Corpo a corpo. La madre - Pedagogika
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<strong>Pedagogika</strong>.it/2010/XIV_2/<strong>corpo</strong>_a_<strong>corpo</strong>.la_<strong>madre</strong>/disfare_la_<strong>madre</strong>,_rifare_la_<strong>madre</strong><br />
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<strong>La</strong> fantasia di poter cancellare i segni del tempo - il linguaggio figurale del <strong>corpo</strong><br />
storico - più che un rifiuto dell’invecchiamento in sé e per sé ha a che fare con il ritorno<br />
di un rimosso che affonda le sue radici nell’origine stessa dell’Io. <strong>La</strong> fantasia di<br />
sostituire i pezzi difettosi del nostro <strong>corpo</strong> (i trapianti sono un esempio significativo)<br />
porta traccia di un <strong>corpo</strong>, preverbale, fatto di parti non integrate tra loro che lo sguardo<br />
di un altro ha riunificato in una forma riconoscibile perché simile alla propria.<br />
“Tu sei il mio bambino” significa “tu sei come me”, della stessa specie cioè.<br />
Il riferimento al momento del riconoscimento del bambino da parte della <strong>madre</strong><br />
rinvia alla funzione strutturante che nell’economia del mio discorso fanno della<br />
presenza e dello sguardo materni i primi fattori identificanti su cui la psiche nascente<br />
può fare presa. <strong>La</strong> <strong>madre</strong> come persona quindi e non solo come funzione è colei<br />
a cui spetta di identificare il figlio come l’altro che condivide con lei l’appartenenza<br />
alla stessa gestalt della specie umana mentre nell’epoca prenatale c’era stata anche<br />
una condivisione dei corpi.<br />
Ma - e qui è il punto problematico - perché questo altro che ha la funzione di<br />
primo identificante non è intercambiabile con una persona di sesso maschile? E<br />
questo è poi vero?<br />
<strong>La</strong> relazione dell’Io con l’immagine nasce nel momento definito da <strong>La</strong>can come<br />
stadio dello specchio. Incontro decisivo tra chi guarda e il suo riflesso, un incontro<br />
tuttavia che assume il suo vero significato solo se si tiene conto di “quel movimento<br />
dello sguardo del bambino che si scopre nello specchio, che lo conduce verso lo<br />
sguardo della <strong>madre</strong> alla ricerca della conferma della bellezza dell’immagine, prima<br />
di ritornare allo specchio e al suo riflesso speculare.” 5<br />
Notiamo che a quell’età ci vuole una persona adulta alle spalle del bambino che<br />
lo sostenga e gli dia così modo di osservarsi nello specchio stando in piedi, posizione<br />
che la sua motricità ancora non gli consente.<br />
Nello specchio si riflettono dunque due figure di cui una, più piccola, sovrapposta<br />
e in qualche modo “incorniciata” dalla figura più grande. Vi sono anche due<br />
sguardi che si cercano, precursori di ogni altro desiderio di “essere cercati con gli<br />
occhi” come si dice degli innammorati.<br />
Tutto questo però non dimostra che l’appoggio al bambino sia necessariamente<br />
quello fornito dalla <strong>madre</strong>. Tuttavia se lo stadio dello specchio è preso anche nel<br />
suo significato metaforico si comprenderà meglio perché la “tonalità” dello sguardo<br />
che conferma il bambino deve essere carica di significati che apparterranno solo in<br />
un secondo tempo al mondo immaginario del bambino. Davanti allo specchio si<br />
verifica un evento che virtualizza il parto, la separazione cioè di due corpi di cui<br />
uno dei due conteneva l’altro. L’evento della nascita è estraniante soprattutto per<br />
la <strong>madre</strong> che deve riconoscere come parte di sé un altro divenuto la proiezione<br />
esternalizzata di una parte di sé. 6<br />
5 P. Aulagnier, Op. cit., p. 232<br />
6 Oltre il discorso lacaniano, anche se a partire da esso, si colloca la mia ipotesi: l’immagine che<br />
fonda l’io individuale è un’immagine composta da due entità. Ne dà conto in modo suggestivo