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va – che fossimo gente ben strana, senza capire<br />

che come minimo quel giorno dovevamo<br />

pregare in luogo sacro e possib<strong>il</strong>mente bello.<br />

La sera del funerale di Giussani– ricordo – ci<br />

trovammo a casa mia, con una decina di amici<br />

che erano venuti da lontano per partecipare<br />

alla convention nazionale dei delegati di Pap<strong>il</strong>lon.<br />

Per ricordare don Giussani aprimmo<br />

una bottiglia di Bricco dell’Uccellone del 1982,<br />

che avevo messo via per lui, per quando sarebbe<br />

tornato a casa mia. Quel Bricco così longevo<br />

era una scommessa: aveva 23 anni. Lo assaggiammo<br />

in s<strong>il</strong>enzio, e non ci sembrava vero<br />

che fosse così perfetto, così generoso di racconti,<br />

tanto da lasciare una nostalgia dopo l’ultima<br />

goccia. Il giorno dopo a San Giorgio Monferrato,<br />

ospiti della casa di Piero Portalupi,<br />

guardammo <strong>il</strong> f<strong>il</strong>m Il pranzo di Babette, e lì capii<br />

che don Giussani era stato per me e per noi<br />

quel generale che si stupiva, coglieva <strong>il</strong> valo-<br />

re dentro le cose di tutti i giorni e ci insegnava<br />

a guardarle. Avete presente quella sequenza a<br />

tavola, quando Babette porta i suoi piatti abbinati<br />

ai vini fatti arrivare dalla Francia? Lì <strong>il</strong> generale<br />

coglie <strong>il</strong> segno di cosa sia <strong>il</strong> gusto, e d’un<br />

tratto quello che sembrava un semplice convivio<br />

diventa esperienza per tutti, fino al canto.<br />

Semplice come un bambino<br />

Don Giussani era povero, nel senso di una virtù<br />

che abbraccia l’essenziale, e quando qualcuno<br />

gli faceva un dono, in particolare un vino,<br />

lui spalancava gli occhi come un bambino:<br />

«Barolo?». Era <strong>il</strong> suo preferito, con inclinazione<br />

per quelli più tradizionali, ma da par suo amava<br />

anche una Malvasia piacentina, frizzante e<br />

molto secca, che produceva Migliorini, barolista<br />

di vaglia, legato ai colli piacentini.<br />

Insomma, amava i gusti schietti, riconoscib<strong>il</strong>i,<br />

quelli che legano la terra e l’uomo. A inizio<br />

«La cosa che m’ha colpito<br />

è che ha voluto che <strong>il</strong> Barolo<br />

si ossigenasse per bene, poi<br />

l’ha desiderato ascoltandone<br />

l’evoluzione dei profumi<br />

e infine lo ha assaggiato,<br />

con estremo rispetto»<br />

gennaio di quest’anno, una sera – lo racconto<br />

nell’ultima Circolare che è stata spedita –<br />

mi sono trovato con una mia amica di Todi, Almerina,<br />

all’Abbazia di Staffarda, tra Pinerolo e<br />

Saluzzo. Una maestosa costruzione medievale,<br />

bellissima, corredata, oggi, anche da un ristorante,<br />

<strong>il</strong> Sig<strong>il</strong>lo, dove abbiamo mangiato uno<br />

stinco di maiale niente male. Quella sera Almerina<br />

mi ha raccontato un episodio che le stava<br />

particolarmente a cuore. Ossia di quella volta<br />

che don Giussani andò a casa sua e lei, per dargli<br />

<strong>il</strong> benvenuto, si procurò un Barolo del 1974.<br />

Quando don Giussani vide la bottiglia spalancò<br />

gli occhi con sorpresa, si versò <strong>il</strong> vino e non ne<br />

bevve per tutta la sera. Ogni tanto lo annusava,<br />

lo guardava, mentre parlava. E tutti si chiedevano<br />

perché mai non bevesse quel vino, quasi<br />

con un senso di colpa per aver sbagliato a<br />

scegliere. Dopo i primi bocconi del secondo, ma<br />

quasi alla fine, ne bevve un sorso e interrompendo<br />

ciò che stava argomentando disse: «Noi<br />

crediamo in questo». E alzò <strong>il</strong> calice di vino. Un<br />

vino come un’espressione del Divino, del bello<br />

che abita questo mondo. Questo deve aver<br />

pensato don Giussani in quel momento, commosso<br />

come di fronte a un quadro.<br />

La nostalgia di un incontro<br />

Ma la cosa che più m’ha colpito del racconto di<br />

Almerina è stato <strong>il</strong> suo atteggiamento: ha voluto<br />

che <strong>il</strong> Barolo si ossigenasse per bene, poi l’ha<br />

desiderato ascoltandone l’evoluzione dei profumi<br />

e infine lo ha assaggiato, con estremo rispetto.<br />

Davanti alla mia scrivania, mentre scrivo<br />

queste parole, ho una foto di Giussani che<br />

mi è molto cara: mentre fuma un antico toscano<br />

e guarda stupito chi ha di fronte a sé, proteso<br />

ad ascoltarlo. Come di fronte a quel Barolo<br />

del 1974. Quante cose ci ha insegnato quell’uomo<br />

e quanta tenerezza provai <strong>il</strong> giorno in cui<br />

venne a casa mia, nel maggio del 1985 e si stupì<br />

del Barolo chinato servito come aperitivo.<br />

All’Abbazia di Staffarda, quella sera, si capiva<br />

che c’era fra noi quella nostalgia di un incontro,<br />

che non è una cosa del passato, ma una strada<br />

che si può percorrere giorno per giorno. Quanti<br />

ricordi bellissimi ci ha lasciato <strong>il</strong> don Giussani,<br />

ma soprattutto quanta “febbre di vita” – come<br />

fu detto al suo funerale – ha trasmesso a intere<br />

generazioni scuotendole dal torpore di una<br />

vita senza sorpresa. A lui, per sorprendersi di<br />

un Altro, sarebbe bastato un vino.<br />

Paolo Massobrio<br />

| | 4 apr<strong>il</strong>e 2012 | 59

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