francobeat Leon pauL winter - Sentireascoltare
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quelli di Nothing’s Shocking e Ritual De Lo Habitual,<br />
porco cane. Eh, certo. Ed ecco puntuale quindi il contentino,<br />
una Words Right Out Of My Mouth che almeno<br />
nelle strofe rammenta barbagli dell’antica nevrastenia,<br />
salvo spianarla subito con un ritornello degno dei più<br />
beceri Pearl Jam.<br />
Mettiamola così: non fosse stato per il nome che portano,<br />
avrei mollato l’ascolto dopo un paio di minuti. Invece<br />
ne ho sprecati una quarantina. Bah.<br />
(4/10)<br />
Stefano Solventi<br />
JoakiM - nothinG GolD (tiGerSuShi,<br />
SetteMBre 2011)<br />
Genere: post-soft<br />
Copertina da over 30 per Joakim. Serissimo e stempiato,<br />
dietro un paio di occhiali a specchio, barba e capelli<br />
tagliati minimal, in più l’understatement di una sola tshirt<br />
e di un’anonimo sfondo metropolitano con trompe<br />
l’oeil di grattacieli. L’immaginario di chi si è stancato<br />
dei parties? Di chi è saturo di laser? E’ proprio lui che<br />
confessa di aver sviluppato come tema principale per<br />
questo nuovo disco lo stato d’animo che sta tra la gioventù<br />
e l’età adulta. Lo senti che è un po’ invecchiato,<br />
con tutti quei rimandi ad ere geologiche pre-nu-wave,<br />
pre-nu-disco, pre-00 se vogliamo. Un riciclo di materiali<br />
per lo più analogici già sentiti nei suoi lavori passati, ma<br />
ancora una volta riproposti in modo per niente banale.<br />
Registrato l’anno scorso a Parigi negli studi della sua<br />
stilosissima Tigersushi, il disco è un manifesto post-soft<br />
(autodefinizione calzantissima dello stesso Bouaziz):<br />
ovvi rimandi alla french disco più poshy (vedi gli inevitabili<br />
Air in Piano Magic), qualche punta di slo-motion-krautrock<br />
(Nothing Gold), le atmosfere wave degli<br />
Animal Collective (Forever Young, sì lo stesso titolo<br />
dei bistrattati Alphaville), percussioni e synth à la Japan<br />
(Fight Club) o Depeche Mode (Wrong Blood), echi<br />
now’ in trip cosmici (Paranoid), suoni da Commodore<br />
64 (Perfect Kiss) e una forma di retrofilia che abbiamo già<br />
ampiamente sperimentato con l’ultimo M83 (Labyrinth).<br />
Citazionismi colti (il titolo è preso da una poesia di S.E.<br />
Hinton), sentimenti di passaggio, colpi di stile con palette<br />
sonore uberposhy (l’introduzione sembra essere presa<br />
da una sequenza del primo Tron): un caleidoscopio<br />
balearic adatto agli angry young men’ che si sentono<br />
inadatti al pogo del concerto degli LCD Soundsystem<br />
e che però hanno ancora sull’hard disk le foto della<br />
sbandata di qualche anno fa per i Rapture. Chiamatelo<br />
revisionismo, chiamatela nostalgia, ma Joakim sa come<br />
trasportarci su un mondo alieno dalle mode (esiterei<br />
infatti a definirlo glo-fi) che con la sua personalissima<br />
estetica è ancora un faro per le nuove generazioni. Fuori<br />
dal tempo.<br />
(7.3/10)<br />
MarCo BraGGion<br />
JohnnYBoY - Meat MY BeatS (autoProDotto,<br />
GiuGno 2011)<br />
Genere: sampleDelia, beats<br />
Johnny Spataro aka JohnnyBoy, calabro di origini,<br />
trapiantato a Firenze, coordinatore di quella crew<br />
OverKnights che ormai conosciamo così bene, arriva<br />
finalmente al primo beat tape, ‘’made with two faithfull<br />
samplers, many minced samples and quite a few over(k)<br />
night sessions’’.<br />
Il ragazzo è ispirato e ne viene fuori un lavoro di ottima<br />
fattura, 15 cut sampledelici tra found voices, accordi<br />
di piano, strumenti a corda, bassi gommosi, scratch (ci<br />
sono le mani di JaJa e Franco Crudo) e sample dai dischi<br />
giusti, con in testa le radici funksoul (Since Yesterday),<br />
il Madlib freejazzofilo (Another One) e smozzichi<br />
dubstepofili (Mereg’s Phillies, con lo zampino infatti di<br />
Manuele Atzeni). Il tutto imbastito su quelle ritmiche<br />
scollate - ma saldamente piantate nell’hip hop (Come<br />
Sono, Sono; Ombra) - che sono la feature chiave delle<br />
nuove produzioni strumentali nostrane, con il pregio<br />
aggiunto di non perdere mai di vista il profilo melodico<br />
del pezzo.<br />
Nel frullatore anche un paio di remix dei compagni di<br />
cordata Daretta e Millelemmi (Bye Bye Baby e Desolato<br />
Isolato) e la westernata S.P. Strollin’ già sul sampler #0.<br />
(7.2/10)<br />
GaBriele Marino<br />
Joker - the viSion (4aD, noveMBre 2011)<br />
Genere: popstep<br />
Fino a due anni fa Joker era la tenebra, uno che con<br />
singoli come Digidesign, City Hopper e Purple City aveva<br />
interpretato il lato più repulsivo e scottante del dubstep,<br />
tanto da guadagnarsi il titolo di “king of bass music”<br />
conferito da XLR8R. Ma era il 2009, i tempi cambiano e<br />
anche lui recentemente ha frequentato le ultime derive<br />
popstep, sollevando dei bei polveroni con singoli come<br />
Tron che suonavano come una rivoluzione del proprio<br />
sound.<br />
Ancora indeciso sul nuovo volto da mostrare in futuro,<br />
il giovane producer accompagna Zomby su 4AD e<br />
pubblica un primo album che segue pedissequamente<br />
le orme del Magnetic Man che fu: popstep ingentilito<br />
che guarda alle classifiche (vedi la Woon-inspired Here<br />
Come The Lights, o la Jessie Ware già vista nei pressi di<br />
SBTRKT qui presente in The Vision come clone di Katy B),<br />
highlight<br />
feiSt - MetalS (univerSal, ottoBre 2011)<br />
Genere: folk pop<br />
Tra le voci femminili di area songwriting sbocciate nella decade scorsa, quella di Leslie Feist è tra le più<br />
intriganti per quel suo modo di smarcarsi tra presente e passato, il timbro languido e disincantato di<br />
chi vive la tradizione come un gesto tra gli altri per traghettare l’oggi nel<br />
domani, e senza perdersi in nostalgie che semmai c’è da mettere in scena<br />
struggimenti e inquietudini contemporanee (e ciò spiega la scelta di due<br />
collaboratori di lungo corso come Chilly Gonzales e del somalo/canadese<br />
Mocky alla produzione). I quattro anni di attesa dal predecessore The Reminder<br />
sono una conferma dell’indole aliena di questa ragazza, refrattaria<br />
ai ritmi convulsi dell’era internet eppure per nulla a disagio nel carosello<br />
mediatico che la vede protagonista di teaser evocativi e book fotografici<br />
che sfondano lo schermo (con quella sua bellezza indocile e spigolosa da<br />
giovane Patti Smith).<br />
Una dimensione contraddittoria cui il qui presente Metals - quarto album in dodici anni - apparecchia<br />
scenografie ottimali in cui consumarsi, dodici tracce sospese in un delizioso, suggestivo strabismo<br />
estetico, il folk-pop evoluto e i detriti soul, la ballata come archetipo necessario e tela da inzaccherare<br />
con estro terrigno e post-moderno. Vedi l’incedere solenne à la Will Oldham di Graveyard, morbidezze<br />
brass di fondo e lo sconcerto sottile di quel canto da nipotina scafata di Joni Mitchell, più lo sfarfallio<br />
allegorico dei coretti che rammentano il sempre caro Sufjan Stevens. Oppure vedi la notevole A Commotion,<br />
ovvero l’incontro tra Kate Bush e PJ Harvey nell’universo parallelo del pop-rock dei nostri sogni,<br />
tensione bluesy e vampe avant sulla spinta incalzante degli archi.<br />
O ancora, con intenzioni certo più carezzevoli, confezionando quella How Come You Never Go There che<br />
diresti frutto d’una Norah Jones più autorevole e strutturata oppure d’una Joan As Police Woman ricondotta<br />
a più miti consigli roots. C’è anche modo di ripensare alla Cat Power memphisiana - di per sé<br />
già tutta una sagra di disillusione e riarticolazioni - nelle venature gospel elettrizzate della opener The<br />
Bad In Each Other, così come al country folk ruvido e fragrante di Lucinda Williams in quella Comfort<br />
Me che s’abbandona a striature liriche Joanna Newsom via Tori Amos, mentre Anti Pioneer spalma soul<br />
come bitume su una ballad che mastica inquietudini Beth Gibbons e poi si concede una stordente,<br />
azzeccatissima agnizione orchestrale.<br />
Per quanto mi riguarda Feist ha trovato la chiave giusta per realizzarsi, ha rivelato se stessa come cantautrice<br />
a cavallo tra saldezza e smarrimento, vale a dire nel pieno dell’attrito emotivo che caratterizza<br />
i nostri strani giorni.<br />
(7.3/10)<br />
Stefano Solventi<br />
alternato a momenti bass secondo ricetta Skream (My<br />
Trance Girl e la stessa Tron). Un Joker vittima dei tempi<br />
ma con un ritardo accumulato di un anno, tanto che alla<br />
fine il sopracciglio si inarca di sorpresa solo nel lato B<br />
del disco, sui tagli ghetto-rap di Lost e Back In The Days<br />
o sull’r’n’b per le chart di On My Mind e Electric Sea, figlie<br />
del Craig David più UK garage.<br />
Tutto materiale largamente consolidato e privo di una<br />
netta impronta carismatica: la tappa più attesa del talento<br />
di Bristol è una miccia inesplosa, un inciampo che,<br />
col senno di poi, era quasi annunciato. Ora sì che urge<br />
un restyling completo.<br />
(5.8/10)<br />
64 65<br />
Carlo affatiGato<br />
Jonti - twirliGiG (StoneS throw, ottoBre<br />
2011)<br />
Genere: wonky / sunshine pop<br />
Nel mondo dei ‘’giovani music maker’’ che si fanno le<br />
ossa, prima di esordire con un disco tutto loro, come<br />
turnisti per artisti già affermati, quello che sicuramente<br />
non manca è la sapienza produttiva. Quello che invece