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francobeat Leon pauL winter - Sentireascoltare

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Se infatti ci si chiedeva quanto credessero a ciò che stavano<br />

mettendo in mostra con Shadow Temple, gustoso<br />

melt di psych, freakeria raga/free-folk e now-age, Trust<br />

Now toglie ogni dubbio: queste non ci fanno, ci sono<br />

proprio. Che in musica equivale a spingere sull’acceleratore<br />

della freakness, sfiorare lande semi-new age e<br />

world alla Natacha Atlas (l’opener Rest In Peace), svicolare<br />

verso immancabili intrusioni hypna, retrocedere verso<br />

arie (quasi)classiche (Golden Silence) lasciando però un<br />

gusto amarognolo in bocca. Come se ci si ritrovasse ad<br />

ascoltare uno di quei dischi che gli “arancioni” vendono<br />

ai mercatini, ma decisamente fuori tempo massimo.<br />

Le atmosfere misticheggianti e lo scampanellare estatico<br />

(Summer Of Love), le ossessioni vocali reiterate (Trust,<br />

Portaling) sempre venate da elettronica povera, l’immaginario<br />

spirituale da “terzo occhio” (Incarnation) puntano<br />

alla deturpata sensibilità “ritual-pop” storta e weird<br />

tipica della casa madre Paw Tracks. Il problema è che<br />

purtroppo non riescono appieno, come succede in altri<br />

esempi del catalogo della label americana. Diciamo il<br />

disco ideale per la ricerca della pace interiore o una palla<br />

tremenda. Dipende dai punti di vista e dalle droghe<br />

usate. Sufficienza di stima.<br />

(6/10)<br />

Stefano Pifferi<br />

PuMaJaw - DeMonMeowMeow (BeDevil,<br />

noveMBre 2011)<br />

Genere: wave folk<br />

Due anni (abbondanti) dopo il buon Curiosity Box, torna<br />

la strana coppia John Wills e Pinkie Maclure, il primo<br />

già fautore dei suoni nei Loop e la seconda chanteuse<br />

post-moderna dal piglio fascinoso e misteriosamente<br />

bizzarro. Giunti al terzo titolo sotto l’egida Pumajaw - e<br />

che titolo: Demonmeowmeow - decidono di svoltare<br />

smarcandosi da quella specie di folk mutante per imbarcare<br />

ibride suggestioni trip-hop e wave. Immaginatevi<br />

una miscela instabile di tremori Portishead e lirismo<br />

sintetico Yazoo, guarnita con un pizzico di solennità<br />

ombrosa Nico ed una spolverata d’estro acidulo weird.<br />

Soprattutto, immaginatevi che funzioni: proprio così,<br />

ogni traccia un teatrino squinternato ma dotato di consistenza<br />

progettuale, ovvero mirato ad una dimensione<br />

noir irrealistica ma in qualche modo plausibile.<br />

Tra i momenti migliori segnalerei una Mask che spalma<br />

inquietudini morriconiane su esoterico pattern digitale,<br />

la curiosa Chinny Chin Chin che guizza truce e beffardella<br />

(tipo Marianne Faithfull ammaliata Beth Gibbons), una<br />

Tallulah che incede cinematica tra turbolenze eniane (un<br />

po’ come potrebbe la cuginastra scellerata di Goldfrapp)<br />

e la opener The Mazy Laws dall’estro cavernoso che ti fa<br />

ipotizzare i Lamb in fregola dEUS. Mancano all’appello<br />

dei veri colpi di genio, ma in questi tempi di revivalismo<br />

pervadente e spesso coatto, riuscire a fare storia a sé è<br />

già un risultato considerevole.<br />

(6.8/10)<br />

Stefano Solventi<br />

raoul Sinier - GuiltY CloakS (aD noiSeaM,<br />

luGlio 2011)<br />

Genere: elettronica<br />

Raoul Sinier è un musicista che conosce alla perfezione<br />

i ferri del mestiere. Come un regista hollywoodiano da<br />

film di cassetta, usa le tecniche giuste e ottiene il risultato<br />

desiderato. Basterebbe la copertina per scovare i<br />

cliché del genere introspettivo: una sedia vuota in un<br />

luogo buio, un uomo seduto dall’aria afflitta dietro a una<br />

maschera. L’elettronica d’atmosfera cupa e fredda dell’album<br />

non fa che ribadire il concetto: l’apertura Overture 5<br />

è talmente stereotipata da arie orrorifiche e inquietanti<br />

da uscire direttamente dalla colonna sonora di un B-movie<br />

degli anni 80, così Too Late di quel periodo ripesca le<br />

melodie a 8 bit e certe sonorità synth-dark in maniera<br />

pedissequa e Summer Days. Per la serie, sotto il vestito...<br />

(5.5/10)<br />

franCeSCo aSti<br />

raS G - Down 2 earth (raMP, luGlio 2011)<br />

Genere: beats<br />

Gregory Shorter Jr. aka Ras G, dj, produttore, co-fondatore<br />

della label undeground Poo-Bah, è il più antitecnologico<br />

della cerchia dei brainfeederiani, ‘’working<br />

thru obsolete tools to reach back in time and pluck out the<br />

essence of groove’’. Abbiamo già avuto modo di apprezzarne<br />

la capacità di sintesi e l’approccio ruvido, istintivo,<br />

pesantemente psichedelico nel documentario Secondhand<br />

Sureshots della Dublab. Questa, tra cd-r, mp3 e<br />

cassettine, è la sua quinta prova lunga.<br />

Ras conferma tutto, ma senza guizzi particolari, con una<br />

raccolta di ben 21 scure schegge psichedeliche che alternano<br />

ritagli, strumentali compiuti e strumentali ‘’in<br />

attesa del rappato di qualcuno’’. Esplicita la filiazione rapblues<br />

(il profetico, millenaristico, ossessivo mantra Who<br />

will survive in America di Gil Scott-Heron) e funk (James<br />

Brown), per un buon lavoro senza cedimenti ma anche<br />

senza picchi.<br />

(6.5/10)<br />

GaBriele Marino<br />

retox - uGlY aniMalS (iPeCaC reCorDinGS,<br />

noveMBre 2011)<br />

Genere: screamo<br />

Decentrata ma non troppo, nel recente passato San Diego<br />

ha saputo offrire una “scena” assai stimolante non<br />

solo per quei Three Mile Pilot di recente tornati sulle<br />

scene, per l’errebì intinto nel garage-punk dei disciolti<br />

Rocket From The Crypt e per le contorsioni tra indie e<br />

math dei leggendari Drive Like Jehu. Approfittando del<br />

contesto geografico, l’incestuosità ha colà permesso lo<br />

sviluppo di un sottobosco composito all’insegna della<br />

bruciante creatività, che dallo straight edge degli Unbroken<br />

è giunta fino alle melodie oblique dei Pinback<br />

tramite un approccio furibondo e caotico all’hardcore - il<br />

famigerato screamo - portato avanti nei primi anni ’90<br />

da Heroin, Antioch Arrow e Swing Kids.<br />

Allo scopo di sconfiggere l’emicrania scatenata dalla ridda<br />

di sotto-sotto-generi testé elencati, potete concedere<br />

un ascolto giustappunto ai Retox, supergruppo allestito<br />

da Justin Pearson, Gabe Serbian, Michael Crain e Thor<br />

Mickey. Gente che, tra il resto, ha ricoperto un ruolo rilevante<br />

in Locust, Some Girls e Festival Of Dead Deer<br />

e della quale è conseguentemente facile intuire l’attuale<br />

proposta. Un rapidissimo, crudo assalto che sciacqua in<br />

ricordi grind-core schegge gotiche e metal-punk trattenendo<br />

forma sufficiente a impedire il caos e tratteggiando<br />

una ruvida denuncia sociale. I fan gradiranno: tutti gli<br />

altri lascino le speranze prima di entrare. A loro rischio<br />

e pericolo, sia chiaro.<br />

(7/10)<br />

GianCarlo turra<br />

roB Crow - he thinkS he’S PeoPle<br />

(teMPorarY reSiDenCe, ottoBre 2011)<br />

Genere: math inDie pop<br />

Con all’incirca una quindicina di progetti sulle spalle - i<br />

più riusciti dei quali sono probabilmente i Pinback in<br />

campo indie rock, e i Goblin Cock in area stoner-metal<br />

(imperdibili anche i loro video) - Rob Crow è uno dei<br />

musicisti più prolifici degli anni ‘00. Questa volta lo ritroviamo<br />

in veste solitaria proseguire note coordinate<br />

math-indie-pop.<br />

Va avanti a passi piccoli Rob Crow. Piccolissimi. Rispetto<br />

al predecessore (Living Well del 2007), He Thinks He’s<br />

People mette da parte lo spirito giocoso ed ha l’aria un<br />

po’ più malinconica: forse a cambiare davvero è solo<br />

questo, solo l’atmosfera. Per il resto la formula si affina<br />

ma rimane pressoché invariata, ed è destinata quindi a<br />

riscontrare gli stessi pregi e gli stessi difetti di sempre.<br />

I pregi si riassumono nei primi sei brani, che se fossero<br />

usciti come ep avrebbero fatto parlare di sé con maggior<br />

interesse. Il frullato propone: ballate in stile Pavement<br />

(Sophistructure), naturali retaggi Pinback (Tranked, Prepared<br />

To Be Mine), una sparata alla Battles (Build) e l’avvicinamento<br />

ad un pop-post-rock sulla scia degli ultimi<br />

Mogwai (Scalped). Fin qui tutto perfetto, Crow è abile<br />

nel trovare riff in stile math anche con l’acustica (This<br />

Thread), e complice la batteria pestata il lavoro riesce<br />

a discostarsi dal sapore indie più classico. I problemi<br />

nascono nella seconda metà del disco, quando la ripetizione<br />

del canovaccio inizia a mostrare la corda sul versante<br />

songwriting (Purpose, Unstable), andando anche<br />

fuori fuoco in un paio di occasioni (Locking Seth Putnam<br />

In Hot Topic e il finale di Hangnailed). Peccato perché c’è<br />

una scrittura in pieno modernariato pop (con canzoni<br />

che si aggirano attorno ai due minuti) e un innegabile<br />

talento compositivo che lasciano intravedere parecchi<br />

rimpianti per questo He Thinks He’s People.<br />

Poteva essere molto di più del solito disco onesto e sincero.<br />

(6.9/10)<br />

Stefano Gaz<br />

SChnaak - wake uP ColoSSuS (DiSCorPorate<br />

reCorDS, MaGGio 2011)<br />

Genere: noise-rock<br />

SchnAAk è la band di Mathias Jähnig e Johannes Döpping,<br />

musicisti berlinesi ma solo come dato geografico,<br />

punto sulla mappa, accidente biografico, verrebbe da<br />

dire. Il corpo sonoro di Wake Up Colossus, esordio della<br />

band, è un noise-rock eclettico preso a mani piene dai<br />

Novanta americani, adagiato però poco su allori e molto<br />

sulla ricerca di coordinate incrociate.<br />

La tradizione del rock con chitarre tirate si sfoga nelle<br />

prime tracce, per poi lasciare spazio alla complessità,<br />

e a quello spettro che dalla california del frammento e<br />

della struttura obliqua si combina a Polvo, Sonic Youth,<br />

e a tutta la scuola alternative del rock fuori classifica.<br />

Altrove le variabili aumentano con la strumentazione.<br />

Lo xilofono, i vari giocattoli usati, le tastiere e gli effetti<br />

sono però presi in carico nell’arrangiamento più come<br />

oggetti sonanti che come strumenti, quasi l’attesa della<br />

chitarra li intimidisse.<br />

Eppure i numeri gustosi non mancano: Knuus sembra<br />

provenire dai DNA o dai loro figliocci Blonde Redhead,<br />

così come Herero si spinge oltre i confini della decade<br />

e va a intercettare Deerhoof e Battles. Non c’è malizia<br />

nell’operazione ma leggerezza, cosa che più convince di<br />

SchnAAk, e che immaginiamo possa galvanizzare un uditorio<br />

teutonico meno avvezzo a revisioni Nineties così<br />

speziate. Ora aspettiamo l’esito dell’esercizio.<br />

(6.5/10)<br />

GaSPare Caliri<br />

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