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L’anniversario della nascita dell’Italia<br />
“Ora che abbiamo fatto l’Italia, dobbiamo<br />
fare gli italiani” è la frase, adesso<br />
abusatissima, che Massimo d’Azeglio<br />
aveva pronunciato dopo la proclamazione<br />
del Regno d’Italia. Se il celebre politico<br />
e letterato fosse ancora vivo, non<br />
so se se la sentirebbe, a centocinquanta<br />
anni da allora, di ritenere che l’evento<br />
si sia realizzato, che lo scopo sia stato<br />
pienamente raggiunto.<br />
Mi sono trovato sovente in Francia il 14<br />
di luglio, in occasione della festa della<br />
Repubblica francese e sempre sono rimasto<br />
colpito dal fervore generale: per<br />
strada e ovunque si espone la bandiera<br />
nazionale, si organizzano rievocazioni<br />
storiche in costume, sfilate, cortei, balli<br />
e fuochi d’artificio, nella consapevolezza<br />
e nell’ orgoglio della comune appartenenza,<br />
che le note della “Marseillaise”<br />
sottolineano.<br />
E mi veniva spontaneo il paragone<br />
con la tiepida atmosfera dell’analoga<br />
celebrazione italiana, il due di giugno<br />
(“Ma, sarà perché la Francia è<br />
una realtà nazionale e statuale da ben<br />
più secoli di noi - mi dicevo - da sentire<br />
con più intensità la ricorrenza…”).<br />
L’altro giorno, però, un amico mi faceva<br />
notare che, da qualche tempo a questa<br />
parte, in ogni manifestazione politica,<br />
culturale, sportiva, al suono dell’Inno<br />
di Mameli tutti i presenti si abbandonano,<br />
la mano sulla sinistra del busto, a<br />
cantare con passione le note di “Fratelli<br />
d’Italia”.<br />
Si, è vero! Che sia finalmente un accesso<br />
di orgoglio, la presa di coscienza di<br />
essere italiani, di costituire una nazione<br />
ontagna<br />
Nostra<br />
unita, fiera della sua esistenza?<br />
O un fenomeno di moda, nato semplicemente<br />
dall’imitazione scimmiesca degli<br />
atteggiamenti, che si vedono alla televisione,<br />
per esempio delle squadre di<br />
rugby estere, o degli atleti stranieri sul<br />
podio alle olimpiadi, o delle riunioni<br />
dei politici statunitensi che, all’attacco<br />
del loro inno nazionale, si irrigidiscono<br />
compunti e, la mano sul petto, ne cantano<br />
le parole con solennità e commozione?<br />
A me viene perfino da pensare che si<br />
tratti della reazione di una parte della<br />
popolazione italiana di fronte alle<br />
reiterate e insistite esibizioni, oggi, di<br />
quell’altra parte che vorrebbe sostituire<br />
l’Inno di Mameli con il “ Va pensiero”,<br />
dal Nabucco di Verdi, che ha la proprietà<br />
di fare platealmente alzare in piedi gli<br />
appartenenti a questa fazione che, cantando,<br />
ovviamente subito pongono con<br />
ostentazione anche essi la mano sul cuore.<br />
Non è un contrasto di natura artistica,<br />
un confronto estetico e poetico, aspetto<br />
sotto il quale Mameli credo esca battuto,<br />
ma è l’atteggiamento di uno schieramento<br />
politico alternativo, di un vero<br />
e proprio rifiuto di “Fratelli d’Italia” per<br />
tutto quello che rappresenta, o vorrebbe<br />
rappresentare, cioè appunto l’unità d’Italia<br />
e degli italiani, in particolare del nord<br />
e del sud. Ossia una nuova causa di divisione,<br />
una di più, l’ultima in ordine di<br />
tempo, perché tanti motivi di disunione<br />
si sono verificati nella nostra storia, molti<br />
dei quali sono tuttora presenti in sottofondo<br />
nella nostra realtà.<br />
A cominciare, appunto, dalla frattura fra<br />
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