03_Programma - Teatro Stabile di Torino
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A<br />
Allegoria<br />
[Preambolo.] Allegoria per <strong>di</strong>re altro; per <strong>di</strong>re, con le parole <strong>di</strong> altri. Se<br />
ogni rappresentazione è allegorica, come sembra a Fredric Jameson 1 , non<br />
ha senso alcuna caccia alla chiave nascosta: che importa svelare che qui<br />
Hitler si chiama Ui, che l’ex imbianchino vale l’operaio del Bronx, il<br />
ricattatore mafioso vale il gangster, etc.? basterebbe concentrare<br />
l’attenzione sul referente: il referente è il successo dei nazisti, è il<br />
consenso che ottennero, sono le violenze che perpetrarono. Il referente<br />
è Hitler, un protagonista “<strong>di</strong>namico”: in perpetuo moto pendolare dalla<br />
linea della storia a quella della rappresentazione, tra la strage e il <strong>di</strong>scorso,<br />
la politica e la stampa che informa i fatti. Il referente è la storia, sembra.<br />
Domande <strong>di</strong> un lettore sempre e comunque operaio: perché dunque<br />
parlare <strong>di</strong> Ui, <strong>di</strong> Bronx, <strong>di</strong> gangster? A che pro mo<strong>di</strong>ficare la già<br />
complessa e sibillina equazione rappresentativa (che colloca il suo<br />
significato profondo x tra gli avvenimenti reali e quelli ad essi ispirati e<br />
messi in scena, secondo il modello: storia ≤ x ≤ rappresentazione)<br />
attraverso un coefficiente <strong>di</strong> assestamento α <strong>di</strong> natura allegorica<br />
(storia ≤ x ≤ (α) rappresentazione)? In altri termini, c’è davvero<br />
bisogno del nascon<strong>di</strong>glio reazionario d’un tropo me<strong>di</strong>evale per trasferire<br />
dalla cronaca al palcoscenico i fatti cui s’intende riferirsi? Se tutto quello<br />
che avviene sulla scena è allegoria issofatto, perché spostare il punto <strong>di</strong><br />
vista, innescare un processo <strong>di</strong> mascheramento elevato alla potenza<br />
ennesima, realizzare un’espressione più <strong>di</strong>fficile?<br />
È davvero necessario, tutto questo, per dare ali all’antica chimera<br />
<strong>di</strong>dattica, o per “godersi” lo spettacolo infame dei crimini che ci<br />
attorniano, meglio leggibili se tramutati in un cartoon per adulti, i quali<br />
ultimi, possessori della chiave <strong>di</strong> decrittazione (glielo <strong>di</strong>ce Brecht, glielo<br />
<strong>di</strong>ciamo noi: Ui vale Hitler), possano estasiarsi per il proprio acume<br />
demistificatorio?<br />
1. Cfr. F. Jameson, Brecht e il metodo, Napoli, Cronopio, 2008, pp. 162-163.<br />
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