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INTERNI QUELLI CHE SPIAVANO LO STATO<br />
prima lei stessa aveva affidato l’incarico<br />
di consulenza tecnica per l’inchiesta sul<br />
duplice omicidio dei fratelli Loielo, incarico<br />
tra l’altro ancora non espletato a distanza<br />
di tempo. Ebbene, nel corso di quella<br />
conversazione, racconta la pm, «ancor prima<br />
che la scrivente potesse rappresentare<br />
<strong>il</strong> motivo della sua telefonata, <strong>il</strong> dottor Genchi<br />
inizia a riferire che sarebbe stato suo<br />
dovere segnalare taluni fatti occorsi che<br />
avrebbero potuto minare <strong>il</strong> rapporto fiduciario<br />
che deve intercorrere tra <strong>il</strong> magistrato<br />
e <strong>il</strong> proprio consulente. Dopo una lunga<br />
premessa, di diffic<strong>il</strong>e comprensione per chi<br />
scrive, <strong>il</strong> dottor Genchi mi segnalava che<br />
nell’ambito di una consulenza redatta su<br />
incarico del dottor De Magistris, aveva fatto<br />
uso di tabulati telefonici acquisiti nell’ambito<br />
del procedimento penale 3845/04 mod.<br />
44 (quello sull’assassinio dei fratelli Loielo,<br />
ndr) assegnato alla scrivente».<br />
Il famigerato archivio segreto<br />
L’affare comincia a ingrossarsi, si direbbe,<br />
tanto più che ai dubbi su un’operazione<br />
già di per sé spericolata si aggiunge una<br />
domanda importante: a chi era intestato <strong>il</strong><br />
numero <strong>il</strong> cui tabulato Genchi e De Magistris<br />
avevano prelevato da un fascicolo e<br />
sistemato in un altro senza chiedere <strong>il</strong> permesso<br />
a nessuno? Semplice: era dell’avvocato<br />
Giancarlo Pittelli, allora senatore di Forza<br />
Italia, oggi deputato del Pdl, uno degli<br />
otto parlamentari individuati come parti<br />
offese nel processo di Roma. Continua<br />
<strong>il</strong> pm nella sua lettera di protesta: «Tra i<br />
diversi tabulati acquisiti vi era anche quello<br />
relativo all’utenza di tal Giancarlo Pittelli.<br />
Successivamente, nel corso dell’analisi<br />
dei citati tabulati, secondo quanto riferito<br />
dal dottor Genchi, <strong>il</strong> Pittelli veniva dallo<br />
stesso consulente identificato in Giancarlo<br />
Pittelli, avvocato e senatore della Repubblica».<br />
E la frase successiva della Manzini è<br />
scritta tutta quanta sottolineata per rimarcarne<br />
l’importanza. Eccola: «Il dato non è<br />
stato mai comunicato alla scrivente». Ma la<br />
dottoressa Manzini non si ferma qui e scarica<br />
tutta la propria rabbia completando <strong>il</strong><br />
ragionamento: «Non solo. I tabulati, sulla<br />
cui ut<strong>il</strong>izzab<strong>il</strong>ità in generale – tenuto conto<br />
dei disposti della L. 140 del 2003 – occorreva<br />
soffermarsi (soffermarsi è scritto in corsivo,<br />
grassetto e sottolineato, ndr), sono stati<br />
ut<strong>il</strong>izzati dal consulente, senza che chi<br />
scrive avesse dato autorizzazione alcuna,<br />
in quanto neppure era stata messa a conoscenza<br />
dell’evenienza (ancora sottolineature,<br />
ndr) per la redazione della consulenza<br />
depositata al dottore De Magistris».<br />
La stessa storia la raccontarono due<br />
anni dopo, in una dettagliata relazione di<br />
servizio, <strong>il</strong> luogotenente Luciano Santoro e<br />
<strong>il</strong> maresciallo Claudio Dente, applicati del<br />
Ros, nel corso delle indagini su Genchi e<br />
De Magistris. I carabinieri, giunti nel palaz-<br />
22 | 4 apr<strong>il</strong>e 2012 | |<br />
zo di giustizia di Catanzaro, verbalizzarono<br />
l’accaduto minuziosamente, attraverso la<br />
testimonianza dei diretti protagonisti, e trasmisero<br />
<strong>il</strong> tutto alla procura di Roma. Morale<br />
della favola: i due di Catanzaro, sedicenti<br />
vittime di multiformi associazioni massoniche<br />
pronte a bloccarli, avevano allungato<br />
segretamente la loro manina in un’indagine<br />
di ’ndrangheta, preso i dati di traffico<br />
dell’avvocato difensore degli imputati<br />
del delitto, riversato i dati stessi nel fascicolo<br />
di un’altra indagine a carico dell’avvocato<br />
medesimo. Che, guarda caso, era pure un<br />
senatore. Il solo saperlo e far finta di niente<br />
– senza dire del poterne disporre – è vietato<br />
dalla legge, anche per una “nob<strong>il</strong>e causa”<br />
come la loro. Per giunta informando ex post<br />
chi stava indagando legittimamente.<br />
La vicenda, così come la raccontano gli<br />
atti del processo di Roma, scatena domande<br />
a ripetizione. Perché non fu detto alla Manzini<br />
che quello era <strong>il</strong> tabulato di un senatore?<br />
Fino a che punto è normale incunearsi<br />
nelle comunicazioni tra avvocato difensore<br />
e indagati? All’atto del travaso da un’inchiesta<br />
all’altra, allora, i due sapevano quale<br />
tabulato stavano maneggiando? Come<br />
mai non v’è traccia di immediata richiesta<br />
di autorizzazione a Palazzo Madama?<br />
E ancora, visto che la stessa dottoressa<br />
Manzini si lamentava del fatto che Genchi,<br />
a distanza di tre anni, ancora non le<br />
avesse consegnato la relazione sull’omicidio<br />
Loielo («La Squadra Mob<strong>il</strong>e di Catanzaro<br />
mi rassicurava sulla bontà del lavoro<br />
del consulente (…) <strong>il</strong> ritardo nella consegna<br />
veniva motivato attribuendolo alla lentezza<br />
dei gestori nel trasmettere i tabulati», scrive<br />
sempre nella stessa lettera), com’è che<br />
all’improvviso <strong>il</strong> lavoro viene portato a termine,<br />
salvo poi consegnarlo al pm “sbagliato”?<br />
O forse Genchi di quel tabulato sapeva<br />
tutto da tempo? Nessuno può dirlo con certezza,<br />
ma se così fosse, potrebbe significare<br />
che quel dato era stato conservato da qualche<br />
parte. E qui potrebbe riemergere la vera<br />
bestia nera dell’inferno giudiziario di quei<br />
giorni: la famigerata banca dati segreta di<br />
Genchi, una sorta di chimera mai rintracciata<br />
concretamente, nonostante la verosimiglianza<br />
della sua esistenza.<br />
Nei guai col Csm<br />
Un episodio del genere non poteva rimanere<br />
senza conseguenze, nemmeno per i<br />
magistrati che stavano indagando sull’omicidio<br />
mafioso: <strong>il</strong> gip che aveva autorizzato<br />
l’acquisizione dei tabulati nell’inchiesta<br />
sull’assassinio finì dinanzi alla commissione<br />
disciplinare del Csm proprio perché <strong>il</strong><br />
materiale su Pittelli era stato raccolto senza<br />
le necessarie autorizzazioni. Poi, chiarito<br />
l’equivoco (cioè che nessuno aveva detto agli<br />
inquirenti che quello era <strong>il</strong> tabulato di un<br />
parlamentare), la cosa finì lì. Non per Genchi<br />
e De Magistris, come sappiamo.<br />
Forte della visib<strong>il</strong>ità<br />
mediatica acquisita con<br />
le sue rumorose indagini,<br />
De Magistris è entrato<br />
nell’Idv, partito nel quale<br />
è stato eletto prima<br />
eurodeputato, poi sindaco<br />
di Napoli (nella foto, i suoi<br />
sostenitori durante<br />
la campagna elettorale<br />
nel capoluogo campano)<br />
Secondo la Manzini<br />
della Dda i tabulati<br />
di Pittelli «sono<br />
stati ut<strong>il</strong>izzati dal<br />
consulente (Genchi,<br />
ndr) senza che chi<br />
scrive avesse dato<br />
autorizzazione<br />
alcuna, in quanto<br />
neppure era stata<br />
messa a conoscenza<br />
dell’evenienza per<br />
la redazione della<br />
consulenza depositata<br />
a De Magistris»<br />
Ma chi era questo gip di Catanzaro che<br />
ebbe tanti fastidi col Csm a causa della leggerezza<br />
– diciamo così – di Genchi? Si trattava<br />
di Abiga<strong>il</strong> Mellace, <strong>il</strong> giudice che successivamente<br />
emanerà la sentenza di primo grado<br />
di “Why not” nel processo con rito abbreviato.<br />
In pratica la donna che ha fatto a pezzi<br />
sia l’impianto accusatorio prefigurato da<br />
De Magistris sia gran parte di quello immaginato<br />
dai colleghi che ne ereditarono la<br />
pista. Una circostanza, questa, che in linea<br />
di principio avrebbe potuto indurre <strong>il</strong> presidente<br />
del tribunale ad evitare di affidarle<br />
tale compito per ragioni di opportunità.<br />
Se possib<strong>il</strong>e. Il che non significa che quella<br />
sentenza, nei limiti di una verità giudiziaria<br />
spesso non coincidente con quella reale,<br />
non fu chiarificatrice di molte cose. Comunque<br />
sia, questo fatto ne chiarisce un altro,<br />
non meno importante.<br />
Quando nell’autunno del 2010 si conobbero<br />
le motivazioni della sentenza di primo<br />
grado del processo abbreviato di “Why not”,<br />
<strong>il</strong> tradizionale circuito mediatico di supporto<br />
a una certa idea dell’azione inquirente<br />
passò al contrattacco: rigurgiti locali raggiunsero<br />
l’Espresso, che iniziò a bombardare<br />
<strong>il</strong> gup Mellace per via di una sua presunta<br />
incompatib<strong>il</strong>ità sul caso “Why not”.<br />
Infatti De Magistris qualche anno prima,<br />
nell’ambito di un’indagine sulla lavanderia<br />
industriale che serviva l’ospedale di Catanzaro,<br />
aveva chiesto, senza ottenerlo, l’arresto<br />
del marito di lei, l’imprenditore Mottola<br />
D’Amato. Fu una delle tante inchieste<br />
dell’eroe di Catanzaro finite nel nulla. Però