francobeat Leon pauL winter - Sentireascoltare
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troPiCS - ParoDia flare (Planet Mu<br />
reCorDS, SetteMBre 2011)<br />
Genere: shoeGaze Glo<br />
Se il glo-fi dovesse venire a mancare di qui a breve, probabile<br />
che sia questo il primo modo in cui verrà riempito<br />
il vuoto: un pop sfumato a colori pastello, che riversa la<br />
sua nostalgia sgranata su trame oniriche storicizzate à la<br />
Cocteau Twins, ma che fa comunque tesoro dei mood<br />
da cameretta di Memory Tapes e compagnia. La parabola<br />
glo in senso stretto la si lascia alle spalle, la si usa<br />
come lente focale per guardarci attraverso e puntare al<br />
passato remoto, e in un modo o nell’altro son sempre<br />
gli ‘80 a venir fuori.<br />
Sembra non avere altre ambizioni che questa Chris Ward,<br />
la nuova scommessa Planet Mu sotto la voce Tropics,<br />
già edito l’anno scorso con il singolo Soft Vision. L’album<br />
amplia quelle che all’inizio erano primizie electro-pop,<br />
integrandole con una malinconia tanto vicina a Toro Y<br />
Moi (Going Back) e adagiandole su tinte shoegaze melliflue<br />
(Playgrounds, Parodia Flare) se non visioni propriamente<br />
ambient (Celebrate). Senza disdegnare un pugno<br />
di ballate intimiste devote a Thom Yorke (Mouves), ma<br />
con una fedeltà vintage a un tanto così dall’acid jazz (On<br />
The Move). Tutte idee che reggono, ma che non possono<br />
prescindere da un importante dose di carattere. L’album<br />
tenue e sottile è ben accetto, ma così il rischio è che<br />
diventi impalpabile.<br />
(6.2/10)<br />
Carlo affatiGato<br />
tYCho - Dive (GhoStlY international,<br />
noveMBre 2011)<br />
Genere: ambient<br />
Scott Hansen, artista di San Francisco, in arte Tycho,<br />
ha innata l’arte della manipolazione, oltre alla capacità<br />
di conquistare il pieno riempiendolo di vuoti. Il nuovo<br />
Dive non fa altro che confermare il tutto - già santificato<br />
dagli altri - agonizzando l’ascoltatore tra piacevolezze<br />
dreamy e ottusità monocolori, prima di sparire tra le<br />
sabbie mobili di un immobilismo concettuale e sonoro,<br />
dove a mancare non è l’equilibrio, ma il cambio di passo,<br />
il lancio in profondità, o meglio, la rincorsa.<br />
La ricetta è semplice e mal digerita, come la direzione,<br />
troppo pietrificata per questi tempi disinvolti: lenzuolate<br />
oniriche in bilico tra post rock a senso unico e (tentate)<br />
sensazioni elettroniche. A fare da contorno, l’elemento<br />
disturbatore di turno, la variabile post punk (Dive), la freschezza<br />
assopita tipicamente eighties (ovunque eppure<br />
in nessun luogo) oppure saliscendi danzerecci insignificanti<br />
(Coastal Brake), o infine, senza alcuna direzione,<br />
vedi l’incompiuta Ascension, sviluppo avariato dopo un<br />
approccio sognante invidiabile. Un cambio di velocità<br />
standardizzato, dove la creatività viene sommersa dalla<br />
maniera (Hours) o dall’apparenza sintetica che non restituisce<br />
il fuoco delle intenzioni, senti la sapida Daydream.<br />
A Walk rincorre la paura di ballare dei Port Royal, e quasi<br />
si sorride estasiati, episodio raro e quasi devastante se<br />
rapportato con gli impalpabili riempitivi di Melanin ed<br />
Epigram, a futura imitazione degli irraggiungibili Board<br />
Of Canada. Dive è pelle, raramente carne e anima, un<br />
unicum sonoro fatto d’intenzioni, svuotato di azioni.<br />
Le idee, confezionate egregiamente, si contano su una<br />
mano con tre dita.<br />
La sufficienza è abbondante e d’obbligo, rincuorata<br />
dall’unica immersione, dal respiro ammaliatore di Elegy,<br />
strutturata speranza nel futuro. Dive è un’immagine<br />
senza immagini, inusuale per un’artista, ridondante per<br />
l’ascoltatore.<br />
(6.3/10)<br />
feDeriCo Pevere<br />
ultiMo attuale CorPo Sonoro - io riCorDo<br />
Con raBBia (Manzanilla, noveMBre 2011)<br />
Genere: post-rock<br />
Gestire testi rabbiosi, declamati e catartici su un’estetica<br />
che inevitabilmente richiama l’asse Massimo Volume<br />
/ Offlaga Disco Pax non è impresa facile: il rischio è di<br />
sfociare nella retorica più oltranzista e banale, come di<br />
foraggiare, musicalmente parlando, un senso di déjà vu<br />
che non può portare a nulla di buono. Per questo la scrittura<br />
diventa, ancor più nel caso degli Ultimo Attuale<br />
Corpo Sonoro, momento fondante: un soppesare i toni,<br />
un dosare l’intensità, un reggersi in bilico tra musica e<br />
parole che renda il tutto credibile e, soprattutto, condivisibile.<br />
Oltre la facile invettiva politica e alla ricerca di<br />
storie rubate alla memoria collettiva.<br />
L’esempio da seguire è quello della Empirismo eretico dedicata<br />
a Pier Paolo Pasolini nel disco d’esordio Memorie e<br />
violenze di Sant’Isabella, brano di cui Io ricordo con rabbia<br />
sembra idealmente lo sviluppo. Chiudere il cerchio - o<br />
per meglio dire ampliarlo progressivamente - con un<br />
pugno di brani al solito schierati e toccanti in cui all’imperialismo<br />
e al terrorismo di stato (la Flight Data Recorder<br />
dedicata alla tragedia di Ustica, una Undici settembre millenovecentosettantatrè<br />
ispirata dalla parabola di Salvador<br />
Allende e del musicista Victor Jara) si mescolano vittime<br />
predestinate (una Fortapàsc che ripercorre l’omicidio del<br />
giornalista Giancarlo Siani), ma anche riferimenti palesi<br />
a personaggi politici di primo piano (Tessera P2# 1816).<br />
Violenza (emotiva) e verità urlate, vicende tragiche e<br />
“oscure” da riportare a galla. Per farlo il gruppo sceglie la<br />
strada più immediata e intrigante: accelerare il post-rock<br />
etereo e stratificato che regolava il disco precedente in<br />
una copula urticante ai confini col noise in stile Godspeed<br />
You! Black Emperor. Con certi crescendo fulminanti di chitarra<br />
elettrica, basso, tastiere e batteria che si dimostrano<br />
una spalla perfetta per i testi poetici di Gianmarco Mercati,<br />
questi ultimi quasi sommersi dal flusso empatico<br />
che si sviluppa con il trascorrere dei minuti.<br />
Le retorica, dicevamo: per ora gli Ultimo Attuale Corpo<br />
Sonoro dimostrano di saperla arginare con un disco riuscito<br />
e all’altezza del già ottimo esordio. Quanto ancora<br />
un approccio di questo genere possa funzionare senza<br />
suonare autoreferenziale - il pattern stilistico in fondo<br />
non cambia di molto, è la potenza evocativa dei brani a<br />
far la differenza - non è dato saperlo.<br />
(7.2/10)<br />
faBrizio zaMPiGhi<br />
uYuni - uYuni (tafuzzY reCorDS, Marzo<br />
2011)<br />
Genere: post/finGerpickinG<br />
C’è il fuoco sacro di John Fahey dietro a Uyuni, nuovo<br />
progetto di Lompa e Inserirefloppino, già compagni<br />
di band in mrBrace e B.I.P.. C’è una memoria collettiva<br />
che dal folk-blues primitivista americano - filtrato coi toni<br />
del raga indiano - arriva a lambire il post-rock scozzese<br />
e i Novanta italiani (lo spoken word di E Adesso Dove Ci<br />
Troviamo, una sensibilità cantautoriale da Consorzio Produttori<br />
Indipendenti in Qui).<br />
La formula ricorda The Epiphany Of Glenn Jones dei<br />
Cul De Sac, pietra angolare per chi guarda al fingerpicking<br />
del maestro e lo intarsia di synth e tappeti elettronici<br />
- e di fatto canto del cigno di Fahey. La chiave<br />
compositiva e di lettura è più narrativa, meno pregna<br />
d’inquietudine e di scomposizioni paranoiche rispetto<br />
all’esperimento tardivo degli amici John e Glenn. La strada<br />
seguita da Uyuni mette di fatto sempre in prima fila<br />
i fraseggi della seicorde, la sua riconoscibilità e accessibilità,<br />
messa in discussione forse solo dalla finale Cairngormos,<br />
brano nato sotto il segno delle strutture dei<br />
June Of 44 ma quasi Neu!-iano nella distensione con<br />
cui trova una realizzazione solare nella seconda parte.<br />
Fatti i conti con ciò che risuona nell’aria mentre si ascolta<br />
l’esordio del duo, ci si rende conto che il noto non<br />
è banalmente un già sentito ma un punto di partenza,<br />
un contesto di condivisione, un mondo astratto epperò<br />
conosciuto dove sentirci a nostro agio, su cui i due lavorano<br />
e fanno emergere le penne e la scrittura. Ci è già<br />
successo qualcosa di simile affrontando il lavoro di Egle<br />
Sommacal (uno su tutti), accade lo stesso con Uyuni,<br />
capaci di smarcarsi, pur usando approcci non così divergenti,<br />
dal post-rock emozionale che continua a riempire<br />
tante, troppe etichette italiane. È il fuoco sacro, si diceva.<br />
(7/10)<br />
GaSPare Caliri<br />
vena viola - SMaSh uP (autoProDotto,<br />
aGoSto 2011)<br />
Genere: trip hop<br />
A volte lo noti subito dalla copertina. Quelle copertine<br />
che ti indirizzano, ti aprono la strada del percorso che<br />
stai per intraprendere. Quella di Smash Up dei Vena Viola<br />
da Benevento è una strada complicata. Dal cuore della<br />
Campania dritti nella fumosa Bristol del trip-hop. Non<br />
è un percorso così scontato, perché alcune volte c’è da<br />
fare i conti con altri fattori, quelli del tuo DNA, della tua<br />
terra o (per dirla con un termine brutto) delle tue radici.<br />
A Benevento non ci sono tante fabbriche quante ce ne<br />
saranno a Bristol, ma forse quel clima di provincia, di<br />
frontiera che respirano i posti come quello, non è così<br />
diverso. Infondo anche gli Almamegretta avevano già<br />
questo tipo di approccio.<br />
I temi che scottano, giorno dopo giorno in queste terre,<br />
sono il pane quotidiano per chiunque voglia intraprendere<br />
un’attività più o meno artistica. Non ci si meravigli,<br />
dunque, se l’insieme delle cose collega due mondi così<br />
apparentemente distanti. Smash Up è un album d’impatto.<br />
Pulito, ghiacciato, scuro, essenziale Più che nel<br />
mettere, la bravura dell’artista in certi contesti sta nel<br />
togliere: quando la soglia dell’ipnosi si abbassa ai soli<br />
vocalizzi di Veta, vuol dire che il gioco è vinto. L’ascoltatore<br />
rimane sotto scacco, immerso in piccole cavalcate<br />
di drum machine, e riff ossessivi di chitarra. L’essenza è<br />
tutta lì. L’onirico mondo dei Portishead, quello fatto di<br />
lontani segnali da mondi sconosciuti, è qui filtrato da<br />
ridondanti violini e organi synth, color arcobaleno, che<br />
alla fine lasciano sperare che la situazione è sotto controllo.<br />
Aggiungiamo poi che il tutto è stato concepito per contestualizzare<br />
e permeare di lampi e suoni la mostra di<br />
Gianluca Russo e si torna al percorso da intraprendere,<br />
di cui sopra. A volte non si tratta di fare canzoni, ma di<br />
scrivere delle immagini.<br />
(7.2/10)<br />
nino CiGlio<br />
verYShortShortS - MiniMal BooM! (riff<br />
reCorDS, ottoBre 2011)<br />
Genere: Jazz rock<br />
Li abbiamo scoperti lo scorso anno con Background<br />
Music For Bank Robberies, sorta di carosello di<br />
soundtrack poliziesche in differita dall’iperuranio dei<br />
film potenziali. Estro, ingegno e disinvoltura fin dove<br />
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