Dispensa Casa Bianca.qxd - Cineforum del Circolo
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“Ci giochiamo il culo”, dicono i redattori <strong>del</strong> The Washington Post quando si<br />
accorgono, nel pieno <strong>del</strong>la loro inchiesta sul caso Watergate, che la pista può<br />
condurre molto in alto. E qualcuno aggiunge inconsapevolmente parafrasando<br />
una famosa battuta di Mario Missiroli: “Dovremo andare tutti a lavorare per<br />
vivere”. Tipico segno che il mondo è un paese, anche per quanto riguarda la professione<br />
giornalistica e il relativo gergo: solo che negli Usa una campagna stampa può magari<br />
far cadere un Presidente, mentre da noi si riesce al massimo ad alzare un polverone<br />
(…).<br />
(Tullio Kezich: Panorama, 9 settembre 1976)<br />
(…) Infine gli eroi, per la storia Bob Woodward e Carl Bernstein, per il film folletti<br />
impasticcati e eccitati, un po’ ingenui, un po’ maldestri, un po’stravaganti.<br />
Anime candide che in fondo non sanno quello che fanno (“Odio la stampa, dirà<br />
a Redford chi la sa più lunga di tutti, perchè odio la superficialità e l’inesattezza”).<br />
Un po’ naif, saltellando da un luogo all’altro, segnano le tracce di una verità<br />
che non appartiene a loro e che alla fine contemplano sgomenti, come i bimbi di<br />
Lourdes e di Fatima davanti alle Madonne. (…)<br />
(Roberto Silvestri: Il Manifesto, 23 novembre 1976)<br />
(…) Questo film superbo mescola i migliori elementi <strong>del</strong>la cronaca, <strong>del</strong><br />
poliziesco e <strong>del</strong> thriller con un ritmo incalzante e una fotografia spettacolare,<br />
senza perdere la sostanza politica <strong>del</strong>la storia. (****)<br />
(Leonard Maltin: Guida Film 2007)<br />
Il giornalismo. E’ il vero “eroe” <strong>del</strong> film come tecnica di inchiesta, etica professionale<br />
e potere. La macchina per scrivere e il telefono assurgono a motivi<br />
emblematici di una lotta: la prima ne è il mezzo espressivo, il secondo l’arma<br />
inquisitoria. L’intervista è invece la formula <strong>del</strong> rapporto umano (finto, psicologicamente<br />
spesso ricattatorio e oppressivo) “messo di scena” da Bob e Carl<br />
(egregiamente sostenuti dalle qualità interpretative di Redford e Hoffman) per “far parlare”<br />
i testimoni. La tenacia <strong>del</strong>la ricerca, la volontà di prove, la scelta di chiarezza (nell’interpellare<br />
gli interessati come nel proporre ai colpevoli i fatti) e il coraggio onesto <strong>del</strong> direttore<br />
Ben Bradlee (Jason Robards) prima nel controllare la notizia eppoi nel rischiarne il lancio<br />
sono altrettanti dati etici di un giornalismo di classe.<br />
A muovere Bob e Carl – per Pakula – non sono affatto motivi ideali civili e politici. Fanno<br />
soltanto il loro mestiere di giornalisti americani: vogliono veder chiaro e, se possibile,<br />
arrivare primi a dire come sono capitate le cose. Ce la fanno, ed è una reazione a catena la<br />
cui vittoria sarà lo stesso Presidente degli Stati Uniti. Ma la loro è proprio la vittoria <strong>del</strong><br />
potere <strong>del</strong>la verità proclamata da una stampa libera in un Paese autenticamente democratico,<br />
capace quindi di colpire a qualsiasi livello si collochi chiunque attenta ai valori fondamentali<br />
<strong>del</strong>la Costituzione? Tutti gli uomini <strong>del</strong> Presidente evoca l’affare Watergate in<br />
modo da gettare una pesante ipoteca su questa tesi: “Gola Profonda”. Tale l’azzeccato<br />
pseudonimo (preso a prestito da uno dei film pornografici di maggior successo negli States)<br />
designa un misterioso informatore. Questi, “uomo <strong>del</strong>l’esecutivo che aveva accesso a infor-<br />
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