Corpo a corpo. La madre - Pedagogika
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<strong>Pedagogika</strong>.it/2010/XIV_2/cultura/a_due_voci<br />
106<br />
le in un volume che porta il bel titolo:<br />
<strong>La</strong> gioia di scrivere. Sono poesie leggibilissime<br />
che non si prestano a quelle<br />
obiezioni cui poc’anzi accennavo. Di<br />
cosa parlano? Ricorro non casualmente<br />
al verbo parlare, perché è, in fondo, il<br />
più corretto, il più idoneo per rendere<br />
ragione dello stile quasi colloquiale della<br />
poetessa polacca. I suoi scritti parlano<br />
delle cose che fanno, che ci fanno<br />
o che dovrebbero farci parlare: le solite.<br />
E cioè, bisogna proprio dirlo?, l’amore,<br />
l’amicizia, la sofferenza, l’undici settembre…<br />
Importante è il tocco, lo sguardo.<br />
E, per noi, il luogo dove la sua scrittura<br />
ci invita, per fare un’esperienza che<br />
ci permetta di rileggere le nostre esperienze,<br />
ora ritrovandoci ora rendendoci<br />
estranei a noi stessi, quel che basta. Cito<br />
i versi con cui lei conclude la poesia “Un<br />
minuto di silenzio per Ludwika Wawrzynska”:<br />
“Conosciamo noi stessi solo fin<br />
dove / siamo stati messi alla prova ./ Ve lo<br />
dico / dal mio cuore sconosciuto/”. Credo<br />
che per il tramite delle parole, la poesia<br />
della Szymborska ci riporti, in maniera<br />
mediata, proprio lì. A rivivere, a risentire<br />
quella prova… Una prova che<br />
è , semplicemente, il senso del nostro<br />
esserci, le tracce del nostro vivere. Che<br />
cos’è la gioia di scrivere se non il dono<br />
che qualcuno ci affida solo perché,<br />
come una coppia di amanti, nell’altro<br />
gli venga incontro il desiderio atteso: la<br />
gioia di leggere.<br />
Non entrerai, non hai che una sensazione<br />
di quel senso, appena un germe,<br />
una parvenza. […] (“Conversazione<br />
con una pietra”).<br />
Il germe, la parvenza diventano segni,<br />
segni di un reale irraggiungibile,<br />
ma che non si smette di cercare, di<br />
inseguire per trattenerlo attraverso<br />
le parole, per poter esclamare tutto è<br />
mio, niente mi appartiene di ciò che<br />
ci circonda.<br />
Ma questo parlare sottotraccia ritorna<br />
con ironia anche nella dimensione<br />
pubblica di una poetessa che prima<br />
del Nobel quasi nessuno conosceva,<br />
e che preferisce ancora parlare<br />
attraverso le sue poesie, sottraendosi<br />
alla dimensione pubblica, rivendicando<br />
una preminenza del testo rispetto<br />
all’autore, l’autonomia delle<br />
poesie rispetto al viso, alla storia e<br />
alle opinioni sulla letteratura e sulla<br />
società di colui che le scrive. Per<br />
dirla tutta, ella non ama neppure le<br />
serate d’autore, anzi se ne fa beffe -<br />
Ci sono dodici persone ad ascoltare,<br />
è tempo ormai di cominciare. Metà<br />
è venuta perché piove, gli altri sono<br />
parenti. O Musa. […] In prima fila<br />
un vecchietto dolcemente sogna che la<br />
moglie buonanima, rediviva, gli sta<br />
per cuocere la crostata di prugne. Con<br />
calore, ma non troppo, ché il dolce non<br />
bruci, cominciamo a leggere. O Musa<br />
– (“Serata d’autore”).