03_Programma - Teatro Stabile di Torino
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B<br />
Berlino<br />
Una Berlino che non è Berlino, dunque, o lo è, ma, “travestita”. Una<br />
Berlino osservata da lontano, da due prospettive almeno: quella<br />
dell’esule, che la traveste <strong>di</strong> ricor<strong>di</strong>, che la obbliga a calzare una speciale<br />
akustische Maske per raccontarsi alterata, carnevalesca, feroce; e quella<br />
del poeta, dell’ideologo, che la traveste da Chicago – metropoli kafkiana<br />
dagli inarrivabili confini e dalle abissali miserie (dello spirito) –, ma anche<br />
da colonia penale, destinata a lavori (ortofrutticoli) forzati. Berlino non<br />
esiste. Non è mai il Reichstag che brucia, e non è mai la Große Halle <strong>di</strong><br />
Speer: è la «canzone che ripete molte volte la parola Heim», è la gamba<br />
stecchita <strong>di</strong> Goebbels, è la birra <strong>di</strong> cui è sbronzo l’attore da quattro sol<strong>di</strong><br />
che il capogangster assolda perché gli insegni i ru<strong>di</strong>menti del parlare in<br />
pubblico, è l’orgoglio gay <strong>di</strong> Ernst Röhm che intona Das lila Lied… I<br />
microfoni senza la piazza, il teatro senza le quinte, le parole <strong>di</strong> una lirica<br />
celebre, dolci: «An jenem Tag im blauen Mond September…», mentre<br />
un criminale con la faccia <strong>di</strong> Charlot stupra ciò che ne denuncia l’identità,<br />
ciò che ne svela lo schifo, che ne riconosce, morendo, la traccia, la tacca,<br />
il nome tremendo, barbarico, ottuso: «’s ist Ui! ’s ist Ui! ’s ist…».<br />
C<br />
Cavolfiori<br />
I “verdoni”, frutti della terra, senhal del profitto friabile e marcescente,<br />
piatto pre<strong>di</strong>letto (con le ortiche) del Führer vegetarianissimo…<br />
Invadono il palcoscenico come mine antiuomo, vengono calpestati,<br />
lanciati, fatti a pezzi, scolpiti, sniffati, indossati; non vengono mangiati,<br />
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