DOSTOEVSKIJ, il filosofo del male e della libertà - Liceo Statale ...
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Memorie <strong>del</strong> sottosuolo ( 1865)<br />
Delitto e castigo ( 1866 )<br />
L’idiota ( 1869 )<br />
I demoni ( 1872 )<br />
I fratelli Karamazov ( 1880 )<br />
F. M. <strong>DOSTOEVSKIJ</strong> (1821- 1881)<br />
IL FILOSOFO DEL MALE E DELLA LIBERTA’<br />
Dostoevskij, nella letteratura contemporanea, è forse l’artista che più acutamente ha intuito<br />
<strong>il</strong> carattere infinitamente problematico <strong>del</strong>l’uomo e <strong>del</strong> suo destino nel mondo. Per questo<br />
motivo i suoi grandi romanzi presentano un eccezionale interesse per la f<strong>il</strong>osofia.<br />
La prima opera di Dostoevskij che affronta tematiche f<strong>il</strong>osofiche è Memorie <strong>del</strong><br />
sottosuolo, <strong>del</strong> 1865. Quest’opera è ricca di spunti f<strong>il</strong>osofici e costituisce una dura presa<br />
di posizione, in nome <strong>del</strong>l’individuo e <strong>del</strong>la sua <strong>libertà</strong>, contro gli ideali <strong>del</strong>la modernità. La<br />
reazione al positivismo razionalistico è spinta fino agli eccessi <strong>del</strong>la più totale irrazionalità<br />
.Dostoevskij rifiuta con forza la f<strong>il</strong>osofia positivistica e materialistica, allora dominante<br />
anche in Russia giudicandola un insieme di “chiacchere logiche “ fondate su<br />
un’antropologia errata .Per Dostoevskij la razionalità esprime solo la dimensione<br />
superficiale <strong>del</strong>l’uomo ( <strong>il</strong> venti per cento di tutte le sue facoltà ); mentre la dimensione<br />
profonda <strong>del</strong>l’uomo ( sim<strong>il</strong>e a ciò che Freud chiama inconscio ) non è razionale e non sarà<br />
mai totalmente razionalizzab<strong>il</strong>e.<br />
La “ mente euclidea “, cioè la razionalità scientifica <strong>del</strong> pensiero moderno , vuole<br />
razionalizzare la società e <strong>il</strong> mondo : ma è destinata all’insuccesso, perché – afferma<br />
Dostoevskij – l’uomo talvolta “ama appassionatamente anche la distruzione e <strong>il</strong> caos “ e<br />
“può desiderarsi addirittura <strong>il</strong> <strong>male</strong> e cose assurde e stupidissime “.<br />
Nel cuore <strong>del</strong>l’uomo ci sono antitesi profonde, insuperab<strong>il</strong>i, che producono <strong>il</strong> fenomeno<br />
<strong>del</strong>lo “sdoppiamento “; esso si rende evidente in chi è profondamente malvagio e in chi ha<br />
particolarmente sofferto . Il fenomeno <strong>del</strong>lo sdoppiamento viene descritto, da un punto di<br />
vista psicologico , nel romanzo “Il sosia “ ; da un punto di vista ontologico, invece, nei<br />
romanzi <strong>del</strong>la maturità , attraverso personaggi come Smerdjakov , che è <strong>il</strong> “doppio “ di Ivan<br />
nei “ Fratelli Karamazov “ ( 1880 ), o come Stavrogin nei “Demoni “ ( 1872 ) che ha due<br />
“doppi “ : Petr Verchovenskij e Satov .<br />
C’è nell’uomo un vorticoso processo dialettico, che mai si ferma : esso è la vita stessa. E<br />
la ragione che vuole imporre schemi astratti, prefissati, diventa una pericolosa nemica .<br />
“Questo due più due fa quattro non è la vita, bensì <strong>il</strong> principio <strong>del</strong>la morte . Dostoevskij<br />
nega anche che l’uomo aspiri veramente alla felicità e che sia disposto sempre ad agire<br />
secondo <strong>il</strong> proprio tornaconto: a volte preferisce la <strong>libertà</strong> oltre ogni interesse e<br />
convenienza; perciò sceglie l’irrazionale, l’arbitrio, <strong>il</strong> dionisiaco : “ Si può benissimo voler<br />
qualcosa a dispetto <strong>del</strong> proprio interesse “. La volontà è autonoma e pretende di avere <strong>il</strong><br />
diritto di affermare la propria stupidità ; Dostoevskij si domanda e propone : “ Non sarebbe<br />
<strong>il</strong> caso di dare un calcio a tutta questa ragionevolezza nell’unico intento di mandare al<br />
diavolo tutti i logaritmi e di tornare a vivere a nostro modo ? “<br />
1
L’uomo <strong>del</strong> sottosuolo afferma <strong>il</strong> principio di <strong>libertà</strong> individuale di fronte al <strong>male</strong> e alla<br />
sofferenza. Pensatore solitario, anticipatore dei “f<strong>il</strong>osofi <strong>del</strong>l’arbitrio” dei romanzi<br />
successivi, egli affronta con lucidità diabolica <strong>il</strong> diritto <strong>del</strong>l’uomo anche di sprofondare nel<br />
“sottosuolo” (tana, miseria, <strong>male</strong>, sofferenza) e detesta l’utopia di una società giusta,<br />
libera dal dolore. Definisce le idee dei progressisti “tranelli e menzogne”, afferma <strong>il</strong> proprio<br />
diritto a seppellirsi nella sua tana, ad arrovellarsi nell’angoscia, a farsi scoppiare <strong>il</strong> fegato<br />
dalla rabbia. Perché l’uomo, egli sostiene, non sempre agisce secondo una logica<br />
ut<strong>il</strong>itaristica, anzi spesso va contro i propri stessi interessi, contro la propria felicità o<br />
perfino contro la propria pace. Parrebbe ovvio che l’uomo non possa coscientemente<br />
desiderare ciò che è contrario ai suoi interessi, eppure l’uomo è così inafferrab<strong>il</strong>e e<br />
imprevedib<strong>il</strong>e che non potrà mai entrare in un sistema scientificamente organizzato per <strong>il</strong><br />
suo bene senza iniziarne subito la distruzione per affermare anche contro i suoi interessi,<br />
la propria individualità.<br />
L’uomo <strong>del</strong> sottosuolo è uno sconcertante ragionatore. Tutti i futuri rivoltosi di Dostoevskij<br />
saranno dei diabolici ragionatori. Egli afferma e nega. Inventa le “battute” di un ipotetico<br />
interlocutore, di un ipotetico lettore, che in realtà sono <strong>il</strong> pensiero parlato <strong>del</strong> suo alter ego<br />
carico di inebriante disprezzo verso se stesso. Certo, l’inerzia <strong>del</strong> sottosuolo acuisce la<br />
coscienza <strong>del</strong> proprio pantano spirituale, anche se ciò non serve affatto per uscirne. Anzi,<br />
sospinge a crogiolarcisi e a farsene persino un vanto, a riportare a galla le proprie<br />
turpitudini. Per vanità ci si può anche accusare di <strong>del</strong>itti. L’uomo <strong>del</strong> sottosuolo passa<br />
dunque <strong>il</strong> suo tempo a crogiolarsi negli oscuri meandri <strong>del</strong>la psiche, ad analizzare<br />
impietosamente le proprie contraddizioni, a sezionare gesti, comportamenti , pensieri. Un<br />
grumo denso, torbido, contorto di autolesionismo e autocompiacimento: sa perfettamente<br />
di essere diffidente e suscettib<strong>il</strong>e come un pigro, cinico, inconcludente, vendicativo,<br />
vigliacco, ma certamente più intelligente di tutti quelli che gli stanno intorno. In lui<br />
coesistono una incessante volontà di um<strong>il</strong>iarsi e una luciferina smania di emergere. Nel<br />
sottosuolo “sordido e puzzolente” l’uomo si immerge in una rabbia “fredda, velenosa e<br />
soprattutto eterna”. La sua malattia è una sola e inguarib<strong>il</strong>e: ipertrofia <strong>del</strong>la coscienza. E’<br />
una malattia che paralizza, rende inerti. Nel magma velenoso ogni azione si scontra con<br />
una reazione, ogni mossa trova la contromossa. Tutti gli esseri immediati, se sono attivi è<br />
perché sono stupidi o limitati. In loro trionfa la ragione con le sue leggi rigide <strong>del</strong> due più<br />
due fa quattro, trionfa l’esteriorità, la maschera. Ma l’uomo autentico non è così, l’uomo<br />
autentico è quello che sa affondare completamente nella propria coscienza libera e<br />
irrazionale, che non conosce le leggi <strong>del</strong> mondo, non conosce gli schemi astratti<br />
<strong>del</strong>l’intelletto. Il sottosuolo è disarmonia radicale tra ciò che” è intimo e informe e ciò che<br />
ha smercio sociale, disarmonia che alimenta nell’uomo una perpetua e morbosa irritab<strong>il</strong>ità,<br />
un costante senso di irrequietezza e risentimento”(Cantoni). Sottosuolo è scontro<br />
incessante tra pulsioni diverse, tra ordine e disordine, tra regole e caos, tra serenità e<br />
tumulto, tra costruzione e distruzione, tra fantasmi eroici e meschinità quotidiane.<br />
Sottosuolo è negazione, è distruzione, è rifiuto di ogni fissità convenzionale, è<br />
<strong>male</strong>dizione <strong>del</strong>la solitudine. Il sottosuolo con <strong>il</strong> suo dedalo ambiguo resta una tappa<br />
fondamentale nella narrativa dostevskijana : d’ora in poi tutti i personaggi di un cero peso<br />
soffriranno più o meno acutamente di questa “malattia”, vi affonderanno per perdersi<br />
senza speranza, senza soluzione, oppure per risorgere rigenerati. Ma per risorgere, per<br />
uscire dalla palude <strong>del</strong>la propria coscienza contorta bisogna incamminarsi verso<br />
l’accettazione <strong>del</strong>l’altro, <strong>del</strong> prossimo, con un atto d’amore e di um<strong>il</strong>tà, e poi verso<br />
l’accettazione <strong>del</strong>l’Altro, <strong>del</strong> Cristo. Un cammino, una meta di fronte a cui tutti si<br />
troveranno, da Raskol’nikov ai Fratelli Karamazov.<br />
2
Il mito <strong>del</strong>la società perfetta<br />
L’uomo è affascinato dal mito <strong>del</strong>la società perfetta, che identifica nel massimo <strong>del</strong>la<br />
razionalizzazione. Per Dostoevskij questo mito attrae proprio perché è un mito. Quando<br />
esso si trasforma in realtà, tutto <strong>il</strong> fascino scompare e quella società non piace più :l’uomo<br />
non accetterà mai di vivere in una “società-alveare “; la vita in un formicaio non fa per lui .<br />
Il “ Palazzo di cristallo “ [ inaugurato a Londra <strong>il</strong> 1 maggio 1851 ospitava nell’immensa<br />
struttura a vetrate l’Esposizione universale che aveva lo scopo di rivelare le opere<br />
<strong>del</strong>l’industria di tutte le Nazioni ] è un edificio che “gli piace soltanto da lontano e da vicino<br />
nient’affatto “; né gli piace essere trasformato in un “tasto da pianoforte “: infatti “ ogni<br />
azione <strong>del</strong>l’uomo sembra consistere solo in questo: “nel dimostrare continuamente a se<br />
stesso di essere un uomo e non un tasto ". Infine nel “Diario di uno scrittore “, egli scrive:<br />
“ L’uomo non ha la sua formula come le api e le formiche “.<br />
Il mito <strong>del</strong> progresso<br />
Un altro mito <strong>del</strong>l’uomo moderno denunciato da Dostoevskij è <strong>il</strong> “progresso “: esso si basa<br />
su una concezione <strong>del</strong>la storia prodotta da un razionalismo ingenuo che domina la cultura<br />
occidentale e che non fa i conti con l’uomo reale, con la sua capacità di distruggere, con <strong>il</strong><br />
suo desiderio di non uniformarsi, con la sua irrazionalità. La ragione e la scienza – che<br />
hanno originato <strong>il</strong> mito <strong>del</strong> progresso e che ne costituiscono <strong>il</strong> fondamento – hanno sempre<br />
avuto nella vita dei popoli una funzione serv<strong>il</strong>e e secondaria ( sono stati ut<strong>il</strong>izzati per <strong>il</strong><br />
potere , <strong>il</strong> benessere, ecc. ).<br />
Il <strong>male</strong><br />
Forse pochi f<strong>il</strong>osofi hanno sentito e compreso come Dostoevskij la forza straordinaria <strong>del</strong><br />
<strong>male</strong>, che vince sulle speranze, sugli ideali, sulla vita, sulla storia <strong>del</strong>l’uomo. Le pagine più<br />
famose dei romanzi di Dostoevskij sono quelle in cui egli si cimenta nella descrizione<br />
<strong>del</strong>la malvagità umana .<br />
Pur non avendo mai affrontato in modo sistematico <strong>il</strong> problema <strong>del</strong> <strong>male</strong>, Dostoevskij<br />
offre nei suoi scritti, una serie di riflessioni che permettono una schematizzazione <strong>del</strong>le<br />
sue idee . Egli giunge a distinguere due tipi fondamentali di <strong>male</strong> .<br />
Il primo è un <strong>male</strong> di tipo empirico . Esso è <strong>il</strong> più comune: riguarda le passioni, i vizi e i<br />
difetti degli uomini. Verso questo tipo di <strong>male</strong> lo scrittore ha un interesse soprattutto<br />
psicologico, come dimostra nella magistrale descrizione di molti personaggi dei suoi<br />
romanzi. E’ interessante notare <strong>il</strong> fatto che non c’è, da parte sua, nessun atteggiamento di<br />
tipo moralistico; anzi, appare evidente una profonda comprensione e partecipazione (<br />
d’altra parte egli stesso si riteneva un uomo pieno di vizi e un grande peccatore ).<br />
Possiamo aggiungere che in lui è certamente presente anche la convinzione che molto<br />
spesso <strong>il</strong> <strong>male</strong> è un’espressione <strong>del</strong>la <strong>libertà</strong> <strong>del</strong>l’uomo e <strong>del</strong> suo desiderio di<br />
autorealizzazione.<br />
Questo tipo di <strong>male</strong>, oltre ad essere individuale, è talvolta anche sociale, e può diventare<br />
una caratteristica di una classe o di un intero popolo. Anche in questo caso <strong>il</strong> giudizio di<br />
Dostoevskij, in sostanza, non cambia.<br />
C’è, poi, <strong>il</strong> <strong>male</strong> di tipo ontologico. Esso si colloca molto più in profondità, e attira in modo<br />
straordinario l’attenzione <strong>del</strong> f<strong>il</strong>osofo. Questo tipo di <strong>male</strong> non è spiegab<strong>il</strong>e, a differenza <strong>del</strong><br />
3
<strong>male</strong> empirico, con motivazioni psicologiche o sociali; dunque Dostoevskij non cerca di<br />
spiegarlo, ma di descriverlo. Il <strong>male</strong> ontologico si manifesta in forma, sia individuale, sia<br />
collettiva.<br />
Per quanto riguarda <strong>il</strong> <strong>male</strong> ontologico di tipo individuale, Dostoevskij ci presenta le<br />
figure dei “doppi”: coloro che hanno subìto profonde fratture e lacerazioni nella coscienza<br />
e, in particolare, quelli in cui “la passione per le idee” spinge a manifestare fenomeni che<br />
possono far pensare ad una “possessione demoniaca”. Nei confronti di questi personaggi<br />
Dostoevskij assume un atteggiamento di timore per <strong>il</strong> fascino spirituale che essi<br />
sprigionano, e che si spande su quanti li circondano. Egli ne teme la forza interiore<br />
enorme, che li rende capaci di dominare gli altri, di trasformarli, di traviarli. Essi esprimono<br />
più o meno esplicitamente, talvolta a parole, più spesso con <strong>il</strong> loro comportamento, <strong>il</strong><br />
senso <strong>del</strong>l’affermazione : “Dio non esiste, perciò tutto è lecito”. Con loro non sono efficaci<br />
né la ragionevolezza, né la pazienza, né le buone intenzioni. Il personaggio che più<br />
incarna questo tipo di <strong>male</strong> è Stavrogin, nel romanzo I demoni .<br />
Anche questo tipo di <strong>male</strong>, però, non è invincib<strong>il</strong>e: a volte è la vita stessa, attraverso<br />
fallimenti e <strong>del</strong>usioni, a portare ad un ripensamento ; altre volte sono la sofferenza<br />
interiore <strong>del</strong> “ posseduto “, o la nausea, <strong>il</strong> vuoto, l’insoddisfazione, che lo spingono sulla via<br />
<strong>del</strong>la guarigione spirituale.<br />
Dostoevskij sostiene che <strong>il</strong> <strong>male</strong> ontologico di tipo collettivo è <strong>il</strong> più terrib<strong>il</strong>e. Esso è<br />
legato ad alcune idee e alla loro dialettica ; prima di tutto a una <strong>del</strong>le idee che stanno alla<br />
base <strong>del</strong>la cultura moderna: quella che di solito è indicata come “umanesimo non<br />
religioso”, e che Dostoevskij definiva con termini molto decisi e con grande chiarezza :<br />
“religione <strong>del</strong>l’Uomo-dio. Questa “nuova religione “, che si fonda sulla negazione di Dio e<br />
sulla conseguente deificazione <strong>del</strong>l’uomo, possiede – secondo lo scrittore russo – un<br />
grande fascino. Un po’ alla volta essa inculca nelle menti l’idea che l’uomo è in grado di<br />
compiere, con la sola arma <strong>del</strong>la propria razionalità, un cambiamento radicale. Nella<br />
nuova società, che sorgerà dalla distruzione di quella attuale, l’uomo vivrà la pienezza<br />
<strong>del</strong>la <strong>libertà</strong> e la piena realizzazione di sé.<br />
Per molto tempo non se ne avvedono le reali conseguenze ; poi, pian piano, essa penetra<br />
e condiziona tutta l’atmosfera <strong>del</strong>la vita collettiva, cambia i valori, cambia i sentimenti e i<br />
rapporti, fino a trasformare la società intera in qualcosa che appare al f<strong>il</strong>osofo russo una<br />
possessione diabolica collettiva . Si sv<strong>il</strong>uppa in sostanza una dialettica, che partendo dalla<br />
promessa <strong>del</strong>la massima <strong>libertà</strong> <strong>del</strong>l’uomo e <strong>del</strong>la piena realizzazione di sé, porta al<br />
massimo <strong>del</strong>la schiavitù, ad una tale oppressione, quale la storia non ha mai conosciuto.<br />
IL TEMA DELLA LIBERTA’ :<br />
La leggenda <strong>del</strong> Grande Inquisitore<br />
La leggenda <strong>del</strong> Grande Inquisitore costituisce <strong>il</strong> quinto capitolo <strong>del</strong> libro quinto dei<br />
Fratelli Karamazov e rappresenta <strong>il</strong> vertice <strong>del</strong> pensiero di Dostoevskij.<br />
Dostoevskij ci porta all’improvviso, senza preavviso alcuno, a Siviglia, ai tempi <strong>del</strong>la<br />
Santa Inquisizione. Ogni giorno c’è un autodafè. Ogni giorno qualche eretico viene portato<br />
al rogo. Su quelle piazze, per quelle strade, fra quella folla devota, devotamente eccitata,<br />
si scorge un viso nuovo. Ma conosciutissimo. Non sarà mica lui ? Ma sì, è proprio lui. E’ <strong>il</strong><br />
Cristo che è tornato in terra, a Siviglia. Se ne rende conto anche <strong>il</strong> Grande Inquisitore. Che<br />
è alto, che è altero, che è severo. Che è vecchissimo. Ha novantanni (pressappoco). E’<br />
imponente. Il Grande Inquisitore di Siviglia dà disposizioni perché <strong>il</strong> Cristo redivivo venga<br />
sbattuto in carcere, immediatamente. In carcere va a trovarlo, più tardi.<br />
4
Ha inizio <strong>il</strong> confronto. Il dialogo. Che è però un monologo. Parla solo <strong>il</strong> Grande Inquisitore.<br />
Che dice a Gesù di Nazareth. Perché sei tornato in terra ? Che cosa sei tornato a fare ?<br />
Non ti basta quello che hai già combinato in vita ? Hai messo in testa agli uomini <strong>del</strong>le idee<br />
false, degli ideali troppo alti. L’amore ? Ma figuriamoci. Gli uomini non hanno nessuna<br />
voglia di amarsi l’uno con l’altro.La <strong>libertà</strong> ? Ma figuriamoci. Gli uomini non hanno<br />
nessuna voglia di <strong>libertà</strong>. Gli uomini hanno bisogno di sentire la pancia piena. Gli uomini<br />
hanno bisogno di potere (di esercitarlo, di sentirlo ). Gli uomini hanno bisogno di misteri, di<br />
miracoli.<br />
Come va a finire questo confronto notturno, gotico-melodrammatico, non si deve dire. Non<br />
si deve anticipare. Ma se pensiamo che <strong>il</strong> Grande Inquisitore pensa di mandare anche<br />
Gesù al rogo, con gli eretici, pensiamo giusto.<br />
Dietro la Leggenda <strong>del</strong> grande Inquisitore c’è una pagina molto nota dei Vangeli. Quella<br />
che racconta le tentazioni di Gesù nel deserto. Ad essa <strong>il</strong> Grande Inquisitore<br />
implicitamente si riferisce mentre parla a Gesù, che ascolta tacendo. Si trova in Matteo, in<br />
Marco, in Luca. Il diavolo facendo vedere a Gesù tutti i regni <strong>del</strong>la terra gli disse: “Ti darò<br />
tutta questa potenza e le ricchezze di questi regni, perché a me sono stati dati e io li do a<br />
chi voglio. Se tu ti inginocchierai davanti a me, tutto sarà tuo “(Luca :4, 1-13). Era una<br />
proposta indecente. Erano proposte indecenti quelle <strong>del</strong> diavolo dice in buona sostanza <strong>il</strong><br />
Grande Inquisitore a Gesù. Ma perché non le hai accettate ? Avresti dovuto accettarle. Gli<br />
uomini vogliono proprio quello. Tanto pane, tanto cibo per la pancia piena. Tanto potere.<br />
Per poter salire in cima al tempio di Gerusalemme e guardare dall’alto tutti i regni <strong>del</strong>la<br />
terra. Tanti miracoli. Tu non conosci gli uomini. Hai proposto loro degli ideali “spirituali” ai<br />
quali sono palesemente, irrimediab<strong>il</strong>mente inadeguati.<br />
Noi, invece. Noi <strong>del</strong>la Chiesa organizzata lo sappiamo come sono fatti. E ci comportiamo<br />
di conseguenza. Che cosa sei tornato a fare in terra ?<br />
Chi è <strong>il</strong> Grande Inquisitore ? E’ certamente , per Dostoevskij, la Chiesa organizzata,<br />
burocratizzata. Ancora: è certamente, per lui, <strong>il</strong> socialismo realizzato. Ai suoi tempi,<br />
appena sognato: ma riconoscib<strong>il</strong>e già nei suoi prevedib<strong>il</strong>i effetti. E’, per tutti i lettori <strong>del</strong>la<br />
Leggenda, la Realpolitik. Il culto machiavellico-gesuitico <strong>del</strong>la realtà effettuale. L’idealismo<br />
umanitario va bene nelle prediche evangeliche: nella vita ci vuole la Realpolitik. Questa<br />
l’opinione <strong>del</strong> Grande Inquisitore : machiavellico, gesuitico, realpolitico.<br />
La Leggenda esprime a un livello di eccezionale profondità f<strong>il</strong>osofica la dialettica <strong>libertà</strong>felicità,<br />
e si risolve in un inno alla <strong>libertà</strong> e a Cristo.<br />
Essa consente di analizzare <strong>il</strong> pensiero di Dostoevskij in relazione a due problemi<br />
importanti : <strong>il</strong> rapporto con <strong>il</strong> cattolicesimo e <strong>il</strong> rapporto con <strong>il</strong> socialismo.<br />
Dostoevskij e <strong>il</strong> cattolicesimo<br />
A una prima lettura, La Leggenda sembra trattare <strong>del</strong>l’Inquisizione spagnola e <strong>del</strong>la<br />
Chiesa cattolica. Agli occhi di Dostoevskij <strong>il</strong> cattolicesimo, nella figura <strong>del</strong> papa, aveva<br />
tradito Cristo, cedendo alla tentazione demoniaca <strong>del</strong> potere terreno per <strong>il</strong> bene <strong>del</strong>l’uomo.<br />
Questa colpa storica <strong>del</strong>la Chiesa cattolica fa sì che <strong>il</strong> cattolicesimo si configuri come vera<br />
e propria eresia. La notizia <strong>del</strong>la fine <strong>del</strong>lo Stato <strong>del</strong>la Chiesa, avvenuta nel 1870 con la<br />
conquista di Roma ( 20 settembre ) da parte <strong>del</strong>le truppe italiane, riempì lo scrittore russo<br />
di profonda soddisfazione. Egli previde <strong>il</strong> rapido declino <strong>del</strong>l’istituzione papale, fino alla sua<br />
scomparsa. Ma previde anche che <strong>il</strong> papa, abbandonato dai potenti <strong>del</strong>la Terra, prima di<br />
soccombere <strong>del</strong> tutto, avrebbe cercato di riconquistare <strong>il</strong> potere perduto, modificando <strong>il</strong><br />
cristianesimo in senso socialista e alleandosi con <strong>il</strong> démos, con le nuove forze sociali<br />
emergenti.<br />
5
L’incontro fra <strong>il</strong> Grande Inquisitore e Cristo, nella Leggenda, diventa <strong>il</strong> confronto fra due<br />
opposte concezioni <strong>del</strong>l’uomo.<br />
La prima – quella <strong>del</strong>l’ Inquisitore/Anticristo, rappresentante per eccellenza <strong>del</strong>la Chiesa<br />
cattolica – consiste nel ritenere che gli uomini, a parte alcune eccezioni, siano deboli e<br />
bisognosi d’aiuto, e che <strong>il</strong> far<strong>del</strong>lo <strong>del</strong>la <strong>libertà</strong>, <strong>del</strong>la responsab<strong>il</strong>ità, <strong>del</strong> peccato sia troppo<br />
pesante per loro. Essi desiderano sopra ogni cosa la sicurezza economica (non ci sono<br />
peccatori, ma affamati ), e che qualcuno tolga loro <strong>il</strong> peso di ogni responsab<strong>il</strong>ità.<br />
La seconda – quella di Cristo – pone la <strong>libertà</strong> <strong>del</strong>l’uomo come valore supremo. Per questo<br />
Egli è accusato dall'Inquisitore di non amare gli uomini, di non tener conto <strong>del</strong>le loro<br />
debolezze e <strong>del</strong>le loro miserie, di avere un’opinione troppo alta di loro. La maggior parte<br />
degli uomini sono “ribelli, ma ribelli deboli “ : perciò si sono rivoltati contro di Lui e si sono<br />
schierati con l’Inquisitore – non più discepolo di Cristo ma <strong>del</strong>l’Anticristo - che si dimostra<br />
comprensivo verso la loro natura debole e li aiuta, togliendo loro <strong>il</strong> peso <strong>del</strong>la<br />
responsab<strong>il</strong>ità e garantendo <strong>il</strong> pane e la giustizia sociale. Per <strong>il</strong> loro bene e per la pace<br />
universale l’Inquisitore aveva accettato <strong>il</strong> grande peso <strong>del</strong> potere. Alla fine <strong>del</strong> dialogo<br />
Cristo, che ha ascoltato in s<strong>il</strong>enzio l’Inquisitore, viene invitato ad andarsene. Risponde con<br />
un bacio e si allontana.<br />
Il Grande Inquisitore <strong>del</strong>la Leggenda rappresenta dunque coloro che si sono autoinvestiti<br />
di autorità di fronte agli altri uomini, e più precisamente rappresenta la Chiesa cattolica che<br />
ha rivendicato la propria autorità in nome di Cristo, ma ha tradito ciò che – secondo<br />
Dostoevskij – vi è di più essenziale nel Suo messaggio, snaturandolo da appello alla<br />
<strong>libertà</strong> <strong>del</strong>l’uomo in autoritario richiamo ad una passiva ubbidienza. La Chiesa cattolica si<br />
è fondata sul potere, sul mistero e sul miracolo per guidare a suo arbitrio gli uomini ridotti<br />
al rango di un gregge doc<strong>il</strong>e e sottomesso, ben felice di trovare nel pastore chi risolva i<br />
suoi dubbi e lo assolva dai suoi peccati. Nella “Leggenda” si esprime quindi tutta<br />
l’avversione che Dostoevskij provava per la Chiesa cattolica quale istituzione che aveva<br />
strumentalizzato Cristo riducendolo ad un simbolo <strong>del</strong> potere sia religioso che politico.<br />
Dostoevskij e <strong>il</strong> socialismo<br />
I lettori di Dostoevskij si accorsero subito che, nella Leggenda , dietro alla condanna <strong>del</strong><br />
cattolicesimo stava un’analisi originale e profonda <strong>del</strong> socialismo. Egli stesso aveva<br />
affermato nel romanzo I demoni che <strong>il</strong> socialismo è una derivazione <strong>del</strong>l’eresia cattolica,<br />
<strong>del</strong>la quale accetta l’ideale <strong>del</strong> bene al potere dopo averne rifiutato totalmente la<br />
dimensione trascendente. Ciò spiegherebbe – secondo Dostoevskij - perché la Grande<br />
Rivoluzione <strong>del</strong> 1789 era scoppiata in Francia, paese cattolico per eccellenza, e perché la<br />
maggior parte dei teorici <strong>del</strong> socialismo era francese.<br />
Fra gli intellettuali russi ( intelligencija ) contemporanei di Dostoevskij era in corso una<br />
discussione molto accesa e appassionata intorno al socialismo, che, spesso, era<br />
considerato come una redenzione <strong>del</strong> popolo oppresso e una punizione-espiazione <strong>del</strong>le<br />
classi priv<strong>il</strong>egiate e sfruttatrici, con in testa lo zar. Negli anni Sessanta nacquero le prime<br />
organizzazioni terroristiche di ispirazione populista, e molti rivoluzionari erano pronti a<br />
dedicare tutta la vita all'ideale rivoluzionario.<br />
Le opere dei teorici rivoluzionari furono studiate con grandissimo interesse da Dostoevskij<br />
Particolare importanza ebbe la figura di Bakunin. La sua posizione è riassumib<strong>il</strong>e in una<br />
frase : “Il pathos <strong>del</strong>la distruzione è un pathos creativo “. La dottrina di Feuerbach su Dio<br />
come idea alienante lo aveva entusiasmato. Per lui <strong>il</strong> nemico <strong>del</strong>l’uomo era <strong>il</strong> Potere, che<br />
per natura non poteva essere che opprimente. Il Potere, a sua volta, si esprimeva nelle<br />
6
strutture <strong>del</strong>lo Stato ( scritto sempre con la maiuscola ), <strong>il</strong> quale aveva in dio ( parola che<br />
egli invece scriveva sempre con la minuscola ) <strong>il</strong> suo maggior sostegno. Quindi la lotta per<br />
l’affermazione, per la <strong>libertà</strong>, per la realizzazione <strong>del</strong>l’uomo veniva a coincidere con la lotta<br />
contro Dio (antiteismo) e contro lo Stato (anarchia). Bakunin era solito parafrasare<br />
Voltaire, che aveva affermato :” Se Dio non ci fosse, bisognerebbe inventarlo “, con le<br />
seguenti parole :” Se dio ci fosse , bisognerebbe abolirlo”. La sua idea di Dio era tratta dal<br />
Vecchio Testamento ; egli se lo raffigurava cru<strong>del</strong>e e vendicativo. Anche verso Gesù<br />
Cristo <strong>il</strong> suo atteggiamento era duro e violento, egli se lo raffigurava come un vagabondo<br />
perditempo, degno di essere messo in prigione. Influenzato da Feuerbach, Bakunin aveva<br />
voluto dare un suo contributo ai tentativi di dimostrazione <strong>del</strong>la non esistenza di dio. Il suo<br />
ragionamento era :”Se dio esiste, l’uomo è uno schiavo, quindi dio non esiste”. Bakunin<br />
aveva numerosi seguaci in Russia, che propagandavano le sue idee e le sue opere con<br />
notevole successo, soprattutto fra i giovani. Uno di questi era Necaev , autore <strong>del</strong><br />
Catechismo <strong>del</strong> rivoluzionario , opera cui si era ispirato Dostoevskij per scrivere I demoni.<br />
Dostoevskij scrisse La Leggenda anche pensando ai seguaci di Bakunin : per far<br />
comprendere che la loro idea di Dio era errata, che <strong>il</strong> Dio <strong>del</strong> cristianesimo non solo non è<br />
un pericolo per la <strong>libertà</strong> <strong>del</strong>l’uomo, ma ne è <strong>il</strong> sostegno e <strong>il</strong> garante contro <strong>il</strong> potere politico<br />
( “Date a Dio quello che è di Dio e a Cesare quello che è di Cesare”) e contro le tentazioni<br />
insite nell’uomo stesso ( l’asservimento al potere “per <strong>il</strong> pane “ e <strong>il</strong> rifiuto <strong>del</strong>la<br />
responsab<strong>il</strong>ità, collegata alla <strong>libertà</strong>). Gesù Cristo, <strong>il</strong> Dio-uomo, che invece di venire “in<br />
potenza” sceglie la “strada <strong>del</strong>la croce”, vuole un rapporto con l’uomo fondato sulla propria<br />
debolezza e sulla di lui <strong>libertà</strong>. Egli sceglie di essere debole di fronte al potere <strong>del</strong>lo Stato<br />
(rappresentato da P<strong>il</strong>ato), perché vuole - anzi, esige - dagli uomini una scelta libera, come<br />
base <strong>del</strong> rapporto fra lui e loro. E <strong>il</strong> Grande Inquisitore gli rinfaccia come colpa di non<br />
essere sceso dal patibolo, davanti a tutti, per rendere manifesta la propria potenza, così gli<br />
uomini sarebbero stati costretti a credere in lui. La concezione di Dostoevskij è dunque<br />
l’opposto di quella di Bakunin : “Se Dio non esiste , l’uomo è destinato ad essere<br />
schiavo”, e cade vittima <strong>del</strong>la tentazione <strong>del</strong> Grande Inquisitore e <strong>del</strong>l'Anticristo. Non sono<br />
gli uomini a pretendere la <strong>libertà</strong> contro Dio, ma Dio a pretenderla da loro contro le loro<br />
debolezze. Anzi, coloro che rifiutano Dio, anche se credono di farlo per <strong>il</strong> bene <strong>del</strong>l’uomo,<br />
finiscono inevitab<strong>il</strong>mente per asservirlo, come vuole dimostrare La Leggenda. Gesù Cristo<br />
è <strong>il</strong> garante <strong>del</strong>l’amore di Dio per l’uomo come essere libero: è <strong>il</strong> garante <strong>del</strong> fatto che Dio<br />
considera la <strong>libertà</strong> <strong>del</strong>l’uomo un valore supremo.<br />
Secondo Dostoevskij, <strong>il</strong> socialismo ha due livelli di manifestazione: uno superficiale e uno<br />
profondo .<br />
Il livello superficiale riduce <strong>il</strong> socialismo alla questione operaia, al problema <strong>del</strong>la giustizia<br />
sociale e all’affermazione <strong>del</strong>l’uguaglianza fra tutti gli uomini.<br />
Il livello profondo pone <strong>il</strong> problema <strong>del</strong>l’ateismo, e la questione <strong>del</strong>la “Torre di Babele”: <strong>il</strong><br />
desiderio <strong>del</strong>l’uomo di dare la scalata al cielo per portarlo sulla Terra, di rifiutare Dio e di<br />
realizzare con le sue sole forze un uomo nuovo ed una società perfetta, senza ingiustizie<br />
sociali, senza violenze, senza guerre.<br />
In questo modo Dostoevskij sottolinea <strong>il</strong> carattere religioso <strong>del</strong> socialismo, con <strong>il</strong> fascino e<br />
la capacità di colpire la fantasia e <strong>il</strong> sentimento. La dottrina socialista afferma di fondarsi<br />
esclusivamente sui principi <strong>del</strong>la scienza e <strong>del</strong>la ragione, e per questo si dichiara atea<br />
:”Ma la ragione e la scienza hanno adempiuto sempre nella vita dei popoli solo un ufficio,<br />
secondario e serv<strong>il</strong>e, e così lo adempiranno fino alla fine dei secoli. I popoli si<br />
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compongono e si muovono secondo un’altra forza, che comanda e domina ; questa forza<br />
è la forza <strong>del</strong>l’insaziab<strong>il</strong>e desiderio di arrivare alla fine”. Si tratta di una religione senza Dio,<br />
ma con una forte componente escatologica.<br />
Come seguace di Cristo, Dostoevskij si sente sfidato dalla dottrina socialista. E’ talmente<br />
convinto che quella concezione <strong>del</strong>l’uomo sia sbagliata, da accettare la sfida: si impegna a<br />
descrivere veramente la futura società socialista, se realizzata in coerenza alle premesse<br />
teoriche.<br />
A suo avviso <strong>il</strong> socialismo contrasta con le esigenze naturali <strong>del</strong>l’uomo, e quindi non potrà<br />
realizzarsi spontaneamente; sarà necessaria una rivoluzione, la quale ricorrerà ad una<br />
violenza così grande, che l’umanità non ne ha mai viste di sim<strong>il</strong>i : “Verranno mozzate<br />
cento m<strong>il</strong>ioni di teste di borghesi “.<br />
Nella società socialista la lotta sarà rivolta contro le differenze spirituali più che contro<br />
quelle economiche; tutti saranno controllori e controllati, sarà favorita al massimo la<br />
<strong>del</strong>azione. Siccome una società <strong>del</strong> genere è innaturale, essa potrà reggersi solo col<br />
terrore. Sigalev, un personaggio dei Demoni, che, partendo da Platone, Rousseau e<br />
Fourier – considerati tre ingenui precursori <strong>del</strong>le idee socialiste - espone una sua teoria<br />
sociale, fra l’altro afferma :”Partendo da un’assoluta <strong>libertà</strong>, concludo con un assoluto<br />
dispotismo. E aggiungo che tranne la mia soluzione <strong>del</strong>la formula sociale non ce ne può<br />
essere nessun’altra”.<br />
Molto probab<strong>il</strong>mente – concludeva Dostoevskij – <strong>il</strong> sistema socialista sarà accolto perché<br />
gli uomini, in maggioranza, sono come bambini, e preferiscono avere <strong>il</strong> pane assicurato e<br />
l’uguaglianza sociale, piuttosto che affrontare i rischi, le incertezze <strong>del</strong>la <strong>libertà</strong> e <strong>del</strong>la<br />
responsab<strong>il</strong>ità personale. Il socialismo diventa una risposta alla dialettica <strong>libertà</strong>-pane.<br />
La risposta alla decadenza <strong>del</strong>l’Occidente e alle prospettive <strong>del</strong> socialismo può venire –<br />
per Dostoevskij – solo da Cristo e dalla spiritualità <strong>del</strong> popolo russo. Egli, infatti, vede in<br />
Cristo, “così come era stato conservato nel cuore <strong>del</strong> popolo russo”, <strong>il</strong> supremo difensore<br />
<strong>del</strong>la <strong>libertà</strong> e <strong>del</strong>la dignità <strong>del</strong>l’uomo. Ciò lo spingeva a prevedere che – mentre<br />
l’Occidente avrebbe subito l’esperienza <strong>del</strong>la rivoluzione e di un regime socialista e quindi<br />
sarebbe sprofondato nella barbarie e negli orrori di una violenza infinita – la Russia si<br />
sarebbe salvata, ed avrebbe riportato la civ<strong>il</strong>tà di Cristo all’Europa e all’intera umanità.<br />
Tradendo l’essenza <strong>del</strong> messaggio di Cristo, la Chiesa cattolica aveva spianato la via<br />
all’avvento <strong>del</strong>l’Anticristo, che nel mondo moderno si era concretizzato nell’idolatria <strong>del</strong>la<br />
scienza e nell’ideologia socialista, che avevano imposto una concezione materialistica<br />
<strong>del</strong>l’uomo. La scienza aveva sostenuto di essere in grado di analizzare compiutamente<br />
l’essere umano, misconoscendo la sua natura autocreativa e infinita, e su questa base <strong>il</strong><br />
socialismo aveva preteso di formulare un progetto definitivo di assetto sociale in grado di<br />
assicurare la felicità <strong>del</strong>l’umanità nei secoli dei secoli, progetto che nelle Memorie <strong>del</strong><br />
sottosuolo viene presentato sotto le allegorie <strong>del</strong> “ palazzo di cristallo” o <strong>del</strong><br />
“formicaio”. Il socialismo aveva voluto fondare la società umana non sulla <strong>libertà</strong> e<br />
sull’amore, unico cemento – secondo Dostoevskij – in grado di realizzare un’autentica<br />
fusione tra gli uomini e d’impedire <strong>il</strong> bellum omnium contra omnes, bensì su una saggia e<br />
oculata pianificazione che tenesse conto e soddisfacesse le esigenze e i bisogni<br />
scientificamente accertati <strong>del</strong>l’uomo. La cura <strong>del</strong>l’amministrazione <strong>del</strong>la futura società<br />
pianificata doveva venire affidata alle mani di governanti <strong>il</strong>luminati incaricati di far<br />
intendere la ragione, con le buone o con le cattive, alla massa sterminata degli incolti e dei<br />
retrogadi, destinati a costituire <strong>il</strong> materiale su cui sarebbe stato effettuato <strong>il</strong> “ sacro<br />
esperimento “ <strong>del</strong> socialismo realizzato. In tal modo la scienza e <strong>il</strong> socialismo procedevano<br />
mano nella mano sulla strada che avrebbe condotto all’affermazione definitiva <strong>del</strong>la<br />
Ragione, che avrebbe chiarito l’enigma <strong>del</strong>l’uomo, adeguandolo alle “verità” accertate<br />
dalla scienza e realizzando la sua felicità nella dimensione sociale grazie all’edificazione di<br />
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una società perfetta – appunto <strong>il</strong> “palazzo di cristallo”- destinata a sfidare i secoli e i<br />
m<strong>il</strong>lenni.<br />
Ma questa era anche la strada indicata dal Grande Inquisitore, che voleva sollevare<br />
l’uomo dal far<strong>del</strong>lo <strong>del</strong>la <strong>libertà</strong>, garanzia <strong>del</strong>la sua creatività e infinità, per assicurargli la<br />
squallida esistenza di un gregge deresponsab<strong>il</strong>izzato che avrebbe visto nei suoi<br />
governanti coloro che lo avrebbero liberato dal tormento <strong>del</strong>la ricerca <strong>del</strong>la verità e gli<br />
avrebbero assicurato la soddisfazione dei suoi bisogni materiali. Questo equivaleva,<br />
secondo Dostoevskij, a cedere alle tentazioni a cui <strong>il</strong> demonio aveva sottoposto Cristo nel<br />
deserto, proponendogli di edificare <strong>il</strong> suo regno nel mondo soddisfacendo i bisogni<br />
materiali <strong>del</strong>l’uomo ( “comanda a queste pietre di diventare pane “), basandosi sul<br />
miracolo ( “gettati giù dal più alto pinnacolo <strong>del</strong> tempio”) e sul potere ( “se mi adorerai io ti<br />
darò tutti i regni <strong>del</strong>la terra “). Cristo aveva respinto l’offerta <strong>del</strong> demonio affermando che <strong>il</strong><br />
suo regno non era di questo mondo, ma la Chiesa di Roma, tradendo <strong>il</strong> Suo messaggio,<br />
l’aveva accettata, optando per la dimensione materiale <strong>del</strong>l’uomo e ignorando quella<br />
spirituale, e in tal modo aveva aperto la strada al razionalismo e al socialismo atei che si<br />
erano dimostrati più coerenti <strong>del</strong>la Chiesa nel perseguire l’ideale di un regno fondato sulla<br />
dimensione materiale <strong>del</strong>l’uomo.<br />
Dostoevskij e Nietzsche<br />
I due pensatori hanno molti aspetti in comune: entrambi prendono in maniera netta le<br />
distanze dalla cultura dominante; entrambi sono pensatori “ tragici ”, non credono nel<br />
progresso positivista, e non accettano la visione <strong>del</strong>l’uomo su cui è fondata la fiducia in<br />
tale progresso, perché la giudicano superficiale, ingenua e lontana dalla realtà. Entrambi<br />
sono grandi antropologi e psicologi; entrambi hanno esplorato zone nuove <strong>del</strong>la psiche<br />
umana; entrambi hanno posto <strong>il</strong> problema <strong>del</strong> Dio-uomo e <strong>del</strong>l’uomo-dio.<br />
Le vicinanze – ma anche le differenze profonde – tra i due pensatori emergono<br />
soprattutto dall’analisi di alcuni personaggi dei romanzi di Dostoevskij.<br />
Napoleone come problema f<strong>il</strong>osofico<br />
Consideriamo – per iniziare – l’opera Delitto e castigo ( 1866 ) e <strong>il</strong> suo protagonista<br />
Raskol’nikov. Delitto e castigo è <strong>il</strong> primo grande romanzo polifonico, secondo la celebre<br />
definizione di Bachtin : un romanzo cioè dove tutte le “voci”dei personaggi hanno <strong>il</strong> loro<br />
spazio, la loro autonomia, in una pluralità che viene rispettata fino in fondo, senza alcun<br />
tentativo di fusione o di superamento dialettico nella totalità di una sola coscienza. Delitto<br />
e castigo è un grande romanzo di idee: le idee per Dostoevskij non sono formazioni<br />
psicologiche individuali, con “domic<strong>il</strong>io permanente” nella testa di un solo personaggio.<br />
Sono intersoggettive, sono fatti vivi che si concretano nel punto d’incontro fra due o più<br />
coscienze, posseggono non astrattezza teorica, bensì contraddittorietà e poliedricità in un<br />
costante confronto con l’epoca in cui i personaggi vivono.<br />
C’è innanzitutto l’”idea” centrale di Raskol’nikov : l’omicidio è permesso. Primo dei grandi<br />
ribelli (seguiranno Ippolit nell’Idiota ( 1869 ), Stavrogin nei Demoni, e soprattutto Ivan<br />
Karamazov ) Raskol’nikov è un solitario : raskol’ in russo significa scisma, scissione.<br />
Raskol’nikov si allontana dalla società dei suoi sim<strong>il</strong>i, si abbandona alla seduzione <strong>del</strong>le<br />
costruzioni mentali. E’ la tentazione di Lucifero : stab<strong>il</strong>ire per sé una legge diversa dagli<br />
altri, agire contro <strong>il</strong> “gregge”, sentirsi autorizzati alla diversità. La morale umana esiste<br />
soltanto per le persone comuni, materiale <strong>del</strong>la Storia. I dominatori, invece, sono esenti<br />
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da qualsiasi obbligo, possono violare tutte le leggi, hanno <strong>il</strong> diritto di commettere ogni sorta<br />
di <strong>del</strong>itti. “Uomo” nel vero senso <strong>del</strong>la parola è solo <strong>il</strong> dominatore, mentre tutti gli altri sono<br />
spregevoli “pidocchi”. “Se per esempio al mio posto si fosse trovato Napoleone e non<br />
avesse avuto, per cominciare la carriera, né Tolone né l’Egitto né <strong>il</strong> passaggio <strong>del</strong> Monte<br />
Bianco, ma avesse avuto al posto di tutte queste belle, monumentali imprese, puramente<br />
e semplicemente una qualche ridicola vecchietta che bisognava uccidere per rubarle <strong>il</strong><br />
denaro dal baule, ebbene si sarebbe egli risolto a questo se non ci fosse stata altra via<br />
d’uscita ?”<br />
Dunque, quando è necessario per i suoi fini, <strong>il</strong> dominatore può uccidere senza riguardi <strong>il</strong><br />
“pidocchio”. Superuomo contro pidocchio. Ma <strong>il</strong> superuomo alla fine viene sgretolato dal<br />
tormentoso meccanismo <strong>del</strong> sottosuolo : e rimane solo, indifeso, abietto, un pidocchio<br />
omicida.<br />
Non gli resta che una via, se rifiuta quella rapida ma v<strong>il</strong>e <strong>del</strong> suicidio . la via <strong>del</strong>la croce,<br />
ossia <strong>del</strong>la piena responsab<strong>il</strong>ità, <strong>del</strong>l’um<strong>il</strong>e accettazione <strong>del</strong>la legge comune a tutti gli<br />
uomini. E’ Sonja che gli dà, simbolicamente, la propria croce da portare al collo.<br />
All’ideologia “napoleonica” si contrappone <strong>il</strong> gesto cristiano <strong>del</strong>la prostituta Sonja. Per lei la<br />
legge morale vale per tutti nello stesso modo. Nessuno ha <strong>il</strong> diritto di raggiungere la felicità<br />
con <strong>il</strong> <strong>del</strong>itto, <strong>il</strong> peccato, perché <strong>il</strong> peccato resta peccato chiunque lo commetta. La felicità,<br />
che non è terrena, individuale, ma soprannaturale, si raggiunge solo con la sofferenza, <strong>il</strong><br />
sacrificio di se stessi, l’um<strong>il</strong>e dedizione al prossimo. Una fede, quella di Sonja, che non<br />
conosce dogmi, precetti, canoni imposti dall’esterno (dalla Chiesa, dalla morale corrente) :<br />
una fede attiva, che si esplica fra gli uomini, non fra le pareti <strong>del</strong> tempio, che non si<br />
identifica con alcuna realtà storica, anche se prende come mo<strong>del</strong>lo la figura paradigmatica<br />
<strong>del</strong> Cristo. L’”idea” di Raskol’nikov e <strong>il</strong> gesto di Sonja, nella loro totale contrapposizione,<br />
sono le colonne portanti <strong>del</strong> romanzo : e <strong>il</strong> gesto s<strong>il</strong>enzioso di Sonja agirà sull’idea gonfia<br />
di parole di Raskol’nikov, corrodendone la luciferina arroganza, piegandola<br />
all’”accettazione <strong>del</strong>la croce”.<br />
Il problema analizzato in Delitto e castigo è dunque un caso particolare di omicidio, un<br />
omicidio f<strong>il</strong>osofico. L’argomento è <strong>il</strong> seguente . esistono uomini che si pongono<br />
consapevolmente al di sopra degli altri e <strong>del</strong>la morale tradizionale , essi pretendono di<br />
incarnare <strong>il</strong> destino <strong>del</strong>la loro epoca ; sicuri di sé, usano gli altri per i loro scopi, e non<br />
hanno scrupoli né titubanze. Si tratta – in altre parole – <strong>del</strong>la questione <strong>del</strong>l’esistenza di<br />
uomini superiori e di uomini inferiori, espressa così da Raskol’nikov: “ Gli uomini si<br />
dividono in ordinari e straordinari. Quelli ordinari devono vivere nell’obbedienza e non<br />
hanno <strong>il</strong> diritto di violare la legge, perché essi sono appunto ordinari. Quelli straordinari<br />
hanno invece <strong>il</strong> diritto di compiere <strong>del</strong>itti di ogni specie e di violare in tutti i modi la legge<br />
per <strong>il</strong> semplice fatto di essere straordinari”. Gli uomini superiori, che hanno in mano <strong>il</strong><br />
proprio destino e quello <strong>del</strong>la propria epoca, sono al di sopra <strong>del</strong>le leggi <strong>del</strong>la morale.<br />
Questi uomini sono rari. Infrangere le leggi e i vincoli morali è per loro un diritto e nello<br />
stesso tempo un dovere, perché distruggono <strong>il</strong> presente in nome di qualcosa di meglio.<br />
Essi si sentono i padroni <strong>del</strong>l’avvenire : perciò i loro valori soggettivi sono più importanti<br />
dei valori oggettivi, ai quali devono sottomettersi gli uomini “normali”. La figura a cui è fatto<br />
esplicito riferimento è quella di Napoleone, fenomeno storico così straordinario da rendere<br />
necessaria una valutazione f<strong>il</strong>osofica.<br />
A questo punto <strong>il</strong> protagonista <strong>del</strong> romanzo vuol sapere a quale categoria di uomini egli<br />
stesso appartenga : se ai dominatori, come Napoleone, o ai dominati. Il mezzo che ut<strong>il</strong>izza<br />
per scoprire la propria natura è <strong>il</strong> <strong>del</strong>itto, cioè la forma più grave di trasgressione morale.<br />
Come sua vittima sceglie una vecchia usuraia, la persona più malvista e inut<strong>il</strong>e che egli<br />
conosca. Ma dopo l’omicidio, Raskol’nikov comincia a tormentarsi, a non darsi pace,<br />
finché deve convincersi che la prova dei fatti non gli è stata favorevole. Non si pente per<br />
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quanto commesso : <strong>il</strong> suo rammarico è solo per <strong>il</strong> fatto di non aver saputo reggere <strong>il</strong> peso<br />
<strong>del</strong>l’azione compiuta. Egli ha trasgredito le regole <strong>del</strong>la morale e <strong>del</strong>la ragione, ha<br />
compiuto un’azione che doveva riscattarlo dall’inerzia e dall’um<strong>il</strong>iazione <strong>del</strong> sottosuolo, e<br />
tuttavia non ha acquistato <strong>il</strong> diritto di uscirne, di considerarsi al di sopra <strong>del</strong>la spregevole<br />
massa. Il suo fallimento come superuomo, e l’incontro con Sonja ,la prostituta cristiana, gli<br />
daranno la possib<strong>il</strong>ità di tornare all’umano, a quella dimensione che aveva rinnegato.<br />
Napoleone subisce la stessa sorte : sconfitto in battaglia, relegato a Sant’Elena, egli<br />
ritorna all’umano, come dimostra <strong>il</strong> suo testamento. La sua non è stata – secondo<br />
Dostoevskij – solo una sconfitta politica, ma ancora più grande . ontologica, religiosa.<br />
Anche Nietzsche indica Napoleone come esempio <strong>del</strong>l’uomo eccezionale, e lo definisce<br />
“sintesi di non-uomo e di superuomo “ che incarna l’ideale aristocratico nel XIX secolo.<br />
Nietzsche contrappone la grandezza di Napoleone all’”istinto <strong>del</strong> gregge “, un istinto<br />
talmente diffuso tra gli uomini, soprattutto fra quelli <strong>del</strong> suo secolo, da colpire anche coloro<br />
che sono chiamati a comandare.<br />
Naturalmente per Nietzsche non c’è <strong>il</strong> ritorno all’umano : l’ubermensch non conosce <strong>il</strong><br />
pentimento nemmeno di fronte alla sconfitta ; egli può sentire la disperazione e la<br />
solitudine, ma accetta questa condizione come facente parte <strong>del</strong>la propria natura, e<br />
sopporta anche <strong>il</strong> peso <strong>del</strong> fallimento. Una volta che ha preso <strong>il</strong> posto di Dio, l’oltreuomo<br />
non può resuscitare <strong>il</strong> Dio metafisico che è morto.<br />
L’ateismo e le sue conseguenze<br />
Un personaggio di Dostoevskij vicino al tema nicciano <strong>del</strong>la “morte di Dio” – e allo stesso<br />
Nietzsche – è Kir<strong>il</strong>lov, <strong>del</strong> romanzo I demoni : egli pone al centro <strong>del</strong>la sua riflessione la<br />
negazione di Dio, e le conseguenze che questo fatto epocale avrà sugli uomini. Come<br />
Nietzsche, <strong>il</strong> quale nel famoso aforisma 125 <strong>del</strong>la “ Gaia scienza “ afferma che la morte di<br />
Dio ha come conseguenza la divinizzazione <strong>del</strong>l’uomo e la nascita <strong>del</strong>l’oltreuomo, così <strong>il</strong><br />
personaggio di Dostoevskij sostiene :” Per me non c’è idea più alta di quella che non c’è<br />
Dio. E’ con me la storia <strong>del</strong>l’umanità. L’uomo non ha fatto altro che inventare Dio per<br />
vivere senza uccidersi : in ciò consiste tutta la storia universale fino ad oggi “. E ancora :<br />
“Se non c’è Dio, io sono dio […] Capire che non c’è Dio e non capire nello stesso tempo<br />
d’esser diventato tu stesso un dio è un’assurdità “. Egli , infine, rende ancora più chiaro <strong>il</strong><br />
suo pensiero con queste parole :” Se Dio c’è, tutta la volontà è sua e sottrarmi alla sua<br />
volontà io non posso. Se no, tutta la volontà è mia, ed io sono costretto a proclamare<br />
l’arbitrio [ cioè la <strong>libertà</strong> assoluta ].Possib<strong>il</strong>e che nessuno, su tutto <strong>il</strong> pianeta, avendola<br />
finita con Dio, osi proclamare l’arbitrio ? Io voglio proclamare l’arbitrio. Sia pure da solo,<br />
ma lo farò “.<br />
L’”arbitrio”- la <strong>libertà</strong> assoluta – può essere esercitato a differenti livelli : da quello minimo,<br />
che consiste nel sopprimere gli altri, a quello massimo, che sta nel sopprimere se stesso e<br />
nell’eliminazione <strong>del</strong>l’ostacolo più grande a questa realizzazione, cioè la paura <strong>del</strong> dolore e<br />
<strong>del</strong>la morte.<br />
Il controllo <strong>del</strong>la scienza sulla natura consente all’uomo moderno di non temerne più le<br />
manifestazioni, anche le più straordinarie : dovrebbe, quindi, venire meno la causa che ha<br />
prodotto la nascita <strong>del</strong>la superstizione e <strong>del</strong>la religione. Eppure l'’uomo moderno rimane<br />
religioso : Nietzsche dice che ha ucciso Dio, e non si è reso conto di aver compiuto questo<br />
gesto decisivo per la propria storia. Questa mancata presa di coscienza – secondo<br />
Dostoevskij – si spiega con <strong>il</strong> perdurare nell’uomo <strong>del</strong>la paura <strong>del</strong>la morte, rivelatasi molto<br />
più profonda di quanto si sospettasse. Finché la paura <strong>del</strong> dolore e <strong>del</strong>la morte<br />
domineranno l’uomo – sostiene Kir<strong>il</strong>lov – egli non sarà libero e Dio, che non c’è ci sarà.<br />
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Dominare quella paura equivale dunque a fare definitivamente scomparire la religione, a<br />
vincere la battaglia per l’ateismo e per la deificazione <strong>del</strong>l’uomo. L’uomo ama la vita, che<br />
però si concede al prezzo di dolore e di paura; qui sta l’inganno. Per questo non è ancora<br />
comparso <strong>il</strong> vero uomo. “Vi sarà un uomo nuovo, felice, superbo. A chi sarà indifferente<br />
vivere o non vivere, quello sarà l’uomo nuovo. Chi vincerà <strong>il</strong> dolore e la paura, quello sarà<br />
Dio. Mentre l’altro Dio non sarà”. Coerente fino in fondo con <strong>il</strong> suo ragionamento, <strong>il</strong><br />
giovane Kir<strong>il</strong>lov, ingegnere, persona buona, sensib<strong>il</strong>e e generosa, compirà <strong>il</strong> gesto fatale<br />
<strong>del</strong> suicidio per liberare se stesso e l’umanità dalla paura e da Dio.<br />
Anche quella di Kir<strong>il</strong>lov è una rivolta, come lo è stata quella di Raskol’nikov, di Ippolit e di<br />
Ivan Karamazov, che griderà appunto “Tutto è permesso”. Sono rivolte titaniche sottese<br />
da una disperata solitudine, da una disperata assenza d’amore, da una categorica volontà<br />
di autodistruzione.<br />
Scrive Dostoevskij nel Diario di uno scrittore : “Il suicidio, quando sia perduta l’idea<br />
d’immortalità, diventa un’assoluta e inevitab<strong>il</strong>e necessità per ogni uomo che si sollevi nel<br />
suo sv<strong>il</strong>uppo anche solo un pochino al di sopra <strong>del</strong>le bestie “.<br />
Ancora una volta la sensib<strong>il</strong>ità di Dostoevskij, così vicina a quella di Nietzsche nel cogliere<br />
<strong>il</strong> carattere drammatico <strong>del</strong>la scoperta <strong>del</strong>la “morte di Dio”, si differenzia dalle conclusioni<br />
<strong>del</strong> f<strong>il</strong>osofo tedesco, per <strong>il</strong> quale la fine di Dio non è la fine <strong>del</strong>l’immortalità, ma <strong>il</strong><br />
trasferimento <strong>del</strong>l’immortalità e <strong>del</strong>l’eternità dall’<strong>il</strong>lusione metafisica alla realtà<br />
<strong>del</strong>l’oltreuomo.<br />
Dostoevskij sv<strong>il</strong>uppa questo tema <strong>del</strong>la “ morte di Dio “ attraverso un altro personaggio<br />
“nicciano “,<br />
Ivan Karamazov, uno dei tre fratelli protagonisti <strong>del</strong> romanzo omonimo. Egli formula una<br />
grande idea : “ Se Dio non esiste, tutto è lecito, tutto è permesso “. Questa tesi di Ivan<br />
viene ulteriormente sv<strong>il</strong>uppata : bisogna distruggere l’idea di Dio nell’umanità. Infatti, una<br />
volta che l’umanità abbia rinnegato Dio, tutta la vecchia concezione <strong>del</strong> mondo cadrà da<br />
sé, la vecchia morale sarà rifiutata e tutto si rinnoverà. “Gli uomini si riuniranno per<br />
prendere alla vita tutto ciò che essa può dare, ma unicamente per la felicità e la gioia di<br />
questo mondo. L’uomo si esalterà in un orgoglio divino, titanico, e apparirà l’uomo-Dio”. La<br />
morale è una barriera alla <strong>libertà</strong> <strong>del</strong>l’uomo, è per l’uomo un sistema di schiavitù. Ma con <strong>il</strong><br />
rifiuto di Dio tutto diverrà lecito. La negazione di Dio sarà per l’uomo la propria<br />
divinizzazione.<br />
Questa la teoria di Ivan. Il suo discepolo, <strong>il</strong> fratellastro Smerdjakov , ritiene di poterla<br />
mettere in pratica contro l’odiato padre Fedor Karamazov, che non ha mai voluto<br />
riconoscerlo come figlio e lo ha accolto in casa come servo. Così decide di ucciderlo.<br />
Dell’omicidio è accusato l’altro figlio Dmitrij, che verrà processato e condannato per una<br />
colpa non commessa. Ma Smerdjakov, in un incontro privato con Ivan, dopo di aver<br />
confessato di essere l’artefice materiale <strong>del</strong> <strong>del</strong>itto, lo accusa di essere <strong>il</strong> vero responsab<strong>il</strong>e<br />
<strong>del</strong> parricidio. Messo di fronte alle conseguenze dei propri insegnamenti e alle proprie<br />
responsab<strong>il</strong>ità, <strong>il</strong> giovane Ivan impazzisce.<br />
Io vi insegno l’oltreuomo e l’oltrepassamento <strong>del</strong>la morale – così predicava Zarathustra -<br />
Nietzsche - ;<br />
ma di fronte ai discepoli che lo seguivano e ascoltavano <strong>il</strong> suo insegnamento si indignava<br />
perché non riuscivano a staccarsi dal maestro. La “morte di Dio” e la fine <strong>del</strong>la morale può<br />
aversi solo con l’assunzione piena e totale di tutte le proprie responsab<strong>il</strong>ità da parte<br />
<strong>del</strong>l’individuo.<br />
Su questo c’è accordo fra Nietzsche e Dostoevskij : fintanto che c’è bisogno di un<br />
“maestro “ o di una Chiesa protettrice e rassicurante, l’uomo non può dirsi libero. La follia<br />
<strong>del</strong> maestro, <strong>del</strong>l’oltreuomo, <strong>del</strong>l’uomo di fede, è la condizione inevitab<strong>il</strong>e di fronte alla<br />
“saggezza “ <strong>del</strong> gregge, alla sua “normalità “ e alla sua “morale “.<br />
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L’idiota, ovvero <strong>il</strong> mistero <strong>del</strong>l’uomo buono<br />
Nietzsche spiega con l’”istinto <strong>del</strong> gregge “, cioè con l’incapacità di essere padroni di sé, le<br />
azioni “irresponsab<strong>il</strong>i “ che spesso gli uomini commettono : lo spirito nob<strong>il</strong>e non è né<br />
violento né malvagio. Dostoevskij, invece, è convinto che esistano uomini che sono portati<br />
alla malvagità; ma si trova d’accordo con Nietzsche nel tratteggiare l’immagine <strong>del</strong>l’uomo<br />
buono, riconoscib<strong>il</strong>e, ad esempio, nella figura medievale <strong>del</strong> cavaliere povero, immagine di<br />
Cristo.<br />
La presenza <strong>del</strong> <strong>male</strong> fra gli uomini – una presenza di cui Dostoevskij non dubita mai –<br />
trasforma però lo spirito nob<strong>il</strong>e da folle in idiota. La bontà non può sfuggire alle<br />
contraddizioni <strong>del</strong>la natura umana e al <strong>male</strong> che è presente in essa : alla fine l’uomo<br />
buono è destinato al fallimento. Da queste considerazioni nacque uno dei romanzi più<br />
famosi di Dostoevskij : L’idiota, incentrato sulla figura <strong>del</strong> principe Myskin, <strong>il</strong> cavaliere<br />
povero <strong>del</strong> XIX secolo, che vuole <strong>il</strong> bene di tutti e si adopera a questo fine, ma incontra<br />
continue difficoltà e contraddizioni insormontab<strong>il</strong>i che vanificano i suoi sforzi. Talvolta si<br />
viene a trovare in situazioni imbarazzanti o scopre addirittura <strong>il</strong> ridicolo. Le sue intenzioni<br />
buone producono spesso conseguenze negative per le persone che ama e che cerca di<br />
aiutare. Alla fine egli fallisce completamente, e viene travolto dal suo fallimento. Scrive<br />
Dostoevskij in una lettera : “ L’idea centrale <strong>del</strong> romanzo è di descrivere un uomo<br />
naturalmente buono. Nulla ci può essere di più diffic<strong>il</strong>e al mondo, e specialmente ora. Tutti<br />
gli scrittori che hanno intrapreso la descrizione <strong>del</strong> tipo positivo perfetto, hanno dovuto<br />
arrendersi, sempre. Perché questo compito è smisurato. Perché <strong>il</strong> perfetto è un ideale ben<br />
lungi dall’essersi formato .Nel mondo c’è un essere positivamente buono, Cristo, così che<br />
l’apparizione di questo essere smisuratamente, <strong>il</strong>limitatamente buono, è naturalmente un<br />
miracolo sconfinato. Ricorderò soltanto che fra gli uomini buoni, nella letteratura cristiana,<br />
<strong>il</strong> solo compiuto è Don Chisciotte. Ma egli è buono esclusivamente perché nello stesso<br />
tempo è anche ridicolo“.<br />
Due riferimenti precisi, quindi: Cristo e Don Chisciotte. Myskin l’idiota : “idiot” in russo ha <strong>il</strong><br />
doppio significato di idiota e di “folle di Dio”. Myskin è mite, malato (di ep<strong>il</strong>essia), indifeso,<br />
passivo, paziente. Il suo rapporto con gli altri nasce non dalla ragione, ma dalla fede, forza<br />
misteriosa, irrazionale, potente, che è dalla parte dei deboli. Ma <strong>il</strong> mondo intorno non è<br />
così: strumentalizza i deboli, li schiaccia, li piega ai propri giochi. La comprensione che<br />
Myskin ha <strong>del</strong>le cose e <strong>del</strong>le persone è ampia, libera, onnicomprensiva, si basa su un tipo<br />
di intelligenza che ignora le norme <strong>del</strong>la morale codificata; è l’intelligenza <strong>del</strong> sentimento,<br />
<strong>del</strong>l’intuizione, intelligenza “primaria” che funziona non secondo la logica angusta, gretta,<br />
avida degli altri: ecco perché “idiota”. Lo scontro tra la sua intelligenza “primaria” e quella<br />
“secondaria” di tutti gli altri è catastrofico. Le sue reazioni non sono mai etichettate, mai<br />
prevedib<strong>il</strong>i, e perciò sconvolgono. Irrompono senza preavviso in meccanismi calibrati,<br />
sconvolgono equ<strong>il</strong>ibri che si reggono sull’ipocrisia e sul tornaconto, concetti a lui<br />
sconosciuti. Sconvolgono e insieme attirano proprio perché diverse. Per Myskin la<br />
diversità diventa un tramite con gli altri: tutti lo cercano, tutti hanno bisogno di lui, perché<br />
sanno che sta “fuori”, che in lui non c’è inganno, non c’è menzogna, non c’è interesse<br />
personale o sociale. Ha una sorta di straordinaria verginità, di purezza infant<strong>il</strong>e come se<br />
ogni gesto, ogni parola si manifestassero in lui per la prima volta.<br />
Tutto <strong>il</strong> romanzo porta <strong>il</strong> segno <strong>del</strong>la morte. La vita che sfugge diventa un valore<br />
impagab<strong>il</strong>e: <strong>il</strong> tempo si d<strong>il</strong>ata e vorrebbe perdere la propria scansione inesorab<strong>il</strong>e. I<br />
pensieri più complessi sulla morte occupano quasi totalmente la “spiegazione” di Ippolit.<br />
Ippolit ha diciotto anni, è malato di tisi, gli viene comunicato che ha poche settimane di<br />
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vita. Lo assale un odio impotente: decide di uccidersi, mette per scritto le motivazioni <strong>del</strong><br />
suo gesto e le legge a Myskin e ai suoi ospiti. Parla degli incubi che stravolgono la sua<br />
pace notturna, parla soprattutto <strong>del</strong>la rabbia sorda contro <strong>il</strong> destino “che aveva deciso di<br />
schiacciarmi come una mosca, certo senza nemmeno sapere perché lo facesse”, contro la<br />
gente intorno a lui che sperpera la vita. A Ippolit è negata anche la consolazione <strong>del</strong>la<br />
carità. Nelle pagine <strong>del</strong>la spiegazione, visioni frammentarie, idee isolate, immagini<br />
mostruose. Vede, appesa a una parete una copia <strong>del</strong> “Cristo morto” di Holbein (lo stesso<br />
di fronte a cui Myskin aveva esclamato: “Lo sai che osservandolo a lungo si può anche<br />
perdere la fede ?”) e ne è anche lui sconvolto. “Nel quadro non c’è traccia di bellezza; è<br />
nel pieno senso <strong>del</strong>la parola <strong>il</strong> cadavere di un uomo che prima ancora di essere stato<br />
crocifisso ha sopportato un supplizio orrendo, ferite, torture, percosse dalle guardie e dalla<br />
plebe quando portava la croce e quando cadde sotto <strong>il</strong> suo peso e infine per sei ore lo<br />
strazio <strong>del</strong>l'estremo supplizio. La natura appare, contemplando quel quadro, in forma di<br />
un’immensa bestia, muta e implacab<strong>il</strong>e, oppure, come una di quelle immense macchine di<br />
nuovissima costruzione, che assurdamente, senza rendersi conto di quello che fa, afferra,<br />
schiaccia e inghiotte, sorda e calma. Il quadro sembra dare appunto l’impressione di<br />
quella forza, oscura, potente, assurda ed eterna, cui tutto è sottomesso e vi domina vostro<br />
malgrado “. Lentamente si fa strada la rivolta, <strong>il</strong> rifiuto. E la religione quale consolazione<br />
offre ? La vita viene data e tolta dalla volontà di una potenza superiore, che non chiede a<br />
nessuno <strong>il</strong> consenso. Perché dunque bisogna accettare questo dono ? Perché bisogna<br />
doc<strong>il</strong>mente piegarsi alle leggi imperscrutab<strong>il</strong>i <strong>del</strong>la Provvidenza ? Perché l’uomo deve<br />
essere responsab<strong>il</strong>e di ciò che va oltre la sua comprensione ? A questi interrogativi<br />
risponde con una disperata affermazione : “ Io morrò, fissando quella sorgente di forza e<br />
di vita che è <strong>il</strong> sole, io non accetterò questa vita ! La natura, con la sua sentenza di tre<br />
settimane, ha limitato a tal punto la mia attività, che probab<strong>il</strong>mente <strong>il</strong> suicidio è ancora<br />
l’unico atto che io possa compiere dal principio alla fine per mia propria volontà. Una<br />
protesta può avere talvolta un valore non insignificante”.<br />
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