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Tutti i colori del noir - Cineforum del Circolo

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i quaderni del cineforum26TUTTII COLORIDEL<strong>NOIR</strong>contaminazioni di un genereDI CLAUDIO CASAZZA EMARCELLO PERUCCACIRCOLO FAMILIARE DI UNITÀ PROLETARIAviale Monza 140 - MIlano - MM1 «Turro»www.cineforumdelcircolo.it info@cineforumdelcircolo.it


TUTTII COLORIDEL<strong>NOIR</strong>contaminazioni di un genereDI C L A U D I O C A S A Z Z A E M A R C E L L O P E R U C C Aaprile - maggio 2012CIRCOLO FAMILIARE DI UNITÀ PROLETARIAViale Monza 140, Milanowww.cineforumdelcircolo.it info@cineforumdelcircolo.it


IL FILM <strong>NOIR</strong> CLASSICO E L’EVOLUZIONE CONTEMPORANEALa vita mi ha servito delle mani perdenti, o magari non le ho saputegiocare, chissà... Ora volevo parlare, ma non avevo nessuno accantoa me: ero un fantasma, non vedevo nessuno, e nessuno vedeva me.Ero il barbiere...(Billy Bob Thorthon interpreta Ed Crane inL’uomo che non c’era dei Fratelli Coen, 2001)Non mi importa se i miei modi non le piacciono; in confidenza nonpiacciono neanche a me, ci piango su spesso, specialmente durantele lunghe sere d’inverno.(Humphrey Bogart interpreta Philip Marlowe inIl grande sonno di Howard Hawks, 1946)In questa introduzione inquadreremo il cinema noir dal punto di vista cronologico cercando di capire glielementi basilari della messa in scena, individueremo le tematiche classiche che caratterizzano il generee andremo a capire la sua evoluzione nel corso della storia del cinema.È un’impresa ardua definire e circoscrivere il noir, che può a seconda dei casi, essere considerato un genere,un filone, una tendenza o anche solo un ristretto elenco di titoli. Il mondo criminale, popolato di gangster,detective e poliziotti, a partire dal nome francese è un ibrido seducente. Riflette la società, ne analizzale fondamenta, ne porta alla luce le contraddizioni. Non ha limiti inventivi, ha legami stretti con la letteraturapopolare, di cui è figlio, ed offre a registi e scrittori la possibilità di mettersi alla prova, di sperimentare,di far sognare.L’espressione noir (termine francese che significa «nero») fa riferimento al tono decisamente cupo e sinistrodelle pellicole appartenenti al suddetto genere: noir significa anche «scuro» ma può anche voler dire«tenebroso». Film nei quali è possibile trovare una serie di tematiche ricorrenti: l’ambiguità morale deiprotagonisti, il brutale realismo delle vicende, l’avidità e l’ambizione come moventi di atti criminosi,ambientazioni urbane e notturne, una narrazione costruita spesso attraverso flash-back, e una rappresentazionetrasgressiva della sessualità. Oltre a questi aspetti contenutistici, il genere noir è contraddistintoanche da precise caratteristiche formali: l’uso prevalente del bianco e nero (o comunque di tinte moltoscure), i forti contrasti cromatici e altri elementi stilistici ripresi dall’espressionismo tedesco, come ladistorsione dell’immagine in chiave soggettiva. Nei noir si incontrano inoltre personaggi convenzionalibasati su stereotipi fissi: il detective, che sia un membro delle forze dell’ordine o investigatore privato, ilgangster, la dark-lady e la femme-fatale.3


In alto: Edward G. Robinson in una scena diPiccolo Cesare.Sopra: Gene Tierney in Vertigine, di OttoPreminger.Storicamente si può dire che il noir si afferma nei primi anni‘40 e che si impone per una serie di elementi tematici e stilisticiche trasformano i gangster movie degli anni 30, film figlidella grande depressione e del proibizionismo come PiccoloCesare (1931) di Mervyn LeRoy e Scarface - Lo sfregiato(1932) di Howard Hawks.Possiamo assumere per convenzione questi ‘estremi anagrafici’del film noir: il 1941 (data di uscita de Il mistero del falco,prima regia di di John Huston) e il 1958 (data di uscita deL’infernale Quinlan di Orson Welles), ben sapendo che sonopossibili altre periodizzazioni in relazione agli elementi considerati‘puri’ o ‘spuri’ del noir, o in relazione a film che sonoconsiderati un lento epilogo del filone o un suo tardivo recupero.Il rapporto con la Francia è fondamentale: il noir arriva interra transalpina nell’estate del 1946 con un primo ‘pacchetto’di opere esemplari: Il mistero del falco, Vertigine di OttoPreminger, La fiamma del peccato di Billy Wilder, La donnadel ritratto di Fritz Lang. In questo periodo venne coniatadalla critica cinematografica francese l’espressione film noir.Con questo primo gruppo di film, ci si rende conto della trasformazionedel poliziesco in “avventura criminale”, caratterizzatada una nuova visione del crimine e da una nuova psicologiadel criminale. Qualche mese dopo arrivano suglischermi parigini Gilda di Vidor, Il grande sonno di Hawks, Igangster di Robert Siodmak.Il riferimento alla Francia è d’obbligo per più motivi: l’attenzionecritica che rivolse al fenomeno, la ricostituzione di uncorpus di film e di analisi, l’interesse che manifestò in riferimentoalla letteratura poliziesca francese, la produzione dimolti noir francesi ispirati al noir americano (la filmografiacompleta di Jean-Pierre Melville ad esempio).Come spesso capita al cinema di genere, all’inizio il noir eraritenuto un genere commerciale e di serie B, con pellicole realizzatecon budget medio-bassi; alcune di queste, però, ottennerouno straordinario successo e ancora oggi sono consideratedei veri e propri capolavori. I grandi critici francesi deiCahiers du cinéma (Bazin, Truffaut, Godard, Chabrol) ebberoun ruolo fondamentale per la riscoperta del genere negli anni‘50 e furono indispensabili per farlo diventare un genere diculto. I registi francesi poi seppero reinterpretarlo in manierageniale, come fecero, ad esempio, Godard con Fino all’ultimorespiro e Pierrot le fou (Il bandito delle ore 11), Truffaut conLa mia droga si chiama Julie o Chabrol con tutto il suo cinemanero sulla provincia francese.Il rapporto con la Francia è molto importante per la sua diffusione,ma il debito del noir nei confronti del cinema tedescodegli anni ‘20 è ancor più evidente. Le influenze dell’espressionismosono certe e ciò può essere in parte spiegato dal fattoche quattro registi germanici furono tra i principali esponentidel genere: Fritz Lang, Robert Siodmak, Otto Preminger,Billy Wilder, tutti registi emigrati in America con l’avvento4


del nazismo in Germania.Bisogna considerare che numerosi film neri provengono dalle trasposizioni sul grande schermo dei romanzihard boiled, ovvero di quella letteratura poliziesca i cui protagonisti sono perlopiù detective cinici e risoluti;tra i principali autori di hard boiled si annoverano Raymond Chandler (creatore del celebre detectivePhilip Marlowe), James M. Cain, Cornell Woolrich e Dashiell Hammett. Romanzi scabri e sensazionalistici,come Piombo e sangue di Hammett, sono in contrapposizione con i classici gialli inglesi e alle loroatmosfere posate, ambientate tra personaggi di classe elevata e in eleganti dimore di campagna. Molti lororomanzi e racconti furono portati sullo schermo, a cominciare da II falcone maltese di Hammett.Ma sulla letteratura e il noir vi rimandiamo, per approfondimenti, al capitolo successivo.Tornando alla concezione del noir, c’è da dire che gli eroi sono quasi sempre uomini, di solito investigatorio criminali, caratterizzati da pessimismo, insicurezza o da una visione del mondo fredda e distaccata. Ledonne sono seducenti ma traditrici, spingono i protagonisti nel pericolo o li usano a fini egoistici.L’ambientazione classica è la grande città, specialmente in scene notturne: marciapiedi lucenti e bagnati dipioggia, vicoli oscuri e bar equivoci sono i luoghi tipici. Lo stile abbonda di angolazioni dall’alto o dalbasso, luci soffuse, forti grandangoli e riprese in esterni, anche se capita che alcuni film noir contenganopochi di questi elementi. Il mistero del falco fissò molte delle convenzioni del noir e Humphrey Bogartdivenne una star di prima grandezza nel ruolo dell’investigatore privato, rappresentandone per sempre laquintessenza simbolica: feltro in testa, sigaretta in bocca, sguardo torvo, bicchiere di whisky tra le mani,impermeabile e pistola nella tasca della giacca pronta all’uso.Il noir americano presenta sempre storie oscure, personaggi dalle ambizioni poco raccomandabili, è onirico,insolito, erotico, ambiguo, crudele. Vi domina l’esotismo sensuale, a cominciare da Shanghai diSternberg o Gilda di Vidor. La crudeltà è legata a un’azione insolita, che non ha motivazioni o giustificazioniriconducibili ai classici schemi del conflitto fra due individui. È il tipico tratto della crudeltà senzascopo, che guida un’azione aberrante o un duello psicologico fra due individui, dove la posta in gioco nonHumphrey Bogart divenne una star nelruolo dell’investigatore privato, fissandomolte delle convenzioni del noir classico.5


è soltanto il dominio ma la morte.Spesso il lato ‘nero’ di un film è legatoa un personaggio psicopatico, a unambiente corrotto, a una scenografiainquietante. Il ricatto, la delazione,la rapina, la truffa, il traffico di drogagenerano un intreccio dove la postain gioco è la morte. Sono rare le seriedi film che in pochi anni abbianoaccumulato sullo schermo una talequantità di brutalità e di omicidi. Lamorte è sempre sordida o insolita:aspetta il protagonista alla fine di unviaggio tortuoso. Il film noir è, inogni accezione del termine, un filmdi morte. La morte è l’obbiettivofinale di ogni azione e diffonde sulfilm la sua ombra cupa. La morte ègià dentro l’eroe del noir: bisognasolo aspettare che si rovesci all’esterno,inondando lo schermo di cadaverie di violenze inusitate.Rita Hayworth in due suoi celebri film:in alto nel ruolo di Gilda, la sensualeprotagonista dell’omonimo film diGeorge Cukor. Sotto con Orson Wellesne La signora di Shanghai.Dalla fine degli anni ‘50 si può sostenereche il cinema americano abbiaabbandonato il noir e in questo modoil genere, come accennavamo prima,si sia “trasferito” fuori dagli States.Nonostante sia un genere tipicamenteamericano, il noir ha avuto unanotevole diffusione anche nel cinemafrancese, con titoli quali Legittimadifesa di Henri-Georges Clouzot eAscensore per il patibolo di LouisMalle, i film di Dassin dopo averlasciato gli Usa, molti film di Becker,tutto il cinema di Melville, gran partedei film di Chabrol.Anche il cinema giapponese ebbe un ruolo importante:Kurosawa per certi versi già con Rashomon utilizzò flashbacke luci alla maniera del noir, poi con I cattivi dormono inpace e Anatomia di un rapimento entra perfettamente nelgenere. Un altro regista giapponese, Seijun Suzuki, tra il 1956e il 1967 ha realizzato circa 40 film, principalmente B-moviedi genere yakuza (mafia giapponese) con uno stile che si èfatto sempre più surreale e «artistico» influenzando tantissimol’evoluzione del genere.Per quanto riguarda il cinema italiano negli anni ‘60 e ‘70 c’èstato soprattutto uno sviluppo del poliziesco/poliziottesco cheprende spunto da un certo tipo di noir anche se con profondedifferenze. Vi rimandiamo al box a pagina 19 per una sinteticadisamina del noir e poliziottesco italiano.6


A partire dagli Anni ‘70 il cinema nero torna in voga anchenegli Stati Uniti trasformato nel cosiddetto neo-noir, cherielabora lo stile del noir classico secondo un’ottica moderna.I più importanti esempi di questo filone sono costituitida Il lungo addio di Robert Altman, Chinatown di RomanPolanski, Bersaglio di notte di Arthur Penn, via via fino aversioni che abbandonano lo schema classico, in cui tuttoruota attorno alla figura del detective e/o a quella dellafemme fatale: per cui, si possono definire noir anche filmquali La conversazione di Coppola o Taxi Driver di MartinScorsese, i quali comunque mantengono intatti situazioni,atmosfere, stati d’animo (e non di meno una sottesa criticasociale) tipici del genere.C’è da considerare anche Scarface di Brian De Palma conAl Pacino, remake del capolavoro di Hawks. Più vicini alnoir classico i successivi Brivido caldo di LawrenceKasdan e, in tempi più recenti, Rischiose abitudini diStephen Frears e L.A. Confidential di Curtis Hanson.Il cinema americano di oggi riscopre il proprio passatooscuro, basti pensare a Gangs of New York di MartinScorsese o a Zodiac di David Fincher. La figura del delinquente,canaglia dallo charme inconfondibile c’è tutta in Lapromessa dell’assassino di David Cronenberg, noir suigeneris, dove Viggo Mortensen è un glaciale russo dallosguardo talmente tagliente da poter uccidere. Ridley Scott èun esploratore dei generi, il suo Blade Runner (1982) è unneo-noir cyberpunk che adatta un racconto di Philip K. Dickalla realtà dei detective. Come Scarface anche il recenteAmerican Gangster (sempre di Scott) riporta in auge il confrontotra due realtà temporali differenti ma tra rappresentazionisociali così stranamente identiche.Il cinema di Joel e Ethan Coen entra di diritto in questodiscorso, i due geniali fratelli esordiscono con Blood Simpleun noir molto classico. Poi, muovendosi sempre intorno algenere, realizzano Fargo, L’uomo che non c’era, per certiversi Il grande Lebowski e anche Non è un paese per vecchi,rivestendo il noir di una forte impronta autoriale e conun umorismo non comune.Negli anni ‘90 anche Quentin Tarantino, già sceneggiatoredi noir come Una vita al massimo di Tony Scott e Assassininati di Stone, ha un ruolo fondamentale nella ristrutturazionedel genere: i suoi capolavori del periodo (Le iene, PulpFiction e Jackie Brown) si muovono nelle tematiche noircon l’introduzione spiazzante di dialoghi surreali, violenzagrafica e ossessioni pop.È necessario ricordare anche Michael Mann con il suo cinemafiammeggiante. Mann è uno dei pochi registi al mondocapace di mescolare autorialità e cinema di genere in unadimensione mainstream, dando vita ad autentici capolavoridel genere: Manhunter, Heat- la sfida, Collateral e il recenteNemico Pubblico.In alto: a partire dagli anni ‘50 il cinema giapponeseebbe un ruolo importante nel generenoir. In alto un’immagine del regista SeijunSuzuki, autore di numerosi B-movie, principalmentedi genere yakuza.Sopra: il Philip Marlowe interpretato da ElliotGould nel film di Robert Altman Il lungo addio.7


Locandine de Le iene, di QuentinTarantino e di Oldboy di Kim Ki-dukPer quanto riguarda il cinema degli ultimi anni non si può non parlare del noir del sud-est asiatico. Pur semplificando,vanno citati almeno una manciata di autori che dagli anni ‘90 sono venuti alla ribalta nei festivaleuropei. Il cinema asiatico ha rielaborato il noir con un uso della violenza molto diverso da quella chevediamo nei film americani e con una commistione tra generi (melodramma, commedia, anche horror) cherende originalissimi gli autori di questo cinema.Per il cinema di Hong Kong sono saliti alla ribalta registi geniali come John Woo (poi assorbito daHollywood, purtroppo) e Johnnie To che tiene ancora la posizione sfornando una serie di titoli con uno stilepersonale e avvincente (The Election, Breaking News, PTU). Capolavoro recente del cinema di Hong Kongè la saga in tre capitoli Infernal Affairs di Andrew Lau, grande successo al botteghino e recentemente ripresada Martin Scorsese con il remake The Departed.Per il Giappone c’è sicuramente da considerare il genio assoluto di Takeshi Kitano, nei suoi noir asciutti epoetici (Violent cop, Sonatine, Hana-bi) la Yakuza è un elemento assolutamente ricorrente così come losono il mare, la disgrazia fisica ed il suicidio. L’eroe di Kitano è molto spesso un invincibile vendicatorela cui giustizia cruda e discutibile è portata avanti in modo inesorabile.Anche la Corea una citazione la merita: Park Chan-wook è un regista originale come pochi, i suoi JointSecurity Area e la triologia della vendetta (Mister Vendetta, Oldboy e Lady Vendetta) sono universalmentericonosciuti capolavori del genere.———————Nel corso della rassegna abbiamo scelto di privilegiare il noir contemporaneo, rivolgendoci perciò alle treanime storiche del noir: Stati Uniti, Francia e Sud-est asiatico. L’obiettivo, nel scegliere i film, è stato quellodi presentare opere che ragionassero sull’evoluzione del noir, sulle sue contaminazioni con altri generi,cercando di fornirne un panorama il più ampio possibile, pur nelle “ristrettezze” di soli sei titoli.Inizieremo con il cinema orientale e, in particolare, con Hana-bi di Takeshi Kitano (1997). È il film che faconoscere Kitano fuori dal Giappone con la vittoria del Leone d’oro alla Mostra del Cinema di Venezia del1997. È un film poetico, polimorfico che parte come un poliziesco d’azione, continua come un noir, finiscenel melodramma esistenziale. Alterna il lirico e il tragico, scoppi di violenza e digressioni sulla pittura.Spiazza, coinvolge, intenerisce, colpisce, commuove.A seguire, Fargo (1996) uno dei film più interessanti dei fratelli Coen, Joel, ed Ethan. Opera spiazzanteper vari motivi. L’ambientazione: anziché le cupe atmosfere cittadine, l’innevata e apparentemente candidaprovincia americana (siamo nel Minnesota, luogo di origine dei due fratelli); la stupidità con cui i duecriminali compiono il loro efferato delitto; la poliziotta che indaga (e già il fatto che non sia di generemaschile la dice lunga) con un’aria non particolarmente intelligente e in avanzato stato di gravidanza.Sempre negli Stati Uniti, ma a Los Angeles, si svolge la vicenda di Collateral di Michael Mann (2004).8


Apparentemente è un film normale dove male (un killer prezzolato) e bene (un tassista che capita per caso)sono ben definiti e separati. La novità principale è lo stile di regia di Mann: il film è stato interamente giratonelle ore notturne e in location reali, con l’ausilio di appositi filtri per ottenere una tonalità e un’atmosferacupa e misteriosa e un iperrealismo visivo che solo Mann riesce a definire. E c’è anche da dire chein questo film Mann ha girato più della metà delle riprese in digitale, donando all’aspetto finale del filmquello di una vecchia pellicola di celluloide granulosa. È un aspetto importantissimo poiché è stato uno deiprimi film di una major a usare il digitale.Ci trasferiremo, quindi, in Europa con 36 Quai des Orfévres, di Olivier Marchal (2004). Il film, che haricevuto il premio del pubblico al Noir in Festival di Courmayeur, prestigiosa rassegna internazionale digenere, prende il titolo dalla famosa strada parigina dove ha sede la questura. Si tratta di un film duro, violento,che vede lo scontro fra due poliziotti, stupendamente interpretati da Daniel Auteuil e GerardDepardieu. È un film che non fa sconti e dove, alla fine, non ci saranno vincitori e vinti, ma solo sconfitti.Torneremo in Asia con un capolavoro infinito: The Killer di John Woo. Apprezzato da molta critica mondialealla sua uscita nel 1989, è il film che ha fatto conoscere John Woo all’occidente ed è diventato, conil tempo, quasi spartiacque di certa cinematografia di genere. È un melodramma più che un noir, èun’esemplificazione diretta e palese dell’inesistenza di un confine «definito» tra Bene e Male. Non è solamenteuna splendida dimostrazione di cinema d’azione, è un film che va ben aldilà della semplice definizionedi action-movie. Con un uso sapiente e per nulla misurato del ralenti, spinge la dimensione filmicadell’azione a livelli quasi liturgici.Chiuderemo la rassegna con L’uomo del treno di Patrice Leconte (2002), interpretato da uno strepitosoJohnny Halliday nella parte di un rapinatore di banche stanco, che sogna la pensione e un efficacissimoJean Rochefort che interpreta un professore in pensione e pantofolaio che, al contrario, sogna una vita spericolatae avventurosa. Un noir anomalo per i suoi personaggi fuori da ogni cliché, una commedia venatadi dolcezza e malinconia. Una commedia noir o un noir sotto forma di commedia. Forse né l’uno né l’altra:semplicemente un film bellissimo.IL <strong>NOIR</strong>: STRUMENTO PER RAPPRESENTARE LA SOCIETÀIl noir classico nasce verso la fine degli anni Venti in un periodo contraddistinto da grandi incertezze.Sono gli anni della Grande Depressione e la società americana vive una crisi mai conosciuta sino adallora. Ecco quindi che la letteratura poliziesca inizia a raccontare storie cupe, specchio di una realtàdestabilizzante. Il noir tende a descrivere questa realtà raccontando vicende ambientate in una società contraddistintadalla violenza, dagli intrecci fra criminalità e politica, dalla corruzione. Non c’è lieto fine nelnoir. Anche laddove la storia si risolve per il meglio,i protagonisti arrivano al termine stremati, profondamentecambiati, per loro nulla sarà mai più comeprima.Anche il cinema risentirà di questo sentimento diincertezza percepito nel vivere quotidiano. Gli annid’oro del cinema noir sono quelli che vanno dallafine degli anni Trenta sino alla fine dei Cinquanta. Ilcinema noir si sviluppa, quindi, prendendo spuntodalla letteratura, in un periodo caratterizzato dallapaura della Seconda guerra mondiale e si alimenterà,in seguito, del malessere della Guerra fredda e dellaImmagini della grande depressione del 1929 negli StatiUniti. In questo contesto si sviluppa la letteratura poliziesca,con storie cupe, spesso specchio di una realtàdestabilizzante.9


caccia alle streghe durante il maccartismo. I valori classici efondanti della società sono quelli più bersagliati: il matrimonio,la famiglia, il ruolo della donna all’interno di essa, vengonospesso messi in discussione. Così come le istituzioni, chevengono viste non come rassicuranti, protettive per il cittadino,bensì nemiche e pericolose. Un’entità della quale diffidare.Anche in anni più recenti, quando ormai il genere noir, per lomeno nella sua accezione più classica, è finito, i film che adesso si ispirano e che ne sono i naturali prosecutori, utilizzanogli schemi del genere per narrare una società che non è maivista in maniera positiva. Infatti la violenza, la criminalitàorganizzata, i serial killer sono spesso gli ingredienti e i protagonistidei film che, più o meno dall’inizio anni Ottanta, vengonodefiniti neo-noir. A partire da Brivido caldo (LawrenceKasdan, 1981) e, soprattutto, Blade Runner (Ridley Scott,1982), film a tutti gli effetti di fantascienza ma che utilizza,senza ombra di dubbio, molti degli stilemi del noir classicoper raccontare una società del futuro ormai senza più anima,dove i sentimenti vengono immessi all’interno di robot semprepiù simili agli esseri umani e dove è sempre più labile ilconfine fra la macchina e l’uomo.Anche oggi, nei romanzi e nel cinema, viene utilizzata semprepiù spesso la formula del poliziesco, del noir, del thriller,per raccontare le storture della società contemporanea. Nesono un esempio, in letteratura, gli americani James Ellroy,James Lee Burke, Tony Hillerman, James Crumley, SandraScoppettone. In Europa oltre ai molti scandinavi (fra i quali ipiù famosi sono sicuramente Henning Mankel e LisaMarklund) che svelano i cupi retroscena di una società soloapparentemente perfetta, troviamo la folta schiera dei “mediterranei”,dai nostri Andrea Camilleri, Carlo Lucarelli,Massimo Carlotto e molti altri, al sommo catalano ManuelVazquez Montalban. Dal marsigliese Jean-Claude Izzo algreco Petros Markaris, altro anello di congiunzione fra cinemae letteratura, essendo stato sceneggiatore di buona parte deifilm di Theo Angelopoulos sino alla tragica morte del regista,avvenuta a causa di un incidente stradale poche settimane orsono.Lo scrittore belga Georges Simenon, autoredi innumerevoli romanzi noir e inventore delCommissario Maigret.IL <strong>NOIR</strong> MEDITERRANEOLa Francia: Simenon e i suoi erediIl poliziesco francese affonda le sue radici sin nell’800, quandoÉmile Gaboriau pubblica, nel 1863, quello che viene considerato,a tutti gli effetti, il primo «vero» romanzo poliziescofrancese, L’Affaire Lerouge. Negli anni seguenti poi, GastonLeroux e Maurice Leblanc produrranno opere con al centro leimprese di detective (Rouletabille) e ladri (Arsène Lupin).Ma è con Georges Simenon che il genere acquista una suafisionomia ben definita. Simenon, di origine belga ma pariginodi adozione, oltre alle opere con il notissimo personaggiodel commissario Maigret, realizza una serie di romanzi dove10


Copertine di varie edizioni della serie delCommissario Maigret.sono palpabili le ambientazioni più tipichedel noir. Ambientazioni che, a differenza deiromanzi americani che prediligevano lagrande città, privilegiavano la provinciafrancese, le piccole cittadine, le campagne(La vedova Couderc, La Marie del porto, IPitard). Raramente le storie di Simenon sisviluppavano nelle metropoli (ad esempioL’uomo che guardava passare i treni o Il fidanzamentodel signor Hire entrambi ambientati aParigi). In Simenon più che la trama e l’intrecciogiallo, quello che conta sono le atmosfere, le psicologiedei vari personaggi, la descrizione di unasocietà che, ormai, non esiste più.Successivamente André Héléna e Leo Malet, esporterannonella Francia del dopoguerra il noir americano.Il primo lascerà testimonianze importanti inmerito all’occupazione tedesca, come avviene inLes flics ont toujours raison incentrato sull’infernodelle prigioni di Vichy. Il secondo, creando il personaggio del detective Nestor Burma e realizzando lafamosa Trilogia noir (La vita è uno schifo, 1948; Il sole non è per noi, 1949; Nodo alle budella, rimastoinedito per vent’anni, sino alla pubblicazione della Trilogia), vero modello di riferimento per il noir, nonsolo francese.Più di recente gli scrittori francesi tendono a descrivere maggiormente la società. Così avviene in DidierDaeninckx che, in A futura memoria, rievoca il massacro di algerini avvenuto a Parigi nel 1961 duranteuna manifestazione. In Jean-Patrick Manchette, che scrisse una decina di libri fra il 1969 e l’inizio deglianni ’80 analizzando, da sinistra, la società francese del dopo Sessantotto. In Jean-Claude Izzo, che descrivein maniera romantica e, allo stesso tempo, disillusa, la Marsiglia di oggi, città multietnica per eccellenza.Per quanto concerne il cinema, numerosi sono i film tratti dai romanzi di Simenon. Oltre a quelli incentratisulla figura del Commissario Maigret, spesso interpretato da Jean Gabin (Il commissario Maigret, JeanDelannoy, 1958; Maigret e il caso Saint-Fiacre, Jean Delannoy, 1959; Maigret e i gangster, GillesGrangier, 1963) e la famosa serie televisiva italiana con Maigret magistralmente interpretato da GinoCervi, ricordiamo, fra i titoli più famosi, Le chat-L’implacabile uomo di Saint-Germaine e L’evaso,entrambi film del 1971 realizzati da Pierre Granier-Deferre; L’orologiaio di Saint-Paul, BertrandTavernier, 1974; L’insolito caso di Mr. Hire, Patrice Leconte, 1989; I fantasmi del cappellaio (1982) e Betty(1992), entrambi di Claude Chabrol.Il poliziesco italiano. Dalla Milano di Scerbanenco alla Sicilia di CamilleriSe la narrativa poliziesca è stata a lungo considerata letteratura di genere, senza particolari pregi e dignitànel contesto del panorama letterario, ancor di più la narrativa poliziesca italiana ha rappresentato, sino anon molti anni or sono, un sottogenere nel mondo del giallo. Molti critici hanno sempre mostrato una granderitrosia a considerare i giallisti come dei veri scrittori. Giorgio Scerbanenco ne è un esempio significativo:ancora oggi viene accettato con molta fatica come un grande della scrittura.Le ragioni di questa ghettizzazione vanno ricercate agli albori del cosiddetto giallo italiano.11


Dall’alto in baso: la copertina del primonumero del Giallo Mondadori (1929) eun’immagine dello scrittore GiorgioScerbanenco.Il 1929 è l’anno in cui nascevano i Gialli Mondadori, cosìchiamati per via del colore della copertina che caratterizzavala collana e che, da quel momento, avrebbe contraddistintintoin Italia tutto un genere. A quel tempo si parlava di polizieschiin senso stretto, in quanto al centro dell’azione c’eranodei poliziotti. Il fascismo, però, imponeva dei condizionamentitali per cui i poliziotti italiani dovevano essere obbligatoriamentedescritti come più buoni dei loro colleghi americani.Ciò fece sì che il poliziesco italiano assumesse connotazionipiù di rompicapo che di vero e proprio noir. Con l’avventodell’autarchia, queste limitazioni si fecero ancor più rigide,con il divieto di tradurre qualsiasi poliziesco che arrivassedalle nazioni ostili: Stati Uniti, Gran Bretagna, Francia.Addirittura nel 1941 si giunse al divieto di pubblicare gialli daparte del Ministero della Cultura Popolare, il famigerato“Minculpop”, poiché reputati diseducativi per i giovani. Tuttiquesti fattori hanno, di fatto, impedito la nascita di un verofilone noir italiano e, soprattutto, hanno portato, negli anni deldopoguerra, alla pubblicazione di una miriade di autori esteriper compensare il vuoto che si era venuto a creare con il divietodi pubblicazione dei polizieschi italiani.In questo clima di ostilità molti scrittori italiani furono obbligatia pubblicare le loro opere con pseudonimi americani. Fusolo verso la metà degli anni Sessanta che il poliziesco italianosi afferma e diventa un mezzo per raccontare il vero voltodella società italiana. È, infatti, del 1966 Venere privata, diGiorgio Scerbanenco, ambientato nella Milano del boom economico.È la storia di un medico favorevole all’eutanasia,radiato dall’ordine e condannato a tre anni di prigione.Quando ne uscirà, affronterà la società con spirito disincantatoma non corrotto.Da questo momento in poi le storie poliziesche italiane tenderannosempre di più a raccontare le storture della società, lacorruzione nella polizia e nel sistema politico.Parallelamente, a partire dagli anni Settanta, in Italia il cinemainizia a utilizzare storie che, più della letteratura, si avvicinanoper temi e ambientazioni al noir. Indagine su un cittadinoal di sopra di ogni sospetto ne è un esempio. Film del1970 realizzato dal regista Elio Petri insieme allo sceneggiatoreUgo Pirro, dove un commissario assassino conta sull’impunitàche gli deriva dal proprio ruolo. Nel film di Petri, quelloche conta è la forte critica alla società e al livello di corruzionedelle istituzioni.Sarà negli anni ’80, soprattutto grazie a due autori, che la narrativanoir italiana assume una sua vera e propria fisionomia.Sergio Altieri, noto con lo pseudonimo di Alan D. Altieri, nel1981 pubblica Città oscura, vero thriller ambientato, però, inuna Los Angeles da incubo e Furio Colombo, noto giornalistache, con lo pseudonimo di Marc Saudade, realizza tre opereestremamente crude e intrise di cinismo, Bersagli mobili(1984), L’ambasciatore di Panama (1985), El Centro (1987).Con gli anni, poi, la letteratura poliziesca e noir in Italia ha12


assunto un’importanza via via maggiore, con un interesse crescente da parte sia della critica, sia del pubblico.Scrittori quali Loriano Machiavelli, spesso in coppia con Francesco Guccini, Giancarlo De Cataldo,Marcello Fois, Carlo Lucarelli, Andrea Camilleri, Sandrone Dazieri, Gianrico Carofiglio, MassimoCarlotto, nella loro diversità, hanno un tratto in comune: quello di descrivere, per usare le parole di quest’ultimo,“la realtà sociale, politica ed economica che ci circonda”. Il poliziesco oggi, sia quello italianoche, in generale, quello europeo, è “una sorta di ponte tramite cui possono parlare gli emarginati, ovverotutti coloro che, per forza o per scelta, passano la propria vita sfuggendo alle regole e all’istituzione”(Patrick Raynal, direttore della Serie Noir di Gallimard Ed.).In conclusione, il poliziesco oggi in Italia, ci racconta la realtà, spesso difficile da digerire, come quandoil commissario Salvo Montalbano, nato dalla penna di Andrea Camilleri, medita di dimettersi dalla poliziaguardando in televisione, costernato e incazzato, i propri colleghi perpetrare il massacro più vergognosocompiuto dalla polizia negli ultimi anni: quello della scuola Diaz durante il G8 di Genova del 2001:“Bastava ragionare tanticchia supra quelle notizie che venivano date col contagocce e con governativaosservanza dalla stampa e dalla televisione per farsi preciso concetto: i suoi compagni e colleghi, aGenova, avevano compiuto un illegale atto di violenza alla scordatina, una specie di vendetta fatta a friddoe per di più fabbricando prove false. Cose che facevano tornare a mente episodi seppelluti della poliziafascista o di quella di Scelba” (Andrea Camilleri, Il giro di boa, 2003).La Spagna: il noir si sviluppa dopo il franchismoCome in Italia durante il fascismo, così in Spagna il franchismo ha avuto effetti negativi sullo sviluppodella letteratura noir. Anche se non mancano esempi di scrittori che, in qualche maniera, si rifacevano aicanoni del noir (El inocente, opera di Mario Lacruz del 1953, è considerato un precursore del genere noirin Spagna), è solo con la morte di Francisco Franco e la fine della dittatura che inizia a svilupparsi unascuola spagnola di noir, della quale Manuel Vasquez Montalban può essere considerato, a tutti gli effetti,la punta di diamante. Montalban, nato a Barcellona nel 1939 è il padre dell’investigatore Pepe Carvalho,“ex comunista, ex agente della Cia, amante di una puttana”, come si definisce lui stesso. Per Montalban iromanzi con Carvalho sono dei pretesti per parlare della società spagnola, inserendovi buone dosi di politica,come avviene nei suoi polizieschi più “politici”, quali Assassinio al Comitato Centrale (1981),ambientato nella direzione nazionale del Partito Comunista Spagnolo, o in Quintetto di Buenos Aires(1997), con il quale affronta il dramma dei desaparecidos argentini.La Grecia. Il noir al tempo della crisiPetros Markaris è, senza dubbio, l’esponente di spicco della letteratura poliziesca greca. Scrittore teatrale,sceneggiatore (molti film di Theo Angelopoulos portano la sua firma), ha esordito nella letteratura di generenel 2000 con Ultime della notte. Protagonista il commissario della polizia di Atene Kostas Charitos chese la deve vedere, di volta in volta, con casi di terrorismo, assassinicommessi in ambienti gay, fantasmi della dittatura e, ultimamente,con i gravi problemi economici che hanno fatto sprofondare la Grecia13A sinistra: lo scrittoregreco Petros Markaris;a lato: ManuelVazquez Montalban


in una delle crisi più gravi della sua storia. Proprio l’ultimo romanzo di Markaris, Prestiti scaduti del 2011è l’occasione per lo scrittore di origine greche nato a Istanbul, di disquisire sulla crisi economica, sullecause che l’hanno generata e sulle colpe di banche e banchieri. Una lucida analisi della Grecia di oggi edell’Europa al tempo della crisi.LETTERATURA E CINEMA <strong>NOIR</strong>: UNO SCAMBIO COSTANTECome già accennato nell’introduzione, il cinema noir deve molto, probabilmente tutto, alla letteraturadi genere, con un costante interscambio di storie, stereotipi, immagini ricorrenti entrate ormainell’immaginario collettivo. Il detective, spesso disilluso e tradito dalla vita. La donna sensuale emalvagia. I poliziotti buoni e quelli corrotti. Tutte figure delle quali la letteratura poliziesca è piena. A partiredall’hard-boiled americano.Il termine «noir»Quando la famosa casa editrice francese Gallimard decise di introdurre fra i propri tipi una collana diromanzi polizieschi, la battezzò Serié Noir. Ed è proprio prendendo lo spunto dal titolo di questa collanache, nel 1946, due critici, Nino Frank, un italiano trapianto in Francia e il francese Jean-Pierre Chartier,in un loro articolo dal significativo titolo Les américains font aussi des film “noir” (Anche gli americanifanno film “noir”), utilizzarono il termine noir per indicare tutta una serie di film provenienti dagli StatiUniti. I due critici, nel loro articolo, contrapponevano i film provenienti da oltre oceano con quelli di unapresunta scuola nera francese che comprendeva film degli anni Trenta, cioè del cosiddetto realismo poetico,quali, ad esempio, Il porto delle nebbie o Alba tragica, entrambi di Marcel Carné o Il bandito dellaCasbah, di Julien Duvivier, nei quali vicende criminali venivano trattate con ambientazioni cupe, crepuscolari;foschi melodrammi dove il protagonista è, in genere, un uomo disilluso dalla vita, condannato allasconfitta dal Destino, quello con la D maiuscola.Sarà però solo nel 1955 che il termine “noir” entrerà a far parte ufficialmente dei generi cinematograficiquando Raymonde Borde ed Etienne Chaumeton, altri due critici francesi, realizzano Panorama du filmnoir, un testo importante per la capacità di sistematizzazione di tutta una serie di pellicole americane. Perforza di cose Borde e Chaumeton avevano a disposizioni solo pochi titoli, fra i quali alcuni già citati nelcapitolo precedente: Il mistero del falco, La fiamma del peccato, Vertigine, L’ombra del passato, Il postinosuona sempre due volte.Fra questi titoli, molti avevano come origine testi letterari, di quella letteratura poliziesca americana denominatanarrativa hard-boiled.Il noir e la letteratura «hard-boiled»La letteratura hard-boiled nasce negli Stati Uniti intorno agli anniVenti, quando alla guida di una famosa rivista poliziesca dal titoloBlack Mask, arriva un certo capitano Joseph T. Shaw, il qualedecise che, quanto sino ad allora pubblicato, doveva essere spazzatovia e sostituito con qualche cosa di nuovo, di mai vistoprima.Fino ad allora, nei racconti polizieschi, il delitto era un eventogratuito e la ricerca del colpevole paragonabile a un rompicapo, aun gioco di pazienza. Con l’avvento del capitano Shaw i raccontipubblicati su Black Mask cercarono di descrivere in manierasempre più realistica il mondo dei poliziotti e dei criminali. Lacosiddetta hard-boiled school, la scuola dei duri, prese origine daJean Gabin, icona del noir francese14


questo tentativo di raccontare un determinato mondo per ciòche, effettivamente, era. Togliendo il racconto poliziesco dallanaftalina nella quale sino ad allora era stato costretto da autoriquali, giusto per citare i più noti, si annoveravano AgathaChristie, creatrice di Hercule Poirot e Miss Marple e S.S. VanDine, ideatore del sofisticato detective privato Philo Vance.Fra gli scrittori che contribuirono in maniera massiccia all’affermarsidel romanzo hard-boiled, vanno citati DashiellHammett e Raymond Chandler. Hammett era un ex detectivedella Agenzia Pinkerton, costretto ad abbandonare il mestiereper via della tubercolosi della quale era afflitto e contratta nelcorso della Prima guerra mondiale. Per campare si dedicò,quindi, alla scrittura, descrivendo le sue esperienze come investigatore.Vari racconti di Hammett vennero pubblicati propriodalla rivista diretta da Joseph T. Shaw. Rivista alla quale collaboròanche Raymond Chandler. Nato a Chicago ma trapiantatoin California Chandler, dopo svariate esperienze lavorative,iniziò, a partire dal 1933, a pubblicare su Black Mask dei raccontinei quali il protagonista era un poliziotto privato concaratteristiche molto simili a quelle del futuro Philip Marlowe.Il cinema, ben presto, si appropria delle storie di Hammett,Chandler e soci, trasformandole in film di grande successo.Non solo. Molti scrittori della “scuola dei duri”, Hammett eChandler in testa, iniziarono a collaborare con l’industria cinematograficain veste di sceneggiatori di film tratti da loro opereo da opere di altri scrittori.La trasposizione di molti romanzi hard-boiled del periododella depressione in film è dovuta, in parte, al fatto che l’istituzionedell’autocensura di Hollywood, che aveva impedito, sinoad allora, tale operazione, divenne nel periodo bellico più permissiva.Tuttavia, passando dalla carta stampata alla pellicola,spesso il genere poliziesco perse molte delle sue caratteristicheper acquisirne altre, completamente diverse e proprie del generenoir.I “duri” americani e il grande schermoDashiell Hammett (1894-1961) e Raymond Chandler (1888-1959)Fra i primi detective nati dalla fantasia di scrittori di polizieschiad essere approdati sul grande schermo, troviamo Sam Spade.Nato dalla penna di Dashiell Hammett, Spade è il protagonistadi uno fra i più apprezzati noir statunitensi: Il mistero del falco(John Huston, 1941), tratto dal romanzo del 1936 Il falconemaltese. In questo film Sam Spade ebbe il volto di HumphreyBogart che, successivamente, interpretò anche Philip Marlowe,altro famoso detective privato creatura dello scrittoreRaymond Chandler, ne Il grande sonno. Questa pellicola giratada Billy Wilder nel 1946 è da considerarsi fra i capolavoriassoluti della cinematografia in generale. Alla sua sceneggiaturaparteciparono fra gli altri, lo stesso Chandler e il famosoromanziere William Faulkner.In alto: copertina della rivista poliziescaBlack Mask, con il racconto di DashiellHammett Il falcone maltese.Sopra: Dashiell Hammett (a sinistra) eRaymond Chandler (a destra).15


In totale sono nove i film in cui compare il personaggio di Marlowe. Non tutti, ovviamente, sono da considerarsidei capolavori. Anzi, alcuni sono decisamente mediocri. Fra i titoli, però, ritroviamo ottime pellicolefra le quali, oltre alla già citata opera di Wilder, va segnalata Il lungo addio (Robert Altman, 1973)dove, a prestare il volto al detective è l’attore Elliot Gould che si muove in un’ambientazione insolita quelladella società californiana degli anni Sessanta-Settanta.Infine preme ricordare il Marlowe interpretato da Robert Mitchum in Marlowe, poliziotto privato (DickRichards, 1975) non tanto per la qualità del film, quanto per la grande interpretazione di Mitchum che donaa Marlowe un’aria stanca, disillusa, che nulla ha più da chiedere alla vita, avendone già conosciuto tutto ilmarcio che si cela in essa.Cornell Woolrich (1903-1968)Anche Cornell Woolrich va annoverato fra quegli scrittori i cui romanzi hanno dato origine a film di grandesuccesso. Woolrich, newyorkese, conosciuto anche sotto alcuni pseudonimi (William Irish, GeorgeHopley), dopo un inizio di carriera in sordina, diede alle stampe nel 1940 La sposa era in nero, segnandol’avvio della cosiddetta «serie nera», una sequenza di romanzi che influenzerà non solo il roman noir francese,ma anche il cinema. Proprio da questo romanzo François Truffaut, allora giovane esponente dellanouvelle vague francese, ne trasse un ottimo film interpretato da Jeanne Moreau dal titolo La sposa in nero(1967).Ma quello del cineasta francese non fu l’unica pellicola realizzata a partire dai romanzi di Woolrich. It Hadto be Murder, divenne Rear Window film del 1954 di Alfred Hitchock, conosciuto in Italia come La finestrasul cortile.La vita di Woolrich non fu facile. Legato morbosamente alla madre, visse chiuso con lei in un albergo diManhattan in uno stato psichico precario. Alla morte della donna cadde vittima di uno stato depressivo chelo portò a perdersi nell’alcol, incapace di scrivere e finendo i suoi giorni su una sedia a rotelle a causa dell’amputazionedi un piede.Jim Thompson (1906-1977)Quasi dimenticato per molti anni e ora, da qualche tempo, riscoperto dalla critica e dal pubblico, JimThompson ha “prestato” molti suoi romanzi al cinema. Opere dalle quali ne sono scaturite pellicole digrande successo, fra le quali Getaway! di Sam Peckimpah (1972), Il fascino del delitto di Alain Corneau(1979), Colpo di spugna di Bertrand Tavernier (1981), Rischiose abitudini, di Stephen Frears (1990).Artista maledetto, Jim Thompson amava descriversi come “uno nato in carcere”. In realtà nacque in unalloggio posto sopra la prigione di Anadarko in Oklahoma, dove il padre, sceriffo della contea di Caddocostretto poi alla fuga perché accusato di corruzione, viveva con la famiglia. Una figura ingombrante quelladel padre, tanto che il giovane Jim ne rimase segnato per tutta la vita, che trascinò fra alcol, mille lavoriper sbarcare il lunario e la scrittura nella quale riversava i propri incubi e le proprie ossessioni.Jim Thompson, nelle sue opere, descriveva una società malata, un’America sconfitta dal suo stesso sogno.Una società basata sulla menzogna e popolata da uomini miseri, vittime e, allo stesso tempo, artefici dellapropria dannazione. Come altri e, forse, meglio di altri, Thompson ha raccontato la famiglia descrivendolacome un’istituzione ormai alla deriva, marcia. Così come la provincia americana, subdola e violenta,dalla quale egli stesso proveniva.16Da sinistra a destra:Cornell Woolrich, JimThompson e JamesEllroy.


James Ellroy (1948)La stessa società malata descritta da Jim Thompson sarà raccontata anni dopo da James Ellroy, anche se,in questo caso, l’ambientazione delle storie è quella della grande metropoli e la narrazione assume, spesso,la forma della cronaca nera. Un mezzo, questo, che Ellroy utilizza per descrivere il degrado degliambienti polizieschi e malavitosi, per scavare nel torbido dell’animo umano e raccontare una società malatae in declino.La vita di Ellroy, dissipata per anni fra alcol, droga, furti e violenza, fu segnata da un avvenimento luttuosoe drammatico: l’omicidio della madre, avvenuto quando lo scrittore aveva circa 10 anni. Un casorimasto irrisolto che Ellroy utilizzò per scrivere I miei luoghi oscuri, un’indagine alla ricerca della veritàsull’uccisione della madre.Il legame di Ellroy e il cinema è molto stretto. Da due suoi romanzi sono stati tratti altrettanti film: L.A.Confidential (Curtis Hanson, 1997) e The Black Dahlia (Brian De Palma (2006). Ma, soprattutto, Ellroyutilizza il cinema descrivendo il mondo dorato e cinico di Hollywood e inserendo, fra i suoi personaggi,attori e attrici veri o immaginari.James M. Cain (1892-1977)Dell’opera di Cain, giornalista e scrittore, è noto, soprattutto, Il postino suona sempre due volte, romanzonoir scritto nel 1934 che gli valse il successo dopo alcune opere passate nell’anonimato. È la vicenda, narratain maniera magistrale, di una passione travolgente, nella quale un uomo e una donna bruciano le loroesistenze inoltrandosi sempre più in una torbida storia d’amore e di morte.Da questo romanzo furono tratte quattro versioni cinematografiche. La prima, Le dernier tournant, è del1939 ed è firmata dal regista francese Pierre Chenal. Interpretata da Michel Simon, Fernand Gravey eCorinne Luchaire, ebbe alcuni problemi con la censura e poi, nel 1940, nella Francia occupata dai nazisti,ritirata dalla circolazione.La versione francese era comunque nota al giovane Luchino Visconti, già assistente di Jean Renoir, dalquale ebbe una copia in francese del romanzo di Cain allora vietato in Italia dal regime fascista. Il giovaneVisconti decise quindi di ridurre il romanzo americano in film. Nel 1943 realizza, insieme a GiuseppeDe Santis, Ossessione, trasferendo l’azione nel delta del Po. Una storia d’amore e di morte interpretata daMassimo Girotti e Clara Calamai i due amanti e da Juan De Landa il marito della donna che viene uccisodalla coppia.Ma il vero protagonista di Ossessione è il paesaggio, sono i luoghiin cui è ambientata la vicenda: “una provincia italianaimpregnata di fascismo invisibile, immersa in un silenzio eterno,dove anche la violenza e il lavoro hanno le forme evanescentie distanti di un sogno: una terra dove viaggiare e restare,partire e tornare sono la stessa cosa” (S. Bernardi:Prigionieri del paesaggio. Sfondi e volti di “Ossessione”, inBianco&Nero, marzo-aprile 1999). Vi è, nel film, uncontrasto violento fra i toni cupi, torbidiLocandine dei film tratti dal più famosoromanzo di James M. Cain: Il postinosuona sempre due volte.17


IL <strong>NOIR</strong> ITALIANORarissimi sono i polizieschi o noir italiani degli anni Trenta e Quaranta. Questo perché, durante il fascismo,le trame che si rifacevano a questi due generi cinematografici non erano tollerate in quanto sivoleva nascondere anche solo l’idea che in Italia si potessero verificare fatti di cronaca nera. In realtàqualche tentativo di realizzare film polizieschi o gialli, c’era stato. Si trattava, però, di pellicole diambientazione storica o con trame che si sviluppavano all’estero, come L’orologio a cucù di CamilloMastrocinque (1938) ambientato in epoca napoleonica, La pantera nera di Domenico Gambino(1942) che si svolgeva a Budapest o Grattacieli di Guglielmo Giannini (1943), ambientato negli StatiUniti allo scopo di mettere alla berlina la polizia americana.È solo con Ossessione, film del 1943 che Luchino Visconti trasse dal romanzo di James M. Cain Ilpostino suona sempre due volte, che si può comiciare a parlare di noir in Italia. Visconti, già assistentedi Jean Renoir in Francia, aveva ricevuto dal regista francese il libro, a quel tempo vietato in Italiae dal quale trasse il film che è considerato un po’ il capostipite del Neorealismo italiano. SaràOssessione a ispirare, molti anni più tardi, Michelangelo Antonioni - che a sua volta fu assistente diMarcel Carné - per il suo film del 1957 Il grido. Si possono cogliere alcune analogie fra le due opere:entrambi sono ambientate nella pianura Padana e sono film “on the road”, dove il protagonista è unmeccanico che ha la vita sconvolta da una donna.Pietro Germi, dal canto suo, è il regista italiano che, a partire dalla fine della guerra, ha utilizzato conmaggior frequenza il genere noir. Suoi sono Il testimone (1945), La città si difende (1951) e, soprattutto,Un maledetto imbroglio (1958) adattato dal romanzo di Carlo Emilio Gadda Quer pasticciacciobrutto de via Merulana che lo stesso Germi, che nel film interpreta il commissario Ingravallo, definì ilprimo vero poliziesco italiano.Sul finire degli anni ’60 si assiste all’uscita di almeno un paio di pellicole che vanno ricordate. Banditia Milano di Carlo Lizzani (1968) è la cronaca della rapina al Banco di Napoli di largo Zandonai aMilano compiuta dalla Banda Cavallero e dalla successiva fuga in macchina per le strade del capoluogolombardo finito con l’arresto dei quattro componenti della banda e con tre morti e numerosi feriti.Dell’anno successivo è Indagine su un cittadino al di sopra di ogni sospetto di Elio Petri, in cui uncommissario di polizia, grazie al ruolo che ricopre, resta impunito nonostante un omicidio commesso.Il decennio successivo è quello dei cosiddetti poliziotteschi, polizieschi all’italiana che hanno inFernando Di Leo (Milano calibro 9; La mala ordina, entrambi del 1972) e Umberto Lenzi (Milanoodia: La polizia non può sparare, 1974; Roma a mano armata, 1976; Napoli violenta, 1976) duedei più interessanti realizzatori.Un film concepito con l’intenzione di denunciare il pesante clima politico che si respirava in Italia neglianni ’70, con la nascita di vari gruppi neofascisti è San Babila ore 20: un delitto inutile (CarloLizzani, 1976).Dalla seconda metà degli anni Settanta, sin verso la metà dei Novanta, in Italia il genere è in declino,sia che si tratti di polizieschi, gialli o noir. Da segnalare, più per il consenso di pubblico che per verimeriti artistici, la serie poliziottesca del Monnezza, con Tomas Milian e La donna della domenica,bel giallo diretto nel 1975 da Luigi Comencini, interpretato da Marcello Mastroianni e tratto dall’omonimoromanzo di Fruttero & Lucentini. Qui, ma soprattutto nel successivo A che punto è la notte(Nanni Loy, 1994), sempre con Mastroianni e sempre tratto da un’opera della coppia di scrittori, siavvertono atmosfere noir in una Torino misteriosa e torbida, dove si intersecano criminalità e sette religiose.Il genere, in Italia, riprende un po’ di vitalità con l’avvento del nuovo millennio. È del 2002 l’ottimo noirdi Matteo Garrone L’imbalsamatore, Film con risvolti psicologici che descrive l’intreccio di desiderioe omosessualità fra due uomini e una donna con, sullo sfondo, i traffici della camorra e il degradodelle periferie napoletane.Da segnalare, infine, Quo vadis, baby? (Gabriele Salvatores, 2005), poliziesco di ambientazionebolognese dove a svolgere le indagini è un detective privato donna, ben interpretato da AngelaBaraldi; La ragazza del lago (Andrea Molaioli, 2007), con un intenso Toni Servillo; Il passato è unaterra straniera (Daniele Vicari, 2008), tratto da un romanzo del magistrato/scrittore, ora deputato,Gianrico Carofiglio e La cosa giusta (Marco Campogiani, 2009), anomalo poliziesco in cui più chel’azione, contano personaggi e sentimenti.


flash-back, in un’atmosfera allucinata, punteggiandola di dettagli che contribuiscono a caratterizzare i personaggi,come il braccialetto che circonda la caviglia della donna (una sensuale e fatale Barbara Stanwyck)o di particolari all’apparenza insignificanti, come ci ricorda Neff ripensando al profumo del caprifogliolungo la strada che portava alla casa della donna e accostandolo, con amara ironia, al “profumo” del delitto.Memorabile la frase finale, pronunciata da Neff ormai morente: “L’ho ucciso per i soldi e per unadonna. Non ho avuto i soldi. E non ho avuto la donna”.Mickey Spillane (1918-2006)Un duro fra i duri. Spillane, nei suoi romanzi porta all’eccesso gli elementi classici della scuola hard-boiled:violenza, sesso, cinismo.Creatore del detective privato Mike Hammer, maschilista, duro e spietato come i criminali a cui dà la caccia,Spillane era dichiaratamente di destra, tanto che aderì senza indugio al progetto anticomunista delsenatore Joseph McCarthy.I, the Jury, il primo romanzo con Hammer protagonista, uscì in America nel 1947 e, in Italia, nel 1953 conil titolo Ti ucciderò, pubblicato presso la collana dei gialli della Garzanti che, per molti anni, fu la casa editriceche pubblicò nel nostro paese le opere dello scrittore newyorkese.Il cinema si appropriò di alcuni romanzi di Spillane che fu, egli stesso, sceneggiatore e, addirittura, interpretedel suo detective. La pellicola più famosa e sicuramente più riuscita tratta da un suo noir è Un bacioe una pistola (Robert Aldrich, 1955) che segna una sorta di spartiacque fra il modello dei detective romanticialla Marlowe e quello dei duri alla Hammer, appunto, o alla Dirty Harry, cioè l’Ispettore Callaghan dieastwoodiana memoria. Alla sua uscita il film non fu esente da critiche per via di alcune scene piuttostocrude (una donna seviziata sino alla morte e un’altra incenerita da materiale radioattivo).20


Hana-BiFargoCollateral36 Quai des OrfèvresThe KillerL’uomo del trenoI FILM


te armonizzato, può risultare gratuito e di facile effetto a una lettura superficiale. Invece, secondo me vi sipuò cogliere l’essenza della cultura giapponese con tutte le sue contraddizioni, il misto di tradizioni antichissimee tecnologismo esasperato.Non bisogna dimenticare che questo paese, come ci suggerisce l’antropologa Ruth Benedict nel suo famosolibro «Il crisantemo e la spada», esce dal Medioevo solo verso la metà del secolo scorso e nel suo popoloconvivono dimensioni diversissime. I gesti d’amore di Nishi possono essere letti nell’ottica di un’ anticatradizione di cui parla sempre la Benedict, cioè quella di «pagare i debiti», debiti verso la società, gliamici, i familiari verso tutti coloro che hanno fatto qualcosa per noi. Si tratta ovviamente di debiti sia materialiche spirituali e proprio questi ultimi hanno il peso maggiore.Per l’uomo giapponese è di fondamentale importanza pagare il proprio giri (l’obbligo, il debito) così comeha il dovere di mantenere incontaminata la propria reputazione. Persino la vendetta non è che una manifestazionedi questo dovere-virtù (Nishi stermina letteralmente i componenti della Yakuza) ed è necessariain alcune occasioni.Anche lo stoicismo e l’autocontrollo fanno parte di questa tradizione.In essi vi è una sorta di atteggiamentoda noblesse oblige e infatti in epoca feudale li si esigeva in particolare dai Samurai. La recitazione rarefattadi Kitano, la sua maschera tragica, i lunghissimi silenzi che esprimono più di qualunque battuta, il suicidiofinale fanno assomigliare Nishi più ad un antico samurai che a un eroe dei nostri giorni.Il «bagno di sangue», visto in quest’ottica, assume uno specifico significato che non ha niente a che vederecon la violenza dei films occidentali, diventa con le parole dello storico Yoshisaburo Okakura, come ilbagno mattutino che lava ogni macchia per un popolo che aspira a condurre una vita pura che ha la serenitàe la bellezza dei ciliegi in fiore.Renata Biserni, www.centrostudipsicologiaeletteratura.orgQuella al centro di Hana-Bi potrebbe essere una storia di ordinaria solitudine esistenziale metropolitana:un dramma contemporaneo che risucchia la vita del personaggio in questione fino al suicidio. Sintetizzatain questi termini, potrebbe trattarsi di una trama ‘normale’: a renderla unica e, per certi versi, eccezionale,è lo stile asciutto e ridondante, lento ed accelerato, debordante ed essenziale di Takeshi Kitano, che in questapellicola lascia trasparire una spiccata propensione per l’eleganza visiva e per la composizione ossimo-24


ica dei contenuti: Hana-Bi è allo stesso tempo un poliziesco d’azione, un noir, un film drammatico, malinconico,riflessivo ma aperto a squarci di sereno, un film complesso ed a registri molteplici. […]Paolo Boschi, ScannerNel film giapponese molto bello, Hana-Bi, premiato con il Leone d’oro all’ultima Mostra di Venezia, ilgenere poliziesco si trasforma in una riflessione esistenziale grazie allo stile alto, asciutto, nitido, dolorosoe insieme ricco di forza del regista cinquantenne Takeshi Kitano, che in Giappone è una famosissimastar multimediale: attore comico, romanziere, poeta, saggista, autore di fumetti, divo di talk show televisivi,fisicamente pare una versione asiatica di Harvey Keitel. Il gran talento dell’autore (anche protagonista,sotto lo pseudonimo Beat Takeshi) mette insieme eccentricità sorprendente (il film comincia con un ragazzogiapponese biondo platino, con la scritta «Crepa» vergata in rosso sull’asfalto della strada), calma, silenzio(la storia è quasi senza parole) e scatti violentissimi: pugni fulminei, bacchette da cibo infilate dentrol’occhio dell’avversario, calci in bocca sino a far vomitare sangue, risse improvvise, sopraffazioni, sparatorieletali, cumuli di cadaveri bucati e insanguinati. […]Lietta Tornabuoni, La StampaIL REGISTAPersonalità multiforme e dagli infiniti talenti, Takeshi Kitano è damolti considerato il maggior cineasta giapponese in attività. Eppurela sua carriera iniziò nei primi anni 70 come attore, nel duo comico-demenziale"The Two Beats", in coppia con "Beat" KyioshiKaneko. In Italia lo si ricorda poiché il duo era presente negli spezzonidi Mai dire Banzai della Gialappa's Band.Nel decennio successivo "Beat" Takeshi divenne uno dei personaggitelevisivi più noti in patria, nelle vesti di regista/attore di commediee conduttore dei più svariati show. Ebbe inoltre modo di recitarein diversi film: nel più celebre di questi, Furyo (1983) di NagisaOshima.Nel 1989 l'abbandono del regista designato permise a Kitano didirigere un film che in realtà doveva solamente interpretare: il risultatofu Violent Cop, un poliziesco anti-spettacolare e sui generis,girato con una ricchezza di idee e una consapevolezza stilisticaeccezionali per un esordiente. L'anno successivo arrivò l'operaseconda, Boiling Point, il film è meno teso e secco del primo, ilmontaggio più sperimentale e difficoltoso, ma continuano a delinearsii tratti distintivi di una poetica tanto originale quanto complessa.Il suo primo film non yakuza è anche il primo in cui non compare come attore: Il silenzio sul mare (1991),la storia di un ragazzo sordomuto che impara a surfare. Un capolavoro miracoloso tra tra dramma e commedia,e con una delicatezza di tocco rarissima.Nel 1993 ecco Sonatine, un'altra storia di yakuza. Questa volta l'adesione agli stilemi del film di generenon è neanche lontanamente presa in considerazione. Le geniali idee di cinema presenti nelle prime treopere si amalgamano qui in una costruzione narrativamente "eretica", ma proprio per questo ricchissimadi fascino.Seguono due episodi minori, il demenziale Getting Any? (1994) e il drammatico Kids Return (1996), duepellicole senza dubbio riuscite nel loro genere, ma forse "fuori fuoco" rispetto alla poetica più puramentekitaniana.Proprio dopo le riprese del primo dei due film Kitano, alla guida della sua motocicletta, fu coinvolto in unterribile incidente, nel quale sfiorò la morte e al quale seguì una convalescenza di diversi mesi. Nel frattempoebbe modo di iniziare a dipingere, anche qui con risultati sorprendenti.Quando nel 1997 si riaffacciò nelle sale, il suo volto era una maschera impassibile (in seguito alle operazionidi chirurgia plastica dovute all'incidente), ma ciò non gli impedì di prendere parte come attore prota-25


gonista al suo settimo lungometraggio da regista, Hana-bi. Il film vinse il Leone d'oro al Festival diVenezia e fece conoscere universalmente il nome di "Beat" Takeshi. E' uno dei capolavori degli anni ‘90,una delle opere più originali e fantasiose che il cinema moderno ci abbia regalato. I coloratissimi quadridel Kitano pittore intervallano le scene, che sono quasi sempre al limite della fissità fumettistica.Nel 1999 è il turno di L'estate di Kikujiro, una lieve commedia incentrata sull'amicizia tra uno yakuza daquattro soldi (Kitano, ovviamente) e un bambino. La fonte di ispirazione è Il monello di Chaplin.Lontano anni luce dal suo cliché è invece Dolls (2002), storia di tre amori impossibili destinati a finire intragedia. Kitano si abbandona totalmente alla sua vena poetica, introducendo però un romanticismo esasperato(nelle tematiche, non nello stile) finora inedito.La fiducia è ben riposta: nel 2003 esce Zatoichi, una storia di sangue e vendetta ambientata nel Giapponedei samurai.La sua opera seguente, Takeshis' del 2005, è un film diverso dal tipico percorso "kitaniano". Piuttosto sembraessere una summa meta-cinematografica del Kitano uomo pubblico e regista. Segue due anni dopo l'assurdoe sconclusionato Glory to the Filmmaker! in cui Kitano recupera la vena di follia che animava lasua comicità degli esordi. La trilogia si conclude nel 2008 con Achille e la tartaruga, nel quale il registainterpreta un pittore decisamente sui generis, riflettendo nuovamente sul concetto di arte e sull'origine dell'ispirazionepoetica.Dopo questa parentesi interlocutoria (cui è da aggiungere anche la direzione dell'episodio One Fine Dayall'interno del collettivo Chacun son cinéma), Takeshi Kitano torna nel 2010 al suo genere d'elezione, loyakuza movie, con Outrage, in concorso al Festival di Cannes, nel quale riprende il ruolo dell'insubordinatogangster che ha contribuito a renderlo un icona. Nonostante l'opera non abbia convinto pienamente lacritica, il regista è pronto a lavorare al seguito del film, Outrage 2.FILMOGRAFIAViolent Cop (1989)Boiling Point (1990)Il silenzio sul mare (1991)Sonatine (1993)Getting Any? (1994)Kids Return (1996)Hana-bi (1997)L'estate di Kikujiro (1999)Brother (2000)Dolls (2002)Zatoichi (2003)Takeshis’ (2005)Glory to the Filmmaker! (2007)Chacun son cinéma - Episodio One Fine Day (2007)Achille e la tartaruga (2008)Outrage (2010)26


FARGORegia Joel CoenSceneggiatura Joel e Ethan CoenFotografia Roger DeakinsMusica Carter BurwellScenografia Thomas WilkinsCon Steve Macey, Francis McDormand, SteveBuscemi, Peter StormareProduzione UsaAnno 1996Durata 98’LA TRAMAJerry Lundegaard, gestore di una concessionaria d’auto,ingaggia due malviventi per rapire la moglie e ottenere,così, il riscatto pagato dal suocero. Purtroppo perlui, i due rapitori, tanto incapaci quanto crudeli, tramuteranno in tragedia il rapimento. La poliziottaMarge, in avanzato stato di gravidanza, indagherà e scoprirà il piano.PREMIOscar 1996: miglior attrice a Francis McDormandOscar 1996: miglior sceneggiatura a Joel ed Ethan CoenFestival di Cannes 1996: miglior regia a Joel CoenLA CRITICASulla mappa Fargo è una località al confine fra il North Dakota e il vicino Minnesota: intitolando cosi’ illoro film, presentato in concorso e in uscita la settimana prossima in Italia, i fratelli Joel ed Ethan Coenhanno voluto simbolicamente alludere al confine tra il bene e il male. Proprio in un bar notturno di Fargo,nella prima scena, sorprendiamo il venditore di macchine Jerry (l’attore è William H. Macy, un predilettodi Mamet) sancire un patto scellerato con i gangsters Carl (Steve Buscemi, della scuderia Tarantino) e Gaeril taciturno (Peter Stormare, uno svedese targato Bergman). I due furfanti si impegnato a rapire la mogliedi Carl in modo da far pagare a Wade (Harve Presnell), ricco padre di lei, il congruo riscatto con cui Jerryconta di tamponare i propri debiti. È un modo per far vedere come in un quadretto familiare da «Ladie’ sHome Journal», affondato nel bianco paesaggio invernale, la cupidigia produce disastri. Paurosamentemascherati Carl e Gaer irrompono nella villa alla periferia di Minneapolis e si portano via dopo una lottaforsennata la povera donnetta, sorpresa mentre stava davanti alla tv: a Jerry non resta che esibire il suo fintodolore al suocero, che però è un tipo tosto (alle sue spalle, nello studio, ha un paio di bronzi di cowboysscolpiti da Remington) e non rinuncerà a farsi giustizia da sè in stile vecchia America. Negli assurdi andirivienidel film le macchine passano e ripassano sotto l’enorme scultura in legno del semidio Paul Bunyan,patrono della zona e ulteriore simbolo di valori ormai desueti. Mentre i Coen ci descrivono dei cialtronitanto insipienti da non reggere il confronto con i cattivi di una volta, non nascondono la loro simpatia perla poliziotta Marge (l’attrice bravissima è Frances McDormand, nella vita moglie di Joel), casalinga eincinta di sette mesi, che appare dopo mezz’ ora e si appresta a seguire le sanguinose tracce dei rapitori(alla fine i morti inutilmente ammazzati ammonteranno a sette). Straordinaria tragicommedia dove le più27


svariate e raffinate componenti intellettuali si innestano su una trama di genere, Fargo gioca a opporre lanormalità del bene alla normalità del male: l’una e l’ altra sono rappresentate con ineffabile ironia in situazionie dialoghi essenziali. I personaggi appaiono immersi nel torpore della vita provinciale, sia quelli chehanno trascurato di mettere l’orologio all’ora attuale, sia quelli che si illudono di incrementare il propriodestino con spunti di cinismo o atti di violenza. Tutti guardano la tv: ladri, guardie e gente comune. EMarge, in particolare, è una donna comune di tipo non comune: la prova vivente che nella confusioneodierna l’ attaccamento tranquillo ai propri compiti (il marito, la famiglia che cresce, il dovere del servizio)rappresenta l’ unica alternativa. Fargo è la conferma della statura di una premiata coppia registica(Palma d’ Oro con Barton Fink nel ‘91) e insieme un racconto esemplare dell’America di fine secolo,accolto qui con grande favore per i suoi valori d’ intrattenimento e la sbalorditiva economia dello stile.Vorrei concludere, profetizzando: è un film che resterà .Kezich Tullio, Corriere della Sera, 15 maggio 1996Fargo, o «de l’avidità». Quattro colori segnano il film dei fratelli Coen: il bianco, il rosso, il verde e il nero.Il bianco è quello della neve, neve che si trova ovunque, immacolata coltre bianca che confonde l’orizzonte:ti volti a destra e sinistra per sotterrare una valigetta piena di soldi e non vedi altro. Il rosso è il sangue:di quando ti sparano alla mascella, di quando passi nel posto sbagliato al momento sbagliato e vedi qualcosache non dovresti, di quando trituri il cadavere del tuo socio nella macchina per tagliare la legna. Ilverde non lo si vede spesso, ma è quello che vorresti vedere di più: è il colore dei soldi che ti spinge a organizzareil rapimento di tua moglie per ricattare il bastardo di tuo suocero. Il nero infine è quello della commediache si mescola al thriller: l’ironia beffarda che intacca le circostanze, vicende paradossali che siintrecciano nella ridicola tragedia fallimentare dell’uomo.Nel 1994 i Coen girano Mister Hula Hoop, prima grossa produzione dopo i consensi di pubblico e criticadei primi quattro film, che però si rivelaun’opera deludente. Per il lavoro successivodecidono di tornare a casa, conuna storia più consona, nei posti dovesono cresciuti e che conoscono bene.Fargo, allora, che dà l’idea di un paeseamericano dimenticato da dio, su anord, centocinquanta chilometri dalconfine canadese, a cavallo tra NordDakota e Minnesota, dove poi le vicendesono ambientate, tra le città diBreinard e Minneapolis. JerryLundegaard (William H. Macy), modestovenditore di automobili, assolda duemalviventi, Carl (Steve Buscemi) e lopsicopatico e taciturno Gaear (PeterStormare), per far rapire la propriamoglie e chiedere il riscatto al riccosuocero Wade (Harve Presnell). Ma ilsequestro si complica quando i duegalantuomini cominciano a lasciarsialle spalle una serie di inutili cadaveri,sui quali indaga la poliziotta Marge(Frances McDormand), incinta e sposatacol pacifico Norm (John CarrollLynch). Tornano molti topoi coeniani:il rapimento (Arizona Junior, Il grandeLebowski), il ricatto (L’uomo che nonc’era, A prova di spia), la violenza28


(Crocevia per la morte, Non è un paese per vecchi), e poi il tragicomico fallimento dei piani, le ironichefragilità dell’uomo, l’omicidio che irrompe nella vita quotidiana, gli uomini comuni che si rendono protagonistidelle peggiori meschinità, e un’intera avvilente galleria di personaggi senza scrupoli e bugiardi. E,ovviamente, l’avidità.Il bianco è, come detto, il colore della neve che sommerge un paesaggio che fa da sfondo a un intreccionoir. Paesaggio solitario, quasi alienante, non-luogo che annichilisce i sentimenti. Scenario immoto e desolato,in contrasto con le persone che invece si muovono generando danni e drammi - frustrati, perdenti, arrivisti,incapaci di comunicare. Ma bianco è anche il candore, l’innocenza della maternità che diverge con ilrosso della violenza, il verde dell’avidità e il nero del racconto. Marge - la cui gravidanza è emblema difemminilità - in opposizione a un universo di maschi mediocri, bugiardi, falliti, miserabili; che fa un lavoroda uomo e contrappone a questa insensata isteria maschile valori morali e principi semplici, logica ebuon senso, fermezza e decisione nonostante la sua apparente fragilità (il corpo ingombrante, la nauseamattutina). Marge non è uno smaliziato detective hard-boyled e tanto meno un supereroe, ma cerca di capireil perché delle cose, prima ancora del come e del chi. Arriverà a trovare i colpevoli, ma per lei resterannoirrisolvibili i motivi di tanta atrocità. Non sa decifrare la folle natura umana, e lo ammette nel momentoin cui arresta Gaear e lo rimprovera come un bambino: «There’s more to life than a little bit of money,you know. And here you are. And it’s a beatiful day. I just don’t understand it». Per lei anche una qualunqueschifosa giornata di inverno è una bella giornata, sa apprezzarla, mentre non comprende come si possauccidere solo per «un po’ di soldi». Gaear, simbolo di una condizione umana condannata all’indifferenzae alla gelida apatia, non ha parole, vuoto come il paesaggio fuori dal finestrino.Il solo uomo che pare sottrarsi a questa bassezza morale e al fallimento è Norm, il marito di Marge, chesembra più la donna di casa. I loro piccoli quadri di una vita domestica pulita, basata sul non-detto e fattadi semplici piaceri sono il contraltare delle vite abiette e immorali di Carl e Gaear da un lato, e di Jerry dall’altro.Ma se Marge apprezza le modeste gioie della sua vita, è anche attratta dall’evasione dalla routine,come ad esempio l’incontro con l’ex compagno di scuola Mike Yanagita (Steve Park). La digressione èspiegata dai Coen come un espediente per un ulteriore effetto di verosimiglianza, ma di fatto introduce un29


altro uomo, nuovamente inetto, fallito, inaffidabile, che tenta di circuire goffamente Marge, viene respintocon educazione, e si rivelerà un debole frignone e bugiardo. L’innocenza di Marge è solo relativa: intendeil pericolo e la corruzione quando ci si trova di fronte.Secondo Aristotele, le persone prive di vergogna non sono in grado di instaurare relazioni come amore eamicizia. La vergogna è il dolore dell’aver commesso qualcosa che ci discrediti, soprattutto agli occhi dicoloro che riteniamo moralmente importanti. Le persone eccellenti hanno il senso della vergogna; altriinvece non la provano del tutto e non sanno riconoscere il proprio operato come sbagliato; altri, infine,sono mossi da passioni forti (rabbia, odio, avidità) che discernono, ma non riescono a controllare. Margeè un modello di eccellenza: è attenta e discreta nel rimproverare gli altri (correggere l’errore di un collega,allontanare il vecchio compagno di scuola, ammonire il marito di non essere troppo avido se non ha ricevutoil primo premio a un concorso, sparare a Gaear su una gamba e redarguirlo), non solo per il suo essereMinnesota nice, ma perché ha introiettata la misura della vergogna, rispetta gli altri, ed è quindi la solaad avere un amore sincero e incondizionato, non utilitaristico. Chi invece non è neppure in grado di avereuna conversazione è Gaear («Would it kill you to say something?», gli chiede Carl), che si muove solo persoddisfare i propri appetiti più bassi (i soldi, il pancake, il sesso con le prostitute), e non è in grado di rispettarenessuna legge civile o etica. Jerry, infine, è la terza via indicata da Aristotele: è un subdolo bugiardonel vendere auto («A bold-face liar» lo definisce un cliente truffato), e non prova rimorsi; vuole evitarequella che sente come una pubblica umiliazione (la povertà) e per questo mette in moto un atto aberrantedi cui distingue l’errore, ma non può fermare. Si nasconde dietro finti sorrisi infingardi (riflessi incondizionati)anche quando parla col figlio, ha attacchi di ira sempre più soffocati, è ridicolo quando cerca iltono giusto per comunicare la notizia del rapimento al suocero, e raggiunge il culmine del patetico mentreviene arrestato in mutande. Scotty (Tony Denman), il figlio adolescente, maschio non ancora corrotto eunico realmente in ansia per le sorti della madre (Wade è più concentrato sul prezzo del riscatto), ci permettedi misurare le colpe degli adulti che lo circondano.Joel e Ethan Coen amano giocare con generi e codici narrativi, in particolare quelli del noir, che qui, comedetto, si combina con la commedia. Commedia sull’evasione dalla routine, sui confini a cui può spingersil’uomo nel cercare di cambiare la propria vita, generando invece discrasie, caos, dolore. L’umorismo nascedall’osservazione delle azioni compiute per pura disperazione e mero interesse. La violenza diventa farsae l’imprevedibilità norma. I personaggi evadono gli schemi classici: una poliziotta di provincia incintaindaga su crimini efferati, i cattivi non sono geni del male, ma stupidi e impreparati, perché così succedenella realtà. I Coen sviscerano stereotipi regionali di una fetta di America, sineddoche della cultura americanae per esteso della condizione umana, con elementi di verosimiglianza culturale e idiomatica, e satirasociale.La verosimiglianza, allora. Con Fargo - Oscar come miglior sceneggiatura - i Coen compiono un veroesperimento di semantica. Una didascalia all’inizio presenta i fatti come realmente accaduti. Ma lo spuntodi cronaca è solo parziale, il resto è pura finzione. Una sfida alla credulità dello spettatore, che si trovaimmerso negli stereotipi della cultura del Minnesota in modo quasi sociologico, e vede contrapporsi il realismodei luoghi e del modo di parlare (è stato assunto un trainer per l’accento) a una storia assurda. Com’èpossibile che tutto questo sia successo e io non ne abbia mai sentito parlare? La dicitura vuole evitare cheil film venga visto come un thriller ordinario: è una sfida ai codici della verosimiglianza, confonde realtàe finzione. Si sa, spesso storie realmente accadute possono sembrare più incredibili di quelle inventate, eallora la riflessione per esteso comprende la plausibilità stessa del cinema e dei media: dovrei fidarmi diquello che un regista mi fa vedere? Lo spettatore è il solo ad avere un punto di vista esterno sulla vicenda,è il solo a poter rispondere al quesito di Marge e a trarre le conclusioni sul perché ci spinga a tanto squisitamenteper avidità.Lo humor nero smaschera le incongruenze e i contrasti del quotidiano attraverso il paradosso. Lo spargimentodi sangue gratuito non è solo ironico e provocatorio, ma evidenzia lo iato tra vero e falso. La mdpè il più possibile distaccata, non cerca effetti drammatici, con la sola concessione delle geometrie di oggettie persone in contrasto sugli sfondi bianchi. Un realistico spaccato di cultura americana viene messo inscena per setacciare la frattura tra credibile e incredibile, reportage e fiction, verità e menzogna. I criminalifanno cose «comuni»: litigano per mangiare il pancake, guardano soap opera alla tv, si servono di espressioniricorrenti, si mettono il cappello prima di uscire per ammazzare a sprangate il proprio collega, discu-30


tono sui dettagli degli orari e polemizzano sul pagamento del pedaggio. Le idiosincrasie e le peculiarità delMinnesota, fortemente influenzato dalla cultura scandinava, sono tratteggiate con minuscoli dettagli, sirespirano l’aria e l’atmosfera delle stanze, anche grazie a una scenografia curatissima (di Rick Heinrichs)e alle musiche (di Carter Burwell) basate su temi popolari nordici. Gli accenti, la parlata economica, asciutta,le maniere educate e distaccate di matrice nordeuropea fanno apparire i personaggi verosimili ed evitanodi farli cadere nella caricatura.Alla fine tutti pagano il contrappasso della propria avidità: Wade vuole consegnare i soldi di persona emuore, Jerry e Gaear vengono arrestati, Carl è ucciso da Gaear perché vuole tenersi l’auto. Solo Marge eNorm potranno continuare con le loro vite, in attesa del figlio. Il delitto non paga, ma soprattutto non ci sipuò fidare di nessuno: tuo marito ti fa rapire, il tuo socio ti uccide, un vecchio amico ti contatta con unascusa innocente ma ha in mente altro, e i registi di un film? Quelli, poi: ti presentano una storia come veraquando non lo è. Allora che mondo è, questo, dove non puoi credere a colleghi, parenti e amici? In chemondo viviamo se non possiamo più fidarci neanche delle immagini di un film, della parola dei registi?Davide De Lucca, www.ondacinema.itCieli lattescenti, sconfinate distese di neve, gelo, nebbie candide, paesaggi piatti immensamente bianchi: ilGrande Inverno americano è l’invenzione figurativa bellissima di Fargo di Joel Coen. Altre immagini straordinarie:un gangster che tentando di triturare il cadavere del suo compagno nella macchina per fare lasegatura arrossa la neve d’una pioggia di sangue; un capo della polizia che è una donna incinta di almenosette mesi (la brava Frances McDormand, moglie di Joel Coen, che scherza: «Da dodici anni vado a lettocol regista ed è la prima volta che mi dà una bella parte»). Bersaglio centrato e comune a molti altri filmdel festival: i soldi, l’avidità di soldi, quel sogno o bisogno dei soldi che oggi rende cosi facilmente criminalile persone «per bene», come la cronaca registra ogni giorno. I fratelli Coen (Joel regista, Ethan produttore,insieme sceneggiatori) hanno fatto il primo film della loro storia ispirato alla realtà, a un episodioaccaduto nel 1987 nel Minnesota, a Minneapolis dove sono nati e cresciuti (anche loro, quarantenni, comeAltman settantenne tornano al paese natale): un venditore d’automobili strangolato dai debiti progetta dirapire la propria moglie e di chiedere un riscatto al ricco padre di lei; assolda allo scopo due piccoli delinquentiinetti e quasi pazzi, Steve Buscemi, Peter Stormare; il piano non funziona affatto, tutto va storto,tutto si disfa nel caos, nel delitto, nella morte. A Fargo, nel North Dakota, il protagonista tratta coi delinquentiil sequestro della moglie, segnando il proprio passaggio apparentemente così agevole e facile allacriminalità: William H. Macy è l’ottimo interprete del personaggio, un uomo come se ne conoscono tanti,assediato dalla mancanza di soldi, frustrato, ansioso, umiliato e spaventato all’idea di venir ancora mortificato,che cerca disperatamente di rendersi simpatico con i sorrisi, la cordialità e i «no problem» del venditore.Ma tutto è bello nel film molto riuscito: il rapimento confuso e poi l’abbandono della rapita, buttatasul pavimento come un cane schiacciato sull’autostrada; le esplosioni di violenza, il gangster ferito checerca di tamponare il sangue con la carta igienica, le uccisioni a colpi di pala in testa, l’avarizia del ricco,le facce dei vinti, lo sguardo affettuoso e spietato dei Coen sulla gente normale.Lietta Tornabuoni, La Stampa, 15 maggio 1996I fratelli Coen raccontano la storia di un caso di omicidio secondo la loro inimitabile angolazione, arricchendolacon buffe osservazioni sugli abitanti del Minnesota e finendo col realizzare una commedia assolutamentedisarmante! La McDormand è formidabile nei panni di una poliziotta efficiente (e incinta) conmolti omicidi fra le mani; Macy è altrettanto bravo in quelli di un intrallazzatore da due soldi che cerca dimantenere il sangue freddo quando si ritrova invischiato fino al collo in una serie di delitti. E che belle lemusiche di sottofondo! Vincitore dell’Oscar per la migliore sceneggiatura (Joel ed Ethan Coen) e la miglioreattrice (McDormand).Leonard Maltin. Guida ai film31


I REGISTIJoel e Ethan Coen, i due fratelli nati aMinneapolis rispettivamente nel 1954 e nel1957, sono registi, sceneggiatori e produttori,spesso scambiandosi i compiti e realizzandoprodotti assolutamente omogenei equindi, di fatto, rendendo inutile qualsiasidistinzione dei ruoli.Il loro primo lungometraggio è del 1984:Blood Simple - Sangue facile, un noir cheprende spunto dalla lezione di Hitchcock eWelles. Del 1987 è il loro secondo film,Arizona Junior, commedia grottesca, scoppiettantee divertente.Nel 1990 realizzano il loro terzo lungometraggio, Crocevia della morte, un gangster-movie violento e gelidonel quale viene affrontato il tema dell’intreccio fra politica, affari e criminalità organizzata. È una dellevette più alte della prima parte della carriera dei Coen. Altezze che torneranno a raggiungere nel 1996 conFargo, ambientato nella loro città natale, Minneapolis, con il quale trionfano al Festival del cinema diCannes. Il film è un crudo affresco della provincia americana e, scardinando gli stereotipi del noir chevuole ambientazioni cupe e, spesso notturne, viene giato in un paesaggio innevato, dove il candore dell’ambienteesterno fra da contrappeso, rimarcandolo ancora di più, al nero dell’animo umano. I Coen tornanodietro la macchina da presa nel 1998, con Il grande Lebowski, dove il protagonista, interpretato daun ottimo Jeff Bridges, è un acuto osservatore del degrado morale della società contemporanea.Joel e Ethan recuperano i temi del noir classico nel 2001 con L’uomo che non c’era, raffinato bianco e nerocon Billy Bob Thornton nella parte di un laconico barbiere condannato alla pena capitale per un omicidiomai commesso, tornando al noir moderno con il violento e crudo Non è un paese per vecchi (2007), doveuna catena di omicidi commessi da un serial killer (Javier Bardem) non potrà essere arginata neanche daun vecchio e coscienzioso sceriffo (Tommy Lee Jones).In molti dei loro film recita parti da protagonista Frances McDormand, attrice e moglie di Joel Coen. LaMc Dormand presente sin dal primo film dei fratelli, ha vinto l’Oscar come miglior attrice protagonista conFargo, dopo aver già ottenuto l’ambita statuetta come miglior attrice non protagonista per MississippiBurnig, pellicola del 1998 di Alan Parker.FILMOGRAFIABlood Simple - Sangue facile (Blood Simple) (1984)Arizona Junior (Raising Arizona) (1987)Crocevia della morte (Miller's Crossing) (1990)Barton Fink - È successo a Hollywood (Barton Fink) (1991)Mister Hula Hoop (The Hudsucker Proxy) (1994)Fargo (1996)Il grande Lebowski (The Big Lebowski) (1998)Fratello, dove sei? (O Brother, Where Art Thou?) (2000)L'uomo che non c'era (The Man Who Wasn't There) (2001)Prima ti sposo, poi ti rovino (Intolerable Cruelty) (2003)Ladykillers (The Ladykillers) (2004)Non è un paese per vecchi (No Country for Old Men) (2007)Burn After Reading - A prova di spia (Burn After Reading) (2008)A Serious Man (2009)Il Grinta (True Grit) (2010)Suburbicon (2012)32


COLLATERALRegia Micahel MannSceneggiatura Stuart BeattieFotografia Dion BeebeScenografia David WascoMusica James Newton HowardMontaggio Jim Miller, Paul RubellCostumi Jeffrey KurklandCon Tom Cruise, Jamie Foxx, Jada Pinkett-Smith, MarkRuffalo, Peter Berg, Bruce McGill, Irma P. Hall, BarryShabaka Henley, Richard T. Jones, Debi Mazar, JavierBardemProduzione UsaAnno 2004Durata 119’LA TRAMALos Angeles, atmosfera sincopata. Max, tassistamodello, compie una corsa con un procuratore donna che avrebbe dovuto discutere uncaso in tribunale la mattina successiva. Immediatamente dopo, un nuovo cliente, Vincent,che gli fa una proposta allettante, accompagnarlo per l'intera notte in cambio di 700 dollari.Max si fa convincere, senza sapere che da quel momento avrebbe iniziato un viaggio allucinante.Vincent è infatti un killer di professione che deve regolare i conti con cinque persone, unadelle quali, a sua insaputa, sta a cuore al conducente di taxi.PREMIBAFTA alla migliore fotografia a Dion Beebe e Paul CameronNational Board of Review Awards 2004: miglior regista2 Satellite Awards 2005: miglior montaggio, miglior sonoroLA CRITICACollateral è una sinfonia notturna dedicata a Los Angeles, il ritratto mobile di una città: Michael Mannpiega al suo estro uno script piuttosto interessante e gira almeno un’ora e mezza di cinema strepitoso. Seil dato sostanziale è, come al solito, alquanto attraente – la storia cogliendo i protagonisti in medias res evedendoli operare nel tempo concentrato di una notte – e il rapporto tra i due personaggi, rilevandosi il lorograduale cambio di ruoli, sviluppato con ludica geometria, è vero d’altronde che le modalità con le qualiquesti elementi vengono resi risulta ancora più eclatante: Mann (che gira in digitale gran parte dell’opera)non è stato mai tanto efficace nel celebrare a dovere l’immagine in movimento e nel dipingere, da pittoresensibilissimo, un’atmosfera e una situazione. Superfluo è dire allora della suprema tecnica dell’artefice,della sua capacità di spogliare le vicende di ogni orpello e di riportarle, prosciugate, dal chiuso di un abitacoloagli esterni luminescenti di una città. E se Cruise appare così bravo è perché non è, come al solito,la star che ha da imporsi sul resto ma, come in Eyes wide shut, elemento perfettamente integrato in un quadroche assume rilevanza nella sua globalità (Collateral è un film di Michael Mann non un film con TomCruise). L’ultima parte si inchina alle ragioni del thriller triviale e fa perdere quota a una pellicola fino adallora perfetta, ma questo inciampo è peccato che perdoniamo facilmente a un regista che usa in quellamanciata di minuti la maschera del blockbuster solo per coprire allo sguardo vorace di Hollywood il sembiantedel vero artista.Luca Pacilio www.spietati.it33


Nel processo di significazione dell’immagine-cinema, il lavoro compiuto da Michael Mann rappresentaprobabilmente il discorso estetico più rigoroso e coerente svolto da un regista all’interno del cinema americanodegli ultimi venti anni. Anche dopo la separazione dal fido collaboratore alla fotografia DanteSpinotti - con cui non lavora dai tempi di Insider, il punto forse più alto della carriera di entrambi - il cineastaè comunque riuscito a portare avanti un’idea di cinema assolutamente precisa e riconoscibile, la cui cellulaprimaria e portante è proprio la composizione dell’immagine: un’inquadratura estrapolata da operecome Manhunter, Heat, o Alì contiene in sé un lavoro di sperimentazione e di significazione rigorosa difficilmenterintracciabili in altri registi con una tale consapevolezza e coerenza. Il taglio e l’angolazione dell’inquadratura,l’uso del fuoco o del grandangolo, oppure più semplicemente della sola luce: tutte questecomponenti, assemblate tra loro sempre secondo una stessa filosofia estetica, hanno portato alla composizionedi un mosaico di rara bellezza, che racchiude in sé più pellicole legate tra loro, ed il cui filo conduttoreè appunto la pregnanza e potenza del lavoro sull’immagine. Ora, la cosa assolutamente straordinariadel lavoro di Mann è che è riuscito a caricare talmente la sua visione cinematografica proprio sottraendoal resto delle componenti di cui un film è composto: un primo piano su Al Pacino, su Robert De Niro oRussell Crowe, su William Petersen o Will Smith contengono in sé già un così grande numero di informazionipsicologiche che allora l’autore si è potuto permettere di sottrarre spazio ala lungaggine della parola,del dialogo, procedendo così ad una sublimazione capace di alleggerire e slanciare tutti i suoi film. Nelleopere più riuscite di Mann il lavoro di sottrazione e stilizzazione visiva ha compiuto l’impresa di eliminarela parola; l’immagine, sempre più rarefatta e preziosa, è diventata il primo ed assoluto veicolo di racconto,comunque sempre diretta verso un processo di sintesi inaudito.Ora, perseguendo tale scelta stilistica, a noi pare assolutamente coerente che Mann arrivasse prima o poi atentare la strada del digitale, (non)formato capace di scarnificare al massimo l’immagine, ma allo stessotempo pronto a decretarne definitivamente l’importanza se usato secondo criteri coerenti e soprattutto voltia non considerarlo un “parente povero” della pellicola. Va da sé perciò che sotto questo punto di vistaCollateral è l’opera più rischiosa e sperimentale di Mann, e questo anche se il risultato estetico non fossestato così assolutamente straordinario. Finalmente, cosa che il cineasta ha sempre tentato di fare, ambientee personaggi riescono a fondersi in un unico marasma di colore e soprattutto di oscurità; sfruttando intutte le sue potenzialità l’appiattimento, la mancanza di profondità che il digitale fornisce all’immagine, ilregista è riuscito a condensare la sua triste e sfavillante Los Angeles in una serie di fotografie oseremmodire surreali, in cui si dipana la storia altrettanto borderline del tassista Jamie Foxx e del suo inquietantepasseggero Tom Cruise. Strade deserte, non-luoghi densi di colori saturati come la discoteca, soprattutto iltaxi in cui i due protagonisti-antagonisti si conoscono e si confrontano: tutti gli ambienti di Collateral sonoallo stesso tempo tangibili ed astratti, semplicemente riconoscibili ma non identificabili, e diventano a lorovolta attore di ruolo fondamentale nel processo di stilizzazione del film, che tocca vertici inusitati. Ed insie-34


me a questo, Collateral è un thriller serrato, coinvolgente, un’opera capace di straordinarie accelerazionidi ritmo e di scene d’azione di rara efficacia. Quello che davvero sorprende è poi la perfetta fusione di unprogetto così lucido con una dose altrettanto compiuta di attenzione alle regole del genere, rispettate inogni particolare anche dalla magnifica sceneggiatura di Stuart Beattie.Rigoroso e sperimentale, sporco e sublime, Collateral ci accompagna per due ore nel più incredibile “tuttoin una notte” che si ricordi: Jamie Foxx e soprattutto Tom Cruise offrono il meglio delle loro capacità nelriempire due personaggi già di per sé pieni di sfaccettature, che esprimono la loro vita interiore in manieraistintiva, quasi animalesca, reagendo così alle leggi della giungla cittadina che vengono loro imposte.Michael Mann per certi versi ha davvero sfornato il suo capolavoro, trovando il punto più alto raggiungibileda ogni componente della macchina-cinema. La sua capacità di costruire l’opera in modo da elevarela tensione fino al climax viene riproposta in questo film al suo massimo; ed infatti gli ultimi venti minutidi Collateral rappresentano una sinfonia visiva, cromatica, sonora e soprattutto emozionale che davveronon verrà dimenticata.Adriano Ercolani http://www.offscreen.itIL REGISTAAll’interno del panorama del cinema contemporaneopochi registi possono vantare una filmografia coerente e diqualità come quella di Michael Mann, un regista che haattraversato gli ultimi trent’anni di storia del cinema americanoaffrontando un genere come il poliziesco e portandoloa livelli di raffinatezza visiva e di introspezione psicologicaassoluti.Michael Mann è nato a Chicago il 5 febbraio 1943. Dopoessersi laureato in letteratura inglese presso l’Universitàdel Wisconsin, Mann si innamora del cinema e della regiain particolare: abbandona così l’idea di una carriera accademicae nel 1964 parte per l’Inghilterra. Frequenta lelezioni della prestigiosa London International Film Schooldurante tutta la seconda metà degli anni Sessanta.Seguendo un trend inaugurato da alcuni registi attivi sul suolo inglese in quegli anni (ad esempio AlanParker e i fratelli Ridley e Tony Scott) anche Mann si dedicò alla pubblicità e al cortometraggio. Nel 1971Mann ritorna negli Stati Uniti, inizia a lavorare come produttore esecutivo per la 20th Century Fox, recitain alcune pellicole di secondo piano e soprattutto comincia a farsi notare con la scrittura di alcuni episodidella famosa serie televisiva Starsky e Hutch. Questo gli permise di lavorare nel 1978 sulla produzione diun’altra serie, Vegas, una delle più seguite dell’intera stagione televisiva. E così, di successo in successo,Mann riesce ad avvicinarsi sempre più al mondo del cinema: nel 1979 gira Jericho Mile, un film per la tvche verrà poi proiettato anche nei cinema. È il suo battesimo di fuoco sul grande schermo, fu nominato agliEmmy come miglior film drammatico e Mann vinse il premio per la migliore sceneggiatura mentre laDirector’s Guild of America gli assegnò il premio per la migliore regia.Nel 1981 si occupa della sua prima pellicola pensata specificamente per il cinema: supportato da un attorein stato di grazia, James Caan, realizza Strade violente, un noir metropolitano lento e sinuoso, ambientatonelle strade notturne e piovose di Chicago. Strade violente è il primo lavoro in cui Mann lascia trasparireil suo stile espressivo e fiammeggiante. Dopo la strana incursione nell’horror del 1983 con La fortezza, la televisione torna a bussare alla sua porta l’anno successivo. Dal 1984 fino al 1989 è stato il produttoreesecutivo e autentica mente di Miami Vice, successivamente Mann produsse dal 1986 al 1988 ancheCrime Story.Nel 1986, all’interno di questo dedalo di impegni televisivi, Mann riesce a ritagliarsi il tempo per dedicarsialla sceneggiatura e alla regia di un film tratto da «Red Dragon», un romanzo di Thomas Harris. L’esitodi questo lavoro sarà Manhunter - Frammenti di un omicidio, il suo primo capolavoro. Fa la sua comparsaufficiale sul grande schermo lo psicologo antropofago Hannibal «The cannibal» Lecter, reso poi celebre35


da Anthony Hopkins ne Il silenzio degli innocenti. Nel 1989 Mann dirige Sei solo agente Vincent, una sortadi prova generale prima della realizzazione, sei anni più tardi, di Heat – La sfida. Nel 1992 è la volta deL’ultimo dei Mohicani. Tratto dall’omonimo romanzo di James Fenimore Cooper, è solo all’apparenza unoggetto spurio rispetto al resto della filmografia di Mann.L’amore di Mann per le serie televisive e per la possibilità di sviluppo delle storie che la loro lunghezzaconsente trova espressione nei due film successivi, due pellicole che sfiorano entrambe le tre ore, dueautentici gioielli nella sua filmografia: Heat – La sfida e Insider – Dietro la verità.Heat è del 1995 ed è un noir colossale, un affresco come al cinema non se ne vedevano da un sacco ditempo. La storia è tutta centrata sul confronto-scontro tra il poliziotto Al Pacino e il ladro Robert De Niro.Insider – Dietro la verità è invece del 1999 ed è una storia solo apparentemente più piccola ma è un filmdi denuncia contro le industrie del tabacco girato con una forza morale e visiva assolutamente senza precedentinel panorama del cinema a stelle e strisceNel 2001 riprende una storia vera, quella di Muhammad Alì e ne trae un film decisamente personale. Alì.Nel 2006, dopo Collateral, riprende la storia dei «suoi» detective Sonny Crockett e Rico Tubbs e giraMiami Vice Un film di genere solido come una roccia. Due anni fa l’ennesimo capolavoro: Nemico pubblico,sulla caccia a Dillinger nell’America degli anni ‘20.FILMOGRAFIALa corsa di Jericho (The Jericho Mile) (1979) - Film TVStrade violente (Thief) (1981)La fortezza (The Keep) (1983)Manhunter - Frammenti di un omicidio (Manhunter) (1986)Sei solo, agente Vincent (L.A. Takedown) (1989) - Film TVL'ultimo dei Mohicani (The Last of the Mohicans) (1992)Heat - La sfida (Heat) (1995)Insider - Dietro la verità (The Insider) (1999)Alì (Ali) (2001)Collateral (2004)Miami Vice (2006)Nemico pubblico - Public Enemies (Public Enemies) (2009)36


36 QUAI DES ORFÈVRESRegia Olivier MarchalMusica Erwan Kermorvant, Axelle RenoirCon Daniel Auteuil, Gerard Depardieu, André Dussolier,Valeria Golino, Mylène Demongeot, Olivier Marchal,Roschdy Zem, Daniel DuvalProduzione FranciaAnno 2004Durata 110’LA TRAMAIl titolo fa riferimento alla sede ove si trova la sedecentrale della polizia parigina. Due poliziotti,Vrinks (capo delle Brigade De Recherche etd’Intervention) e Klein (capo delle Brigade deRépression du Banditisme), un tempo legati da profonda amicizia, si odiano e sono in competizioneper il posto di direttore generale. Chi dei due riuscirà a sgominare una pericolosa eviolenta banda di criminali sarà il favorito. Ispirato a fatti realmente accaduti e alle esperienzedel regista, un tempo poliziotto.PREMIPremio del pubblico al Courmayeur Noir in festival 2004LA CRITICAIl 14 gennaio 1985, il capitano Dominique Loiseau della Bri (Brigata d’intervento rapido) morì in un conflittoa fuoco con una banda di rapinatori. L’improvvido intervento degli uomini della Brb (Brigata direpressione del banditismo) fece scoprire il poliziotto in appostamento. Nella squadra di Loiseau, allamemoria del quale 36 – Quai des Orfèvres è dedicato, anche un giovane ufficiale, Olivier Marchal, cheadesso, da regista, racconta questa storia. Daniel Auteuil è il capo della Bri, Gérard Depardieau del Brb. Ilprimo tra loro che riuscirà ad acciuffare una gang di spietati banditi avrà il posto di direttore generale dellaPolice Judiciaire, sostituendo André Dussolier. E Depardieau è pronto a tutto, letteralmente, per avere quelladannata scrivania. Qual è il confine tra lecito e illecito, per uno sbirro? In fondo se lo chiede ancheAuteuil, che per la dritta risolutiva vende l’anima al diavolo. Ma in un poliziesco così domandarsi dovestiano i buoni è un esercizio sterile. Contano, prima di tutto, le facce. Quelle giuste dei due protagonisti,con un Depardieau immenso, ricurvo sulle spalle, le mani sempre in tasca, lo sguardo che tradisce una frustazionerecondita, inutilmente seppellita sotto una fitta coltre di bastardaggini. E il “contorno”: daDussolier, che concentra in due sguardi e tre battute il letamaio della politica, a Mylène Demongeot, l’anzianaManou, immagine di tutte le Manouche di melvilliana memoria. Ogni personaggio un universomondo,ogni poliziotto solitudine e rabbia. Certo Marchal è un eccellente regista “d’azione”, e qui c’è diche divertirsi, ma sono i percorsi umani e disumani a scartavetrare l’anima. Sono le lacrime di uno deifunerali più belli mai visti al cinema o l’intensità sorda di certi passaggi, certe occhiate, certe frasi bisbigliateall’orecchio, cariche di allusioni. Nella seconda parte, quando Auteuil sembra finire per sempre aMonte Cristo e il tradimento di Depardieau grida vendetta al cielo, , qualche risvolto narrativo si fa macchinoso,. ma è un niente, un eccesso d’amore nei confronti di una storia che è la propria, e per questo nonla si vorrebbe mollare mai. Fino alla frase sussurrata da Auteuil nel cesso (“Se non riesci con la prima pal-37


lottola, ce ne sono altre tredici”), comunque un bellissimo polar.Mauro Gervasini, FilmTv, 4/2005Da tempo in condizioni migliori di quella italiana, la cinematografia francese potrebbe offrire qualche interessantespunto di riflessione anche per far ripartire l’ansimante macchina della nostra produzione nazionale.Soprattutto nel campo, spinoso, dei rapporti tra autore (che vuole, o vorrebbe, il controllo artisticoassoluto sul film) e genere (che invece impone, o dovrebbe farlo, regole rigide almeno a proposito di tramae look). Da qui, da questa capacità di intrecciare la genialità creativa del regista con strutture narrativefacilmente riconoscibili dal pubblico (come sono appunto i generi) potrebbe nascere un nuovo modo dipensare un cinema capace di riconquistare il pubblico perso. È per esempio la strada percorsa con successoda Olivier Marchal che ha scavato nel suo passato di autentico poliziotto per raccontare, in 36 Quai desOrfèvres, l’ odio e l’ invidia che divide due commissari, che hanno la faccia di Gérard Depardieu e DanielAuteuil. Del genere poliziesco c’è la caccia a una banda di rapinatori assassini che sembra imprendibile,c’ è la ricostruzione veristica dell’ ambiente della polizia parigina con i suoi scontri e i suoi compromessi,c’ è la fotografia cupa e scura di Denis Rouden perfettamente in sintonia con l’ ambiente corrotto e violentoche racconta. E dell’autore c’è l’abilità nel costruire i personaggi con pochi tratti significativi, capaci didar vita a opposte filosofie di vita, e soprattutto il coraggio di passare da una storia criminale a una saga divendetta e redenzione. Più sfumato, ma non meno significativo, il caso del disegnatore Enki Bilal che havoluto ricreare parte della sua celeberrima Trilogie Nikopol al cinema.Paolo Mereghetti, Corriere della Sera, 27 agosto 2005Al 36 di «Quai des Orfevres» c’è la polizia centrale di Parigi. Banditi o poliziotti ricorrono a ben più di uncompromesso per raggiungere i propri fini. I peggiori criminali dietro l’apparenza delle buone intenzioni;più che chiudere un occhio si finisce per bendarsi ambedue.Olivier Marchal si aggrappa saldamente alle sue fonti cinematografiche (Heat con la celebre coppia DeNiro-Pacino) per mettere in scena una realtà che ha conosciuto in prima persona, riconducendo ogni elementoagli stereotipi di un genere che ingabbia qualunque personaggio e qualunque vicenda per ridurreogni cosa alla sequenza dell’uomo di fronte alla morte, la propria o quella altrui.Marchal immerge i due eroi in una Parigi fatta di locali notturni, squallide periferie e moderni quartieriasettici.Con i suoi chiaroscuri verdognoli, gli interni crepuscolari alla Melville, ma anche con una determinazionequasi feroce nelle scenedi azione, Marchal inseguela strada della filmicatotale ed esemplare:la macchina da presa èlibera come i suoi personaggi,non viene costrettaad evoluzioni impossibilida irritanti «soccorsi»digitali, nonsarebbe leale nei confrontidi questi antieroiche sudano e sanguinano.Nervosa quantobasta, mai irritante nell’usolimitato della macchinaa mano, campilunghi con ottimi taglid’inquadratura durantele sparatorie che si contrappongonoa intensi38


primi piani che scrutano nell’anima dei protagonisti.I confini di una Parigi e del suo cielo di piombo, sono le pareti di una scatola metallica contro le quali èdestinato a soffocare qualunque tentativo di evasione, almeno fino all’avvento di una qualche giustiziasuprema in grado di riportare gli eventi al loro corso naturale, ripristino tragico e violento dell’ordine dellecose.Andrea Olivieri, www.cinemadelsilenzio.itLa Francia torna a sfornare film di grande qualità. Premiato dal pubblico al recente «Noir in Festival» diCourmayeur, 36 Quai des orvefres, presenta assieme per la prima volta, tre nomi notissimi del cinema d’oltralpe:Depardieù, Auteil e Dussolier, invischiati in una sordida storia di tradimenti e vendette all’ombradella centrale di polizia con sede nella via da cui il film prende il suo titolo.I primi trenta minuti del film presentano le migliori sequenze «poliziottesche» degli ultimi vent’anni : dure,violente, ricche di suspance, pathos, originali nella forma e perfette nella realizzazione pratica ed interpretatealla grande non solo dai due giganti Auteil e Depardieu, che peraltro possono dare libero sfogo allaloro bravura durante il resto della pellicola, ma anche e sopratutto da un cast di seconde linee, assolutamentestrepitoso. Una volta esauritasi la forza dirompente dell’incipit, 36 cambia lentamente ed inesorabilmentefaccia, diventando qualcosa di simile ad una tragedia shakespeariana, con la lotta a distanza tra idue protagonisti che si fronteggiano e lottano a forza di colpi bassi entrando in una spirale di violenza emorte che lascerà ben pochi personaggi vivi sul campo di battaglia. Diretto alla grande e sceneggiato allastra-grande, 36 colpisce lo spettatore grazie alla freschezza e realismo della messa in scena, alla bravuradegli interpreti, alla eccezionale colonna sonora, evocativa ma mai ridondante, ad una serie di dialoghi che,se fossero inseriti in un film americano, probabilmente, sarebbero oggi già sulla bocca di tutti. Insomma,in una parola, imperdibile.Andrea Chirichelli, www.mymovies.itIL REGISTANasce a Talence, cittadina del dipartimento francese della Gironda nel1958. Entra in polizia con la qualifica di ispettore nel 1980, dove vieneintegrato nella sezione dell’antiterrorismo di Versailles.Contemporaneamente al suo lavoro di poliziotto studia recitazionepresso il conservatorio di Parigi. Questa sua passione lo porterà, nel1993, a lasciare la polizia per dedicarsi esclusivamente al cinema.Dapprima come attore, divenendo uno dei protagonisti della fortunataserie televisiva Police district, poi come sceneggiatore nella fictionCommissaire Moulin, dove mette a frutto la sua conoscenza diretta dell’ambientedella polizia.Il suo primo lungometraggio è Gangster, del 2002, film dove alla storiapiuttosto scontata, fanno da contrappunto dei dialoghi mai banali,una trama serrata e un notevole gioco di sfumature psicologiche chefanno presagire le potenzialità di questo regista.Il successo arriverà con l’opera successiva, 36 Quai des Orfèvres(2004), film di grande qualità, impreziosito dalla notevole interpretazionedi Daniel Auteuil e Gérard Depardieau.Del 2008 è, invece, L’ultima missione, ancora con protagonista Auteuilnella parte di un poliziotto alla deriva, a cui viene offerta un’ultimaoccasione per riscattarsi. Ambientato in una Marsiglia cupa e piovosa,il film vede nel personaggio di Auteuil il tipico antieroe così caro algenere noir. Il titolo originale, MR73, fa riferimento al modello di revolver in dotazione alla polizia francesenegli anni ‘70.Olivier Marchal, nel gennaio 2010, è stato nominato Cavaliere dell'Ordre des Arts et des Lettres.39


FILMOGRAFIAGangsters (2002)36 Quai des Orfèvres (2004)L’ultima missione (MR73) (2008)40


THE KILLERRegia John WooSceneggiatura John WooFotografia Peter Pau Tak-hei, Wong Wing-hungMusica Lowell LoScenografie Tai Chun.chingCon Chow Yun-Fat, Danny Lee, Sally Yeh, ChuProduzione Hong KongAnno 1989Durata 111’LA TRAMAJeffrey, sicario professionista, durante lo svolgimentodi uno dei suoi incarichi, ferisce accidentalmenteagli occhi una cantante, rendendolacieca. Divorato dai rimorsi, accetta un ultimo incaricocon il quale permettere economicamente alla donnaun trapianto di cornea. A rendergli le cose difficili però ci si mette la mafia cinese (che lo considera"bruciato") e un detective molto tosto e ligio a un suo particolare codice morale.LA CRITICASpiccio, serafico. Non ha molto da dire il sicario, nel compimento del suo ennesimo atto: l’accettazione diun nuovo incarico. Esce sotto la pioggia e si avvia, senza voltarsi verso colui che gli da lavoro, per altrosuo migliore amico, verso una nuova avventura, verso un nuovo incontro con la morte. Si mette il cappuccionero, impugna la falce e va a fare visita a chi ha già timbrato il suo biglietto per l’inferno. Si avvia, dentroal locale, capelli perfettamente pettinati, sciarpa bianca, sul cappotto nero. È un’immagine di purezza,questa, contrapposizione ossimorica alla dubbiosa moralità dei suoi gesti.Inizia così The Killer, con un montaggio alternato dove i movimenti della camera da presa indugiano suivolti dei protagonisti, al ritmo di una canzone dal tono triste che risulterà essere l’accompagnamento musicaledi tutta la vicenda. Inizio questo, di una pellicola che è forse il film di punta della filmografia di JohnWoo. Collocabile cronologicamente più o meno al centro del percorso filmico del regista di Hong Kong(fece altri tre film in patria e poi emigrò negli States), The Killer, almeno idealmente assurge a un ruolopiù preponderante. In molti hanno definito quest’opera come il capolavoro massimo di John Woo, altri -una certa schiera di detrattori - lo posizionano sicuramente al di sotto di un’altra sua notevole prova, BulletIn The Head, e forse anche su un gradino inferiore rispetto alla grezza veracità di A Better Tomorrow (suaprima prova nel genere action).Distribuito nel 1989, oltre a essere il film che ha fatto conoscere John Woo all’Occidente, vantando recensionientusiastiche di gran parte della stampa specializzata, The Killer è anche il risultato di una lunga edifficoltosa gestazione. Durante le riprese in pochi erano realmente a conoscenza di quale sarebbe stato ilrisultato ultimo e il montaggio finale è il frutto di una quasi esclusiva visione del regista. In questo sensoThe Killer è sicuramente il film più autentico e personale di John Woo.Film dalla genesi travagliata, dunque (anche a causa dei continui alterchi tra il regista e il produttore TsuiHark), The Killer è opera di grande coerenza formale, una pellicola dove l’azione, «paradossalmente», nonè il fine ultimo della messinscena, ma è un mezzo che John Woo utilizza per esprimere ciò che gli sta piùa cuore. Non è un caso che le emozioni più intense non siano appannaggio delle lunghe, articolate sparatoriebensì facciano breccia nell’animo dello spettatore proprio nei momenti post-«battaglia» e nel preludiodell’azione.Hong Kong, fotografata in uno stato di travagliata «notturnità», si è vista e si vedrà solo in alcune pellico-41


le di Johnnie To (regista simile eppur diverso, ma ugualmente geniale). L’isola fa da contrappunto allevicende dei protagonisti, configurandosi un po’ come territorio di passaggio - il film inizia e finisce nellostesso luogo, una chiesetta ai margini della metropoli - con le sue luci avvolgenti nella notte stradale, coni suoi continui ritmi stressati, imprigionata in un costante, irrefrenabile movimento (…).Con questo film John Woo consacra il mito dell’eroe decadente, lo adatta alla figura straordinaria del suoattore feticcio (Chow Yun-Fat) e ne accentua i lati più deboli e oscuri. Con un uso sapiente e per nulla misuratodel ralenti, spinge la dimensione filmica dell’azione a livelli quasi liturgici. Mai smisurato ma sì estremonella rappresentazione della violenza, riesce nella difficile impresa di dare un nuovo volto al cinemanoir. Pur non nascondendo i continui rimandi a Frank Costello - Faccia d’angelo (Le Samourai) diMelville, John Woo se ne discosta profondamente. E in questo modo realizza un suo film personale, totalmenteadulto e pregno di una certa elegia che accompagna gesti e situazioni. Apprezzato da molta criticamondiale, esportato all’estero, ha dato vita al «fenomeno Woo» - oggi fin troppo saccheggiato, con lo smodatouso del ralenti profuso in molte produzioni da «cassetta» (definizione ad oggi, ammetto, probabilmenteobsoleta...) - ed è diventato, con il tempo, quasi spartiacque di certa cinematografia di genere.Sicuramente meno ambizioso di Bullet In The Head - opera molto discussa e probabilmente non abbastanzacapita -, è forse più composto e completo. Vedetela, se vi pare, in questo senso: Bullet In The Head è ungrido di rabbia contro l’orrore della guerra (e in certo qual senso anche nei confronti dell’indole malsanadell’essere umano), The Killer è una esemplificazione più diretta, palese, antropologica dell’inesistenza diun confine «definito» tra Bene e Male. Contemporaneamente è uno sguardo emozionato, quasi fanciullescodella vita e della morte - a vederla diversamente, risulterebbe ridicolo il gioco dei nomi «Disney» tra idue protagonisti. Drammaticissimo, tremendamente tragico, The Killer è definitivamente uno dei filmd’azione più pessimisti di sempre. Non c’è scampo, non c’è via d’uscita. L’unica possibilità è affrontare ilproprio destino. In fondo a tutto ciò, solo, forse, una certa redenzione.Il titolo in cantonese significa «Due proiettili eroici».di Massimo Versolatto, www.ondacinema.itIl canto del cigno dell’eroismo, dell’amicizia e del senso dell’onore: Woo accetta fino in fondo le regoledel noir e del melodramma, ma sceglie le soluzioni più pessimiste, e non offre vie di scampo o di riscatto.Il cinema di genere viene presto superato, i personaggi sono a tutto tondo, pieni di sfumature e contraddizioni:ma al tempo stesso Woo travolge lo spettatore con il senso dell’azione e del ritmo che hanno fattoepoca.La violenza, come hanno detto in centinaia, è messa in scena sì come un balletto, ma ha anche una qualitàfisica e concreta che invano si cercherebbe nei film americani. Mitico il finale alla Peckinpah, che in42


coda evoca e travolge Duello al sole. Un capolavoro all’altezza della sua fama. Prodotto da Tsui Hark, conChing Su-Tug coordinatore delle scene d’azione.Paolo Mereghetti, Il Dizionario dei filmIL REGISTAUno dei registi cinesi più celebri in America che è riuscito a sdoganarsidal cinema orientale trovando il giusto compromesso fraHollywood e Hong Kong. Un Maestro.Nato durante il caos provocato dalla guerra civile cinese nel1946, di religione cristiana, lui e la sua famiglia fuggirono aHong Kong, quando lui aveva 5 anni. La famiglia è costretta avivere in una baraccopoli. Sono anni difficili per il regista, che,riesce comunque a studiare. Nell’adolescenza pensa di diventareun seminarista, ma è un’altra la passione che lo infuoca: quellaper il cinema. Riesce a trovarsi qualche lavoretto e ad averela possibilità di andare nei cinema di quando in quando. Siappassiona alla cinematografia francese, specialmente a Jean-Pierre Melville.Molto timido e introverso, trova nel linguaggio audiovisivo uncodice linguistico che gli appartiene e ne studia da autodidattale principali caratteristiche. Nel 1969, la sua prima occasione didiventare aiuto regista presso gli Shaw Brothers Studios diHong Kong. Collabora a cortometraggi e supervisiona soggetti.Adora le pellicole ultraviolente, soprattutto di genere gangster e thrillers, ma con un pizzico di MartinScorsese e di Sam Peckinpah.Il debutto alla regia e il periodo cineseNel 1974 firma il suo film di debutto: Tie han rou qing (1974). È uno dei registi prediletti dalla grande stardel genere kung fu action Jackie Chan, con il quale riesce a coadiuvare coreografie e dinamismo della macchinada presa in elaborate scene di combattimento. Viene immediatamente convinto a passare alla GoldenHarvest Studio che punta su di lui per la realizzazione di un’infinità di pellicole d’azione che lui firmeràcon nomi differenti. Nel contempo si sposa e mette su famiglia (ben tre figli) con Annie Ngau Chun-lung.Adora avere nel suo cast attori come Leslie Cheung e Chow Yun-Fat ed è proprio con loro, fra commediee pellicole adrenaliniche che diventa qualcuno nel panorama cinematografico asiatico e non solo. Comemolti registi si lega, o forse sarebbe meglio dire lega a sé, un attore feticcio; a partire dal 1986 con il filmA Better Tomorrow tale attore è Chow Yun-Fat, che chiamerà più volte e con cui girerà Hard Boiled, ultimofilm di produzione asiatica per Woo. Altri titoli del periodo cinese che vale la pena ricordare sono TheKiller (1989), Tragic Heroes (1989), Bullet in the Head (1990), Once a Thief (1991).A partire da A Better Tomorrow (1986) le intenzioni di Woo sono quelle di cambiare i canoni tradizionalidel cinema d’azione, non soltanto dal punto di vista stilistico, ma anche dal punto di vista delle tematiche.Woo combinerà tematiche proprie dei «wuxiapian» (genere cinematografico prettamente cinese, secondomolti paragonabile all’occidentale «cappa e spada», in cui si racconta di personaggi mitici ed eroi epicidella tradizione cinese, di cavalieri erranti e spadaccini volanti), del noir, e spettacolari scene di sparatorie;i combattimenti e le sparatorie nello stile di Woo saranno coreografate come veri e propri balletti, utilizzandolo stesso modo in cui nei film di kung fu vengono coreografati i combattimenti a mani nude.A HollywoodHollywood si accorge di lui e lo invita a entrare nella sua industria. Il primo perfetto prodotto di questosodalizio è il bellissimo Senza tregua (1993) che gli farà avere una nomination ai Saturn Award), cui seguel’interessante Nome in codice – Broken Arrow (1996) con John Travolta che ritroverà nel suo film più bello:Face/Off – Due facce di un assassino (1997) con Nicolas Cage. È la sua terza pellicola hollywoodiana. Nel43


2000, Tom Cruise gli chiede di dirigere l’iperspettacolare Mission: Impossible 2, con Anthony Hopkins enel frattempo crea una serie di fumetti dal titolo «Seven Brothers» pubblicati dalla Virgin Comics. Unavolta ritrovato Nicolas Cage nel bellico Windtalkers (2002), si impegna nel progetto cinematografico Allthe Invisible Children.Ritorno in AsiaPoi finalmente pronto, tornerà a guardare all’Asia con il suo stile inconfondibile, cercando di far coincideretutto quello che ha imparato in America con ciò che l’Oriente gli può offrire, il tutto sempre nel nomedel ralenti (di cui fa spesso uso) e della spettacolarità. E sono proprio questi gli ingredienti del suo straordinarioe lunghissimo kolossal, tutto made in Cina, Red Cliff, diviso in due parti ma che in Italia è uscitosolo in un’unica versione chiamata La battaglia dei tre regni. Impegnato in tanti progetti, il regista cineseavrà l’agenda fitta d’impegni, almeno per un paio d’anni. Lo ritroveremo infatti a co-dirigere insieme aChao-Bin Su il film Rain of Swords in a Pugilistic World e anche 1949, Caliber, Flying Tiger Heroes eNinja gold.Un talento unico nel padroneggiare generi diversi John Woo è un uomo dal deflagrante talento, riuscito asfuggire alle forbici della censura per la troppa violenza del suo cinema e che ha saputo (e non è da tutti)infondere nei film su commissione tutti gli ingredienti dei suoi generi più cari: melodramma, azione, commedia,western, padroneggiandoli con un’abilità unica e storica. Nel 2010 ha ricevuto il Leone d’Oro allacarriera alla Mostra del Cinema di Venezia.FILMOGRAFIA ESSENZIALEPeriodo a Hong KongFarewell My Buddy (1974) - Rieditato come The Young DragonsHand of Death alias Countdown in Kung Fu (1976)Money Crazy (1977)The Brave Lion (1977)Follow the Star (1978)Hello, Late Homecomers (1978)To Hell with the Devil (1981)Laughing Times (1981)The Time You Need a Friend (1984)Heroes Shed No Tears 1986)A Better Tomorrow (1986)A Better Tomorrow II (1987)The Killer (1989)Tragic Heroes (1989)Bullet in the Head (1990)Once a Thief (1991)Hard Boiled (1992)Periodo a HollywoodSenza tregua (Hard Target) (1993)Nome in codice: Broken Arrow (Broken Arrow) (1996)Face/Off - Due facce di un assassino (Face/Off) (1997)Mission: Impossible II (2000)Windtalkers (2002)Paycheck (2003)Ritorno a Hong KongLa battaglia dei tre regni (Chi bi) (2008)44


L’UOMO DEL TRENO(L’homme du train)Regia Patrice LeconteSceneggiatura Claude KlotzMusica Pascale EstèveCon Jean Rochefort, Johnny Halliday, Jean-FrançoisStévenin, Pascal Parmentier, Isabelle Petit-Jacques,Charlie Nelson, Edith ScobProduzione FranciaAnno 2002Durata 90’LA TRAMAMilan, un rapinatore di banche, una sera scendeda un treno in una stazione di una qualsiasicittadina della provincia francese. Ha unforte mal di testa e ciò lo porterà a recarsi in una farmaciadove conosce Manesquier, un vecchio professore in pensione che, poichè l’unico albergodel posto è chiuso, lo ospiterà a casa sua per qualche giorno. Entrambi hanno, per il sabatosuccessivo, un appuntamento fatidico: Milan, con i suoi complici, una banca da rapinare;Manesquier un’operazione al cuore. Nell’attesa, nasce fra i due, così diversi, una sorta di mutainvidia, ciascuno per la vita dell’altro. Il rapinatore sogna una vechiaia da pensionato in pantofole;Manesquier quella vita avventurosa che mai ha potuto avere.PREMIPremio Lumière 2003: Miglior attore Jean RochefortLA CRITICATutti i giorni feriscono, l’ultimo uccide. E aspettando un sabato di fuoco due personaggi (anzi: due uomini)mettono a repentaglio le proprie esistenze, sognando di potersele scambiare. Un bandito che sta perrapinare una banca, un anziano professore che deve affrontare un intervento chirurgico. Uno ha invidiadella condizione dell’altro, e sotto il filtro di una sceneggiatura da incorniciare (di Claude Klotz, aliasPatrick Cauvin, scrittore che nel paese delle Tamaro e dei Baricco non conosce nessuno) passa il desideriodi un domani se non migliore, diverso.Patrice Leconte firma con L’uomo del treno il suo film migliore, sceglie la rischiosa strada di una messa inscena “sperimentale” (digitale riversato) per rendere ancora più evidente come l’unica cosa che conti sial’anima, non la forma. Dietro ogni dialogo, un mondo; dietro ogni “maschera”, una verità. Il professoreavventuriero, l’avventuriero pantofolaio, il ladro artista (Jean-François Stevenin: magnifico). Leconte eCauvin utilizzano il canovaccio del polar (un dramma di genere con psicologie allo stato brado) per imbastireuna storia esemplare, pretesto per una riflessione appassionata sulla vecchiaia di cui si ribalta l’assuntocomune: non è la stagione della vita su cui cala la notte ma quella che segna l’alba di un nuovo giorno.Così si spiega anche il finale, solo all’apparenza ridondante, in cui i due uomini sospesi in una veglia dimorte cinematografica si scambiano non il futuro, ma il passato. Non sarebbe così bello L’uomo del trenosenza i due protagonisti. Jean Rochefort, il professore in pensione, gioca sul registro dell’(auto)ironia;Johnny Hallyday, rockstar noir, su quello della demistificazione («Hai letto troppi polar» dice all’amico).45


E non sarebbe così bello se Leconte non avesse scelto di calare il contesto rarefatto tra echi e reminiscenzedi vecchi noir con Serge Reggiani e Lino Ventura o vecchi western con Gary Cooper e Henry Fonda.Mauro Gervasini, FilmTv, 48/2002Certo non è strano che uno che abita in una villa con giardino, in un piccolo centro della provincia francese,non possegga le chiavi di cancelli e portoni della propria casa.Non è strano se chi ci abita è un uomo anziano, un pensionato che conduce una vita tranquilla, senza vizi,senza amici. E non è strano che un uomo così ne incontri un altro che è quasi il suo opposto, che capita inpaese non proprio per caso.Milan (Johnny Hallyday) arriva col treno e con un mal di testa che, rimasto a corto di aspirine proprio mentretutti i negozi tirano giù le serrande, lo conduce in una farmacia dove anche Manesquier (l’anziano pensionatointerpretato da Jean Rochefort) sta comprando delle medicine. E per errore del farmacista, che glivende delle compresse effervescenti, è quasi costretto ad accettare l’invito dell’altro che gli offre un bicchiered’acqua nella sua casa poco distante.Sembra una casualità, come quando, poco dopo, Milan trova l’albergo dove avrebbe dovuto alloggiarechiuso. L’unica soluzione, quindi, è tornare dall’anziano signore senza chiavi di casa e chiedergli ospitalitàfino al sabato.Se uno è solitario per scelta e di poche parole, l’altro soffre la solitudine e ha bisogno di parole e spiegazioni.La convivenza per due uomini abituati solo ai propri pensieri è tutt’altro che scontata e non può che sollevareognuno dei due dalle abitudini e convinzioni di una vita intera.Leconte gestisce le attese e i lunghi tempi narrativi con un ritmo perfetto, il tutto scandito da un appuntamentodi entrambi i protagonisti, che entrambi non possono sfuggire e che ad entrambi cambierà la vita,nel bene o nel male.La freddezza apparente di Milan è in contrastocon la calma piatta ma accoglientedella casa di Manesquier, e i toni blu dellafotografia ce lo ricordano ogni volta cheMilan esce dalla villa e progetta, insiemea vecchi colleghi, una rapina nella bancadel paese e che inghiotte lo stessoManesquier quando insieme diventanocomplici fuori dalla culla domestica equando entrambi si avviano verso una crescitainteriore reciproca.Milan fa provare l’ebbrezza di sparare aManesquier e, di rimando, lui gli insegnaa tenere sempre uno spazzolino di scorta oa portare pantofole in casa. La casa riccadi tappeti, quadri, divani e fotografie diun’infanzia felice che poi, a detta dellostesso Manesquier, s’è trasformata in unavita cristallizzata, in cui lui ha mantenutola stessa posa per anni. La sua passioneper la poesia, la musica e la sua professione(Manesquier era professore di francese),lo rendono un uomo sensibile, senzapregiudizi, capace di accogliere e chiedereaiuto. Manesquier mostra i suoi bisogni,li maschera rendendoli ancor più evidentinella sua goffaggine, e colpisconopersino un duro come Milan.46


È uno scambio continuo e costante, in cui chi trascorreva giornate identiche lasciandole scivolare via passandotutto il tempo a rimpiangere e a cercare il coraggio per cambiare, finalmente trova quel po’ di coraggioe, anche se forse è tardi per stravolgersi, almeno può dire di averci provato e conservarne il ricordo.Così il gran giorno arriva insieme alla paura di non riuscire a superarlo, la rapina e l’operazione al cuoredi Manesquier; così come dall’inizio, nessuno si lascia andare, le parole rimangono contratte ma fin troppochiare e prendono vita negli occhi e nei gesti di ognuno per l’altro.La regia originale di Leconte sostiene e arricchisce la sceneggiatura di Claude Klotz, curatissima e pienadi spunti, che riapre di tanto in tanto durante la narrazione.Leconte alterna momenti più lenti, e sempre essenziali, in cui i brillanti dialoghi trovano il respiro chemeritano, considerando che quasi ogni battuta contiene temi e concetti su cui si potrebbe riflettere a lungo;gli interni sono gestiti proprio con questa consapevolezza, le conversazioni fra Milan e Manesquier sonoinserite in un contesto di tranquillità, tra luci soffuse e penombre nelle atmosfere placide e pacate dellacasa. I toni intimi risaltano, evidenziati anche dall’attenzione per i particolari e una macchina da presaquasi sempre stretta sui protagonisti. Il mondo fuori è più incostante, le inquadrature rimangono scarne e ipiani si allargano mostrando ambienti se non ostili quantomeno estranei, uno sfondo sul fuoco sempre presentesullo sviluppo del rapporto tra i personaggi.La fotografia segue la stessa logica e oscilla tra interni neutri e propri di Manesquier e i toni freddi, blu, diMilan. Entrambi assumono le caratteristiche dell’altro quando l’altro «conduce» nella propria esperienza,i colori di Milan diventano quelli di Manesquier se è il primo a guidare e viceversa.Le interpretazioni sono il giusto compenso per una grande storia, sia Rochefort che Hallyday riescono acentrare i caratteri aggiungendogli un fascino fondamentale con una recitazione matura.Se il tema è quanto si può mettere in gioco se stessi e potersi fidare di qualcuno, allora sia Milan (che nonha mai fallito) che Manesquier (uno che è abituato alle sconfitte), raggiungono il loro vero obiettivo nonostantegli eventi.Uno scambio reale che viaggia e, fino alla fine, si incontra per poi passare oltre, in direzioni opposte accomunateda quell’attimo condiviso tanto intenso e prezioso.Giulia Novelli, www.ondacinema.itAutore discontinuo e a volte un po’ inconsistente, Leconte si conferma un grande maestro nella commediadai toni lievi ed esilaranti. I suoi personaggi, coscientemente sempre sul filo dello stereotipo, sono dei brillanticonversatori, dei laconici umoristi, dei filosofi dell’assurdo, insomma, degli affascinanti paradossi.Ecco che la faccia lunga e un po’ triste di Jean Rochefort fa da contrappunto a quella granitica e manieristicadi Johnny Hallyday; ecco che la fanciullesca freschezza del vecchio verboso e abitudinario si confrontano,mescolandosi, alla calma nervosa e disincantata dell’avventuriero; ecco il cocktail sweet-n-sour,che si snoda attraverso situazioni brillanti e confronti retti soprattutto dai dialoghi di taglio teatrale e dall’irresistibileconfronto delle due personalità, sullo schermo e fuori da esso. Il film perde un po’ di tononell’ultimo quarto, quando la mano di Leconte si fa un po’ più pesante sulla vicenda e la dirige più forzatamenteverso il nucleo tematico del film, il rimpianto. I due uomini sono infatti modello l’uno per l’altro,anti-poli di attrazione; e l’ultimo soffio di vita nei loro corpi compie il miracolo dello scambio, l’opportunitàper entrambi di ricominciare prendendo in prestito la vita dell’altro, le sue abitudini, le sue manie oviceversa l’assenza di regole e di restrizioni. L’avventuriero e il professore, la strada e la poesia, il circo ela scuola. Due modi non solo di vivere, ma di essere, di esistere: attraverso il grugno rock-n-roll diHallyday, o il sorriso beffardo (“Ve l’ho fatta un’altra volta”) di uno splendido Rochefort.Alberto Zambenedetti, www.spietati.itIL REGISTAParigino, classe 1947, Patrice Leconte, dopo aver frequentato il prestigioso Idhec, inizia a girare una lungaserie di cortometraggi per arrivare a realizzare nel 1975 Il cadavere era già morto, suo primo lungometraggio,parodia del genere poliziesco francese. Il successo giungerà con Tandem (1987) e con il succesivoL'insolito caso di Mr. Hire (1989), uno dei migliori film tratti dai romanzio di Georges Simenon, che glivalse un buon riconoscimento da parte della critica al Festival del cinema di Cannes.47


In Italia acquista una grande notorietà con Il marito della parrucchiera(1990), film percorso da un leggero umorismo e interpretato da JeanRochefort, attore che lo accompagnerà in molti suoi film e Anna Galiena.Nel 1995 realizza Ridicule, con cui ottiene un grande successo e che gli varràquattro César, tra cui miglior film e miglior regia, il David di Donatello perla miglior regia, nonché la nomination all'Oscar come miglior film straniero.Nel 1999 Leconte ottiene un nuovo successo grazie a La ragazza sul ponte,con Daniel Auteuil che interpreta un lanciatore di coltelli che salva unaragazza, interpretata da Vanessa Paradis, che vuole suicidarsi gettandosi daun ponte sulla Senna.Nel 2002 è a Venezia con il suo L’uomo del treno che ottiene un grande successo,grazie anche anche alle interpretazioni superlative di Jean Rocheforte Johnny Halliday, notissimo cantante rock franco-belga, che ha intrapresoanche una discreta carriera come attore.Del 2006 è Il mio migliore amico, con Daniel Auteuil e Dany Boon, filmdelicato e leggero sull’amicizia che si instaura fra un antiquario di successo e un taxista un po’ naïf.FILMOGRAFIA ESSENZIALEIl cadavere era già morto (Les vécés étaient fermés de l'intérieur) (1975)Les Bronzés (1978)Les Bronzés font du ski (1979)Viens chez moi, j'habite chez une copine (1980)Ma femme s'appelle reviens (1981)Circulez y'a rien à voir (1983)Les spécialistes (1984)Moi vouloir toi (1985)Tandem (1987)L'insolito caso di Mr. Hire (Monsieur Hire) (1989)Il marito della parrucchiera (Le mari de la coiffeuse) (1990)Tango (1993)Il profumo di Yvonne (Le Parfum d'Yvonne) (1993)Ridicule (1995)I granduchi (Les Grands Ducs) (1996)Uno dei due (Une chance sur deux) (1998)La ragazza sul ponte (La fille sur le pont) (1999)L'amore che non muore (La Veuve de Saint-Pierre) (2000)Félix et Lola (2000)Rue des plaisirs (Rue des plaisirs) (2001)L'uomo del treno (L'homme du train) (2002)Tête de gondole (2003)Confidenze troppo intime (Confidences trop intimes) (2003)Dogora (Dogora - Ouvrons les yeux) (2004)Les bronzés 3: amis pour la vie (2006)Il mio migliore amico (Mon meilleur ami) (2006)La Guerre des miss (2009)Voir la mer (2011)48


FILMOGRAFIA ESSENZIALEDark LadyLa dark lady (letteralmente: "donna scura") è un personaggiodel noir - di cui è forse il carattere più tipico e popolare - e delgiallo hard boiled. Rappresenta la donna seduttrice, manipolatriceanche se non necessariamente malvagia, comunquepericolosa. È spregiudicata e sensuale, infedele e dannatrice;tuttavia non è infrequente il caso di ritratti femminili la cuiambiguità è solo il prodotto di un distorto sguardo maschile.Questo personaggio è affine a quello della femme fatale, tantoche sono spesso utilizzati come sinonimi, sebbene le due figurenon coincidano necessariamente: la femme fatale è unadonna maliziosa e disinvolta, ma in genere non nasconde lacattiveria e il desiderio di annientamento tipico della darklady della prima metà degli anni quaranta.L’angelo del male. Jean Renoir, Usa, 1938Ombre malesi. William Wyler, Usa, 1949Ossessione. Luchino Visconti. Italia, 1943La donna del ritratto. Fritz Lang, Usa, 1944La fiamma del peccato. Billy Wilder, Usa, 1944Femmina folle. John M. Stahl. Usa, 1945Gilda. George Cukor, Usa, 1945La strada scarlatta. Fritz Lang, Usa, 1945Il postino suona sempre due volte. Tay Garnett, Usa, 1946Lo strano amore di Marta Ivens. Lewis Milestone, Usa, 1946La signora di Shanghai. Orson Welles, Usa, 1948Il romanzo di Thelma Jordan. Robert Siodmak, Usa, 1949La sanguinaria. Joseph H. Lewis, Usa, 1949Seduzione mortale. Otto Preminger, Usa, 1950Viale del tramonto. Billy Wilder, Usa, 1950Casco d’oro. Jacques Becker, Francia 1952So che mi ucciderai. David Miller, Usa, 1952Niagara. Henry Hathaway, Usa, 1953I diabolici. Henry-Georges Clouzot, Francia, 1954La bestia umana. Fritz Lang, Usa, 1954Ascensore per il patibolo. Louis Malle, Francia, 1958I cugini. Claude Chabrol, Francia, 1958A doppia mandata. Claude Chabrol, Francia, 1959Eva. Joseph Losey, Francia/Italia, 1962Stephane, una moglie infedele. Claude Chabrol, Francia, 1968La mia droga si chiama Julie. François Truffaut, Francia 1969L’amico di famiglia. Claude Chabrol, Francia, 1973Gli innocenti dalle mani sporche. Claude Chabrol, Francia,1975Il fascino del delitto. Alain Corneau, Francia, 1979Brivido caldo. Lawrence Kasdan, Usa, 1981Il postino suona sempre due volte. Bob Rafelson, Usa, 1981Blood Simple – Sangue facile. Joel e Ethan Coen, Usa, 1984La vedova nera. Bob Rafelson, Usa, 1986Chi ha incastrato Roger Rabbit? Robert Zemeckis, Usa, 1988Rischiose abitudini. Stephen Frears, Usa, 1990Basic Instint. Paul Verhoeven, Usa, 1992Jade. William Friedkin, Usa, 1995Soldi sporchi. Sam raimi. Usa, 1998Femme fatale. Brian De Palma, Usa, 2002L’imbalsamatore. Matteo Garrone, Italia, 2002Tra bene e male (polizia e poliziotti)Nel noir ci sono sempre storie cattive, violente, di perdizione,con protagonisti con un piede ben oltre i limiti della moralità,senza distinzioni nette tra bene e male, tra giustizia e illegalità.Protagonisti fin eccessivi, i poliziotti sono spesso votatialla corruzione spicciola e proprio da questa loro propensionea tenere il piede in due staffe ricavano guai a non finire.Vertigine. Otto Preminger, Usa, 1944La città nuda. Jules Dassin, Usa, 1948Sgomento. Max Ophüls, Usa, 1949L’uomo della Torre Eiffel. Burgess Meredith, Usa, 1949Sui marciapiedi. Otto Preminger, Usa, 1950Neve rossa. Nicholas Ray, Usa, 1951Pietà per i giusti. William Wyler, Usa, 1951Il grande caldo. Fritz Lang, Usa, 1953Anatomia di un delitto. Jerry Hopper, Usa, 1954La polizia bussa alla porta. Joseph H. Lewis. Usa, 1955Il Commissario Maigret. Jean Delannoy, Francia, 1958L’infernale Quinlan. Orson Welles, Usa, 195849


Un maledetto imbroglio. Pietro Germi, Italia, 1959Maigret e i gangster. Gilles Grangier, Francia, 1963Agente Lemmy Caution. Missione ad Alphaville. Jean-LucGodard, Francia,1965Ultimo domicilio conosciuto. José Giovanni, Francia, 1969Indagine su un cittadino al di sopra di ogni sospetto. ElioPetri, Italia, 1970Ispettore Callaghan, il caso Scorpio è tuo. Don Siegel, Usa, 1971La donna della domenica. Luigi Comencini, Italia, 1975Colpo di spugna. Bertrand Tavernier, Francia, 1981Police. Maurice Pialat, Francia, 1985L’anno del dragone. Michael Cimino, Usa, 1985Vivere e morire a Los Angeles. William Friedkin, Usa, 1985The Big Easy. Jim McBride, Usa, 1987Violent Cop. Takeshi Kitano, Giappone, 1989Legge 627. Bertrand Tavernier, Francia, 1992Heat – La sfida. Michael Mann, Usa, 1995Scomodi omicidi. Lee Tamahori, Usa, 1996Hana-Bi. Takeshi Kitano, Giappone, 1997L.A. Confidential. Curtis Hanson, Usa, 1997Il colore della menzogna. Claude Chabrol, Francia, 1999Joint Security Area. Park Chan-wook. Corea del Sud, 2000Debito di sangue. Clint Eastwood, Usa, 2002Indagini sporche – Dark Blue. Ron Shelton, Usa, 2002Infernal Affairs. Andrew Lau, Hong Kong, 2002Insomnia. Christopher Nolan, Usa, 2002PTU. Johnny To, Hong Kong, 2003Breaking News. Johnny To, Hong Kong/Cina, 200436 Quai des Orfèvres. Olivier Marchal, Francia 2004Bellamy. Claude Chabrol, Francia, 2009Diamond 13. Gilles Béat, Francia/Belgio/Lussemburgo, 2009Il detective privatoFrequenta abitualmente i bassifondi metropolitani, solitario,difende umiliati e offesi, risoluto investigatore in perenne conflittocon l’ordine costituito. Duro di carattere, a prima vistaegoista, si dedica in maniera indefessa al suo lavoro in cui sirivela preciso e accurato. Il mondo in cui si aggira sono gliUsa degli anni Trenta, dipinti con estremo realismo e popolatida squali della finanza, ricchi arroganti, poliziotti corrotti edark ladies. Elegante, dipendente dal fumo e dall’alcol, non siinteressa del denaro che spende, interessato alle donne comequalsiasi scapolo ma al tempo stesso tendente alla misoginia,non vuole utilizzare le armi di ordinanza.Il falcone maltese. John Huston , Usa, 1941Una pallottola per Roy. Raoul Walsh, Usa, 1941L’ombra del passato. Edward Dmytrik, Usa, 1944Il grande sonno. Howard Hawks, Usa, 1946Una donna nel lago. Robert Montgomery, Usa, 1946Le catene della colpa. Jacques Tourner, Usa, 1947Solo chi cade può risorgere. John Cromwell. Usa, 1947Tragedia a Santa Monica. André De Toth, Usa, 1948Il terzo uomo. Carol Reed, Gran Bretagna, 1949Un bacio e una pistola. Robert Aldrich, Usa, 1955Una squillo per l’ispettore Klute. Alan J. Pakula, Usa, 1971Il lungo addio. Robert Altman, Usa, 1973Chinatown. Roman Polanski, Usa, 1974Bersaglio di notte. Arthur Penn. Usa, 1975Marlowe il poliziotto privato. Dirk Richards, Usa, 1975Blade Runner. Ridley Scott, Usa, 1982Hammett, indagine a Chinatown. Wim Wenders, Usa, 1982Il mistero del cadavere scomparso. Carl Reiner, Usa, 1982Velluto blu. David Lynch, Usa, 1986Il grande inganno. Jack Nicholson, Usa, 1990Regarde les hommes tomber. Jacques Audiard, Francia, 1994Strange Days, Kathryn Bigelow, Usa, 1995Memento. Chrtistopher Nolan, Usa, 2000Quo vadis, Baby? Gabriele Salvatores, Italia, 2005Uomini in fugaUna delle ossessioni che ritorna più volte nel noir è la mancanzadi libertà dell’individuo, la costrizione dentro a dei limiti.Questo si traduce nell’assenza di spazio libero, nella presenzacostante di confini, muri, limitazioni che rendono difficileper l’uomo una libera circolazione. Il cinema noir si eragià fatto carico di questo aspetto della condizione umana,affrontando storie che per la maggior parte raccontano dievasioni dal carcere e fughe disperate attraverso gli StatiUniti, con un susseguirsi di limiti e ostacoli da superare.Vendetta. Mervin LeRoy, Usa, 1937Il porto delle nebbie. Marcel Carné, Francia, 1938Sono innocente. Fritz Lang, Usa, 1938Lo sconosciuto del terzo piano. Boris Ingster, Usa, 1940.La chiave di vetro. Stuart Heisler, Usa, 1942La donna fantasma. Robert Siodmak, Usa, 1944Detour – Deviazione per l’inferno. Edgar G. Ulmer, Usa, 1945Due esseri. Carl Th. Dreyer, Svezia, 1945Un angelo è caduto. Otto Preminger, Usa, 1945L’angelo nero. Roy Willim Neill, Usa, 1946La dalia azzurra. George Marshall, Usa, 1946Angoscia nella notte. Maxwell Shane, Usa, 1947Legittima difesa. Henri-Georges Clouzot, Francia, 1947La fuga. Dalmer Daves, Usa, 1947Chiamate Nord 777. Henry Hathaway, Usa, 1948Schiavo della furia. Anthony Mann, Usa, 1948Catene. Raffaello Matarazzo, Italia, 1949La finestra socchiusa. Ted Tetzlaff, Usa, 1949Il diritto di uccidere. Nicholas Ray, Usa, 1950Non voglio perderti! Mitchell Leisen, Usa, 1950Gardenia blu. Fritz Lang, Usa, 1953Il bacio dell’assassino. Stanley Kubrick, Usa, 1955Non voglio morire. Robert Wise, Usa, 1958L’evaso. Pierre Granier-Deferre, Francia, 1971Getaway! Sam Peckinpah, Usa, 1972L’orologiaio di St. Paul. Bertrand Tavernier, Francia, 1974Finalmente domenica! François Truffaut, Francia, 1983Fuori orario. Martin Scorsese, Usa, 1985Cuore selvaggio. David Lynch, Usa, 1990Una vita al massimo. Tony Scott, Usa, 1993Strade perdute. David Lynch, Usa, 1996L’uomo che non c’era. Joel e Ethan Coen, Usa, 2001Mister Vendetta. Chan-wook Park, Corea del Sud, 2002Lady Vendetta. Chan-wook Park, Corea del Sud, 2005The Departed – Tra il bene e il male. Martin Scorsese, Usa,2006Nemico pubblico. Michael Mann, Usa, 2009Gangster e banditiI personaggi di questo genere sono spesso figure inquietanti emalsane. Coppie diaboliche, donne di malaffare, ubriaconi,scommettitori, mariti brutali, giovani folli e assassini per sete50


di conquista. A differenza del giallo, nel noir si "lavora" perfar trionfare il male che ogni personaggio porta dentro di sé.Le notti di Chicago. Josef Von Sternberg, Usa, 1927Nemico pubblico. William A. Wellman, Usa, 1931Piccolo Cesare. Mervin LeRoy, Usa, 1931Scarface. Howard Hawks, Usa, 1932I gangsters. Robert Siodmak, Usa, 1946Il bacio della morte. Henry Hathaway, Usa, 1947Le forze del male. Abraham Polonsky, Usa, 1948L’urlo della città. Robert Siodmak, Usa, 1948Doppio gioco. Robert Siodmak, Usa, 1949La donna del bandito. Nicholas Ray, Usa, 1949Giungla d’asfalto. John Huston, Usa, 1950I trafficanti della notte. Jules Dassin, Usa, 1950Le jene di Chicago. Richard Fleischer, Usa, 1952Mano pericolosa. Samuel Fuller, Usa, 1953Rififi. Jules Dassin, Francia, 1955Rapina a mano armata. Stanley Kubrick, Usa, 1956Strategia di una rapina. Robert Wise, Usa, 1959Fino all’ultimo respiro. Jean-Luc Godard, Francia, 1960Giungla di cemento. Joseph Losey, Usa, 1960Lo spione. Jean-Pierre Melville, Francia, 1962Anatomia di un rapimento. Akira Kurosawa, Giappone, 1963Pierrot le fou. Il bandito delle ore 11. Jean-Luc Godard,Francia, 1965Tutte le ore feriscono… l’ultima uccide. Jean-Pierre Melville,Francia, 1966Senza un attimo di tregua. HJohn Boorman, Usa, 1967I senza nome. Jean-Pierre Melville, Francia, 1970La mala ordina. Fernando Di Leo, Italia, 1972Milano calibro 9. Fernando Di Leo, Italia, 1972Gli amici di Eddie Coyle. Peter Tates, Usa, 1973Il Boss. Fernando Di Leo, Italia, 1973L’assassinio di un allibratore cinese. Usa, 1976Napoli violenta. Umberto Lenzi, Italia, 1976Scarface. Brian De Palma, Usa, 1983Omicidio a luci rosse. Brian De Palma, Usa, 1984A Better Tomorrow. John Woo, Hong Kong, 1986A Better Tomorrow II. John Woo, Hong Kong, 1987Zoo di notte. Jean-Claude Lauzon, Canada, 1987A Better Tomorrow III. Tsui Hark, Hong Kong, 1989Crocevia della morte. Joel e Ethan Coen, Usa, 1989The Hot Spot - Il posto caldo. Dennis Hopper, Usa, 1990Le iene. Quentin Tarantino, Usa, 1992Pulp Fiction. Quentin Tarantino, Usa, 1994I soliti sospetti. Brian Singer, Usa, 1995Ancora vivo. Walter Hill, Usa, 1996Face. Antonia Bird, Gran Bretagna, 1997Jackie Brown. Quentin Tarantino, Usa, 1997U-Turn – Inversione di marcia. Oliver Stone, Usa, 1997The Mission. Johnny To, Hong Kong, 1999Sulle mie labbra. Jacques Audiard, Francia, 2001Era mio padre. Sam Mendes, Usa, 2002Gangsters. Olivier Marchal, Francia, 2002Election. Johnny To, Hong Kong, 2005American Gangster. Ridley Scott, Usa, 2007Nemico pubblico N. 1 – L’istinto di morte. Jean-FrançoisRichet, Francia, 2008Nemico pubblico N. 1 – L’ora della fuga. Jean-FrançoisRichet, Francia, 2008Killer e serial killerCriminali sadici, che per un motivo preciso ma inspiegabile operché psicopatici, uccidono in seriepiù vittime, per lo più utilizzando un modus operandi meticolosamentestudiato e ripetitivo.M, il mostro di Düsseldorf. Fritz Lang, Germania, 1931L’ombra del dubbio. Alfred Hitchcock, Usa, 1943L’uomo leopardo. Jacques Tourneur, Usa, 1943La scala a chiocciola. Robert Siodmak, Usa, 1946La furia umana. Raoul Walsh, Usa, 1949La belva dell’autostrada. Ida Lupino, Usa, 1953La finestra sul cortile. Alfred Hitchcock, Usa, 1954La morte corre sul fiume. Charles Laughton, Usa, 1955L’occhio che uccide. Michael Powell, Gran Bretagna, 1960Psyco. Alfred Hitchcock, Usa, 1960Il promontorio della paura. Jack Lee Thompson, Usa 1962I cinque volti dell’assassino. John Huston, Usa, 1963Il corridoio della paura. Samuel Fuller, Usa, 1963Cul-de-sac. Roman Polanski, Gran Bretagna, 1966Frank Costello Faccia d’angelo. Jean-Pierre Melville,Francia, 1967Gli occhi della notte. Terence Young, Usa, 1967La sposa in nero. François Truffaut, Francia, 1968Il tagliagole. Claude Chabrol, Francia, 1969L’assassinio di Rillington Place N. 10. Richard Fleischer,Usa, 1970Lo strano vizio della signora Ward. Sergio Martino, Italia-Spagna, 1971Non si sevizia un paperino. Lucio Fulci, Italia, 1972Taxi Driver. Martin Scorsese, Usa, 1976I fantasmi del cappellaio. Claude Chabrol, Francia, 1982Manhunter – Frammenti di un omicidio. Michael Mann,Usa, 1986Matador. Pedro Almodovar, Spagna, 1986The killer. John Woo, Homg Kong, 1989Ore 10: calma piatta. Philip Noyce, Australia, 1989Nikita. Luc Besson, Francia, 1990Cape Fear – Il promontorio della paura. Martin Scorsese,Usa, 1991Il silenzio degli innocenti. Jonathan Demme, Usa, 1991Sonatine. Takeshi Kitano, Giappone, 1993Assassini nati. Oliver Stone, Usa, 1994Regarder les hommes tomber. Jacques Audiard, Francia, 1994Minuti contati. John Badham, Usa, 1995Seven. David Fincher, Usa, 1995Fargo. Joel e Ethan Coen, Usa, 1996Fratelli. Abel Ferrara, Usa, 1996Almost Blue. Alex Infascelli, Italia, 2000Ichi The Killer. Takashi Miike, Giappone, 2001Debito di sangue. Clint Eastwood, Usa, 2002L’uomo del treno. Patrice Leconte, Francia, 2002Collateral. Michael Mann, Usa, 2004Luci nella notte. Cédric Khan, Francia, 2004The Pusher. Matthew Vaughn, Gran Bretagna, 2004H. Lee Jong-dong, Corea del Sud, 2007La promessa dell’assassino. David Cronenberg, Usa, 2007Zodiac. David Fincher, Usa, 2007In Bruges – La coscienza dell’assassino. Martin McDonagh,Gran Bretagna-Belgio, 2008L’ultima missione. Olivier Marchal, Francia, 200851


Le ombre del passatoIl noir descrive un universo contraddittorio, strutturalmenteambiguo, in cui i luoghi, le forme, i corpi e le identità si raddoppiano,così come le dimensioni temporali si incrociano e sibiforcano senza sosta.La struttura stessa della realtà viene posta sempre di nuovo indiscussione: ogni gesto è al tempo stesso solare e oscuro, puroe colpevole, certo e sfuggente. C'è spesso un rapporto metamorfico,di scambio e incrocio, fra passato e presente, fra doppieidentità, fra campagna e città. Il passato che ritorna ècapace di sconvolgere vite tranquille spingendole verso i fantasmidi una realtà sospesa fra colpae innocenza.Rebecca la prima moglie. Alfred Hitchcock, Usa, 1940Il corvo. Henri-Georges Clouzot, Francia, 1943Angoscia. George Cukor, Usa, 1944Il bandito senza nome. Joseph L. Mankiewicz, Usa, 1946Odio implacabile. Edward Dmytrick, Usa, 1947Tirate sul pianista. François Truffaut, Francia, 1960Che fine ha fatto Baby Jane? Robert Aldrich, Usa, 1962Marnie. Alfred Hitchcock, Usa, 1964L’insolito caso di Mr Hire. Patrice Leconte, Francia, 1989Prova schiacciante. Wolfgang Petersen, Usa, 1991Betty. Claude Chabrol, Francia, 1992Il buio nella mente. Claude Chabrol, Francia, 1995Mystic River. Clint Eastwood, Usa, 2003Oldboy. Chan-wook Park, Corea del Sud, 2003A history of violence. David Cronenberg, Usa, 2005Tutti i battiti del mio cuore. Jacques Audiard, Francia, 2005False verità. Atom Egoyan, Canada/Gran Bretagna, 2006Apri gli occhi. Alejandro Amenàbar, Spagna, 2007Shutter Island. Martin Scorsese, Usa, 2010.Old Boy. Spike Lee, Usa, 2012.AltroVengono indicati in questa sezione titoli che, per le tematicheaffrontate, non rientrano nelle categorie individuate in precedenza.Notorius, l’amante perduta. Alfred Hitchcok, Usa, 1946Anima e corpo. Robert Rossen, Usa, 1947.Mulholland Drive. David Lynch, Usa, 200113 (Tzameti). Géla Babluani, Francia, 2005.Le mele di Adamo. Anders Thomas Jensen, Danimarca, 200552


BIBLIOGRAFIA ESSENZIALE IN LINGUA ITALIANAGeneralePaolo Aleotti. La Hollywood dell’era pulp. Dalle riviste pulp al cinema di Tarantino. Editori Riuniti,Roma, 1999.Dudley Andrew. Cinema francese: Gli anni Trenta. In Storia del cinema mondiale. L’Europa. Einaudi,Torino, 2000.Maurizio Colombo. Il cinema nero americano. In Nick Raider. Almanacco del giallo1994. Sergio BonelliEditore, Milano, 1994.Franco Fossati. Dizionario del genere poliziesco. Vallardi, Milano, 1994.Leonardo Gandini. Il film noir americano. Lindau, Torino, 2001.Mauro Gervasini. Cinema poliziesco francese. Le Mani, Genova, 2003.Fabio Giovannini. Storia del noir. Dai fantasmi di Edgar Allan Poe al grande cinema di oggi.Castelvecchi, Roma, 2000.Alberto Guerri. Il film noir - Storie americane. Gremese, Roma, 1998Marina Fabbri, Elisa Resegotti (a cura di). I colori del nero. Ubulibri, Milano, 1989.Il noir alla francese. Il castoro, Milano, 2003.Gabriele Lucci. Noir. Electa, Milano, 2006.Paola Malanga. Tutto il cinema di Truffaut. Baldini, Castoldi Dalai Editore, Milano, 2008James Naremor. Il Noir. In Storia del cinema mondiale. Gli Stati Uniti. Einaudi, Torino, 2000.Richard Schickel. Clint Eastwood. Sperling&Kupfer, Milano,1996Massimo Sebastiani, Mario Sesti. Delitto per delitto. 500 film polizieschi. Lindau, Torino, 1998.Roberty Sklar. Il cinema americano, 1945-60. In Storia del cinema mondiale. Gli Stati Uniti. Einaudi,Torino, 2000.François Truffaut. I film della mia vita. Marsilio Editori, Venezia, 1978François Truffaut. Il cinema secondo Hitchcock. Nuova Pratiche Editrice, Parma, 1977.Renato Venturelli. Storia del cinema poliziesco americano in cento film. Le Mani, Genova, 1995.Renato Venturelli. Gangster e detective. Il cinema criminale. In Storia del cinema mondiale. Gli StatiUniti. Einaudi, Torino, 2000.Renato Venturelli. Storia del cinema gangster in cento film. Le Mani, Genova, 2000.Su Takeshi KitanoLuciano Barcaroli, Carlo Hintermann, Daniele Villa (a cura di). Il cinema nero di Takeshi Kitano. Contre sceneggiature: Sonatine, Hana-bi, Brother. Ubulibri, Milano, 2001.Vincenzo Buccheri. Takeshi Kitano. Il Castoro Cinema, Milano, 2001.53


Donatello Fumarola (a cura di). Takeshi Kitano. Dino Audino Editore, Roma, 1998.Takeshi Kitano. Asakusa Kid. Mondadori, Milano, 1988Sui fratelli CoenAlessandro Agostinelli. Gli otto comandamenti dei fratelli Coen. Controluce, Nardò, 2010Ronald Bergan. The Coen Brothers. Una biografia. Lindau, Torino, 2002Vincenzo Buccheri. Joel e Ethan Coen. Il Castoro Cinema, Milano, 2002Bill Green, Ben Peskoe, Will Russell, Scott Shuffitt. La vita secondo il Grande Lebowski.Sperling&Kupfer, Milano, 2007Alberto Mascia. Alla ricerca del senso. Cinema e filosofia nell’opera dei fratelli Coen. Cadmo ed.,Fiesole, 2007.Su Michael MannPier Maria Bocchi. Micheal Mann. Il Castoro Cinema, Milano, 2002.Alessandro Borri. Michael Mann. Ed. Falsopiano, Alessandria, 2000.Su John WooMarco Bertolino, Ettore Ridola. John Woo - La violenza come redenzione. Le Mani, Genova, 2010.Su Patrice LeconteGiancarlo Zappoli, Luisa Ceretto (a cura di). Patrice Leconte. Un pessimista sorridente. Centro StudiCinematografici, Roma, 2009.Piccola biblioteca noir e poliziescaPierre Boileau, Thomas Narcejac. I diabolici. Fazi Editore, Roma, 2003.Pierre Boileau, Thomas Narcejac. I vedovi. Sellerio, Palermo, 2006.Pierre Boileau, Thomas Narcejac. La donna che visse due volte. Sellerio, Palermo, 2003.James Lee Burke. Piccola notte Cajun. Arnoldo Mondadori Editore, Milano, 1996.James Lee Burke. La palude dell’odio. Il Giallo Mondadori, Milano, febbraio 1999.William R. Burnett. Giungla d’asfalto. Sellerio, Palermo, 2005.James M. Cain. Il postino suona sempre due volte. Adelphi, Milano, 1999James M. Cain. La morte paga doppio. Adelphi, Milano, 1998.Andrea Camilleri. Il giro di boa. Sellerio, Palermo, 2003.Massimo Carlotto. Arrivederci, amore ciao. Edizioni e/o, Roma, 2001.Massimo Carlotto. La verita dell’Alligatore. Edizioni e/o, Roma, 1995.Gianrico Carofiglio. Testimone inconsapevole. Sellewrio, Palermo, 2007.Raymond Chandler. Addio mia amata. Contenuto in Tutto Marlowe investigatore, vol. I. Omnibus Gialli,Arnoldo Mondadori Editore, Milano, 1982.Raymond Chandler. Il grande sonno. Contenuto in Tutto Marlowe investigatore, vol. I. Omnibus Gialli,Arnoldo Mondadori Editore, Milano, 1982.Raymond Chandler. Il lungo addio. Contenuto in Tutto Marlowe investigatore, vol. II. Omnibus Gialli,Arnoldo Mondadori Editore, Milano, 1982.Didier Daeninckx. A futura memoria. Il Giallo Mondadori n. 2455, Milano, 1996.Sandrone Dazieri. Attenti al gorilla. Mondadori, Milano, 1999.Augusto De Angelis, Il candeliere a sette fiamme. Feltrinelli Editore, Milano, 1963.Giancarlo De Cataldo. Romanzo criminale. Einaudi, Torino, 2006.James Ellroy. Dalia nera. Arnoldo Mondadori Editore, Milano, 1987.James Ellroy. I miei luoghi oscuri. Bompiani, Milano, 1997.James Ellroy. L.A. Confidential. Arnoldo Mondadori Editore, Milano, 1991.James Hadley Chase. Eva. Feltrinelli, Milano 1990Dashiell Hammett. Il Falcone Maltese. In Dashiell Hammett. Romanzi e racconti. I Meridiani, ArnoldoMondadori Editore, 2004.54


Thomas Harris. Il silenzio degli innocenti. Mondadori, Milano, 1989.Jean-Claude Izzo. Casino totale. Edizioni e/o, Roma, 1998.Jean-Claude Izzo. Chourmo. Edizioni e/o, Roma, 1999.Jean-Claude Izzo. Solea. Edizioni e/o, Roma, 2000.Carlo Lucarelli. Almost Blue. Einaudi, Torino, 2002.Carlo Lucarelli. Un giorno dopo l’altro. Einaudi, Torino, 2000.Loriano Macchiavelli. Ombre sotto i portici. Einaudi, Torino, 2003.Leo Malet. Trilogia nera La vita è uno schifo - Il sole non è per noi - Nodo alle budella. Fazi Editore,Roma, 2003.Jean-Patrick Manchette. Nada. Einaudi, Torino, 2006Jean-Patrick Manchette. Pazza da uccidere. Einaudi, Torino, 2005Henning Mankell. Assassino senza volto. Marsilio, Venezia, 2007Henning Mankell. Muro di fuoco. Marsilio, Venezia, 2010Petros Markaris. La lunga estate calda del Commissario Charitos. Bompiani, Milano, 2009.Petros Markaris. Prestiti scaduti. Bompiani, Milano, 2011.Petros Markaris. Ultime della notte. Bompiani, Milano, 2001.Andrea G. Pinketts. Lazzaro, vieni fuori. Feltrinelli, Milano, 1992.Giorgio Scerbanenco. I milanesi ammazzano al sabato. Garzanti, Milano, 2010Giorgio Scerbanenco. Venere privata. Garzanti, Milano, 2007.Georges Simenon. Il fidanzamento del Signor Hire. Adelphi, Milano, 2003.Georges Simenon. I Pitard. Adelphi, Milano, 2000.Georges Simenon. La Marie del porto. Adelphi, Milano, 1992.Georges Simenon. La neve era sporca. Adelpi, Milano, 1991.Georges Simenon. L’uomo che guardava passare i treni. Adelphi, Milano, 1986.Mickey Spillane. La vendetta è mia. Garzanti, Milano, 1954Mickey Spillane. Ti ucciderò. Garzanti, Milano, 1953Jim Thompson. Diavoli di donne. Contenuto in Vita da niente. Omnibus Gialli, Arnoldo MondadoriEditore, Milano, 1990.Jim Thompson. Getaway. Contenuto in Vita da niente. Omnibus Gialli, Arnoldo Mondadori Editore,Milano, 1990.Jim Thompson. Vita da niente. Contenuto in Vita da niente. Omnibus Gialli, Arnoldo Mondadori Editore,Milano, 1990.Manuel Vazquez Montalban. Assassinio al Comitato Centrale. Feltrinelli, Milano, 2005.Manuel Vazquez Montalban. Il centravanti è stato assassinato verso sera. Feltrinelli, Milano, 2004.Manuel Vazquez Montalban. Quintetto di Buenos Aires. Feltrinelli, Milano.Cornell Woolrich. La sposa era in nero. Mondadori, Milano, 2009.55


INDICEIl film noir classico e l’evoluzione contemporanea.......................................................................................3Il noir: strumento per rappresentare la società.............................................................................................9Il noir mediterraneo.........................................................................................................................10La Francia: Simenon e i suoi eredi......................................................................................10Il poliziesco italiano. Dalla Milano di Scerbanenco alla Sicilia di Camilleri.....................11La Spagna. il noir si sviluppa dopo il franchismo...............................................................13La Grecia. Il noir al tempo della crisi..................................................................................13Letteratura e cinema noir: uno scambio costante........................................................................................14Il termine «noir»..............................................................................................................................14Il noir e la letteratura «hard-boiled»................................................................................................14I «duri» americani e il grande schermo...........................................................................................15Il noir italiano..............................................................................................................................................19I film............................................................................................................................................................21Hana-Bi . Fiori di fuoco...................................................................................................................23Fargo................................................................................................................................................27Collateral..........................................................................................................................................3336 Quai des Orfèvres.......................................................................................................................37The Killer.........................................................................................................................................41L’uomo del treno..............................................................................................................................45Filmografia essenziale.................................................................................................................................49Bibliografia essenziale in lingua italiana.....................................................................................................5357

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