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Burundi - Jesuit Refugee Service

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Quale speranza per il <strong>Burundi</strong>?<br />

di Amaya Valcárcel<br />

Il ciclo si ripete. “Lo scorso anno<br />

abbiamo assistito ad alcuni segni<br />

di miglioramento per ciò che<br />

riguarda la salute dei bambini<br />

sfollati che avevano sofferto a causa<br />

di una grave malnutrizione. Ora<br />

si vedono segni differenti: capelli<br />

che diventano bianchi, visi, pance e<br />

estremità gonfie”.<br />

La riflessione di Sylvie, medico che<br />

lavora con il JRS <strong>Burundi</strong>, echeggia la<br />

disperazione di una popolazione costretta<br />

a subire sette anni di una guerra<br />

civile che ha dilaniato il paese. La<br />

guerra, combattuta tra i gruppi armati<br />

di opposizione hutu da una parte e il<br />

governo e l’esercito controllati dai tutsi<br />

dall’altra, è costata la vita a migliaia di<br />

persone causando lo sfollamento di più<br />

di un milione di burundesi, più di<br />

800.000 dei quali sono stati sfollati all’interno<br />

dello Stato. Ciò significa che<br />

vi è una media di uno sfollato ogni otto<br />

civili. In <strong>Burundi</strong>, la violenza degli scontri<br />

si è intensificata durante lo scorso<br />

agosto, quando gli attacchi dei ribelli alla<br />

capitale, Bujumbura, hanno provocato<br />

selvagge rappresaglie dell’esercito.<br />

Come sempre, i civili sono stati gli innocenti<br />

obiettivi di entrambe le parti in<br />

conflitto.<br />

A settembre, per reagire all’escalation<br />

della violenza dei combattimenti,<br />

il governo ha evacuato due terzi della<br />

popolazione della zona rurale di<br />

Bujumbura - principalmente poveri<br />

contadini di etnia hutu - dalle proprie<br />

case trasferendoli in squallidi campi<br />

“di raccolta” (vedi foto in testa). Un<br />

Un giorno siamo stati portati<br />

via dalle nostre case e<br />

condotti su questo pezzo di<br />

terra.<br />

totale di circa 340.000 persone sono<br />

state forzatamente sfollate in più di 50<br />

campi. Tuttavia, è ormai noto che la<br />

politica “di raccolta” attuata dal governo<br />

è soprattutto una strategia di<br />

contrafforte alla guerriglia.<br />

Per quanto “valido” fosse il motivo<br />

per sfollare i civili, il governo non è stato<br />

in grado di fornire neppure i servizi es-<br />

senziali alla popolazione ammassata nei<br />

campi organizzati dallo Stato stesso.<br />

“Un giorno siamo stati portati via dalle<br />

nostre case e condotti su questo pezzo<br />

di terra. Non vi erano ripari e così dovemmo<br />

costruire capanne con foglie di<br />

banano e rami. Una ONG ci ha dato<br />

teloni di plastica da usare come tetti”,<br />

ha raccontato un uomo.<br />

Alle organizzazioni umanitarie<br />

non è stato concesso di accedere ai<br />

campi per un mese; dopo alla maggior<br />

parte di queste è stato concesso un<br />

accesso limitato. A ottobre il JRS ha<br />

avuto il permesso di iniziare il proprio<br />

lavoro in due campi, collaborando<br />

con il Catholic Relief <strong>Service</strong>s - CRS<br />

e con il World Food Program - WPF<br />

nella distribuzione dei pasti. Abbiamo<br />

deciso di intervenire perché la popolazione<br />

versava in un evidente stato di<br />

bisogno. Abbiamo cosí risposto, insieme<br />

ad altre organizzazioni religiose, alla<br />

richiesta della chiesa locale.<br />

Dobbiamo fermarci a riflettere sul<br />

lavoro del JRS nei campi nei quali il<br />

governo ha sfollato la popolazione del<br />

proprio Stato. Una considerazione a<br />

6 Servir

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