l’entità <strong>del</strong> gioco<br />

articolare <strong>del</strong> <strong>ginocchio</strong> interessato con quello controlaterale sano per valutare<br />

l’eventuale abnorme mobilità. Il test va eseguito con <strong>ginocchio</strong> flesso a 20°, per<br />

ridurre al minimo l’effetto di stabilizzazione dovuto ai menischi. Con una mano<br />

l’esaminatore impugna il femore, mentre con l’altra afferra la porzione prossimale<br />

<strong>del</strong>la tibia. Con il paziente rilassato, l’esaminatore tenta di provocare lo scivolamento<br />

anteriore <strong>del</strong>la porzione prossimale <strong>del</strong>la tibia rispetto al femore. Se il legamento<br />

crociato anteriore è integro, tale scivolamento è minimo. Quando il legamento è<br />

interrotto, la manovra determina la sublussazione anteriore <strong>del</strong>la tibia. L’esaminatore<br />

deve prendere nota <strong>del</strong>le caratteristiche di “fine corsa” percepita al termine <strong>del</strong>la<br />

manovra. Se al momento in cui la tibia giunge al suo punto di massima dislocazione<br />

anteriore si avverte un blocco meccanico, il legamento crociato anteriore può essere<br />

lacerato solo parzialmente. Se invece il “fine corsa” è elastico e cedevole occorre<br />

sospettare una rottura completa.<br />

Prima di considerare valido il risultato di questo test è necessario accertare<br />

l’integrità <strong>del</strong> legamento crociato posteriore. In caso di rottura <strong>del</strong> legamento crociato<br />

posteriore, infatti, la tibia si sublussa posteriormente, così che quando tale<br />

dislocazione posteriore viene ridotta, il test di Lachman sembra positivo.<br />

Test <strong>del</strong> cassetto anteriore. Il test <strong>del</strong> cassetto anteriore viene eseguito sul<br />

paziente supino e comodamente disteso e con <strong>ginocchio</strong> flesso a 90° .<br />

Durante il test il piede <strong>del</strong> paziente viene fissato dalla coscia <strong>del</strong>l’esaminatore<br />

seduto sul lettino. Il medico afferra con entrambe le mani il polpaccio in prossimità<br />

<strong>del</strong> cavo popliteo e tenta di dislocare anteriormente la tibia. Se il legamento crociato<br />

anteriore è leso la tibia avanza in direzione anteriore rispetto al femore. Il test <strong>del</strong><br />

cassetto anteriore viene ripetuto diverse volte con il piede e la gamba <strong>del</strong> paziente in<br />

32


intrarotazione, in rotazione neutra e in extrarotazione: Come nel test di Lachman,<br />

anche in questo caso occorre confrontare il risultato ottenuto dal <strong>ginocchio</strong> offeso con<br />

quello controlaterale sano. Il test è positivo nelle rotture complete <strong>del</strong> legamento<br />

crociato anteriore, ma è meno sensibile <strong>del</strong> test di Lachman nella diagnosi <strong>del</strong>le lesioni<br />

parziali.<br />

Instabilità anterolaterale <strong>del</strong> <strong>ginocchio</strong><br />

Le instabilità secondarie a lesione <strong>del</strong> legamento crociato anteriore si<br />

manifestano con episodi di cedimento <strong>del</strong> <strong>ginocchio</strong>. I pazienti riferiscono una<br />

sensazione di slittamento <strong>del</strong> <strong>ginocchio</strong> nei movimenti di rotazione verso destra o<br />

verso sinistra, quando il piede è appoggiato al terreno. Questo slittamento è dovuto<br />

alla sublussazione anteriore <strong>del</strong>la tibia sul femore.<br />

Pivot shift test. Il test permette di identificare la maggior parte dei casi di<br />

instabilità clinicamente significativa <strong>del</strong> <strong>ginocchio</strong>. Il paziente deve giacere rilassato<br />

in posizione supina, mentre il medico si pone lateralmente all’arto teso. Con una mano<br />

l’’esaminatore afferra il piede <strong>del</strong> paziente, mentre l’altra viene posta sul versante<br />

laterale <strong>del</strong> <strong>ginocchio</strong>, con il pollice in corrispondenza <strong>del</strong> margine posteriore <strong>del</strong>la<br />

testa <strong>del</strong> perone. Mentre la tibia viene intrarotata dalla mano che sostiene il piede, sul<br />

<strong>ginocchio</strong> esteso viene applicata una sollecitazione in valgismo. Questa manovra<br />

determina la sublussazione anteriore <strong>del</strong>l’emipiatto tibiale esterno sul femore. Quando<br />

il <strong>ginocchio</strong> si trova in estensione, il tratto ileotibiale si trova anteriormente al centro<br />

di rotazione attuale <strong>del</strong> <strong>ginocchio</strong> e agisce come estensore. Il <strong>ginocchio</strong> viene quindi<br />

lentamente flesso e la sublussazione diviene più evidente. In un punto compreso fra i<br />

20 e i 40 gradi di flessione, il tratto ileotibiale scivola posteriormente al centro attuale<br />

di rotazione <strong>del</strong> <strong>ginocchio</strong> e, divenuto flessore, provoca l’improvvisa riduzione <strong>del</strong>la<br />

sublussazione tibiale, che è palpabile, visibile e spesso udibile.<br />

Una <strong>del</strong>le conseguenze dovuta al ripetersi <strong>del</strong>le sublussazioni <strong>del</strong> <strong>ginocchio</strong> nel<br />

corso <strong>del</strong>le attività quotidiane è la rottura meniscale. Quando la tibia si sublussa sul<br />

femore il menisco esterno viene spinto anteriormente e resta intrappolato fra condilo<br />

femorale laterale e margine posteriore <strong>del</strong> piatto tibiale esterno. Durante la riduzione,<br />

le forze complessive che agiscono sul menisco sono di intensità notevole e possono<br />

provocare la rottura acuta o un’erosione graduale <strong>del</strong> menisco, cause di blocco<br />

articolare.<br />

Anche altri test, come quello di Losee, che viene eseguito con il paziente in<br />

decubito laterale, e il test <strong>del</strong> cassetto in flessione-rotazione, provocano la<br />

sublussazione anteriore <strong>del</strong>la tibia quando il <strong>ginocchio</strong> è in estensione e la sua<br />

riduzione in flessione fra i 20° e i 40°. Nelle instabilità <strong>del</strong> legamento crociato<br />

anteriore tutti questi test sono positivi. Se però il paziente non è rilassato, i test<br />

possono risultare falsamente negativi, mascherando la gravità <strong>del</strong>la lesione; per questo<br />

motivo è spesso necessario eseguire l’esame in narcosi.<br />

33


Disinserzioni <strong>del</strong> legamento crociato anteriore<br />

La frattura <strong>del</strong>la spina tibiale è un segno di disinserzione parziale o completa<br />

<strong>del</strong> legamento crociato anteriore dalla sua inserzione tibiale. La frattura si verifica<br />

solitamente per un’iperestensione <strong>del</strong> <strong>ginocchio</strong> o a seguito di un brusco movimento<br />

di torsione. Se la frattura è scomposta, il frammento libero può essere causa di blocco<br />

articolare, accompagnato da versamento articolare ematico.<br />

Le fratture di tipo I sono incomplete, mentre quelle di tipo II sono complete<br />

ma composte. Le fratture di tipo III vengono suddivise in tipo IIIA (completa e<br />

scomposta) e di tipo IIIB (completa, scomposta e ruotata).<br />

Le fratture composte e quelle che si riducono anatomicamente con l’estensione<br />

<strong>del</strong> <strong>ginocchio</strong> possono essere trattate con l’’immobilizzazione in estensione. La<br />

consolidazione si verifica di solito in 5 o 6 settimane; trascorso tale periodo il paziente<br />

inizia gli esercizi di mobilizzazione attiva e di rinforzo <strong>del</strong> quadricipite e dei muscoli<br />

posteriori <strong>del</strong>la coscia.<br />

Il trattamento chirurgico è indicato nelle fratture di tipo IIIA e IIIB che non<br />

possono essere ridotte incruentamente. La presenza di blocco meccanico<br />

<strong>del</strong>l’estensione costituisce un’indicazione al trattamento chirurgico. La riduzione <strong>del</strong>la<br />

frattura può essere ostacolata dall’interposizione <strong>del</strong> corno anteriore di uno dei<br />

menischi fra la spina tibiale e il suo letto.<br />

Nel corso <strong>del</strong>l’’intervento chirurgico vengono asportati tutti i tessuti molli<br />

interposti nel focolaio di frattura e la spina tibiale, ridotta nella sua posizione<br />

anatomica, viene sintetizzata mediante sutura o con vite. Una sintesi corretta e stabile<br />

consente al paziente di riacquistare rapidamente la motilità, sotto la protezione di un<br />

tutore.<br />

Molte rotture acute <strong>del</strong> legamento crociato anteriore possono essere trattate<br />

conservativamente. Nei casi in cui all’esame clinico, eventualmente effettuato in<br />

narcosi, la lassità legamentosa appare di grado modesto e non vi sono segni di lesione<br />

meniscale, risulta indicato un precoce e intenso programma riabilitativo. Se il test di<br />

Lachmann o il cassetto anteriore denotano una lieve instabilità legamentosa, ma il<br />

pivot shift test risulta negativo e non vi sono segni di altre lesioni associate,<br />

l’immobilizzazione in apparecchio gessato può essere sufficiente.<br />

La fisioterapia è mirata al rinforzo <strong>del</strong> quadricipite e <strong>del</strong>la muscolatura<br />

posteriore <strong>del</strong>la coscia. E’ possibile che un <strong>ginocchio</strong> inizialmente stabile, sviluppi<br />

successivamente una graduale instabilità, che può infine rendere necessaria la plastica<br />

<strong>del</strong> legamento crociato anteriore. L’aumento <strong>del</strong>l’instabilità può essere causa di<br />

lacerazioni meniscali.<br />

In genere il trattamento chirurgico artrotomico è indicato nei pazienti con<br />

lesioni <strong>del</strong> legamento crociato anteriore e positività <strong>del</strong> pivot shift test. Il tipo di<br />

intervento varia in rapporto allo stile di vita <strong>del</strong> paziente, alle sue aspettative e alle sue<br />

condizioni generali. Nei pazienti anziani e sedentari il trattamento chirurgico può non<br />

essere necessario, mentre nei pazienti più giovani e molto attivi la terapia chirurgica<br />

riparativa o ricostruttiva è spesso indicata. Dato che a distanza di molto tempo dalla<br />

ricostruzione spesso si verificano recidive <strong>del</strong>l’instabilità, lo scopo <strong>del</strong>l’intervento è di<br />

34


prolungare il più a lungo possibile l’integrità dei menischi ritardando così la comparsa<br />

<strong>del</strong>la gonartrosi.<br />

In conseguenza <strong>del</strong> mancato trattamento o <strong>del</strong> trattamento conservativo di una<br />

lesione <strong>del</strong> legamento crociato anteriore l’instabilità può essere notevole. I pazienti<br />

che lamentano cedimenti <strong>del</strong> <strong>ginocchio</strong> durante lo svolgimento <strong>del</strong>le normali attività<br />

quotidiane sono candidati all’intervento ricostruttivo. Quando i cedimenti si<br />

presentano unicamente in occasione di attività fisiche intense, può essere sufficiente la<br />

prescrizione di un tutore.<br />

Per la riparazione o ricostruzione <strong>del</strong> legamento crociato anteriore possono<br />

essere utilizzate numerose tecniche. La tecnica di Insall previene la sublussazione<br />

anteriore <strong>del</strong>la tibia sul femore. La fissazione <strong>del</strong> lembo di tratto ileotibiale alla tibia<br />

consente la mobilizzazione precoce <strong>del</strong> <strong>ginocchio</strong>; il carico completo viene concesso<br />

quando il paziente è in grado di raggiungere l’estensione completa. Dopo l’’intervento<br />

i pazienti dovrebbero evitare la pratica di sport pericolosi per almeno un anno.<br />

Oggi la tecnica di ricostruzione prevalentemente utilizzata consiste nella<br />

sostituzione <strong>del</strong> legamento crociato anteriore con un lembo osteo tendineo <strong>del</strong> rotuleo,<br />

fissato con due viti.<br />

35


2.8 Rotture <strong>del</strong> legamento crociato posteriore<br />

Il legamento crociato posteriore è il principale stabilizzatore <strong>del</strong> <strong>ginocchio</strong> in<br />

completa estensione. Le più comuni cause di rottura sono l’iperestensione <strong>del</strong><br />

<strong>ginocchio</strong> anteriore spesso da trauma diretto sulla sua faccia. Anche le violente<br />

sollecitazioni in varismo o in valgismo dovute alla lesione dei legamenti collaterali<br />

possono essere causa di rottura <strong>del</strong> legamento crociato posteriore.<br />

Test <strong>del</strong> cassetto posteriore. La diagnosi viene formulata sulla base di un’anamnesi<br />

completa e di un attento esame clinico. Il test <strong>del</strong> cassetto posteriore viene effettuato<br />

sul paziente in decubito supino con <strong>ginocchio</strong> flesso a 90°. Il piede <strong>del</strong> paziente viene<br />

bloccato dalla coscia <strong>del</strong>l’esaminatore che vi si appoggia sedendosi sul lettino, come<br />

per il test <strong>del</strong> cassetto anteriore. Con entrambe le mani il medico spinge la tibia in<br />

direzione posteriore, nel tentativo di sublussarla rispetto al femore. Applicando<br />

alternativamente una spinta e una trazione, l’esaminatore può determinare se il<br />

legamento crociato anteriore è integro e se la tibia si disloca posteriormente.<br />

L’operatore deve identificare il punto di partenza <strong>del</strong>la manovra per poter determinare<br />

con precisione quale dei due legamenti crociati è leso.<br />

Segno <strong>del</strong>lo slivellamento posteriore. Il paziente giace rilassato e in decubito supino;<br />

uno spessore viene posto al di sotto <strong>del</strong>la parte distale <strong>del</strong>la coscia, mentre il tallone<br />

<strong>del</strong> paziente poggia sul piano <strong>del</strong> lettino, così che il polpaccio resti sollevato. Il<br />

medico osserva lateralmente il <strong>ginocchio</strong>, in presenza di rottura <strong>del</strong> legamento crociato<br />

posteriore, la tibia si sublussa posteriormente e la superficie anteriore <strong>del</strong>la porzione<br />

prossimale <strong>del</strong>la gamba appare livellata rispetto al femore.<br />

Un deficit <strong>del</strong> legamento crociato posteriore permette l’iperestensione <strong>del</strong><br />

<strong>ginocchio</strong>. La rottura <strong>del</strong> legamento crociato posteriore rende possibile una notevole<br />

iperestensione ed è responsabile di un’abnorme lassità alle sollecitazioni in varismo e<br />

in valgismo in estensione completa.<br />

Come per il legamento crociato anteriore, l’avulsione <strong>del</strong>l’inserzione <strong>del</strong><br />

legamento costituisce indicazione alla sua reinserzione chirurgica.<br />

Nei casi in cui non è possibile effettuare l’osteosintesi <strong>del</strong> frammento avulso, la<br />

maggior parte dei chirurghi opta per il trattamento conservativo. Gli interventi<br />

riparativi sul legamento crociato posteriore hanno di solito minor successo di quelli<br />

sul crociato anteriore: spesso, infatti, l’instabilità recidiva e residua una limitazione<br />

funzionale. I risultati degli interventi ricostruttivi nei casi di rottura <strong>del</strong> legamento<br />

crociato posteriore associata a lesione <strong>del</strong> punto d’angolo postero-laterale <strong>del</strong>la<br />

capsula aricolare sono spesso modesti.<br />

La ricostruzione <strong>del</strong> legamento crociato posteriore è indicata solo nei pazienti<br />

con richieste funzionali <strong>del</strong> tutto particolari o nei soggetti con grave instabilità. Una<br />

tecnica prevede la trasposizione <strong>del</strong>l’’origine <strong>del</strong> gemello mediale. Dopo l’’intervento<br />

il <strong>ginocchio</strong> viene immobilizzato in flessione di 30° con un apparecchio gessato o una<br />

36


doccia per un periodo di 6-8 settimane; successivamente viene intrapresa un’intensa<br />

terapia riabilitativa. Dopo un simile periodo di immobilizzazione la ripresa <strong>del</strong>la<br />

completa estensione è assai difficile.<br />

37


2.9 Lussazioni <strong>del</strong> <strong>ginocchio</strong><br />

La lussazione <strong>del</strong> <strong>ginocchio</strong> deve essere distinta dalla lussazione <strong>del</strong>la rotula.<br />

Mentre, infatti, quest’ultima coinvolge l’articolazione femorotulea, la lussazione <strong>del</strong><br />

<strong>ginocchio</strong> interessa l’articolazione femoro-tibiale. Qualsiasi lussazione costituisce<br />

un’’emergenza e la lussazione <strong>del</strong> <strong>ginocchio</strong> non fa eccezione. La causa patogenetica<br />

più frequente è costituita dall’’urto violento <strong>del</strong> <strong>ginocchio</strong> contro il cruscotto<br />

<strong>del</strong>l’autovettura durante un incidente stradale, ma anche le lesioni sportive sono<br />

piuttosto comuni. L’interessamento <strong>del</strong>l’arteria poplitea o dei suoi rami è più<br />

frequente: in ogni lussazione <strong>del</strong> <strong>ginocchio</strong> deve essere sospettata la presenza di<br />

lesioni arteriose la cui diagnosi spesso richiede l’esecuzione di un’arteriografia. La<br />

riparazione <strong>del</strong>le lesioni arteriose deve essere eseguita immediatamente.<br />

La classificazione <strong>del</strong>le lussazioni <strong>del</strong> <strong>ginocchio</strong> si fonda sulla posizione <strong>del</strong>la<br />

tibia rispetto al femore. Nelle lussazioni anteriori la tibia è in posizione anteriore<br />

rispetto al femore, mentre nelle lussazioni posteriori è dislocata posteriormente ad<br />

esso. Sono inoltre possibili lussazioni laterali, mediali e rotatorie, nonché situazioni<br />

miste, quali le lussazioni antero-laterali o postero-laterali. Il riscontro di lesioni<br />

vascolari è più frequente nel caso di lussazioni anteriori, mentre nelle posteriori è più<br />

frequente osservare la lesione <strong>del</strong> nervo peroneo.<br />

La diagnosi di lussazione <strong>del</strong> <strong>ginocchio</strong> si fonda sull’anamnesi e sul riscontro<br />

dei segni clinici caratteristici. Se la lussazione non si è ridotta spontaneamente prima<br />

che il paziente venga esaminato la diagnosi è agevole, per l'evidente deformazione <strong>del</strong><br />

<strong>ginocchio</strong>. La riduzione spontanea <strong>del</strong>le lussazioni <strong>del</strong> <strong>ginocchio</strong> è comunque<br />

piuttosto comune. Quando all’esame clinico o a quello radiografico non è evidente<br />

una lussazione, ma all’anamnesi si rileva un grave traumatismo a carico <strong>del</strong> <strong>ginocchio</strong><br />

occorre sospettare che si sia verificata la riduzione spontanea di una lussazione. Il<br />

riscontro di grossi versamenti o di emartro è raro: l’ampia lacerazione <strong>del</strong>la capsula<br />

articolare consente, infatti, la diffusione <strong>del</strong> liquido nei tessuti molli particolari.<br />

Il trattamento iniziale <strong>del</strong>la lussazione <strong>del</strong> <strong>ginocchio</strong> prevede la riduzione, che<br />

va eseguita al più presto. La manovra di riduzione viene eseguita con una cauta<br />

trazione longitudinale: è talvolta utile una blanda sedazione. In caso di difficoltà, la<br />

manovra deve essere effettuata in narcosi. Dopo la riduzione è necessaria l’attenta<br />

sorveglianza <strong>del</strong>le condizioni neurovascolari <strong>del</strong>l’arto.<br />

Molte lussazioni <strong>del</strong> <strong>ginocchio</strong> vengono trattate con immobilizzazioni in doccia o in<br />

apparecchio gessato; dato che il <strong>ginocchio</strong>, una volta ridotto, è piuttosto instabile, è<br />

difficile mantenere i capi articolari in posizione corretta senza ricorrere alla sintesi<br />

interna. A questo scopo è possibile impiegare grossi chiodi di Steinmann [o<br />

preferibilmente la ricostruzione (n.d.s.)] oppure è possibile eseguire la riparazione<br />

chirurgica dei legamenti e <strong>del</strong>la capsula articolare lacerati. La riparazione chirurgica<br />

mantiene la riduzione e assicura la stabilità a lungo termine.<br />

La triforcazione <strong>del</strong>l’arteria poplitea è vincolata al piano osseo nel punto in cui<br />

l’arteria tibiale anteriore si impegna in un foro <strong>del</strong>la membrana interossea. Spesso<br />

nelle lussazioni anteriori si verifica un grave stiramento <strong>del</strong>l’arteria e <strong>del</strong>la vena<br />

38


poplitea. Se la lussazione non viene ridotta e se l’ostacolo al flusso persiste per alcune<br />

ore, il ripristino <strong>del</strong> circolo può determinare la comparsa di una sindrome<br />

compartimentale, che rappresenta una complicanza grave dalle conseguenze spesso<br />

irreversibili.<br />

39


3.1 Le Patologie più frequenti<br />

Capitolo 3<br />

Le <strong>patologie</strong> più frequenti nel <strong>Tennis</strong><br />

Le <strong>patologie</strong> possono essere di due tipi: da sovraccarico funzionale (sollecitazione<br />

articolare abnorme e/o eccessivamente ripetuta) o traumatiche (cadute o colpi diretti).<br />

Il sovraccarico funzionale provoca con maggiore frequenza le tendiniti. Tale<br />

malattia dei tendini è stata definita dagli autori anglosassoni "overuse injury" per<br />

indicare nel sovraccarico la causa principale <strong>del</strong>l'insorgenza <strong>del</strong>l'infiammazione.Le<br />

tendinopatie si originano ,infatti, dal sovraccarico funzionale, a causa <strong>del</strong>la ripetizione<br />

<strong>del</strong> gesto sportivo per tempi lunghi.<br />

L’azione traumatica derivata dalla somma di forze esterne ed interne indurrebbe nei<br />

tessuti un’alterazione <strong>del</strong>la componente cellulare con conseguente processo<br />

infiammatorio e caratteristico dolore.Tra gli esempi più tipici si riscontrano le<br />

tendiniti rotulee.La sintomatologia è caratterizzata dal dolore, con conseguente<br />

riduzione funzionale, mentre l’obiettività clinica spesso non è molto evidente.Ci può<br />

venire in aiuto l’esame xeroradiografico oppure l’esame termogfrafico e<br />

teletermografico.<br />

Condropatia<br />

Il tennis professionistico, ponendo spesso l’atleta in condizioni di sovraccarico<br />

articolare può provocare un’usura <strong>del</strong>la cartilagine. Questo tessuto è la sostanza<br />

liscia che ricopre le ossa nell’articolazione <strong>del</strong> <strong>ginocchio</strong> e che ne favorisce i<br />

movimenti. All’interno <strong>del</strong>la cartilagine si trovano <strong>del</strong>le cellule chiamate condrociti<br />

che producono <strong>del</strong>le grosse molecole chiamate proteoglicani, che formano una specie<br />

di gelatina densa racchiusa all’interno di una rete di fibre collagene.<br />

Quando la pressione meccanica esercitata sulle cartilagini è troppo forte, l’intera<br />

struttura si danneggia e i condrociti secernono degli enzimi che hanno il compito di<br />

assorbire le fibre danneggiate, facilitando così la pulizia <strong>del</strong>le lesioni. Non sempre<br />

questo processo è perfettamente regolato: a volte la degradazione chimica va ben oltre<br />

l’assorbimento dei danni meccanici. Si possono produrre allora la spinta<br />

infiammatoria, l’artrosi distruttiva rapida o la condrolisi acuta.<br />

Nel corso <strong>del</strong>l’infiammazione la cartilagine se pur lentamente cicatrizza diventando<br />

più rigida; anche le ossa sotto la cartilagine risponde alle sollecitazioni meccaniche e<br />

diventa più denso. E’ la prima tappa <strong>del</strong>l’artrosi, che può essere individuata con una<br />

radiografia.Più tardi, quando la reazione <strong>del</strong>le ossa si intensifica, sui lati<br />

40


<strong>del</strong>l’articolazione compaiono <strong>del</strong>le escrescenze ossee che assumono un’aspetto<br />

caratteristico, detto a becco di pappagallo.<br />

La struttura <strong>del</strong>le ossa diventa rapidamente meno flessibile e contribuisce meno ad<br />

assorbire pressioni e urti. La cartilagine, fibrosa e rigida, incassa allora tutti gli shock<br />

e si fessura facilmente.<br />

Ginocchio <strong>del</strong> saltatore<br />

Gli atleti che compiono salti su superfici dure o duro elastiche vanno frequentemente<br />

incontro al cosiddetto <strong>ginocchio</strong> <strong>del</strong> saltatore. Nei giocatori di tennis l’atleta<br />

maggiormente esposto è quello che gioca prevalentemente sulle superfici in cemento,<br />

per i continui microtraumi in caduta dopo la battuta.Interessa l’apparato estensore <strong>del</strong><br />

<strong>ginocchio</strong> (rotula e tendine rotuleo). L’atleta riferisce un dolore localizzato<br />

anteriormente.Se non curata può evolvere in una lendinosi che può comportare la<br />

rottura stessa <strong>del</strong> tendine rotuleo.Con l’indagine ultesonografica è possibile effettuare<br />

una diagnosi corretta precocemente.Il trattamento si basa sul riposo per alcuni giorni e<br />

laser IR; la ripresa degli allenamenti dopo 15-20 giorni.<br />

Le lesioni traumatiche, oltre ad avere un maggiore impatto emotivo, a volte possono<br />

condizionare stabilmente la performance la longevità sportiva <strong>del</strong>l'atleta e a volte<br />

anche il futuro <strong>del</strong> <strong>ginocchio</strong>. Le lesioni traumatiche di solito sono causate da un<br />

evento distorsivo. Il <strong>ginocchio</strong> fisiologicamente presenta un ampio movimento di<br />

flesso/estensione ed un limitato movimento di intra/extrarotazione. Se per motivi<br />

biomeccanici le forze che agiscono sul <strong>ginocchio</strong> hanno <strong>del</strong>le direzioni anomale e<br />

quindi inducono dei movimenti non presenti, sovraccaricano le strutture che si<br />

oppongono a tali abnormi movimenti; queste strutture sono i legamenti e i menischi.<br />

Le lesioni capsulolegamentose di <strong>ginocchio</strong> sono una evenienza molto frequente<br />

nella pratica di attività sportive (30-35% <strong>del</strong>le distorsioni di <strong>ginocchio</strong>), queste lesioni<br />

possono verifìcarsi per due meccanismi: trauma diretto e indiretto. Le lesioni da<br />

trauma diretto, che avvengono in sport da contatto (calcio, basket, rugby) durante<br />

una fase di gioco, si verifìcano più frequentemente attraverso un violento movimento<br />

di valgo-rotazione esterna, interessando prima il legamento collaterale mediale, quindi<br />

il legamento crociato anteriore ed eventualmente i menischi a seconda <strong>del</strong>l'intensità<br />

<strong>del</strong> trauma. Un trauma diretto che provoca una varizzazione forzata <strong>del</strong> <strong>ginocchio</strong>,<br />

meno frequente, comporta dapprima la lesione <strong>del</strong> legamento crociato anteriore quindi<br />

il legamento collaterale laterale. Un terzo meccanismo traumatico diretto, molto raro,<br />

che si verifica per una forza violenta in senso posteriore <strong>del</strong>la gamba, può causare la<br />

rottura <strong>del</strong> legamento crociato posteriore.Nel tennis avvengono solo traumi indiretti.<br />

Infatti, gli atleti in seguito a cambi improvvisi di velocità,di direzione o per un’errato<br />

atterraggio dopo il servizio, lo smash o la volee’possono subire una distorsione <strong>del</strong><br />

<strong>ginocchio</strong>. Sollecitazioni <strong>del</strong>la tibia in valgismo e rotazione esterna possono ledere il<br />

legamento collaterale interno, il menisco interno e il legamento crociato<br />

anteriore. Meno frequente è il movimento opposto, in varismo e rotazione interna,<br />

41


che coinvolge nell'ordine il collaterale esterno, il menisco esterno e il crociato<br />

posteriore<br />

Le lesioni da trauma indiretto quindi, si verifìcano attraverso 2 principali<br />

meccanismi:<br />

- valgo-rotazione esterna: si verifica durante un cambio di direzione, ricaduta da un<br />

salto in cui vengono interessati dapprima il legamento collaterale mediale ed il legamento<br />

posteriore obliquo, quindi il legamento crociato anteriore<br />

- varo-rotazione interna: avviene durante un rapido cambio di direzione e provoca la<br />

lesione <strong>del</strong> legamento crociato anteriore e quindi anche il legamento collaterale laterale<br />

Tra le strutture maggiormente colpite da traumi acuti vi sono sicuramente i<br />

menischi.Essi sono addossati e fusi con la capsula articolare, possiedono una<br />

discreta mobilità e deformabilità che consente loro di adattarsi ai mutamenti<br />

spaziali che si verificano durante i diversi movimenti articolari; la loro<br />

funzione è di stabilizzare il movimento di scivolamento e rotolamento<br />

<strong>del</strong>l’estremità femorale, grossolanamente sferica, su una superficie piatta<br />

quale è quella <strong>del</strong>la tibia.<br />

Rottura <strong>del</strong> menisco<br />

Quando una od entrambe queste strutture, o per un movimento sbagliato o<br />

per uno sbilanciamento <strong>del</strong>l’atleta, rimangono " intrappolate" tra il femore e<br />

la tibia vengono contuse o lacerate.<br />

Sintomi<br />

Il quadro clinico solitamente è di vivo dolore, con impossibilità a poggiare a<br />

terra l’arto colpito; soventemente il <strong>ginocchio</strong> si gonfia rendendo il dolore più<br />

acuto.<br />

Diagnosi e trattamento<br />

La diagnosi di rottura meniscale nella gran parte dei casi indirizza all’intervento<br />

chirurgico, solitamente condotto in artroscopia; mediante tale intervento che<br />

prevede piccole incisioni si procede a seconda dei casi a riparazione meniscale o<br />

più frequentemente a sezione <strong>del</strong>la parte lesa <strong>del</strong> menisco.<br />

I postumi sono generalmente poco rilevanti nel medio periodo ed il recupero assai<br />

rapido. Se non viene adeguatamente trattata, una lesione meniscale può evolvere<br />

42


verso quadri patologici più seri, provocando l'usura <strong>del</strong>la cartilagine <strong>del</strong> <strong>ginocchio</strong><br />

e quindi l'artrosi.<br />

Come per i menischi un’anomala energia impressa ai legamenti da movimenti<br />

abnormi può causarne una distensione tale da provocarne la rottura parziale o<br />

totale.<br />

La sintomatologia è simile a quella <strong>del</strong>la rottura meniscale; raramente vi è la rottura di<br />

entrambi i legamenti ed è da sottolineare che quello che più frequentemente si<br />

danneggia è l’anteriore.<br />

Il legamento crociato anteriore <strong>del</strong> <strong>ginocchio</strong> è sollecitato durante una partita di<br />

tennis ed è estremamente importante per la stabilità <strong>del</strong> <strong>ginocchio</strong>. La rottura o<br />

lesione isolata <strong>del</strong> legamento crociato anteriore si osserva spesso durante una<br />

distorsione <strong>del</strong> <strong>ginocchio</strong> mentre il muscolo quadricipite è contratto. L’atleta,in<br />

generale si rompe il legamento quando, con il quadricipite contratto e il piede bloccato<br />

al suolo, il <strong>ginocchio</strong> effettua un movimento di torsione. E' in questo momento che il<br />

tennista ha l'impressione che il <strong>ginocchio</strong> si sublussi e nello stesso istante a livello<br />

<strong>del</strong> <strong>ginocchio</strong> si può sentire un "crack". Il dolore può essere immediato e il <strong>ginocchio</strong><br />

può gonfiarsi; dopo alcuni minuti, tuttavia se la lesione è isolata, l’atleta può rialzarsi<br />

e camminare. Il dolore è di intensità variabile, in quanto determinato dalla presenza<br />

più o meno cospicua di versamento articolare. La rottura o lesione totale <strong>del</strong><br />

legamento crociato anteriore necessita una sua ricostruzione chirurgica.Nel caso in cui<br />

non venga ricostruito, si consiglia l'abbandono. Il rischio nel praticare tennis con una<br />

rottura <strong>del</strong> legamento crociato anteriore è quello di continuare ad avere distorsioni che<br />

possono portare, in alcuni casi e dopo circa 20/30 anni, ad un’artrosi (usura <strong>del</strong>la<br />

cartilagine). La rottura <strong>del</strong> legamento può associarsi ad una rottura dei menischi :<br />

attualmente si cerca di effettuare l'intervento prima che i o il menisco siano rotti.<br />

Tuttavia, nel caso in cui vi sia una rottura meniscale, in occasione <strong>del</strong>la ricostruzione<br />

<strong>del</strong> legamento,si cerca dove possibile, di suturare il menisco rotto. In generale una<br />

rottura <strong>del</strong> crociato anteriore non necessita un intervento d’urgenza come nel caso di<br />

una frattura.<br />

Tra i legamenti mediale e collaterale il più frequentemente interessato da lesioni<br />

acute è il collaterale mediale che nella maggior parte dei casi subisce lesioni parziali<br />

che ben riparano con un’adeguata immobilizzazione. Altre volte invece la lesione è<br />

così profonda che l’unica soluzione è l’intervento chirurgico per riparare e ritendere il<br />

legamento rotto.<br />

43


Distorsione di 1° grado Distorsione di 2° grado Distorsione di 3° grado<br />

Rottura completa dei legamenti<br />

Molto raramente si possono verificare lesioni complesse: quando due<br />

o più strutture articolari vengono coinvolte ( p.e. rottura meniscale e<br />

lesione legamentosa sia <strong>del</strong> crociato anteriore che <strong>del</strong> collaterale<br />

mediale); la soluzione chirurgica diviene indispensabile per restituire<br />

stabilità al <strong>ginocchio</strong>, ma è evidente che vi saranno evidenti postumi<br />

<strong>del</strong> trauma subito ed i tempi di recupero risulteranno assai lunghi.<br />

La rottura dei legamenti collaterale tibiale e crociato anteriore con<br />

lesione <strong>del</strong> menisco mediale è la triade infausta.<br />

Se il dolore o "il <strong>ginocchio</strong> che si blocca" è il sintomo principale, può trattarsi di una<br />

sindrome rotulea dolorosa. E' una patologia frequente, benigna che, in generale, non<br />

necessita di alcun trattamento chirurgico. Nel caso in cui l'instabilità <strong>del</strong>la rotula <strong>del</strong><br />

<strong>ginocchio</strong> sia il sintomo principale ( la rotula si lussa o ha tendenza a lussarsi<br />

lateralmente ) può trattarsi di una instabilità rotulea : nella maggior parte dei casi<br />

sulla radiografia in laterale <strong>del</strong> <strong>ginocchio</strong> sarà riconoscibile la displasia <strong>del</strong>la troclea<br />

<strong>del</strong> femore e un trattamento chirurgico può essere indicato. Il dolore è in generale<br />

localizzato a livello anteriore <strong>del</strong> <strong>ginocchio</strong><br />

L'instabilità al <strong>ginocchio</strong> è il secondo sintomo: l’atleta ha l'impressione che il<br />

<strong>ginocchio</strong> sia debole, che gli ceda o addirittura lo fa cadere improvvisamente per terra.<br />

In questi casi si tratta di una lussazione <strong>del</strong>la rotula, che, in generale, può ridursi<br />

spontaneamente. Troppo spesso, purtroppo, questo episodio viene diagnosticato come<br />

una banale distorsione <strong>del</strong> legamento collaterale mediale.<br />

Il <strong>ginocchio</strong> che "si blocca" è il terzo sintomo: in generale si blocca in flessione e<br />

può manifestarsi in circostanze molto variabili: anche in questo caso purtroppo spesso<br />

si pensa che possa essere un blocco di origine meniscale. In realtà quando l’atleta<br />

racconta che il suo <strong>ginocchio</strong> "si blocca" descrive di non riuscire più a piegare il<br />

<strong>ginocchio</strong>: si tratta di un blocco di origine rotulea e sicuramente non di un blocco<br />

dovuto ad una rottura <strong>del</strong> menisco che è caratterizzato da una perdita <strong>del</strong>la completa<br />

estensione <strong>del</strong> <strong>ginocchio</strong>.<br />

Il <strong>ginocchio</strong> è impegnato nella costante ricerca di un eqilibrio statico-dinamico<br />

tridimensionale tra i vari gruppi muscolari.<br />

44


Il mancato equilibrio tra questi gruppi muscolari sul piano sagittale è all’ordine <strong>del</strong><br />

dolore rotuleo.<br />

La morfologia <strong>del</strong>l’articolazione femoro-patellare deriva, durante la crescita, da un<br />

compromesso che avviene tra strutture osteocartilaginee da un lato ed azioni<br />

muscolari dall’altro.<br />

La rotula ha funzione di centratura durante la contrazione <strong>del</strong> quadricipite con<br />

effetto di aumentare la forza e frenare il movimento di flessione <strong>del</strong> <strong>ginocchio</strong>, oltre a<br />

ripartire gli sforzi applicati al tendine rotuleo e a stabilizzare il <strong>ginocchio</strong> nei<br />

movimenti rotatori.<br />

Il buon funzionamento <strong>del</strong>la rotula è basato sulla presenza di un angolo di valgismo<br />

femoro-tibiale di circa 5 -7 gradi.<br />

Il muscolo quadricipite gioca un ruolo fondamentale nella stabilità rotulea: interviene<br />

tramite un fascio monoarticolare con il vasto intermedio e poliarticolare con il retto<br />

femorale: il vastro mediale obliquo assicura la stabilità verticale, orizzontale e<br />

rotatoria.<br />

Dall’altro lato, ma sottoposto a sforzi minori, vi è il vasto esterno e l’espansione<br />

tendinea <strong>del</strong>la ben<strong>del</strong>letta ileo-tibiale.<br />

Il quadricipite nel suo insieme è in grado di esercitare una notevole forza, basti<br />

pensare che per salire una comune scala, un soggetto di 70 kg. esercita a 45° di<br />

flessione <strong>del</strong> <strong>ginocchio</strong> una forza di circa 200 kg. con il quadricipite.<br />

La stabilità legamentosa <strong>del</strong>la rotula è realizzata dai legamenti alari interno ed esterno,<br />

la tensione di quest’ultimo può influenzare la morfologia rotulea.<br />

La corsa <strong>del</strong>la rotula durante il movimento di flesso estensione è di 7.4 cm. e gli sforzi<br />

cui è sottoposta variano a seconda <strong>del</strong>le fasi <strong>del</strong> movimento: da 30 a 40 gradi la rotula<br />

aumenta la sua stabilità in modo significativo. Si sposta sul piano sagittale in avanti ed<br />

indietro di circa 35 gradi descrivendo una curva a concavità posteriore.<br />

Solo il 4% <strong>del</strong>le rotule in estensione completa con quadricipite contratto sono centrate,<br />

mentre il 13% sono centrate con quadricipite rilassato.<br />

L’angolo Q, quello tra asse tibiale e tendine rotuleo, normale va da 10 a 15 gradi. Un<br />

angolo Q aumentato di una ipertensione tibiale determina un aumento degli sforzi<br />

sulla faccetta interna <strong>del</strong>la rotula da 20 a 45 gradi.<br />

I muscoli ischio-crurali hanno prossimalmente una inserzione unica sulla tuberosità<br />

ischiatica, la loro azione non si limita alla flessione <strong>del</strong>la gamba sulla coscia, ma<br />

determina un ricentraggio dinamico rotatorio.<br />

Nella flessione in carico la faccia posteriore <strong>del</strong>la rotula subisce una notevole<br />

45


compressione contro il femore, per diminuire lo sforzo rotuleo i muscoli gemelli si<br />

contraggono e richiamano indietro il femore.<br />

Attraverso il tendine d’Achille si trova così la centratura sagittale che esiste per il<br />

quadricipite con tendine rotuleo.<br />

Il movimento di flesso estensione <strong>del</strong> <strong>ginocchio</strong> dipende da ben 29 coppie d’azione<br />

muscolare, che assicurano l’equilibrio <strong>del</strong>le articolazione femoro-tibiale e femoropatellare<br />

ed ogni movimento di flessione o di estensione.<br />

L’obiettivo <strong>del</strong> <strong>ginocchio</strong> è quindi quello di rimanere costantemente centrato.<br />

I legamenti devono in ogni fase <strong>del</strong> movimento mantenere costanti le distanze tra i<br />

capi ossei: ogni lassità legamentosa determina una modifica dei movimenti flessori e<br />

quindi una disarmonia muscolare.<br />

In molti casi è la rotula che deve sopportare un sovraccarico. Esiste uno stretto<br />

sinergismo L.C.A. ed ischio-crurali e tra gemelli ed L.C.P.<br />

E’ importante notare nei movimenti di estensione l’azione protettiva dei muscoli<br />

flessori posteriori nei confronti <strong>del</strong>l’articolazione femoro-patellare.<br />

La retrazione o l’ipertonia permanente sul retto femorale, provoca una iper pressione<br />

rotulea a partire da 30° di flessione determinando anche un basculamento anteriore <strong>del</strong><br />

bacino; in questo caso i muscoli ischio-crurali si allungano, diminuiscono il freno<br />

verticale femoro-tibiale favorendo la traslazione anteriore <strong>del</strong>la tibia che aggrava il<br />

sovraccarico rotuleo.Mentre non è molto importante lo studio dei valori di forza <strong>del</strong><br />

quadricipite, ma è fondamentale valutare gli ischio-crurali ed i gemelli ed, inoltre,<br />

ricercare eventuali disequilibri <strong>del</strong> bacino.D’altro canto in caso d’importante<br />

retrazione di ischio-crurali si può arrivare ad un <strong>ginocchio</strong> flesso con disarmonia<br />

rotatoria.Si comprende quindi che la maggior parte <strong>del</strong>le sindromi <strong>del</strong>la rotula sono la<br />

conseguenza di un vizio di funzionamento <strong>del</strong>l’apparato estensore, il cui buon<br />

funzionamento deve essere recuperato tramite il trattamento riabilitativo o chirurgico.<br />

46


3.3 Patologie meno frequenti<br />

Parlando di lesioni <strong>del</strong> Legamento Crociato Posteriore (LCP) dobbiamo distinguere:<br />

lesione parziale, lesioni complete isolate, lesioni combinate ed avulsioni ossee.<br />

Una lesione <strong>del</strong> LCP si considera isolata quando la traslazione posteriore <strong>del</strong>la tibia è<br />

meno di 10 mm. Diminuisce con il <strong>ginocchio</strong> in intrarotazione, non è associata ad<br />

anomale lassità anteriore ed in varismo inoltre, non è presente un aumento superiore a<br />

5° <strong>del</strong>la extrarotazione <strong>del</strong>l’arto misurata con il <strong>ginocchio</strong> flesso a 30° e 90°.<br />

Quando la lesione <strong>del</strong> LCP non è isolata ovvero altre strutture legamentose sono<br />

interessate, l’indicazione terapeutica è chirurgica.<br />

Le avulsioni ossee vengono tratte chirurgicamente; il trattamento <strong>del</strong>le lesioni isolate<br />

complete o parziali è tuttora molto discusso.<br />

Eziopatogenesi<br />

Il meccanismo lesionale è frequentemente un trauma diretto antero posteriore così<br />

come avviene nella classica lesione da cruscotto ma il LCP può rompersi anche per<br />

una iperflessione od una violenta iperestensione <strong>del</strong> <strong>ginocchio</strong>.<br />

La letteratura fornisce percentuali di incidenza fra tutte le lesioni legamentose che<br />

variano dall’8% al 20%. L’analisi di alcuni studi multicentrici rivela che il trauma<br />

iniziale era nel 26% dei casi un incidente sportivo e nel 64% dei casi un incidente<br />

stradale, più spesso in moto; soprattutto in questi casi la lesione <strong>del</strong> LCP è<br />

frequentemente associata a politraumatismi (55% dei casi).<br />

Nell’ambito sportivo, si verifica più facilmente negli sport di contatto (30% dei<br />

casi). Riteniamo che la lesione <strong>del</strong> LCP sia probabilmente più frequente di quanto non<br />

venga diagnosticato proprio perché spesso associata a complessi traumi <strong>del</strong>l’apparato<br />

scheletrico; lesione legamentosa infatti, può passare misconosciuta sia per una reale<br />

difficoltà valutativa che per la priorità che di solito viene data in casi, al trattamento<br />

<strong>del</strong>le lesioni associate, talora interessanti organi vitali.<br />

47


3.4 Atleti infortunati<br />

La tedesca Steffi Graf, numero 3 <strong>del</strong>la classifica mondiale <strong>del</strong> tennis femminile, e'<br />

stata sottoposta a un intervento chirurgico al <strong>ginocchio</strong> sinistro, in una clinica privata<br />

a Vienna nel giugno 1997.<br />

L'assenza <strong>del</strong>la tedesca dai campi di gioco viene quantificata in quattro mesi. Ad<br />

operare sarebbe stato il professor Reinhard Weinstabl, marito <strong>del</strong>la tennista austriaca<br />

Barbara Paulus.<br />

La Graf si era infortunata a Tokyo il primo febbraio scorso, ed era stata costretta a un<br />

riposo forzato. Il rientro a meta' maggio nel torneo di Berlino. Al Roland Garros, dopo<br />

l'eliminazione ai quarti di finale con la sudafricana Amanda Coetzer, gli osservatori<br />

piu' attenti avevano notato una sua camminata lievemente zoppicante. L'operazione si<br />

sarebbe resa necessaria per la cattiva posizione <strong>del</strong>la rotula, che irritava il tendine.<br />

Dopo la rapida convalescenza in clinica, la Graf ha seguito una terapia di<br />

riabilitazione nella clinica di un kinesiterapista austriaco.<br />

L'argentino Hernan Gumy (nella foto) è stato costretto a ritirarsi a<br />

causa di un infortunio al <strong>ginocchio</strong> mentre stava conducendo<br />

l'incontro con il greco Solon Peppas (7/6 - 4/3).<br />

Il croato Goran Ivanisevic ha subito un’infortunio al <strong>ginocchio</strong><br />

destro ,stiramento <strong>del</strong> legamento collaterale mediale, nel torneo<br />

di Dubai il 25 febbraio <strong>del</strong> 2003.<br />

Il campano Starace riprende ad allenarsi dopo l'operazione al <strong>ginocchio</strong> (02/10/2003).<br />

Potito Starace torna ad allenarsi. Il campione di tennis di Cervinara è stato lontano dai<br />

campi per quasi un mese, a causa di un intervento chirurgico al <strong>ginocchio</strong>.<br />

L'operazione si è resa necessaria dopo l'infortunio nel corso <strong>del</strong> torneo di Genova.<br />

"Dopo venti giorni di stop - Starace – ha riprenso la preparazione fisica.<br />

L’americana Davenport subisce un intervento chirurgico al <strong>ginocchio</strong> nel gennaio<br />

2002.<br />

Dal torneo Sanex Championship in cui Lindsay Davenport fu costretta al ritiro a causa<br />

di un serio infortunio al <strong>ginocchio</strong>. Sei mesi dopo l'intervento chirurgico al quale si è<br />

sottoposta, e dopo fisioterapia e stampelle, Lindsay torna finalmente a giocare e<br />

vincere. Non solo Lindsay ha debuttato vittoriosamente, ma ha anche impressionato<br />

per il suo recupero fisico. Ha dimostrato solidità nel gioco e in particolar modo nel<br />

servizio che ha toccato punte di 104 miglia orarie. Lindsay ha dichiarato che dovrà<br />

48


lottare duramente per tornare forte come prima <strong>del</strong>l’infortunio.<br />

Successivamente a New Haven 06/02/2004 Davenport ha dichiarato di avvertire un<br />

fastidioso indolensimento al <strong>ginocchio</strong> che ha contribuito alla sua sconfitta ai French<br />

Open 2004 con Elena Dementieva per 6/3 6/1.<br />

49


3.5 Casistica<br />

C'è una casistica nella distorsione al <strong>ginocchio</strong> con lesione dei legamenti che colpisce<br />

soprattutto le ragazze.<br />

Nel tennis come nel basket e nella pallavolo, la donna è molto più soggetta, rispetto<br />

all'uomo, alle lesioni legamentose <strong>del</strong> <strong>ginocchio</strong>.<br />

La causa che produce questa maggiore incidenza nelle femmine non è stata ancora<br />

scoperta. Sono state avanzate una serie di ipotesi tra le quali le più accreditate sono:<br />

1. una maggiore predisposizione ai traumi in valgoextrarotazione per il differente asse<br />

anatomico <strong>del</strong> <strong>ginocchio</strong>;<br />

2. una maggiore debolezza <strong>del</strong>la struttura legamentosa dovuta a fattori ormonali;<br />

3. una maggiore predisposizione ai traumi distorsivi per le azioni di gioco più lunghe;<br />

La prima e, dal nostro punto di vista, la più accreditata ipotesi è da ricercarsi nella<br />

conformazione strutturale <strong>del</strong>la donna. La donna, per motivi di gestazione e di parto,<br />

presenta un bacino più largo rispetto agli uomini. Il bacino più largo condiziona l'asse<br />

<strong>del</strong> femore, il quale determina a livello <strong>del</strong> <strong>ginocchio</strong> un maggiore valgo. E' intuitivo<br />

che se un abnorme forza, di solito determinata dal peso <strong>del</strong> corpo in caduta da un<br />

attacco, si scarica in maniera squilibrata sul <strong>ginocchio</strong>, tenderà, nel <strong>ginocchio</strong> valgo, a<br />

chiudere la parte laterale (rima laterale) ed aprire la parte mediale (rima mediale). Le<br />

strutture che si oppongono a tale abnorme movimento sono il legamento collaterale<br />

mediale e il legamento crociato anteriore.<br />

Essendo la ricaduta a terra i due momenti in cui sono presenti i maggiori rischi, è<br />

importante che gli allenatori curino adeguatamente l'atterraggio <strong>del</strong>la battuta.<br />

La seconda ipotesi, che può benissimo coesistere con la prima, è legata all'effetto che<br />

alcuni ormoni, prettamente femminili, hanno sulla composizione cellulare dei<br />

legamenti.<br />

Delle recenti scoperte hanno evidenziato il ruolo negativo recitato dagli estrogeni sulla<br />

tenuta dei legai menti Quindi costituzionalmente la donna presenta una maggiore<br />

elasticità ma di contro una maggiore debolezza legamentosa.<br />

La terza ipotesi attribuisce al fattore stanchezza una priorità causale sugli eventi<br />

distorsivi. Sicuramente le azioni <strong>del</strong> tennis femminile sono più lunghe rispetto alla<br />

maschile. Ciò è dovuto alla minore potenza <strong>del</strong>l'attacco che permette una maggiore<br />

efficacia <strong>del</strong>la difesa e di conseguenza la palla restò più in gioco.<br />

Non ci convince tale ipotesi per due motivi:<br />

a) se accettassimo tate ipotesi, la maggior parte dei traumi<br />

50


avverrebbe durante <strong>del</strong>le azione tirate negli ultimi set <strong>del</strong>le partite e invece molti dei<br />

traumi distorsivi avvengono sia nel riscaldamento sia durante il primo set;<br />

b) sport quali il calcio e il basket, in cui non sono giustificate nelle donne azioni di<br />

gioco più lunghe, presentano la stessa maggiore incidenza nel sesso femminile.<br />

51


Capitolo 4<br />

Prevenzione degli Infortuni nel <strong>Tennis</strong><br />

4.1 Come prevenire i traumi<br />

Gli atleti agonisti devono necessariamente effettuare allenamenti specifici, con<br />

determinati carichi di lavoro, ed eseguire ripetutamente i movimenti tipici <strong>del</strong>lo sport<br />

praticato, potenzialmente lesivi per le strutture anatomiche; pertanto l’unico modo per<br />

diminuire il rischio di patologia è curare con la massima attenzione le fasi di<br />

preparazione iniziale all’allenamento ed alla gara, effettuando esercizi di mobilità e di<br />

allungamento (stretching) e curando il riscaldamento muscolare sia generale che<br />

specifico. E’ altresì importante una adeguata preparazione di base, la corretta<br />

somministrazione dei carichi di lavoro ed un tempo di recupero idoneo al ripristino<br />

<strong>del</strong>le condizioni basali: un recupero insufficiente, infatti, può favorire l’insorgenza<br />

<strong>del</strong>le <strong>patologie</strong> da sovraccarico funzionale e la fatica, alterando le capacità<br />

coordinative e la sensibilità propriocettiva, rendere più elevata l’incidenza di traumi<br />

acuti. Per prevenire l’insorgenza di <strong>patologie</strong> infiammatorie, specie se l’atleta ha già<br />

sofferto di questo tipo di affezione, è opportuno eseguire, dopo l’allenamento e la<br />

gara applicazioni di ghiaccio sulle strutture anatomiche maggiormente a rischio<br />

(<strong>ginocchio</strong>, tendine d’Achille, spalla) e curare in modo particolare lo stretching dei<br />

gruppi muscolari agonisti ed antagonisti. Per quanto riguarda la colonna vertebrale è<br />

fondamentale mantenere la mobilità e l’elasticità <strong>del</strong> rachide per favorire la sua<br />

funzionalità, non dimenticando di eseguire anche un lavoro specifico di tonificazione<br />

<strong>del</strong>la muscolatura stabilizzatrice <strong>del</strong>la colonna (muscoli addominali, lombo-sacrali<br />

ecc.). Inoltre, è importante limitare i carichi iniziali, cercare di raggiungere un peso<br />

corporeo ottimale e, soprattutto, rivolgersi immediatamente ad un medico <strong>del</strong>lo sport<br />

in caso di insorgenza di sintomatologie dolorose, anche se di modesta entità. In tal<br />

modo è possibile intervenire su <strong>patologie</strong> in fase iniziale, ottenendo una più rapida e<br />

sicura guarigione e soprattutto si possono adottare tutti i mezzi idonei ad impedire una<br />

recidiva <strong>del</strong>la patologia, intervenendo sulle cause: non si deve mai dimenticare che un<br />

breve periodo di terapia e di riposo, associato ad un corretto programma di<br />

riabilitazione specifica, può spesso risolvere <strong>patologie</strong> in fase iniziale, mentre<br />

continuare l’attività ne può causare l’aggravamento e determinarne la cronicizzazione,<br />

rendendo molto più complesso l’intervento terapeutico. L'atleta è esposto ad un<br />

rischio infortunistico, che può essere ricondotto alle seguenti condizioni:<br />

RISCHIO ENDOGENO<br />

Stato psico-fisico inadeguato alla prestazione atletica<br />

Attività intensa e ripetitiva<br />

Programma tecnico carente inadeguato<br />

RISCHIO ESOGENO<br />

52


Potenzialità traumatica di alcune discipline sportive, velocità, contatti fisici, ecc.;<br />

abbigliamento, attrezzi, impianti sportivi non a norma, condizioni ambientali e<br />

climatiche non favorevoli.<br />

Le adeguate misure preventive da rispettare al fine di evitare, o almeno rendere meno<br />

probabili, le <strong>patologie</strong> muscolo-tendinee ed articolari di maggior incidenza nel tennis<br />

sono:<br />

1. adeguato riscaldamento prima <strong>del</strong>lo sforzo specifico (gara e allenamento)<br />

2. stretching prima e dopo lo sforzo fisico<br />

3. rispetto dei tempi di recupero<br />

4. correzione degli errori posturali e di esecuzione dei gesti tecnici specifici<br />

5. adattamento agli attrezzi eventualmente utilizzati<br />

6. potenziamento sia <strong>del</strong>la muscolatura agonista che di quella antagonista dei<br />

distretti interessati allo sforzo<br />

53


4.2 Tecnologie per la prevenzione<br />

Il tennis è uno sport che si basa sulla coordinazione, sulla fluidità dei movimenti <strong>del</strong><br />

corpo e su di un complesso di forze che spesso agiscono in modo contrastante.<br />

Giocare a tennis in modo inefficiente può portare a risultati scadenti nella migliore<br />

<strong>del</strong>le ipotesi; a gravi problemi fisici nella peggiore. La tecnologia oggi può aiutare<br />

molto i tennisti.<br />

La tecnologia sta sempre più condizionando la nostra vita quotidiana, permettendoci<br />

di compiere operazioni assai complesse con estrema facilità e velocità, il tutto in<br />

modo efficiente e pratico. Lo sport è spesso pioniere in queste trovate, visto l’interesse<br />

economico e sociale che lo sport in genere riveste nella società moderna.<br />

Ormai i tennisti professionisti e coloro che intraprendono la lunga strada <strong>del</strong><br />

professionismo sono sottoposti a stress fisici notevoli. Si gioca tanto, in condizioni di<br />

gioco non omogenee, e senza poter prevedere un vero schedule annuale, visto che più<br />

si vince e più si è “costretti” a giocare nel corso <strong>del</strong>la settimana, rendendo difficile una<br />

vera programmazione, un calendario strutturato rigidamente. Diventa quindi ancor più<br />

importante gestire bene l’aspetto psico-fisico <strong>del</strong>la prestazione, per ridurre al massimo<br />

i possibili infortuni, soprattutto quelli derivanti non da un incidente traumatico ma<br />

bensì da un problema di stress o posturale.<br />

La tecnologia oggi può aiutare molto i tennisti nel prevenire questi problemi. Si<br />

stanno affermando alcuni dottori in biomeccanica che studiano i movimenti dei vari<br />

atleti nel compimento <strong>del</strong> gesto tecnico, nelle varie fasi di gioco, avvalendosi di<br />

sofisticati macchinari che consentono di valutare il grado di efficienza <strong>del</strong> gesto. Più<br />

un gesto è compiuto con efficienza, meno sforzo subirà il fisico (oltre ad ottenere<br />

spesso un risultato agonistico migliore), minori saranno le probabilità di subire un<br />

problema a causa <strong>del</strong> gesto stesso. Il ripetere infinite volte un movimento poco<br />

efficiente può causare seri traumi, alle articolazioni ed alla muscolatura. Moltissimi<br />

atleti hanno convissuto per tutta la loro carriera con problemi divenuti cronici proprio<br />

per la mancanza di uno studio appropriato che li abbia aiutati a capire l’errore e<br />

corretti.Si tratta,dunque,<strong>del</strong>la possibilità di usufruire <strong>del</strong>la moderna tecnologia<br />

informatica per migliorare la fluidità <strong>del</strong> movimento <strong>del</strong> corpo all’atto di eseguire un<br />

certo gesto tecnico, per sfruttare al meglio le proprie potenzialità e preservare la salute<br />

<strong>del</strong>l’atleta a 360°, dal logorio.<br />

Uno dei massimi esperti mondiali nel campo è l’australiano Brad Langerveld.<br />

Ha aiutato, tra gli altri, tennisti <strong>del</strong> calibro di Pat Cash, Greg Rusedski, Pat Rafter,<br />

Wayne Ferriera, Jason Stoltenberg.<br />

Il suo studio è teoricamente molto semplice: analizzando al computer i movimenti di<br />

un centinaio di forti tennisti, ha elaborato un mo<strong>del</strong>lo biomeccanico di come si<br />

54


dovrebbe eseguire un colpo di tennis per ottenere con il minor attrito, logorio e sforzo<br />

un colpo perfettamente efficiente ed efficace. Ha trovato così dei campioni “perfetti”<br />

dal punto di vista <strong>del</strong>la postura e <strong>del</strong>la efficienza <strong>del</strong> movimento, ai quali confronta i<br />

gesti <strong>del</strong>l’atleta che richiede un consulto, cercando così le differenze e suggerendo i<br />

possibili rimedi in accordo con l’atleta stesso. Per studiare il gesto tecnico <strong>del</strong> tennista,<br />

Langerveld usa un complesso di sofisticate telecamere digitali, riprendendo da molte<br />

angolazioni i movimenti <strong>del</strong>l’atleta mentre indossa vari sensori. Poi le immagini<br />

vengono studiate al rallentatore, sezionandole fotogramma per fotogramma, ed<br />

elaborate con un apposito software. Attraverso tecnologie raffinate si riesce a capire<br />

come i muscoli lavorano e si contraggono, a quali sforzi sono sottoposti i tendini,<br />

calcolando così lo lo sforzo generale e misurando il logorio, gli attriti, i pesi a cui sono<br />

sottoposti nei vari movimenti. La figura umana viene per così dire stilizzata, quasi<br />

fosse un fumetto, e poi via via ricomposta aggiungendo la parte interessata. E’ un<br />

lavoro decisamente complesso, non alla portata di tutti! Così facendo ha potuto<br />

analizzare ogni singolo attimo di come la “macchina corpo umano” lavora alle varie<br />

condizioni, e creare così dei diagrammi riassuntivi.<br />

Inoltre, per rendere visibile e comprensibile il tutto anche all’atleta, ha costruito dei<br />

mo<strong>del</strong>li visivi molto semplici, ma efficacissimi per far capire i problemi. Uno degli<br />

elementi chiave per giocare con la massima efficienza è l’equilibrio. Equilibrio in ogni<br />

fase, soprattutto la capacità dei muscoli <strong>del</strong>l’atleta di lavorare tutti<br />

contemporaneamente nella stessa direzione, non sottoponendo così il fisico a forze<br />

contrarie all’inerzia <strong>del</strong> movimento che creerebbero soltanto resistenze e problemi.<br />

Sovrapponendo all’immagine <strong>del</strong> gesto tecnico <strong>del</strong>le righe tracciate con il computer,<br />

Langerveld ha creato una simulazione con cui l’atleta può facilmente capire dove va a<br />

finire la sua forza durante il movimento e come invece dovrebbe svilupparsi il tutto<br />

per non risultare dannoso, o comunque per essere migliore per la salute <strong>del</strong> proprio<br />

corpo. A questo punto il tennista è libero di lavorare sopra a questo studio per<br />

cambiare il proprio modo di giocare. Tra i vari campioni analizzati dallo studioso<br />

australiano, i più efficienti sono risultati, tra gli altri, il servizio di Sampras, il diritto di<br />

Agassi e di Krajicek, il rovescio di Kafelnikov, Edberg e Becker. Nel diritto <strong>del</strong><br />

campione di Las Vegas si intravedono tutte le caratteristiche di un colpo giocato con il<br />

minimo logorio: equilibrio, scioltezza, una continua accelerazione di tutto il corpo,<br />

gambe-tronco-braccia, nella giusta direzione. L’ottimale dinamicità è ben evidenziata<br />

dal diagramma che mostra tutte rette parallele, partendo dalla preparazione, passando<br />

per l’impatto con la palla fino alla fase <strong>del</strong> rilascio. Un colpo assolutamente perfetto<br />

dal punto di vista biomeccanico. Naturalmente si parla di un diritto giocato non in<br />

condizioni estreme, ma di un colpo giocato in una fase di scambio.<br />

Langerveld: “Il limite dei tennisti è che spesso si accorgono <strong>del</strong> problema quando<br />

ormai è troppo tardi. Se si sottopone il fisico ad un logorio eccessivo in certe parti <strong>del</strong><br />

corpo è poi difficile risolvere completamente il problema. Ed a volte proporre dei<br />

cambiamenti nella loro tecnica è molto difficile, si incontrano molte resistenze. Ideale<br />

sarebbe intervenire da ragazzini, quando ancora il fisico si sta formando, in modo da<br />

correggere alla base gli eventuali problemi e quindi creare un tennista sano dal punto<br />

di vista posturale e biomeccanico. Però sono ancora poche le scuole tennis che<br />

55


sfruttano questi metodi, probabilmente anche per problemi di costi che attualmente<br />

purtroppo non sono bassi. Dovrebbero essere le stesse federazioni nazionali ad<br />

usufruire di queste metodologie.”Si sta iniziando, ma ancora i mezzi non sono tanti.”<br />

Così parla il dott. Langerveld, nella speranza di poter dare un contributo al futuro<br />

<strong>del</strong>la salute dei tennisti, e non solo.<br />

56


4.3 L’importanza <strong>del</strong>lo Stretching<br />

Nello sport lo stretching assume un’importanza basilare in quanto è proprio grazie a<br />

questo particolare sistema di allungamento/allenamento che il praticante raggiungerà<br />

la massima (ovviamente individuale) flessibilità muscolare.<br />

Origini <strong>del</strong>lo stretching<br />

La parola “stretching” è un termine che proviene dall’inglese “to stretch” che in<br />

italiano significa allungamento. È una metodica che consiste nell’allungamento<br />

muscolare e nella mobilizzazione <strong>del</strong>le articolazioni attraverso l’esecuzione di esercizi<br />

di stiramento, semplici o complessi, allo scopo di mantenere il corpo in un buono stato<br />

di forma.<br />

IL SARCOMERO - Unità contrattile <strong>del</strong> muscolo<br />

Lo stretching è arrivato in Europa e in Italia, sulla scia <strong>del</strong>la ginnastica aerobica e<br />

<strong>del</strong>la cultura <strong>del</strong> tempo libero e <strong>del</strong>la cura <strong>del</strong> corpo, giunte come sempre da oltre<br />

oceano. Le origini <strong>del</strong>lo stretching sono varie; quello più conosciuto è quello<br />

codificato da Bob Anderson.<br />

Gli esercizi di stretching sollecitano, oltre alle fibre muscolari, il tessuto connettivo<br />

(tendini, fasce ecc.) presente nella struttura contrattile. Il tessuto connettivo è<br />

57


estensibile (può essere allungato), ma se non viene regolarmente sollecitato con<br />

l’esercizio fisico, in breve tempo perde questa caratteristica essenziale.<br />

Parlando di stretching è anche d’obbligo parlare <strong>del</strong>la mobilità articolare (conosciuta<br />

anche come: articolarità, flessibilità, estensibilità, ecc.): è la capacità di compiere<br />

movimenti ampi ed al massimo <strong>del</strong>la estensione fisiologica consentita dalle<br />

articolazioni.<br />

Questa capacità è condizionata:<br />

- dalla struttura ossea <strong>del</strong>l’articolazione;<br />

- dalle sue componenti anatomiche e funzionali (grado di estensibilità dei legamenti,<br />

tendini e muscoli);<br />

- dalla temperatura <strong>del</strong>l’ambiente;<br />

- dal livello di riscaldamento <strong>del</strong> corpo.<br />

È importante ricordare che le fibre muscolari si adattano rapidamente a qualsiasi<br />

situazione.<br />

Tipi di stretching<br />

Non esiste una sola forma di stretching, anche se quello più conosciuto è, come già<br />

detto, quello codificato da Bob Anderson. In questo capitolo prenderemo in<br />

considerazione quelli più conosciuti.<br />

Stretching balistico<br />

È il primo tipo di allungamento conosciuto e in genere non viene utilizzato nei centri<br />

sportivi, palestre, club perché è pericoloso in quanto fa attivare nel muscolo il riflesso<br />

di stiramento (riflesso incondizionato che ordina al muscolo di reagire ad una tensione<br />

brusca con una rapida contrazione, con elevato rischio di trauma muscolare). È un<br />

sistema di stretching vecchio e ormai accantonato per la sua pericolosità. Il metodo è<br />

molto semplice, si arriva in posizione di allungamento e poi si inizia a molleggiare.<br />

Stretching dinamico<br />

Questo sistema è consigliato in programmi sportivi in cui sono previsti movimenti ad<br />

elevata velocità, poiché agisce sull'elasticità di muscoli e tendini. Il muscolo agonista<br />

contraendosi rapidamente tende ad allungare il muscolo antagonista (il muscolo che in<br />

questo esercizio vogliamo allungare); si effettuano, quindi, movimenti a "rimbalzo"<br />

con una certa rapidità. La tecnica consiste nello slanciare in modo controllato le<br />

gambe o le braccia, in una determinata direzione, senza molleggiare, rimbalzare o<br />

dondolare.<br />

Leggi <strong>del</strong>lo stretching dinamico:<br />

- procedere ad un riscaldamento generale (cardiovascolare) e settoriale (rotazione<br />

<strong>del</strong>le articolazioni: collo, spalle, gomiti, polsi, ecc.);<br />

- iniziare con slanci lenti e sciolti e gradatamente aumentare l’ampiezza oppure la<br />

velocità di esecuzione.<br />

58


- non slanciare in modo incontrollato (tipo stretching balistico).<br />

- controllare il movimento.<br />

- terminare gli slanci quando si manifestano i primi segni di fatica in una diminuzione<br />

di ampiezza e velocità.<br />

- non allenarsi quando i muscoli sono affaticati, i muscoli stanchi sono meno flessibili,<br />

meno veloci e più soggetti a traumi.<br />

- per sport altamente tecnici è necessario prestare particolare attenzione<br />

all’allineamento dei segmenti corporei.<br />

Streching statico<br />

È il sistema di stretching più conosciuto, quello codificato da Bob Anderson. Questo<br />

sistema di stretching, con le sue posizioni e il suo modo di respirare, prende spunto<br />

dallo yoga e fonda la sua pratica in esercizi di stiramento muscolare allo scopo di<br />

mantenere il corpo in un buono stato di forma fisica. Si raggiunge l’allungamento<br />

muscolare tramite posizioni di massima flessione, estensione o torsione. Queste<br />

posizioni devono essere raggiunte lentamente in modo da non stimolare nei muscoli<br />

antagonisti il riflesso da stiramento.<br />

RIFLESSO DA STIRAMENTO<br />

Raggiunta la posizione va mantenuta per un tempo da 15 a 30 secondi, è importante<br />

che l’estensione non superi la soglia <strong>del</strong> dolore.<br />

59


Leggi <strong>del</strong>lo stretching statico:<br />

1. Trazione costante senza molleggi da 10 a 30 secondi.<br />

2. Mai oltre la soglia <strong>del</strong> dolore.<br />

3. Riscaldamento generale prima <strong>del</strong>lo stretching.<br />

4. Abbigliamento comodo.<br />

5. Ambiente non rumoroso.<br />

6. Suolo non freddo.<br />

7. Concentrazione.<br />

8. Non confrontarsi con altri.<br />

9. Controllo <strong>del</strong> respiro.<br />

10. Alternare l’estensione dei muscoli agonisti con quelli antagonisti.<br />

11. Programma razionale, meglio se sviluppato da personale qualificato.<br />

Stretching statico attivo<br />

Gli esercizi di stretching statico attivo consistono in esercizi eseguiti con ampiezza di<br />

movimento e sostenendo l’arto o il segmento corporeo contraendo isometricamente i<br />

muscoli agonisti.<br />

Le leggi <strong>del</strong>lo stretching statico attivo:<br />

1 Se vi sono esercizi in sospensione per le gambe, le prime volte utilizzare dei rialzi.<br />

2 Esercitare i muscoli stabilizzatori, specifici <strong>del</strong>la posizione, mediante appositi esercizi.<br />

3 Aumentare la forza e la resistenza generale, in particolare <strong>del</strong>la sezione addominale e<br />

lombare.<br />

4 Sviluppare al massimo la mobilità articolare.<br />

Proprioceptive Neuromuscolar Facilitation (P.N.F.)<br />

P.N.F. deriva dalle parole inglesi “Proprioceptive Neuromuscolar Facilitation” che<br />

in italiano significa “facilitazione propriocettiva neuromuscolare”.<br />

Questo sistema di stretching è diviso in 4 tempi:<br />

1 Si raggiunge il massimo allungamento <strong>del</strong> muscolo in modo graduale e lento.<br />

2 Si esegue una contrazione isometrica per circa 15/20 secondi (sempre in posizione<br />

di massimo allungamento).<br />

3 Rilassamento per circa 5 secondi.<br />

4 Si allunga nuovamente il muscolo (contratto precedentemente) per almeno 30<br />

secondi.<br />

60


L’intero procedimento è da ripetere per due volte. Questo tipo di stretching, viene<br />

usato molto nella terapia di riabilitazione.<br />

Contract Relax Antagonist Contract (C.R.A.C.)<br />

C.r.a.c. deriva dalle parole inglesi “Contract Relax Antagonist Contract” che in<br />

italiano significa “contrazione, rilassamento e contrazione dei muscoli antagonisti”. È<br />

simile al P.N.F., si differenzia nella fase finale <strong>del</strong>l’allungamento. Prevede, infatti,<br />

l’intervento attivo (contrazione) dei muscoli antagonisti (in questo caso agonisti <strong>del</strong><br />

movimento) a quelli che si stanno allungando. Anche in questo caso è necessaria la<br />

presenza di un compagno che collabori nella contrazione isometrica iniziale dei<br />

muscoli che si vogliono allungare, e che dia anche un ulteriore aiuto, nella fase finale<br />

di allungamento, alla contrazione dei muscoli antagonisti. In questo sistema vi è una<br />

contrazione e un rilassamento <strong>del</strong> muscolo agonista quando viene contratto con forza<br />

l’antagonista.<br />

Contrazione, Rilassamento e Stretching (C.R.S.)<br />

C.R.S. significa “Contrazione, Rilassamento e Stretching. Questo sistema consiste nel<br />

contrarre isometricamente il muscolo in questione per 10/15 secondi, rilassarlo per 5/6<br />

secondi e attuare l’allungamento.<br />

Stretching globale attivo (o decompensato)<br />

Lo stretching globale attivo si basa sul principio che solo gli stiramenti globali sono<br />

realmente efficaci. Gli stiramenti vengono effettuati mediante posizioni che allungano<br />

tutta una catena muscolare portando così ad una rieducazione <strong>del</strong>la postura. È una<br />

forma di stretching innovativa e consiste nella rieducazione posturale per la<br />

prevenzione ed il trattamento <strong>del</strong>le alterazioni <strong>del</strong>l’equilibrio tonico dei muscoli e<br />

<strong>del</strong>l’equilibrio neurovegetativo riconducibili, in questo caso, alla pratica sportiva. Lo<br />

stretching globale attivo trae i suoi principi dalla Rieducazione Posturale Globale,<br />

metodo <strong>del</strong> “Campo Chiuso”, creata da Philippe E. Souchard. L’importanza di questo<br />

sistema è che non agisce sul singolo gruppo muscolare ma nella globalità <strong>del</strong> corpo.<br />

Secondo la teoria <strong>del</strong> creatore di questo sistema, quando eseguiamo un esercizio di<br />

stretching classico su un muscolo (o un gruppo muscolare), otteniamo una parte di<br />

allungamento <strong>del</strong>le fibre interessate e una parte di allungamento che viene preso a<br />

“prestito” da altri gruppi muscolari. In altre parole, quando si allunga un muscolo, altri<br />

gruppi muscolari devono cedere la propria tensione per permettere l’allungamento <strong>del</strong><br />

muscolo in questione. Tale meccanismo darà una falsa mobilità al muscolo. Questo<br />

sistema fa comprendere che ogni volta che si mette in funzione un determinato<br />

muscolo, si crea un movimento nell’intera struttura e da ciò si capisce che la struttura<br />

<strong>del</strong>l’uomo è organizzata in catene muscolari. Uno dei principi fondamentali, sfruttati<br />

dallo stretching globale attivo, è la globalità che prevede, quindi, l'interessamento di<br />

61


tutti i segmenti <strong>del</strong> corpo nello stesso momento attraverso la realizzazione di<br />

particolari posizioni che evolvono in maniera dolce e progressiva, con<br />

l'interessamento <strong>del</strong>la respirazione, verso una posizione finale di massimo<br />

allungamento. Un'altra caratteristica necessaria è costituita dalla partecipazione<br />

"attiva" dei distretti muscolari interessati dallo stiramento attraverso la contrazione<br />

isotonica-eccentrica, ricercandone così il rilasciamento riflesso. Vengono utilizzate 9<br />

(nove) posture, ognuna con la specificità di agire su una serie determinata di “catene<br />

muscolari”. Nella pratica sportiva, in alternativa allo stretching tradizionale, permette<br />

un maggiore allungamento muscolare, controllato attivamente dal soggetto con<br />

sequenze coordinate. Ciò realizza un riequilibrio <strong>del</strong>le tensioni e permette una<br />

maggiore economia <strong>del</strong> sistema con un aumento quindi <strong>del</strong>la performance atletica.<br />

Sembra, inoltre offrire una valida prevenzione contro le <strong>patologie</strong> da sovraccarico<br />

muscolo-tendinee.<br />

62


4.4 Esempi di Stretching<br />

Stretching dinamico<br />

Stretching statico<br />

Stretching statico attivo<br />

P.N.F.<br />

63


Stretching globale attivo<br />

RESPIRAZIONE<br />

È importante ricordare che qualsiasi sistema di stretching si stia attuando, la<br />

respirazione deve essere normale e tranquilla. Non bisogna mai trattenere il respiro<br />

durante un esercizio di allungamento. Lo scopo di una corretta respirazione è<br />

importante perché una buona ossigenazione attenua lo stato di tensione <strong>del</strong>l’atleta fino<br />

a portarlo ad uno stato di equilibrio <strong>del</strong>le sue funzioni fisiologiche e quindi anche <strong>del</strong><br />

tono muscolare. La posizione deve permettere una corretta respirazione. Se la<br />

posizione mantiene il muscolo in un’eccessiva tensione è probabile che la respirazione<br />

diventi affannosa o difficoltosa, in questo caso è importante diminuire la tensione<br />

finché la respirazione non diventerà naturale. La concentrazione deve essere sia sulla<br />

respirazione, sia sull’esercizio che si sta attuando.<br />

64


Praticanti <strong>del</strong>lo stretching<br />

Esistono tre categorie nelle quali classificare i possibili praticanti lo stretching.<br />

1- Sportivi<br />

Chi cioè regolarmente pratica un’attività fisica, a loro volta divisi in due sotto<br />

categorie:<br />

- Sportivi dilettanti.<br />

- Sportivi agonisti.<br />

Per gli sportivi dilettanti è indicato lo stretching statico in quanto consente di acquisire<br />

e mantenere una buona flessibilità. Per gli sportivi agonisti lo stretching statico è<br />

indicato come riscaldamento o defaticamento, ma è indicato usare il P.N.F. come<br />

preparazione specifica, in quanto influisce in misura maggiore sulla mobilità articolare<br />

migliorando così la prestazione.<br />

2- Individui sotto terapia correttiva o riabilitativa<br />

In questi casi la casistica è ampia e differenziata e la migliore scelta è sempre nelle<br />

mani di un professionista qualificato nel settore <strong>del</strong>la riabilitazione.<br />

3- Individui inattivi<br />

Lo stretching contribuisce notevolmente ad evitare o ridurre la rigidità <strong>del</strong>le<br />

articolazioni. Lo stretching, grazie alla sua semplicità e grazie al non utilizzo di<br />

attrezzature o spazi grandi può essere praticato facilmente da questi soggetti.<br />

Benefici<br />

È utile soffermarci sui benefici che lo stretching genera sia sul livello di prestazione<br />

sportiva, che sull'efficienza fisica.<br />

Benefici sul sistema muscolare e tendineo<br />

- Aumenta la flessibilità e l’elasticità dei muscoli e dei tendini.<br />

- Migliora la capacità di movimento.<br />

- È un’ottima forma di preparazione alla contrazione muscolare.<br />

- In alcuni casi diminuisce la sensazione di fatica.<br />

- Può prevenire traumi muscolari ed articolari.<br />

Benefici sulle articolazioni<br />

- Attenua le malattie degenerative.<br />

- Stimola la "lubrificazione" articolare.<br />

- Mantiene "giovani" le articolazioni, rallentando la calcificazione <strong>del</strong> tessuto<br />

connettivo.<br />

Benefici sul sistema cardiocircolatorio e respiratorio<br />

- Diminuisce la pressione arteriosa.<br />

- Favorisce la circolazione.<br />

- Migliora la respirazione.<br />

65


- Aumenta la capacità polmonare.<br />

Benefici sul sistema nervoso<br />

- Sviluppa la consapevolezza di sé.<br />

- Riduce lo stress fisico.<br />

- Favorisce la coordinazione dei movimenti.<br />

- È rilassante e calmante.<br />

È importantissimo, da parte <strong>del</strong>l’atleta, non fare stretching solo in palestra sotto la<br />

guida <strong>del</strong> proprio coach, ma seguire giornalmente un proprio programma di stretching<br />

di minimo ½ ora. Un lavoro quotidiano e costante nel tempo consente alle<br />

articolazioni di raggiungere una maggiore mobilità, permettendo all’atleta una<br />

espressione migliore <strong>del</strong>le proprie potenzialità.<br />

Da parte <strong>del</strong> coach vi devono essere dei punti fermi da seguire:<br />

1) Ogni esercizio deve essere spiegato e dimostrato in modo chiaro ed esatto.<br />

2) È importante soffermarsi su ciascun esercizio per il tempo necessario affinché il<br />

nuovo “movimento” sia ben compreso dal corpo.<br />

3) Accanto alla dimostrazione pratica e teorica è importante esporre anche le<br />

sensazioni fisiche che l’esercizio deve far provare.<br />

4) Mai pretendere dall’atleta che questi faccia l’esercizio perfettamente, è necessario<br />

comprendere che una persona ha un fisico diverso da un’altra. La corretta esecuzione<br />

si comprende dopo allenamento e prove.<br />

5) Se si fanno esercizi in coppia è importante che gli atleti siano circa <strong>del</strong>la stessa<br />

statura (peso e altezza).<br />

Uno degli errori più comuni nell’atleta è quello di fare esercizi di stretching solo per<br />

un determinato gruppo muscolare, non rendendosi conto che il corpo è un insieme di<br />

catene muscolari.<br />

66


4.5 Il Riscaldamento e la sua importanza nel tennis<br />

Il Riscaldamento consente di predisporre l’organismo ad affrontare, subito dopo,<br />

prove nelle migliori condizioni fisiche. Il riscaldamento predispone muscoli e strutture<br />

articolari a movimenti più intensi e contribuisce a prevenire incidenti quali strappi,<br />

contratture, rotture di tendini etc.<br />

Dal punto di vista metabolico il riscaldamento deve avvenire in AEROBIOSI ossia in<br />

condizioni ottimali di disponibilità di ossigeno. Questo fatto consente all’organismo di<br />

consumare in maniera completa i nutrienti (acidi grassi, glucosio, etc). Esercizi<br />

effettuati in ANAEROBIOSI costringerebbero l’organismo a consumare il solo<br />

glucosio in maniera incompleta, provocando talora un consumo <strong>del</strong>le riserve di<br />

GLICOGENO e lasciando scorie metaboliche di acido lattico.<br />

a - Effetto sui tendini<br />

L’elasticità dei tendini aumenta con l’aumentare <strong>del</strong>la temperatura (passando da 25 a<br />

45 gradi aumenta di 4 volte). L’attrito provocato dai movimenti ginnici fa aumentare<br />

la temperatura e di conseguenza l’elasticità dei tendini. Il riscaldamento dei tendini è<br />

particolarmente importante durante la stagione fredda. Ovviamente il riscaldamento<br />

deve interessare prevalentemente i tendini coinvolti negli esercizi che si intende<br />

effettuare.<br />

b - Effetto sui muscoli<br />

Analogamente ai tendini anche i muscoli migliorano la propria elasticità grazie al<br />

riscaldamento. Per quanto riguarda i muscoli il riscaldamento serve a migliorare le<br />

prestazioni ed a prevenire i danni a carico degli antagonisti. Questi ultimi infatti, se<br />

non opportu-namente predisposti, possono facilmente andare incontro a danni<br />

provocati da movimenti troppo violenti.<br />

c - Effetto sulle articolazioni<br />

A livello di articolazioni il riscaldamento consente di migliorarne la lubrificazione ad<br />

opera <strong>del</strong> LIQUIDO SINOVIALE e di ottimizzarne l’ampiezza dei movimenti.<br />

d - Effetto sull’apparato cardiovascolare<br />

Il riscaldamento aumenta il flusso circolatorio e di conseguenza l’apporto di ossigeno<br />

ai tessuti predisponendoli quindi ad affrontare un esercizio con il miglior rendimento.<br />

e - Fasi <strong>del</strong> riscaldamento: riscaldamento <strong>del</strong> corpo<br />

Questa fase consente di mettere in funzione e portar a regime l’intera macchina. Gli<br />

obiettivi sono quelli di ottenere un rilassamento totale ed una decontrazione<br />

muscolare, un’attivazione <strong>del</strong>la respirazione e <strong>del</strong>le pulsazioni cardiache (queste non<br />

devono superare i 130 battiti). Uno strumento utile per questo tipo di riscaldamento è<br />

67


lo jogging iniziato molto lentamente, intervallato eventualmente da una camminata e<br />

dalla durata complessiva di circa 10 minuti.<br />

Attraverso una progressione di intensità si dovrebbe raggiungere i livelli ed i ritmi<br />

tipici <strong>del</strong>le attività sportivo-agonistiche che si intende svolgere. Tale progressione<br />

avviene generalmente in maniera spontanea mano a mano che lo sportivo prende<br />

coscienza <strong>del</strong>le potenzialità raggiunte con l’esercizio. Viene data maggior ampiezza ai<br />

movimenti che consentono di snodare sempre più le articolazioni. Viene aumentato<br />

gradualmente il ritmo.<br />

Stiramento dei muscoli: coscia vengono dapprima stirati i muscoli posteriori ; poi quelli<br />

anteriori e quelli laterali interni;gli adduttori e i glutei; i muscoli laterali <strong>del</strong> busto;i<br />

muscoli posteriori <strong>del</strong>la schiena e <strong>del</strong>l’addome.<br />

Riscaldamento mirato: tende a far svolgere esercizi adatti ad affrontare determinate<br />

attività sportive specifiche ( ad esempio il tennista con la racchetta in mano tenderà a<br />

perfezionare i propri gesti etc.).<br />

68


Conclusioni<br />

“Il riscaldamento si pone in particolare tre obiettivi: aumentare l'afflusso di sangue ai<br />

muscoli per garantire loro maggiore elasticità e maggiore resistenza alle sollecitazioni,<br />

aumentare progressivamente la temperatura corporea e aumentare gradatamente le<br />

pulsazioni <strong>del</strong> cuore. Soprattutto in ordine a quest’ultimo obiettivo, è bene che il<br />

riscaldamento sia fatto in tutta sicurezza, come si dice “a basso impatto”, senza cioè<br />

mettersi subito a saltare o correre, soprattutto se non si è abituati a fare sport<br />

regolarmente. Un’attività fisica eccessiva, infatti, aumenterebbe troppo velocemente i<br />

battiti cardiaci.<br />

Per riscaldarsi correttamente potrebbe essere utile utilizzare la cyclette o fare<br />

movimenti a corpo libero, come la marcia sul posto abbinata a movimenti <strong>del</strong>le<br />

braccia (slanci in fuori e in avanti), piegamenti sulle gambe, salire e scendere da un<br />

gradino per alcuni minuti, marciare sul posto sollevando e abbassando un bastone, con<br />

entrambe le mani, senza portarlo però sopra la linea <strong>del</strong>le spalle, perché<br />

aumenterebbero troppo in fretta i battiti cardiaci. Il tutto per una durata di 10-15<br />

minuti.<br />

Lo stretching, infine, completa la routine di riscaldamento. Lo streching deve<br />

essere leggero e coinvolgere i muscoli che verranno utilizzati maggiormente nel corso<br />

<strong>del</strong>l’allenamento; questo aiuterà a prevenire traumi alla muscolatura e ai tendini. Uno<br />

stretching troppo intenso prima <strong>del</strong>l’allenamento può invece comprometterne la resa.<br />

Questo tipo di riscaldamento è adatto per tutti, prima di qualsiasi pratica sportiva, e<br />

può precedere una fase di preparazione più specifica, che si differenzia a seconda<br />

<strong>del</strong>lo sport che si andrà a praticare.”<br />

Nel caso <strong>del</strong> riscaldamento specifico lo scopo è quello di svolgere esercizi che<br />

rispecchiano esattamente il gesto sportivo. Questo tipo di preparazione è<br />

particolarmente utile nelle attività sportive a elevata componente tecnica, come il<br />

tennis.Prima <strong>del</strong>la gara è importante riscaldarsi nel campo da tennis,palleggiando a<br />

ritmo medio-lento, in modo da provare tutti i colpi.Dopo il palleggio è fondamentale<br />

riscaldare la battuta senza forzare al massimo <strong>del</strong>le proprie capacità.<br />

La preparazione atletica di un tennista di alto livello senza dubbio deve prevedere un<br />

tipo di riscaldamento specifico.<br />

Prima degli allenamenti alla resistenza aerobica, il riscaldamento deve essere<br />

sottoforma di corsa lenta (f.c.120-130 al minuto).<br />

Prima degli allenamenti alla velocità, il riscaldamento è eseguito con movimenti<br />

rapidi.<br />

Prima degli allenamenti tecno/tattici il riscaldamento è sempre specifico e viene<br />

eseguito in campo con la racchetta.<br />

69


4.6 Gli studi sull’argomento<br />

Abbiamo identificato 293 articoli sull’argomento, includendo, però, solo quelli con un<br />

gruppo di controllo.<br />

Tre studi clinici prospettici mostravano effetti positivi <strong>del</strong>lo stretching, seppure<br />

associata a contemporanea azione di riscaldamento. Un quarto studio evidenziava<br />

una riduzione dei problemi all’inguine e alle natiche nei ciclisti, ma solo tra le donne.<br />

Di contro altri cinque studi, di cui tre prospettici, non hanno riscontrato sostanziali<br />

differenze nel tasso di infortuni e, anzi, tre di questi lavori hanno addirittura suggerito<br />

un potenziale effetto dannoso degli esercizi di allungamento. La ricerca più corposa<br />

sull’argomento, però, è stata pubblicata di recente dal British Medical Journal.<br />

Un gruppo australiano ha effettuato la metanalisi di tutti i lavori pubblicati in inglese<br />

dal 1966 al 2000, investigando gli effetti <strong>del</strong>lo stretching pre e post gara sugli<br />

incidenti muscolari e sulla performance atletica. Cinque gli studi presi in<br />

considerazione per un totale di 77 individui e una conclusione univoca: i benefici<br />

indotti dallo stretching sono così esigui da renderlo poco adatto al titolo di strumento<br />

preventivo.<br />

Sulla stessa lunghezza d’onda l’ultima indagine statunitense secondo la quale in<br />

materia di stretching si è arrivati a un livello di competenze sufficienti a sostenerne la<br />

sostanziale inutilità. Anzi allo stato attuale di conoscenze si può concludere che nei<br />

primi 10-15 minuti lo stretching indebolisce la muscolatura e può aumentare il rischio<br />

di infortunio. Inoltre nella maggior parte dei casi l’allungamento pre-gara non<br />

migliorerebbe la performance atletica.<br />

71


4.7 Le diverse superfici dei campi da tennis<br />

Ci sono una varietà di differenti superfici per i campi da tennis. I tornei <strong>del</strong> circuito<br />

A.T.P.si giocano prevalentemente sulle seguenti superfici: cemento,sintetico (greenset,supreme),terra<br />

battuta ed erba.<br />

Campi in cemento:<br />

Sui campi in cemento le sollecitazioni che subisce l’articolazione <strong>del</strong> <strong>ginocchio</strong> è<br />

notevole sia per l’azione frenante <strong>del</strong>la superfice negli spostamenti <strong>del</strong>le gambe,sia<br />

nelle ricadute dopo la battuta,lo smash e i colpi al volo dove la scarsa elasticità <strong>del</strong><br />

terreno può provocare microtraumi che ripetuti molto frequentemente possono<br />

favorire l’insorgere di tendiniti rotulee e nei peggiori dei casi traumi ai legamenti e ai<br />

menischi.<br />

Campi in sintetico:<br />

Dato che l’elsticità <strong>del</strong>le superfici sintetiche è superiore a quelle in cemento, sono<br />

meno pericolose di quest’ultime, anche se non si deve trascurare l’azione frenante<br />

<strong>del</strong>la superficie soprattutto negli spostamenti <strong>del</strong>le gambe che può favorire l’insorgere<br />

di traumatismi meniscali e ai legamenti.<br />

Campi in erba:<br />

Queste superfici non sono dure come quelle in cemento, ma possono presentare <strong>del</strong>le<br />

insidie per le ginocchia degli atleti soprattutto per due motivi:<br />

- nei cambi improvvisi di direzione (contropiedi) ,negli allunghi in velocità (passanti in<br />

corsa) soprattutto quando c’è molta umidità, l’atleta può perdere la stabilità e<br />

l’equilibrio con possibili conseguenze sui legamenti <strong>del</strong>le ginocchia.<br />

- il rimbalzo basso <strong>del</strong>la palla richiederà un più basso centro di gravità per impattarla<br />

efficacemente e l’atleta non allenato sufficientemente al gioco suull’erba può andare<br />

incontro ad un sovraccarico funzionale che può favorire l’insorgere di una tendinite.<br />

Campi in terra battuta:<br />

Questa superficie di gioco è la meno traumatica per l’atleta per la sua morbidezza e<br />

per la possibilità di scivolare facilmente senza avere un’azione frenante.<br />

Per quanto riguarda gli allenamenti al di fuori dei campi da tennis, sarebbe opportuno<br />

far allenare gli atleti sul prato o su pista e non su strade asfaltate.<br />

72


4.8 Le capacita' coordinative generali<br />

Le capacità coordinative:<br />

1) capacità di adattamento e trasformazione <strong>del</strong> movimento: consiste nella capacità<br />

di adattare o trasformare il programma motorio prestabilito a mutamenti inattesi ed<br />

improvvisi <strong>del</strong>la situazione e, quindi, interruzione <strong>del</strong> movimento di risposta<br />

programmato con una prosecuzione che adotti altri schemi e programmi motori<br />

ugualmente efficaci. Questa capacità si evidenzia soprattutto nei giochi sportivi e<br />

negli sport di combattimento. Viene migliorata attraverso situazioni di gioco o<br />

combattimento con improvvisi cambiamenti di azione rispetto agli schemi usuali;<br />

2) capacità di controllo motorio: è la capacità di controllare il movimento in funzione<br />

<strong>del</strong>lo scopo previsto, cioè di raggiungere esattamente il risultato programmato col<br />

movimento o con l’esercizio;<br />

3) capacità di apprendimento motorio: consiste nell’assimilazione e nell’acquisizione<br />

di movimenti o, in prevalenza, di parti di movimenti precedentemente non posseduti,<br />

che devono poi essere integrati nelle mappe cognitive.<br />

Un ruolo importante è dato dalla assunzione <strong>del</strong>le informazioni attraverso gli<br />

analizzatori, organi informatori che assumono importanza diversa a seconda <strong>del</strong>la<br />

disciplina sportiva praticata:<br />

- analizzatore tattile: è la cute <strong>del</strong> corpo che ci informa sulla zona e sulla entità <strong>del</strong>la<br />

pressione su di essa;<br />

- analizzatore visivo: sono gli occhi che raccolgono le immagini <strong>del</strong>lo spazio in cui ci si<br />

muove;<br />

- analizzatore vestibolare: è la parte interna <strong>del</strong>l’orecchio che ci informa sulle<br />

accelerazioni e sulle posizioni <strong>del</strong> corpo rispetto ai piani <strong>del</strong>lo spazio (i canali<br />

semicircolari per la accelerazione angolare, l’utricolo e il sacculo per la accelerazione<br />

lineare);<br />

- analizzatore acustico: è l’orecchio nella sua funzione di percezione dei rumori;<br />

- analizzatore cinestetico: sono i fusi neuromuscolari e i corpuscoli <strong>del</strong> Golgi che<br />

permettono la percezione <strong>del</strong>la entità tensiva dei muscoli e <strong>del</strong>la loro modulazione.<br />

Tra gli analizzatori cinestetici possono essere annoverati anche i recettori di Pacini e i<br />

corpuscoli di Ruffini, situati nelle capsule articolari, e che informano sull'ampiezza,<br />

velocità e senso <strong>del</strong> movimento.<br />

Le informazioni da parte degli analizzatori sono indispensabili alla realizzazione dei<br />

processi nervosi.<br />

Esistono anche le CAPACITA' COORDINATIVE SPECIALI, vale a dire<br />

espressioni precise <strong>del</strong>la capacità più generale di generare il movimento:<br />

3) capacità di combinazione e accoppiamento dei movimenti: permette di collegare<br />

tra loro le abilità motorie automatizzate. Viene sviluppata con esercizi di<br />

73


coordinazione segmentaria tra arti inferiori e arti superiori. L’esecuzione può<br />

avvenire su diversi piani spaziali in forma simultanea, successiva, alternata, con<br />

movimenti simmetrici, incrociati e asincroni;<br />

4) capacità di orientamento spazio-temporale: consente di modificare la posizione e<br />

il movimento <strong>del</strong> corpo nello spazio e nel tempo, in riferimento ad un campo di<br />

azione definito. Il movimento è più inerente l’intero corpo che i suoi segmenti.<br />

Tipico esempio sono i giochi sportivi e gli sport di combattimento. Questa capacità<br />

viene migliorata utilizzando aree di gioco non usuali, variando il numero ed il ruolo<br />

dei componenti la squadra, usando attrezzi simili ma di dimensioni diverse,<br />

muovendosi in maniera e posizioni inusuali adattando l’azione a condizioni esterne<br />

fisse o variabili, ecc.;<br />

5) capacità di differenziazione: permette di realizzare, in modo finemente<br />

differenziato, i parametri dinamici, temporali e spaziali <strong>del</strong> movimento, sulla base<br />

<strong>del</strong>la percezione dettagliata <strong>del</strong> tempo, <strong>del</strong>lo spazio e <strong>del</strong>le forze. Viene sviluppata<br />

mediante esercizi con aumento graduale <strong>del</strong>la precisione esecutiva come tiri al<br />

bersaglio da varie distanze e posizioni, salti ad altezze e distanze varie e prefissate,<br />

ecc.;<br />

6) capacità di equilibrio: consente di mantenere il corpo in equilibrio o di recuperare<br />

la posizione desiderata dopo ampie sollecitazioni e spostamenti. Si definisce<br />

equilibrio statico quando i movimenti sono lenti e regolati essenzialmente<br />

dall’analizzatore cinestetico e tattile. L’equilibrio dinamico invece si identifica in<br />

rapidi e ampi spostamenti con accelerazioni angolari sottoposti alla prevalente<br />

regolazione <strong>del</strong>le informazioni vestibolari. Tipici esercizi di miglioramento di queste<br />

capacità sono gli esercizi di preacrobatica e di acrobatica;<br />

7) capacità di reazione: permette di reagire agli stimoli eseguendo come risposta ad un<br />

segnale, azioni motorie adeguate. Le risposte date ad un segnale già noto ed in forma<br />

di movimento già definiti in anticipo sono dette semplici. Se le risposte non hanno ne<br />

una azione motoria ne un segnale predeterminato sono definite complesse.<br />

Questa capacità è scarsamente allenabile e viene sviluppata creando situazioni di<br />

risposta motoria a stimoli indirizzati ai vari analizzatori;<br />

8) capacità di ritmizzazione: rende organizzabili gli impegni muscolari di contrazionedecontrazione<br />

secondo un ordine cronologico ed un particolare adattamento ritmico.<br />

Questa capacità si sviluppa con la esecuzione di movimenti con variazione di ritmo e<br />

frequenza.<br />

74


METODI DI MIGLIORAMENTO DELLE CAPACITÀ COORDINATIVE<br />

La prima tappa per arrivare alla corretta esecuzione <strong>del</strong> gesto tecnico è l'acquisizione<br />

degli schemi motori di base: camminare, saltare, correre, strisciare, rotolarsi, tuffarsi,<br />

arrampicarsi, spingere, tirare, lanciare, afferrare.<br />

ESERCIZI VARI<br />

Possono essere riassunti come segue:<br />

- aggiunta di movimenti complessi all'esercizio di base;<br />

- esecuzione degli esercizi in condizioni ambientali inusuali (allenamento su campo di<br />

gara più grande o più piccolo degli standard dimensionali);<br />

- esecuzione speculare dei movimenti da entrambi i lati <strong>del</strong> corpo;<br />

- esecuzione dei movimenti da diverse posizioni <strong>del</strong> corpo;<br />

- mutamento <strong>del</strong>la velocità e <strong>del</strong> ritmo esecutivo;<br />

- mutamento <strong>del</strong>le dimensioni <strong>del</strong>l'attrezzo usato.<br />

METODO DEL CIRCUITO<br />

Il circuito va effettuato per 3-4 giri, con recupero completo tra un giro e l'altro, nel<br />

modo seguente:<br />

- 6-8 stazioni;<br />

- carico naturale;<br />

- ritmo esecutivo <strong>del</strong>le ripetizioni al massimo <strong>del</strong>la velocità e con la giusta tecnica<br />

esecutiva;<br />

- recupero tra le stazioni nullo;<br />

- recupero completo tra un giro e l'altro (3-5 minuti).<br />

Come per tutte le capacità motorie, per migliorare le capacità coordinative occorre<br />

stimolarle adeguatamente per almeno 2-3 volte a settimana.<br />

75


Introduzione<br />

Capitolo 5<br />

RIABILITAZIONE SPORTIVA<br />

Per riabilitazione intendiamo una terapia mirata alla risoluzione <strong>del</strong>la patologia, (sia<br />

essa traumatica acuta, come distorsioni, distrazioni muscolari, fratture, ecc., o da<br />

sovraccarico funzionale, come tendiniti, borsiti, ecc.), che consenta il ritorno<br />

all'attività agonistica <strong>del</strong>l'atleta, in tempi e modi adeguati.<br />

La terapia riabilitativa ha lo scopo di recuperare le capacità funzionali <strong>del</strong> paziente e<br />

di aiutarlo ad adattarsi all’ambiente che lo circonda.<br />

L’attività riabilitativa, coordinata da uno specialista in terapia fisica e riabilitazione,<br />

ha per obiettivo la ripresa <strong>del</strong>le caratteristiche funzionali <strong>del</strong>l’organo o apparato<br />

interessato, la prevenzione <strong>del</strong>la comparsa di ulteriori limitazioni funzionali, il<br />

miglioramento <strong>del</strong>le capacità degli altri organi non colpiti dalla lesione o dal processo<br />

morboso, l’’addestramento all’impiego di strumenti specifici e di dispositivi di<br />

supporto che possano servire a migliorare la funzione e l’adattamento <strong>del</strong>l’ambiente<br />

nel quale il paziente vive in modo da favorire la sua autonomia.<br />

Nello sport l'obiettivo finale <strong>del</strong>la riabilitazione è il recupero completo <strong>del</strong>le gestualità<br />

sportive che il paziente era in grado di effettuare prima <strong>del</strong>l'infortunio.<br />

Queste gestualità in parte sono comuni a diverse discipline, come ad esempio la corsa<br />

ed i balzi, ed in parte sono specifiche per ognuna di esse, come la battuta nel tennis e<br />

lo swing nel golf. In tutti i casi, sono comunque il risultato di una somma di qualità<br />

psiconeuromotorie che l'atleta è riuscita a maturare durante la sua carriera e che<br />

devono essere riprese durante il percorso riabilitativo. Partendo da questo concetto,<br />

una corretta riabilitazione deve necessariamente completarsi sul campo di gara, con<br />

una grande attenzione da parte <strong>del</strong>l'équipe riabilitativa a correggere e migliorare<br />

precocemente i difetti e le alterazioni funzionali che emergono alla ripresa <strong>del</strong>le<br />

gestualità sopra riportate<br />

76


5.1 Riabilitazione dopo Intervento per condropatia<br />

Per riuscire nuovamente ad effettuare con efficacia un gesto sportivo dopo un<br />

intervento per condropatia, il responsabile <strong>del</strong>la rieducazione dovrebbe verificare e<br />

monitorizzare il recupero di sei condizioni:<br />

- Guarigione biologica<br />

- Escursione e stabilità articolare<br />

- Forza e flessibilità muscolare<br />

- Controllo neuromotorio<br />

- Condizionamento cardiorespiratorio<br />

- Motivazioni psicologiche<br />

GUARIGIONE BIOLOGICA<br />

Esistono fondamentalmente tre tipi di lesione cartilaginee:<br />

1) Danno condrale senza evidenti segni tangibili di lesione<br />

2) Frattura condrale<br />

3) Frattura osteocondrale<br />

Ad ognuno dei tre tipi di lesione corrispondono diversi quadri clinici e diverse<br />

potenzialità e modalità di restituzio ad integrum. In ogni caso la guarigione non può<br />

avvenire se l'ampiezza <strong>del</strong>la lesione supera la capacità di riparazione dei condrociti,<br />

che consiste nella loro replicazione, nella sintesi <strong>del</strong>la matrice, dei proteoglicani e <strong>del</strong><br />

collagene.<br />

Diverso sarà inoltre il risultato funzionale a seconda che si sia avuto un tentativo di<br />

riparazione, con deposizion di tessuto cartilagineo con proprietà visco-elastiche<br />

diverse dalla cartilagine ialina, meno resistente al carico e più permeabile, o un<br />

tentativo di rigenerazione, condizione nella quale si ha una duplicazione <strong>del</strong> tessuto<br />

originario che conserva tutte le caratteristiche istologiche <strong>del</strong> tessuto iniziale. Gli<br />

interventi chirurgici, a seconda dei casi,stimolano il primo o il secondo meccanismo e<br />

i tempi biologici sono diversi in rapporto alle diverse tecniche operatorie ma anche a<br />

seconda <strong>del</strong>l'età <strong>del</strong> soggetto, <strong>del</strong>la sede, <strong>del</strong>l'ampiezza e <strong>del</strong>la profondità <strong>del</strong> danno<br />

cartilagineo.<br />

Nella fase post operatoria un carico progressivo attraverso gli esercizi riabilitativi può<br />

favorire, attraverso una stimolazione controllata e graduale dei tessuti, il processo di<br />

guarigione, così come un carico eccessivo può renderla difficile. Trovare questo<br />

equilibrio tra carico di lavoro teorico e il carico di lavoro sostenibile dal paziente è<br />

molto complesso.I consigli che ci sentiamo di dare per trovare questo equilibrio sono<br />

questi:<br />

a) conoscere dalla letteratura i tempi medi consigliati per l'inizio <strong>del</strong>la ripresa sportiva<br />

in rapporto ad entità <strong>del</strong>la lesione ed intervento praticato. Ad esempio, in occasione<br />

<strong>del</strong> 65° Annual Meeting <strong>del</strong>l'AAOS, i tempi consigliati sono stati:<br />

- 5 R. Steadman Microfratture 3 mesi<br />

- C.D. Morgan Mosaic Plasty 3 mesi<br />

77


- L. Peterson Impianto di condrociti 6 mesi<br />

b) concordare con il chirurgo che ha effettuato l'intervento le date fondamentali <strong>del</strong>la<br />

riabilitazione:<br />

- Quando camminare senza stampelle<br />

- Quando correre<br />

- Quando balzare<br />

- Quando fare agonismo<br />

c) Non ritenere tali tempi e tali date necessariamente da rispettare per tutti i pazienti<br />

ma utilizzarle solo come linee guida, adattandole alla reazione di ogni singolo<br />

soggetto e monitorizzando l'evoluzione di gonfiore e dolore in rapporto alla<br />

progressione dei carichi.<br />

d) Nelle prime fasi <strong>del</strong>la riabilitazione è inoltre fondamentale mobilizzare<br />

precocemente l'articolazione per favorire la messa in circolo <strong>del</strong> liquido sinoviale che<br />

è indispensabile , dato che la cartilagine non contiene vasi sanguigni,per il<br />

mantenimento <strong>del</strong> normale trofìsmo dei condrociti e per indurre la produzione di una<br />

cartilagine di qualità migliore.<br />

e) Prima <strong>del</strong>la rieducazione sul campo sportivo, impostare programmi precocemente<br />

orientati al recupero <strong>del</strong>la funzionalità, utilizzando concetti come:<br />

- Riposo attivo<br />

- Carico progressivo<br />

- Esercizi in acqua<br />

- Propedeutica alla corsa e Propedeutica ai balzi<br />

f) Quando possibile effettuare un controllo radiologico <strong>del</strong>l'evoluzione <strong>del</strong> difetto<br />

cartilagineo tramite RMN.<br />

ESCURSIONE E STABILITA' ARTICOLARE<br />

Per la ripresa sportiva sono necessarie stabilità articolare e completa escunsione<br />

articolare. La stabilità articolare,qualora fosse compromessa la stabilità statica<br />

assicurata dal complesso capsulo-legamentoso , deve essere vicariata dai muscoli che<br />

assicurano la stabilità dinamica. In particolare si deve ricordare la sinergia funzionale<br />

<strong>del</strong> quadricipite rispetto al LCP, degli ischiocrurali rispetto al LCA e l'importanza dei<br />

muscoli intra ed extra rotatori per il controllo <strong>del</strong>le instabilità rotatorie.<br />

Analoga importanza viene data al recupero di una completa escursione articolare<br />

condizione indispensabile per effettuare il gesto senza restrizioni svantaggiose da un<br />

punto di vista biomeccanico. Il recupero <strong>del</strong>l'escursione articolare sembra attualmente<br />

di primaria importanza nel favorire la lubrificazione, il metabolismo e nello stimolare<br />

la differenziazione in senso cartilagineo dei processi riparativi dopo intervento sulla<br />

cartilagine articolare.<br />

Il monitoraggio <strong>del</strong>l'escunsione articolare con un goniometro e <strong>del</strong>la stabilità<br />

articolare mediante valutazioni cliniche deve essere regolarmente effettuato durante la<br />

riabilitazione.<br />

78


FORZA E FLESSIBILITA' MUSCOLARE<br />

Il recupero <strong>del</strong>la forza muscolare è stato un caposaldo <strong>del</strong>la riabilitazione degli anni<br />

'80 e, a nostro avviso lo deve essere oggi e lo dovrà essere in futuro. Una muscolatura<br />

<strong>del</strong>la coscia forte, potente e resistente nelle sue componenti<br />

anteriori, e flessibile ed elastica nelle sue componenti posteriori rimane anche oggi un<br />

obiettivo imprescindibile <strong>del</strong>la rieducazione sportiva. Nei prossimi anni dovremo<br />

integrare questi concetti con una maggiore attenzione verso i sistemi di controllo<br />

neuromotorio che stanno a monte <strong>del</strong> muscolo che dovremo sempre più considerare<br />

solo come l'effettore finale di un meccanismo di movimento molto più fine e<br />

complesso. Rimandando quindi al paragrafo successivo l'importanza <strong>del</strong> controllo<br />

neuromotorio, la forza e la flessibilità muscolare devono essere recuperate prima di<br />

portare l'atleta sul campo.<br />

In sintesi questi sono gli step che nel nostro programma devono essere superati per<br />

considerare recuperata la forza.<br />

Test Isocinetico:<br />

- il paziente dovrà avere effettuato un test isocinetico con valori di forza e resistenza<br />

sovrapponibili all'arto controlaterale<br />

Catena Chiusa:<br />

- Il paziente dovrà avere la capacità di effettuare movimenti di flesso estensione in<br />

catena chiusa e carico monopodalico fino a 900 di flessione <strong>del</strong> <strong>ginocchio</strong> senza<br />

dolore.<br />

Valutazione Eccentrica:<br />

- Il paziente dovà poter effettuare esercizi eccentrici monopodalici su leg press con<br />

carico uguale all'arto controlaterale negli ultimi 500 <strong>del</strong> movimento di flessione <strong>del</strong><br />

<strong>ginocchio</strong>.<br />

Valutazione Pliometrica:<br />

- paziente dovrà essere in condizione di effettuare balzelli monopodalici su<br />

apparecchiatura a resistenza elastica con un carico pari al 50% <strong>del</strong> peso corporeo.<br />

Inoltre si dovrà controllare l'estensibilità <strong>del</strong>la catena muscolare posteriore che se<br />

incompleta può essere responsabile di deficit <strong>del</strong>l'estensione con sintomi di dolore<br />

anteriore di <strong>ginocchio</strong>.<br />

CONDIZIONAMENTO CARDIORESPIRATORIO<br />

Nel riposo forzato , come accade nello sportivo infortunato, si ha perdita, oltre che<br />

<strong>del</strong>la massa muscolare, anche <strong>del</strong>le capacità di adattamento <strong>del</strong> sistema<br />

cardiorespiratorio e di resistenza alla fatica <strong>del</strong>l'apparato muscoloscheletrico.<br />

E' quindi indispensabile nella ripresa <strong>del</strong>l'attività sportiva prevedere un programma di<br />

recupero di forza, potenza, resistenza alla fatica, flessibilità muscolare, agilità,<br />

controllo propriocettivo, equilibrio e resistenza <strong>del</strong> sistema cardiorespiratorio.<br />

Il muscolo contiene due tipi di fibre principali (I e II) che differiscono per il diverso<br />

contenuto di enzimi ossidativi, il numero di capillari periferici, la diversa resistenza<br />

alla fatica, il tipo di metabolismo (aerobio, anaerobio alattacido,anaerobio lattacido), il<br />

tipo di contrazione (lenta e resistente alla fatica, rapida e potente e facilmente<br />

esauribile).<br />

79


Occorrerà allenare tutti i tipi di fibre e tutti i sistemi metabolici per mettere<br />

l'organismo in grado di tollerare gli stress ai quali viene sottoposto durante l'attività<br />

sportiva.<br />

Per aumentare la resistenza (capacità aerobica), tipica <strong>del</strong>le fibre tipo I e la capacità di<br />

trasporto <strong>del</strong>l'ossigeno da parte <strong>del</strong> sistema cardio-respiratorio occorre eseguire carichi<br />

di lavoro sub-massimali e ripetizioni numerose.<br />

Esempio di allenamento aerobio in palestra è rappresentato da 12' di cyclette, 12' di<br />

step e 12' sul tapis roulant con incremento di 2' ogni due giorni.<br />

Per aumentare la forza occorre eseguire sforzi massimali e ridotto numero di<br />

ripetizioni così da indurre un aumento <strong>del</strong> volume <strong>del</strong>le fibre muscolari per aumento<br />

<strong>del</strong> numero di proteine contrattili. Esempio di allenamento di forza con macchina<br />

isocinetica è rappresentato da 8 ripetizioni x 2 serie a bassa velocità angolare 900.<br />

Per allenare la potenza e la velocità (capacità anaerobie), tipiche <strong>del</strong>le fibre tipo II a<br />

produrre, metabolizzare e smaltire il lattato occorre eseguire attività protratte e<br />

continue fra la soglia anaerobica e quella aerobica o alternare attività sopra e sotto la<br />

soglia anaerobica. Esempio di allenamento acrobio-anaerobio è rappresentato dalla<br />

corsasul tapis roulant inizialmente alla velocita di 6 Km/h con incrementi di 2 Km/h<br />

ogni tre minuti fino ad esaurimento.<br />

Scopo comune <strong>del</strong>l'allenamento cardio-respiratorio consiste quindi nel procrastinare il<br />

più tardi possibile l'insorgenza <strong>del</strong>la fatica la cui è genesi multifattoriale ed insorge per<br />

esaurimento <strong>del</strong>le strutture neurologiche centrali, periferiche,<strong>del</strong>la placca motrice e<br />

<strong>del</strong>la miocellula. Il futuro consisterà nel cercare nuovi metodi che permettano di<br />

ottimizzare l'allenamento <strong>del</strong>le varie strutture coinvolte nell'attività sportiva per<br />

raggiungere obiettivi sempre più ambiziosi.<br />

CONTROLLO NEUROMOTORIO<br />

Accanto al condizionamento cardiorespiratorio e al recupero <strong>del</strong>la piena funzionalità<br />

articolare per lo sportivo è fondamentale recuperare la destrezza e l'abilità tipica <strong>del</strong>lo<br />

Sport che pratica. Tutti i gesti legati alla pratica sportiva sono più che mai finalistici,<br />

mirano cioè al conseguimento immediato di un obiettivo e per questo occorre avere il<br />

più assoluto controllo <strong>del</strong>l'attività neuromotoria che deve essere rapida e precisa anche<br />

quando ( ed è la condizione più frequente) sono eseguiti con numerosi elementi di<br />

disturbo esterni (superfici di gioco, condizioni atmosferiche) e anche quando l'attività<br />

fisica perdura nel tempo (fatica).<br />

In pratica tutto questo si traduce nell'allenare tutti i livelli sopra elencati per il sistema<br />

propriocettivo ed esterocettivo occorre saper localizzare la posizione spaziale di un<br />

segmento corporeo rispetto al resto <strong>del</strong> corpo e in relazione allo spazio, sia a riposo sia<br />

quando ci si trova su piani instabili (tavolette) con instabilità su un solo piano o<br />

multiplanare o quando si percorrono tracciati con difficoltà crescenti (terreni<br />

irregolari) o quando subentrino elementi di disturbo; per eseguire con prontezza un<br />

gesto sportivo occorre elaborarlo,analizzarlo, ripeterlo centinaia di volte durante<br />

l'allenamento per memorizzarlo sotto forma di progetto motorio; per allenare il<br />

sistema neurovegetativo ci rifacciamo a quanto detto in precedenza sul<br />

condizionamento cardiocirdotatorio che ha in ultima analisi lo scopo di ritardare il più<br />

80


possibile l'insorgenza <strong>del</strong>la fatica. Tenendo presente che esistono anche<br />

condizionamenti individuali legati alla personalità, alla volontà e al vissuto <strong>del</strong><br />

paziente, che vanno ad integrare e a personalizzare il progetto motorio di base comune<br />

a tutti, bisognerà personalizzare anche il recupero neuromotorio. A tale scopo, anche<br />

se di uso non ancora routinario, è disponibile l'EMG dinamica che grazie all'uso di un<br />

elettromiografo portatile rende le registrazionelettromigrafiche molto più semplici.<br />

Tale metodica consente, con l'applicazione di elettrodi di superficie sullo sportivo<br />

durante la seduta riabilitativa sul campo ed un circuito di video-camere in grado di<br />

filmare l'attività <strong>del</strong>l'atleta, di osservare quando, nell'esecuzione <strong>del</strong>la catena cinetica, i<br />

muscoli iniziano la loro azione, quando la terminano, per quanto tempo essa si svolge,<br />

che tipo di rapporto temporale esiste fra l'attivazione dei divensi muscoli <strong>del</strong>la catena<br />

cinetica, la meccanica <strong>del</strong> movimento e le risposte riflesse di tipo nervoso determinate<br />

dal movimento stesso. Sarà così possibile attraverso registrazioni video-elettromiografiche<br />

eseguite prima <strong>del</strong>l'infortunio, ricostruire quel tipo esatto di attività<br />

neuromuscolare, sviluppando un programma di allenamento neuromotorio mirato e<br />

personalizzato sulla base <strong>del</strong>le registrazioni precedenti.<br />

MOTIVAZIONI PSICOLOGICHE<br />

Per il ritorno all'attività agonistica occorre che lo sportivo abbia recuperato un<br />

completo ricondizionamento fisico,la piena funzionalità <strong>del</strong> distretto infortunato, si sia<br />

sottoposto ad un allenamento tecnico che preveda la memorizzazione di gesti sport<br />

specifici che vengono automaticamente ripetuti ed eseguiti con destrezza all'interno di<br />

un progetto di schemi di gioco (tattica) individuati dall'allenatore. Durante la fase<br />

riabilitativa occorre che il paziente abbia bene in mente tutti questi aspetti, occorre<br />

avere tutte le sue attenzioni, partecipazione e volontà, in una parola sola occorre avere<br />

forti motivazioni, il ritorno all'agonismo, per poter sfruttare tutto il potenziale<br />

energetico a disposizione per la guarigione. Le motivazioni personali, la psicologia, il<br />

carattere sono fondamentali per poter raggiungere l'obiettivo; bisognerà inoltre saper<br />

gestire in tutte le fasi riabilitative il desiderio impaziente di guarire cosa che può di per<br />

sé creare condizioni di sovraccarico, se mal gestita e allontanare il ritorno sul campo.<br />

Se tutti questi aspetti non vengono gestiti contemporaneamente, se mancano profonde<br />

motivazioni <strong>del</strong> paziente, anche il migliore dei team riabilitativi riuscirà ad avere solo<br />

risultati mediocri.<br />

81


5.2 Protocollo di rieducazione dopo intervento chirurgico <strong>del</strong><br />

legamento crociato anteriore.<br />

Protocollo di rieducazione neuro-muscolare all'arto inferiore in seguito ad<br />

intervento chirurgico di ricostruzione <strong>del</strong> Legamento Crociato Anteriore su<br />

un'atleta professionista di 22 anni.<br />

Quanto di seguito indicato vuole solamente essere una dimostrazione di come<br />

il lavoro riabilitativo può attuarsi e non già un protocollo standard sul quale<br />

impostare una rieducazione valevole per tutti. Ogni persona da rieducare è un<br />

caso a sé!<br />

Le tappe principali <strong>del</strong> programma riabilitativo sono state sempre<br />

programmate in funzione <strong>del</strong>le risposte ottenute dalle visite specialistiche,<br />

eseguite dal medico personale, alle quali l'atleta si è sottoposta nel periodo<br />

considerato.<br />

OBIETTIVI DEL PROGRAMMA<br />

1) ristabilire tonicità e forza <strong>del</strong>la muscolatura <strong>del</strong>l'arto operato riducendo<br />

l'ipotrofia muscolare causata dalla lunga immobilità<br />

2) rafforzare i sistemi propriocettivi per il controllo <strong>del</strong>la stabilità statica e<br />

dinamica<br />

Durata <strong>del</strong> programma<br />

È stata di 13 settimane svolte presso il Centro Regionale di Medicina <strong>del</strong>lo<br />

Sport di Trieste.<br />

Situazione iniziale<br />

Il programma ha avuto inizio 4 settimane e dopo l'intervento dopo un ciclo (9<br />

sedute) di fisioterapia; l'atleta appoggiava e caricava totalmente l'arto in<br />

deambulazione, evidenziando ancora una marcata zoppia.<br />

Test iniziali<br />

Prima di iniziare il lavoro riabilitativo, sono state valutate le capacità<br />

preesistenti <strong>del</strong>l'arto infortunato e le potenzialità massimali <strong>del</strong>l'arto sano al<br />

fine di stabilire l'eventuale traguardo riabilitativo.<br />

La flesso-estensione <strong>del</strong>la gamba sulla coscia era limitata dai 15 gradi in<br />

estensione ai 115 gradi in flessione.<br />

La tipologia <strong>del</strong> lavoro programmato:<br />

isometrico - lavoro durante il quale il carico è appoggiato sull'arto<br />

infortunato e che deve produrre una forza contrapposta per non modificare<br />

l'angolo <strong>del</strong> <strong>ginocchio</strong>, impostato inizialmente.<br />

83


concentrico - lavoro di spinta, svolto a bassa velocità e con un carico<br />

inferiore a quello massimale, dove la fase di ritorno può essere aiutata<br />

dall'arto sano.<br />

eccentrico - lavoro svolto con un carico superiore a quello massimale (120<br />

- 130%), durante il quale la fase di spinta è effettuata da ambedue gli arti,<br />

mentre la fase di ritorno, è svolta soltanto dall'arto infortunato che deve<br />

frenare il carico fino a riportarlo nella posizione di partenza.<br />

eccentrico/concentrico (dinamico o con rimbalzo) - lavoro dinamico<br />

(svolto alla pressa) durante il quale la velocità <strong>del</strong>la spinta è tale da poter<br />

produrre il distacco dei piedi dalla pedana d'appoggio, con una conseguente<br />

"fase di volo".<br />

Tale dinamicità dev'essere mantenuta per tutte le spinte programmate,<br />

determinando un andamento a rimbalzo.<br />

La ciclicità <strong>del</strong> carico<br />

Ogni periodo di rieducazione è stato programmato in modo che il carico di<br />

lavoro non restasse mai costante, ma variasse seduta dopo seduta. Ciò con<br />

l'intento d'accrescere di volta in volta la capacità di ri-adattamento <strong>del</strong>l'arto<br />

infortunato fino a raggiungere le potenzialità <strong>del</strong>l'arto sano, considerato come<br />

il traguardo riabilitativo. Con gli stessi criteri, anche l'arto sano è stato<br />

sottoposto ad un potenziamento muscolare particolarmente intenso (vedi<br />

lavoro di compensazione sull'arto sano).<br />

Impacco di ghiaccio dopo l'allenamento<br />

L'impacco con il ghiaccio dopo la seduta d'allenamento è stato sempre<br />

sconsigliato; l'eventuale gonfiore persistente, non assorbito nel recupero in<br />

tempi fisiologici, avrebbe indicato che il lavoro effettuato (esercizio e/o<br />

carico) non era stato tollerato e/o assorbito <strong>del</strong>l'articolazione. Il gonfiore è da<br />

considerarsi sempre come un campanello d'allarme molto importante nel<br />

processo riabilitativo, mascherarlo può causare spiacevoli, a volte gravi,<br />

conseguenze sul proseguimento <strong>del</strong>la rieducazione.<br />

E' stato strutturato in tre sedute, svolte a giorni alterni, per controllare se il<br />

lavoro proposto avrebbe determinato gonfiore, indolenzimento o altro.<br />

Il riscaldamento è stato impostato alla cyclette per poi passare al lavoro<br />

specifico di potenziamento muscolare alle macchine.<br />

Il lavoro è stato così impostato:<br />

Cyclette (Lifecycle horizontal)<br />

50W per 10'<br />

Lavoro con sovraccarico<br />

84


Pressa - eccentrico<br />

Pressa - concentrico<br />

Leg extension - isometrico<br />

Carico sull'arto infortunato [kg]<br />

Da 1539 a 1867.5<br />

Carico di compensazione arto sano [kg]<br />

2790<br />

Angoli di lavoro<br />

Pressa: da 20° a 100°<br />

Leg extension: 30°<br />

Gli esercizi di propriocettività: sono stati impostati in maniera statica: l'atleta<br />

doveva mantenere una precisa posizione sull'attrezzo specifico per un tempo<br />

determinato.<br />

Non essendoci state conseguenze negative nella prima settimana, nel secondo<br />

periodo, è stato svolto un programma che rispecchiava il precedente.<br />

Il lavoro è stato così impostato:<br />

Cyclette (Lifecycle horizontal)<br />

50W per 10'<br />

75W per 10'<br />

Lavoro con sovraccarico<br />

Pressa - eccentrico<br />

Pressa - concentrico<br />

Leg extension - isometrico<br />

Leg extension - concentrico<br />

85


Carico sull'arto infortunato [kg]<br />

Da 1915 a 3014<br />

Carico di compensazione arto sano [kg]<br />

Da 3410 a 4130<br />

Angoli di lavoro<br />

Pressa: da 10° a 110°<br />

Leg extension: 30° in isometria<br />

20° - 90° concentrico<br />

Gli esercizi di propriocettività: sono stati inseriti esercizi con la palla<br />

(palleggio e lancio).<br />

In questo periodo l'allenamento è stato svolto a giorni alterni, e non si è mai<br />

verificato alcun effetto d'intolleranza da parte <strong>del</strong>l'atleta.<br />

Il recupero <strong>del</strong>la mobilità articolare<br />

Per recuperare l'escursione articolare, in questi due periodi, sono stati<br />

effettuati degli esercizi d'allungamento muscolare (stretching preceduto da<br />

contrazione isometrica), che momentaneamente avevano l'effetto di<br />

aumentare il grado di libertà articolare. Dopo il riposo, però, l'estensibilità<br />

raggiunta, regrediva totalmente.<br />

Questo fenomeno è stato imputato al più elevato tono muscolare riflesso<br />

posseduto dall'arto leso, che tendeva a salvaguardare l'articolazione<br />

limitandone l'escursione; dopo la contrazione isometrica, quindi, il tono<br />

veniva limitato permettendo così una maggiore articolabilità, che regrediva<br />

totalmente una volta che il riposo rigenerava integralmente tutti i sistemi<br />

energetici muscolari. Si è deciso allora di abbandonare tale forma di lavoro,<br />

aspettando che l'effetto <strong>del</strong>l'allenamento generale normalizzasse il tono<br />

muscolare e di conseguenza il controllo neuro-muscolare sull'articolazione.<br />

Il lavoro è stato così scandito:<br />

Cyclette (Lifecycle horizontal)<br />

50W per 5'<br />

75W per 10'<br />

100W per 3'<br />

Lavoro con sovraccarico<br />

86


Pressa - eccentrico<br />

Pressa - concentrico<br />

Leg extension - isometrico<br />

Leg extension - concentrico<br />

Carico sull'arto infortunato [kg]<br />

Da 4155 a 5064<br />

Carico di compensazione arto sano [kg]<br />

Da 4360 a 5640<br />

Angoli di lavoro<br />

Pressa: da 0° a 110°<br />

Leg extension: 30° in isometria<br />

10° - 90° concentrico<br />

Caratterizzato dalla ripresa <strong>del</strong>la corsa.<br />

Gli esercizi di propriocettività: statici su tavoletta,<br />

con palleggio e lancio, deambulazione tra tavolette,<br />

senza e con palleggio.<br />

A conclusione di questa fase di lavoro è stato<br />

programmato un periodo di riposo alla fine <strong>del</strong> quale<br />

l'atleta è stata sottoposta al primo controllo medico <strong>del</strong><br />

proprio chirurgo, il quale ha evidenziato un buon<br />

recupero <strong>del</strong>la trofia e <strong>del</strong>la mobilità ( quest'ultima<br />

compresa tra 5 gradi d'estensione e i 140-145 gradi di<br />

flessione).<br />

Dal risultato <strong>del</strong> test di Cooper, svolto in forma ridotta sui 6 minuti, metri<br />

860, è stato impostato il programma di ripresa <strong>del</strong>la corsa in forma<br />

intervallata. In tale periodo il lavoro è stato programmato in modo da<br />

incrementare la distanza da percorrere dai 1100 a 1300 metri, con velocità<br />

comprese dai 9.5 - 11 km/h.<br />

Il lavoro è stato così impostato:<br />

Cyclette (Lifecycle horizontal)<br />

50W per 5'<br />

75W per 5'<br />

87


100W per 5'<br />

125W per 5'<br />

Lavoro con sovraccarico<br />

Pressa - eccentrico<br />

Pressa - concentrico<br />

Leg extension - concentrico<br />

Carico sull'arto infortunato [kg]<br />

Da 4950 a 7487<br />

Carico di compensazione arto sano [kg]<br />

Da 7942 a 9307<br />

Angoli di lavoro<br />

Pressa: da 0 a 110<br />

Leg extension: 0° - 110°<br />

Corsa<br />

Da 1000 m. a 1300 m. a 9,5 - 11 km/h<br />

Gli esercizi di propriocettività: sono stati intensificati inserendo<br />

esercitazioni dinamiche e di deambulazione tra le tavolette, salti su tavoletta<br />

con doppio e singolo appoggio.<br />

Caratterizzato dalla ripresa <strong>del</strong> lavoro dinamico con rimbalzo computerizzato.<br />

Il lavoro computerizzato<br />

L'atleta deve eseguire il lavoro dinamico con<br />

rimbalzo programmato alla macchina pesi<br />

collegata ad un computer che permette di<br />

visionare sul monitor la forza espressa ad ogni<br />

sollevamento. In questo modo l'atleta conosce<br />

l'entità <strong>del</strong>la prestazione (spinta) appena effettuata<br />

e deve superarla con la spinta successiva.<br />

Il lavoro computerizzato è basato sull'esaltazione <strong>del</strong>la motivazione che porta<br />

l'atleta ad esaurire sempre e completamente tutte le sue riserve energetiche<br />

favorendo così un più alto livello di supercompensazione. Questo si traduce in<br />

88


un maggior impegno che crea una più elevata capacità d'adattamento, che<br />

determina un più consistente livello di partenza per la seduta successiva. Allo<br />

stesso tempo il lavoro computerizzato permette di controllare quando la<br />

prestazione decade in maniera consistente.<br />

Questo fatto può essere considerato come indice di raggiunto affaticamento.<br />

Con tale metodica la quantità di carico di lavoro <strong>del</strong>la seduta è stato<br />

aumentato notevolmente poiché come riferimento è stata presa in<br />

considerazione la forza realmente sviluppata e non il carico totale<br />

programmato.<br />

Il carico totale programmato è calcolato come il prodotto tra il carico di<br />

lavoro e le ripetizioni e le serie programmate.<br />

La forza realmente sviluppata è la somma d'ogni singola forza di spinta<br />

espressa in ogni ripetizione effettuata. In genere la forza di spinta è maggiore<br />

<strong>del</strong> 35-40% <strong>del</strong> carico programmato.<br />

Alla fine <strong>del</strong> lavoro computerizzato il tendine rotuleo evidenziava un lieve<br />

gonfiore, indolenzimento ed insofferenza al tatto, ma tali fenomeni<br />

regredivano dopo alcune ore di riposo.<br />

Sono sempre stati, comunque, sconsigliati gli impacchi di ghiaccio dopo<br />

allenamento affinché i fenomeni di gonfiore potessero evidenziare i tempi<br />

d'assorbimento <strong>del</strong> lavoro svolto ed eventuali errori sul carico proposto.<br />

Durante tale periodo è stato intensificato anche il programma di corsa, visti i<br />

risultati raggiunti nel test di Cooper 1996 metri, svolto in forma completa sui<br />

12 minuti.<br />

Il lavoro è stato così proposto:<br />

Corsa<br />

Da 2700 m. a 3200 m. a 11 - 13.5 km/h<br />

Cyclette (Lifecycle horizontal)<br />

75W per 5'<br />

100W per 3'<br />

125W per 3'<br />

150W per 3'<br />

175W per 3'<br />

Lavoro con sovraccarico<br />

Pressa - eccentrico<br />

Pressa - concentrico<br />

Pressa - dinamico con rimbalzo computerizzato<br />

Carico sull'arto infortunato [kg]<br />

Da 11880 a 16099.5<br />

89


Carico di compensazione arto sano [kg]<br />

Da 11007.2 a 18588.5<br />

Angoli di lavoro<br />

Pressa: da 0° a 110°<br />

Gli esercizi di propriocettività: sono stati introdotti esercitazioni di salto<br />

controllato tra gli attrezzi senza e con palleggio.<br />

Alla fine di questa fase di lavoro l'atleta è stata sottoposta a visita di controllo<br />

dal proprio ortopedico.<br />

Dalle indicazioni ricevute dall'ortopedico, il programma di rieducazione è<br />

stato indirizzato principalmente a ristabilire la simmetria <strong>del</strong>la trofia<br />

muscolare. Dalla valutazione antropometrica, infatti, risultava che le<br />

differenze tra le circonferenze, alle varie altezze <strong>del</strong>la coscia, esistente tra<br />

l'arto sano e quello leso, erano:<br />

cm dal bordo superiore <strong>del</strong>la patella<br />

∆C [cm]<br />

10<br />

2.5<br />

20<br />

4.5<br />

28<br />

1.5<br />

Il programma, quindi, è stato modificato sostituendo il lavoro di corsa con un<br />

lavoro alla cyclette orizzontale durante il quale l'atleta era invitata a spingere<br />

prevalentemente con l'arto destro.<br />

E' stato anche modificato il lavoro con il sovraccarico: è stato proposto un<br />

sistema di distribuzione <strong>del</strong> carico in forma variabile (piramidale).<br />

Il lavoro è stato così impostato:<br />

Cyclette (Lifecycle horizontal)<br />

75W per 10'<br />

90


100W per 3'<br />

125W per 3'<br />

150W per 3'<br />

175W per 3'<br />

200W per 3'<br />

Lavoro con sovraccarico<br />

Pressa - eccentrico<br />

Pressa - concentrico<br />

Pressa - dinamico con rimbalzo<br />

Carico sull'arto infortunato [kg]<br />

Da 15067.5 a 21080<br />

Carico di compensazione arto sano [kg]<br />

Da 14892 a 20777.2<br />

Angoli di lavoro<br />

Pressa: da 0° a 110°<br />

Dopo tale fase di lavoro la differenza tra le circonferenze <strong>del</strong>la coscia si era<br />

ridotta a:<br />

cm dal bordo superiore <strong>del</strong>la patella<br />

∆C [cm]<br />

10<br />

0.5<br />

20<br />

1.5<br />

28<br />

0<br />

Gli esercizi di propriocettività: salti su tavoletta con<br />

doppio e singolo appoggio, salti tra tavolette con<br />

doppio e singolo appoggio, salti tra tavolette con<br />

ostacolo (plinto 30, 40, 50, 60 cm) con doppio e<br />

singolo appoggio.<br />

91


Ripresa <strong>del</strong> lavoro tecnico<br />

Nel piano di lavoro generale sono state anche inserite esercitazioni di<br />

palleggio con spostamento avanti, indietro e laterale, cerando di riprodurre<br />

quelle tipiche che si vengono a creare durante le fasi di gioco. Queste<br />

esercitazioni venivano svolte salvaguardando il <strong>ginocchio</strong> con un tutore.<br />

92


I test effettuati<br />

Muscolari<br />

Esercizio/Esame I° II° III° IV° V°<br />

Pressa Sx 64(*) 81(*) 88(*) 91(*) 97.96(**)<br />

Pressa Dx 70(*) 73(*) 88(*) 94.44(**)<br />

Leg ext.Sx 49(*) 63(*) 66(*) 63(*) 67.05(**)<br />

Leg Ext.Dx 31(*) 42(*) 42(*) 39.90(**)<br />

(*) Esame eseguito con metodo manuale<br />

(**) Esame eseguito con metodo computerizzato<br />

Cooper<br />

Data<br />

19.06.<br />

17.07.<br />

25.08.<br />

metri<br />

860(*)<br />

1996(**)<br />

2400(**)<br />

(*) Esame eseguito nel tempo di 6 minuti<br />

(**) Esame eseguito nel tempo di 12 minuti<br />

L'incremento <strong>del</strong> carico proposto<br />

Il grafico evidenzia l'andamento <strong>del</strong>l'incremento <strong>del</strong> carico programmato<br />

durante tutto il periodo di rieducazione sia per l'arto da rieducare (Carico<br />

sull'arto infortunato [kg]) sia per quello sano (Carico di compensazione arto<br />

sano [kg]).<br />

93


Il lavoro di compensazione svolto sull'arto sano aveva lo scopo di stabilire il<br />

traguardo riabilitativo in condizione d'allenamento e quindi più prossima<br />

all'imegno agonistico.<br />

Inconvenienti insorti<br />

Durante tutto il periodo considerato si sono verificati i seguenti inconvenienti:<br />

A affaticamento <strong>del</strong>la regione lombare <strong>del</strong>la schiena determinato,<br />

presumibilmente, dalla posizione di compensazione durante il lavoro alla<br />

pressa con l'arto sano. E' stato risolto con una modifica <strong>del</strong> programma di<br />

lavoro e sfruttando il riposo <strong>del</strong> week-end.<br />

B contrattura all'adduttore destro, presumibilmente determinato, anche, dalle<br />

condizioni climatiche <strong>del</strong>la palestra.<br />

C contusione al <strong>ginocchio</strong> destro nella zona sottorotulea mediale,<br />

determinata da una caduta in fase di recupero di un pallone, durante<br />

un'esercitazione di spostamento laterale in palleggio.<br />

Situazione finale<br />

Persiste un leggera ipotrofia <strong>del</strong> muscolo quadricipite destro quantificabile in<br />

una riduzione di 1.5 cm <strong>del</strong>la circonferenza, rispetto l'arto sano, misurata a 10<br />

cm dal margine superiore <strong>del</strong>la patella.<br />

La forza: per quanto riguarda la potenzialità espressa alla pressa (pressa da<br />

seduti - Life Fitness) con un'escursione di 42 cm, i valori riscontrati sono stati<br />

di:<br />

arto sinistro 97.9609<br />

arto destro 94.4498<br />

deficit% 3.58<br />

Essendo l'arto destro l'arto di spinta <strong>del</strong>l'atleta, si può indicare che il deficit%<br />

teorico raggiunge il 13.58%.<br />

Per quanto riguarda le potenzialità espresse alla leg extension (Life Fitness)<br />

con un'escursione di 85°, i valori riscontrati sono stati di:<br />

arto sinistro<br />

67.0566<br />

94


arto destro<br />

39.9044<br />

deficit%<br />

40.49<br />

Tale differenza può spiegarsi con l'intolleranza che l'atleta ha sempre<br />

manifestato in tale esercitazione dinamica; quando l'arto era sottoposto a tale<br />

lavoro, immediatamente si manifestavano dolore, ipersensibilità anche al<br />

tatto, leggero gonfiore <strong>del</strong> tendine rotuleo, ecc.. A livello preventivo, dunque,<br />

tale esercitazione è stata evitata per quasi tutto il programma rieducativo,<br />

meno che nel periodo finale durante il quale l'atleta accettava l'esercitazione<br />

svolta, però, con carichi limitati.<br />

La flesso-estensione è stata recuperata quasi completamente.<br />

Seppur nell'estensione la gamba si estende perfettamente sulla coscia, ad un<br />

esame visivo di confronto tra gli arti si può notare che la gamba sana presenta<br />

una leggera iperestesione, determinata ovviamente da fattori genetici, che<br />

difficilmente potrà essere recuperata dall'arto infortunato.<br />

La flessione è ancora ridotta d'alcuni gradi quantificabili in 5-7°.<br />

Schema <strong>del</strong> programma da svolgere presso la propria sede<br />

Corsa<br />

Da 3300 m. a 4500 m. a 12.5 - 15.5 km/h<br />

Lavoro con sovraccarico<br />

Pressa - eccentrico<br />

Pressa - concentrico<br />

Pressa - dinamico con rimbalzo<br />

Carico sull'arto infortunato [kg]<br />

Da 19890 a 25567.5<br />

Angoli di lavoro<br />

Pressa: da 0° a 110°<br />

Cyclette (Lifecycle horizontal)<br />

75W per 10'<br />

100W per 3'<br />

125W per 3'<br />

150W per 3'<br />

175W per 3'<br />

95


200W per 3'<br />

Esercizi di propriocettività<br />

Salti su tavoletta con doppio e singolo appoggio<br />

Salti tra tavolette con doppio e singolo appoggio<br />

Salti tra tavolette con ostacolo (plinto 30, 40, 50, 60 cm) con doppio e<br />

singolo appoggio<br />

Avvertenze:<br />

A Continuare il lavoro rieducativo cercando di rispecchiare le caratteristiche<br />

impostate precedentemente con esercitazioni alla pressa ed alla leg<br />

extension, con carichi poco elevati e a basse velocità.<br />

B Continuare un massiccio lavoro propriocettivo cercando di riproporre gli<br />

sbilanciamenti laterali tipici.<br />

C Riprendere in modo graduale il lavoro tecnico evitando assolutamente di<br />

consigliare all'atleta di saltare. Tale azione motoria deve essere<br />

preventivamente autorizzata dal medico ortopedico.<br />

D Evitare gli affondi e le massime accosciate.<br />

96


5.3 Trattamento <strong>del</strong>la lesione meniscale<br />

La Lesione meniscale può essere trattata con varie tecniche: (tutte eseguibili<br />

in artroscopia)<br />

1) ASPORTAZIONE DELLA PORZIONE ROTTA DEL MENISCO<br />

OVVERO MENISCECTOMIA .Può essere selettiva, parziale,<br />

subtotale o totale a seconda <strong>del</strong> tipo di rottura cioè tentativo di salvare<br />

il menisco riparandolo e reinserendolo nella posizione originaria<br />

2) SUTURA MENISCALE<br />

L'impiego di una particolare tecnica chirurgica è in funzione <strong>del</strong> tipo di<br />

lesione <strong>del</strong> menisco e <strong>del</strong>la qualità <strong>del</strong> tessuto meniscale. Infatti la sutura<br />

<strong>del</strong> menisco ha più successo in un soggetto giovane, con stoffa meniscale di<br />

buona qualità, piuttosto che in un soggetto più anziano in cui le lesioni<br />

degenerative legate all'età rendono più difficile la buona riuscita <strong>del</strong>la<br />

sutura.<br />

In generale, le lesioni <strong>del</strong> menisco che interessano la regione meno<br />

vascolarizzata vanno trattate con l'asportazione <strong>del</strong>la parte lesa, mentre le<br />

rotture più periferiche, cioè <strong>del</strong>la zona più vascolarizzata, possono beneficiare<br />

<strong>del</strong>la tecnica <strong>del</strong>la cruentazione, quando si tratta di una piccola disinserzione<br />

<strong>del</strong> margine periferico <strong>del</strong> menisco (e in tal caso si "gratta" con apposita<br />

raspetta la lesione, in modo da indurre un sanguinamento e una reazione<br />

cicatriziale), oppure si procede alla sutura meniscale, ovvero si procede ad<br />

applicare dei punti di sutura sulla breccia ancorando il menisco alla capsula.<br />

Le rotture più grossolane <strong>del</strong> menisco sono quelle a "manico di secchia" : il<br />

menisco, completamente staccato perifericamente, rimane inserito solo nel<br />

suo estremo anteriore e posteriore, potendo così dislocarsi davanti al condilo<br />

femorale impedendo l'articolarità <strong>del</strong> <strong>ginocchio</strong> che sarà bloccato in una<br />

posizione di leggera flessione: al chirurgo in genere, non rimane altra scelta<br />

che asportare la parte lesionata.<br />

IL TRATTAMENTO DELLE LESIONI MENISCALI<br />

L’intervento di artroscopia, ed eventuale meniscectomia, viene effettuato<br />

ambulatoriamente in una sala operatoria appositamente attrezzata, dopo<br />

che l’anestesista avrà praticato una anestesia locale, oppure un blocco<br />

anestetico loco-regionale. Solo in casi rari si effettua una anestesia totale,<br />

rendendo in questi casi necessario il ricovero.<br />

MOBILIZZAZIONE DEL GINOCCHIO<br />

Esistono 4 tipi di articolarità:<br />

97


a) articolarità passiva: è il movimento di un'articolazione compiuto da<br />

un'altra persona, un oggetto o l'arto controlaterale. Non si verifica alcuna<br />

contrazione muscolare attiva<br />

b) articolarità assistita: il paziente contrae attivamente i muscoli e muove<br />

l'articolazione nel suo range articolare con l'assistenza di una persona.<br />

c) articolarità attiva: gli esercizi vengono compiuti dal paziente, i muscoli<br />

si contraggono per tutto il range articolare senza l'assistenza di un'altra<br />

persona<br />

d) articolarità attiva contro resistenza: gli esercizi sono effettuati dal<br />

paziente contro una certa resistenza, per esempio un peso<br />

ESERCIZI PER IL RINFORZO MUSCOLARE:<br />

Gli esercizi statici o isometrici sono caratterizzati dalla contrazione o dal<br />

tensionamento attivo <strong>del</strong> muscolo senza che si verifichi alcun movimento<br />

<strong>del</strong>l’articolazione<br />

Gli esercizi dinamici vengono effettuati contro una certa resistenza, ad<br />

esempio una resistenza manuale offerta da un carico esterno. Esistono 5 tipi di<br />

esercizi dinamici:<br />

Esercizi ISOTONICI: vengono effettuati a resistenza costante e velocità<br />

variabile attraverso un arco di movimento parziale o completo nel quale i<br />

muscoli si accorciano (concentrici) o si allungano (eccentrici)<br />

Esercizi ISOCINETICI: vengono effettuati per un arco di movimento parziale<br />

o completo in cui la resistenza varia e la velocità viene mantenuta costante,<br />

con appositi apparecchi<br />

Esercizi IDROCINETICI: vengono compiuti per un arco di movimento<br />

parziale o completo e l'acqua agisce da resistenza<br />

Esercizi ISODINAMICI: vengono compiuti per un arco di movimento<br />

parziale o completo, usando un sistema idraulico. in cui la resistenza è<br />

costante e la velocità variabile<br />

Esercizi PLIOMETRICI: sono un ibrido tra attività concentrica ed eccentrica,<br />

in cui vengono sottoposte al carico sia la componente elastica che quella<br />

contrattile dei muscoli. Si tratta di esercizi esplosivi in cui sono ripetuti<br />

movimenti di avvio e arresto, quali, ad esempio, i saltelli su due gambe in<br />

linea retta.<br />

98


5.4 Protocollo riabilitativo dopo intervento di meniscectomia<br />

artroscopica<br />

Il recupero cinesiterapico, deve essere attuato dal paziente sin dalle prime ore dopo<br />

l'intervento. Attraverso una progressiva intensificazione degli esercizi ed una<br />

bilanciata programmazione per il potenziamento degli estensori e la distensione dei<br />

muscoli flessori <strong>del</strong>la coscia si deve raggiungere un tonotrofismo muscolare valido in<br />

modo da consentire una precoce ripresa <strong>del</strong>l'attività.<br />

I FASE<br />

La prima fase comprende gli esercizi da eseguirsi molto precocemente. Si comincia<br />

con movimenti attivi <strong>del</strong>la caviglia e con contrazioni <strong>del</strong> muscolo quadricipite<br />

(isometriche, ovvero non accompagnate da movimento articolare ), mantenute per<br />

circa 20 sec., cercando di schiacciare il <strong>ginocchio</strong> contro il piano <strong>del</strong> letto. Plurime<br />

contrazioni con un periodo di riposo tra una contrazione e l'altra di almeno 10 secondi.<br />

Poi, ci si impegna nel sollevamento <strong>del</strong>l'arto operato, con il <strong>ginocchio</strong> esteso, fino a<br />

circa 50 cm dal piano <strong>del</strong> letto, mantenendo questa posizione per 20 secondi. Il giorno<br />

successivo all'intervento il programma riabilitativo viene incrementato con esercizi di<br />

sollevamento laterale <strong>del</strong>l'arto esteso, nella posizione "sul fianco" con zavorra alla<br />

caviglia. Flesso estensioni attive <strong>del</strong> <strong>ginocchio</strong> strisciando il piede sul letto. Flesso<br />

estensioni <strong>del</strong> <strong>ginocchio</strong> in posizione eretta, con appoggio ad un tavolo. Sempre<br />

appoggiati su di un tavolo, esercizi di sollevamento posteriore <strong>del</strong>l'arto a <strong>ginocchio</strong><br />

esteso. Da seduti, esercizi di potenziamento degli adduttori effettuati ponendo un<br />

cuscino piegato tra le ginocchia e cercando di comprimerlo. Sempre da seduti,<br />

sollevamento verso il petto <strong>del</strong>la coscia a <strong>ginocchio</strong> flesso<br />

La tumefazione endoarticolare rilevabile nel post operatorio non deve rappresentare<br />

causa di apprensione per il paziente o il terapista, in quanto è un evento normale e non<br />

raggiunge mai un grado tale da dover sospendere il programma riabilitativo, ma può<br />

solo controindicare l'uso di resistenze più elevate.<br />

Il FASE<br />

Dopo pochi giorni dall'intervento si può iniziare una riabilitazione specifica presso un<br />

centro di rieducazione idoneo. La stampella verrà gradualmente abbandonata, e la<br />

fasciatura iniziale sostituita da un bendaggio più leggero. Gli esercizi sopra descritti<br />

potranno essere praticati a domicilio con l'applicazione alla caviglia di un peso di 2<br />

Kg.<br />

L'obiettivo <strong>del</strong>la fisioterapia è quello di aumentare progressivamente i gradi di<br />

movimento <strong>del</strong> <strong>ginocchio</strong> e di recuperare la forza e l'elasticità muscolare. L'intensità<br />

<strong>del</strong> programma dipende dal tipo di lesione meniscale, dal tipo di intervento subito e<br />

dall'obiettivo personale: se il paziente è un atleta, sarà opportuno integrare il periodo<br />

riabilitativo con esercizi specifici che preparino al ritorno allo sport.<br />

99


La fisioterapia inizia con la mobilizzazione <strong>del</strong>la rotula, il massaggio quadricipitale,<br />

ed il recupero <strong>del</strong>la flesso estensione. Talora possono essere utili le elettrostimolazioni<br />

<strong>del</strong> quadricipite.<br />

Gli esercizi che migliorano l'escursione articolare possono essere passivi, quando è il<br />

fisioterapista che muove manualmente il <strong>ginocchio</strong> e il paziente deve cercare di stare<br />

rilassato; attivi quando il paziente si impegna a muovere il <strong>ginocchio</strong> cercando di<br />

raggiungere i gradi estremi di flessione ed estensione; via via si introducono esercizi<br />

di iperflessione, accovacciamento, squatting ecc.<br />

E' indicata anche la cyclette, che migliora l'articolarità e la forza muscolare: deve<br />

essere praticata dapprima a sella alta, pedalando sia con la punta sia con il tallone in<br />

modo da stimolare gradualmente i flessori <strong>del</strong> <strong>ginocchio</strong> ed i gemelli.<br />

Dopo la rimozione dei punti, che avviene in genere in 10a giornata, il paziente che<br />

gradisce l'attività natatoria può recarsi in piscina dedicandosi alla corsa in acqua e al<br />

nuoto.<br />

Per il miglioramento <strong>del</strong>la forza, vengono effettuati esercizi di potenziamento<br />

muscolare per il quadricipite, gemelli, ischio-crurali, adduttori, abduttori, dapprima in<br />

scarico e poi con carichi progressivamente crescenti: il lavoro isotonico di<br />

contrazione in contro-resistenza manuale, viene effettuato nei diversi gradi di<br />

flessione si passa quindi ad esercizi in catena cinetica chiusa (con il piede solidale ad<br />

una superficie di appoggio) ed in catena cinetica aperta. Inizia anche il lavoro con le<br />

corde elastiche.<br />

Sono qui illustrati alcuni semplici esercizi che il paziente può effettuare a domicilio.<br />

Si raccomanda di ancorare in modo stabile la corda elastica.<br />

Non bisogna dimenticare, durante tutta la durata <strong>del</strong> programma riabilitativo, gli<br />

esercizi di stretching che vanno praticati all'inizio e alla fine <strong>del</strong>le sedute riabilitative:<br />

Questi esercizi servono a migliorare l'elasticità muscolari devono essere dolci, lenti e<br />

prolungati.<br />

Bisogna assolutamente evitare carichi di lavoro eccessivi ed esercizi che provocano<br />

dolore e tumefazione. Al termine di ogni seduta verrà applicato ghiaccio sul<br />

<strong>ginocchio</strong>.<br />

A fianco <strong>del</strong> potenziamento muscolare è altrettanto utile l'esecuzione di esercizi su<br />

piani instabili per stimolare la propriocettività <strong>del</strong>l'arto operato.<br />

Se disponibile, si utilizzerà l'attrezzo 'PROFITTER', struttura ellittica oscillante su cui<br />

è posto un piano scorrevole ancorato ad elastici che ne rendono graduabile la<br />

resistenza necessaria affinché possa muoversi da una estremità all'altra. L'esercizio<br />

iniziale prevede che il soggetto appoggi l'arto operato sul carrellino compiendo<br />

movimenti di bascula avanti e indietro, mantenendo l'equilibrio con l'arto<br />

100


controlaterale.<br />

III FASE<br />

Dopo circa 20 giorni dall'intervento inizia la terza fase.<br />

Il paziente può iniziare la corsa, dapprima in linea retta e con fasi intervallate di<br />

deambulazione per evitare sovraccarichi funzionali. Viene concessa la bicicletta su<br />

strada e anche la mountain bike. In palestra ci si avvale di appositi macchinari: step<br />

machine, leg press, leg curl, leg extension, adduttor machine. Vengono seguiti schemi<br />

di allenamento miranti a migliorare la forza muscolare (con carichi massimali e serie<br />

brevi) e la resistenza (con carichi intermedi e serie lunghe, ripetute).<br />

Appena possibile si esegue un test isocinetico che viene effettuato su un apposito<br />

macchinario e, se l'arto operato ha raggiunto almeno 1'80 % <strong>del</strong>la forza <strong>del</strong>l'arto<br />

controlaterale, si inizia il recupero <strong>del</strong> gesto sportivo specifico. Aumenta allora<br />

l'intensità degli allenamenti e si alterna il lavoro sul campo al lavoro in palestra fino<br />

alla graduale ripresa <strong>del</strong>l’attività.<br />

N.B. DURANTE IL PRIMO MESE, IL PAZIENTE VERRA’ SOTTOPOSTO A<br />

CONTROLLO MEDICO OGNI 7 GIORNI<br />

Se la forza recuperata non è pari all'80% <strong>del</strong>l'arto sano, può essere consigliato un<br />

allenamento isocinetico con un apposito macchinario che permette selettivamente di<br />

rinforzare la muscolatura consentendo movimenti articolari a velocità angolare<br />

costante. Le prime sedute verranno praticate ad alte velocità angolari, e quindi via via<br />

si introdurranno velocità medie e basse.<br />

L'allenamento isocinetico deve essere sempre preceduto da un adeguato<br />

riscaldamento; è consigliabile impostare l'allenamento con contrazioni submassimali a<br />

velocità medio-alte ripetute fino alla comparsa <strong>del</strong>la fatica. Con il progredire <strong>del</strong>la<br />

mobilità aumenta anche l'intensità <strong>del</strong> lavoro isocinetico e si giungerà a contrazioni<br />

massimali.<br />

In questa fase è utile continuare con gli esercizi in catena cinetica chiusa, utilizzando<br />

a tale scopo una pressa isocinetica ed una scala ergoelettronica ove il paziente<br />

sorreggendosi con le mani può esercitare gli arti inferiori impegnati in reciproche fasi<br />

di spinta ove il carico, la velocità e la durata <strong>del</strong>l'esercizio vengono impostati dal<br />

fisioterapista<br />

In accordo con il preparatore atletico inizia l'allenamento specifico, viene inserita la<br />

corsa, bicicletta e quanto altro utile per il recupero <strong>del</strong>la piena forma fisica.<br />

Una volta raggiunta una buona condizione generale in accordo con il tuo chirurgo e<br />

terapista l’atleta potrà riprendere l’attività agonistica.<br />

101


5.5 Protocollo riabilitativo dopo intervento di sutura meniscale<br />

Come già detto, è preferibile cercare di salvare un menisco rotto, riparandolo.<br />

Questo tipo di intervento non è sempre possibile, ed è indicato solo se la lacerazione si<br />

trova nel contesto <strong>del</strong>l'area nutrita dal sangue (cioè quella più periferica), che ne<br />

permette la guarigione. Il menisco allora viene suturato: si utilizzano dei fili di sutura<br />

che vengono lentamente riassorbiti, in circa due mesi. A volte, per effettuare la sutura<br />

meniscale, si rende necessaria una ulteriore incisione nella parte posteriore <strong>del</strong><br />

<strong>ginocchio</strong>.<br />

Nel caso di sutura meniscale i tempi di recupero sono più lenti: spesso si applica un<br />

tutore che limita l'escursione articolare <strong>del</strong> <strong>ginocchio</strong> evitando i gradi estremi di<br />

flessione e di estensione (in genere per una quindicina di giorni): il carico sull’arto<br />

operato sarà parziale con l'ausilio di stampelle.<br />

In questo periodo di tempo il paziente può cominciare ad effettuare esercizi<br />

riabilitativi a domicilio.<br />

I primi giorni dopo l’intervento è consigliabile tenere l’arto operato sollevato dal<br />

piano <strong>del</strong> letto con un cuscino e applicare localmente (sul <strong>ginocchio</strong> bendato) la borsa<br />

<strong>del</strong> ghiaccio per circa mezz'ora, più volte al giorno. Il chirurgo può consigliare<br />

l'assunzione di farmaci antiinfiammatori.<br />

I FASE<br />

Superata la fase acuta, il paziente inizia la riabilitazione: contrazioni muscolari<br />

isometriche <strong>del</strong> muscolo quadricipite, effettuate a vari gradi di flessione <strong>del</strong> <strong>ginocchio</strong>,<br />

tenute per circa 10 sec.<br />

Inoltre, contrazioni isometriche dei muscoli ischio-crurali (i muscoli posteriori <strong>del</strong>la<br />

coscia), movimenti attivi <strong>del</strong>la caviglia.<br />

Altri esercizi consigliati:<br />

Sollevamento <strong>del</strong>l'arto esteso, innalzandolo circa 50 cm. dal piano <strong>del</strong> letto e<br />

mantenendo questa posizione per circa 10 sec. (Arto controlaterale flesso).<br />

Sollevamento laterale <strong>del</strong>l’arto nella posizione "sul fianco” eventualmente anche con<br />

un peso di circa 1 Kg sotto forma di cavigliera piombata.<br />

Piegamenti <strong>del</strong> <strong>ginocchio</strong> con piede strisciante sul letto, nei limiti <strong>del</strong> movimento<br />

concesso dal tutore.<br />

Analoghi piegamenti <strong>del</strong> <strong>ginocchio</strong> in posizione prona ed in posizione eretta.<br />

Flesso-estensioni <strong>del</strong> <strong>ginocchio</strong> in posizione seduta, sempre nei limiti <strong>del</strong> range<br />

articolare concesso dal tutore.<br />

102


Si prosegue con gli esercizi di rinforzo dei muscoli adduttori ed abduttori.<br />

I punti di sutura verranno rimossi intorno al decimo giorno dall'intervento.<br />

II FASE<br />

A questo punto si può iniziare una riabilitazione specifica presso un Centro<br />

fisioterapico. Si lavorerà, insieme al fisioterapista per migliorare gradualmente<br />

l'articolarità e recuperare la forza e l'elasticità muscolare.<br />

L'articolarità viene stimolata passivamente, nelle prime sedute, e dopo qualche giorno<br />

anche attivamente.<br />

Gli esercizi consigliati nella prima fase possono essere effettuati con un peso di circa 1<br />

Kg alla caviglia. Può essere indicato anche un ciclo di elettrostimolazioni<br />

quadricipitali, al fine di mantenere un buon trofismo muscolare.<br />

Per il miglioramento <strong>del</strong>la forza, vengono proposti esercizi di potenziamento<br />

muscolare per il quadricipite, gemelli, ischio-crurali, adduttori, abduttori, dapprima in<br />

scarico e poi con carichi progressivamente crescenti.<br />

Il lavoro isotonico di cocontrazione in controresistenza manuale è effettuato nei<br />

diversi gradi di flessione<br />

Quindi esercizi in catena cinetica chiusa (con il piede solidale ad una superficie di<br />

appoggio) e poi in catena aperta. (20° giornata).<br />

La Cyclette, inizialmente viene praticata a sella alta.<br />

Inizia anche il lavoro con gli elastici.<br />

Dal 20° giorno può essere effettuato anche il nuoto.<br />

Non bisogna dimenticare, durante tutta la durata <strong>del</strong> programma riabilitativo, gli<br />

esercizi di stretching che vanno praticati all'inizio e alla fine <strong>del</strong>le sedute riabilitative.<br />

Questi esercizi servono a migliorare l'elasticità muscolare. Essi devono essere dolci,<br />

lenti e prolungati.<br />

Bisogna assolutamente evitare carichi di lavoro eccessivi ed esercizi che provocano<br />

dolore e tumefazione. Al termine di ogni seduta verrà applicato ghiaccio sul<br />

<strong>ginocchio</strong>.<br />

A fianco <strong>del</strong> potenziamento muscolare è altrettanto utile l'esecuzione di esercizi su<br />

piani instabili per stimolare la propriocettività <strong>del</strong>l'arto operato (tavolette UFO).<br />

Se disponibile, si utilizzerà l'attrezzo "PROFITTER", struttura ellittica oscillante su<br />

cui è posto un piano scorrevole ancorato ad elastici che ne rendono graduabile la<br />

resistenza necessaria affinché possa muoversi da una estremità all'altra<br />

L'esercizio iniziale prevede che il soggetto appoggi l'arto operato sul carrellino<br />

103


compiendo movimenti di bascula avanti e indietro, mantenendo l'equilibrio con l'arto<br />

controlaterale.<br />

III FASE<br />

Siamo a circa 2 mesi dall'intervento. Viene concessa la bicicletta su strada, e quindi la<br />

mountainbike. Il palestra ci si avvale di appositi macchinari per continuare la<br />

riabilitazione <strong>del</strong> <strong>ginocchio</strong>: step machine, leg press, leg curl, leg extension, adduttor<br />

machine. Vengono eseguiti schemi di allenamento miranti a migliorare la forza<br />

muscolare (con carichi massimali e serie brevi) e la resistenza (con carichi intermedi e<br />

serie lunghe, ripetute)<br />

Gradualmente, viene introdotta la corsa, dapprima in linea retta e con fasi intervallate<br />

di deambulazione per evitare sovraccarichi funzionali. Saltelli sul posto con corda.<br />

Appena possibile si esegue un test isocinetico che viene effettuato su un apposito<br />

macchinario. Se tale test risulterà soddisfacente, potrà essere iniziato il vero e proprio<br />

allenamento isocinetico.<br />

Quando l'arto operato avrà raggiunto 1'80% <strong>del</strong>la forza <strong>del</strong>l'arto contro laterale, si<br />

inizia il recupero <strong>del</strong> gesto atletico specifico, con la ripresa degli allenamenti. Si<br />

ricorda che le prime sedute dovranno essere praticate ad alte velocità angolari, per<br />

introdurre via via le velocità medie e basse.<br />

L'allenamento isocinetico deve essere sempre preceduto da un adeguato<br />

riscaldamento; è consigliabile impostare l'allenamento con contrazioni submassimali a<br />

velocità medio-alte ripetute fino alla comparsa <strong>del</strong>la fatica. Con il progredire <strong>del</strong>la<br />

mobilità aumenta anche l'intensità <strong>del</strong> lavoro isocinetico e si giungerà a contrazioni<br />

massimali.<br />

In questa fase è utile continuare con gli esercizi in catena cinetica chiusa, utilizzando a<br />

tale scopo una pressa isocinetica ed una scala ergoelettronica ove il paziente,<br />

sorreggendosi con le mani può esercitare gli arti inferiori impegnati in reciproche fasi<br />

di spinta ove il carico, la velocità e la durata <strong>del</strong>l'esercizio vengono impostati dal<br />

fisioterapista.<br />

5.6 La tecnica Wat Job<br />

Le tecniche di riabilitazione in uso oggi hanno come principale scopo il recupero<br />

funzionale <strong>del</strong> paziente in tempi brevi, atte a ridurre il più possibile sia le complicanze<br />

post-operatorie sia a permettere un reinserimento celere in ambiente socio-lavorativo<br />

e/o sportivo.Le metodologie usate si rifanno per la maggior parte a tre correnti:<br />

1. riabilitazione con esercizi passivi ed attivi a catena cinetica chiusa;<br />

104


2. riabilitazione usando catene cinetiche aperte<br />

3. riabilitazione in acqua.<br />

In questo nostro articolo, quindi, presentiamo una tecnica di riabilitazione innovativa<br />

in acqua, con l’uso di sovraccarichi periferici (tecnica Wat-Job), messa a punto dal<br />

nostro gruppo di lavoro.<br />

Tale tecnica permette il recupero totale e in tempi più brevi rispetto alle tecniche<br />

tradizionali, cosa questa di fondamentale importanza per un reinserimento nella<br />

attività senza complicanze muscolo-tendinee o recidive. Tale metodica, può essere<br />

somministrata sia a sedentari che hanno tutto l’interesse a riprendere precocemente<br />

l’attività lavorativa, che ad atleti di qualsiasi livello.<br />

DESCRIZIONE DELLA TECNICA WAT JOB<br />

Fra i compiti che possono essere considerati " istituzionali" nel lavoro <strong>del</strong> tecnico<br />

riabilitatore, spicca quello di dover continuamente ricercare metodi terapeutici di<br />

facile attuazione, agenti nel rispetto di precise regole di progressione <strong>del</strong> carico<br />

somministrato e, soprattutto, che non danneggino ulteriormente una struttura che ha<br />

già subito insulti traumatici e/o chirurgici.<br />

A questo principio metodologico, negli ultimi anni, si è aggiunto il concetto di<br />

riabilitazione/ricondizionamento, cioè la ricerca di programmi riabilitativi che<br />

prevedano, oltre le manovre classiche di terapia cinetica, anche l'introduzione, fin<br />

dalle prime fasi di lavoro, di particolari movimenti consensuali alla biomeccanica <strong>del</strong><br />

gesto che il paziente è uso fare.<br />

Tuttavia, a volte, ciò può risultare di difficile realizzazione, come quando ci si trova di<br />

fronte ad un paziente con una patologia osteo-articolare complessa, dove il carico<br />

gravitario, specie nelle prime fasi <strong>del</strong>la riabilitazione non è consentito. In questi casi,<br />

la moderna cinesiologia consiglia di ricorrere a tecniche di terapia in acqua che<br />

prevedano, oltre all'uso <strong>del</strong>le tradizionali metodologie (pinne, corpetti antigravitari,<br />

etc.), anche l'uso di tavolette Wat-Job, le quali, con l'applicazione di un carico<br />

idrodinamico quantificabile, permettono di impostare un lavoro programmato che<br />

accompagna il paziente dalla prima fase di riabilitazione fino alla fase finale di<br />

ricondizionamento senza sottoporre l'articolazione o l'arto leso ad un carico eccessivo,<br />

quale quello gravitario, ma permettendogli nel contempo di riattivare uno schema<br />

neuro-motorio specifico.<br />

Dopo diversi studi, sperimentazioni in galleria <strong>del</strong> vento e varie teorizzazioni si è<br />

giunti alla conclusione che le forze fluidodinamiche dipendono dalla densità <strong>del</strong> fluido<br />

in cui sono generate, dalla velocità alla quale ci si muove elevata al quadrato (questo<br />

ha importanti conseguenze, come vedremo), da una sezione di riferimento <strong>del</strong> corpo e<br />

105


da un termine convenzionale che chiamiamo coefficiente di forma e che dipende,<br />

appunto, dalla forma <strong>del</strong> corpo e dal modo in cui questo incontra il fluido.<br />

La formula dice che:<br />

F=1/2p.V 2 .S.Cx<br />

dove:<br />

- F è la forza fluidodinamica calcolata in Newton (la potenza si ottiene considerando<br />

la velocità al cubo);<br />

- p è la densità <strong>del</strong> fluido in cui ci si muove espressa in Kg/m 3 , per l'aria vale 1,2<br />

mentre per l'acqua dolce 1000; entrambi i valori sono riferiti a condizioni standard<br />

avendo visto che altrimenti sarebbero funzione <strong>del</strong>la temperatura e <strong>del</strong>la pressione;<br />

- V è la velocità di movimento in m/s elevata al quadrato (al cubo nel caso <strong>del</strong><br />

computo <strong>del</strong>la potenza);<br />

- S è la sezione di riferimento <strong>del</strong> corpo espressa in mq, di solito si prende quella<br />

frontale rispetto al senso <strong>del</strong> moto;<br />

- Cx è il coefficiente adimensionale di forma che convenzionalmente dipende solo<br />

dalla forma <strong>del</strong> corpo a qualunque velocità e in qualunque fluido si muova (questo<br />

non è sempre vero, ma per la maggior parte dei casi non cambia molto).<br />

Se si vuole avere la forza espressa in chilogrammi bisogna dividere il risultato<br />

ottenuto per l'accelerazione di gravità che per semplicità di calcolo prendiamo pari a<br />

10 m/s 2 (a Roma vale 9,806 m/s 2 , quindi la semplificazione comporta l'errore <strong>del</strong> 2%).<br />

A titolo di esempio calcoliamo la forza che occorre applicare ad un corpo semplice<br />

come una lastra piana per muoverlo in acqua a bassa velocità, ci troviamo quindi nel<br />

caso teorico ideale di una Riabilitazione in vasca. Premettiamo che fisicamente la<br />

lastra è un corpo piano, cioè avente due dimensioni, i lati, predominanti rispetto alla<br />

terza, lo spessore: una lastra quadrata, cioè con il rapporto tra i lati uguale circa ad<br />

uno, ha il coefficiente di forma pari a circa 1,2. Supponiamo infine che si muova in<br />

acqua alla velocità di 1 m/s (pari a 3,6 Km/h) e che abbia il lato di 20 cm (quindi la<br />

sezione frontale è di 0,2 x 0,2 = 0,04 mq).<br />

La forza è, come abbiamo detto,<br />

F= 1/2 p.V 2 .S.Cx<br />

cioè:<br />

1000 : 2 x (1 x 1) x 0,04 x 1,2 = 24 Newton<br />

106


Se la vogliamo espressa in Kg dobbiamo dividere il tutto per il valore<br />

<strong>del</strong>l'accelerazione di gravità che abbiamo preso pari a 10 m/s 2 , otteniamo così il valore<br />

di 2,4 Kg.<br />

Nel caso la velocità fosse stata di 2 m/s la forza sarebbe stata<br />

1000 : 2 x (2 x 2) x 0,04 x 1,2 = 96 Newton oppure 96:10 = 9,6 Kg<br />

cioè, come si è visto, raddoppiando la velocità la forza si quadruplica.<br />

A titolo di esempio vediamo la forza che servirebbe per muovere la stessa lastra<br />

sempre a 1m/s ma in aria:<br />

1,2 : 2 x (1 x 1) x 0,04 x 1,2 = 0,0288 Newton cioè 0,00288 Kg!!!<br />

Non si deve poi dimenticare che il galleggiamento assume valori notevoli in acqua<br />

proprio per la sua elevata densità e che spesso può essere di aiuto facendo diminuire il<br />

peso gravante su di un arto agevolandone così il moto secondo le modalità stabilite (in<br />

realtà la spinta di Archimede esiste anche nell'aria, ma, dal momento che è pari al peso<br />

<strong>del</strong> volume di fluido spostato e che, come abbiamo visto, l'acqua è molto più pesante,<br />

nell'aria è molto ridotta).<br />

Applicazioni pratiche<br />

Veniamo adesso al caso pratico di nostro interesse, cioè quello <strong>del</strong> computo <strong>del</strong>la<br />

forza necessaria a muovere un arto (ad esempio la rotazione di una gamba attorno al<br />

<strong>ginocchio</strong>) in acqua dopo che gli sia stata applicata saldamente una lastra piana per<br />

aumentarne la resistenza all'avanzamento.<br />

Allo scopo è stato messo a punto un software dedicato (ROSS; Zanolli, Faccini, Dalla<br />

Vedova, Besi, Leonardi)) con il quale si considerano, oltre a variabili fisse, anche<br />

variabili dipendenti, che permettono di calcolare sia il carico che si applica ad ogni<br />

movimento per diverse superfici di tavolette, che la progressione <strong>del</strong> carico stesso<br />

aumentando la velocità di esecuzione.<br />

Le prove sperimentali effettuate hanno confermato l’ordine di grandezza riportato<br />

nelle figure per i carichi ottenuti.<br />

107


Si può dunque concludere dicendo che il mo<strong>del</strong>lo di calcolo presentato presenta<br />

sufficiente precisione per descrivere lo stato attuale <strong>del</strong>la ricerca e che, pur con le<br />

varie imprecisioni presenti e con la necessità di ulteriori aggiustamenti sperimentali, è<br />

già in grado di fornire velocemente e con calcoli relativamente semplici un'idea<br />

abbastanza precisa <strong>del</strong>la dinamica <strong>del</strong> fenomeno e <strong>del</strong>l'ordine di grandezza <strong>del</strong>le forze<br />

in gioco.<br />

Le tavolette utilizzate in questa metodica riabilitativa, sono di materiale plastico, la<br />

cui forma, dimensione e collocamento, variano a seconda <strong>del</strong> carico e dei distretti<br />

articolari che si vogliono impegnare.<br />

E' quindi possibile, conosciuta la superficie <strong>del</strong>la tavoletta e la velocità di esecuzione<br />

<strong>del</strong> movimento (cronometrabile con buona approssimazione), definire il carico cui è<br />

sottoposta la catena cinetica muscolare interessata, oppure viceversa, stabilito il<br />

carico, indicare a quale velocità deve essere fatto il movimento.<br />

In questo mo<strong>del</strong>lo sperimentale non è stato considerato, per ovvi motivi<br />

esemplificativi, il coefficiente di galleggiamento <strong>del</strong> corpo umano, dal momento che,<br />

nella fase riabilitatoria, si può zavorrare il paziente, allo scopo di annullare questa<br />

forza tendente verso l'alto o, come normalmente avviene, il paziente si sostiene ad<br />

apposite maniglie.<br />

Descrizione <strong>del</strong> metodo di lavoro in acqua<br />

Nella pratica riabilitatoria si utilizza una tavoletta di materiale plastico duro, di forma<br />

quadrangolare, con sottostante una centina anatomica che la adatta alla forma <strong>del</strong><br />

distretto muscolare su cui viene collocata, assicurandola con una cinta di Velcro.<br />

Il metodo di lavoro con tavolette in acqua dovrà prevedere tale progressione<br />

metodologica:<br />

108


1- Dinamometria isometrica (valutazione <strong>del</strong>la forza muscolare)<br />

2- Scelta <strong>del</strong> carico da applicare tramite software (quantità, intensità) e quindi <strong>del</strong>le<br />

caratteristiche su cui si baserà il movimento (larghezza <strong>del</strong>la tavoletta, numero e<br />

velocità <strong>del</strong>le ripetizioni).<br />

3- Effettuazione <strong>del</strong> movimento (dopo aver posto il paziente in vasca nelle<br />

condizioni ottimali).<br />

E' di fondamentale importanza che il paziente assuma durante la riabilitazione in<br />

acqua una posizione verticale, facendo in modo che si assicuri a <strong>del</strong>le maniglie poste<br />

ai lati <strong>del</strong>la vasca: si è infatti in precedenza descritto come sia variabile il carico con il<br />

variare <strong>del</strong>la direzione <strong>del</strong> moto imposto alla tavoletta. Per angoli diversi consigliamo<br />

di studiare la resistenza in base alla formula descritta in precedenza.<br />

Descrizione di alcuni esercizi.<br />

La descrizione completa <strong>del</strong> metodo con WAT-JOB, presuppone una classificazione<br />

<strong>del</strong> tipo di patologia da riabilitare: pertanto si descriveranno due soli esercizi,<br />

considerati, dal punto di vista didattico, i più esplicativi.<br />

1- Patologia <strong>del</strong>l' articolazione coxo femorale: riabilitazione <strong>del</strong> movimento di<br />

flessione <strong>del</strong>la coscia sul bacino.<br />

La tavoletta va posizionata in senso parallelo alla coscia, distalmente all'articolazione<br />

<strong>del</strong>l'anca, poi si procede all'esercizio.<br />

Sulla base di quanto in precedenza detto, con una tavoletta di cm. 20x20 sottoposta a<br />

movimento di semirotazione su un asse fisso ( in questo caso l' asse è quello passante<br />

per l'articolazione coxo-femorale) a circa 2 m/s il paziente deve vincere una resistenza<br />

109


di 3.32 Kg ogni rotazione, pertanto, dopo 10 ripetizioni, egli avrà spostato circa 33<br />

Kg.<br />

2- Patologia <strong>del</strong>l'articolazione femoro tibiale: "movimento tipo catena cinetica " di<br />

flessione semi completa <strong>del</strong>l'anca e di estensione <strong>del</strong> <strong>ginocchio</strong>.<br />

La figura dimostra come sia possibile far compire ad un muscolo un movimento<br />

complesso: il quadricipite femorale è flessore <strong>del</strong>la coscia sul bacino ed estensore<br />

<strong>del</strong>la gamba sulla coscia (estensore <strong>del</strong> <strong>ginocchio</strong>). Posizionando quindi una tavoletta<br />

come in Fig. 3 ed un altra sulla zona sovrastante la caviglia, si otterrà il risultato di un<br />

movimento a catena cinetica completo <strong>del</strong> quadricipite.<br />

E' chiaro che le tavolette utilizzate possono essere di diverse dimensioni, onde<br />

somministrare carichi differenziati.<br />

Quindi, in conclusione, le due condizioni che possono far aumentare il carico di<br />

lavoro sono: l'aumento <strong>del</strong>la velocità <strong>del</strong> movimento in acqua e l'aumento <strong>del</strong>le<br />

dimensioni di superficie esposta alla resistenza <strong>del</strong>la tavoletta. Allo scopo, si possono<br />

utilizzare <strong>del</strong>le appendici laterali da applicare alla tavoletta stessa.<br />

TECNICHE DI RIABILITAZIONE DEL GINOCCHIO IN ACQUA<br />

1. Riabilitazione <strong>del</strong> <strong>ginocchio</strong> dopo ricostruzione di legamento crociato<br />

anteriore (LCA), utilizzando esercizi di chinesiterapia con elastici (KCE) e<br />

metodo in acqua WAT-JOB.<br />

Nella esperienza quotidiana di riabilitazione di soggetti sportivi operati,<br />

caratterizzata, come spesso affermato in precedenza, dalla urgenza di rimettere<br />

l'atleta in grado di riprendere la propria attività agonistica, abbiamo messo a punto<br />

degli esercizi da inserire a complemento o come sostituzione dei tradizionali schemi<br />

riabilitativi che, applicati ove l'ambiente lo consente, permettono di accelerare i<br />

tempi <strong>del</strong>la guarigione con indiscussi vantaggi sia in termini medici che pratici,<br />

senza arrecare danni al paziente, anche se non atleta. Allo scopo di rendere esauriente<br />

la nostra trattazione, descriveremo una riabilitazione di ricostruzione di LCA<br />

tradizionale, inserendo, nelle varie fasi, le nuove tecniche da noi proposte. Prima di<br />

passare alla descrizione <strong>del</strong> metodo, è doveroso fare una premessa di carattere<br />

funzionale. Il funzionamento <strong>del</strong> <strong>ginocchio</strong> patologico in via di riabilitazione è assai<br />

diverso dal comportamento cinesiologico di un <strong>ginocchio</strong> sano. Il terapista dovrà,<br />

pertanto, fissare i concetti generali biomeccanici <strong>del</strong> movimento articolare sano e<br />

confrontarli nel <strong>ginocchio</strong> che sta riabilitando, osservando attentamente che un<br />

110


<strong>ginocchio</strong> patologico rispetto al sano differisce essenzialmente nei meccanismi di<br />

difesa articolare rispetto agli agenti esterni, quali la forza di gravità. Un <strong>ginocchio</strong><br />

patologico è un <strong>ginocchio</strong> a rischio: se per esempio non possiede, come abbiamo<br />

detto, tutta l'estensione, sarà deficitario anche negli ultimi 5° <strong>del</strong>la massima rotazione<br />

combinata che il femore imprime alla tibia (qualora il piede è poggiato al suolo):<br />

questa azione <strong>del</strong> femore, in un <strong>ginocchio</strong> sano, consente di mettere in tensione tutti i<br />

dispositivi articolari e quindi di ovviare, per esempio, alle asperità <strong>del</strong> terreno, poiché<br />

in questa fase di estensione completa l'articolazione è serrata. A questo va aggiunto<br />

che esercizi che sviluppino carico a 45° (secondo un piano perpendicolare al centro<br />

di rotazione posto all'altezza <strong>del</strong> piatto tibiale) possono essere dannosi per la loro<br />

tendenza a sub-lussare anteriormente la tibia, quindi allungando coattamente il<br />

neolegamento, specie se applicati precocemente: esempio classico la leg-extension,<br />

sia in configurazione isocinetica che isometrica. E' per tali motivi che non può essere<br />

consentito il carico gravitario nei primi giorni <strong>del</strong>la riabilitazione, tranne che non si<br />

ricorra ad alcuni accorgimenti, quali il lavoro in acqua con tavolette. L'attenzione <strong>del</strong><br />

terapista dovrà essere rivolta oltre all’aspetto cinesiologico passivo, anche allo studio<br />

degli esercizi e quindi alla scelta dei mezzi allenanti, specie nella prima fase <strong>del</strong><br />

periodo di riabilitazione. Estrema importanza rivestirà, quindi, l'aspetto<br />

metodologico riabilitativo, cioè la quantità <strong>del</strong> lavoro somministrato e la qualità <strong>del</strong>lo<br />

stesso, intesa come la scelta dei mezzi riabilitativi.<br />

SCHEMI DI RIABILITAZIONE<br />

La riabilitazione <strong>del</strong> <strong>ginocchio</strong> con LCA ricostruito prevede 5 o 6 fasi di lavoro:<br />

Fase pre-operatoria<br />

Questo periodo, raramente di pertinenza pratica <strong>del</strong> Terapista, ricopre una<br />

fondamentale importanza nella riuscita successiva <strong>del</strong>la riabilitazione. Esso consta di<br />

solito, ove lo stato di infiammazione lo consenta, di una serie di esercizi che il<br />

paziente esegue autonomamente su schemi consigliati dal medico o dal kinesiologo,<br />

tendenti al recupero o al mantenimento <strong>del</strong> tono-trofismo <strong>del</strong> quadricipite, <strong>del</strong><br />

bicipite femorale e dei distretti muscolari <strong>del</strong>la gamba, utilizzando tecniche di kinesi<br />

attiva e controresistenza che molto si avvicinano alle terapie conservative.<br />

La durata di questa pre-fase varia dalle 2 alle 3 settimane a partire dalla completa<br />

scomparsa <strong>del</strong>l’infiammazione <strong>del</strong>l'articolazione, cioè dopo circa 15-20 giorni<br />

dall'evento traumatico, ed è comunque dipendente dallo stato muscolare<br />

<strong>del</strong>l'operando. Purtroppo, per cause molteplici, il paziente tende a trascurare questa<br />

fase, per comprensibili aspetti psicologici, tranne nel caso in cui la sua motivazione<br />

sia molto alta (sportivi professionisti).<br />

Fase 1 (dalla 1 a alla 15 a giornata)<br />

Notoriamente nei primi giorni (3 o 5) dopo l'intervento il paziente rimane in<br />

ambiente ospedaliero, di solito allettato, immobilizzato in ginocchiera dinamica, con<br />

una articolazione dolorante e, spesso, edematosa. Questa fase deve essere molto ben<br />

gestita, perché altrimenti potrebbe causare danni seri e difficilmente riparabili. Nei<br />

primi 5 giorni il movimento <strong>del</strong>l'articolazione è affidato a sistemi MPC (macchine a<br />

111


movimento passivo continuo) che consentono il recupero <strong>del</strong>la estensione passiva già<br />

in 7 a , 9 a giornata. L'ottimizzazione di una terapia a carico <strong>del</strong> <strong>ginocchio</strong> inizia dai<br />

primi giorni dopo la dimissione, con esercizi che programmano il mantenimento <strong>del</strong><br />

buono stato muscolare <strong>del</strong>la loggia anteriore e posteriore <strong>del</strong>la gamba, compresa<br />

l'articolazione <strong>del</strong>la caviglia. Questo perché, non potendo sovraccaricare, per ovvie<br />

ragioni, l'articolazione operata, in breve tempo potrebbe presentarsi la perdita<br />

funzionale di tutto il segmento sottostante: inserendo, invece, degli esercizi<br />

muscolari a carico di questi distretti, si consentirà al paziente di deambulare più<br />

precocemente con l'uso di canadesi evitando rovinose cadute. Noi consigliamo<br />

esercizi praticati in vasca già dai primi giorni di riabilitazione, facendo attenzione<br />

che il paziente immerga in acqua solo la parte sottostante la ferita che, al momento<br />

attuale, si presenta ancora con una cicatrice fresca. Con l'uso di una pinna di non<br />

eccessiva larghezza si faranno compiere esercizi di flesso estensione e<br />

circumduzione <strong>del</strong>la caviglia. In aggiunta a questo lavoro in acqua, consigliamo<br />

anche kinesiterapia assistita controresistenza <strong>del</strong>la caviglia, sia con uso di elastici che<br />

senza, a paziente con indosso il tutore bloccato, onde evitare stress in varo o in valgo<br />

<strong>del</strong> <strong>ginocchio</strong> operato. Queste tecniche sono da considerarsi come un complemento a<br />

quelle tradizionali, tipo le contrazioni isometriche <strong>del</strong> quadricipite e le flessioni attive<br />

isotoniche dei flessori, nonché i due esercizi precedenti combinati. In questa fase il<br />

paziente deambula "a sfioramento" con canadesi e l'ortopedico blocca la ginocchiera<br />

ad un angolo di estensione ancora chiuso.<br />

Fase 2 (dalla 15 a giornata alla fine <strong>del</strong> 1° mese)<br />

Riteniamo che questa sia la fase "critica" da cui deriva la riuscita <strong>del</strong>la riabilitazione.<br />

Rimanendo in perfetto accordo con le tecniche di terapia classiche, che non<br />

permettono ancora in questo periodo il carico ortostatico né esercizi a catena cinetica<br />

aperta, è in questa fase che devono essere previsti esercizi in vasca, che consentono,<br />

sfruttando l'assenza di carico gravitario, di somministrare al soggetto esercizi di<br />

flesso estensione coscia bacino e gamba coscia, sovraccaricando i movimenti con<br />

tavolette: in altri termini, ciò che non è permesso a secco, si può tranquillamente far<br />

eseguire in acqua. Dalla 15 a giornata (dopo la rimozione dei punti di sutura), fino alla<br />

30 a , si userà una Wat Job di 20x20 cm. sulla coscia e una di 10x10 sulla gamba. In<br />

acqua sono consentiti anche esercizi di adduzione, abduzione e circumduzione. In<br />

aggiunta alle metodiche precedenti, possono cominciare gli esercizi isometrici "a<br />

circuito", o isodinamici con elastici: i primi eseguiti autonomamente dal paziente, i<br />

secondi assistiti dal Terapista. Quest'ultimo metodo è, a nostro avviso, preferibile,<br />

perché consente un maggior controllo sia <strong>del</strong> carico che <strong>del</strong>la tecnica di esecuzione.<br />

Fase 3 (tutto il 2° mese)<br />

In questa fase, poiché al paziente viene permesso di deambulare senza l'uso di tutori,<br />

si può cominciare ad inserire esercizi che stimolino l'estensione attiva <strong>del</strong> paziente<br />

completando l'ipertrofizzazione dei flessori, dei vasti e dei muscoli <strong>del</strong>la gamba. In<br />

vasca si aumenta il carico con l'aumento <strong>del</strong>le dimensioni <strong>del</strong>la tavoletta (30x20) e<br />

con l'utilizzo anche di una pinna più larga. A secco, pur continuando gli esercizi di<br />

estensione passiva in precedenza descritti, si può inserire l'utilizzo di macchine più<br />

112


complesse: il tapis roulant sia in piano che in salita a basse velocità intervallate da<br />

pause per la ricoordinazione <strong>del</strong> passo (con andature tacco - punta) e <strong>del</strong>la corsa, la<br />

bicicletta ergometrica per il lavoro sui vasti, esercizi con elastici che sviluppino<br />

tensioni maggiori, specie per i movimenti degli abduttori e degli adduttori <strong>del</strong>la<br />

coscia. In questo periodo, inoltre possono essere usate <strong>del</strong>le correnti di<br />

elettrostimolazione tipo Koltz, che sono quelle che riescono a reclutare un maggior<br />

numero di fibre muscolari.<br />

Fase 4 ( dopo il 3° mese)<br />

E' molto simile alla precedente, variando da essa sostanzialmente per l'aumento <strong>del</strong><br />

carico e per il numero di ripetizioni <strong>del</strong>l'esercizio. In questa fase gli esercizi in vasca<br />

non sono più allenanti, poiché allo scopo di aumentare il carico si dovrebbero<br />

utilizzare tavolette sovradimensionate o velocità di movimento notevoli. D'altro<br />

canto, arrivati a questo livello di riabilitazione senza che siano intercorsi problemi,<br />

riteniamo che il soggetto possa eseguire tutti i movimenti ed utilizzare tutte le<br />

macchine e/o metodologie di carico (compresa la leg-extension a catena cinetica<br />

aperta, che fino a questo momento era bandita o utilizzata con angolo di estensione<br />

minore rispetto a quello passivamente espresso dal paziente). Sarà compito <strong>del</strong><br />

Terapista, <strong>del</strong>la sua fantasia e dei mezzi a sua disposizione, il rendere efficace e non<br />

noiosa la terapia.<br />

Fase 5 e 6 (<strong>del</strong> Ricondizionamento)<br />

Possiamo in questa fase cominciare ad inserire esercizi di ricondizionamento: questo<br />

punto, di estrema importanza se ci troviamo di fronte ad un atleta, consiste<br />

nell'inserimento di esercizi a secco sempre più complessi sia in termini coordinativi<br />

che in termini cinetici: per esempio, se l'atleta è un calciatore, si potranno inserire dei<br />

circuiti di corsa con cambi di direzione, tipo corsa a navetta o, con una palla leggera,<br />

palleggi con l'arto operato ed appoggio sul sano. In presenza di atleti di altre<br />

discipline, gli esercizi verranno messi a punto sulla conoscenza <strong>del</strong> gesto motorio.<br />

La validità dei protocolli proposti è stata confermata da uno studio sui risultati<br />

ottenuti su 20 atleti di alto livello, sottoposti a riabilitazione con il metodo WAT –<br />

JOB ,comparati con un gruppo di controllo di 20 atleti di alto livello, sui quali sono<br />

stati applicati concetti classici riabilitativi, con l’esclusione <strong>del</strong>l’uso <strong>del</strong>l’acqua . Il<br />

primo gruppo (riabilitati con la nuova idroterapia), ha mostrato un periodo di<br />

completo recupero funzionale in 105 ± 9 giorni, rispetto al gruppo di controllo la cui<br />

media è stata di 182 ± 7 giorni. Inoltre, il follow-up a 12 mesi, effettuato con<br />

l’utilizzo di test ortopedici di confronto (Jerk e Lachman Test; artrometria con KT<br />

1000) ha dimostrato un’ottima risposta <strong>del</strong> gruppo dopo il loro ritorno all’attività<br />

atletica.<br />

VALIDAZIONE DEL METODO WAT-JOB DI RIABILITAZIONE IN<br />

ACQUA CON SOVRACCARICHI QUANTIFICABILI, TRAMITE STUDIO<br />

DEL COSTO ENERGETICO SU ATLETI (Autori: Faccini, Zanolli, Dalla<br />

Vedova, Selletti, Giombini, Verzieri).<br />

113


Gli autori, in passato, hanno sviluppato e messo in pratica un originale protocollo di<br />

lavoro, denominato Wat-Job, per lo svolgimento di esercizi riabilitativi in acqua con<br />

sovraccarichi quantificabili. E’ stato provato in molte pubblicazioni scientifiche che la<br />

riabilitazione in acqua con questa tecnica, presenta diversi vantaggi rispetto alle<br />

tecniche tradizionali: va ricordato che il lavoro in acqua si svolge in presenza di forze<br />

gravitazionali ridotte che caricano in modo trascurabile le articolazioni infortunate,<br />

prevenendo così l'insorgere di <strong>patologie</strong> infiammatorie, ottenendo la riabilitazione<br />

<strong>del</strong>la “functio lesa” in tempi minori rispetto alle tecniche tradizionali.<br />

Per contro, una <strong>del</strong>le maggiori difficoltà consiste nella quantificazione corretta <strong>del</strong>le<br />

forze in gioco durante i diversi tipi di movimento in acqua: ciò non è sempre semplice<br />

a causa <strong>del</strong>la complessità <strong>del</strong> movimento e <strong>del</strong>la particolarità <strong>del</strong>l'ambiente in cui<br />

viene eseguito.<br />

Il principio su cui si basa la tecnica Wat-Job è che un corpo in moto in un fluido<br />

genera una scia e dei vortici, dai quali derivano turbolenza e una resistenza globale<br />

all'avanzamento di tutto il sistema. Per accentuare il fenomeno gli autori hanno<br />

introdotto l'uso di tavolette di dimensioni diverse applicate sugli arti in movimento;<br />

ottenendo con buona approssimazione la quantificazione <strong>del</strong>l'entità dei carichi. Ciò è<br />

stato possibile tramite la messa a punto di un software dedicato (R.O.S.S. -<br />

Rehabilitation Overload Simulation Software) basato sul calcolo di variabili quali i<br />

parametri antropometrici <strong>del</strong>l’atleta, il tempo di esecuzione <strong>del</strong> gesto in acqua, la<br />

dimensione <strong>del</strong>le tavolette. Infatti, è noto che la resistenza all'avanzamento di un<br />

corpo in un fluido dipende dalla densità <strong>del</strong> fluido (p), dalla forma (Cx), dalla sezione<br />

<strong>del</strong> corpo (S) e dalla velocità relativa di movimento (V): F=1/2p.V 2 .S.Cx<br />

I risultati, che qui presentiamo, si riferiscono alla validazione fisiologica <strong>del</strong> metodo.<br />

Allo scopo abbiamo studiato con l’ausilio di metabolimetro telemetrico (K4 <strong>del</strong>la<br />

COSMED), il consumo energetico (VO2, frequenza cardiaca, lattatemia) di 7 atleti (5<br />

giocatori di rugby e 2 atlete di mezzofondo veloce) durante lo stesso tipo di esercizio<br />

svolto in acqua con le tavolette in tre maniere diverse: 2 serie di 10 ripetizioni<br />

eseguite per 3 volte senza sovraccarico e, successivamente applicando tavolette da 20<br />

x 20 e da 25 x 25 cm di lato.<br />

114


I dati sono stati suffragati dallo studio <strong>del</strong> carico ottenuto applicando degli<br />

accelerometri sulla tavoletta a parità di gradi di movimento corrispondenti ai<br />

sovraccarichi calcolati dal software R.O.S.S. Il confronto fra gli esercizi in acqua ha<br />

messo in evidenza che, nell’esercizio senza sovraccarichi si hanno costi energetici<br />

molto bassi (mediamente il 33,3% di VO2 max, 64,5% di Hr max e 26,1% di<br />

Lattatemia max), mentre applicando sovraccarichi (tavolette), questi consumi<br />

aumentano notevolmente, arrivando, in alcuni atleti, a superare sia il lavoro organico<br />

che quello meccanico ottenuto nella prova da sforzo al cicloergometro (93,9% di VO2<br />

max). La spiegazione di ciò va individuata nel fatto che il Cx <strong>del</strong>la coscia è molto<br />

favorevole, resistendo all’acqua in maniera molto minore rispetto allo stesso distretto<br />

anatomico a cui è stato aggiunto una lastra piana con Cx più sfavorevole.<br />

115


5.7 Riabilitazione <strong>del</strong> <strong>ginocchio</strong> – Metodo tradizionale<br />

Introduzione<br />

Il <strong>ginocchio</strong> è sicuramente l'articolazione che nell'ultimo ventennio ha goduto<br />

dei maggiori vantaggi derivanti dai progressi <strong>del</strong>le tecniche chirurgiche<br />

utilizzate per la riparazione dei suoi costituenti anatomici; non altrettanto<br />

significative sono state le innovazioni nell'ambito <strong>del</strong>la riabilitazione dopo<br />

trattamento chirurgico al punto che, sino a pochi anni orsono dopo una<br />

ricostruzione, i programmi di riabilitazione erano iperprotettivi e caratterizzati<br />

da un periodo di immobilizzazione <strong>del</strong>l'arto di almeno 6 settimane, nel<br />

convincimento che in tal modo si potesse garantire una ottimale<br />

cicatrizzazione <strong>del</strong> trapianto.<br />

Tuttavia, gli effetti non favorevoli di un prolungato periodo di<br />

immobilizzazione sulla cartilagine articolare, sui legamenti, sulle strutture<br />

capsulari e sulla muscolatura <strong>del</strong>l'arto inferiore, hanno di fatto valorizzato il<br />

concetto opposto, vale a dire quello di una precoce mobilizzazione <strong>del</strong><br />

<strong>ginocchio</strong>,attraverso metodiche riabilitative sempre più aggressive.<br />

Alcuni di questi interventi, come la mobilizzazione passiva precoce,<br />

l'immediata concessione <strong>del</strong>l'estensione passiva, il carico completo in<br />

deambulazione entro il primo mese, non solo hanno ridotto la percentuale di<br />

complicanze quali rigidità o gravi ipotrofie, ma sono stati anche riconosciuti<br />

come elementi in grado di favorire un miglior processo riparativo <strong>del</strong> neolegamento.<br />

Ancora oggi, tuttavia, non è chiaramente codificata la quantità di esercizio<br />

fisico che può essere utilizzato per la riabilitazione di un <strong>ginocchio</strong> operato<br />

per evitare che, stress eccessivi sul neo-legamento, possano indurre il<br />

fallimento <strong>del</strong> trapianto.<br />

Va ricordato che i pochi studi che hanno seguito l'andamento <strong>del</strong> processo di<br />

cicatrizzazione e maturazione <strong>del</strong> trapianto sono stati condotti<br />

prevalentemente su animali; è noto che il neo-legamento è molto forte non<br />

appena impiantato e si indebolisce progressivamente fino al secondo mese,<br />

quando inizia il suo processo di rivascolarizzazione, che si completa<br />

all'incirca al quarto mese.<br />

Da questo momento in poi prosegue un costante processo di rimo<strong>del</strong>lamento<br />

<strong>del</strong> trapianto fino alla fine <strong>del</strong> periodo di "ligamentizzazione" che si verifica<br />

più o meno intorno al dodicesimo mese.<br />

Anche dopo la completa maturazione, il comportamento biomeccanico <strong>del</strong><br />

neolegamento non sarà mai completamente comparabile ad una condizione di<br />

normalità; basti a tal fine ricordare il convincimento di alcuni Autori per i<br />

quali la resistenza <strong>del</strong> neo-legamento dopo un anno non è superiore al 52%<br />

rispetto a quella originaria.<br />

116


Prima di definire idoneo un protocollo riabilitativo si dovrebbero conoscere<br />

gli effetti <strong>del</strong> programma stesso sul comportamento biomeccanico <strong>del</strong><br />

trapianto.<br />

Interessanti contributi conoscitivi in materia, sono stati di recente offerti da<br />

molti studi. Beynnon et coll. hanno inserito un trasduttore di carico nel<br />

legamento crociato anteriore di soggetti sani e sottoposti ad esercizi di<br />

riabilitazione dimostrando un aumento dei valori di tensione <strong>del</strong> LCA in<br />

rapporto alla posizione <strong>del</strong> <strong>ginocchio</strong> e al tipo di contrazione muscolare<br />

effettuata.<br />

Per esempio, la contrazione isometrica <strong>del</strong> quadricipite effettuata a 15° ed a<br />

30° di flessione determina un aumento significativo dei valori di tensione <strong>del</strong><br />

LCA.<br />

Anche la contrazione simultanea <strong>del</strong> quadricipite e dei muscoli flessori a 15°<br />

di flessione <strong>del</strong> <strong>ginocchio</strong> determina un aumento de1la tensione <strong>del</strong><br />

legamento, che invece è assente con lo stesso esercizio agli angoli di 30°-60°-<br />

90° di flessione.<br />

Aumenti considerevoli dei valori di tensione sono stati dimostrati durante il<br />

movimento che va dalla flessione alla massima estensione <strong>del</strong> <strong>ginocchio</strong>. In<br />

maniera analoga con l'applicazione di un peso di due chilogrammi alla<br />

caviglia durante il movimento di flesso-estensione si determina un aumento<br />

significativo nella tensione <strong>del</strong> LCA a 10°-20° di flessione rispetto alla stessa<br />

attività svolta senza l'applicazione dei pesi.<br />

In questi ultimi anni durante la fase iniziale di cicatrizzazione <strong>del</strong> trapianto di<br />

LCA sono stati ampiamente enfatizzati gli esercizi a catena cinetica chiusa nei<br />

quali sia la estremità prossimale che quella distale <strong>del</strong> sistema sono bloccate.<br />

I principali vantaggi <strong>del</strong>la gran parte degli esercizi a catena cinetica chiusa<br />

sono dovuti principalmente a due fattori: il primo è il controllo dinamico dei<br />

muscoli ischiocrurali che durante un esercizio in carico compensano il<br />

momento flettente <strong>del</strong>l'anca riducendo la traslazione tibiale anteriore prodotta<br />

dall'azione <strong>del</strong> quadricipite; il secondo è determinato dall'aumento <strong>del</strong>le forze<br />

articolari compressive prodotte dal peso corporeo che evitano le forze di<br />

taglio in antero-posteriore nocive al neo-legamento.<br />

Nonostante questa premessa è bene ricordare che non tutte le attività in catena<br />

cinetica chiusa sviluppano gli stessi valori di tensione a carico <strong>del</strong> LCA. Ad<br />

esempio i comuni esercizi di squat troppo spesso consigliati in fase postchirurgica<br />

precoce, provocano, secondo i più recenti studi, tensioni a carico<br />

<strong>del</strong> fascio anteromediale <strong>del</strong> LCA esattamente sovrapponibili a quelli prodotti<br />

da un esercizio di estensione a catena aperta con resistenza alla caviglia.<br />

Quest'ultimo tipo di esercizi con l'estremità distale non in appoggio sono,<br />

viceversa, ritenuti dannosi perché sviluppano soprattutto negli angoli<br />

compresi tra 40° e 0° di flessione un notevole stress in tensione sia per il<br />

117


legamento crociato che per le strutture capsulari periferiche e pertanto<br />

dovrebbero essere evitati almeno durante i primi tre mesi.<br />

Possiamo quindi riassumere gli esercizi che sono considerati abbastanza sicuri<br />

nella fase riabilitativa iniziale poiché sviluppano bassi livelli di tensione sul<br />

LCA:<br />

1. contrazione isometrica dei flessori a tutti gli angoli di flessione <strong>del</strong><br />

<strong>ginocchio</strong>.<br />

2. flessione attiva <strong>del</strong> <strong>ginocchio</strong> tra i 40° e i 90° di flessione.<br />

3. contrazione isometrica <strong>del</strong> quadricipite o co-contrazione simultanea<br />

(quadricipite e flessori) con <strong>ginocchio</strong> flesso a 60° e oltre.<br />

4. lavoro con cyclette.<br />

Notevoli disparità di vedute esistono inoltre sulla possibilità o meno di<br />

rigenerazione di recettori propriocettivi nel contesto <strong>del</strong> neo-legamento.<br />

Solo di recente alcuni studi hanno dimostrato la presenza di meccanocettori e<br />

terminazioni nervose libere nel trapianto di tendine rotuleo gia dopo sei mesi<br />

dalla ricostruzione,anche se con percentuali diverse per quanto riguarda la<br />

densità e la distribuzione rispetto alle condizioni originarie.<br />

RIEDUCAZIONE PROPRIOCETTIVA<br />

DELOS POSTURAL SYSTEM<br />

TAVOLETTE<br />

TIPO FREEMAN<br />

Probabilmente saranno necessari in futuro ulteriori studi sulle tecniche di<br />

misurazione sensoriale per poter valutare definitivamente l'effetto <strong>del</strong>l'attività<br />

dei meccanocettori <strong>del</strong> LCA compromesso sulla propriocezione globale <strong>del</strong><br />

<strong>ginocchio</strong>.<br />

Protocollo riabilitativo<br />

118


Diverse sono le tecniche chirurgiche utilizzate per la ricostruzione <strong>del</strong><br />

legamento crociato anteriore, ma ai fini esemplificativi verrà riportato il<br />

protocollo dopo intervento di ricostruzione <strong>del</strong> LCA con tendine rotuleo<br />

libero. Il protocollo riabilitativo si suddivide in alcune fasi:<br />

1. fase pre-operatoria<br />

2. di protezione<br />

3. intermedia<br />

4. di ritorno all'attività<br />

proponendo dei tempi che bisogna in realtà considerare variabili in quanto<br />

dipendono dalle condizioni soggettive <strong>del</strong> paziente.<br />

1- Fase pre-operatoria<br />

Prevede l'istruzione <strong>del</strong>l'atleta sull'uso <strong>del</strong>le canadesi da utilizzare per la<br />

deambulazione nel post-intervento, sui programmi di rafforzamento<br />

muscolare da eseguire dopo l'intervento chirurgico e sull'adattamento al<br />

controllo dei movimenti o <strong>del</strong> tutore per la protezione <strong>del</strong> <strong>ginocchio</strong> da carichi<br />

eccessivi agenti nel corso <strong>del</strong>la fase riabilitativa iniziale. L'atleta viene anche<br />

informato sull'eventuale programma di movimento passivo continuato, cui si<br />

dà inizio, immediatamente dopo l'intervento chirurgico.<br />

2- Fase di protezione (1 a -6 a settimana)<br />

Gli obiettivi di questa fase comprendono la riduzione al minimo degli effetti<br />

chirurgici e il recupero completo <strong>del</strong>la mobilità <strong>del</strong> <strong>ginocchio</strong>, il controllo<br />

degli stress agenti sul legamento ricostruito, il mantenimento <strong>del</strong>la normale<br />

meccanica articolare femoro-rotulea.<br />

Immediatamente dopo l'intervento è fondamentale limitare al massimo il<br />

dolore e il versamento, principali cause di una inibizione muscolare riflessa<br />

troppo prolungata; l'ipotrofia <strong>del</strong> muscolo quadricipite, sembra sia dovuta<br />

principalmente alla riduzione <strong>del</strong>le fibre muscolari di tipo II deputate ai<br />

movimenti rapidi rispetto a quelle di tipo I che sono più attive nei movimenti<br />

di sostegno antigravitario.<br />

E' consigliabile pertanto una terapia farmacologica a base di preparati<br />

antinfiammatori non steroidei ed enzimi proteolitici, per facilitare la<br />

regressione <strong>del</strong> versamento e <strong>del</strong>la sintomatologia dolorosa, ed almeno per le<br />

prime due settimane si consiglia l'uso <strong>del</strong>la crioterapia parecchie volte al<br />

giorno per la durata di 20 minuti.<br />

L'utilizzazione ampiamente diffusa dei dispositivi di movimento passivo<br />

continuato non è ritenuta indispensabile né più efficace rispetto alle<br />

tradizionali tecniche di mobilizzazione passiva e può essere riservata solo ad<br />

atleti particolarmente apprensivi o con sofferenza <strong>del</strong>la cartilagine articolare<br />

119


che potrebbero risentire di una immobilizzazione troppo prolungata. Per<br />

favorire un più rapido riassorbimento <strong>del</strong> versamento, vanno eseguiti esercizi<br />

per il mantenimento <strong>del</strong>la estensione passiva completa <strong>del</strong> <strong>ginocchio</strong> operato<br />

ed esercizi di flesso-estensione attiva <strong>del</strong>la caviglia.<br />

Gli esercizi isometrici di sollevamento <strong>del</strong>l'arto devono essere eseguiti<br />

rigorosamente con il tutore bloccato a 0° gradi dopo intervento con il tendine<br />

rotuleo libero e circa 30° nel caso di trapianto con i tendini flessori, onde<br />

evitare sollecitazioni dannose al neo-legamento; il piede viene mantenuto in<br />

dorsi-flessione per facilitare la contrazione <strong>del</strong>le fibre quadricipitali.<br />

Il carico deambulatorio va concesso secondo la tolleranza <strong>del</strong> paziente con<br />

l'aiuto <strong>del</strong>le canadesi. In realtà, non esiste un carico standard, che varia in<br />

base al tipo di intervento e individualmente da paziente a paziente e la sua<br />

principale funzione e quella di ridurre al minimo gli effetti dannosi legati alla<br />

perdita degli schemi motori e <strong>del</strong>la coordinazione. Generalmente si cerca di<br />

arrivare al carico completo senza tutore e senza canadesi entro le prime 4<br />

settimane.<br />

Entro le prime due settimane possono essere effettuati inoltre esercizi di<br />

flessione passiva assistita <strong>del</strong> <strong>ginocchio</strong> fino a 90°, di flessione attiva <strong>del</strong><br />

<strong>ginocchio</strong> compresa fra 40° e 90°, di estensione attiva <strong>del</strong> <strong>ginocchio</strong> da 90° a<br />

60°, unitamente ad esercizi attivi <strong>del</strong>l'anca (estensione, adduzione e<br />

abduzione); è estremamente importante in questa fase la mobilizzazione<br />

passiva <strong>del</strong>la rotula che consente il recupero <strong>del</strong>lo scivolamento rotuleo<br />

prevenendo le aderenze <strong>del</strong>le strutture peripatellari.<br />

Gli esercizi di allungamento dei flessori <strong>del</strong> <strong>ginocchio</strong> sono indispensabili per<br />

combattere la contrattura di questi muscoli, cosi come quelli dei muscoli<br />

flessori <strong>del</strong>l'anca e dei gemelli.<br />

Sono indicati inoltre esercizi di co-contrazione a <strong>ginocchio</strong> flesso negli angoli<br />

di 40°-60°-90°, e gli esercizi per il muscolo gastrocnemio e soleo assistiti o<br />

utilizzando resistenze elastiche.<br />

Le contrazioni isometriche multiangolari <strong>del</strong> quadricipite vengono eseguite da<br />

90° a 60° di flessione in quanto il LCA subisce i massimi valori di tensione<br />

negli ultimi 30° di estensione mentre ad angoli superiori i 60° non si<br />

producono sostanziali modificazioni di lunghezza a carico <strong>del</strong> legamento.<br />

Anche la contrazione attiva dei muscoli flessori <strong>del</strong> <strong>ginocchio</strong> tra 40° e 90° di<br />

flessione non determina sollecitazioni tensive <strong>del</strong> LCA per l'azione sinergica e<br />

protettiva esercitata dai muscoli ischiocrurali, pertanto un precoce e corretto<br />

rinforzo dei muscoli flessori dopo intervento sul LCA non ha<br />

controindicazioni. Dopo la rimozione dei punti e la guarigione <strong>del</strong>la ferita<br />

chirurgica si possono iniziare le esercitazioni in piscina: movimenti di<br />

deambulazione avanti e indietro con l'acqua all'altezza <strong>del</strong>la cintura; flesso-<br />

120


estensione <strong>del</strong>le caviglie con l'uso di una pinna, adduzione, abduzione e flesso<br />

estensione <strong>del</strong>le anche, con l'uso di particolari tavolette (metodo Wat Job).<br />

Il lavoro in piscina è estremamente proficuo, poiché favorisce un<br />

rilasciamento muscolare completo ed una migliore coordinazione, stimolando,<br />

tra l'altro, le capacita aerobiche generali <strong>del</strong>l'atleta attraverso esercitazioni di<br />

corsa a bassa intensità con l'uso di un giubbotto galleggiante.<br />

Gli esercizi a catena cinetica chiusa (con l'estremità distale in appoggio) come<br />

ad esempio le mini flessioni <strong>del</strong> <strong>ginocchio</strong> da 0° a 40° in stazione eretta,<br />

possono essere incoraggiate, poiché consentono un recupero più rapido e<br />

fisiologico <strong>del</strong>la funzionalità <strong>del</strong> <strong>ginocchio</strong>.<br />

Anche la cyclette a bassa resistenza, e con sellino alto, trova un impiego<br />

elettivo in questa fase precoce, considerate le modeste sollecitazioni che la<br />

sua pratica determina sul legamento; gli studi effettuati da Ericksson e<br />

Beynnon hanno infatti dimostrato valori relativamente bassi <strong>del</strong>le forze di<br />

taglio a carico <strong>del</strong> <strong>ginocchio</strong> durante questo tipo di esercitazione.<br />

3- Fase intermedia (7 a -16 a settimana)<br />

Dalla 6 a settimana con una articolarità ormai completa sia in estensione che in<br />

flessione si può iniziare un potenziamento muscolare più selettivo<br />

perfezionando il sistema propriocettivo.<br />

Vanno incrementati gli esercizi di abduzione, adduzione e flessione <strong>del</strong>l' anca,<br />

flessione plantare e dorsale <strong>del</strong>la caviglia sia a secco che in acqua e di flessoestensione<br />

attiva <strong>del</strong> <strong>ginocchio</strong> a catena chiusa con la leg-press.<br />

Gli esercizi in estensione attiva <strong>del</strong> <strong>ginocchio</strong> a catena aperta possono essere<br />

effettuati a condizione che la resistenza sia applicata prossimalmente<br />

all'articolazione ed in un arco di movimento compreso tra i 90° e i 60° di<br />

flessione. Particolare attenzione va posta al potenziamento dei glutei e degli<br />

ischiocrurali adoperando tecniche di facilitazione neuromuscolare assistita,<br />

apparecchiature isotoniche e/o isocinetiche con modalità di contrazione<br />

concentrica ed eccentrica.<br />

Il nastro trasportatore a basse velocità ha un indubbia importanza sia per la<br />

ripresa <strong>del</strong>la coordinazione durante le varie fasi temporali <strong>del</strong>la<br />

deambulazione, che per una stimolazione propriocettiva ad impegno crescente<br />

<strong>del</strong> <strong>ginocchio</strong> che si può ottenere variando l'inclinazione e la velocità di<br />

scorrimento <strong>del</strong> piano. Anche le tecniche propriocettive possono essere<br />

introdotte abbastanza precocemente per limitare la momentanea perdita di<br />

funzione di recettore periferico esercitato dal LCA, ma naturalmente sia il<br />

lavoro che la progressione nelle difficoltà degli esercizi, va stabilito in base<br />

alle condizioni soggettive <strong>del</strong> paziente.<br />

Con queste tecniche viene potenziata la risposta muscolare tramite<br />

l'attivazione periferica dei recettori propriocettivi presenti a livello muscolo-<br />

121


tendineo e capsulo-legamentoso. Si utilizzano in tal senso schemi diagonali<br />

PNF, tavolette propriocettive, sistemi computerizzati come il KAT, trampolini<br />

elastici.<br />

Il soggetto esegue gli esercizi prima in stazione eretta con variazioni di<br />

resistenza manuali o cambiando improvvisamente le condizioni da catena<br />

cinetica aperta a quella chiusa; in un secondo momento il paziente esegue<br />

esercizi a crescente difficoltà oltre che su un piano stabile anche su quello<br />

instabile.<br />

Successivamente si aumenta l'impegno con le apparecchiature di<br />

potenziamento specifiche come la leg-press e la step-machine, a bassa<br />

resistenza e alto numero di ripetizioni e vengono incrementati sia gli esercizi<br />

propriocettivi, che la corsa in piscina in acqua profonda con giubbotto<br />

galleggiante.<br />

4- Fase di ritorno all'attività (17 a settimana in poi)<br />

In questa fase sono previste una serie di attività volte al completo recupero<br />

<strong>del</strong>la stabilità <strong>del</strong> <strong>ginocchio</strong> sia nella vita quotidiana che soprattutto nella<br />

attività sportiva praticata dall'atleta.<br />

Vengono inseriti gradualmente a secco gesti atletici più complessi e più<br />

specifici <strong>del</strong>la disciplina individuale, ad esempio per un calciatore palleggi<br />

con palla morbida con l'arto operato o per uno schermidore una simulazione<br />

di una flèche. Da questo periodo in poi l'atleta deve proporsi i seguenti<br />

obiettivi: il recupero <strong>del</strong>la potenza e <strong>del</strong>la resistenza muscolare, ritorno alla<br />

stabilità funzionale, graduale ripresa dei livelli di prestazione antecedenti<br />

all'intervento.<br />

Si può effettuare la corsa su terreno morbido e pianeggiante e<br />

progressivamente è consentita la corsa con cambiamenti di direzione,<br />

accelerazioni e decelerazioni, traiettorie curvilinee.<br />

Durante queste esercitazioni si può utilizzare una ginocchiera articolata per<br />

evitare abnormi sollecitazioni al neo-legamento, principalmente per garantire<br />

una sicurezza psicologica all'atleta.<br />

In questa fase finale si possono utilizzare gli apparecchi isocinetici, i quali<br />

consentono di rilevare in condizioni di sicurezza numerosi parametri <strong>del</strong>la<br />

funzione muscolare e permettono sia di potenziare i vari gruppi muscolari <strong>del</strong><br />

<strong>ginocchio</strong>, con la massima tensione anche se in un arco di movimento<br />

limitato, che di monitorare attraverso controlli periodici l'efficacia <strong>del</strong><br />

trattamento riabilitativo.<br />

E' da notare che l'esercizio isocinetico non deve essere considerato,<br />

nonostante la sua ampia diffusione commerciale, come l'unica metodica<br />

capace di garantire una valutazione funzionale ottimale.<br />

122


In realtà gli apparecchi isocinetici presentano diversi aspetti negativi, quali<br />

l'eccessivo costo, l'impossibilita di effettuare rilevamenti prima di tre o più<br />

mesi dall'intervento chirurgico, impossibilità di poter valutare bassi livelli di<br />

forza ad alte velocità, movimento non natura1e e non specifico per lo<br />

sviluppo <strong>del</strong>la forza.<br />

Il recupero <strong>del</strong>la forza sembra infatti essere legato a numerosi fattori quali<br />

quelli neuromuscolari, come l'aumento di capacità di trasmissione <strong>del</strong>lo<br />

stimolo neuromotorio, il numero di unità motorie reclutate, la tipologia <strong>del</strong>le<br />

fibre muscolari attivate e la specificità <strong>del</strong>la metodica utilizzata per il<br />

potenziamento muscolare.<br />

Con un dinamometro isotonico, viceversa si ottiene un rilevamento<br />

decisamente più fisiologico che permette di conoscere il comportamento<br />

biomeccanico e l'attività elettrica dei muscoli interessati in fase riabilitativa<br />

precoce, ma soprattutto durante l'attivazione muscolare più fisiologica quale<br />

quella balistica.<br />

Infatti una volta raggiunta la completa articolarità intorno alla quinta<br />

settimana post-intervento, è possibile già effettuare le prime valutazioni con<br />

forze molto ridotte, per identificare precocemente nell'atleta parametri<br />

fondamentali quali la velocità di contrazione, la potenza sviluppata e l'attività<br />

elettromiografica.<br />

Solamente quando i livelli di forza <strong>del</strong>l'arto lesionato risultano prossimi<br />

all'85% dei valori di forza rispetto all'arto controlaterale si inseriscono nel<br />

programma esercizi per il miglioramento di alcune espressioni <strong>del</strong>la forza<br />

(esplosiva, reattivo-elastica); vengono quindi introdotti esercizi pliometrici<br />

con salti (laterali, a distanze variabili, corsa con balzi alternati), in cui i<br />

parametri di intensità e velocità vengono aumentati gradualmente.<br />

Anche se alcuni lavori hanno dimostrato in un campione di atleti praticanti<br />

discipline individuali la possibilità di svolgere la piena attività sportiva a 7<br />

mesi dall'intervento senza effetti nocivi a lungo termine, poter stabilire con<br />

sicurezza la data <strong>del</strong>la ripresa completa <strong>del</strong>l'attività agonistica non è<br />

certamente cosa facile; molteplici sono infatti gli aspetti da considerare, come<br />

un corretto intervento chirurgico, un idoneo trattamento rieducativo effettuato<br />

su basi scientifiche, un continuo monitoraggio dei parametri funzionali e le<br />

motivazioni individuali di ogni singolo atleta. A nostro parere, pertanto il<br />

periodo <strong>del</strong>la ripresa agonistica sia per gli sport individuali che di squadra è<br />

molto variabile ed oscilla, sulla base <strong>del</strong>la nostra esperienza, fra i 5 e i 7 mesi.<br />

5.8 Il trattamento <strong>del</strong>le lesioni cartilaginee <strong>del</strong> <strong>ginocchio</strong><br />

La cartilagine è un tessuto nobile, costituito per lo più da acqua (80%), matrice<br />

(collagene di tipo 11, protoeglicani, ecc.), cellule (condrociti). Già Hunter nel 1743 e<br />

Paget nel 1853 riferivano <strong>del</strong>la scarsa capacità riparativa <strong>del</strong>la cartilagine che è un<br />

tessuto non vascolarizzato, non innervato e con una sproporzione fra cellule (2-5%) e<br />

123


matrice; i condrociti sono mantenuti vitali dal liquido sinoviale e dai componenti <strong>del</strong>la<br />

matrice cellulare (Centro di Traumatologia <strong>del</strong>lo Sport e di Chirurgia Artroscopica<br />

Istituto Ortopedico Galeazzi – Milano – Dr Volpi). La cartilagine riveste i capi<br />

articolari ed è spesso coinvolta in danni articolari da traumi sportivi, lavorativi e da<br />

incidenti stradali. La sua funzione principale è quella di assorbire e distribuire le forze<br />

di carico e di taglio all'osso subcondrale e per la complessità e la <strong>del</strong>icatezza <strong>del</strong>la sua<br />

struttura la si può paragonare ad una spugna. L'etiologia è prevalentemente traumatica<br />

anche se non bisogna dimenticare la patologia degenerativa, infiammatoria, infettiva e<br />

neoplastica. La classificazione <strong>del</strong>le lesioni condrali secondo Outerbridge si,<br />

suddivide in quattro gradi:<br />

1. rammollimento e rigonfiamento <strong>del</strong>la cartilagine articolare<br />

2. frammentazione e fissurazione inferiore ad 1 cm di diametro<br />

3. frammentazione e fissurazione superiore ad 1 cm di diametro<br />

4. erosione <strong>del</strong>la cartilagine articolare fino all'osso subcondrale<br />

Il quadro clinico non è sempre uniforme: possiamo imbatterci nel dolore a riposo, nel<br />

movimento o sotto carico, nel gonfiore o idrarto dopo lo sforzo, nell'impaccio<br />

articolare o nel crepitio. Spesso però le lesioni condrali sono rilievi occasionali<br />

durante un accertamento artroscopico, anche perché le indagini sia radiologiche che<br />

strumentali non consentono di evidenziare un preciso quadro anatomopatologico. Il<br />

trattamento è conservativo o chirurgico: nel primo caso ci si avvale <strong>del</strong>la riduzione<br />

<strong>del</strong>la attività fisica. sportiva o se necessario lavorativa, mettendo a riposo<br />

l'articolazione; utile il ricorso al ghiaccio locale e ai farmaci antinfiammatori. Quindi<br />

bisogna impostare un programma riabilitativo basato sull'attività fisica in scarico<br />

(piscina, ginnastica eventualmente cyclette), sulla fisioterapia e sulla diminuzione <strong>del</strong><br />

peso se occorre. Infine serve indirizzare il paziente allo sport più idoneo perché le<br />

sollecitazioni gestuali non sovraccarichino l'articolazione interessata.<br />

Il trattamento chirurgico consente più opzioni:<br />

1. Pulizia dei detriti articolari, asportazione di frammenti o corpi mobili,<br />

"shaving" o levigatura <strong>del</strong> difetto condrale, anche utilizzando sistemi a radiofrequenze<br />

(coblazione).<br />

2. Tecniche che tendono alla stimolazione <strong>del</strong>la crescita di fibrocartilagine<br />

(collagene di tipo 1). Tale obiettivo si raggiunge attraverso procedure chirurgiche<br />

standardizzate: perforazioni (Pride, 1959), condroabrasione (Johnson, 1986),<br />

microfratture (Steadman, 1992).<br />

3. Tecniche che mirano al ripristino <strong>del</strong>la cartilagine ialina (collagene di tipo<br />

11). In passato si sono eseguiti innesti periostali, innesti pericondrali, allotrapianti<br />

(per es. fibre di carbonio); più recentemente si sono eseguiti innesti osteocondrali e<br />

innesti condrocitari (prelievo e coltivazione di condrociti con successivo reimpianto).<br />

124


Soprattutto le indicazioni agli innesti condrocitari devono rispettare criteri molto<br />

selettivi quali l'età, l'etiologia traumatica, le dimensioni <strong>del</strong> difetto, la correzione di<br />

deviazioni assiali o instabilità articolari pre-esistenti, ecc. Il nostro indirizzo<br />

terapeutico prevede il trattamento con microfratture nei casi 3 ° e 4° di Outerbridge<br />

nei traumi relativamente recenti e il trattamento con innesti osteocondrali nei difetti di<br />

piccole dimensioni in lesioni inveterate; ricorriamo agli innesti condrocitari nei difetti<br />

di maggiori dimensioni non dimenticando che si tratta di una metodica minuziosa,<br />

con più interventi chirurgici, dai costi elevati e per ora da eseguire in artrotomia.<br />

Questa tecnica fa riferimento alla metodica originale proposta dalla scuola svedese<br />

(Brittberg e Peterson, 1994), che tende al ripristino <strong>del</strong>la cartilagine ialina (collagene<br />

di tipo II). Al momento <strong>del</strong>la valutazione artroscopica e in presenza di fattori<br />

favorevoli all'indicazione chirurgica si esegue un piccolo prelievo di un frammento<br />

condrale in regione sovracondilica mediale o laterale. Il frammento viene inviato al<br />

laboratorio specializzato per la proliferazione cellulare.<br />

Differenti sono le tecniche utilizzabili: per esempio "Carticel" si serve di un lembo<br />

periostale prelevato dalla tibia che fa da contenitore alle cellule da impiantare; "Maci"<br />

fa crescere i condrociti su una membrana di collagene che viene applicata<br />

direttamente sul difetto condrale. In entrambi i casi eseguiamo il secondo intervento a<br />

distanza di almeno quattro-sei settimane nelle riparazioni condrali isolate, mentre nei<br />

casi in cui è stata eseguita una ricostruzione legamentosa <strong>del</strong> pivot centrale<br />

preferiamo innestare l'impianto condrocitario dopo tre-quattro mesi. I risultati a lungo<br />

termine daranno risposte più sicure sugli aspetti biologici di queste metodiche, mentre<br />

sugli aspetti tecnico-chirurgi riteniamo che in entrambe le soluzioni si debba cercare<br />

una modalità di impianto in artroscopia per ovviare a interventi artrotomici.<br />

E' sicuramente importante oggigiorno per un traumatologo sportivo offrire al paziente<br />

più opzioni per la riparazione di lesioni articolari siano esse legamentose, meniscali<br />

e/o osteocondrali tese al ripristino <strong>del</strong>l'integrità funzionale <strong>del</strong>l'articolazione lesa,<br />

presupposto impriscindibile per una ripresa completa <strong>del</strong>l' attività sportiva. In<br />

particolare nel trattamento <strong>del</strong>le lesioni condrali occorre conoscere più metodiche<br />

anche per non trovarsi impreparati a situazioni anatomopatologiche differenti.<br />

Ciononostante la nostra sensazione è quella di essere ancora lontani dalle soluzioni<br />

chirurgiche ideali in quanto le attuali conoscenze e applicazioni costituiranno<br />

probabilmente i presupposti per nuove strategie biologico-chirurgiche quali la terapia<br />

genica e l’ingegnerizzazione dei tessuti.<br />

CONCLUSIONI<br />

Da diversi anni la metodologie di allenamento per atleti “maturi” è ormai orientata<br />

sulla massima ed “esasperata” specializzazione (praticamente giocare a tennis<br />

simulando le situazioni di gara più difficoltose sotto tutti i punti di vista <strong>del</strong>l’impegno<br />

<strong>del</strong>le capacità motorie e <strong>del</strong>la tecnica). È evidente che atleti che hanno fatto un cattivo<br />

125


“rodaggio” nelle fasce giovanili (attività polivalente e di costruzione muscolare)<br />

possono poi incorrere in una serie di infortuni.<br />

Comunque, per prima cosa è necessario un ottimale recupero <strong>del</strong>le funzioni <strong>del</strong>le<br />

strutture traumatizzate.<br />

Quindi una riabilitazione senza fretta di reiniziare con carichi di allenamento elevati.<br />

Pertanto, dopo opportuna fisioterapia e in assenza di infiammazione e dolore si può<br />

operare nel modo seguente (andrebbe, comunque prima identificata la causa che ha<br />

portato al trauma: es. muscolo troppo “accorciato” oppure troppo debole, ecc., in<br />

modo da attuare un intervento meno generico):<br />

A) METODO DI RAFFORZAMENTO MUSCOLARE: Metodo dei carichi<br />

ripetuti (adattato per fasi, dalla riabilitazione iniziale al potenziamento finale).<br />

Si articola in 3 fasi, ciascuna <strong>del</strong>la durata di circa 6 settimane, con 3 sedute<br />

settimanali:<br />

1^ Fase: Obiettivo riabilitazione agendo con un cauto incremento <strong>del</strong>la forza e<br />

rafforzamento <strong>del</strong>le strutture biologiche passive (tendini dei muscoli, legamenti e<br />

struttura articolare in genere). Rispettare eventuali segnali di dolore localizzato. Il<br />

carico deve permettere almeno 18-20 ripetizioni per serie.<br />

2^ Fase: Obiettivo un più elevato, ma sempre cauto, incremento <strong>del</strong>la forza e<br />

rafforzamento <strong>del</strong>le strutture passive. Il carico deve permettere almeno 14-16<br />

ripetizioni per serie.<br />

3^ Fase: Obiettivo incremento <strong>del</strong>la forza. Carico che permetta circa 10-12 ripetizioni<br />

per serie.<br />

Per ogni gruppo muscolare (esercizio) vanno eseguite in ciascun allenamento<br />

(mediamente 3 settimanali) 4 serie intercalate da 2-3 minuti di recupero.<br />

Prima di ogni allenamento effettuare un buon riscaldamento generale e specifico<br />

(muscoli e articolazioni interessate).<br />

B) ESERCIZI DI RAFFORZAMENTO DEI MUSCOLI DELLE COSCE:<br />

Essenziali:<br />

- Leg extension<br />

- Leg curl<br />

Facoltativi:<br />

- Slanci <strong>del</strong>le gambe da in fuori in dentro con pulley machine (con cavigliera) o<br />

Adduction machine.<br />

- Slanci <strong>del</strong>le gambe in fuori con pulley machine (con cavigliera) o Abduction<br />

machine.<br />

Nei movimenti di flessione e di estensione <strong>del</strong>la gamba (Leg curl e leg extension)<br />

l’esecuzione non deve essere portata a massima escursione (massima chiusura o<br />

apertura) in modo da non “forzare” le strutture articolari.<br />

126


C) ESERCIZI DI STRETCHING PER I MUSCOLI FLESSORI E MUSCOLI<br />

ESTENSORI DELLA GAMBA<br />

- 4 serie per ogni piano di escursione <strong>del</strong>la coscia (4 esercizi), verso avanti, verso dietro,<br />

verso l’esterno e verso l’interno. Anche per lo stretching porre attenzione alla<br />

possibilità di massima chiusura o apertura <strong>del</strong>l’angolo di escursione <strong>del</strong> <strong>ginocchio</strong><br />

(non forzare in presenza di dolore).<br />

Per quanto riguarda la preparazione atletica, una volta recuperata la funzionalità<br />

ottimale, ti riporto una “traccia” già consigliata ad altri amici e opportunamente<br />

modificata.<br />

Ovviamente la programmazione di un allenamento va fatta dal tecnico esperto<br />

presente costantemente sul posto che deve considerare diversi aspetti come lo stato di<br />

preparazione e carenze da colmare, tempo disponibile settimanalmente per allenarsi, i<br />

mezzi a disposizione, ecc. Inoltre deve adattare il programma, anche <strong>del</strong> ciclo<br />

settimanale, alla condizione fisica giornaliera <strong>del</strong>l’atleta, alzando o abbassando le<br />

intensità di lavoro, inserendo o togliendo gli esercizi, ecc.<br />

Partendo 4-5 mesi prima di iniziare un torneo o competizione importante si possono<br />

dedicare:<br />

- 2,5-3 mesi al PERIODO PREPARATORIO, da suddividere in due fasi (2 mesocicli)<br />

di circa 6 settimane ciascuna;<br />

- 1,5-2 mesi al PERIODO AGONISTICO (1 mesociclo) , quindi alle esercitazioni<br />

specifiche che caratterizzano la competizione.<br />

Le PRIME 5-6 SETTIMANE DEL PERIODO PREPARATORIO (1° mesociclo)<br />

possono essere dedicate ad un lavoro più generale di resistenza, tendente a gettare le<br />

basi su cui inserire in seguito un lavoro di resistenza più specifica. Inoltre si può<br />

effettuare un lavoro di rafforzamento e velocizzazione per gli arti inferiori utilizzando<br />

esercitazioni a carico naturale. Disponendo di 3 allenamenti settimanali si potrebbe<br />

effettuare il seguente lavoro:<br />

- 1° allenamento dedicato al lavoro medio: fino a 60 minuti con intensità più elevata<br />

portando la frequenza cardiaca intorno a 150-170 (VO2 max al 75% circa <strong>del</strong><br />

massimo). Utile per elevare il consumo di ossigeno, la funzionalità enzimatica e<br />

mitocondriale;<br />

- 2° allenamento dedicato al lavoro breve e veloce: 2 serie di 15-20 minuti ciascuna,<br />

con frequenza cardiaca intorno a 165-175 (VO2 max all’80-85% <strong>del</strong> massimo).<br />

Metodo utile se, unito al lavoro medio, per rafforzare sia il meccanismo aerobico che<br />

quello anaerobico lattacido. I ritmi più elevati <strong>del</strong> movimento trasformano e<br />

ottimizzano le coordinazioni nei regimi più elevati. Inoltre, grazie alla maggiore<br />

intensità vengono a interrelarsi in maniera ottimale le esigenze metaboliche, tecniche e<br />

volitive;<br />

- 3° allenamento simile al primo o al secondo in relazione al susseguirsi <strong>del</strong>le settimane<br />

(la 1^ settimana uguale al 1°, la 2^ uguale al 2°, la 3^ uguale al 1°, la 4^ al 2*, ecc.);<br />

127


In almeno 2 dei 3 allenamenti settimanali, nella fase iniziale dopo il riscaldamento<br />

generale, inserire circa 30 minuti di esercizi a carico naturale per gli arti inferiori e la<br />

fascia addominale con l’obiettivo di migliorarne la forza generale e la forza rapida.<br />

In alcuni esercizi l’esecuzione può essere fatta in avanzamento o sul posto (esempi):<br />

- Piedi e gambe: Corsa a slalom; Saltelli (varie modalità);<br />

- Cosce e anche: Andatura da semiaccosciata; Andatura in piegata frontale; Salti e balzi<br />

(varie modalità); Piegate laterali e Piegate frontali; Salite su panca o rialzo;<br />

- Addominali antero-laterali e lombari: scegli quelli che ritieni più adatti. Ricordati<br />

comunque di inserire anche esercizi che prevedono torsioni <strong>del</strong> busto (muscoli obliqui<br />

<strong>del</strong>l’addome).<br />

L’esecuzione degli esercizi deve essere corretta e al massimo <strong>del</strong>la velocità e<br />

<strong>del</strong>l’escursione articolare.<br />

Per la metodologia per la forza rapida vedi su Sportraining a “Forza e ipertrofia” la<br />

sezione dedicata ai “Metodi”.<br />

Per evitare recuperi lunghi tra le serie di uno stesso esercizio, è possibile alternare i<br />

gruppi muscolari maggiormente impegnati passando dall’esecuzione quasi immediata<br />

di una serie per le cosce-anche ad una per i piedi-gambe, recuperando completamente<br />

quando l’esecuzione non è più abbastanza veloce.<br />

Inoltre, non occorre fare 4-6 serie per esercizio, o meglio, possono essere utilizzati 4-6<br />

esercizi diversi (una serie ciascuno) purché riferiti ad uno stesso gruppo muscolare.<br />

Quindi lo stesso allenamento, pur mirato a poche regioni muscolari, può diventare<br />

molto vario utilizzando in continuazione diversi esercizi.<br />

Praticamente è un pò come avviene nelle esercitazioni in circuito, l'importante è fare i<br />

giri (serie) previsti.<br />

Le ULTIME 5-6 SETTIMANE DEL PERIODO PREPARATORIO (2°<br />

mesociclo) possono essere dedicate ad un lavoro più specifico di resistenza,<br />

tendente al collegamento con la specificità <strong>del</strong>la gara.<br />

- 1° allenamento dedicato al lavoro breve e veloce: uguale al precedente, ovvero 2 serie<br />

di 15-20 minuti ciascuna, con frequenza cardiaca intorno a 165-175 (VO2 max all’80-<br />

85% <strong>del</strong> massimo).<br />

- 2° allenamento dedicato alla Potenza lattacida si utilizzano distanze brevi tra i 100-<br />

300 metri, da percorrere a ritmo molto elevato (oltre l’85% <strong>del</strong> massimo) in serie e<br />

ripetizioni (4-5 serie da 5-6 ripetizioni ciascuna), con recupero di 3-4 minuti tra le<br />

ripetizioni e 6-8 minuti tra le serie. La frequenza cardiaca può raggiungere e superare<br />

200.<br />

- 3° allenamento dedicato alla Potenza alattacida: si caratterizza per un lavoro al<br />

massimo <strong>del</strong>la velocità contro la resistenza offerta dal corpo o da un attrezzo di peso<br />

adeguato. Solitamente si eseguono 4-6 serie intervallate da recupero di circa 3 minuti.<br />

I mezzi maggiormente utilizzati sono:<br />

- balzi e saltelli in varie modalità esecutive (posizione di piegamento più o meno<br />

accentuata) utilizzando anche ostacoli e piccoli sovraccarichi alla cintura;<br />

- sprint su distanze brevi (da 10 a 60 m.) in piano e fino a 30 m. in salita;<br />

- salita veloci di gradoni.<br />

128


Al termine <strong>del</strong> 1° o <strong>del</strong> 2° allenamento settimanale, nella fase iniziale dopo il<br />

riscaldamento generale, inserire circa 30 minuti di esercizi a carico naturale per gli<br />

arti inferiori e la fascia addominale con l’obiettivo di migliorarne la forza generale e la<br />

forza rapida (come nel precedente periodo).<br />

Il PERIODO AGONISTICO consiste in vere e proprie prove di gara effettuate con<br />

intensità leggermente superiore o inferiore. Pertanto allenamento che simula la gara in<br />

tutti gli allenamenti settimanali. Alcuni elementi <strong>del</strong>le esercitazioni previste nel<br />

periodo precedente possono essere inserite fino a circa 7-10 giorni prima <strong>del</strong>l’inizio<br />

<strong>del</strong>la competizione, in relazione a particolari esigenze (carenze) specifiche soggettive.<br />

Ovviamente i parametri indicati hanno valore generale e vanno adattati allo stato di<br />

allenamento e alla situazione fisica giornaliera.<br />

Quindi ogni allenamento va affrontato in condizioni ottimali di recupero e limitandone<br />

eventualmente l’intensità di impegno.<br />

Va tenuto presente che metodologie nuove e ad alta intensità possono procurare un<br />

abbassamento iniziale <strong>del</strong>la condizione fisica, solitamente le prime 2 settimane.<br />

129


CAPITOLO 6<br />

LA GESTIONE PSICOLOGICA DELL’ATLETA<br />

INFORTUNATO<br />

6.1 Infortunio: prevenzione e riabilitazione psicologica<br />

L’infortunio e, più in generale, il dolore, appartengono alla logica <strong>del</strong>lo sport.<br />

Tuttavia, mentre il dolore può assumere per un atleta diversi significati (anche<br />

positivi, se si pensa al performance routine pain, cioè al dolore fisico che preannuncia<br />

l’entrata nello stato di forma, o al dolore-allarme, che suggerisce l’interruzione<br />

<strong>del</strong>l’attività in corso segnalando la possibilità di un’imminente lesione), l’infortunio<br />

vero e proprio (inteso come incidente inatteso) rappresenta inevitabilmente un evento<br />

destabilizzante, in misura maggiore o minore, l’equilibrio emotivo e, a volte,<br />

psicologico, <strong>del</strong>lo sportivo.<br />

Un cattivo adattamento all’infortunio può, infatti, comportare, a seconda dei fattori<br />

contestuali e <strong>del</strong>la personalità <strong>del</strong>l’atleta in questione, la comparsa di sensazioni di<br />

rabbia e impotenza, sbalzi di umore, sensi di colpa, domande ossessive circa il proprio<br />

ritorno alla “normalità”, pensieri irrazionali e depressivi [Patitpas e Danish, 1995],<br />

ritorno “insicuro” all’attività, abbandono precoce <strong>del</strong>lo sport praticato e, nei casi più<br />

gravi, sindrome <strong>del</strong> dolore cronico e grief reaction (reazione simile a quella che<br />

potrebbe seguire il lutto di una persona cara), con la conseguente compromissione <strong>del</strong><br />

normale funzionamento <strong>del</strong>l’individuo in famiglia, negli studi o sul lavoro, e nelle<br />

relazioni interpersonali<br />

Lo sport, purtroppo, è anche questo. Spetta, dunque, alla psicologia applicata in<br />

ambito sportivo fornire strumenti utili sia per l’atleta sia per l’allenatore sensibile alla<br />

tematica o che debba confrontarsi con ragazzi infortunati e/o a rischio frequente di<br />

inattività; il tutto nella duplice ottica riabilitativa (la gestione psicologica <strong>del</strong>l’atleta<br />

nella fase di riposo forzato da infortunio) e, soprattutto, preventiva (conoscenza da<br />

parte <strong>del</strong>l’allenatore dei segnali di allarme e attuazione di modalità relazionali e<br />

comportamentali protettive).<br />

L’allenatore può, infatti, a tale proposito, rivestire un ruolo fondamentale e<br />

insostituibile, nella consapevolezza che, accanto ai fattori fisici / tecnici predisponenti<br />

l’infortunio (come la conformazione fisica / muscolare <strong>del</strong> soggetto e l’overtraining o<br />

allenamento eccessivo), esistono quelli psicologici e personologici <strong>del</strong>l’atleta; iniziare,<br />

per esempio, a riflettere su quesiti <strong>del</strong> tipo >, >, >, > significa iniziare a conoscere l’hardness<br />

o durezza mentale <strong>del</strong> proprio atleta [Gentry e Kobasa, 1979], fattore individuale che,<br />

se buono, rappresenterebbe una variabile protettiva rispetto l’infortunio (diminuisce,<br />

cioè, la probabilità di cadervi) ma potrebbe diventare elemento di ostacolo<br />

all’adattamento post-traumatico nel caso di incidente avvenuto. Da non dimenticare,<br />

130


inoltre, la ri-progettazione degli obiettivi agonistici e competitivi <strong>del</strong>l’atleta che<br />

ritorna all’attività dopo la riabilitazione (goal setting realistico), compito essenziale<br />

per un allenatore al fine di evitare nello sportivo <strong>del</strong>usioni immediate ed ansie<br />

ingestibili per la richiesta di confronti competitivi eccessivamente difficili ed<br />

impegnativi rispetto il suo stato attuale fisico e psicologico.<br />

E l’atleta, invece? Di cosa ha bisogno?<br />

E’ importante convincersi che, per l’atleta infortunato, lo stress maggiore<br />

generalmente non è l’incidente in se stesso (che rappresenta, comunque, un modo per<br />

riposarsi dagli allenamenti), bensì è proprio il “non sapere cosa volere”! In altre<br />

parole, si pensa di poter andare avanti senza l’identità di atleta (temporaneamente<br />

perduta a causa <strong>del</strong>l’inattività) ma c’è chi non vi riesce.<br />

Per tale motivo il soggetto infortunato va, innanzitutto, aiutato a capire cosa gli serve,<br />

a ridefinire le priorità che si era prefissato prima <strong>del</strong>l’incidente, ad allargare i suoi<br />

interessi anche ad ambiti non sportivi consigliandogli, al tempo stesso, di mantenere i<br />

contatti con il suo sport, l’allenatore e la squadra. In una parola, l’atleta va aiutato<br />

(sempre e comunque ma, a maggior ragione, se inattivo) ad essere una persona<br />

equilibrata, a riprendersi la propria identità di sportivo ma con un atteggiamento<br />

mentale moderato, capace di accettare emozioni negative e momenti di stasi o<br />

peggioramento, un atteggiamento mentale diverso, quindi, rispetto quella durezza<br />

psicologica necessaria negli allenamenti e nei momenti di forma fisica. Meno rigidità,<br />

dunque, per poter affrontare correttamente le proprie debolezze, che possono anche<br />

comprendere sentimenti di colpa per aver abbandonato la squadra, valutazioni<br />

esagerate circa i miglioramenti nella guarigione, progressiva crescita <strong>del</strong>la dipendenza<br />

da medici o fisioterapisti, ripetuti tentativi affrettati di ritorno alle competizioni, rapidi<br />

e continui cambiamenti di umori, e tendenza al ritiro sociale (quest’ultimo non da<br />

sottovalutare se si pensa alle ripercussioni che può avere su autoimmagine e autostima<br />

<strong>del</strong>la persona).<br />

Non solo. E’ importante per l’atleta conoscere il proprio problema fisico e<br />

documentarsi (per esempio leggendo libri e guardando illustrazioni) sul tipo di<br />

infortunio subito, in modo da poter avere un’immagine mentale sufficientemente<br />

chiara <strong>del</strong>la propria lesione e sentirsi il più possibile soggetto attivo nel processo di<br />

riabilitazione.<br />

In una espressione, l’atleta cerchi di riprendersi un po’ di controllo, impegnandosi<br />

con senso critico e atteggiamento interattivo nella terapia fisica riabilitativa ma anche<br />

allenandosi, questa volta mentalmente, con il Mental Training. Con l’imagery<br />

(ripetizione mentale di un gesto motorio o di uno scenario come se lo si stesse<br />

eseguendo o vivendo in quel preciso istante) e le strategie cognitive di controllo <strong>del</strong><br />

dolore, per esempio.<br />

Se è vero, infatti, che l’effetto Carpenter (incremento <strong>del</strong>l’attività muscolare in certi<br />

segmenti corporei dovuto non al movimento effettivo ma alla pura ripetizione mentale<br />

<strong>del</strong> movimento stesso di quei segmenti mentre il soggetto si trova in condizione di<br />

riposo e, dunque, da fermo) dato dall’imagery consentirebbe di rimanere tecnicamente<br />

e muscolarmente allenati anche in stato fisico di effettivo riposo [Schmidt 1988;<br />

Jowdy e Harris, 1990], recenti studi relativi ad allenamenti sistematici e regolari alla<br />

131


healing imagery (immaginare metafore di guarigione, per es. una cascata di acqua<br />

fredda che spegne il “fuoco” nel proprio <strong>ginocchio</strong>, come pure un ponte solido e<br />

flessibile piuttosto che un rotula di vetro) e alla soothing imagery (immaginare<br />

situazione bucoliche e rilassanti) dimostrerebbero l’efficacia <strong>del</strong>l’immaginazione<br />

mentale nel processo di recupero organico e, soprattutto, nella riduzione <strong>del</strong>l’attività<br />

<strong>del</strong> simpatico a favore <strong>del</strong> parasimpatico, con conseguente allentamento <strong>del</strong>la<br />

contrattura antalgica, produzione di emozioni positive e contrasto di immagini<br />

negative. Utile, inoltre, per l’atleta, la conoscenza <strong>del</strong>le principali strategie di pensiero<br />

funzionali al controllo <strong>del</strong> dolore, quali il mantenimento di un focus attentivo esterno<br />

(“distrarsi” per es. ascoltando musica o guardando uno spettacolo interessante),<br />

l’attività cognitiva ritmica (per es. contare a ritroso da 100 a 1 o canticchiare<br />

ritornelli), il riconoscimento <strong>del</strong> dolore (decidere di “guardare” il dolore<br />

immaginando, per es., la circolazione <strong>del</strong> sangue che lo porta via), il coping<br />

drammatizzato (per es. immaginarsi in una situazione epica in cui sopportare il dolore<br />

porta al trionfo o alla conquista).<br />

Tante, dunque, ma ben definite, le misure possibili da adottarsi. Una cosa è certa:<br />

all’atleta piace essere protagonista. Spetta a noi ricordargli che può esserlo anche da<br />

infortunato.<br />

Destinatari<br />

- allenatori sensibili alla problematica per motivi preventivi o perché chiamati a<br />

confrontarsi con atleti infortunati o predisposti all’infortunio<br />

- atleti in stato di riposo da infortunio o atleti in attività ma soggetti ad incidenti<br />

muscolari/ossei frequenti<br />

Obiettivi<br />

Gli obiettivi perseguibili si distinguono in<br />

- obiettivi formativi (rivolti agli allenatori): finalizzati ad approfondire nel tecnico<br />

le conoscenze relative le diverse modalità <strong>del</strong>la mente di affrontare situazioni<br />

d’emergenza, i fattori predisponesti l’infortunio e i segnali d’allarme, le paure<br />

<strong>del</strong>l’atleta, l’atleta in burnout e l’atleta infortunato, i fondamenti <strong>del</strong>la relazione<br />

d’aiuto, le strategie di coping (fronteggiamento <strong>del</strong>lo stress) in ambito sportivo.<br />

- obiettivi mentali (rivolti agli atleti): finalizzati ad agevolare nell’atleta i processi<br />

di ridefinizione <strong>del</strong>le priorità, accettazione <strong>del</strong> trauma, <strong>del</strong>le emozioni negative e<br />

degli eventuali peggioramenti nella guarigione, gestione cognitiva <strong>del</strong> dolore e<br />

<strong>del</strong>la paura, comunicazione efficace con il proprio allenatore.<br />

Metodologia e modalità degli incontri<br />

132


La metodologia di approccio adottata durante gli incontri si differenzia in funzione<br />

<strong>del</strong>la categoria degli interessati (atleti piuttosto che allenatori) e <strong>del</strong>l’ottica all’interno<br />

<strong>del</strong>la quale viene strutturato l’intervento (preventiva piuttosto che riabilitativa); si<br />

prevede, comunque, una fase puramente formativa (lezioni e visione di filmati) alla<br />

quale eventualmente affiancare un discorso di tipo clinico (sostegno o tecniche di<br />

Mental Training per l’atleta).<br />

133


6.2 Le Reazioni <strong>del</strong>l’atleta all’infotunio<br />

Perché capita l'infortunio?<br />

Chiediamoci di chi o di che cosa è stata la responsabilità <strong>del</strong>l'accaduto. Frequenti<br />

spiegazioni si ritrovano nella carenza di concentrazione/attenzione, nel non adeguato<br />

inserimento nel gioco, nella espressione troppo accentuata e mal canalizzata<br />

<strong>del</strong>l'aggressività <strong>del</strong>l'atleta, nella gestione <strong>del</strong>l'ansia e dei fattori stressanti presenti ed<br />

infine nel mancato calcolo <strong>del</strong> rischio <strong>del</strong>l'azione.<br />

Le reazioni immediate da parte <strong>del</strong>l'atleta.<br />

L'agonista può negare parte <strong>del</strong>l'accaduto o non credere alla sua gravità, si allontana<br />

per un fatto di nervosismo da chi gli racconta come sono andati i fatti o da chi lo vuole<br />

semplicemente consolare, può arrivare al rifiuto <strong>del</strong>le cure mediche dicendo che lui<br />

non ne ha bisogno e gestire male il rapporto con il fisioterapista.<br />

La personalità <strong>del</strong>l'atleta e la relazione con precedenti infortuni influiranno sulla<br />

gravità <strong>del</strong>l'infortunio: un atleta che ha una capacità psicologica innata di recupero<br />

rispetto agli eventi stressanti e che ha alle spalle diversi ricordi legati a momenti di<br />

difficoltà che ha saputo superare reagirà in maniera molto più positiva rispetto<br />

all'atleta giovane, smanioso, inesperto e magari con un ruolo di punta.<br />

L'importanza <strong>del</strong> momento agonistico è estremamente rilevante: essere in campo al<br />

più presto possibile per l'atleta può divenire un'ossessione e scatenare una serie di<br />

dubbi sulla sua felice e rapida ripresa.<br />

134


6.3 La riabilitazione psicologica<br />

La presa di coscienza di quello che è successo e di quello che sta succedendo al suo<br />

corpo porterà l'atleta ad acquisire maggiore consapevolezza sui suoi limiti e sui rischi<br />

che chi fa sport in modi diversi deve affrontare; se non subentra il fatto di accettare<br />

l'evento l'atleta psicologicamente resterà ancorato a questa parte <strong>del</strong> passato, senza<br />

riuscire a futurizzare. L'elaborazione di ogni fase (cause, reazioni, tempi di<br />

riabilitazione) deve essere presa sul serio e curata in ogni suo dettaglio, altrimenti<br />

l'atleta rischierà di soffermarsi spesso, durante la sua carriera, su quello che non è<br />

riuscito ad affrontare a tempo debito.<br />

I tempi di recupero (psicologico e fisico) sono fondamentali soprattutto in ambito<br />

professionistico: spesso l'atleta che ancora non si è ripreso <strong>del</strong> tutto in occasione di<br />

grandi eventi sportivi, aiutato dallo staff medico che lo circonda, talvolta scende in<br />

campo con il trauma alla gamba guarito ma con la paura di farsi male e battere il<br />

<strong>ginocchio</strong> nello stesso punto, compromettendo maaggiormente la situazione. Quando<br />

parliamo di infortunio possiamo pensare solo ad uno stop dall'attività agonistica di<br />

qualche settimana, a volte invece si tratta di dover subire parecchi esami ed<br />

accertamenti, seguire <strong>del</strong>le terapie farmacologiche o fisioterapiche specifiche anche<br />

dolorose e faticose, dover aver bisogno di protesi o tutori temporanei e persino<br />

affrontare una operazione chirurgica.<br />

L'importanza di avere vicino <strong>del</strong>le persone care che formano la rete sociale <strong>del</strong>l'atleta<br />

(parenti, amici, fans, colleghi) è importante per la velocità di recupero dall'evento;<br />

anche vedere nella propria stanza d'ospedale i componenti <strong>del</strong>la squadra o <strong>del</strong> team<br />

offre un sostegno che si rivela preziosissimo.<br />

Paura nel rientrare in gara dopo un’infotunio.<br />

Anche gli atleti di alto livello dichiarano di trovarsi di fronte all’emozione <strong>del</strong>la paura<br />

nel momento in cui rientrano dopo un’infortunio. Esistono quindi blocchi psicologici<br />

ed eventuali relazioni con esperienze pregresse di infortuni.<br />

Ciò che accomuna le attività sportive è il continuo tentativo di portare all’eccellenza e<br />

ai limiti <strong>del</strong>le possibilità umane una data abilità.<br />

L’agonismo, l’aspirazione alla vittoria, la caccia dei record, spingono alla ricerca di<br />

prestazioni massime e, di conseguenza, anche le intensità emozionali risultano<br />

amplificate al massimo, sia in senso positivo che negativo.<br />

In alcuni casi la paura può rappresentare un vero problema e spesso si verificano<br />

situazioni in cui i coach, non preparati a gestire simili circostanze non riesono ad<br />

aiutare concretamente i propri atleti. La gestione errata di tali situazioni può causare<br />

l’abbandono all’’attività.<br />

La paura può bloccare i processi di acquisizione di nuovi elementi o impedire<br />

l’esecuzione corretta di quelli che già fanno parte <strong>del</strong> bagaglio tecnico <strong>del</strong>l’atleta.<br />

Stati emotivi di paura e ansia possono, infatti, influenzare molto negativamente<br />

l’allenamento e la prestazione.<br />

135


In conclusione è auspicabile effettuare studi sugli aspetti emotivi e cognitivi che<br />

caratterizzano la paura e lo sviluppo di strategie operative atte a controllare e gestire<br />

nel miglior modo quest’emozione disabilitante così da facilitare l’operato di tecnici e<br />

atleti. Purtroppo la pressione da parte degli sponsor rallenta il recupero psicologico<br />

dall'infortunio poichè rincara la dose di ansia e di timore che l'atleta si porta con sè e<br />

qualche volta il rischio di utilizzare <strong>del</strong>le sostanze dopanti per accelerare il momento<br />

<strong>del</strong> rientro in campo diventa una realtà.<br />

136


CONCLUSIONI<br />

Dai dati da noi ottenuti con questo lavoro abbiamo raggiunto non tanto <strong>del</strong>le<br />

certezze ma indicazioni che un coach deve prendere in considerazione, se lo<br />

ritiene opportuno, in maniera professionale, poiché si inserisce in un mondo<br />

(tennistico) pieno di difficoltà ma anche pieno di soddisfazioni che potranno<br />

essere ottenute solo con una programmazione corretta.<br />

Abbiamo constatato che si dovrebbe dare molta più importanza alla<br />

professionalità dei preparatori fisici e <strong>del</strong>lo staff medico perché l’evoluzione<br />

<strong>del</strong> tennis non può prescindere da un’organizzazione tecnica costruita su uno<br />

staff con figure professionali ben scelte. “Io sono il maestro e faccio anche lo<br />

psicologo, il preparatore fisico, il fisioterapista, il dietologo” non farà mai<br />

raggiungere nessun tipo di obiettivo.<br />

Crediamo che l’allenatore debba avere la maggiore competenza possibile in<br />

tanti campi, ma non la presunzione di poter gestire da solo un’atleta.<br />

A livello preventivo, a proposito degli infortuni, si dovrebbe dare molta più<br />

importanza alle varie fasi di riscaldamento con particolare attenzione allo<br />

stretching e successivamente ai sovraccarichi dosati nella maniera più<br />

opportuna possibile.<br />

Infine riteniamo sia giusto considerare biomeccanicamente il gesto proprio<br />

per prevenire infortuni che si possono determinare a lungo termine dopo aver<br />

fatto scorrettamente numerosi gesti tecnici o fisici.<br />

137


Bibliografia<br />

- Dott. Gobbi A.: Bologna novembre ’94 “le condropatie femoro rotulee”<br />

- Dott. Gobbi A.: Sport end Medicine “protocollo riabilitativo <strong>del</strong>l’articolazione<br />

femoro rotulea”<br />

- Proff. Zanazzo M.: “Metodiche riabilitative nella patologia femoro rotulea”<br />

- Riabilitazione oggi: Aprile ’92 “aspetti riabilitativi nella patologia chirurgica<br />

<strong>del</strong> <strong>ginocchio</strong>”<br />

- Dr. H. Schönhuber - Centro di Traumatologia <strong>del</strong>lo Sport e di<br />

ChirurgiaArtroscopica - Istituto Ortopedico Galeazzi – Milano"Actualités dans la<br />

rééducation. Sport et rééducation du membre inférieur." Sous la direction de P.<br />

Chambat, Ph. Neyret, M. Bonnin, D. Dejour - Sauramps Medical – 2001<br />

- Art. 1 : Wascher e al. "Direct in vitro measurement of force in the cruciate<br />

ligaments." J.Bone Joint Surg. (am) 1993; vol. 75<br />

- Art. 2 : Snyder-Mackler L. - Ladin Z. - Schepsis A.A. et al. "Elecrical<br />

stimulations of the thigh muscles after the reconstruction of the ACL." J. Bone<br />

Joint Surg. 1991; 73A, 1025:1035<br />

- Art. 3 : Middleton P. Isocinetisme et rééducation des lésions du LCA.<br />

Actualités dans la rééducation, Lyon Octobre 1997: 68.<br />

- -Dott. Stephane Bernom “laboratorio di fisiologia <strong>del</strong>la facoltà di medicina<br />

Nizza - Francia “<br />

- Katch Mc Arollie editore Vigot “Physiologie <strong>del</strong>l’exercise”<br />

- Weinnech editore Vigot “ Biologie du sport”<br />

- Solvenborm editore Hermes “ Questo è lo stretching”<br />

- Busquet editore Marrapese “ Le catene muscolari”<br />

- Herbert RD et al. “Effects of stretching before and after exercising on muscle<br />

soreness and risk of injury: systematic review”. BMJ 2002;325:468<br />

- Monheim J, American College of Sports Medicine’s Health and Fitness Summit.<br />

April 14–17, 2004<br />

- Mancini, C. Morlacchi, Clinica ortopedica, Manuale atlante, presentazione di<br />

L. Perugia, II edizione Piccin<br />

- Angelo D’Aprile, TENNIS OK “La preparazione fisica nel gioco <strong>del</strong> tennis e<br />

concetti fondamentali sulla tecnica <strong>del</strong>l’allenamento”,<br />

- Soc. Stampa. Sportiva – Roma<br />

- “Le capacità coordinative e la resistenza”, Soc. Stampa Sportiva – Roma,<br />

Centro CONI di avviamento allo sport<br />

- Paolo Cambone, “Stretching teoria e pratica”, SSS Roma<br />

- Frank H. Netter, M.D. ed.Masson, “Atlante di anatomia fisiopatologia e<br />

clinica”, volume VIII, Apparato muscolo-scheletrico 1, parte III –<br />

“Traumatologia, valutazione clinica e trattamento”<br />

138


- Frank H. Netter, M.D. ed.Masson, “Atlante di anatomia fisiopatologia e<br />

clinica”, volume VIII, Apparato muscolo-scheletrico 1, parte I – “Anatomia,<br />

fisiologia e turbe metaboliche”<br />

- Pietro Di Leo, “Compendio di cinesiologia correttiva e rieducativa con elementi<br />

di ortopedia”, V edizione Piccin<br />

- SDS Rivista di cultura sportiva, anno XXI, numero 56 <strong>del</strong> 2002<br />

- Prof. Mario Testi, testo <strong>del</strong> dott. Sebastiano Zuppardo, www.benessere.com<br />

- Articolo <strong>del</strong>la dott.ssa Rosangela Soncini, psicologia<br />

- Dott. Pascale, www.trauma-<strong>ginocchio</strong><br />

- www.ortopedia.com.lcd<br />

- www.saluteok.it, “Riabilitazione sportiva”<br />

- www.sportmedicina.com “Patologia <strong>del</strong> LCA – Diagnosi e trattamento” di<br />

Puddu-Cerullo – Il pensiero scientifico editore<br />

- www.rinotommasi-mymag.it “Biomeccanica e tennis”: gli studi di L.<br />

Langerveld<br />

- Abbot IH (1945): Theory of wings. Dover, New York. G. Melegati, P. Volpi:<br />

"Ruolo <strong>del</strong>la metodica isocinetica nella riabilitazione dopo intervento di<br />

ricostruzione <strong>del</strong> LCA", Journal of Sports Traumatology, vol. 19, n. 3, Sept. 1997<br />

- Randal, Palmintier, Kai Nah An, Steven G. Scott Edmond, Y.S. Chao: "Kinetic<br />

Chain Exercise in knee rehabilitation", Sports Medicine 11, 402-413, 1991<br />

- Berta C (1985): Aerodinamica computazionale. C.R.F., Torino.<br />

- Edlich RF, Towler MA, Goitz RJ, Etal H (1987): Bioengineering principles of<br />

hydrotherapy. Int J Burn Care Rehabil 8: 580-584.<br />

- Faccini P, Zanolli S, Dalla Vedova D, Besi M, Can<strong>del</strong>a V, Dal Monte A (1997):<br />

Simulation software and dummy test to quantify the water overload of a<br />

new rehabilitation tecnique. The 9th European Congress of Sport Medicina.<br />

Porto, Portugal.<br />

- Genuario SE, VESGO JJ (1990): The use of a swimming pool in the<br />

rehabilitation and reconditioning of athletic injuries. Contemp Orthop 20:<br />

381.<br />

- Golland A (1981): Basic hydrotherapy. Physiotherapy 67: 258-262.<br />

- Karamcheti K (1966): Principles of ideal fluid aerodynamics. Wiley, New<br />

York.<br />

- Keuthe AM (1976): Foundations of aerodynamics. Wiley, New York.<br />

- Irrgang JJ, Harner CD (1997): Recent advances in ACL rehabilitation: clinical<br />

factors that influence the program. J Sports Rehabil 6: 111.<br />

- Noyes FR (1977): Functional properties of knee ligaments and alteration<br />

induced by immobilisation. Clin Orthop 123: 210-214.<br />

- Prins J, Cutner D (1999): Aquatic therapy in the rehabilitation of athletic<br />

injuries. Clin Sports Med 18: 447-461.<br />

- Rieghels FW (1961) : Aerofoil sections. Butterworths, London.<br />

139


- Shanebrook JR, Jaszczak RD (1974) : Aerodynamics of human body. In :<br />

Biomechanics. University Park Press, Baltimore MD pp 567-571 (Fourth<br />

International Series of Sport Science, vol 1).<br />

- Snyder-Mackler L, Delitto A, Daily SL et al (1995): Strenght of the quadriceps<br />

femoris muscle and functional recovery after reconstruction of the anterior<br />

cruciate ligament: a prospective, randomise clinical trial of electrical<br />

stimulation. J Bone Joint Surg Am 77: 1166.<br />

- Zanolli S, Faccini P, Dalla Vedova D (1996): Rehabilitation in the water after<br />

reconstruction of knee ACL using quantifiable overload". In: Medicine and<br />

Science in Sports and Exercises. World Congress of American College of Sport<br />

Medicine, USA, Cincinnati.<br />

- Besi M, Leopardi LM, Dalla Vedova D, Faccini P, Zanolli S: R.O.S.S.<br />

Rehabilitation overload simulation software. Institute of Sport Science (CONI,<br />

Italy), Software.<br />

- Stèphane Cascua, specilalista in medicina <strong>del</strong>lo sport (complesso ospedaliero<br />

universitario La Pitiè-Salpetrière di Parigi: Lo sport fa davvero bene alla<br />

salute?<br />

- P.Masters Osteopatia, Red Edizioni, Milano<br />

- Il trattamento degli squilibri muscolo scheletrici per ripristinare la salute.<br />

- Pasquale Maurizio Ricciardi: Traumatologia <strong>del</strong>lo sport, Markos edizioni<br />

140

Hooray! Your file is uploaded and ready to be published.

Saved successfully!

Ooh no, something went wrong!