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Corpo a corpo. La madre - Pedagogika

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<strong>Pedagogika</strong>.it/2010/XIV_2/editoriale<br />

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fine lo rendeva particolarmente affascinante.<br />

Quell’anno trascorreva davvero bene, era stato bello. Il libretto degli esami si<br />

andava riempendo di buoni voti. L’amore si stava svelando. A Belinda piaceva<br />

cantare a squarciagola sul pullman, insieme ai ragazzini accompagnati, le solite<br />

canzoni da gita fuori porta.<br />

A Belinda però mancava qualcosa... Qualcosa mancava, come quando un bimbo<br />

o una bimba piccola, che sanno di poterlo chiedere e non avendo bisogno di<br />

nulla di contingente o di particolare, chiedono alla mamma o al papà : “dammi<br />

qualcosa”. Ed il papà o la mamma danno loro qualcosa, ben sapendo che che non<br />

è quello che manca al loro bambino.<br />

Nei “favolosi anni ‘7O”, Belinda, taglia 44, altezza ragguardevole, nel recarsi<br />

in università indossava un bell’abito color corallo, un robe-manteau di crepella,<br />

tagliato in sbieco che accompagnava i suoi passi muovendosi sinuoso e catturando<br />

gli sguardi birichini dei compagni più sfacciati. Ciò che metteva la ragazza in imbarazzo,<br />

come in quella celebre foto di Ruth Orkin, American girl in Italy.<br />

A Belinda però non interessava. Belinda aspettava qualcosa. Cosa vuole Belinda?<br />

Cosa manca alla nostra poco più che ventenne ragazza?<br />

Passa un po’ di tempo e qualcosa succede. Non importa sapere se desiderio e realtà<br />

coincidano, stiano sulla stessa strada. <strong>La</strong> spinta ad esistere per Belinda sembra<br />

in ogni caso, in quel particolare momento della sua vita, che possa avere luogo solo<br />

attraverso la realizzazione di una sua particolare ed unica opera d’arte e cioè quella<br />

di avere una bambina o una bambino.<br />

Il mettere al mondo il figlio fantasticato diventa in quel momento per Belinda il<br />

modo di mettere al mondo il mondo. Anzi, di “creare” in parte il mondo facendolo<br />

abitare da una creatura viva: un ponte tra natura e cultura, un esserci ed estendere<br />

di più la propria presenza.<br />

Ora questa opera d’arte, questo divenire <strong>madre</strong> è intriso di una notevole cifra<br />

di investimento. Sotto molti profili, però. Vorrei per una volta sfatare il mito della<br />

<strong>madre</strong> oblativa e amorosa, della <strong>madre</strong> che tutto dà e nulla chiede. Il desiderare la<br />

maternità, il farsi “fare” <strong>madre</strong> da un figlio o da una figlia - ed in questo secondo<br />

caso, sappiamo quanto è più difficile il rapporto che in seguito si instaurerà con<br />

la figlia - ha una potente valenza generatrice di un rapporto unico, irripetibile e<br />

singolare, investito anche narcisisticamente di tutto ciò che in quel particolare momento<br />

della propria vita si desidera. E credo che non ci si debba scandalizzare.<br />

Quello che dico corrisponde al vero, se per verità intendiamo gli scambi autentici<br />

che in molti incontri noi donne abbiamo avuto con altre donne, con le quali<br />

abbiamo parlato di maternità; e si è ripetuto e si ripeterà ancora molte volte. Tra<br />

donne si parlava una volta e ancora si parla tanto. Al di là delle molte tipologie di<br />

madri amorose o delle Medee che abitano il mondo, quando le madri parlano tra<br />

di loro, sanno della potenza che le parole hanno. Sanno cosa vuol dire una <strong>madre</strong><br />

quando, rivolta all’altro ed indicando il/la proprio/a figlio/a, con una punta di<br />

sussiego dice: “guarda cosa ho fatto, guarda di cosa sono stata capace!”. <strong>La</strong> spinta<br />

ad esistere - dicevo - che, con la nostra venuta al mondo strutturalmente possedia-

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